Amore e Famiglia di Symphonia (/viewuser.php?uid=203230)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 1 *** I ***
I
Le dita scivolavano
armoniosamente sul pianoforte, così come il cavallo
cavalcava velocemente tra le fronde. La melodia accompagnava i passi
felpati tra le mura e lo sguardo indiscreto del fratello che
s’accingeva a sbirciare nella sala del pianoforte la sorella,
una graziosa figura dai lunghi riccioli castani, seduta a suonare.
Entrò nella luminosa stanza e aspettò
pazientemente alle sue spalle, ascoltandola in silenzio. Dovette, in
effetti, aspettare un bel po’ - fino alla fine del brano per
la precisione - che lei si alzò e lo sgabello
trovò le gambe del giovane ad ostacolarlo.
“Matthew!” esclamò voltatasi.
Finalmente, e con smisurato stupore e felicità, si
buttò fra le sue braccia dandogli il bentornato. Il ragazzo
non ci mise molto a slegarsi, ridendo, da quell’abbraccio e
la portò alla vetrata per farle vedere la carrozza che si
avvicinava sempre più alla maestosa dimora. Allora lei
sussultò e tirò il fratello per il braccio,
correndo per la stanza accanto e poi nel corridoio principale che li
avrebbe condotti all’entrata. Durante la corsa travolsero
letteralmente un paio maggiordomi, cinque cameriere e per poco la
governante, che continuava a strillargli dietro di mantenere un
po’ di decoro anche in casa.
Loro ridevano e passarono vicino a molte stanze, strillando:
“E’ tornato! E’ tornato!”
Un paio di deliziosi volti sbucarono fuori dal salottino di
lettura, mentre un’altra si apprestò a scendere,
ad una velocità vertiginosa, la parte destra della doppia
scalinata che dava sull’atrio. Corsero verso
l’entrata senza prestare la minima attenzione al magistrale
affresco del soffitto che le aveva sempre tanto incantate. Dietro di
loro le seguiva il fratello e più dietro ancora, con passo
più delicato ma comunque frettoloso, la padrona di casa.
Si fermarono a pochi metri dall’uscio, lasciando lo
spazio necessario ai domestici di aprire la porta per far svelare la
loro sorpresa. Nell’attesa si risistemarono
l’abbigliamento sotto lo sguardo divertito del fratello, che
venne poi sospinto verso la parte opposta, e si schiarirono la voce,
cercando di non ridere troppo per l’emozione. La madre le
raggiunse e le approvò tutte con un amorevole sorriso.
Le porte si aprirono ed un’austera, elegante ed
affabile figura entrò con passo deciso, leggendo il mittente
di una lettera appena ricevuta. Quando alzò lo sguardo e si
ritrovò la famiglia di fronte, la madre intonò un
la e le altre figlie la seguirono e cantarono una canzone di bentornato
al padre e al fratello, che nell’udire un simile coro
angelico, sorrisero e applaudirono entrambi.
Alla fine le ragazze si scambiarono degli sguardi complici e,
perdendo il contegno ripreso da poco, andarono ad abbracciare i due
uomini di casa calorosamente, mentre la madre non poteva fare a meno
che ammirare compiaciuta e felice la sua famiglia. Era ricorrente che
le sorelle Darcy al ritorno dei, a volte lunghi, viaggi del padre
scoppiassero in simili dimostrazioni di dolce affetto.
“Com’è Londra,
papà?” domandò la più
giovane, Grace.
“Il viaggio è stato
piacevole?” fu più cordiale, Cecilia.
“Che notizie ci porti?” fu il turno di
Gwendolyn.
“E’ tutto come al solito.”
sentenziò il padre accennando un sorriso malizioso alla
madre. “Voi invece che cosa mi raccontate?”
“E’ tutto come al solito!”
risposero le signorine in coro e ridendo lo precedettero in uno dei
tanti salottini.
Era un modo ironico e divertente per non soffermarsi
nell’atrio a chiacchierare e poter spendere così
il pomeriggio e la sera di fronte al caminetto a parlare di tutte le
piccole avventure vissute quotidianamente. I due coniugi rimasero a
guardarle sorridenti e il figlio porse alla madre il braccio per
accompagnarla. Lei accolse il gesto premuroso e presero a camminare nel
corridoio seguiti dal padre.
“Come state, madre?”
“Molto meglio rispetto a quando eri partito,
Matthew.” rispose sorridendogli.
“I primi mesi sono sempre i più
duri!” insinuò il ragazzo con un tono alto
abbastanza da farsi sentire dal padre.
La madre invece non poté non convenire e non
riuscì a non buttare un occhio al marito, che scuoteva la
testa con finta rassegnazione. Proseguirono per un po’ e la
madre osservò attentamente colui che un tempo era il suo
bambino.
“Ti trovo cresciuto.” osservò
poi con un pizzico di malinconia.
“Trovate?”
La donna annuì. Ormai l’aveva
praticamente raggiunta in altezza, gli erano cresciute le basette
così come i capelli castani, lasciati cadere lungo il collo
e presto avrebbero raggiunto le spalle. Il viso s’era fatto
più adulto, nonostante il mento ancora da ragazzo e gli
zigomi troppo poco marcati. Il portamento era diventato più
signorile, ma il passo era rimasto quello felpato di chi sapeva come
non farsi scoprire a nascondino.
“Io invece trovo che voi siate bellissima come
sempre.” la elogiò affettuosamente.
“Matthew, sei veramente un pessimo
bugiardo.” rise lei. “Come tuo padre
d’altronde.”
Il ragazzo non poté fare a meno di ridere a sua
volta e il gentiluomo affiancò i suoi familiari, pronto a
controbattere a quell’implicito commento fatto dalla moglie.
“Se stesse sostenendo il falso, lo sta sicuramente
facendo con il massimo rispetto e amore per te, Lizzy.”
“Oh, non lo metto in dubbio. E tu come mi
mentiresti, mio caro signor Darcy?”
Matthew alzò gli occhi al cielo e sospirando,
porse il braccio della madre al padre e raggiunse le sue sorelle
lasciando i due a scherzare amabilmente sull’argomento.
Elizabeth gli rivolse un sorriso piuttosto divertito, così
come il signor Darcy, che si voltò verso la sua signora e
riprese il discorso lasciato in sospeso.
“Credo che ti mentirei dicendoti che sei la
più bella, intelligente, testarda ed ironica creatura che
conosca. Invero, ti ho sposata proprio per questo.”
Elizabeth si fermò un secondo e prese il suo viso
tra le mani, baciandogli delicatamente la guancia, sussurrandogli un
grazie. Dopo di che riprese il braccio e
s’incamminò verso il salottino del pianoforte,
dove la maggiore delle figlie, Rosamund, stava suonando un
allegro motivetto irlandese. Sentirono alcuni bisbigli in sottofondo e
aprendo la porta, la coppia trovò Matthew accerchiato dalle
sue sorelline, intenti a convincerlo a cantare.
“Oh, suvvia Matthew, ti preghiamo!”
supplicava Grace con quel suo tono così amorevole.
“Ragazze, perché non lasciate in pace il
vostro povero fratello?” intervenne il signor Darcy, notando
lo sguardo implorante negli occhi di suo figlio.
“Padre, ci ha promesso che avrebbe cantato per noi
al suo ritorno!” protestò la piccola Darcy.
Era
estremamente caparbia e orgogliosa quando voleva e la madre glielo
leggeva negli occhi azzurrastri ereditati dal padre. Sapeva che non
sarebbe più riuscita a trattenere sorrisi quel giorno.
“Così come avete fatto voi.”
aggiunse Cecilia maliziosa.
“Dovevo essere fuori di me per fare una promessa
che, sinceramente, neanche ricordo...” sostenne
l’uomo meravigliato.
“Sembrerebbe che le vostre figlie ricordino meglio
di voi, allora. Prego, signor Darcy, intratteneteci.”
L’invito della moglie lo prese in contropiede, ma
l’unico sguardo che gli rivolse era troppo vacuo e divertito
allo stesso tempo per essere sincero. Il signor Darcy capì
che la padrona di casa e le sue figlie avevano escogitato qualcosa
durante la sua assenza.
“Non credo sia il caso…”
brontolò dubbioso.
La donna non lo ascoltò e prese un libro,
accomodandosi su uno dei divanetti, senza alcuna intenzione
però, di leggerlo, rimanendo a fissare il marito in maniera
divertita. Le ragazze e Matthew cercarono di non ridere mentre i loro
genitori si scambiavano occhiate indispettite.
Era lo scherzo preferito delle signorine Darcy mettere in
imbarazzo - sempre nella sfera privata, come giusto che sia - gli
uomini di famiglia ogni tanto, inventandosi i più assurdi e
spiritosi o sottili scuse che le orecchie del povero signor Darcy
avessero mai sentito.
Matthew rassegnatosi, si avvicinò alla sorella e
le indicò il brano da suonare. Lei annuì ed
iniziò a suonare un paio di accordi, mentre le altre ragazze
imitarono la madre, accomodandosi sui divanetti e le poltroncine in
crema tagliate da sottili righe azzurre. Il signor Darcy e Matthew
presero posizione scambiandosi occhiate scettiche, ma non appena
aprirono la bocca per cantare, furono salvati dall’arrivo di
un domestico che portava un’altra lettera, questa volta
indirizzata alla signora Darcy. Il signor Darcy non poté
trattenersi dal parlare.
