Save the pack

di Ely 91
(/viewuser.php?uid=11392)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1x01 - Pilot. Welcome to Santa Monica ***
Capitolo 2: *** 1x02 - L'acchiappasogni ***
Capitolo 3: *** 1x03 - Agguato ***
Capitolo 4: *** 1x04 - Il delfino ***
Capitolo 5: *** 1x05 - Brezza marina ***
Capitolo 6: *** 1x06 - Allison ***
Capitolo 7: *** 1x07 - Quello che siamo ***
Capitolo 8: *** 1x08 - Il piano ***
Capitolo 9: *** 1x09 - Fidati di me ***
Capitolo 10: *** 1x10 - Speranza ***
Capitolo 11: *** 1x11 - Trentasei ore ***
Capitolo 12: *** 1x12 - Credo che... ***



Capitolo 1
*** 1x01 - Pilot. Welcome to Santa Monica ***



Image and video hosting by TinyPic



1x01 – PILOT.
WELCOME TO SANTA MONICA

Ormai lontani miglia da Beacon Hills, il cielo grigio che quella mattina aveva accompagnato il loro risveglio- Lydia Martin aveva scostato le tendine e schioccato la lingua  senza nascondere un certo disappunto – aveva fatto posto, a poco a poco, a raggi di sole sempre più forti, capaci di allontanare ogni nuvola.
L’Interstate 10 era, come al solito, trafficata, con code e diversi rallentamenti.
Peter Hale suonò il clacson seccato, sporgendo il viso fuori dal finestrino.
“Oh, andiamo, delle tartarughe andrebbero più veloci!” sbottò,per poi lasciarsi andare ad un lungo sospiro.
Guardò con la coda dell’occhio alla sua destra.
Derek aveva gli occhiali da sole calati sul viso, un braccio poggiato sul finestrino completamente abbassato e una sorta di sorrisino accennato sul viso.
“Togliti quel sorriso dalla faccia” lo rimbeccò Peter, roteando gli occhi.
“Impossibile, dopo averti ascoltato insistere che se avessi guidato tu, il traffico sull’Interstate non l’avremmo nemmeno visto”
L’uomo, in tutta risposta, schioccò la lingua, per poi dirigere lo sguardo sullo specchietto retrovisore.
“E voi, tre porcellini, come mai siete così silenziosi?”
Isaac, Scott e Stiles guardarono l’altro, leggermente perplessi.
“Veramente” precisò Stiles “tecnicamente siamo due lupi e un porcellino”
“Taci, se non vuoi che ti chiami Cappuccetto Rosso” ribatté il più grande degli  Hale, premendo leggermente sull’acceleratore e avanzando di qualche metro.
Dopo quel breve scambio di battute, capaci di alleggerire solo per qualche attimo il carico dei loro pensieri, il silenzio tornò più pesante di prima.
Isaac sapeva che anche Derek stava pensando alla conversazione avvenuta qualche giorno prima. Era impossibile non fosse così. La possibilità di riavere indietro il loro branco, Erica e Boyd, non poteva che scuotere i loro animi speranzosi.

“Come hai fatto a tornare dall’oltretomba?”
La voce di Isaac riecheggiò nell’appartamento spoglio di Derek. Non era grande fan di mobili di troppo e diversi confort, a quanto aveva potuto notare.
Peter incrociò le gambe con nonchalance, ammiccando in direzione del nipote.
“Hai un beta curioso”
“A cosa stai pensando?” lo incalzò Derek, studiando l’espressione assorta del giovane.
“A Erica” una pausa infinita, come se dopo aver pronunciato il suo nome, il mondo intero dovesse fermarsi qualche istante a ricordarla. “A Boyd”.
Derek crucciò lo sguardo e lo volse verso la finestra, incrociando le braccia.
Il ricordo delle sue mani sporche di sangue – sporche del sangue di Boyd – lo colpì come un pugno sullo stomaco. Per un attimo ebbe l’impressione di annaspare, come se l’aria nella stanza non fosse stata sufficiente.
Avrebbe voluto che Isaac accantonasse subito il discorso, ma la frase successiva di Peter lo incitò a proseguire.
“Cosa stai pensando? Sono curioso”
“Se sei tornato in vita tu…perché non potrebbe succedere altrettanto a loro?”
Peter assottigliò le labbra, come se stesse soppesando bene le parole, prima di decidersi a chiarire le idee a quel novellino.
“Innanzitutto, non è così semplice come possa sembrare. Tralasciando la parte in cui ho incasinato la mente della tua incantevole amica dai capelli rossi, ho dovuto unire diversi elementi, soppesare diverse energie. La natura ha bisogno di equilibrio e di energie”
Isaac schiuse le labbra qualche istante, per poi dar voce alla confusione che regnava nella sua mente.
“Energie? Che intendi?”
“Il nostro corpo, una pianta, un evento climatico, non sono altro che raccoglitori di energia, che fluisce in maniera armonica, in modo da non stravolgere alcun equilibrio. Ogni  elemento ha la sua forza” intervenne Derek, continuando a dare le spalle ad entrambi.
“Allora quando si parla di energia proveniente dal corpo o dal pianeta, non è una cavolata” asserì Isaac, come se finalmente avesse iniziato a comprendere le parole di Peter.
“Le energie che ho lasciato confluire nello stesso momento, per compiere il rituale, sono state diverse: quella proveniente dalla luna piena, quelle di Derek e, elemento più importante, l’immunità di Lydia” tornò a spiegare Peter “nel momento in cui l’immunità di Lydia è venuta a galla, ho capito che lei doveva essere qualcosa, legata in qualche maniera al soprannaturale, capace di compiere un simile rituale”
“La fortuna ha voluto che fosse proprio l’essere che come nessuno è collegato alla morte, una Banshee” affermò Isaac.
“La fortuna ha girato dalla mia parte non una, ma ben due volte” Peter fece un occhiolino.
Isaac mordicchiò il labbro inferiore, un’idea sempre più precisa in procinto di formarsi nella sua mente.
“E se è stato possibile fare questo per te, perché non possiamo ripetere il rituale per Erica e Boyd?”
Derek sgranò gli occhi. Non aveva mai pensato ad una simile eventualità. Per la prima volta da quando era iniziata quella discussione, si voltò a guardare suo zio.
“Perché un simile rituale richiede un gran dispendio di energie. Vuoi forse ammazzare Lydia? Lo ha fatto una volta, non potrebbe farlo di nuovo” precisò l’uomo.
“Potremmo tentare comunque!” azzardò il beta.
Peter scosse la testa.
“Sarebbe troppo per lei. Servirebbe un altro essere speciale come lei”
“Una banshee?”
“Non necessariamente. Ma per saperne di più e avere notizie attendibili non è con me che dovete parlare”
Gli occhi di Derek e Isaac gli stavano ponendo una chiara domanda.
“Con un ex docente del liceo di Beacon Hills. Jack Jefferson. Lui mi ha insegnato tutto quello che so, o quasi” rivelò Peter.
“Perfetto! Andiamo da lui!”
“Aspettate! L’ultima volta che ho controllato, non viveva esattamente dietro l’angolo”
“E dove?” domandò Derek.
“A Santa Monica. Preparate i bikini, dolcezze”


Isaac accostò il capo contro il finestrino. Stiles e Scott si erano appisolati, l’uno con la testa poggiata sulla spalla dell’altro.
Una parte di lui aveva sempre guardato alla loro amicizia fraterna con un pizzico di gelosia; anche a lui sarebbe piaciuto avere un amico da chiamare “fratello”. Eppure, nel momento in cui si era reso conto della fiducia nutrita per Scott, ricambiata, finalmente parte del suo cuore si era sentita come a casa.
Anche con Erica e Boyd aveva provato quella sensazione, ma loro se ne erano andati, lasciando un grande vuoto nel suo animo.
“Perdere un membro del branco non è come perdere un membro della famiglia, è come perdere un arto”, aveva detto Cora e con rammarico, Isaac poteva dire di sapere cosa intendesse davvero, avendolo provato sulla propria pelle.
L’eclissi lunare...
Boyd ne aveva parlato e, stando al racconto di Derek – flashback di cui aveva messo a conoscenza Isaac solo dopo un certo periodo di tempo – Erica prima di lui si era posta la stessa domanda, lanciandosi poi contro un’impresa impossibile, dimostrando fino all’ultimo il suo orgoglioso coraggio. Ne era stato fiero. Era stata più audace di tutti loro.

“Boyd…cosa credi ci succederà durante l’eclissi lunare?
Sai, dura quattro ore. Perché è solo l’ombra della Terra.
Mi chiedo cosa ci succederà.
Forse ci renderà più forti. Spero ci renda più forti”
Erica, 3x07

“Questo posto è il Paradiso! Ok, lasciatemi qui, ma portatemi Lydia. Non voglio più tornare a casa”
Stiles sorrise entusiasta, sporgendosi col viso dal finestrino.
L’oceano brillava sotto i raggi del sole, l’aria era piacevolmente calda e i paesaggi incantevoli. Sembrava che fossero finiti in una cartolina.
La toyota degli Hale sfrecciò costeggiando il lungomare, fino a quando Peter non accostò accanto ad un gruppo di ragazze in prendisole.
Nonostante la primavera fosse giunta da appena qualche settimana, a Santa Monica sembrava di essere in estate inoltrata.
“Ragazze, scusate…” iniziò Peter , attirando l’attenzione di una giovane dai folti capelli neri, alta e con il viso coperto leggermente da un cappello di paglia “…sapreste  dirmi dove si trova il liceo della zona?”
Scott corrugò la fronte perplesso, incrociando gli sguardi altrettanto confusi di Isaac e Stiles.
“Ehi, Peter, ma noi sappiamo dove…” tentò di dire Scott, ma l’uomo lo fulminò con lo sguardo.
Mentre la ragazza stava tentando di spiegare quale strada percorrere, i tre ragazzi capirono le intenzioni dello zio Hale.
“Sta rimorchiando. Oh mio Dio, voglio vomitare” asserì Stiles, mutando la sua espressione serena in una pienamente disgustata.
Seguendo le indicazioni della ragazza, del tutto inutili, salvo che per Peter che era riuscito ad ottenere con poche frasi e un sorriso il numero della giovane, giunsero presso il liceo della zona.
L’edificio di recente costruzione, composto da tre piani, un grande giardino e altri spazi riservati alle varie attività studentesche, era gremito di giovani.
“Siamo arrivati durante la pausa pranzo” constatò Isaac, notando il viavai di studenti con panini alle mani o vassoi della mensa, diretti verso le panche all’ombra di qualche albero secolare.
“Perché il nostro cortile fa schifo e qui invece hanno aiuole, fontane e fiori ben tenuti?” mugugnò Stiles.
“Zitti, sembrate delle matricole, non degli studenti del terzo anno” li riprese Derek, col suo solito cipiglio duro.
Chiedendo informazioni in segreteria, non fu difficile trovare l’aula del professor Jefferson.
Il professor Jefferson, comodamente seduto nella sua aula di letteratura, intento a mangiare un sandwich, si rivelò essere un uomo sulla cinquantina, basso, con qualche accenno di calvizie e in sovrappeso. Nella camicia sembrava stesse a malapena e rivoli di sudore sulla fronte tradivano la sua apparente naturalezza con quel vestiario. Le temperature di Santa Monica erano già troppo alte per una camicia a maniche lunghe, abbottonata fin sotto il collo.
“Che mi venga un colpo! Peter Hale! Il mio ex alunno preferito della Beacon Hills High School!”
“Allora a qualcuno piace” sussurrò Scott a Stiles.
“Guardate che vi sente perfettamente” gli fece notare Isaac.
Peter Hale avanzò precedendo l’intero gruppo, per poi stringere la mano dell’uomo.
“Professor Jefferson, mi fa piacere vedere che si ricorda ancora di me” affermò l’uomo, con un sorriso accattivante.
Derek avrebbe voluto dire ai due di smetterla con quei convenevoli e di passare subito al punto, ma sapeva che i tempi sfruttati dallo zio erano necessari prima di toccare un argomento tanto spinoso.
“Sapete, io sono sempre stato un grande appassionato di mitologia e affini, e ho istruito il piccolo Hale. Sapevo dei  licantropi, sapevo dei cacciatori, e sapevo di Talia Hale, l’alpha più importante e forte che si fosse mai visto negli ultimi cinquant’anni” spiegò il vecchio Jeff.
Peter annuì, sottolineando la correttezza di ogni singola parola dell’uomo.
“Lui è Derek Hale, credo si ricordi del figlio di Talia. Loro sono Scott, Isaac, anch’essi dei licantropi, e Stiles” li presentò, indicandoli uno ad uno.
“E tu Stiles cosa saresti? Il loro messo?” si informò il docente, non nascondendo una fremente curiosità; la stessa che lo aveva portato alla scoperta del soprannaturale, a studiare ogni creatura mitologica e ogni leggenda esistente.
“A dire il vero sono… “ Stiles cercò, invano, le parole giuste, ma si arrese all’evidenza “semplicemente Stiles. Niente artigli, niente poteri speciali”
“Oh” un momento di perplessità, prima che tornasse a parlare “allora cosa vi porta qui?”
Peter Hale sospirò. Era giunto il momento delle spiegazioni.
Mezz’ora più tardi, l’uomo si trovò a corrugare la fronte, dopo aver appreso tante informazioni.
“Sarei curioso di vederla questa Banshee. Mai in vita mia avrei pensato di poter incontrare una creatura tanto rara” confessò, quasi con una certa emozione. Dopo una lunga pausa, si decise a fornir loro le risposte che stavano cercando.
Quando fece per aprir bocca, Isaac quasi sobbalzò, come se l’emozione di conoscere la verità fosse così forte da impedirgli di non stare teso come una corda di violino.
“Peter ha ragione. Questa banshee non potrebbe ripetere una seconda volta il rituale, specie per due persone contemporaneamente. Sarebbe rischioso. Fatale”
Stiles deglutì rumorosamente, come se il solo pensiero che Lydia potesse farsi del male, stringesse la sua gola in una morsa.
“Per questo avete bisogno di un altro essere immune. Immune vuol dire che è già qualcos’altro per essere anche un lupo, capite?”
“E dove possiamo trovare un’altra persona immune? Sarebbe come cercare un ago in un pagliaio” asserì Scott.
L’uomo annuì. “Lo so, lo so. Un’impresa quasi impossibile. Quasi. Lasciatemi compiere qualche ricerca approfondita. Nei prossimi giorni vi contatterò io” promise l’uomo.
Prima che l’intero gruppo potesse lasciarsi andare ad un sospiro rassegnato, Peter aggrottò la fronte.
“Signor Jefferson, lei non era un docente di storia?  Cosa ci fa nell’aula di letteratura?”
Jack sospirò. “Sto sostituendo la professoressa Smith. Una povera donna”
“Cosa le è successo?” chiese di riflesso Stiles.
“Suo figlio di pochi mesi. Lo hanno portato via, sparito. La notte si è alzata a controllare, non avendolo sentito piangere nemmeno una volta e ha trovato la culla vuota”


Il corridoio, fino a qualche istante prima vuoto, si riempì di studenti di ritorno dalla pausa pranzo. Stiles ricevette diverse spallate, prima di sbottare che se ci avessero provato ancora, avrebbe sguinzagliato i suoi quattro lupi domestici.
Derek inarcò un sopracciglio, lo sguardo eloquente come non mai.
“Ok, lupi selvaggi” si arrese Stiles, portando Scott a scuotere la testa rassegnato.
Per l’ennesima volta, una studentessa di passaggio urtò Stiles, col tentativo di farsi spazio tra i vari alunni fermi davanti ai propri armadietti o nel bel mezzo del corridoio, intenti a chiacchierare, ridere e giocare, con appunti e quaderni per la lezione successiva sottobraccio.
Stiles fece per aprir bocca, ma notò che il copioso blocco di fogli della ragazza era rovinato a terra, dunque d’istinto si abbassò a raccoglierli.
Una mano dalle unghie smaltate di blu sfiorò la sua.
Fu in quell’istante che Stiles incrociò lo sguardo limpido di una ragazza dai capelli color rame.
“Non serve che mi aiuti, non preoccuparti” asserì la ragazza, con una studiata delicatezza.
Stiles la guardò sorpreso. Se si fosse voltato, avrebbe notato che anche gli altri quattro stavano facendo altrettanto.
La sua voce era soave, melodiosa, quasi un piacere per le orecchie in ascolto.
“….hai intenzione di fissarmi imbambolato tutto il tempo?”
“Eh?” Stiles scosse la testa, come se si fosse appena svegliato “Uhm…n-no” la sua voce sfasò leggermente, facendolo sentire impacciato più del normale. “Io sono Stiles” si decise a dire, porgendole gli appunti da lui recuperati e rimettendosi in piedi.
La ragazza fece altrettanto, sistemandosi con la mano libera il foulard bianco intorno al collo, leggermente spostato rispetto ai suoi gusti.
“Cassidy” rispose.
Fu l’ultima cosa che Stiles udì prima che nel corridoio si scatenasse il caos.
Ci fu dapprima uno sparo da arma da fuoco. Subito dopo un secondo ed infine urla e panico.
Tutti stavano correndo in svariate direzioni, come dei topi in trappola.
“Da dove hanno sparato??”urlò Peter.
“Stiles, mettetevi al riparo!” esclamò Scott. Lui non poteva guarire e la sua sicurezza era una priorità per il licantropo.
Persino quando erano piccoli, e lui non aveva alcun aiuto soprannaturale dalla sua, se Stiles cadeva e si sbucciava il ginocchio, Scott lo portava subito da sua madre Melissa per farlo medicare e cercava di consolarlo, nel mentre, con diversi giochi.
Stiles afferrò Cassidy per un braccio e la trascinò nell’aula più vicina, riparandosi insieme a lei sotto la cattedra.
“I tuoi amici! Perché i tuoi amici sono rimasti fuori??” domandò allarmata la ragazza, quasi sul punto di iperventilare dallo spavento. Stiles conosceva bene quella sensazione; l’attimo in cui si crede di soffocare che precede un attacco di panico.
“Hai visto quei due più grandi? Loro sono…poliziotti! Sanno quel che fanno” la rassicurò.
Cassidy annuì, scostando poi dagli occhi una ciocca di capelli biondo rame ed espirando pesantemente.
“Aspetta, togliti questo, avere la gola libera sarà un sollievo, vedrai” Stiles fece per toglierle il foulard annodato intorno al collo, ma la mano della ragazza lo bloccò decisa, stringendo la sua.
“No” disse semplicemente, all’improvviso innervosita.
Il ragazzo la guardò perplesso e sotto quello sguardo deciso, non poté far altro che ritirare la mano.
“Scusami, è che si tratta di un caro regalo, non me ne separo mai”
Stiles annuì, per poi concentrarsi sui rumori esterni. Aveva la sensazione che il tempo stesse scorrendo al rallentatore, come quando succede qualcosa e si ha la percezione di muoversi e reagire in maniera lenta sentendosi, al contempo, frastornati.
“Voi non frequentate questo liceo, vero?” domandò l’altra, ora all’apparenza poco più tranquilla.
Stiles scosse la testa. “Siamo venuti a trovare un vecchio amico, il professor Jefferson”
Non ebbe modo di aggiungere altro che alle sue parole seguì uno sparo, poi un lungo silenzio.
Cassidy si portò una mano sulla bocca, tremante.
“Dio mio!I tuoi amici!”esclamò, sconvolta.
Stiles restò fermo qualche istante, senza sapere bene cosa fare, finché la porta non si aprì, cigolando sinistramente.
Cassidy  si aggrappò d’istinto al suo braccio, prima ancora che scorgessero chi fosse entrato.
“Stiles…Bro?”
Udendo la voce di Scott, l’altro uscì immediatamente allo scoperto, sollevato.
“Cosa è stato? Abbiamo sentito quel colpo e…”
“Era un ragazzo, uno del vostro liceo” disse, con un cenno del capo rivolto a Cassidy, uscita anch’ella allo scoperto.
“Ha detto che non sapeva perché avesse sparato. Sapeva solo che doveva farlo. Non abbiamo fatto in tempo a proferire parola, a muovere persino un passo che…”
“…si è sparato, non è così?”
La domanda di Stiles ricevette  una muta risposta.
Uscendo di nuovo sul corridoio, la sua attenzione non venne attirata dal gruppo di studenti tornati sul posto o da Peter, Derek e Isaac fermi in un angolo, né tantomeno da Cassidy nuovamente aggrappata al suo braccio, come se avesse stabilito che lui e solo lui potesse proteggerla e farla sentire al sicuro; l’unico colore che colpì il suo sguardo fu il rosso.
Una pozza di sangue intorno al corpo inerme del giovane, il pugno ancora stretto intorno al calcio della pistola: furono questi i dettagli che colpirono Stiles, come se avessero sparato di nuovo, ma stavolta contro il suo petto.
“Andiamocene” fu l’unica cosa che disse Derek.
Aveva visto Erica, aveva visto Boyd. Vederne un altro non era proprio necessario.


Adena cadde sulle ginocchia, a peso morto, lasciando che la soffice erba del cortile della Santa Monica High School attutisse il colpo, non solo fisicamente, ma anche emotivamente.
Il contatto con quello sprazzo di verde, di natura, in mezzo al grigio cemento e al panico dilagante, era per lei una sorta di sollievo.
Inspirò ed espirò diverse volte, fin quando i colpi di pistola che aveva udito smisero di rimbombare nella sua testa.
Il suono di diverse sirene la fece voltare di scatto. La polizia locale era celermente giunta sul posto. Nello stesso istante in cui li vide prepararsi per un eventuale contatto con il ragazzo armato, vide uscire dall'ingresso principale diverse persone, a passo lento, quasi stanco.
Era dunque tutto finito? Quel folle era andato via?
Si alzò di scatto e individuò un gruppetto più in disparte, composto da due uomini più adulti e tre ragazzi che potevano avere circa la sua età.
Bloccò per un polso uno degli adulti, per l’esattezza il ragazzo dagli occhi chiari, i capelli scuri e la t-shirt blu notte capace di risaltare ancor di più, se possibile, il fisico ben scolpito.
Nel momento in cui la sua mano entrò a contatto con la pelle dell’altro una consapevolezza la investì con la stessa forza di una scarica elettrica.
Strabuzzò gli occhi verdi, sorpresa, e ritirò immediatamente la mano, sotto lo sguardo altrettanto stupito del ragazzo e degli altri quattro.
“Cosa vuoi?”  domandò bruscamente l’altro.
“Andiamo Derek! Sii più gentile, o continuerai a trovare solo fidanzate psicopatiche” lo riprese l’uomo al suo fianco.
“..che poi, detto da un sociopatico…” borbottò qualcuno alle loro spalle.
“Ti ho sentito Stiles” lo ammonì l’uomo, per poi sorriderle affabile. “Io sono Peter e lui è mio nipote Derek. Loro sono Scott, Stiles e Isaac”
“Ci sta provando di nuovo” asserì Stiles rivolto a Scott.
Adena li osservò attentamente uno ad uno, per poi decidersi a parlare.
“Sono Adena” disse seccamente, fulminando con lo sguardo Derek “volevo solo sapere dove è finito quel folle con la pistola”
“L’ha usata su se stesso” rivelò Isaac.
Adena boccheggiò incredula. Un brivido le scese lungo la schiena, tale era lo sgomento.
“Ehm, ti senti bene?” le domandò Scott, sfiorandole la spalla con la mano.
Di nuovo quella sensazione si impadronì di lei e si scostò leggermente.
“Benissimo. Scusate” disse semplicemente, per poi dar loro le spalle, lasciando che i capelli mossi si muovessero a ritmo, per poi ricadere sulla schiena.
“Ma che le ho fatto?” domandò Scott, perplesso, la mano ancora a mezz’aria.
Peter fece spallucce. “Deve essere una di quelle tipe difficili. Non mi piace” sentenziò.
“Secondo me l’ha spaventata Derek. Il grosso lupo cattivo” affermò Stiles, per poi ricevere un’occhiataccia da quest’ultimo.
“Nessuno le ha guardato il fondoschiena mentre andava via?” chiese invece Isaac, ricevendo delle occhiate perplesse.
“Impara in fretta il ragazzo” Peter accennò un sorriso sghembo.
“Adesso andiamo, abbiamo perso fin troppo tempo”
Derek riprese a camminare a passo spedito verso la sua auto.

Adena li osservò da dietro il vecchio pino, ogni battito del suo cuore fin troppo vicino all’altro, tale era l’adrenalina crescente.
La paura stava facendo posto ad altro. Ad un’idea.
Il sorriso le si disegnò sul viso, mentre una sola parola faceva capolino fra i suoi pensieri.
Licantropi.



“Carina questa casetta. Quanto paghiamo per restare in questi giorni?” domandò Stiles entrando nell’abitazione accogliente non molto distante dalla spiaggia e costituita da due piani.
“Niente, la stiamo occupando abusivamente. La famiglia che la abita è fuori città” asserì Peter.
“Che cosa?!?” esclamò Scott.
Isaac si lasciò cadere sul divano.
“Comodo” constatò. “Come facevi a sapere che fosse disabitata?”
“Non sottovalutate mai le mie risorse” ribatté Peter.
 Stiles si guardò un po’ intorno, osservando le foto sulla mensola di una giovane coppia di novelli sposi.
Ripensò alla giornata trascorsa, alle informazioni fornite loro dal professor Jefferson ed agli eventi sinistri appresi e visti.
Il bambino scomparso misteriosamente, la follia omicida di uno studente della sua età.
Si domandò  se ci fosse qualcosa di strano, ma scacciò immediatamente il pensiero.
Dunque si voltò verso Scott e gli sorrise.
“Bro, ce l’avrà questo maritino una playstation?”
Scott estese il suo sorriso.
Licantropo o non licantropo, sarebbe stato perso senza Stiles.




Ed eccomi qui, con questo pilot, che mi porta ad arrossire come non mai -////-
Ci tengo molto a questa long, sarà forse per il modo in cui la sto plottando, studiando anche il più piccolo particolare e facendo ricerche su ricerce -mia madre credeva stessi cercando materiale per scrivere la tesi -
Difatti la long sarà strutturata in maniera molto simile alla serie tv: 12 episodi per 12 capitoli. Ci sarà tanta mitologia, tanti dettagli/indizi ed anche una buona dose di romanticismo con la speranza di non stravolgere nessun carattere dei nostri maschietti preferiti.
Cercherò di essere puntuale con gli aggiornamenti, pubblicando ogni mercoledì. Se ciò non dovesse accadere, sicuramente lo scriverò sulla mia pagina di facebook ( https://www.facebook.com/elynovantuno.efp ) dove potete tranquillamente aggiungermi, se volete.
Passando al pilot, proprio alla stessa maniera di una serie tv, ho cercato di gettare le basi di ogni singola storyline che verrà sviluppata nell'arco narrativo dei 12 capitoli. Spero di avervi incuriosito abbastanza e, sopratutto, che la lettura si sia rivelata piacevole.

Un bacione, 
Ely 91

 

NEXT ON "SAVE THE PACK":

Udendo il battito del suo cuore, Scott notò che aveva saltato un battito, per poi averne due fin troppo ravvicinati. Un’extrasistole. Quella domanda l’aveva in qualche modo agitata.
[...]
All’improvviso, sapeva di non potersi più fidare o comunque di dover stare in guardia.
Eppure poco prima quel sorriso di Adena sembrava sincero.
Gli tornò in mente il sorriso di Jennifer Blake. Anche il suo sembrava sincero. E solo in quel momento comprese che il fatto che le avesse paragonate, non prometteva nulla di buono.
Probabilmente anche lei era un fiore innocente pronto a nascondere un serpente velenoso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1x02 - L'acchiappasogni ***


Image and video hosting by TinyPic




1x02 – L’ACCHIAPPASOGNI





Un rumore lo svegliò all’improvviso.
Stiles si portò una mano sul viso, frastornato. Era nella sua stanza, l’aveva intuito dal poster di Star Wars appeso orgogliosamente sulla parete di fronte.
Cercò di fare mente locale. Dalla persiana abbassata non filtrava neanche un singolo raggio di sole. Intuì che fuori fosse ancora notte fonda.
Cosa poteva averlo svegliato?
Si alzò, leggermente intontito, per poi uscire dalla sua stanza e percorrere a piedi nudi il corridoio.
“Papà?” chiamò.
Socchiuse la porta della stanza dell’uomo. Vuota.
L’ansia fece capolino tra le sue emozioni, ma una parte di lui gli impose di restare calmo. Non poteva allarmarsi ogni volta che le persone che amava non si trovavano nel posto dove avrebbero dovuto essere. Le persone non sono come le sue miniature della Justice League, si disse, riposte sul ripiano più alto della sua libreria e spolverate periodicamente una volta a settimana; le persone si muovono, vanno incontro ai pericoli e si ammalano, come sua madre.
La luce del soggiorno lo costrinse a chiudere per qualche attimo gli occhi, abituati a quella momentanea oscurità.
Quando fu capace di mettere a fuoco lo spazio circostante senza provare alcun fastidio, individuò suo padre in piedi accanto il divano al centro della stanza, le mani tremanti e lo sguardo rivolto a terra, la cornice di una foto frantumata in diversi punti.  Ecco cosa l’aveva svegliato: il vetro della foto con una crepa nel mezzo, piccoli pezzi della modesta cornice sparsi tutt’attorno.
Riconobbe immediatamente la foto. Era quella che ritraeva i suoi genitori in ospedale il giorno della sua nascita, un piccolo fagottino addormentato fra le braccia della donna. La loro prima foto di famiglia, tutti e tre assieme.
“Papà? Cosa stai facendo?” chiese, avvicinandosi cautamente.
Sembrava che si fosse accorto di lui solo in quel momento; osservò il figlio con gli occhi spalancati, come se fosse stato in procinto di urlare.
“Non c’è futuro” disse l’uomo. “Non c’è futuro senza di lei. Non possiamo essere una famiglia così”
Stiles provò a fare qualche passo, incerto.
“Papà, non  dire sciocchezze. Lo siamo, noi siamo comunque una famiglia. La mamma sarebbe orgogliosa di come mi hai cresciuto, sarebbe orgogliosa di entrambi”
La voce di Stiles tremò diverse volte nel pronunciare quelle parole, tale era il nodo nella gola e lo sgomento provato.
Perché suo padre sembrava a pezzi? Aveva forse bevuto? Aveva avuto una giornata pesante al lavoro?
Aveva deciso che tutta quella storia di licantropi e druidi e kanima era un grande mostruosità che gli stava rovinando la vita e lo odiava?
Il pensiero che potesse odiarlo lo costrinse a ricacciare indietro le lacrime con forza.
“Non è vero!”urlò l’uomo “sarebbe schifata! Schifata da tutto! Dobbiamo tornare da lei, dobbiamo andare da lei!”
Stiles faticò a seguire con gli occhi i movimenti veloci del padre: lo sceriffo Stilinski si era chinato verso il divano e aveva afferrato qualcosa, qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì, ma riposta con accuratezza nel federo.
La sua pistola di servizio.
Stiles si avvicinò cautamente ancora una volta.
“Papà?” stavolta il tono della voce tradiva una grande paura di fondo “papà, cosa vuoi fare?”
“Dobbiamo raggiungerla Stiles. Non c’è più tempo”
Non ebbe il tempo di fare un altro passo – e in quel momento invidiò l’agilità e i riflessi dei licantropi – che il primo colpo venne sparato, nella sua direzione.
Si portò una mano allo stomaco. Sangue, sangue ovunque.
Cadde dapprima sulle ginocchia, poi a terra, atterrito e stupito al contempo. Prima che chiudesse gli occhi, un’ultima immagine lo colpì, dolorosamente.
“Perdonami, Stiles”
Lo sceriffo Stilinski si portò l’arma alla tempia, chiudendo gli occhi.
Un colpo secco.
Ed infine il buio totale.

Stiles si mise a sedere respirando affannosamente, conscio di aver appena urlato, fuori controllo.
Scott e Isaac, addormentati nei sacchi a pelo a terra nella stanza, si alzarono di colpo, spaventati.
Stiles si rese conto solo in quel momento che la luce del giorno  aveva già inondato la stanza e che non si trovava nella sua camera di Beacon Hills, ma in quella che stava occupando abusivamente a Santa Monica.
Era stato un incubo, solo un terribile incubo.
Avvertì il tocco leggero della mano di Scott sulla sua spalla.
Dalla faccia preoccupata intuì che il suo volto doveva ancora essere deformato in una maschera di terrore e sgomento.
Inspirò profondamente.
Se non ci fosse stato Isaac, ora in piedi in un angolo e con lo sguardo posato su di loro, avrebbe quasi abbracciato il suo amico.
Poi probabilmente la loro virilità ne avrebbe risentito, si sarebbero staccati in pochi secondi e ne avrebbero riso, ma lui si sarebbe sentito decisamente meglio.
“Solo un brutto sogno” si limitò invece a dire, assottigliando le labbra per far posto ad un sorriso di circostanza che non emerse nemmeno sforzandosi. Era ancora troppo turbato, la mente ancora incastrata in quell’incubo. Ripensando alle similitudini tra ciò che aveva sognato e la tragedia di quel ragazzo armato nel liceo di Santa Monica, concluse che probabilmente la terribile esperienza del giorno prima doveva averlo turbato più profondamente di quanto avesse creduto.
Pensava di aver fatto l’abitudine a eventi macabri del genere, ma forse per certe cose, appurò, non si era mai preparati abbastanza.


Peter Hale parcheggiò l’auto di fronte una modesta abitazione con un solo piano, il tetto scosceso e vistosamente in uno stato di degrado e un giardino incolto.
“Che posto mal ridotto” appurò Derek, scendendo dal mezzo.
“Sembra la tua vecchia casa. Grazie a Dio hai avuto la brillante idea di trasferirti in un posto più vivibile” asserì Peter procedendo a grandi falcate verso la porta d’ingresso.
Derek roteò gli occhi e per un istante l’immagine della sua casa, prima dell’incendio, lo tormentò come uno spillo doloroso. Le pareti tinteggiate, le foto sulle mensole…il sorriso di sua madre…

“I miei occhi…sono diversi”
“Diversi, ma sempre bellissimi, come il resto”
Talia Hale, 2x08

 
Per un attimo, gli parve di sentire di nuovo sulla pelle la soffice carezza di Talia. Ma fu solo un istante: il tempo di un battito di ciglia e quella sensazione tornò ad essere solo un lontano ricordo.
Era di nuovo sul vialetto di casa Jefferson, e stavolta ad accarezzare il suo viso altro non era che la brezza calda di quella contea di Los Angeles.
Uno sguardo eloquente di Peter lo convinse ad affrettarsi ad entrare.
L’interno della casa del professor Jefferson non era messo meglio rispetto l’esterno. Le pareti erano annerite: sembrava che la casa non venisse tinteggiata da anni, alcuni mobili rovinati e poche decorazioni e abbellimenti in giro. Era evidente che, non solo mancasse un tocco femminile, ma ogni cosa sembrava rivelare quanto dovesse essere solo quell’uomo sulla cinquantina.
“È rimasto vedovo quando io ero ancora uno studente del liceo” gli sussurrò Peter, mentre Jeff sorrise,  invitandoli ad accomodarsi sul vecchio divano.
“Ieri ho avuto un’idea. Ma ho aspettato che facesse giorno per chiamarvi” spiegò l’uomo.
“Quale idea?” si apprestò a domandare Peter, incuriosito.
Jeff Jefferson era davvero una grande risorsa. Chissà quante altre cose avrebbe potuto imparare da lui. Si ripromise, prima di andare via, di dedicargli del tempo per apprendere nuove informazioni utili.
L’uomo tossì diverse volte, prima di riuscire a rispondere.
“Scusate, ma da ieri non mi sento molto bene. Devo essere influenzato” di nuovo un colpo di tosse “ i druidi più esperti, riescono a percepire la natura di altri esseri a loro affini”
Derek crucciò lo sguardo.
“Quindi potremmo chiedere ad un druido esperto di farci da GPS?” intervenne Peter, perplesso.
“Esatto. Loro sanno sempre quel che fanno. Ma la mia è solo un’idea, permettetemi di verificare più a fondo la cosa, ancora qualche giorno”
Peter annuì, mentre Derek congiunse le dita ad altezza del mento, pensieroso.
“C’è una cosa che non capisco” disse “perché non può essere un druido a compiere il rituale?”
“Sapete cosa fanno i druidi oscuri per ottenere ciò che vogliono?”
Derek avrebbe voluto ridere, ma ciò che ne uscì fu una smorfia. Certo che ne era a conoscenza, lui aveva amato una di loro, come uno sciocco, aveva di nuovo aperto il suo cuore alla persona sbagliata.
“Sacrifici” disse semplicemente.
“Esatto. Loro sono connessi agli elementi, alla quercia. Non hanno ad esempio il potere innato della banshee, creatura da sempre leggendaria. Devono far ricorso ad altri mezzi, a volte poco giusti”
“Chiaro” disse semplicemente il più giovane dei due Hale.
Ci fu  un lungo attimo di silenzio, prima che un colpo di tosse risuonasse di nuovo nell’aria.
“Il ragazzo di ieri, quello che ha sparato, era uno dei miei alunni migliori” disse improvvisamente l’uomo, una nota di pura sofferenza nella voce.
“E a quanto pare uno dei più squilibrati” aggiunse Peter.
Jeff scosse la testa.
“Vi giuro, io l’ho conosciuto davvero bene. Un ragazzo a modo, socievole, pieno di entusiasmo, con mille progetti futuri. Posso assicurarvi che non avrebbe mai compiuto un gesto simile”
“Professor Jefferson” lo sguardo limpido di Derek si perse in quello spento del docente “cosa sta cercando di dirci?”
“Io… non so, inizio ad avere dei sospetti. Il bambino scomparso, ora questo… ma ne parleremo domani. Ora scusatemi, deve essere un’influenza tremenda questa. Ho bisogno di riposare”
Non aspettò nemmeno che uscissero di casa. Prese a tossire ripetutamente e si chiuse nella sua stanza.
Anche da lì, i colpi di tosse, riecheggiavano ancora più forti.
 

Il suo sguardo dello stesso colore dell’oceano si soffermò su quella distesa all’apparenza infinita, catturando ogni piccolo particolare: le onde leggermente increspate, una barca  al largo, il gioco di luce sulla superficie creato dai riflessi dei raggi del sole.
Isaac appurò che Stiles aveva avuto ragione: quel posto era paradisiaco.
Scott e Stiles, al suo fianco, assorti nei loro pensieri, sembrava si stessero godendo la quiete del momento. La spiaggia a quell’ora del mattino  di quel venerdì primaverile – un venerdì all’apparenza come tanti altri -era piacevolmente tranquilla.
Pochi metri più avanti, Isaac riconobbe un viso familiare.
“Ehi, Stiles, quella ragazza in prendisole, seduta in riva all’oceano, non è la tipa a cui ieri sono caduti tutti i libri?”
Stiles assottigliò lo sguardo qualche secondo, per poi annuire.
“È proprio lei!” qualche istante di indecisione prima che scrollasse le spalle “vado a salutarla, venite?”
Isaac fece per annuire, ma Scott gli diede una pacca sul petto, attirando la sua attenzione. Stava guardando verso l’alto, dove i pochi gradini conducevano al marciapiede che costeggiava il lungo mare. Una ragazza stava passeggiando e parlando al telefono, mentre i castani capelli mossi le svolazzavano sul viso, spostati dalla piacevole brezza calda come un abbraccio.
“Quella ragazza…è Atena, vero?” disse Scott.
“Adena” lo corresse Isaac, per poi annuire “è proprio lei. Io vado a salutarla”
Isaac si allontanò a passo spedito, senza nemmeno pensarci due volte.
“Aspetta, vengo anche io, voglio capire cosa le è preso ieri!” affermò Scott, accelerando il passo per fiancheggiarlo.
Stiles roteò gli occhi.
“Grazie tante ragazzi, eh! Vado solo” esclamò, per poi borbottare poco convinto: “non ho bisogno di voi”.
Continuò a fiancheggiare l’oceano, avvicinandosi infine a Cassidy.
Si domandò come fosse possibile che una ragazza come lei, che viveva in una città balneare dal clima mite per tutto l’anno, potesse avere una pelle così lattea, su cui i capelli color rame risaltavano ancor di più, proprio come le rosate labbra carnose.
Il  giorno prima, preda della confusione, sembrava non aver notato tutti quei particolari.
“Ehi” disse, attirando la sua attenzione e accennando un timido saluto con la mano.
“Stiles!” esclamò lei, voltandosi e parandosi lo sguardo dal sole con la mano, guardando verso l’alto “cosa ci fai da queste parti?”
Stiles prese posto accanto a lei, restando colpito una seconda volta dalla sua voce melodiosa.
“Stavo facendo un giro con i miei amici, Scott e Isaac” spiegò.
“Oh, e dove sono adesso?”
“Hanno visto una loro conoscente e sono andati a salutarla” spiegò.
Cassidy increspò leggermente le labbra in un sorriso. Le sue gote assunsero un colorito più roseo.
“Ma tu hai preferito salutare me” appurò, lisciandosi il foulard bianco avvolto con premura intorno al collo.
Stiles si grattò la nuca, in imbarazzo. Non era bravo con quelle cose, non era come Jackson, ad esempio, capace di rispondere sempre con sicurezza alle avances di una bella ragazza.
Eppure Lydia lo aveva baciato. E forse un giorno lo avrebbe anche amato.
Quell’ultimo pensiero gli provocò uno sfarfallio all’altezza dello stomaco. Si ritrovò ad arrossire leggermente e Cassidy rise, non sapendo che i suoi pensieri fossero rivolti ad un’altra ragazza dai capelli biondo fragola.
“Volevo sapere come stavi” si decise a dirle “sai, ieri è stata una giornata pesante”
La ragazza fece un cenno d’assenso col capo, per poi poggiare il viso sulla ginocchia strette contro il petto. Rannicchiata in quella posizione, i piedi scalzi bagnati dalle onde che birichine parevano avvicinarsi sempre più, sembrava ancora più piccola, troppo fragile forse per sopportare sangue e colpi di pistola.
“Non è stato bello. Conoscevo quel ragazzo. Usciva con una mia amica l’inverno scorso, sembrava un tipo a posto” asserì, una nota di malinconia nella voce.
Stiles puntò lo sguardo verso la distesa d’acqua infinita del Pacifico.
Anche Matt sembrava un tipo a posto l’anno precedente. Non per lui, ma per tutti gli altri si.
Allo stesso modo lo zio di Derek, in ospedale, ridotto in un apparente stato vegetativo, era nella lista dei non sospettati. E pochi mesi prima anche Jennifer Blake, era per lui, per tutti loro, il ritratto dell’innocenza.
“Sai” si ritrovò a dirle “ a volte le persone non sono mai come ci aspettiamo che siano. All’inizio fa male, ma poi ti abitui alla consapevolezza che tutti, o quasi, cambiano”
Cassidy mordicchiò diverse volte il labbro inferiore.
“E tu, Stiles?” una breve pausa, “tu sei cambiato?”
“Si, credo di si”
“Migliorato o peggiorato?” domandò lei, accennando un sorrisino.
“Mi auguro la prima” rispose il ragazzo, increspando le sue labbra in un sorriso di risposta.
“Faresti meglio a toglierti le scarpe, ti si stanno bagnando” gli fece notare Cassidy.
Stiles annuì e se le tolse, sentendosi improvvisamente più libero.
A confronto con i difficili e recenti eventi che avevano investito la sua vita con la stessa forza di uno tsunami, quei giorni lì a Santa Monica parevano una sorta di vacanza per lui.
Non se ne era reso conto fino a quel momento, ma ne aveva avuto dannatamente bisogno.
“Non mi hai detto come stai tu” gli fece notare la rossa.
“Non me lo hai chiesto” ribatté prontamente.
“Lo sto facendo adesso”
Quell’implicita domanda lo colpì in maniera violenta. Già, come stava realmente Stiles Stilinski? Come si sentiva?
A pezzi, probabilmente. Stanco, sicuramente. Felice, in parte.
“Bene” disse, con un lungo sospiro.
Cassidy studiò per qualche attimo la sua espressione facendolo sentire vagamente a disagio.
“Dalla tua faccia e dalle tue occhiaie, si direbbe il contrario” azzardò l’altra. “A volte non è facile rispondere a questa domanda, lo so. Vorresti dire che ti senti in mille maniere diverse, ma il più delle volte la persona che hai davanti, sta solo rispettando dei convenevoli. Si aspetta che tu dica bene in modo da poter parlare di altro che possa interessarla davvero. Pochi ascoltano davvero delle risposte.
Stiles, io voglio ascoltare la tua vera risposta”
Il ragazzo corrugò la fronte, colpito.
“Perché?” le chiese semplicemente.
Cassidy fece spallucce.
“Mi viene naturale ascoltarti. Forse quei cinque minuti sotto la cattedra con la paura di morire hanno  favorito la nascita di una naturale simpatia” scherzò lei, accompagnando quelle parole ad una breve risata. Stava anche sdrammatizzando, Stiles lo capì da come la sua voce avesse tremato leggermente nel rievocare quegli attimi della giornata precedente.
“Bene, se proprio ci tieni, ho delle occhiaie tremende perché ho sognato mio padre questa notte, e non è stato affatto piacevole ciò che la mia mente mi ha lasciato vedere. Sembrerà sciocco, ma quest’incubo mi ha molto turbato” rivelò.
Improvvisamente, il macigno che sembrava attanagliarli il respiro da quella mattina, divenne leggero, più sopportabile. Dirlo ad alta voce era stato liberatorio.
Ne avrebbe parlato a Scott, ma Isaac era stato tutto il tempo con lui fin da quando si erano svegliati – ad eccezione della doccia, altrimenti si sarebbe preoccupato – e non voleva condividere quel peso con altri, anche se ora lo stava facendo con Cassidy.
Non sapeva esattamente perché, ma la naturalezza della ragazza aveva permesso al suo cuore di alleggerirsi almeno in parte.
“Cosa hai visto nel sogno?” chiese, sfiorando la sua spalla con le dita affusolate.
“Mio padre….nel nostro soggiorno. Aveva rotto la cornice con la prima foto di famiglia. Sembrava ubriaco, non so. Disperato lo era sicuro.
Sai…” il nodo alla gola tornò a farsi sentire e la sua voce si inclinò leggermente per una frazione di secondi “mia madre è morta e non è stato facile per noi due. Nel sogno sembrava che improvvisamente sentisse il peso di tutto, diceva che avremmo dovuto raggiungerla.
Allora ha preso la sua pistola, perché lui è uno sceriffo e ne ha una, e… mi ha sparato”
La stretta sulla spalla si fece più salda.
“Mi dispiace” disse la  ragazza, ma Stiles scosse la testa.
“Non è stato quello a farmi male. È stato il resto. Vedere come si portava l’arma alla tempia e premeva il grilletto. È stato terribile sentirsi inermi.
Io non voglio sentirmi inutile. Io voglio salvare in tempo le persone che amo”
“Salvarle da cosa?”
Stiles si rese conto di aver parlato troppo e fece un cenno con la testa.
“Sai, da tutto ciò che può ferirle”
Ci fu qualche minuto di silenzio, prima che Cassidy tornasse a proferir parola.
“Conosci la storia dell’acchiappasogni?”
Stiles scosse la testa e la ragazza tornò a parlare.
“In un villaggio cheyenne, prima che arrivasse l’uomo bianco, viveva una bambina di nome Nuvola Fresca.
Un giorno ella raccontò alla madre, Ultimo Sospiro Della Sera, che durante la notte un uccello nero arrivava per beccarla sul corpo fin quando la comparsa della madre, leggera con il vento, non lo scacciava.
La madre spiegò alla bambina che le cose che vedeva di notte altro non erano che sogni.
Nuvola Fresca però ne aveva timore e disse che avrebbe voluto vedere solo cose buone.
La madre sapeva che era ingiusto chiudere la porta alla paura della bambina e decise di costruire una rete tonda capace di pescare i sogni della bimba e la collocò sul suo letto. Le disse che quella rete tonda, sarebbe stata capace di pescare i sogni buoni e di tenere lontani i sogni cattivi”
“Quella rete tonda, era un acchiappasogni, vero?”
Cassidy annuì.
“Sei come Nuvola Fresca, Stiles. Dovrò regalarti un acchiappasogni”
“È solo una leggenda” appurò, scettico.
“Tutte le leggende hanno un fondo di verità”
A quello non fu capace di ribattere.
I licantropi erano una leggenda. Eppure avrebbe giurato di vivere con quattro di loro in quel momento.
 

Forse non se ne era nemmeno reso conto, pensò Scott, ma Isaac stava proseguendo a passo svelto, come se avesse avuto paura di perdere l’occasione di parlarle. Per un attimo ebbe la sensazione che si sarebbe messo volentieri a correre se non ci fosse stato anche lui.
Quando salirono i gradini più vicini e si ritrovarono di nuovo con i piedi sul cemento, Adena era lontana da loro giusto un centinaio di metri, ancora intenta a conversare al telefonino.
Indossava dei leggins e una t-shirt blu più grande di una taglia, che le ricadeva morbida sul fisico snello, come un abito.
“Non capisco come mai ti abbia chiesto una pausa, insomma, sembrava tutto a posto” stava dicendo, probabilmente a qualche amica sconsolata dall’altra parte del telefono.
Isaac le si avvicinò furtivamente da dietro.
Scott tentò invano di richiamarlo.
“Isaac! Ehi! Non credo sia una buona idea dopo ieri e…”
Si interruppe quando si rese conto che ormai era troppo tardi.
Osservò Isaac arrivarle furtivamente alle spalle per poi toccarla sulla spalla e Adena sobbalzare vistosamente, prima di dargli un calcio alla caviglia.
“Cretino! Cosa diavolo ti è preso? Ti sembra il modo di arrivare alle spalle delle persone che nemmeno conosci?” esclamò, non nascondendo affatto l’irritazione. Scott li osservò ancora qualche istante da lontano, indeciso sul da farsi. Forse era meglio evitare di avvicinarsi o avrebbe picchiato anche lui. Mingherlina com’era, sembrava non si facesse problemi a tirar colpi e lui non poteva nemmeno difendersi.
“Ma io ti conosco” appurò Isaac, con incantevole innocenza “conosco il tuo nome”
Adena lo osservò qualche attimo perplessa come se stesse decidendo se fosse solo naturalmente stupido o si stesse particolarmente impegnando nel trasmetterle quell’impressione.
“Adena? Adena cosa sta succedendo?” la chiamò la voce dall’altra parte del telefonino.
La ragazza se lo riportò all’orecchio.
“Scusami Sasha, è solo un ragazzo che ho conosciuto ieri, ti richiamo tra poco”
“Aspetta!” urlò Sasha, in una maniera talmente stridula che Scott, intento ad ascoltare a qualche metro di distanza, dovette tapparsi le orecchie “è almeno carino??”
Adena arrossì leggermente e guardò Isaac. Sapeva che la voce di Sasha aveva raggiunto nitidamente anche i suoi timpani. Isaac le rivolse un sorriso sghembo, provocatorio, curioso di conoscere la sua risposta.
“Dai Adena, sono carino?” la schernì, ricevendo in tutta risposta un’occhiata omicida.
“Sasha, è alto, con i capelli castano chiari e ricci e gli occhi azzurri. Se Eric dovesse mollarti, te lo presento volentieri” fu la sua risposta prima di chiudere con un tocco sul display la conversazione, lasciandosi poi scivolare il telefonino nella borsetta a tracolla.
Scott si decise ad avvicinarsi e la salutò con un cenno della mano, evitando accuratamente anche solo di sfiorarla questa volta.
“Ehi” le disse, non sapendo bene come rivolgersi a lei. Gli sembrava non poco suscettibile e lunatica.
Tuttavia, per la prima volta da quando l’avevano conosciuta, le labbra di Adena si schiusero in un sorriso sincero.
“Non mordo, tranquillo” gli disse, ritrovandosi a pensare che effettivamente erano loro due a poterla mordere. Nel momento in cui Isaac l’aveva sfiorata, aveva avuto la certezza che fosse anche lui un licantropo.
“Non capisco perché a te sorrida mentre io mi sia beccato un calcio” asserì Isaac, incrociando le braccia.
Scott fece spallucce.
“Perché magari io non ho tentato un agguato?” lo prese in giro, ridendo.
“Voi non siete studenti del mio liceo, non è vero?” domandò la ragazza, portando una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Sull’indice destro portava un anello con una rosa in argento. Scott si focalizzò su quel particolare qualche istante, prima di risponderle.
“In realtà veniamo da Beacon Hills” le disse.
“Beacon Hills? Siete qui in vacanza allora” asserì.
Isaac inclinò la testa a destra e sinistra per indicare una via di mezzo.
“Diciamo che si, potremmo considerarla tale. Siamo di passaggio insomma”
“E dove alloggiate?” chiese prontamente lei.
Udendo il battito del suo cuore, Scott notò che ne aveva saltato uno, per poi averne due fin troppo ravvicinati. Un’extrasistole. Quella domanda l’aveva in qualche modo agitata.
Isaac indicò la strada alle spalle di Adena.
“Su questa strada, una delle ultime case. Non siamo molto distanti” spiegò brevemente.
Scott la osservò qualche istante di sottecchi.
All’improvviso, sapeva di non potersi più fidare o comunque di dover stare in guardia.
Eppure poco prima quel sorriso di Adena sembrava sincero.
Gli tornò in mente il sorriso di Jennifer Blake. Anche il suo sembrava sincero. E solo in quel momento comprese che il fatto che le avesse paragonate, non prometteva nulla di buono.
Probabilmente anche lei era un fiore innocente pronto a nascondere un serpente velenoso.
Adena fece per congedarsi, ma una domanda di Isaac la bloccò.
“Perché non scendi in spiaggia con noi?”
Scott cercò di studiare ogni sua minima espressione del viso, ogni suo gesto, persino dove stesse dirigendo lo sguardo. In quel momento lo stava puntando dritto negli occhi di Isaac.
“Devo andare alla serra. Nel tempo libero curo le  piante di un giardino botanico del posto”
“Ho notato che nella vostra scuola il cortile è perfettamente curato” appurò Scott, rammentando le lamentele di Stiles.
Adena sorrise.
“Me ne occupo io insieme ad un altro gruppo di studenti” spiegò.
“Hai il pollice verde insomma” asserì Isaac, ma Adena scosse la testa.
“Credo sia qualcosa di più. Sapete, io…” si bloccò, rendendosi conto che stava per condividere un pensiero così intimo con due persone appena conosciute, ma qualcosa la convinse a continuare “…io sono una persona che vive con un’irrequietezza di fondo. In qualunque luogo io mi trovi, che sia la scuola, la mia casa, la spiaggia, un’altra città, ho sempre questa tremenda sensazione di non essere nel posto giusto. Eppure, quando curo i miei fiori, le mie piante, semplicemente entrando in contatto con loro, avverto la bellissima consapevolezza di essere nel posto giusto al momento giusto”
Ci fu un lungo attimo di silenzio e arrossì. Probabilmente stavano pensando che fosse una sciocca, nessuno avrebbe potuto capire quella sua connessione con la natura.
“Ok, io devo andare” disse, ma le parole di Isaac la bloccarono.
“È bello sentirsi a casa da qualche parte”
Adena notò che c’era un accenno di tristezza nel suo sguardo e per un attimo si intenerì a tal punto che avrebbe voluto abbracciarlo. Ma Isaac era ancora uno sconosciuto praticamente e lei si sarebbe sentita ancor più stramba.
Dunque si limitò a sfiorargli il braccio con le dita.
Stavolta la consapevolezza della sua natura non la investì come una fastidiosa scarica e ne fu piacevolmente sorpresa.  Per un attimo Isaac gli trasmise un senso di calore, proprio come le sue piante.
Ritirò la mano e  si voltò verso Scott. Sembrava diffidente, ma non ci badò più di tanto.
“Arrivederci, ragazzi” asserì, continuando per la sua strada e recuperando il telefonino dalla borsa.
Sasha stava ancora aspettando.
 

“I ragazzi non sono ancora tornati” appurò Peter, versandosi dello scotch. La coppia di sposini si trattava davvero bene.
“Sembri loro padre, se parli così” ribadì Derek, poggiandosi di spalle alla finestra del soggiorno.
“Non mi ci vedi bene nella parte del padre?” scherzò Peter, con un ghigno perennemente disegnato sul viso.
“No, sei inquietante. Ma sei inquietante anche da zio, se la cosa può consolarti”
“Sempre molto gentile” rispose l’uomo con una smorfia, per poi sorseggiare il suo scotch.
“Credi che il tuo amico Jefferson ci sarà davvero di aiuto in questa faccenda?” chiese Derek. La speranza lo stava divorando più dell’angoscia.
Si rese conto e scoprì suo malgrado, che forse tra i diversi mali, avrebbe potuto classificare anche la speranza. La rassegnazione porta all’accettazione, la rabbia ad una soddisfacente vendetta, ma la speranza solo ad una miriade di illusioni.
“Jefferson è un uomo in gamba e molto preparato. Io conoscevo solo la mia natura, lui mi ha aperto gli occhi sul resto del mondo soprannaturale che ruota intorno a noi licantropi.
Nel momento in cui aveva capito che fossi uno Hale, imparentato con Talia, non ebbe alcun dubbio sulla mia natura. Iniziai a fargli delle domande e lui ne faceva a me: io diventavo preparato sul soprannaturale, lui scopriva piccole cose sui licantropi che non avrebbe potuto trovare facendo ricerca da sé”
“Allora qualcuno ha imparato qualcosa da te” asserì Derek, una nota di sarcasmo nella voce.
“Santa Monica deve aver risvegliato il tuo humor, fai quasi più paura di quando sfoderi gli artigli”


“Adena, sei a casa!”
Sua madre, una donna sulla quarantina, dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, l’accolse con un sorriso e le mani impiastricciate di farina.
“Sto provando una nuova ricetta. Tra una mezz’ora sarà tutto pronto” le spiegò, prima ancora che ricambiasse il saluto.
Adena le sorrise e proseguì oltre, raggiungendo il terrazzo e poggiandosi contro la ringhiera, ammirando qualche attimo il panorama di Santa Monica, le luci della sera sulla sfondo arancio del tramonto capaci di dare un tocco in più a quel posto già di suo incantevole.
Sua sorella era lontana per il college, suo padre si era trasferito a Denver e sua madre stava iniziando a frequentare un uomo più giovane. Un uomo più giovane che l’aveva messa con le spalle al muro, letteralmente. Un brivido la percorse per intero e scacciò dalla mente quel ricordo.
Il cielo era ormai bluastro  quando si decise a rientrare in casa e per la prima volta, con un piano ben definito nella testa.
La sua idea avrebbe trovato compimento, quella stessa notte.


 
 

Mercoledì è arrivato e con esso, anche il secondo "episodio" di Save the pack.
Prima di proseguire con qualche nota sul capitolo, ci sono delle cose che vorrei chiarire a voi lettori:
1 - Adena, per chi non lo sapesse, si pronuncia "Adina";
2 - La storia è stata scritta prima della messa in onda della 3x11, e plottata ancora prima. Quindi per ragioni di trama, proprio come in Teen Wolf, il branco di Alfa e Jennifer sono stati sconfitti, ma Scott è ancora un beta e Derek ancora un alfa.
Detto ciò, spero che questo continuo vi abbia coinvolto quanto il pilot. Tengo molto alla scena iniziale con Stiles e suo padre e spero che vi abbia commosso quanto me - mentre la scrivevo ero tutta un: "scusa Stiles, non volevo essere sadica con te come Jeff Davis"- . xD
Inoltre conosciamo meglio Cassidy e Adena; ci sono già tanti indizi su di loro, chissà che non ne abbiate colto già qualcuno.
Il capitolo è stato riletto molto velocemente - è mezzogiorno ed io devo ancora iniziare a studiare, OMG - quindi perdonatemi se dovesse essermi sfuggito qualche errore di sintassi. Oggi pomeriggio, risponderò con piacere alle recensioni <3 Colgo l'occasione per ringraziare chi ha speso e spenderà qualche minuto del suo tempo per leggere e/o farmi conoscere la propria opinione e chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Grazie davvero.

Un bacione,
Ely 91


NEXT ON "SAVE THE PACK":

Derek strizzò gli occhi  nel sonno.
Una visione lo stava tormentando, qualcosa di forte, qualcosa che non riusciva più a sostenere.
Di nuovo si agitò nel letto emettendo qualche lamento, la fronte imperlata di sudore, il sottile lenzuolo scansato malamente con le gambe e gettato da un lato.
Il giovane Hale non poteva sapere che l’odore dello strozzalupo si stava diffondendo ormai nella sua stanza, rendendo i suoi sogni fin troppo vividi e trasformandoli in incubi.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 1x03 - Agguato ***


Image and video hosting by TinyPic

1X03 – AGGUATO

 



Jennifer gli sorrise.
Era davvero incantevole, all’apparenza così piccola e fragile stretta contro il suo corpo. Gli piaceva il suo profumo, gli piaceva il suo odore che gli rimaneva sulla pelle dopo averla baciata o dopo quel loro pomeriggio d’amore, capace di curare non solo le ferite del suo corpo, ma anche quelle del suo cuore.
Avvertì il tocco delicato delle sue labbra sul viso, poi sul suo petto. I capelli aperti ventaglio sul torace lo solleticarono appena e lui si ritrovò a sorridere, come forse non accadeva da tempo.
“Credo di amarti. Dio mio, credo proprio di amarti” sospirò Jennifer.
Derek le accarezzò il viso con l’indice.
“Credi?” la stuzzicò, divertito dalla gravità del suo tono.
Jennifer lo guardò intensamente negli occhi. Increspò le labbra in uno dei suoi dolci sorrisi.
“Ne sono sicura”
“Ed è una cosa brutta?”
La osservò scuotere la testa vigorosamente.
È la cosa più bella che mi sia mai successa”
I boccoli neri le ricaddero con dolcezza sul viso, incorniciandolo con la stessa bellezza con la quale dei petali avrebbero formato il bozzolo di una rosa rossa come le sue labbra.


Derek mugugnò qualcosa nel sonno, voltandosi sul lato opposto.
Sembrava non trovar pace quella notte, agitandosi continuamente.
Forse l’idea di trovarsi per la prima volta dopo tanto tempo così lontano da Beacon Hills lo agitava in qualche modo. Forse quel posto era troppo bello per poter tornare nel grigiore che era la sua vita. O forse, semplicemente, sentiva che stava già fallendo quella missione; quelle loro speranze, erano solo un ammasso di inutili illusioni.

La donna alzò nuovamente il viso dal suo petto.
Questa volta Derek sobbalzò, stupito.
Jennifer non c’era più, né tantomeno i suoi delicati e morbidi boccoli neri.
Avrebbe riconosciuto ovunque quella chioma di capelli castani, quello sguardo scaltro che era stato capace di conquistare lui, un giovane ingenuo con ancora la sua famiglia accanto.
Kate Argent era proprio lì, il sorriso malizioso a incorniciare i contorni del viso.
Derek avrebbe voluto scacciarla, ma improvvisamente sentì il suo cuore battere più forte.
Sembrava emozionato, felice, come era stato davvero tempo dietro, quando la credeva ancora la persona speciale con cui condividere notti di passione e di tormenti d’amore.
Cosa stava succedendo?
Dov’era finita Jennifer?
“Jennifer..:” mugugnò, ma Kate lo zittì portandogli l’indice sulle labbra.
“Shhh. Non rovinare questo momento, non rovinare noi”
“Non c’è nessun noi” si decise a ribattere.
“Solo perché sono un’assassina? Lo sei anche tu, Derek” affermò, lasciandogli un morsetto sul collo, come se quelle fossero delle banali chiacchiere da “camera da letto”.
“Io non ho ucciso persone innocenti, tu si. Spinta dai tuoi folli ideali”
Stavolta la donna scoppiò in una fragorosa risata, spingendo leggermente indietro la testa e mettendosi a sedere.
“Non avresti ucciso degli innocenti? Oh si, che lo hai fatto. Hai ucciso…”
“Me” asserì una voce  candida, una voce che Derek mai avrebbe potuto dimenticare.
Paige era alle spalle di Kate, in un angolo, l’ombra sul suo sguardo una volta luminoso.


Derek strizzò gli occhi  nel sonno.
Una visione lo stava tormentando, qualcosa di forte, qualcosa che non riusciva più a sostenere.
Di nuovo si agitò nel letto emettendo qualche lamento, la fronte imperlata di sudore, il sottile lenzuolo scansato malamente con le gambe e gettato da un lato.
Il giovane Hale non poteva sapere che l’odore dello strozzalupo si stava diffondendo ormai nella sua stanza, rendendo i suoi sogni fin troppo vividi e trasformandoli in incubi.

Lo sguardo di Paige divenne una lacuna di odio.
Nero, scuro, temibile.
“Tu mi hai uccisa!!!” urlò, esternando tutta la sua rabbia.
Derek si alzò in piedi. Sapeva che Kate Argent e probabilmente anche Jennifer erano ancora in qualche angolo buio della stanza a godersi lo spettacolo, ascoltatrici attente e velenose.
Fece per avvicinarsi alla ragazza, ma lei indietreggiò.
“Cosa vuoi fare? Vuoi mordermi tu stavolta, adesso che sei un alpha?” domandò, sputando le parole come se fossero aculei pronti a ferirlo.
Derek scosse la testa, lo sguardo lucido. Avrebbe voluto abbracciarla, avrebbe voluto tornare a quando loro erano solo degli innamorati felici. Quindicenni spensierati.
Tentò di nuovo ad avvicinarsi, stavolta allungando la mano, ma non appena sfiorò la sua spalla, Paige iniziò a sputare sangue nero, proprio come quella volta.
“No, no, no” ripeté Derek, stravolto.
Paige si accasciò a terra, mentre le voci delle due donne lo raggiunsero alle spalle, come dei coltelli puntati nella schiena.
“Hai visto Derek? Capisci perché quelli come te devono essere cacciati? Siete solo dei mostri” sibilò Kate, prima di lasciarsi andare ad una risata dai toni sadici.
“Sei come me, Derek. Sei come me, innocente e colpevole al contempo” sentenziò Jennifer.
La stanza prese a girargli vorticosamente intorno, poi tossì diverse volte, fin quando tutto divenne sbiadito.


Derek si mise a sedere di colpo, gli occhi spalancati. Proprio come nell’incubo appena avuto, venne colpito da un altro eccesso di tosse e solo in quel momento comprese cosa stava succedendo. Era indebolito, il suo respiro affannato e l’aria pesante di strozzalupo lo circondava.
Da dove veniva?
Nonostante facesse fatica persino a tenere gli occhi aperti, finalmente scorse qualcosa nell’ombra.
“Avanti, vieni fuori”
Avrebbe voluto risultare minaccioso, ma la sua sembrò più una docile richiesta.
Un’ombra si staccò dalla matassa di oscurità che era quell’angolo della stanza.
Riconobbe delle labbra sottili e ben disegnate, un piccolo naso e degli occhi chiari come i suoi.
Adena lo stava fissando, inespressiva. Eppure dal modo in cui giocherellava con l’anello al dito a forma di rosa, il licantropo intuì che fosse nervosa.
“Cosa vuoi?” Derek strinse i denti, sforzandosi di non perdere i sensi.
“Non voglio farti del male” gli disse la ragazza e per un attimo ebbe l’impressione assurda che non stesse mentendo.
“L’ho capito fin da subito che avevi qualcosa di strano” ribatté il licantropo, non celando il disprezzo.
“Strano? Io non ho assolutamente nulla di strano. Io sono qui solo perché ho capito che sei l’alpha di questo branco”
“Come hai capito che siamo licantropi?” fu la domanda ovvia che le rivolse.
Adena si mosse di qualche passo, uscendo del tutto dall’ombra e lasciando che i deboli raggi lunari illuminassero il suo profilo e la sua carnagione lattea.
Sembrava che il sole di Santa Monica nemmeno la sfiorasse la sua pelle.
“Non lo so. Nel momento in cui ho toccato il tuo braccio, l’ho sentito” ammise.
“L’hai sentito? È impossibile” ribatté l’uomo, cercando di individuare la fonte da dove proveniva lo strozzalupo. Alla fine individuò, attaccato alla presa elettrica, uno di quei diffusori di odore con la boccetta contenente il liquido profumato. Probabilmente Adena doveva aver sostituito la normale profumazione con un’essenza di strozzalupo. Nonostante gli costasse fatica ammetterlo, era stata davvero scaltra.
“No, non lo è. Io lo sento sempre” si lasciò sfuggire la ragazza.
“Sempre? Hai dunque contatti con altri licantropi?”
Adena scosse vigorosamente la testa, ma dal suo battito cardiaco, Derek capì che aveva appena mentito.
Era stata dunque mandata da un altro branco?
Era il loro messo?
“Cosa diavolo vuoi?!” tornò a domandare Derek, stavolta  forzando il tono di voce e tossendo di conseguenza.
Adena si avvicinò a lui, per poi tirare la manica della maglia fin sopra il gomito.
“Il tuo morso” fu l’unica cosa che disse.
Derek rise, sarcastico.
“Il mio morso? Mai. Il morso è un dono e io so che non ne sei degna”
Lo sguardo della ragazza mutò. Sapeva di averla ferita, eppure non la udì proferir parola al riguardo.
“Mi ricordi un ragazzo che adesso vive a Londra, Jackson. Anche lui era come te, avido e viziato e solo. Scommetto che lo sei anche tu. Sei sola, non è vero? Ti annoi e pensi che questo sia un gioco?”
Adena avrebbe voluto schiaffeggiarlo, dirgli che lui non poteva capire, ma si rese conto che nemmeno lei stava agendo nella maniera più giusta.
“Io ne ho bisogno” si ritrovò a dire, stringendo i denti come se avesse voluto urlare per rendere manifesta quella sua necessità.
“Tutti abbiamo bisogno di qualcosa. Non aspettarti che ti accontenti solo per un capriccio” sibilò Derek.
Adena sospirò.
“Mordimi e ti libererò dallo strozzalupo” disse. Fece per avvicinare il braccio alle labbra di Derek, ma quello che seguì non era affatto nei suoi piani.
Derek dischiuse le labbra, ma non la morse; emise invece un ringhio profondo.
Un richiamo.
Adena sbarrò gli occhi. Adesso anche gli altri sapevano della sua presenza in casa.
Derek era stato più scaltro di lei.


Stiles si rigirò più volte nel letto, infine iniziò a parlottare nel sonno di panini, patatine fritte, il nuovo film di Batman e di Lydia Martin.
Isaac ridacchiò, dall’interno del suo sacco a pelo, trovato nell’armadio insieme a quello di Scott e utilizzato come letto per quei giorni a Santa Monica.
“Ma parla sempre nel sonno?”
“Spesso” affermò Scott, sorridendo e alzando gli occhi verso la figura nell’ombra che altro non era che il suo migliore amico.
Poteva esserne sicuro; nessuno aveva un odore così pungente e piacevole come quello di Stiles. Era intriso dell’affetto che provava per lui.
Isaac quasi se ne accorse di come i pensieri di Scott fossero rivolti a Stiles e di nuovo quel piccolo moto di gelosia si impadronì di lui.
Fu solo un attimo, prima che sospirasse pesantemente.
La casa è dove si trova il cuore. Lui la sua casa l’avrebbe mai trovata?
Per un momento aveva creduto potesse essere Allison, ma non solo si era fortemente sbagliato, aveva anche rischiato di allontanarsi da qualcuno che considerava parte della sua famiglia.
Scott.
“Sai” si ritrovò a dire, quasi senza rendersene conto “io mi fido davvero solo di te”
Scott si voltò verso di lui, esortandolo a continuare con lo sguardo.
“Quello che voglio dire è che… Scott, per me sei tu il mio alpha”
Il giovane McCall lo guardò sorpreso da quella affermazione.
“Ma  non sono nemmeno un alpha. E poi c’è Derek e…”
Isaac scosse la testa.
Sapeva che c’era Derek, lo sapeva benissimo. Ma lui si fidava solo di Scott al 100%. E di nessun altro.
“Lo so, ma io mi fido di te. Io seguo te” dichiarò, con la stessa naturalezza con la quale un bambino avrebbe potuto dire a suo fratello maggiore di vederlo come un eroe.
Scott fece per rispondergli, ma un ringhio sommesso raggiunse nitidamente le loro orecchie.
Una richiesta d’aiuto.
“Derek”

“Because I trust you”
“I trust Scott”
Isaac Lahey

 
Uscendo sul corridoio, per poco Scott non finì addosso ad un Peter altrettanto preso dal salvare la situazione. Sembrava davvero preoccupato per l’integrità del nipote.
“Che diavolo sta succedendo?!?” lo sentì inveire, aprendo la porta di scatto.
Isaac e Scott alle sue spalle fecero appena in tempo a vedere una figura saltare giù dalla finestra.
Derek era immobilizzato sul letto e l’aria impregnata di strozzalupo.
I tre licantropi trattennero il respiro, individuando subito la fonte.
Un profuma ambienti.
Peter lo staccò immediatamente dalla presa e lo scaraventò a terra, come se fosse incandescente.
“Chi diavolo è stato?” esclamò Peter, avvicinandosi a Derek e aiutandolo a stare seduto. Sembrava ancora svuotato di ogni energia.
“Adena. Voleva essere morsa” asserì, tossendo ancora una volta.
Isaac e Scott si guardarono stupiti. Non servirono altre parole fra di loro, che si lanciarono anch’essi dalla finestra, pronti ad inseguirla.
Scott l’aveva capito dalla mattina precedente che avesse un piano ed ora sapeva anche quale. L’unica domanda che ancora vorticava nella sua testa era: perché?
E, soprattutto, come aveva scoperto la loro vera natura?
Isaac pochi metri più avanti sembrava non sentisse altro che l’urgenza di raggiungerla. Non poteva essere andata molto lontano.
“Il suo odore si ferma qui” disse Scott, a qualche passo dalla spiaggia.
“Ha fatto in modo che si confondesse con quello di altri. Guarda là”.
Seguendo l’indice puntato di Isaac, Scott intravide un grande falò sulla spiaggia e una folla di ragazzi radunati attorno, intenti a ballare, cantare, suonare, altri intenti a fare il bagno.
“Vado a cercarla lì” asserì Isaac.
Scott annuì. “Bene, io cerco nei paraggi invece, nel caso non fosse al falò”
I due beta si divisero, non prima di lanciarsi uno sguardo di assenso.
Scott poteva sentire la sua particolare connessione con l’altro giovane licantropo. Non era solo la loro stessa natura soprannaturale, era come se fosse scattato un meccanismo che li portasse a riconoscersi come membri dello stesso branco e amici leali l’uno per l’altro.
Le parole che gli aveva rivolto Isaac nella stanza risuonarono nella sua mente ancora una volta, prima di vederlo inghiottito dalla folla di giovani.
“Anche io mi fido di te” avrebbe voluto dirgli, ma la richiesta d’aiuto di Derek era valsa come il gong sul ring.
 

Isaac raggiunse la folla di ragazzi riunita in spiaggia. Solo in quel momento si rese conto di essere in canotta e pantaloncini, usati da lui come pigiama. Fortunatamente nessuno sembrava far caso al fatto che fosse appena uscito da un sacco a pelo, letteralmente parlando.
Una giovane ragazza lo urtò, per poi aggrapparsi al suo braccio. Era ubriaca persa.
“Ciao” gli disse, per poi ridere e cadere con le ginocchia sulla sabbia.
Isaac alzò un sopracciglio, chiedendosi se anche lui, quell’unica volta che aveva bevuto con un suo compagno delle medie, si era ridotto in quello stato rasentando il ridicolo. Sperò fortemente di no, prima di venire superato da una coppia in costume che stava correndo verso l’acqua, schiamazzando.
In mezzo a quella confusione, scorgere Adena gli sembrava improbabile, se non impossibile.
Chiuse gli occhi, ignorando il groviglio di corpi tutt’attorno e cercò di concentrarsi sui suoi sensi. Non era ancora molto bravo come Scott, tuttavia non escluse la possibilità di potercela fare.
La brezza marina colpì il suo olfatto; fu piacevole, ma fuorviante, doveva restare concentrato e individuare l’odore di Adena, così simile a quello di una rosa bagnata dalla rugiada del mattino.
Un altro odore forte lo portò ad arricciare il naso; qualcuno stava mischiando birra e red bull senza pensarci due volte.
Infine, quasi come se il vento avesse preso a soffiare nella direzione giusta, il profumo della pelle di Adena lo raggiunse appena qualche secondo, quanto bastasse per sapere dove dirigersi.
Si allontanò di poco dal falò. Intenta a camminare a grandi passi sulla spiaggia e nascosta dal buio della notte, c’era proprio lei, stretta nella sua maglia a maniche lunghe, intenta a voltarsi di tanto in tanto, nervosamente.
Quando individuò Isaac fece per mettersi a correre, ma fu tutto inutile. Il licantropo con poche falcate la raggiunse, afferrandola per la maglia e rovinando a terra con lei.
Adena si ritrovò nell’oscurità. Quel poco che riusciva ad intravedere grazie alla fioca luce lunare era appannato dai suoi capelli mossi ricaduti sul viso e la sabbia che le era praticamente entrata negli occhi.
Poteva sentire il peso di Isaac contro la sua schiena, il suo respiro tenue, per nulla affaticato a differenza del suo dopo aver tentato un’ultima disperata fuga, e il tocco delicato delle sue mani sulla sua schiena.
Si voltò su sé stessa, ritrovandosi il viso del giovane a pochi millimetri dal suo. Quelle pozze azzurre come l’oceano sembravano volerla risucchiata e distolse frettolosamente lo sguardo, turbata.
“Cosa credevi di fare questa sera?” fu la prima cosa che le chiese il licantropo, con fare inquisitorio.
Adena fece per divincolarsi, ma Isaac la bloccò per i polsi.
“Ti sembra il caso di farmi un interrogatorio in questa maniera?!” lo riprese la ragazza, irritata.
“La mia vicinanza ti mette a disagio?” la punzecchiò Isaac, sorridendo sghembo.
Erica avrebbe riso sentendolo parlare in quella maniera ad una ragazza. E, probabilmente, sarebbe stata anche orgogliosa di lui. Isaac non era più il ragazzo schivo e riservato vittima della violenza del padre; adesso era popolare, aveva degli amici e, cosa più importante, poteva dire tutto ciò che pensava senza avere paura che gli venisse gettato contro il viso un bicchiere – compreso il pensiero che Jennifer Blake fosse una donna sexy -.
“Mi mette a disagio il fatto che tu possa tagliarmi la gola con i tuoi artigli” rivelò Adena, l’espressione del viso sinceramente preoccupata.
Nonostante tutto, nonostante i capelli spettinati, nonostante le labbra leggermente screpolate come se non avesse fatto altro che mordicchiarle tutta la sera dal nervoso, Isaac si ritrovò a pensare che fosse bellissima.
“Credi che ti ammazzerei così?” si ritrovò a domandarle, il tono di voce stavolta privo dello scherno di poco prima.
“Ho minacciato il tuo alpha con dello strozzalupo, un beta farebbe di tutto a questo punto” asserì la ragazza.
Vero, un beta avrebbe fatto di tutto per il proprio alpha, ma proprio poche ore prima, Isaac aveva ammesso di riconoscere come tale qualcuno che altro non era che un beta come lui.
La consapevolezza che Adena avesse paura di lui, proprio come lui ne aveva avuta di suo padre, lo ferì come uno spillo conficcato nel petto, all’altezza del cuore.
“Hai paura di me?” domandò.
“Dei tuoi artigli per l’esattezza”
Isaac si alzò di scatto e aiutò lei a fare altrettanto.
Nel momento esatto in cui lasciò andare la sua mano, Adena fece per colpirlo, ma Isaac  parò senza difficoltà il colpo, bloccandole il polso. La ragazza provò con l’altra mano, ma ottenne lo stesso identico risultato.
“Sono più forte”
Adena contrasse il viso in una smorfia. “Ovviamente” sibilò, la sconfitta ricevuta che bruciava come un marchio impresso a fuoco sulla sua pelle. “Non mi lascerai andare, vero?” chiese, pur conoscendo la sua risposta.
Isaac scosse la testa. Sembrava quasi dispiaciuto dal fatto che dovesse agire contro la volontà della ragazza, ma Adena sapeva bene che anche lui, in quanto parte del branco, necessitava di una spiegazione.
“Derek vorrà parlarti. E noi tutti vogliamo capire”
Adena annuì col capo, sfilando i polsi dalla presa del ragazzo ora volutamente più debole. Le sue labbra erano tirate, lo sguardo seccato, ma nel momento in cui osservò per bene Isaac e il suo abbigliamento, gradualmente le sue labbra si distesero al punto tale che dovette concentrarsi per non mettersi a ridere.
“Stavi beatamente dormendo, non è vero?”
“Più o meno” ammise il ragazzo, grattandosi la nuca imbarazzato “ero già nel mio sacco a pelo”
Adena parve rilassarsi ulteriormente e incrociò le braccia, stringendosi nella sua maglia a maniche lunghe.
“Bè, sei fortunato a non sentir freddo allora” rispose la ragazza, concedendosi un timido sorriso.
Isaac soppesò appena un istante le sue parole, per poi avvicinarsi di un passo, sotto lo sguardo interrogativo dell’altra.
Lo osservò allungare la mano verso di lei, fino a sfiorarle un braccio.
“Cosa vuoi fare?” chiese lei, con un filo di voce, le guance leggermente arrossate.
“Riscaldarti”
Adena dovette distogliere lo sguardo per celare almeno in parte il suo imbarazzo, ma sapeva che anche Isaac era in parte intimidito.
Il licantropo stavolta agì con maggiore convinzione e l’attirò a sé, per poi prenderla in braccio.
“Ma non volevi riscaldarmi?”
“Così, a contatto con la mia pelle, credimi, ti sarà impossibile avere freddo”
Aveva ragione, ebbe modo di constatare Adena, non appena si strinse contro il suo petto caldo. Sembrava febbricitante ed invece era solo la sua natura da lupo.
Chiuse gli occhi, leggermente rilassata.
“Isaac”
“Si?”
“C’è una cosa che avrei voluto dirti fin da quando ci siamo conosciuti”
“Ovvero?”
“Hai un bellissimo accento”
Il ragazzo in tutta risposta rise, spensierato come lo era davvero solo poche volte.


Non seppe dire quanto tempo fosse passato nel momento in cui aprì gli occhi.
Riconobbe un salotto a lei sconosciuto, arredato con cura e una figura seduta a terra, di fronte a lei, come se stesse attendendo proprio che si svegliasse.
“Scott…” sussurrò, con la bocca ancora impastata dal sonno.
Si mise a sedere, leggermente intorpidita e dovette stropicciare gli occhi diverse volte per abituarli alla luce del neon appeso al soffitto.
Il ragazzo accennò un sorriso e le prese posto vicino, con studiata cautela. Non sapeva ancora cosa aspettarsi o non aspettarsi da quella ragazza.
“Non ricordo nulla. Cosa è successo? Derek mi ha dato una botta in testa?” azzardò, ironicamente.
Scott ridacchiò di rimando, prima di decidersi a fornirle un chiarimento.
“Isaac ti ha riportata qui, ti sei addormentata fra le sue braccia. Allora ti abbiamo lasciata tranquillamente dormire sul divano”
Adena inarcò un sopracciglio, incredula. Non poteva credere tanto facilmente ad una tale versione, non dopo l’agguato con tanto di strozzalupo da lei organizzato ai danni di Derek, nonché loro alpha.
“Tutto qui? Il vostro alpha o suo zio non hanno tentato di tagliarmi la gola?”
Scott congiunse le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia, leggermente piegato in avanti.
“A dire il vero, è stato il primo pensiero di Derek. Ma Isaac si è imposto ed io l’ho appoggiato. Ah, comunque Derek non è il mio alpha” precisò il ragazzo.
Adena sorrise. Scott le stava davvero simpatico. Riconosceva in lui qualcosa, qualcosa che la faceva sentire protetta e sicura, una scintilla che lo faceva brillare di una luce propria. Una luce da leader.
“Ora però ci devi delle risposte. Perché volevi essere morsa?”
Adena sfuggì al suo sguardo e lo diresse alla finestra. Nonostante le tendine color cremisi bloccassero la visuale, poté capire che il cielo si stava schiarendo per far posto ad un nuovo giorno.
Quante ore aveva dormito?
Le braccia di Isaac, che conosceva appena, l’avevano fatta sentire protetta, al punto da accantonare ogni difesa, abbandonandosi alle braccia di Morfeo.
“Perché sono solo un'umana che non può difendere le persone che ama”
Lo disse con un disprezzo tale, che Scott sobbalzò.
“Non puoi odiare così la tua umanità” le disse.
“Si, se mi rende indifesa”
Improvvisamente, Scott le afferrò una mano. Adena lo guardò stupita, mentre un senso di calore si faceva strada all’altezza del suo cuore.
“Da chi devi difenderti?”
Adena scosse la testa.
“Da nessuno”
“Adena” Scott catturò lo sguardo della ragazza col proprio “a me puoi dirlo”.
Per un attimo vacillò e fu tentata di dirgli cosa fosse accaduto appena un mese prima, ma la paura rapì di nuovo il suo cuore e fu costretta a tacere. Tuttavia, la presa di Scott intorno alla sua mano si fece più salda.
“Non so cosa sia successo, ma una cosa la so invece” le disse. “La tua umanità è la cosa più bella che tu possegga, non lasciare che te la portino via.
Non ti rende debole, affatto.
Gli esseri umani hanno una forza di volontà incredibile. Stiles ad esempio, non è un lupo come noi. Eppure l’ho visto fare cose straordinarie che senza le nostre capacità di lupo, noi altri forse non avremmo mai fatto.
Adena, tu sei umana.
Ed è fantastico”
La ragazza dovette concentrarsi per non piangere come una bambina lì, davanti a Scott, un ragazzo conosciuto appena due giorni prima, con una natura soprannaturale.
Mentre le tinte dorate dell’alba illuminarono Santa Monica timidamente, a poco a poco, annunciando l’inizio di una nuova calda giornata primaverile, Adena abbracciò Scott, cogliendo di sorpresa il ragazzo ed anche sé stessa, non solita a gesti così intrisi di affetto.
Se fosse stata un licantropo, avrebbe voluto che Scott fosse il suo alpha.



 

Ed eccoci qui con il terzo  episodio di Save the pack.
In questo capitolo, come avrete potuto notare, prendiamo una piccola pausa dagli avvenimenti inspiegabili di Santa Monica ed  in parte anche dalla stessa mitologia. Ho dato una risposta  alla domanda: cosa aveva in mente Adena?, ma credo che adesso ve ne verranno in mente di nuove xD
Al contempo ho gettato le basi per una futura e forte amicizia con Scott, era una cosa a cui tenevo particolarmente e spero vi abbia convinto la loro scena. Per quanto riguarda l'Adisaac (Adena e Isaac - si, volevo anche io il nome figo per la mia ship, lo ammetto xD - ) finalmente la nostra ragazza difficile si è lasciata sfuggire un complimento sul bellissimo accento del licantropo xD 
Ultima piccola nota: la frase in cui menziono l'odore pungente di Stiles mi è venuta in mente ripensando alla 2x12, puntata in cui Stiles dice a Gerard che il suo odore è talmente forte che Scott potrebbe trovarlo ovunque.
Ringrazio tutti voi che leggete e/o recensite e tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite. Grazie davvero ragazzi <3 

 

Un bacione,
Ely 91

 

NEXT ON "SAVE THE PACK":

“Ehi, guarda qua!” esclamò Stiles, premendo l’interruttore vicino la porta. Su una piccola e modesta scrivania, sopra un volume di storia locale, vi era poggiato un ritaglio di giornale con  tanto di foto di un delfino sulla spiaggia, privo di vita.
L’articolo scritto in grassetto era stato sottolineato diverse volte in rosso: “Delfino morto sulla spiaggia. Gli animalisti protestano”.
Peter lo afferrò dalle mani di Stiles, un sopracciglio inarcato.
“Perché mai stava facendo ricerche su un delfino?”

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 1x04 - Il delfino ***


Image and video hosting by TinyPic
 

1x04 - IL DELFINO


 
“Cos’è questo coso?”
Stiles afferrò lo strano oggetto tra le mani, esaminandolo a lungo, circospetto.
Amava analizzare ogni cosa, come un detective e, stando alle parole di sua madre, un giorno sarebbe diventato un bravo vicesceriffo proprio come il padre, se non uno sceriffo.
Quelle parole gli riempivano sempre il petto d’orgoglio, come se tale sentimento, tale modo di sentirsi, potesse avere una tangibilità al punto da farlo sentire forte.
Voleva essere tanto forte per la sua mamma, ultimamente sempre più pallida, sempre più stanca. Giocava di meno con lui e aveva assunto una donna per aiutarla con i lavori domestici.  A volte passava intere giornate stesa sul divano, a sonnecchiare.
“Ridammelo!” esclamò Scott, afferrandolo dalle mani dell’amico. “E’ un inalatore per la mia asma”.
Dal modo in cui abbassò lo sguardo, Stiles ebbe modo di capire che ciò per l’amico non fosse altro che una sconfitta.
“Scott, non importa che tu abbia quel coso, sei sempre il mio migliore amico”
“No, sono un perdente” mugugnò il bambino, mettendosi a sedere sui gradini del porticato. “Non posso nemmeno  andare in giro senza questo stupido tubo di plastica” asserì con rabbia, calciando qualcosa di invisibile.
Stiles poggiò una mano sulla spalla dell’amico.
“Anche Superman è uno sfigato in fondo, indossa dei mutandoni sulla tuta! E Green Arrow?  Rimasto su un’isola cinque anni senza playstation? Ti sembra divertente? E vogliamo parlare della Cosa? Accidenti, avrà un serio problema a guardarsi allo specchio!”
Gradualmente, il broncio di Scott, venne sostituito da un sorriso. Diede una pacca sulla spalla di Stiles.
“Allora, cosa volevi mostrarmi?” si ritrovò a chiedere.
Stiles non fece in tempo ad infilare le mani in tasca, che una voce furiosa lo fece voltare.
Melissa McCall afferrò per un braccio il piccolo Scott, spingendolo in casa nonostante le sue vivaci proteste.
“Signora McCall??” la chiamò Stiles, col tentativo di comprendere cosa stesse succedendo, ma il modo in cui la donna lo fissò gli fece accapponare la pelle.
Melissa era sempre molto buona con lui, gli preparava dei biscotti da portare alla sua mamma e a volte gli faceva piccoli regali, perché diceva che lo considerava il fratellino acquisito di Scott.
“E’ tutta colpa tua! Solo tua! Tu lo porterai in un bosco per giocare a fare lo sceriffo e lui verrà morso. Gli hai rovinato la vita! Hai rovinato le nostre vite!” urlò la donna, prima di lasciarsi andare ad un pianto disperato.
Quelle parole colpirono lo Stiles di otto anni come un macigno.
Aveva condannato Scott ad una vita difficile. Che razza di amico avrebbe mai potuto fare una cosa simile?

Stiles sobbalzò, aprendo gli occhi di scatto.
“Finalmente Biancaneve, per un attimo ho temuto che avrei dovuto baciarti” esclamò Peter, tirando il freno a mano e sorridendo sghembo.
Il ragazzo solo in quel momento ricordò che stava viaggiando in auto, con Peter, per raggiungere il professor Jefferson.
Si portò una mano sul viso, stravolto.
Stavolta aveva sognato un ricordo reale della sua infanzia. Nella realtà, Melissa li aveva raggiunti sul portico con del succo e un pezzo di torta, rivolgendosi ad entrambi con le parole “i miei eroi”, quasi avesse colto l’argomento che fino a poco prima stava popolando i loro discorsi.
“Accidenti, devo proprio procurarmi quell’acchiappasogni” borbottò, slacciando la cintura e scendendo dal mezzo.
Peter si incamminò lungo il vialetto, per poi suonare due volte il campanello.
Stiles fece altrettanto, ricevendo un’occhiataccia dal maggiore degli Hale.
“Avevo già suonato”
“Lo so” appurò Stiles.
Peter lo guardò spazientito. “E allora perché diavolo hai suonato di nuovo?”
“Per essere sicuro che sentisse il campanello”
“Non è diventato ancora sordo”
“Eppure non ha ancora aperto”
“Nonostante tu abbia suonato” gli fece notare Peter “quindi il tuo gesto è stato inutile”
Stiles fece per aprire bocca, infine scrollò le spalle.
“Non posso affermare il contrario” si arrese, osservando Peter bussare alla porta stavolta.
“Forse non è in casa”
“Mi ha chiesto lui ieri sera di raggiungerlo a casa questa mattina” sbottò l’uomo, leggermente irritato.
“Presumo che dobbiamo ripassare in un secondo mom…” fece per dire Stiles, ma un colpo secco lo bloccò. Peter, con la stessa facilità con la quale lui avrebbe aperto una nocciolina, aveva appena rotto la maniglia.
L’uomo entrò immediatamente in casa; Stiles, prima di seguirlo, si guardò attorno, per assicurarsi che nessuno li stesse osservando.
La casa era immersa in una semioscurità. La luce solare filtrava timida dai buchi convessi delle persiane lasciate abbassate. Sembrava non ci fossero stati movimenti nell’abitazione dalla sera prima; a provarlo i piatti sporchi della cena ancora nel lavello.
“Professor Jefferson?” provò a chiamare Stiles, continuando a seguire l’altro in quell’ispezione improvvisata del modesto domicilio dell’uomo.
L’ultima stanza in cui si introdussero fu la camera da letto del docente, dalla quale non proveniva alcun rumore.
Non appena Peter spinse leggermente la porta, uno strano tanfo colpì il suo olfatto sviluppato da licantropo, ma anche quello meno affinato di Stiles, che si coprì il naso con il braccio.
“Che cavolo è quest’odore?”
Peter si bloccò davanti a lui, coprendogli in parte la visuale.
“Chi cavolo è, dovresti dire” affermò, la sorpresa non celata nel tono di voce.
Stiles lo superò di qualche passo, prima di individuare, nell’oscurità tenue della stanza, la sagoma di Jefferson, ancora steso a letto.
Stiles strabuzzò gli occhi.
“È morto?” domandò, pur conoscendo esattamente la risposta.
Peter si avvicinò di qualche passo e Stiles ebbe modo di notare, e la cosa lo sorprese non poco, come la sua espressione lasciasse trapelare sincero dispiacere.
Aveva davvero grande stima per il suo ex docente, preparato in tutto ciò che riguardasse il loro mondo soprannaturale.
Fu quell’ultima riflessione, che fece crollare tutte le speranze di Stiles. Senza Jefferson come avrebbero potuto sperare di riuscire a far tornare Erica e Boyd? Come avrebbe potuto dirlo a Scott, Isaac e Derek?
Avevano fallito. E quel fallimento bruciava, forte nel petto, come un fuoco proveniente dall’interno.
“Di cosa è morto?” si ritrovò a domandare, con un filo di voce.
Peter scosse la testa.
“Non sono un medico legale” asserì, per poi esaminare con circospezione la sagoma immobile di Jeff.
Sembrava semplicemente addormentato e per un attimo fu tentato di toccarlo per attestarne davvero la morte. Ma quell’immobilità, quell’assenza di battito cardiaco chiaramente udibile per lui, non lasciava spazio ai dubbi.
Cosa poteva essere accaduto all’uomo? Un malore improvviso? Sembrava una morte naturale a tutti gli effetti.
“Ehi, guarda qua!” esclamò Stiles, premendo l’interruttore vicino la porta. Su una piccola e modesta scrivania, sopra un volume di storia locale, vi era poggiato un ritaglio di giornale con  tanto di foto di un delfino sulla spiaggia, privo di vita.
L’articolo scritto in grassetto era stato sottolineato diverse volte in rosso: “Delfino morto sulla spiaggia. Gli animalisti protestano”.
Peter lo afferrò dalle mani di Stiles, un sopracciglio inarcato.
“Perché mai stava facendo ricerche su un delfino?”
“Non lo so, ma direi che per lui rappresentava qualcosa di importante” ipotizzò il figlio dello sceriffo, gettando un’ultima occhiata alle sue spalle. Riprese l’articolo dalle mani di Peter, lo ripiegò nella tasca e si diresse verso la porta.
“Ora andiamo via e avvisiamo qualcuno. Dubito che Jeff potrà ancora fornirci delle risposte”


Derek incrociò le braccia, lo sguardo crucciato, gli occhi chiari pronti a fulminarlo come fossero saette.
Isaac lo fronteggiò, leggermente più insicuro, ma la presenza di Scott lì accanto a lui riuscì a tranquillizzarlo in parte e ad infondergli più coraggio.
Il soggiorno dei coniugi Parker – questo il nome inciso sulla cassetta della posta ad inizio vialetto – sembrava diventato improvvisamente troppo piccolo per tutti e tre.
Derek era furioso e Isaac era determinato a difendere la sua idea.
“Avremmo dovuto tagliarle la gola! Quella ragazza è infida, nasconde  qualcosa. Probabilmente è il messo di un altro branco!” esclamò il giovane Hale, gesticolando spazientito.
“È vero, nasconde qualcosa, ma credo sia solo impaurita. Non è pericolosa” asserì Scott, con studiata calma, cercando di contenere i toni della discussione.
“Non è pericolosa?!? Devo ricordarti che è riuscita a mettermi fuori gioco e con studiata astuzia?”
“Vorrei ricordarti che persino Lydia è riuscita a metterti  ko lo scorso anno e con molta  facilità” lo punzecchiò Isaac, non celando affatto il sarcasmo nella sua voce.
Derek lo fulminò con lo sguardo. Se non fosse stato un suo beta, se non fosse stato Isaac a cui ormai era legato, lo avrebbe attaccato senza pensarci due volte.
Scott lo osservò preoccupato, quasi non sapesse cosa potesse aspettarsi da lui dopo quelle parole.
“Dunque, se ti chiedessi di tagliarle la gola in quanto tuo alpha, ti rifiuteresti?”
Isaac sapeva che quella provocazione di Derek non avrebbe portato ad una conclusione pacifica di quella discussione. Tuttavia non fece nulla per riportare il tutto ad una certa pacatezza.
“Si, mi rifiuterei”
Derek ghignò e gli girò lentamente attorno, come un predatore intento a circondare la sua preda, ormai in trappola.
Scott lo osservò guardingo, non capendo fino a che punto volesse arrivare il giovane Hale.
“Sai Isaac, se non la conoscessi da poco, oserei dire che ti sei preso una bella cotta”
Isaac fece per aprir bocca, ma non ne uscì alcun suono, colto in contropiede.
“Hai una cotta, Isaac?” tornò a rimarcare l’altro.
Isaac incrociò il suo sguardo con quello di Derek, stavolta furioso.
“E se fosse così, dov’è il problema? Io almeno non sono andato a letto con una donna che ha sterminato la mia famiglia o con un druido pronto a sacrificare i genitori dei miei amici”
Scott riuscì a malapena ad intercettare il movimento veloce di Derek, che affondò gli artigli nel braccio di Isaac.
“Attento a come parli”
Isaac non si lasciò intimorire, nonostante il dolore provato dalla presa dell’altro. I suoi occhi divennero gialli, il respiro più veloce.
“Altrimenti?”si ritrovò a dire, con lo stesso tono di sfida che poco prima aveva usato l’alpha.
“Altrimenti le taglierò la gola senza pensarci due volte” sibilò Derek, ad una spanna dal suo viso.
Isaac sfoderò i suoi canini. Fece per reagire, ma la voce di Scott lo bloccò prima che fosse troppo tardi.
“Derek! Isaac! Basta!” esclamò, lasciando che anche i suoi stessi occhi diventassero gialli e la sua voce più profonda, quasi come un richiamo soprannaturale.
Isaac si calmò all’istante, tornando all’azzurro dei suoi occhi e placando il battito impazzito del suo cuore; Derek esitò ancora qualche secondo, prima di inspirare profondamente e mollare la presa. Le ferite sul braccio di Isaac iniziarono già a rimarginarsi, ma molto più lentamente essendo Derek un alpha.
Derek sospirò pesantemente. La situazione gli era sfuggita di mano e lui ne era più che cosciente. Avrebbe voluto riportare il tutto alla normalità, ma faticò a trovare le parole giuste a causa del suo orgoglio. Dunque, quasi fosse stata una resa contro sé stesso, abbandonò la stanza senza proferir parola, lasciando che il silenzio scendesse pesante tra loro.
 

Oh today I'm just a drop of water
And I'm running down a mountainside
Come tomorrow I'll be in the ocean
I'll be rising with the morning tide


Il suo cuore non era mai stato così pesante. A momenti, aveva la sensazione di trascinarsi un gran masso nel petto e per poco non se ne convinse.
Santa Monica quel pomeriggio non era soleggiata come al solito. Nuvole grigie stavano coprendo il cielo a poco a poco e un vento fresco schiaffeggiava il suo viso, come a volerlo tenere sveglio, lontano da quei pensieri così simili a tormenti.
Isaac sospirò pesantemente, le mani affondate nei jeans, le labbra piegate leggermente all’ingiù.
Il professor Jefferson era morto, andato. E con lui tutte le risposte di cui avevano bisogno, tutte le speranze che scioccamente avevano maturato.
Non avrebbe più rivisto il raro sorriso di Boyd; non avrebbe più rivisto lo sguardo profondo di Erica.
Calciò con rabbia una lattina, attirando l’attenzione di qualche passante, che gli rivolse qualche occhiata incerta.
Era così arrabbiato, con sé stesso, con Derek, persino con lo stesso Jefferson che colpe non ne aveva. Avrebbe voluto urlare, lasciarsi andare ad un grido di rabbia, come era solito fare quando veniva chiuso nel congelatore dello scantinato da suo padre.
Suo padre, però, nonostante tutto, era stato la sua ancora durante le trasformazioni, ma questo adesso non poteva aiutarlo. In cielo non vi era nessuna luna piena, eppure poteva sentire il suo corpo fremere dalla rabbia, impazzire per la frustrazione.
Tuttavia, quando raggiunse il giardino botanico del luogo, parte dei suoi nervi parvero distendersi.
Lo percorse con un misto di ammirazione e stupore. Diverse piante e fiori erano collocate in una maniera strategica tale da creare un gioco di colori e profumi incantevole. Diverse famiglie erano in giro e scattavano foto, altri addetti invece si occupavano della vegetazione e supervisionavano gli ospiti in giro.
Non ci volle molto, prima che riuscisse a scorgere Adena in uno dei percorsi all’aperto esterno alla serra, in cui alcune piante e fiori non abituali del posto avevano modo di crescere e fiorire in tutto il loro splendore, intenta ad accarezzare con lo sguardo delle orchidee.
Stavolta non si lasciò sorprendere; semplicemente si voltò, quasi avesse avuto sentore della sua presenza.
“È un posto molto suggestivo” si ritrovò a dirle Isaac, avvicinandosi lentamente.
Adena scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e accennò un sorriso. “Sono felice che ti piaccia”
Il ragazzo fece ancora qualche passo incerto, infine si appoggiò contro il tronco di uno degli alberi lì attorno.
“Come mai sei qui?” si ritrovò a chiedere l’altra, sinceramente incuriosita dalla sua presenza, appoggiandosi anch’essa contro la vecchia quercia.
Isaac scrollò le spalle.
“ Pessima giornata”
“E sei venuto per fartela rovinare ulteriormente da me?” ironizzò Adena, strappandogli un sorriso.
“Al contrario, speravo potessi migliorarmela” rispose, con una spontaneità tale che Adena avvertì le guance imporporarsi dal leggero imbarazzo.
Nessuno le aveva mai detto una cosa simile.
“Sei consapevole di quello che hai appena detto?” ribadì, con una certa ironia. “Forse non te ne sei accorto, ma il più delle volte, ho un caratteraccio”.
“A me fai ridere” ammise Isaac.
“Dunque sono un pagliaccio?” Adena inarcò un sopracciglio, pur non modificando il tono ironico.
Il ragazzo scosse la testa.
“A me piaci” disse, quasi senza rendersene conto, per poi osservare l’altra guardarlo stupita. Alzò le mani e fece per correggersi. “Volevo dire, mi piaci caratterialmente”
La ragazza aspettò qualche secondo che le si placasse il rossore, prima di tornare a parlare.
“Hai intenzione di dirmi perché questa sia una pessima giornata?”
Isaac abbassò lo sguardo di colpo.
“ Lunga storia”
“Posso ascoltare a lungo”
Con quella risposta, Isaac sospirò, per poi raccontarle il motivo del loro arrivo a Santa Monica e di Erica e Boyd. Non fu facile fare quel quadro disperato della situazione.
“Abbiamo fallito” furono le sue parole per concludere il discorso.
Adena scosse la testa.
“C’è ancora speranza. C’è sempre speranza. Non pensavo esistessero Banshee e altri esseri simili, ma potreste trovarne uno, non è ancora detta l’ultima” lo incoraggiò, poggiandogli una mano sulla spalla.
Isaac la osservò qualche attimo, prima di cercare di abbandonare quel discorso tanto spinoso e scomodo in quel momento.
“Ed invece riguardo il morso? Scott è riuscito a farti cambiare idea?” chiese lui, approfittando di quel momento di maggiore apertura della ragazza.
Lei annuì, ma non proferì parola.
“Vuoi dirmi perché volevi farti mordere?” la spronò, inutilmente.
Adena scosse la testa.
“Non sono affari che ti riguardano” asserì, all’improvviso di nuovo fredda.
“Sono affari che mi riguardano dal momento in cui hai teso un agguato a Derek e adesso lui vuole tagliarti la gola e per poco oggi non ho rischiato di lottare con lui solo per difenderti”
Adena fu sorpresa da come Isaac si fosse esposto per lei, ma nonostante tutto, la sua risposta non fu delle migliori.
“Nessuno te lo ha chiesto. Il morso, la mia vita, sono solo affari miei”
Si pentì di quelle parole nel momento esatto in cui le pronunciò. Non voleva essere così ostile, ma una parte di lei, la verità, la costringeva a restare sulla difensiva. Non poteva e non voleva coinvolgere altri in quello che le stava accadendo.
“Non puoi parlare così” esclamò l’altro, fronteggiandola.
Adena non abbassò lo  sguardo, ma desiderava farlo. “Invece posso”
“Però se fossi stato un alpha, adesso staresti a pregarmi per il morso” la provocò.
“Ti ho detto che ho cambiato idea. E si, come beta per me vali meno di zero. Avevi ragione, hai fallito”
Solo quando lo sguardo di Isaac mutò in uno angosciato, Adena si  rese conto di come la rabbia e il suo falso orgoglio l’avessero fatta straparlare.
Isaac le diede le spalle. Improvvisamente il verde del giardino botanico sembrava una macchia indistinta intenta a vorticargli intorno.
Niente Erica.
Provò a inspirare, ma l’aria sembrava non affluire in alcun modo.
Niente Boyd.
Si portò una mano sul viso, consapevole del color ambra assunto dai suoi occhi.
Solo un fallimento. Solo la rabbia di Derek nei suoi confronti per il litigio di quella mattina.
Il respiro divenne pesante, l’ossigeno sembrava scarseggiare.
“Non…respiro” fu l’unica cosa che disse.
Adena gli fu subito di fronte, consapevole del fatto che Isaac stesse iperventilando e che la sua natura lupesca stesse venendo fuori come a voler rimediare a quel deficit emozionale puramente umano.
Avrebbe perso il controllo o in quanto umano o in quanto licantropo.
“Ok, devi solo…cerca di respirare piano”
“Non  riesco. Non riesco”
“Stiles, guardami. Shhh, guardami.
Stiles….”


Adena si maledì diverse volte mentalmente. Era stata una stupida e un’insensibile. Per difendere un suo segreto aveva attaccato duramente Isaac quando lui aveva invece cercato conforto in lei proprio pochi minuti prima.
“Dio, che problema ho?” sussurrò, arrabbiata con sé stessa. “Isaac” provò a chiamarlo, ma il ragazzo continuava a respirare affannosamente  e a coprire con la mano il viso.
“Isaac, guardami, lascia che veda pure i tuoi occhi” asserì, con delicatezza, sfiorandogli la guancia con una carezza.
“Sto per perdere il controllo…Io…non voglio farti del male… non voglio…” annaspò l’altro nelle sue stesse parole.
“Non mi farai del male, fidati di me” ribadì lei, sempre con lo stesso tono delicato, stavolta soffice e vellutato come il tocco delle sue dita sulla parte del volto non coperta del ragazzo.
Isaac si lasciò andare e le mostrò le iridi ormai ambrate. Adena sobbalzò appena, non avendole mai viste così da vicino, ma non si lasciò intimorire.
“Sei sempre tu, Isaac. Sempre tu” lo rassicurò, prendendogli il volto tra le mani. Lui la guardò atterrito, ancora fuori di sé. Il senso di panico, di vuoto, di mancanza di terreno sotto i piedi, sembrava non volerlo abbandonare, proprio come quel peso che gli era piombato addosso dopo aver scoperto della fine del professor Jefferson.
“Isaac, respira, va tutto bene, ci sono io con te”
“Io…io non riesco...” asserì, tra un pesante respiro e l’altro.
“Isaac, guardami…Isaac…”
Adena si perse ancora un istante in quegli occhi dal colore innaturale, per poi alzarsi in punta di piedi. Il tempo di un battito di ciglia e le sue labbra sfiorarono quelle del ragazzo.
Isaac strabuzzò gli occhi stupito, rendendosi conto come quel semplice contatto, avesse riportato il colore delle sue iridi a quello naturale così simile all’oceano. Assaporò per pochi secondi quel contatto così delicato e al contempo così forte, prima che Adena lasciasse sfumare quel bacio, ritornando alla distanza iniziale.
Si guardarono qualche secondo in silenzio, finché Isaac non si decise a proferir parola.
“Perché l’hai fatto?” chiese, sorpreso.
“Volevo distrarti” ammise lei, lo sguardo leggermente lucido dall’emozione “ha funzionato?”
Isaac annuì, prima che una goccia lo colpisse su quella guancia ancora calda per il contatto con le sue dita, le sue carezze.
A quella ne seguirono altre, fin  quando la pioggia di Santa Monica prese a cadere leggera su di loro, riempiendo i loro silenzi con il dolce e soffuso suono della pioggia sulle foglie e sui petali dei fiori.
“Come hai fatto?”
“Io…una volta ho letto che trattenere il respiro
può fermare un attacco di panico. Quindi, quando ti ho baciato,
hai trattenuto il respiro”
“L’ho fatto?”
“Si, l’hai fatto”


I'm an atom in a sea of nothing
Looking for another to combine
Maybe we could be the start of something
Be together at the start of time


Stiles and Lydia, 3x11
Gabrielle Aplin – Start of time



La costruzione nei pressi della biblioteca pubblica non poteva passare inosservata, visto il grande manifesto esposto esternamente che recitava a caratteri cubitali: “Difendi il tuo ambiente. Difendi la loro esistenza”.
L’associazione ambientalista e animalista del luogo era il posto giusto dove chiedere informazioni dettagliate sul delfino morto un mese prima, a detta di Stiles, e Scott lo aveva seguito, convenendo con lui al riguardo.
Si avvicinarono alla scrivania di quella che doveva essere la segretaria, completamente fuori luogo. In quel posto vi era un continuo viavai di ragazzi e adulti in t-shirt verde con il logo dell’associazione.
“Ehm, salve, potremmo chiedere delle infor…”
Stiles non riuscì a completare la sua richiesta, sotto gli occhi incuriositi della biondina senza un filo di trucco sul viso e i capelli legati in una coda alta, che una voce familiare lo bloccò.
“Stiles! Scott! Cosa ci fate qui?”
Voltandosi riconobbero immediatamente Cassidy e il suo sorriso splendente.
“Ciao” la salutarono i ragazzi, sorpresi quanto lei di trovarla lì. “Avevamo bisogno di informazioni. Non immaginavo facessi volontariato qui” aggiunse Stiles.
La ragazza sorrise sbarazzina. “Ed invece si, sono una di quelle tremende attiviste pronta ad incatenarsi se necessario” scherzò lei.
“Però, sembravi molto più docile” ribadì altrettanto scherzosamente Scott. “Comunque” aggiunse un istante dopo “potremmo chiedere a te per il delfino morto il mese scorso? Ne sai abbastanza?”
Lo sguardo di Cassidy mutò. Sembrò rabbuiarsi e al contempo sorprendersi per quella richiesta. Fece loro cenno di seguirla in un piccolo ufficio adiacente alla hall.
“Qui potremo parlare più tranquillamente” spiegò, sedendosi sulla scrivania e dondolando le gambe avanti e indietro. “Come avete saputo del delfino?” chiese.
Scott e Stiles si guardarono qualche istante, indecisi su cosa dirle e non dirle. Infine fu Stiles a prendere la parola.
“Un nostro amico stava facendo delle ricerche, ma è morto e noi vorremmo capire come proseguire i suoi tentativi al riguardo”
Cassidy annuì lentamente, come se quella spiegazione l’avesse veramente  convinta solo in parte.
“Mi dispiace per il vostro amico. Era un giornalista? Un blogger?” indagò ulteriormente.
Scott sospirò. Fare il nome di Jefferson in fondo non avrebbe cambiato nulla per la ragazza, dunque lo fece.
“Il professor Jefferson” disse.
Caddisy lo guardò sbalordita. “Il professor Jefferson è morto?!?”
Stiles annuì. “Per un malore, quasi certamente” spiegò.
La ragazza rimase ammutolita ancora qualche istante prima di tornare a proferir parola.”Non posso ancora crederci…e perché volete continuare questa sua ricerca? Crediate fosse molto importante per lui?”
“ E’ ciò che vogliamo scoprire” asserì Scott “cosa sai dirci al riguardo?”
Cassidy sospirò. “Non c’è molto da sapere a dire il vero. Qualche tempo fa abbiamo scoperto che una fabbrica locale stava scaricando i propri rifiuti nell’oceano. Ovviamente ci siamo attivati al riguardo, ma prima che la situazione migliorasse a nostro favore, ci sono stati i primi danni collaterali. Pesci morti e poi…il delfino. Anche lui è una vittima della fabbrica” affermò, non nascondendo un certo rancore. “C’ero anche io con gli altri volontari quella mattina sulla spiaggia…se lo aveste visto…povero delfino…” asserì, la voce ora leggermente inclinata. “Scusatemi, sono molto sensibile al riguardo. Perciò collaboro con questa associazione, tengo molto a preservare le nostre specie animali e il nostro pianeta” affermò, con una certa enfasi. Era evidente come stesse mettendo anima e corpo in tutto ciò che faceva senza tradire i suoi principi. I ragazzi l’ammirarono molto per questo.
“E adesso con quella fabbrica come è finita?” tornò a domandare Scott.
“Stiamo raccogliendo delle firme per farla chiudere” spiegò la ragazza.
I due annuirono, capendo che non ci fosse altro da scoprire, non da Cassidy almeno.
Perché il professor Jefferson si stava dedicando a quel fatto di cronaca locale?
Semplice attivismo personale?
Stiles scosse la testa, rapito dai suoi pensieri, dai fili invisibili che faticavano a formarsi. Cosa stava accadendo davvero a Santa Monica? Cosa era collegato e cosa no?
Quella era proprio roba da Stilinski. Un rompicapo degno di lui.




Ciao! Come ogni mercoledì, eccomi con questo nuovo capitolo!
Ebbene si, parallelismi Stydia/ Adisaac, non ne ho potuto fare a meno, la scena si è praticamente scritta da sola, visto che l'avevo progettata in maniera diversa xD Però sono soddisfatta di come sia venuta e spero davvero che piaccia anche a voi <3
Come avrete letto, il professor Jefferson ha "abbandonato" il nostro pack, lasciandoli brancolare nel buio. La parte mitologica di Save the pack sta per prendere una piega imprevista, come avrete modo di leggere ne l'1x05.
A tal proposito, ci sarà la prima pausa della serie: la 1x05 verrà pubblicata mercoledì 18, salteremo una settimana insomma.
Probabilmente mi è anche sfuggito qualche errore nel testo, pardon, lo studio mi sta rubando tempo su tempo <.<
Come sempre, ci tengo a ringraziare tutti coloro che leggono e recensiscono e coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite. Grazie davvero <3
Un bacione,
Ely 91

NEXT ON "SAVE THE PACK":
“Adesso devo andare” disse Abigail. “Ti cerco per messaggio più tardi. Ciao ciao”
“Va bene! E sta attenta a…”il click di sottofondo, interruppe Adena “…a Ben” completò la frase, ormai rivolta semplicemente a sé stessa.
Sospirò pesantemente, prima di tornare a sdraiarsi, pur sapendo che ormai non avrebbe più dormito. Un sabato come tanti per gli altri stava per iniziare e lei non aveva la più pallida idea di come affrontare la situazione. Era giunto il momento di chiedere aiuto alla persona giusta, probabilmente.

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 1x05 - Brezza marina ***


Image and video hosting by TinyPic

1x05 – BREZZA MARINA

 
Le note di “You shook me all night long” degli AC/DC* risuonarono disperdendosi nella stanza.
Adena mugugnò qualcosa nel sonno, prima di decidersi ad allungare la mano sul comodino accanto al letto.
Il sole doveva appena essere spuntato nel cielo e la sua mente era ancora incastrata nei pensieri che l’avevano tenuta sveglia quasi tutta la notte.
“Pronto?” disse, la voce impastata dal sonno, metà parola praticamente sbadigliata.
“Adena!” esclamò vivace una voce dall’altro capo del telefonino. “Dormivi?”
La ragazza roteò gli occhi, prima di passare una mano sul viso, sforzandosi di appiccicare le parole l’una all’altra nonostante la stanchezza e la confusione post risveglio.
“Ma no, ero in casa che saltellavo allegramente” ribadì sarcasticamente “ovvio che stessi dormendo! Che ore sono?”
Sua sorella Abigail ridacchiò. “Le sei e mezzo. Dai, non essere scontrosa, avevo solo voglia di sentire la mia sorellina preferita”
“Sono la tua unica sorella” asserì Adena “il college ti sta dando alla testa a quanto pare. Non dormivi tu?”
Abigail scosse la testa, come se Adena avesse potuto vederla. Le mancava Santa Monica ed anche il clima della California. Viveva nello stato di Washington da appena sei mesi ed il clima piovoso l’aveva gettata nello  sconforto non poche volte, rendendo insopportabilmente più acuti i momenti di nostalgia.
“In realtà sono appena rientrata nella mia stanza al dormitorio” affermò, un pizzico di brio nella voce, come se non stesse più nella pelle. Anche Adena lo percepì, dunque si sentì in dovere di chiederle se non l’avesse chiamata per raccontarle qualcosa accaduto quella notte.
“In realtà si” cinguettò la ragazza “Miley ha il cellulare spento, quindi sarai tu la prima a saperlo”
“Sono un ripiego dunque? Grazie tante” sbottò Adena, mettendosi a sedere.
“Su, non essere permalosa!” la riprese bonariamente la sorella “comunque sono stata con Ben tutta la notte”
Improvvisamente l’espressione di Adena mutò. Per un attimo si sentì come se le avessero buttato un secchio d’acqua ghiacciata addosso.
“Credevo odiassi Ben, dicevi che non avevi mai avuto compagno di corso più saccente e irritante di lui” asserì la ragazza, la voce leggermente tremante.
“Si, ma alla fine mi ha chiesto di uscire e mi sono resa conto di quanto sia fantastico! Ieri sera mi ha portata a cena fuori, poi al bowling ed infine ad una festa.  E mi ha baciata! E’ stato così bello!”
Adena cercò di mostrarsi felice per lei. Ma non poteva esserlo in realtà, proprio no.
Si rese conto di quanto tutte le sue paure stessero prendendo forma, proprio attraverso le parole della sorella.
Cosa avrebbe potuto fare? Abigail era lontana e lei in trappola.
“Sono davvero felice che tu  ti sia divertita così tanto con lui” si sforzò di dire, pur non convincendo nemmeno sé stessa. “Però cerca di andarci piano, eh?”
Abigail roteò gli occhi.
“Sembri tu la sorella maggiore ed io quella minore”
“Ma no”Adena tentò di rilassare il tono di voce “cerco solo di darti dei buoni consigli. Lo faresti anche tu per me, no?”
Abigail sorrise, incontrando il suo viso nello specchio appeso alla parete. Le gote erano vagamente arrossate e le labbra sembravano ancora bruciare sotto il tocco passionale di quelle di Ben.
Si passò un dito su di esse, per poi sorridere scioccamente, ancora su di giri. Il sole stava sorgendo eppure lei non avvertiva affatto la stanchezza.
“Si, farei altrettanto.  A tal proposito…” stavolta il tono della più grande assunse un tono malizioso “tu non hai novità?”
Nonostante la preoccupazione per i recenti sviluppi tra Abigail e Ben, nonostante avesse lo stomaco in subbuglio dal nervoso dovuto alla consapevolezza di non sapere come reagire, avvertì il suo cuore saltare un battito.
Isaac si intrufolò nei suoi pensieri, sconvolgendoli, portandola per un attimo a sorridere assorta.
“Ci sei ancora?” la richiamò sua sorella, perplessa.
Adena parve uscire dal suo stato di trance e avvampò. “Si. Comunque non ci sono novità” mentì. Non aveva voglia di parlare di Isaac con Abigail, d’altronde non avrebbe saputo esattamente cosa dire. Che fosse un licantropo era da escludere e che l’avesse baciato per distrarlo altrettanto. Troppo complicato esternare qualcosa di altrettanto poco chiaro anche per lei.
“Adesso devo andare” disse Abigail. “Ti cerco per messaggio più tardi. Ciao ciao”
“Va bene! E sta attenta a…”il click di sottofondo, interruppe Adena “…a Ben” completò la frase, ormai rivolta semplicemente a sé stessa.
Sospirò pesantemente, prima di tornare a sdraiarsi, pur sapendo che ormai non avrebbe più dormito. Un sabato come tanti per gli altri stava per iniziare e lei non aveva la più pallida idea di come affrontare la situazione. Era giunto il momento di chiedere aiuto alla persona giusta, probabilmente. 


Il sole era sorto da appena un’ora, quando Scott e Stiles si diressero in spiaggia. La brezza marina li colpì piacevolmente in viso, portandoli ad inspirare profondamente. Santa Monica era una sorta di naturale cura per tutti i mali; il paesaggio incantevole, il clima mite e la presenza dell’oceano riuscivano a lenire molte delle loro preoccupazioni.
Quella mattina Scott aveva deciso di provare a fare surf; aveva affittato la tavola e la tuta in uno dei negozi sul lungomare già due giorni prima, ma tra l’intrusione di Adena in casa e lo sconforto nel quale gli aveva gettati la morte del professor Jefferson, unica fonte alla quale affidarsi, la sua idea era stata accantonata per un po’.
Stiles aveva provato a farlo desistere, dicendogli che non aveva alcuna esperienza per poter provare da solo, ma Scott, appellandosi alla sua agilità e ai suoi riflessi soprannaturali, era rimasto della sua idea.
“Devo ricordarti cosa è successo sulla pista di pattinaggio? Allison ha dovuto tenerti per mano” rincarò la dose Stiles, gesticolando animatamente come era solito fare, specie nei momenti i cui cercava di essere persuadente.
Scott chiuse la zip della tuta e sorrise soddisfatto, guardando le onde in lontananza che increspavano l’oceano.
“Dai, sono migliorato tantissimo come licantropo, stavolta la mia agilità non mi tradirà”
“Come vuoi, io resterò in spiaggia a vederti cadere e ridere” ribatté Stiles, ironicamente.
“Grazie tante” fu la risposta divertita di Scott, prima che si avvicinasse in acqua.
Stiles prese ad osservarlo riparandosi lo sguardo dai raggi solari con la mano; Scott aveva preso la rincorsa, si era tuffato in acqua, poggiando il petto sulla tavola e nuotando alla ricerca di una buona onda da cavalcare, ma quando questa arrivò, come previsto, il suo equilibrio precario sulla tavola da surf lo portò a cadere in acqua.
Stiles si sforzò di non ridere, mentre Scott tornava alla carica, deciso a non mollare. Avrebbe surfato e lo avrebbe fatto alla grande, non voleva assolutamente fallire.
Stiles fece per sedersi sulla spiaggia, ma delle sirene della polizia lo fecero sobbalzare. Da dove provenivano? Focalizzandosi sul suono ininterrotto, comprese che fossero ad appena un centinaio di metri, probabilmente vicino qualche abitazione sul lungo mare.
“Scott!” urlò.
Il licantropo si voltò perplesso verso di lui.
“Vado a controllare una cosa! Torno subito!” gridò nuovamente, ricevendo come risposta dall’amico il pollice alzato in segno di ok.
Nel momento in cui si ritrovò a correre in direzione delle sirene, si rese conto di quanto fosse strano il fatto che stesse andando a controllare qualcosa che per lui non aveva assoluta importanza. Non era a Beacon Hills, non c’era suo padre come sceriffo o morti collegate a Kanima e Druidi; Santa Monica era una cittadina della contea di Los Angeles abbastanza grande e sirene della polizia dovevano suonare a diverse ore del giorno, tra segnalazioni, furti, aggressioni e quant’altro. Sua madre aveva ragione nel dirgli da bambino che aveva nel sangue la stessa vocazione di suo padre non solo per la giustizia, ma anche per le indagini e i misteri.
Come aveva ipotizzato, era uno dei villini con tanto di piscina sul lungomare, case certamente non alla portata di tutti. Due auto della polizia erano ferme davanti il cancello aperto, e una folla di curiosi era radunata all’esterno, oltre il nastro giallo che delimitava l’area di indagine.
“Cosa è successo?” domandò, senza rivolgersi a nessuno in particolare, ma sapendo che tra tanti qualcuno avrebbe fornito una risposta.
“Il povero Signor Brooks” asserì una donna, la voce tremante “dicono abbia gettato dell’acido nella piscina e poi vi si sia tuffato. Una morte orribile” concluse la signora con i bigodini sulla testa e la vestaglia ancora addosso. Doveva essere una vicina di casa e probabilmente doveva anche conoscerlo, visto quanto era visibilmente sconvolta.
Stiles fece per avanzare di qualche passo, tra la folla, cercando di guardare meglio. Quanto acido doveva aver gettato nella piscina? L’unica cosa che vide fu un lenzuolo bianco  su quello che doveva essere il signor Brooks, mentre poliziotti e unità di investigazione scientifica raccoglievano qualsiasi indizio che potesse chiarire la dinamica dei  fatti.
“Stiles!” lo chiamò una voce ben familiare, facendolo voltare.
Cassidy lo stava osservando, da dietro la folla, perplessa.
La raggiunse e solo in quel momento notò che fosse in tenuta da joggins, ma che non fosse sola. Accanto a lei vi era un ragazzo dai capelli castani, legati in un codino e con dei rasta, gli occhi scuri e la carnagione abbronzata, in aperto contrasto con la pelle lattea di Cassidy.
Quest’ultima rivolse un’occhiata incuriosita oltre le spalle di Stiles, crucciando lo sguardo.
“Stiles, cosa ci fai qui? Che succede?”
“Ero in spiaggia, ho sentito delle sirene e sono corso a vedere. Pare che il tipo che abitava in questa casa si sia ucciso, gettato nella piscina in cui aveva versato dell’acido” spiegò, rendendosi conto di quanto le sue parole risultassero incredibili persino alle sue stesse orecchie.
Cassidy spalancò la bocca sbalordita.
“Oh mio Dio… Non credevo che il signor Brooks soffrisse di depressione” asserì.
“Lo conoscevi dunque??” domandò Stiles, ma a rispondere fu il ragazzo accanto a Cassidy.
“Tutti lo conoscevano, una persona così avida di denaro e di potere.
Non mancherà a nessuno” sentenziò, calcando su ogni parola lasciando trapelare tutto l’odio ed il disprezzo. “Torno a correre, ci vediamo più tardi” disse infine, allontanandosi prima che Cassidy potesse fermarlo.
Stiles le rivolse uno sguardo interrogativo. “Ok, cos’erano quelle parole?”
Cassidy scosse la testa. “ Lui è Jhonny, devi scusarlo, in realtà è un ragazzo molto sensibile. Ha detto quelle parole perché il signor Brooks è uno dei soci di quella famosa fabbrica di cui ti ho parlato”
Il ragazzo annuì, incrociando le braccia pensieroso.
Quei fili che nella sua testa avevano solo creato nodi, ma non collegamenti, finalmente avevano iniziato a sciogliersi, ad andare al posto giusto.
Sapeva di esserci quasi, mancava davvero poco, ma le sue riflessioni furono interrotte dalla voce soave di Cassidy, che stava stringendo l’elastico con il quale teneva legati i capelli; focalizzandosi su quel particolare movimento, Stiles notò invece, che aveva usato il suo foulard bianco come nastro per i capelli.
Sembrava non separarsene davvero mai, doveva essere davvero importante per lei.
“Stiles? Cosa stai pensando?”
“Nulla di rilevante” rispose, facendo spallucce. “Mi stavi dicendo di Jhonny?”
Cassidy sorrise. “Non è che ti sei ingelosito?” lo stuzzicò, facendolo arrossire.
“Ma no, assolutamente!” si ritrovò a ribattere prontamente, sotto lo sguardo divertito dell’altra. Jackson l’aveva fatto ingelosire; Aiden avrebbe potuto farlo ingelosire. Non Jhonny.
“Stavo scherzando!” lo tranquillizzò la ragazza, continuando a sorridere “comunque ti stavo dicendo che è un bravo ragazzo e stavo per dirti che anche lui svolge volontariato con me, per questo conosceva il signor Brooks. Era uno dei soci con il quale avevamo parlato per lo smaltimento dei loro rifiuti, per cercare una soluzione”
Stiles annuì, sempre più perso nelle sue riflessioni, fin quando un pensiero improvviso lo illuminò, facendolo quasi sobbalzare.
“So cosa devo fare!” esclamò, sotto lo sguardo perplesso dell’altra. “Ciao Cassidy! E grazie, sei stata di grande aiuto!” esclamò, per poi correre via.
La ragazza lo osservò confusa, per poi alzare le spalle.
“E’ Stiles, inutile farsi domande” asserì.
 

“Stupefacente” gli occhi dell’uomo si riempirono di meraviglia. Dapprima titubante, poi più sicuro di sé, sfiorò con un dito gli artigli innaturali comparsi all’improvviso dalle mani dell’alunno migliore del suo corso di storia.
Peter Hale aveva solo sedici anni, eppure era già un ragazzo davvero promettente, con la giusta dose di intelligenza e scaltrezza. E, cosa più importante di tutte, era un licantropo, il fratello della famosa Talia Hale.
“Se le persone comuni sapessero quanta meraviglia viene nascosta proprio sotto il loro naso” asserì l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul viso paffutello.
Peter sorrise sghembo, ritirando gli artigli con naturalezza, completamente in armonia con la sua seconda natura.
“Le persone non apprezzerebbero come lei, professor Jefferson. Le persone hanno paura di quello che non possono capire e cercano di distruggerlo”
Jeff lo osservò qualche momento, prima di sospirare.
“Come la famiglia Argent? Sono dei cacciatori famosi e temibili. Ho incontrato una volta il loro leader, Gerard. Quell’uomo è stato capace di incutermi timore solo con uno sguardo”
“Gerard Argent è un fissato. Farebbe di tutto pur di sterminarci” sentenziò Peter, giocherellando con una matita battendola ritmicamente sulla cattedra.
“Deve essere difficile gestire anche questo... dover imparare a sopravvivere”
Peter scrollò le spalle, la solita scintilla nello sguardo chiaro come il cielo.
“Non è quello che fate anche voi comuni essere umani, imparare a sopravvivere? Vi ammalate, vi ferite…”
Jeff ridacchiò. “Non avevo pensato anche a questo. Dio, essere umani è terribile!”
“Mortale, direi” aggiunse il sedicenne, per poi alzarsi in piedi. Gli allenamenti di lacrosse lo attendevano.


Peter congiunse le mani all’altezza del bacino, in un gesto formale, stretto nella sua giacca nera. Il vento soffiava leggero fra le lapidi del cimitero di Santa Monica. Un modesto gruppo di persone, lui compreso, era radunato lì per volgere un ultimo saluto al caro professor Jeff Jefferson. Scorse qualche studente, qualche anziana signora, e diverse persone della sua età, forse dei familiari. Sapeva che la famiglia di origine dell’uomo viveva nel New Jersey, mentre la moglie defunta da anni aveva sempre vissuto in California.
Il reverendo pronunciò le ultime parole della funzione, prima di lasciare spazio a chiunque avesse voluto proferire qualche parola per ricordare l’uomo.
Si fece avanti una ragazza, che chiamò l’uomo “zio". Era sua nipote dunque.
Peter sospirò. Se fosse stato diverso, se fosse riuscito a mettere da parte la sua patina di finto orgoglio lupesco, avrebbe dato anche lui il suo addio a Jeff.
Avrebbe ricordato i vecchi tempi al liceo di Beacon Hills, la sincera amicizia che li aveva legati. Jeff Jefferson era l’unico al quale Peter non aveva mai riservato tiri mancini; aveva ucciso Laura, aveva tentato di fare altrettanto con Derek, aveva quasi fatto impazzire Lydia Martin, aveva minacciato diverse persone. Eppure mai aveva provato a fare altrettanto con il docente. Jeff era stato il suo mentore e lui nutriva stima e affetto sincero per lui, nonostante non lo avrebbe mai ammesso, nonostante il dolore provato per la sua perdita sarebbe rimasto confinato nel suo cuore.
Quando ormai la funzione giunse ufficialmente al termine, Peter salutò la ragazza. In realtà gli premeva conoscere le cause ufficiali della morte dell’uomo. Desiderava avere conferma che si fosse trattato di un malore.
“Bellissime parole, mi dispiace per la sua perdita”
La ragazza lo ringraziò, la voce roca dovuta al groppo in gola. “Era un suo collega?”
“Un vecchio alunno. Mi premeva chiederle cosa hanno detto i medici, è stato colto da un malore?”
La ragazza scosse la testa.
“Edema polmonare”
Peter corrugò la fronte. Ora iniziava a spiegarsi gli eccessi di tosse che avevano colpito l’uomo l’ultima volta che lo aveva visto.
“Acqua nei polmoni? Di solito non è dovuta ad insufficienza cardiaca?”
La ragazza annuì.
“Le cause non sono ben chiare, ma credo che ormai ciò non abbia più importanza” un lungo sospiro, prima che la giovane si congedasse, incamminandosi a passo lento verso il cancello d’uscita.
Peter inspirò profondamente.
Lui sarebbe rimasto ancora un po’ con il suo, probabilmente unico, amico Jeff Jefferson.
 

L’ultima volta che era stata a casa loro, aveva praticamente intossicato Derek con dello strozzalupo e tentato di ottenere in questa maniera il suo morso per essere trasformata. Sembravano trascorsi anni luce, visto come erano radicalmente cambiate le sue intenzioni dopo la chiacchierata con Scott, ma in realtà erano a malapena passati tre giorni.
Adena inspirò profondamente, prima di decidersi a suonare il campanello dei Parker. I poverini sposini si stavano godendo il sole di Miami, ignorando completamente che la loro casa, il loro paradiso d’amore, si fosse trasformato in un accampamento per lupi.
Sperava che ad aprirle fosse Scott o il suo amico strambo, Stiles.
Non sapeva cosa dire ad Isaac dopo il loro pseudo bacio e tutte le emozioni che ne erano derivate e i sentimenti che stavano prendendo prepotentemente possesso della sua mente e, soprattutto, non sapeva cosa dire a Derek, specie se avesse tentato di attaccarla.
Contro ogni sua preghiera, fu proprio l’alpha ad aprire la porta.
Derek la squadrò da capo a piedi con sguardo severo, prima di rivolgersi a lei altrettanto duramente.
“Cosa vuoi?”
Adena fece per aprir bocca, ma la figura che comparve alle spalle dell’uomo la bloccò.
Isaac le rivolse un sorriso, prima di guardare Derek con decisione.
“Non stavi per farle del male, vero?”
“Non prima di sapere il motivo della sua presenza qui. L’hai invitata tu?”
Adena scosse la testa rispondendo al posto dell’altro. Sapeva che tra i due, a causa sua, c’era dell’attrito e voleva evitare un altro litigio.
“Sono venuta qui per Scott” asserì, decisa.
I due licantropi le rivolsero un’occhiata sinceramente incuriosita.
“Come mai?” tornò ad indagare l’alpha.
“Ho bisogno di parlare con lui”
Isaac crucciò qualche secondo lo sguardo. Per una attimo una strana sensazione fastidiosa lo pervase, ma non fu capace di classificarla, quasi gli fosse estranea.
“Si trova in spiaggia, con Stiles. Voleva provare a fare surf” si decise a dirle.
“Bene, lo raggiungo” Adena fece per salutare, ma lo  sguardo che le rivolse Derek la ghiacciò all’istante. Sapeva che se fosse stato solo, senza nessuno ad interromperlo, l’avrebbe afferrata per la gola, anche solo per spaventarla.
Fece per allontanarsi, dirigendosi lungo il vialetto, quando la voce di Isaac la bloccò.
“Perché vuoi parlare con Scott?”
Adena si mordicchiò nervosamente il labbro, osservando Isaac indecisa. Per un attimo si sentì così piccola accanto a lui, che avrebbe solo voluto fuggire a gambe levate, nella consapevolezza che il suo comportamento lo stesse in qualche modo ferendo. Isaac sapeva già che in qualche modo si stava rivolgendo a Scott per una cosa importante e non a lui e la cosa lo feriva profondamente. Forse solo per orgoglio, forse anche per un sincero affetto che nutriva nei suoi confronti, come un amico.
“Ho bisogno del suo..del vostro aiuto” rivelò.
“E perché non ne parli con me?” c’era una velata accusa nella sua domanda. Perché ti stai fidando più di lui?
Adena sospirò e incrociò le braccia.
“Isaac, non ti sto mettendo da parte in questa faccenda. Mi fido di Scott e mi fido di te. Però preferisco prima ascoltare cosa ha lui da dirmi al riguardo”
“Insomma, un modo carino per dire che quello che avrei da dirti io al riguardo non è di tuo interesse. Adena, non prendermi in giro!” la ammonì. Per un attimo la guardò proprio come aveva fatto Derek poco prima e la cosa la gelò nuovamente. Non voleva essere guardata da Isaac, non in quel modo.
“Isaac, vuoi ascoltare le mie parole? Non trasformarle in qualcos’altro! Ho bisogno di parlare prima con Scott perché so che non agirebbe impulsivamente quanto te! Sto solo cercando il vostro aiuto, senza che tu nel frattempo faccia uccidere te stesso o…altri”
Il giovane Lahey le rivolse un’occhiata perplessa. “Altri? Adena, chi è in pericolo?”
“Dopo che avrò parlato con Scott saprai tutto, te lo prometto”
Adena fece per allontanarsi, ma Isaac la bloccò per un polso, attirandola a sé.
La ragazza lo osservò qualche istante perplessa e imbarazzata al contempo. Avvertì le labbra tremare, come se fossero in attesa di qualcosa che non avrebbe avuto senso attendere. Loro erano amici, se così potevano definirsi dopo un periodo così breve di tempo.
“Adena” un breve pausa, lo sguardo perso in quello verde della ragazza “torna presto. Ho bisogno di conoscere la verità”
Lei annuì. “Saprai tutto, niente più segreti” lo rassicurò.
“E pensare che l’altro giorno, quando ho provato a saperne di più, mi hai praticamente…”
“…insultato, detto che fossi un fallito, lo so…a tal proposito, scusa ancora” asserì, mortificata ancora al sol pensiero.
“Non importa, ma…” una breve pausa che portò la ragazza a domandarsi se Isaac non stesse ripensando anche al loro bacio “perché proprio adesso hai deciso di vuotare il sacco?”
Ben. Ben e Abigail erano stati il motivo principale, ma Isaac non avrebbe capito il nesso senza conoscere tutta la storia.
“Perché ho capito che sono in trappola e posso fidarmi solo di voi. Non posso più…” Adena socchiuse gli occhi, sentendo il peso di quelle parole sul suo ego, proprio lei che aveva sempre affrontato tutto contando sulle sue sole forze “…non posso più affrontare tutto questo da sola”
Isaac lascio scivolare le dita dal polso lungo il braccio, risalendo fino alla spalla. Avrebbe voluto accarezzarle la guancia, ma il pensiero che avrebbe potuto sfuggire al suo tocco lo inibì.
Non era abituato a sentirsi così. Non lo era stato nemmeno con Allison quel breve periodo in cui si erano avvicinati.
Si lanciarono un ultimo sguardo di assenso, prima che Adena prendesse la via per la spiaggia.
 

Il modo in cui l’aveva guardata Isaac riusciva a tormentarla ancora, come uno spillo.
Era preoccupato per lei, ma al contempo era evidente anche quanto una parte di lui risentisse del fatto che, non solo avesse impiegato tempo per dire la verità, ma adesso lo stava facendo confidandosi con Scott.
Ma come lei stessa aveva detto, Isaac avrebbe reagito impulsivamente, Scott no. In Scott vedeva un leader che persino lei avrebbe seguito fiduciosamente; in Isaac vedeva qualcuno che, chissà come e perché visto il suo carattere difficile, le voleva bene e non avrebbe tollerato saperla in pericolo.
Come le era stato detto,  Adena trovò Scott in acqua, intento a cavalcare le onde, o almeno a provarci, visto le numerose cadute.
Si avvicinò verso la riva, le ballerine in mano per non farci entrare dentro la sabbia, per poi chiamare Scott a gran voce.
Fece ancora qualche passo avanti, lasciando che l’acqua le arrivasse alle caviglie, sventolando la mano in direzione del licantropo che, avendo udito il suo richiamo grazie ai suoi sensi, ricambiò con un cenno della mano facendole segno di pazientare ancora un minuto.
In quel frangente, qualcosa le sfiorò la caviglia sinistra. Abbassò lo sguardo velocemente, giusto il tempo di distinguere qualcosa che avrebbe faticato a descrivere a parole.
Una mano la stava tenendo. Una mano fatta di acqua.
Aprì la bocca incredula, ma prima di poter fare qualsiasi cosa, venne trascinata nell’oceano, sotto lo sguardo incredulo di Scott.
L’acqua le entrò in bocca, nelle narici, negli occhi. Ormai era a diversi metri dalla spiaggia. Qualunque cosa fosse, quella mano l’aveva trascinata senza problemi ed ora le stava impedendo di tornare a galla.
Il panico misto alla consapevolezza che sarebbe probabilmente annegata le offuscò la mente. Avrebbe pianto o gridato se solo avesse potuto, ma quell’esplosione di sentimenti fuori controllo era destinata ad essere contenuta, a palesarsi solo attraverso l’agitazione dei suoi movimenti, i suoi tentativi di lotta, lo sguardo terrorizzato.
Non riusciva più a trattenere il fiato, la testa le stava scoppiando e abbandonandosi al riflesso primario, aprì la bocca, lasciando affluire solo acqua e non aria.
L’ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, furono delle braccia invisibili che la tenevano ferma saldamente e udì la voce ovattata di Scott lontana anni luce.

 
Sa, quando uno annega, non inala fino a un attimo prima di perdere conoscenza.
Viene chiamata apnea volontaria.
Cioè non importa quanto sei nel panico, l’istinto di non fare entrare acqua è così forte
che non apri la bocca fino a quando non senti che ti esplode la testa.
 Poi, quando alla fine la fai entrare,
smette di far male.
Non fa più paura. E’ come trovare la pace.

Stiles, 2x11


 
Scott osservò incredulo la scena. Qualcosa aveva trascinato Adena in acqua; qualcosa di invisibile.
Nuotò per raggiungerla, chiamandola a gran voce e, nel momento in cui le fu abbastanza vicino, scorse delle fattezze umane, invisibili, come un corpo trasparente, composto solo da acqua.
Non con poche difficoltà, riuscì ad afferrare Adena, mentre quest’entità misteriosa, sovrannaturale, si disciolse, disperdendosi nel’oceano come nulla fosse, senza nemmeno opporre resistenza.
Trascinò Adena fino alla riva, per poi poggiarla con attenzione sulla spiaggia. La ragazza aveva perso i sensi  non stava più respirando.
“Oh mio Dio” asserì, allarmato.
Cosa aveva imparato grazie a sua madre? Tutte le lezioni di primo soccorso della donna stavano per trovare applicazione pratica, suo malgrado.
Prese a battere ripetutamente le mani sul petto della ragazza, invano.
“Andiamo Adena, resta con me!” sbottò, allarmato.
Le chiuse il naso e provò con la respirazione bocca a bocca.
“Resta con me, resta con me” ripeté, battendo ritmicamente sul petto e alternando con la respirazione.
Le sue speranze iniziarono a vacillare, ma nel momento in cui il pensiero che non ci fosse più nulla da fare prese il sopravvento, Adena sputò l’acqua ingerita e tossì.
La ragazza aprì gli occhi, sconvolta e intontita da quanto appena avvenuto, ma ebbe la forza di pronunciare qualche parola.
“Mi hai salvata” sussurrò, la voce strozzata.
Il sollievo per  Scott fu tale che le strinse forte la mano e si lasciò andare ad un lungo sospiro.
“Non ti avrei lasciata andare così” affermò, per poi volgere lo sguardo verso l’oceano. Adesso non gli appariva più come una distesa infinita innocua. Ebbe un sussulto ripensando a ciò che aveva visto.
“Cosa diavolo era quella cosa?” domandò, pur sapendo che Adena non avrebbe saputo fornirgli una risposta.
“Non lo so” qualche altro colpo di tosse “ma di una cosa sono certa: non mi ha attaccata casualmente”



*Adena ha la stessa suoneria del cellulare di Dean Winchester di “Supernatural”. È stato più forte di me.

Dopo la settimana di pausa, eccomi tornata con questa nuova puntata di Save the pack. Spero che abbiate sentito almeno un pochettino la mancanza di questa "stramba" combriccola. xD
In questo capitolo, finalmente scopriamo come è fatto il nuovo nemico - ma non l'unico - e uno schema inizia a delinearsi, per la gioia di Stiles! Anche Adena è ormai pronta a confessare i suoi segreti... pronti alla rivelazione della prossima settimana?
Avendo ricontrollato velocemente il capitolo - lo studio chiama - spero non ci siano troppi errori sparsi per il capitolo.
Come sempre, ringrazio chi ha aggiunto la storia tra le preferite/seguite e chi ha speso qualche minuto del suo tempo per recensire. Grazie, grazie di cuore. <3
Ultimo, ma non meno importante, ringraziamento va a SARA -Lucinda, Shannon, ci sono tanti nomi con i quali chiamarla xD - che ha creato questa bellissima immagine per la seconda parte della serie prima della prossima pausa. Grazie tesoro, è bellissima <3 Mi auguro che anche questo capitolo sia di vostro gradimento .-.
A mercoledì!
Un bacione, 
Ely 91

NEXT ON "SAVE THE PACK"
"Abbiamo bisogno di aiuto"
"Chi chiamerai?"
"L'unico che può davvero fornirci qualche risposta. La nostra ultima possibilità"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 1x06 - Allison ***


Image and video hosting by TinyPic


1X06 - ALLISON


Isaac scattò immediatamente in piedi, strabuzzando gli occhi stupito. Sembrava non ci fosse mai pace per quelli come lui; i guai continuavano ad arrivare, le soluzioni a tardare.
Scott era piombato in salotto, con Adena provata fisicamente tra le braccia, zuppa dalla testa ai piedi e scalza.
Osservò il suo amico, quello che gli sarebbe  piaciuto chiamare il “migliore amico”, aiutarla a stendersi sul divano, scansandole qualche ciuffo bagnato dal viso con una carezza. Quel gesto gli provocò di nuovo una strana sensazione indefinita, ma fastidiosa, come quando Adena aveva chiesto di Scott per parlare con lui, una mezz’ora prima. Tuttavia la preoccupazione fece capolino fra tutte le sue emozioni e lo spinse a precipitarsi accanto alla ragazza.
“Cosa è successo?”
Alla sua domanda, udì dei passi. Sapeva che Derek aveva appena varcato la soglia del salotto e, poteva ben immaginarlo, con un’espressione perplessa, ma non spaventata. Non aveva a cuore il benessere di Adena. Sapeva che una parte di Derek l’aveva ormai marchiata come una traditrice, come se lo avesse tradito alla stessa portata di Jennifer. La colpa di cui si era macchiata Adena, se così poteva essere definita, era decisamente meno grave, più classificabile come una bravata. Eppure Derek non si fidava, era convinto nascondesse qualcosa di malvagio.
Scott osservò l’espressione stravolta dell’amico, ma anche lui sembrava molto provato; indossava ancora la tuta per il surf e, Isaac poteva sentirlo chiaramente, il suo cuore batteva all’impazzata.
“Sei spaventato?” domandò, incredulo. Credeva che ormai quasi nulla potesse spaventare Scott, visto tutto quello che avevano passato recentemente.
“Scott?” lo richiamò Derek, turbato.
“Adena, è quasi morta. Ho creduto di non farcela, credevo che ormai fosse…andata” affermò.
“Stavo per annegare” aggiunse Adena, la voce ridotta ad un sussurro. Non riusciva a parlare molto, l’acqua che aveva ingerito per alcuni istanti sembrava le avesse graffiato la gola come fosse fatta di spine.
“Il punto è che è stato qualcosa, a tentare di ucciderla” spiegò Scott.
Isaac e Derek si guardarono un istante, meravigliati e perplessi al contempo.
“Qualcosa?” ripetè Derek “che intendi per qualcosa?”
“Non lo so” Scott prese a camminare nervosamente avanti e indietro “era fatto di acqua”.
Derek inarcò un sopracciglio incredulo.
“Hai bevuto acqua dell’oceano?” domandò, una nota di sarcasmo nella voce. Fra tutte le cose che aveva combattuto nella sua vita, mai avrebbe pensato di sentirsi dire che ci fosse anche un essere composto di acqua.  Era irreale, difficile da credere, ma dallo sguardo di Scott comprese come quella non fosse solo una sorta di allucinazione, ma la realtà dei fatti. Scott lo aveva visto davvero, qualunque cosa fosse realmente.
Incrociò le braccia e rivolse un’occhiata colpevole in direzione della ragazza.
“Perché ha tentato di uccidere lei? Cosa ci stai nascondendo?”
Adena roteò gli occhi. Se solo avesse avuto le energie, avrebbe intavolato con lui una lunga discussione dai toni poco pacati, ma decise di porre in secondo piano la reazione stizzita dettatale dall’impulso e di mettersi a sedere per poter finalmente rivelare il suo segreto.
Isaac l’aiuto a sedersi, accompagnando con studiata premura ogni suo movimento. Derek osservò la scena con evidente disappunto. Odiava l’avvicinamento fra Isaac e Adena; sapeva che quella ragazza lo avrebbe ferito.
Adena sospirò pesantemente. Iniziava ad essere infreddolita e l’unico pensiero che riusciva a consolarla era che una volta finita quella conversazione si sarebbe abbandonata ad una lunga doccia calda.
Scott la osservava, in piedi accanto una piccola libreria, ansioso come gli altri di conoscere il mistero che l’aveva accompagnata fino a quel momento.
“Avrei voluto affrontare questa conversazione solo con Scott, come ben sapete, ma credo che ormai sia del tutto inutile rimandare” una breve pausa “ la notte in cui sono entrata in casa vostra, ho detto a Derek che sapevo che fosse un licantropo, perché potevo sentirlo”
Il suo sguardo incrociò quello dell’alpha, mentre pronunciò con decisione le parole successive. “Non avevo mentito”
“E come è possibile che tu possa sentirlo? Sicura di essere umana?” intervenne Scott.
Adena rise. “Accidenti se lo sono! Non ho alcun tipo di capacità sovrannaturali, ve lo posso assicurare”
“Magari è una sensitiva”
Tutti si voltarono in contemporanea a quelle parole, in direzione della porta. Stiles aveva fatto il suo ingresso, il fiato corto probabilmente per la corsa appena fatta. Tutti gli ingranaggi che si stavano muovendo nella sua testa lo avevano fatto correre dapprima in spiaggia da Scott e poi a casa, non avendolo trovato.
Scott gli sorrise. “Quella della sensitiva resta sempre la tua ipotesi preferita, non è vero?”
Stiles ricambiò con un sorriso, per poi tornare a focalizzarsi, come tutti gli altri, su Adena.
“Cosa è successo? Perché è completamente bagnata?” indagò il figlio del vicesceriffo.
“Te lo spiego dopo, ora lasciala parlare” rispose Scott, prima che udisse dei passi a lui familiari.
Qualche attimo dopo, Peter Hale fece il suo ingresso nella stanza. Li osservò perplesso, prima di incrociare le braccia. “Cosa mi sono perso? Un’altra festa di compleanno alla quale non sono stato invitato?”
“Meglio. La verità” asserì Derek, indicando con un cenno del capo Adena. La ragazza tornò a parlare, non prima di aver sospirato pesantemente, come a volersi fare forza.
“Quello che intendevo dire prima, è che Derek, voi altri, non siete stati i primi licantropi che ho percepito in quanto tali. Da un mese ho scoperto la vostra esistenza, quando me ne sono ritrovato uno in casa.
Il fidanzato di mia madre. Quando mi ha stretto la mano la prima volta, ho provato questa strana scarica. La mia mente mi ha urlato che non fosse…normale…ma allora non ci badai più di tanto. Fin quando… non si è rivelato lui stesso. È successo tutto una sera come tante, mia madre aveva organizzato una cena perché lui voleva conoscermi meglio. Non ne fui molto entusiasta, ma accettai…

“Adena, mi raccomando, niente frecciatine, niente sarcasmo”
La donna bionda puntò il dito contro la ragazza, in segno di ammonimento.
“Ma mamma!” protestò la ragazza “cosa c’è di male nel mio sarcasmo?”
“Il sarcasmo offende. Specialmente il tuo” le fece presente l’altra, con un tono che lasciava intendere come la conversazione fosse ormai chiusa.
La ragazza sbuffò. Sua madre avrebbe dovuto apprezzare il fatto che non avesse fatto particolari storie per la sua idea di portarle un altro uomo in casa che non fosse suo padre.
Suo padre ormai viveva a Denver da due anni, dal momento in cui le carte del divorzio erano state firmate. Sua sorella Abigail frequentava ormai il college da un anno e quindi lei era l’unica a dover interagire con Nathaniel, il trentenne di successo che, caso strano, aveva perso la testa per un donna più grande di dieci anni; il maggior azionista della nuova fabbrica mal vista dagli ambientalisti che aveva guadagnato una fortuna grazie ai giusti investimenti, permettendo alla fabbrica di creare nuovi posti di lavoro, ma anche tante proteste da parte delle associazioni locali. Il tutto, inoltre, si era accentuato dopo il delfino trovato morto sulla spiaggia, appena due giorni prima. Tutti sospettavano che fosse stato l’inquinamento prodotto dai loro rifiuti ad aver segnato la fine del povero mammifero.
Sua madre spense il forno dal quale proveniva odore di arrosto e tolse la teglia. Liberatasi dal guantone da forno, superò Adena a passo svelto, dicendole che doveva darsi un’ultima sistemata prima che Nathaniel arrivasse e che doveva aprire lei nel caso fosse arrivato mentre era ancora davanti lo specchio.
“Va bene, va bene” sbottò, lanciandosi sul divano e afferrando il telecomando.
Stavano trasmettendo in replica un episodio di “Buffy – The vampire slayer”.
“Accidenti, quanto è sexy Spike?” asserì, rivolta a sé stessa, osservando il biondo ossigenato dal look punk ingaggiare una lotta con la bionda cacciatrice.
Nel mezzo della visione, il campanello suonò.
Si alzò sbuffando, sapendo che non poteva trattarsi di altri che di Nathaniel, e andò ad aprire.
Come previsto, l’uomo le rivolse un sorriso radioso, entrando e liberandosi della giacca.
“Tua madre?” le chiese, con quel sorriso continuo, neanche avesse dovuto venderle un dentifricio.
Adena sfiorò accidentalmente il braccio dell’uomo e trasalì, ricevendo quella che le sembrò come una scarica elettrica.
Stavolta anche l’uomo sembrò avvertirla, visto che la guardò stranito.
“Mamma è in camera, arriva subito” disse Adena, improvvisamente nervosa. Sembrava che tutti i suoi sensi volessero metterla in allerta sull’uomo, come fosse stato pericoloso, eppure non avrebbe saputo dire perché. La seguì in salotto, sempre troppo vicino.
Istintivamente arretrò, urtando con un piede la gamba del tavolinetto basso di legno accanto il divano.
Nathaniel le rivolse un sorriso sghembo. Pensava stesse per intavolare una conversazione piacevole, ma, suo malgrado, le rivolse delle parole poco rassicuranti.
“Sei nervosa, Adena? La mia presenza ti innervosisce?” non era una domanda rivoltale con il tentativo di poterla mettere a suo agio se necessario; c’era del veleno nelle sue parole, del puro scherno.
“No, affatto” mentì, sperando improvvisamente che sua madre facesse in fretta.
“Eppure posso leggertelo negli occhi. Non vedi l’ora che io esca da casa tua. E poi…l’ho sentito. Una sorta di strana scarica. Dio, non puoi nemmeno lontanamente capire quanto la cosa sia divertente per me”
Nathaniel rise, scosse la testa e si alzò, fronteggiandola.
Adena lo guardò confusa, decisa a non lasciare che la paura prendesse il sopravvento. Nathaniel la stava seriamente spaventando con le sue parole ed i suoi sensi sembravano voler confermare la sua sensazione.
“Di cosa stai parlando?” sibilò, spazientita e decisa a non nasconderlo.
“Di te, Adena. Sei sempre stata tu” Nathaniel rideva, ma la sua aveva tutta l’aria di essere una risata isterica, la risata di un folle. “Tutto questo tempo a cercare una come te e finalmente ti ho trovata”
Un passo avanti. Adena arretrò ancora, trovandosi con le spalle al muro.
Nathaniel continuò il suo discorso delirante.
“Un druido, il mio messo, mi aveva detto che dovevo cercare qui, che forti energie provenivano dalla tua famiglia e allora mi sono avvicinato a tua madre. Credevo fosse lei. Ed invece eri tu, ti ho sempre avuta sotto gli occhi per tutte queste settimane, senza sapere che non avevo bisogno di fingere che mi piacesse una donna qualunque e mediocre come tua madre. Bastava avvicinarmi a te”
Le sfiorò le labbra con il pollice. Adena gli rivolse uno sguardo pieno di odio, scacciando la sua mano con stizza.
“Tu sei pazzo! E non permetterti di parlare in questa maniera di mia madre. Ora andrò a dirle tutto e lei ti manderà dritto all’inferno, brutto coglione!”
Fece per muoversi, ma Nathaniel poggiò entrambe le braccia al muro, inchiodandola contro la parete.
“Oh no, mia cara. Tu non farai proprio un bel niente. Non posso ucciderti, ho bisogno di te per la prossima luna piena, ma posso fare del male a tua madre, se necessario. Ad Abigail. Ad Andrew, tuo padre. Vive a Denver, giusto? Bella città, Michael me ne ha parlato molto bene”
“Cosa…cosa stai dicendo??” Adena quasi urlò, il fiato corto dall’agitazione, la confusione più totale nella sua testa.
“A cosa ti servo? Cosa c’entrano i miei familiari? Chi sei tu??”
“Oh no, Adena. La domanda giusta è: cosa sono io?” un ghigno, prima che tornasse a parlare “guardami negli occhi, dolcezza”
Adena alzò leggermene lo sguardo, per poi strabuzzarlo dalla sorpresa.
Occhi rossi. Animaleschi, selvaggi.
“Stupefacente, vero?” la schernì. “E non hai ancora visto il resto” le puntò l’indice davanti il volto, prima di sfoderare un lungo artiglio.
Adena avrebbe voluto urlare, ma al contempo si sentì sopraffatta.
Iniziava a capire che non sarebbe bastato chiamare la polizia e denunciare l’uomo per molestie o qualcosa che potesse tenerlo lontano da lei e da sua madre. C’era qualcosa di più in ballo. Qualcosa di innaturale.
“Sei…” non poteva dirlo, non riusciva. Non poteva credere che fosse possibile, era troppo, troppo anche per una mente da sognatrice come la sua.
“Dillo, Adena, è la risposta giusta, lo sai anche tu”
La ragazza chiuse gli occhi, una lacrima silenziosa che le scendeva lungo la  guancia.
“Un licantropo” sussurrò.
“Bingo, Adena. Bravissima. Ma non sono solo un licantropo. Io sono un alpha. Basta un mio morso per poter creare un altro come me. È così che mi sono formato un branco. Ben, Michael…il nostro messo”
Il nome Michael la fece sobbalzare. Le ricordò le parole dell’uomo di poco prima. Michael era a Denver, come suo padre.
Iniziava a capire cosa avesse voluto dire.
“Michael è a Denver e Ben da Abigail, non è vero?” chiese, con un filo di voce, il battito del cuore impazzito per la tensione.
“Che ragazza sveglia”
“E li ammazzerai se non terrò la bocca chiusa su di te con loro e mia madre, vero?”
Nathaniel le sorrise.
“Esatto, dolcezza. Nulla deve mettersi tra me e il mio piano”
“A cosa ti servo?” ebbe la prontezza di chiedere, il respiro affannato dal peso di quelle informazioni, dalla paura, dalla preoccupazione, dalla consapevolezza di essere in trappola, di aver scoperto qualcosa di pericoloso e sovrannaturale e di non poterlo dire a nessuno, di non poter chiedere aiuto a nessuno. Nemmeno a Sasha, la sua migliore amica.
“Questo non posso dirtelo, dolcezza. Ma posso prometterti una cosa” avvicinò il viso al suo, accarezzandole la guancia “dopo la luna piena sarà tutto finito”
La maniglia della camera di sua madre scattò. “Tesoro? Nathaniel?” chiamò la donna.
“Ora levati quell’espressione dalla faccia e sorridi. O giuro che le taglio la gola davanti a te” le sussurrò Nathaniel, prima di tornare a sedersi sul divano.
La donna fece il suo ingresso in salotto, sorridente.
“Eccovi qui” esclamò, avvicinandosi a Nathaniel per dargli un soffice bacio sulle labbra.
“Tesoro, sei incantevole!” si complimentò l’uomo, prima di indicare con un cenno del capo la ragazza “io e Adena stavamo parlando di astronomia. Le fasi lunari, saranno anche scontate, ma hanno sempre il loro fascino. Non è vero, Adena?”
La ragazza annuì, ancora pietrificata.
“Tesoro, stai bene? Hai un’espressione stravolta” le domandò la madre.
Nathaniel la fulminò con lo sguardo. Adena finse un sorriso. “Stavo pensando che domani avrò un test a scuola e sono molto nervosa, scusatemi. Allora, vogliamo metterci a tavola?”


…ed è questo il motivo per il quale volevo parlarne prima con Scott. Temevo che Isaac avesse potuto reagire impulsivamente, mettendo a repentaglio le vite dei miei genitori e di Abigail. Ed è questo il motivo per cui volevo essere morsa da Derek. Pensavo che se fossi diventata più forte avrei potuto uccidere lui e i suoi beta”
Gli sguardi di tutti si incontrarono, tutte le informazioni ricevute in piena elaborazione. Isaac si agitò nervosamente sul suo posto, come se stesse trattenendo a stento l’impulso di correre ad affrontare Nathaniel. Volse lo sguardo a Scott. Sapeva che lui avrebbe potuto comprenderlo.
Derek sospirò, ammettendo con riluttanza che aveva sbagliato su Adena, tuttavia senza dirlo ad alta voce.
Scott poggiò una mano sulla spalla di Adena. “Ti aiuteremo, ora non dovrai più affrontare tutto questo da sola” la rassicurò, ricevendo uno sguardo di sincera gratitudine dall’altra.
“Cosa vuole da te? Cosa succederà durante la luna piena?” si interrogò Stiles, dando voce alla muta domanda che tutti si stavano ponendo.
“Lui è un alpha, la luna piena è un tramite di energie, vuole sicuramente svolgere un rituale” spiegò Peter “difatti anche noi dovremmo compiere il rituale per Erica e Boyd durante la luna piena” aggiunse, usando un condizionale che pesò sul cuore di tutti come un macigno. La loro speranza era ormai appesa ad un filo.
“Il nostro rituale, lo stesso usato da te per tornare in vita, necessita di un essere non umano. Dunque anche Adena dovrebbe non esserlo, se la tua ipotesi è corretta” asserì Derek.
Adena li guardò sorpresa.
“Ragazzi, davvero, mi piacerebbe poter dire che non sono una semplice umana, ma purtroppo lo sono”
“Forse è quello che credi tu” la corresse Stiles “anche Lydia non sapeva di essere una banshee”
Adena li guardò ad uno ad uno, sempre più allibita.
Mai e poi mai l’aveva sfiorata l’idea che potesse non essere umana. Sapeva che non fosse normale il suo modo di percepire la natura sovrannaturale dei licantropi, ma tra le tante spiegazioni che si era data – e la sensitiva era tra queste – non aveva mai preso in considerazione che lei fosse una di loro. Non un licantropo, ovviamente, ma un essere sovrannaturale.
“È strano” disse, alzandosi e avvicinandosi ala finestra, volgendo distrattamente lo sguardo all’esterno “è come se l’Adena che conosco, in realtà sia un’estranea. Come se dovessi ancora imparare a conoscere me stessa”
Isaac la osservò. Si domandò se anche lei fosse una “donna piangente” come Lydia. Al momento gli venne in mente che le uniche volte in cui Adena aveva alzato la voce era stato contro di lui e la cosa, in quel momento, lo fece quasi  ridere, ma non proferì parola.
“Che facciamo?” domandò invece.
Scott afferrò il cellulare e aprì la rubrica. “Abbiamo bisogno di aiuto”
“Chi chiamerai?”
“L’unico che può davvero fornirci qualche risposta. La nostra ultima possibilità”
“Deaton” asserì Stiles, capendo immediatamente.
“Chi è Deaton?” chiese Adena.
“Il capo di Scott e un druido” le rispose Isaac.
“Ragazzi, prima di parlare con Deaton, ho delle novità” li interruppe Stiles.
“Ovvero?” chiese Derek, incrociando le braccia.
“Uno dei soci azionisti della fabbrica che ha portato alla morte del delfino, si è ucciso, gettando dell’acido nella sua piscina e tuffandosi dentro”
“E questo cosa c’entra?” chiese Isaac.
“Non capite? È tutto collegato a quel delfino! Jefferson l’aveva capito, perciò stava indagando e forse voleva parlarci proprio di quello, la mattina in cui l’abbiamo trovato morto”
Peter lo guardò sorpreso.
“Ora che mi ci fai pensare, la nipote di Jeff oggi mi ha detto che la causa della morte è stato un edema polmonare”
“Acqua…” sussurrò Scott, per poi sobbalzare “e oggi nell’acqua qualcosa ha tentato di uccidere Adena, qualcosa fatto di acqua!”
“Cosa??” chiese stupito Stiles. “Oh mio Dio, allora l’acqua è il collegamento. L’acqua è la risposta per tutto!” esclamò. “Devo fare delle ricerche! Corro al computer fisso della coppietta!” affermò, un luccichio nei suoi occhi. Il luccichio della verità.
“Ok, io chiamo Deaton invece. Magari può fornirci qualche informazione utile sulle intenzioni di Nathaniel e sulla natura di Adena”
“Bene, allora noi torniamo a casa di Jeff” disse Peter indicando lui ed il nipote “forse troviamo qualcosa che può tornarci utile per entrambe le faccende”


Adena stava fornendo maggiori dettagli sul suo incidente a Peter e Derek, per sapere cosa cercare di preciso fra gli appunti e i testi del professor Jefferson, mentre Scott concludeva la sua telefonata con Deaton. Isaac gli fu subito accanto, una muta domanda nello sguardo.
“Sembrava abbastanza turbato. Ha detto che ha bisogno di vedere Adena per capire qualcosa su di lei. Sta venendo qui” spiegò.
Isaac sospirò. “Sai” disse “sapere che presto Deaton sarà qui e potrà aiutarci mi tranquillizza molto”
“Non immagini nemmeno quanto valga lo stesso per me” confessò a sua volta Scott. “Deaton è come un padre per me e riesce sempre ad aiutarci. Questa situazione è più grande di noi, e stiamo brancolando nel buio. Lui potrà essere la nostra luce”
Calò il silenzio per qualche istante, prima che Isaac tornasse a proferir parola.
“Grazie per aver salvato Adena. Se non ci fossi stato tu…”
Scott scosse la testa. “Non avrei mai lasciato che succedesse qualcosa, specie a lei”
Quell’ultima precisazione, portò per la terza volta a manifestarsi in Isaac quella strana sensazione fastidiosa. Scott parve accorgersi del repentino cambio d’umore dell’amico.
“Cosa c’è?”
“Sei molto legato ad Adena, nonostante è entrata nelle nostre vite da poco”
Scott lo osservò qualche istante, prima di scuotere la testa, trattenendo una risata.
Isaac inarcò un sopracciglio. “Cosa c’è di divertente in quello che ho detto?”
“Sei geloso, Isaac?” domandò Scott. Non vi era cenno di provocazione nel tono della sua voce, solo la ricerca di una conferma decisamente scontata.
Isaac lo osservò qualche istante perplesso e a disagio, prima di negare a gran voce.
“Ma cosa dici? Assolutamente no!”
Scott ridacchiò. “Eppure non si direbbe” lo punzecchiò, bonariamente.
“Sai” tornò a dire Isaac “dopo il breve flirt tra me ed Allison, non mi stupirei se tu volessi ripagarmi con la stessa moneta”
Scott soppesò a lungo quelle parole. L’avvicinamento tra Isaac ed Allison lo aveva fatto soffrire come non mai e, cosa peggiore, proprio nel momento in cui aveva dovuto tenere tutto dentro perché impegnato a salvare sua madre e i genitori dei suoi amici. Solo un “okay”, nel laboratorio veterinario di Deaton, aveva  potuto concedersi. Ricordò la successiva pacca sulla spalla di Stiles, la sensazione di calore trasmessagli, e di nuovo ne risentì il benevolo effetto. Stiles era la sua ancora, in ogni momento.
“Adena non è Allison” disse.
“Eppure mostri nei suoi confronti una premura particolare” gli fece notare Isaac. Scott appurò che aveva ragione, era sempre molto cordiale e attento nei confronti della ragazza.
“La considero un’amica” si difese il licantropo “ma non è Allison. Non sarà la ragazza che farà stare male uno dei due mentre si avvicina all’altro. Non accadrà di nuovo”
Il senso di colpa si mosse in Isaac. Solo una volta aveva porto una sorta di scuse a Scott per aver in qualche modo ferito lui che considerava il suo amico più caro.
“Sono felice che Adena abbia un amico come te” asserì Isaac.
Scott non poté aggiungere altro, che la ragazza tornò nella stanza, lasciandosi sfuggire uno starnuto.
“Ho bisogno di una doccia calda” affermò, rabbrividendo negli abiti ormai umidi “e di un cambio di abiti. Devo andare a casa”
Isaac annuì. “Vengo con te”
Adena lo osservò qualche istante, prima di sorridere maliziosamente. “Non era un invito implicito per fare una doccia con me” lo punzecchiò, facendolo arrossire leggermente.
“Se continui così, ti mordo, altro che” ribatté il ragazzo, in tono scherzoso.
“Tu cosa farai?” domandò invece Adena a Scott.
“Io darò una mano a Stiles con le sue ricerche, in attesa che arrivi Deaton. Raggiungeteci dopo che ti sarai cambiata”
Isaac e Adena annuirono contemporaneamente.
“Va bene, a dopo”
Le cose forse potevano risolversi, pensò Scott, forse potevano farcela lavorando così efficacemente come un vero branco, cosa che avevano imparato a fare solo con la faccenda di Jennifer.
Anche Lydia ed Allison erano parte del loro branco.
Pensare a quest’ultima gli provocò un tuffo nel cuore. Allison adesso sarebbe stata di grande aiuto. Ed un sollievo per il suo cuore.



Sembra ieri che Save the pack è nata nella mia testa ed è stata poi pubblicata qui su EFP, ed invece siamo già a metà serie.
Meritate un grazie, tutti voi che avete letto, recensito e aggiunto la storia tra le preferite/seguite. Siete una grande fonte di incoraggiamento per me, per portare avanti questa fanfiction, perciò grazie, grazie, grazie.
Passando a questo sesto episodio, finalmente, dopo tante domande senza risposta, ci stiamo avvicinando a diverse svolte. Oggi, leggendo, avrete modo di conoscere ancora meglio Adena e, soprattutto, cosa stava nascondendo, perché desiderava essere morsa. 
Spero davvero che sia di vostro gradimento!
A mercoledì!
Un bacione, 
Ely 91

 

NEXT ON "SAVE THE PACK":

Deaton la osservò incuriosito, per poi focalizzarsi sull'anello a forma di rosa.
"È un cimelio di famiglia, non è vero?"
"Come lo sa?" 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 1x07 - Quello che siamo ***


Image and video hosting by TinyPic

 

1x07 - QUELLO CHE SIAMO


Un po’ come un pittore preso dall’estasi artistica davanti ad una tela bianca, anche Stiles avvertiva quell’inebriante sensazione pervaderlo pienamente, davanti lo schermo del computer fisso. Tutti i nodi nella sua testa stavano diventando fili perfettamente stesi, pronti a collegarsi con altri, fino alla soluzione finale. Ce l’aveva quasi fatta, ne era certo.
“Cosa stai cercando?” domandò Scott, sedendosi di fianco a lui di fronte la scrivania.
Stiles digitò poche parole chiave nel motore di ricerca: “Santa Monica bambino scomparso”.
Il licantropo lo guardò confuso.
“Cosa ha vedere questo con tutto il resto?”
“Non capisci? Credo siano tutti collegati: il bambino, il ragazzo della sparatoria, il professor Jefferson, il tipo della piscina, Adena, il delfino. C’è qualcosa che li unisce, qualcosa che ci sta sfuggendo”
Scott lo osservò perplesso.
“Ma il ragazzo della sparatoria ha agito davanti ai nostri occhi e posso assicurarti che fosse consapevole di cosa stesse facendo” gli fece notare.
“E se fosse quello che crediamo noi? Se fosse ciò che quella stessa cosa d’acqua voglia farci credere? Riflettici, sono tutti avvenimenti senza collegamento, modus operandi differente da parte del nostri killer acquatico: rapimento, suicidio, morte apparentemente naturale. Ma ha commesso un errore. Tentare di uccidere Adena, rendersi in qualche modo visibile, mi ha fatto comprendere come ogni mio sospetto sul fatto che stesse accadendo qualcosa di insolito avesse un fondamento. C’è qualcosa, e non sta uccidendo gente a caso, ma secondo uno schema preciso. E noi dobbiamo capire quale”
Scott annuì, crucciando poi lo sguardo in direzione dello schermo.
“Leggi qua!” esclamò Stiles, selezionando col mouse la parte interessata di un sito di cronaca locale.
“La madre del bambino, professoressa del liceo di Santa Monica, ed il padre, dirigente della nuova fabbrica locale, lanciano un appello disperato… aspetta, anche lui è collegato con la fabbrica?!?” Scott quasi saltò in piedi. Stiles aveva avuto ragione anche questa volta.
“Bingo! Il padre di questo bambino è il dirigente della fabbrica, il fidanzato della madre di Adena la sta finanziando, il tipo della piscina, Brooks, era uno dei soci… e il professor Jefferson forse stava per rivelarci qualcosa di scomodo” riepilogò il giovane Stilinski.
“Ed il ragazzo della sparatoria?” domandò l’altro.
Stiles digitò velocemente sulla tastiera le parole chiave, ma la ricerca sul web non fornì molte informazioni.
“E adesso?”  chiese Scott, sospirando.
Stiles si portò le dita sotto il mento, pensieroso, per poi saltare in piedi.
“Cassidy! Possiamo chiedere qualcosa a lei! Frequentavano lo stesso liceo, potrà sapere se in qualche modo è collegato alla fabbrica!” affermò Stiles.
“Perfetto! Oggi è sabato, scuola non c’è, credi sia all’associazione?” chiese il licantropo, afferrando il cellulare che aveva abbandonato in salotto, su una mensola della libreria.
Stiles gli fu dietro, continuando a parlare. Solitamente parlava molto ed in maniera veloce da rasentare una personalità nevrotica, ma quando era vicino a risolvere un mistero, la capacità di parlare del ragazzo, appurò Scott, raggiungeva livelli ancor più alti, se possibile.
“Lo spero, altrimenti dovremmo chiedere l’indirizzo di casa sua e tentare lì”
“Ma quando ti deciderai a chiederle il numero, in modo da poterla contattare senza difficoltà?” domandò l’altro. C’era anche un cenno di malizia nel suo tono di voce, che non sfuggì al giovane Stilinski.
“Ehi, cos’era?”
“Cos’era cosa?” domandò un perplesso Scott aggrottando la fronte.
“Questo!”
“Questo?”
“La tua frase”
Erano al centro del salotto, sul punto di uscire, ma bloccati da quello scambio di battute che ad altri sarebbero sembrate insensate o in qualche modo comiche, viste le espressioni confuse ma buffe che le stavano accompagnando; eppure per loro, tra migliori amici, tra fratelli, quelle parole erano tutto tranne che prive di senso.
“Non hai una piccola cotta per Cassidy?”
Stiles arrossì leggermente.
“Ce l’ho?”
“E che ne so!” rispose esasperato l’altro “te lo sto chiedendo io! E poi…” Scott fece una breve pausa “credo che tu le piaccia”
Il rossore sulle guance del povero Stilinski aumentò ulteriormente, portandolo  a slacciarsi il secondo bottone della camicia, quasi la temperatura nella stanza fosse aumentata vorticosamente.
“Forse dovrei chiederle un appuntamento quando tutto questo sarà finito” appurò. Gli sarebbe piaciuto trascorrere del tempo con Cassidy. Per molti aspetti riusciva a tenerlo aggrappato alla sua normalità come essere umano, a farlo parlare di tutto senza paure.
“Dovresti” lo incoraggiò Scott “è proprio vero che tutte le donne della tua vita hanno i capelli rosso rame”
Quelle parole lo portarono a pensare a Lydia. Gli mancava, ma saperla con Aiden riusciva in qualche modo a spegnere qualsiasi fiamma nel suo cuore, come un getto d’acqua ghiacciata. Tuttavia pensarla, rendeva Cassidy semplicemente qualcuna appartenente ad una massa di ragazze il cui nome non era Lydia Martin.
“I suoi capelli sono biondo fragola” si ritrovò a dire “dovresti averlo capito ormai”
Scott rise. “Non è una cosa così ovvia come credi”
“Certo che lo è!” si difese Stiles.
Scott fece per superarlo, ancora evidentemente divertito, dirigendosi verso l’ingresso, ma le sue parole lo bloccarono nuovamente.
“E tu non hai intenzione di chiedere ad Adena il suo numero?”
Scott si voltò di scatto, le labbra dischiuse, chiaramente stupito.
“Scusa?”
Stiles si appoggiò con la spalla contro lo stipite della porta e incrociò le braccia. “Sei protettivo con lei. Ed estremamente gentile. E Isaac vi ha guardati male diverse volte oggi. Ha un fondamento ciò?”
Scott roteò gli occhi, visibilmente seccato.
“Non cercare di trarre le tue solite conclusioni, questo non è un mistero da risolvere. Si, voglio bene ad Adena e non so spiegarti come la cosa possa essere avvenuta in così poco tempo. Semplicemente è come se fosse parte del branco, e mi viene naturale preoccuparmene”
Scott aprì la porta, ma un’esclamazione improvvisa di Stiles lo fece sobbalzare.
“Forse la senti!”
Il licantropo lo guardò perplesso, esortandolo a continuare con lo sguardo.
“La sua vera natura! Forse la avverti! Il tuo istinto lupesco ti permette di fiutarla, in qualche maniera! Come un imprinting fra esseri sovrannaturali senza la componente romantica alla Bella e Jacob”
“Vorrai dire Nessie e Jacob” lo corresse Scott.
Stiles lo guardò sorpreso e disgustato al contempo. “Oh my gosh, hai letto la saga di Twilight??”
Scott alzò le mani, sulla difensiva ed evidentemente a disagio. “Ho visto i film, con Allison. Cosa avrei dovuto  fare? Romperle i dvd?”
“Si!” esclamò il ragazzo “scaraventarli fuori la finestra ed infilare nel lettore la trilogia de Il Signore degli Anelli! Scommetto che Legolas e il suo arco le sarebbero piaciuti!”
Scott rise e uscì, conscio che Stiles lo stesse seguendo. A pochi passi dalla fine del vialetto però, si voltò perplesso verso l’amico.
“Come sapevi dell’imprinting e di Bella e Jacob?” indagò, un cenno di sarcasmo nel tono di voce.
Stiles arrossì furiosamente, prima di superarlo a passo svelto. “Andiamo, non c’è tempo da perdere!” fu l’unica cosa che disse per sviare il discorso, fra le risate di Scott.
 

