Betrayal In Its Most Simplest Form

di Virelei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***
Capitolo 25: *** Story Statistics ~ Piccola continuazione di Betrayal In Its Most Simplest Form ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Betrayal In Its Most Simplest Form


Capitolo 1


“Hei Kuroko!” La  voce forte di Kagami riecheggiò nella palestra. Gli altri giocatori della squadra di basket del Seirin non gli prestarono attenzione, mentre si asciugavano il sudore con degli asciugamani. L’allenamento di quel giorno era stato particolarmente duro, visto che la partita di allenamento contro il Kaijou si stava avvicinando.

Una testa color azzurro si alzò  tra i giocatori sudati. “Si, Kagami-kun?”

“Posso venire a casa tua oggi?” Il ragazzo con i capelli rossi stava in piedi di fronte al suo compagno, e la sua corporatura insolitamente alta si stagliava sul ragazzo più basso. Alla domanda di Kagami, tutta la squadra girò la testa verso Kuroko.

“Hei, non dimenticatevi di me!”Junpei Hyuuga, il capitano del Seirin, apparve al fianco di Kagami: “Anch’io voglio vedere la casa di Kuroko”.

Anche Riko, la coach, si fece avanti, “Anche io! Kuroko, non sono mai stata a casa tua.”

Poco dopo molti membri del Seirin si affollarono intorno al povero ragazzo, chiedendo di poter visitare casa sua.

“Ecco…” Kuroko finalmente prese parola. Anche se aveva parlato a bassa voce, tutti lo sentirono e smisero di parlare. “Grazie per l’interesse, ma questo pomeriggio ho un impegno. Scusate per il fastidio.” Si alzò dalla panchina e fece un piccolo inchino. La squadra si spostò silenziosamente per lasciargli spazio, mentre Kuroko prendeva la sua borsa blu e usciva dalla palestra senza una parola.

Ci fu un momento di silenzio, poi : “Che cavolo è successo?” disse Hyuuga.

Izuki:“Cosa vuol dire che ha un impegno? Ha un appuntamento?”

Kagami:“C-cosa? No! Non può avere una ragazza!”

Teppei:“Eh? Perché no, Kagami?”

Kagami:“Perché no e basta!”

“Ora basta!” la coach gridò a pieni polmoni. Si bloccarono tutti. Aspettò che cessassero tutti i mormorii prima di chiedere: “Ragazzi, non avete notato che ultimamente Kuroko si comporta in modo diverso?”

“Cosa intendi senpai?” chiese Kagami, sempre il più lento a capire.

“Bakagami,” borbottò Riko, “Intendo che negli ultimi giorni Kuroko è stato troppo silenzioso. Cioè, so che è sempre silenzioso, ma in questo silenzio è come se stesse nascondendo qualcosa. Nessuno l’ha notato?”

“Ora che mi ci fai pensare, – disse Hyuuga – Oggi non ha fatto nessuno dei suoi passaggi perfetti. Visto che presto saremo contro il Kaijou dovrebbe impegnarsi al massimo…”
“E non viene più con noi dopo gli allenamenti,” disse Koga.

Mitobe si chinò in silenzio e afferrò un oggetto, poi lo tenne in alto perché tutti lo vedessero. Era il borsone da basket di Kuroko. Tutti lo guardarono sorpresi.
“Aspettate, cosa…?”

“Manca la mia borsa,” urlò Kagami. “Cavolo, Kuroko deve averla presa per sbaglio!” Poi si fermò. Aspetta, Kuroko l’aveva presa per sbaglio?  Il suo compagno non era mai così sbadato.

Ci fu un lungo silenzio tra i compagni della squadra del Seirin. Tutti pensavano al loro affidabile passatore. “Che cosa sta succedendo?” si chiesero tutti ad alta voce, escluso Mitobe.


“Sono a casa,” disse piano Kuroko, anche se sapeva che non c’era nessuno – o almeno così pensava. Lentamente chiuse la porta e si tolse le scarpe da basket blu. Lasciò cadere la borsa, senza notare che il nome di Kagami vi era stampato con chiare lettere nere, e percorse qualche passo nell’ingresso, ma non andò lontano perché una mano volò verso la sua faccia e lo fece sbattere contro un muro.

Il dolore si diffuse nel suo corpo, mentre lui scivolava e crollava a terra. Prima che avesse il tempo di riprendersi, la stessa mano che lo aveva attaccato tirò i suoi capelli e strattonò la sua faccia verso l’alto. Un grido gli scappò dalle labbra. Un paio di familiari e freddi occhi blu gli si avvicinarono. “Dov’eri, Tetsuya-kun?”

“O-okaa-san,” bisbigliò Kuroko con dolore. “Non pensavo che il tuo viaggio sarebbe finito così presto”.

Un sogghigno crudele apparve sul viso della donna dall'aspetto giovane. Aveva gli stessi capelli azzurri, che le raggiungevano le spalle ed erano pettinati verso destra. Aveva un corpo sottile ma potente e la stessa pelle pallida di Kuroko. Per quanto sembrassero simili, madre e figlio erano completamente diversi.

“E’ tutto qui quello che hai da dire, moccioso ingrato?” sibilò. “Niente ‘bentornata’? Ho fatto quel viaggio per guadagnare soldi per te. Ora so che è stato uno spreco di tempo.” La pressione sullo scalpo di Kuroko per fortuna scomparve, ma fu rimpiazzata da un duro colpo sul lato della sua testa, che lo fece di nuovo sbattere contro il muro. “Allora?” Un terribile dolore nacque alle sue costole, non appena vi ricevette un calcio.

Kuroko tossì sangue, ma riuscì a dire, “B-bentornata a casa, okaa-san”.

La donna sembrò non sentire e tirò un altro calcio alle costole di Kuroko. Sollevò il ragazzo e lo gettò contro la parete. Lui cercò di proteggersi come meglio poteva, ma senza risultati. Il dolore continuava a crescere, fino a che non ne poté più. Proprio mentre stava per svenire, udì una debole voce:

“Ibuki! Ibuki, smettila! Stai uccidendo nostro figlio!”

Otou-san pensò Kuroko. Poi la vista gli si oscurò, finché tutto quel che poteva vedere fu un nero come la pece.






NdT: Primo capitolo di questa traduzione! Spero di non aver combinato pasticci, nel caso scusatemi, è la prima volta che pubblico qualcosa >.<
Vi anticipo che la storia ha 24 capitoli, i primi sono un po’ introduttivi, anche se succedono già molte cose.
Ringrazio  l’autrice, Virelei, per avermi permesso di tradurre la sua fanfiction, molto bella e ben scritta :)
A presto, Nienor_11

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

“Tetsuya, – sibilò una voce – Tetsuya, svegliati! Tetsu!” Uno strattone improvviso fece aprire gli occhi di Kuroko e lo fece sedere in una posa difensiva. Un dolore sordo si propagò per tutto il suo corpo. “Attento.” Due mani lo spinsero gentilmente sulle spalle e lui, sussultando, si stese di nuovo. “Non vorrai mica far riaprire le ferite. Ora riposa”.

Kuroko mosse leggermente la testa, riconoscendo la voce gentile. Gli ci volle un po’ per permettere alla vista di schiarirsi. “Otou-san?” provò a dire, ma con le labbra così screpolate e la gola secca, le parole vennero fuori stridule e deboli.

L’uomo che sedeva ansioso di fianco al letto gli fece un piccolo sorriso. Anche lui aveva i capelli azzurri, ma i suoi occhi erano marrone scuro. Nonostante la bassa statura di suo figlio, lui era abbastanza alto e la sua pelle era pallida. Ma, invece di un viso duro e spietato, l’uomo aveva un’espressione dolce e preoccupata per il figlio. I suoi occhi marroni brillavano di lacrime.

“Grazie al cielo, - Haru, il papà di Kuroko, bisbigliò – Stai bene”. Kuroko guardò suo padre inginocchiarsi sul pavimento e abbracciarlo in un gesto di conforto, facendo attenzione alle sue ferite. Il ragazzo, ignorando il dolore, circondò lentamente il corpo del padre con le braccia. “Mi dispiace, Tetsu,” bisbigliò Haru. Kuroko sentiva le lacrime del padre inumidirgli i capelli.

“Perché ti scusi, otou-san? – si tirò indietro e guardò suo padre negli occhi – Non è colpa tua”.

Haru scosse la testa, “Si che lo è, Tetsuya. Ho sposato quel mostro, e non ci posso fare niente. Se divorziassi lei ti prenderebbe in affidamento, e questo non lo posso permettere.” Suo padre fece un respiro tremante e si passò una mano sul viso con una risatina,”Guardami, un uomo adulto che piange. Non dovrei piangere, sei tu quello che sta provando dolore.” Haru alzò lo sguardo e tese una mano, sussultando quando Kuroko iniziò istintivamente a indietreggiare, ma la mano continuò il suo percorso, fino a raggiungere i capelli del figlio. Accarezzò le morbide ciocche blu chiaro, “Mi dispiace, Tetsuya,” bisbigliò di nuovo.

“Per favore, smettila otou-san, – Kuroko prese la mano del padre tra le sue, stringendola – Non è colpa tua. Per favore non farti carico di tutti i miei dolori.” Esitò prima di chiedere: “Okaa-san è in casa?”

Haru scosse la testa, “E’ uscita poco fa. Così ho avuto tempo di curare le tue ferite, – il padre guardò le bende sul corpo di Kuroko – Ti fa tanto male?”gli domandò preoccupato. Kuroko non rispose e suo padre salì sul letto con lui, facendolo appoggiare al suo fianco. In effetti il fragile ragazzo ne fu contento e appoggiò la testa al petto del padre, afferrando la rigida camicia formale che, come lui sapeva, il padre indossava solo per le riunioni di lavoro. “Non tenerti tutto dentro Tetsu. So che fa male, lasciati andare.”

Kuroko spinse di più il viso contro il petto del padre e rimase fermo.


Padre e figlio restarono così per quelle che sembrarono ore, entrambi desiderando disperatamente che il tempo potesse fermarsi.


“Non muoverti da qui, ok?” Haru aggiustò le coperte intorno a Kuroko. “Tornerò presto; chiuderò la tua porta a chiave dall’esterno. Se tua madre torna non aprire la porta; stai in silenzio e fai finta di non esserci, indipendentemente da quello che dice. Hai il mio numero di telefono, se qualcosa di brutto dovesse accadere chiamami. E… -  Haru esitò ma poi disse – Non importa quanto tu rispetti tua madre o quanto pensi di essere debole, se lei entra in questa camera per farti del male, tu reagisci. Capito, Tatsuya? Reagisci

“Si, otou-san,” rispose calmo Kuroko.

Haru annuì soddisfatto, sapendo che  suo figlio, così educato, non gli avrebbe mai disobbedito. “Ora vado. Non esitare a chiamarmi, Tetsu; risponderò sempre.” Gli diede un leggero bacio sulla fronte prima di uscire, assicurandosi di chiudere a chiave la porta.

Dopo aver sentito la porta chiudersi Kuroko si rilassò visibilmente contro la testata del letto. Ora che ne aveva l’opportunità, si guardò finalmente intorno e capì di essere nella sua stanza e che suo padre doveva averlo portato lì dopo il litigio con sua madre. Le pareti erano di un azzurro chiaro e si intonavano con il soffice tappeto. La stanza era semplice, come ci si sarebbe aspettati da Kuroko. Il letto su cui era sdraiato si trovava in un angolo, mentre una scrivania in legno e una sedia si trovavano al suo fianco. Sotto la scrivania c’era una palla da basket. Il suo zaino era posato vicino alla porta e una piccola cabina armadio si trovava dalla parte opposta del letto.

Kuroko sospirò e guardò il suo telefono, in cui aveva segnato tutte le date degli allenamenti. Fece una smorfia quando vide che quel pomeriggio ce ne sarebbe stato un altro. “Cosa posso dire agli altri?”si chiese. Decise di chiamare Kagami, giusto perché non pensassero che stesse evitando di allenarsi. Visto che la partita con il Kaijou si sta avvicinando si arrabbieranno sicuramente, pensò Kuroko cupamente.

“Pronto? – rispose Kagami con voce aspra – Sei tu, Kuroko?”

“Hai,”  rispose Kuroko con gentilezza, ma prima che potesse aggiungere altro fu interrotto dalle domande di Kagami: “Dove sei? Sei in ritardo e stanno dando la colpa a me! Non dirmi che non vieni, presto ci sarà la partita col Kaijou! Hei Kuroko, mi stai ascoltando? Muovi il culo e vieni qui!”

“Mi dispiace Kagami-kun, ma oggi non posso venire.”

Cosa? Perché no?”

“Sono…malato, Kagami-kun. Dovrò saltare gli allenamenti per qualche giorno.”

Ci fu un silenzio incredulo. “Ma prima stavi bene, Kuroko! È perché volevamo venire a casa tua? Alcuni scherzavano, sai…”

“No, non è per quello. Mi sono solo preso un raffreddore, mi dispiace,” Kuroko fece un piccolo inchino, anche se nessuno poteva vederlo. Visto che Kagami non rispondeva, aggiunse cautamente “…Kagami-kun? Potresti informare Riko-san della mia condizione, per favore?”

Kagami fece un lungo respiro che si sentì attraverso il telefono. “Si, certo. Guarisci presto, okay?”


“Hai,” rispose il ragazzo con educazione e poi riattaccò prima che si potesse aggiungere altro.


“Kuroko non ce la fa a venire, – annunciò Kagami ad alta voce – E’ malato”

Il suono delle palle da basket che rimbalzavano contro il pavimento della palestra si fermò, le teste si voltarono, le espressioni divennero incredule e i movimenti si bloccarono.

“Kuroko,malato?” chiese Hyuuga.

Kagami sollevò il suo cellulare rosso e lo mosse in aria, “E’ quello che ha appena detto.”

“Ma prima stava bene!” protestò Koganei.

“Sei sicuro che non sia una scusa?” chiese Teppei.

“Se è una scusa giuro che me la paga,” disse Riko minacciosamente.

L’alto ragazzo dai capelli rossi alzò le spalle. “Mi ha solo detto di passarvi il messaggio, nient’altro.” Si chinò e raccolse una palla, passandosela più volte avanti e indietro tra le mani, prima di scagliarla con tutta la sua forza contro un muro. Nessuno fece commenti per la piccola ammaccatura, “Diamine Kuroko, – mormorò Kagami, respirando affannosamente – Cosa cavolo stai nascondendo?”






NdT: Ed eccoci al secondo capitolo! Per fortuna il povero Kuroko può contare almeno su suo padre…
Ringrazio davvero di cuore chi ha recensito, chi ha messo la storia tra le seguite e anche chi ha semplicemente letto!
Salvo problemi imprevisti cercherò di pubblicare un paio di volte a settimana. Questi primi capitoli non sono molto lunghi, ma andando avanti si faranno più complessi, quindi potrei metterci un po’ a prepararli.
Ultima cosa, mi sono dimenticata di farlo nel primo capitolo, quindi rimedio ora: un ringraziamento speciale va a lucelince, che mi ha spiegato un po’ come funziona il sito e come postare le storie :)
Dovrei aver finito, al prossimo capitolo!
Nienor_11

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Appena fuori dalla porta di Kuroko risuonavano dei colpi rumorosi. Si potevano sentire dei vetri che si rompevano, dei piatti che cadevano e degli oggetti, probabilmente di valore, che venivano lanciati contro la povera porta. Kuroko si fece piccolo e si nascose ancora di più sotto le coperte. Ibuki era tornata a casa da un paio d’ore e da allora i colpi contro la sua porta non erano ancora cessati.

“Tetsuya-k-u-n, – la voce dolce e velenosa di Ibuki canticchiò da appena oltre la porta – Vieni a salutare tua madre, Tet-su-ya-kun”. Dei brividi corsero lungo la schiena di Kuroko, che lottò per trattenere le lacrime e rimase in silenzio, come se non ci fosse stato, proprio come gli aveva detto suo padre. “So che sei lì dentro, Tetsu, – disse sua madre con tono seducente – Non ti farò del male, devi solo aprire la porta.”

Devo chiamare otou-san pensò vagamente Kuroko, ma il suo cellulare era sulla scrivania e lui si sentiva paralizzato tanto da non riuscire a sollevare le coperte pesanti e raggiungerlo. Aveva paura di fare rumore mentre percorreva la distanza che separava il letto dalla scrivania. La voce disgustosa di sua madre ed il continuo bussare gli gelarono il sangue nella vene, così rimase immobile sul letto.

“Tet-su-ya, – Ibuki assunse un tono gelido – Non è carino fare aspettare tua madre. Dove sono finite le tue buone maniere? Devo di nuovo insegnartele con la forza, Tet-su-ya?”

A quelle parole il corpo di Kuroko iniziò a tremare di paura e alcune lacrime riuscirono a scendere dai suoi occhi iniettati di sangue. Vai via, pregò silenziosamente. Non ci sono, sono invisibile. Vai via, per favore. C’era un motivo per il suo essere così invisibile; lui non era nato essendo già un’ombra, ma si era allenato per diventarlo.

“È la tua ultima occasione, Tetsuya, – sibilò sua madre – Non importa se è chiuso a chiave, prendo un cacciavite e tolgo il pomello. È questo che vuoi, Tetsu?” Il suo nome sembrava orribile quando era lei a pronunciarlo. Quando Kuroko non rispose i passi pesanti di Ibuki si allontanarono dalla sua stanza. Kuroko aspettò a lungo, sperando che il silenzio fosse un buon segno. La sua speranza aumentava ad ogni secondo che passava senza che nulla accadesse, ma poi ci fu un suono metallico.

Il cuore di Kuroko fece un balzo. Lo sta facendo davvero? Vuole forzare la porta della camera? Trattenne il fiato e chiuse gli occhi, stringendoli. Questa era una delle volte in cui odiava essere così debole, così indifeso, così dipendente. Anche sul campo da basket aveva bisogno di qualcuno. Senza un partner lui non era niente.

“Ti avevo avvertito, Tetsuya, – canticchiava sua madre – Appena avrò tolto questo pomello ti darò una lezione di buone maniere.”

Kuroko si rese conto di doversi muovere. Doveva scappare. Il pensiero della sua sopravvivenza lo fece uscire dalla paralisi. Tirò via le coperte e l’aria fresca lo raggiunse, così fece un respiro profondo, visto che aveva passato ore con l’ossigeno limitato sotto le lenzuola. Si tirò su piano, facendo attenzione alle sua costole e alla ferita alla testa, e fece oscillare le gambe oltre il letto. Si alzò traballando, ma subito si curvò per il dolore che sentì all’ improvviso all’addome e che lo fece restare senza fiato.

“Vedi di non scappare, Kuroko Tetsuya, – lo avvertì Ibuki – Tanto non ne avrai la possibilità. Ho già tolto le prime due viti...”

A queste parole Kuroko strinse i denti e arrancò fino alla sua giacca, appesa ad un attaccapanni. La indossò velocemente per coprire il suo busto nudo e si mise goffamente un altro paio di scarpe da basket che teneva sotto la scrivania. Per ultima cosa prese il cellulare.

“Manca solo più una vite, figlio disobbediente.”

Deglutì. Kuroko sapeva di non avere più tempo. Mancavano pochi secondi prima che sua madre entrasse e lo prendesse. Camminò il più velocemente possibile verso la sua grande finestra e la aprì. Una scala nascosta, che entrava in funzione ogni volta che la finestra veniva aperta, funzionò anche questa volta e scese dondolando lungo il muro. Era un trucco che gli aveva insegnato suo padre quando Ibuki aveva cominciato ad essere violenta.

Ignorando il dolore, Kuroko spinse il suo corpo fuori dalla finestra, tenendo saldamente i piedi sul terzo gradino della scala pendente. Le sue mani pallide e sudaticce si aggrapparono al davanzale polveroso, prima di scendere sul primo piolo. La scala tremò sotto il suo peso,che non era molto, ma resse. Con grande attenzione Kuroko iniziò a scendere.

“Tetsuya!” Uno strillo arrabbiato lo fece fermare a metà della sua discesa. Sollevò la testa e si bloccò quando il viso di sua madre apparve alla finestra aperta. “Come osi cercare di scappare, moccioso ingrato! Quindi è così che riuscivi a sfuggirmi, eh? Bene, ora ci liberiamo del problema.” La faccia di Ibuki si distorse in un sorriso terribile e sadico. Tirò fuori un coltellino e quando lo aprì la luce colpì il metallo affilato. Il coltello scintillava malignamente. “Vediamo se sopravvivi alla caduta, Tetsuya-kun,”disse lentamente sua madre.

Il ragazzo spalancò gli occhi mentre la sua aguzzina sistemò il coltello contro le corde che reggevano la scala. Iniziò a tagliarle lentamente, deridendolo. “N-no! Per favore non farlo, okaa…” Kuroko interruppe la sua supplica con un grido. La scala cedette all’improvviso e il ragazzo dai capelli azzurri iniziò a cadere.

Prima che potesse rendersene conto la gravità si impadronì di lui e la sua schiena sbatté contro il pavimento di cemento. Voleva urlare, ma il suo cervello si rifiutò di farlo. La sua testa era stordita per questa nuova tortura. Fa male. Kuroko sentì del sangue uscire dai tagli profondi causati dalla caduta; era vagamente consapevole della risata di sua madre.

“Sembra che faccia male, Tetsu. Dimmi, stai male? – lo prese in giro Ibuki dalla finestra – Ti fa male muoverti? Oh, povero piccolo figlio mio. Non ti muovere, scendo subito.”

Scendo subito. Scendo subito. Scendo subito. Muoviti. Corri. Scappa. Segnali di pericolo gli squillarono nel cervello. Devo spostarmi pensò Kuroko con disperazione. Devo correre; nonostante il violento bruciore che sentiva sulla schiena e alle gambe, riuscì a rotolare su un fianco e ad alzarsi tremando. Poi iniziò a correre, e quello fu probabilmente il più grave errore della sua vita.

Il dolore era semplicemente indescrivibile, tanto che Kuroko voleva urlare, crollare, singhiozzare, arrendersi. Correva sgraziatamente, sempre sul punto di inciampare nei propri piedi ogni due passi. Alcuni passanti lo guardavano in modo strano. Per sua sfortuna, correre lasciandosi dietro una scia di sangue non era il modo giusto per diventare invisibili. Kuroko sentì alcuni dei commenti:

“Non dovremmo chiamare la polizia?”