“Temo che dovremo rinviare il nostro
concerto.”
“Oh, sono certa che nessuno in questa stanza vi
avrebbe mai arrecato una simile offesa… Come si dice, il
gioco è bello quando dura poco.”
Dopo la risposta alla battuta del marito, congedò
il domestico e informò le ragazze che il loro scherzo era
ormai giunto al termine, con uno sguardo che però
lasciò intendere un momentaneo rinvio, che ovviamente gli
uomini non capirono. Le sorelle non poterono non ridere e fecero
accomodare dolcemente il padre e il fratello accanto a loro e diedero
istruzioni per portare del tè.
“Salvati sul filo del rasoio, a quanto
pare…” sussurrò la voce delicata di
Gwendolyn.
“Siete delle sorelle veramente sadiche.”
affermò invece a voce molto più alta il fratello,
attirando anche l’attenzione del padre, che lo
guardò con un accenno di rimprovero, per quanto vero fosse
quello che aveva appena dichiarato.
“Forse un pochino, non lo nego.” rispose
a tono Cecilia. “Tuttavia, le vostre facce paonazze erano uno
spettacolo fantastico.”
“Mi auguro che in futuro non mi vogliate di nuovo
simili sciagure.”
“Padre… Non sapevo trovaste la musica
una sciagura!” scherzò Rosamund.
“Quando sono io a dover cantare, lo
è.” sentenziò più serio
l’uomo.
“Questo accade solo perché siete
infinitamente timido e orgoglioso, signor Darcy.” lo
rimproverò la moglie.
“Può darsi.”
“Madre, di chi è la lettera che avete
ricevuto?” domandò curiosa Grace.
“E’ una lettera della zia Jane.”
“E voi padre?” chiese Cecilia.
“Non credo che ficcare il naso negli affari di
papà sia compito vostro.” la ammonì
Matthew severo.
Le ragazze ammutolirono e lo fissarono allibite. Non potevano
credere che i suoi chiari occhi, ereditati dal padre, le guardassero
così severi. Cecilia pensò che si trattasse degli
affari che portavano spesso il padre a Londra e quindi li ritenne poco
degni della loro attenzione in quel momento, così gli
sorrise. Il signor Darcy aveva invece lo sguardo concentrato nel
comprendere il contenuto della sua lettera e così anche
Elizabeth approfittò di quel silenzio generale per leggere
la sua. L’espressione serena che aveva rimase tale, mentre
quel marito si scurì, man mano che continuava a scendere le
righe. Quando la concluse, la richiuse e si diresse verso la finestra.
“Qualcosa vi preoccupa, padre?”
domandò Gwendolyn, acuta come sempre.
Si girò automaticamente a quella domanda con uno
sguardo di imperscrutabile, ma falsa serenità, sostenendo il
contrario. Elizabeth gli si avvicinò inclinando leggermente
la testa prima da una parte poi dall’altra. Gli
ripeté in sussurro la domanda della sua secondogenita e lui
le rispose con un tono singolarmente freddo, che non sentiva da molto
tempo.
“Ti prego cara,
seguimi.”
Elizabeth era rimasta alquanto stupita e rassicurando i suoi
angeli a restare nel salottino a divertirsi, seguì il marito
in un’altra altrettanto luminosissima stanza che affiancava
lo studio del coniuge e ne chiuse bene la porta. Il signor Darcy
guardava il suo stupendo giardino e i suoi territori per un tempo che a
sua moglie sembrava non finire mai. Quando finalmente si
voltò le porse la lettera e lei la prese tra le mani,
apprestandosi a leggerla.
“Ora dimmi tu cosa devo fare, Elizabeth.”
La donna lesse in fretta la lettera e al divertimento del
contenuto, aggiunse quello del suo nome pronunciato con così
tanta enfasi da suo marito. La lettera era un chiaro invito ad un ballo
nei pressi della villa di amici del signor Bingley.
“E’ un ballo in maschera.”
riconobbe con fare più serio che poteva, ma non
riuscì a trattenere un sorriso.
“E’ una questione seria. Come tu hai
appena detto, è un ballo in maschera. Mi rifiuto di portare
i miei figli ad un ballo dove non possono riconoscere le persone che vi
incontrano.”
“In questi ultimi… venti anni, non vi ho
insegnato niente a quanto pare…”
“Elizabeth.”
“La vostra obiezione vale su entrambi i fronti e i
vostri figli sapranno perfettamente come comportarsi ad un ballo in
maschera, se spiegherete
loro i vostri timori. Ho accennato poco fa al vostro orgoglio o
sbaglio?”
“La tratterò come una lettera
d’affari.”
A quell’affermazione il sorriso che aveva dipinto
il volto felice della moglie si spense per la prima volta in quella
giornata e lo guardò con severo ammonimento. Sapeva che
quando voleva suo marito sapeva essere molto ostinato, così
come lei.
“Sono ormai quasi tre mesi che le vostre figlie
attendono il tuo ritorno. Non hanno fatto altro che esercitarsi con il
pianoforte e il galateo. Santo cielo, non puoi essere così
testardo da volerle privare qualche divertimento!”
“Non capisci. Se
incontrassero…”
“Sono tutte ragazze intelligenti e ben istruite e
sinceramente, dubito che Matthew non abbia avuto occasioni di
incontrare delle belle signorine a Londra durante il suo ultimo
viaggio. Devo forse pensare che nelle lettere che ho ricevuto, mi hai
scritto menzogne sul suo comportamento?”
“Elizabeth…”
“Hanno bisogno di svagarsi. E non credo che
portarle da Jane sarà sufficiente stavolta. Specie se
scoprono che le loro cugine sono state invitate a questo ballo, mentre
loro ne sono rimaste all’oscuro.”
Il signor Darcy la guardò con aria greve e lei
cercò di essere un po’ più clemente e
gentile.
“Comprendo che voi vogliate proteggerle, ma ormai
sono cresciute abbastanza. Dubito che una festa in maschera
potrà cambiare in qualche modo, e definitivo per giunta, le
loro vite.”
Lo sguardo del marito non era molto convinto, quindi
Elizabeth si trovò costretta ad accendere il suo sguardo e
il suo sorriso malizioso. Gli rimise a posto un bottone della giacca,
mentre cercava altre giustificazioni che convincessero a sufficienza la
testardaggine del suo sposo.
“Vi ricordo che il nostro incontro è
stato sancito da un ballo.”
“Non era un ballo in maschera,
però.”
Lei sbuffò e gli rivolse un’occhiata
annoiata e il suo sorriso si spense in un broncio.
S’allontanò dal marito e andò alla
finestra ad osservare il panorama. Mr. Darcy sospirò e si
voltò a guardare il riflesso della moglie sui vetri. Non
poteva resistere alla sua malizia in quelle condizioni.
“Molto bene. Tuttavia detterò delle
condizioni severe.” decretò alla fine, sconfitto.
“Grazie.” disse lei, stampandogli un
bacio sulla guancia.
“Ci sono importanti novità.”
annunciò la signora Darcy rientrando nel salottino.
Matthew si alzò di scatto, perché aveva
udito pronunciare il suo nome e si sentì preso in causa. Il
padre lo rimise a sedere con un cenno di testa e lui tirò un
sospiro di sollievo.
“Primo, immagino vi ricorderete che vostra cugina
Lyanna compie otto anni e la zia Jane ci invita non solo a partecipare
ai festeggiamenti, ma anche ad aiutarla ad organizzarli.”
rese noto con tono allegro che sollevò l’animo del
signor Darcy.
Anche le figlie e il loro fratello maggiore erano molto lieti
della notizia, perché le feste di compleanno
all’interno dell’ambito familiare erano sempre
molto divertenti. Danzavano o preparavano piccole escursioni o ancora
giocavano e, indipendentemente dal ramo familiare, le torte erano
sempre state squisite. Essendo poi la loro cugina Lyanna era nata a
fine maggio, potevano aspettarsi una fresca e soleggiata giornata
all’aperto.
“Secondo, siamo stati invitati al ballo in maschera
del signor Wilbur…”
Quello fu il boccone amaro per il signor Darcy che ancora non
era convinto della decisione presa, mentre le ragazze si guardavano
eccitate. Tutte tranne Grace, che era ancora troppo piccola per fare il
suo ingresso in società e quindi non capiva cosa avevano le
tre sorelle maggiori da sorridere tanto.
“Tuttavia, ci sono delle condizioni da
rispettare.” sentenziò il padre con tono molto
deciso e rigoroso.
Le ragazze si ricomposero subito e rimasero ad ascoltare
tutte le raccomandazioni del signor Darcy, che consistevano nel fare
attenzione a come parlavano, di essere discrete e scegliere con
attenzione la compagnia della serata e di non concedere troppi balli a
perfetti sconosciuti, perché considerava le persone
mascherate come tali. I figli rimasero ad ascoltarlo in silenzio ed
annuirono trovando ragionevoli quasi tutte le proposte e qualcuna di
loro già si immaginava la festa che si sarebbe tenuta appena
nelle prime settimane di agosto.
