You have no idea what you mean to me

di _diana87
(/viewuser.php?uid=13963)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***




Cap. 1

 

 
La luce del mattino illumina le lenzuola, e quel letto vuoto, spoglio, che da due anni non ha più visto la presenza di un altro essere umano oltre la sua.
Si stiracchia allungando braccia e gambe, poi decide di alzarsi e, come d'abitudine, prende la fondina e il distintivo dal comodino.
Si dirige nella stanza accanto alla sua, aprendola lievemente, giusto uno spiffero, e sorride dopo essersi assicurata che tutto vada bene lì dentro.
L'immagine riflessa nello specchio del bagno è sempre la stessa da circa due anni, da quando quell'evento l'ha scossa così tanto da farle cambiare colore di capelli, facendo dei riflessi biondi sulla folta chioma color castano scuro. Quasi come se volesse ricominciare da capo. A quel tempo, aveva deciso di darci un taglio, di fuggire e scappare da tutti, per non avere più nulla a che fare con quel vecchio edificio dove vi aveva lavorato per dieci anni.
"Dieci anni, eh?"
"Ogni anno con te ne vale due."
Le parole del suo ex partner le tornano alla mente strappandole un sorriso. Un'altra abitudine che non ha perso è controllare il suo cellulare e aspettare una sua chiamata. Lo tiene sempre acceso, nella speranza che lui possa chiamare da un momento all'altro cercando il suo aiuto. Invano.
Sospira, pensando che forse, dopo tutto quel tempo trascorso dall'ultima volta che si erano visti, dovrebbe lasciar stare.
Dopo mezz'ora, Sally, la sua tuttofare, una ragazza di ventisette anni, bussa alla sua porta.
"Salve, agente Lisbon! Spero di non essere in ritardo."
La donna davanti a lei inarca un sopracciglio, sbottando.
"Quante volte ti ho detto di chiamarmi Teresa? Ci conosciamo da un anno ormai!"
"Sì, ha--hai ragione, Teresa!" si corregge subito la ragazza.
Si è quasi affezionata a quella ragazza, anche se lei non lo ammetterà mai, dato il suo carattere non molto aperto al contatto umano.
Sally ha i capelli castano chiari ondulati, che le ricadono come una morbida pelliccia dietro le spalle. Una laureata in veterinaria che non ha trovato subito un lavoro, quindi si è improvvisata ragazza alla pari, aspettando una migliore occasione. Sì, anche in California c'è crisi. Ogni volta che la guarda, Teresa pensa a lei da giovane. Forse è quello il motivo per cui l'ha assunta.
"Come sempre, arriverò per ora di pranzo. Tanto ci sarà il solito caso di contesa di contea da risolvere. Se proprio vogliamo esagerare, un omicidio che sarà risolto in giornata. Dio, questa cittadina è così tranquilla." dice sbuffando, e poi sistema le ultime cose nella sua valigetta che usa per il lavoro.
A Sally scappa una risata.
"Perché te ne sei andata da Sacramento allora? Ah, se posso chiedere..."
Bella domanda. Teresa si blocca e cerca di guadagnare tempo raccogliendosi i capelli in una coda di cavallo.
Farfuglia qualcosa prima di dire: "Non mi piaceva più l'ambiente."
Sally sa di aver toccato un tasto dolente, quindi non vuole indagare oltre.
"Ci vediamo per pranzo, agen---volevo dire, Teresa!"
La donna afferra la valigetta, le rivolge un debole sorriso alzando la testa, e scompare dalla sua vista.
 
Santa Cruz è diversa da Sacramento. Questa piccola contrada dove tutti la conoscono, la salutano, le chiedono come sta, che cosa fa, e se è accaduto qualcosa di interessante in città. La riconoscono e la rispettano come agente di polizia, non più senior agent come lo era a Sacramento, come donna in carriera che ha fatto le sue scelte, specialmente una, molto dolorosa...
"Agente Lisbon, abbiamo una novità."
Il richiamo di Daniel Parker, il suo partner attuale nella squadra omicidi, la fa sobbalzare prima di rendersi conto di aver già varcato la soglia del piccolo edificio di polizia. E' talmente assorta nei suoi pensieri, mentre salutava le persone per strada, da non accorgersi di essere arrivata alla sua scrivania - una scrivania, Teresa! Non hai più un ufficio con il nome 'Senior Agent' sulla porta.
Parker l'afferra per un polso fermandola. Poi le poggia le mani sulle spalle.
"Tutto bene? Sembri un po'... fuori luogo."
Mani forti, possenti che la fanno sentire al sicuro, quasi proteggendola. Daniel ha circa la sua età, alto, slanciato e capelli brizzolati. Tutte le donne che lavorano con loro due sono attratte da lui, perché non dovrebbero? Oltre ad essere affascinante, ci sa fare con i casi e con le persone, senza correre il rischio di mandare a puttane i casi di omicidio sui quali lavorano. Insomma formano una coppia perfetta per il lavoro. Peccato che lei abbia deciso di dividere la vita personale da quella professionale da quando...
"Lisbon, meno male sei qui! Sto quasi impazzendo!"
Samantha Dougherty, capo del dipartimento, è sempre in uno stato di agitazione quando si tratta di qualcosa di grosso. Indossa un completo scuro con una gonna che le arriva sotto le ginocchia, e porta tacchi bassi ma rumorosi, tanto che quando cammina velocemente tra le scrivanie dei suoi agenti si muove da una parte all'altra, come se fosse un pinguino. Teresa la osserva un po' di sottecchi mentre rivolge uno sguardo d'intesa a Parker. Le fa strano avere una donna come capo, proprio lei che è stata abituata a circondarsi di presenze maschili per quasi tutta la sua vita, ma l'agente Dougherty le fa quasi un po' ridere per il suo modo buffo di camminare.
"Capo, sono qui, cos'è successo?"
 
Qualche minuto dopo, i tre sono nell'ufficio del loro capo anziano. La donna, seduta dall'altra parte della scrivania, accavalla le gambe, butta i lunghi capelli biondi all'indietro sistemandosi sulla sedia. Teresa, non l'ha perso un attimo di vista, tanto da indurre il suo partner Daniel a sussurrarle se per caso si fosse innamorata del suo capo. La donna le dà una gomitata di risposta, sorridendo.
Samantha le porge un raccoglitore giallo, che sembra abbastanza pieno da contenere almeno una ventina di fogli.
"Sono sicura che questo caso potrà sollevare un po' di domande tra la gente, inoltre è qualcosa di diverso da ciò di cui ci siamo sempre occupati, ma mi hanno detto che sei la migliore in questo campo."
Teresa è però titubante quando legge 'FBI' nell'etichetta esterna del contenuto di quel raccoglitore. Ha giurato a sé stessa di non farsi più coinvolgere con le forze dell'ordine governative, mai più da quando... Il sentimento di turbamento viene velato da un altro ancora più forte appena vede l'immagine dell'uomo nella prima pagina del foglio.
Stupore? Rabbia? Consapevolezza?
Un tonfo al cuore la fa indietreggiare e vede cadere il fascicolo dalle sue mani a terra, a rallentatore, mentre i battiti aumentano sempre di più. Barcollando all'indietro, deve poggiarsi su qualcosa per evitare di svenire. Parker raccoglie il documento, preoccupandosi per la sua collega.
"Teresa, stai bene?"
"Conosci quest'uomo, agente Lisbon?"
La donna riesce solo a mormorare frasi senza senso, mentre gli angoli della bocca fanno forza a contorcersi per dar vita ad un nervoso sorriso. Scuote la testa e allunga il braccio tremolante, indicando il foglio con l'immagine che Parker ha in mano.
"Patrick Jane. Era il mio consulente. Al CBI." le parole le escono dure ma decise. Mette i punti per affermare il concetto.
Samantha e Daniel si lanciano sguardi costernati. Forse è più l'anziana agente a preoccuparsene, pensando che non è il caso che Lisbon prenda di mano l'indagine.
"E' ricercato per spaccio di droga dal Venezuela in California. Non hai più avuto contatti con lui?"
La donna scuote la testa. Adesso è riuscita ad appoggiarsi ad una sedia. Daniel le si avvicina porgendole un bicchiere d'acqua, avendola vista agitata, ma Teresa rifiuta cordialmente con un gesto della mano.
"Te la senti di condurre queste indagini?"
"Posso pensarci prima e ti faccio sapere domani?" risponde lei, invece, con un'altra domanda.
L'agente a capo si vede costretta ad acconsentire alla sua richiesta, anche perché non ha molta scelta. Sa che Teresa è una donna in gamba, sempre dedita al suo lavoro, che non si lascia coinvolgere nei casi di omicidio delicati. Eppure stavolta capisce che c'è qualcosa di più che riguarda quell'uomo della foto. Osserva il suo volto marchiato, segnato da una vita distrutta, e per quanto ne sa, vede in lui soltanto un caso disperato di redenzione mancata, che è finito solo col farsi del male da solo.
 
Appena torna a casa, chiude la porta con forza di schiena. Prende un gran respiro, abbassa la testa, e si massaggia le tempie.
Non è possibile, non può essere lui.
Ecco cosa succede quando Patrick Jane si allontana da Teresa Lisbon. Cade dal Paradiso e finisce all'Inferno.
"Sei già tornata?" Sally arriva raggiante raggiungendola in cucina per salutarla.
"Pessima giornata. Devo prendermi un po' di tempo prima di accettare il caso."
"Vuoi che ti preparo qualcosa da mangiare?"
"No, grazie, vorrei solo vedere lei." sorride al pensiero della sua unica fonte di vita e di speranza in questi ultimi due anni. Senza di lei, non avrebbe trovato la forza per continuare a vivere, dopo quell'evento che l'aveva scossa.
Sally l'accompagna nella stanzetta accanto alla camera da letto della donna. Quindi la ragazza decide di lasciarle da sole, tornando in cucina a sistemare le ultime padelle sporche.
Teresa sorride a quel fagottino che ha di fronte. La prende in braccio e le accarezza la testolina.
"La mamma è tornata presto dal lavoro, adesso possiamo stare insieme!" le sussurra dolcemente, poi intona una canzoncina.
Gli occhi della piccola sono vispi e verdi come i suoi. Sa dire qualche parolina e sta imparando a camminare. La piccola le prende un ciuffo di capelli biondi e fa per giocarci. Teresa la guarda e ha gli occhi lucidi. Lei è la sua speranza, il suo coraggio per andare avanti. Il nome che le ha dato è proprio azzeccato.
"Sally, ci ho ripensato... prepara da mangiare che ho fame!"
Come per dire qualcosa, la bambina esulta, stringendosi ancora di più al seno della mamma, la quale si sente riscaldata da quel piccolo contatto umano. In cucina, Sally ha preparato uova strapazzate, qualche panino e un'insalata. Teresa la fa sedere sul seggiolone che le hanno regalato i suoi fratelli qualche mese fa. E' quello che usava lei da piccola e loro lo hanno conservato.
"E' davvero una bellissima bambina! Sembra che capisca quello che dico, non è vero, Hope?"
La ragazza non si sbaglia. Appena sente il suo nome, la bambina alza le braccia e, contenta, fa qualche verso. Sally si dà un colpetto alla fronte.
"Che sbadata! Non ricordo mai... quanti anni ha tua figlia?"
Teresa dà un'ultima carezza a Hope prima di stamparle un bacio sulla piccola testolina.
"Un anno. Un anno e tre mesi per l'esattezza."
 
 
 
Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Questa è la storia di come inizio a scrivere una one shot e poi diventa una fanfic... hahahaha long story XD
Inizio questo esperimento, vediamo dove ci porta...
Come avrete già capito, storia ambientata qualche anno dopo.
Teresa è un'agente di una piccola città, non c'è più il CBI, e Patrick è un ricercato per traffico di droga...
Beh, le premesse ci sono, ora vediamo come incasinerò la storia :p
Ripeto che è un'angst, quindi se non ci sono amanti del genere, prego astenersi dal leggere la storia! ;)
Alla prossima, se volete ;)
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap. 2 ***




Cap. 2

 

 
Due anni. Sono passati due fottutissimi anni e lui non si è mai fatto sentire. Né una chiamata, né un messaggio... questa situazione le è ben troppo familiare. Quando era sparito per sei mesi a Las Vegas, Teresa si era sentita tradita, senza nulla da fare, quasi come se le mancasse l'aria...
Stavolta è anche peggio. La situazione è completamente diversa.
Rivolge uno sguardo a sua figlia quando la sua manina sta tirando in giù il suo pantalone, nel tentativo di richiamare la sua attenzione.
"Hope, ma che ci fai per terra?" si abbassa per prendere la piccola e mettersela a sedere sulle sue gambe, così che il suo visino possa osservare lo stesso file giallo che anche la donna sta analizzando.
La bimba indica la foto di quell'uomo biondo e poi guarda sua mamma aspettandosi una risposta.
Teresa si morde il labbro e chiude il fascicolo di botto.
"Ripensandoci... Non dovresti guardare queste cose..." sussurra più a sé stessa che a lei, poi la riavvolge tra le braccia per adagiarla sulla culla disposta nel salottino. La tiene come se fosse un vaso di porcellana, avendo paura che si facesse del male.
Quando aveva scoperto di essere incinta, aveva deciso di dare un taglio alla sua vecchia vita cambiando città e aspetto. Per quanto le piacesse il lavoro, ormai non aveva più motivo per restare a Sacramento, sopratutto perché l'unica ragione a tenerla lì se ne era andata.  
Poi era nata Hope, 'speranza', così l'aveva chiamata, perché grazie a lei aveva riscoperto l'amore per la giustizia e le piccole cose. Ecco perché le andava bene vivere in un paese piccolo come Santa Cruz. Speranza perché ogni giorno controllava il suo telefono sperando che lui tornasse...
Sistema i capelli, mettendoseli avanti, un cerchietto per tenere i ciuffi più corti in ordine, poi indossa la sua camicetta più elegante, la giacca nera allegata al pantalone scuro ed esce di casa, lasciando Hope con Sally.
 
"Sei arrivata puntuale, Lisbon!"
Senza alzare lo sguardo dal suo computer, ma riconoscendo la camminata, Samantha si stupisce nel vedere la sua migliore agente sull'uscio della porta del suo ufficio. Un soldato sull'attenti pronto a ricevere ordini.
Teresa finge un sorriso, incrina le labbra cercando di non sembrare un pezzo di legno senza emozione.
"Ho deciso di accettare il caso, signore, quello su..."
Improvvisamente la donna alza lo sguardo, guardando l'agente davanti a sé come se avesse ricevuto una botta in testa e non la riconoscesse.
Teresa deglutisce, e respira a fatica prima di tirar fuori il suo nome, poi rivolge lo sguardo altrove.
"...Patrick Jane."
"Sei sicura? Ieri sembravi abbastanza titubante... non voglio che ti crei problemi di nessun genere."
Semplicemente, l'agente mora risponde con un cenno del capo e la congeda nervosamente.
Daniel Parker la osserva mentre si accomoda dietro la sua scrivania, e lascia che i capelli le riposino dietro la schiena per evitare che le diano fastidio. Tira fuori dalla valigetta il fascicolo sul suo vecchio partner, ma non può evitare di avere un tuffo al cuore ogni volta che vede la foto di quell'uomo che ha imparato a conoscere e amare per dieci anni. Si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, schiarendosi la voce, poi inizia a sfogliare il fascicolo, leggendo e analizzando ogni riga.
Il suo partner si avvicina titubante, ma con passo felpato.
"Posso darti una mano?"
Teresa non risponde per qualche secondo, ma bofonchia un semplice "Mhm". Lui prende una sedia accanto, lasciata lì per caso, e si siede più vicino possibile a lei. Gli sembra che sia già troppo presa dal caso. Dal modo in cui giocherella con una penna, divertendosi a tamburellarla sul legno duro della sua postazione, gli fa pensare che c'è qualcosa che la preoccupa terribilmente.
"Tutto ok con la bambina?" azzarda lui, sorridendo appena.
Fortunatamente tutti al distretto sanno di Teresa e di sua figlia Hope, anche se lei non ha mai rivelato l'identità del padre.
E tutti hanno acconsentito a non chiederle niente.
E forse è meglio così per ora.
"Mhm mm."
Niente, nessuna risposta chiara e concisa. Daniel continua a guardarla mentre meccanicamente sbatte quella povera penna sulla scrivania, e l'unico pensiero che gli sfiora la mente è quello di prenderle la mano per farla smettere. Ma fallisce nell'intenzione, quando lei sbotta chiudendo il fascicolo che ha davanti, causandogli un piccolo spavento.
"Scusami, non avevo intenzione." risponde imbarazzata. "Ho bisogno di lavorare da sola, scusami ancora."
Afferra tutto ciò che di fronte e si chiude in una stanza dove può starsene per conto suo. E' buia, forse è uno sgabuzzino, non le interessa. Trova l'interruttore della luce, nascosto da alcune scartoffie arrivate quasi a toccare la parte superiore della porta, e un vecchio divano marrone cattura la sua attenzione.
Fa un balzo indietro e lascia cadere a terra valigetta e fascicolo.
"Che tu sia dannato, Jane. Continui a perseguitarmi." si lascia sfuggire, mordendosi il labbro.
Realizzando quanto la frase sia stata troppo divertente, quasi come se lui fosse diventato un fantasma della sua mente, scoppia a ridere mentre raccoglie le sue cose. Prima è una risatina nervosa. Si copre la bocca meravigliandosi del verso buffo che è esce fuori, poi ne seguono diversi, e infine resta seduta a terra ridendo di gusto. Gli occhi iniziano ad appannarsi e realizza che le si sono riempiti di lacrime, ma inevitabilmente lei continua a ridere. E' una situazione buffa, pensa lei.
Ride perché non capisce cosa stia provando in quel momento.
Alle risate e alle lacrime, sussegue un momento di silenzio in cui lei fissa quel vecchio divano, messo lì a casaccio insieme a scartoffie e archivi, facendole domandare cosa diavolo ci faccia lì.
"Tu sei fuori luogo, non dovresti trovarti in questo posto." come colta da un momento di pazzia, indica il soprammobile arricciando il labbro inferiore e creando un'espressione del viso imbronciata.
L'immagine del suo consulente le appare cristallina. E' disteso, addormentato sul divano, poi arriva lei che gli dà dei calci per svegliarlo. Con rabbia, Teresa scaraventa la cartellina addosso quell'immagine del passato, facendola scomparire.
Cerca di tornare lucida e afferra il suo cellulare, digitando un numero che conosce a memoria. Attende con ansia finché la voce all'altro capo le risponde cordialmente.
Lei sorride, contenta di sentire quel timbro che le era mancato.
"Ehi, ciao. Non chiamarmi più boss, non sono più il tuo boss. Non da quando..." sospira e poi riprende a parlare lentamente. Vorrebbe dire tante altre cose, ma capisce che probabilmente non c'è tempo o non è il caso. "Ascolta, ho bisogno di un favore. Sicuramente saprai che Patrick Jane è ricercato dall'FBI per spaccio di droga... esatto... ho bisogno di quante più informazioni riesci a recuperare... So che non dovrei chiedertelo, visto la posizione che ricopri ora e non voglio mettere in pericolo la tua carriera, perciò... fammi sapere se puoi aiutarmi a rintracciarlo o almeno capire come ha fatto a cacciarsi in questo guaio. Grazie." 
Chiude la chiamata e poi si stringe il telefono tra le mani.
Ha bisogno di un contatto umano.
Deve stringere sua figlia e sentire il suo calore.
 
Verso sera torna nel suo nido, dove spera di riabbracciare Hope. Non vuole neanche mangiare; non ha fame.
Da quando ha accettato quel caso, le è venuto un blocco allo stomaco che le ha impedito di aprirsi.
Avanza frettolosamente per le scale che la conducono al suo appartamento quando sente dei rumori provenire da dietro di lei. D'istinto, mette la mano sulla fondina, e si blocca, aspettando che l'assalitore faccia la sua mossa.
Mentalmente, conta fino a tre, mentre il respiro si fa affannoso. Quando è sicura di trovarselo proprio alle sue spalle, afferra la pistola, si volta di scatto e la punta contro l'unica persona che non sperava di rivedere più.
Lui appare come un senzatetto, con indosso un vecchio giaccone strappato a qualche barbone. Barba incolta, forse anche un po' sporco in viso, non riesce a dirlo dato che fuori è notte. Una camicia bianca macchiata e dei jeans strappati anch'essi. Alza le braccia in segno di difesa e guarda prima la pistola e poi gli occhi verdi dell'agente, che tremolante, anche dopo averlo riconosciuto, continua a puntargli la pistola addosso. L'aspetto sarà anche invecchiato, ma gli occhi azzurri rimangono gli stessi.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Ciao, Teresa. Hai cambiato colore di capelli?"



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Con molta titubanza, Teresa accetta il caso sul suo ex partner...
Lui appare come un fantasma, tanto che anche un vecchio divano le fa pensare...
Il suo attuale partner invece sembra preoccupatissimo per lei, ma da brava poliziotta, non si lascia coinvolgere e finge che vada tutto bene...
E poi... bam! Qualcuno è tornato! Chi sarà mai?
Lo scopriremo nella prossima puntata hahaha
Grazie a chiunque ha letto, recensito e ha inserito la storia nelle seguite\preferite *-*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap. 3 ***





Cap. 3

 
"Che diavolo ci fai qui?"
"Ciao, Teresa. Hai cambiato colore di capelli?"
Abbassa leggermente il braccio per indicare il suo cambiamento di colore. Qualche ciocca è più chiara rispetto all'altra.
La donna fa lo stesso; lascia cadere le braccia lungo il corpo e depone la pistola nella fondina, poi guarda l'uomo davanti a sé con espressione sconsolata.
Dopo due anni, la prima cosa che le chiede è se ha cambiato colore di capelli.
Entrambi fanno un passo avanti, giusto perché la luce fioca di un lampione possa illuminarli ancora di più. Lui sorride, fa per avanzare ancora, ma lei indietreggia come spaventata. Lo guarda impaurita e di nuovo mette una mano sulla fondina. E' come se davanti a sé avesse una persona diversa. Sa di conoscerlo, ma per qualche strana ragione si è dimenticata chi è.
Lui la osserva in ogni suo movimento e fa di nuovo un passo indietro, così entrambi tornano nella loro posizione iniziale. Alza le mani in segno di difesa.
"Okay, ho capito."
"Che cosa vuoi, Jane?"
"Devi aiutarmi."
Teresa scoppia in una fragorosa quanto nervosa risata di chi sa di aspettarsi una risposta simile.
"Ah! Ironico come mi rintracci solo quando hai bisogno!"
"Ti prego, lasciami spiegare, fammi entrare in casa..." continua a mantenersi a distanza di sicurezza, capendo che deve stabilire prima un contatto visivo, più che fisico. La distanza li ha segnati ma si trovano con un piede fuori alla fossa non sapendo cosa fare in quel momento.
Improvvisamente, colta da un lampo, gli si pone davanti, bloccando il suo corpo con le mani.
"No, non puoi entrare!"
Alza lo sguardo su di lui, sentendosi vicina più di quanto vorrebbe. Gli occhi sono più grandi rispetto al normale, e Patrick riesce a scrutarli e capire che c'è qualcosa che lui non deve vedere dentro casa sua. In un gesto spontaneo, mette le mani sulle sue, portandola quasi ad abbandonarsi a quel calore che le era mancato da anni.
Fuori fa freddo, ci sono circa quindici gradi, e lei si domanda come faccia la temperatura del suo corpo ad essere calda.
Si meraviglia ancora come sia possibile che basta un suo sguardo per farla crollare.
"Ok, puoi entrare." gli dice, quasi sussurrando.