“Povero ragazzo! Cosa gli è successo?”

“Lo aiutiamo?”

Aiutatemi, per favore, voleva dire Kuroko. Voleva dirgli di sua madre, degli abusi, del dolore. Ma il suo cervello non glielo permise. L’unica cosa che il suo corpo gli consentiva di fare era correre. L’unico motivo per cui non si fermò e non crollò a terra era perché in quel caso sua madre lo avrebbe raggiunto.

Un bar dall’aria familiare apparve davanti a lui. La gente si spostava per lasciarlo passare mentre vi si dirigeva. Avrebbe dovuto esserci… – eccolo lì. Era la prima cosa fortunata che gli succedeva quel giorno. Quando Kuroko era più piccolo veniva sempre a giocare vicino a questo bar, in un posto segreto che solo il proprietario conosceva e in cui gli permetteva di andare. Era dietro l’edificio, dove due giardini trascurati e pieni di erbacce formavano un nascondiglio. Era completamente isolato, e siccome nessuno osava attraversare i campi incolti, quasi nessuno ci andava.

Kuroko incespicò tra l’erba, sentendosi esausto. Prima che potesse arrivare allo spiazzo aperto, le gambe gli cedettero.

Gli scappò un gemito. Il sangue gli colava dalle labbra screpolate, perché correndo si era morso forte la lingua. Sentiva qualcosa pulsare sulla nuca. Nonostante tutto il dolore Kuroko ebbe il buon senso di chiamare qualcuno con il cellulare che aveva stretto accuratamente per tutto il suo tragitto. Ma non chiamò suo padre.

La persona chiamata da Kuroko rispose dopo il primo squillo “Si?”

“A-Akashi-kun,”disse raucamente.

“Tetsuya. Che succede?”chiese immediatamente l’ex capitano della squadra di basket del Teiko.

Passò un lungo momento prima che Kuroko riuscisse a rispondere: “Aiutami, per favore. Sto male.”

“Dove sei?”

“Vicino…al bar, – riuscì ad ansimare – Dove giocavamo.”

Akashi fece schioccare la lingua. “Sei fortunato, sono nelle vicinanze. Stai lì e non muoverti. Sarò lì tra poco.”


Non fece in tempo a rispondere che la chiamata fu chiusa.


Seijuro Akashi correva attraversando le strade, con la destinazione ben chiara nella sua mente. La sua velocità era senza precedenti e superava quella di tutti gli altri giocatori della Generazione dei Miracoli. Alcuni pedoni notarono che un paio di forbici affilate spuntavano dalla sua tasca frontale.

Sapeva della condizione di Kuroko. Oh si che lo sapeva. E se il suo Tetsuya era di nuovo stato ferito da quella donna, avrebbe fatto in modo che lei se ne pentisse. Ma in quel momento tramare un omicidio non era in cima alla lista delle sue priorità, trovare Kuroko invece lo era.

Se intendeva quel bar, allora… Ah, eccolo! Akashi si avvicinò all’edificio e svoltò a sinistra. Sapeva del nascondiglio che Kuroko usava ogni volta che voleva restare solo; era il loro segreto. “Tetsuya,”chiamò Akashi mentre avanzava tra le erbacce.

“Aka…shi-kun?”rispose una voce debole. Il ragazzo dagli occhi eterocromi si diresse verso la voce.

Finalmente Akashi raggiunse il suo ex compagno di squadra. Si rese conto che il ragazzo stava lottando contro l’impulso di lasciarsi svenire. Le sue ferite erano peggiori di quanto avesse pensato e del sangue ne gocciolava fuori lentamente. Il suo corpo fu attraversato dall’ira. Come osava – come osava quella donna toccare il suo Tetsuya? La sua mano fece uno scatto verso le forbici.

“A-ka-shi-kun, – Kuroko ebbe difficoltà nel pronunciare il suo nome – Sei venuto.”

“Certo che sono venuto,”rispose Akashi bruscamente. Si avvicinò e gli si inginocchiò vicino: “Dove ti fa più male?”

“La schiena,” rispose sommessamente Kuroko.

Il capitano sospirò e tirò fuori da una tasca un rotolo di bende.”Ti fascerò provvisoriamente le ferite alla testa e alle gambe. Non azzardarti a svenire, Tetsuya, hai capito?”
Per qualche strana ragione la voce autorevole di Akashi riuscì a confortare Kuroko, che bisbigliò “Hai.”

Riuscì a bendare velocemente e con efficienza i tagli più profondi. Non gli fece male, e Kuroko ne fu sollevato, ma ora la schiena lo stava tormentando. “Akaski-kun,” gracchiò il più basso. Inaspettatamente due mani indurite dai calli ma calde avvolsero con attenzione la sua piccola figura in un abbraccio. Kuroko non protestò e appoggiò il viso sulla spalle del suo soccorritore.

“Andrà tutto bene,”disse una voce dal tono autorevole vicino al suo orecchio. Non era da Akashi dire questo genere di parole. “Sono qui.”

Dei residui di sangue macchiarono la giacca di Akashi, ma non gli importava, perché ora doveva concentrarsi nel curare il fragile ragazzo che teneva tra le braccia. “La schiena…” disse Kuroko.

Una mano passò tra le sue ciocche azzurre e spettinate. “Puoi dormire adesso. Non ti farà più male.”


E fu ciò che Kuroko fece. Finalmente cedette alle richieste del suo corpo e svenne tra le braccia di Akashi.


Il ragazzo con gli occhi eterocromi riuscì a salire i gradini con il ragazzo privo di sensi tra le braccia. Infilò una chiave dorata nella porta del suo appartamento e la aprì facilmente. Il corpo di Kuroko pesava pochissimo, quindi non intralciò l’ex capitano.

Akashi si accigliò per il suo peso. Dovrò farlo mangiare di più.

Seijuro, facendo attenzione, sistemò Kuroko sul divano. Il movimento fece gemere il pallido ragazzo, ma non lo svegliò. Akashi fece una smorfia e prese il cellulare da una tasca.
Digitando più in fretta del solito scrisse: Vieni immediatamente a casa mia. È un ordine. Tetsuya è ferito.

Soddisfatto, inviò il messaggio e gettò il cellulare sbadatamente, sapendo che sarebbe caduto sulla poltrona dietro di lui.


Quindi prese la cassetta di pronto soccorso ed iniziò ad occuparsi delle ferite di Kuroko.


“Come sta Kurokocchi?”urlò Kise Ryouta aprendo con foga la porta di Akashi. “Sta bene? Deve andare all’ospedale? Devo dire al treno di Midorima di andare più veloce così può curare…?”

“Ryouta. – La fredda voce lo bloccò a metà frase e lo fece tremare – Farai meglio ad abbassare la voce.”

Il biondo sbattè le palpebre e si accorse che Akashi e Kuroko erano proprio davanti a lui, seduti sul divano. In realtà il primo era seduto; l’altro era raggomitolato contro il temuto capitano, con gli occhi chiusi. “S-scusa, Akashicchi.”

Gli occhi di due diversi colori si restrinsero per un secondo nel guardarlo, poi Akashi face un leggero cenno d’assenso al copiatore. Kise sospirò di sollievo e si avvicinò a Kuroko. Si inginocchiò proprio di fronte alla gambe di Akashi ed osservò le ferite inflitte al ragazzo ‘invisibile’. “E’ stato chi penso sia stato?”

“Suppongo di si.”

Kise imprecò sommessamente.

Presto tutta la Generazione dei Miracoli arrivò all’appartamento di Akashi. Tutti i giocatori ebbero più o meno la stessa reazione di Kise. Aomine aveva imprecato a voce più alta, venendo rimproverato da Akashi. Midorima aveva scosso la testa in silenzio, stringendo le labbra. Murasakibara aveva sgranocchiato tristemente le sue patatine, offrendone anche ad Akashi, che aveva rifiutato.

La Generazione dei Miracoli sapeva ciò che Kuroko doveva sopportare quando i suoi genitori erano a casa. Sapevano di cosa era capace sua madre e quanto dolore potesse far provare al ragazzo prima che lui cedesse. Tutti loro avevano visto già molte volte Kuroko spezzato e distrutto, e tutti condividevano l’odio per quella situazione.

Midorima sospirò e si sedette a fianco del ragazzo che dormiva, scompigliandoli i capelli con esitazione. “Che situazione difficile,”disse piano.

“Kuro-chin starà bene, vero Aka-chin?”chiese cupamente Murasakibara.

“Non lo so, Atsushi. Siediti adesso, non puoi andare avanti e indietro nel mio appartamento, con la tua altezza.”

Il ragazzo dai capelli viola chiese scusa mormorando e si sedette.

“Certo che starà bene! – protestò Aomine – Kuroko può sembrare debole, ma è forte. È sopravvissuto a tutti questi anni…”

“Ma quanto può ancora resistere?” fece notare tristemente Midorima. L’asso del Teiko non sapeva come rispondere a quella domanda.

“Maledizione!” Gli occhi di Kise si riempirono di lacrime. “Perché deve sempre essere Kurokocchi? Perché è sempre lui a soffrire?” Ryouta si asciugò gli occhi con il dorso della mano è tirò su col naso. “Non è giusto, non si merita questo.”

Akashi contrasse la bocca ai commenti dei suoi vecchi compagni. Era d’accordo, Tetsuya non si meritava questo dolore. Non aveva bisogno di una madre ingrata che non capiva di essere fortunata ad avere un figlio come lui. Non aveva bisogno di ulteriori sofferenze.

Il ragazzo dai capelli rossi depositò un bacio dolce sulla fronte sudata del ragazzo accanto a lui prima di rivolgersi alla Generazione dei Miracoli. “Capisco che siete tutti turbati. Ryouta, hai ragione. Tetsuya non merita questa inutile sofferenza.” Fece una pausa, poi aggiunse:”Nessuno deve sapere di questo, nemmeno la squadra di Kuroko, il Seirin…Anzi, specialmente non il Seirin. Fate in modo che il Seirin non ne sappia nulla, a qualsiasi costo.”






NdT: Capitolo crudele ma importante, le cose iniziano a mettersi in moto…
E finalmente incontriamo Akashi e la Generazione dei Miracoli al completo!
Ringrazio  tutti: lettori, commentatori e ‘seguitori’ xD
A presto, Nienor_11

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


“Cosa faremo?”

“Non faremo niente, Daiki. Aspetteremo che Tetsuya guarisca prima di fare qualsiasi altra cosa.”

“Ma…”

“Daiki.”

Ci fu silenzio. Kuroko cercò di capire dove si trovava e cosa stavano dicendo. La sua testa era appoggiata a qualcosa di caldo e una mano gli stava accarezzando ripetutamente i capelli. Il suo corpo era attraversato da un leggero dolore, ma non era niente di serio. Poteva sentire un lenzuolo leggero che lo copriva. La mano che passava tra i suoi capelli era confortevole, calmante e non voleva che si fermasse.

Ma fu proprio ciò che fece. La mano si fermò alla base del suo collo, dandogli una leggera stretta affettuosa. “Tetsuya.”

Kuroko seppe di essere stato beccato. Aprì obbedientemente gli occhi, strizzandoli per la luce improvvisa e incontrò lo sguardo fisso di Akashi. Arrossì leggermente quando si rese conto che era coricato sul grembo dell’ex capitano.

“Se arrossisci vuol dire che stai guarendo bene,” disse divertito Akashi.

“Kurokocchi?” si intromise una voce indesiderata.

“Tetsu!”

“Kuro-chin è vivo!”

“Certo che è vivo, baka.”

“Eh? Perché sei così cattivo, Mido-chin?”

Kuroko sbattè le palpebre e fissò i tre giocatori variopinti che si erano chinati su di lui.

Il tiratore numero uno era seduto ai suoi peidi. “Siete venuti, – riuscì a dire - …tutti.”

Midorima fece un sospiro infastidito, “Ovvio che siamo venuti, anche se siamo stati più o meno obbligati.” Poi il suo tono passò da infastidito a preoccupato: “Sei rimasto privo di sensi per qualche ora. Stai bene?”

Tutti aspettarono con ansia la risposta del pallido ragazzo. “Hai… Non fa più male come prima.” Tutti nella stanza furono sollevati. Kuroko tornò a guardare il suo ‘cuscino’. “Ehm…Akashi-kun?”

“Si?”rispose lui con tono indifferente.

“Come sono arrivato qui?” Sentendosi fuori posto, Kuroko si girò con un leggero sussulto e iniziò a giocherellare con il bordo della camicia di Akashi.

Fu Murasakibara a rispondere: “Aka-chin ha portato Kuro-chin fino al suo appartamento, – il ragazzo più alto fece una pausa, poi aggiunse – Oh, ma questa non è la vera casa di Aka-chin. La sua casa è troppo lontana perché ti ci potesse portare.”

Era vero. Se Akashi l’avesse portato fino a casa sua, ci sarebbe voluto un viaggio in treno di quattro ore e allora Kuroko sarebbe stato in pericolo. Ma visto che i suoi genitori se lo potevano permettere, l’asso del Rakuzan aveva un appartamento in tutte le città in cui di solito si spostava.

“Mi hai portato? Mi scuso di essere stato un problema,” disse il ragazzo con educazione, cercando di alzarsi. Venti mani vennero in suo aiuto. Kuroko cercò di non trasalire, ripetendosi che volevano solo aiutarlo. Riuscì a sedersi senza riaprire nessuna ferita, e Akashi gli mise una mano sulla spalla per sostenerlo. Il ragazzo più piccolo posò uno sguardo inespressivo sull’ex prima squadra del Teiko, poi tornò a guardare il pavimento. “Mi dispiace avervi causato tutti questi problemi,” mormorò.

“Baka, – la mano di Midorina lo schiaffeggiò piano sulla nuca, facendo attenzione a non fargli male – Non ci stai causando nessun problema.”

“Midorimacchi ha ragione, Kurokocchi, – disse Kise a voce alta – Noi vogliamo essere qui.”

Kuroko esaminò con meraviglia i ragazzi dai capelli dei colori dell’arcobaleno che avevano percorso parecchi chilometri solo per lui. Avevano tutti un’espressione preoccupata, persino Murasakibara aveva smesso di mangiare la sua barretta di cioccolato. “Grazie a tutti,” disse piano.

Akashi sospirò e si alzò dal divano, sgranchendosi le gambe ed i muscoli irrigiditi. Tutti lo guardarono in silenzio, aspettando la sua prossima mossa. “Hai fame Tetsuya?”

“No, io…”

“Mangerai, – disse l’ex capitano in tono risoluto – Ti cucinerò qualcosa, e dovrai mangiare tutto ciò che ho preparato.” Kuroko non ebbe modo di parlare perché Akashi si chinò, gli arruffò i capelli con affetto e si diresse in cucina.

Per qualche ragione, quando il temuto giocatore ebbe lasciato la stanza, fu come se la temperatura si fosse alzata di qualche grado. Tutti, incluso Kuroko, si rilassarono.

“Uaaah,”il biondo rumoroso pianse e si attaccò al braccio della persona più vicina, che sfortunatamente era Aomine. “Akashicchi fa davvero paura.”

“Lasciami andare!” Aomine tentò di scuoterselo di dosso.

“Silenzio, – ordinò Midorima – Ci può ancora sentire. E penso che a Kuroko i rumori forti diano fastidio.” Si girarono tutti a guardare il ragazzo silenzioso. “Se stai male , Kuroko, ce lo devi dire. È anche questo un ordine di Akashi. Si arrabbierà se verrà a sapere che stai facendo finta di niente.” Il ragazzo dai capelli verdi giocherellava con una mano con un tubetto di colla (che probabilmente era il suo oggetto fortunato di quel giorno) mentre usava il medio dell’altra per tirarsi su gli occhiali.

Kuroko abbassò lo sguardo. “Capisco. Quanto sono…gravi le mie ferite?”chiese cautamente.

Midorima sospirò. “Per fortuna non hai niente di rotto. Ma le tue costole hanno delle contusioni importanti. Hai delle ferite abbastanza grandi alla testa e sugli arti, ma, – serrò per un momento le labbra – la parte messa peggio è la tua schiena.” Questo spiegava perché Kuroko non era appoggiato allo schienale del divano.

“Peggio come?” Kuroko quasi non voleva saperlo.

“Sembra…sembra che sia stata colpita con una mazza.”

Tutti sussultarono per la scelta di parole di Midorima. Per quel che ne sapevano, Kuroko avrebbe potuto essere stato davvero picchiato con una mazza. “Capisco,” fu l’unica sua risposta.

Murasakibara si sedette al posto lasciato da Akashi. Prese la barretta di cioccolato che non aveva mangiato, ne morse metà e si bloccò quando vide Kuroko. “Ne vuoi un po’, Kuro-chin?” chiese porgendo la barretta mezza mangiata.

“Nooo!” Kise si tuffò verso di lui. “Questo è un bacio indiretto! Kurokocchi è troppo prezioso per il tuo sputo disgustoso!”

“Disgustoso?”fece il broncio Murasakibara.

Aomine intervenne e strappò Kise via da Kuroko. “Ehi, non toccare Tetsu!”

“Eh? Perché no? Aominecchi!” si lamentò Kise. Ma il ragazzo abbronzato non lasciò andare Kise, e si ritrovò davanti uno sguardo con gli occhioni da cucciolo spalancati. L’asso del Touou arrossì.

“P-perché potresti far male a Tetsu!”Rispose Aomine con una mezza verità.

“Ooh, Mine-chin è geloso di Kuro-chin,”annunciò Murasakibara, dopo che Kuroko ebbe gentilmente declinato l’offerta. “Mine-chin, ti piace Ki-chin?”

“Cosa? Aominecchi è geloso? Solo perché sono il tuo rag-“

Aomine coprì con una mano abbronzata la bocca di Kise. “Stai zitto, – sibilò – Akashi potrebbe sentire-aah!”

Un paio di forbici volarono nello spazio quasi inesistente tra Kise e Aomine, conficcandosi nella parete vicino a loro. Tutti tranne Kuroko e Midorima deglutirono rumorosamente.

“C’è qualcosa che mi state nascondendo, Ryouta? Daiki?”chiese una voce letale. La temperatura calò.

Kise fece una risatina nervosa. “A-Akashicchi, non nascondiamo n-niente…”

“Osi mentirmi?”

Il biondo sussultò e si nascose dietro la stazza di Aomine. “Mi dispiace, Akashicchi, – mugugnò Kise – E’ tutta colpa di Aominecchi!” Il ragazzo chiamato in causa lo guardò male aprì la bocca per protestare, ma sentì che gli si chiudeva la gola non appena vide lo sguardo di Akashi; non era uno sguardo che avreste voluto vedere. In quel momento vide la sua vita scorrergli davanti agli occhi.

Akashi si schiarì la gola, probabilmente preparando una punizione terribile per i ragazzi tremanti, ma fu interrotto da una voce calma: “Akashi-kun.” Il playmaker del Rakuzan spostò la sua attenzione sul ragazzo più basso. “Le ferite stanno cominciando a farmi di nuovo male, – confessò Kuroko – Specialmente la schiena.”

Akashi si accigliò. “Capisco; ho quasi finito di prepararti da mangiare. Shintaro, mettigli ancora della pomata e cambiagli le bende, senza fargli male. Per quanto riguarda voi, – lanciò un’occhiataccia al ragazzo che stava mangiando, al biondo tremante e al campione che sudava – Farete meglio a stare tranquilli e ad aiutare Tetsuya a guarire. Ryouta, Daiki, – si rivolse a loro e sentì che entrambi deglutirono – Non pensiate che io non sappia della vostra relazione. Dirò ai vostri attuali capitani di raddoppiare la durata dei vostri allenamenti come punizione per avermi mentito.” Fece una pausa, poi: “Lo stesso vale per te Atsushi, tu e Himuro siete diventati troppo affettuosi.”

Il ragazzo più alto arrossì e fece il broncio. “Aka-chin, non è giusto. Non mi piace allenarmi con la mia squadra.”

Lo sguardo di Akashi si addolcì un po’ su Murasakibara. Aveva un punto debole per il ‘bambino della famiglia’, un po’ come per Kuroko. “Motivo in più per allenarti, Atsushi…Ma dirò al tuo capitano di aumentare i tuoi allenamenti solo di un terzo.” Ignorò Ryouta e Daiki, che erano rimasti a bocca aperta, e si girò per tornare in cucina. “Tetsuya. Grazie per aver detto onestamente come ti senti. Più tardi…parleremo di ciò che è successo.”

Non avendo più nulla da aggiungere, tornò in cucina per fermare il fischio acuto del bollitore. Nel salotto la temperatura si alzò di nuovo.

“Cavolo, – si lamentò subito Aomine – è come una madre opprimente.”

“È colpa tua,” gli disse schiettamente Midorima. Aveva preso il kit di pronto soccorso e stava tirando fuori gli oggetti necessari a cambiare le bende di Kuroko. “Se tu non avessi mentito non sarebbe mai successo. Kuroko, sto per toglierti la giacca. Stai fermo, così non ti farò male.”

“Hai,” obbedì Kuroko.

“Non ho mentito! È colpa di Kise!” Il campione abbronzato guardò male il suo fidanzato.

“Il suo sguardo mi metteva troppa pressione, – si difese Kise – Non volevo morire, ma non volevo neanche che Akashicchi ci dividesse!” Un rossore comparve sul suo volto.

Murasakibara aveva un’espressione imbronciata. “Aka-chin si è arrabbiato con me e mi ha aumentato gli allenamenti,”disse tristemente.

“Almeno non te li ha raddoppiati!”gli urlarono entrambi.

“Ahia,” disse all’improvviso Kuroko, trasalendo per una fitta alla schiena.

Il ragazzo dai capelli verdi si sistemò gli occhiali e posò un batuffolo di cotone. “Scusa, ma devo disinfettare le ferite perché non si infettino. Farà male.” Prese un nuovo pezzo di cotone, lo bagnò con il disinfettante e toccò lentamente il grosso taglio sulla schiena pallida del ragazzo.

Kuroko gemette per il bruciore e provò ad allontanarsi dal disinfettante, ma perse l’equilibrio e rischiò di cadere a terra, se non fosse stato per le forti mani di Murasakibara che lo afferrarono. Lui e Midorima lo aiutarono a rimettersi dritto. “S-scusa, Midorima-kun.”

“Non fa niente, so che brucia.”

“Cos’è stato quel rumore?” La voce di Akashi raggiunse il salotto e lui entrò portando un vassoio con una zuppa di noodles al pollo appena fatta, un’insalata condita con salsa, del pane e del the caldo. Il profumo fece venire l’acquolina a tutti i giocatori.