Le condizioni di Grace erano ben diverse e consistevano nel
rimanere in compagnia dei cugini assieme alle loro governanti, almeno
da non recluderla così nella più totale
solitudine di Pemberley. Lei accettò di buon grado, proprio
perché non le sarebbe mancata la
compagnia.
Cecilia balbettò un paio di parole al fratello che
era impallidito all’idea di partecipare ad un ballo.
“Matthew, dovresti vederti… Sei pallido
come un lenzuolo!” disse poi più allegra la
sorella.
“Oh, lo sai che il mio gemellino non è
un amante di queste cose, Ceci . Non perché non gli
piacciano, ma semplicemente perché le detesta.”
rispose Rosamund allegra.
Al ragazzo non restò che scuotere la testa
rassegnato. La battuta fece sorridere la madre e ridere i figlioli,
mentre il signor Darcy si chiedeva ancora - forse con eccessiva
preoccupazione - se avesse fatto bene ad acconsentire ad una simile
scelta.
N.
A. : Salve a tutti.^^ Ho finalmente rimesso a posto il primo capitolo,
che era un po' un disastro, ma nessuno - forse troppo preso dalla
storia - sembra essersene accorto... (o forse sì). Comunque
sono felice della revisione^^ Come avevo già precedentemente
detto, questo storia a me sembra un obbrobrio, che però
desidero continuare per la mia passione per la scrittura, e
lascierò a voi il giudizio sul risultato.
Ho
letto il libro ormai... almeno dodici volte, idem per il film, ma
apprezzo di più
il telefilm del '95(?). Mi
pare più
fedele, ben recitato e le "scene aggiunte" sono decisamente azzeccate.
Ma anche il film non scherza. Oh, già! A questo proposito...
Ho deciso di prendere l'idea proposta nel finale americano del film,
per il quale Darcy chiama in maniera diversa Lizzy a dispetto
dell'occasione presentatasi. Mi piace tantissimo e spero che nessuno se
la prenda XD
Mi rendo conto che entrano in gioco parecchi personaggi nuovi e
totalmente inventati, per questo vi farò un piccolo "schema"
nella nota
autore... Quindi vi presento i "nuovi Darcy" cioè i figli di
Elizabeth e Fitzwilliam; Matthew e Rosamund: primo e secondagenita,
gemelli nati a distanza di poche ore, hanno circa vent'anni. Percival
(fisicamente non presente nel capitolo), il terzogenito, è
poco più piccolo. Poi ci sono Gwendolyn e Cecilia,
rispettivamente di diciotto e sedici anni. Infine abbiamo la piccola
Grace, di dieci anni.
Spero che la mia storia vi attragga.^^ Fatemi sapere, i pareri sono
sempre ben accetti^^
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Capitolo 2 *** II ***
II
Ad una settimana dal compleanno di Lyanna, la famiglia Darcy giunse
nella tenuta del signore e della signora Bingley. Le ragazze
passeggiarono volenterose per il giardino di casa con la loro madre e
la zia Jane, mentre venivano scaricate le valigie. Iniziarono ad
escogitare uno dei loro intrattenimenti preferiti, la musica. Volevano
inventare una qualche simpatica canzoncina con la zia per la sua
bambina e qualche danza di gruppo per farla divertire. Rosamund si
recò nel salotto a provare qualche melodia, ma
pensò subito che se ci fosse stato bel tempo, sarebbe stato
uno spreco rimanere in casa ed allora cercò di comporre una
canzone che non avesse per forza la necessità di un
accompagnamento musicale. Matthew intanto illustrò ai suoi
cugini, Aaron e il piccolo William, un gioco che avrebbero potuto fare.
Approvata l’idea la condivisero con Alice, la primogenita di
Jane, e le quattro sorelle di Matthew.
La settimana dei preparativi
passò in fretta e tutti cercarono di mantenere la piccola
Lyanna all’oscuro abbastanza a lungo da non insospettirla
troppo sul piano che infine erano riusciti a mettere su tutti quanti
insieme.
Arrivò la mattina del
fatidico giorno. Con tutta la leggerezza che il sig. Bingley e il sig.
Darcy disponevano, entrarono nella stanza di Lyanna e il padre la prese
in braccio portandola in giardino, cercando di non svegliarla. Le loro
mogli stavano intanto preparando il giardino, mentre i figli tornarono
con dei piccoli cestini e ne porsero due alle signore. Il sig. Bingley
adagiò la sua bambina ancora assopita sulla sedia imbottita
posta in mezzo al prato del giardino a ovest della villa. Lui e sua
moglie si scambiarono un sorriso e poi prese il suo cestino, lasciando
a Jane il resto.
La madre prese delicatamente le mani di
Lyanna tra le sue e cominciò a canticchiare la canzone
composta dalla nipote Cecilia.
“Per il tuo compleanno
sarà festa tutto il dì. Regina oggi tu sarai se
canterai così.”
Lyanna strabuzzò gli
occhietti chiari e la prima cosa che vide fu sua madre sorriderle ed
indietreggiare saltellando. Elizabeth le porse il suo cestino e
cominciarono a ballare battendo le mani e canticchiando il motivetto,
provocando il più sincero e fanciullesco divertimento. Dai
cestini le ragazze lanciarono dei petali di fiori, mentre i ragazzi
mantenevano il ritmo e continuarono a danzare in girotondo,
finché non vennero interrotti dall’arrivo di una
carrozza.
“Dev’essere
Caroline.” informò Jane sua sorella, che la
fissò allibita.
“L’hai
invitata?”
“Certo, non potevo non farlo.
Doveva però arrivare appena questa sera.”
Lyanna si guardava intorno preoccupata e
i suoi cugini pensarono bene di riprendere a cantare e così
il divertimento ricominciò. Cantata l’ultima
strofa - giusto in tempo per andare a riceve la propria ospite - il
signor Bingley si avvicinò alla sua bambina e le chiese di
assentarsi un attimo con sua madre e gli zii, cosa che gli venne
concessa, mentre i cugini la intrattenevano con danze semi inventate
tra quei pochi petali che rimanevano nei cestini.
I quattro si avvicinarono alla carrozza
dalla quale stava scendendo la signora Hamilton, ma potevano ancora
sentire distintamente le voci dei ragazzi che si divertivano. Le due
sorelle controllarono alle loro spalle e non poterono fare a meno di
sorridere, vedendoli così contenti.
Lady Caroline non era invece dello
stesso raggiante buon umore e guardava in modo quasi sprezzante quello
che i suoi numerosi nipoti combinavano sull’erba.
“Sorella cara. Non ti
aspettavamo prima di stasera.” l’accolse suo
fratello Charles con grande e calorosa cortesia.
“Ho potuto liberarmi dai miei
impegni prima del dovuto e volevo farvi una sorpresa.”
“Molto ben
riuscita.” confermò Jane con un sorriso
più gentile del dovuto.
“Cosa sta facendo
Lyanna?” chiese la zia con una nota di disappunto nella voce.
“Gioca e danza con i suoi
cugini e fratelli. Abbiamo da poco finito di cantarle una canzone che
Cecilia si è premurata di scriverle.”
“Già, veramente
deliziosa.” aggiunse il sig. Bingley accennando un segno di
sincero ringraziamento all’amico, che rispose con un sorriso.
Notava che Bingley era veramente
contento per la riuscita della sorpresa e questo allietò il
suo animo già abbastanza turbato dagli ultimi eventi.
Ultimissimo tra questi la venuta così anticipata della
sig.ra ….
“Non lo metto in dubbio. Idea
graziosa. Vostra figlia ha sempre avuto un buon gusto per la
musica.”
“Grazie.” rispose
fredda Elizabeth.
“Scusate la scortesia. Prego,
accomodatevi.”
Un tuono fece cenno della sua presenza
da lontano e le nuvole oscurarono il cielo.
“Strano. Fino a poco fa
c’era il sole…” mormorò Grace.
“Temo che sia stata la zia
Caroline a farlo sparire.” le sussurrò Matthew.
La battuta piuttosto tagliente fece
ridere tutti i presenti, che si prepararono a rimettere tutto quanto a
posto. Non avevano parecchia voglia di aspettare i domestici per una
sedia, così mentre le signorine e William fecero a gara a
chi arrivava prima alla villa, Matthew e Aaron presero cestini e sedia
e rientrarono con calma. Durante il tragitto discussero a lungo sulla
torta che il giovane Bingley avrebbe visto, ma non era sicuro se fosse
con le fragole, i lamponi o entrambe.
Matthew entrò dalla porta
finestra e domandò dove appoggiare la sedia. Un domestico la
prese in custodia sotto lo sguardo attento dell’appena
arrivata parente, che non poté fare a meno di inarcare un
sopracciglio, mentre Aaron si complimentava con il cugino per la forza.
Sostenne che in un confronto, era lui quello più
mingherlino, ma Matthew ribadì che avrebbe potuto benissimo
riuscire anche lui a fare una simile fatica, se non peggiore. Le madri
quasi si commossero e furono orgogliose del legame che si era
instaurato tra i due.
I padri rientrarono con lo stuolo di
figli appresso e William si riunì ai due cugini, mentre le
altre parlottarono tra di loro e Lyanna, che si sentiva al centro
dell’attenzione, elargiva sorrisi disinteressati e dolci a
chiunque nella stanza.