Appena mette piedi in casa, si prende del tempo per osservare e curiosare tra le nuove mura domestiche della sua ex partner. E' un monolocale, molto simile a quello che aveva a Sacramento. Cucina e salotto sono all'entrata, poi c'è un piccolo corridoio che conduce a due stanze, probabilmente camere da letto, e un bagno.
Teresa lo guarda in apprensione, pronta in ogni istante a fermarlo con una scusa. Sa che non deve oltrepassare la stanza dove c'è Hope...
Compiaciuto del giro turistico, Patrick le rivolge un sorriso benevolo.
"E' carino qui."
Lei gli risponde con un cenno del capo, prima che Sally esca dalla camera della bambina e si blocchi di colpo quando vede un uomo che non conosce.
"Ah... non pensavo avessi visite, Teresa... se vuoi vado via..."
Sorpreso, Patrick si rivolge alla giovane ragazza
"No, lui non è quello che pensi..." si affretta a dire. "Però puoi lasciarci da soli. Grazie per l'aiuto, per oggi è tutto. Ci vediamo domani."
Senza indugiare, Sally prende le sue cose, poi saluta con un cenno di capo Patrick, lanciando a Teresa un'occhiatina maliziosa prima di lasciare l'appartamento.
"E' la tua coinquilina?"
"No. Si chiama Sally e mi aiuta con le faccende a casa, dato che sto tutto il giorno in centrale."
"Non ne avevi mai avuto bisogno prima, come mai questo cambiamento?"
"Beh ora ne ho bisogno. La gente cambia, sai. Ora vuoi dirmi perché sei qui?"
Patrick scoppia a ridere sentendosi leggermente imbarazzato. La fondina è ancora attaccata alla cinta dei pantaloni.
Probabilmente non si fida ancora di lui.
"Al contrario di quello che pensi, non ti cerco solo quando mi serve."
"Ah no? Perché a me pare esattamente così."
In un gesto sconsolato, finalmente si libera del suo giaccone, degli scarponi, lasciandoli sul divano. Si avvicina al condizionatore per alzare la temperatura dell'ambiente. Quando si è assicurata di stare più a suo agio, lo guarda a distanza di sicurezza. Vuole mostrarsi coraggiosa, ma i suoi occhi non mentono quando dicono che è davvero ferita per quello che lui le ha fatto.
"Te ne sei andato senza dire niente a nessuno. Senza dire niente a me. Come ti aspettavi che avrei reagito?"
"Hai davvero cambiato colore di capelli?"
"Ho fatto i colpi di sole." risponde sbuffando. "Non cambiare discorso. So che la polizia ti sta cercando perché ti ritiene coinvolto in uno spaccio di droga tra il Venezuela e la California."
"Ah, quello. Io non c'entro niente, te lo giuro. Mi stanno incastrando. Ecco perché mi serve il tuo aiuto." 
La sua voce trema, è davvero disperato e nell'attimo dello sconforto, trova piacevole consolazione sedersi nel divano dietro di sé, tenendosi le mani in mano.
"Perché ti dovrebbero incastrare? Che ne posso sapere se nel giro di due anni ti sei dato alla malavita?"
"Hai intenzione di continuare a farmelo pesare questo fatto dei due anni, vero?"
Come dice qualcuno, gli occhi sono lo specchio dell'anima. Teresa non può mentire e Patrick ormai la conosce bene, sopratutto quando dopo quell'affermazione lei gira gli occhi da un'altra parte trattenendo le lacrime.
"Dal tuo sguardo, direi di sì."
Teresa sbuffa di nuovo. E' stanca di stare ai suoi giochetti, quindi trova la forza di sedersi accanto a lui.
"Avanti, dimmi che è successo, tanto non ho programmi per la sera."
Lui sorride lievemente alla battuta. "D'accordo. L'FBI mi sta incastrando."
"Cosa?"
"Sì, ne sono più che sicuro. Non hanno preso bene la storia di me che uccidevo Red John, il più pericoloso serial killer d'America degli ultimi dieci anni", dice l'ultima frase con fare teatrale, "quindi hanno pensato di darmi la caccia per farmela pagare. Volevano avere loro tutto il merito, invece hanno visto un civile diventare una specie di eroe nazionale. Dovevo nascondermi per un po', almeno fino a quando le acque non si sarebbero calmate."
"Mi stai dicendo che le forze dell'ordine ti stanno cercando da due anni?"
"Sì, una cosa da niente. Mi dispiace per essermene andato così... sai... dopo che io e te..."
Come le parole gli escono lentamente, il suo sguardo si posa su di lei. Teresa indugia prima di guardarlo.
La rabbia che lei ha dentro sta esplodendo, ma allo stesso tempo è come se fosse sollevata delle sue scuse.
"Ammetto che ti ho odiato, che sei stato un bastardo... e nonostante quel sentimento di odio continua a persistere in me, ti aiuterò, ovviamente. Come al solito."
"Grazie, lo apprezzo."
"Però non puoi restare qui. Sarebbe troppo strano. E poi c'è Sally."
"Non le darò problemi. A meno che non c'è dell'altro..."
"No... cosa te lo fa pensare?" dice distogliendo improvvisamente lo sguardo.
Troppo tardi per mentire quando dei gemiti dalla stanza in fondo al corridoio comincia a farsi insistente. Patrick resta per un attimo impietrito, poi osserva Teresa che tenta di coprire il suono accendendo immediatamente la televisione davanti a sé. Proprio ora dovevi metterti a piangere, Hope?, pensa lei, ma non perché ce l’abbia con sua figlia, però odia questo maledetto tempismo. La vocina si fa insistente diventando un richiamo d’aiuto.
"E' il pianto di un bambino questo oppure ti inventerai che hai lasciato la tv accesa?"
"E' mia figlia." Risponde lei, sorprendendosi di sé stessa. Come se lui non fosse lì presente davanti a lei, Teresa si alza, sfregandosi le mani sui pantaloni. "Vado a vedere come sta. Tu non ti muovere, non voglio che ti veda."
Lui alza una mano e l’altra la porta sul cuore, giurando come un boyscout.
 
Se ne sta per qualche secondo cercando qualcosa da fare. La televisione non gli interessa. Cambia qualche canale, poi annoiato, spegne tutto, facendo come se fosse a casa sua – se soltanto avesse una casa! – poi si alza dirigendosi in cucina per preparare il tè, perché certe abitudini non cambiano mai. E anche Teresa sembra saperlo, perché mentre lui è alla ricerca delle bustine, trova delle spezie e un cartoncino con tè alla pesca. Sorride e si serve da solo.
La curiosità prende il sopravvento quando si ferma per ascoltare una sinfonia dolce e delicata. Gli ricorda una ninnananna.
Pian piano, si avvicina alla porta della stanza, seguendo la melodia e sbircia da quel poco che può di porta lasciata poco aperta.
Teresa è di spalle, cullando tra le sue esili braccia un dolce fagottino dal quale sbucano due manine che si aggrappano ai capelli della mamma, giocando con le ciocche bionde che si mescolano a quelle castane. Lui sorride, emozionandosi, ricordando flash della sua precedente vita quando vedeva sua moglie cullare nello stesso modo sua figlia.
"La mamma è qui, piccolina... brava, così si fa… se adesso fai la brava, poi torno più tardi e ti faccio compagnia, okay?"
Fa un passo indietro, allontanandosi e chiudendo delicatamente la porta per evitare di far rumore.
Teresa depone Hope nella culla. Si è addormentata con un dito in bocca. Lei scuote la testa pensando a quante volte le aveva detto di non fare così prima di addormentarsi altrimenti si ritrovava con il dito mezzo mozzo.
Attraversa il corridoio raggiungendo il salone principale e dà un’occhiata all’orario. "Allora, Jane, possiamo discutere sulla tua sistemaz--- Jane?"

Solo la voce della donna copre il vuoto lasciato dalla presenza dell’ex collega.



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Mi scuso per il ritardo ma mi si era rotto il pc, ho dovuto formattarlo e ho perso tutto! T___T ero nella disperazione totale. Poi si sono accavallati gli impegni, che solo ora sto recuperando, quindi una cosa tira l'altra ed ecco che il capitolo è saltato di una settimana XD
Comunque, c'è poco da dire u.u
La brevità del capitolo è dovuta al fatto che volevo concentrarlo sull'incontro tra Teresa e Patrick, senza altre interruzioni... :)
Non trovate che Teresa stia troppo bene nella parte della mamma? *_*
Alla prossima :D
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cap. 4 ***




Cap. 4

 

La camminata del suo ex collega è rimasta la stessa. Impeccabile nel suo completo scuro con giacca e cravatta, mentre si stringe la giacca, forse per nascondere il distintivo da agente dell’FBI, gli bastano pochi passi perché il coreano veda la donna. Si guarda intorno circospetto e si avvicina al suo tavolo di un bar all’aperto. Un grazioso bar nelle vicinanze di un parco.
Teresa abbassa la testa sorridendo. I suoi modi di fare non sono cambiati di una virgola.
“Boss.”
Lei continua a sorridere e gli indica di sedersi. “Non sono più il tuo boss, Cho.”
Mentre si accomoda, gli rivolge uno sguardo un po’ triste, pensando di voler aggiungere che il non chiamarla più ‘boss’ è tremendamente triste.
Teresa resta con le mani in mano, giocherellando, indecisa se tenerle unite oppure lasciarle libere sulla superficie liscia del tavolino color canapa.
“Allora, hai notizie di Rigsby e Van Pelt?”
Cho prende un gran respiro, capendo che il suo ex capo voglia guadagnare del tempo e rompere il ghiaccio prima di affrontare l’argomento accennato per telefono.
“Sì, so che stanno gestendo un’agenzia investigativa per conto loro a New York. E hanno due figli.”
“Due figli? Cavolo, si sono dati da fare.” Sorride lei, nascondendo una nota di malinconia. “Avrei tanto voluto vederli o almeno passare a salutarli, ma sono stata parecchio impegnata. E mi dispiace.”
“Troverai il tempo.”
“Sì, tanto questa città è così noiosa che il caso più importante è quello di un venditore di sigarette derubato da un uomo mascherato da Iron Man.” Dice lei con evidente ironia, riuscendo a strappare un sincero sorriso al sempre Ice Man Kimball Cho.
“Sono qui per un altro motivo, vero Lisbon?”
Lei si blocca, sentendo anche il respiro diventare affannoso. Deglutisce a fatica, mentre abbassa lo sguardo. Sa che è arrivato il momento di affrontare la cosa. Non può rimandare.
Kimball la guarda con le mani congiunte, attendendo una risposta, come un vero agente federale. Teresa quasi si sorprende dell’impostazione statuaria che ha assunto.
“Jane è venuto a trovarmi ieri sera”, inizia a dire tutto d’un fiato. Poi alza gli occhi lentamente, tanto per controllare l’espressione che ha assunto l’amico.
A Cho esce fuori soltanto un “umm umm” e invita la donna a continuare con un accenno del capo.
“Mi ha detto che l’FBI lo sta incastrando per questo spaccio di droga di cui lo accusano le forze dell’ordine. Secondo lui, non è andato molto a genio l’aver ucciso Red John tutto da solo, dato che la polizia era sulle tracce del serial killer da quasi vent’anni, e Jane è arrivato prima di loro.” Vedendo che Cho non fa una mossa, Teresa decide di continuare, “Mi ha chiesto aiuto, pregandomi di nasconderlo... ma io non posso farlo, Cho.”
L’ultima frase è come una richiesta. Ma cosa sta cercando? Un consiglio? Un supporto? Aiuto?
“Intanto posso cominciare a tracciare la banca dati federale e vedere tutte le accuse contro Jane. Almeno sappiamo per quali reati è ricercato.”
D’istinto, forse femminile o materno, la donna si alza, commossa, e abbraccia il suo ex agente.
“Grazie, grazie!”
Cho si sente ingolfato, aguzza l’occhio ai bordi della sedia temendo di cadere per lo stato d’eccitazione di Teresa. Ma non può evitare di ricambiare l’abbraccio dandole alcune pacche sulla spalla. Se può fare qualcosa per aiutare un amico, Cho è sempre in prima linea pronto a farsi in quattro.
La donna rilascia l’abbraccio, un po’ imbarazzata non essendo abituata agli affetti calorosi soprattutto in pubblico. Asciuga gli occhi sentendosi le lacrime di felicità venire giù.
Cho lascia la sua postazione, si dà una sistemata alla giacca e si schiarisce la voce. In cuor suo si trattiene, non può tradire la sua immagine di uomo di ghiaccio.
“Però dì a Jane non mettersi nei guai mentre faccio questi controlli.”
Teresa fa cenno di assenso con la testa.
“So che ti sto chiedendo l’impossibile e se questa cosa dovesse riflettersi sulla tua carriera...”
“Lo faccio solo per te e per la nostra amicizia.” Risponde ferreo. Anche lui come Rigsby e Van Pelt ricordano la faccia di Lisbon il giorno dopo che Jane se ne era andato. Era a pezzi fisicamente e mentalmente.
Sono sempre stati protettivi nei suoi confronti, e intendono mantenere quella posizione.
“Certo.”
Cho saluta con un cenno della mano e poi si allontana per raggiungere un macchinone blu, parcheggiato poco distante dall’entrata del parco. Teresa inarca un sopracciglio sorpresa. All’FBI le persone sono trattate veramente bene.
 
Quando torna tra le sue scartoffie in ufficio, l’agente mora scopre di aver trascurato un bel po’ di lavoro. Sbuffa mentre cerca di far ordine sulla sua scrivania.
“Guarda chi è tornata in centrale...”
Teresa guarda Parker che fa capolino aiutandola a sistemare dei fogli volanti. Lei sorride nervosamente, poi gli strappa quei pezzi di carta di mano, come se volesse riappropriarsi del proprio territorio.
“Non dici nulla?” fa il suo collega, poi le si avvicina per guardarla meglio “Samantha è quasi impazzita quando ieri te ne sei andata dalla centrale...”
Teresa scoppia a ridere, trattenendosi per non esagerare. Per fortuna c’è il suo partner a farla sorridere quando ne ha bisogno. Parker capisce di aver fatto un buon lavoro e le fa l’occhiolino come per mantenere un segreto. Lei resta sulle sue, continuando a sorridere mentre si immagina il suo capo che cammina avanti e indietro per la centrale di polizia cercando di rintracciarla. Samantha Dougherty non saprebbe cosa fare senza la sua miglior poliziotta della città.
Senza pensarci due volte, Parker allunga la mano cercando quella della collega. Si sente abbastanza sicuro di quel che sta facendo. Altrettanto non si può dire di Teresa, che per qualche motivo non riesce a liberarsi dalla presa.
“Se non puoi confidarti con me su quello che ti succede, almeno permettimi di strapparti un sorriso su quel viso.”
La donna arrosisce lievemente. E ce ne vuole per farla arrossire.
“Sei carino. Grazie, Parker.” Lo saluta con un bacio sulla guancia e gli fa capire che vorrebbe stare da sola a sistemare le sue cose.
Teresa non sa che nello stomaco del suo collega ci sono solo farfalle a far rumore. E se non ci fossero tutte quelle persone, di sicuro lui l’avrebbe presa per un braccio e l’avrebbe baciata.
Forse perché sogna di farlo da tempo ormai, forse da quando lei ha messo piede in quella centrale di Santa Cruz.
Sfortuna per lui, Teresa ha altro a cui pensare al momento, tra cui il problema di nascondere un ricercato dell’FBI, incastrato dalla suddetta agenzia federale, nonché suo ex partner.
 
Dopo una giornata passata a riordinare la sua scrivania e ad organizzare la settimana seguente, Teresa non ha il tempo per pensare alla sua vita privata. Ma quando vede Hope felice e contenta che muove i primi passi da qualche mese, improvvisamente le viene in mente di crearsi un’agenda per passare più tempo con lei.
Potremmo fare una passeggiata nel parco, ti potrei portare a giocare con i figli di Grace e Wayne...
Ma poi mi chiederebbero spiegazioni riguardo tuo padre, e io non posso. Non ancora.
I suoi sogni ad occhi aperti si spezzano quando realizza che l’ultima opzione potrebbe non realizzarsi.
La piccola allunga le braccia in avanti, pronta per tuffarsi tra le sue braccia e nel farlo sorride mentre cammina di prepotenza per raggiungere la mamma.
Uno, due, tre passi che sembrano infiniti, e finalmente giunge al traguardo. Teresa la stringe cullandola. Le accarezza la fronte, poi i capelli e vede spuntare altri nuovi ciuffi. Quando è successo?
Si rende conto di aver perso dei momenti della vita di sua figlia che vuole assolutamente recuperare. La prende in braccio e insieme a lei decide di accendere la televisione per una serata tranquilla. Sally se ne è andata via presto perché aveva un colloquio, quindi è toccato a lei preparare la cena e pulire la cucina.
A volte vorrebbe azzerrare tutto e ricominciare da capo. Solo lei e Hope. Senza la polizia, la legge e soprattutto Patrick Jane.
Sospira mentre si diverte a creare mini acconciature ai capelli di sua figlia, aiutandosi con le mani.
“Mica sono in ritardo per la cena?”
Di botto, Teresa spegne la tv, allontana Hope e afferra la pistola puntandola contro la persona che si è presentata nel suo appartamento.
Quando riconosce quella figura che ha le braccia alzate e l’aspetto di un senzatetto, la donna sbuffa pesantemente avendo tutto il desiderio di prenderlo a calci.
“Sta diventando un’abitudine la tua. Puoi… abbassare quell’affare?” fa’ lui, indicandole la pistola nel modo più normale possibile.
Lei si ricorda che c’è anche Hope sul divano, che sembra alquanto divertita dalla scenetta, quindi abbassa la pistola.
“Jane... mi hai fatto prendere un colpo.”
“Scusa, la porta era aperta e sono entrato.”
Si sfrega le mani, sorpassando Teresa, poi sorride notando Hope in posizione indiana, con gambe incrociate e braccia impegnate a capire cosa sia quel telecomando che stringe tra le mani.
“Come sta questa piccola peste? Posso prenderla in braccio?”
“No, che non puoi.”
Teresa si mette sulla difensiva tra lui e sua figlia. Tiene il broncio e questa mossa spaventa Patrick che fa un passo indietro. Scuote la testa, rivolgendo un ultimo sguardo alla piccola.
“Sbaglio o non vuoi che veda tua figlia? Hai paura che la porti sulla cattiva strada?”
L’agente mora ride sarcasticamente.
“Che sei venuto a fare qui, Jane?”
“Dovevamo discutere sulla mia situazione. Vedi, ho cercato un posto dove andare ma non ho trovato niente di meglio da fare e Cho mi ha consigliato che stare da te sarebbe stata la cosa giusta...”
“Hai parlato con Cho?? Come e quando è avvenuto questo?”
“Oh, credo dopo la vostra chiacchierata di stamattina.”
Improvvisamente il pensiero che lui possa averla seguita le balza alla mente.
“Mi hai seguita?”
Lui alza le spalle e risponde semplicemente, “Devo pur far qualcosa durante il giorno. A proposito, hai da mangiare? Sto morendo di fame!”
Teresa sta per rispondergli, ma sta ancora metabolizzando il suo ultimo pensiero. Poi, scrolla la testa come per togliersi di dosso un peso e gli indica la cucina.
“Degli avanzi, lì, sul lavandino.”
Patrick la ringrazia con un’alzata di mano e si dirige ad ispezionare cosa è rimasto da mangiare. Teresa invece si volta verso Hope, le sussurra qualcosa dandole una carezza e la mette nel box dei giochi che ha nel salone.
“E poi Cho mi ha detto di stare lontano dai guai, e se sto con te allora sono al sicuro.”
Sente la voce del suo ex consulente a pochi passi da lei. Si volta, sorpresa e lo vedo con in mano un pezzo di pane con prosciutto, e nell’altra una bottiglietta d’acqua. Ha proprio l’aria di uno che ha perso tutto e non sa più dove andare. Teresa accenna un sorriso e ripensa alle parole di Cho.
“Però dì a Jane non mettersi nei guai mentre faccio questi controlli.”
“Metti giù quegli avanzi. Ti preparo qualcosa di caldo.”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Chiedo venia per il ritardo ma ho iniziato a lavorare e il tempo a mia disposizione si è ridotto drasticamente.
Ritorna Cho, che non perde mai il suo stile freddo, ma emozionato se può aiutare il suo ex capo Lisbon.
Intanto Lisbon ha le attenzioni di Parker in ufficio... eh almeno nelle fanfic, lasciate che lei riceva attenzioni da uomini, che cavolo! Mica deve essere sempre Jane quello circondato da donne u.u
E parli del diavolo, ecco che si presenta a casa di Teresa per mangiare e tentare di vedere Hope... Non c'è verso che riesca a prenderla in braccio! Chissà perché! ;)
Grazie per aver letto e recensito, mi fa sempre piacere *-*
D.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cap. 5 ***




Cap. 5

 

Si sveglia di buon mattino recandosi prima in bagno per lavarsi, vestirsi e poi in cucina per far colazione. C’è qualcosa di diverso, però, nel suo piccolo focolare domestico.
La figura di un uomo coperto solo da un lenzuolo scuro si muove lentamente da sopra al divano. Lei lo osserva con una tazza di caffè in mano. Cerca di alzare la testa, si strofina gli occhi per abituarsi alla luce diretta del sole sul divano, poi fa un gran sbadiglio. Sorride appena riconosce l’altra persona presente nella stanza, che l’accoglie con un gran sorriso porgendogli una tazza di thé.
“Buongiorno...” fa lei dolcemente, appena si china su di lui, quasi come sussurrando.
“’Giorno...” lui invece risponde a malapena, probabilmente ancora immerso nel mondo dei sogni.
“Hai dormito bene?”
“Sì, e ho avuto anche un bel risveglio.”
Restano per un po’ mantenendo il contatto visivo, poi Teresa si ritrae, svegliandosi da quel momento idilliaco. E’ in quel preciso istante che si ricorda che è ancora mezza arrabbiata con lui.
“Io devo andare al lavoro...” dice giocando con la tazza vuota tra le mani.
Jane la osserva e dal movimento nervoso delle sue dita che scivolano sul materiale della tazza intuisce che sta cercando di tagliare la corda e di mantenersi ancora distante. Per quanto i suoi movimenti e i suoi occhi dicano altro, l’attrazione e il desiderio che lei ha sempre provato verso di lui è rimasta lì, anche dopo due anni.
“Ma certo... io posso restare qui ad aiutarti... con tua figlia...” deglutisce come se le parole gli uscissero a sforzo.
“E con Sally? Come la mettiamo?”
“Lei può fare le normali pulizie di casa. Io sarò una specie di baby sitter, se vuoi.” Dice quelle parole divertito e poi aggiunge “Sai che con i bambini ci so fare.”
Teresa sa che questo è perfettamente vero. Forse la sua paura è però un’altra. Fa spallucce.
“Ok, va bene.”
Qualche ora dopo, Sally è già sulla porta di casa tutta eccitata per il suo colloquio andato bene e confida a Teresa che le dispiacerà comunque abbondonare il suo posto di lavoro.
“Non vedere più Hope diventerebbe una tortura per chiunque.”
“Già, soprattutto quando ti guarda con quei grandi occhi verdi.”
Entrambe rivolgono lo sguardo a Patrick che ha appena cambiato il pannolino della bimba, la quale felice si diverte alzando gambe e braccia in segno di vittoria.
“Però vedo che si trova in ottime mani con il tuo amico.” Le sussurra Sally avvicinandosi alla donna.
Teresa annuisce e lascia l’appartamento accompagnando la ragazza al suo nuovo lavoro, mentre lei si reca in centrale piena di dubbi e incertezze.
 