Adena si immerse nella vasca riempita con acqua calda e bagnoschiuma. Dapprima il tocco bollente dell’acqua la fece sobbalzare, ma un istante dopo, si abituò a quel calore e si lasciò andare a quel piacevole torpore, abbandonando la testa all’indietro e poggiando la nuca sul freddo marmo della vasca, in netto contrasto con la temperatura di quel bagno.
Dopo tutto quello che aveva vissuto in quelle poche ore ne aveva davvero bisogno. Dapprima la telefonata di Abigail con la notizia che lei e Ben fossero diventati più intimi del dovuto; in seguito, lo pseudo litigio con Isaac, capace chissà come, di sfinirla mentalmente e, per concludere, la strana creatura invisibile che aveva tentato di annegarla. Aveva sfiorato la morte come mai prima d’ora in vita sua, ma grazie a Scott era riuscita a riprendersi. Sorrise di riflesso, ripensando a come il suo legame con il licantropo fosse diventato ben saldo, a come in lui vedesse una sorta di leader e anche un fratello maggiore capace di farla sentire protetta e amata.
Un tonfo la fece sobbalzare, poi scioccamente ricordò di non essere sola in casa. Isaac l’attendeva in camera sua e probabilmente il maldestro in questione stava anche curiosando in giro.
Si immerse nell’acqua chiudendo gli occhi.
Era bello poter trattenere il fiato di propria spontanea volontà, senza alcuna mano che la forzasse a restare sotto. Pensò ad Isaac che la stava aspettando, alla conversazione tra lui e Scott di cui aveva udito qualche battuta; la situazione le era così confusa.
Si sentiva attratta dal ragazzo, lo aveva capito nel momento in cui aveva sfiorato le sue labbra per farlo calmare; con lui riusciva ad essere in perfetta sintonia con sé stessa, senza avere paura che la vera sé lo irritasse al punto da metterlo in fuga. Probabilmente una volta o due era stato tentato di strangolarla, appurò ironicamente, ma la cosa d’altronde era stata reciproca.
Riemerse dall’acqua e riempì i polmoni d’ossigeno, per poi afferrare un asciugamano lì accanto. Dopo essersi tamponata la pelle completamente bagnata, ma finalmente riscaldata e rinvigorita da quel bagno caldo e rilassante, indossò il suo accappatoio rosso di spugna e uscì dalla stanza.
Attraversò il corridoio a grandi falcate ed entrò nella sua camera, sorprendendo Isaac che sfogliava alcuni volumi della sua libreria personale.
“Non credevo ti piacessero Tolkien o la Austen. A dire il vero non credevo proprio che fossi una grande lettrice” le disse, senza nemmeno voltarsi, con il volume di “Ragione e Sentimento” fra le mani.
“Ci sono tante cose che non sai di me. Chissà, tra una litigata e l’altra potresti fare grande scoperte” asserì ironicamente Adena, mentre Isaac si voltava verso di lei.
Per poco il volume non gli cadde dalle mani.
In tutta la sua semplicità, Adena era bellissima. Aveva le guance leggermente arrossate dal bagno caldo appena fatto, i capelli umidi, legati in uno chignon in attesa di essere asciugati; il suo corpo snello era avvolto da un accappatoio ed il pensiero che bastasse toglierlo per accarezzare ogni sua delicata forma con lo sguardo, lo costrinse a voltarsi ancora una volta, fingendosi improvvisamente interessato al piccolo bonsai posto sul davanzale della finestra accanto la libreria.
Adena sorrise, consapevole dell’imbarazzo di Isaac e accennò un colpo di tosse.
“Se esci, magari mi vesto” disse, con ovvietà.
“Uh, si, certo” disse lui, improvvisamente ancor più impacciato se possibile. Le passò accanto, dirigendosi verso la porta aperta, ma invece di richiudersela alle spalle, ripiombò nella stanza e la afferrò per un polso, costringendola a voltarsi.
Adena lo guardò stupita e al contempo compiaciuta da tanta audacia. Amava i gesti decisi e risoluti, proprio come la sua personalità.
“Di solito dico frasi molto…particolari…”
“…diciamo pure stupide…” lo interruppe la ragazza con ironia.
“…in momenti cruciali. Perciò senza filtri: sei bellissima e la prossima luna piena sarà tra cinque giorni. Non voglio sprecare altro tempo”
“Altro tempo per cosa?” domandò l’altra, senza capire.
“Altro tempo per fare questo”. Isaac l’attirò a sé e la bacio. Non era un bacio per sopperire un attacco di panico in corso: era uno vero, atteso forse da più tempo di quanto entrambi avrebbero potuto immaginare.
Adena si lasciò andare, stringendosi ulteriormente a lui, il suo corpo coperto solo dall’accappatoio stretto contro il petto muscoloso del licantropo, i battiti di entrambi moltiplicati come il battito di ali di mille farfalle.
“Ora posso vestirmi?” domandò la ragazza, i loro visi ancora vicinissimi, sul punto di sfiorarsi.
“Se proprio devi” rispose l’altro, la voce leggermente rauca, il tono più basso. Dopo di che uscì, lasciandole il tempo di rendersi presentabile.
Adena indossò la sua biancheria e una canotta, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro, che Isaac piombò nella stanza.
“Che c’è??” chiese, arrossendo, sapendo di essere in slip.
“È entrato qualcuno! Credo una donna!”
“Mia madre dovrebbe essere al lavoro” Adena aggrottò le sopracciglia e uscì in corridoio, raggiungendo la cucina. Vi era Dorota, la messicana del piano di sotto che a volte aiutava sua madre nelle pulizie per arrotondare sullo stipendio di cameriera ai piani in albergo.
“Oh, Adena, buongiorno!” cinguettò la donna col suo marcato accento latino “non credevo fossi in casa. Il sabato non esci a fare shopping con Sasha?”
Era vero. Ogni sabato mattina, non essendoci scuola, lei e la sua migliore amica Sasha guidavano fino a Santa Barbara solo per allontanarsi un po’ dai soliti posti e dalle solite facce.
“Non questo sabato” si limitò a dire la ragazza, accennando un sorriso. Notò che Dorota aveva un pacco tra le mani. Doveva aver usato le sue chiavi di riserva per entrare. Dorota era una persona fidata per loro.
“Cos’è?”
“L’ha consegnato il postino. L’ho preso io per tua madre. Credo sia da parte di tuo padre”
“Ti ringrazio Dorota, sei stata molto gentile”
La donna le porse il pacco e, dopo un ultimo affettuoso saluto, uscì di casa.
Adena aprì immediatamente il pacco, conoscendone già il contenuto. Vi erano dei nuovi libri per  lei e una borsa di marca per Abigail. Adena avrebbe voluto abbracciare suo padre all’istante. Nonostante fosse lontano miglia da loro, non perdeva mai occasione di sentirle più vicine, telefonando o mandando anche piccoli regali a sorpresa.
“Ho il padre migliore del mondo” sussurrò, quasi commossa.
“Già”
Adena sobbalzò. Isaac era comparso alle sue spalle e osservava il pacco quasi nostalgico.
“Mio padre a volte mi regalava dei fumetti, quando gli girava bene”
Notando che avesse usato il passato, Adena capì immediatamente che Isaac avesse perso suo padre.
“È difficile colmare un’assenza” gli disse, cercando istintivamente la sua mano, ma Isaac non l’accolse. Sembrava leggermente turbato.
“In realtà non mi manca molto. E mi dispiace che non mi dispiaccia ciò” confessò, sentendosi colpevole.
Adena lo guardò rattristata. Comprese che anche di Isaac ignorava davvero molte cose.
“Non devi dispiacerti. Le cose succedono, anche i sentimenti capitano, non possiamo farci nulla”
Isaac annuì placidamente e, quando Adena cercò nuovamente la sua mano, la strinse, intrecciando le proprie dita con le sue.
Adena abbandonò il pacco sul tavolo della cucina e lo guidò in camera. Non appena la porta venne richiusa alle loro spalle, la ragazza gli prese il volto fra le mani, alzandosi in punta di piedi.
Si guardarono intensamente negli occhi, per poi abbandonarsi ad un nuovo bacio.
Adena avrebbe voluto colmare ogni assenza nel cuore di Isaac, con quel gesto; avrebbe voluto farlo sentire amato come forse non accadeva da tempo, farlo stare bene, anche se non avrebbe mai dato voce alle sue intenzioni per quanto fossero dolci e ammirevoli. Questo perché l’avrebbe portata ad ammettere come nel suo cuore il posto per Isaac stesse diventando più importante.
Il ragazzo la guidò verso il letto, senza mai smettere di assaporare il sapore delle sue labbra, permettendo ai loro corpi di lasciarsi cadere sul soffice materasso, preda di una passione divampata come un fuoco su un materiale infiammabile. Percorse con le dita ogni millimetro del suo corpo, dalle cosce, risalendo per i fianchi, sfiorando il lembo dei suoi slip neri.
Adena gli afferrò la maglietta da sotto, aiutandolo a togliersela, per poi tracciare linee immaginare sul suo petto nudo e ben scolpito con i suoi baci.
Si sentiva naufragare fra le sue braccia, e terribilmente bene, come mai lo era stata. Ogni carezza di Isaac, ogni bacio, ogni contatto con il suo corpo, sembravano infiammare la sua pelle, consumarla da dentro, come se non avesse atteso altro che quel momento. Gli occhi di Isaac accarezzavano ogni attimo, come avesse voluto catturarlo per sempre, sperare che quell’istante senza tempo in cui erano lì, vicini e abbandonati a quella passione, potesse durare in eterno.
Ma, contro ogni suo desiderio, il rumore della porta di ingresso sbattuta, li fece sobbalzare.
“Adena? Sei in casa?”
“Mia madre!” sussurrò la ragazza “non avrebbe dovuto essere qui prima dell’una!”
Isaac si ricompose di colpo e Adena corse verso l’armadio infilando di tutta furia un paio di jeans e una t-shirt, giusto un secondo prima che la porta si aprisse.
Doveva avere le guance arrossate, stavolta per quello che era stato interrotto, e i capelli le si erano quasi asciutti ormai.
“Ehi mamma” disse, sforzandosi di apparire rilassata “come mai già a casa?”
La donna scrutò incuriosita Isaac, fermo vicino la finestra in una posa innaturale, come se non sapesse cosa fare, prima di decidersi a rispondere.
“In ufficio mi sono liberata prima. Lui chi è?” chiese.
“Isaac Lahey, signora” rispose prontamente il ragazzo.
“Ciao Isaac, io sono Amy” una breve pausa prima che la donna lanciasse uno sguardo sospetto alla figlia “e cosa facevate tu ed Isaac?”
Adena sperò di non essere arrossita ulteriormente, mentre cercava di darle una risposta sensata e convincente.
“Attività fisica” disse per lei Isaac.
Adena strabuzzò gli occhi, chiedendosi se non fosse impazzito, prima che il ragazzo completasse la frase.
“Abbiamo fatto jogging insieme e siccome adesso dobbiamo vederci con Sasha ed altri ragazzi, abbiamo fatto tappa a casa in modo che Adena potesse cambiarsi”
Adena sospirò sollevata, mentre sua madre parve rilassarsi.
“Va bene ragazzi, allora buon divertimento. Io mi cambio e vado da Nathaniel” annunciò la donna, uscendo,  ma lasciando volutamente la porta della stanza spalancata.
“Per un pelo”
“Attività fisica? Ti sembra il caso di iniziare così la frase??” domandò Adena, parlando a voce non troppo alta per evitare che sua madre li sentisse.
“Te l’ho detto che a volte dico cose in maniera…particolare” si giustificò il ragazzo.
Adena lo trucidò con lo sguardo, prima di guardare le lenzuola stropicciate sul letto.
“Meno male che la mamma non ha notato quelle”
“Peccato piuttosto che ci abbia interrotto” proferì il ragazzo, un cenno di malizia nella voce, che la fece sorridere.
“Eh già, mister faccio il geloso anche con Scott
Isaac la guardò sorpreso, arrossendo leggermente.
“Non avrai..”
“Ho sentito quanto basta. Allora… sei stato con Allison, dopo che lei e Scott si sono lasciati?”
Isaac si ombrò appena.
“Non dire niente sulla moralità della mia scelta in termini di amicizia”
Adena accennò un sorriso.
“Non dirò nulla. Ma una cosa la voglio sapere…”
“Spara”
“Ne eri innamorato?”
Quella domanda ghiacciò Isaac come una doccia fredda.
Nemmeno Scott glielo aveva mai chiesto.
Il sorriso di Allison, le fossette sulle sue guance, gli occhi da cerbiatta, fecero capolino fra i suoi pensieri, ma quando incontrò lo sguardo di Adena in attesa di una risposta, furono scacciati dal suo sorriso più raro, ma ugualmente splendido, dai suoi occhi chiari e dalle sue espressioni accigliate che spesso lo avevano divertito.
“No” disse infine e fu come liberarsi di un peso. “Perché volevi saperlo?”
“Semplice curiosità. E poi hai confermato una mia ipotesi”
Isaac la guardò incuriosito e inarcò un sopracciglio.
“Quale?”
“Che sei troppo innamorato di Scott, per amare un’altra”
Adena si diresse verso la porta, lasciandolo imbambolato, l’espressione chiaramente sorpresa.
“Ehi!” protestò un attimo dopo, arrossendo furiosamente e seguendola a passo svelto “non dire sciocchezze!”
“Si, dai, secondo me tu, lui e Stiles formate un triangolo!” continuò Adena, mentre la sua risata trillava nell’aria, disperdendosi come un suono soave.
 

Cassidy era intenta a compilare una grande pila di documenti, dietro una piccola scrivania sotto la piccola finestra dell’edificio. Quella mattina solo lei e pochi altri volontari erano presenti nell’associazione.
Non appena udì Stiles pronunciare il suo nome e lo vide dirigersi verso di lei in compagnia di Scott, un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra.
Si tolse gli occhiali da lettura e si mordicchiò il labbro, facendo una mezza giravolta sulla sedia con le rotelle.
“Sempre un piacere vedere i miei principi” affermò, sorridendo.
Stiles e Scott contraccambiarono, leggermente imbarazzati dall’espressione affettuosa loro rivolta dalla ragazza. Cassidy era così pura di cuore e al contempo inafferrabile, con la sua voce soave, il suo sorriso splendente, che non legarsi a lei era a dir poco impossibile.
Persino Scott, nonostante le avesse parlato pochissime volte, nutriva una sincera simpatia nei suoi confronti.
“Come è andata la corsa mattutina?” chiese Stiles, guardandosi intorno. Di Jhonny, il tipo scorbutico con i rasta, non vi era traccia.
“Salutare come sempre” asserì l’altra “anche se la notizia del signor Brooks mi ha non poco sconvolta”
“Già” appurò Stiles, annuendo.
“Speravamo di trovarti qui” aggiunse Scott “abbiamo urgente bisogno di alcune informazioni”
La ragazza mordicchiò il tappo della penna che stava usando fino a qualche istante prima, lasciandosi scappare una risata.
“Lo sapevo!” esclamò, trionfante, come se avesse vinto una scommessa con sé stessa.  “Sapevo foste qui per delle informazioni!”
Scott e Stiles si grattarono la nuca, imbarazzati.
“Siamo così prevedibili?” domandò il primo.
“Naa” la ragazza arricciò il naso in un’espressione sbarazzina “ma ultimamente mi avete cercata qui per lo stesso motivo. E Stiles, così non si corteggia una ragazza!”
Stiles arrossi ulteriormente, mentre Cassidy si lasciò andare ad un’altra risata, prima di ricomporsi per esser loro d’aiuto.
“Chiedete pure” asserì.
“Ricordi il ragazzo della sparatoria?” chiese il giovane Stilinski, ormai perfettamente calato nel ruolo dell’investigatore privato.
“Come dimenticarlo” il viso della ragazza si rabbuiò al solo pensiero della terribile esperienza vissuta.
“Lo conoscevi?”
Cassidy scosse la testa. “Solo di vista. Qualche informazione captata tra i pettegolezzi e altro a scuola”
“E per caso sapresti dirci se i suoi genitori lavoravano alla fabbrica? O erano in qualche modo collegati?”
Cassidy aggrottò la fronte, perplessa.
“Non capisco…che c’entra la fabbrica con tutto ciò?”
“Non lo sappiamo, stiamo solo cercando delle risposte” le spiegò Scott “e dobbiamo molto a te, che ci stai aiutando con tutte le informazioni fornite”
“Se posso essere di aiuto, lo faccio volentieri” la ragazza accennò un sorriso, per poi volgere di nuovo l’attenzione al discorso principale. “Il padre di quel ragazzo, è il direttore di uno dei giornali locali. Ha stravolto l’intera vicenda del delfino, definendolo solo un incidente della natura, e schierandosi apertamente dalla parte della fabbrica e dei suoi dirigenti. Ci ha definiti dei pazzi visionari pronti a crear guai, in poche parole. Jhonny ha minacciato di mettergli sotto sopra la redazione”
Cassidy raccontò quell’ultimo aneddoto con leggerezza, come fosse una cosa quotidiana vedere Jhonny perdere le staffe.
Scott e Stiles si lanciarono una lunga occhiata eloquente.
Tutto appariva più chiaro, finalmente.
“Grazie Cassidy, non immagini nemmeno quanto tu ci sia stata di aiuto!” esclamò Stiles, con un sorriso a trentadue denti.
Congedandosi frettolosamente, i due ragazzi uscirono dalla sede dell’associazione praticamente di corsa, come se avessero fatto una scoperta da premio nobel.
Cassidy scosse la testa e tornò a mordicchiare il tappo della biro nera, volgendo di nuovo lo sguardo sui documenti, il pensiero rivolto alla conversazione appena avuta con i due.
 

Nel momento in cui vide Deaton sulla soglia della loro attuale casa – spese a carico dei coniugi Parker ignari degli attuali ospiti - Scott si sentì come un bambino che era rimasto tutta la notte con il volto premuto sul cuscino e le coperte fin sopra la testa, con la speranza che il sole sorgesse presto e i mostri nascosti negli angoli bui, sotto il letto e nell’armadio sparissero. Deaton era come un nuovo giorno, era il suo personale sollievo, una presenza paterna. Per un attimo dovette frenare l’impulso istintivo di abbracciarlo e anche di dirgli quanto gli mancassero i suoi saggi consigli, il suo lavoro quotidiano alla clinica veterinaria.
“Scott” lo salutò l’uomo, sorridendo lieto e seguendolo in casa.
“Però” appurò il veterinario, guardandosi intorno “vi siete sistemati bene”
“E abusivamente”  precisò Stiles, facendo capolino dalla stanza da letto e salutando Deaton. Anche lui era felice di vederlo, di avere un nuovo alleato in quella assurda lotta contro tutti gli eventi che stavano rallentando la loro reale missione: riavere con sé Erica e Boyd, il loro branco al completo.
“Dovrei mettermi a vendere case” appurò ironicamente Peter, spuntando con Derek dalla cucina e raggiungendo il gruppetto riunito in salotto. La loro ricerca in casa di Jeff Jefferson non aveva dato risultati e la cosa era risultata non poco stressante, specie per Derek, impaziente di risolvere quella vicenda.
La porta di casa si aprì. Adena ed Isaac entrarono nella stanza, volgendo un saluto generale.
L’attenzione della ragazza fu immediatamente catturata dalla presenza di Deaton e, ebbe modo di notare, la cosa fu reciproca.
Poteva sentire che quell’uomo non era un banale essere umano, ma un druido, come le era stato spiegato dai ragazzi.
Deaton le sorrise.  “Immagino tu sia Adena”
“E lei Deaton” la ragazza accennò un sorriso. Notò come quello dell’uomo le risultasse in qualche misura enigmatico.
“Chiamami pure Alan” le disse il veterinario.
“Allora? Cos’è?” chiese spazientito Derek, interrompendo bruscamente quello scambio di convenevoli.
“Lo sai che sono umana” lo riprese la ragazza, roteando gli occhi. Per quanto le costasse ammetterlo, lei e Derek avevano dei tratti caratteriali in comune; per essere più precisi, tutti i difetti.
“E invece non lo sei” si intromise Deaton, il tono pacato come se stesse semplicemente commentando le variazioni atmosferiche “sei decisamente qualcosa”
I presenti la osservarono incuriositi, mentre la ragazza cercò con gli occhi prima lo sguardo di Isaac, poi quello di Scott. I loro volti sereni parvero rassicurarla.
“È una banshee?” chiese immediatamente Stiles.
“Chi può dirlo” fu la risposta risoluta dell’uomo “ma prima di capire cosa sia o non sia, ho bisogno di sapere cosa sta accadendo”
Isaac fornì un dettagliato riassunto sulla vicenda di Adena, mentre Stiles prese la parola per la scia di morti lasciati dall’acqua, metaforicamente parlando.
“È evidente che quella creatura acquatica voglia uccidere tutti quelli collegati alla fabbrica, alla morte del delfino, come se volesse vendicarlo. Magari credeva che la stessa Adena fosse importante per Nathaniel, per questo ha tentato di affogarla nell’oceano”
Un brivido salì lungo la schiena della giovane ascoltando le parole di Stiles.
“Deaton, cosa potrebbe essere quella creatura?” fu la domanda cruciale che gli pose Scott.
Il veterinario sospirò pesantemente.  Aveva letto di diverse creature leggendarie, ne aveva viste ben poche, includendo un Kanima e una Banshee, ma era evidente che la sua stessa esperienza stesse per arricchirsi.
“È qualcosa che non credevo fosse possibile incontrare. Non in una sola vita mortale, ma a quanto pare, Scott, tu e i tuoi amici siete delle vere calamite per ogni genere di creatura” la voce grave di Deaton si alleggerì sul finale della frase, prima di concentrarsi sui volti tesi dei presenti, pronti ad una rivelazione che avevano atteso a lungo.
Notò come Adena avesse istintivamente cercato la mano di Isaac e come quest’ultimo avesse rivolto uno sguardo a Scott; Stiles aveva una mano poggiata al braccio del suo migliore amico, come se si stesse aggrappando in attesa di un’onda d’urto e Derek gli era vicino, tra lui e Peter. Tutti erano in qualche modo collegati e per un istante Deaton poté avvertire un potere indescrivibile, capace di superare qualunque altro: quello dell’amicizia, della fiducia, il legame indissolubile di un branco.
“Si tratta di una divinità marina. C’è da capire quale” annunciò infine.
Stiles boccheggiò incredulo.
“Una divinità marina?” ripeté, come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Se gli avesse detto che avevano a che fare con un cugino arrabbiato di Flipper* sarebbe rimasto meno sorpreso.
“Esattamente. Sono esseri legati al mare e ai loro abitanti. La morte di quel delfino è stata un grave lutto e deve aver scatenato la sua ira”
“Non capisco” disse improvvisamente Isaac “quest’essere vive sott’acqua? In un palazzo dorato o qualcosa di simile?”
Adena si passò una mano sul viso, mentre Derek roteò gli occhi in sincronia con Peter.
“Quella è la sirenetta, idiota” disse il più grande dei due Hale.
Deaton sorrise, come se stesse trattenendo una risata di fronte la buffa, e in qualche modo dolce, affermazione del beta.
“No, Isaac, come Lydia non vive in una palude**. Deve essere una persona perfettamente integrata tra i comuni essere umani, che probabilmente ha scoperto la sua vera natura da poco. Alcune volte, quello che siamo, non viene a galla nemmeno in una vita intera”
“Sarà come cercare un ago in un pagliaio” sbottò Stiles, incrociando le braccia.
Adena sospirò e scansò con la mano destra un ciuffo che le era caduto davanti gli occhi.
Fu in quell’istante che il veterinario notò qualcosa; qualcosa che si rivelò cruciale.
Deaton la osservò incuriosito, per poi focalizzarsi sull'anello a forma di rosa.
"È un cimelio di famiglia, non è vero?" chiese, indicandole l’anello che portava all’indice della mano destra.
"Come lo sa?"  rispose incuriosita la ragazza, confermando implicitamente la sua intuizione.
L’uomo accennò un sorriso, rivolgendosi di nuovo a tutti i presenti.
“Lo so. Ora posso dirvi qual è la vera natura di Adena”


* "Flipper", il delfino della serie tv.
** Solitamente, in alcune leggende, si parlava della banshee come un essere che prediligeva luoghi paludosi. 


Ed eccomi qui con il settimo episodio di Save the Pack.
Altre piccole, ma importanti rivelazioni sono state fatte, ma tra l'ottavo ed il nono capitolo, ogni mistero verrà risolto e finalmente conosceremo l'identità del nostro grande cattivo della serie :)
L'anello a forma di rosa di Adena era stato già menzionato nel secondo capitolo, se non erro, e come avrete avuto modo di leggere, è proprio la chiave per rivelare la sua vera natura. Idee al riguardo?
Spero che questo capitolo vi piaccia - e di non aver lasciato troppi errori in giro con la mia revisione veloce causa studio - e come sempre, voglio ringraziare coloro che leggono, recensiscono e/o hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite. Siete un amore, grazie davvero <3
Al prossimo capitolo!

Un bacione,
Ely 91
 

NEXT ON "SAVE THE PACK":

"Abbiamo un piano!" esclamò Scott.
"Abbiamo un piano!" ripeté Stiles, coinvolgendo nell'abbraccio anche Adena. 
Potevano anticipare le loro mosse. Potevano vincere.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 1x08 - Il piano ***


Image and video hosting by TinyPic
 

1x08 - IL PIANO



“Lo so. Ora posso dirvi qual è la vera natura di Adena”
Le parole di Deaton fecero scendere un silenzio irreale nella stanza, come un sipario alzato sulla scena teatrale che zittisce un vasto pubblico in attesa che gli attori inizino a recitare.
Adena sfiorò diverse volte l’anello a forma di rosa, guardando con apprensione il veterinario. Si trovava di fronte a qualcosa che le avrebbe cambiato la vita: la verità.
Non sarebbe più stata semplicemente Adena, ma anche qualcosa, da cui dipendevano diverse cose, compresa la missione dello stesso Nathaniel.
Anche gli altri fremevano in attesa che Deaton completasse la sua frase; tutti come lei avvertivano il punto di svolta. Quella rivelazione avrebbe cambiato diverse cose.
“Adena” stavolta Deaton si rivolse direttamente a lei, guardandola fisso negli occhi “sei una Napea
Adena rimase senza fiato, per poi crucciare lo sguardo perplessa.
“Scusa, sarei cosa?” chiese.
Napea, sembra il nome di un piatto indiano” commentò Stiles.
Napea?” ripeté Derek, perplesso quanto loro.
Scott e Isaac si guardarono in viso, per poi fare entrambi spallucce. Non avevano grandi conoscenze sovrannaturali, né tantomeno in qualunque cosa potesse essere categorizzata una Napea.
Solo Peter parve capire, ed il suo sguardo si illuminò, all’improvviso come famelico, ma nessuno sembrò notare quel repentino cambiamento in lui.
Improvvisamente Adena suscitava nell’uomo un certo interesse.
Deaton scosse la testa  ascoltando le loro affermazioni, e si decise ad approfondire quel termine da lui usato.
“No, Stiles, posso assicurarti che ordinando una Napea in un ristorante indiano, ti guarderebbero come se fossi fuori di testa” ironizzò, tornando a focalizzarsi sull’argomento principale. “Come dovreste sapere, nella mitologia esistono tre tipi di ninfe: quelle terrestri, quelle marine e quelle dell’aria, le ninfe celesti. Le epigee, le ninfe terrestri, sono a loro volta divise in diverse categorie, fra le quali figurano le napee.
Adena è una ninfa terrestre, una delle napee per l’esattezza”
La ragazza boccheggiò incredula, guardando i suoi amici dall’espressione stupita quanto la sua.
“Pensavo” trovò la forza di dire “che non potessero esistere le ninfe”
Deaton accennò un sorriso verso di lei. “E Lydia che non esistessero le banshee. O i lupi mannari, inizialmente” asserì, con quel tono paterno con il quale diverse volte aveva illuminato i pensieri più contorti di Scott e Stiles.
“Devi iniziare a credere in quello che sei, per capire veramente chi sei” aggiunse infine.
Stiles ricordò con quella frase quella volta che aveva dovuto circondare l’edificio del rave party con il sorbo; in quell’occasione Deaton non gli aveva detto esattamente come gestire la poca quantità di polvere, ma implicitamente gli aveva comunque indicato la strada, proprio come stava facendo al momento con Adena.
Quest’ultima crucciò lo sguardo. “Sono una ninfa terrestre come Dafne?” chiese infine.
Deaton sorrise e annuì.
“Esatto, anche se lei apparteneva alla categoria delle Driadi” spiegò l’uomo.
“Ma esattamente…” questa volta a prendere la parola fu Isaac “cosa significa essere una napea? Cosa la distingue dalle altre ninfe terrestri?”
“Finalmente una domanda intelligente. Potresti diventare il primo della classe” ironizzò Peter Hale, con il suo solito ghigno.
Stiles gli lanciò un’occhiataccia, per poi tornare a concentrarsi su Deaton e Adena. Quest’ultima sembrava in una fase di assimilazione, come frastornata, quasi non si rendesse conto davvero che il soggetto di quella discussione, la ninfa in questione, per quanto incredibile, fosse proprio lei.
“Le napee sono conosciute come le ninfe delle valli e dei prati, amanti della solitudine, a meno che non decidano di concedere il loro amore a qualche eroe o a qualche satiro”
“Nel mio caso sicuramente ad un satiro” affermò ironicamente Adena, facendo ridere Scott e Stiles e imbarazzare Isaac.
“Non sono un satiro!” protestò quest’ultimo, con la stessa veemenza che avrebbe usato un bambino per discolparsi da qualche marachella di cui era stato ritenuto responsabile.
Deaton sorrise e continuò la sua spiegazione.
“C’è una cosa che tutte le ninfe hanno in comune. Sono conosciute come guaritrici dei mali. E credo che l’alpha, Nathaniel, punti proprio a questo. Conosco il rituale che vuole praticare la notte della luna piena, è molto antico”
“Guaritrici dei mali?” domandò Scott “che significa esattamente?”
Deaton sospirò. “Credo che nulla sarà più esemplare di una dimostrazione pratica. Derek avvicinati a Scott”
L’alpha ubbidì, leggermente guardingo. Nonostante Adena fosse stata discolpata ai suoi occhi, qualunque cosa la riguardasse, riusciva a preoccuparlo non poco. Forse non si sarebbe mai fidato completamente di quella ragazza. Forse una parte di lui avrebbe continuato a sovrapporre il suo viso a quello di Jennifer Blake.
“Scott, ferisci Derek”
Scott guardò sorpreso il veterinario. “Devo ferirlo? Con gli artigli?”
“No, vuole che tu gli spezzi il cuore rifiutando il suo amore…ovvio che intenda con gli artigli!” esclamò Stiles, ricevendo un’occhiata omicida dal giovane Hale che lo costrinse in tal modo a non aggiungere altro per la sua stessa sopravvivenza.
Scott deglutì. Sapeva che una semplice ferita non avrebbe procurato nessun danno o dolore atroce a Derek, eppure il beta era restio a farlo. Gli sembrava in qualche modo di andare contro natura.
Inspirò e sfoderò gli artigli.
“Andiamo Scott, non avere pietà” sbottò Peter, quasi seccato dall’animo profondamente gentile e leale che muoveva il ragazzo.
Scott graffiò Derek sul viso ad una tale velocità, che Stiles e Adena a malapena riuscirono a seguire con lo sguardo il movimento del loro amico.
Derek si voltò verso Deaton, rivoli di sangue che scendevano dai tre graffi profondi procuratigli dal beta.
“E adesso?” chiese.
Il veterinario fece cenno ad Adena di avvicinarsi a Derek, fronteggiandolo.
La ragazza seguì le sue indicazioni, ma quando si ritrovò di fronte a Derek, lo sguardo puntato in quello dell’alpha, si sentì non poco in soggezione.
Conosceva perfettamente l’opinione dell’uomo nei suoi confronti e il naturale astio che le azioni di quella notte in cui si era intrufolata nella sua stanza avevano creato e la cosa in qualche modo riusciva a renderla nervosa. Si domandò perché Deaton, fra molti, avesse scelto proprio lui.
“Adesso” disse il veterinario, con voce calma “concentrati su quella ferita, visualizza la guarigione, desiderala ardentemente, anima e corpo. Così metterai in moto la tua energia, il tuo potere, senza che tu ne abbia coscienza”
La ragazza inspirò profondamente, poi chiuse gli occhi, sforzandosi di pensare al viso di Derek privo di sangue, di solchi profondi scavati dagli artigli di Scott. Riaprì gli occhi qualche istante dopo, ma notò come la situazione non fosse affatto cambiata.
Derek era ancora ferito e la osservava accigliato.
Adena volse uno sguardo a Deaton, che appariva rilassato, nonostante non fosse riuscita in quello che le era stato chiesto.
“Non funziona” appurò la ragazza, un cenno di seccatura nella voce. Avrebbe voluto mettere il broncio, ma si rese conto che sarebbe sembrato un gesto davvero infantile.
“Forse perché tu e Derek vorreste prendervi a schiaffi, se possibile” ipotizzò Stiles.
“Taci tu!” esclamarono all’unisono Derek ed Adena, fulminandolo con lo sguardo.
“Suscettibili allo stesso modo. E orgogliosi e aggressivi. Non mi stupirei se venissimo a sapere che Adena è una Hale” borbottò Stiles, ricevendo una pacca sulla spalla da Scott, proprio accanto a lui.
“Non ha funzionato perché non hai creduto davvero in ciò. L’hai visualizzato, ma senza crederci, senza desiderarlo” si decise a dire Deaton. “Riprova” la incoraggiò, col suo solito tono gentile.
Adena annuì, focalizzando totalmente la sua attenzione su Derek e il suo viso sanguinante. Fece un passo avanti, che fece arretrare Derek di conseguenza, di fronte a quell’improvvisa vicinanza.
“Non fuggire” sibilò la ragazza, stizzita.
Di nuovo un passo avanti. Stavolta l’alpha non si mosse di un passo.
La ragazza alzò lentamente la mano verso il suo viso. Derek la osservò come se fosse impazzita. Tra lui ed Adena non vi era mai stato un vero contatto, come due differenti galassie destinate a non avvicinarsi mai. Dopo l’episodio del morso, e dello strozzalupo, si era creata fra loro una  distanza incolmabile. Derek aveva immaginato diverse volte di tagliarle la gola dopo quella notte ed ora faticava a credere che lei invece si stesse sforzando di visualizzare la sua guarigione, di crederci e di desiderarla davvero.
Le dita della ragazza sfiorarono i suoi tagli, impregnandosi di sangue rappreso. A breve la ferita procuratagli da Scott sarebbe sparita da sé.
Il tocco gentile della ragazza lo fece tuttavia sussultare.
Anche Jennifer Blake lo aveva guarito dalle sue ferite, con i suoi tocchi morbidi e dolci e quel ricordo gli provocò una fitta allo stomaco.
Adena chiuse  gli occhi. Di nuovo visualizzò la guancia di Derek completamente guarita, ma stavolta si ritrovò a desiderarlo, mossa soprattutto dal desiderio di non fallire.
Avvertì come un formicolio lungo tutto il corpo e, quando riaprì gli occhi, notò con grande stupore che il viso di Derek era privo di segni.
Ritirò la mano, sorridendo vittoriosa e voltandosi verso Deaton che annuiva compiaciuto.
“Guaritrici dei mali” ripeté, lo sguardo illuminato da quella manifestazione di potere a lui totalmente sconosciuta. Aveva letto delle ninfe, ma mai avrebbe pensato di trovarsene una davanti agli occhi.
Adena ebbe appena il tempo di indietreggiare, che crollò sulle ginocchia.
Isaac e Scott scattarono in avanti, ma fu quest’ultimo a circondarle le spalle con un braccio per primo.
“Ehi” le disse, quasi sussurrando, come volesse risollevarla col suo tono morbido “che hai?”
“Non so, mi sento debole. Questa stanza sta girando o sono solo le mie pupille?” ironizzò, lasciando che Scott l’aiutasse a rimettersi in piedi, sorreggendola.
“ Il prezzo del potere” spiegò il veterinario “curare un altro essere vivente richiede comunque un notevole dispendio di energie”
Adena si lasciò sprofondare sul divano, massaggiandosi le tempie. Iniziava a capire cosa volesse dire usare le proprie capacità e anche lo stesso equilibrio ad esse collegate.
“Prima hai detto che sapevi perché Nathaniel mi cercasse, qual è il rituale che vuole svolgere” asserì Adena, ponendo un’implicita domanda al druido.
Deaton incrociò per qualche istante lo sguardo di Peter. Il più grande dei due Hale aveva capito di cosa si trattasse nel momento in cui aveva rivelato la natura di Adena, eppure non aveva proferito parola al riguardo da quando avevano iniziato quella lunga discussione.
“Un rituale sacrificale” disse infine, lo sguardo grave.
Adena aprì la bocca sconcertata.
“Vuole…” non ebbe il coraggio di completare la frase.
“La ucciderà?!?” chiese Isaac, fremendo dalla rabbia. Strinse le nocche fino a farle diventare livide, ma riuscì a calmarsi con un semplice tocco sulla spalla da parte di Scott.
Deaton annuì.
“Questo rituale è l’opposto di quello svolto da Peter con Lydia e Derek, l’opposto di quello che vorreste svolgere voi. Voi volete riportare indietro delle vite, lui vuole toglierne una. Il suo rituale, svolto la notte della luna piena e spargendo il sangue di un essere speciale come Lydia o, in questo caso, come Adena, servirà a renderlo vivo”
Stiles incrociò le braccia e lo guardò perplesso.
“Ma lui è già vivo” asserì, senza comprendere davvero.
“Appunto, quindi cosa può succedere ad uno che una vita la possiede già?”
“L’immortalità” sussurrò Derek, basito.
Deaton lo guardò. “Esatto, Derek. Diventerà immortale con quel rituale”
Il silenzio calò pesantemente nella stanza. “Bel casino” ebbe modo di dire Stiles, sospirando.
“Bisogna fermarlo” appurò Isaac, deciso come non mai.
“E come? Lui è sempre un passo avanti, ha praticamente circondato la mia famiglia proprio per impedirmi di fare qualsiasi cosa!” esclamò Adena, un cenno di frustrazione nella voce.
Di nuovo il silenzio calò fra i presenti, finché Stiles sobbalzò, colto da un’ispirazione improvvisa.
“Ho un’idea!” esclamò.
“Ti ascoltiamo” asserì Derek.
“E se eliminassimo le pedine più scomode, tanto per cominciare? Quelle fuori dal nostro raggio visivo, ma anche abbastanza lontane da Nathaniel per avvertirlo in tempo immediato?”
Adena sgranò gli occhi sorpresa e si alzò in piedi, piacevolmente colpita.
“Hai ragione!” Scott sorrise all’amico con orgoglio “e so anche chi mandare a Denver e nello stato di Washington”
Stavolta fu Deaton a sorridere mesto. “Allora dovrò rimettermi subito in viaggio. Avviserò io Allison e Lydia”
“Per le ragazze sarà una passeggiata sconfiggere dei beta. Isaac ne sa qualcosa” lo pungolò Scott.
“Ehi! Qui le pugnalate me le sono beccate tutte io, non mettiamo il dito nella piaga!” protestò l’altro, quasi imbronciato.
“Dunque…abbiamo un piano?” chiese Scott.
“Abbiamo un piano!” ripeté Stiles, abbracciando l’amico e coinvolgendo nell’abbraccio anche Adena.
“Aspettate a festeggiare” li riprese Peter, rompendo il suo silenzio “seppure riuscissero ad eliminare i beta, cosa faremo noi con l’alpha? Non appena scoprirà della disfatta del suo branco, diventerà furioso”
L’entusiasmo generale si spense di colpo, ma Deaton non sembrò affatto turbato dalle parole del licantropo.
“A quel punto anche loro faranno la propria mossa.
Affronterete Nathaniel. Eviterete che porti a termine il suo piano”
I ragazzi annuirono in contemporanea.
Avrebbero affrontato i beta con un aiuto esterno e Nathaniel. Avrebbero difeso Adena e trovato il loro nemico acquatico. E poi avrebbero portato a termine la loro missione. Adena poteva aiutarli a riportare in vita uno dei loro amici. Trovare un’altra come lei per il secondo sarebbe stato difficile, se non impossibile, ma era comunque un valido inizio. 


Adena era seduta sugli scalini della veranda di casa Parker, lo sguardo rivolto su una delle orchidee nel vaso accanto a lei. Non aveva dubbi su quello che le era stato rivelato da Deaton; lei aveva sempre potuto sentirla la sua connessione con la natura, il suo desiderio di rendersi utile per essa, interessandosi al giardino della scuola o lavorando per il giardino botanico di Santa Monica. Sapere di essere una ninfa terrestre donava un fondamento a quella sua dedizione fortemente sentita.
Scott, Deaton e gli altri stavano ancora conversando, stavolta davanti una tazza di caffè, prima che il veterinario salisse di nuovo sulla sua auto alla volta di Beacon Hills per informare le ormai famose Allison e Lydia della situazione e lasciare che intervenissero per liberare Abigail e suo padre dalla costante presenza dei due beta.
Non sarebbe stato facile per Abigail ritrovarsi senza Ben, ora che in qualche modo si era legata a lui e per Adena sarebbe stato impossibile spiegarle la verità. Probabilmente non le avrebbe mai creduto. Abigail, a differenza sua, era sempre stata una donna di scienza, una razionalista, pronta a credere solo a ciò che poteva verificare empiricamente.
Dei passi alle sue spalle attirarono la sua attenzione, ma non aveva dubbi di chi si trattasse; Isaac prese posto accanto a lei, sul terzo gradino.
“Per essere una ninfa sei poco aggraziata. E molto aggressiva” sentenziò il ragazzo, con una nota di ironia nella voce, che la fece ridere.
Isaac le sorrise a sua volta, sorpreso. “Mi aspettavo la solita risposta acida” rivelò, ma la ragazza scosse la testa, ancora ridendo.
“Guarda che non sono priva di senso dell’umorismo, nonostante il mio caratteraccio”
“Il tuo carattere alla Derek Hale, vorrai dire” asserì Isaac “io e Stiles abbiamo concordato sul fatto che potrebbe esserci sangue Hale nelle tue vene. Si spiegherebbero molte cose”
Adena rise ancora una volta.
“È vero, io e Derek siamo molto simili, per certi versi” ammise, con leggerezza.
Quando il momento di ilarità venne a placarsi, Adena notò che Isaac le stava lanciando delle occhiate furtive, come se la stesse studiando per capire quale fosse il momento migliore per dire qualunque cosa gli stesse passando per la testa.
La ragazza roteò gli occhi e gli diede di gomito, a mo di incitamento.
“Cosa devi dirmi?”
Isaac si grattò la nuca, leggermente a disagio.
“Prima” iniziò, ancora evidentemente indeciso “hai detto che, nel tuo caso, stai concedendo il tuo amore ad un satiro. Non è la tua battuta che voglio sottolineare, ma il suo significato”
Adena sgranò gli occhi.
“Oh. Porca. Troia” fu l’unica cosa che disse, nel momento in cui comprese a cosa puntasse Isaac col suo discorso. Le stava chiedendo se provasse qualcosa per lui di molto profondo, molto vicino all’amore.
Non era abituata a certe cose, era sempre stata un tipo molto passionale, ma anche molto freddo romanticamente. Aveva avuto diversi ragazzi, ma mai nessuna relazione seria.
“È così importante sapere se mi sto innamorando di te?” chiese, guardandolo in viso.
Isaac sospirò.
Per lui lo era. Per lui che aveva vissuto senza l’amore di una madre, che aveva convissuto con la perdita del fratello maggiore e con le torture fisiche che suo padre gli riservava, sadicamente, per punirlo della sua mancata perfezione, del suo animo più schivo e pacato, sapere se qualcuno lo amava incondizionatamente, nonostante tutto, nonostante la sua natura, era fondamentale.
Tuttavia, Adena lo sorprese con un’altra domanda.
“Hai mai fatto questa domanda ad Allison? Le hai mai chiesto se si stesse innamorando di te o se fosse solo una frequentazione con una buona dose di ormoni fuori controllo?” nel finire la frase, il suo tono assunse una punta di ironia, come a voler alleggerire la situazione.
Isaac la guardò stupito, per poi scuotere la testa.
“E allora perché lo stai chiedendo a me?” continuò la ragazza. Non c’era traccia di rimprovero nella sua voce, ma solo di confusione. Adena desiderava veramente comprendere cosa lo avesse spinto ad intraprendere quel discorso con lei.
“Lo sto chiedendo a te, perché io non amavo Allison. Ma…” Isaac deglutì, facendosi coraggio. “…ma mi sto innamorando di te”
Stavolta fu il turno di Adena di sorprendersi. La ragazza lo guardò stupita, le guance arrossate ed il battito del cuore fuori controllo.
Cercò di calmarsi e di riprendere in mano la situazione, senza perdere il controllo di sé stessa. L’amore le faceva paura. L’idea di essere ferita la terrorizzava, da sempre.
“Io..” provò a dire, ma non uscì alcun suono dalla sua bocca.
“Dai Adena, non è difficile, o ti stai innamorando, o non ti stai innamorando” avrebbe voluto dirle Isaac, ma il ragazzo tacque, dandole il tempo di riordinare i suoi pensieri prima di proferir parola.
“Io…” tornò a dire Adena, il tono inclinato dal peso dei dubbi e delle paure “…io non lo so”
Isaac sfuggì al suo sguardo, volgendolo distrattamente sulla strada. Serrò le labbra e annuì placidamente, come se stesse tenendo dentro tutte le sue possibili reazioni.
“Io non lo so, è una risposta” disse infine, alzandosi in piedi. “Hai risposto Adena, senza nemmeno rendertene conto” sbottò, tornando dentro, sbattendo la porta.
La ragazza avrebbe voluto seguirlo, ma sarebbe stato inutile. Non avrebbe potuto dire niente per migliorare la situazione. Aveva scelto di ignorare i suoi sentimenti.
“Sono una stupida” asserì, portandosi le mani sul viso.
“Lo siamo un po’ tutti, quando ci innamoriamo”
La voce di Deaton la fece voltare di scatto. Non aveva udito alcun passo, né la porta che si apriva di nuovo.
“Stai ripartendo?” domandò.
Deaton la superò, scendendo i gradini, e si fermò prima di percorrere il vialetto per intero.
“Si, ma ci risentiremo presto. Proverò ad esservi ancora di aiuto, stai tranquilla”
La ragazza lo ringraziò con un sorriso silenzioso.
“Prima non mi hai spiegato una cosa” disse infine.
Lo sguardo dell’uomo la incitò a continuare.
“Cosa ha a che vedere il mio anello con l’essere una ninfa?”
“Alcune famiglie di ninfe, si tramandano dei simboli. Le napee un anello a forma di rosa, ad esempio”
“Vuol dire che anche altri membri della mia famiglia sono delle ninfe?” chiese stupita, ma Deaton scosse la testa.
“Vuol dire che è nel vostro sangue, ma non si manifesta in tutti i membri della famiglia e salta generazioni, su generazioni. Qualche tua antenata lo è stata sicuramente, ma il manifestarsi della tua natura è troppo raro per aver interessato ogni tua antenata. Sei un’eccezione, Adena”
Deaton le sorrise in una maniera tale che riuscì a farla stare bene, a liberarla da ogni pensiero negativo.
Fece per salutarla, volgendole le spalle, ma un’ultima domanda della ragazza lo bloccò nuovamente.
“Cosa succede a quelli come noi, quando muoiono? Alle ninfe, alle banshee, ai druidi, ai licantropi?”
Deaton sospirò. “Credo che la mia risposta non ti soddisferà abbastanza, ma succede quello che succede a tutti i comuni essere umani”
Adena si mordicchiò un labbro.
“I comuni essere umani non ne sono sicuri, hanno semplicemente fede” asserì, delusa.
“Credo che dovrai accontentarti anche tu della fede”
Mentre Deaton si dirigeva verso la sua auto parcheggiata lungo il vialetto, Adena si ritrovò a pensare che avrebbe dovuto pregare molto. Se le cose fossero andate storte, la notte della luna piena, avrebbe voluto essere pronta ad avere molta fede.


“Scott?”
Stiles si guardò attorno, perplesso. Stava vagando per il liceo di Santa Monica, nel pieno della notte, scalzo.
Osservò i suoi piedi nudi, perplesso, domandandosi come avesse fatto ad arrivare lì senza averne ricordo. Percorse il corridoio lentamente, restando guardingo, iniziando a riconoscere quella particolare ala della scuola.
Proprio davanti quegli armadietti ora immersi nell’oscurità, il figlio del giornalista aveva deciso di porre fine alla sua vita, prima che i quattro licantropi potessero fermarlo, stupendoli.
Una figura scura, sul pavimento, lo fece sobbalzare.
“Chi sei?” chiese, il respiro affannato. Avrebbe voluto fuggire da quel posto a gambe levate, ma qualcosa di indefinito lo spingeva ad andare fino in fondo.
La matassa scura sul pavimento non si mosse. Stiles fece ancora un passo, prima di iniziare a distinguere le fattezze di un ragazzo.  I suoi piedi si bagnarono di qualcosa che inizialmente scambiò per acqua, prima di rendersi conto che si trattasse di sangue. Finalmente riconobbe il ragazzo a terra.
“Oh mio Dio! Scott!” urlò, chinandosi su di esso e voltandolo su un lato.
Quello che seguì fu il nome di Scott, gridato in una maniera agghiacciante. Solo un istante dopo realizzò che a vibrare in una maniera così forte fossero state le sue code vocali; preda dello sconvolgimento Stiles chiuse gli occhi, come a voler rendere irreale quella visione.
Gli occhi di Scott erano vitrei, il suo corpo freddo, il sangue ormai secco sul taglio letale alla gola.
“Scott, non puoi lasciarmi così” rantolò, preda di singhiozzi convulsi. “Sei la mia famiglia”
Un ticchettio alle sue spalle lo fece voltare di scatto, portandolo a sgranare gli occhi colmi di lacrime.
Lydia aveva le mani macchiate di sangue e lo guardava sorpresa.
“Sei stata tu!” le urlò contro, ma l’incantevole ragazza dai capelli biondo fragola scosse la testa.
“Non ricordi, Stiles? Io trovo i cadaveri, non uccido” asserì, il tono serio che non ammetteva repliche.
Stiles batté il pugno sul pavimento, tornando a piangere disperato. Non poteva aver perso il suo migliore amico. Non poteva aver perso l’unica persona che lo aveva fatto sempre sentire a casa.
Una risata risuonò lungo il corridoio.
Vi era qualcun altro nell’oscurità, che godeva del suo dolore. Una donna.
Stiles si alzò in piedi, stringendo i pugni.
“Chi diavolo c’è?!?” urlò, avvertendo Lydia fiancheggiarlo.
Adena emerse dall’ombra, rendendosi riconoscibile nel buio della scuola. Stava sorridendo e, notò Stiles, il suo viso era macchiato di schizzi di sangue, lo sguardo quasi famelico.
“No” disse Stiles, scuotendo la testa “non puoi essere stata tu”
Adena rise ancora, più forte, gettando la testa all’indietro.
“Oh si che sono stata io, Stiles. Povera piccola Adena, che non sapeva di essere una ninfa, minacciata dal suo alpha” una breve pausa, in cui la ragazza rise ancora, sadica “ma io non sono una napea! Io sono la divinità marina!”
Il ragazzo la guardò incredulo. Ma ben presto l’incredulità fece posto ad un nuovo sentimento: l’odio.
Fece per attaccarla, ma Adena si smaterializzò, diventando acqua e scomparendo alla sua vista.
Crollò sulle ginocchia, sconfitto da quell’agghiacciante verità. Adena era un’assassina e loro le avevano dato fiducia e protezione, ingenui come lo erano stati con Jennifer Blake. Derek aveva avuto ragione, fin dall’inizio e loro non avevano voluto credergli.
“Cosa posso fare?” sussurrò, stravolto.
Il tocco delicato di Lydia sulla sua spalla lo fece sussultare.
I loro visi erano vicinissimi, le labbra carnose della ragazza ad una spanna dalle sue.
“Vendicalo” affermò. “Trova Adena e impedisci che tutto ciò diventi realtà. Convinci i nostri amici a vedere la verità su di lei.
Dovete ucciderla, Stiles”


Stiles si mise a sedere, respirando affannosamente. Un nuovo incubo lo aveva stravolto e istintivamente si volse verso Scott, beatamente addormentato nel suo sacco a pelo ai piedi del letto. Un respiro di sollievo gli venne spontaneo e riuscì in parte a tranquillizzarsi. Il solo pensiero che a Scott potesse accadere qualcosa riusciva a mandarlo nel panico.
Ripensò a quell’incubo, per poi mordicchiarsi nervosamente il labbro.
All’improvviso si rese conto che Adena poteva non essere una napea, che poteva averli ingannati tutti fin dall’inizio.
Adena poteva essere la divinità marina. 




Con questo capitolo, termina la seconda parte della serie! :)
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento! Voi lettori siete l'anima di ogni fanfiction <3 
Come sempre ringrazio chiunque legge e/o recensisce e chi ha inserito Save the pack tra le preferite/seguite! Grazie davvero <3
Passando al capitolo, wow, quante informazioni, vero? Finalmente la vera natura di Adena è stata svelata - anche se qualcuno avrà i suoi dubbi, come avrete avuto modo di leggere - e i nostri ragazzi hanno deciso come fronteggiare la situazione! Per quanto riguarda la mitologia citata, le napee, le epigee e le driadi appartengono alla mitologia comune e qualunque cosa scritta al riguardo - le caratteristiche delle napee, il fatto che le ninfe vengano considerate "guaritrici dei mali" - non è di mia invenzione, ma mi sono documentata prima di iniziare questa storia. Spero che le rivelazioni del capitolo non vi abbiano deluso!
L'unico fatto di mia fantasia riguardo le napee è la storia che venga tramandato questo anello con una rosa di generazione in generazione; volevo che Adena avesse un suo simbolo fin dall'inizio e poi mi sono resa conto che lo stesso avrebbe potuto essere un modo per permettere a Deaton di capire cosa fosse la nostra protagonista!
Credo di aver detto tutto!
Al prossimo capitolo!
Un bacione, 
Ely 91
 

NEXT ON "SAVE THE PACK":

"Potrebbe essere lei! Potrebbe averci preso in giro fin dall'inizio!" urlò Stiles
WHO
"È in pericolo! È lui, accidenti!!!" gridò Scott, iniziando a correre il più veloce possibile.
IS
"Devi fidarti di te stesso, Stiles. Segui il tuo istinto" asserì Cassidy, sorridendo dolcemente
THE
"Qualcuno qui ha bisogno di aiuto?". Jackson sorrise sghembo, sfoderando gli artigli di fronte le espressioni stupefatte dei presenti, feriti e sconvolti dai recenti avvenimenti.
KILLER?
SAVE THE PACK / WEDNESDAY ON "EFP"!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 1x09 - Fidati di me ***


Image and video hosting by TinyPic
 

1X09 - FIDATI DI ME



 
La campanella suonò annunciando la fine delle lezioni. Lo stridio delle sedie sul pavimento  fu immediatamente accompagnato dal vociare crescente dei ragazzi, pronti ad uscire dall’aula in fretta e furia. Matematica non era una delle materie più divertenti del semestre, persino per Cassidy che andava bene in tutti i corsi.
La ragazza smise di mordicchiare il tappino della sua biro nera e ripose tutto nella borsa a tracolla, dirigendosi celermente verso gli armadietti. La lezione successiva di spagnolo si teneva dall’altra parte dell’edificio e lei aveva già rischiato di fare tardi diverse volte e la cosa non le piaceva affatto, vista la severità della sua insegnante, una donna di mezz’età inacidita probabilmente dalla mancanza di un uomo al suo fianco.
Con sua grande sorpresa però, poggiato contro il suo armadietto, intravide la figura ormai familiare di Stiles. Stavolta solo, senza la compagnia del suo amico Scott.
Cassidy sorrise e lo raggiunse, salutandolo vivacemente.
“Che bello vederti qui!” esclamò, facendo sorridere il ragazzo a sua volta.
Tuttavia, non le sfuggì lo stato di tensione di Stiles.
“Qualcosa non va?” domandò, preoccupata. Improvvisamente la lezione di spagnolo era decisamente l’ultimo dei suoi pensieri.
Stiles annuì, sentendosi improvvisamente spogliato dei suoi pensieri più superficiali, come se Cassidy potesse leggere quelli più intimi, quelli più veri.
“So che sei a scuola, hai le lezioni da seguire, ma ho davvero bisogno di parlare con te” ammise il ragazzo, sospirando.
Cassidy poggiò una mano sulla sua, guardandolo dritto negli occhi.
“Non ti preoccupare, ho tutto il tempo del mondo” disse, facendogli segno di indietreggiare di un passo per poter aprire l’armadietto.
Svuotò la borsa dai libri di matematica e prese quelli del corso di scrittura creativa. Uno dei pochi corsi che lei e Adena avevano in comune. Sapeva che la ragazza era diventata amica di Stiles e dei suoi amici, a differenza sua che non aveva mai scambiato una parola con lei in tre anni di liceo.
Avrebbe saltato la lezione di spagnolo e si sarebbe recata direttamente a quella successiva. Non avrebbe mai potuto abbandonare Stiles, specie se in quello stato. Sembrava profondamente turbato.
“Vieni” gli disse, afferrandolo per mano e guidandolo nell’aula di canto, a quell’ora della mattina vuota. Lì avrebbero potuto parlare tranquillamente, senza essere interrotti.
Stiles prese posto su una delle sedie, intrecciando le dita diverse volte, come a voler scaricare la tensione.
Cassidy, vicina a lui, poggiò nuovamente la  mano sulle sue, per farlo smettere.
“Avanti, dimmi cosa succede” lo incitò.
Stiles sospirò pesantemente.
“Non so nemmeno da dove cominciare” ammise.
“Che ne dici di iniziare…dall’inizio?” asserì ironicamente la rossa.
Stiles accennò un sorriso e prese la parola, cercando di riordinare tutti i pensieri che affollavano la sua testa in quell’istante.
“Allora, sarò sincero con te. Non posso dirti tutti i dettagli di questa faccenda, non oggi, non in questo momento”. Stiles non osava nemmeno immaginare come avrebbe potuto reagire la ragazza alla parola licantropi. Tuttavia non fece una piega e lo esortò a continuare con lo sguardo, nonostante lui le avesse comunicato che non avrebbe potuto essere totalmente sincero.
“Ecco, noi crediamo che una persona stia facendo delle cose sbagliate e vogliamo fermarla. Tuttavia, io ho fatto un sogno. Anzi un incubo”
“Di nuovo?” lo interruppe Cassidy, rammentando quella volta che gli aveva raccontato la leggenda dell’acchiappasogni “ultimamente ne fai molti”
“Da quando sono arrivato a Santa Monica. Posto incantevole, mondo onirico terribile” ironizzò il ragazzo.
Cassidy sorrise, per poi tornare a parlare. “Cosa hai sognato?”
“Ho sognato che una nostra amica, una persona insospettabile, sia in realtà lei quella che sta facendo delle cose sbagliate”
“Stai parlando di Adena” asserì Cassidy.
“Nono! Cosa ti viene in mente?!?” esclamò Stiles, agitando le mani in segno di negazione, colto in flagrante. Cassidy inarcò un sopracciglio scettica. “Dai, continua”
“Dicevo… non so, i sogni sono sogni, ma ho come la sensazione che questo fosse in qualche modo reale. Come un sogno premonitore, capisci? Cioè, non che fosse un sogno premonitore vero e proprio, ma….”
“Come se il tuo inconscio ti avesse fatto aprire gli occhi sulla verità” completò la frase per lui la ragazza.
“Già”
“E cosa hai fatto dopo il sogno? Cosa è successo che ti turba così tanto?”
“Questa mattina ne ho parlato con Derek, perché sai, lui non ha molto a simpatia questa nostra amica”
“Adena” ripeté Cassidy.
“Non è Adena!” ribattè Stiles.
“E come è andata?”
“Non mi ha creduto”

Derek aprì la credenza, osservando contrariato che fosse quasi vuota. Era Peter che si stava occupando dei viveri e lui, dovette ammettere, si stava quasi abituando a quella vita a Santa Monica, una vita in prestito, proprio come la casa in cui alloggiavano. Gli piaceva avere un tetto sopra la testa, ma non come quello del suo appartamento a Beacon Hills, non come quello distrutto della sua vecchia casa, ma quello di un posto caldo e accogliente, soggetto ad un viavai continuo di persone. Non gli dispiaceva vivere con Scott o con quel rompiscatole di Stiles e nemmeno la normalità, cucinare e cenare tutti assieme.
Gli sembrava di essere tornato ai tempi in cui i suoi genitori si prendevano cura di lui; doveva semplicemente lasciare che lo accudissero, senza problemi, senza nemici mortali.
“Sono finiti i cereali. Odio fare colazione senza cereali” affermò Stiles, entrando in cucina alle spalle dell’alpha, che puntualmente roteò gli occhi prima di voltarsi.
“Esci e comprali” sbottò l’uomo.
“Nervosetti di prima mattina?”
“Sono sempre nervoso con te nei dintorni, questo non ti dice nulla?”
“Ehm…” Stiles incrociò le braccia e si appoggiò contro lo stipite della porta “forse che tra di noi c’è una certa tensione sessuale che fatichi a reprimere?”
Derek sgranò gli occhi, prima di guardarlo furioso.
“Ti ucciderò se continui di questo passo” sibilò, conscio tuttavia di essere stato sul punto di arrossire.
Quello stupido di un liceale era riuscito ad imbarazzarlo come forse non accadeva da anni.
“Bene, allora passiamo ad altro. Devo parlarti di una cosa” ammise il ragazzo, guardandolo dritto negli occhi.
“Spero per te che sia qualcosa di importante”
“Lo è. Ecco, ultimamente faccio molti sogni, incubi più che altro. Ma stanotte è stato diverso, era troppo reale.
Derek, credo che Adena ci abbia mentito, che sia lei la divinità marina che si diverte a far fuori la gente”
Derek inarcò un sopracciglio.
Non era la reazione che Stiles aveva previsto. Credeva che Derek avrebbe subito appoggiato la sua ipotesi, visti i trascorsi con la ragazza.
“Allora?” lo esortò “credevo la odiassi, che volessi tagliarle la gola e tutte quelle manie da alpha arrabbiato”
Derek gli diede le spalle e poggiò le mani sul ripiano della cucina.
“Volevo, esattamente. Adena non è certamente una persona che riesco a tollerare; risulta persino più insopportabile di te.  Ma credo in Deaton. Se Deaton dice che è una napea, io mi fido della sua esperienza e delle sue conoscenze”
“Andiamo, Derek! Hai sempre detto che ti ricordava Jennifer Blake, magari avevi intuito la verità, a differenza di tutti noi!” lo esortò Stiles, gesticolando animatamente, come suo solito.
“No, Stiles. Lascia stare i sogni. I sogni restano tali”


“Conoscendoti, immagino che tu non ti sia arreso tanto facilmente” constatò la ragazza.
Stiles annuì. “A quel punto ne ho parlato con Scott. Lui è il  mio migliore amico, mi avrebbe creduto, o almeno ne ero certo”
“Ma non l’ha fatto, vero?” chiese l’altra, una ricercata delicatezza nel timbro soave di voce, come a voler cullare Stiles semplicemente con le sue parole.
“No, non l’ha fatto”

Scott si passò una mano sul volto, assonnato. Era seduto a terra, le gambe nel sacco a pelo divenuto ormai il suo letto. Isaac accanto a lui, dormiva ancora profondamente.
“Sei impazzito?” domandò.
“Shhh!” lo zittì Stiles portandosi l’indice sulle labbra “parla piano! Non voglio che Isaac si svegli e ci senta”
“E ci credo” sussurrò di rimando Scott “hai praticamente accusato la ragazza che frequenta, di essere un’assassina, nonostante Deaton ci abbia dato prova che sia altro”
“Magari ha ingannato anche lui!” affermò, tentando di mostrarsi persuasivo.
Scott crucciò lo sguardo.
“Non credo proprio” asserì, ravvivandosi i capelli arruffati con una mano “Stiles, il tuo è stato solo un bruto sogno”
Stiles si rabbuiò.
“Non mi credi, non mi concedi nemmeno il beneficio del dubbio, dunque?” chiese, pur conoscendo già la risposta.
“Stiles, io…” una breve pausa accompagnata da un sospiro “io credo in Deaton e credo in Adena”
“Ma non credi in me” appurò il giovane Stilinski, la delusione non nascosta.
“Certo che credo in te!” ribatté Scott, esasperato da quella conversazione e dall’assurda idea di Stiles “ma penso che tu ti sia semplicemente lasciato condizionare un po’ troppo da un incubo”
“Già” annuì Stiles, recandosi  verso la porta “un incubo in cui tu eri morto. Pensavo che almeno tu mi avresti creduto. Io l’avrei fatto, avrei creduto in te”


“Cosa è successo dopo?”
“Sono venuto da te” asserì Stiles “non sapevo dove altro andare, da chi farmi ascoltare”
Cassidy sorrise radiosa. Stiles la osservò crucciato.
“Vedo che le mie disavventure ti fanno sorridere” le disse.
“No, non è questo” affermò la ragazza scuotendo la testa “è il fatto che tu sia venuto da me, che sapevi che ti avrei ascoltato. Mi rende felice sapere che conti su di  me”
Stiles arrossì leggermente.
“Beh” disse “abbiamo condiviso una sparatoria, sono esperienze che uniscono” ironizzò, facendola ridere.
Cassidy prese la sua mano fra le sue. “Cosa farai adesso Stiles? Ti batterai per la tua idea?”
“Si” affermò “devo difendere i miei amici, anche se non vedono ciò che vedo io”
“Sei un buon amico” appurò la ragazza, carezzandogli la guancia.
Stiles sorrise debolmente, prima che la campanella suonasse nuovamente.
“Devo andare” disse Cassidy, alzandosi.  “Tra l’altro oggi pomeriggio mi aspetta una lunga riunione alla fabbrica, per parlare con alcuni responsabili.  E’ stata un’idea di Jhonny, ogni tanto quel ragazzo mi stupisce”
La ragazza fece per dirigersi alla porta, ma la voce di Stiles la bloccò nuovamente.
“Ah, Cassidy!”
“Si?”
“Ti andrebbe di uscire… sai…”
Cassidy trattenne una risata. “Si, Stiles, mi andrebbe di uscire con te”


“Dunque ne ha parlato anche con te?” domandò Scott, chiudendo il libro di fisica applicata sulle sue ginocchia.
Aveva deciso di essere un licantropo migliore, un figlio migliore ed anche un alunno migliore. Quel suo soggiorno a Santa Monica non avrebbe mandato a monte i suoi propositi.
Derek era seduto sulla poltrona accanto al divano, la tv accesa su un canale qualunque.
Era insolito per lui maneggiare il telecomando, gli sembrava un oggetto appartenente ad un’altra epoca per quelli che come lui non guardavano uno show televisivo da anni.
“Si, questa mattina” asserì l’alpha “sembrava davvero turbato e al contempo convinto da ciò che aveva sognato”
“Hai notato che ultimamente fa sempre questi strani incubi?”
Derek annuì. “Sembra assurdo che abbia preso quello sulla vostra amica così seriamente. Specie dopo tutta la conversazione con Deaton”
“Si è molto arrabbiato con me” disse a quel punto Scott, rammaricato. “Io e Stiles non litighiamo praticamente mai. Non così. Mi ha guardato come se lo avessi pugnalato alle spalle”
“E’ normale. Non sei solo suo amico, Scott. Non siete solo come fratelli. Nonostante lui sia umano, in qualche modo tu sei il suo alpha. Un membro del tuo branco si aspetta fiducia reciproca. Così è come se lo avessi abbandonato”
Scott sospirò. “Cosa avrei dovuto fare? Adena non è la divinità marina che stiamo cercando”
“Avresti potuto credermi, semplicemente. Io ho creduto che a te potessero spuntare le zanne, ma tu non puoi credere di esserti sbagliato su una persona”
Stiles entrò in salotto, facendo voltare i due licantropi.
Dalla sua espressione e dalle sue parole, Scott intuì che fosse ancora molto risentito.
“Stiles, io credo in te. Ma anche tu puoi sbagliare e…”
“Lascia stare” sbottò Stiles.
Scott fece per ribattere, ma Derek li interruppe, alzando di colpo il volume della televisione.
“Bel modo per zittirci” brontolò Stiles, ma l’alpha gli fece segno di stare attento.
“No, ascoltate! Stanno parlando della famosa fabbrica!”
“… viste le recenti proteste, lo stabilimento resterà chiuso in questi giorni per un approfondimento della vicenda da parte delle autorità competenti. Il sindaco Gregory garantisce che faranno il massimo per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini.
Adesso passiamo alla prossima notizia. La mostra d’arte organizzata dagli studenti….”

Stiles quasi sobbalzò, ricollegando la notizia appena ascoltata all’informazione che gli aveva fornito Cassidy.
“Tra l’altro oggi pomeriggio mi aspetta una lunga riunione alla fabbrica, per parlare con alcuni responsabili.  E’ stata un’idea di Jhonny, ogni tanto quel ragazzo mi stupisce”
“Oh mio Dio! La divinità marina è Jhonny!” esclamò.
“Cosa?!?” chiesero i due licantropi, stupiti.
“Si, è lui! Cassidy mi ha detto che oggi pomeriggio lei e Jhonny sarebbero andati alla fabbrica per un incontro con i dirigenti, ma la fabbrica è chiusa! Deve essere una trappola! Forse ha paura che Cassidy sospetti qualcosa, magari sa che lo stiamo cercando e che diverse informazioni ce le ha fornite proprio lei!”
“Ora che ci penso…” asserì Scott “Cassidy ha lasciato intendere che fosse un tipo molto impulsivo e arrabbiatissimo per la faccenda del delfino. Magari lo era più degli altri!”
“E quando hanno ritrovato morto il signor Brooks, lui ha espresso chiaramente il suo disprezzo. Ne era felice, direi. Non un minimo di umano dispiacere, come quello provato da Cassidy. Anche lei si batte per la faccenda del delfino e della fabbrica, eppure non ha certo fatto i salti di gioia!”
“Questo vuol dire che è in pericolo! È lui accidenti!” gridò Scott, alzandosi in piedi.
“Dobbiamo andare alla fabbrica!” intervenne Derek “chiamo Peter e Isaac!”
“Io informo Deaton, sarà meglio tenerlo aggiornato” proferì Scott.
 
Dall’edificio non proveniva alcun suono. Come annunciato dalla giornalista in tv, doveva essere completamente vuoto.
“Siamo sicuri che siano qui? Forse Jhonny non lo sapeva, forse è tutto un grande equivoco” asserì Isaac, rivolgendosi  a Stiles.
“Ormai siamo qui, controllare non ci costerà nulla” intervenne Scott, facendo da aprifila. “Entriamo”
Le luci nell’edificio spente, i macchinari non in funzione avvolti nella penombra dei raggi di sole del tardo pomeriggio, conferivano al’ambiente un aspetto davvero tetro.
“Sentite qualcosa?” chiese Stiles.
I licantropi si concentrarono su ogni singolo suono, fin quando la voce melodiosa di Cassidy raggiunse i loro timpani.
“Cassidy è qui! Deve essere al piano di sopra!” esclamò Scott, prendendo a correre verso le scale, seguito dagli altri quattro.
Peter chiudeva la fila, ma non pareva davvero interessato a quella vicenda. Isaac aveva notato come l’uomo sembrasse essere altrove, preso da chissà quali tipi di pensieri e chiuso in un silenzio tutto suo.
Scott e Derek si precipitarono verso quella che doveva essere la sala riunioni, da dove avevano udito la voce.
Entrando nell’ampia stanza, arredata con un grande tavolo e una ventina di sedie tutt’attorno, il gruppo individuò Cassidy e Jhonny vicino l’ampia vetrata che si affacciava sul parcheggio della fabbrica.
I due ragazzi sobbalzarono stupiti, voltandosi verso di loro.
“Cassidy, allontanati da Jhonny, presto!” esclamò Stiles.
La ragazza lo guardò confusa, mentre Jhonny crucciò a sua volta lo sguardo.
“Che diavolo sta dicendo quello sfigato?” sbottò il ragazzo.
“Perché l’hai portata qui, oggi, pur sapendo che la fabbrica  fosse chiusa?” domandò Scott, senza nascondere la sua diffidenza.
Tuttavia Jhonny lo guardò confuso.
“Io l’ho portata qui?!? È stata lei a dirmi che alcuni responsabili della fabbrica avevano accettato di vederci oggi pomeriggio. Ma quando siamo arrivati qui non c’era nessuno e Cassidy mi ha detto che dovevamo attenderli in sala riunioni” spiegò il ragazzo, seccato da quell’intrusione e soprattutto da quella situazione ai suoi occhi totalmente priva di senso.
Stiles guardò Cassidy, confuso, come tutti gli altri.
Fu a quel punto che la ragazza rise, in una maniera totalmente diversa dal solito. Una risata sprezzante, cinica, differente da quella che Stiles aveva udito proprio quella stessa mattina.
“Devo ammettere che mi avete sorpresa. Avevo detto che sarei stata qui oggi pomeriggio, ma non per farvi arrivare. A quanto pare vi ho sottovalutato, tralasciando il fatto che avete accusato la persona sbagliata”
Scott e gli altri sgranarono gli occhi.
La verità cadde loro addosso con lo stesso peso di un macigno.
“Sei tu” sussurrò Stiles.
“Si, Stiles, sono sempre stata io. Mi dispiace, ma non mi dispiace” asserì, sorridendo freddamente.
“Perché sei qui, con lui?” chiese Isaac.
“Ottima domanda, lupo”  disse Cassidy, mentre Jhonny la guardava come se fosse impazzita.
“Cassidy che storia è questa??” urlò.
“Shhh, Jhonny, lascia che mostri loro cosa volevo fare oggi” la ragazza gli prese il volto fra le mani, confondendolo ulteriormente, poi arretrò di un passo.
“Ciao ciao Jhonny”
Il ragazzo si voltò verso la vetrata, come in trance. Prima che qualcuno potesse anche solo capire cosa stesse effettivamente accadendo, Jhonny si lanciò contro la vetrata, mandandola in frantumi e facendo un volo di dodici metri.
“No!!!” urlò Scott.
“Non dovreste sottovalutarmi” sentenziò la ragazza. Derek fece per attaccarla, ma con un semplice gesto della mano, lo scaraventò contro la parete.
“Chi sei tu? Chi sei davvero??” urlò Stiles, stravolto.
Si era fidato di lei, le aveva confidato i suoi pensieri più profondi e aveva iniziato a provare qualcosa per lei.
Era stato uno stupido e quella consapevolezza sembrava volerlo schiacciare contro il pavimento.
Iniziava a capire come potesse essersi sentito Derek dopo aver scoperto la verità su Jennifer Blake.
“Non l’avete ancora capito? Io non sono una divinità marina.
Io sono una ninfa acquatica.
Una nereide”
Seguì quasi qualche secondo di silenzio irreale a quella rivelazione che Scott e Isaac si lanciarono contro di lei, ma prima che potessero anche solo sfiorarla, iniziarono a sputare acqua in continuazione, come se stessero annegando.
I due licantropi caddero a terra, le mani ancora alla gola, alla ricerca disperata di aria.
Peter sfoderò gli artigli, ma con un solo sguardo di Cassidy, iniziò anch’egli a espellere acqua.
“Fermati! Così li ammazzerai!” urlò Stiles.
“E’ proprio questo il mio intento” asserì Cassidy, divertita da quello che per lei sembrava essere un semplice gioco.
Stiles si guardò attorno, alla ricerca disperata di un’idea per poter contrastare Cassidy, ma prima che potesse anche solo muovere un muscolo, qualcosa lo sfiorò, andando a colpire una mano della ragazza.
Una freccia.
Cassidy urlò dal dolore, liberando i tre licantropi che ripresero a respirare normalmente, cercando l’ossigeno con grandi boccate, come se fossero riemersi dal profondo oceano.
Stiles si voltò, riconoscendo sorpreso le tre persone alle sue spalle.
“Presa” disse Allison, tendendo ancora una volta l’arco.
"Qualcuno qui ha bisogno di aiuto?". Jackson sorrise sghembo, sfoderando gli artigli di fronte le espressioni stupefatte dei presenti, feriti e sconvolti dai recenti avvenimenti.
“Allora, chi è questa stronza?” asserì Lydia, incrociando le braccia.
“Maledizione” sibilò a denti stretti Cassidy, prima di lanciarsi con grande sorpresa di tutti, fuori dalla vetrata in frantumi alle sue spalle.
Stiles corse ad affacciarsi, ma non vide nessuno.
“Dobbiamo trovarla!” sentenziò Allison.
“E voi dovete dirci cosa ci fate qui” affermò Derek, sorpreso soprattutto dalla presenza di Jackson Whittemore.
“Ogni cosa a suo tempo. Prima prendiamo Cassidy” intervenne Scott, accennando un sorriso in direzione dei tre. Era felice di vederli. Finalmente il branco era riunito.
Stiles lo fiancheggiò e Scott gli diede una pacca sulla spalla.
“Mi dispiace” gli disse, mentre Stiles guardava un punto indefinito della stanza.
Il sole stava tramontando su Santa Monica, annunciando l’inizio di una lunga notte.
Cassidy era lì fuori, da qualche parte e, si ritrovò a pensare Isaac, presto sarebbe iniziato un nuovo giorno. Il terzo prima della luna piena.


Pensavo che non ce l'avrei fatta ad essere puntuale con la pubblicazione, ma anche questo mercoledì Save the pack è qui:) È stato difficile scrivere questo capitolo, lo studio ruba quasi tutto il mio tempo e probabilmente questo nono capitolo non è nemmeno dei migliori. Spero che sia comunque di vostro gradimento e di non aver lasciato troppi errori in giro vista la rilettura veloce.
Finalmente abbiamo scoperto chi è l'altro grande cattivo della serie oltre Nathaniel; qualcuna di voi se lo aspettava, altre no, fatemi sapere cosa ne pensate :)
Passando ai ringraziamenti, grazie come sempre a chi leggerà/recensira e a chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite; domani risponderò alle vostre recensioni <3
Grazie anche alla fantastica Sara, per la nuova bellissima immagine per questa ultima parte della serie! <3
Save the pack andrà in pausa una settimana e tornerà mercoledì 30 ottobre!

 
Un bacione,
Ely 91


 

NEXT ON "SAVE THE PACK":

“Non riavremo indietro Erica e Boyd.
Non sappiamo nemmeno se riavremo Stiles.
Cassidy è fuori controllo e noi siamo in svantaggio”

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 1x10 - Speranza ***


Image and video hosting by TinyPic
 

1x10 - SPERANZA

“Oh baby, baby, it’s wild world…”
Cat Stevens – Wild World

“Una nereide? Questo complica le cose”
La voce di Deaton risuonò dal telefono di Scott impostato in modalità vivavoce e posizionato sul tavolinetto del salotto di casa Parker, ormai divenuto una sorta di quartier generale. Tutti i presenti, difatti, erano riuniti nella stanza, in attesa di definire un piano di azione.
Cassidy era fuggita via lanciandosi dalla finestra e scomparendo nel nulla, proprio come acqua in evaporazione.
Stiles era seduto sulla poltrona, il piede mosso in continuazione a rivelare il nervosismo crescente. Non aveva proferito parola da quando avevano lasciato la fabbrica e nessuno aveva avuto il coraggio di interpellarlo per qualsiasi motivo.
“Dobbiamo trovarla, doc. Cosa può dirci al riguardo?” domandò Isaac.
Da quando aveva scoperto la vera identità di Cassidy, tanti pensieri erano passati in secondo piano. Aveva sentito meno la mancanza di Adena, o forse aveva solo convinto sé stesso che fosse così. Di una cosa però era certo: era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere al momento.
Jackson e Allison erano in un angolo, entrambi con le braccia incrociate contro il petto, l’espressione seria. Era la prima volta che il licantropo collaborava davvero con loro ed Isaac si ritrovò a pensare che in qualche modo quello fosse il suo riscatto, dopo aver lasciato dietro di sé, seppur involontariamente, una scia di sangue in quanto Kanima.
“Le Nereidi, come vi ha detto la stessa Cassidy, sono delle ninfe marine, tanto belle quanto pericolose. Ciò che le contraddistingue dagli altri comuni essere umani è la pelle lattea e la voce soave”
“Ecco spiegata la sua incantevole voce” asserì sprezzante Peter.
Stiles chiuse per un attimo gli occhi, rievocando il suono del suo timbro melodioso che lo aveva incantato fin dal principio; ora riusciva solamente ad odiarlo.
“La mitologia narra che esse siano particolarmente terribili con chi interrompe il loro riposo, o, nel caso di Cassidy, con chi riesce a scatenare la loro ira con qualche gesto ritenuto offensivo; sono esseri particolarmente suscettibili, richiedono rispetto e reverenza e doni. Hanno la capacità di  far impazzire le persone fino a portarle a gesti estremi oppure di farle cadere in un sonno dal quale è impossibile svegliarsi o comunque dal quale se ne esce turbati, preda a pazzia. Possono anche provocare malattie gravi nei loro bersagli o rapire bambini dalle loro culle”
“Questo spiega tutto!” affermò Scott. “Spiega il ragazzo fuori controllo della sparatoria, il suicidio dell’uomo in piscina…”
“…la scomparsa del neonato…” aggiunse Derek.
“… il fatto che abbia fatto lanciare Jhonny dalla vetrata semplicemente guardandolo negli occhi…” continuò Isaac.
“…e la morte apparentemente naturale di Jeff…” appurò Peter.
“…ed i miei incubi” concluse Stiles, attirando l’attenzione su di sé.
“Quali incubi?” indagò Allison.
“Da quando l’ho conosciuta, il giorno della sparatoria, ho iniziato ad avere incubi molto reali, capaci di turbarmi profondamente, fin quando non sono arrivato al punto di sognare che Adena fosse il vero nemico e a crederci, cercando di convincere anche gli altri. Cassidy mi stava manovrando, stava spostando l’attenzione su Adena solo per poter ultimare il suo piano e uscirne innocente”
“Per aver usato proprio te, credo che in qualche modo tu l’abbia irritata” proferì Deaton, mentre ai presenti giunse il suono di un fruscio di pagine voltate velocemente, prima che tornasse a parlare “ha per caso sempre con sé uno scialle bianco o qualcosa di simile?”
Stiles crucciò lo sguardo, sorpreso da quella domanda. “Si, un foulard bianco da cui non si separa mai”
“Questo è molto importante, ascoltatemi bene. Chiunque riesca ad impossessarsi di questo indumento, potrà comandarla come se fosse una schiava, è questo il suo punto debole. Ed è questo il motivo per cui Cassidy non se ne separa mai”
Stiles strabuzzò gli occhi. “Ora lo so!” esclamò “ora so quando l’ho irritata!”
“Quando?” domandò Derek.
“E’ stata la mattina in cui siamo arrivati, quando ci siamo nascosti in quell’aula durante la sparatoria. Cassidy sembrava agitata ed io ho cercato di toglierle il foulard dal collo, ma lei mi ha immediatamente fermato, abbastanza innervosita, e poi si è giustificata dicendo che fosse un caro regalo”
“Credo tu abbia ragione” asserì Deaton “il tuo tentativo di toglierle l’unica cosa che davvero conta per la sua libertà deve aver offeso non poco la sua natura nereide”
“Adesso che facciamo?” domandò Jackson.
“Dobbiamo cercarla nei posti che è solita frequentare, non abbiamo altra scelta” affermò Scott.
“Dovremmo controllare in spiaggia, d’altronde l’acqua è il suo elemento” suggerì Derek.
“Anche a scuola, giusto per non tralasciare nulla. E all’associazione dove svolge volontariato” aggiunse Stiles.
“E casa sua?” chiese Isaac.
“Sarebbe solo una perdita di tempo” intervenne Lydia “un fuggitivo non torna mai a casa sua. E poi c’è la sua famiglia, che immagino non sappia nulla riguardo la sua natura. Giusto doc?”
“Esatto. Come per Adena, anche Cassidy è l’unico essere sovrannaturale della sua famiglia. Come per Lydia, lei è una banshee, ma i suoi familiari invece sono dei comunissimi essere umani. Certi geni non si manifestano tanto frequentemente”
“Allora dividiamoci tra scuola, spiaggia e associazione” concluse Scott “e speriamo di trovarla tanto facilmente o di scovare almeno qualche indizio che possa condurci nel luogo dove si nasconde”
“Un’ultima cosa” lo interruppe Deaton “il neonato potrebbe essere ancora vivo. Non è nella natura di una Nereide fargli del male”
I presenti si guardarono in volto, speranzosi. Forse potevano ancora salvarlo e quel pensiero comune aveva fatto battere i loro cuori più velocemente.


Scott apriva la fila, Isaac ed Allison camminavano qualche passo dietro di lui.
Tutti e tre erano in allerta, pronti a sfoderare gli artigli o a scoccare una freccia, se necessario.
Al buio della sera, l’oceano appariva come una distesa infinita, senza confini, un tutt’uno col cielo privo di stelle. L’umidità nell’aria era chiaramente avvertibile per i due licantropi, sapevano che presto avrebbe piovuto.
Da qualche parte risuonarono i rintocchi di un campanile. La mezzanotte era scoccata e Santa Monica sembrava una cittadina qualunque, tetra come mai era stata.
Allison cercò di concentrarsi sull’oscurità, non potendo usufruire di una vista speciale come quella dei due licantropi, pur di non pensare a quanto fosse imbarazzante quella situazione.
Dopo il suo breve flirt con Isaac, lei ed il ragazzo avevano finiti con l’evitarsi, proprio come aveva fatto con Scott precedentemente, non affrontando il discorso sul suo avvicinamento a quello che ormai era diventato un suo caro amico.
“Stiamo solo perdendo tempo” sbottò improvvisamente Isaac, spezzando il silenzio venutosi a creare “perché dovrebbe essere qui?!?”
“L’acqua è il suo elemento e non avendo altre piste più sicure da seguire, dobbiamo tentare, cercarla ovunque” gli ricordò Scott, il tono serio, lo sguardo rivolto pochi metri più avanti, alla ricerca di qualsiasi movimento sospetto.
Isaac calciò la sabbia, con rabbia. La frustrazione stava iniziando a renderlo irritabile. L’idea di aver avuto tutto quel tempo il vero assassino proprio sotto i loro occhi sembrava volerlo fare impazzire.
Allison lo osservò apprensiva. Non poteva comprendere pienamente i sentimenti del gruppo, ma adesso che li aveva raggiunti aveva tutta l’intenzione di andare fino in fondo con loro, come aveva sempre fatto.
“La prenderemo” disse semplicemente, cercando di infondere fiducia in entrambi.
Scott si voltò verso di lei e accennò un sorriso che la fece sorridere a sua volta, di riflesso. Erano sempre stati connessi e ora più che mai poteva sentirsi un tutt’uno con lui.  Forse non era troppo tardi per sistemare le cose, magari dopo tutta quella vicenda avrebbero potuto parlare di quel “noi” che aveva ella stessa bruscamente interrotto e poi ridotto in mille pezzi avvicinandosi a Isaac.
Quest’ultimo pareva essere sul punto di lanciare un grido dalla rabbia, e la cacciatrice non poté fare a meno di chiedersi se c’entrasse qualcosa anche quella ragazza di cui Deaton aveva parlato, legata, a dire del veterinario, a diverse persone nel branco e per diversi motivi, anche se a prima vista avrebbe potuto non sembrare così.
“Questa zona è quella dove più volte l’abbiamo incontrata” spiegò Scott, fermandosi di colpo “ed è ovvio che non si trovi qui. Non possiamo perlustrare tutta la costa di Santa Monica”
“Cosa facciamo?” chiese la ragazza.
“Raggiungiamo Stiles e gli altri”
“Avverto Lydia e Jackson e chiedo se da loro ci sono novità”. La ragazza scrisse velocemente il messaggio dal suo cellulare e pochi istanti dopo una vibrazione l’avvertì della risposta.
“Non è nemmeno a scuola. Andiamo all’associazione”


Lydia camminava un passo dietro Jackson, il ticchettio dei suoi tronchetti a fare da eco ai suoi passi nella scuola praticamente vuota a quell’ora della notte.
Gli artigli di Jackson erano in vista, pronti a difenderli nel caso Cassidy li avesse colti di sorpresa. Lydia non sapeva bene cosa dire al ragazzo, era imbarazzante ritrovarsi col suo primo amore dopo tutto quel tempo, dopo tutte quelle nottate insonni, dopo tutti i ragazzi che aveva usato solo per cercare di scacciare il ricordo dei suoi baci dalla sua mente. Ora invece  tutto le era sembrato così invano; il profumo di Jackson le si era di nuovo impresso nella memoria e quel semplice ricordo, come una sorta di domino, aveva risvegliato tutte le sensazioni assopite.
“So che non mi vorresti qui” le disse improvvisamente il licantropo, senza voltarsi.
“Non sto dicendo nulla” rispose la ragazza, con quel tono che avrebbe usato per ribadire qualcosa di ovvio in una maniera saccente.
“Questo è evidente” la schernì il ragazzo “ma non bisogna essere dei geni per comprendere il tuo fastidio”
“Non ho voglia di parlare di questo, specie ora” lo ammonì l’altra.
“Perché ti ho abbandonata?”
Quella di Jackson suonò come una provocazione, ma c’era della rabbia dietro quella frase, una rabbia che egli stesso faticava a mascherare; tuttavia quelle parole le strinsero il cuore in una morsa.
“Ti ho detto che non voglio parlarne!” esclamò Lydia, il tono di voce più alto di un’ottava.
Jackson si voltò, incatenando il suo sguardo dello stesso colore dell’oceano a quello verde di lei.
“Credi che l’abbia scelto io? Che abbia avuto voce in capitolo? Credi che sia felice di vivere a Londra, lontano da te, lontano da Danny? Credi che sia piacevole subire l’influsso della luna piena senza avere l’appoggio di un branco?”
Quelle parole la punsero come tanti spilli. Ovvio che non credesse che fosse piacevole per lui, ma questo non aveva reso le cose meno difficili per lei.
“E tu credi che per me sia stata una passeggiata vederti andare via, non poter trattenerti?” ribatté, avanzando di un passo e fronteggiandolo.
Jackson sospirò.
“Una volta non saremmo stati così sinceri l’uno con l’altra” asserì.
Lydia annuì, consapevole di quanto fosse maledettamente vero.
Lei e Jackson si erano amati, eppure il sentimento che aveva accompagnato tanti momenti della loro relazione era stato l’orgoglio. L’orgoglio che aveva impedito ad entrambi di lottare di più per la loro coppia, quando Jackson l’aveva lasciata poco prima del ballo.
“Siamo cresciuti” disse lei e stavolta accennò un sorriso, lasciando sfumare la rabbia di poco prima.
“Guardi ancora The Notebook almeno una volta a settimana?” le chiese Jackson, stupendola.
Lydia fece cenno di si col capo, non capendo dove il ragazzo volesse andare a parare.
“Ho il dvd, nella mia stanza a Londra. Non lo guarderò mai, ovviamente, ma averlo lì mi ha sempre dato l’impressione che fossi pronto a riceverti, nel caso tu un giorno fosti arrivata a sorpresa. Sai, io, te e quel film, come una volta”
La ragazza si mordicchiò un labbro, cercando di nascondere gli occhi lucidi.
“Perché mi stai dicendo questo?”
“Perché c’è sempre un posto per te, ovunque io mi trovi”
Lydia lo guardò, non nascondendo la sorpresa mista a commozione.
Le sembrò di avere davanti di nuovo quel Jackson che le aveva dato la chiave di casa sua, per quanto la ritenesse importante.
Il ragazzo roteò gli occhi e accennò uno dei suoi sorrisi sghembi. “Ora però basta sentimentalismi o finirò con l’assomigliare a McCall”
Lydia rise brevemente, tirando su col naso e sbattendo le palpebre per intrappolare quelle lacrime prepotenti sul punto di uscire.
Il suo cellulare annunciò l’arrivo di un  messaggio.
“È Allison, non hanno trovato nulla, stanno raggiungendo Stiles, Peter e Derek”
“Direi che nemmeno qui c’è traccia di lei, abbiamo controllato l’edificio da cima a fondo” asserì Jackson.
“Allora andiamo anche noi da loro”
Il licantropo annuì. Per la prima volta lui e Lydia – una banshee, ancora faticava a crederlo – stavano collaborando per qualcosa di più grande. Non erano più i ragazzi più popolari della scuola presi esclusivamente dai loro interessi; erano parte di un branco. Erano gli eroi.


Peter forzò la serratura della porta dell’associazione ambientalista semplicemente esercitando poca pressione in più del normale sulla maniglia.
Il più grande del gruppo entrò immediatamente all’interno e Stiles fece per seguirlo a ruota, ma Derek lo bloccò, poggiandogli la mano sulla spalla. Era la prima volta che Derek Hale lo sfiorava senza dargli un pugno o per minacciarlo; sembrava un contatto umano, un contatto tra amici.
“Cosa c’è?” chiese il ragazzo, incuriosito.
“Volevo solo dirti..” Derek fece una breve pausa, come a voler prendere coraggio “…che ti capisco”
Furono poche e semplici parole, ma colpirono Stiles più profondamente di quanto Derek stesso avrebbe potuto immaginare.
Il giovane Stilinski ripensò a tutte le volte in cui aveva colpevolizzato Derek, senza mostrare la minima comprensione nei suoi confronti, senza soffermarsi nemmeno un istante a pensare a come potesse sentirsi perso e tradito lo stesso licantropo, dopo la vicenda di Jennifer Blake.
“Adesso anche io ti capisco” asserì Stiles, con sincero rammarico. Si guardarono qualche attimo negli occhi, e quello sguardo fu come una pacca sincera, come quelle che lui e Scott si scambiavano ed equivalevano ad un abbraccio.
“Ehi voi due, volete entrare o resterete a dirvi cose carine per tutta la notte?” esclamò Peter, dall’interno del piccolo edificio.
Derek fu il primo a raggiungerlo e qualche secondo dopo anche Stiles si decise a fare altrettanto, affrontando l’impatto con quel luogo dove l’ultima volta aveva parlato con Cassidy, insieme a Scott, credendola un’innocente ragazza a cui avrebbe chiesto di uscire.
“Non è nemmeno qui, dobbiamo cercare il suo indirizzo e raggiungerla a casa” sentenziò Peter, ma Stiles scosse la testa.
“Come detto prima da Lydia, credo sia inutile. Se tutti ti stessero cercando, andresti nel primo luogo dove potrebbero cercare?”
Peter fece spallucce, conscio che il ragionamento della rossa ripreso da Stiles non fosse affatto sbagliato.
“E allora cosa facciamo?” chiese Derek, incrociando le braccia.
Stiles rimuginò qualche secondo, squadrando l’ambiente circostante, fin quando non fu colto da un’intuizione improvvisa.
“Le persone collegate alla fabbrica, escludendo Nathaniel, sono morte tutte? Forse Cassidy deve ancora ultimare la sua vendetta!”
“Cerchiamo i nomi dei responsabili allora!”asserì Derek. Stiles annuì e afferrò il suo telefono, cercando le informazioni necessarie.
“Bingo!” esclamò qualche attimo dopo, mostrando la pagina web di un quotidiano locale.
“Stottlemeyer, è l’unico socio ancora in vita!”
“Dove abita?” domandò Derek, impaziente.
“Cerco l’indirizzo” rispose il ragazzo, sorridendo appena qualche istante dopo.
West Street, 18
“Andiamo!” li incitò Peter.
In quell’esatto momento il telefono di Stiles squillò.
“Scott? Anche qui niente, ma abbiamo una pista! No, non venite qui, raggiungeteci in West Street 18, ti spiego tutto tra poco”
Stiles sospirò. Poteva affrontare tutto quello, il solo sentire la voce di Scott gli aveva donato nuova forza. D’altronde, loro erano fratelli.