Un altro rombo di un tuono
segnò l’inizio di un’altra pioggia
primaverile e Grace balzò in piedi pensando che uno dei
giochi che avevano organizzato era caccia al tesoro e si
sentì in colpa per il regalo che avevano nascosto in
giardino per la cugina. Corse fuori senza mantello e così il
fratello la dovette rincorrere nel parco seguito dal padre.
Grace era la più giovane
delle sorelle, non aveva neanche dieci anni ed era estremamente onesta
e generosa, nonché innocente come tutte le bimbe della sua
età. Coperta dal fratello, che
l’accompagnò fino all’albero in cui
avevano sepolto il regalo, si mise di buona lena a scavare per terra
con lui ed infine col padre, che li raggiunse poco dopo, e tirarono
fuori il pacchetto e finalmente rientrarono.
Al loro rientro, più di
qualcuno non riuscì a trattenere una risata, gli stessi
interessati compresi. Solo Lady Caroline non riusciva a comprendere le
ragioni di quella ilarità generale, squadrandoli con occhi
critici e stupiti. Avevano un aspetto scandaloso: erano ricoperti di
fango dalla vita in giù tutti e tre, la graziosa crocchia di
Grace si era completamente scompigliata e le mani sporche di terra che
reggevano l’oggetto in una carta che, anche se pulita,
sarebbe risultata decisamente poco elegante, la fecero allibire.
Bingley la prese con molta
più leggerezza, ammirazione e gratitudine. Nel primo caso,
era contento di vedere l’amico e i suoi figli lasciarsi
andare a cuor così leggero di tanto in tanto, trascinati
dalla frenesia della piccola Darcy, nel secondo l’ammirazione
fu provocata dall’affetto familiare che li univa e nel terzo,
erano in quello stato proprio per l’affetto che provavano
verso Lyanna e non poté non essere grato per aver stretto
una parentela più felice di quella. Jane comprese il sorriso
che accompagnava lo sguardo del marito sui tre e condivise il pensiero,
ma si riprese prima di lui e chiamò una domestica per
accompagnarli in un’altra stanza, dove si sarebbero potuti
cambiare ed asciugare. La prontezza della padrona di casa non
mancò le aspettative di Elizabeth.
Non appena usciti, la signora Hamilton
si avvicinò a suo fratello e coprendosi col ventaglio -
perché nonostante la pioggia sosteneva di sentire caldo -
cominciò a criticare quel comportamento per lei
così irragionevole.
“Non ho mai visto il signor
Darcy comportarsi così, Charles. Mai. Il matrimonio lo ha
cambiato profondamente, non lo nego, ma in così tanti anni
è in assoluto la prima volta che lo vedo così
diverso. Non sembra neanche più lui, cielo!”
“Si vede che non hai figli,
Caroline.”
“Cosa c’entra
adesso, questo?”
“Se tu avessi figli,
comprenderesti il cambiamento radicale come questo che stai ora
criticando.”
“Smettila di dire
assurdità. Il solo fatto di aver sposato quella campagnola
che diventa sempre più indecente per lui col passare degli
anni e la sua influenza, devono averlo reso così
diverso.”
“Attenta a come parli. Ti
proibisco di insultare così i membri della mia famiglia,
sorella. Non lo accetto!”
Alzatosi con uno sdegno che non
riuscì a passare inosservato agli occhi dei presenti e che
per di più stupì la signora Hamilton,
l’uomo uscì dalla stanza per accertarsi che i suoi
ospiti stessero bene. Jane lo seguì con lo sguardo
preoccupato finché non sparì dietro la porta e lo
avrebbe anche fisicamente raggiunto, se la sua piccola Lyanna non
l’avesse tenuta per uno dei nastri che adorava portare,
attirando la sua attenzione.
Dopo un’innaturale silenzio
per casa Bingley, Alice si dimostrò perfettamente capace di
intavolare e intrattenere una conversazione con le sue cugine e suo
fratello Aaron, estendendo poi questo a tutti i presenti con frequenti
e dolci interventi della madre e altrettanti, più freddi e
razionali, della zia. Anche Elizabeth si unì con qualche
frase, ma solo se interpellata, perché era preoccupata per
la figlia minore. In un modo o nell’altro, anche Matthew, che
era definito il cugino meno loquace in assoluto, finì per
essere coinvolto, forse, per far piacere alla cugina Lyanna, che gli
aveva chiesto notizie sul suo viaggio.
“Cosa sei andato a fare a
Londra, cugino?” chiese Alice cordiale.
“Ho accompagnato mio padre per
questioni d’affari. Cose che, di solito, le signorine come te
non apprezzano molto.”
“Cosa sono le questioni
d’affari, mamma?” domandò ingenuamente
la festeggiata.
Jane non poté non sorridere
ad una domanda postale con tale innocenza che iniziò a
spiegarle con calma e cercando di essere chiara
sull’argomento un po’ insidioso. Gli altri
continuarono il loro colloquio e le ragazze sfogarono la
curiosità che per troppi giorni rimasta celata.
“Hai incontrato qualche
signorina di tuo gradimento?” domandò schietta
Gwendolyn.
“No, nessuna. Temo che tutte
le signorine di mio gradimento siano riunite in questa
stanza.”
Una risata generale avvolse i presenti e
Matthew scoccò un’occhiata eloquente ad Aaron che
si apprestò a reggergli il gioco.
“Ma cugino… Non
puoi affermare una cosa simile. Ci dev’essere almeno una che
ti sia più gradita delle altre.”
“Non costringermi a scegliere,
te ne prego. Non favorirebbe l’amore fraterno né
quello tra cugini. Il cielo non me ne voglia.”
“Qual è il vostro
problema con le damigelle che esistono fuori dalla vostra cerchia
familiare, Matthew?” intervenne con tono petulante la signora
Hamilton.
“Il fatto che siano fuori
dalla cerchia familiare!”
L’ironica battuta produsse
l’effetto sperato e tutti risero capendo che non stava
parlando sul serio, ma allo stesso tempo Lady Caroline, che aveva posto
la domanda, capì che a Londra non aveva trovato nessuna
ragazza interessante per lui.
“Santo cielo! Devo supporre
che vi apprestiate a fare una proposta ad una vostra cugina in
futuro?”
A questa affermazione, Alice e Meredith
ammutolirono di colpo, mentre Jane e Elizabeth guardavano sprezzanti
Caroline che si permetteva di mandare avanti con tanta impertinenza, un
argomento che non era stato citato per essere preso seriamente.
“Come ho già
ribadito, il cielo non
me ne voglia a scegliere una delle mie cugine.” rispose
Matthew ora con un disagio che decise, saggiamente, di non far
trapelare.
“Alice sarebbe più
che adatta.”
“Certamente. Alice
è una fanciulla graziosissima. Sarebbe però
sprecata con Matthew. Sono così differenti che la passione
si spegnerebbe all’istante e il matrimonio non durerebbe
neanche un giorno.” scherzò Gwendolyn, augurandosi
di terminare così una conversazione, che non solo lei stessa
aveva incitato, ma che stava diventando piuttosto imbarazzante.
“Hai veramente così
poca fiducia nei sentimenti del mio cuore?”
“Bada a come parli dei tuoi
sentimenti, Matthew. Un giorno ti innamorerai anche tu e dovrai
imparare a tenere a freno la lingua.” lo zittì la
cugina.
Meredith aveva i capelli più
rossastri ed era di carattere nobile e spensierato, ma non per questo
meno seria della sorella Alice, nonostante i sedici anni da poco
passati. Era veramente graziosa e sognava l’amore vero, per
questo le infastidivano tutte quelle battute.
“Parole simili Jane le aveva
rivolte anche a me, tanti anni fa. Sinceramente, credo che sia un buon
consiglio.” concluse Lizzy con un sorriso divertito.
L’ironica e pungente
conversazione che aveva fatto arrossire la signorina Bingley e le
sorelle Darcy volse presto al termine con un’ultima domanda
da parte della signora Hamilton e del suo personale interesse verso i
Darcy.
“Vostro fratello Percival
rimarrà a Londra ancora molto?”
“No, è partito poco
prima di noi con i gli zii Gardiner alla volta dei Laghi. Si scusa di
non essere riuscito a venire e promette a te, Lyanna, di portare il
più bel regalo che tu abbia mai visto.”
“Lo prendiamo in
parola.” scherzò Meredith.
“Ve lo sconsiglio. Ha un gusto
così particolare che potrebbe portare la cosa più
inaspettata che si conosca.”
“E voi non siete stato
invitato?” riprese petulante Lady Caroline.
“Oh, sì.
L’invito me l’avevano esteso, ma ho preferito
rinunciare e tornare a casa con mio padre.”
La risposta era stata data con molta
naturalezza, ma era troppo succinta per sembrare reale. Poco dopo, la
signora Hamilton chiese ad Alice di suonare qualcosa al pianoforte.
L’idea venne ben apprezzata da tutti e Matthew chiese a sua
zia Jane di poter andare in biblioteca a prendere un libro,
perché non desiderava conversare oltre, ma si
risparmiò di dirlo. Venne seguito dalla madre, che si
congedò con la scusa di andare a vedere lo stato della
figlia minore.
Entrata in biblioteca, notò
il figlio osservare i libri con palese distrazione e si
avvicinò per cercare di capire cosa contenesse lo scaffale
interessato.
