Tu bruci nelle vene come l'acido brucia le catene.

di PoisonQueen
(/viewuser.php?uid=573611)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***



Capitolo 1
*** I ***


Capitolo I
Camminava lenta per il corso. Non voleva  incontrare nessuno, voleva solo starsene con le cuffie e i Korn sparati nelle orecchie per un po’. Voleva stare sola con se stessa. Voleva capire.
Dall’oggi al domani aveva perso l’unica certezza che c’era nella sua vita. L’amore. L’amore del suo Marco, che l’aveva riempita di baci e carezze, che per mesi l’avevano fatta sentire una principessa. Con lui aveva già immaginato un futuro, ma non chissà quanto lontano, immaginava anche semplicemente l’estate. Passare ferragosto insieme in spiaggia a guardare le stelle cadenti e a desiderare amore eterno…
Lei non era mai stata una ragazza riflessiva, aveva cercato sempre di prendere gli avvenimenti della sua vita con leggerezza; molto spesso era stato utile perché le aveva evitato inutili sofferenze, anche se c’era sempre chi la reputava “superficiale”. Ma da quando l’aveva conosciuto, per meglio dire da quando una mattina era entrato nell’aula di scienze senza nemmeno bussare per chiedere alla professoressa di prestargli un certo barattolino di vetro dal nome strano, l’aveva osservato.
Osservato ma non come si può osservare un quadro ad una mostra che, per quanto possa interessare, lo si guarda passivamente, ma cercando di capire che tipo fosse. Voleva capire se era un ragazzo di qualche determinato “genere”, perché nella sua scuola c’erano due gruppi ben distinti: quello dei fighetti e quello degli alternativi. Questi, poi, avevano delle suddivisioni interne complicate ed intrecciate, difficili da capire se non ci si viveva all’interno già da un po’. L’importante era solo entrare a far parte di uno di questi due gruppi fin dalle prime settimane del primo anno, sennò si finiva per trovarsi in mezzo, fra quelli disprezzati perché “strani” e che di conseguenza finivano nell’anonimato più totale. Lei faceva parte del secondo gruppo, gli alternativi, e ne andava fiera. Preferiva passare ore ad ascoltare musica piuttosto che a fare la piastra; il sabato quando usciva andava in centro a passeggiare senza una destinazione ben precisa, invece gli altri normalmente passavano il pomeriggio a sistemarsi per andare la sera a ballare in mezzo a tanti scimmioni e ochette come loro.Voleva anche capire se era il solito “bello ma irraggiungibile”, o il “bello ma bastardo di una botta e via”, o, magari, solo un bel ragazzo con un cuore.
Non sapeva bene cosa l’avesse colpita, era successo tutto molto velocemente… il tipico “colpo di fulmine”; era entrato e per lei la stanza era come diventata anonima, non le importava dei compagni, della prof., o tantomeno dell’esperimento a cui stava assistendo fino a pochi secondi prima, le interessava solo studiare quel volto sconosciuto dai capelli scombinati.
Da quel giorno aveva osservato discretamente i suoi movimenti, le sue amicizie. In meno di un mese aveva capito che era un anno più grande di lei, che era uno socievole e che faceva parte del gruppo degli alternativi. Non le sarebbe importato più di tanto se avesse fatto parte dell’altro gruppo, lei era una ragazza aperta alle diversità, ma si sa: la mente umana non è ben predisposta ad accettare il diverso. La mente umana ha grandi pregiudizi.
Apparentemente non avevano amici in comune, ma un giorno ebbe la “fortuna” di perdere l’autobus e  di arrivare con 10 minuti di ritardo a scuola, la prof. non la fece entrare in classe e dovette aspettare giù dal preside. Dopo mezz’ora arrivò anche un suo compagno ripetente per il quale era un’abitudine arrivare tardi a scuola, che si sedette accanto a lei senza nemmeno risponderle al buongiorno. Passarono interminabili minuti, quando arrivò un altro ragazzo nella stanzetta. Era il ragazzo dai capelli scombinati!
Salutò il suo compagno ripetente che lo chiamò per nome, Marco.
Con una cordialità mai vista il suo compagno li presentò e da allora iniziarono a salutarsi a ricreazione, dopo pochi giorni Marco le chiese l’amicizia su facebook e la contattò. Parlarono molto da allora, di musica, di film… avevano molti interessi in comune.
Si strinse una strana amicizia e pian piano questa si trasformò in amore.
Da allora erano stati felicemente insieme per 8 mesi, ma ormai era finito tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


Capitolo II
«Scusami ma non posso amarti come mi ami tu. Non c’è un’altra, non pensarlo mai, per me ci sei solo tu, però ho capito di stare sbagliando tutto. Mi dispiace, spero che noi possiamo essere amici, prima o poi.»

Un messaggio. Un messaggio inviato a mezzanotte e letto solo la mattina seguente. Un messaggio che quella mattina le era pesato, come un muro che le si sgretolava addosso. Aveva sentito un grande vuoto in fondo al petto e non aveva proferito parola con nessuno a casa. Aveva indossato la stessa felpa e i pantaloni del giorno precedente e s’era incamminata verso scuola. Nemmeno voleva prendere l’autobus.
A scuola era stato un disastro, aveva fatto scena muta nell’interrogazione programmata di letteratura e aveva lasciato foglio bianco nel compito a sorpresa d’inglese. Aveva lo sguardo vuoto. Passavano le ore e lei continuava a guardare fisso davanti a sé, senza guardare niente di preciso, senza pensieri. Nessuna delle sue amiche in quella giornata le rivolse la parola, pensavano avesse solo avuto qualche problema con la madre, pensavano fosse giusto lasciarla sfogare con se stessa. Proprio quel giorno però lei aveva bisogno di loro. Aveva bisogno di qualcuno che davvero le volesse bene per far uscire tutto quello che serbava dentro da quando s’era svegliata. Nessuna le disse niente. Che grandi amiche…
Tornò a casa. Non una lacrima nemmeno allora. Si distese sul letto e rilesse il messaggio. Impassibile. Non si capiva. Cosa le succedeva? Come mai non piangeva a dirotto come aveva fatto per stupidi litigi? Davvero non le importava?
Scrisse rapidamente un biglietto alla madre dove le diceva che andava a studiare da una compagna, bugia. Usciva. Usciva per non trovarsi ingabbiata fra le quattro mura di casa sua, le bastavano già le costole che impedivano al suo cuore di dare segni di vita.
E adesso era lì che camminava lenta per il corso. Senza voler incontrare nessuno, volendo starsene sola. Per capire.
***
Come possono svanire i sentimenti dall’oggi al domani, anzi dalla mattina alla sera? Non aveva notato ci fosse acqua di tempesta fra loro. Non aveva notato niente di diverso dal normale. Avevano parlato un po’al telefono il pomeriggio prima perché lei voleva ripetergli rapidamente lo schema di letteratura che s’era preparata, lui non sembrava infastidito. Avevano pure parlato un pochino della festa di compleanno di Stefania, una compagna di lui. Lei non sapeva cosa mettere, lui le aveva pure detto che stava bene con tutto, l’aveva ripetuto più e più volte. Irene continuava a non capire.
Cos’era successo dopo quella telefonata che gli aveva fatto capire d’aver sbagliato tutto. Poi tutto cosa?! Aveva sbagliato nel conoscerla e nel renderla felice chiedendogli di essere una cosa sola? Aveva sbagliato a farla innamorare? O ad innamorarsene?
Mai se l’erano detti esplicitamente ma lei era sicura che Marco l’avesse capito e pensava che anche lui provasse lo stesso. Pensava. Non riusciva a credere di aver sbagliato qualcosa lei. Più ci rimuginava, meno idee le venivano in testa. Era tutto così assurdo…
Prese una stradina laterale, era buia, ma non importava. Solo dopo pochi metri si accorse che era arrivata nella stradina di casa di Marco. Pensò di girarsi ed andare via. Non lo fece. Si sedette sulle scale di un portone, il suo portone, e nell’istante in cui si sedette finalmente iniziò a piangere. Quel posto le portava alla memoria troppi ricordi, ma adesso rimanevano muti, zittiti dai singhiozzi.
Uscì il portiere che la riconobbe, -Ciao Irene! Oh, ma che sono queste lacrime?! Cos’è successo?- disse preoccupato.
-Salve, nulla nulla.- Rispose lei con la voce rotta dal pianto.
-Vuoi che chiami Marco?- Chiese il portiere alquanto preoccupato appoggiando la mano sulla spalla di Irene.
-NO! Anzi, non gli dica che sono stata qua. Arrivederci.- E si alzò di scatto andandosene lasciando l’uomo piuttosto sbigottito, ma con la sicurezza che avrebbe fatto ciò che gli era stato ordinato.
Rifece la strada all’indietro. Erano le 17.00, aveva camminato apparentemente senza meta per due ore. Il cuore l’aveva spinta lì. Voleva vederlo, chiedergli spiegazioni…
Poi però ci ripensò: no, lui non la doveva vedere in quello stato. Che figura avrebbe fatto? Lui probabilmente adesso se la stava spassando con gli amici. Forse aveva già incontrato un’altra per quanto lui l’avesse rassicurata che non fosse così.
Forse aveva mentito su questa cosa. Tutti siamo bravi a mentire con uno schermo davanti. Niente ci può tradire, non uno sguardo, non un sospiro al momento sbagliato. Non è difficile mentire se si può pensare anche per ore a cosa rispondere a una domanda, si possono chiedere consigli e si può non rispondere completamente e sparire nel nulla.
***
Arrivata a casa erano le 18, aveva perso tempo senza sapere come, la strada era sempre quella. Solo 10 minuti di strada li dividevano. Lo sconforto aveva fatto correre l’orologio più velocemente del normale ed il cielo aveva appena cominciato a macchiarsi di nero.
Salì a casa e, entrata, si distese sul divano. Era sabato e ancora nessuna delle sue amiche le aveva chiesto cosa facesse di sera. Irene era fortemente delusa da loro, ma era pure orgogliosa. Avrebbe potuto chiamare lei qualcuna e raccontarle l’accaduto, ma non lo fece. Era fermamente convinta che non si fossero curate della condizione in cui era la mattina. Era offesa e per questo decise di sedersi davanti la tv sul divano per rilassarsi un po’ e per pensare ad altro.
Si addormentò durante un programma stupido. Non dormì bene. Il tormento che lui avesse già un’altra le si era insinuato nel petto e nella mente che l’aveva sognato. Aveva sognato lui abbracciato a Carla e che le diceva d’aver trovato finalmente la ragazza giusta, che Irene era solo stato un lungo errore. Carla, la sua migliore amica! Una delle tante che l’aveva guardata perplessa ma poi si era girata dall’altro lato senza capire. Che quello fosse un sogno premonitore?
- Irene! Ma che fai, dormi?- Era arrivata la madre dopo la giornata di lavoro.
Lei era una giornalista. Non aveva ancora scritto una prima pagina, ma andava fiera del suo lavoro. Le dava soddisfazioni, diceva. Irene era convinta che da quando la madre era stata lasciata dal padre aveva dedicato più tempo al lavoro che a lei; questo però non l’aveva fatta crescere male come spesso accade ai figli di genitori separati, Irene era una ragazza equilibrata, magari un po’ testarda.
- Irene, ma come mai sei distesa lì? Ti senti male?-
-No… cioè… sì- Terminata la frase le lacrime non riuscirono più a trattenersi. Lei era la sua mamma, la persona che più bene la voleva al mondo, l’unica che avrebbe veramente dato la vita per lei e l’unica che mai l’avrebbe abbandonata. Lei era quella che era stata al suo fianco quando le era venuta la febbre alta durante il Natale e anche quella che aveva celato la sua tristezza quando il marito l’aveva lasciata per andarsene sfacciatamente con un’altra per non fare soffrire la figlia. Lei era una donna straordinaria, pensava mentre guardava i suoi profondi occhi verdi che la osservavano attraverso le lenti.
-Nené, cos’è successo?-
-…Mi ha lasciata.- Aveva la voce rotta per le lacrime, di nuovo, la madre le si avvicinò e l’abbracciò. Non disse niente, l’abbracciò soltanto.
Passarono minuti e minuti, potevano essere anche ore. Lei, fra le braccia profumate di rosa, nel caldo abbraccio della sua mamma, piangeva tutte le lacrime che aveva in corpo. Un infinito mare che presto bagnò il cardigan prugna della donna.
-Dai basta lacrime, raccontami cos’è successo.- La donna odiava vedere la figlia in quello stato.
-Mi… mi ha scritto un… un messaggio – rispose ancora singhiozzando -… oggi… a scuola non c’era. Cioè… non l’ho visto…- E un altro fiume di lacrime.
Le fece leggere il messaggio, ma ciò non migliorò le cose perché pianse ancora più a lungo.
Passarono il resto della serata abbracciate e parlando. Irene dopo un paio d’ore si calmò convinta che la soluzione migliore fosse quella di parlare con Marco, di farsi dare delle spiegazioni.
 
La mattina seguente si svegliò presto, indossò una felpa blu scuro che le avevano regalato a Natale i nonni, i jeans  neri e mise tanta matita nera sugli occhi mischiandola all’ombretto blu. Quest’ultimo dettaglio le dava un tocco misterioso che sempre era piaciuto a Marco. Lei aveva intenzione di cercarlo e trovarlo e quale miglior modo era quello di farsi vedere perfetta ai suoi occhi?
Scese da casa e s’incamminò nel corso con la musica sparata nelle orecchie pure stavolta. Oggi però aveva un mix di musica rap sia americana che italiana. L’ascoltava sempre quando aveva bisogno di grinta.
Arrivò presto a casa sua, chiese al portiere se Marco era in casa e lui gli rispose di sì. Salì le scale. Il ragazzo abitava al secondo piano di un palazzo degli anni 70, ancora in ottimo stato, insieme ai genitori e alla sorellina.
Bussò alla porta e subito le aprì la madre ancora in pigiama, Irene si scusò per essersi presentata così presto e chiese se c’era il figlio.
La donna senza batter ciglio l’accompagnò alla porta della sua camera.
Arrivata davanti la porta tutte le sicurezze che aveva la travolsero. Stava sbagliando? Lui l’avrebbe cacciata? Era quasi decisa ad andarsene quando –Avanti bussa,- le disse la madre del ragazzo con un sorriso –gli farà piacere un risveglio diverso.-
Non sapeva nulla ancora. Ascoltò il consiglio della donna e bussò, ma subito entrò visto che non ricevette alcuna risposta.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


Capitolo III
La stanza  era buia, ma lei la conosceva bene. Quelle pareti con qualche poster degli Aerosmith e dei Led Zeppelin, la chitarra posata malamente ai piedi del letto e dentro quelle coperte il suo amato Marco che, come sempre, dormiva senza maglietta. Il leggero raggio di sole che attraversava le persiane e batteva sul suo braccio nudo gli dava un qualcosa di veramente dolce. Irene si avvicinò piano. La poca luce che c’era nella stanza le permetteva di vedere il suo viso. Era troppo tentata di prenderlo fra le mani e baciarlo come aveva sempre fatto, sentì come se tutte le forze della terra le comprimessero i muscoli della pancia. Si girò e fece pochi passi verso la porta quando urtò qualcosa per terra che fece rumore…
-Aspetta…- Sentì alle sue spalle. –Maledizione!- pensò, cercando di contenere le lacrime. Si girò; lui era seduto sul letto coi capelli arruffati e l’aria di uno che ha dormito poco.
-Scusa, non…non volevo svegliati…cioè…me ne vado. Sì…- e si girò di nuovo.
-Aspetta, come mai sei qui?- Disse lui freddamente. –Nulla…-
-Mi dispiace.- Lei si girò di scatto, avendo ancora la mano sulla maniglia della porta. –Come, scusa?-
-…Mi dispiace. Non sono stato corretto, avrei dovuto parlartene.- Detto questo Marco si girò, non voleva più guardarla in faccia, sapeva che la situazione stava distruggendo la sua amata Irene, ma si era messo un’idea in testa e non sapeva come disfarsene. Sapeva che stava sbagliando, ma era stato così fortemente condizionato che non poteva tornare indietro.
-Ok, forse è meglio se me ne vado.-
-Per favore resta, penso …dobbiamo parlarne.-
-Ma di cosa dobbiamo parlare?- Iniziò con voce stridula, -Mi hai lasciata nel peggiore dei modi, con un messaggio, senza spiegazioni. E’ ovvio che non ti importa di me, sarebbe stato solo giusto che me lo dicessi in tempo, magari avremmo rimediato.-
-Non fare così. Voglio spiegarti. E’ una cosa che penso da un po’…-
-Vedi? Potevi parlarmene!- Lo interruppe.
-Fammi finire! …è una cosa che penso da un po’, non provo più lo stesso per te. Vorrei restarti amico però. Sei una persona molto importante per me, perderti mi farebbe morire.-
-Allora hai scelto da solo di morire,- gli rispose con tono sarcastico stavolta dovendo contenere la rabbia -non sono stata io a lasciarti, non sarò nemmeno io una tua amica. Non voglio avere più a che fare con te. Avresti dovuto dirmelo in qualsiasi altro modo, ma non con un messaggio. Cazzo, ci vediamo ogni giorno a scuola, passiamo buona parte dei nostri pomeriggi insieme, siamo stati insieme abbastanza da poter dire che ci “conosciamo” a fondo, questa (almeno per me) non era una storiella di poco conto e le storielle di poco conto non si chiudono così, ma ascolta, se proprio nonostante tutto questo non te la sentivi potevi chiamarmi.- Si girò e se ne andò, stavolta veramente. Uscì dalla stanza sbattendo la porta e sentendo dietro di sé lui che le diceva di aspettare. Salutò la madre del ragazzo come se niente fosse e uscì dalla casa.
Inviò un messaggio a Carla “devo parlarti”, uno di quei messaggi che fanno pensare a tutte le malefatte di una vita. Nemmeno il tempo di posare il telefono nella tasca che ecco la risposta “da te o da me?”, questo era quello che le piaceva della sua amica, ovunque fosse era sempre disponibile per lei, solo per lei.
Andò a casa sua senza risponderle, normalmente facevano così, era come un loro codice.
Salì con l’ascensore, 6° piano, portone a destra. Lei l’aspettava dietro la porta.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


Capitolo IV
Carla era una ragazza non tanto alta dai capelli lunghi e lisci castano-rosso, con dei piccoli occhi neri che amava truccare di verde. Prendendo queste caratteristiche singolarmente poteva sembrare brutta, ma nel complesso la rendevano affascinante. Aveva ai suoi piedi tantissimi ragazzi e lei era una che adorava giocare. Fingeva di stare alle avance di qualche ragazzo, magari pure usciva con lui e lo baciava, ma mai arrivava a fidanzarsi con qualcuno. Agli occhi maliziosi degli altri era una di quelle ragazze “troie” che cercano solo le storielle da una sera, ma lei nella realtà dei fatti era una ragazza estremamente fragile. Irene conosceva la sua storia, sapeva che si comportava così perché durante la seconda media aveva conosciuto un tipo di quarto liceo che l’aveva presa in giro ed era riuscito a portarsela a letto. Questo il giorno dopo era scomparso senza lasciarle nemmeno un appunto da qualche parte, aveva provato a chiamarlo varie volte ma ogni volta le bloccava le chiamate. Aveva continuato a cercarlo per un anno e mezzo, smise a Natale del primo liceo, quando strinse amicizia con Irene e finalmente ebbe il coraggio di parlare con qualcuno dell’accaduto. Mai aveva ammesso di essere stata a tutti gli effetti violentata, ma dopo quella volta non ne parlarono più. Carla dopo la sua prima volta non si era più concessa a nessuno tranne che per i baci, temeva che potesse ricapitarle tutto.
-Ci stai provando con Marco?- l’accusò Irene.
-Cosa?!-
-Proprio quello che ti ho appena detto…- senza varcare la soglia guardandola fissa negli occhi con un tremendo sguardo da pazza psicopatica.
-No.- Carla era sconvolta, ma la voce a questa risposta fu così ferma che diceva tutto da se. Mai avrebbe fatto un torto così grande alla sua migliore amica, l’unica che l’abbracciava quando piangeva senza chiedere immediatamente un fiume di spiegazioni, l’unica che non la giudicava per le sue storie di due giorni massimo, l’unica che la spingeva a trovare qualcuno di cui fidarsi.
Irene rassicurata, entrò l’abbracciò e scoppiò a piangere.
-No, no. Non fare così, ti cola il rimmel e poi chi te lo ricompra?- Le disse col sorriso sulle labbra nascondendo il cuore che le si faceva piccolo piccolo vedendo l’amica in quello stato.
-Scusa per prima, è stata una frase che non avrei dovuto dire… Non ho riflettuto, davvero…-
-Niente, niente. Dimmi tutto invece!-
Le raccontò del messaggio, della chiacchierata con la mamma e di ciò che era successo poche decine di minuti prima.
-Ma che grandissimo stronzo! Non si tratta così una ragazza. Questo posso farlo solo io!- E qui un altro sorriso, ma si accorse subito d’aver sbagliato a dirlo, l’amica non rideva come sperava lei.
-Cosa devo fare?-
-Tu nulla. Ora, magari non ti sembrerà più vera la mia risposta di prima, ma penso che devo provarci poco poco. Se ci sta subito allora provvederemo per vendicarci, sennò dobbiamo capire perché l’ha fatto.-
-Ma ti senti così irresistibile?!- Le rispose arrabbiatissima Irene, senza pensare un attimo alla proposta che le aveva fatto.
-No, dobbiamo solo capire se ci proverebbe addirittura con la tua migliore amica… Non pensare male di me, cazzo, mi conosci!-
-Sì, scusa. Ma cosa gli dirai?-
-Non lo so, ci devo pensare. Adesso vediamo un film, meglio pensare ad altro in questi momenti. Horror?- E un altro sorriso, stavolta corrisposto.
-D’accordo!-
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2270769