“Non devi più svanire in questo modo senza avvertire, io entro nel panico! Pensavo ti fosse accaduto qualcosa!”
Samanatha sta letteralmente stringendo Teresa fin troppo, rendendo il suo respiro debole. Dall’altro lato della stanza, Daniel Parker è appoggiato alla porta ridendosela sotto i baffi, mentre la donna chiede aiuto con il labiale al suo collega troppo divertito dalla scenetta.
Teresa mima un soffocamento e solo allora il suo capo molla la presa e si allontana da lei ponendole le mani sulle spalle. Il suo viso è visibilmente scosso, ma preoccupato.
“Va tutto bene, capo. Ho avuto qualche problema con Hope, ma è tutto risolto, davvero.”
“E’ malata? Vuoi prenderti qualche giorno di riposo?”
“No, ho dovuto solo cambiare baby sitter, ecco tutto...”
Ovviamente mente perché non può di certo rivelarle che sta nascondendo un ricercato dall’FBI su scala internazionale. Le risate di Parker in sottofondo camuffano la conversazione, e Teresa deve lanciargli un’occhiata per farlo stare zitto.
“Oh quel piccolo batuffolo... mi piacerebbe tanto vederla qui in centrale!”
“No, no pessima idea! Ha solo un anno, capo, non mi sembra il caso...”
Teresa ripercorre nella mente quella volta che le toccò fare da baby sitter ai figli del suo ex capo Hightower a Sacramento. Costretta a restare all’amato CBI per colpa di una storta, fece giocare i due bambini con della carta  e loro si divertirono a strapparla e lanciarla in aria per tutto il giorno. Un distretto di polizia non è decisamente il posto adatto per un bambino.
“Torno sul mio caso.” Taglia corto e lascia che Parker le apra la porta dell’ufficio per recarsi alla sua postazione.
Scuote la testa quando vede le solite scartoffie giornaliere. Lui prende una sedia e si siede davanti a lei.
“La Dougherty è proprio innamorata di te. Non riesce a stare un giorno senza vederti!”
“Sì, certo come no. Neanche fossi Miss America!”
Daniel fa una smorfia che fa intendere altro, ma Teresa non coglie il senso. Poi si sofferma a guarda il volto di Jane che compare sul fascicolo.
“Hai scoperto qualcosa su questo tizio? Ha proprio l’aria da drogato.”
Come a voler proteggere il suo ex partner, la donna nasconde la sua fotografia poggiandoci sopra la graffetta per i fogli.
“Non ha l’aria da drogato.”
“Vero, scusa... era pur sempre il tuo ex collega. Quanti anni avete lavorato insieme?”
“Dieci.”
“E come hai fatto a sopportarlo tutto questo tempo?”
“Chiudeva i casi.”
“Tutto qui?”
Teresa sbuffa e taglia corto.
“Senti, non ho voglia di parlare di lui, ti spiace?”
Lui alza le mani in segno di resa, le rivolge un debole sorriso volendola coinvolgere nel suo gioco, ma cambia espressione quando vede che Teresa non ha voglia di divertirsi.
“Ok, se hai bisogno, sai dove trovarmi.”
Daniel va a sedersi nella sua scrivania, a circa tre, quattro postazioni dopo la sua, quasi sconsolato. Improvvisamente Teresa sente un groppo alla gola. Forse ha esagerato con la sua reazione. Mentalmente maledice Patrick Jane e il giorno in cui ha deciso di assumerlo.
Il display sul suo cellulare s’illumina e il nome di Kimball Cho risalta prepotentemente. Apre la conversazione nel modo più normale possibile, sperando che lui abbia già trovato qualcosa sui fascicoli dell’FBI.
“Ehi, Lisbon.”
“Cho. Novità?”
“Qualcuna. Sei da sola?”
Lei si guarda intorno. Non è da sola, ma in centrale sembrano impegnati a fare altro, quindi l’ambiente è piuttosto tranquillo.
“Dimmi tutto.”
Cho ha davanti a sé dei fascicoli blu con scritto RISERVATO in grassetto. Si alza dalla sua ampia e illuminata stanza per chiudere la porta del suo ufficio ultra lusso dell’FBI.
Prende un gran respiro e si schiarisce la gola prima di formulare la frase.
“Jane potrebbe aver ragione.”
Dall’altro capo del telefono, Teresa emette un sospiro di sollievo. Quando il suo ex consulente non è nei guai con la giustizia è un ottimo segno.
“C’è qualcosa che non quadra in questi fascicoli dell’FBI risalenti al novembre 2013. Qui dice che Jane ha deliberatamente fatto strage di innocenti in una cappella e poi ha inseguito come un malato di mente un uomo e l’ha ucciso, convinto che quest’ultimo fosse Red John.”
“Ma non è vero. Quell’uomo era veramente...” si avvicina al suo telefono convinta di evitare di parlare piano, ma poi capisce che la cosa migliore è alzarsi e recarsi in una stanza isolata composta solo da vecchi armadi e qualche sedia.
“Lo so, Lisbon. Il problema è che l’FBI non ha trovato documenti sul corpo del nostro uomo, quindi è stato facilmente mascherato come un innocente civile. Per questo Jane è accusabile.”
Di risposta, Teresa tira un calcio ad una sedia impolverata davanti a sé.
“C’è dell’altro. Riguarda le accuse di spaccio di droga.” Cho chiude il fascicolo blu e lo allontana prendendo la sua agenda da dentro il taschino della giacca nera. “Ho parlato con un certo Diego Esposito, un trafficante della Costa Rica, adesso sotto la protezione testimoni perché ha aiutato l’FBI in alcune soffiate. Lui mi ha detto che è probabile che altre persone come lui siano stati mandati sotto copertura in Venezuela, proprio dove si trovava Jane per incastrarlo. Potrebbero essersi finti veri trafficanti, Jane potrebbe aver avuto voglia di smascherarli e così, per sbaglio, si è beccato la droga al posto loro.”
Teresa ascolta pensierosa. Sono troppe informazioni da assimilare con calma.
“Tuttavia sono delle supposizioni, Cho. Devo incontrare questo Esposito.”
“Ti accompagno io, però.” Quando non sente dire nient’altro come risposta, il coreano insiste. “E’ sotto protezione nell’FBI. Devo inventarmi una scusa perché tu lo incontri. Non posso mica dire che un agente di Santa Cruz improvvisamente si è interessata a un traffico di droga.”
Teresa china la testa e scalcia alcuni pezzi di carta a terra.
“Sì, buona idea.”
Soprattutto perché sa che a Santa Cruz non succede mai nulla di esaltante. Figuriamoci un affare di droga.
“Prima di lasciarti, ho un’ultima cosa da chiederti. Temo che dovrai nascondere Jane a casa tua almeno per un po’.”
La donna respira profondamente, sapendo che è inevitabile una simile richiesta. Mugola qualcosa prima di accettare.
“D’accordo. Tanto si è già appropriato del divano di casa mia.” Fa lei con una voce mezza scocciata.
Cho che la conosce bene abozza un sorriso, quasi felice che i rapporti tra i due siano tornati come quelli di qualche anno fa.
 
Sulla strada verso casa, Teresa ha mentalmente pensato qualsiasi scenario su come introdurre la conversazione di lei e Kimball al suo ex consulente. Quando raggiunge le chiavi di casa, situate sul fondo della borsa, le afferra tremolante, per poi aprire delicatamente la porta, quasi avesse paura dello scenario da film dell’orrore all’interno.
Invece, con sua sorpresa, trova la tavola imbandita con primo, secondo e contorno, Patrick è addormentato sul divano in posizione supina, tenendo un braccio dietro la testa come rinforzo, mentre Hope è nel suo box a riposare. Sorride commossa dallo scenario che ha di fronte perché mai in vita sua avrebbe pensato ad una simile meraviglia.
L’idea di una famiglia felice le era sfiorata la mente spesso ultimamente. Forse perché non voleva che sua figlia crescesse senza un padre come, in un certo senso, le era accaduto a lei. Un padre ubriaco, sua madre morta, e lei con il peso del mondo sulle spalle costretta a diventare grande per i suoi fratelli. Era approdata nel mondo degli adulti troppo presto.
Appoggia la borsa e la giacca sulla sedia del tavolo e si siede per osservare cosa lui le ha preparato. Uova strapazzate con pancetta, verdura tagliata minuziosamente e anche il dessert. Dopo aver fatto i dovuti assaggi, inizia a inforchettare quel ben di Dio che ha davanti a sé. Lo squillo del cellulare disturba la quiete e lei si affretta a raggiungerlo prima che possa svegliare le altre due persone dell’appartamento.
“Parker? Successo qualcosa?” chiede al suo collega al telefono con voce contenuta.
Dal divano, Patrick inizia a mormorare qualcosa, lamentandosi forse per il casino che sta sentendo. Teresa gli lancia un’occhiata, quindi si alza e si mette di spalle guardando fuori la finestrella del lavandino.
“No, volevo solo chiederti scusa per oggi. Sono stato inopportuno. Non so cosa sia successo tra te e questo Patrick Jane, ma deve averti lasciato un bel segno...”
La donna abbassa lo sguardo, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
L’ex consulente ha aperto gli occhi, incuriosito dallo strano silenzio che improvvisamente è sceso nella stanza.
“In realtà sono io quella che dovrebbe scusarsi.” Inizia lei con un po’ di imbarazzo, “Sono stata scortese cacciandoti via. È solo che... questo caso mi innervosisce. E tu cercavi solo di essere carino con me.”
Adesso Patrick è nettamente sveglio e ha appizzato le orecchie. Sa che probabilmente è scortese origliare le persone al telefono, ma lui si trovava lì prima ancora che lei entrasse. Quindi in un certo senso è già giustificato.
“Come possiamo rimediare? Uhm che ne dici di un invito a cena, Teresa?”
“Sto già mangiando a dire il vero, ma va bene per domani... Daniel.”
Appena sente il nome, Patrick si alza di scatto dal divano sbattendo più volte le palpebre degli occhi. Sogna o è desto?
Teresa chiude la conversazione e resta con il cellulare in mano. La sua mente si riempe di strani pensieri, primo fra tutti si chiede se ha fatto bene ad accettare un invito a cena. Daniel è carino, è premuroso, ma non è chi vuole lei...
“Daniel? Non sapevo avessi un fidanzato...”
La voce maliziosa la fa voltare per lo spavento. Indispettita, nasconde il cellulare e lo guarda storto.
“E’ solo un collega.”
Lui alza le spalle, causandole una reazione di sfida.
“Ma insomma, cosa vuoi da me, Jane? Sei stato via per due anni, e ora pretendi che ti dia delle spiegazioni? In caso non lo avessi notato, la mia vita è andata avanti.”
Divertito, Patrick si mette in punta di piedi e con un cenno del capo indica Hope che dorme nel box tenendosi un dito in bocca.
“Quella bella bimba lì ne è la prova, quindi ti credo.”
“Bene.” Fa lei risoluta, tenendo la testa alzata. Guarda la tavola. Ancora intatta, con il cibo che inizia a raffreddarsi.
“Comunque, grazie per la cena.”
“Figurati.” Le dice sorridendo.
Teresa riprende la forchetta in mano e ricomincia ad addentare ciò che aveva lasciato. Le papille gustative si mettono in funzione. È davvero una cena da Dio.
“Non fare complimenti, continua pure. Io resto qui a guardarti.”
Teresa alza lo sguardo mentre lo vede avvicinarsi e sedersi davanti a lei. Non vuole dargli nessuna soddisfazione, così continua a prendere pezzi di uova strapazzate come se lui non ci fosse. Il fatto è che lui è lì davanti a lei e la guarda divertito, con le braccia incrociate sul tavolo.
“Hai ragione, per due anni non ci siamo visti né sentiti. Ma sono diventato piuttosto bravo a cucinare.” Le dice quasi rispondendo alla sua domanda.
Impassibile, Teresa continua a mangiare. Adesso passa all’insalata.
“Mi dispiace averti lasciato così, ti ho ferito e me ne rendo conto. Tu non hai idea di ciò che significhi per me.”
La donna lo guarda restando con la forchetta vicino alla bocca mezza spalancata.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cap. 6 ***




Cap. 6

 

“Tu non hai idea di ciò che significhi per me.”
Lascia quelle parole così, gettate durante un silenzio che sembra eterno, forse incapace di coprire la distanza temporale che c’è stata tra loro nel corso di quei due anni.
Abbassa la forchetta lentamente, mantenendo il contatto visivo con l’uomo davanti a lei. Quando si è accertata che la posata ha toccato il bordo del piatto facendo un tintinnio quasi metallico, deglutisce a fatica, nascondendo le mani sotto il tavolo.
“Non puoi dirmi queste cose,” scuote la testa “Non è giusto.”
“Mi dispiace” dice lui tentando di raggiungere la sua mano, che però sfugge a quel contatto, provocando una reazione troppo esagerata al suo corpo. Si alza di scatto, facendo cadere la sedia e stringe le mani a mo’ di pugno.
“Tu mi dici queste cose solo perché mi hai sentita parlare al telefono con un altro uomo. E hai paura di perdermi! Invece non devi dirmi niente. Sei stato fuori dalla mia vita per due lunghi anni, e io non ho saputo più niente di te.”
Si alza per raggiungerla e le tende la mano per tranquillizzarla. Meccanicamente, Teresa si ritrae per l’ennesima volta e gira la testa dall’altra parte.
“Hai ragione. Ma neanche io ho saputo più niente di te. Cos’hai fatto in questi due anni? Ti sei trasferita a Santa Cruz? Esci con qualcuno? Come è nata Hope?”
Torna a guardarlo e sul suo viso non vede nient’altro che sincerità. La mano è ancora tesa verso di lei.
Teresa si morde il labbro, mostra i palmi delle mani per dimostrarsi aperta alla discussione. Incerta, apre e chiude la bocca più volte, quasi volesse guadagnare del tempo.
“Quando te ne sei andato, quella mattina, ero sconvolta,” inizia, toccandosi una ad una le dita delle mani, “ho fatto l’errore stupido di andare in un bar, conoscere un tizio, passarci la notte, e qualche giorno dopo... ero incinta.”
Patrick fa un verso di stupore, da una parte sorpreso che abbia introdotto il discorso del ‘mattino dopo’, dall’altra sorpreso dalle conseguenze del suo gesto. La osserva con occhio indagatore, poi il silenzio si impadronisce della stanza. Si sente solo Hope che si rigira nel box dei giocattoli e colpisce un pupazzetto del cartone di Toy Story.
“E riguardo Parker...” l’attenzione torna a fossilizzarsi sul suo ex consulente, “è solo un collega, non c’è niente tra noi.” Gli dice infine quasi per rassicurarlo.
Lui fa un sorrisetto per stare al gioco e scuote la testa toccandosi i capelli.
“Non mi devi spiegazioni, io voglio... voglio solo darti una mano con tua figlia, voglio... voglio essere parte della tua vita. Mi basta questo.”
Teresa si morde il labbro inferiore trattenendo quelle lacrime di gioia che sente formarsi davanti agli occhi. E poi, un gesto spontaneo e si lancia per gettargli le braccia al collo. Lui sorride, è felice, e la stringe più forte a sé per sentire il calore del suo corpo accanto al proprio, una sensazione che le era mancato da due lunghissimi anni. Le accarezza i capelli e si prende del tempo per sentirne l’odore. C’è lo stesso profumo dello shampoo alle fragole che lei ha sempre adorato.
Quando si allontanano l’uno dall’altra lo fanno pian piano, quasi volendo tenere impresso quel momento, perché ogni abbraccio, per loro, vale più di mille parole. Teresa lancia uno sguardo a Hope. La piccola sta dormendo beatamente come se non avesse fatto altro in vita sua. Abbozza un sorriso.
“Ci sai fare con lei.” Gli dice senza guardarlo.
“Modestamente ho una certa esperienza.”
La donna si volta verso di lui con un’espressione pallida in volto. Improvvisamente si rende conto della gaffe che ha appena fatto.
“Scusami, io non ho pensato---“
“Tranquilla, è tutto apposto. Sono passati più di dieci anni.” Patrick sospira, ma serenamente. Sente di poter parlare con naturalezza di sua moglie e di sua figlia. È come se dopo aver ucciso Red John, avesse raggiunto quel livello di accettazione nei sei stadi del cordoglio, accettando così la loro morte e vivendo in pace.
Teresa fa dei cenni col capo, poi spalanca la bocca ricordandosi di qualcosa di importante.
“Ho parlato con Cho, riguardo la tua situazione!” esordisce cambiando argomento, e raggiunge la sua borsa per tirar fuori degli appunti che aveva preso dopo la conversazione con il suo ex collega del CBI.
“Lui pensa che tu possa aver ragione! Potrebbero davvero averti incastrato! E se fosse così, sarebbe uno scandalo per l’FBI!”
Nel mostrargli i suoi appunti, entrambi si siedono intorno al tavolo. Patrick alza semplicemente le spalle.
“Per forza ho ragione. Sono Patrick Jane, non sbaglio mai!”
La donna gli sorride. La modestia e l’ottimismo non gli mancano mai.
Passano le ore parlando del caso, finché Teresa non esprime la sua volontà di andare a trovare Diego Esposito al quartier generale dell’FBI.
“Se vai tu, voglio venire anche io.”
“E così l’FBI ti prende e ti sbatte dentro senza neanche farti un processo. Non se ne parla.” Lo zittisce.
“Okay, non dico più niente, hai ragione! Quindi suppongo che mentre tu domani andrai nella tana del leone, io dovrò badare a questa simpatica canaglia...” scherza mentre indica Hope con un gesto del capo. “Credo si stia abituando alla mia presenza...” dice tornando a posare lo sguardo sulla mora seduta accanto a lui.
Teresa non capisce se stia dicendo sul serio o stia alludendo ad altro. Ha un groppo alla gola mentre metabolizza la sua ultima frase.
“Che vuoi dire?”
“Beh prima di tutto abbiamo qualcosa in comune. A entrambi piace dormire sul divano.”
La donna ride nervosamente, sentendo il sudore sulla fronte e il cuore battere più veloce.
“Poi mentre la facevo addormentare, ho visto che si mette il dito in bocca... so che è una cosa comune a tutti i bambini, ma per lei è una cosa automatica. Lo fa spesso. E se la memoria non mi inganna, cosa che non accade mai perché ho il mio palazzo della memoria, è la stessa identica cosa che facevo io da bambino. E hai notato quei ciuffi biondi sulla testolina?”
“Adesso basta, si è fatto tardi e domani ho la sveglia presto,” lo ammonisce sistemando le carte e affrettandosi a chiudere il discorso.
Patrick alza le mani in segno di resa e le dà la buonanotte rintanandosi sul divano. Una cara e vecchia abitudine.
La donna resta a guardarlo per un attimo. Il groppo in gola è rimasto lì persistente. Anche le mani hanno iniziato a sudare. Si reca in bagno, sistema l’accappatoio e decide di farsi una bella doccia prima di andare a letto.
 