“Non sei mai stato un grande
amante della botanica.” affermò alle sue spalle,
facendolo trasalire.
Si ricompose quasi subito e rispose:
“E’ vero, ma ci sono certe piante di cui vorrei
conoscere almeno il nome. Temo però che questo non sia il
momento per consultare questi volumi. Cosa mi consigli?”
“Quello che più
può sollevarti dal dispiacere.”
“Allora dubito che qua ci sia
qualcosa di simile, al di fuori della tua presenza.”
“Vogliamo parlarne?”
Si sedettero sulle poltroncine poste
vicino ad un caminetto, uno di fronte all’altro e nel mezzo
solo un basso tavolino per appoggiarvisi i libri a dividerli. Matthew
si mise comodo e sospirò, guardando in direzione della
finestra e oltre, verso l’incontaminata natura del
…shire con un totale cambiamento nella sua espressione.
“Vorrei poter dedurre che si
tratti solo
di una delusione amorosa.” trasse Elizabeth da quello sguardo
così afflitto. “Ma evidentemente, non è
così.”
Lui la guardò con una
scintilla di dispiacere negli occhi e le curve della sua bocca gli
diedero un’aria ancora più avvilita ed amareggiata.
“E’ stato tradito,
ferito ed umiliato. Diceva di non avere più un onore, di
voler dimenticare al più presto tutto ciò che gli
è capitato, in modo da poter tornare più sereno a
casa. Ovviamente, nostro padre non sa nulla e preferirei che mantenessi
questo riserbo.”
“Sono mai stata
pettegola?”
La risposta lo fece sorridere, anche se
l’espressione fu una smorfia amara che non alleviò
la preoccupazione che costernava le madri e che ora Elizabeth ne
sentiva completamente il peso.
“Ho fallito, madre. Come
fratello, come amico e come confidente. Non ho saputo fare niente per
Percival ed ora potrebbe, giustamente, essere arrabbiato con me. Mi
sento così ridicolo e stupido però, a non esser
riuscito a far di più!”
“E’ per
amore?”
“Sembrerebbe, ma
c’è di più. Oh, se
c’è molto di più! Quella donna lo ha
ingannato in tutti i modi possibili e quelli che si definivano i suoi
amici da tanti anni si sono dimostrati dei traditori della peggior
specie e…!”
“Modera le tue parole!
C’è troppa rabbia e amarezza in esse. Calmati e
parla con più un occhio più oggettivo.”
“Non ci riuscirei neanche se
mi minacciaste! Santo cielo… Lo hanno trattato in modo
meschino e benché nella nostra famiglia nessuno non sia
sensibile come in quella della zia Jane, ferire così
l’orgoglio di un ragazzo tanto rispettabile e amabile
è assolutamente inconcepibile. Non li perdonerei mai,
neanche tornassero a chiedermelo in ginocchio! Avrei preferito vivere
io una simile sciagura. Sarei stato più attento e avrei
sicuramente assorbito meglio il colpo.”
“Gli amici di cui parli sono i
fratelli della famiglia Wighton, suppongo.”
“Esattamente. Mai li voglio
rivedere, né risentire! E tanto meno sarò
d’accordo che le mie sorelle riaprano con loro i
rapporti.”
“Questo lascia che sia io a
deciderlo. Per tua sfortuna, non sei ancora a capo della
famiglia.”
Nel tono della signora c’era
ironia, ma un fondo di amara e severa verità che a Matthew
non poté sfuggire. Era troppo attento e di mente troppo
sveglia, perché non se ne accorgesse. Sospirò
profondamente per più volte e dopo aver camminato di nuovo
fino alla finestra, tornò indietro e con più
calma si accomodò sul divanetto color edera.
“Perdona la mia insolenza
madre. E’ stata detta in un momento di rabbia, non era mia
intenzione offendere nessuno. Ma ora che mi sono sfogato sono pronto a
raccontarti tutto. Per primo, è meglio che tu legga questa
lettera. Poi ti detterò i fatti.”
La signora Darcy prese la busta e
notò che i lati erano parecchio stropicciati. Era stata
tenuta in mano non solo da mani forti, ma presumibilmente anche
emotivamente toccate e che sfogarono su quel foglio la forza delle loro
emozioni. Non poté non immaginare il figlio minore con le
lacrime agli occhi, di rabbia, se aveva ben inteso il messaggio di
quello maggiore.
Pensò che non valesse la pena
di crucciarsi così e aprì la lettera. Portava la
data di poco più di due settimane fa.
Mio caro signor
Percival Darcy,
non dimenticherò mai la vostra gentilezza, la
sincerità e l’emozione con cui mi avete
privilegiata dell’onore della vostra proposta che a quel
tempo, ho accettato. Ero forse troppo confusa o accecata dalla vostra
grandezza per far chiarezza sui miei sentimenti. Ora sono invece
propensa, per la mia e la vostra felicità, a declinare la
vostra offerta che è stata poi indegnamente approvata dai
miei parenti, pensando solo al profitto di tale unione. Credo che
sarebbe davvero un’offesa nei vostri confronti, per questa
ragione vi scrivo.
Non ho il coraggio di respingervi a viso aperto,
perché so che il dovere che sento nei vostri confronti
è decisamente troppo forte e mi farebbe mentire di nuovo. Vi
prego di comprendere queste mie parole, che so, posso immaginare, vi
addoloreranno molto. Prendo atto di cosa avete passato per me e per
convincere non solo voi stesso, ma il resto del mondo che scruta sempre
con un occhio più impertinente, crudele e giudizioso di
quanto dovrebbe, le ragioni del cuore, in questo caso il vostro. Il mio
dolore mentre scrivo è immenso.
Non spero di certo che possiate perdonarmi, vi conosco da
troppo tempo per sapere che il vostro orgoglio creerà una
barriera, d’ora in poi insormontabile per me, e preferirei di
certo il vostro disprezzo al vostro compatimento.
Con questa lettera desideravo solo poter liberare tutti i
miei amari sentimenti e non le scuse, bensì la
verità, che credo almeno di dovervi. Vi ringrazio per tutto,
amico mio.
Addio,
Violet Shelley
Elizabeth era rimasta
allibita dal fatto che la rabbia di Matthew fosse stata provocata da
una lettera, che anche lei in realtà, aveva trovato a dir
poco sconvolgente. Sapeva che la signorina Shelley era una ragazza a
modo, molto graziosa e sensibile e stentava a credere che proprio lei
avesse scritto cose di simile peso. Ancora di più non
riusciva a credere che suo figlio Percival, che aveva sempre visto come
un ragazzo spensierato come lei, avesse l’intenzione di
chiederla in sposa - lui aveva compiuto da poco diciotto anni e la
signorina Shelley era ancora una dolce sedicenne - e che soffrisse
così tanto per un rifiuto, da non poter tornare a casa. Poi
ricordò l’amarezza che aveva costernato la lettera
che suo marito le aveva lasciato a Rosings molti anni prima e si rese
conto che, da quel punto di vista, era il ritratto del padre.
Il figlio la guardava però
con un’espressione da farle paura, perché sembrava
che il peggio non fosse ancora arrivato. Chiuse la lettera e si
preparò a ricevere la peggiore delle notizie.
“E’
scappata.”
“Santo
cielo…”
“Lasciatemi finire.
E’ scappata dai suoi sentimenti per un uomo che non ama e che
non la renderebbe felice nemmeno con tutto il suo patrimonio! Ed
inoltre non ha dato spiegazioni nemmeno ai suoi amici. Se
n’è andata, ha fatto le valigie per
…shire con la sua famiglia e nessuno li ha più
visti. Sono anche stato a casa sua, ma non mi hanno permesso di
vederla. A me, che sono un suo caro amico d’infanzia! Dovevi
vedere Percival, madre. Era così triste che la zia Gardiner
si augurava che non morisse di crepacuore.”
“Era la dote di tuo fratello
il problema? Hanno litigato?”
“No! No. In realtà,
credo che avesse fatto il doppio gioco da un po’. Non dico da
quando ci siamo conosciuti più di sette anni fa, ma immagino
ci abbia pensato bene.”
“Le accuse che lanci sono
molto gravi.”
Fece una pausa per dare nuova lettura
alla lettera. Alcuni passaggi erano così colmi di tristezza
che stava cominciando a capire la rabbia di suo figlio, non per Violet,
ma per chi l’aveva indotta a rinunciare ad un simile
matrimonio preferendo un altro. Eppure da ogni punto di vista -
rispettabilità, posizione, vantaggio economico - era un
ottimo matrimonio, seppur non era riuscita a conquistare il primogenito
dei Darcy.
“Per chi?”
“Per un certo pavone
imbellettato di Londra che è stato nominato Sir dalla regina
non più di tre o quattro mesi fa.”
“Ah, sì. Sir
Harris, ne ho sentito parlare.”
“Anch’io e
l’ho persino conosciuto. L’uomo meno gradevole che
conosca.”
“Più del il signor
Collins?” la buttò sull’ironico
Elizabeth.
“Lui passa in secondo piano, a
confronto. E’ un pomposo buffone, mentre Sir Harris
è proprio sgradevole di carattere e modi, e non lo dico per
Violet. E’ l’impressione che mi ha fatto, se non
fin da subito, in meno di un’ora e parlargli più e
più volte in diverse occasioni per ragioni di
decoro è stata per me una gran tortura, credetemi.”