La casa di Stottlemeyer in West Street 18 era immersa nel buio, ad eccezione fatta per una sola luce proveniente da una delle finestre del secondo piano.
L’auto degli Hale frenò a secco di fronte l’abitazione. In contemporanea un’altra Toyota frenò loro davanti, accostandosi sullo stesso lato. Da quest’ultimo mezzo scesero in tutta fretta Allison, Scott ed Isaac.
“Ragazzi!” esclamò la cacciatrice, avvicinandosi a Stiles. “Qual è il piano? Perché siamo qui?”
Il ragazzo non fece in tempo ad aprire bocca, che il rombo di una moto li bloccò. Jackson sgommò, per poi fermarsi a qualche metro dietro di loro, mentre Lydia si teneva stretta a lui, nel buio della notte.
“E quella da dove spunta?” chiese Scott. “Credevo fossero andati a piedi a scuola”
“Non ne ho la più pallida idea” asserì Allison, guardandoli sorpresa.
Jackson scese dal mezzo e aiutò Lydia a fare altrettanto, avvicinandosi al gruppo.
“Allora McCall, cosa ci facciamo qui?”
“Aspetta aspetta, quella moto?” tornò alla carica il licantropo.
“L’abbiamo presa in prestito fuori un pub” dichiarò Lydia, facendo spallucce. I presenti la guardarono stupiti.
“Ehi! Ho dieci centimetri di tacco, volete forse che mi vengano le vesciche ai piedi?” asserì, a sua discolpa, incrociando le braccia e imbronciando le rosee labbra carnose.
“Beh, noi d’altronde stiamo occupando abusivamente una casa, quindi…” constatò Isaac.
“Basta perdere tempo!” sbottò Derek “siamo qui perché Stiles ha scoperto che una persona responsabile della fabbrica è ancora in vita ed abita qui, è il signor Stottlemeyer”
“Capisco” disse Allison, annuendo lentamente, come se stesse soppesando le parole dell’alpha.
Il gruppo entrò dalla porta sul retro, lasciata incoscientemente aperta. Stottlemeyer doveva avere molta fiducia nella sicurezza cittadina.
Il piano terra dell’abitazione era immerso nel più completo silenzio e nell’oscurità. Scott raggiunse le scale e fece segno agli altri di seguirlo. Al piano superiore, la luce che avevano visto accesa dall’esterno illuminava ancora la stanza in fondo al corridoio, la cui porta era stata lasciata spalancata.
Fecero per muoversi lentamente e silenziosamente, ma quando un gemito strozzato raggiunse l’udito raffinato dei licantropi, Scott si precipitò a tutta velocità nella stanza, ritrovandosi davanti l’ennesimo spettacolo agghiacciante e, cosa più importante, Cassidy, altrettanto sorpresa di vederli. Il povero signor Stottlemeyer giaceva morto ai suoi piedi, gli occhi sbarrati e acqua che ancora gli colava dalla bocca, come se fosse affogato nel vasto oceano Pacifico.
“Bene bene, i nostri otto coraggiosi ragazzi sono riusciti a trovarmi, di nuovo” asserì sprezzante, sorridendo sadicamente. Stiles distolse lo sguardo da quel volto improvvisamente irriconoscibile per lui.
L’attenzione di Jackson cadde invece sull’ormai noto foulard annodato intorno al collo dalla carnagione lattea. Avrebbe voluto lanciarsi contro di lei e prenderlo, ma era lì per agire come membro di una squadra e sapeva quanto quella sua azione dettata dall’impulsività avrebbe potuto rivelarsi controproducente.
“Perché, Cassidy?” le chiese Scott “Perché hai fatto tutto questo per un delfino?”
“Un delfino?” Cassidy lo guardò quasi disgustata. “Perché hanno ucciso una creatura che appartiene all’oceano, proprio come me. Non avrei mai potuto perdonare un’azione simile. Non capite? Io ho agito per il bene, ho liberato Santa Monica dall’inquinamento causato da queste persone schifose, dalla feccia”
“L’omicidio non è mai una soluzione” proferì Allison “la rabbia annebbia la mente”
“Oh, abbiamo una filosofa guerriera qui” la beffeggiò l’altra, prima di cercare con lo sguardo Stiles, ancora immobilizzato.
“Stiles” stavolta il tono della nereide si addolcì “non volevo che finisse così”
“Eppure mi hai usato, facendomi fare tutti quegli incubi”
“Avrei potuto farti impazzire, portati al delirio, ma mi sono veramente affezionata a te” disse, caricando le parole come se fosse una sorta di scena teatrale “dunque ho solo fatto in modo che la colpa ricadesse su Adena e speravo che il tuo gruppo si sarebbe convinto a lungo andare. Ma tu hai rovinato tutto, venendo alla fabbrica oggi pomeriggio”
“Perché hai fatto in modo che sapesse che saresti stata lì con l’altro ragazzo allora?” stavolta fu Derek a parlare, il tono di voce duro, le mani strette nei pugni. Per lui era difficile stare lì dentro, lasciarla parlare, senza saltarle immediatamente alla gola e sapeva quanto suo zio condividesse il suo pensiero e probabilmente anche il suo beta, Isaac.
“In realtà non era quello il mio intento. Avevo lasciato trapelare quell’informazione, solo per poter giustificare la morte di Jhonny. Sarebbe passata come un incidente. Avrei detto che mi aveva condotta lì con l’inganno, quando invece il suo intento era morire lì, in quella fabbrica, sacrificandosi per la causa, con me come testimone. E Stiles avrebbe confermato tutto, nessuno, voi per primi, avrebbe dubitato di me. Adena sarebbe sempre stata l’unica sospettata e nella migliore delle ipotesi l’avreste uccisa voi, al posto mio”
Isaac sfoderò gli artigli di riflesso, lasciando che le sue iridi si colorassero d’ambra.
“Perché volevi ucciderla? Per tua informazione, Nathaniel non ha a cuore la sua figliastra acquisita” asserì Peter, con quell’accenno di sarcasmo tipicamente da lui.
“Non lo avete minimamente immaginato? Nathaniel diventerà immortale sacrificandola e dalle vostre facce vedo che ne eravate già a conoscenza come sospettavo”
“Dunque?” stavolta ad intervenire fu Lydia, quasi stizzita dalla frase lasciata in sospeso.
“Dunque non permetterò mai che uno di loro, un licantropo per giunta, ottenga l’immortalità. Ammazzerò Adena prima che sia troppo tardi, onde evitare sorprese, e poi sarà il turno di Nathaniel”
“Ma Jhonny? Cosa aveva fatto di male?” tornò a domandare Scott. Quel confronto prettamente verbale stava districando i fili di quella trama intrecciata nella loro testa.
“Jhonny sapeva troppo, proprio come il vostro amico Jefferson. Aveva scoperto che il rapimento del neonato era stato ad opera mia e avevo temporeggiato dicendo che avrei detto la verità dopo la fantomatica riunione del pomeriggio”
“Dov’è il bambino?” si intromise Allison, il tono di voce severo.
Cassidy rise. “Vi aspettate che ve lo dica? Illusi”
Passò appena qualche secondo da quell’ultima rivelazione, prima che Derek lasciasse che i suoi occhi diventassero rossi e le sue zanne comparissero in bella vista.
“Direi che questa chiacchierata illuminante ora sia giunta al termine…”
Derek la raggiunse con due semplici falcate, ma quando fece per colpirla, il corpo di Cassidy divenne acqua, ricomponendosi qualche istante dopo. La ragazza lo colpì con una gomitata contro il viso, mentre Isaac e Peter si lanciavano contro di lei. Per quanto potesse essere forte, un gruppo di otto persone era troppo anche per lei. Immobilizzò i tre licantropi facendo loro ingurgitare acqua in continuazione, lasciandoli senza ossigeno, proprio come l’ultima volta.
Una freccia di Allison fece per colpirla, ma la evitò, mentre Jackson e Scott si lanciarono contro di lei. Jackson riuscì a graffiarla in viso e Scott a sfiorare il foulard, ma con un getto d’acqua li scaraventò contro il muro.
Prima che qualcuno contrattaccasse nuovamente, puntò il suo sguardo in quello di Stiles, che avanzò di sua spontanea volontà verso di lei, affiancandola.
“Stiles, che diavolo…?!?” fece per domandare Lydia, ma il ragazzo la bloccò.
“Non posso muovermi, è come se mi avesse ipnotizzato, costringendomi a fare ciò che vuole” spiegò il giovane Stilinski, lasciando trapelare tutta la sua agitazione dal tono di voce.
Allison puntò una freccia contro Cassidy, ma quest’ultima utilizzò Stiles come scudo, costringendo la cacciatrice a restare con l’arco teso, senza scoccarla.
“Lascialo!” intimò Scott, rialzandosi in piedi, come Jackson.
“Hai sentito stronza? Non osare fargli del male!” affermò Lydia, guardandola ferocemente.
Cassidy quasi trattenne una risata. “Oh, che paura! Ascoltatemi con attenzione. Stiles verrà con me, che lo vogliate o no. E quando il mio piano sarà giunto a termine, se non mi avrete intralciato, riavrete indietro il vostro amico”
“Puoi scordartelo! Non lo porterai da nessuna parte!” esclamò Allison, ma prima che potesse anche solo compiere un passo, lasciò andare l’arco a terra e puntò la freccia contro il suo petto.
“Allison?” la chiamò Lydia, spaventata.
“Non riesco a controllare i miei movimenti” asserì, atterrita, pronta ad infilzarsi con la freccia.
Lydia le bloccò le mani, con l’aiuto di Scott, disarmandola.
“Ragazzi! È fuggita!” urlò Jackson, voltandosi verso il punto dove prima vi erano Cassidy e Stiles.
La finestra era spalancata, ma dei due nemmeno l’ombra. Aveva usato Allison come diversivo, per poter fuggire senza ulteriori intralci.
Derek, Peter e Isaac ripresero a respirare regolarmente, mentre su tutti i presenti il silenzio scese pesante, stravolti da quell’ulteriore imprevisto. Cassidy aveva Stiles. E loro non avevano idea di dove potesse essere diretta col loro amico.
Scott colpì il muro con rabbia, lasciandosi poi cadere sulle ginocchia, ricordando quella volta che Stiles l’aveva salvato dal suo tentato suicidio, fuori il motel.
Ricordò le parole di Allison e la guardò, la stessa espressione vuota di quegli attimi.
“C’è sempre speranza, non è vero?”
Allison si piegò accanto a lui e gli poggiò una mano sulla spalla, sorridendogli debolmente.
“Sempre”
Era una pessima bugiarda.
“There is no hope”
“There is always hope”
Scott and Allison, 3x06


I wish that you would do with some talking
How else am I to know what you’re thinking?
If only people would say what it really was
What it really was
What it really was that they wanted


Tell me where it hurts
to hell with everybody else
All I care about is you and that’s the truth
They don’t love me; I can tell
But you do, so they can go to hell

Garbage – Tell me where it hurts

 
Adena aprì la porta della sua stanza, non nascondendo la sorpresa nel ritrovarsi di fronte Isaac.
Il ragazzo era bagnato, acqua che gli gocciolava dai capelli biondi arruffati, gli occhi azzurri ancora più in risalto su quel viso rabbuiato da ciò che era avvenuto.
“Mi ha fatto entrare tua madre” le disse solo, senza sapere cosa altro aggiungere.
L’ultima volta lui e Adena avevano discusso  e per tre giorni era sparito dal suo mondo, deciso ad allontanarla da sé. Dopo gli avvenimenti della nottata trascorsa, aveva passato tutto il pomeriggio a guardare l’acqua bagnare Santa Monica come un cielo in lacrime sconvolto quanto loro, sotto il palazzo della ragazza, per evitare che Cassidy arrivasse a sorpresa.
La ragazza gli sorrise gentile e lo guidò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Lasciò che si sedesse sul letto e aprì l’armadio, prendendo poi un asciugamano. Isaac fece per afferrarlo, ma Adena si avvicinò a lui e glielo passò sui capelli, poi sul viso, infine sul  collo.
“Non eri arrabbiato?” gli chiese all’improvviso.
“Lo sono” asserì Isaac. “O forse non più, non lo so. Avrei voluto odiarti. Credimi, ho tentato in tutti i modi. Ero così arrabbiato con te, ma continuavo a pensarti, come quando ascolti una canzone che non ti piace, ma poi finisci col canticchiarla, infine ad apprezzarla. Ho pensato di vederti solo per dirti quanto ti odio. Odio il tuo atteggiamento, il tuo fingere di essere una dura solo perché hai una fottuta paura di essere ferita , odio anche il fatto che sorridi sempre quando parli con Scott e ti arrabbi quando parli con me. Forse è la rabbia il sentimento che ci unisce davvero. Forse, se fossimo una coppia, non potremmo mai essere come gli altri, pronti a scambiarci parole dolci; forse potremmo solo urlarci contro, dirci cose che ci fanno male, fin quando non saremmo sfiniti dalla rabbia e a quel punto, probabilmente, potremmo dirci qualcosa di davvero carino”
Quel fiume di parole travolse Adena, ma la ragazza si ritrovò a sorridere debolmente, accarezzandogli il viso. Erano le parole più vere e più belle che un ragazzo le avesse mai rivolto.
“Sono felice” disse la ragazza, portando Isaac ad alzare il volto, stupito.
“Come scusa?”
“Sono felice. Tu mi rendi felice, Isaac.
Tu sei come il mio libro preferito che ripongo con cura sulla libreria, che rileggo nei momenti più tristi o in quelli in cui voglio sentirmi amata come se stessi ricevendo un abbraccio. Tu sei tutto questo per me. E questo vale più di qualsiasi frase d’amore.
Sei la mia felicità, il mio momento preferito della giornata”
Adena avrebbe voluto piangere di gioia, come se si fosse tolta un gran peso, ma ricacciò indietro le lacrime e sorrise ancora una volta.
Isaac sfuggì al suo sguardo e accennò anch’egli un sorriso.
“Mi piace renderti felice” le disse, come se solo in quel momento avesse preso coscienza di cosa lui rappresentasse per la ragazza. Era strano e al contempo piacevole essere la felicità di qualcun altro.  
“Togliti la maglietta” disse improvvisamente Adena.
Isaac le lanciò un’occhiata confusa, che portò la ragazza a roteare gli occhi.
“Voglio solo asciugarti la schiena e il petto” gli spiegò.
Il ragazzo ubbidì, lasciando che la spugna dell’asciugamano scorresse sulla sua pelle, sotto i movimenti lenti e attenti di Adena. Si stava prendendo cura di lui e ciò riusciva in qualche modo a renderlo vivo, a fargli provare una sensazione di calore all’altezza del suo petto, come quando da bambino poteva rifugiarsi in camera di suo fratello dopo aver fatto un incubo, sapendo che l’avrebbe protetto fino al sorgere del sole.
“Vuoi dirmi cosa è successo?” chiese con delicatezza la ragazza, ancora in piedi di fronte a lui.
Isaac le rivolse uno sguardo che le strinse il cuore; lo sguardo di chi aveva appena perso una battaglia e che ora ne stava combattendo una proprio contro le sue lacrime, che avrebbero voluto uscire.
“Abbiamo perso, Adena” le disse, la voce tremante “abbiamo sbagliato tutto.
È Cassidy il nemico. Ed è una nereide, non una divinità marina. È un passo avanti a noi ed ora ci tiene in pugno.
Ha preso Stiles. E vuole uccidere te per impedire che Nathaniel diventi immortale. Sono sotto casa tua da questa mattina, per sorvegliarti”
Adena impiegò qualche secondo per assimilare il senso di quelle parole, per comprendere a pieno la verità che le era stata appena svelata.
Ora poteva capire lo sgomento di Isaac, quel senso di vuoto che poteva leggergli negli occhi. Istintivamente lo abbracciò, lasciando cadere l’asciugamano ai suoi piedi.
“Andrà tutto bene”
“No, non è vero” asserì Isaac “Non riavremo indietro Erica e Boyd.
Non sappiamo nemmeno se riavremo Stiles.
Cassidy è fuori controllo e noi siamo in svantaggio”
“Isaac” Adena gli prese il volto fra le mani, puntando il suo sguardo verde in quello azzurro del ragazzo “questa giornata ormai è finita, ed è vero, ne siete usciti sconfitti. Ma domani è un altro giorno.
E noi, domani, andremo a vincere”


Dopo una settimana di pausa, Save the pack è di nuovo qui, con il decimo episodio! Siamo ormai vicinissimi all'epilogo di questa storia, che spero continui a rivelarsi una piacevole lettura per tutti voi:) Ringrazio come sempre tutti coloro che hanno letto, recensito e/o aggiunto la storia tra le preferite/seguite. Grazie di cuore <3
Passando al capitolo, come avrete avuto modo di leggere, finalmente tante domande hanno avuto risposta e nel prossimo, anche la presenza di Allison, Lydia e Jackson verrà spiegata per bene, nulla è lasciato al caso:)
Proprio come per le Napee, anche per quanto riguarda le Nereidi mi sono documentata sul web e la descrizione riportata da Deaton è dunque veritiera, mitologicamente parlando. Mi sono invece presa la libertà di immaginare le Nereidi anche come degli esseri capaci di manipolare l'acqua- con getti e altro -
Credo di aver detto tutto...a mercoledì!

 
Un bacione,
Ely 91


 

NEXT ON "SAVE THE PACK":


"E tu cosa ci fai qui?" domandò Derek, crucciando lo sguardo.
"Oh andiamo, lo so che sei felice di vedermi" lo prese in giro Adena, facendo un passo per entrare in casa. Tuttavia Derek la bloccò per un polso.
"Cosa c'è?"

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 1x11 - Trentasei ore ***


Image and video hosting by TinyPic

 

1x11 - TRENTASEI ORE


 
Scott cadde sulle ginocchia, gli occhi sbarrati, la scena appena avvenuta impressa a fuoco nella sua mente.
“Non posso crederci” sussurrò, immobile, schiacciato da quella dura verità dalla quale era impossibile fuggire. “Non posso credere che siano entrambi morti”
Il cemento era macchiato del loro sangue, ancora fresco, i corpi ormai senza vita a qualche passo di distanza l’uno dall’altro.
Era arrivato troppo tardi. Aveva fallito e ciò bruciava proprio come le lacrime che bagnavano il suo viso.
“Lui dov’è?” riuscì a chiedere, la voce ridotta ad un sussurro.
“È fuggito” fu l’unica cosa che disse Jackson, sgomento come tutti gli altri. Derek alle sue spalle, allo stesso modo di Scott, sembrava fosse stato svuotato della sua anima, di fronte a quell’ennesima perdita.
Santa Monica non era stata una rivincita, ma solo una sconfitta.
Proprio come la speranza, bastarda quanto la nostalgia.
 

36 ORE PRIMA

“Sono tornato a casa per vedere come sta Scott. PER FAVORE non uscire per nessuno motivo e non aprire a nessuno. Seriamente, o giuro che mi autodenuncio a tua madre dicendo che ho dormito da te. Dal più figo dei beta, Isaac”
Adena inarcò un sopracciglio terminando la lettura del bigliettino trovato sopra il comodino. Si portò una mano sul viso, pallido come lo era sempre di prima mattina, e sbadigliò sommessamente.
“Figurati” borbottò subito dopo “dorme qui, mi prende a calci nel sonno tutta la notte e poi corre dal suo fidanzato”
Lanciò un’occhiata alla radiosveglia al suo fianco. Segnava le otto e lei a quell’ora avrebbe già dovuto essere a scuola. Tuttavia mancavano poche ore alla luna piena e vi erano troppe cose in ballo per poter anche solo pensare di perdere tempo tra i banchi del liceo. D’altronde Isaac le aveva raccomandato di barricarsi in casa visto il pericolo mina vagante Cassidy. Ciò nonostante, non aveva nemmeno intenzione di restare in casa come una reclusa, a lasciare che la paura decidesse per lei.
Isaac aveva bisogno di lei.
Scott aveva bisogno di lei.
E cavolo, restava pur sempre un ninfa con qualche stralcio di potere non poco utile!
Si ritrovò a pensare che anche lo stesso Deaton avrebbe approvato. L’aveva visto in una sola occasione, ma tuttavia l’uomo le aveva trasmesso più di quanto alcune persone avrebbero potuto fare in una vita intera.
Sapeva che era tempo di agire. Come aveva detto ad Isaac, sapeva che era giunto il momento di vincere. Ed anche quello di prendere a calci Nathaniel e quella rossa da strapazzo che aveva osato rapire quello che lei aveva definito scherzosamente “l’amico strambo di Scott”. Stiles era molto di più; Stiles era come un fratello per il licantropo e lei non avrebbe mai permesso che una Nereide portasse via un pezzo di cuore a Scott.
Nonostante i buoni propositi, mezz’ora più tardi, non appena suonò il campanello di casa Parker, l’accoglienza di Derek che le aprì la porta fu, come al solito, affatto calorosa.
"E tu cosa ci fai qui?" domandò l’uomo, crucciando lo sguardo.
"Oh andiamo, lo so che sei felice di vedermi" lo prese in giro Adena, facendo un passo per entrare in casa. Tuttavia Derek la bloccò per un polso.
"Cosa c'è?"
Guardò dapprima contrariata la presa ben salda sul suo polso, poi il suo sguardo, deciso quanto il suo, fermo alla stessa maniera. Si preparò mentalmente ad ascoltare qualsiasi parola sgradita volesse rivolgerle, ma l’alpha la stupì.
“Hai fatto bene a venire”
La presa sul suo polso si sciolse e Derek le fece cenno di seguirla in cucina, dove erano riuniti tutti. L’unico che mancava all’appello era proprio Scott.
“Che diavolo ci fai tu qui?” domandò Isaac, contrariato dal fatto che la ragazza avesse praticamente ignorato le parole del suo biglietto, esponendosi al pericolo di essere uccisa da Cassidy.
Adena roteò gli occhi e prestò attenzione ai tre volti a lei totalmente sconosciuti. Una delle due ragazze doveva essere Allison e la cosa la infastidì leggermente. Il primo chiaro segnale di gelosia che sperava sarebbe sfuggito ad Isaac.
Sospirò e incrociò le braccia.
“Direi che possiamo passare alle dovute presentazioni. Sono Adena”
Lydia inarcò un sopracciglio, ma sembrava parecchio rattristata per commentare l’atteggiamento scostante della ragazza.
“Sono Allison” disse improvvisamente la ragazza dai capelli castani seduta accanto ad Isaac. “E loro sono Lydia e Jackson, un nostro vecchio amico che adesso vive a Londra”
Adena si concentrò qualche secondo sul ragazzo dall’aria strafottente, per poi decidersi a prendere posto sulla sedia vuota. Peter era seduto in un angolo, la sensazione che fosse quasi disinteressato a quella vicenda la innervosì non poco. Derek era l’unico rimasto in piedi, lo sguardo profondamente turbato, le sopracciglia corrucciate e le braccia incrociate.
“Se siete qui” si decise a dire Adena “vuol dire che avete risolto il piccolo problema dei beta, non è vero?”
Allison annuì. “Non è andato tutto esattamente secondo i piani, ma si, abbiamo risolto il problema”
“Cosa vuole dire che non è andato tutto secondo i piani?” indagò la ragazza, preoccupata. Bastava un solo errore ed i suoi familiari avrebbero potuto pagarlo con la loro stessa vita.
“Dopo che Deaton è stato qui, non appena tornato a Beacon Hills, ci ha contattate per spiegarci l’intera vicenda. A quel punto io e Lydia siamo partite per Denver”
“Non è stato facile spiegare a mia madre perché mi stessi eclissando così improvvisamente” intervenne la rossa, parlando per la prima volta da quando Adena aveva messo piede nella stanza “ho dovuto inventare che andavo per iscrivere di persona Prada ad una mostra canina davvero rinomata”
“Che cavolo di nome per un cane” commentò Adena, ricevendo un’occhiata velenosa da Lydia.
“Sempre meglio del tuo”
Adena fece per ribattere, ma Peter le impedì di parlare.
“Andiamo signore, siete ugualmente graziose quanto velenose, direi che avete vinto entrambe”
Adena inspirò profondamente e fece cenno ad Allison di proseguire con le spiegazioni.
“Abbiamo optato per il mezzo più veloce, ovvero l’aereo. In auto avremmo impiegato almeno una ventina di ore, viste le mille miglia che separano Beacon Hills da Denver. Questo vuol dire che siamo partite completamente disarmate per poter passare i controlli di sicurezza in aeroporto. Una volta a Denver ho dovuto contattare dei cacciatori amici di famiglia. Non avrebbero negato ad una Argent un piccolo prestito in artiglieria. Trovare Michael, allo stesso modo, non è stato difficile. È bastato trovare tuo padre”
“Michael lo stava tenendo solo d’occhio? O si era avvicinato a lui come Ben con Abigail?” si informò Adena.
“Michael era diventato il proprietario della caffetteria sotto casa dove era solito fare colazione, dopo la misteriosa partenza del precedente proprietario. Avevano instaurato una sorta di amicizia” spiegò la cacciatrice, per poi tirare fuori dalla tasca un cellulare. Adena la osservò incuriosita, ma non la interruppe nuovamente.
“Non appena la caffetteria ha chiuso, Michael si è ritrovato con una freccia nella spalla. Poi una seconda nella gamba. Ha cercato di difendersi, inutilmente. Sono stata addestrata per uccidere un alpha, un beta non avrebbe mai potuto mettermi in difficoltà”
“È…morto?”
In risposta alla domanda di Adena, fu Lydia a scuotere la testa e Allison a parlare nuovamente.
“L’ho consegnato ai cacciatori di Denver. Non so cosa gli succederà alla fine, ma personalmente ho chiuso con le torture o con altre cose brutali. L’unica cosa che ho fatto, è stata prendere questo cellulare, per tenermi in contatto con Nathaniel, in modo che non si rendesse conto che uno dei suoi beta fosse stato preso”
“Questo vuol dire che abbiamo un vantaggio, giusto?”
Lo sguardo di Adena si illuminò al solo pensiero, ma l’espressione di Isaac le fece capire che le cose non erano così facili come poteva sembrare.
“Nathaniel è molto scaltro. Si limita ad inviare messaggi in cui chiede se sia tutto a posto. Credo che persino i suoi beta non sappiano i dettagli del suo piano, ovvero il luogo in cui avverrà, tanto per cominciare”
“E Ben? Avete anche il suo cellulare, non è vero?”
Allison e Lydia si lanciarono uno sguardo furtivo.
“Con Ben le cose sono andate molto diversamente” iniziò Allison “dopo essere volate a Denver, abbiamo preso un aereo diretto a Seattle, per raggiungere il campus dove vive tua sorella. Ben era con lei, come previsto, ma non appena si è allontanato per andare a lezione, noi lo abbiamo fermato…

“Fai solo un passo e giuro che ti ritrovi con un coltello nel petto senza sapere come” sibilò Allison, costringendo Ben a restare immobile, bloccato contro il tronco di un albero. Lo aveva sorpreso nel campus, tra i vialetti e i giardini curati, troppo colmi di gente per poter rivelare la sua natura soprannaturale.
Lydia incrociò le braccia e lo guardò in maniera altezzosa.
“Credo che il tuo epic love sia giunto al capolinea. Puoi anche dire addio ad Abigail”
“C-cosa?” Ben le guardò disorientato “chi vi ha mandate?!?”
“Siamo delle amiche di Adena, in un certo senso. E proprio come lei, non approviamo tanto le intenzioni del tuo alpha” ribatté la rossa, con una nota di sarcasmo nella voce.
Ben sospirò e improvvisamente tutto il suo corpo, come in tensione, parve rilassarsi. Allison lo osservò incuriosita. Forse aveva immaginato che stava bluffando, che era in realtà disarmata, visto che per prendere nuovamente l’aereo aveva dovuto lasciare tutte le armi prese in prestito, a Denver.
“Nathaniel è il mio alpha, ed è vero, io gli sono sempre stato fedele, ho ucciso per lui. Ma non ho più voglia di giocare a questo gioco, non ho più voglia di stare vicino ad Abigail solo per poterle fare del male al momento giusto” fece una breve pausa, mentre il suo sguardo si addolciva “io mi sono innamorato di lei”
Lydia ed Allison lo osservarono incredule, sorprese da quella rivelazione. Sembrava sincero e la cosa le turbò alquanto.
“Come possiamo fidarci di te? Come facciamo a sapere che non stai mentendo?”
“Perché vi dirò tutto quello che so”
Allison incrociò le braccia. “Ti ascoltiamo” affermò, il tono fermo.
“Succederà venerdì sera, non appena la luna piena sarà ben visibile in cielo. Lui prenderà Adena e la porterà nel punto più alto della città. Non so quale sia, ma penso sia un importante indizio. Questo è tutto quello che so e se Nathaniel sapesse che lo sto tradendo, mi ammazzerebbe senza pensarci due volte. Credo sia un motivo sufficiente per fidarvi di me”
Lydia ed Allison restarono in silenzio qualche altro istante, ancora indecise, fin quando la cacciatrice parve arrendersi all’evidenza che Ben si fosse mostrato un alleato inaspettato.
“Se scopriamo che ci stai fregando e se osi fare del male ad Abigail, torneremo e Nathaniel in confronto ti sembrerà un agnellino” sibilò la giovane Argent. “Inoltre ci sono cacciatori ovunque, non mi sarà difficile trovarti, ovunque tu ti nasconda”
Le due ragazze gli diedero le spalle e fecero per andarsene, ma la voce di Ben le costrinse a voltarsi nuovamente.
“L’istinto di un beta di difendere il proprio alpha è più forte persino della sua stessa vita. Io ho trovato qualcosa di ancora più forte, l’amore per Abigail. Per favore, fate in modo che Nathaniel non venga a cercarci”


Adena soppesò qualche istante quelle parole, lo sguardo perso nel vuoto, per poi rialzarlo in direzione di Allison.
“E se vi avesse mentito? Se fosse un bravo attore?” chiese, nervosamente.
“Ho pensato anche a questo, anzi, Lydia ha pensato anche a questo. Mio padre è a Seattle, lo sta tenendo d’occhio. Se osa fare un passo falso, non solo lo sapremo, ma sarà lui stesso a fermarlo. E posso assicurarti che lui è il migliore dei cacciatori”
Adena sospirò, leggermente più tranquilla. “Mi domando quale sia il punto più alto della città” asserì.
“Forse le colline nei dintorni?” domandò Isaac.
“O magari un palazzo” azzardò Jackson.
Fu a quel punto che ad Adena venne in mente una nuova domanda. “E tu come mai sei con loro qui?”
“Semplice” affermò il ragazzo “Deaton mi ha chiamato, prima che loro tornassero a Beacon Hills e saltassero in auto per raggiungervi a Santa Monica. Mi ha detto che avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile, compreso il mio. Allora ho pensato di dare una mano a McCall e Stilinski, d’altronde gli dovevo qualche favore”
Lydia ed Allison accennarono un sorriso. Erano consapevoli di quanto Jackson volesse in qualche modo riscattarsi, di quanto non fosse più il ragazzo sbruffone co-capitano della squadra di Lacrosse. Ed erano anche consapevoli del fatto che sentisse la mancanza della sua vecchia vita a Beacon Hills.
“Bene, ora che mi avete aggiornata su tutto, ho ancora un’ultima cosa da chiedervi.
Qual è il piano?”
 

Le voci degli altri arrivavano sommesse dalla cucina al piano di sotto. Sarebbe bastato utilizzare il suo udito maggiormente sviluppato e avrebbe potuto ascoltare ogni singola parola, ma Scott non aveva affatto voglia di risentire cose che già sapeva. Era sdraiato nel letto di Stiles, la faccia contro il cuscino, la stanza nell’ombra, le persiane abbassate; avrebbe spento volentieri anche il cervello, se possibile. Tuttavia dei passi lo destarono da quella che al momento era un realtà incolore; sapeva che di lì a poco, qualcuno avrebbe fatto capolino nella stanza.
La porta si aprì, rivelando la figura di Adena, che lo osservava preoccupata.
“Scott” lo chiamò, con delicatezza.
“Vattene via”
“Puoi anche scordartelo” affermò la ragazza, avvicinandosi al letto “non puoi rimanere chiuso qui dentro in eterno”
“Non ho intenzione di rimanere chiuso qui in eterno” sbottò il licantropo, di rimando “solo fino a quando non tornerà Stiles”
“A tal proposito, cos’è questa storia che non hai intenzione di fare nulla? Che non hai nessun piano?”
“È così. Non faremo nulla” proclamò il ragazzo, il viso poggiato contro il guanciale.
“Ma Scott…”
“Niente ma! Non faremo qualcosa che potrebbe fare arrabbiare Cassidy! Non posso permettermi di perdere Stiles! Lei è più forte, è riuscita a fuggire nonostante fossimo in otto!” urlò Scott.
Adena sussultò. Era la prima volta che vedeva il licantropo così arrabbiato.
Scott sospirò, rendendosi conto di aver appena urlato. “Scusami, per  favore, lasciami solo adesso”
Si aspettava che la ragazza ubbidisse alla sua richiesta, invece contro ogni previsione, si avvicinò ulteriormente, scansò le coperte e si stese accanto a lui, facendolo arrossire.
“Che…?”
“Non me ne vado, Scott. Quella notte che ho provato a farmi mordere da Derek, tu sei rimasto con me, nonostante il mio comportamento. Ora è il mio turno di vegliare su di te”
“Non merito qualcuno che vegli su di me. Io non sono stato in grado di vegliare su Stiles”
Adena lo guardò contrariata, i loro volti vicini poggiati sul cuscino che emanava il profumo di Stiles.
“Scott, tu sei un leader, sei quello che quando è stata rapita sua madre non ha perso la testa, ma ha preso una decisione difficile, schierandosi dalla parte del cattivo di turno, pur di riaverla con sé, senza abbandonare i propri principi. Jennifer sembrava in vantaggio, ma tu hai vinto, perché non hai perso la speranza, perché hai deciso di seguire un piano!”
“Ma stavolta è diverso! Stavolta non saprei nemmeno inventarmelo un piano!” esclamò il ragazzo.
“Allora lascia che lo inventi il tuo branco per te! Tu non sei solo Scott, non lo sei mai stato!” ribatté la ragazza “al piano di sotto ci sono delle persone che si getterebbero nel fuoco per te! E Peter che probabilmente getterebbe noi nel fuoco per salvare sé stesso” ironizzò infine, facendo sorridere appena il licantropo, illuminando di poco il suo volto.
“Grazie, Adena”
La ragazza sorrise, poi gli strinse la mano. A quel gesto, la porta si aprì di scatto. Isaac osservò la scena inarcando un sopracciglio.
“Mi sono perso qualcosa?”
“Sto cercando di fregarti il ragazzo, problemi Lahey?”
Isaac arrossì, mentre Scott rise.
“Ehi ehi, smettila di provarci” disse infine Isaac, stando al gioco. Ormai era abituato alle battutine di Adena su lui e Scott che in parte lo facevano imbarazzare, perché sapeva quanto realmente si sentisse profondamente legato a Scott, al punto da seguirlo ciecamente anche in capo al mondo.
“Allora raggiungici a letto, honey” lo prese in giro Adena.
“Te la sei cercata” rispose il licantropo, gettandosi a peso morto sul letto.
“Ahia!” si lamentò Adena, ridendo fino alle lacrime. Anche Scott iniziò a ridere, sentendo il cuore più leggero. La vicinanza di Isaac, il profumo di Stiles, la presenza di quella testarda ragazza a cui aveva iniziato a voler bene fin da subito, la voce di Allison dal piano di sotto, la consapevolezza che Derek, Lydia e persino Jackson e Peter fossero lì, in quella casa con lui, gli provocarono una sensazione di familiare e amorevole calore, il calore di una vera famiglia.
“Andiamo” disse infine “abbiamo un piano da…inventare”
 

“Se doveste nascondere un neonato e un tipo ansioso dalla parlantina irritante, dove andreste?”
La voce di Jackson risuonò su quella di tutti gli altri. Era ormai pomeriggio inoltrato e ancora nessuna soluzione aveva fatto luce su quella situazione non poco complicata.
Lydia sprofondò nella poltrona del salotto, incrociando le gambe. “Deve essere anche un posto molto vicino. Accogliente e caldo. Se ha tenuto un neonato lì tutti questi giorni, deve averlo fatto nelle migliori condizioni possibili”
“Sono ore che ragioniamo sul da farsi, inizio a credere che stiamo perdendo tempo” asserì Derek, avvicinandosi alle spalle di Adena, seduta a gambe incrociate a terra, una cartina di Santa Monica aperta sulle ginocchia.
“Esiste una sorta di Nemeton per le ninfe? Magari anche lei nasconde Stiles ed il bambino nei suoi pressi” ipotizzò Allison, sospirando esausta. Era logorante starsene lì con le mani in mano e ancor più logorante era vedere quell’espressione vuota sul viso di Scott. Adena era riuscita in qualche modo a motivarlo, ma l’assenza di Stiles lo teneva ancorato ad un mondo buio, al baratro.
Avrebbe voluto essere la sua ancora, avrebbe voluto risentire quella connessione avvertita in spiaggia durante la notte, ma adesso il licantropo pareva essere lontano da lei anni luce e la cosa la costrinse a non cercare un contatto visivo con lui, a restare nel suo angolo, alla ricerca disperata di un’idea.
Quest’ultima arrivò a notte fonda, quando Adena, e Lydia erano intente a bere del tè caldo in cucina. Derek Jackson e Peter erano usciti a fare un giro, sperando che la fortuna girasse in qualche modo dalla loro parte, Isaac si era addormentato sul divano, la bocca aperta e la testa gettata all’indietro, mentre Allison e Scott erano rimasti a scrutare la mappa di Santa Monica, calcolando le distanze tra la scuola, l’associazione e la spiaggia, i luoghi più frequentati da Cassidy, in cerca di un punto comune ai tre dove focalizzare la loro ricerca.
“Possibile che tu che sei nata e cresciuta qui non sia in grado di farti venire in mente un posto dove possa nascondersi quella pazza?” domandò Lydia, il solito tono seccato e saccente volutamente non celato.
Adena crucciò lo sguardo e le la guardò truce.
“E tu possibile che non sia in grado di fare altrettanto, visto che, a detta di tutti, sei la più intelligente del gruppo?”
“La più intelligente del gruppo userebbe un posto confortevole, non sono capace di pensare per gente stupida come una nereide da strapazzo”
“Finalmente hai detto una cosa sensata” sbottò Adena, facendo un sorso dalla tazza su cui era scritto “the best wife in the world”.
Passò appena qualche secondo, prima che sgranasse gli occhi, un lampo di genio nello sguardo.
“Cosa stai pensando?” chiese prontamente la rossa, capendo che si trattava di qualcosa di importante.
“Un posto confortevole... una seconda casa…un nascondiglio dell’infanzia! Lydia, dobbiamo parlare con Megan, l’amica d’infanzia di Cassidy! Erano migliori amiche il primo anno di liceo, poi hanno litigato perché Megan è entrata nelle cheerleader e si è trasformata in una stronza e…
“Non mi interessa questo! Andiamo ad avvisare gli altri! La tua intuizione è l’unica cosa che abbiamo e, per quanto mi costi ammetterlo, forse non fa nemmeno tanto schifo”
“Proprio come te, Lydia, sotto sotto non sei male, no?” la rimbeccò sarcasticamente Adena, correndo in salotto prima che la rossa potesse aprir bocca per ribattere alla sua frecciatina.
Il tempo scorreva veloce, Nathaniel e Cassidy stavano per fare scacco matto.
Dovevano fare un’ultima mossa giusta, prima  che fosse troppo tardi.
 

12 ORE PRIMA
 
Il corridoio del liceo era gremito di studenti, in attesa che suonasse la prima campanella della giornata.
Megan era davanti il suo armadietto, intenta a mettersi il rossetto, i capelli legati in una coda alta con un fiocco e l’uniforme di cheerleader addosso.
“Carino questo rossetto, che tonalità è?” domandò Lydia spuntandole di fronte accompagnata da Adena. Entrambe le ragazze incrociarono le braccia, in una posa sfacciata completamente in sintonia con la loro natura alle volte pungente come le spine di una rosa, aspettando che Megan distogliesse l’attenzione dal suo viso e alzasse lo sguardo verso di loro.
“Una tonalità non adatta al tuo viso tondo, carissima” rispose Megan, assottigliando lo sguardo e osservandole disinteressata.
“Tonalità per stronze? Fantastica, ti dona” ribatté Lydia, fronteggiandola senza problemi.
“Che diavolo volete? Spencer?”
“Te lo dico subito cosa diavolo vogliamo” asserì duramente Adena “vogliamo sapere dove andavate a giocare tu e Cassidy, quando non eravate a casa sua”
Megan la osservò qualche secondo interdetta, prima di lasciarsi andare ad una lunga risata.
“Fai sul serio, Spencer?”
“Ti sembra che stia ridendo?” ribatté l’altra.
“Perché ti interessa?”
“Le domande le facciamo noi, tu limitati ad usare quel poco di QI che la natura ti ha donato per agitare i ponpon, tesoro” affermò Lydia, il volto contratto in una smorfia seccata.
“Cosa hai detto stronza? Sarà meglio che ritiri…”
Le parole di Megan vennero troncate dal tonfo provocato dal palmo aperto di Adena battuto contro l’armadietto alla sua destra, a poche spanne dal viso della cheerleader.
“Sarà meglio che tu risponda, piuttosto. Allora?”
Le parole di  Adena suonarono ancor più minacciose e Megan si ritrovò suo malgrado a deglutire, improvvisamente conscia che quelle due non stavano giocando, volevano delle risposte e le avrebbero ottenute con la forza se necessario.
“Prima che morisse, andavamo sempre a giocare a casa di sua nonna”
“Dove si trova?” chiese prontamente Lydia.
“Il ristorante The Pearl, hai presente? Sua nonna viveva nell’appartamento sopra”
Adena lanciò un’occhiata eloquente a Lydia.
“Il ristorante è in periferia, è chiuso da un anno, non è una zona molto frequentata, un neonato che piange o delle urla potrebbero passare inosservate”
Megan aggrottò le sopracciglia.
“Ma di cosa state parlando?”
“Nulla, torna a fare le capriole in palestra. Ah, per tua informazione, lo schema che eseguite durante le partite di basket fa schifo”
Livida di rabbia, la cheerleader osservò quella rossa misteriosa e Adena, sua coetanea, allontanarsi lungo il corridoio, mescolandosi tra la folla di studenti ancora assonnati.
Sembrava avessero qualcosa di molto importante da fare.
 

12.00 pm, 8 ORE PRIMA
 
Scott si concentrò qualche istante sul suo battito cardiaco. Sembrava impazzito, non poteva fallire. L’insegna in legno del vecchio ristorante, ormai annerita dal tempo, penzolava a causa della leggera brezza. Poche persone si trovavano di passaggio in quella strada che una volta, negli anni addietro, forse anche grazie al punto di ristoro, doveva essere stata molto frequentata.
Derek e Peter erano alle sue spalle, Jackson al suo fianco. Sembrava strano avere l’ex co-capitano della squadra di Lacrosse accanto a sé, come un amico.
Allison e Lydia sarebbero entrate pochi istanti dopo nell’appartamento. Per vincere Cassidy, forte quanto astuta, avevano bisogno di prenderla di sorpresa, per quanto possibile.
Avevano discusso tutta la mattinata su come agire ed infine erano giunti all’unica conclusione possibile: prenderle quel foulard bianco, sorprendendola, era la loro unica possibilità di vittoria.
L’unico modo per renderla vulnerabile e salvare il bambino e  il suo miglior amico.
Adena era tornata a casa, in seguito ad una chiamata ricevuta da sua madre. La scuola l’aveva contattata per informarla che aveva saltato le lezioni per due giorni di seguito e la ragazza, malgrado il precipitarsi degli eventi, doveva comunque delle giustificazioni a sua madre. Isaac era andato con lei, per assicurarsi che né Nathaniel, né Cassidy, le facessero del male.
“Sei pronto?” domandò Derek, il tono solenne.
Scott annuì, cercando di restare calmo, per quanto possibile. “Andiamo”
Le scale che conducevano all’abitazione ubicata sopra il ristorante erano umide e sporche, come le pareti annerite. Dopo la morte della nonna di Cassidy probabilmente nessuno aveva più alloggiato in quel posto.
Arrivarono davanti la porta, il cui legno appariva in evidente stato di emaciazione.
“Ci penso io” disse Peter, come se si fosse trattato di un gioco d’azione, in cui l’adrenalina faceva da padrone.
Aprì la porta con un calcio, affidandosi appena alla sua forza sovrannaturale. La luce dell’appartamento li investì, rivelando un ambiente affatto degradato a differenza del resto dello stabile, come avevano previsto. Vicino una stufa vecchio tipo, sedeva Stiles, imbavagliato, con gambe e mani legate e, di fronte a lui, vi era una culla, nel quale Scott scorse un bambino dormire.
Stiles li osservò sorpreso e al contempo sollevato, iniziando a mugugnare qualcosa.
Scott si precipitò verso di lui, mentre il resto del gruppo entrò, osservandosi attorno, perplessi.
Il giovane McCall tolse il pezzo di stoffa dalla bocca del suo amico, mentre questo inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni d’ossigeno.
“Cassidy è uscita 1800 secondi fa!” riuscì a dire.
Jackson aggrottò le sopracciglia.
“Hai contato i secondi? Sempre il solito stramboide”
Stiles lo fulminò con lo sguardo. “Come avrei dovuto passare il mio tempo legato ed imbavagliato ad una sedia, secondo te?!?”
“Se è uscita mezz’ora fa, probabilmente tra poco sarà di nuovo qui” ragionò Peter, prendendo in braccio il neonato adesso sveglio, dagli occhietti vispi e curiosi.
“Secondo me gli piaci” ironizzò Derek, mentre anche le ultime corde che avevano tenuto Stiles prigioniero vennero sciolte.
Scott tornò solo in quel momento a respirare regolarmente. Lui e Stiles si guardarono qualche istante negli occhi, la gratitudine in entrambi gli sguardi; Scott era grato del fatto che stesse bene, Stiles che il suo amico e tutti gli altri fossero venuti a salvarlo, finalmente.
“Mettilo giù! Povero bambino!” esclamò Lydia, entrando nell’appartamento con Allison ed indicando il neonato tra le braccia di Peter. Incrociò qualche istante lo sguardo di Stiles, poi corse ad abbracciarlo, sorprendendolo e facendolo arrossire al contempo.
“Sono l’unica rossa che può trattarti male, chiaro?” sussurrò la ragazza, facendolo ridere.
“Non avevo dubbi” asserì Stiles, mentre Allison scrutava l’ambiente circostante.
“Cosa facciamo?” chiese infine.
“Andiamo via. Cassidy vuole ancora sabotare il piano di Nathaniel e noi dobbiamo tenere al sicuro Adena. L’affronteremo al momento giusto, proprio come Nathaniel. Saranno loro a trovarci, visto che Adena sarà con noi, e non ci faremo cogliere alla sprovvista” ragionò Scott.
“E lui?” domandò Peter, indicando con un cenno del capo il bambino tra le sue braccia.
“A lui pensiamo noi” disse Allison, indicando Lydia “chiameremo la polizia e aspetteremo che arrivi, nascoste. Non possiamo di certo raccontare loro che è stata una Nereide e che noi eravamo qui per salvare Stiles. Una volta che il bambino sarà al sicuro, vi raggiungeremo a casa”
“Perfetto” proferì Scott “e questa notte metteremo fine a questa assurda vicenda”
Non ne sarebbe uscito sconfitto, non adesso che il suo branco era di nuovo al completo.


 
17 pm, 3 ORE PRIMA
 
“Adena, inventa qualcosa, dobbiamo tornare a casa dagli altri!” sussurrò Isaac, osservando distrattamente il libro di neuroscienze che la ragazza aveva aperto sul tavolo, insieme al suo raccoglitore con gli appunti.
“Mia madre è arrabbiatissima. Devo aspettare che esca, il venerdì ha la palestra”
“E se fosse troppo tardi?”
“Non accadrà stasera, qualunque cosa sia esattamente?” sussurrò di rimando la ragazza. “E poi cosa posso dirle, la verità?”
“Si, se necessario!” affermò l’altro.
Il campanello suonò.
La ragazza aggrottò le sopracciglia e alzò la voce.
“Mamma, aspetti qualcuno? Dorota?”
“No!” esclamò di rimando la donna, smettendo di spolverare il salotto e facendo capolino lungo il corridoio.
“Aspetta!” urlò Adena “non aprire!”
La ragazza ed Isaac si alzarono di colpo, mettendosi tra lei  e la porta d’ingresso, mentre Amy li osservò stupita.
“Ragazzi! Cosa vi prende?!?”
“Mamma, devo dirti una cosa” iniziò la ragazza, ma la donna la interruppe.
“Me la dirai dopo che avrò visto chi ha suonato”
“No, adesso! È questione di vita o di morte!” protestò Adena, alzando di un’ottava il suo tono di voce.
“Signora, è davvero importante, la prego!” le diede manforte Isaac.
“Amy?” una voce maschile, da dietro la porta, li raggiunse “Amy? Ci sei?”
Adena sbiancò visibilmente e per Isaac non fu difficile capire che si trattava di Nathaniel. Il suo piano era già iniziato e loro scioccamente avevano creduto di avere ancora qualche ora di vantaggio per salvare le apparenze con la madre di Adena.
“Mamma, dobbiamo nasconderci!”
“Adena, che ti prende?!?”
Le due donne non fecero in tempo ad aggiungere altro che un “clack” fece intendere loro che la serratura era stata in qualche modo forzata.
Isaac si voltò di scatto, mentre la figura di Nathaniel si rivelava ai loro occhi.
L’uomo sorrise.
“Bene, diamo inizio ai giochi”
La prima ad essere colpita, fu un’incredula Amy, che perse i sensi all’istante, battendo la nuca contro il portaombrelli di coccio posto all’ingresso.
“Mamma!!!” urlò Adena, piegandosi accanto ad essa, mentre Isaac sfoderò gli artigli e lasciò che la sua seconda natura venisse totalmente allo scoperto.
“Prima di prendere lei, dovrai passare sul mio cadavere” sibilò, mettendosi fra le due donne e l’alpha, che in tutta risposta rise di gusto.
“Oh, non vedo l’ora”
Nathaniel lo graffiò in viso. Isaac saltò e lo colpì con un calcio sul mento, colpendolo a sua volta sul viso mentre il sangue schizzava copioso. Nathaniel lo guardò furioso e lo afferrò altrettanto velocemente alla gola, stringendo la presa.
“Lascialo!!!” urlò Adena “non ucciderlo, ti prego!!!”
“Adena, scappa!” esclamò Isaac, nonostante la voce strozzata.
“Se osi fare un solo passo ammazzerò lui, finirò il lavoro con tua madre, darò l’ordine di sterminare il resto della tua famiglia e poi prenderò la tua vita una volta per tutte!”
Adena sapeva che il resto della sua famiglia non correva più alcun pericolo, ma non poteva barattare la vita di sua madre e del ragazzo che amava per cercare di salvare sé stessa. Non avrebbe potuto vivere una vita senza loro due, una vita macchiata dalla vigliaccheria.
“Se lo lasci andare, se li lasci entrambi in vita, ti seguirò di mia spontanea volontà” affermò, la voce tremante.
“Uhm, non lo so” rispose Nathaniel, facendo una smorfia, come se si fosse trattato di un gioco, sadico quanto divertente. Affondò gli artigli nella gola di Isaac quel poco che bastava per lasciare che i rivoli di sangue scorressero lungo il collo, tracciando linee raccapriccianti.
“Ti prego!!!” urlò Adena, disperata.
Nathaniel sorrise sghembo. Scaraventò Isaac contro il muro, lasciandolo ferito e indebolito, sul punto di perdere i sensi.
L’ultima cosa che il beta vide, prima che l’oscurità l’avvolgesse, fu la figura di Adena seguire quella di Nathaniel, lanciandogli un ultimo intenso sguardo. Allungò la mano, inutilmente.
Lei non l’avrebbe afferrata.

Quando rientrò in casa Parker, ferito e visibilmente sconvolto, tutti lo guardarono stupiti. La domanda che ognuno dei suoi amici, usando parole diverse, gli rivolse, fu: “Cosa è successo? Perché Adena non è con te?”
“L’ha presa” fu l’unica cosa che riuscì a dire mentre Scott lo afferrò per un braccio, stringendolo preoccupato.
“Sappiamo dove andare” disse Derek, mentre Stiles mostrò lui la pagina di internet aperta su un sito dedicato alla città di Santa Monica.
“Cosa state cercando di dirmi?” ebbe la forza di chiedere.
“Il punto più alto della città, è semplicemente il picco della ruota panoramica del luna park vicino il molo” spiegò Lydia.
Isaac sgranò gli occhi e prima che potesse aggiungere altro, Scott sorrise debolmente.
“Si, ci andiamo subito.
Non lasceremo che le accada qualcosa”
 

Il punto più alto della città, non era altro che uno dei sedili della ruota panoramica, innalzato in cima, lontano dal suolo diversi metri. Adena aveva mani e piedi legati e il cielo ormai aveva iniziato a rabbuiarsi, facendo spuntare timidamente le prime stelle. Presto la luna piena sarebbe stata ben visibile e Nathaniel, seduto accanto a lei come se si stesse godendo il paesaggio durante un appuntamento romantico, guardava assorto il cielo.
“Cosa te ne fai?” sussurrò Adena, ormai arresasi in attesa che il suo destino si compisse. Aveva consumato tutte le sue lacrime e persino la paura aveva fatto posto ad altro: alla fede. Deaton le aveva detto che solo quella avrebbe potuto aiutarla e Adena pregava, pregava tanto nella sua mente, pregava solo che non facesse male e che il posto in cui sarebbe andata sarebbe stato ancora più bello di quell’oceano bellissimo, di quella cittadina in cui era nata e cresciuta e che amava profondamente.
“Di cosa?” domandò Nathaniel, sorpreso.
“Dell’immortalità. Vuoi davvero vivere in eterno? Questo è un mondo bellissimo, ma forse lo è proprio perché ogni istante è irripetibile”
“Non mi interessa vivere l’attimo, mi interessa vivere senza limiti, mortalità compresa”
“Comprensibile” asserì amaramente Adena, gettando un’altra occhiata al cielo.
La luna piena iniziava a divenire sempre più visibile e scorse un sorriso sul volto di Nathaniel, prima che lo osservasse alzarsi in piedi, facendo traballare leggermente l’impalcatura su cui erano posizionati i sedili.
“Ultimo desiderio, dolcezza?”
“Non farai più del male alla mia famiglia, vero?”
“Ovviamente, non ne avrei motivo”
Adena socchiuse gli occhi. Sperava fosse vero, ma non poteva averne conferma e la cosa la ferì ulteriormente.
“Ti prego, fallo in fretta” sussurrò, mentre una lacrima scorreva veloce lungo la sua guancia.
“Oh, sarò velocissimo, dolcezza”
Nathaniel sfoderò gli artigli, ma prima che potesse anche solo sfiorare la pelle lattea della ninfa, una freccia lo colpì alla spalla.
Guardando verso il basso, riconobbe dei ragazzi, tra cui quello con cui aveva combattuto poco prima, e due uomini più adulti.
“Sono arrivati i rinforzi” sibilò, visibilmente seccato.
Scott e Isaac si arrampicarono sulla ruota panoramica, sotto lo sguardo preoccupato di Stiles che al solo pensiero di essere al loro posto, poteva già sentire le vertigini.
“Appena in tempo” affermò Lydia.
“Pessimo tempismo, invece”
Il gruppo si voltò di scatto, riconoscendo immediatamente la figura di Cassidy, a pochi passi da loro.
Jackson guardò il foulard bianco con attenzione: questa volta, non avrebbe esitato, per il bene di tutti.
Stiles la osservò rammaricato, consapevole di quanto ormai fossero sul punto di non ritorno.
Derek strinse le nocche. Non voleva ritrovarsi di nuovo con l’acqua in gola, avrebbe dovuto agire astutamente.
Allison tese l’arco, osservandola con attenzione.
“Che illusi, credete ancora di avere qualche speranza contro di me?” li beffeggiò la ragazza, divertita quasi si fosse trattato di uno spettacolo comico.
“Non lo crediamo, ne siamo certi” asserì Jackson, prima di lanciarsi contro di lei alla massima velocità possibile. Riuscì appena a sfiorare il suo foulard, prima che con un getto d’acqua lo scaraventasse a terra.
Allison la colpì allo stomaco con la freccia, facendola urlare di dolore.
Derek a quel punto ne approfittò per saltarle addosso, ferendola con i suoi artigli, ma prima che potesse anche solo toccare il foulard, di nuovo quella sensazione di soffocamento lo colpì, costringendolo a cercare aria mentre l’acqua sgorgava ripetutamente dalle sue labbra e lo costringesse a stare a terra, in cerca di sollievo.
“Adesso basta” proclamò a quel punto Stiles, sorprendendola, puntando a toglierle il foulard dalla gola. Intuendo immediatamente le sue intenzioni, anche Stiles iniziò a tossire come Derek, a causa dell’acqua.
A differenza di Derek, Stiles non avrebbe resistito a lungo e quel pensiero fece tremare Lydia di rabbia.
“Adesso mi hai stancata” sibilò la ragazza, prima di lasciare che il meglio di sé venisse fuori, prima di lanciare uno dei suoi urli da banshee.
Il grido fu intenso come molti dei precedenti e costrinse tutti i lupi a portare le dita alle orecchie, ma anche gli altri essere soprannaturali, come Adena e la stessa Cassidy, che prese ad urlare dal dolore, mentre il sangue sgorgava dai suoi timpani allo stremo.
Quel poco bastò per spezzare il suo influsso magico su Derek e Stiles, permettendo a quest’ultimo di afferrare il foulard.
Nel momento in cui Lydia smise di urlare, riprendendo fiato, ancora esausta da una capacità che non controllava ancora perfettamente, Cassidy guardò smarrita Stiles.
“No….no….” asserì, sconvolta. “Ti prego, Stiles, restituiscimelo. Io ti ho sempre voluto bene, sai che non ti avrei mai fatto del male, lo giuro…”
“Sta zitta” affermò Jackson “non ti crederà mai”.
Stiles la guardò dispiaciuto, poi chinò il volto, sospirando.
“Ha ragione. Non ti crederò mai.
Mi dispiace, Cassidy”
Fu in quel momento che le urla di Isaac alle loro spalle, li fece voltare.

Scott si avventò su Nathaniel, mentre Isaac corse a liberare Adena, che lo abbracciò sollevata.
“Mia madre come sta?”
“Ho chiamato i soccorsi, starà bene” la tranquillizzò immediatamente il ragazzo, stringendo il suo volto fra le mani.
“Ho avuto così paura di perderti…”
“Isaac, devo dirti una cosa”
“Cosa?”
Adena non fece in tempo ad aprir bocca, che la visione di Nathaniel e Scott che cadevano dalla ruota panoramica, la fece urlare d’istinto, pur sapendo che sarebbero atterrati sulle gambe, grazie alle loro capacità da licantropi.
“Devi aiutarlo! Dobbiamo aiutarlo! Nathaniel è troppo forte!”
Isaac annuì, la prese in braccio e scese a terra, aggrappandosi ai vari sedili e alle varie sbarre, fino a toccare il terreno con i propri piedi.
Mentre il resto dei suoi amici stava affrontando Cassidy, Scott se la stava vedendo da  solo con Nathaniel ed era evidentemente in difficoltà, perciò Isaac corse da lui, colpendo Nathaniel al viso, con un pugno.
Quest’ultimo sputò sangue, prima che afferrasse lui e Scott per la gola, stringendo la presa.
Adena osservò la scena preoccupata, guardandosi attorno ed individuando la freccia che Allison aveva usato per colpirlo, a terra. Doveva essersela tolta e poi lanciata nel vuoto.
L’afferrò e con tutta la forza possibile, lo infilzò alla schiena, facendolo urlare di dolore e costringendolo a lasciare la presa sui due beta.
“Brutta puttana!” gridò l’alpha, togliendosi la freccia e guardandola furioso, gli occhi rossi ancor più inquietanti “sarà meglio che ti uccida subito!”
Prima che potesse anche solo sfiorarla, Scott gli fu addosso, ma finì scaraventato decine di metri più là, stordito dal colpo.
Isaac lo osservò adirato, prima di lanciarsi a sua volta contro Nathaniel. Lo colpì allo stomaco, poi lo graffiò al petto, riducendo la sua maglia a maniche corte in brandelli sul davanti, ma quando tentò nuovamente di colpirlo, Nathaniel lo colpì con una testata, facendolo arretrare di qualche passo, per poi afferrarlo alla gola e arretrando dietro il corpo del beta.
“Se  mi avessi dato retta, nessuno si sarebbe fatto male!” urlò Nathaniel, in direzione di Adena “ed ora assisterai alla sua fine!”
Adena strinse i denti, guardandolo furiosa. Si piegò velocemente, afferrando nuovamente la freccia a terra e puntandosela allo stomaco, fronteggiando l’alpha.
“Cosa credi di fare?”
“Quello che dovresti fare tu. Se fai del male ad Isaac, io mi ucciderò ed il tuo piano andrà in fumo!”
“Non ne avresti il coraggio!” asserì l’alpha, celando la preoccupazione dietro il suo tono di voce arrogante.
“Non sfidarmi” sibilò Adena, mostrando un sorriso sghembo.
Non aveva paura, se si trattava di Isaac, per Isaac, non poteva averne.
Mentre l’urlo di Lydia li raggiunse, costringendola a serrare i denti e a mettere le mani sulle orecchie, con la freccia tra le dita e  Nathaniel urlava anch’egli dal dolore, non mollando la presa su Isaac, una presenza alle sue spalle la fece voltare per un secondo. Si trattava di Peter Hale.
“Voglio aiutarti” le disse, urlando per sovrastare l’urlo insopportabile della banshee.
Il grido terminò e Adena tornò a puntare la freccia contro sé stessa.
Come up to meet you, tell you I’m sorry 
you don’t know how lovely you are. 
I had to find you, tell you I need you, 
tell you I set you apart.

 Sono venuto per incontrarti, dirti che mi dispiace, tu non sai quanto sei attraente;
dovevo trovarti, dirti quanto ho bisogno di te,
dirti che ti ho tenuto lontano


“No…” sibilò Isaac, nonostante l’artiglio puntato contro la carotide, pronto a squarciargli la gola.
Adena sorrise debolmente, cercando di rassicurarlo con lo sguardo.
“Isaac, andrà tutto bene. Deaton mi ha detto di avere fede, ed io ho fede, in tutti voi.
Grazie per essere stati la mia casa, grazie per avermi accolta nonostante i miei non sempre migliori propositi”
“Non dire addio” affermò Isaac “non voglio sentirlo! Non deve esserci un addio!”
Tell me your secrets and ask me your questions 
Oh, lets go back to the start. 
Running in circles, Comin’ up Tails 
Heads on a science apart
 
 Dimmi i tuoi segreti e fammi le tue domande
Oh, ripartiamo dall’inizio,
girando in tondo, mordendoci la coda,
teste troppo diverse


Gli occhi di Isaac si velarono di lacrime, proprio come quelli di Adena, mentre quest’ultima tornò a parlare di nuovo.
“Lascialo andare, non mi ucciderò, ma sarai tu a farlo, stavolta niente impedimenti”
Proprio nel momento in cui Stiles stava stringendo fra le sue mani il foulard bianco di Cassidy, Peter afferrò da dietro Adena, poggiando le mani sulle sue, ancora strette intorno alla freccia.
Nathaniel lo osservò stupito, proprio come lo era la stessa Adena.
“Cosa stai facendo?? Sta per liberare Isaac!” esclamò la ragazza, cercando di opporre resistenza.
“Te l’ho detto: ti sto aiutando. Ho omesso un piccolo particolare.
Ti sto aiutando a morire”
La freccia, sotto la spinta di Peter penetrò nello stomaco della ragazza, che urlò di dolore, proprio come lo stesso Isaac alla vista di quella scena. Fu in quel momento che Scott riprese i sensi, un secondo prima che tutto si compisse, troppo velocemente per poter fare qualcosa.
Peter capì che quella freccia nello stomaco non l’avrebbe uccisa tanto velocemente e completò l’opera tagliandole la gola con gli artigli, mentre tutti i presenti si voltarono verso di loro, mentre Nathaniel fuori di sé tagliava a sua volta la gola di Isaac, lasciandolo cadere inerme ai suoi piedi. Anche Peter lasciò andare il corpo di Adena a terra, ormai privo di vita, lasciando che la scia di sangue della ragazza si ricongiungesse a quella del ragazzo, in un macabro spettacolo di vite spezzate, di innamorati divisi, per sempre.
Nobody said it was easy 
It’s such a shame for us to part.
 Nobody said it was easy 
No one ever said it would be this hard.

Nessuno ha mai detto fosse facile,
è stata una vergogna doverci dividere.
Nessuno ha mai detto fosse facile,
ma neanche che sarebbe stato tanto difficile.


Nathaniel fece per attaccare il più grande dei due Hale, ma lo precedette Derek, che si scaraventò sullo zio. Scott si rialzò in piedi a fatica, piangendo, l’ira nel suo sguardo e si gettò contro Nathaniel.
Allison corse verso Scott, colpendo Nathaniel con uno dei suoi pugnali, mentre Scott lo ferì all’addome, più e più volte, finché l’alpha spirò, ormai sconfitto, crollando a terra come un titano ormai divenuto nient’altro che un debole umano.
Derek fu spinto via con un calcio dallo zio e neanche il tempo di rialzarsi, vide che stava fuggendo. Jackson fece per fermarlo, ma Peter lo spinse a terra con la stessa facilità di poco prima.
Peter era immortale. E più forte. Dannatamente forte. Solo in quel momento si resero conto che aveva sempre bramato ciò, fin da quando aveva scoperto di Adena e del rituale.
“Non posso crederci” sussurrò Scott, crollando sulle sue ginocchia “Non posso credere che siano entrambi morti”
Il cemento era macchiato del loro sangue, ancora fresco, i corpi ormai senza vita a qualche passo di distanza l’uno dall’altro.
Era arrivato troppo tardi. Aveva fallito ed il fallimento bruciava proprio come le lacrime che bagnavano il suo viso.
“Lui dov’è?” riuscì a chiedere, la voce ridotta ad un sussurro.
“È fuggito” fu la risposta di Jackson, riferendosi a Peter.
Adena e Isaac giacevano a terra, immobili, lontani e al contempo vicini, divisi da un destino che li aveva precedentemente uniti, prima che per un secondo potessero anche solo rendersi conto della fine; prima che potessero guardarsi un’ultima volta intensamente negli occhi. E farsi coraggio a vicenda.


 
Oh, take me back to the start .
Oh, riportami all’inizio .

Coldplay - The Scientist

 

Posso iniziare le note di fine capitolo con: "bho"?
Questo capitolo sarebbe dovuto uscire ieri, I know, ma ho finito di scriverlo ieri sera praticamente. Mi ha messa molto in difficoltà, ad essere sincera, e non mi convince del tutto. Più scrivevo e più aggiungevo scene, avevo l'impressione di non terminare mai, per questo mi ha molto stancata, manco avessi scalato una montagna xD E per tale motivo, ho riletto davvero molto velocemente, quindi sono certa che troverete qualche errore sparso qua e là, perciò vi chiedo scusa in anticipo.
È un capitolo molto importante, succedono davvero tante cose e tanti problemi trovano la loro soluzione; spero di aver descritto tutto in maniera abbastanza chiara, poiché muovere così tanti personaggi insieme e tutti nella stessa scena, non è stato affatto facile. Voi cosa ne pensate? Spero di poter conoscere la vostra opinione. Piccola nota, in questo capitolo scopriamo anche il cognome di Adena, alias Adena Spencer.
La prossima settimana verrà pubblicato il dodicesimo ed ultimo capitolo, esattamente giovedì 14 novembre, tre mesi esatti da quando il pilot è stato pubblicato su Efp. Voglio ringraziare tutti voi che mi avete sostenuta fin dall'inizio, leggendo, recensendo ed aggiungendo Save the pack tra le preferite/seguite. Grazie, grazie di cuore <3
Ultima cosa, niente "next on" questa settimana. Devo ancora iniziare l'ultimo capitolo .-. Entro il fine settimana inoltre tutte le vostre recensioni troveranno risposta <3
A giovedì!
Un bacione, 
Ely 91

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 1x12 - Credo che... ***


[ Ad M., che mi ha sempre sostenuta e spronata a fare della scrittura il mio lavoro futuro. 
Non sono più riuscita a terminare una fanfiction da quando non ci sei più. 
Ora, a distanza di quasi cinque anni, ce l'ho fatta.
Spero che tu possa essere orgoglioso di me.
Love u. ]

 


Image and video hosting by TinyPic
 

1x12 - CREDO CHE...



Il tacco a spillo di uno stivale nero lucido scosse il suo corpo con un colpetto sulla spalla, invano. Isaac Lahey sembrava essere caduto in un sonno profondo.
Di nuovo il tacco sfiorò la sua spalla, stavolta in contemporanea al suono di una voce femminile.
“Isaac” lo chiamò.
Finalmente il corpo del ragazzo si mosse appena. Isaac aprì gli occhi, alzando il viso frastornato. Era ancora nel luna park, steso a terra sul cemento, ma attorno vi era un silenzio irreale.
“Finalmente! Ben svegliato!” affermò la voce femminile, con una certa ironia.
Riconoscendola, Isaac alzò lo sguardo di colpo, scattando in piedi e urtando qualcuno alle sue spalle. Voltandosi riconobbe anche il ragazzo, dal fisico robusto e lo sguardo scuro, che lo osservava divertito.
“Calmati Isaac o ti verrà un colpo” lo prese in giro quest’ultimo.
“Ops, troppo tardi” rispose l’altra, mimando il gesto di una gola tagliata.
“Davvero simpatici” sbottò il beta, portandosi le mani sul viso, evidentemente confuso.
“Siamo in paradiso? Siete reali?” non potette fare a meno di domandare, rivolgendosi ai due.
Erica e Boyd gli lanciarono uno sguardo amareggiato.
“Ci dispiace che ti sia successo tutto questo” affermò la bionda.
“A me dispiace per quello che è successo a voi” ribadì rammaricato Isaac, avvicinandosi di un passo e fronteggiando Erica. La osservò per bene, incontrando il suo sguardo vivace e acceso come sempre, prima di abbracciarla di scatto, stringendola a sé.
“Mi sei mancato anche tu” disse la ragazza, cullandosi nell’abbraccio di un amico che aveva trovato e perduto fin troppo velocemente.
Quando quell’abbraccio si sciolse, Isaac incrociò lo sguardo di Boyd, intriso di sincero affetto, prima che entrambi si scambiassero una pacca amichevole.
“Amico, volevi portarci indietro, ma hai fatto un bel casino”
“Già… è stato tutto inutile, io sono morto, Adena è….” Si interruppe, guardandosi intorno allarmato, ma prima che potesse domandarlo, fu Erica a parlare.
“Lei non c’è”
Isaac sospirò pesantemente. “Non sono stato in grado di salvare voi e nemmeno lei… un fallimento dopo l’altro”
“Non dire così. Hai fatto tutto il possibile, sei andato fin Santa Monica per cercare di aiutarci” asserì Boyd.
“E non ci sono riuscito e ho fatto ammazzare Adena! Ho detto che l’avrei protetta e guardate come è finita! La ragazza che amavo è stata sgozzata davanti i miei stessi occhi…”
Isaac lasciò che una lacrima scendesse silenziosa sul suo viso, mentre rabbia e frustrazione si impadronivano di ogni fibra del suo essere.
Boyd ed Erica lo guardarono preoccupati, prima di tornare a parlargli.
“Nulla è perduto Isaac, devi avere più fiducia nel tuo nuovo branco”
Le parole di Erica risuonarono come una speranza a cui era difficile aggrapparsi, in quel posto sospeso nel nulla, che non avrebbe ancora saputo definire se sogno o realtà.



I loro corpi giacevano a terra, davanti gli sguardi sgomenti e rattristati di tutti. Scott era piegato accanto ad Isaac, una mano sul suo braccio, come a volerlo simbolicamente trattenere, come se non fosse ancora troppo tardi.  Allison alle sue spalle singhiozzava silenziosamente, mentre Lydia le stringeva la mano, cercando di farle forza.
Stiles osservava in silenzio la scena, soffermandosi sul volto dell’amico, una maschera di orrore e dolore, lo sguardo vuoto. Lo scialle bianco di Cassidy era ancora stretto fra le sue mani e sapeva che la nereide era ancora lì, bloccata, in attesa che Stiles  potesse comandarle di andare via.  Jackson accanto a lei, guardingo, il timore che potesse fuggire di nuovo troppo forte.
Derek si avvicinò ad Isaac, il dolore che pulsava a ritmo del suo battito cardiaco, mentre nella sua mente si faceva strada la consapevolezza di non aver protetto anche l’ultimo dei suoi beta, di essersi fidato nuovamente di Peter.
Si voltò poi verso ad Adena e si piegò su di essa, voltandola sulla schiena. Il suo volto era rilassato, come se si fosse semplicemente addormentata.
Aveva detto così tante volte di volerla uccidere che nel frattempo si era quasi affezionato all’idea di averla sempre intorno fingendosi seccato, ma come se il Karma avesse voluto punirlo, il suo volere accantonato da tempo era divenuto realtà, per mano di chi credeva suo alleato.
Improvvisamente la voce di Stiles interruppe quel silenzio irreale.
“Oh mio Dio!”
Jackson lo osservò perplesso.
“Cosa ti prende?” domandò, crucciando lo sguardo color oceano.
“Abbiamo Cassidy!” esclamò.
Lydia si voltò a guardarlo, come se fosse impazzito.
“Ce ne siamo resi conto, genio” sbottò.
“No! Non capite! Lei è una ninfa, come Adena! Lei può riportare qualcuno in vita, e noi abbiamo l’energia della luna piena che possiamo ancora sfruttare!”
D’un tratto l’attenzione di tutti i presenti fu sul giovane Stilinski, che finalmente sorrideva, ridando luminosità alle espressioni spente dei presenti.
“Ma così dovremmo scegliere” asserì Allison, improvvisamente turbata. Non per malignità, ma ovviamente lei avrebbe scelto la persona a cui era più legata, ovvero Isaac. Tuttavia Stiles scosse la testa e Lydia parlò per lui, improvvisamente cosciente di dove volesse andare a parare il ragazzo.
“Non dovremo scegliere, perché anche Adena è una ninfa. Se riportiamo indietro lei, lei potrà fare altrettanto per Isaac!”
Scott saltò in piedi e, come tutti gli altri, focalizzò la sua attenzione su Cassidy, che li guardò minacciosa.
“Perché dovrei aiutarvi? Voi mi state tenendo prigioniera!”
“E tu hai ucciso delle persone e hai rapito Stiles, direi che siamo pari, rossa da strapazzo!” esclamò Lydia, innervosita.
“Se lo faccio…” iniziò la nereide, guardando Stiles negli occhi “…se lo faccio, voi dovrete restituirmi il mio scialle, la mia libertà”
“Scordatelo!” esclamò Derek, ma Stiles parve ignorarlo.
“Va bene” disse, stupendo tutti.
“Cosa? Sei forse impazzito?” esclamò Jackson. Tuttavia Stiles incontrò lo sguardo di Scott e quest’ultimo capì immediatamente che doveva fidarsi e annuì.
“Ragazzi, facciamo come dice Stiles” disse semplicemente, rivolgendo un’occhiata carica di significato prima ad Allison e Lydia e poi a Derek.
Quest’ultimo si rivolse a Cassidy per primo. “Avanti, avvicinati e aiutala” disse, indicando Adena.
Cassidy li guardò circospetta, poi si avvicinò al corpo senza vita della ninfa, mettendosi a sedere con le ginocchia a terra.  Inspirò profondamente e guardò Derek.
“Stai indietro, non riesco a concentrarmi con te vicino”
L’alpha la fulminò con lo sguardo, prima di arretrare di appena un passo, seccato.
Guardò Adena e si ritrovò a sperare che fosse possibile riaverla indietro e riavere così indietro, di conseguenza, anche Isaac.
Cassidy afferrò la mano fredda della ragazza e guardò per un istante la luna piena, prima di tornare a concentrarsi su di lei.
Chiuse gli occhi, focalizzandosi sulle sue ferite, lasciando che le energie fluissero liberamente tra lei, Adena e la stessa luna piena. Strinse i denti, iniziando ad avvertire la fatica, mentre gocce di sudore le imperlavano la fronte. Quando fu sul punto di lasciarle la mano, esausta, questa si mosse leggermente, finché poté sentire la linfa vitale scorrere lungo il corpo della ragazza, rimarginando le sue ferite.
Adena sbarrò gli occhi, boccheggiando come se avesse trattenuto il fiato sott’acqua fino a quel momento . Cassidy lasciò andare la mano, stremata e visibilmente affaticata, mentre Scott e si precipitò accanto l’amica, accarezzandole i capelli e cercando di rassicurarla, mentre questa si guardava attorno, ancora a terra, gli occhi sbarrati.
“Va tutto bene, Adena, sei di nuovo tra noi”
L’aiutò a mettersi a sedere, mentre questa tremava, ancora stravolta.
“Isaac…Isaac…” disse, guardando la figura dell’altro a terra, immobile.
“Ascolta” le disse Scott, prendendole il viso fra le mani “Cassidy ha aiutato te ed ora tu puoi aiutare lui”
Adena si ritrovò ad annuire, mentre Scott l’abbracciò qualche istante, leggermente più sereno, felice di riaverla di nuovo con sé.
Anche nello sguardo dei presenti, seppur meno legati alla ragazza, era visibile il sollievo e la gioia per la sua sorte fortunata.
“Aiutiamo Isaac” disse semplicemente la ragazza, strascinandosi di qualche passo accanto al ragazzo e poggiando la mano sul suo viso, carezzandolo dolcemente.
Vederlo lì, privo di vita, fu un colpo al cuore, nonostante sapesse che avrebbe potuto aiutarlo, utilizzando i suoi poteri al massimo.
Si concentrò su Isaac, sulle sue ferite, desiderando ardentemente che tornasse indietro, da lei, da Scott, da Derek, dal resto del gruppo.
Avvertì un debole afflusso di energie ma, aprendo gli occhi, si rese conto che nulla era cambiato. Sbarrò gli occhi sbigottita.
“Perché? Perché non sta funzionando?” domandò, tremante, guardando Scott in cerca di aiuto, in cerca di risposte. Il ragazzo le rivolse uno sguardo smarrito, ma non disse nulla. Non ne aveva la più pallida idea.
“Isaac…” sussurrò la ninfa, afferrando la sua mano. Di nuovo si concentrò su di lui, desiderando con tutto il cuore di poterlo aiutare, chiudendo gli occhi col tentativo di concentrarsi meglio.
Non accadde nulla nuovamente e la disperazione prese il sopravvento, lasciando che calde lacrime rigassero il suo viso.
“Perché? Perché non ci riesco??” urlò frustrata, lasciandosi andare contro il petto del ragazzo e singhiozzando convulsamente.
Avvertì il tocco di una mano sulla schiena. Alzò il viso, convinta che si trattasse di Scott, ma con stupore notò che Derek era accanto a lei.
“Non ci stai credendo abbastanza. Non stai facendo del tuo meglio”
“Cazzate!” urlò la ragazza “non funziona perché non ne sono capace! Guarire le tue ferite? Ok. Resuscitare un licantropo? Non è roba da dilettanti!”
“Sciocchezze! Ne sei capace!” urlò a sua volta l’alpha, incrociando il suo sguardo infuriato e disperato. La sua espressione dura si ammorbidì leggermente nel pronunciare con tono più pacato le parole seguenti:
“Lascia che ti aiuti”.
Adena lo squadrò ancora qualche secondo, prima di annuire.
“Pensa alla luna piena, alla sua energia, a quella che tu puoi trasmettere ad Isaac; pensa che è possibile, perché sei una ninfa ed hai già dato prova dei tuoi poteri. Smetti di ragionare, lascia che vinca l’istinto, la speranza, la fiducia nelle tue capacità e soprattutto, lascia che il desiderio di riavere Isaac con noi sia più forte della morte stessa”
Derek non le aveva mai rivolto così tante parole tutte assieme e per un attimo le venne in mente che, se non si fossero trovati in quella situazione, avrebbe riso di ciò.
Annuì e tornò a concentrarsi su Isaac, inspirando profondamente per farsi forza.
Poggiò una mano sul petto di Isaac, l’altra che ancora stringeva la sua mano, e chiuse gli occhi. Stavolta non avrebbe fallito.
 
“Mi sento strano” disse Isaac.
“Ti stanno riportando indietro” affermò Boyd.
Il licantropo gli rivolse uno sguardo sorpreso, dunque fu Erica a spiegargli.
“Cassidy ha riportato indietro Adena ed ora lei sta facendo altrettanto con te, semplice”
Isaac abbassò lo sguardo, rattristato.
“Ragazzi, mi dispiace. Avrei davvero voluto aiutarvi”
Erica e Boyd accennarono uno di quei sorrisi tristi, il più insensato ed il più comune che era solito diffondersi tra la gente amareggiata, ma non sconfitta.
“Isaac, hai tentato e non ce l’hai fatta, ma va bene così”
“No, non va bene”
“Si invece” insistette Erica “noi stiamo bene e siamo insieme. Va bene così, Isaac”
Il ragazzo trattenne le lacrime, per poi abbracciarla ancora una volta.
“Andiamo Boyd, abbraccio di gruppo” lo spronò la bionda, prima che l’altro licantropo, leggermente imbarazzato, lasciasse che il calore di quel contatto invadesse il suo cuore. Sapevano che stava accadendo, potevano avvertire che da lì a qualche istante, Isaac sarebbe tornato in vita.
“Arrivederci Isaac”
“Arrivederci, ragazzi”

 
“Andiamo Isaac” sussurrò Adena, disperata. Gocce di sudore imperlavano la sua fronte, le sue forze erano allo stremo e lei appariva visibilmente spossata, sul punto di cedere.
Improvvisamente Derek poggiò la mano sulla sua, mentre Adena lo guardò stupita qualche secondo.
“Hai bisogno di altra energia. Usa la mia” le disse l’alpha, leggermente a disagio per quel contatto fin troppo intimo per i suoi standard.
Adena gli rivolse uno sguardo carico di gratitudine, lasciando che l’energia di Derek fluisse ad Isaac attraverso lei, come una sorta di fili intrecciati tra loro.
“Isaac, ti prego…” sussurrò, di nuovo sul punto di lasciare che la disperazione prendesse il sopravvento.
“Isaac…” stavolta la sua voce era più forte, ma anche più devastata “…io ti amo.
Volevo dirti questo sulla ruota panoramica.
Io ti amo”
“…anche io…”
Fu appena un sussuro, ma Adena lo udì chiaramente, sbarrando gli occhi stupita
Isaac tossì leggermente, prima di inspirare e riprendere aria, evidentemente spossato.
“Ce l’ho fatta! Oh, Isaac!” esclamò, gettandogli le braccia al collo, mentre questo si metteva a sedere.
Nel momento in cui tutti i presenti si strinsero intorno al licantropo, Stiles notò Derek sorridere, ma al contempo indietreggiare, lo sguardo ferito.
Aveva già visto quello sguardo in passato. Era stato proprio il suo, mentre osservava Lydia dire a Jackson che ancora lo amava.
Per un attimo si ritrovò a pensare che le stesse parole lo avessero ferito, la stessa dichiarazione di Adena.
Derek le si era affezionato, senza nemmeno accorgersene, ma non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura. Stiles si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla, senza proferir parola.
Non avrebbe detto nulla che avrebbe intaccato il suo orgoglio e Derek, in cuor suo, gliene fu grato. Stiles era il ragazzo che a volte nessuno prendeva sul serio, ma il primo a comprendere le cose, a notare ogni dettaglio, a captare i diversi stati d’animo.
“Cosa farai con Cassidy?” domandò a quel punto il licantropo, incrociando le braccia.
“La lascerò andare. Potrà continuare la sua vita, ma non riavrà lo scialle.
Resta un’assassina.
Ed io non posso perdonarla”



“Chiamami appena arrivi, ok?”
Lydia guardò Jackson apprensiva, mentre il ragazzo roteava gli occhi, divertito da tanta premura.
“Sembri mia madre”
Si trovavano all’esterno dell’aeroporto di Santa Monica. Tre giorni erano trascorsi dalla luna piena e per tutti era giunto il momento di tornare a casa.
“Sono tua amica”
Jackson piegò leggermente il viso, accennando una risata breve.
“Pensavo mi avresti tenuto il broncio per sempre dopo la mia  partenza per Londra”
“Come puoi vedere, sono capace di perdonare” ribatté sarcasticamente la ragazza.
Ci fu qualche breve secondo di silenzio, prima che Jackson tornasse a parlare.
“Londra non è casa mia. Tornerò qui, dopo aver finito il liceo”
Lydia lo guardò radiosa.
“Decisione saggia, non potevi privare i college americani del tuo talento sportivo”
Jackson rise, prima di guardare l’ora sul display del cellulare.
“Sarà meglio che vada”
Lydia annuì, prima di avvicinarsi di un passo a lui.
Jackson chinò leggermente il viso, ma quando furono sul punto di sfiorare le loro labbra, Lydia si ritrasse di colpo.
Jackson sarebbe stato via un altro anno e mezzo e diverse cose erano già cambiate nella sua vita.
“È per lui?” chiese d’un tratto Jackson, indicando con un cenno del capo la macchina di Allison parcheggiata a una decina di metri di distanza. Dentro ad attenderla vi era Stiles, che l’aveva accompagnata per farle compagnia durante il tragitto di ritorno, a suo dire.
Jackson aveva notato come i due si rapportassero in maniera diversa, come se fossero stati due lati della stessa medaglia.*
“Io..io sono ancora molto confusa a riguardo. Su di te. Su di lui”
Jackson sospirò  pesantemente.
“Tornerò Lydia. E riprenderemo da dove abbiamo lasciato”
Di nuovo si chinò verso di lei, lasciandola in attesa di qualunque fosse il suo intento, ma prima che potesse sfiorare le sue labbra, risalì di poco il viso, baciandola su una guancia.
“A presto”
Lydia lo osservò allontanarsi verso le porte scorrevoli dell’entrata. Restò qualche secondo ferma sul luogo, prima che un colpo di clacson la ridestasse dai suoi pensieri.
“Oh, Stiles, fai sul serio?!?” sbottò, avviandosi verso l’auto e sedendosi al posto di guida evidentemente seccata.
“Scusa, il sole sta facendo diventare quest’auto un forno”
La ragazza mise in moto, uscì dal parcheggio e si immerse nel traffico mattutino di Santa Monica.
“Quindi…” iniziò Stiles leggermente a disagio.
“Quindi?” domandò seccata l’altra.
“Non vi siete baciati”
Lydia roteò gli occhi.
“No”
“E potrei sapere perché?”
Lydia premette il piede sull’acceleratore e non rispose. Tuttavia a Stiles non sfuggirono le gote vagamente arrossate della ragazza.
“Grazie” le disse “per avermi salvato da Cassidy, sai, con il tuo urlo alla Schreck
“Urlo come un orco verde e puzzolente?” domandò, inarcando un sopracciglio.
“No, cioè, dicevo per l’intensità, hai capito?”
Lydia trattenne una risata e scosse la testa.
“Non c’è di che, comunque. Non le avrei mai permesso di farti del male.
Io… insomma, lo sai no? Non mi dispiaci poi così tanto, Stilinski”
Stiles sorrise.
“Nemmeno tu, Martin.
Anzi, dovremmo mettere su un’agenzia di investigazione. Come coppia non siamo male. Coppia sul lavoro intendo”
Lydia rise. “Ottima idea.
Agenzia di investigazione Martinski.
Si, mi piace.”


“Hai preso tutto?”
Scott si voltò verso la porta della camera da letto che aveva condiviso con Stiles ed Isaac, incontrando lo sguardo color nocciola di Allison. La ragazza lo osservava a braccia incrociate, una spalla poggiata allo stipite della porta.
Il licantropo indicò il borsone pieno ed annuì.
“Credo di si. Derek e gli altri stanno facendo sparire qualsiasi cosa che possa dare idea della nostra presenza in questa casa”
“Bene. Meglio che vada a dare una mano allora…”
Scott soppesò qualche istante i suoi pensieri, prima di bloccarla sull’uscio, semplicemente pronunciando il suo nome.
“Allison”
“Cosa?” domandò prontamente, voltandosi verso di lui.
Scott accennò un debole sorriso, ma evitò di guardarla negli occhi, pronunciando le parole successive:
“Credo che tu mi sia davvero mancata in questi giorni”
“Credi?” Allison trattenne una risata, notando l’impaccio del ragazzo nel dirle apertamente quelle cose. Fece qualche passo avanti e lo fronteggiò, mentre Scotti si ritrovò a parlare di nuovo.
“Ne sono sicuro” le disse.
“Io invece credo un’altra cosa” affermò prontamente la ragazza, la voce ridotta ad un flebile sussurro mentre i loro volti si avvicinavano a poco a poco.
“Cosa?”
“Credo che potremmo ricominciare. Insieme”
“Credi?” le domandò, rigirandole la sua stessa domanda di poco prima.
“Ne sono sicura” sussurrò, accogliendo le labbra di Scott e assaporando ogni istante di quell’attimo, di quel bacio che tanto aveva atteso, senza nemmeno rendersene conto.
Potevano ricominciare davvero. E il solo pensiero fece battere il suo cuore da cacciatrice in maniera incontrollata.
No emotions.
In quell’istante le sarebbe stato impossibile.
 
 
Kiss me hard before you go
Summertime sadness…
I just wanted you to know
that baby you’re the best

Derek stava svuotando la sua stanza, stando attento a non lasciare alcuna traccia del suo passaggio. Improvvisamente il suo olfatto captò la scia di un profumo che aveva imparato a conoscere fin troppo bene.
Si voltò di scatto, incrociando lo sguardo verdastro di Adena, ferma sulla soglia.
“Che ci fai ferma lì?” le disse, sforzandosi di parlarle col tono seccato più convincente possibile.
“Non lo so esattamente” rispose, sorprendendolo. La osservò avanzare di qualche passo, fermandosi solo quando a dividerli vi erano pochi centimetri.
“Non lo sai?” le chiese, crucciando lo sguardo azzurro.
“La verità è che vorrei salutarti…” iniziò la ragazza, evidentemente a disagio “ma in questi tre giorni nella mia testa continuavano a vorticare parole su parole e nessuna sembrava abbastanza giusta”
Derek la osservò qualche secondo in silenzio, prima di parlare.
“Allora dillo e basta, non esistono parole giuste a volte”
Adena sospirò, per poi dar voce ai suoi pensieri, la voce leggermente inclinata.
“Avrei voluto dirti che mi dispiace di averti drogato con lo strozzalupo.
Avrei voluto dirti che quando ti ho chiesto di mordermi, una parte di me sperava che non lo facessi, perché non avrei saputo gestire tutto quello che essere un licantropo comporta e volevo ringraziarti, perché in qualche modo hai fatto la scelta giusta per me, senza nemmeno rendertene conto.
Avrei voluto anche ringraziarti per non avermi uccisa dopo questo episodio” una breve risata smorzò per un attimo il fiume di parole che stava travolgendo l’alpha, in completo silenzio al centro di quella stanza di fronte la ragazza che credeva di odiare, prima che le parole tornassero a fluire, libere, come se quel fiume fosse stato in piena “ma soprattutto, avrei voluto dirti che non ce l’avrei mai fatta senza di te a riportare indietro Isaac.
Grazie, Derek.
Sei stato un eroe”
Quelle ultime parole lo lasciarono senza fiato. Nessuno lo aveva mai descritto con un appellativo simile, nessuno.
Aveva commesso tanti di quegli errori, creato situazioni difficili da riparare e, soprattutto, aveva perso due dei suoi beta.
Eppure per quell’insopportabile ragazza di Santa Monica, lui era un eroe.
Accennò un debole sorriso, ma non disse nulla, diviso tra il suo ego e quell’improvviso calore all’altezza del cuore.
“E c’è un’ultima cosa che volevo dirti, Derek” tornò a dire lei, sorprendendolo.
“Cosa?”
“Questo non è un addio. È solo un arrivederci”
I’ll think I love you forever
like the stars miss the sun in the morning skies
Even if you’re gone, I’m gonna drive

Come se il suo corpo agisse in automatico, Derek afferrò per le spalle Adena, che lo osservò incuriosita e stupita al contempo.
Si ritrovò a pensare che avrebbe potuto baciarla, mandare al diavolo tutto e seguire il suo istinto, come aveva sempre insegnato ai suoi beta e a Scott. Avrebbe potuto sfiorare le sue labbra e dirle qualsiasi cosa sensata gli venisse in mente per giustificare il suo gesto, ma quando si ritrovò a chinare il volto, avvertendo Adena trattenere il respiro, ancora confusa da quelle che erano le sue reali intenzioni, comprese che non era ancora tempo per loro, in quella primavera ormai fiorita e vicina all’estate. La baciò sulla fronte, socchiudendo gli occhi qualche istante, mentre Adena tornò a respirare e il suo cuore a battere regolarmente.
“Io non ti odio. Forse non ti ho mai odiata davvero. Se avessi voluto ucciderti, come dicevo, avrei potuto farlo in qualsiasi istante.
Arrivederci, Adena” sussurrò, le sue labbra ancora vicinissime al suo viso.
Nulla era più triste di un bacio mancato, eppure Derek si sentì pervadere da una nuova, inspiegabile, gioia.


 
I’ve got that summertime, summertime sadness.
Lana Del Rey – Summertime Sadness
 



Il rumore delle onde risuonava nell’aria profumata di salsedine. La spiaggia era deserta, ad eccezione di qualche passeggiatore solitario.
Adena inspirò profondamente e afferrò la mano di Isaac, al suo fianco.
“Sai” le disse il ragazzo, il tono di voce incerto “quando Nathaniel mi ha…ucciso, io credo di aver visto…”
si bloccò a metà, dunque Adena lo spronò a proseguire.
“Di aver visto cosa?”
“E’ una cosa stupida, lascia stare”
“Dai, giuro che non riderò”
“E va bene” Isaac inspirò profondamente “credo di aver visto Erica e Boyd. Non ho ancora ben capito se fosse un sogno, il Paradiso dei licantropi o qualcosa di simile…ma ne sono felice”
Adena sorrise dolcemente, prima di tornare a parlare.
“Allora lascia che sia la realtà” gli disse.
“Mi dispiace non essere riuscito a riportarli indietro”
“Credo che questa sia una sorta di lezione” gli disse la ragazza, sorridendo amareggiata “credo che a volte bisogna saper lasciare andare il passato. Vivere nel passato vuol dire perdere il presente.
E tu meriti questo presente”
Isaac accennò un sorriso, guardandola intensamente negli occhi. “E tu? Cosa hai visto quando Peter ti ha…”
“Nulla. Non so se esserne felice o terribilmente spaventata”
“Forse non hai visto nulla perché sapevi già che saresti tornata da me”
Adena rise.
“Mi piace questa teoria” affermò, rubandogli un bacio.
“Ora…” tornò a dirle Isaac “...ora cosa faremo?”
“Viviamo nello stesso stato. Credo che a settimane alterne, nei weekend, potremo vederci. Io verrò da te e tu tornerai a goderti questa splendida città”
“Ci sto” le disse, sorridendo e rubandole a sua volta un bacio.
“Piuttosto Lahey” asserì sbarazzina la ragazza “che ne dici di un primo ed ultimo tuffo? L’ultima volta che mi sono avvicinata all’acqua, Cassidy ha provato a farmela odiare, nel vero senso della parola”
“Ma non abbiamo i costumi”
“Principiante” lo prese in giro lei, allontanandosi diretta verso la riva, togliendosi, passo dopo passo, ogni indumento, fino a restare in biancheria.
“Okay” disse Isaac, osservandola imbambolato “non finirà mai di stupirmi”
Adena si immerse nell’acqua e riemerse, prima di chiamarlo a gran voce.
“Allora? Resterai lì a fissarmi in eterno?”
“L’intenzione più o meno era questa”
“Dai!”
Isaac rise, prima di correre verso di lei, per la prima volta forse dopo tanto tempo veramente spensierato.
Andare a Santa Monica gli aveva fatto comprendere diverse cose sull’amore, sull’amicizia e, soprattutto, sulla vita.
Non poteva esserci migliore epilogo.

 
 
*Non potevo non fare riferimento a questa frase detta dalla Roden durante un’intervista, parlando proprio di Lydia e Stiles.
 
Non posso crederci, siamo arrivati all’ultimo capitolo. Nel momento in cui ho scritto l’ultima parola che, neanche a farlo apposta è proprio “epilogo”, mi sono resa conto sul serio di quanto mi mancherà questa storia, scrivere di questi ragazzi a cui mi sono affezionata.
Tuttavia, ho lasciato, volutamente, diverse questioni aperte perché, se impegni e ispirazione lo permetteranno, in primavera, vorrei tornare con una seconda serie di Save the pack. Nel frattempo, invece, ho intenzione di scrivere qualche one shot su di loro, e probabilmente, visto che non l’ho mai fatto a causa del mio rapporto complicato con il Natale, la prima sarà proprio a tema natalizio. Sempre se questo interessi a qualcuno – della serie “me la canto e me la suono” xD
Anyway, ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno seguito questa fan fiction, leggendola, recensendola e inserendola tra le preferite/seguite. Grazie ad ognuno di voi ho portato avanti questo piccolo “progetto” <3
E ancora, grazie a tutte le splendide lettrici che mi hanno sostenuta dal primo all’ultimo capitolo e a quelle che mi hanno “scoperta” in ritardo, ma sono entrate altrettanto velocemente nel mio cuore. Siete un tesoro, tutte <3
Spero di non aver dimenticato nulla, a parte una piccola, sciocca, precisazione. Schreck non ha la capacità di urlare, però ho impressa nella testa una scena in cui urla forte contro Ciuchino, perciò mi è venuto da fare questo paragone xD
Credo di aver detto tutto!
A presto <3 
 
Un bacione,
Ely 91



 



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2074417