Le ci è voluto del tempo per evitare la Dougherty e convincere il suo capo che il caso di Jane è sotto il suo controllo, preoccupandosi di evitare che la donna sbirciasse nel suo fascicolo. Poi è come scappata dalla centrale con la borsa a tracolla e gli appunti alla mano, neanche fosse una studentessa in ritardo alla sua prima lezione.
Quando Teresa incontra Kimball Cho, il coreano la aspetta dentro il suo macchinone, stavolta un Audi R8 blu scuro, al parcheggio di un supermercato al centro di Santa Cruz.
“Se questa è la paga all’FBI, quasi quasi mi convinco a far domanda.” Fa lei appena entra in macchina.
Il coreano semplicemente annuisce e mentre si mette la cintura, sorride lievemente alla battuta della mora.
Il navigatore è impostato a un indirizzo che lei non ha mai sentito, e quando imboccano l’autostrada, lei deduce che stanno andando fuori dalla sua giurisdizione, verso Monterey. Il viaggio in auto dura circa 4 ore, e all’arrivo nella città designata, Cho non ha problemi a trovare l’indirizzo dell’abitazione di Diego Esposito.
“Quando saremo faccia a faccia con lui, lascia parlare me.” Composto nella sua divisa nera con camicia bianca, Cho anticipa la sua ex collega, poiché conoscendola, non saprebbe comporre una mezza bugia.
Dopo aver suonato il campanello di casa Esposito, una vecchia casa che sembra arroccata tanto per, in quel quartiere che ricorda molto il Bronx, un uomo alto e robusto compare alla porta. Ha sulla quarantina d’anni e indossa un paio di jeans strappati, una canotta sporca bianca con due grossi tatuaggi sulle braccia muscolose e un altro si intravede sulla sua testa senza capelli.
Teresa balza all’indietro, intimorita dalla figura davanti a sé. Cho resta impassibile.
“Hola Diego.”
L’uomo in un primo momento non sembra riconoscere il coreano, poi lancia un’occhiata a Teresa squadrandola da testa a piedi, e infine alza la testa.
“Kimball Cho. Ne è passato di tempo. Entrate.”
L’appartamento di Diego Esposito è tanto orrendo quanto l’esterno della sua abitazione. Giornali buttati a terra, siringhe posate sul davanzale del vecchio camino, e qualche bustina di marijuana lasciata lì su un divano mezzo rotto, come se niente fosse. Teresa non riesce a trattenersi.
“Scusami ma qualcuno potrebbe arrestarti se vedesse casa tua...”
L’uomo robusto fa delle smorfie sbuffando ma Cho lo interrompe afferrandolo per il braccio.
“Amico, sono qui per farti delle domande. Adesso siediti e stai a sentire.”
“Chi è la tua amica?”
“Teresa Lisbon. Lavora per la polizia di Santa Cruz.”
Non lo avesse mai detto che Diego si alza di scatto prendendo tra le mani la prima cosa appuntita che gli capita sott’occhio e la punta contro la donna. Cho in risposta tira fuori la pistola e gliela mette vicino la tempia.
“Getta subito quell’affare a terra, non siamo qui per uno spargimento di sangue.”
Le acqua si calmano. Intimorito dal freddo metallo della pistola al contatto con la sua vena pulsante, Diego abbassa l’arma e si affloscia sul divano, facendosi spazio tra coperte e bustine di droga.
Kim e Teresa si lanciano delle occhiate e si accomodano intorno all’uomo.
“Diego, non sono qui per arrestarti, tranquillo. Sono qui per farti delle domande. Sei l’unico che può aiutare un mio amico.”
Il coreano e il trafficante di droga sono stupiti dal tono cordiali con cui Teresa esordisce. L’agente mora ha capito che solo parlando in maniera informale può ottenere delle informazioni.
“So che mi aiuterai perché hai aiutato l’FBI a smascherare poliziotti corrotti, e so che il motivo per cui lo fai è la droga. Ci guadagni qualche kilo di marijuana e di coca in cambio di informazioni. E il gioco è fatto.”
Segue qualche secondo di silenzio, dopo di che Diego guarda prima il coreano e poi Teresa e si lascia andare in una sonora risata.
“Sta scherzando, vero? Questa donna non sta dicendo sul serio?” chiede ridendo in direzione di Kimball, che non si pronuncia, anzi, si sistema per bene sulla sua sedia convinto che da adesso in poi l’agente mora possa cavarsela da sola.
Diego si rivolge a Teresa, “Questo amico devo essere davvero importante se scendi a patti con il diavolo.”
“Ho già incontrato tipi come voi. Credete di poter bruciare il mondo e di mettere le persone ai vostri servizi, ma in realtà siete esseri umani e peccatori come tutti: con i vostri vizi.” Conclude lei alludendo alla droga sparsa per l’appartamento.
Diego si accomoda meglio sul divano incrociando le gambe, e si prende altro tempo per osservare meglio Teresa, la quale si sente percorrere da un brivido di timore.
“Hai mai visto questo tizio?” dice e tira fuori dalla sua borsa la foto di Jane.
L’uomo tatuato afferra la foto e la indica con il dito più volte.
“Sì, sì lo conosco. L’ho incontrato qualche volta in Venezuela. Tipo tranquillo, forse un po’ ficcanaso, ma se ne stava parecchio tra le sue, soprattutto quando si trattava della sua vita privata. È il tuo ragazzo?”
Teresa si ritrae sentendo l’occhio vigile di Kim su di lei.
“Si chiama Patrick Jane e sostiene che l’FBI lo stia incastrando a proposito di un traffico di droga in Venezuela. Ne sai qualcosa?”
Diego prende delle cartucce dove inserisce della marijuana sbriciolata, e poi inizia a rotolare
“Come ho già detto, quel Patrick Jane era un po’ ficcanaso e non riusciva a stare lontano dai guai. Probabilmente qualcuno ha saputo che aveva scoperto qualcosa e ha voluto incastrarlo. Di poliziotti corrotti ce ne sono, e ne conosco un paio che hanno fatto traffici nel Sud America e hanno avuto a che fare anche con la mafia italo-americana. Altrimenti non starei sotto la protezione testimoni dell’FBI!”
Quando la cartina è finita e sistemata a mo’ di sigaretta, Diego afferra un accendino per accenderla e assaporare l’odore della droga nuova di zecca. Muovendosi come un robot, Kim gli strappa dalle mani la sigaretta e la getta a terra spegnendola con il piede.
“Ehi, amico!”
“Ci stai dicendo che conosci qualche poliziotto corrotto che ha incastrato Jane?”
L’uomo si alza ciondolando dal divano, mentre si sistema i jeans. Teresa fa un verso di disgusto verso Kim. Poco dopo, Diego torna con un pezzo di carta e una penna e inizia a scrivere una lista.
“Questi sono alcuni tra quelli più influenti. Se sanno che vi ho detto qualcosa, mi fanno fuori.”
Cho prende il biglietto e se lo mette nella tasca interna della giacca.
“Non preoccuparti.”
“Grazie per la tua disponibilità.” Lo saluta Teresa.
“Non c’è di che, dolcezza. Ah, Cho... ricordati il mio premio per questa informazione.”
Il coreano annuisce e mormora qualcosa tra sé mentre lui e Teresa tornano all’auto.
“Come troviamo queste persone? Hai qualcuno in mente, Cho?”
“Altroché.”
Cho prende il suo portafogli e vi estrae un bigliettino da visita. La scritta in grassetto e in rilievo dice The Rigsby Private Investigation.



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Non c'è TM perché in pausa, ma in compenso ci sono io :p non so quanto sia confortate hahahaha
Coooomunque, è inutile che ve la prendete con me perché non vi dico se Hope è figlia di Jane... la risposta non tarderà ad arrivare, ma per adesso vi lascio scervellare con altre cose u.u
Teresa e Cho incontrano questo grosso trafficante di droga, anche se tutta questa cattiveria non ce l'ha alla fine...
E sorpresa delle sorprese: la vecchia gang sta per rincontrarsi di nuovo *-*
Alla prossima, buona domenica e grazie ancora per le recensioni :)
D.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cap. 7 ***




Cap. 7

 

The Rigsby Private Investigation.
YOU ASK, WE FIND.
 
Niente di più semplice in un biglietto da visita. Semplice nella grafia e nel formato, preciso e conciso, tanto per far capire che loro vanno dritto al sodo e non scherzano, stampato in carta brizzolata, tipica da un invito di nozze, con scritte in rosso che risaltano al tocco del dito. Un ottimo stratagemma per far sì che anche i non vedenti possano capire cosa c’è scritto.
Kimball riposa il navigatore; non ha bisogno di sapere dove dirigersi. Sa dove si trova l’agenzia investigativa dei Rigsby.
Teresa abbozza un sorriso.
‘I signori Rigsby’. E pensare che fino a qualche tempo fa, Rigsby non sapeva come dire a Grace che era ancora innamorato di lei. Non ti fa un po’ strano?”
“Già. Il tempo è passato troppo in fretta.”
La donna prende il suo cellulare e apre la connessione internet digitando ‘Rigsby private investigation’ sul motore di ricerca. Scorre la pagina, sorpresa dalla notorietà, clicca su un link a caso e inizia a leggere, tanto per passare il tempo.
“La più innovativa agenzia investigativa di Sacramento, gestita dalla neo coppia Wayne e Grace Rigsby, che di recente hanno dato il benvenuto a due gemelli in famiglia.” Sorride nel leggere le prime righe e già si emoziona, “Ma la neo mamma non ha paura di tornare sul campo dopo la gravidanza e dice che è stata un’emozione incredibile tornare a combattere il crimine dopo i mesi di maternità – ‘Sono affezionata a quel mondo. So come gestire casa e lavoro. Ho avuto degli ottimi colleghi in passato e una grande amica come mentore.’”
Cos’è quel solletico che sente sulla guancia? È come una scintilla che scende dall’alto al basso. E poi c’è quel battito cardiaco accelerato. È l’emozione e l’orgoglio. Forse anche un po’ di istinto materno. Che sia dannato! Da quando è diventata mamma, le lacrime le scendono spesso e volentieri, commuovendosi per ogni cosa. Un film romantico, una commedia, perfino in un crime poliziesco trova un po’ di sentimentalismo. Ultimamente si era fissata per quella vecchia serie, Castle, in cui lui era uno scrittore di gialli lei e lei una detective. Insieme combattono il crimine, e inevitabilmente, finiscono per innamorarsi l’uno dell’altra. Una storia che le ricorda da vicino la sua, e si rispecchia molto in quella detective. Forse per quello le piace quella serie.
Al volante, il coreano si accorge dell’improvviso silenzio.
“Tutto okay?” le chiede senza voltarsi.
Teresa esita per qualche secondo, poi si asciuga la lacrima.
“Per un attimo pensavo mi chiamasse ‘mamma’ invece che ‘amica.’ Stavo per allarmarmi.” Dice ridendo, e anche a Kimball scappa una risata.
È bello rivangare i vecchi tempi.
 
Il sole sta per tramontare quando i due arrivano – o meglio dire, ritornano – a Sacramento. Escono dalla macchina e quasi si trattengono nel respirare di nuovo aria di casa.
“E’ quello l’edificio della loro agenzia?” chiede Teresa indicando un grande palazzo davanti a loro. Entrambi alzano un sopracciglio meravigliandosi dell’aspetto esterno.
“Si trattano bene.” Commenta Kimball, e poi si dirigono al gran portone moderno con i pomelli d’orati. L’insegna dell’agenzia risalta prepotentemente sul materiale in mogano della porta.
Teresa suona al campanello e poco dopo è proprio Wayne Rigsby ad aprire loro. Senza dire nulla, se ne sta sull’uscio spalancando la bocca. La donna e il coreano si scambiano un’occhiata alzando le spalle, poi è lei a fare il primo passo.
“Allora Rigsby, non saluti i tuoi vecchi colleghi?”
“E non ci inviti a entrare?”
Sul volto di Wayne si delinea un sorriso fresco. “Ma certo! Posso abbracciarvi? Quanto ci siete mancati!”
Non dà neanche il tempo di rispondere che i due ospiti si ritrovano tra le braccia del loro amico. Teresa gli dà qualche pacca sulla spalla, mentre Kim sente che il colletto della camicia si sta bagnando.
“Non starai mica piangendo?”
Wayne si mette sulla difensiva e immediatamente scioglie l’abbraccio, e abbassando lo sguardo indica loro di entrare.
“No, certo che no...” dice camuffando l’emozione con un vocione improvvisato.
 
La sala d’attesa è un posto caldo e accogliente. Non solo per il condizionatore posizionato in alto sopra la porta d’ingresso, ma anche per le poltroncine verdi bottiglia decorate con disegni ornamentali, il grande tappeto persiano che occupa il centro della saletta d’attesa, e la moquette a dare il tocco finale.
“Il motivo dell’arredamento è facile. Vogliamo che gli ospiti si sentano a casa e siano al sicuro quando ci vedano, in modo da stabilire subito un rapporto di fiducia.”
Teresa e Kim alzano lo sguardo per vedere una Grace sorridente, un po’ rotondetta rispetto l’ultima volta, ma sempre bellissima con i capelli rossicci ondulati, la frangia, un paio di jeans e una maglietta con motivi floreali.
L’agente mora corre ad abbracciarla spalancando subito le braccia.
“E’ bello vederti. Sei in ottima forma.”
“Anche tu, capo.”
Teresa fa una smorfia divertita, e fa un passo indietro afferrandole le spalle.
“Non sono più il tuo capo!”
Dietro di loro, Kim e Wayne trattengono delle risatine e contemporaneamente si danno sguardi d’intesa, quasi come se tentassero di stabilire una conversazione telepatica. Teresa ispira un’aria nuova, e allo stesso tempo è felice di essere tornata ai vecchi tempi.
Qualche minuto dopo, i quattro sono seduti chiacchierando del più e del meno. Grace ha appeso il cartello con su scritto ‘Torniamo subito’, perché ha bisogno di parlare con delle persone amiche, staccando dal lavoro. Wayne e Kim stanno in piedi di fronte al computer, e sono intenti a vedere dei vecchi filmati e rivangare i tempi al CBI. Ridono, scherzano, bevendo due birre.
Teresa e Grace invece sono sedute su due poltroncine. La mora stuzzica la sua pupilla sulla fama della loro agenzia investigativa, e poi si complimenta per la forma fisica che ha mantenuto anche dopo aver dato alla luce due gemelli.
“Riesci a gestire il lavoro e i tuoi figli? Da sola?”
“No, ovviamente Wayne mi dà una mano. È bellissimo avere qualcuno con cui condividere le tue giornate, e non parlo solo del lavoro, ma mi riferisco alla vita.”
Una vena di tristezza attraversa il volto di Teresa, che distoglie lo sguardo. Grace si morde la lingua.
“Mi dispiace, Lisbon. Con questo non volevo dire che tu---“
“Va tutto bene, davvero. Anche se non ho una famiglia, posso immaginare la sensazione.”
Segue qualche secondo di silenzio in cui la giovane osserva la sua mentore quasi volesse studiarla o cercare di capire a cosa stia pensando. Certo, non può uscirsene dicendole di Hope e di come è nata, oppure esprimendole che il suo cervello sta cercando di elaborare la parola ‘famiglia’ e il suo significato.
“Hai notizie di Jane?”
Segue un’altra pausa, alla fine della quale Teresa alza lo sguardo serissima.
“E’ proprio per questo che io e Cho siamo venuti.”
 
Schiarisce la voce e ottiene l’attenzione di Cho e Rigsby che smettono di ridere per un istante. Il coreano fa segno al suo amico di sedersi. È tempo di parlare di questioni serie.
“Jane è nei guai con l’FBI.” Esordisce Teresa, senza tanti giri di parole.
I coniugi Rigsby non dicono nulla e dal loro viso non sembra trasparire nessuna emozione.
“Beh, senza offesa, ma Jane non è mai stato molto simpatico alle forze dell’ordine...” fa Wayne e guarda sua moglie, ottenendo un segno di assenso.
“Stavolta è diverso.”
“E’ stato incastrato da loro.” Taglia corto Kimball.
Brevemente, i due agenti raccontano ai Rigsby ciò che è successo con Patrick, di come lui abbia vissuto due anni in Venezuela, dell’FBI, dei traffici di droga, di Diego Esposito e di come sia tornato da Teresa chiedendo aiuto. Infine, Kim porge loro la lista dei poliziotti corrotti che hanno incastrato l’ex consulente del CBI.
Mentre Grace legge quei nomi, uno ad uno, si copre la bocca riuscendo a trattenere lo stupore.
“Oh mio Dio... Ron Douglas, Tony Frasier, Henry Speedman, John Laurent e Alfred Morris... ma questi sono agenti che hanno collaborato con noi...” lentamente passa la lista a suo marito, che assume la stessa espressione della consorte.
“Non sarà strano adesso? Voglio dire, indagare su di loro?”
A sua volta, Wayne passa la lista a Teresa. L’agente mora la tiene congiungendo le mani in segno di preghiera.
“Vi chiedo di cercare qualcosa su di loro... qualsiasi cosa che li ritenga coinvolti nel traffico di droga e che venga mostrato il loro coinvolgimento... dobbiamo dimostrare che Jane è innocente e che è stato incastrato... so che potete farcela...”
Forse il gesto delle mani non è propriamente casuale. Neanche il movimento di toccarsi la catenina con la croce sembra una cosa fatta a caso.
Indecisi, Grace e Wayne si guardano, cercando di stabilire una connessione. Poi si prendono per mano annuendo con un gesto del capo.
“Ti aiuteremo, Lisbon.” Dice la rossa, rivolgendo uno sguardo dolce alla sua amica.
Teresa alza la testa e smette di giocare con la catenina.
“Ragazzi, vi ringrazio!” esclama tra i singhiozzi, mentre sente di nuovo le lacrime percorrerle le guance. “E scusate, non è mia intenzione mettermi a piangere... è colpa di questo stupido istinto...”
Wayne aggrotta la fronte, incrociando le braccia al petto.
“Da quanto Lisbon è diventata così sensibile?” sussurra a Grace, inclinando la testa verso di lei.
“Non ne ho idea...”
Teresa sfregola le mani, si alza di scatto e corre ad abbracciare, di nuovo, Grace. Goffamente, la rossa ricambia l’abbraccio, ma l’altra si ritrae subito quando sente Kim schiarirsi la gola.
Il coreano è già in piedi a sistemarsi la giacca e dare un’occhiata all’ora.
“Dobbiamo andare. Io devo rientrare al lavoro.”
“Quale istinto?” chiede Wayne, quasi svegliandosi da un bel sogno.
Teresa si morde le labbra. Il suo sguardo finisce per posarsi su una foto che ritrae i Rigsby insieme ai gemelli. Grace segue il suo sguardo.
“Oh. Quindi Jane abita da te?” chiede poi lei con sguardo indagatore.
La mora si affretta a dirigersi con Kimball verso la porta.
“Sì, lui è a casa mia. Lo tengo nascosto.”
“Possiamo venirti a trovare, così ti aggiorniamo, invece che telefonarti.” Continua Grace, che li accompagna all’uscita seguito da Wayne.
“No, è troppo pericoloso. Meno persone vengono a casa mia e più è sicuro per Jane.”
“Peccato. Mi sarebbe piaciuto vedere di nuovo la vecchia banda al completo.” Dice Wayne con la faccia da cane bastonato.
“Già, davvero un peccato. Ma non preoccuparti, tesoro. Sono sicura che Jane e Lisbon sanno badare a loro stessi.” Grace ha assunto il tono malizioso di chi la sa lunga e di chi ha già capito tutto.
Il povero marito la guarda con punto interrogativo, restando sempre l’ultimo a sapere le cose.
Ormai sull’uscio, Kim e Teresa salutano con una stretta di mano i due coniugi.
“Attendo vostri aggiornamenti sui cinque agenti.”
“Certo, Lisbon, ci sarà da divertirsi!” esclama Wayne, improvvisamente tutto eccitato all’idea di indagare come un detective.
“Divertitevi tu e Jane!” fa Grace salutandoli con la mano sinistra. L’anello scintillante sull’anulare è l’unica cosa che brilla in quella notte senza stelle.
 
Quando torna a casa, Teresa si è quasi dimenticata di avere un appuntamento quella sera. Se ne accorge non solo dall’orario tardivo, ma anche dal messaggio in segreteria che Patrick le fa riascoltare.
La donna tiene il broncio mentre lui se ne sta con la testa poggiata sulle braccia incrociate, guardando la sua espressione, divertito.
“Non c’è niente da ridere, Jane.”
“Dimenticare il primo appuntamento? Inizi veramente male una relazione!”
Le piace stuzzicarla e seguirla a ruota mentre si libera della giacca e posa la borsa sulla sedia della cucina. Si sente che le è mancata per tutto il giorno. Teresa si blocca tenendo poggiate le mani sull’orlo del tavolo. Poi si volta di scatto trovandoselo di fronte.
“Andarsene dopo aver passato la prima notte insieme? Gran bel gesto!”
Incrocia il suo sguardo da cucciolo in colpa, e sente il cuore più leggero. Non ha paura di affrontarlo, neanche dopo una simile rivelazione. Abbassa lo sguardo, mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lui la guarda spalancando la bocca.
“Questo... fa davvero male... sentirselo dire...”
“Mi è uscito così... scusa...”
“Anzi no, hai fatto bene. Dovevi sfogarti.” Nel dirle ciò, le mette una ciocca di capelli dietro l’altro orecchio. Teresa sorride. “Forse è meglio se non sei uscita con il tuo amico.”
La mano le scivola sulla sua, rimasta a toccarle la guancia. È questo quello che intendeva Grace quando parlava di costruire una famiglia? Pensando alla sua amica, si ricorda della conversazione avuta con i Rigsby.
“Forse dovremmo parlare di quello che è successo due anni...”
“Io e Cho abbiamo parlato con Rigsby e Van Pelt...”
Dicono all’unisono. Patrick la guarda confuso e ritrae la mano.
“Avete parlato di me?”
“Dovevo. Loro gestiscono un’agenzia investigativa e possono rintracciare quegli agenti che ti hanno incastrato. Ho ottenuto quei nomi grazie a Diego Esposito. Alla fine, si è rivelato come un qualsiasi mafioso pauroso.” Conclude lei con una smorfia.
“Hai fatto tutto questo per me?” chiede invece lui ancora incredulo. Gli occhi passano a fissarla da destra a sinistra. Leggermente Teresa annuisce e poi si morde il labbro inferiore. Pronuncia le parole sussurrando. Solo a distanza di dieci centimetri, lui riesce ad udirla.
“Neanche tu hai idea di ciò che significhi per me.”
Patrick respira affannato e si getta in ginocchio davanti a lei, come un pellegrino in adorazione, e infine l’abbraccia sulla linea della vita.
Colpita da quel gesto, Teresa trattiene le lacrime e gli accarezza i capelli.
“Grazie.”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Mi scuso per il ritardo e per non aver ancora risposto alle recensioni!! Le ho letto e ne sono stata felice, vi ringrazio per continuare a seguire questa storia, anche se sta andando a rilento XD prometto di rispondere a tutti appena possibile :)
Iniziamo col dire che in questo capitolo la vecchia banda si è riunita...
Mi piaceva l'idea di mostrare i Rigsby belli e famosi... e poi volevo mettere la pulce nell'orecchio a Teresa sull'idea di 'famiglia'... 
Patrick deve sempre fare il rompiscatole, e alla fine Teresa sbrocca...
Quella rivelazione volevo uscisse così, inaspettata, senza giri di parole, perché i due tontoloni sono fatti così... si sorprendono quando meno se lo aspettano :)
Ci si legge dopo le feste, buon Natale :*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cap. 8 ***




Cap. 8

 

Quando rientra in centrale, rimane a distanza di sicurezza dalla scrivania del suo collega. Occupa il tempo e giocherella con le mani sfregandosele addosso, poi passa a torturarsi le unghie, controllando minuziosamente che siano pulite.
“Per quanto tempo hai intenzione di restare lì?” le chiede lui dalla sua postazione, senza alzare la testa dal libro che sta leggendo.
Teresa si sente presa alla sprovvista, catturata sull’atto come un ladro che sta progettando una via di fuga da una rapina. In effetti, in quel momento l’idea di scappare non sarebbe niente male, ma deve affrontare il suo partner e come minimo scusarsi per essere mancata all’appuntamento della scorsa sera.
Timidamente, quasi in punta di piedi, si avvicina alla sua postazione. Si schiarisce la voce per cercare di distoglierlo da ciò che sta leggendo, poi con decisione posa una mano sulla pagina, impedendogli di continuare. Arrendendosi, Daniel si appiattisce alla schienale della sedia e alza finalmente lo sguardo nella sua direzione.
“Parker, so che non ci sono scuse per il mio comportamento, e non intendevo certo ferirti.”
“Lo so, Lisbon. Forse la colpa è mia.” La ammonisce, e lei sente di fare un passo indietro inclinando la testa. “Sei una madre single, non esci con nessuno da tanto tempo, e non avrei dovuto farti pressioni. Ma le cose stanno così. Mi piaci e volevo avere una serata da solo con te. A quanto pare ho scelto un brutto momento.”
Teresa si sente lusingata e per dimostrarlo si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Poi si sporge verso di lui sussurrando.
“Sono ad un buon punto con il caso di Jane.” Dice, mentre afferra una sedia per posizionarsi davanti a lui. Sorride soddisfatta e poggia le mani sulla scrivania.
Le labbra di Daniel si inclinano a un sorriso dolce-amaro.
“E’ il caso, o è Jane?”
La solita classica domanda cui lei non ha mai saputo dare risposta. Di solito avrebbe ribattuto con un “Lui chiude i casi”, ma ora la situazione è diversa.
“E’ complicato.” Dice sospirando.
“Siete stati insieme?”
Anche questa è un’altra, domanda cui non sa rispondere. Come definire una persona con cui hai passato una sola notte insieme? Prende un altro gran respiro e si volta dall’altra parte evitando il suo sguardo. Inaspettatamente, lui le afferra una mano.
“Prenditi tutto il tempo che puoi con lui, perché è evidente che ci sono ancora delle questioni in sospeso. Io sono fiducioso. Aspetterò.”
Parker deve essere l’uomo più paziente del mondo, pensa Teresa. Oltre a questo, ha tanti altri pregi. Non è una persona incasinata, ama il suo lavoro, è puntuale e sarebbe certamente un buon partito. L’uomo perfetto. Eppure perché sente quella vocina che le ripete che lei non ama la perfezione e vuole farsi incasinare la vita?
Tu vuoi un amore che ti consumi, vuoi passione e avventura e anche un po’ di pericolo.*
 
La rossa batte più velocemente i tasti del suo computer portatile. Non è facile sentire e trascrivere simultaneamente una conversazione tra loschi personaggi mafiosi e poliziotti corrotti che parlano in codice.
“Prenditi una pausa, tesoro.” Dice una voce maschile con tono soffice, e le porge una tazza di camomilla sulla scrivania.
Lei lo zittisce con un gesto del dito davanti le labbra. In risposta, l’uomo sente la cravatta stringergli sempre di più il collo e si allontana per sedersi sulla poltroncina davanti alla scrivania di sua moglie. Afferra un giornale e inizia a sfogliarlo, o almeno a far finta, e ogni tanto alza lo sguardo da sopra la rivista per scrutarla. La osserva impegnata, con le cuffie alle orecchie, mentre alza il volume del registratore per sentire ciò che la microspia ha percepito. Poi poggia una mano sull’apparecchio, e con l’altra riprende a battere velocemente.
“Posso solo dirti, Grace, che sei terribilmente sexy quando sei concentrata?”
La signora Rigsby non lo fa notare, ma sorride di sottecchi, alza il mento e cerca di concentrarsi di più nello scrivere al computer. Wayne lo prende come un invito per qualche coccola, quindi si avvicina e la abbraccia da dietro per poi stamparle un bacio sulla guancia.
In quel momento, un luccichio appare sullo schermo del computer. Si apre una email anonima che blocca i due. Fissano quello schermo piatto di ultima tecnologia, diventato improvvisamente nero.
“E’ andato in modalità DOS, cazzo!” esclama Grace. Come un’agguerrita hacker, scioglie l’abbraccio del marito e con l’aiuto di tutte le dita preme su tutti i pulsanti, cercando di uscire dalla schermata DOS.
“Credi che ci stiano hackerando? Ci hanno scoperto?”
“Non credo... Ok che abbiamo a che fare con poliziotti corrotti e mafia, ma questi non sanno niente di tecnologia, avanti! Sono io la migliore in questo campo!” sente il dovere di proteggere la sua reputazione, quindi cerca di bloccare il pilotaggio sul sito dell’agenzia e sul computer e in qualche modo riesce a ripristinare la connessione.
La schermata continua ad essere nera, ma i coniugi Rigsby tirano un sospiro di sollievo quando appaiono delle scritte in bianco sullo schermo. La pagina scorre velocemente. Sembra una sceneggiatura con tanto di personaggi e dialoghi.
Grace solleva le mani.
“Oh mio Dio, Wayne... ce l’abbiamo fatta!” fa lei portandosi una mano sulla bocca per contenere la felicità.
“Cos’è successo? Cosa sono queste scritte? E questi nomi?” Wayne scuote la testa e continua a non capire, ma quando scorre la pagina con il tasto direzionale, i pezzi del puzzle iniziano a comporsi. Accenna un sorriso. “Aspetta, mi stai dicendo che...”
“Siamo entrati nel sistema della polizia di Stato, Wayne! Li abbiamo in pugno! Ora devo solo scaricare questa conversazione, leggerla e vedere se si parla di un traffico di droga in Venezuela e se si fa il nome di Jane! Mi ci vorrà del tempo perché sono tipo due anni di conversazioni ma, ora non abbiamo bisogno degli archivi perché ho hackerato il loro sistema!”
Trionfante, salta dalla sedia e abbraccia il marito, che le fa fare la giravolta.
“E’ grandioso, Grace! Come al solito sei stata bravissima!”
“Dobbiamo chiamare Lisbon e darle la buona notizia!”
 
Il cellulare squilla proprio mentre lei è sotto la doccia. Patrick raggiunge il suo telefono in borsa e sente di poter rispondere tranquillamente quando vede il nome di Van Pelt apparire sul display.
“Grace! Che bello sentirti!”
Dall’altra parte del cellulare, la rossa ha un sorriso a 32 denti.
“Jane! Sei davvero tu? Sei con Lisbon?” l’ultima domanda appare molto maliziosa, come una sorella minore che si fa gli affari del fratellone.
Il mentalista sorride e guarda in direzione del bagno. “Lei è sotto la doccia, io sono qui nel suo salotto.” Guarda Hope che a sua volta lo osserva allungandosi verso di lui. Vuole venire in braccio a lui. Si morde la lingua perché vorrebbe tanto parlare loro di quella bambina e raccontare come si diverte con lei, ma abbassa lo sguardo amaramente e si limita ad allungare il braccio verso di lei per lasciare che giochi con una mano.
“Chi è al telefono?” il profumo di fragole che l’avvolge lo fa voltare verso di lei.
Bellissima appena uscita dalla doccia, con i capelli raccolti in una cipolla sopra la testa e intorno a sé ha un morbido asciugamano rosa chiaro a cingerla fin sotto le ginocchia. Lui la guarda meravigliato quasi sentendosi impotente di fronte una tale bellezza. La donna si schiarisce la voce e sentendosi in imbarazzo, si stringe ancora di più l’asciugamano, tenendosi stretta la mano sul petto. Non che abbia paura che le cadi a terra...
Patrick mugola qualcosa e fa prima a passarle il cellulare in mano.
“Sì?”
“Lisbon, sono Van Pelt! Io e Rigsby abbiamo appena hackerato il sistema della polizia di Stato! Ho tutte le ultime conversazioni, posso controllare meglio e vedere se hanno mai parlato di un traffico di droga relativo a Jane!”
Grace parla troppo velocemente e Teresa deve interromperla per scuotere la testa e immagazzinare le informazioni.
“Aspetta, mi stai dicendo che ci sono dei progressi? Puoi davvero smascherare questi dell’FBI?”
“Sì, sì! Possiamo farcela, Lisbon. Possiamo liberare Jane.”
Le parole vengono lasciate là. Sente la mano tremare e abbassa lievemente la mano per chiudere la conversazione. Una sensazione di calore l’avvolge quando un’altra mano si posa sulla sua, seguendo il suo stesso movimento. Patrick è dietro di lei, riesce a sentire il suo respiro sul collo.
Si volta di scatto, le mani sono rimaste una sull’altra, e adesso passano a intrecciarsi le dita. Con l’altra, il mentalista le mette una ciocca di capelli ribelle scesa sulle spalle dietro l’orecchio. Si prende del tempo per osservarla e il dito indice percorre la sagoma del suo braccio, dalla spalla alla mano. La donna trattiene un gemito e si volta dall’altra parte.
“Che stai facendo...” gli dice a bassa voce, ma suona più come un invito a non smettere. La mente le dice che non è il luogo né il momento adatto, dato che c’è Hope nella stessa stanza con loro, ma il suo istinto le dice di continuare e di allentare la presa dell’asciugamano.
“Tu non hai idea di ciò che significhi per me.” Teresa sembra recitare mentre pronuncia la frase, e quindi Patrick si blocca allontanando il contatto fisico con lei. Il dito scende velocemente per l’ultima volta da spalla a mano. Scuote la testa non capendo cosa stia dicendo.
Teresa si decide a voltarsi verso di lui guardandolo intensamente negli occhi. Lo sguardo si posa da destra a sinistra come movimento meccanico.
“Intendevi veramente quello che mi hai detto due anni fa?"
Lui fa la stessa cosa con gli occhi. La osserva chiedendosi se sia seria oppure no. In sottofondo, Hope sta facendo dei versetti mentre gioca con dei pupazzi. Quando nota le pupille dilatate della donna, non ha più dubbi.
"Hope è mia figlia, vero?"
 
 
*la frase viene detta da Damon a Elena in “The Vampire Diaries”. Mi piaceva e volevo riportarla in questo capitolo :)

Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Beh ci siamo. Ultimo capitolo di quest'anno, per il resto ci si legge il prossimo anno! :)
Eh sì, dovevo lasciarvi con un bel cliffhanger buttato lì a caso. Perché è tipico di Jane rispondere con una domanda ad un'altra domanda e spiazzare così la povera Lisbon.
I pezzi del puzzle per incastrare i poliziotti corrotti iniziano a mettersi insieme, e anche la paternità di Hope sembra non essere più un mistero... Chissà se Lisbon sarà d'accordo? :p
Al prossimo anno e auguri di buon 2014! *-*
D.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Cap. 9 ***




Cap. 9

 

"Hope è mia figlia, vero?"
Scuote la testa, si tocca la fronte in preda all’agitazione. Anche le ciocche di capelli si stanno scomponendo per la domanda.
“Come, scusa?”
Lui inclina la testa facendole quel sorriso di chi la sa lunga.
“Lisbon, andiamo... non pensi sia tardi per continuare a negare ancora?”
Deve arrendersi. Sente crollare tutti i muri, senza via di scampo. L’idea di scappare è ancora impressa nella sua mente, ma ormai sembra un po’ tardi. Lo guarda senza sorridergli. Stringendosi di più al suo asciugamano, si para davanti a Hope quasi come se volesse proteggerla.
“Tu lo sapevi.”
Lui sente il petto gonfiarsi appena ottiene la risposta tanto attesa al suo dubbio.
“L’avevo intuito dal primo momento in cui mi hai impedito di entrare in camera sua. Poi avevo bisogno di una scusa per stare insieme a lei per capire se avevo ragione. E l’altra sera quando ti ho detto tutte le somiglianze tra me e lei, ti vedevo agitata, ed era quello che mi serviva per avere la conferma.”
“Beh, adesso che vuoi che ti dica?” Teresa spalanca le braccia, pronta ad accogliere quello che si prospetta l’inizio di un bel litigio tanto atteso.
“Perché non mi hai detto che eri incinta?”
“Tu eri sparito! Senza lasciar traccia! Come potevo rintracciarti e dirti, ‘Ehi, Jane, dove sei? A proposito, sono incinta!’”
“Poteva funzionare...”
“Non essere sciocco. Tu mi hai ingannata. Ti sei avvicinata a mia figlia solo per indagare e studiarla, come se fosse uno dei nostri casi di omicidio da risolvere! Sei malato!” sente gli occhi gonfiarsi e forse sono già diventati rossi per la voglia che vorrebbe di scoppiare a piangere.
“Un padre che vuole conoscere sua figlia lo definisci malato? Teresa, adesso che so la verità, non credi che abbia il diritto di passare del tempo con Hope?”
“No, adesso è troppo tardi.”
Teresa si allontana dalla sua vista e da quei suoi occhi da cucciolo che implorano pietà. Entrambi vorrebbero chiedersi scusa, ma per qualche motivo, colpa della loro testardaggine e del loro orgoglio, preferiscono osservarsi da lontano. La donna si reca nella sua stanza dove prende della biancheria pulita dal suo cassetto e un paio di jeans e maglietta dall’armadio. Patrick la segue con le mani nella tasca dei pantaloni. Segue un minuto di silenzio in cui lui la guarda prendere i panni puliti, ma prima che possa uscire dalla stanza e oltrepassarlo, la afferra per un braccio costringendola a guardarlo.
“Tu hai paura, e lo capisco. Tua madre è morta quando eri piccola, ti sei ritrovata a gestire la casa da sola, con tuo padre che poi ti ha abbandonato. È normale, che non ti fidi di me... anche io ti ho abbandonato.”
Teresa digrigna i denti e mentre con una mano tiene in mano i panni, con l’altra, spinge Patrick lontano da lei, e poi lo oltrepassa.
“Smettila di psicoanalizzarmi, sai che non sopporto quando fai così!”
“Sai che sto dicendo la verità!”
“Te ne sei andato. Mi hai abbandonata. Dopo tutto quel discorso che mi hai fatto sul fatto che finalmente era finita, che avevi ucciso Red John ed eri pronto ad andare avanti e vivere la tua vita con la persona che ami... Hai idea di come mi sia sentita? Hai presente quando ti viene strappato il cuore in mille pezzi? Ecco, questa è la sensazione. E quando alcune settimane dopo ho scoperto di essere incinta, non avevo dubbi sulla paternità. Ma improvvisamente non volevo più avere nulla a che fare con te. Me ne sono andata dal CBI per iniziare una nuova vita. Solo io e mia figlia. E stava andando tutto bene, finché non ti sei ripresentato alla mia porta, chiedendomi aiuto.”
“Hai ragione. Non ne avevo diritto. È solo che...”
“Cosa? Quale altra scusa inventerai adesso?”
Il mentalista la guarda, mordendosi il labbro inferiore perché realizza solo in quel momento l’errore che ha fatto lasciandola da sola, abbandonandola in quel modo. Allunga il braccio verso di lei avendo quel desiderio improvviso di stringerla a sé ancora una volta, di tenerla tra le sue braccia, sentirla piccola e fragile come l’ultima volta.
“Quando ami qualcuno prima o poi questi trovano il modo per tornare da te. Io ho solo seguito il mio cuore, Teresa.”
Ha un sussulto quando lo sente pronunciare il suo nome. O forse sobbolza perché ha detto ‘quando ami qualcuno’. Le ha detto di amarla.
Prende un gran respiro prima di posare la sua roba sul mobiletto del bagno. Si asciuga quella lacrima che impotente le era caduta sulla guancia, poi si rivolge a lui.
“Ti odio, Jane. Sapessi quanto ti odio... e se ti lascio stare qui, è solo perché Hope non può fare a meno di te. Adesso entrambi sappiamo il perché.”
Patrick la guarda e capisce che ha dovuto prendere un gran coraggio a dire quelle cose. Quel ‘ti odio’, nel loro mondo, significa ben altro. Lui lo sa, quindi le sorride dolcemente. Un sorriso solare, aperto, che non aveva mai visto prima.
“Tanto per rispondere alla tua domanda... Sì, intendevo veramente quelle parole che ti ho detto.”
“Bene, buono a sapersi.”
Lasciano cadere il discorso per il momento. Teresa si dirige in bagno per vestirsi, lui torna da Hope. È come una calamita dalla quale non riesce a staccarsi. Aveva capito fin dal primo momento che c’era una connessione tra lei e quella bimba. Certe cose te le senti dentro, chiamarlo sesto senso sembra riduttivo, quello che prova per lei è amore paterno. Ha ancora voglia di prenderla in braccio, anche se la piccola ha imparato a camminare, ma è più forte di lui. Mentalmente, ripercorre la discussione con Teresa in cui tutti i suoi dubbi sono stati sciolti e realizza che è di nuovo padre. Dopo dieci anni dalla morte di sua moglie e sua figlia, ha dato luce ad un’altra vita. Ed ora ripercorre nella sua testa quella notte quando si era lasciato andare con lei, al modo in cui si erano tenuti abbracciati, teneramente, toccando ogni parte del loro corpo per conservare quel momento fino all’ultimo. Perché in cuor suo sapeva che doveva allontanarsi da lei, e schiarirsi le idee, e che quello era il suo modo per dirle addio... ma questo non glielo aveva ancora detto.
Accarezza la testolina di Hope, poi le prende la manina piccola e ci gioca.
Dopo qualche minuto, Teresa esce dal bagno con i capelli raccolti da una coda di cavallo. Vedendo Patrick con in braccio Hope, il primo pensiero è quello di bastonarlo per dirgli di allontanarsi, ma resta come incantata dal modo in cui la bimba si diverte tra le braccia del padre. Dovrebbe essere ancora arrabbiata, ma smette di esserlo. Lui sta canticchiando qualcosa e deve farlo in modo buffo, magari inventandosi le parole, perché Hope ha iniziato a ridere come una matta. Incrina le labbra e incredula sente un buffetto al cuore, sarà mica sintomo di felicità?
È questa la famiglia che voglio?
La domanda le martella la testa, e mentalmente si ricorda di tirare le orecchie a Grace quando la rivedrà, perché le ha messo questa pulce nell’orecchio.
Il cellulare squilla di nuovo, Teresa controlla l’orario, è quasi ora di cena. Patrick e Hope si voltano verso di lei.
“Van Pelt. Altre novità?”
Grace parla troppo veloce, così decide di mettere il vivavoce, in modo che anche l’altro suo ospite possa sentire.
“Io e Wayne abbiamo scoperto dove abitano i cinque poliziotti della lista! Forse dovremmo venire da te e parlarne meglio, non credi? Per telefono non è sicuro...”
“Io chiamerò Cho!” dice Wayne in lontananza.
“Ok, vi mando un messaggio con il mio indirizzo. A dopo.”
Teresa chiude la conversazione e si prepara a mandare un sms al numero di Grace. Hope mugola qualcosa agitando le braccia, mentre Patrick la tiene ferma.
“Dirai loro di Hope? E di noi due?”
“Una cosa alla volta.”
“Tanto credo che almeno Van Pelt abbia capito cos’è successo tra noi.”
“Ma se ci hai parlato per qualche secondo al telefono!”
Lui prende Hope in braccio che inizia a sbadigliare, poi si concentra su di lei, che intanto ha terminato il messaggio e chiuso il suo cellulare per dirigersi in cucina.
“Lisbon, Lisbon, dopo tutti questi anni, ancora sottovaluti le mie capacità? E comunque, hai intenzione di preparare la cena, perché sai ho un certo languorino, oppure vuoi fare qualcos’altro?”
Teresa sorride di sottecchi all’ultima allusione avvicinandosi al frigo. Sbircia cercando qualcosa da fare subito, dato che non ha voglia di sporcare troppo la cucina. Afferra quindi due confezioni di insalata mista già pronta.
“Jane...” mormora girandosi verso di lui che le sta rivolgendo un altro dei suoi sorrisi sornioni. Con una spinta di sedere chiude il frigo dietro di sé.
Il mentalista continua il loro gioco fatto di flirt e stuzzicamenti. Si accinge ad aiutarla preparando il tavolo per due, e ne approfitta per avvicinarsi a lei. Teresa apre le confezioni e le serve su due piatti, poi inizia a condire e girare aiutandosi con due forchette.
“Che hai capito! Intendevo giocare con Hope! Non che a me dispiaccia fare l’altra cosa, in fondo, è roba che ho già visto...”
“Ora sì che ti lascio morire di fame!” lo minaccia puntandogli una forchetta. Lentamente incrina le labbra e scoppia a ridere, seguita da lui.
Quando incrociano gli sguardi, le risate cessano di colpo. Lui si schiarisce la voce, lei fa un cenno col capo come a chiedergli cosa stiano facendo. Litigare ancora sarebbe stato infantile, e ormai hanno chiarito, o quasi tutto. Continuare a flirtare come se niente fosse successo prima, sarebbe stato troppo strano. Eppure veniva loro così naturale.
Si siedono al tavolo, uno di fronte l’altra. Lei inizia a servire, mentre lui la osserva e non smette di toglierle gli occhi di dosso. Poggia i gomiti sul tavolo e congiunge le mani in segno di preghiera. In realtà sembra si stia trattenendo dal dirle qualcosa. Forse l’idea di fare ‘qualcos’altro’ non è così malvagia.
Invece restano lì seduti, passando il resto della serata a mangiare silenziosamente e alzando di tanto in tanto lo sguardo verso l’altro, giusto per assicurarsi di trovarsi ancora svegli e di non cadere l’uno nelle braccia dell’altra.
 
Inzuppa il biscotto nella tazza, anche troppo, perché quando lo tira fuori, scopre che è diventato un tutt’uno con il suo latte e caffè. Immersa nei suoi pensieri, ha finito per rovinarsi anche la colazione. Sbuffa, facendo spostare i capelli più corti dal viso.
“Dormito male?” le chiede lui appena si avvicina a lei per salutarla velocemente, posandole una mano sulla spalla.
“Jane, quello che è successo ieri---“
Con un’alzata di mano la ammonisce.
“E’ tutto a posto, Lisbon. Siamo a posto. Non ci serve litigare, non credi? E neanche fare quello che facciamo di solito.”
“Stuzzicarci?” risponde lei afferrando ciò che le rimane della colazione, ovvero una brioche dalla confezione sul tavolo.
Lui intanto ha preso tutto quello che gli serve per prepararsi del tè, girando ormai in cucina come se stesse a casa sua. Sorride nascondendo il viso dietro la tazza che tiene in mano.
“Prima risolviamo questa faccenda con te e meglio è.” Dice Teresa e lentamente alza gli occhi nella sua direzione. Lui le rivolge uno sguardo consenziente, come se la leggesse dentro, poi si avvicina e sfiora la mano con la sua.
“Sto facendo uno sforzo enorme per evitare di toccarti, ma ogni giorno diventa difficile.” sussurra e un brivido le percorre la pelle.
Teresa si morde le labbra.
Non vuole che il momento finisca.
Non vuole che lui se ne vada quando tutto sarà finito.
Le parole le muoiono dentro e non riescono ad uscire. Se ne stanno lì sulla punta della lingua. Perché non riesce a dirgli quello che prova?
Sussultano entrambi quando sentono bussare.
L’agente mora si alza per aprire e sorride alla vista dei tre volti familiari alla sua porta.
“Benvenuti, questa è la mia modesta casa...”
Con un gesto li invita ad entrare, e uno a uno si fanno strada nell’appartamento. Poi, senza esser vista, si dirige nella cameretta di Hope, mentre con orecchio attento ascolta le voci che riempiono la stanza principale della casa.
Patrick si dà una rapida occhiata, toccandosi la sua camicia bianca, forse di un colore un po’ sbiadito, i pantaloni stracciati all’altezza del ginocchio. Fa una smorfia come a dire che va bene così; sono solo Grace, Wayne e Kim. Non ha bisogno di sistemarsi per il Presidente degli Stati Uniti.
“Carina!” esclama l’agente rossa, che guarda subito le varie decorazioni dell’appartamento.
Gli occhi di Wayne e Kim cadono invece sull’altra persona della stanza.
“Jane!”
È l’istinto che parla, quindi Rigsby abbraccia l’ex consulente del CBI dandogli una pacca sulla spalla.
“Pensavo non vi ricordaste più di me!”
“Nessuno si dimentica di colui che ha ucciso Red John!”
“E che ha al suo seguito la polizia di Stato a dargli la caccia!”
“Grazie per avermelo ricordato, Rigsby!”
Teresa ricompare in punta di piedi, stringendo sua figlia tra le braccia. Hope è mezza assonnata con il biberon tra le mani, ma appena vede la luce che illumina il salone, apre pian pianino gli occhi. Sbadiglia mormorando qualcosa, attirando l’attenzione dei presenti. Improvvisamente la mora deglutisce, e desidera poter leggere nella mente di tutti per capire cosa stiano pensando. Si chiede se sia stato saggio presentarsi con la bimba in quel modo.
Grace sbianca e per un attimo trattiene il respiro.
“E questa piccolina chi è?”
Come a cercare un segno di assenso a proseguire, Teresa guarda Patrick, che sorride con un cenno della testa.
“Vi presento Hope. Mia figlia.”
“Nostra figlia, in realtà.”
Segue un breve attimo di silenzio in cui i tre ex agenti si guardano l’un l’altro, forse intenti in qualche specie di conversazione telepatica. Patrick trattiene una risata ma viene subito zittito dallo sguardo inceneritore di Teresa. La scena però è davvero esilarante. Wayne si gratta la testa cercando di fare dei calcoli, Kim invece resta con le braccia conserte e sguardo serio, e Grace spalanca la bocca ed è lì per dire qualcosa, ma si trattiene.
“Oh mio Dio! Lo sapevo!” dice esplodendo di gioia.
“Anche io! Cioè, mi era venuto il dubbio ma non ci volevo credere...” aggiunge Wayne, subito dopo, cercando di sembrare più serio possibile.
Kim lo guarda come se avesse davanti a sé un pazzo. “Tu lo sapevi? Ma se non riesci a ricordare neanche cos’hai mangiato ieri...”
Teresa sente di poter tornare a respirare. Grace si avvicina a madre e figlia, e stringe le manine di Hope che le sorride toccandole i capelli.
“E’ bellissima, Lisbon! Potrebbe giocare con i gemelli qualche volta, che ne dici, Wayne? Wayne?”
La rossa allunga lo sguardo solo per vedere suo marito impegnato altrove. L’uomo mostra la faccia nascosta dentro al frigorifero.
“Scusate, ma vederla mangiare mi ha messo fame... ti spiace, Lisbon, se ho frugato nel tuo frigo?”
“Fai con comodo, Rigsby.”
Kim ha ancora quello sguardo convinto di trovarsi in una gabbia per matti. “Oh, cielo...”
Patrick si porge verso di lui, già con le braccia spalancate. “Avanti, Cho, vecchio mio, neanche un abbraccio?”
“Questo è un completo nuovo.”
“Va bene, ti abbraccio io, allora.”
Il coreano non può replicare, e chissà com’è sente un buffetto al cuore quando quel delinquente del mentalista lo abbraccia.
Teresa sorride e gli occhi si gonfiano di nuovo. Quella domanda impertinente si ripresenta nella sua mente e stavolta lo fa in modo davvero prepotente.
E’ questa la famiglia che voglio?


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Buon anno e spero abbiate passato bene le feste :)
Adesso passiamo al capitolo! Finalmente il chiarimento taaaanto atteso su Hope, la notte passata insieme e tante altre cose...
Teresa si sta sciogliendo, sarà colpa degli ormoni?
Anche Patrick si sta sciogliendo, ma per altri motivi... cercate di capirlo, è un uomo e avere Teresa accanto tutti i giorni non è facile, poverino :p
Poi la reunion *-* Grace felicissima, Wayne che pensa a mangiare peggio dei bambini, e anche Kim mostra piccoli segni di scioglimento *-*
Al prossimo e grazie ancora per leggermi <3
D. :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Cap. 10 ***




Cap. 10

 


 
Entrano con molta facilità nell’abitazione. Un blitz notturno in piena regola. Il silenziatore è al suo posto, pronto per centrare l’obbiettivo. Hanno visto giusto quando hanno pensato di introdursi nella sua casa proprio di notte, lontani dalla sorveglianza, lontani dall’FBI e qualsiasi altra legge marziale.
Si fanno segni con le dita, scure come la tuta che indossano che le fa confondere. Un completo nero come la notte, che lascia intravedere solo gli occhi. Il capo che cammina davanti a loro indica la porta della camera e fa passare avanti due dei suoi, che sfondano la porta facendo sobbalzare il suo ospite.
L’uomo dal volto spaventato, la canotta bianca bucata e i tatuaggi sul corpo, si alza di scatto e pone le braccia al cielo, quasi chiedesse pietà. Neanche il tempo di respirare o chiedere cosa stia succedendo, che i mitra carichi gli lanciano cinque, sei proiettili, tutti diretti al torace. Lo trapassano da una parte e dall’altra, e lui cade all’indietro sul letto. Qualcun altro del gruppo spara a vuoto, sporcando le lenzuola candide di un rosso sangue violento.
Come sono arrivati, così lasciano la casa. Nel più assoluto silenzio, ma camminando svelti; da lontano si sentono già le sirene della polizia.
 
“Guarda qui. Sembra che i trafficanti di droga siano l’argomento del giorno.”
Daniel schiaffa la prima pagina del giornale locale sotto gli occhi di una Teresa allibita. La donna spalanca gli occhi alla vista del nome della vittima. Poggia la tazza del suo cappuccino sulla scrivania.
“Diego Esposito?! Hanno ucciso Diego Esposito??” la capacità di Teresa di mantenere la calma è pari a quella di mentire. Strabuzza gli occhi, deglutendo l’ultimo sorso del cappuccio. “Ma come è possibile?”
“Da come sei scioccata sembra che lo conoscevi... era anche lui un tuo partner come Jane?”
“Oh santo cielo, proprio no!” si affretta a replicare, ripensando all’ultimo incontro avuto con Esposito. “Devo fare una telefonata.”
Si alza dalla sua postazione, senza far troppo caso a ciò che lascia sparso. L’occhio di Daniel cade proprio su quel fascicolo di Jane. La curiosità è donna, ma è anche una caratteristica che fa parte di un agente di polizia. Si guarda intorno circospetto, poi si avvicina e con una mano lo apre e inizia a sfogliarlo.
Pagina dopo pagina, legge le note attaccate con un post-it colorato. Ogni colore sembra indicare qualcosa di diverso, ma non sta a pensare molto perché una frase cattura la sua attenzione, ed è scritta in grassetto con un pennarello nero:
 
salvare Jane e tenerlo fuori dai guai!!
 
La sua faccia assume l’espressione di un punto interrogativo, ma ben presto comincia a fare i suoi calcoli.
La camminata svelta della sua partner lo fanno tornare al suo posto. Ancora con il cellulare in mano, Teresa sembra esser tornata tranquilla.
“Allora, Parker vogliamo iniziare a indagare su questo trafficante insieme, oppure---”
“Sai una cosa? Occupatene tu, io mi sono appena ricordato che ho altri casi da archiviare. Ma ti raggiungo appena me ne libero!”
L’uomo taglia corto e si allontana dalla postazione con fare dubbioso. Teresa viene presa dal panico. Controlla nervosamente sulla sua scrivania e si rende conto dell’errore madornale che ha appena commesso quando vede il fascicolo di Jane. Si morde il labbro, lasciando cadere la testa sulla scrivania in preda allo sconforto.
Il cellulare alla mano vibra di nuovo.
“Cho?”
“Lisbon, temo che abbiamo un problema.”
L’espressione della donna passa da senza speranza a sto-per-avere-un-infarto.
 
Dietro di sé c’è quell’imponente struttura governativa che fa rimpicciolire il coreano. Intorno a lui, un via vai di altre forze governative, alcuni con giubbini della CIA, altri dell’Interpol, tutti sembrano avere un unico scopo: catturare gli assassini di Diego Esposito.
 
“Come sai che è stata più di una persona ad uccidere Esposito?”
“Perché aveva molti nemici, soprattutto tra quelli dell’FBI. Ecco perché penso che siano stati proprio i nostri poliziotti corrotti ad organizzare quel blitz notturno.”
“C’è stato un blitz notturno? Come fate a sapere più informazioni di noi?”
“Siamo l’FBI.”
Teresa cerca di ripercorrere mentalmente la conversazione telefonica con Kimball. Prende un blocchetto degli assegni da dentro il cassetto della sua scrivania, poi si reca in cucina e inizia ad appuntare qualcosa, come una brava studentessa modello. Storce il naso al pensiero, poi prende gli evidenziatori e si diverte a sottolineare le parole più importanti.
 
Chi ha ucciso Diego Esposito?
-blitz notturno... poliziotti corrotti?! FBI?!
-Movente: Esposito avrebbe esposto i poliziotti corrotti (a noi) e loro lo hanno fatto fuori
-Prossimo bersaglio: NOI
-vogliono incastrare Jane

 
Un sorriso furbetto compare sul suo volto: più che studentessa modello, lei è la secchiona della classe.
La sua testa è anche piena di altre preoccupazioni: Parker ha sicuramente scoperto che lei sa qualcosa di più su Jane, e cosa più importante, avrà capito che lei lo sta nascondendo dentro casa.
“Vuoi che ti porto qualcosa da bere?”
Patrick fa capolino da dietro di lei e Teresa non riesce a trattenere una risata. Ha indossato il grembiule pronto per cucinare.
“Jane! Sto facendo cose serie!”
“Beh puoi pensare alle cose serie anche mangiando.”
“In caso non te ne fossi accorto, sto ancora pensando a come tirarti fuori dai guai con la legge, soprattutto ora che l’FBI ce l’ha con noi.”
Senza pensarci un secondo, si siede accanto a lei e le prende le mani.
“Lisbon, non ho dimenticato questo, ma credo che tu abbia bisogno di rilassarti ogni tanto.”
“Come faccio a rilassarmi se tu sei nei guai e dei poliziotti cattivi ci danno la caccia perché abbiamo scoperto troppe cose?”
Patrick semplicemente fa spallucce, prendendo le cose alla leggera.
“In un modo o nell’altro riusciremo a cavarcela anche stavolta.”
Lei gli fa un lieve sorriso.
“Ammiro il tuo ottimismo. E adesso che mi prepari di buono?”
 
È passata già qualche ora e ha la pancia piena di tutte le squisitezze che lui le ha preparato.
Si rilassa distendendosi sul divano. Allunga le gambe e sente le spalle farle male per il troppo tempo passato seduto dietro ad una scrivania a guardare il computer. Ruota il collo pian piano, sentendo i muscoli farle male. Decisamente ha passato troppo tempo al computer.
“Potrei abituarmi a tutto questo, Jane. Stai attento.” Dice tenendo quello sguardo malizioso appena il suo ex consulente la segue sul divano, come se fosse attratto da una calamita.
Rumori di macchine in sottofondo guastano di poco l’atmosfera, soprattutto quando dei passi si fanno insistenti sul pianerottolo fuori il suo appartamento.
“Lisbon, sono Parker!” fa la voce fuori la porta.
I due, che erano seduti comodamente sul divano, si guardano nello stesso momento. Lui resta fermo, lei fa per alzarsi ma esita.
“E’ il mio collega.”
“Lo so. Vai ad aprirgli?”
“Forse dovrei dirgli di te.” gli parla ma ha smesso di guardarlo, come se stesse, in realtà, chiacchierando tra sé.
“Lisbon, ci sei?” Parker insiste e alla fine la donna va ad aprirgli senza pensarci troppo.
“Odio quando succedono queste cose ma, ho letto i fascicoli su Patrick Jane e---“ si interrompe quando vede la persona che ha appena nominato davanti a sé.
Riconosce quel volto, non solo perché lo ha visto nel file della sua collega, ma anche perché lo ha cercato in rete prima di bussare alla porta di Teresa.
“Volevo dirtelo, Parker, ma cerca di capirmi... poi hai tradito la mia fiducia e non ti sei fatto gli affari tuoi controllando nel mio caso!”
“Tu nascondevi un sospettato ricercato dalla polizia nazionale e non hai detto niente!”
“Jane non è solo un sospettato, lui è---“
“Il tuo ex ragazzo?”
Regna il silenzio per qualche secondo, interrotto da Patrick che si era assentato un istante, per dare spazio ai due colleghi di parlare. Tiene in braccio Hope. I due lo guardano allibito. Teresa fa quello sguardo come per dirgli ‘ti pare il momento adesso?’
“Scusate, la piccola sentiva confusione.”
Daniel si gratta la testa, cercando lo sguardo allucinato di Teresa, che ha una gamba ferma e l’altra messa in posizione di combattimento.
“Lisbon, per caso Jane è il padre di Hope?” fa la domanda strabuzzando gli occhi, come se si dovesse svegliare da un brutto sogno.
Teresa si sente scoppiare. In quel momento vorrebbe urlare al suo ex consulente.
Sa che lui l’ha fatto apposta per quel motivo.
Provocazione.
“Senti, quello che riguarda il mio passato è affar mio, non devo avere il diritto di rivelarti tutto. Se vuoi stare dalla mia parte, devi accettare le cose come stanno, altrimenti puoi andartene.”
“Ok, mi dispiace. Scusa.”
Hope batte le mani contenta, come se capisse cosa stia succedendo. Suo padre le dà corda dandole dei buffetti sulla guancia.
“Pensi che dovremmo aggiornare la Dougherty?”
“No, vorrei farlo quando la faccenda sarà a buon punto. Al momento non posso. Senti, già che sei qua perché non prendi una sedia così ti faccio vedere cosa ho scoperto finora.” Dal tono sembra scocciata, ma in realtà è solo infastidita. Non è certo questo il modo in cui pensava di collaborare con il suo partner.
Daniel lancia un’occhiata a Patrick che ricambia con un’alzata di spalle e un sorriso.
È il suo modo di dire di non prendersela troppo perché quello è il modo di fare di Teresa.
 
È quasi mezzanotte ma è rimasta come al solito alzata per aggiornare gli ultimi casi al computer. Quell’apparecchio moderno, un fantastico Mac, è la fine del mondo. Ama il suo lavoro e ama stare al pc.
Fa dei movimenti con la testa a destra e a sinistra, lanciando un’occhiata all’orologio. Chiude e apre gli occhi meccanicamente più volte, cercando un motivo per restare sveglia qualche minuto in più.
Può farcela, le mancano solo due pagine di Excell da sistemare.
D’un tratto, sente un bip. Con il mouse va sulla posta elettronica. A mezzanotte di domenica sera chi mai potrebbe essere se non qualche spam proveniente dall’altra parte del mondo?
Il mittente è anonimo. Non c’è allegato, non c’è l’oggetto del messaggio.
Insospettendosi, seleziona il messaggio e lo sposta nella cartella dello spam, poi fa la scansione antivirus. Dopo essersi assicurata di non aver beccato un malware, lo apre.
Sembra una lettera dato che inizia con la dicitura ‘Signore e signora Rigsby.’ È il contenuto a metterle i brividi.
Più va avanti nella lettura, più si rende conto che è una minaccia.
Lasciate stare le indagini se non volete perdere il lavoro e la vostra vita… ma cosa...”
“Grace, perché non vieni a dormire?” Wayne la chiama dall’altra parte della casa. Spunta sbadigliando con il pigiama blu scuro e i calzini di un colore panna.
“Sì, un attimo...” gli risponde, mantenendo lo sguardo fisso sullo schermo. Tiene il messaggio di posta salvato e nel frattempo lo invia a Cho e Lisbon.
Spegne il pc, sorride a suo marito e lo raggiunge abbracciandolo.
 
“Sei innamorato di lei, vero?”
“Cosa?”
Il biondo lo guarda tranquillamente, mentre l’altro sente le gambe tremargli. Stanno seduti a tavola, il sole di mezzogiorno illumina metà stanza. Ogni tanto lanciano degli sguardi a Teresa che sta dando da mangiare a Hope. La imbocca con una pappetta fatta di frutta mista.
“Sei un sensitivo o---“
A quel nomignolo tanto odiato, Patrick ridacchia.
“Beh si vede dal modo in cui la guardi. Lascia che ti dica questo. Lisbon ha questo suo modo di dimostrare l’affetto che prova per qualcun altro arrabbiandosi. A modo suo, lei tiene a te.”
Daniel sorride ma poi sospira.
“Sì, ma tra voi due c’è stato qualcosa di importante ed è impossibile competere con la vostra storia.”
“Io voglio solo che lei sia felice, perché significa molto per me. Per questo devo lasciarla libera. Quando questa storia finirà, tu dovrai starle vicino.”
“Ma avete una figlia insieme.”
“Lo so. E per quanto ami anche lei, Hope non mi merita. Teresa non mi merita. Sono stato un egoista scappando due anni fa. Per questo entrambe meritano di essere felici. E l’unico modo è stando senza di me.”
Parker non dice nulla, Patrick continua a sorridere guardando la mora e sua figlia. Entrambi si godono Hope che si riempie il pancino con una bel pranzo sano e naturale.
 


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Scusate per l'assenza ma il lavoro mi consuma T.T
Comunque, io darei una botta in testa a questi due tontoloni.
Teresa, cosa fai? Lasci incustoditi i file su Jane!
Patrick, cosa fai? Lasci andare Teresa così?
Parker prima o poi doveva scoprire la verità, quindi era d'obbligo...
Buon weekend a tutti e non odiatemi :p
D.
<3

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cap. 11 ***




Cap. 11

 

 
La sua casetta è diventata ormai luogo di incontro come lo era una volta il CBI.
Discutere su un caso, fare ipotesti, sentirsi semplicemente a casa davanti una tazza di caffè o di thé. Tutte sensazioni che riaffiorano man mano che la sua ‘famiglia’ si allarga.
Si ritrovano a parlare seduti intorno al tavolo; Teresa tiene Hope in braccio, poiché la piccola non smetteva di bofonchiare qualche parolina come se volesse partecipare alla conversazione. Kimball è seduto accanto a mamma e figlia, ma neanche lui sa resistere quando Hope si allunga per toccargli il braccio, e le sorride sciogliendo per quell’istante la sua maschera di Ice Man.
Daniel si è fatto spazio sedendosi vicino a Patrick. La donna lancia ogni tanto qualche occhiata al duo, forse preoccupata per l’istantanea simpatia che è nata tra i suoi due ‘contendenti.’ Teresa ha presentato Daniel agli altri come suo partner a Santa Cruz, ripetendo che di lui ci si può fidare. E a loro è bastata la parola dell’ex capo del CBI.
Ad ogni modo, tutti stanno ad ascoltare i coniugi Rigsby e le minacce che hanno ricevuto via internet. Il marito l’abbraccia stringendola a sé e poi le dà un bacio sui capelli. Grace non è per nulla agitata, ma racconta tutto con ogni minimo dettaglio. Gli altri ascoltano in silenzio.
Patrick osserva i gesti delle mani. Sono tenute una sull’altra mentre gesticola, quasi ad indicare che ha la situazione sotto controllo.
“...e questo è quanto.”
“E’ senza dubbio l’FBI che ci sta minacciando. Proprio quei cinque nomi sulla lista.” aggiunge Wayne.
“Gli stessi che hanno ucciso Esposito perché aveva esposto i poliziotti corrotti ai federali; e gli stessi poliziotti che hanno eluso la sorveglianza dell’FBI, corrompendola. E come se non bastasse, qualcuno ci sta minacciando per farci chiudere.” osserva Cho pensieroso. Forse il discorso più lungo che abbia fatto.
“C’è qualcuno di più potente in grado di minacciare l’FBI?” chiede Daniel, sorprendendosi della sua stessa domanda.
Kimball quasi si stringe a sé stesso, come se ritenesse la domanda un’offesa per la sua carica. Grugnisce qualcosa, poi alla fine risponde con un “Sì” sbrigativo.
Teresa si volta verso Patrick che è rimasto chiuso tra i suoi pensieri. Tamburella il dito indice sulle labbra.
“E tu non hai niente da suggerire?”
Lui scuote le spalle e sorride.
“Che c’è? Senza divano non sai pensare?”
Cho rotea gli occhi, mentre Grace e Wayne si guardano di sottecchi, sapendo che il teatrino è appena cominciato. Daniel si sente quasi spaesato. Non è abituato a scene del genere.
“Il divano mi aiuta a pensare, Lisbon, e credo proprio che mi andrò a distendere così potrò avere la mia ispirazione.”
Tanto per rendere la cosa melodrammatica, l’ex consulente stiracchia le braccia, si alza, fa il saluto militare ai presenti, e si va a distendere su quel divanetto tanto comodo, al centro del salotto.
“Chiamaci quando ti sarà tornata l’ispirazione!” lo punzecchia, ma nasconde il sorriso dietro le ciocche di capelli più corte, come le era solito fare ai vecchi tempi. Hope, sempre divertita dalle loro schermaglie, ride di gusto. Per un attimo, l’agente mora si è dimenticata delle altre persone intorno a loro, fino al momento in cui Parker si schiarisce la voce per attirare la sua attenzione.
Il sorriso sul volto si affievolisce per dar spazio ad un’espressione più seria.
“Dunque... Concentriamoci e dimentichiamo per un attimo di Esposito. Cho hai parlato di qualcuno più potente dell’FBI?”
“Sì. Ci hanno fatto evacuare giorni fa per un controllo. Probabilmente cercavano di capire i collegamenti di Diego Esposito con l’FBI e se qualcuno ci ha traditi.” Risponde sempre composto il coreano.
“Continuo a dire che dovremmo aggiornare la Dougherty e magari farci dare una mano... forse ha degli agganci che noi non abbiamo...”
“Mi spiace, Parker, ma per ora dobbiamo mantenere questa cosa tra noi.”
“Lavoravi così al CBI? È per questo che ve ne siete andati?” ora la voce del suo collega suona interrogativa, come al culmine di un’indagine.
“Il CBI è stato smantellato dall’FBI perché voleva risolvere il caso su Red John senza di noi.” Li interrompe Wayne, non sapendo esattamente il motivo per cui aveva dato quella risposta.
Non rispolverano quel nome da un po’ di tempo. Grace dà una gomitata al marito, Teresa guarda altrove, mentre Cho continua ad osservare Parker senza preferir parola. Perfino Patrick, disteso sul divano con un cuscino sulla testa, alla ricerca della sua ‘ispirazione’, sussulta.
“Fatemi capire... quindi chiuso il CBI, ognuno è andato per la sua strada? Però tu, Cho, sei andato a lavorare per l’FBI...” Daniel continua ad insistere sulla faccenda, ma è chiaro come il sole che i presenti non hanno molta intenzione di parlarne.
“E’ una lunga storia, Parker.” Teresa parla a nome di tutti aggiungendo solo un silenzio imbarazzante che rendono l’agente Parker ancora più un pesce fuor d’acqua.
“In ogni caso, ieri sera, poco prima della minaccia informatica, sono riuscita a localizzare le abitazioni dei nostri cinque sospettati.” Dice Grace cambiando discorso. Si siede accanto all’agente mora per porgerle un foglio bianco dove ha appuntato i nomi dei poliziotti corrotti, i loro indirizzi e perfino la mappa per arrivarci. “Non sono neanche molto distanti da qui. Magari possiamo dividerci e far loro qualche domanda.”
Teresa sorride, sentendo di nuovo quell’istinto materno farsi strada nella mente e nel corpo. Ormai quell’agente rossa che aveva imparato ad addestrare negli anni ha imparato a camminare da sola. Come sempre efficientissima.
“Buona idea. Ottimo lavoro, Van Pelt.”
“Ci sono!” la testa e poi le braccia del mentalista sbucano dal divano. Con essi, il cuscino che teneva sul viso viene sbalzato per terra. Il cuscino di raso! Teresa allontana lo sguardo chiudendo gli occhi. Poi cerca di mantenere la calma.
“Cosa?”
“Ho capito tutto.”
Grace segue lo sguardo irritato dell’agente mora. “Cos’hai capito?”
Patrick si alza dal divano e pieno di sé si avvicina al tavolo degli agenti con le mani in tasca.
“Perché Parker vuole avvisare il suo capo, l’agente Dougherty. Hai detto che ha degli agganci. Lo sai oppure lo stai deducendo?”
Gli occhi sono puntati su Daniel, tranne quelli di Teresa che fissano il suo mentalista severamente, quasi a trasmettergli un messaggio minatorio, che però lui ignora.
“Non lo so, sto solo immaginando...”
Patrick si prende del tempo per osservare il collega di Teresa. Sfrega le mani, probabilmente sudate. Sotto al tavolo, le gambe ballano. Sarà anche una persona timida e riservata sul privato, ma quando si tratta di lavoro sa fare domande a raffica. Eppure sente di aver paura di lui. Probabilmente perché sa, grazie al fascicolo di Teresa, di essere stato un sensitivo anni fa, e di aver chiuso molti casi della polizia di Sacramento, grazie alla sua caratteristica di ‘leggere le persone’.
Soddisfatto della sua lettura, il mentalista sorride e mentre osserva le sue espressioni facciali per l’ultima volta, trae le sue conclusioni.
“Ah, capisco. Ha fatto parte dell’FBI in passato... un passato molto recente... casualmente due anni fa... poi chissà come mai ha rinunciato per arrangiarsi ad essere un semplice agente a Santa Cruz.”
Teresa chiude gli occhi respirando profondamente. Sa che il suo consulente non ha mai sbagliato un colpo, ma si sente anche tradita in un certo senso. Possibile che in due anni non era riuscita a capire com’era il suo collega veramente, invece al suo ex partner ci erano voluti solo cinque minuti?
Si passa una mano sulla fronte, mentre Grace l’anticipa, capendo la sua volontà di non poter tenere sua figlia ancora in braccio. Si morde il labbro inferiore prima di formulare la domanda a Daniel.
“E’ vero, Parker?”
Di nuovo, l’agente in questione sente gli occhi puntati su di lui. Come in un interrogatorio. Congiunge le mani, poi le lascia andare.
“Ok, la Dougherty me ne aveva parlato una volta, ma non pensavo fosse importante...”
“Sei una spia quindi?” azzarda Wayne.
“Sentite, io non so niente!”
“E allora perché sei qui? A parte il fatto che sei innamorato di Teresa...”
“Jane!” l’agente mora avvampa e lo rimprovera per le sue strampalate ipotesi, ma lui non ci fa caso, come al solito, e continua a parlare.
“...magari ci stavi spiando così approfittavi del momento giusto per dire tutto al tuo capo.”
L’aria nella stanza inizia a riscaldarsi. Kim e Wayne si scambiano degli sguardi preoccupati, non sapendo se credere oppure no alle parole di Parker. Teresa ha bisogno di aria, quindi si alza dalla sedia, iniziando a camminare per la stanza.
“Ascolta, Jane, e... tutti gli altri. Qualche settimana fa, la Dougherty mi ha raccontato che per anni si era occupata di un caso riguardante un serial killer che tutti chiamavano Red qualcosa...”
“Red John?” chiede Grace, anche se la domanda sembra assurda. Trattiene Hope in braccio, che però reclama di andare dalla madre. L’agente mora si avvicina rispondendo alla richiesta della figlia.
Il mentalista poggia le mani sul tavolo e continua ad osservare Parker. Ora ha disteso le gambe che prima traballavano, e le braccia, come a volersi liberare di un peso.
“Esatto. Ed era un’agente federale a quei tempi. Aveva lasciato l’incarico quando aveva capito che le cose si erano incasinate e quindi si era trasferita a Santa Cruz. Poi, l’altro giorno, per caso mi sono imbattuto nel fascicolo che parlava di te, ed ero solo preoccupato per Lisbon, ecco perché sono venuto a casa sua.”
Con tutta tranquillità, nel suo camminare, Teresa si è avvicinata al mentalista. Poggia una mano sulla sua, mentre tiene saldamente Hope stretta a sé. Quel gesto così naturale, che sembra non creare grande scompiglio tra i suoi agenti. Tranne per Parker, che ha ancora quella sensazione di sentirsi fuori posto là in mezzo.
Patrick sposta lo sguardo sulla mano della sua non-tanto-collega, mentre cerca un nome per definirla.
“Jane, tu pensi che il mio capo sia dietro a tutto questo? Eppure non la vedo capace.” Gli chiede ingenuamente.
“Magari ha solo degli agganci, come dice il tuo amico. In ogni caso, sarà meglio controllare casa per casa i cinque poliziotti corrotti della lista.” La risposta dolce e tranquilla, riescono a rilassarla meglio di un massaggio..
“Certo, il capo sei tu!” scherza su, e questo commento lo fa voltare per ricambiare lo sguardo complice, e fare l’occhiolino a sua figlia.
Dopo aver ottenuto il ‘consenso’ dall’uomo di casa, Teresa torna a guardare gli altri, tutti incuriositi e divertiti dallo scambio di battute tra i due. Improvvisamente si sente piccola quando i suoi ex agenti appaiono tranquillamente seduti, uno accanto all’altro, con braccia conserte e gambe allungate. Hanno la sensazione di stare al teatro e di aver appena assistito ad un simpatico siparietto tra i due protagonisti di una commedia. La donna schiarisce la gola, cercando di sembrare seria e autoritaria. Tentativo che fallisce, dato che non si è mai vista una donna poliziotta con in braccio una bambina.
“Allora, io e Parker andremo a casa di Tony Frasier e John Laurent, Rigsby e Van Pelt da Ron Douglas e Alfred Morris, e Cho e Jane da Henry Speedman. Ci teniamo in contatto, e poi ci ritroveremo qui da me stasera per fare il resoconto. Tutti d’accordo?”
I cenni di assenso fanno il loro corso e ognuno prende posizione. Come un capo boy scout, Grace distribuisce le mappe dei poliziotti corrotti a chi di dovere deve andare a perlustrare le loro case.
Teresa prende l’agente rossa in disparte. Si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio parlando a bassa voce. “Sai a chi posso lasciare Hope? Chiederei alla mia precedente tuttofare, ma ha trovato lavoro e non voglio disturbarla...”
Grace sorride interrompendola. “Non dire nient’altro, può stare con i gemelli e la babysitter! Vi accompagno a casa sua.”
Solo un agente se ne sta in disparte. Daniel afferra il suo cellulare, dà delle occhiate agli altri, e inizia a comporre un messaggio. Ha l’aria preoccupata e indugia a premere per inviare il messaggio, ma dopo qualche secondo, forse pressato da Teresa che lo chiama, si decide a fare quel passo.
 
Quando Kimball e Patrick passano a casa dell’agente Speedman, sono sorpresi nel trovare una gran confusione al suo interno; quasi come se qualcuno li avesse preceduti. Poco dopo, il coreano si accorge che a nulla serve tenere in mano la sua pistola, poiché l’agente in questione giace inerme sul letto. Un corpo freddo, oltrepassato da un colpo di proiettile sulla fronte, che ha solo bisogno di essere rimosso.
Neanche i coniugi Rigsby sono fortunati. Sia Douglas che Morris risultano non abitare più nelle loro case, ed essersi trasferiti altrove. Tuttavia, Wayne insiste per controllare ulteriormente le loro case, magari approfittando di frugare nel frigo per rubare qualche panino, ma ha ragione; Morris viene trovato impiccato nella cantina sotto casa, Douglas sembra essersi sparato da solo alla testa.
 
Teresa riposa il cellulare nel giaccone, sconsolata. Sbuffa.
“Novità?” chiede Daniel, seduto sul posto del passeggero nella sua auto.
“Abbiamo tre sospettati morti. Ora dobbiamo vedere se gli altri due sono vivi. Questo caso è sempre più complicato.”
“Però Jane sembra il fatto suo...”
“In che senso?”
Il semaforo rosso li obbliga a fermarsi, così che lei possa guardarlo negli occhi e vedere l’esitazione nella sua risposta.
“Ti fidi di lui?”
“Ha chiuso tanti casi quando eravamo al CBI, quindi sì, mi fido.”
Lui ridacchia. “Non era esattamente a quello a cui mi riferivo.”
Il lampeggiare verde costringe Teresa a mettere la marcia per partire.
“Tu lo ami, non è vero? Insomma, nonostante quello che ti ha fatto in passato, tu continui a provare qualcosa per lui.”
La donna è titubante, cerca di evitare i suoi occhi guardando nello specchietto retrovisore.
Daniel è la voce della coscienza. Quella vocina che ultimamente le aveva chiesto se era quella la famiglia che voleva, e che ora le sta domandando se ha davvero intenzione di iniziare a costruirla proprio con quel suo ex consulente che ha odiato, ma amato allo stesso tempo.
“Jane è un idiota. Ha un modo tutto suo di risolvere i casi, ma alla fine ci riesce.”
L’agente continua a ridacchiare, scuotendo la testa.
“Continui ad evitare la domanda, ma va bene. Ho capito la risposta. Comunque secondo la mappa di Van Pelt, siamo arrivati a casa Frasier.”
Quando si introducono nell’abitazione, una grande villa con giardino, isolata dal resto del complesso di villini, il buio li avvolge. La lucetta che Parker porta con sé, non li aiuta. Teresa avanza con la pistola cautamente, ma va a sbattere contro qualcosa. Il suo collega la raggiunge facendole luce e scoprendo, con orrore, il corpo squartato di Tony Frasier. La donna trattiene un urlo.
Qualche minuto dopo, escono dalla villa, ma Teresa corre più veloce e raggiunta l’auto, chiama Patrick in preda all’agitazione.
“Anche Frasier è morto. Qualcuno ci sta anticipando.”
“Lisbon, sta tranquilla.”
“Come faccio a stare tranquilla? Jane, questa situazione è fin troppo familiare, non capisci? Qualcuno che anticipa le nostre mosse e uccide le persone chiave prima che possiamo raggiungerle... non ti ricorda nessuno?”
Un brivido colpisce il corpo del mentalista, scuotendolo dalla testa, percorrendo la schiena, e raggiungendo i piedi, che diventano freddi, di botto.
“Chiama gli altri, vediamoci presto a casa tua per aggiornamenti.”
“Manca ancora la casa di John Laurent...”
“Rimandiamo a domani.”
 
Il primo pensiero di Teresa va a sua figlia. Contatta Van Pelt per andare a prendere Hope, ma l’agente rossa pare agitata al telefono. Il battito cardiaco della mora va all’impazzata, iniziando a pensare al peggio.
Ad ogni passo che compie sul gradino del porticato, sente pulsare il cuore più forte. Un ritmo assordante che prosegue come un climax. A rallentatore, apre la porta di casa. Grace e Wayne tengono i gemelli in braccio, ma di Hope non c’è traccia.
“Dov’è mia figlia?”
Patrick la supera, Daniel entra per ultimo in casa. Il mentalista non dice nulla; si guarda intorno alla ricerca di indizi, un qualcosa che possa aiutarlo a capire cosa sia successo. Ma non trova niente.
“Dov’è Hope?” Teresa continua a chiedere disperatamente.
Kimball compare uscendo dalla camera della bambina. Scuote la testa negativamente quando incrocia lo sguardo dei due genitori in preda al panico.
Un cellulare squilla. Sembra proprio quello di Patrick, il che è strano, dato che nessuno, tranne i presenti, sanno che lui è negli Stati Uniti. Inarca il sopracciglio quando sul display non vede nessun numero segnato, quindi deglutisce intuendo già il contenuto della chiamata. Senza pensarci due volte, mette il vivavoce e resta in ascolta. Anche Daniel si è avvicinato per sentire meglio.
“Mi dispiace aver dovuto rapire una povera bambina innocente, ma capisci, Patrick, ci sono cose che bisogna finire, conti da risolvere, e il lavoro è solo il lavoro. Quindi fammi il piacere di incontrarmi sulle ceneri della tua vecchia casa di Malibu, e tieni Teresa e gli altri tuoi amici lontano, se non vuoi che venga fatto del male a tua figlia. A presto.”
La voce femminile al telefono li spiazza. È camuffata, perciò è impossibile riconoscerla. Patrick riprende il cellulare, restando sempre in silenzio. Grace rompe il ghiaccio.
“Posso rintracciare subito la chiamata, Jane.”
Lui alza lo sguardo lentamente. Gli occhi sono freddi quasi senza vita.
“Hai sentito che ha detto. Nessuno tra i piedi o uccidono Hope.”
Teresa si mette le mani nei capelli, incapace di pronunciare qualsiasi cosa. Forse qualche parola le riesce dalla bocca, ma viene soffocata dai singhiozzi e dalle lacrime. Patrick si avvicina alla porta, ma lei improvvisamente lo blocca.
“Non farlo, Jane.”
Lui la guarda senza nessuna emozione.
“Ascoltami. Qualcuno voleva me nel tuo caso solo per farlo uscire allo scoperto... e ora Hope è scomparsa...”
“No, Lisbon. Vogliono me, si è sempre trattato di me.”
Lei lo sta pregando. Gli prende le mani stringendole alle sue. “Jane, questa è una trappola... non andare... ti prego. Ti ho appena ritrovato, non voglio perderti di nuovo.”
Lui le afferra le spalle e la guarda serissimo. Gli occhi incontrano i suoi. “E io ho appena ritrovato te e Hope, e non voglio perdervi. Per questo dovete starne fuori.”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
In assenza del mentalista domenicale, arriva l'aggiornamento sabbatico.
Allora praticamente qui sta succedendo una strage...
Intanto Patrick non riesce a ragionare senza divano :p e continuano i suoi teatrini con Teresa, ormai hanno trovato un pubblico più ampio :p
Parker si sente un pesce fuor d'acqua, Wayne non rinuncia mai ad un panino anche durante una perlustrazione, Grace è diventata una super hacker, e Hope ha sciolto il cuore di Cho *-*
Ora ritornano le chiamate misteriose, le trappole... chi sarà mai ad avere rapito Hope? :O
Alla prossima *-*
D. :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cap. 12 ***




Cap. 12

 

Quando lascia l’appartamento, si sente avvolta da una strana sensazione di gelo.
Si stringe a sé, tenendo le mani ben salde sulle spalle. È rimasta a fissare la porta, da circa cinque minuti, sperando e pregando che lui l’avrebbe riaperta di nuovo. Invano.
Trattiene il respiro, poi lo rilascia lentamente, eseguendo il tutto nella maniera più semplice possibile. Finalmente si muove, posando una mano sulla superficie dello stipite della porta, come a voler sentire il contatto fisico di qualcosa di reale. Nella sua mente continua a ripetere che ciò che le sta succedendo sia soltanto un incubo dal quale presto si sveglierà.
Un’altra mano raggiunge la sua spalla, a ricordarle quella certezza che prima stava cercando.
“Lisbon...” l’amica ed ex collega del CBI sussurra il suo nome facendosi sentire a malapena dagli altri presenti nella stanza.
Quando Teresa si volta verso di lei lo fa compiendo dei gesti a rallentatore.
“Sto bene.” Le dice, quasi leggendola nel pensiero, ed è una risposta riferita più che altro a lei stessa.
“Chiamo i rinforzi per seguire Jane.”
“No, no!” Teresa blocca l’amico Kimball prendendolo per il braccio. Presa da un impeto adrenalinico, sente il corpo percosso da una scossa. Forse è quella giusta che le serve per tornare con i piedi per terra e rendersi conto che quello che sta succedendo è reale.
Il coreano la guarda fisso negli occhi e riesce a percepire quella scossa di consapevolezza che le ha cambiato espressione sul volto.
“Ha ragione, bos---Lisbon.” Dice Wayne assecondando l’amico, e poi si corregge subito sul chiamare ‘boss’ l’ex agente mora del CBI.
Daniel se ne sta in disparte, osserva da spettatore involontario la scena, senza muovere un muscolo.
“Voi non capite! Si tratta di mia figlia e di Jane! Non posso lasciarli da soli!”
“Non stai ragionando da agente di polizia...” insiste Cho, e per un attimo pare non capirla.
Teresa scuote la testa e molla la presa dell’amico.
“Ho passato tutta la mia vita a farlo. Io vado a cercarli, da sola.” Scandisce le parole una ad una, quasi a dare un comando. Guarda i presenti negli occhi, e coglie solo espressioni di compassione. Ma lei non vuole sentirsi in quel modo. Non vuole far pietà al suo gruppo; vuole fare la capobranco per tenere la situazione sotto controllo.
“Lascia che ti accompagni”, Daniel sembra avanzare dal buio, in realtà simbolico, della stanza. Tiene le braccia incrociate all’altezza del petto. “Ti servirà almeno un rinforzo, o un’esca, insomma per qualsiasi cosa.”
La donna alza la testa indicandolo. “Non insistere, Parker. Non ho voluto i miei ex agenti migliori, e non voglio neanche te. Questo è un affare personale, è la mia battaglia, e devo vedermela da sola.”
Finisce il discorso, forse un po’ duramente, ma ha dovuto farlo. Afferra la fondina, non prima di essersi assicurata che la pistola sia carica.
Wayne è lì sul punto di dire qualcosa. Le parole sono sulla punta della lingua, ma non riescono ad uscire. Un po’ bloccate dall’emozione e dalla paura, un po’ perché Grace lo sta trattenendo, stringendogli il braccio. Teresa lancia un’ultima occhiata alla sua squadra e quel senso di maternità si fa sentire più forte. Ha subito un flashback di quando suo padre fece la stessa cosa anni addietro.
Aveva afferrato il suo borsone, aveva guardato i suoi tre figli per l’ultima volta. Teresa che stringeva a sé i suoi due fratellini, trattenendo le lacrime, e già allora, non ancora adolescente, si sforzava di sembrare grande. Perché i grandi non piangono. E lei non voleva piangere. Voleva essere forte per ciò che restava della sua famiglia.
Tornata con la mente al presente, si volta verso la porta e abbandona la sua casa, silenziosamente.
Cala il silenzio tra il team restante, spezzato quando la rossa decide di prendere il posto di Teresa, mettendosi davanti agli altri tre.
“Ragazzi, lasciamola andare. Ha ragione. Al cuore non si comanda, e finalmente Lisbon ha iniziato ad usare quella parte che in passato non lasciava andare molto spesso.”
“Quindi vuoi lasciarla andare da sola?” le chiede suo marito, avanzando verso di lei.
Grace si morde il labbro quasi a voler rivelare un segreto.
“Non proprio. Saremo i suoi rinforzi ovviamente. Mentre voi ve ne stavate a discutere, io mi sono permessa di attaccare un GPS nel cellulare di Lisbon.”
“Come hai fatto, scusa?”
“Quando ti sei avvicinata a lei poco fa, dico bene?” risponde il coreano, avendo capito in anticipo.
Grace non si trattiene e sorride, mostrano loro la sua ultima ‘creatura’ tecnologica: un cellulare predisposto apposta per localizzazioni GPS.
“So di aver giocato sporco, ma conoscendo la nostra Lisbon, era meglio prevenire!”
Adesso è Wayne ad esplodere di gioia. “Ho sposato un genio!”
L’esplosione si trasforma in un caloroso abbraccio tra i due coniugi. Lui se la coccola come se fosse un pupazzo da strapazzare. Kimball cerca di fare l’indifferente nascondendo la commozione, e non può fare a meno di pensare alla piccola Hope che gli aveva sciolto di poco il cuore.
Torna serio. No, non possono perderla. Devono fare assolutamente qualcosa per salvarla e riportarla a casa.
“Ok, basta piccioncini, abbiamo del lavoro da fare.”
Daniel sente ancora quel senso di essere di troppo, ma allo stesso tempo è agitato perché vuole rendersi utile e fare qualcosa. Si strugge, giocando con le mani. Neanche lui vuole che accada qualcosa a Hope. Dopo tutto, forse a causa del suo nome, ha portato un po’ di speranza in ognuno di loro.
“C’è qualcosa che posso fare?”
“Parker, tu puoi anticiparci e seguire adesso Lisbon. Ti do l’indirizzo di casa di Jane non appena il GPS capterà il segnale.” Dice Grace e gli scrive la via e le indicazioni su un foglio di carta, che poi gli porge.
“Ti raggiungiamo dopo con i rinforzi.”
 
La sua vecchia casa è un cunicolo di cenere, pezzi di carta bruciacchiati, pelletteria dei mobili rimasti gettata a terra come spazzatura. È quel che rimane di un’abitazione senza corpo né anima, da quando Red John l’aveva fatta esplodere due anni fa, e lui ci aveva quasi rimesso la pelle.
Deglutisce avvicinandosi con cautela, quasi temesse di distruggere anche quelle piccole briciole rimaste che lo legano alla sua vita precedente.
Maledice sé stesso per non aver portato neanche un giaccone dietro; è notte fonda e sta morendo di freddo. Cerca di non pensare alla bassa temperatura stringendosi nella vecchia giacca che indossa.
Si tocca le tasche. Non c’è traccia, neanche minima, di una lucetta, un accendino. Sbuffa, tornando a incrociare le braccia al petto nel tentativo disperato di riscaldarsi.
Alza la testa e la vede. Quella piccola lampadina accesa nella sua vecchia cantina – ammesso che si potesse ancora chiamare in quel modo, dato che era rimasta anch’essa mezza bruciata dall’esplosione – che a getti si accende e si spegne. Si avvicina adagio, cercando di sbirciare dal vetro appannato e bruciacchiato, finché esita a girare la maniglia della porta. Qualche secondo dopo, è dentro.
Scatoloni ovunque. Scuote la testa perché non ricordava di aver gettato tante di quelle vecchie cianfrusaglie in quella cantina. Scorge qualcosa di famigliare... è la culla di sua figlia Charlotte. Sembra ancora in perfetto stato di conservazione. Crudele è stato il tempo; ha portato via la sua casa, ma ha lasciato intatto uno di quegli oggetti che gli avrebbe spezzato il cuore.
Con gli occhi lucidi e quella sensazione di freddo peggiore di prima, raggiunge la culla. C’è un fagottino avvolto in un lenzuolo bianco. I ciuffetti biondi spuntano da fuori.
“Ben arrivato, Jane.” La voce dietro di lui è femminile, ferma e sicura di sé.
Si volta di colpo per vedere il volto della donna. In mano impugna una pistola, puntata saldamente verso di lui. Recepisce il messaggio, quindi di risposta lui alza le braccia verso l’alto.
La donna è di corporatura normale, non tanto alta. Indossa un tailleur, tacchi bassi, e dall’abbigliamento, Patrick intuisce che deve essere una persona di alto calibro. Forse un agente di polizia, o semplicemente un avvocato. Anche se di nemici se ne era fatti abbastanza durante il suo periodo come consulente al CBI, una donna di legge che motivo avrebbe di prendersela con lui e una bambina innocente?
“Non preoccuparti, Hope sta bene. L’ho fatta addormentare. Non toccherei un bambino con un dito.”
“Certo, come potresti? Da quel cerchietto bianco sull’anulare sinistro si intuisce che eri sposata con qualche figlio... due anzi. Quindi sei tu? Sei tu che hai ucciso i cinque agenti di polizia corrotti?”
Lei accenna a un sorriso divertita. “Sei bravo, proprio come mi avevano detto.”
“Chi te l’ha detto?”
“Quelli che hanno avuto a che fare con te.”
“Posso sapere chi sei, oppure saltiamo le presentazioni?”
Adesso lei si sta muovendo avanti e indietro per la piccola stanza. La pistola viene riposta in basso, così anche Patrick può prendere un sospiro di sollievo, breve ma intenso, e riposare le braccia. Lancia un’occhiata a Hope nella culla, poi torna a concentrarsi su di lei.
“Credo che il mio nome non sia importante.”
“Ok, quindi visto che abbiamo tempo, perché non mi spieghi il motivo che ti ha spinta a uccidere cinque agenti a mano nuda?”
Stavolta è lei a soffermarsi su di lui per guardarlo dritto negli occhi. La pistola è ancora in mano, ma la porta dietro la schiena, accompagnandosi con l’altra mano. Inclina la testa in maniera così teatrale da far presupporre che sia fatta di metallo.
“Tu davvero non ti ricordi di me, ma io sì. Anni fa, ero a comando dell’FBI. Ho lavorato con Raymond Haffner e Reede Smith, tanto per citare qualche nome. Avevo io il controllo sul caso Red John, ma ‘qualcuno’ me l’ha soffiato da sotto gli occhi... La mia carriera era ad un punto morto... Ero vista come il fallimento dell’intera organizzazione.”
“Oh, mi dispiace.” Risponde lui fingendo dispiacere.
La donna ignora la sua battutina, continuando a parlare. “Così volevo fargliela pagare a questo ‘qualcuno’.”
“Fammi indovinare.” Patrick porta l’indice destro sul mento, reggendo il gomito con l’altra mano. La sua classica posizione da pensatore. “Approfittando della mia fuga dal CBI, ti sei messa sulle mie tracce. Hai incaricato quegli agenti di cercarmi e incastrarmi con quel traffico di droga. Una vendetta professionale, sono sorpreso. Di solito chi mi dà la caccia vuole uccidermi. Solo non capisco una cosa. Come facevi a sapere che ero tornato negli Stati Uniti?”
Una sensazione di gelido li attraversa. Ci vuole poco per rendersi conto che il freddo è reale.
“Ferma, non ti muovere! Posa la pistola a terra e mani in alto!”
La sua principessa arrabbiata è arrivata a salvarlo, come di consueto. Con un calcio, la minuta agente di polizia ha aperto la porta della cantina ed è entrata puntando la pistola, stretta tra le mani, contro la donna che ha rapito sua figlia. È in quella frazione di secondi, tra l’irruzione e il salvataggio, che i due si scambiano un tenero sguardo. Lei, apparentemente scossa, arrabbiata ma anche felice, lui sempre con lo sguardo a metà tra il cane bastonato e il cucciolo smarrito in cerca di perdono.
Improvvisamente, l’agente mora corruga la fronte e lentamente abbassa la pistola. L’orrore è dipinto nel suo volto. Il respiro le si fa affannoso appena guarda negli occhi colei che ha rapito sua figlia. Ed è in quel momento che la riconosce.
In risposta, quest’ultima fa un semplice sbuffo, fingendo un rimprovero, ma il suo mezzo sorriso la tradisce; sta giocando come un’esperta criminale. Inclina la testa verso Patrick, sorprendendosi.
“Ti avevo detto di venire da solo e di non avvertire Teresa.”

 

Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Chiedo immensamente venia per il ritardo, (sto passando un periodaccio, ma chi non sta come me?!) ma come dice la mia amica Clarissa "Sono meglio della CBS", quindi alla fine è arrivato prima il capitolo dell'episodio 6x13... perciò meglio di niente XD
Quindi giochiamo ad acchiapparella... Patrick è rincorso da Teresa, che è rincorsa da Daniel, che a sua volta è rincorso dai fantastici 3... chi arriverà per primo? Ovviamente Paddy, che non solo deve subirsi la culla intatta di sua figlia Charlotte (RIP) per uno scherzo del destino, ma poi la lista dei suoi nemici si è allungata con questa misteriosa donna!
Chi sarà mai?! Andiamo a vedere... e qualcuno può chiudere la porta che fa freddo??
Visto Reb, i bambini non si toccano ;)
La vostra malata di mente vi saluta, buon lunedì e buon Tredicesimo Apostolo (a chi lo vede) :*
D.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Cap. 13 ***




Cap. 13

 

“Ma tu... come...” ripete più volte, lentamente, restando con la pistola puntata verso di lei. Guarda la figura davanti a sé, scuotendo la testa, assicurandosi che sia davvero quella persona che pensava di conoscere così bene.
Cercando di capire ciò che sta succedendo, getta uno sguardo al mentalista, per nullo scosso, anzi. Appare rilassato, come tranquillo che le cose si risolveranno nel migliore dei modi. I suoi occhi sembrano dire, Tranquilla, Lisbon. Abbiamo affrontato di peggio. Poi alza le spalle e gli fa segno di guardare dietro di lui. È lì che lei la vede.
La culla.
Una culla che non conosce, certo, ma... quando vede una figurina mettersi in piedi e sorriderle, non curandosi minimamente di ciò che succede intorno a lei – lo stesso caratterino del padre, tanto per intenderci – … quando sente gemere e chiamare il suo nome, Teresa non ha più dubbi. Il nome le esce come un sospiro.
“Hope.”
La donna pare impaziente. Si sente solo il ticchettio dei suoi tacchi per terra, come se aspettasse la sentenza di morte.
“Polizia! Mani in alto!” dietro Teresa spunta il suo collega, che le si posiziona accanto.
L’impazienza della rapinatrice si trasforma in stupore, rappresentato da un grande punto interrogativo sul volto, appena incrocia lo sguardo dell’altro agente.
“Parker?”
Improvvisamente la cantina sembra riscaldarsi. La situazione assume quasi il tono del comico. Hope se ne accorge e inizia a saltellare dalla culla, come se volesse partecipare anche lei al divertente teatrino. Teresa torna a respirare quando vede che la sua bambina sta bene.
Patrick rotea gli occhi, forse infastidito dalla presenza di Daniel.
“Grandioso, c’è anche Parker con te!”
Lui però ignora completamente la frecciatina, tornando a fissare la rapinatrice. Lentamente sente le braccia abbassarsi, al contrario di Teresa che continua a puntare la sua fidata arma.
“Capo... cosa...”
“E’ il vostro capo?” chiede Patrick completamente spaesato.
“Samantha Dougherty.” Aggiunge Teresa. Quando pronuncia il suo nome, c’è uno scambio di sguardi tra lei e il suo superiore. L’agente mora pare quasi delusa, l’altra donna invece resta fredda, come per trasmetterle che quello è il suo lavoro, e ha dovuto farlo.
“Io non capisco.” Dice Teresa scuotendo la testa. Si massaggia la tempia, cercando di trovare una spiegazione plausibile, ma al momento non sembra tirar fuori nessuna idea.
“A proposito, Parker grazie per il messaggio e per avermi avvisato che Patrick Jane era tornato.”
Meccanicamente Teresa ruota la testa verso il suo collega, chiedendogli scioccata “Sei suo complice?!”, per poi essere bruscamente interrotta dalla Dougherty.
“Non accusarlo, Teresa. Lui pensava solo di fare una buona azione avvisando il suo superiore.”
A Patrick scappa una risatina, mentre si sistema accanto alla culla di Hope.
“Io pensavo ci fosse Parker dietro a tutto questo... ma non poteva essere dato che è innamorato di Lisbon...”
“Quindi sei stata tu a volermi sul caso di Jane... perché ti eri informata su di me e sapevi che prima o poi ti avrei condotta da lui...” le dice Teresa, ignorando completamente il suo consulente.
È ancora scioccata dalla notizia, ma ciò non le impedisce di continuare ad avanzare verso il suo capo... se è davvero giusto definirla ancora il suo capo. Inutilmente, Daniel le sfiora appena il braccio per impedirle di fermarla.
Teresa è a pochi passi da Samantha. Tiene l’arma stretta tra la mano, sempre nella sua direzione, ma ora anche il suo boss reagisce tirando fuori dalla tasca la pistola e puntandola contro di lei.
“E se non l’avessi fatto tu, ci avrebbe pensato Parker, visto che è così preso da te e dal suo senso di giustizia, e questo l’avrebbe portato a compiere la cosa giusta. Ovvero, avvisare me sul tuo piano segreto, Teresa.” Samantha inclina la testa e le fa un sorriso sornione. “Patrick Jane doveva pagarla. Per anni sono stata al servizio dell’FBI. Ero un’agente rispettata da tutti, vigile e brava nel suo lavoro. Poi è arrivato lui che ha voluto strafare con i suoi metodi, prendendosi il caso su Red John, che faceva gola a tutti, fino a catturarlo e ucciderlo. Capite che per un’organizzazione forte come l’FBI, questo era un oltraggio. Un civile che riesce a prendere un serial killer... cose dell’altro mondo! Quando poi ho saputo che lui era partito, mi sono organizzata per trovarlo e incastrarlo in qualche modo... e il resto della storia, beh, penso la conosciate...” Sembra quasi sincera quando parla. “Credimi mi dispiace per come siano andate le cose, perché in fondo sei una brava poliziotta, ma ammettiamolo. Non avresti mai avuto un futuro con uno come Patrick Jane.”
Quell’ultima frase la ferisce e la costringe ad abbassare le braccia, tenendo l’arma lunga le gambe. Il gelo s’impossessa di nuovo della cantina. Un attimo scandito solo dagli sguardi tra l’agente mora e il suo superiore. Teresa sente le gambe tremolanti; barcolla in preda al nervoso. E poi scoppia.
“Tu non lo conosci. E comunque perché prendertela con mia figlia?”
“Era l’unico modo per tenere una trappola al tuo fidanzato.”
La parola ‘fidanzato’ le provoca un imprevisto ticchio all’occhio che sparisce subito, sostituito da un battito irritante di ciglia appena sente il suo consulente fare del sarcasmo.
“Posso parlare anche io visto che sono l’unico qui non armato?”
“Jane, sta’ zitto.” La risposta arriva secca, ma non senza un pizzico di divertimento nel ritrovarsi a dargli ordini.
Posa gli occhi su di lui che con la mano le fa segno di chiudersi la bocca con la zip. Daniel si passa una mano sulla fronte, che non è per nulla sudata, in segno di lieve imbarazzo.
Nessuno si accorge che nel frattempo due piccole manine si sono fatte strada da sole, scendendo dalla culla lungo la lunga copertina rosa che arriva a terra. È uno spasso per lei scendere attraverso quel lembo soffice, che le pare quasi uno scivolo. Si tiene in piedi con forza, anche se barcolla, ma è ai suoi primi passi. Divertita, riesce a sfuggire allo sguardo del padre, probabilmente troppo occupata a guardare, con occhi sognanti, sua madre dall’altra parte della stanza.
Samantha, invece, prende un gran respiro e prepara la pistola, assicurandosi che sia carica. Con un rapido gesto della mano, arretra e manda avanti la molla della rivoltella.
“Comunque, basta chiacchierare. Ora temo di dovervi far fuori tutti.”
Velocemente, si avvicina al mentalista, lo afferra per il braccio e lo costringe a mettersi davanti a lei, così che Samantha possa puntargli la pistola contro la tempia. Porta quindi l’altro braccio avanti al suo collo così da stringerlo a sé. Gli occhi di Teresa si riempiono di terrore.
“Jane!”
“Lascialo stare, non c’entra niente!” urla Parker, prendendo le difese di Patrick.
“Devo eliminarvi uno ad uno, non capite? Nessuno deve dire quello che ho fatto!”
“Tu sei malata.” Dice Teresa scuotendo la testa.
Entrambi gli agenti puntano la pistola contro di lei, ma la mora guarda il suo ex consulente trattenuto a forza. Sente le mani sudare quasi come avesse paura di perdere l’arma dalle mani da un momento all’altro. Sembra che Samantha stia stringendo ancora più forte il braccio contro il suo collo.
Daniel fa un passo in avanti come se cercasse di raggiungerla.
“Cerchiamo di ragionare...”
Patrick e Teresa si scambiano degli sguardi d’intesa, nella speranza di riuscire ad avere una qualche connessione mentale.
E poi quella piccola figura appare così vicina al suo ex consulente e al suo ex capo. Teresa spalanca gli occhi e inclina la testa. Sta forse sognando. Patrick segue il suo sguardo, o almeno ci prova, perché muovere la testa mentre qualcuno ti sta tenendo fermo è abbastanza complicato.
Samantha blatera qualcosa di incomprensibile alle sue orecchie, perché Teresa nota le braccine di sua figlia avvolgere la gamba del padre e improvvisamente si dimentica del tempo e dello spazio intorno a lei. Lui ha un sussulto appena riconosce il tocco soffice di quelle manine sulla stoffa dei suoi pantaloni. La Dougherty smette di parlare e guarda le espressioni assenti sui volti di Teresa e di Daniel.
“Ma che diavolo...”
Poi accade tutto in un attimo. Come Samantha sposta lo sguardo in basso per vedere la piccola Hope abbracciare suo padre, lui sfugge alla presa della donna e con un rapido gesto afferra sua figlia e la protegge buttandosi a terra su di lei.
La notte s’illumina quando le luci dei fanali di auto delle forze dell’ordine irrompono sulla scena con prepotenza.
Si sentono varie voci, tra cui un “FBI, armi a terra!” e “Non muovetevi!”
Samantha molla la presa e cerca di fuggire da un’uscita posteriore, ma Teresa e Daniel fanno a gara a chi riesce a raggiungerla per prima e metterle le manette, quindi bloccarla.
“E’ finita, boss. Adesso confesserai tutto all’FBI che ti è tanto caro.” Fa Teresa con una smorfia. Soddisfatta e sollevata che l’incubo sia finito.
Daniel le sorride con un cenno della testa e conduce fuori l’ex capo in manette.
I primi ad entrare in cantina sono Kimball, Grace e Wayne. Si fanno avanti impugnando le pistole, che prontamente nascondono quando notano che la situazione è sotto controllo.
Teresa aiuta Patrick e Hope a rialzarsi. Dà una pacca sulla sua camicia, aiutandolo a togliersi la polvere di dosso. Si morde il labbro perché sembra che ci stia quasi prendendo gusto ad accarezzare il suo petto. Lui la guarda sorridendo e le afferra le mani, portandole intorno al collo; fa quel gesto nel modo più normale possibile e a lei sembra piacere. Poi le cinge la vita con le braccia. Non si dicono niente, ma preferiscono guardarsi e godersi il momento.
Hope gironzola intorno a loro due, quasi creando una sorta di cerchio per isolarli dal resto del mondo. Poi corre in braccio da Grace.
La rossa sorride accogliendola e le sussurra “E’ tutto finito, piccola”, mentre Wayne si avvicina per toccarle le manine. Si gira verso Kim, rimasto con un piede dentro e uno fuori la cantina; il coreano è indeciso se seguire l’arresto o restare con la bimba. Hope pare suggerirgli la risposta quando lo guarda e gli sorride.
 
L’agente mora si avvicina al finestrino dell’auto dell’FBI per guardarla un’ultima volta.
Il suo ex capo. Trasformata in un mostro, a quale scopo? Solo per cercare una vendetta personale e professionale, e passare la vita a rovinarsi la carriera.
Samantha Dougherty è passata dall’essere una persona che lei rispettava a una criminale e un mostro. Non riesce a mostrare disgusto per essersela presa con una bambina. Non prova neanche rabbia per aver quasi ucciso il suo ‘fidanzato’. Forse l’unico sentimento restante è la pietà... pietà per quella donna che tanto aveva stimato.
“Non preoccuparti Teresa, qui me ne occupo io.” Daniel appare come un fantasma sbucando dal nulla. Si contrappone tra lei e la Dougherty come volesse chiudere letteralmente una porta sul passato.
Ha capito tutto. Il suo posto non è lì ad occuparsi di giustizia; adesso ha i suoi affari famigliari da risolvere.
Le sorride per lasciarla andare.
“Sicuro?”
“Sì, posso cavarmela con l’arresto e l’interrogatorio. Ti prometto che non sarà più a piede libero per almeno una ventina d’anni.”
Teresa ricambia il sorride. Ha capito anche lei. Quindi si allunga per abbracciarlo brevemente. “Grazie.”
Subito dopo però si morde la lingua tornando a maledire il suo istinto materno che la lascia abbracciare chiunque. Cammina verso Grace che sta compilando dei moduli per la sua agenzia investigativa.
“Van Pelt, hai visto Jane?”
La rossa alza la testa. “Laggiù.”
Teresa raggiunge quell’uomo di spalle, che riconosce dai ricci biondi, appoggiato ad una volante della polizia. Con una coperta addosso, ogni tanto lo vede alzare di poco lo sguardo per salutare con un cenno di capo gli agenti che l’hanno salvato. La distanza tra lei e lui le appare così irraggiungibile da avere l’impressione che stia scappando.
“Jane! Jane! Dove stai andando?”
Pensavi di fuggire di nuovo da me? Vorrebbe aggiungere, invece si ferma e sorride quasi commossa quando lui si volta tenendo Hope in braccio. La piccola agita le mani per salutarla.
“Mamma mamma!” cerca di mugolare la piccola.
“Pensavi me ne stessi andando via?”
Teresa dilata le pupille, stupita, chiedendosi come faccia sempre a leggerle nel pensiero.
“No!” si affretta a dire, ma il tono troppo acuto della voce la tradisce.
“Non me ne vado più, che ti piaccia oppure no.”
Teresa resta impallidita, non aspettandosi una risposta del genere. Il tono della sua voce è calmo e deciso. Hope interrompe il momento toccandosi il pancino che sente brontolare.
“Mamma... fameee!”
“Hai ragione, tesoro, è stata una giornata lunga...”
Hope allunga le braccia e si lascia andare poggiando la testa sull’incavo del collo della mamma. Con una mano, si mette a giocherellare con la collanina della croce.
Teresa sente il cuore batterle forte e si chiede se non stia avendo un attacco di panico. Probabilmente si risponde che la sua è soltanto paura di affrontare l’argomento che più le sta a cuore. Alza lo sguardo verso il suo interlocutore.
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?”
Patrick si stringe la coperta a sé, guadagnando tempo. Apre la bocca pronto per parlare, invece emette un suono indistinto.
“Ho pensato a fuggire, ancora una volta. Avevo perfino chiesto a Parker di prendersi cura di te e di Hope, ma dopo stasera… Poteva finire male, Teresa. Potevamo perdere Hope.”
Oh, Jane... Ma non è successo. Le parole che pensa alla fine non riesce a buttarle fuori. Fa la sua espressione imbronciata, invece.
“Tu cosa?! Ti sei bevuto il cervello? Io non voglio nessun altro vicino a me, voglio solo...” e poi lo guarda, non completando la frase.
“Quello che voglio dire è che...” che cosa le prende? Non riesce neanche a parlare come dovrebbe!
D’un tratto le pare tutto più chiaro. Guarda se stessa, Hope e lui.
È questa la famiglia che voglio?
Sorride a malapena, ma è quel poco che basta per convincerlo a restare. Ci pensa il suo contatto a fargli venire le farfalle nello stomaco. Gli poggia una mano sul braccio e si avvicina a lui ancora di più. “Tu non hai idea di ciò che significhi per me.”
In quel momento vorrebbe fregarsene della gente che li circonda per attirarla a sé, baciarla, ma anche solo stringerla... eppure sente che non è giusto farlo. Non ancora. Quelle parole, invece, sono uscire fuori proprio al momento giusto. La guarda chiedendosi se le abbia dette veramente, e se lui se le merita dopo tutto quello che è successo. Preferisce fare un semplice gesto. Senza staccarle gli occhi di dosso, posa saldamente la mano sulla sua.
“Vogliamo ricominciare da capo? Andarci piano?”
Teresa sente la stretta sulla mano farsi più intensa, come se lui volesse suggellare un patto.
“Facciamo che vengo a stare da te per qualche giorno, almeno finché non trovo una sistemazione, e poi vediamo come va.”
“Siiiiiiiiii!” Hope grida, alternando le vocali con gli sbadigli. È su di giri.
Teresa trattiene una risata. “Qualche giorno?”
“Poi magari mi piacerà stare così tanto sul tuo divano che dovrò prenderci fissa dimora. Forse mi stancherò pure di passare le nottate lì sopra e dovrò scegliere un altro posto più caldo.” Lascia cadere la frase lì, senza andare oltre, anche perché la mora gli ha appena pestato il piede, tanto per ricordargli che c’è una bimba con loro.
“Certo... dopo tutto potrebbe servirmi anche un cuoco per casa.”
“Allora abbiamo un accordo!”
“Grandioso!”
Decidono di voltare le spalle all’ingorgo di volanti e auto della polizia e dell’FBI. Lui abbandona la coperta a terra, non sentendo più il freddo addosso. Una sensazione di caldo lo avvolge e capisce che può tornare a sorridere di nuovo, lasciandosi alle spalle quella sensazione di congelamento e abbracciando questo nuovo calore che percepisce accanto alla sua agente preferita, che lui tanto ama, augurandosi un giorno di trovare le parole per dirglielo.
Posa il braccio intorno alle spalle minute di Teresa, la quale sorride felice, dopo aver trovato la risposta alla sua tormentata domanda. Patrick si avvicina al suo orecchio.
“Sai, pensavo che Hope Jane suonerebbe bene all’anagrafe. Che ne dici?”
Non sarà la famiglia perfetta, quella che lei ha sempre sognato. Ma è pur sempre un inizio.
Anche prendersi per mano in quel momento, e camminare lentamente verso caso. Dopo tutto, avevano promesso di andarci piano in tutte le piccole cose.
 
 

Angoletto dell’autrice (poco) sana di mente:
Lo so, lo so, lo so... scusate terribilmente per il ritardo ma avevo il blocco dello scrittore! T__T
Finale un po’ così, niente lieti fine eccessivi, ma neanche è andata a finire male... ricordiamoci che è un angst :p
La cattiva è stata arrestata, e tutto è bene quel che finisce bene, no? :p
Jane e Lisbon non li vedo farsi troppe romanticherie, quindi niente baci o carezze eccessive. Diciamo che per ora i due tontoloni si prenderanno del tempo per recuperare quello che hanno perso in due anni. Qualcuno vuole suggerir loro da dove devono iniziare?
Hope non ha ‘parlato’ molto nella storia, ma ho lasciato sempre sottintendere che sotto i versetti e i gemiti stesse in realtà pronunciando delle parole. Qui, non solo ha imparato a camminare da sola, ma l’ho lasciata anche ‘parlare’  e salvare la situazione... piccole Jane crescono :p
Grazie a tutti quelli che hanno letto\recensito\preferito la fanfic, è stata una sorpresa ogni volta leggere persone nuove che seguivano la storia *-*
Detto ciò, alla prossima fanfic, e dai che lo hiatus è quasi finito e The Mentalist si avvicina *-*
D. <3

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2285614