“Ti crederò, se mi
spiegherai cos’è successo esattamente a
Percival.”
“Io… Io non lo so.
Quella lettera, il suo atteggiamento, tutto era cambiato. Lui si
è chiuso, diventando freddo con me e so che non mi ha mai
raccontato tutta la verità.”
“Questa lettera oltre che ad
essere dolorosa, sembrerebbe essere stata scritta in maniera
forzata.”
“Sembra anche a voi?
Anch’io e Percival eravamo arrivati a questa conclusione e
abbiamo provato a fare delle ricerche all’inizio. E sai cosa?
Quell’uomo li ha portati tutti dalla sua parte, i fratelli
Wighton e il signor Moore e chiunque altro potesse essere amico. Tutti.
Ci hanno ostacolato in tutti i modi, ti assicuro e i Wighton hanno
anche gravemente insultato mio fratello, definendolo un arrogante ed
uno spocchioso, perché si riteneva più altolocato
di loro e un traditore per aver svelato alcune loro scappatelle. Ti
garantisco che quando lo abbiamo scoperto noi dalla loro bocca, ci
siamo sentiti molto peggio di loro. Erano definiti da Percival tra la
cerchia di amici avesse a Londra. Hanno continuato ad infangare il
nostro nome per tutto il palazzo del signor …, che come ben
sai è piuttosto importante, ma tutte le voci vennero
smentite da papà, anche se non capiva il perché
tanto risentimento nei nostri confronti. Percy non gli aveva rivelato
completamente le sue intenzioni con Violet e io avevo giurato che
finché non avessimo avuto un’argomentazione
decente fra le mani, non avrei aperto bocca con lui. Non desideravo
dargli dispiaceri. Oh, madre, credevo ci fossimo scelti degli amici
migliori!”
“Ho anch’io avuto
modo di avere simili dispiaceri, figlio mio. E’ triste, ma
bisogna imparare a convivere con la doppiezza delle persone o con le
ragioni che le spingono a fare certe cose. E dimmi, alla fine
l’avete trovato il motivo del rifiuto di Violet?”
“No, purtroppo. Quando siamo
riusciti a parlare con il signor Shelley è stato chiaro nel
volerci mandare via e a non voler più l’unione di
sua figlia con lui. Non ha dato giustificazioni abbastanza valide -
parlava di misera dote per lei e di stupide accuse sul comportamento di
lui - e noi avevamo insistito nel voler sapere la verità, ma
ci ha letteralmente mandati via. C’è qualcosa di
strano sotto.”
“C’è di
sicuro, ma non so se Percy ha i mezzi per scoprirlo, così
come tutti noi. Se il motivo è conosciuto solo a Violet e
alla sua famiglia, è difficile che lui riesca a
scoprire qualcosa.”
“Dopo quella conversazione ha
trovato la lettera e l’ha letta. In tutta la mia vita non
ricordo di averlo mai visto piangere così tanto,
né di essere mai stato così in collera con
qualcuno, madre. Era una fortuna che tu non ci fossi, ma allo stesso
tempo forse sarebbe stato meglio che fossi stata al suo fianco.
L’ho costretto a rimanere a casa e al massimo di andare dagli
zii a Gracechurch Street per un paio di giorni, ma non si
placò così facilmente. I fratelli Wighton hanno
continuato ad inondarci di insulti e scortesie ogni volta che ci
incontravamo e, ti confesso, una volta siamo venuti alle
mani.”
“Buon Dio! Tutto questo per
una ragazza?”
“Non per una ragazza, per
onore e per orgoglio. C’è sotto qualcosa mamma, ma
non so che cosa. E’ questo che mi turba e mi fa sentire
così in pena! Il non sapere come agire e il non essere
riuscito a proteggere mio fratello da quelle malevolenze dei
Wighton.”
“Non ti viene nemmeno
un’idea con quale pretesto sparlassero di Percival, se non
quelli elencati?”
“Nessun altro.”
“E’ così,
Percival è andato ai Laghi a sfogare il suo
dolore.”
“Suppongo di sì. Un
bagno o due forse lo faranno stare meglio, ma ho chiesto agli zii di
avere un occhio di riguardo.”
“I cugini Julian e Laurence,
sono andati anche loro ai Laghi?”
“Sì. Loro sono
veramente provvidenziali.”
“Come mai un tale
elogio?”
“Hanno aiutato gli zii a
smentire le cattive voci che giravano in città su di noi. Ci
sarebbe davvero dispiaciuto che papà perdesse credito per
delle ragioni futili come l’invidia. Però
all’interno i rapporti si stanno incrinando un po’,
se non con Percival, con me. Dice che ho fatto male a non aver voluto
raccontargli nulla di quel che era successo da quando ci aveva lasciati
da soli a casa dei Wighton e che quindi ero in parte responsabile
dell’infelicità di mio fratello. Non so se
l’hai notato ma ha sempre una faccia parecchio contrariata
quando mi guarda e con me parla poco. E’ a dir poco
una situazione penosa, per non dire peggio.”
Elizabeth guardava suo figlio
così abbattuto e non poté non condividere il suo
dolore, però lo rassicurò sui rapporti col padre,
che in qualche modo si sarebbero sicuramente ristabiliti. Sapeva che se
lo trattava così era per correggere la presunzione dovuta al
desiderio di proteggere la sua famiglia dall’infamia e non
per un qualche risentimento nei suoi confronti. Ne era certa, conosceva
bene suo marito. Queste parole furono di grande conforto a Matthew, che
riprese il suo racconto.
“Comunque ci sono stati molto
vicini, sai, i cugini Gardiner, così come i signori Harvey e
Adams. Sono felice che io e Percy condividiamo la maggior parte dei cari amici di
Londra, anche se non capisco perché certi se la siano
presa solo con lui.”
“Probabilmente la sua proposta
era scomoda a qualcuno di più potente. Ho sempre visto in
Percy una predilezione per Violet, mi auguravo che la chiedesse in
sposa (certo, non così presto forse), perché
né io né tuo padre abbiamo nulla da obiettare nei
suoi confronti. Non capisco perché nessun altro ci fosse mai
arrivato e tuttavia vedo che la situazione è più
misteriosa e complessa per essere solo questa la ragione di tale
subbuglio.”
“Troppo complicata, forse.
Ormai dubito che si rivedranno ancora. E se accadrà, lei
sarà una donna sposata.”
“Semmai dovesse accadere,
auguriamoci che la passione di lui
sia sopita e le ragioni di lei più
valide di quelle espresse da chiunque altro. Il dolore provocato
è stato grande su molti fronti.”
“Avete capito alla
perfezione.”
Al termine della loro conversazione
rimasero in silenzio e Elizabeth consolò dolcemente Matthew
raccontandogli piccoli aneddoti che lo fecero sorridere, ma non quanto
lei sperasse. Immaginò che ciò che le avesse
raccontato fosse sì la verità, ma che avesse di
proposito trascurato qualcosa. D’altro canto, lui si sarebbe
rifiutato di raccontarle tutte le cattiverie dette contro di lei da
gente che già conosceva, ragion per cui non desiderava
rientrare nel salotto quando il signor Bingley li trovò in
biblioteca. Si scusò del disturbo, prese il volume di
botanica e si ritirò in camera sua dicendo di avere un forte
mal di testa, lasciando la madre e lo zio perplessi.
Nota autrice: Salve a tutti. Uhm, in questo
capitolo trovate una visione completa delle famiglie Darcy e Bingley.
Lo so, lo so... Il cognome Hamilton sembra quello del tipo di Formula1?
MotoGP? Ma non potevo farne a meno... Secondo me, stava bene a
Caroline. xP
In realtà, non ho ancora bene capito come funziona la
differenza tra Lady, Marchesa, Duchessa, ecc...per cui farò
una ricerca più approfondita, ma non le cambierò
il grado, signor no. (mi sta antipatica, se non si fosse capito ù3u )
Ma parliamo della famiglia Bingley! (la parte piacevole s'intende). I
nostri cari Charles e Jane hanno cinque figli: Alice, la primogenita di
circa vent'anni e a seguito Aaron, primo figlio maschio, Meredith e i
più piccoli Lyanna e William.
Ho inoltre accennato alla famiglia Gardiner (che personalmente adoro!),
di cui due figli maschi, Julian e Laurence, di ventisette e
ventiquattro anni.
Così giusto per chiarirvi un po' le idee.
Al prossimo capitolo e grazie ancora per aver letto
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Capitolo 3 *** III ***
p&p capi 3
III
Dopo cena, Alice aveva sostituito Rosamund al pianoforte, su richiesta
di Caroline. Così Rosamund decise di andare al piano
superiore a
vedere cosa accadeva al fratello. Cecilia la seguì con uno
sguardo curioso e poco dopo trovò una scusa per congedarsi.
Rosamund bussò una, due, tre volte, ma quello non rispose.
Allora aprì lentamente la porta e sbirciò dentro
la
stanza. Era di un azzurro così intenso che non si poteva non
notare il giovane in giacca grigio scura e pantaloni sporchi,
abbandonato sul letto a leggere malamente un libro, che già
dalla smorfia si capiva, non gli interessava molto.