“Scusa, Akashi-kun. Ero io.”

“Hm.” Akashi guardò Midorima, che era improvvisamente molto occupato ad avvolgere il petto di Kuroko con delle nuove bende. “Non appena Shintaro avrà finito mangerai. E mi aspetto che tu finisca tutto.”Strinse gli occhi guardando il ragazzo con severità. “Capito?”

Kuroko guardò il pasto abbondante con nervosismo: “Tutto, Akashi-kun?”

“Tutto.”

“Akashicchi ha ragione, – disse Kise – Sei troppo magro e leggero, Kurokocchi!”

Tutti erano d’accordo.

Quando tutte le sue bende furono cambiate, Kuroko iniziò lentamente a mangiare. La Generazione dei Miracoli osservò in silenzio per qualche minuto, poi il capitano del Teiko parlò. “Allora, Tetsuya, ci diresti che cosa è successo?” Non era una domanda; sapevano tutti che era un ordine.

Il ragazzo posò tremando il cucchiaio e fissò il pavimento. Mosse nervosamente le mani. “Una gang mi ha picchiato,” mentì piano Kuroko, non osando alzare lo sguardo sui volti increduli. Non voleva che loro si preoccupassero ancora di più per lui. Era così frustrante il fatto che continuava a fare sempre affidamento sugli altri. Voleva essere più indipendente, più utile per i suoi amici.

Una mano scattò all’improvviso e afferrò il mento di Kuroko. Fu strattonato e la sua faccia si fermò a pochi centimetri da quella di Akashi. I suoi occhi blu incontrarono quelli eterocromi e arrabbiati dell’altro. “Non mentirmi Tetsuya.” Il comando fu detto con tono animalesco, profondo e furioso. “Non mentire né per gli altri né per te stesso. Ci dirai la verità e mi obbedirai senza questioni. Mi hai capito, Tetsuya Kuroko?”Il capitano si fermò quando vide delle lacrime formarsi in quegli occhi blu, di solito inespressivi. Disse la frase successiva con un tono più dolce, più gentile e con più preoccupazione. “È stata tua madre, non è vero?”

Kuroko annuì con le lacrime agli occhi prima di gettarsi su Akashi, che per istinto lo circondò con le sue braccia, passandogli una mano tra i capelli e l’altra intorno alla vita. Le braccia di Kuroko circondavano il petto del capitano mentre il suo viso era premuto contro la sua spalla.

Il fragile ragazzo singhiozzava. Delle parole confortevoli venivano dette vicino al suo orecchio e la mano sulla sua testa lo accarezzava. Il resto della Generazione dei Miracoli si avvicinò ai due, ed ognuno fece la sua parte per calmare il ragazzo che piangeva. Ognuno mise da parte i propri problemi personali e si concentrò su Kuroko.


Perché, checché ne pensasse Kuroko, per loro il ragazzo dai capelli azzurri non era un’ombra. Era la loro luce e lo era sempre stato, da quando lo avevano incontrato per la prima volta. Ed ora, era loro dovere far splendere di nuovo quella luce e guarire un Tetsuya Kuroko ancora una volta spezzato.


“Dobbiamo davvero farlo, ne siete sicuri?” chiese nervosamente Kagami.

“Certo che dobbiamo, – disse Riko – Dobbiamo scoprire che sta succedendo a Kuroko. E se è davvero malato, ovviamente dobbiamo aiutarlo a sentirsi meglio!”

“Beh, si, ma era davvero necessario fare irruzione nella segreteria per trovare l’indirizzo di Kuroko?”

Riko fece un sorrisetto, “Non si chiama irruzione se hai la chiave!”

“Una chiave che hai rubato.”

Preso in prestito.

“Senza permesso.”

La coach del Seirin non seppe più come controbattere. “Hei, ci siamo,” annunciò Hyuuga. L’intera squadra si fermò di fronte alla piccola casa. Percorsero il vialetto ed esitarono davanti ad una porta blu. “Beh? Non bussi, Kagami?”

“Eh? – l’alto giocatore guardò incredulo Hyuuga – Perché io?”

“Perché, – Hyuuga fece un sorriso diabolico – Io sono un tuo senpai, e quelli del primo anno dovrebbero obbedire ai loro senpai.”

L’occhio di Kagami ebbe un tic. Ha solo un anno più di me! Pensò indignato Kagami, ma bussò comunque forte alla porta. Il pomello dorato venne subito girato e sulla soglia apparve una donna alta. Aveva dei capelli lisci e azzurri, pettinati con una riga sulla destra, ed occhi dello stesso colore di quelli di Kuroko. Dev’essere sua madre pensò Kagami.

“Cosa volete?”sibilò la donna.

“S-salve signora, – Riko fece un inchino rispettoso – Siamo amici di Kuroko-kun e volevamo sapere se oggi potevamo vederlo…”

Immediatamente l’espressione della donna cambiò e da acida e scontrosa divenne eccessivamente dolce. “Oh, siete amici di Tetsu?” Il modo in cui pronunciò il nome vece venire i brividi a Kagami, anche se non ne capì il motivo. “Sfortunatamente Tetsu è scappato via poco fa, non riesco a trovarlo da nessuna parte! Ma, – fece un sorrisetto – Forse voi ci riuscirete. Conoscete Tetsu, no? Potreste trovarlo e riportarmelo a casa? Suo padre ed io siamo molto preoccupati.” I suoi occhi avevano un luccichio, “Tetsu-kun mi manca così tanto!”






NdT: Ciao a tutti ;)
Spero di essere riuscita a correggere tutti gli errori di battitura…
In questo capitolo vediamo un po’ come funzionano i rapporti all’interno della Generazione dei Miracoli… Che ne dite?
Ringrazio tutti i lettori, sperando che il capitolo vi piaccia!
A presto, Nienor_11




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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Assolutamente no.”Il divieto fu terribile, sibilato con voce rabbiosa e autorevole. Fece tremare di paura Aomine, l’unico presente nella stanza oltre ai due litiganti.

Kuroko invece non sembrò essere turbato dal tono. Era seduto su un grande letto matrimoniale, un po’ troppo grande per l’esile ragazzo, e molti cuscini gli supportavano la schiena. Delle coperte pesanti gli coprivano le gambe, ma non potevano far nulla per il suo torso nudo. Kuroko fissava in modo ribelle gli occhi eterocromi di Akashi, l’unico accenno di emozione sul suo volto era un leggero solco tra le sue sopracciglia blu.

Il capitano del Rakuzan invece era un’altra storia: la sua intera figura irradiava una rabbia controllata. I suoi occhi gialli e rossi brillavano pericolosamente verso il ragazzo con cui stava discutendo, e questo indicava di solito che stava per assegnare qualche pazza punizione. L’atteggiamento del suo corpo, con la schiena ben dritta, le braccia saldamente incrociate sul petto e le gambe leggermente divaricate, indicava che non aveva nessuna intenzione di far uscire Kuroko da quella camera, per il momento.

Come fa Tetsu a non essere spaventato? Si chiese vagamente Aomine. O forse lo è, e sono solo io che non riesco a vederlo.

“Akashi-kun, – disse Kuroko con aria di sfida – Devo andare.”

“Non mi interessa se devi o no. Non ci andrai.”

“Il Seirin dipende da me.”

“Per un po’ si dovranno arrangiare, allora. Una squadra non è forte se non può vincere perché manca un giocatore.”

Il ragazzo più basso mostrò finalmente qualche segno di rabbia. Strinse le lenzuola e guardò male il capitano. “Devo andare, Akashi-kun! O si insospettiranno!”

“Non andrai all’allenamento di oggi, fine del discorso.” La voce di Akashi non lasciò spazio a repliche. Persino Kuroko sapeva quando era meglio smettere di provocarlo. Sconfitto, abbassò lo sguardo sulle lenzuola, le labbra tese in una smorfia arrabbiata. Ci fu un silenzio teso che sembrò durare ore, ma furono in realtà solo pochi minuti. Aomine tentò di avvicinarsi di più alla porta. “Tetsuya.” Akashi sospirò e si avvicinò al ragazzo imbronciato. “Capisco la tua frustrazione per non poterti allenare con la tua squadra, ma sei ferito. Hai appena iniziato a guarire e se ti muovi, specialmente per fare sport, non ti riprenderai bene. Inoltre, voglio che tu stia lontano da tua madre ancora per un po’. È per il tuo bene.”

Una mano si posò sulla testa di Kuroko. Lui si abbandonò alla carezza, sapendo che il sua ex compagno aveva ragione. Akashi lasciò che il ragazzo dai capelli azzurri si rilassasse per un po’ contro la sua mano, poi lo fece gentilmente coricare in modo che potesse dormire. Lo baciò sulla fronte pallida. “Dovresti riposare ora. Daiki, resta nella stanza e fa la guardia alla porta.”

Detto questo, il rosso se ne andò in silenzio, chiudendo la porta. Aomine sospirò. Perché io? Perché non Murasakibara? Sa fare la guardia meglio di me!

“Aomine-kun?”

Il ragazzo abbronzato sollevò la testa e guardò Kuroko. “Si?” Prese una sedia e la sistemò vicino al letto, sedendosi a cavalcioni per riuscire a sentirlo meglio.

“Ti…piace Kise-kun?”

Il campione del Touou sentì che la faccia gli si scaldava. “Che domande fai? – si grattò il collo e fece un respiro profondo – Si, direi di si.”

Kuroko annuì. “Bene. Kise-kun ha una cotta per te fin dalle medie.”

“Eh? – Aomine spalancò gli occhi per quell’informazione – Davvero? Stava sempre con te, però.”

“Ero l’unico che ascoltava i suoi vaneggi su di te, – confessò Kuroko – E… e poi lui ascoltava me.”

Se Aomine avesse avuto delle orecchie da cane, gli si sarebbero drizzate. Un sorriso canzonatorio gli si formò sulle labbra. “Oh? E tu, Tetsu, hai una cotta per qualcuno?”

Tetsuya guardò dall’altra parte, con un’espressione più illeggibile che mai. “Non è quello che ho detto, Aomine-kun.” Si tormentò nervosamente le dita. “Non ho tempo di preoccuparmi per qualcosa di così poco importante come una cotta.” Si sentì quasi infantile nel dirlo.

Il giocatore abbronzato si guardò intorno esitante per accertarsi che non ci fossero delle forbici volanti in arrivo. Non si poteva mai sapere quali tipi di trappole mortali Akashi avesse sistemato nelle sue stanze. Una volta Aomine Daiki si era lamentato ad alta voce del comportamento del rosso non appena Akashi era uscito per prendere qualcosa in un’altra stanza. Un paio di forbici, innescate dall’insulto, erano state lanciate all’improvviso mirando proprio allo spazio tra le doppie punte dei capelli di Aomine. Da allora il ragazzo abbronzato aveva imparato a tenere la bocca chiusa, che il capitano fosse presente o no.

Controllò ancora una volta prima di bisbigliare nell’orecchio di Kuroko: “Sai, sembra che tu piaccia ad Akashi.”

Kuroko guardò Aomine come se stesse guardando un idiota. Lui alzò le mani come per difendersi. “Ti sto dicendo solo quello che vedo. È evidente che ti tratta in modo diverso rispetto a tutti noi.”Il campione ripensò a quanto aveva appena detto e riformulò velocemente la frase, “Cioè, ti tratta con più affetto. Tutti ti trattiamo in modo diverso, come non potremmo?” Prima di rendersi conto di ciò che stava facendo, passò distrattamente una mano tra i capelli azzurri del ragazzo.  Kuroko la scacciò via.

“Perché fate tutti così?”disse, cercando di risistemarsi i capelli.

“Sono morbidi, – rispose subito Aomine – E non ti lamenti mai quando è Akashi a farlo.”

Sulle guance di Kuroko si formò un leggero rossore. “È diverso, non posso discutere con Akashi-kun.” La sua voce suggeriva che si stava riferendo a qualcos’altro.

“Hei, su questo sono d’accordo con lui, Tetsu. Neanch’io credo che dovresti andare all’allenamento. Appena un giorno e mezzo fa eri ferito gravemente, non hai avuto abbastanza tempo per guarire.”

Kuroko non rispose. Lo faceva arrabbiare il fatto che il suo ex partner si stesse alleando con Akashi. Era vero, la schiena gli faceva ancora male, ma non aveva bisogno di muoversi molto per passare la palla. In fondo non era mai stato particolarmente atletico, quindi la sua squadra non si aspettava che lui corresse avanti e indietro. Non capivano che voleva aiutare il Seirin in ogni modo possibile perché sapeva di poter fare la differenza sul campo. E visto che l’amichevole col Kaijou era imminente, (Kise era già andato ad allenarsi con la sua squadra),sapeva che avevano bisogno di lui più che mai.

“…Va bene,” disse Aomine ad alta voce. Kuroko lo sentì alzarsi e rimettere a posto la sedia. “Dovresti dormire ora. Io sarò appena qui fuori.” Era più un avvertimento che un conforto. Anche lui gli baciò la testa, ma non era un bacio tenero e affettuoso come quelli di Akashi, era una bacio veloce e brusco, dato con esitazione, che si sentì appena. Kuroko fece un piccolo respiro soddisfatto e si sistemò meglio tra i cuscini.

Era ormai abituato al modo in cui i compagni gli dimostravano il loro affetto, era una cosa iniziata fin dai tempi al Teiko. Ogni volta che una ragazza gli confessava nervosamente il suo interesse – il che non succedeva spesso, dato che le ragazze di solito non lo notavano – il membro della Generazione dei Miracoli che gli era più vicino lo prendeva per le spalle e riservava uno sguardo truce alla malcapitata, che scappava via strillando. Una volta era circolata per una settimana una voce secondo cui a tutti i giocatori della Generazione dei Miracoli piacevano i ragazzi. Si potrebbe pensare che questo avesse fatto diminuire il numero delle fan, ma durante quella settimana tutti, Kise in particolare, avevano avuto gli armadietti inondati da lettere d’amore. Eppure Kuroko non ne aveva ricevuta nemmeno una.

In seguito, trovò in un cestino dodici lettere indirizzate a lui. Non ci mise molto a capire che qualcuno aveva aperto il suo armadietto e le aveva buttate via.

Il suo volto pallido si aprì in un piccolo sorriso. Per quanto potessero essere frustranti, almeno Kuroko sapeva che con loro sarebbe stato al sicuro, che sua madre ci fosse o no.
Almeno, pensava di saperlo.

---Nel salotto---

“Terremo Kuro-chin chiuso in camera tua per tutto il giorno, Aka-chin?”

“No. Lo faremo riposare solo finché non saranno finiti gli allenamenti del Seirin.” Akashi si accigliò guardando il ragazzo che mangiucchiava. “Non dovresti avere un’amichevole oggi, Atsushi? E se non sbaglio ho ordinato al tuo capitano di aumentare i tuoi allenamenti di un terzo.” Occhi severi fissarono il ragazzo colpevole.

Murasakibara scrollò le spalle. “Non ci voglio andare,”mormorò.

“Puoi ripetere?”

“Non ci voglio andare,”disse a voce più alta.

“Ci andrai.”

Murasakibara sospirò e si lamentò, come un bambino obbligato a portar fuori la spazzatura, poi fece il broncio e prese la sua borsa da basket. Lanciò ancora uno sguardo supplichevole ad Akashi, che lo stava osservando, ma si mosse verso la porta quando capì che non sarebbe servito a niente. “Aka-chin è così cattivo,” si lamentò prima di sbattere la porta.

Akashi fece un sorrisetto. Anche se in campo era molto pericoloso ed esageratamente alto, Murasakibara, con i suoi 208 centimetri, si comportava proprio come un bambino di cinque anni. Quando non giocava a basket era ‘un bambino un po’ svitato’, come aveva detto una volta Tetsuya.

“Akashi.”

Lui si voltò verso l’unica latra persona rimasta nella stanza, Shintaro.

Il tiratore era seduto sul divano e giocherellava con entrambe le mani con un peluche di Hello Kitty che Akashi gli aveva generosamente comprato, visto che era il suo oggetto fortunato di quel giorno. I suo capelli verdi, di solito ben curati, erano una giungla selvaggia, vista la notte passata in bianco.

Il giorno precedente, dopo essere riusciti a calmare il ragazzo angosciato, avevano fatto a turno per dargli da mangiare, visto che tremava ed era troppo sconvolto per farlo da solo. Kuroko aveva rifiutato il cibo due volte, e per due volte Akashi gli aveva ordinato di prenderlo e mangiarlo. Era in qualche modo riuscito a finire sia l’insalata che la zuppa, il te si era raffreddato durante la sua crisi di pianto.

Dopo erano andati tutti a dormire. Decise le sistemazioni per la notte, Aomine, Kise e Murasakibara si erano addormentati non appena avevano appoggiato la testa al cuscino. Avevano passato la notte senza problemi, in un sonno riposante. Per Midorima, Akashi e Kuroko invece la storia era stata diversa. Poiché, come Akashi, aveva un sonno  molto leggero, Midorima si era ritrovato a svegliarsi quasi ad ogni ora per le grida di Kuroko, che aveva avuto così tanti incubi da perderne il conto. Ogni volta che si era svegliato aveva trovato Kuroko aggrappato alla maglia di Akashi, con la testa appoggiata alla sua spalla. Entrambi i giocatori, a quel punto sveglissimi, avevano cercato di consolarlo.

Ora gli stessi due giocatori, entrambi con dei cerchi neri sotto agli occhi, si guardarono attraverso la stanza. Anche se pareva che non si fossero separati in modo amichevole alla fine delle medie, sapevano di essere stati testimoni di gran parte delle sofferenze di Kuroko. Ed era una cosa che nessuno dei due poteva sopportare.

“Si, Shintaro? Vuoi andare a riposare nella stanza degli ospiti? So che hai un allenamento più tardi, questa sera.”

Midorima sospirò. Ovviamente il loro ex capitano era a conoscenza degli impegni sportivi di tutti. Ma ora lui voleva discutere di qualcos’altro. “Cosa faremo, Akashi?”chiese, ignorando l’offerta invitante della stanza degli ospiti. “Dobbiamo trovare un modo per fare uscire Kuroko da quella casa. Non merita di continuare a soffrire.”

Akashi schiacciò rumorosamente la bottiglietta d’acqua che teneva in mano. Il suono fece quasi trasalire il suo ‘sottoposto’. “Ne sono consapevole, Shintaro.”

Il petto di Midorima si riempì di rabbia. “Se ne sei consapevole, perché non stai facendo niente? Perché suo padre non la denuncia alle autorità? Sta andando avanti da almeno cinque anni, abbiamo prove e testimonianze a sufficienza! Capisco perché Kurono non ne voglia parlare, ma il suo dolore non è necessario. Quindi perché-“

Un forte rumore di vetro in frantumi esplose nelle orecchie di Midorima. Trasalì mentre dei frammenti di vetro, affilati e pericolosi, si spargevano per terra. Del latte schizzò sul lucido pavimento di legno. Un piccolo pezzo di vetro cadde direttamente sul piede di Akashi, graffiandolo e facendone uscire del sangue, ma l’interessato non diede segno di essersene accorto.

A quanto pare Akashi aveva sbattuto troppo forte le mani sul tavolo, facendo cadere e rompere il bicchiere di latte che vi era sopra. Dei respiri profondi venivano dal ragazzo turbato, che avrebbe dovuto essere il migliore nel controllare la propria rabbia nella Generazione dei Miracoli. Sembrava che le parole di MIdorima lo avessero coinvolto  più di quanto era disposto ad ammettere. Qualcuno nella stanza deglutì rumorosamente, ma loro non avrebbero saputo dire chi fosse stato.

“Non hai idea di ciò di cui è capace Kuroko Ibuki, Shintaro, – disse piano Akashi – Se anche avessimo cento testimonianze del fatto che picchia Tetsuya, non importerebbe. Possiede tre delle più grandi società giapponesi. Ha delle connessioni ad un livello che supera persino il governo. Basta una sua parola per farle avere la fedina penale immacolata. Potrebbe avere dalla sua parte gli avvocati migliori, contro di noi. Se facciamo anche solo uno sbaglio, chiederà il divorzio da Kuroko Haru, l’unico motivo per cui Tetsuya è ancora qui, e la custodia di Kuroko le sarà affidata immediatamente.” I suoi occhi, rossi e gialli, ebbero un luccichio insano e un sorriso feroce apparve sulla sua faccia. “Questo ti fa capire quanta influenza lei abbia in Giappone.”

Midorima sentì di avere la pelle d’oca sulle braccia e sulla schiena. Non aveva mai incontrato la madre di Kuroko, ma si sentiva in qualche modo connesso a lei. Forse perché sapeva che era la donna che faceva del male a Kuroko, o forse perché aveva sentito parlare di lei tante volte che gli sembrava che non fosse necessario incontrarla per conoscerla. Solo Akashi, Kise ed Aomine avevano incontrato Kuroko Ibuki, ed era stato per puro caso. Da quello che gli aveva detto Kise, quella volta Akashi aveva raddoppiato gli allenamenti di Kuroko, perché non si era impegnato abbastanza negli esercizi fisici. Per questo motivo Kuroko aveva perso la nozione del tempo ed Ibuki in persona era venuta a prenderlo in palestra.

Vedendo la reazione di Kuroko alla sua presenza, Akashi l’aveva collegata alle ferite sempre maggiori che aveva visto su Kuroko ogni volta che c’era una partita o un allenamento. Eppure, sapendo quanto potere avesse quella donna, Akashi aveva lasciato andare a casa il ragazzo dai capelli azzurri, seppur con riluttanza.

Il giorno dopo Kuroko era arrivato a scuola con un braccio rotto, scusandosi seriamente per il problema e dicendo di essere caduto dalle scale. Ma tutti sapevano la verità, Midorima compreso, quando il giorno successivo ne fu informato.

“E che mi dici di tuo padre? – chiese Midorima – Non ha un grande studio legale?”

“Mio padre, – disse freddamente Akashi – Non può battere i contatti di Ibuki.”

“Allora cosa possiamo fare?”

Il rosso si allontanò dal tavolo e raddrizzò le spalle. “Ho un piano per aiutare Kuroko, ma avremo bisogno di molte persone affidabili.” Osservò la porta, “Considerata l’influenza di Ibuki non sarà facile trovarle”. Ma c’era una persona, e sapeva per certo che questa persona odiava Ibuki tanto quanto la odiava la Generazione dei Miracoli. “Shintaro, preparati per uscire, faremo una passeggiata.”

“Dove andiamo?”chiese Midorima stringendo il peluche.

Akashi non rispose; si alzò ed andò in corridoio chiamando il guardiano di Kuroko, “Daiki.”

Aomine alzò lo sguardo dal suo cellulare. Era seduto sul pavimento, di fronte alla camera di Akashi. Non aveva osato andare a controllare il salotto quando aveva sentito il vetro andare in frantumi le voci che litigavano. “Si?”

“Tetsuya si sta riposando?”

“Si, sta dormendo.”

“Bene. Fai in modo che stia lì. Se dovesse avere fame preparagli qualcosa, hai il permesso di usare la cucina. Shintaro ed io saremo presto di ritorno.”

Aomine sbadigliò, “Okay, okay.”

Akashi lo osservò, poi si girò ed uscì. Aomine aspettò il rumore della porta che si chiudeva prima di tirare un respiro di sollievo. “Ora che se ne sono andati, forse posso finalmente dormire un po’. Tanto Tetsuya non andrà da nessuna parte.”

In pochi secondi si addormentò.

----Nella stanza----

Kuroko si infilò con fatica la scarpe da basket che aveva preso in prestito. Da quando Aomine era uscito chiudendo la porta, aveva elaborato un piano. Non sapeva dove fossero la sua giacca ed i suoi pantaloni, così aveva cercato nell’armadio di Akashi una maglietta abbondante e un paio di pantaloni corti. Quando li ebbe trovati, se li mise lentamente.

Ora che aveva finito di prepararsi, con il polsino, i vestiti e le scarpe di Akashi, Kuroko avvicinò un orecchio alla porta. Sentì un leggero russare proveniente dall’altro lato. Il ragazzo dai capelli azzurri sorrise, felice di aver indovinato che il suo partner precedente avrebbe sfruttato ogni occasione possibile per dormire. Kuroko aprì la porta silenziosamente, proprio come un’ombra, oltrepassò Aomine e riuscì ad uscire dalla porta principale.

L’aria fresca lo accolse subito, era una sensazione piacevole. Scese gli scalini zoppicando usando  la ringhiera come supporto. Riuscì ad arrivare sul bordo della strada senza cadere, e chiamò un taxi, dal momento che non sapeva dove si trovava.

“Al liceo Seirin, per favore,” disse Kuroko.

L’autista annuì e partì facendo un’inversione a U.

Kuroko si sorprese quando vide che la distanza tra l’appartamento di Akashi  e la sua scuola non era poi molta. Pagò l’autista con i soldi che aveva ‘preso in prestito’ da un cassetto in cui aveva ficcato il naso (facendosi un appunto mentale per ricordarsi di restituirli al suo ex capitano). Ignorando il dolore il ragazzo avanzò zoppicando tutto intorno alla scuola fino ad arrivare in palestra. La schiena gli faceva male per lo sforzo, e mentre camminava aveva rischiato più volte di inciampare.

Il suono della palle da basket che rimbalzavano nella palestra lo fece sorridere. Probabilmente Riko-san sarà arrabbiata con me pensò Kuroko, poi aprì le doppie porte quasi troppo impazientemente, e si trascinò dentro.

Il suo aspetto era ben lontano dall’essere invisibile. Tutte le teste si voltarono, le palle smisero di rimbalzare e tutti restarono a bocca aperta. Lui stava goffamente sul bordo della palestra, spostando il peso da una gamba all’altra nell’silenzio imbarazzante. “Ehm… sono tornato.”

“Kuroko!”urlò una ragazza. Lui voltò la testa e la sua faccia si scontrò con i vestiti di qualcuno. Riko Aida abbracciò il ragazzo con tutta la sua forza. Kuroko dovette sforzarsi per non lasciarsi sfuggire un mugolio. La pressione sulla schiena gli fece quasi venire le lacrime agli occhi. “Oh, eravamo così preoccupati! Kagami-kun ti ha chiamato un mucchio di volte, ed abbiamo persino chiesto al preside se eri già tornato! Voglio dire, non riesco a credere che tu fossi davvero malato! Eri malato? Finalmente sei qui, pensavo che non saresti venuto! Abbiamo addirittura portato tua –“

“Tetsu-kun,” strascicò una voce molto dolce. Una donna alta, dai capelli azzurri avanzò nel suo campo visivo. A Kuroko si gelò il sangue nelle vene. “Vieni a salutare tua madre.”



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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

“Sei sicuro che ci sarà?”

I due giocatori, uno alto e l’altro basso, si muovevano tra le vie trafficate. Avevano passato gli ultimi venti minuti ad attraversare strade e ad evitare con cura di andare a sbattere contro le altre persone. Le gambe di Midorima erano già stanche a causa delle strade collinari e perché doveva costantemente fare attenzione ai bambini e gli adulti che non guardavano dove stavano andando. A quanto pare la definizione di Akashi per ‘passeggiata’ era diversa dalla sua.

“Si, ci sarà, – disse Akashi con tono distratto – Io ho sempre ragione.”

Midorima roteò gli occhi.

Cinque minuti dopo, si fermarono davanti ad un vecchio bar malmesso. Sembrava che l’edificio dovesse crollare da un momento all’altro, ed era frequentato da poche persone. Davanti all’edificio erano disposti alcuni tavolini di legno piuttosto rovinati ed un’insegna fastidiosa faceva lampeggiare ripetutamente i caratteri giapponesi: 四季, Shiki, ovvero Quattro Stagioni.

Akashi controllò l’ora sul cellulare. “Siamo in ritardo, – annunciò – Dovrebbe già essere qui.” Fece un cenno a Midorima perché entrasse. Un campanello suonò quando aprirono la porta, avvisando una cameriera del loro ingresso. Solo due tavoli erano occupati, uno da una coppia e l’altro da un uomo abbastanza giovane. L’uomo si girò per fissarli.

“È lui?” mormorò Midorima.

“Si.”

“Un tavolo per due?” chiese una cameriera con un sorriso gentile.

“No, siamo con quel signore.” Akashi indicò l’uomo alto che li stava ancora fissando.

La cameriera guardò nella direzione che aveva indicato ed annuì. “Ma certo. Prego, sedetevi.”

I due giocatori si avvicinarono al tavolo, Midorima con esitazione, Akashi invece sicuro di sé. Un sorriso feroce si formò sulle labbra del rosso mentre si avvicinavano all’uomo, che ora sembrava nervoso. Midorima lo osservò di sfuggita: era ovviamente alto, lo si notava anche se era seduto, aveva corti capelli azzurri ed occhi marroni. Una camicia blu formale e con il colletto abbottonato accompagnava i suoi pantaloni neri dall’aspetto professionale. Midorima notò che si stava tormentando nervosamente le mani.

“Buongiorno, Kuroko Haru-san,” salutò formalmente Akashi.

“Ah, tu devi essere Akashi-kun, giusto?” Haru scattò in piedi e con educazione fece un piccolo inchino. Kuroko deve aver preso da lui, osservò Midorima.

Quando si furono seduti, ed Akashi ebbe ordinato un caffè per il suo compagno ed un the per se stesso, Haru arrivò subito al motivo per cui si trovavano lì: “Dov’è Tetsuya? È stato ferito gravemente?”chiese, preso dal panico.

“Sta bene, – gli assicurò Akashi – Al momento si sta riposando a casa mia. Le sue ferite stanno cominciando a guarire.”

Apparve ovvio che un grosso peso era appena stato sollevato dalle spalle di Haru, che si curvò in avanti con sollievo. L’ansia, che era stata chiaramente visibile sul suo viso, scomparve subito dopo aver sentito la notizia. L’uomo si passò una mano tra i capelli. “Bene, meno male, – disse Haru – Ero preoccupato quando sono tornato a casa e non ho trovato Tetsu. Sono felice che abbia trovato i suoi amici.” Volse lo sguardo verso Midorima, “Ah, tu sei…?”

“Midorima Shintaro,” rispose rigidamente.

“Midorima, – Haru ripetè il nome, aggrottando le sopracciglia blu per un paio di secondi, prima di ricordare – Oh! Sei Midorima-kun, ho sentito parlare di te.”

Il tiratore alzò un sopracciglio, Kuroko parlava di lui?

“Haru-san, – Akashi richiamò la sua attenzione – Dobbiamo parlare.”

Il volto del padre di Kuroko fu oscurato da un’ombra. “Hai, – disse piano – So che volete parlare…della madre di Tetsu.”

“DI Kuroko Ibuki,” confermò Akashi. “Haru-san, sappiamo che è lei la causa delle continue ferite di Tetsuya.”

Haru spostò lo sguardo di lato, ed i capelli gli coprirono gli occhi. Le sue mani erano strette con rabbia al pensiero delle ferite di Kuroko, inflittegli da sua moglie. Deglutì con forza, lottando con il suo autocontrollo. A quel punto Midorima ebbe delle difficoltà a distinguere le differenze tra il piccolo Kuroko ed il Kuroko adulto. “Capisco,” bisbigliò il padre di Kuroko.

Il campione del Rakuzan sorseggiava il suo the con calma, ma Midorima riuscì a scorgere le emozioni contrastanti che si scatenarono nei suoi occhi eterocromi. Rimase in silenzio ed inconsciamente stinse il suo peluche di Hello Kitty. “Andiamo dritti al punto: non vogliamo che Tetsuya soffra ancora. Vogliamo che si liberi di Ibuki, in ogni modo possibile.” Akashi posò la sua tazza e con le dita, pallide e sottili, ne tamburellò il bordo. “Ma per questo, avremo bisogno della sua cooperazione.”

Haru alzò lo sguardo, sorpreso. I suoi occhi castani erano spalancati, la sua bocca aperta, mentre processava quelle parole. Era ovvio che l’uomo pensasse di non poter far nulla, quando si trattava di Ibuki. Onestamente, neanche Midorima sapeva come avrebbe potuto essere d’aiuto. Durante il loro tragitto fino a lì, il suo ex capitano non aveva risposto alle sue domande sul padre di Kuroko.

“Io? Io… - il Kuroko adulto esitò – Io non posso fare niente contro Ibuki. Se la denunciassi, le verrebbe affidata la custodia di Tetsuya, – si passò una mano sulla faccia – A quel punto sarebbe ancora peggio.”

“Sono pienamente consapevole del potere di Ibuki,” disse Akashi. “Shintaro, passami la borsa.”

Durante la passeggiata fino al bar, il rosso aveva dato a Midorima una pesante borsa con degli oggetti sconosciuti. Quando Akashi gli aveva dato la borsa, Midorima non aveva osato chiedere perché non potesse portarsela da solo.

Il tiratore si chinò obbedientemente e raccolse la borsa nera con un grugnito. La passò ad Akashi, che lo ringraziò. “Il suo compito potrebbe essere… emotivamente difficile, ma è piuttosto semplice per le competenze che richiede.” La borsa fu aperta e ne uscì una grande macchina fotografica con molte memory card. Le mise sul tavolo perché tutti potessero vederle. “Sarà difficile per lei, ma credo che lei sia il più adatto per questo lavoro.”

Haru guardò la macchina fotografica con sospetto, “Cosa devo fare?”

Nei venti minuti successivi Akashi spiegò il compito del padre di Kuroko nei dettagli, con date, orari ed istruzioni. Man mano che andava avanti, Midorima potè vedere l’espressione di Haru farsi più inorridita, ed era sicuro che lo stesso valesse per la sua. Era un compito crudele ed insolito, che non si addiceva al padre di Kuroko. Eppure era allo stesso tempo d’accordo, solo Haru avrebbe avuto la possibilità di portarlo a termine, nessun altro.

Non fu aggiunto altro dopo che il giovane uomo ebbe accettato l’incarico, anche se con esitazione. Un silenzio quasi confortevole calò su di loro, mentre Akashi beveva il the, Midorima si mangiucchiava nervosamente le unghie (abitudine, questa, che Akashi aveva provato a fargli passare), ed Haru si limitava a guardare fuori dalla finestra.

La forte suoneria di un cellulare fece sobbalzare tutti tranne Akashi, che tirò fuori il suo, controllò chi era a chiamare e poi rispose con espressione accigliata, ”Daiki.”

“Non riesco a trovate Tetsu! – urlò Aomine nel telefono – E’ sparito! Ho controllato dappertutto. Ed ha lasciato qui il suo cellulare!”

Akashi strinse gli occhi, “Cosa vuol dire che se n’è andato, Daiki? Non dovevi controllarlo e assicurarti che non andasse da nessuna parte?”

“S-stava dormendo, lo giuro! Ho solo fatto un pisolino, ma quando mi sono svegliato, non c’era più! Ha preso le tue scarpe da basket e –“

Hai fatto un pisolino?”urlò Akashi con rabbia. Le persone nel bar lo guardarono allarmate. Midorima spalancò gli occhi, shockato per il fatto che il loro capitano, sempre composto, potesse effettivamente urlare di rabbia. Aomine doveva aver fatto un bel casino, e sapeva con certezza di cosa si trattava.

“Pe-pensavo che non ci sarebbero stati pro-problemi, – balbettò il ragazzo abbronzato – Tetsu non è il tipo che farebbe queste cose, devi riconoscerlo! Voglio dire, nessuno penserebbe che possa davvero sgattaiolare via!”


Akashi si coprì la faccia con una mano. “Aomine Daiki, – minacciò piano – Preparati a vivere un infermo.” Poi riattaccò. “Shintaro, preparati ad andare.” Akashi si alzò, stringendo la mascella con irritazione. Midorima obbedì velocemente , rimettendo via la fotocamera e le memory card. “Haru-san, dovrebbe venire anche lei. Suo figlio è scappato, – il padre di Kuroko sgranò gli occhi – ma penso di sapere bene dove possa essere andato.”


La palla da basket gli passò accanto a velocità allarmante e rimbalzò inutilmente sul muro della palestra, rallentando considerevolmente mentre tornava indietro rotolando verso i piedi di Kuroko, che sbattè le palpebre, chiedendosi quando gli avevano passato la palla.

“Kuroko! – si lamentò Izuki – Questa è la nona volta!”

“Si, che succede, Kuroko? – si accigliò Teppei – Di solito non ti distrai.”

“Concentrati sulla partita!” disse Kagami ad alta voce e gli diede una pacca d’incoraggiamento sulla schiena. Sfortunatamente ebbe l’effetto opposto, perché Kuroko incespicò in avanti con un mugolio e il dolore alla schiena rinnovato. Sussultò quando sentì una risatina acuta alle sue spalle.

Kuroko Ibuki osservava dal bordo campo, gli occhi piantati sulla testa di suo figlio. Qual è il suo scopo? Pensò disperato Kuroko, Perché mi sta guardando? Perchè non sta facendo niente?

Questa era la causa principale della distrazione di Kuroko. Il suo cervello continuava ad urlare di paura, e riusciva appena a muoversi nella partitella senza avere dei brividi che gli correvano lungo la schiena. Inoltre le sue ferite stavano cominciando a riaprirsi. Proprio come aveva detto Akashi, non era ancora pronto per  degli esercizi troppo vigorosi.

“Ricominciate! – ordinò Riko – Kuroko, fai più attenzione!”

“Hei… Coach?” Koganei, che durante la partitella era in panchina, si chino per bisbigliare all’orecchio di Riko: “ E’ una mia impressione o Kuroko sta zoppicando?”

La coach del Seirin osservò il ragazzo più basso  in campo. Ora che ci faceva caso, Kuroko stava zoppicando, e non correva come faceva di solito per passare. Come mai non l’aveva notato prima? “E’ ve –“

“Scusatemi,” li interruppe una voce femminile. Koganei e Aida si voltarono verso la donna dai capelli azzurri. Riko si accorse subito che aveva un sorriso falso e troppo dolce; per qualche ragione sentiva di dover fare attenzione con lei. Sembrava troppo strano, quasi irreale che una madre potesse avere una personalità così diversa da quella del figlio. “Potresti mettere in pausa la partita?”

“Mettere in pausa? – Riko alzò un sopracciglio – Non si può mettere in pausa una partita.”

“Fai una pausa, per favore,” ripeté la donna, questa volta con un tono minaccioso.

L’occhio di Aida ebbe un tic infastidito; beh, bisognava ascoltare i genitori, pensò, anche se l’idea la irritava. “Stop!”urlò ai giocatori. Si fermarono tutti a metà di un movimento.

“Perché ci siamo fermati, Riko-san?”chiese apparentemente calmo Kuroko, ma i suoi occhi blu mostravano paura.

Ibuki avanzò sul campo con un sorriso e suo figlio fece istintivamente un passo indietro. “Scusatemi, ragazzi, ma ora vorrei portare Tetsu a casa.”

“Eh? – protestò Kagami – Non può portarlo a casa adesso! L’allenamento non è ancora nemmeno finito!” Ibuki lo guardò male e lui si calmò. La donna aveva qualcosa di strano che lo rendeva diffidente. Era quasi spaventosa come Akashi, ma in modo diverso.

“O-okaa-san? – disse Kuroko timidamente – Vorrei restare fino alla fine.” Prendi tempo. Non andare a casa, gli ordinò il suo buon senso. Arriverà qualcuno.

L’espressione dolce di sua madre divenne acida. I suoi occhi si fecero selvaggi, e il sorriso che rivolse a tutti diventò qualcosa di crudele. “Osi disobbedirmi, Tetsuya?” Tirò indietro la testa e rise. Era una risata che vece venir voglia a tutti di girarsi a correre via. “Giusto, hai saltato la lezione di buone maniere l’altro giorno, quando mi sei scappato, - il suo tono si abbassò diventando più umano ma anche più arrabbiato – Non preoccuparti, Tetsuya-kun, farò in modo che non manchi alla lezione quando saremo a casa.”

Kuroko stette immobile in mezzo al campo, gli occhi fissi e impauriti spalancati sul viso di sua madre. L’esile corpo del ragazzo tremò di terrore alle parole della donna. Lacrime di panico gli riempirono gli occhi. Ricordi delle vecchie ‘lezioni’ di Ibuki gli attraversarono il cervello. Poteva risentire le urla, provare il dolore, sentire l’odore dell’odio, vedere le sue ossa rotte, le grida, gli insulti, la disperazione, l’agonia, le torture, i colpi, le armi, il sangue. Iniziò ad ansimare, la sua mente era paralizzata sugli eventi passati: le lacrime, la repulsione, il pianto, le grida, l’odio di lei, i suoi occhi, le sue mani, i suoi piedi, la sua delusione, la sua rabbia, il bisogno di aiuto,aiuto, aiuto, aiuto - .

“Kuroko Ibuki.” Una voce forte ed autorevole riportò il ragazzo in preda al panico alla realtà. In effetti, sembrò risvegliare tutti quanto da una trance. Tutto il Seirin ed Ibuki si voltarono verso la voce che li aveva interrotti. Il cuore di Kuroko gli saltò in gola quando vide Akashi, con Midorima e con suo padre. Sono arrivati, sono al sicuro, fu il suo primo pensiero.

Akashi osservò la squadra silenziosa, gettò un’occhiata ad Ibuki e poi si girò a fissare Kuroko. A quanto pare era arrivato giusto in tempo, perché il ragazzo dai capelli azzurri sembrava essere sull’orlo di un attacco di panico. Akashi notò che stava in piedi in una strana posizione, tenendo la maggior parte del peso sulla gamba sinistra, e che la sua schiena era un po’ incurvata per alleviare il dolore che era ricominciato da quando aveva iniziato a giocare a basket. Scosse la testa con disapprovazione.

“E tu saresti?” Ibuki era arrabbiata per il fatto che un ragazzo dell’età di suo figlio l’avesse chiamata per nome.

“Non è necessario che lei lo sappia, - rispose Akashi con indifferenza – Tetsuya. Vai da Shintaro. Adesso.”

Kuroko si ritrovò ad obbedire al comando. Zoppicò oltre Akashi, verso il tiratore. Midorima lo afferrò immediatamente per le spalle per sorreggerlo, dato che aveva cominciato a ciondolare. “Ho un kit di pronto soccorso, lascia che ti bendi di nuovo le ferite,” disse piano all’orecchio di Kuroko, che rispose annuendo. Dato che il ragazzo non sembrava più in grado di camminare, Midorima si chinò e lo prese in braccio come se non pesasse niente (il che era quasi vero. Il suo peso non era proporzionato alla sua età.) Lui ed il passatore ferito tornarono alle panchine, lontano dalla madre odiosa.

“Haru, cosa significa questo? – domandò Ibuki – Digli di riportare qui Kuroko, lo porteremo a casa.”

“Ibuki, – disse calmo Haru – So che sei agitata, ma - .”

“Tetsuya starà a casa mia, – annunciò Akashi – Dobbiamo lavorare su un progetto scolastico. Sarebbe più comodo se restasse,” mentì tranquillo, ed era così convincente che era difficile non credergli. Non importava nemmeno che la squadra del Seirin sapesse che Akashi frequentava un’altra scuola.

La madre di Kuroko gelò con lo sguardo l’audace ragazzo. “Tetsuya non me ne aveva parlato. Non gli ho dato il permesso.”

“No… ma l’ha detto a me, – bluffò anche Haru – Gli ho dato io il permesso.”

“Allora io glielo nego, – Ibuki, isterica, alzò la voce – Io faccio le regole. Tetsuya deve tornare a casa.”

Akashi inclinò la testa “E perché ci deve tornare?”

“Deve stare con la sua famiglia!”

La faccia del rosso si oscurò e la sua voce cambiò. “Se pronuncerà di nuovo la parola ‘famiglia’, – mormorò, facendo un sorrisetto – Non esiterò a farle del male.”

L’aura che Akashi emanava fece arretrare per un secondo persino Ibuki. Ma poi ricordò a se stessa che era solo un ragazzo e che lei, adulta e con la massima influenza in Giappone, gli era superiore. “Restituiscimi Tetsuya.”

Il campione del Rakuzan fece finta di pensarci, “No.”

“Basta ora, Ibuki, – disse Haru con risoluzione – L’istruzione di Tetsuya è più importante di ogni altra cosa. Se ha un progetto da fare, ha il diritto di farlo.”

Hyuuga, i cui sospetti sulla pazzia della donna erano stati confermati, intervenne dicendo “Si, il progetto varrà praticamente metà del voto finale. Lasci che Kuroko lo faccia.”

“Che c’è ci male nel lasciare che Kuroko stia a casa sua?” chiese Kagami, guardando male la donna.

La madre di Kuroko lanciò sguardi di morte a tutti i presenti. “Ve ne pentirete,” sibilò. Afferrò la sua borsa e lasciò furiosa l’edificio, sbattendo teatralmente la porta della palestra.

Haru si lasciò sfuggire un respiro di sollievo.

I membri del Seirin furono confusi ma contenti che la donna isterica se ne fosse andata.

Ma Akashi non si sentì neanche un po’ sollevato, girandosi ed iniziando a dirigersi verso il ragazzo ferito di cui si stava occupando Midorima. Gli era stata tolta la maglietta, rivelando i lividi ed i tagli infetti che si erano riaperti sulla schiena per lo sforzo a cui si era sottoposto quel giorno. Il capitano si stagliò sul ragazzo singhiozzante, guardandolo mentre era alle prese con il dolore pungente inferto da Midorima ed il suo disinfettante.

“A-Akashi-kun,”riuscì a dire Kuroko.

Akashi si inginocchiò per essere faccia a faccia con il passatore, “Mi hai disobbedito, Tetsuya.”

Kuroko abbassò lo sguardo, arrabbiato con se stesso per aver preso una decisione così stupida. “Mi dispiace,” bisbigliò.

“Sarà meglio che non succeda più,” lo ammonì Akashi. Prese il mento pallido del ragazzo e lo sollevò. “Ora sai perché non volevo che venissi qui. Non solo tua madre ti ha trovato, ma le tue ferite si dono riaperte ed infettate. E di questo devi solo incolpare te stesso.”

Le lacrime che aveva cercato di tenere a bada presero il sopravvento e scesero sulle sue guance. Cercò di asciugarsele, ma continuavano a caderne di nuove. “M-mi dispiace, – provò a dire Kuroko – R-ripagherò per ogni p-problema che vi ho causato,  Akashi-kun, M-Midorima-kun.”

Akashi si sedette sulla panchina. Facendo un sospiro prese con gentilezza il ragazzo più piccolo in un abbraccio, facendo attenzione a non interrompere il lavoro di Midorima. Kuroko non si strinse alle sue spalle, ma accettò il contatto con il suo corpo caldo, e si appoggiò al suo petto muscoloso.

Sentirono qualcuno trattenere rumorosamente il respiro dietro di loro. Riko Aida stava osservando le ferite di Kuroko tenendo una mano davanti alla bocca. Gli altri giocatori guardavano con gli occhi spalancati. “Oddio! – urlò – Cosa gli è successo?”

Akashi strinse più forte Kuroko, che si era irrigidito. Il rosso sapeva che non voleva che altre persone venissero a sapere della sua famiglia, quindi si inventò subito una bugia e disse: “Questo è a causa del bullismo. L’altro giorno un codardo ha picchiato Tetsuya, – guardò tutti con il suo occhio rosso – Me ne sono occupato io.” Il Seirin fu scosso da brividi.

“Tutto questo causato da una sola persona? – chiese Aida incredula – Ma è terribile! Che cosa gli aveva fatto Kuroko di male?”

“Ecco perché si comportava in modo strano oggi,” disse Kagami, innervosito dal non sapere il che il suo partner era stato ferito. “E zoppicava anche. Cavolo, avrei dovuto notarlo prima!”

“Infatti, avresti dovuto, – gli disse Akashi – Come compagni, dovreste sapere quando uno di voi sta male. Se i legami tra i giocatori sono così deboli nel Seirin, non diventerete mai una squadra forte.”

Teppei protestò, “Hei, eravamo tutti concentrati per la partita contro il Kaijou. Kuroko ce l’ha nascosto bene.”

Midorima fissò l’ultima benda alla gamba di Kuroko. Le bende alla testa non avevano avuto bisogno di essere cambiate, ma la gamba destra non stava guarendo bene come aveva pensato. “Non importa se ve lo ha nascosto o no, – disse – Avreste almeno dovuto notare quanto quella donna lo possa influenzare.”

Akashi sistemò Kuroko in una posizione più comoda; si era addormentato mentre piangeva ed ora dormiva con un’espressione più tranquilla. “Ma… non era la madre di Kuroko? – chiese Koganei, confuso – Perché dovrebbe aver paura di sua madre?”

Questo non vi riguarda.”

“Hei, – Kagami guardò male l’ex capitano del Teiko – Kuroko è nella nostra aquadra, quindi è nostro. Abbiamo il diritto di saperlo!”

“Ti sbagli, – dissero AKashi e Midorima – Non è vostro. È nostro.







NdT: Ciao a tutti! È sabato sera e giustamente avrete di meglio da fare…. Io invece ne approfitto per aggiornare, perché non so se domani riesco.
Spero che questo capitolo vi piaccia!! Akashi ha un piano…di cosa si tratterà? Si accettano scommesse xD
Alla prossima, Nienor_11

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Quella sera Akashi aveva riportato Kuroko a casa sua. Midorima l’aveva seguito subito dopo, impegnato a parlare con il suo capitano e a scusarsi per aver saltato l’allenamento. Haru era tornato a casa con riluttanza, perché l’idea di rivedere sua moglie non lo entusiasmava. La squadra del Seirin, che non era riuscita a ricevere risposte né da Akashi né da Midorima, tornò a casa arrabbiata.

Kuroko sospirò tra le braccia di Akashi avvicinandosi involontariamente di più al suo petto caldo. Il rosso gli diede un bacio sulla fronte sudaticcia.

Quando Shintaro aprì la porta, i tre furono accolti dal resto della Generazione dei Miracoli. Murasakibara, Kise ed Aomine si precipitarono verso di loro, domandando contemporaneamente:

“Kurokocchi sta bene?”

“Aka-chin! Cosa è successo a Kuro-chin?”

“Dannazione! Ovviamente doveva succedere quando ero solo con Tetsu!”

Akashi li ignorò, oltrepassandoli. Loro si spostarono in fretta, per lasciargli spazio. La testa di Kuroko era appoggiata alla sua spalla. “Shintaro, apri la porta per favore,” chiese il rosso quando fu arrivata davanti alla sua camera. Midorima obbedì, abbassò la miglia ed aprì la porta della camera da letto. Non appena entrarono si accesero delle luci automatiche.

Kuroko fu sistemato gentilmente sotto le coperte. Midorima gli aveva dato una pomata contro il dolore, in modo che la schiena non gli desse fastidio durante la notte. Akashi sistemò per bene le coperte fin sotto al mento di Kuroko, perché sapeva che quella notte avrebbe fatto freddo, quindi gli passò una mano tra i capelli scompigliati e gli diede un tenero bacio sulla fronte.

Convinto che nulla avrebbe disturbato Kuroko, (tranne forse gli incubi), Akashi si voltò verso i membri della Generazione dei Miracoli, che si erano fermati davanti alla porta della stanza. “Stasera starete tranquilli e in silenzio, – li ammonì – Tetsuya ha avuto una lunga giornata e non deve essere disturbato. Andate tutti in salotto, parleremo lì.”

Tutti si girarono e si diressero in salotto. Solo Murasakibara restò indietro con Akashi. “Aka-chin,” bisbigliò mentre lui chiudeva delicatamente la porta.

“Si, Atsushi?”

“Puoi…Potresti prepararmi qualcosa? – mormorò il più alto – Visto che il mio allenamento è stato esteso, quando ho saputo di Kuro-chin e sono uscito era già tardi e non sono riuscito a mangiare. E non ho più soldi per comprarmi qualche snack.”

Sul volto di Akashi comparve un sorriso, ma lo nascose facendo schioccare la lingua. “Comunque, Atsushi, quando hai fame non dovresti mangiare degli snack,” lo rimproverò con leggerezza mentre andavano in salotto. Murasakibara fece il broncio ma fu d’accordo. Akashi roteò gli occhi, “Ma visto che ti sei allenato di più… Si, ti preparerò qualcosa.”

Il più alto fece un ampio sorriso, “Grazie, Aka-chin!”

“A proposito, non avete tutti fame?” Annuirono tutti. “Allora è proprio il caso che prepari qualcosa,” Akashi sospirò profondamente. “Daiki – il ragazzo sollevò la testa tremando al suono del suo nome – Vieni con me.”

Tutti lo guardarono con un’espressione comprensiva. Lui, nervoso, si alzò dal divano e seguì il rosso in cucina. Il pavimento della cucina era freddo sotto i suoi piedi nudi, ma gli servì per schiarirsi le idee e pensare a qualche argomento da usare in sua difesa. Con cautela, iniziò ad osservare la semplice cucina. A voler essere precisi, cercava di capire se c’erano oggetti affilati. C’è un coltello vicino al lavandino, osservò Aomine, Farò meglio a starne lontano. Ma le più pericolose erano un paio di forbici nere in bella mostra, proprio vicino al microonde, che scintillavano malignamente.

Akashi cercò di mantenersi composto quando vide l’espressione del suo ‘sottoposto’. Daiki era ovviamente terrorizzato al pensiero di essere da solo con lui in cucina. Come era giusto che fosse, dal momento che aveva pianificato molte attività da fargli fare nei giorni seguenti. Dopo tutto, era anche colpa sua se Tetsuya era riuscito a scappare, facendosi male.

“Daiki,” mormorò. Tese le braccia per accendere il fuoco sotto al fornello. “Dovrebbero esserci dei complotti nell’armadietto vicino a te. Passameli, per favore.”

“C-complotti?” balbettò Aomine.

Akashi inclinò la testa di lato, “Complotti? No, ho detto ‘biscotti’.” (*)

No, ha decisamente detto complotti! Sta tramando qualcosa, probabilmente la mia morte. Del sudore freddo colava lungo la schiena di Aomine. Fece quello che gli era stato chiesto a passò i biscotti ad Akashi.

Il resto del loro tempo in cucina passò in silenzio, se non per gli ordini di Akashi di tagliare le carote o passare qualche ingrediente. Per Akashi quel silenzio era confortevole e appagante, per Aomine era soffocante ed imbarazzante. Alla fine, quando la zuppa di miso era quasi pronta ed il riso era servito in piccole scodelle, Akashi finalmente parlò, “Pensi anche tu che gli avvenimenti di oggi siano stati tutta colpa tua?” Lo chiese con naturalezza, come se stessero parlando del tempo.

“Tutta colpa mia?” L’occhi sinistro di Aomine ebbe un tic sia per l’irritazione che per la paura. “No! È anche colpa di Tetsu! Avrebbe dovuto usare il cervello ed ascoltarci!”

Akashi emise  un suono a metà strada tra disapprovazione e consenso, e spense il gas. Un profumo delizioso si sparse per la cucina. “È vero che Tetsuya mi ha disobbedito. Ma, – guardò per un momento Aomine con la coda dell’occhio – E’ tua la colpa di avergli dato la possibilità di disobbedirmi. Dimmi, chi è stato a decidere di farsi un sonnellino quando doveva fare la guardia a Kuroko?”

La faccia di Daiki avvampò, “I-io.”

“E chi è stato a lasciar scappare Tetsuya da casa mia per andare all’allenamento, aspettando poi un’ora per informarmi?” Oltrepassò Aomine per prendere le ciotole per il miso.

La faccia del ragazzo rimproverato era rossa per la rabbia ma anche per l’imbarazzo. Diavolo! Perché aveva pensato che schiacciare un pisolino sarebbe stato innocuo? Ovviamente non lo era quando dovevi fare da guardia a quell’ombra del tuo compagno di squadra che aveva praticamente la presenza di un fantasma. “Va bene, sono stato io, – ammise esasperato – E quindi?”

Akashi finì di servire la zuppa di miso e sistemò le ciotole su un vassoio. “E quindi, Daiki, ho parlato con il tuo capitano e l’ho convinto a quadruplicare-“

Quadruplicare?”urlò Aomine. Delle forbici volarono pericolosamente vicino al suo orecchio prima di piantarsi nel muro dietro di lui. Aomine strillò.

“Silenzio. Si, quadruplicare. Il tuo allenamento durerà quattro volte di più per le prossime due settimane. Inoltre, – Akashi sollevò una mano quando l’altro stava per protestare – Ti  occuperai dei bisogni della mia casa per una settimana. Ciò significa che dopo gli allenamenti verrai qui e farai le pulizie che ti dirò. Infine, – enfatizzò così che Aomine non lo interrompesse – Questo.”

Akashi tirò fuori da una tasca un foglio di carta piegato e lo passò al suo ex compagno. Aomine lo prese, lo aprì e lesse ad alta voce: “Grazie, Aomine Daiki, per esserti generosamente offerto volontario. Come da te richiesto, le tue ore di volontariato all’asilo Yoshiro saranno dall’una alle quattro dei pomeriggi del fine settimana.” Aomine abbassò il foglio a bocca aperta. “Non puoi fare sul serio, Akashi!”

“Si invece. Sono sicuro che lavorando con dei bambini piccoli penserai a tutto tranne che a dormire, – sorrise al ragazzo shockato – Ho sentito dire che lo Yoshiro è famoso per i suoi bambini…piantagrane.”

Aomine sbatté le ciglia e fissò il volto serio di Akashi. Non lo avrebbe fatto davvero, no? Akashi non era così malvagio, giusto? Era solo uno scherzo,giusto? Si lamentò mentalmente. Ora che aveva saputo la sua condanna, avrebbe preferito che Akashi lo avesse pugnalato con le forbici. Lui era pessimo coni bambini, ed il rosso lo sapeva.

“Andiamo, Akashi, farò tutto il resto, ma non mi offrirò volontario in un asilo!”protestò.

“Oh?” il ragazzo dagli occhi eterocromi gli diede un’occhiata mentre sistemava le stoviglie sul vassoio, “Oseresti disobbedire ai miei ordini?”

Aomine rimase in silenzio.

“Sto morendo di fame!”disse Kise con entusiasmo. “Wooow, Akashicchi, sei un cuoco così bravo! Itadakimasu!” Il biondo prese le sue bacchette e mangiò golosamente del riso.

“Itadakimasu,” disse educatamente Midorima, mangiando a piccoli bocconi. Aveva appena finito di rifasciarsi la mano sinistra, per scaramanzia.

Murasakibara non fece nessun commento prima di mettersi in bocca gran parte del suo cibo, facendo crescere man mano le sue guance, fino ad assomigliare ad uno scoiattolo. Akashi gli dovette dire di andarci piano e mangiare bocconi più piccoli.

Aomine teneva il broncio in un angolo, mangiando appena. Quando lui ed Akashi erano tornati in salotto, il più alto aveva un’ espressione tetra, il più basso una soddisfatta. La Generazione dei Miracoli si limitava ad essere felice che Aomine fosse ancora vivo. “Hei, Mine-chin?” Murasakibara gli tirò piano la maglietta.

Lui lo guardò male, “Che vuoi?”

“La mangi quella?” mormorò, indicando la zuppa non ancora toccata.

L’asso del Teiko sospirò e scosse la testa, “Puoi prenderla.”

Gli occhi di Atsushi si illuminarono come quelli di un bambino. Si fiondò immediatamente sulla zuppa e sul riso, mettendosene subito metà nella sua grande bocca. Akashi scosse la testa ed aspettò che finissero tutti di mangiare.

“Ah, – sospirò Kise appoggiandosi al divano – Sono pieno!”

“Grazie per il pasto, Akashi,” disse Midorima.

“Grazie, Aka-chin!”

“Hm,” fu la risposta che ricevettero. “Immagino che ora vogliate parlare.”

“Si, - annuì il biondo con vigore – Cos’è successo a Kurokocchi? Si è… – si fermò a metà frase per deglutire – Si è fatto di nuovo male?”

Fu Midorima a rispondere alla domanda esitante. “No, Kuroko non si è fatto male di nuovo. Però le sue ferite si sono riaperte perché si è allenato troppo presto. Non avrebbe ancora dovuto muoversi.”

“Mi ha disobbedito,” mormorò Akashi. La Generazione dei Miracoli sussultò. “Kuroko Ibuki era lì quando sono arrivato.”

A questa informazione trattennero tutti il fiato sconvolti. Come già detto, sapevano tutti chi era a causare il dolore di Kuroko giorno dopo giorno. Quel nome era spiacevolmente marchiato nel loro cervello. La donna che somigliava così tanto a suo figlio, ma che gli era decisamente inferiore per quel che riguardava la personalità, sarebbe rimasta impressa nella loro memoria per sempre.

“Ehi…Ho appena notato, – disse Kise – Kuroko Ibuki…. Ibuki non è un nome da uomo? E poi non è un cognome, di solito? Perché la madre di Kurokocchi si chiama Ibuki?”


“È vero, – confermò Akashi, tamburellando le dita sottili sul basso tavolo da pranzo – L’ho notato anch’io, un po’ di tempo fa, quando ho studiato le donne più influenti del Giappone.” Un sorriso calcolatore distese le sue labbra, “Fa tutto parte del mio piano.”


Kagami e Riko oltrepassarono silenziosi la porta dell’ufficio, tenendo tra le mani una spessa cartellina blu con il nome Kuroko Tetsuya stampato a grandi lettere nell’angolo in alto a destra. Entrambi corsero veloci lungo il corridoio; oltre le doppie porte una macchina argentata li stava aspettando. Junpei Hyuuga era seduto al posto dell’autista.

“Ragazzi, ce l’avete?” chiese, mentre Kagami scivolava nel sedile posteriore e Riko in quello davanti.

“Si, – la coach glielo sventolò in faccia – Forzare la serratura è stato un gioco da ragazzi.”

“Se finisco nei guai per questo, – mormorò Kagami – Vi trascinerò giù con me.”

Hyuuga inserì la marcia ed uscì tranquillamente dal parcheggio della scuola. “Rilassati, Kagami. Non ci beccheranno, non con Riko dalla nostra parte.”

Kagami non ne fu rassicurato.

Arrivarono presto all’appartamento di Kagami. Il resto della squadra era lì davanti alla sua porta, aspettando che loro tre arrivassero e la aprissero. Prima avevano tutti ricevuto un messaggio e cancellato i loro progetti per incontrarsi, anche se era il loro giorno libero. Dopo tutto, la situazione era importante.

“Cercate di non rompere niente,” li ammonì Kagami aprendo la porta. Corsero tutti dentro.

Dopo che si furono sistemati e che Kagami ebbe preparato il the per tutti, Riko mise la cartellina al centro del cerchio che avevano formato e si sedette. “Siete sicuri di quello che stiamo per fare?” chiese nervoso Furihata.

“Certo, – disse Teppei – Se la Generazione dei Miracoli non ci vuol dire niente, dobbiamo scoprire le cose da soli. Abbiamo il diritto di sapere cosa succede a Kuroko.”

Furono tutti d’accordo.

Poco dopo iniziarono a scoprire pezzi della vita di Kuroko. I suoi voti delle medie, le attività che aveva svolto ed i club a cui si era unito, i suoi registri e le sue pagelle. Una pagella in particolare attirò l’attenzione di Riko. “Guardate qui,” disse. Era la pagella dell’ultimo anno delle medie. Nella sezione per I commenti l’insegnante di Kuroko aveva scritto parecchie cose. “Mancanza di presenza, – lesse Riko ad alta voce – A volte risulta difficile individuarlo. Buoni voti, ma si presenta ogni giorno con delle ferite.”

“È una cosa che va avanti fin dalle medie?” gridò Koganei.

“Guardate, anche tutte le altre pagelle accennano a qualche tipo di ferita,” fece notare Kagami.

Riko continuò a leggere i commenti: “Ha iniziato ad interagire con Shogo Haizaki, membro della squadra di basket. Che abbia su di lui una cattiva influenza?”

“Shogo Haizaki, – ripeté Teppei – Perché mi suona così familiare?”

“Non lo so,” disse la coach del Seirin. Posò la pagella e prese il cellulare, con espressione accigliata, “Ma faremo delle ricerche e lo troveremo.”






NdT: Ciao! Questo capitolo mi piace particolarmente, muahahahaha!!! No, scherzo, povero Aomine....
Ma passiamo alle cose serie. Probabilmente avrete notato un asterisco (*). Nel testo originale c’era un gioco di parole tra ‘pot’ pentola e ‘plot’ complottare, tramare. Quindi Akashi chiede a Daiki di passargli la pentola. Ho pensato a lungo su come rendere questo scambio, ma purtroppo non sono riuscita a trovare niente di meglio :( Mi da un po’ fastidio sia perché i biscotti non c’entrano niente con la zuppa di miso che stanno preparando, sia perché Akashi aveva appena detto ad Atsushi di non mangiare snack quando ha fame, quindi sembrerebbe che si contraddica. Scusate, ma non riesco a trovare una soluzione migliore >.<
Quindi passo a ringraziare le persone che seguono, preferiscono e ricordano, senza dimenticare chi recensisce! Grazie davvero! *_*
Lunedì ho scritto all’autrice per aggiornarla sul progredire della traduzione e lei mi ha detto che è molto contenta delle attenzioni che la sua storia sta ricevendo e che apprezza davvero i vostri commenti :)
Quindi continuiamo a darle il nostro supporto, magari lasciando una recensioncina-ina! xD
Ok, la smetto altrimenti le note diventano più lunghe del capitolo!
Alla prossima,
Nienor_11

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

La squadra del Seirin era stretta intorno ad un piccolo tavolo in un ristorantino. Erano tutti tesi, nervosi e pieni di aspettative. Stavano aspettando Shogo Haizaki.

Dopo le ricerche di Riko erano riusciti a trovare Haizaki del Teiko. Sembrava che adesso frequentasse un liceo con cui si sarebbero dovuti presto scontrare. Avevano trovato una sua foto, ed era spaventosa. Era un ragazzo alto, con i capelli grigi e dall’aspetto violento, bastava un’occhiata per rendersene conto. Il suo file diceva che era stato espulso da parecchie scuole per delle risse.

Kuroko frequentava un tipo come questo? Si domandarono tutti.

Haizaki aveva risposto alla mail di Riko dopo molte ore. Aveva accettato di incontrarli in quel piccolo ristorante.

“È in ritardo!” esclamò Teppei

“Di un’ora,” brontolò Kagami.

Hyuuga li guardò storto, “Siate pazienti.”

Koganei saltò su all’improvviso ed indicò, “Hey, quello non è lui?” Si girarono tutti verso la porta.

Ed infatti alla porta c’era proprio Shogo Haizaki, e stava chiaramente mettendo paura alla cameriera, che aveva iniziato a balbettare. La guardò male e lei scappò via con uno squittio. Il ragazzo violento osservò poi le persone presenti nel ristorante finchè non notò il loro tavolo.


“Siete voi il Seirin?” ringhiò.


Kuroko guardò disgustato il pasto che era davanti a lui. Il profumo era delizioso, ma lo stesso non valeva per il contenuto. Era un pasto americano: una bistecca grassa e succosa tagliata in piccoli pezzi, con un contorno di spinaci, una piccola porzione di purea di patate ed un bicchiere di acqua ghiacciata. Esatto, non c’era il the, che di solito era servito con il pranzo e la cena e che aiutava la digestione! Su un piatto più piccolo, vicino a quello con la portata principale, erano serviti broccoli e piselli.

Akashi guardava divertito l’espressione sul volto del più basso. Stava seduto sul bordo del letto, mentre Kuroko era al centro, con le gambe e le braccia incrociate ed aveva un vassoio abbastanza grande appoggiato sulle gambe. “Ho sentito dire che il cibo americano aiuta a prendere peso, – disse Akashi – Anche se non apprezzo alcuni piatti, posso comunque capire che questi siano più nutrienti di un pasto giapponese standard.”

 Kuroko spinse il vassoio lontano da lui, solo a guardarlo gli veniva la nausea. “Non voglio mangiarlo,” mormorò.

Akashi aggrottò le sopracciglia e gli riavvicinò il vassoio. “Mangerai tutto, – comandò – Senza scuse.”

Kuroko mise quasi il broncio. “Tutto?” Toccò la carne straniera, come per vedere se si sarebbe mossa. Non lo fece.

“Si, tutto. Mi aspetto di non vedere neanche una briciola, su entrambi i piatti.” Gettò un’occhiataccia a Kuroko, “Anche questo è parte della… punizione per avermi disobbedito.”

Le guance di Kuroko arrossirono e lui spostò lo sguardo di lato, vergognandosi. Quando quella mattina si era svegliato, Akashi lo stava aspettando ai piedi del letto, ed aveva subito iniziato a spiegargli dettagliatamente quali sarebbero state le sue ‘punizioni’per avergli disobbedito ed essere scappato. Prima di tutto non doveva lasciare il letto per nessun motivo se non per andare in bagno. Non importava se gli si fossero addormentate le gambe, intorpiditi i muscoli o anche se fosse stato semplicemente annoiato: Kuroko non doveva alzarsi. E se lo avesse fatto, uno della Generazione dei Miracoli lo avrebbe trascinato di nuovo a letto.

Akashi stava mantenendo la parola. Due ore prima, quando Kuroko era troppo irrequieto per essere stato a letto tutto il giorno, aveva provato ad uscire della stanza per prendere un po’ d’aria fresca. Per sua sfortuna, prima ancora che fosse arrivato in salotto, Akashi era comparso alle sue spalle e lo aveva portato di peso fino al letto.

Poi, un’ora dopo, Kuroko ci aveva riprovato, sicuro che Akashi fosse uscito per comprare qualcosa. Questa volta era stato Murasakibara a fermarlo.

Ora sapeva che era inutile, quindi aveva smesso di provare a fuggire.

La sua seconda ‘punizione’ era il dover mangiare tutto ciò che Akashi cucinava per lui; tutto, fino all’ultima briciola. E per il povero ragazzo era una vera tortura. Akashi preparava delle porzioni abbondanti e cucinava apposta dei cibi che a lui non piacevano, ma che gli avrebbero fatto bene. Gli aveva anche vietato i frappè alla vaniglia, i suoi preferiti, e questo lo aveva quasi ucciso.

Per finire, l’ultima delle punizioni era il doversi scusare con suo padre, cosa che Kuroko avrebbe comunque fatto. Sapeva che suo padre lavorava sodo per lui, ed odiava essere sempre un peso. Si sentiva colpevole per avergli fatto saltare il lavoro solo per la sua salute.

Kuroko si era assicurato di chiamare a mezzogiorno, perché sapeva che a quell’ora sua madre non era in casa. Aveva risposto suo padre, ed i due avevano fatto una lunga, tranquilla e rilassante chiacchierata.

“Non credo di riuscire a finire questo, Akashi-kun.”

“Lo finirai, – disse Akashi con fermezza – Mi sono assicurato di darti il giusto numero di porzioni.”

Kuroko iniziò mestamente a mangiare. Il rosso cercò di non sorridere all’espressione infantile del passatore. Si chinò e gli arruffò i capelli azzurri. Kuroko lo guardò spalancando gli occhi da cucciolo. Akashi si limitò a scuotere la testa e indicare il piatto.

Dopo quarantacinque minuti di tortura, Kuroko era riuscito a finire tutto. Aveva anche finito l’acqua ghiacciata, ma più che altro perché l’aveva bevuta nel disperato tentativo di disfarsi del gusto terribile di spinaci, broccoli e piselli.

“Ben fatto,” lo lodò Akashi, che gli diede un colpetto sulla fronte e poi raccolse il vassoio per lavarlo in cucina.

Kuroko si appoggiò indietro sui cuscini, massaggiandosi la fronte colpita. Si sentiva così pieno che il pensiero del cibo lo faceva star male. Gemette piano e si passò le mani pallide sulla faccia.  Perché aveva disobbedito ad Akashi? Al rosso non sfuggiva niente, quindi perché aveva anche solo pensato di scappare l’altro giorno?

Ai capricci di Kuroko, Akashi fece un sorrisetto. Sembra che Tetsuya stia iniziando a pentirsi delle sue scelte, osservò. Bene. Uscì dalla stanza e andò in cucina per posare i piatti nel lavandino. “Daiki,” chiamò.

Il ragazzo abbronzato apparve alla porta della cucina e , cosa imbarazzante, stava indossando dei vestiti da donna delle pulizie. Aveva un grembiule per pulire e una bandana in testa. Teneva in mano uno straccio. “Si, Akashi?” rispose stancamente.

Akashi studiò il ragazzo evidentemente esausto, quindi ebbe pietà di lui, “Lava questi piatti, poi per oggi hai finito.”

Gli occhi di Aomine si riempirono di sollievo. “Grazie a Dio,” mormorò. Oltrepassò il rosso per prepararsi a lavare i piatti. La sua giornata era andata di male in peggio a partire dal mattino. Akashi gli aveva prima fatto passare l’aspirapolvere in ogni stanza del suo appartamento assurdamente grande, poi spolverare ogni angolo del salotto. Dopo aveva pulito tutte le finestre fino a che ci si sarebbe potuti specchiare. Però sapeva che oggi gli era andata bene, Akashi non gli aveva ancora fatto pulire il bagno.

All’una era stato costretto ad andare all’asilo Yoshiro. Era entrato sicuro si sé, pensando che i bambini piccoli non potessero poi essere così male, e ne era uscito distrutto, stanco e sconvolto. Piantagrane, li aveva definiti Akashi, ma era un eufemismo. Erano più dei piccoli assistenti del Diavolo con le loro piccole uniformi ‘carine’ e dei cappellini gialli ‘carini’. Gli avevano sputato addosso, lo avevano usato per arrampicarsi, si erano lamentati, lo avevano morso e preso a calci.

Come farò a sopravvivere ad una settimana intera di volontariato con loro? Si lamentò Aomine.

Akashi lasciò Aomine, che svolgeva l’ultimo compito della giornata, e tornò in salotto. Il giorno dopo ci sarebbe stata la scuola, quindi Shintaro, Ryouta e Atsushi erano tornati a casa. Anche Daiki sarebbe presto andato, dopo aver finito di lavare i piatti.

Kuroko ed io saremo gli unici a restare qui, analizzò Akashi. Il che significa che devo sfruttare il tempo che ho adesso per occuparmi della mia faccenda.

Tirò fuori il cellulare e digitò un numero sconosciuto. La persona chiamata rispose dopo il primo squillo, “Seijuro-kun.”

“Kaoru, – rispose al suo conoscente di lunga data – Voglio che tu risponda ad una domanda.”

Yoshida Kaoru era un giovane uomo che Akashi aveva conosciuto tramite i suoi genitori. Era l’unica persona che, quando erano giovani, non obbediva a nessuno degli ordini ridicoli che Akashi dava ai suoi ‘amici’. Questo non significava che non temesse il rosso, era più che altro dovuto al fatto che i genitori di Akashi erano legati a quelli di Kaoru. Dal momento che aveva sei anni in più di lui, era ora sul punto di prendere il possesso di un piccolo ramo della grande azienda.

“Si?”

“Chi è il tuo capo?” chiese schiettamente Akashi.

“Il mio capo?” Fece una pausa, poi: “Seijuro-kun, lo sai che per ora i miei superiori sono i miei genitori.”

“No, ti sto chiedendo del proprietario. Stai per ereditare una piccola filiale, giusto? Chi è il proprietario di tutte le filiali, inclusa la principale?”

 Kaoru non rispose subito, e Akashi lo potè sentire mentre spostava dei fogli. “Sarebbe… Suzuki Akihiko, – rispose – E’ il proprietario di tutta l’azienda.”

Proprietario. Hm, doveva voler dire che Kaoru non aveva ancora visto il suo ‘capo’ se pensava che fosse un lui. “Interessante,” mormorò Akashi, prendendo un block notes e una penna.

“Akashi, sto uscendo,” annunciò Daiki mentre lasciava la cucina, indossando di nuovo i suoi soliti vestiti.

Il rosso si limitò ad annuire. “Kaoru, mi sillaberesti il nome?” Kaoru ripetè ogni lettera ed Akashi scrisse i caratteri giapponesi del nome, osservandolo poi con attenzione.


Sulle sue labbra comparve un sorrisetto. Di nuovo un nome maschile.


Kuroko provò a dormire; era l’unica cosa che poteva fare, oltre a leggere. Ma i libri che Akashi gli aveva portato erano incredibilmente monotoni e noiosi. Sentì dei mormorii da oltre la porta chiusa e pensò che Akashi fosse occupato a parlare con qualcuno.

Si stese facendo un respiro profondo. Com’era successo? Ancora una volta dipendeva dalla Generazione dei Miracoli. Sin dalla prima volta che si era fatto male, al primo anno delle medie, ognuno dei componenti della prima squadra lo aveva aiutato, protetto, curato. Per una volta voleva essere lui a fare qualcosa per loro; per Midorima-kun, Murasakibara-kun, Aomine-kun, Kise-kun, ma soprattutto per Akashi-kun, che aveva fatto per lui molto più di quello che si meritava.

Kuroko arrossì al pensiero di Akashi. Nell’ultimo periodo il suo ex capitano era stato più affettuoso del solito con lui. Anche se non lo avrebbe ammesso, Kuroko teneva molto ad Akashi. Era stato il primo a tendergli una mano quando era picchiato, il primo ad aver scoperto il suo talento, ed il primo ad aver capito il rapporto tra lui e sua madre.

Una vibrazione lo face quasi sobbalzare. Prese il cellulare, chiedendosi chi fosse a chiamarlo a quell’ora; ma, stupidamente, non controllò prima di rispondere: “Pronto? Qui Kuroko.”

“Tetsu-kun,” disse una voce familiare e temuta. Kuroko spalancò gli occhi e si immobilizzò. “Sei un bravo ragazzo, Tetsu-kun; hai risposto al telefono. Mi sei mancato così tanto.”

Kuroko iniziò ad entrare nel panico: la mano che teneva il cellulare sbiancò, perché lo stingeva troppo forte. Era talmente spaventato da non riuscire nemmeno a tremare. La sua bocca rifiutò di aprirsi e la lingua rimase incollata al palato. Sembrava una statua, bloccata e seduta contro i cuscini con un cellulare tenuto incollato all’orecchio da una sua mano.

“Come vanno le ferite?” canticchiò Ibuki, che non aspettò di ricevere una risposta, “Ho visto che l’altro giorno all’allenamento zoppicavi. Povero piccolo mio, stai bene?”

Non ti interessa, non ti interessa, non ti interessa si ripeteva Kuroko. Riaggancia, riaggancia, riaggancia–

“A proposito, – il tono di sua madre si fece minaccioso – L’altro giorno c’era un ragazzo che mi ha sfidata… Ha persino minacciato me, la tua cara mamma. Qualcuno gli dovrebbe impartire una lezione –“

“Non far del male ad Akashi-kun,” Kuroko riuscì finalmente ad urlare. Quando aveva pensato ad Akashi era stato di nuovo in grado di muoversi, ed il suo unico pensiero era quello di difendere e proteggere il rosso. “L-Lui non c’entra niente con questo!”

Ibuki rimase in silenzio, pensando a quel che Kuroko aveva detto. “Oh? Mi stai davvero ordinando di fare qualcosa?”sibilò poi. “Sembra che questo ‘Akashi’ sia importante per te.”

Kuroko non riuscì a rispondere, non ne ebbe l’occasione, perché la porta della camera si spalancò ed apparve il diavolo in persona: Akashi. “Tetsuya, cos’è stato? Con chi stai parlando?”

Kuroko si voltò per guardare Akashi. In quel momento iniziò a tremare, gli si riempirono gli occhi di lacrime e delle gocce iniziarono a cadergli sulle guance.

“Aka…shi-kun, – bisbigliò – L-Lei.. okaa-san …m-male…te-telefono… minacce… non ci riesco…non ci riesco.” Il ragazzo piangeva e non riusciva a formare una frase completa. Akashi stette un momento fermo, shockato, poi si gli avvicinò, gli occhi fissi sul cellulare.

“Tetsu-kun, stai piangendo? – lo derise Ibuki – Oh, come vorrei vedere quelle bellissime lacrime…”

Il telefono fu strappato della mani di Kuroko. Un braccio forte circondò le sue spalle e lo spinse contro un corpo muscoloso; il calore era invitante. Con Kuroko accucciato contro di lui, Akashi portò il telefono al suo orecchio e disse ad alta voce: “Kuroko Ibuki. Come sta?”

Ibuki strillò dall’altra parte della linea. “Sei tu, vero? Vero? Sei quel moccioso ribelle che ha osato sfidarmi! E minacciarmi! Come osi portarmi via Tetsu, la pagherai!”

“Io? Io, Akashi Seijuro, pagherò? Povera donna, – mormorò con voce setosa al telefono – Sarà lei a pentirsi delle sue decisioni, Kuroko Ibuki. Non mi importa del suo potere né della sua influenza. Mi basta solo un suo segreto per poterla distruggere.”

La madre di Kuroko non fece trapelare la paura nella sua voce. “Cosa hai intenzione di fare, ragazzo? Sei solo un moccioso. Akashi Seijuro, hai detto? I tuoi genitori sono miei conoscenti.”

“Non sarebbe saggio coinvolgere mio padre e mia madre, – l’avvertì Akashi – Non importa quante conoscenze lei abbia, i miei genitori sono i migliori nel campo della legge. Non cadranno nelle sue trappole.” Ibuki non rispose, quindi lui aggiunse, “Spero che sia pronta per la lunga battaglia che ho preparato, Kuroko Ibuki. Non intendo essere sconfitto così facilmente.” Riattaccò.

“N-No Akashi-kun, – disse Kuroko tra le lacrime – Ti farà del male.” Ora che aveva finito di parlare, Akashi concentrò tutta la sua attenzione sul ragazzo che piangeva. Lo sollevò facilmente e lo mise a sedere di fronte alle sue gambe aperte. Kuroko sedette in silenzio e le sue lacrime continuavano a cadere abbondanti sulle lenzuola costose. Akashi tese le braccia verso di lui, senza parlare.

Le braccia di Akashi furono subito travolte dal fragile ragazzo. La sua maglia rossa fu inumidita da Kuroko, che piangeva contro la sua spalla. Strinse più forte il ragazzo e sentì che lui gli strinse forte la maglia sulla schiena. Questa volta i singhiozzi di Kuroko non erano forti e addolorati, ma leggeri e silenziosi, come se si stesse tenendo tutto dentro. Akashi gli diede dei colpetti sulla testa azzurra.

Kuroko Ibuki, sai quanto dolore sai causando? Si chiese Akashi amaramente. O forse ne sei consapevole, ma ne godi per tuo divertimento personale.

“Va tutto bene, – disse piano – Sei al sicuro, lei non è qui e non ci sarà per il prossimo paio di giorni.” Il pianto di Kuroko non si fermò, anzi strinse Akashi ancora più forte. “Tetsuya.” Akashi decise di cambiare tattica.  La sua figura ‘dispotica’ ed autoritaria sarebbe tornata utile in questa situazione. Liberò a forza Kuroko dalle sue braccia e gli afferrò il mento, bagnato dalle lacrime. “Guardami.”

Kuroko lo fece, con gli occhi lacrimosi ed un’espressione tristissima, che fece deglutire nervosamente Akashi. Lui però restò risoluto, “Smetti di piangere.” Due pollici si mossero sulle sue guance per asciugare le lacrime, continuando a muoversi finchè queste smisero di cadere. Quello che era rimasto era un Kuroko esausto. Delle mani presero il posto dei pollici, tenendogli il viso pallido da entrambi i lati. Kuroko vi ci si appoggiò. “Nessuno ha il permesso di farti piangere. Solo io ce l’ho. Sono l’unico ad avere il diritto di causarti dolore, lacrime e sofferenze. Nessun altro può. Tu sei mio, Tetsuya.

Kuroko non protestò.







NdT: Salve a tutti! Con questo capitolo abbiamo raggiunto un terzo della storia :)
Quando l’ho letta io, arrivata a questo punto mi era fatta un’idea su Ibuki, (idea che poi era completamente sbagliata, ma vabbeh!)
Quindi voglio sapere quali sono le vostre ipotesi; vediamo se qualcuno si avvicina alla verità, o se qualcuno ha per caso la stessa strana impressione che ho avuto anch’io… ;)
Detto questo, come al solito ringrazio tutti!
A presto, Nienor_11


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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Kuroko si appoggiò alla testiera del letto. Ora che la sua schiena stava cominciando a guarire non aveva più bisogno di una montagna di cuscini come supporto. In effetti tutte le sue ferite stavano guarendo bene; non doveva più portare delle bende intorno alla testa né alle gambe, ma continuava a zoppicare ogni volta che camminava, (cosa che Akashi aveva notato quando l’aveva beccato di nuovo mentre cercava di lasciare il letto.)

Un libro voluminoso era posato sulle sue gambe, trattava della geografia del Giappone ed era scritto in caratteri molto piccoli. Kuroko aveva provato a leggere il primo paragrafo, ma si era fermato a metà. Era l’unico libro che sembrava interessante, e visto che la geografia era la sua materia preferita, aveva pensato che sarebbe riuscito a capirlo meglio rispetto agli altri libri universitari che Akashi, per qualche strana ragione, aveva.

“Tetsuya.”

Sentendosi chiamare, Kuroko sollevò lo sguardo. Akashi inarcò un sopracciglio quando vide le occhiaie scure sotto i suoi occhi azzurri ed inespressivi. Dopo la chiamata di Ibuki della sera prima, Kuroko si era svegliato spessissimo a causa degli incubi. Akashi aveva dormito al suo fianco, sapendo che sarebbe successo, e lo aveva tranquillizzato ogni volta fino a farlo riaddormentare. Le occhiaie di Akashi però non erano altrettanto evidenti.

“Vieni con me,” gli fece cenno Akashi.

Kuroko si sporse in avanti, “Posso scendere dal letto?”

Il rosso lo guardò divertito, “Si, puoi scendere dal letto.”

Non appena gli fu confermato il permesso, Kuroko si affrettò ad appoggiare i piedi per terra per alzarsi. Ma si mosse un po’ troppo velocemente. Le lenzuola gli si attorcigliarono intorno alla gambe e Kuroko provò ad alzarsi ma si inciampò e rischiò di cadere. Se non fosse stato per Akashi, si sarebbe ritrovato con la faccia contro il tappeto.

“Attento, – gli disse Akashi – Ecco perché ti ho fatto stare a letto.” Le sue braccia lo aiutarono a ritrovare l’equilibrio.

“Grazie,” disse piano Kuroko, liberandosi dalla presa di Akashi. Voleva dimostrargli che poteva farcela da solo.

L’ex capitano studiò Kuroko per qualche secondo poi disse, “Hm. Ti ho permesso di lasciare il letto per un motivo. Vieni con me, devo mostrarti una cosa.” Uscì dalla stanza, senza aspettare una risposta.

Curioso, Kuroko lo seguì zoppicando. Era bello poter camminare, anche se solo per pochi passi, senza essere bloccato. Quando entrò in salotto, Kuroko alzò le sopracciglia blu di qualche centimetro. Il tavolo da pranzo era sparito e i due divani, che di solito erano disposti a L erano stati spostati su un lato. Nello spazio così creato c’erano dei materassini blu che ricoprivano buona parte del pavimento ed alcuni cuscini disposti appena oltre i bordi dei materassini.

“Che cos’è, Akashi-kun?”

“È per la tua sicurezza,” disse Akashi con schiettezza. Abbassò la cerniera della sua giacca e se la tolse, sotto indossava una maglietta bianca e larga. Kuroko notò che indossava dei comodi pantaloni della tuta, il che era strano perché quelli della Generazione dei Miracoli lo avevano sempre visto vestito o con dei completi formali, o con la divisa scolastica o della squadra. Neanche quando dormiva gli avevano mai visto indossare altro. “Togliti la giacca.”

Kuroko obbedì, ancora confuso per la situazione. Cosa avrebbero fatto?

“Dopodomani lascerai casa mia, – lo informò Akashi mentre si toglieva i calzini – Non solo perché la scuola è preoccupata per la tua assenza, ma anche perché tua madre, – Kuroko tremò – Entrerà in azione se resterai qui troppo a lungo per un semplice progetto scolastico.” Posò i calzini sul pavimento e salì sui materassini, di fronte a Kuroko. “Tuo padre non sarà sempre presente per proteggerti, e se sei ferito gravemente potresti non riuscire a scappare. Inoltre non puoi nemmeno evitare le ferite che tua madre sicuramente ti infliggerà.” Kuroko sussultò ed abbassò lo sguardo. “Ma puoi diminuire la gravità e la quantità di quelle ferite.” Akashi fece qualche passo indietro. “Attaccami, Tetsuya.”

Kuroko sbatté le palpebre, “C-cosa, Akashi-kun?”

“Attaccami, – ripetè Akashi – Come se volessi farmi del male.”

“Ma, non posso,” disse con tono inespressivo.

Gli occhi di Akashi si fecero freddi, “Si che puoi. Questo è un ordine, attaccami.”

Non avendo altra scelta, Kuroko attaccò Akashi con esitazione. Tirò indietro il pugno e lo scagliò debolmente verso il rosso, sapendo che se anche lo avesse colpito non gli avrebbe fatto male. Akashi afferrò il suo polso pallido, torcendolo. Il braccio di Kuroko fu forzato in una posizione innaturale e si ritrovò subito con il braccio tenutogli contro la schiena. Akashi spinse anche contro le sue articolazioni in modo che il suo corpo si sbilanciasse, cadendo in avanti sulle ginocchia.


Akashi fece tutto questo con prudenza, sapendo che le ferite di Kuroko stavano ancora guarendo, ma con forza sufficiente a farlo cadere, e lasciò la presa non appena fu per terra. “Spingendo contro le ginocchia in questo modo potresti far cadere un uomo adulto,” spiegò Akashi, poi aiutò Kuroko a rialzarsi. “Ho studiato arti marziali in America, anni fa, e mio padre mi ha insegnato l’aikido fin da quando ero piccolo.” Si arrotolò i pantaloni finché non furono all’altezza degli stinchi. “Non so quanto riuscirò ad insegnarti in un paio di giorni, ma ti dovrebbe bastare per riuscire a difenderti.” Il rosso si raddrizzò e nei suoi occhi c’era un sadico luccichio, “Avanti, Tetsuya.”


Kuroko Ibuki era alla sua scrivania, seduta su una grande poltrona nera. Su una targhetta dorata c’era scritto: Abe Miku. Alcune foto di ‘famiglia’ erano sulla scrivania, per dare una buona impressione. Ogni volta che aveva degli ospiti, questi vedevano le foto e subito pensavano di avere di fronte una persona buona. Manipolare le persone è molto semplice.

Il suo viso si distorse in un’espressione disgustosa quando pensò al suo Kuroko. Oh, come voleva rovinare l’innocenza di quel ragazzo. Aveva detestato suo figlio fin dalla prima volta che l’aveva visto. Quegli occhi grandi e inespressivi la mandavano in bestia. Per gli uomini era così semplice, le donne invece cosa ottenevano? Di essere ridicolizzate e derise? Uno straccio e un secchio? Sbeffeggi e insulti? Era degradante, ma lei aveva cambiato tutto questo. Ora era una delle donne più influenti del Giappone, possedeva tre delle maggiori aziende e aveva connessioni a livello ancora più profondo del governo, tanto che poteva scavalcare la legge ed essere intoccabile.

Eppure non riusciva a rompere suo figlio una volta per tutte. Non importava quante volte l’avesse già schiacciato, insultato e temporaneamente spezzato nello spirito, qualcuno riusciva sempre a farlo tornare intero. Qualcuno lo guariva sempre. Ed anche la mancanza di presenza di suo figlio! Lo detestava per quello. Tutti quelli che apprezzavano Kuroko, incluso il suo stupido padre, riuscivano a localizzarlo, con un po’ di sforzo. Ma lei non riusciva nemmeno a vederlo, a meno che non lo sorprendesse quando aveva abbassato la guardia. Era come se lui pensasse che non valesse la pena di mostrarsi a lei; come sei lei non lo meritasse abbastanza. Questo la irritava terribilmente.

Si, avrebbe distrutto quella cosa chiamata Tetsuya, gli avrebbe fatto vedere ciò di cui era capace. Ma prima, doveva sbarazzarsi dei suoi…guaritori.

Ibuki sollevò la cornetta del telefono e digitò il numero 5; la sua segretaria rispose, “Si, Abe-san?”

“Nowaki, – disse – Voglio che tu faccia una ricerca sui membri della Generazione dei Miracoli, dalla scuola media Teiko, credo.”

“Generazione dei Miracoli? Mia figlia li conosce.”

Ibuki si sporse in avanti sulla scrivania, “Davvero?”

“Si, sembra che siano una squadra di basket piuttosto famosa. Si dice che giocatori con un talento simile nascano solo ogni dieci anni.”

“Chi sono questi giocatori?”

Si udì il rumore di dita che premevano su una tastiera, “Vediamo, non dovrebbe essere difficile trovare degli articoli su di loro…Ah, trovato!”

Ibuki prese velocemente carta e penna, pronta a scrivere. “Dimmi i nomi.”

“Kise Ryouta, – disse la segretaria – Aomine Daiki, Akashi Seijuro, Midorima Shintaro, Murasakibara Atsushi e… corre voce che ci fosse un sesto giocatore fantasma. Alcuni articoli dicono che è un ragazzo chiamato Kuroko Tetsuya.”


La donna dai capelli azzurri scrisse i nomi frettolosamente, senza controllare che fossero scritti bene. Un sorriso raccapricciante le si formò sulle labbra quando udì il nome di suo figlio. “Interessante.”


“Kuroko Tetsuya, eh?” Haizaki diede un grande morso al suo hamburger. Masticò maleducatamente tenendo la bocca aperta, ma nessuno osò lamentarsi.  “E’ da un bel po’ che non sentivo quel nome.” Si sporse e rubò un paio di patatine da Hyuuga, anche se ne aveva un pacchetto tutto suo proprio davanti a lui. Hyuuga lo guardò male.

“Lo conosci bene?” provò a chiedere Riko con gentilezza.

“Se lo conosco? – bevve rumorosamente il suo frappè – Direi di si. Ma non potevo mai avvicinarmi troppo a lui, quella cazzo di Generazione dei Miracoli si metteva sempre in mezzo.”
Quest’informazione fece sporgere in avanti la coach, “Sai perché si mettevano sempre in mezzo? Cosa innescava il loro comportamento così protettivo?”

Haizaki la guardò in modo strano. “No, cazzo. Non me lo volevano dire. Non che me ne potesse fregare. Akashi mi ha sbattuto fuori dalla squadra prima che potessi sapere i dettagli.” Prese l’hamburger di Kagami e se lo infilò in bocca. Il rosso strinse i pugni, ricordando a se stesso che se avesse iniziato uno scontro contro Haizaki probabilmente avrebbe perso. “Ma ho sentito una diceria.” Deglutì poi si infilò altre patatine in bocca.

“E qual era?” chiese Teppei.


“Che quel ragazzino subiva abusi.”


“Cavolo,” si lamentò Kise. Si trovava in un supermercato, allo scaffale delle spezie. Appeso al suo polso destro c’era una cesta mezza piena, mentre con la sinistra teneva un pezzo di carta stropicciata, probabilmente la lista della spesa. “Kaa-san mi ucciderà se non le trovo la spezia giusta.” Si grattò confuso la testa e si chinò per leggere i nomi scritti su ogni bottiglietta. “Sembrano tutte uguali!” gridò disperato. “Non importa quale scelgo.” Prese una bottiglietta a caso e la mise nella cesta.

Il biondo, contento, spuntò il nome del suo ultimo acquisto. “Finito!” disse con vece gioiosa.

“Scusa.”

Una voce femminile gli fece abbassare lo sguardo. Una chioma di capelli azzurri attirò la sua attenzione, e subito pensò che fosse Kurokocchi ma poi vide bene il volto della donna, molto simile a quello di Kuroko, ma più femminile e più crudele. Degli occhi blu lo fissavano come se fosse ad un livello inferiore rispetto a lei, e questo lo faceva sentire intimorito. Perché ha un aspetto così familiare? Si chiese Kise. Giurerei di averla già vista –

Poi capì: Kuroko Ibuki, la madre di Kurokocchi. La persona che faceva del male al suo Kurokocchi si trovava proprio davanti a lui. Il suo buon umore scomparve immediatamente.

“Scusa? Scusa?”ripeté impaziente la donna.

Kise dovette usare tutta la sua forza per non prenderla per il collo e urlarle contro per tutte le volte che aveva fatto del male al suo Kurokocchi. Gli ci volle ancora più forza per risponderle “S-si?”

“Ti ho già chiesto per più di tre volte se puoi passarmi il barattolo grande della spezia al limone e peperoncino, – disse con maleducazione – Dammelo.”

Kise osservò come era vestita: sembrava essere appena uscita da uno dei suoi lavori, aveva un tailleur professionale con una borsa coordinata. I suoi occhi furono attratti dal cartellino con il nome, c’era scritto Abe Miku. Trovò strano che sul cartellino ci fosse un nome diverso dal suo, Kuroko Ibuki. Ha due nomi? si chiese Kise.

Il biondo la guardò dritta negli occhi e disse, “Non posso.”

Ibuki inarcò un sopracciglio blu, “Come scusa?”

“Non ne ho voglia, – ripeté – E vado anche di fretta. Chieda a qualcuno dei commessi di aiutarla.” Kise si spostò di lato e superò la donna, che restò di sasso. Si assicurò di camminare con lunghe falcate, nel caso quella volesse seguirlo.

Ibuki non lo seguì, il che fu un sollievo. Kise pagò, disse alla cassiera di tenere il resto e corse fuori con quattro borse in mano. Spostò tutte le borse nella sua mano sinistra e con la mano libera prese il cellulare. Premette con il pollice il numero due, ringraziando gli Dei dei cellulari per aver inventato le chiamate rapide, e schiacciò il tasto per chiamare.

Risposero al terzo squillo: “Ryouta.”

“Akashicchi!” gridò Kise. “È arrivata.. ed è stata proprio maleducata… e le sono sfuggito… ed è stato così strano, non mi è piaciuto per niente… e –“

“Calmati e parla con frasi chiare,” lo interruppe Akashi. Kise chiuse la bocca. Ora che c’era silenzio, poteva sentire dei respiri affannosi dall’altra parte della linea.

“Akashicchi…cosa stavi facendo?”

“Non sono affari tuoi. C’è un motivo per cui mi hai chiamato, Ryouta?”

Kise sbatté le palpebre. “Eh? Ah, si! Ho incontrato la madre di Kuroko, pochi minuti fa!”

“Cosa? – sibilò all’improvviso Akashi – Dove?”

“Al supermercato,” rispose subito Kise.

“Ti ha detto qualcosa di interessante?” I respiri affannosi si fecero più distanti e Kise pensò che Akashi stesse andando in un’altra stanza.

“No, non mi ha riconosciuto. Credo. Ma il suo cartellino con il nome era strano.”

“Strano come, Ryouta?”

Kise guardò in entrambe le direzioni prima di attraversare la strada correndo e raggiungere casa sua. Per poco il cellulare non gli sfuggì di mano. “Aveva… C’era scritto un nome diverso, non era Kuroko Ibuki.”

Ora poteva sentire il rumore di carta che veniva spostata e il ‘click’ di una penna. Akashi disse con voce lenta e esigente, “Che nome c’era scritto?”

Kise cercò di ricordare il nome. “Ehm, A-Abe Miku, credo.”

Credi?

“Cioè, sono sicuro! – disse subito Kise – Era Abe Miku. Ed era anche scritto con caratteri diversi.” Kise elencò ad Akashi i caratteri giapponesi, e sentì che lui stava prendendo furiosamente nota.

“Grazie, Ryouta. Sarai ricompensato.” Akashi riattaccò.

Kise fissò incredulo il cellulare. Sapeva che Akashi riattaccava sempre subito, ma avrebbe almeno potuto dirgli ‘Ciao’ per questa volta. Il biondo si imbronciò; erano tutti così cattivi con lui!

Decise di chiamare Aomine per raccontargli ciò che era appena successo. Si fermò proprio davanti casa e compose il numero.

“Ugh, cosa vuoi, Kise?” chiese una voce roca e assonnata. “Quei marmocchi dell’asilo mi hanno lasciato sette lividi. Ti conviene avere una buona ragione per avere interrotto il mio sonno.”

“Ce l’ho! – disse impazientemente Kise – Sai, ho appena finito di parlare al telefono con Akashicchi della madre di Kurokocchi, e Akashicchi mi ha fatto un mucchio di domande, e si stava davvero segnando il nome che ho visto.. Cioè, sapevi che la madre di Kurokocchi ha due nomi o qualcosa del genere? Come può essere? Comunque, Akashicchi –“ Un ‘tuu-tuu-tuu’ gli riempì le orecchie, e lui sbatté le palpebre. “Eh?” Guardò lo schermo del cellulare e vide la scritta: Aominecchi ha chiuso la chiamata. “Coooosa?” gridò Kise. “Waaahhh, Aominecchi mi ha sbattuto il telefono in faccia!! Perché sono tutti così cattivi?”







NdT: Ciao!
Chiedo scusa per il linguaggio un po’ volgare, ma è proprio così anche nell’originale. Fin’ora mi pare di aver solo usato espressioni come “Cavolo!” o “Dannazione”, ma non ci scandalizziamo per un paio di espressioni un po’ più colorite, vero? Anche se metterle per iscritto mi fa un certo effetto :)
Detto questo ringrazio come sempre tutti, sperando che questo capitolo, in cui capiamo un po’ meglio cosa pensa Ibuki, vi possa piacere.
Alla prossima, Nienor_11


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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10


“Più veloce,” ordinò Akashi e intanto mandò un calcio laterale verso il ragazzo più basso. Kuroko, respirando affannosamente, afferrò la gamba e tirò. Non aveva tirato con molta forza, ma Akashi fu comunque spinto in avanti. Cadde a terra, ma si rialzò subito per affrontare il ragazzo dai capelli azzurri. “Se ci metti solo questa forza non andrà bene. Non mi interessa se non vuoi farmi male, Tetsuya. Ibuki è più alta di te, è più forte. Questo è l’unico modo che hai per difenderti.” Senza dargli il tempo di rispondere, Akashi scagliò un pugno verso lo stomaco di Kuroko. Non era un pugno forte e, nel caso in cui Kuroko non fosse riuscito a fermarlo con le tecniche che aveva imparato, non gli avrebbe fatto troppo male.

Ma Kuroko sapeva cosa fare. Si spostò ruotando, afferrò il suo polso e lo torse. Il polso di Akashi fu forzato in una posizione innaturale e Kuroko continuò a spingerlo finché il rosso non fu costretto a terra. Akashi balzò di nuovo in piedi. “Ben fatto,”disse, poi gli afferrò i polsi. Kuroko spinse una mano verso l’alto e l’altra verso il basso, fece un passo nella direzione della mano che stava spingendo giù e spinse con ancora più forza, finché Akashi non cadde ancora una volta.

Akashi aveva trascorso ore ed ore a mostrargli le diverse situazioni e insegnargli cosa fare. Gli aveva insegnato per lo più tecniche dell’aikido, perché richiedevano meno energia, permettevano di difendersi senza colpire e non facevano male all’avversario, se non si voleva fargliene. I movimenti di Kuroko non erano efficienti come quelli di Akashi, ma erano sufficienti per fare cadere qualcuno e avere tempo per scappare.

“Stai sempre in piedi,” disse Akashi mentre si rialzava. “Se lei ti fa cadere, tu ti rialzi, non importa quanto ti sia fatto male. Sei più forte se stai in piedi, a terra sei vulnerabile.”

Kuroko, ormai stanco, si preparò per l’attacco successivo. Si stavano allenando da quella mattina e Kuroko sentiva che i suoi muscoli erano ormai affaticati. Akashi si mosse come per attaccarlo ma poi all’improvviso gli posò una mano sulla testa. Lui alzò lo sguardo, confuso. Akashi fece una risatina e gli scompigliò i capelli. “Ben fatto,”gli disse. “Abbiamo finito, hai imparato abbastanza.”

Kuroko tirò un sospiro di sollievo ed Akashi dovette sostenerlo quando iniziò a vacillare. “Sei stato bravo,” gli mormorò il rosso vicino all’orecchio. Kuroko arrossì. “Ora puoi andare a farti una doccia. Le tue ferrite dovrebbero essersi rimarginate, ma fai comunque attenzione.”

“Va bene,” rispose esausto Kuroko.

Riuscì in qualche modo a barcollare fino al grande bagno della camera di Akashi; il contatto dei suoi piedi con il pavimento freddo lo colse di sorpresa, così come lo sorpresero le svariate paia di forbici appese ad una parete. “Perché Akashi-kun tiene delle forbici appese al muro?” mormorò.

Facendo attenzione si tolse la maglietta ed iniziò a srotolare le bende che gli fasciavano il busto. Midorima lo aveva fasciato stretto ed aveva usato più strati di bende. Riuscì presto a disfarsene lasciandole cadere per terra in un angolo, se ne sarebbe occupato più tardi. Kuroko ispezionò le sue ferite guardandosi allo specchio. Le sbucciature sulla schiena dovute alla brutta caduta si erano già rimarginate, così come anche il taglio profondo sulla sua gamba destra ed adesso si erano formate delle croste. Invece i lividi che gli ricoprivano le braccia, le gambe e l’area delle costole stavano iniziando a guarire solo ora, alcuni avevano appena iniziato a diventare gialli. Kuroko, osservandosi, fece una smorfia.

“Tsk,” Akashi schioccò la lingua da dietro di lui. Kuroko sussultò e si girò. Il rosso appese all’attaccapanni un paio di jeans, una polo e un paio di boxer rossi. Poi si girò ed osservò Kuroko da più vicino. “Sembra che i lividi siano lenti a guarire,” osservò.

“Si,” disse piano Kuroko.

“Ti facevano male mentre ti stavi allenando con me?”

“No.” Non era una bugia, non aveva notato il dolore se non alla fine, quando il suo corpo era ormai stanco.

Akashi studiò il torso di Kuroko; quest’ultimo trasalì quando una mano fredda sfiorò i lividi sul suo stomaco, ma non per il dolore: era solo un riflesso, un semplice riflesso naturale. Eppure, il fatto che per Kuroko fosse così naturale e così semplice lo rendeva un gesto straziante. Akashi serrò la mascella e si allontanò di un passo. “Non ti farò del male, Tetsuya.”

“Scusami,” bisbigliò Kuroko.

Una mano gli diede un colpetto affettuoso sulla testa. “Su, ora vai a fare la doccia. E fai attenzione.”

“Hai.”

Akashi chiuse la porta del bagno per lasciargli un po’ di privacy. Quella porta non poteva essere chiusa a chiave, quindi sarebbe stato facile entrare su fosse successo qualcosa al suo ospite. Ma se tutto fosse andato bene non sarebbe stato necessario.

“Ora, “ Akashi prese il cellulare, “Torniamo al lavoro.”

Compose un numero e portò il telefono all’orecchio. Risposero: “Ibuki Corporation, come posso esserle utile?”

“Vorrei parlare con il manager,” disse Akashi bruscamente.

“Attenda, prego.” Ci fu una pausa, poi: “Watanabe Ichirou risponderà alla sua chiamata.”

La linea fu passata al manager, “Pronto, qui Watanabe Ichirou.”

“Ichirou, - disse Akashi in tono brusco – Vorrei sapere il nome del proprietario di tutte le filiali.”

“Mi chiami per nome e senza onorifici?” borbottò il manager nel telefono. “Perché dovrei rispondere ad un marmocchio maleducato come te? Puoi trovare la risposta sul sito.”

“Sarebbe più attendibile sentirselo dire da una fonte concreta,“ disse Akashi con tono assente. “Mio padre è Akashi Hayato.”

La voce del manager cambiò all’improvviso, “A-Akashi Ha-Hayato? Sei suo figlio?”

“Si.”

“O-oh! Bene, ehm,” fece una risatina nervosa. Akashi roteò gli occhi per il comportamento dell’uomo. “Il nostro proprietario è Kuroko Ibuki, come si capisce dal nome… Se posso chiedere, perché lo vuoi sapere?”

“Mi interessa,” rispose il rosso. “Fammi lo spelling.”

Il manager lo fece, poi disse: “Guarda, sei stai pensando di rovinare Kuroko-san per qualche motivo, ti consiglio di non farlo. Non importa quanto siano bravi in tribunale i tuoi genitori; niente può fermare Kuroko-san.”


Akashi staccò dal block notes il foglio su cui aveva scritto e lo nascose in un cassetto della cucina. “Le persone comuni possono riprendersi anche quando qualcuno mette in discussione la loro reputazione, Ichirou,” sogghignò Akashi. Il manager rabbrividì. “È più difficile screditare persone influenti come i miei genitori ed il tuo capo, per la loro ricchezza ed il loro potere. Comunque,” prese in mano una lattina vuota che era sul bancone della cucina, “Queste persone nascondono sempre molti segreti. Basta svelarne uno, - schiacciò la lattina – E per loro è la fine.”


Infilandosi  la polo abbastanza larga, Kuroko fece una smorfia. L’acqua calda era riuscita a rilassare e a dar sollievo ai suoi muscoli doloranti, ma aveva anche causato nuovi dolori alla schiena e alle gambe. Per fortuna però nessuna delle ferite si era riaperta. “Ahi,” sussultò piano Kuroko quando sbatté accidentalmente contro il bordo del lavandino. Mi massaggiò gentilmente la zona colpita.

Indossare i jeans fu molto più difficile, ma in qualche modo ci riuscì. Guardò le bende sporche di sangue rimaste per terra e le gettò nel cestino che era lì in bagno. Poi piegò con cura i suoi vestiti e li posò sul bancone del bagno.

Il profumo dello shampoo di Akashi riempiva il bagno, e Kuroko se lo sentiva sui capelli. Quindi Akashi-kun usa questo, pensò Kuroko, ha un buon odore. Scacciò velocemente il pensiero ed arrossì, anche se si notava appena.

Kuroko uscì dal bagno e fu accolto da dell’aria più fresca. Attraversò in silenzio la stanza buia e raggiunse il corridoio e poi il salotto, dove Akashi lo stava aspettando.

“Tetsuya,” lo accolse Akashi, ispezionandolo con gli occhi, in cerca di tracce di sangue e per vedere se zoppicava. “Senti dolore da qualche parte?” Kuroko scosse la testa. “Qualche ferita si è riaperta?” Kuroko negò anche quello. “Vuoi che ti rimetta le bende per precauzione?” Il ragazzo dai capelli azzurri scosse la testa con più energia; odiava la sensazione ‘stritolante’ che le bende gli causavano. “Ti ha fatto male qualcosa–?”

“Akashi-kun!” Protestò Kuroko per la sfilza di domande.

 Akashi inarcò un sopracciglio, poi contrasse le labbra. “Va bene,”sospirò. “Hai fame? Non ho preparato niente, ma c’è dal ramen avanzato da ieri.”

“Si, – disse Kuroko – Grazie.”

Il rosso andò in cucina e tornò con una scodella di ramen bollente. La posò di fronte a Kuroko. “Mangia tutto.”

“Lo so,” mormorò Kuroko.

Akashi lo osservò, ma rimase in silenzio a guardarlo mangiare. Studiò la sua fragile corporatura. Negli ultimi giorni era riuscito a metter su un chiletto o due, grazie alle porzioni abbondanti che era stato costretto a mangiare. Sembrava anche che il dolore fosse sparito quasi del tutto e l’espressione sconfitta era scomparsa dai suoi occhi.

“Tuo padre passerà a prenderti in mattinata,” annunciò Akashi.

A Kuroko passò subito l’appetito. “H-hai,”disse, ma non voleva tornare a casa. Tornare significava incontrare sua madre. Incontrare sua madre voleva dire doverla affrontare apertamente, ed era sicuro che lei non avesse dimenticato di essere stata ‘sfidata’ in diverse occasioni. Le sue ‘lezioni’… erano così dolorose; lasciavano il segno, erano… memorabili. Deglutì a fatica. La faccia di sua madre era sempre distorta in un’espressione di disgusto; gli insulti che gli urlava erano sempre veri.

Akashi vide che Kuroko si stava agitando sempre di più. Si spostò dal divano e si mise sul pavimento, dove Kuroko era seduto. Lo prese tra le sue braccia e lo strinse forte. In risposta, Kuroko si aggrappò alla sua maglietta; stava tremando. Akashi cercò di calmare il suo pianto, accarezzandogli i capelli ancora umidi per la doccia con la mano libera, l’altra lo teneva stretto intorno alla vita.

“Non ti farà di nuovo così tanto male,” gli mormorò Akashi vicino ad un orecchio. Kuroko sentì che gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma cercò di non versarle. Aveva già pianto fin troppo. “Ora sai come difenderti, e sai che io arriverò a qualsiasi ora, se avrai bisogno di me.” Prese il mento di Kuroko con tenerezza e lo sollevò, per guardarlo negli occhi. “Non pensare neppure per un attimo di isolarti da noi. Non provare a nasconderci il tuo dolore. Shintaro e Daiki sono quelli che abitano più vicino a te, ma siamo tutti qui. Non mi interessa niente di quella donna che osa far del male a ciò che è mio, ma farò in modo che tu rimanga permanentemente al sicuro.” Kuroko non pianse, ma poteva ancora sentire l’angoscia nel suo petto. Si lasciò andare contro il corpo di Akashi, tremando violentemente per i terribili ricordi che sua madre gli aveva impresso nella mente. In quei giorni, dopo il ritorno di sua madre, Kuroko non riusciva a controllare le sue emozioni. Per quanto ci provasse, la paura finiva sempre per pervaderlo. Sentì che Akashi lo stingeva in un altro abbraccio.

“Mi assicurerò che lei paghi, Tetsuya,” gli disse Akashi. “Ti tirerò fuori da quella casa ed aiuterò tuo padre ad ottenere il tuo affidamento.”

“No, Akashi-kun,” disse Kuroko contro la sua maglietta. “Lei ti farà male. C-conosce i tuoi genitori.”

“Davvero?” Gli passò una mano tra i capelli. “Dubiti di me?” Kuroko non rispose. “Non preoccuparti, Tetsuya, ti libererò.”

Kuroko circondò con le braccia la schiena di Akashi, in risposta Akashi lo strinse più forte. “Non fare niente di avventato per me, Akashi-kun.”


“Hm.” Il rosso gli posò un semplice bacio sulla spalla. Rimasero così in silenzio, dimenticandosi del ramen. Kuroko era seduto sulle gambe di Akashi e le sue braccia erano strette intorno al petto dell’ex capitano. Akashi ricambiava l’abbraccio e, di tanto in tanto, sentiva una piccola preghiera provenire da Kuroko. Il ragazzo non stava pregando per se stesso, ma per Akashi.


Kagami sospirò e si lasciò cadere sul letto. Rimbalzò leggermente, poi rimase lì, fermo. Guardò il soffitto basso.  Che quel ragazzino subiva abusi. Abusi. Quella parola spiccava più di tutte le altre che Haizaki aveva detto. Kuroko subiva abusi? Fisici e psicologici?

Mi ricordo che il ragazzino di tanto in tanto veniva agli allenamenti con una nuova ferita, aveva detto Haizaki, Ma aveva sempre qualche scusa, sapete, no? Tipo il bullismo, o un litigio, o una caduta, cazzate del genere. Ma a me non importava, quindi non so tutti i dettagli.

Il modo in cui l’aveva detto aveva fatto arrabbiare Kagami. Non gli importava che un compagno di squadra potesse subire abusi? E, cosa più importante, come aveva fatto a non accorgersene? Si, c’erano state volte in cui Kuroko aveva misteriosamente saltato gli allenamenti, ma era stato sempre per qualche motivo plausibile. In effetti era stato così credibile che nessuno aveva fatto domande; eppure avrebbero dovuto.

“Dannazione,” si lamentò l’asso dei Seirin girandosi.  La sua faccia era appoggiata sulle coperte. “Kuroko, qualsiasi cosa tu stia nascondendo, giuro che la scoprirò.” Si girò di nuovo, “Ma per prima cosa devo scoprire chi è questa Kuroko Ibuki.”

Cercò a tentoni la tasca dei jeans e tirò fuori il cellulare. Inoltrò una chiamata rapida premendo il 2.

“Pronto?”

“Papà,” rispose Kagami. I suoi genitori erano in America e le chiamate intercontinentali erano piuttosto care, ma i suoi se lo potevano permettere.

“Taiga.” Capì che suo padre era sorpreso. “Non mi chiami spesso. Che succede?”

“Il tuo lavoro ha dei legami con delle aziende in Giappone, vero?”

Suo padre fece una pausa prima di rispondere, “Si, perché?”

“Potresti fare una ricerca e vedere se trovi informazioni su una donna di nome Kuroko Ibuki?”







NdT: Salve!
Ahimè (!!), sono in piena sessione estiva all’università, quindi potrei non riuscire ad aggiornare regolarmente, ma cercherò di fare il possibile!
Poi chiedo scusa se ci sono imprecisioni o frasi un po’ poco chiare all’inizio del capitolo, durante la lezione di aikido, ma ho cercato di renderle al meglio, e purtroppo non so niente di arti marziali.
Come sempre grazie a tutti i lettori :)
Nienor_11


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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11


“Hai preso tutto?”

Akashi entrò nel salotto portando una piccola borsa piena di oggetti per ogni evenienza. Indossava una camicia rossa dalle maniche lunghe con il colletto piegato ed abbottonato e dei jeans blu scuro. Una cravatta lasciata allentata gli pendeva intorno al collo, l’avrebbe sistemata più tardi. I suoi capelli rossi e corti erano pettinati con cura. Portava all’anulare della mano destra un anello d’oro mai visto prima.

“Hai.” Kuroko si allacciò le scarpe da basket prima di raddrizzarsi davanti al rosso. Indossava gli stessi vestiti che aveva il giorno che era scappato da sua madre, ma li avevano lavati, ricuciti e puliti. In più però portava una sciarpa nera che gli aveva dato Akashi. “Oh, Akashi-kun, vai da qualche parte? Sei vestito in modo elegante.” Commentò così la scelta di vestiti di Akashi.

“Si, ma solo dopo che tu sarai partito.” Akashi passò la borsa a Kuroko, che la guardò curioso. “Tuo padre mi ha detto che ha quasi finito le scorte di kit di pronto soccorso; non può comprarne altri senza attirare l’attenzione. Tieni sempre questa borsa in camera tua, nascondila da Ibuki.”

“Si,”disse obbediente Kuroko. Si mise la borsa in spalla e fece una smorfia per il dolore causato dal movimento.

Bussarono forte; i due si girarono contemporaneamente. “Dovrebbe essere tuo padre,” mormorò Akashi avvicinandosi alla porta. La aprì di scatto. Ed infatti, Kuroko Haru stava ansiosamente sulla soglia, con le sopracciglia aggrottate. “Tetsuya!” gridò e si precipitò in casa per abbracciare suo figlio, senza curarsi di salutare Akashi. “Grazie al cielo! Stai bene? Hai mangiato?” Haru abbracciò forte Kuroko, accarezzandogli la testa e massaggiandogli la schiena allo stesso tempo.

“Ah, otou-san,” disse Kuroko. Le sua braccia pallide ricambiarono gentilmente l’abbraccio del padre. “Sto bene e si, ho mangiato.”

“Sei sicuro?” Haru face passare le mani sul suo viso, sulle spalle, il petto e la schiena. Quando arrivò allo stomaco Kuroko sussultò. “Ti fa male, vero? È per le ossa? Lividi? Tagli? La testa sta bene? Puoi camminare, vero? Devi ribendare qualcosa?”

Akashi gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. “Sta bene, Haru-san. Per favore, gli lasci un po’ di respiro.”

Haru alzò lo sguardo sul rosso e sbatté le palpebre. “Akashi-kun,” disse. Si ricompose e si girò verso il ragazzo. “Ah…” serrò le labbra e sorprese i due giocatori facendo un inchino profondo ad Akashi. “Grazie mille per esserti preso cura di Tetsuya!” disse, rivolto verso il pavimento. “Mi dispiace averti causato questo problema.”

Akashi inclinò la testa, divertito. “Haru-san, non dovrebbe inchinarsi così a delle persone più giovani di lei.”

Haru rialzò la testa e mise una mano sulla spalla di Kuroko. “No, devo mostrarti la mia riconoscenza. Senza di te io, io…” l’uomo fece un respiro profondo e tremante. “Non so davvero cosa sarebbe successo a Tetsuya.”

Akashi studiò il padre di Kuroko. Capiva benissimo come si sentiva, per cui annuì leggermente ai ringraziamenti. “Capisco da chi ha preso Tetsuya per i suoi modi fin troppo educati,”disse, alzando un sopracciglio verso Kuroko. L’altro ragazzo abbassò lo sguardo. “Non è stato un problema. Tetsuya è guarito bene nel periodo che ha trascorso qui.” Akashi fissò lo sguardo sulle costole di Kuroko, dove restavano ancora alcuni lividi. “Confido che per qualche giorno sia al sicuro?”

Haru esitò. “Si, farò del mio meglio per tenerlo lontano dalla rabbia di Ibuki.”

“Hm.” Akashi si avvicinò a Kuroko e gli posò le mani sulle spalle magre. “Hai il numero di Daiki e di Shintaro,” disse. “La prossima volta che mi chiamerai probabilmente sarò a Kyoto. Se hai bisogno dell’aiuto di qualcuno di noi, chiama prima loro.” Guardò Kuroko nei suoi occhi inespressivi, “Capito?”

“Si,”rispose piano Kuroko.

Haru osservò questo scambio di battute con curiosità, e si chiese quale fosse la vera relazione tra suo figlio ed Akashi. “Dovremmo andare ora,” annunciò Haru. Si rivolse a suo figlio,”E’ tutto pronto?”

“Hai,” Kuroko si aggiustò lo zaino sulle spalle e guardò suo padre.

“Bene,” Haru gli diede un colpetto affettuoso sulla testa ed un bacio veloce sulla tempia. Accompagnò Kuroko alla porta e si girò per ringraziare ancora Akashi.

Akashi lo fermò prima che potesse inchinarsi ancora. “Haru-san, sappia che farò di tutto per fare uscire Tetsuya da quella casa. Capisco il suo problema per l’affidamento, ma quella è l’ultima delle mie preoccupazioni. Tetsuya non starà lì ancora per molto, che lei ottenga l’affidamento o no. Spero che ne sia consapevole.”

Haru era senza parole. Kuroko si inchinò educatamente davanti al rosso. “Grazie, Akashi-kun.”

La risposta fu un semplice: “Hm.”

Kuroko si mosse verso il familiare furgoncino blu e, con attenzione, salì sul sedile del passeggero. Si tolse lo zaino e lo posò davanti a sé. Haru entrò dalla parte dell’autista e chiuse le porte. Mise subito in moto, uscì dal parcheggio e si avviò per  la strada.

Per i primi minuti il viaggio fu strano. Kuroko, una persona silenziosa per natura, non parlò; per lui limitarsi a guardare fuori dal finestrino andava bene. Haru invece voleva parlare a suo figlio, ma non sapeva come. Strinse il volante nervosamente, non era mai stato bravo ad iniziare una conversazione.

“Ehm…”

“Sai…”

Avevano iniziato a parlare nello stesso momento. Kuroko si fermò ed Haru fece una risatina. “Puoi iniziare tu, otou-san,” disse suo figlio.

Lui fece un sospiro profondo. C’erano un mucchio di domande che voleva fargli, ma non trovava le parole. “Come… Come vanno le tue ferite? Stanno guarendo bene?” Haru si schiarì la gola ed abbassò la voce, “Ho sentito che ti ha fatto cadere dal secondo piano.”

“Sto bene,” disse Kuroko, determinato a non far riemergere i brutti ricordi. Si massaggiò piano le costole. “I lividi hanno appena iniziato a guarire. Midorima-kun ha detto che non ci sono ossa rotte.”

“Capisco,” Haru fece una pausa. “Tetsuya, sai come difenderti? Io ti ho lasciato in camera tua dicendoti di reagire, ma non ho mai pensato che tu non sapessi come fare.” La macchina si fermò per un semaforo rosso. Il padre di Kuroko ne approfittò per appoggiare la fronte contro il volante. “Mi dispiace così tanto, Tetsuya,”bisbigliò. “Avrei dovuto sapere che Ibuki sarebbe tornata prima di me, e avrei dovuto sapere che sarebbe entrata in camera tua. Sono stato stupido ed egoista a lasciarti quando ancora dovevi guarire. Ho sbagliato e mi dispiace.” Le ultime parole uscirono spezzate e delle lacrime caddero dagli occhi dell’uomo.  Le sue nocche erano diventare bianche perché stringeva il volante con troppa foga.

“Per favore basta, otou-san,” disse flebilmente Kuroko. “Non è stata colpa tua.” Non ricevette risposta, quindi aggiunse: “Akashi-kun mi ha insegnato l’aikido. So come difendermi.”

Il semaforo tornò verde, ed Haru dovette sollevare la testa e riprendere a guidare. Ascoltò comunque quel che Kuroko aveva detto. “Akashi-kun? Ti ha insegnato l’aikido?” Nella sua mente si formò l’immagine di un rosso severo che faceva da istruttore al suo figlio mingherlino, e si mise a ridere. Kuroko non capiva cosa ci fosse di così divertente. “Sembra che Akashi-kun tenga molto a te,” commentò Haru quando ebbe finito di ridere.

“Si,” disse Kuroko guardandosi le mani. “Ma non solo Akashi-kun. Tutti i giocatori della prima squadra delle medie.”

“Il Teiko, giusto?” chiese Haru.

Kuroko annuì. “Midorima-kun, Murasakibara-kun, Aomine-kun, Kise-kun… Ci sono tutti,” disse piano. “Ci sono stati fin dalle medie.”

“Sanno… di Ibuki?”

“Si,” rispose. “Sanno di okaa-san, eppure cercano di aiutarmi. Cercano di proteggermi.” Kuroko iniziò a tremare, il suo corpo fremeva per le sue parole. “Mi fa sentire debole. Akashi-kun sta facendo cose avventate per il mio bene, anche se potrebbe farsi male. Vorrei poter fare qualcosa, ma non ci riesco.” Si portò una mano sulla faccia, tremando.

Haru parcheggiò lentamente di fronte alla loro casa, quindi sfilò le chiavi. Ora che il ronzio del motore era cessato, il silenzio tra loro si era fatto pesante. Kuroko non voleva muoversi, voleva restare in macchina fino a che qualcuno gli avesse detto che non sarebbe dovuto tornare in quella casa.

Una mano si posò sulla sua tesa. Kuroko guardò suo padre, che lo fissava con espressione gentile negli occhi. “Sono sicuro che non vogliono che tu faccia qualcosa,” mormorò Haru. “Sono contento che tu abbia degli amici che ti possono aiutare.” L’uomo sospirò e posò un bacio veloce sulla sua fronte. “Dobbiamo entrare. Ibuki è in casa, ma tu andrai immediatamente in camera tua, capito?”

“Hai.” Kuroko prese il suo zaino e se lo mise in spalla.

Haru annuì, uscì dalla macchina e fece il giro per aprire la portiera a suo figlio. Kuroko uscì, facendo attenzione. La paura stava cercando di impossessarsi del suo cervello, ma Kuroko rimase fermo. Non voleva avere un altro attacco di panico. Sua madre si nutriva della paura degli altri, e Kuroko si rifiutò di darle questa soddisfazione.

I due camminarono in silenzio verso la porta. Haru si fermò appena prima di infilare le chiavi e fece un respiro profondo. “Uno, due, tre,” bisbigliò ed aprì la porta. Kuroko mantenne il suo viso inespressivo.

“Veloce, entra,” bisbigliò Haru spingendolo dentro. Kuroko entrò e si tolse velocemente le scarpe per poter correre, se ce ne fosse stato bisogno. Sentiva che presto avrebbe dovuto farlo.

“Hm? Haru sei a casa?”

La voce gelò Kuroko. La sua decisione vacillò, ma continuò a non mostrare emozioni e a mantenere i pensieri sotto controllo. Serrò i pugni per nascondere il tremore delle mani. Haru si chinò per bisbigliargli, “Stai pronto ad andare in camera tua.”

“Haru?” Ibuki uscì dalla cucina e spuntò in corridoio. I suoi occhi si spostarono da Haru a Kuroko. Le sue labbra si allargarono in un sorriso folle. “Tetsu-kun,” disse facendo le fusa. “Bentornato,” fece un passo in avanti, con uno scintillio negli occhi. Teneva in mano un coltello che stava usando prima in cucina. “Sei venuto per chiedermi scusa?”

Kuroko deglutì, ma i suoi occhi non mostrarono emozioni. Disse, con voce monotona, “Sono a casa, okaa-san.”

Ibuki, innervosita perché non poteva leggere l’espressione di Kuroko, piegò le labbra in un ringhio. “Osi dire che questa è casa tua dopo essermi sfuggito per così tante volte?” avanzò di un altro passo verso Kuroko. “Vieni qui, Tetsuya.”

Kuroko non riusciva a muoversi. “Tetsuya, vai in camera tua,” ordinò Haru.

Non riusciva a muoversi.

“Tetsu-kun, vieni qui,” comandò Ibuki.

Non riusciva a muoversi.

“Vai, Tetsuya!” alzò la voce suo padre.

Non riusciva a muoversi.

“Vieni qui!” strillò Ibuki. Quando capì che il ragazzo non si sarebbe mosso, iniziò ad avanzare verso di lui; il coltello rifletteva la luce del corridoio.

Vai!” urlò Haru. Avanzò per fermare sua moglie. Le sue mani afferrarono la spalla di Ibuki da dietro, facendo attenzione al coltello. Disgustato, la strattonò così che il suo corpo fu al sicuro vicino a lui. “Lascia andare il coltello, Ibuki,” sibilò. “Lascia il coltello.”

Lasciami andare!”urlò Ibuki, lottando contro la sua presa. Il coltello si muoveva pericoloso nelle sue mani, e la punta tagliò il braccio di Haru. Strappò la camicia e gli lasciò un taglio profondo. Lui strinse i denti per il dolore.  “Lasciami andare, Haru! Devo raddrizzare quel bambino disgraziato! Dammelo! Deve essere rotto, con il dolore; deve piangere! Non vedi la sua faccia? Mi sta prendendo in giro! Mi prende in giro con quegli occhi! Lasciami andare!”

Le sue urla si fecero più forti. La voce terribile di Ibuki riecheggiava nel corridoio e rimbalzava nelle orecchie di Kuroko. Kuroko fissava immobile la scena, guardava il sangue che usciva dal braccio di suo padre. Lui aveva causato questo. Aveva causato il dolore di suo padre.

“Tetsuya, vai!” urlò Haru.

“Non ascoltarlo, Tetsu!” ringhiò Ibuki. “Vieni qui, subito! Ti insegnerò qual è il tuo posto; imparerai a non sfidarmi! Giuro che ti romperò quella faccia che mi deride. Te la romperò!”

“Per favore, vai,” lo implorò suo padre. Kuroko provò a muoversi. Allora Haru abbassò la voce, assicurandosi però che suo figlio potesse ancora sentirlo. “Tetsuya, disobbediresti a me, tuo padre?”

Quelle parole riuscirono a risvegliare Kuroko dalla sua trance. Se c’era una cosa che odiava fare, era disobbedire a suo padre, l’unico che era stato dalla sua parte fin dall’inizio. Iniziò a muoversi, sempre più veloce ad ogni passo. Ibuki gli urlò di andare da lei, e lo insultò con parole umilianti, ma lui continuò a muoversi, evitando di guardare la piccola pozza di sangue quando passò vicino a suo padre. Corse su per le scale fino in camera sua, sbattendo la porta dietro di lui. Non si sentiva ancora sicuro, quindi la chiuse a chiave e spostò due sedie pesanti mettendole sotto il pomello, barricando così la porta.

“Dannazione, lasciami andare, Haru! È un figlio umiliante! Mi prende in giro! Deve essere rimesso al suo posto; deve essere rotto! Lo odio! È così arrogante, così inutile! Lasciami andare, lascia che gli insegni cosa succede  quando mi sfida! Lasciami andare, Haru!” Le urla folli di Ibuki raggiunsero la porta di Kuroko.

Kuroko sbatté la schiena contro il muro, ignorando il dolore che questo gli causò in tutto il corpo, e lentamente scivolò a terra. Non pianse, non si lasciò sfuggire nemmeno un suono. Guardò solo inespressivo fuori dalla finestra, l’immagine del sangue fissa nella sua mente, le parole di sua madre che gli riecheggiavano ancora nelle orecchie. Strinse forte i pugni.

Okaa-san, cos’ho fatto di sbagliato per meritare il tuo odio?


“Olio?” Kagami si grattò la testa e ricontrollò la ricetta. “Ho sentito dire che non fa bene alla salute. Userò dell’acqua.” Riempì la padella con un po’ d’acqua dal lavandino. “E poi… aggiungere le verdure.” Rimise la padella sul fornello, prese le verdure che aveva appena tagliato e le mise a cuocere, iniziarono subito a sfrigolare. “Disporre le verdure per bene nella padella,” lesse ad alta voce. Queste fecero ancora più rumore quando le mosse usando le bacchette.

All’improvviso Kagami sentì una vibrazione nella tasca posteriore. Continuò a tenere le bacchette con la mano sinistra e con l’altra prese il cellulare e rispose: “Pronto?”

“Taiga.”

“Oh, papà,” