| MADRID, 1877 |
Sgattaiolò nel modo più silenzioso possibile dalla
stanza di Diego, lanciando un’occhiata all’interno della camera nella quale
riposava il suo attuale fidanzato – lo aveva aspettato tutta la sera e questo
si era ripresentato solo un paio d’ore prima dell’alba, gettandosi malamente
sul letto incurante del fatto che Shakira l’avesse atteso, alternando
sonnellini a brevi veglie dove si scopriva essere più stizzita che preoccupata
per il comportamento del Cacciatore.
Scosse la testa,
scacciando quei pensieri e aprendo piano la porta della propria camera,
infilandosi poi sotto le coperte di lana, inspirando a pieni polmoni il profumo
familiare del proprio guanciale.
Chiuse gli occhi,
cercando il sonno che aveva perso in quell’ultima nottata, ma furono questione
di pochi minuti che Fatima – la loro adorabile cameriera dalla pelle olivastra
– aprì la porta della stanza battendo le
mani per svegliare la Nephilim, la quale rispose con
un grugnito seguito da un «cinque minuti» che divennero dieci, poi quindici e
infine tre quarti d’ora abbondanti.
Saltò seduta sul
letto e si spostò i capelli dal viso stropicciandosi velocemente gli occhi, «dannazione!» imprecò, trattenendo parole
molto meno decorose per poi scoppiare in una fragorosa risata: che aveva da
preoccuparsi se si era svegliata tardi?, quella era casa sua – in fondo. E poi tutti all’Istituto sapevano che l’Espinosa adorava dormire.
Scese direttamente
nella sala da pranzo infilandosi mentre percorreva le scale una calda vestaglia
di cotone, mentre i piedi erano avvolte in calde calze di lana – ottima
alternativa alle pantofole che tanto odiava.
L’Istituto di Madrid era enorme, e con “enorme”, Shakira
intendeva dire che era davvero grande – e a distanza di cinque anni dal suo
arrivo in quel luogo (conservava ancora una cartina che si era disegnata a quei
tempi per non perdersi) temeva ancora di non ricordare più la strada. Ogni cosa
in quel luogo, dagli arazzi alle pareti ai quadri alle piccole statuine poste
sui mobili che raffiguravano angeli dall’aria severa, sembrava essere gonfia
dell’orgoglio di esistere, un po’ come Leandro, il Cacciatore che lo gestiva –
la sua famiglia, Hidalgo, era abbastanza conosciuta per i Cacciatori e da tempo
si occupavano di Madrid. Lui era la persona più orgogliosa che Shakira avesse
mai incontrato, ovviamente escludendo lei stessa – perché non c’era nessuno più
superbo di Shakira.
Ma c’era una
differenza tra lei e Hidalgo, ovvero che lui non avrebbe ammesso neanche
davanti alla spada mortale di essere un vecchio altezzoso che dovrebbe pensare
di ritirarsi ad una tranquilla vita in campagna, mentre la signorina Espinosa non ci pensava due volte a sbraitare contro qualsiasi
povera anima un “questa sono io, hai problemi? risolviteli”.
Fece capolino nella
sala da pranzo guidata dal profumo di caffè e pane cucinato con dei fiori che
avevano proprietà magiche – Rosita, la cuoca, era cresciuta sotto la custodia
di una strega amante della natura e fu accolta da Leandro dopo la morte
accidentale della Figlia di Lilith da parte di un
vampiro, una rissa tra Nascosti,
aveva minimizzato Hidalgo. Ma era storia passata e la donna non ne soffriva più
– di sua madre le rimanevano solo le
conoscenze su questi fiori incantati.
«Questa è angelica!»
sentenziò la rossa entrando nella stanza, notando che Diego aveva già preso
posto e si inzuppava un pezzo di pan brioche nella tazza di caffè e, sparsi
lungo i lati del tavolo, gli altri Cacciatori dell’Istituto.
Sorrise mentre
scivolava sulla sua sedia accanto al fidanzato e nel momento in cui afferrò lo
schienale della seggiola la voce di Leandro le arrivò chiara all’orecchio,
«potevi anche presentarti nuda» disse, mentre agitava un pezzo di pane
all’angelica come se brandisse una spada.
Il chiacchiericcio
mattutino, così allegro e spensierato si bloccò, gli occhi verdi di Shakira si
scontrarono con quelli del più vecchio e tutti poterono giurare di aver visto
un fulmine collegare i loro sguardi. I
Cacciatori non sono così restii ai costumi dei mondani le avevano detto.
La rossa si riempì
il piatto di fette di pane all’angelica, immerse un cucchiaio nella confettura
di cui ignorava il sapore ma che sapeva sarebbe stata buonissima e si versò il
caffè in una tazza, spostò la teiera dal suo vassoio e mise la sua colazione
sopra. Tutto questo canticchiando una delle musiche che aveva composto
recentemente, giusto per far innervosire ancora di più il gestore
dell’Istituto, sul punto di lanciarle un coltello tra gli occhi – ma che si
limitò ad un insulto sibilato, qualcosa che aveva a che fare con i suoi capelli
e con i bordelli, forse.
«Guarda che ti ho
sentito» disse lei, il vassoio in mano e il solito sorriso appositamente
studiato per farlo andare fuori dai gangheri, diverso da quello con cui era
entrata in stanza.
«Se tu non fossi
protetta dalla legge ti avrei già buttato fuori di qui».
«Dura lex, sed lex» citò la Cacciatrice,
posando gli occhi su quelli dell’Istitutore, probabilmente la persona più
paziente di Madrid – e di pazienza ne aveva molta, considerando che era il parabatai di Leandro. Era lo stesso che le aveva offerto
gentilezza quando lui e Leandro andarono a raccattarla per condurla
all’Istituto. Gil era stata la sua prima cotta da
ragazzina.
«Che magnifica
citazione!» esclamò Gil, cercando di spezzare la
solita, noiosa, tensione tra i due.
Compiaciuta di aver
rovinato la mattinata a Leandro, Shakira si sedette al suo posto togliendo con
calma tutta la sua colazione dal vassoio che subito Fatima – la cameriera –
prese tra le mani per riportarlo in cucina.
«Comunque
buongiorno, anche io sono felice di essermi svegliata e di ritrovarmi ancora
tra di voi» cantilenò lei, addentando il pane mentre guardava il cucchiaio
pieno di confettura e immaginava il contenitore con un grosso buco al centro,
provava un certo ribrezzo per sé stessa – considerando il suo gesto ciò che
c’era di più simile ad uno stupro. Aveva stuprato un vasetto di marmellata.
«Ieri sera c’era
così tanto vento che sarei potuta volare via dalla finestra, e anche tu, Consuelo, potevi fare la mia stessa fine» commentò,
spazzando via il pensiero della marmellata e indicando una giovane Cacciatrice
di dodici anni che sgranocchiava la sua frutta in pace, affiancata dalla
sorella coetanea di Shakira – Hortensia – la quale
parlottava pacatamente con il suo parabatai, Quique.
C’erano troppi parabatai in quell’Istituto.
Diego era passato ad
imburrare con una certa calma una fetta di pane tostato, guardava il piatto e
non prestava attenzione a nessuno – si limitò solo a posare la mano sulla
coscia di Shakira quando la situazione si era placata. Il gesto le fece
piacere, un po’ come sempre considerando che sembrava che il Nephilim fosse l’unico ad apprezzare la sua presenza lì –
ma da tempo le cose non andavano bene tra i due, e in qualche modo quella mano
grande, calda e avvezza alla battaglia di cui era tanto innamorata le pareva un
oggetto pesante, come la parte di un’armatura che lei non era in grado di
sostenere. Chi altro aveva toccato, con
quella mano?
Ma non voleva
pensarci più di tanto – Diego era l’unica persona che la teneva legata a quel
posto, a quel mondo, e Shakira non voleva autodistruggersi.
Fatima le aveva
acconciato i capelli in modo che i lunghi boccoli non le fossero d’intralcio
durante la giornata, aveva sfregato con la spugna sulla sua schiena e
allacciato il vestito verde che Leandro odiava perché ricordava quello delle
contadine, guarda caso un vestito a cui Shakira non voleva rinunciare perché
era proprio quello: un abito da contadina. Lei veniva dalla campagna di
Santiago de Compostela e aveva tutto il diritto di vestirsi in modo da onorare le proprie origini, no?
Passò la mattinata a
gironzolare per l’Istituto, spiando Diego allenarsi con il tiro a segno, Hortensia, Quique e Consuelo studiare con Gil, Rosita
sfogliare uno strano libro sui fiori e Fatima pulire le stanze – facendosi
talvolta aiutare da Antonio, il cocchiere più bello che lei avesse mai visto in
vita sua – la sua seconda cotta
adolescenziale.
Ma alla fine aveva
optato per rintanarsi nella stanza in fondo ad un corridoio poco utilizzato,
tappezzata di resti di Nascosti risalenti a prima degli Accordi. Amava guardare
le ali delle fate, le squame delle sirene, i segni che contraddistinguevano gli
stregoni appesi come trofei sulle pareti, la pelliccia di alcuni lupi mannari e
poi le infinite dentature dei Vampiri, scintillanti nonostante quel posto fosse
frequentato molto, molto raramente.
La ragazza credeva
fermamente di essere nata nell’epoca sbagliata, con quei Accordi che limitavano
il suo raggio d’azione ai demoni o ai Nascosti fuorilegge. Stacco dal murò la
dentiera di un vampiro e sfiorò i canini con delicatezza, come se si trattasse
di un fiore secco che poteva frantumarsi sotto il suo tocco.
«Shakira?».
La diretta
interessata sobbalzò, nascondendo dietro la schiena la reliquia, «Consuelo! C’è qualche problema?».
Questa scosse la
testa, dondolando sui talloni con le braccia unite davanti a sé, il vestito che
indossava le donava incredibilmente, «Diego mi ha detto che potevo trovarti
qui, ti stavo cercando perché… ti cercano tutti,
ecco. Leandro e Gil… vogliono mandarti in un posto,
una missione». Parlava con calma, come se avesse paura di dimenticarsi qualche
particolare del messaggio.
Shakira sorrise,
posando i denti sul tavolo, ben nascosti da un vaso di terracotta, si chinò
sulla bimba lasciandole una carezza tra i capelli, «molto gentile, Consuelo», e si alzò tendendo la mano alla dodicenne,
sentendosi quasi felice quando questa gliela strinse. Irrimediabilmente pensò a
come sarebbe stato bello avere dei
figli con Diego – costruire una famiglia e magari avere una casa in campagna
come avevano fatto i suoi genitori.
L’incontro con
Leandro, Gil, Hortensia e Quique fu breve e
formale, i due aggettivi preferiti di
Hidalgo: era stato affidato ai tre Cacciatori (lei e i due parabatai, s’intende) il compito
di sbarazzarsi di alcuni demoni che si aggiravano attorno ad un bordello al confine
sud di Madrid, e la presenza di quelli portava automaticamente alla paura che
molti mondani potessero diventare vittime di svariati omicidi – ed era compito
dei Cacciatori evitarli: salvare il mondo
era l’aspirazione più grande di un Cacciatore.
«Angelica: si
adatta alle necessità, ma è particolarmente
indicato per calmare
i bambini iperattivi a tavola.»
[DAL RICETTARIO
DELLE WAVERLEY]