“Forse ti sarebbe
più
chiaro” esordì “se lo leggessi alla
giusta maniera,
fratello mio.”
Prese il libro dalle sue mani,
lo girò
e glielo porse. Lui sbuffò, se lo riprese, vi
infilò un
segnalibro e lo mise sul comodino. Rosamund osservava divertita il
fratello. Era così orgoglioso che nemmeno rinfacciargli gli
errori serviva a smuoverlo.
“So a cosa stai pensando,
Rosa…” rispose lui
al sorrisetto malizioso della sorella “e non è
divertente.”
“Oh, sì
che lo è! Stavi leggendo ala rovescia, ammettilo.”
“Mai. Stavo
riflettendo.”
“Oh, certo, certo…
Riflettendo, come no…”
“Rosa, non è il
momento adatto.”
“Ah! Con te, non
è mai il momento
adatto. Una giovane fanciulla si è forse permessa di
rifiutare
una proposta di matrimonio dal grande Mr. Matthew Darcy?” lo
stuzzicò Rosamund.
Lui trasalì. No,
non poteva saperlo.
Era Rosamund l’intelligente, la sentimentale, ma la
più
acuta in famiglia era sempre stata Cecilia. Tirò un sospiro
di
sollievo, quando si rese conto che con Rosamund poteva permettersi di
lasciarle qualche dubbio, la sua pazienza l’avrebbe
perdonato,
mentre con l’altra sorella minore no.
Rosa inclinò un
po’ la testa in
attesa di rivelazioni. Il fratello le lanciò uno sguardo
eloquente con un sorrisetto divertito ed iniziò a
sproloquiare.
“Oh, sorella mia, se sapessi
le disgrazie che ho dovuto passare a Londra…”
Il suo tono appariva falso, ma stava raccontando il vero. Con
energia si alzò dal letto e cominciò a camminare
per la
stanza scalzo, in modo che i tacchi degli stivali non tradissero il suo
tragitto verso la porta.
“Sono così
dolorose…” disse e con un
sorrisetto malizioso indicò la porta “che temo di
non
poterle riportare con dovuto rispetto.”
Rosamund dovette fare un grande sforzo per non scoppiare
ridere
e tradire le intenzioni del fratello. Questo si appostò
quatto
quatto dietro la porta e la aprì con forza, ma non
c’era
nessuno dietro ad origliare. Matthew e Rosa si lanciarono un altro
sguardo di eloquenza e fecero finta di essersi sbagliati.
“Oh, fratello. Raccontami le
tue disgrazie.” finse lei, stando al gioco.
“E perché mai? Se qualcuno mi conosce
bene come te,
sorella mia, non c’è ne affatto bisogno.”
“Oh, basta!” esplose Cecilia, che prima
era
appiattita al muro fuori dalla camera. “Di che cosa state
parlando?”
I due fratelli maggiori sorrisero, ma poi Rosamund
interpretò il suo ruolo di sorella maggiore con grande
serietà.
“Cecilia… Non devi
essere così curiosa.”
“O diventerai come la zia de
Bourgh!” la prese in giro invece Matthew.
“Sai che non accadrà mai.”
rispose la giovane
castana, con un sorriso malizioso.
“Me lo auguro per
te, sorellina cara.”
Lei fece una smorfia ed andò a sedersi sul letto
vicino a
sua sorella. Matthew aveva un’aria pensosa e le due
sospirarono,
scambiandosi un mezzo sorriso. Era un caso perso. L’orgoglio
gli
avrebbe tenuto la bocca cucita, ma le femmine erano dotate della loro
rinomata astuzia.
“A Londra, eh? E’ da tanto che
non ci andiamo!
Chissà come stanno i Wighton?” pensava ad alta
voce
Cecilia.
“La prossima volta dobbiamo
andarli a trovare
assolutamente.” s’unì Rosamund.
Il viso del fratello
s’incupì. Solo un paio
d’ore fa aveva espresso alla madre il suo disappunto nei
riguardi
di quei due ragazzi e non avrebbe cambiato idea per nessuna ragione al
mondo. Se soltanto le due sorelle l’avessero saputo, lui non
si
sarebbe adirato tanto con loro.
“La prossima volta non andrete a trovare
proprio nessuno!”
Detto questo uscì e sbatté
energicamente la
porta. Voleva restare da solo, ma almeno adesso le sorelle sapevano con
chi aveva litigato a Londra. Solo che non conoscevano ancora il
perché.
Quando scesero nuovamente nel salottino erano
rimaste a
chiacchierare solo le signore, Alice e Gwendolyn. La governante aveva
fatto coricare i più giovani, mentre i signori si sono
spostati
in un’altra stanza per giocare a biliardo. Stranamente, non
avevano voluto rimanere con loro. Jane stava
servendo il tè quando le sorelle entrarono.
“Accomodatevi. Un
po’ di tè? O preferite che giochiamo a
carte?”
“No, io ho
decisamente bisogno di uno
dei vostri deliziosi tè, zia.” disse Rosamund
pacata.
Cecilia si sedette sul
divanetto assieme a sua
madre e, ringraziando per la bevanda, osservò un
po’ la
combriccola che si era venuta a creare. Si portò la tazza
alla
bocca e scambiò un sorrisetto divertito alla madre.
Nonostante
il comportamento di Matthew, il suo umore era rimasto allegro.
“Posso conoscere
l’argomento della conversazione?” chiese allegra.
“Di uomini. Ci stavamo chiedendo come mai ci
lasciano
continuamente da sole per questioni più noiose.”
rispose
Lady Hamilton.
“Adesso si spiega
tutta questa tensione…” bisbigliò la
ragazza.
Elizabeth dovette sforzarsi per scoppiare a ridere.
Sorseggiò la sua bevanda e riprese il filo.
Il fatto che gli uomini non erano interessati al
ricamo o
alla decorazione di una stanza non significava necessariamente il loro
completo disinteresse per le loro signore. Jane trovò la
risposta molto convincente, ma Caroline obbiettò, sostenendo
che
in presenza di ospiti era sgarbato lasciare tutto il peso alla moglie.
Allora Cecilia capì perché era saltato fuori
quell’argomento; suo padre e il signor Bingley erano
scomparsi.
“Saranno cose da uomini.”
disse alzando le spalle.
“Cose
noiose.” sentenziò la signora Hamilton.
“Io trovo che cavalcare non sia una cosa
noiosa.” intervenne audacemente Gwendolyn.
“Certo che no! Sono secoli che le donne cavalcano
per
conto loro.” rispose fiera Lady Caroline.
“Sì, ma è ancora definita
una cosa
prettamente maschile, come studiare medicina o scrivere. Ha mai visto
un cocchiere donna?”
“Dio mio, no! Per
carità, sarebbe del tutto assurdo!”
Gwendolyn sfoggiò un sorrisetto soddisfatto che
condivise
soprattuto con Cecilia. Le due andavano molto d’accordo,
quando
l’argomento passava dagli uomini all’indipendenza
femminile. Alice, Meredith e Rosamund si fecero scappare una risatina.
Caroline pensava che si divertissero, benché non suppose per
via
della sua contraddizione. Alice da canto suo, adorava passare del tempo
a parlare con le cugine, mentre Meredith che non passava moltissimo
tempo in compagnia - era ancora giovane, sebbene avesse dei genitori
molto ospitali -, o almeno non quanto ne voleva, trovò la
discussione molto divertente; anche perché forse era ancora
troppo innocente per capirne la malizia.
Dopo una mezz’ora di conversazione, le signore,
attratte
dalla mancanza maschile, andarono a sbirciare nella sala da biliardo.
Trovarono Aaron, Matthew e i loro rispettivi padri attorno al
tavolo verde, sprofondati in una concentrazione tale da far timore.
Erano rimaste poche sfere sul tavolo e quindi la partita stava per
giungere al termine.
“Dev’essere una cosa
seria…”
sussurrò Meredith a Cecilia, che sorrise.
“Dalle loro facce
sembra una questione di vita o di morte!” rispose la cugina.
“O
d’onore…” intervenne Gwendolyn.
“O una scomessa…”
sospirò Lizzy con uno
sguardo eloquente alla sorella.
“Non ne sarebbero capaci
neanche per scherzo, Lizzy cara.”
“Sono uomini Jane,
e gli uomini sono fatti così.”
“Mia cara Lizzy, vi
ho sentita sapete?” esordì Mr. Darcy con tono
austero.
“Oh, spero di non avervi perdere la
concentrazione!”
rispose ironicamente avvicinandosi.
“Affatto. Siete il
mio portafortuna.” scherzò lui.
“E voi il mio marito
sfacciato.”
“Non vi sarete mica
offesa.”.
“Io offesa? Ma fatemi il piacere! Casomai siete voi
che vi
offendete con facilità.” lo riprese
la moglie con un pizzico di malizia.
Il marito sospirò e con un
sorriso scosse la
testa, tornando sulla sua sfera. Il rumore di uno scocco indico che
aveva appena messo in buca un’altra palla e
l’applauso che
ne seguì fu più forte, dovuto alla presenza delle
signore.
“Il matrimonio a Mr. Darcy giova, non trovate
Caroline?” prese a dire Jane, divertita dalla loro
conversazione.
Nonostante fossero passati vent’anni, a lei sembrava
incredibile
che lui fosse cambiato tanto.
“Se lo dite voi,
Jane.”
“Vostro marito sta
bene?”
“Sta bene,
grazie.”
“E pensate che
verrà a trovarci?”
“Se non ha qualche affare urgente, sono
sicura che
per domani sarà qui.”
Il tono di Caroline faceva capire che non voleva parlare
molto e
la cognata l’avrebbe anche lasciata in pace, se il suo animo
ben
disposto con tutti non l’avrebbe messa in pensiero per lei.
“Vi fermerete a
lungo? Avrò la gioia di ospitarvi di molto?”
“Oh, no. Non penso più di
un paio di giorni. Andiamo a Nord, a trovare i miei genitori. Ci uniamo
a Louisa e a suo marito. Si scusano per non essere potuti
venire.”
“Non
c’è nessun problema.
Sono certa che i vostri genitori saranno felici di rivedervi.”
Lei annuì con un
sorriso e il fratello le si avvicinò con fare amabile.
“Portagli i miei
saluti, per favore.”
“Sicuro Charles, ma
sei certo di non
voler venire con noi? Jane e i miei nipoti sono anche invitati,
ovviamente.”
“No, non credo ne avremo
l’opportunità. Jane?”
“Temo che abbiamo qualche impegno al momento, ma
se per
quando ci saremo liberati l’invito sarà ancora
valido,
verremo con grande piacere. I vostri genitori sono persone
squisite.”
“Capisco. Buono a sapersi. Di certo, il dispiacere
più grande è mio. Vogliate scusarmi, ma penso che
andrò a dormire. Buonanotte.”
“Buonanotte,
Caroline.” la salutò il fratello con un sorriso
della moglie.
“Buonanotte, zia Caroline.” le
augurò Alice,
seguita da un inchino delle sue tre cugine.
Le giovani si spostarono di più verso il tavolo da
gioco e
prima che Bingley potesse riprendere e aiutare suo figlio, fu fermato
dalla moglie. Il suo viso era un po’ spento e preoccupato.
Gli si
avvicinò e gli sussurrò tutti i suoi timori.
“Sai caro, la vedo
un po’…”
“Dimmi…
un po’?”
“Triste.”
concluse la moglie, non trovando un aggettivo migliore.
“Io penso che sia la stanchezza. Il viaggio da
Londra a
qui è lungo. Infatti mi sembra strano che non voglia
fermarsi un
po’ di più!”
“Non saprei… No,
non credo. Non credo sia stanchezza.”
Bingley la guardò allora con aria più
greve e lei
sospirò alzando le spalle. Era seriamente preoccupata per i
problemi della sua cognata, mentre l’animo gioviale e le
attenzioni per i figli di lui non avevano destato il minimo sospetto
nei suoi confronti. Bingley, che riponeva nella moglie non solo amore,
ma anche la fiducia, le fece allora la promessa che se per il giorno
seguente, Caroline non le sarebbe sembrata più allegra, le
avrebbe parlato da buon fratello che era. Il ringraziamento di Jane fu
sincero e gli stampò un bacio sulla guancia. Con un
atteggiamento decisamente più sereno, la signora Bingley
convinse le ragazze a cominciare a coricarsi, mentre gli uomini
finivano la partita.
Salite in camera, Jane rivolse i suoi timori ad
Elizabeth,
che fu più che convinta che qualsiasi cosa affliggesse Lady
Hamilton era sicuramente causa del suo matrimonio
d’interesse,
quindi un rimpianto. Jane bocciò una simile idea, sebbene
poteva
esser vera, e si augurò che si trattasse uno dei suoi timori
infondati. Appoggiando questa soluzione, Elizabeth si ritirò
nella sua stanza dove ripensò agli eventi della giornata, al
suo
Matthew e doveva riflettere sulla strategia migliore per ben disporre
nuovamente suo padre a suo figlio, di cui l’appassionato
amore
fraterno l’aveva in qualche modo spinto alla presunzione di
poter
placare una situazione che non era in suo potere fare.
Sul prato, un’altra
persona ripensava a
questi fatti. Matthew non riusciva a credere di aver perso la stima del
padre, di cui aveva sempre avuto il massimo rispetto e affetto,
né voleva ripensare alla sfortuna del fratello e si chiese
se
lui in amore ne avrebbe avuta altrettanta. Pensò di andare a
fare una camminata per il vialetto, in modo da scacciare via quei
brutti pensieri indegni per lui e ingiusti per il fratello, quando si
ritrovò sulla strada una figura, che
nell’oscurità
notturna non riuscì a definire finché non le si
avvicinò.
“Oh,
Matthew!” esclamò la giovane, avvolta nel suo
morbido scialle.
“Alice! Avevo capito che tua
madre t’aveva coricata.”
“Dovevo prendere un
po’ d’aria… Anche tu, a quanto
vedo.”
“Ho molti pensieri in
testa.” affermò lui con indifferenza.
La conversazione fu lasciata cadere così e
nessuno dei
due parlò, Matthew era troppo sovrappensiero e Alice aveva
sempre avuto nei confronti del suo silenzio una certa comprensione.
Quest’ultima svanì nell’osservare la sua
espressione
cupa, così gli chiese se la sua mente fosse affollata da
brutti
pensieri.
“No. Non sono
così brutti come credi, cugina.” mentì.
Non avrebbe mai concesso alla
figlia
più sensibile della famiglia Bingley di scoprire i suoi
timori.
Tentò di cambiare il fronte dell’argomento,
spostando
l’attenzione su di lei, alludendo che i suoi pensieri
sembravano,
in qualche modo, più gradevoli.
“Oh, si nota così
tanto?” chiese lei, sobbalzando.
“No. Con
l’oscurità le tue
guance non sembrano poi così rosse.”
ironizzò
Matthew con un sorriso divertito.
Anche Alice rise di gusto alla
battuta e non
riuscendo più a trattenersi gli svelò cosa
occupava
così assiduamente la sua mente. Uno dei loro vicini, Sir
Wales,
aveva un figlio che era un grande amante della pittura ed era un
pittore lui stesso, con cui lei aveva stretto amicizia. Questo
l’aveva supplicata di poterla ritrarre in quadro che avrebbe
esposto in una galleria di Londra. Matthew rimase sorpreso,
perché non si ricordava di aver mai visto quel quadro,
nonostante la zia Gardiner lo portasse spesso in giro e la cugina gli
spiegò che l’avrebbero esposto il mese prossimo.
“Non è questa la parte migliore,
cugino. Oh,
sapessi! Laurie giusto ieri mi ha dichiarato il suo amore!”
esclamò con preoccupazione e allo stesso tempo,
felicità
nella voce.
Matthew accolse la notizia con uno sguardo di
incredulità
e timore che la cugina accolse. I sentimenti di lui non erano
però quelli che lei credeva. Cercando di ricomporsi, Matthew
le
chiese cosa gli aveva risposto e lei gli disse che era stato tutto
così improvviso che aveva bisogno di riflettere.
“Hai dato una buona
risposta.”
“Oh, Matthew… Ti
assicuro che non so cosa fare!”
“Devi solo fare
chiarezza sui tuoi
sentimenti, Alice. Non mi sembra così difficile.”
rispose
lui con un certo fastidio nella voce.
“Oh, ma…
Io gli voglio bene, ma
non so se fino a questo punto! Ti prego Matthew aiutami a
capire…”
“Mi dispiace Alice,
ma come ben sai, non
sono un esperto in amore. Puoi chiedere a Rosa, a Gwen, a Cecilia, a
tua o a mia madre se preferisci, ma ti prego non chiedere a me.
Potrei darti un consiglio che potrebbe rivelarsi sbagliato e potresti
soffrirne molto.” fu la risposta secca di Matthew, sebbene in
un
certo senso era sincera.
Alice rimase sorpresa da quella risposta espressa con grande
amarezza, ma dato che lui non aveva intenzione di portare avanti
quell’argomento, si zittì da sola. Pensava che a
Matthew
un uomo della levatura di Laurie Wales non fosse degno di tutta
quell’attenzione che lei gli dava, ma la sua
vivacità e
sincerità avevano conquistato la sua calma e un certo
affetto,
sebbene non capiva se fosse amore.
La bella cugina allora
ritentò,
lanciando uno sguardo di chi aveva bisogno di un po’ di
conforto,
ma Matthew non glielo concesse, non per l’indisposizione nei
confronti di lei,
ma per la
rabbia che provava per se stesso. Continuava a camminare, fissando in
avanti il lungo vialetto e pensò che l’argomento
fosse
caduto a causa di quel silenzio e un po’ gli dispiaceva
perché, sebbene non guardava la cugina, sapeva perfettamente
che
lei aveva bisogno di un aiuto emotivo da parte di lui. Arrivati a casa,
Matthew salutò con freddezza la cugina che ancora
pensierosa,
salì in camera sua senza badargli molto, mentre lui si
diresse
verso il salotto.
Era buio, non vi era accesa una sola candela, segno della
più totale solitudine che Matthew cercava. Si
lasciò
cadere sul divano, affranto dalle sue ultime scoperte e da tutti le sue
preoccupazioni, che avrebbe voluto piangere, ma si ripromise che mai
avrebbe versato una lacrima per cose simili.
“Ecco. Adesso la mia
infelicità si può
dire completa.”
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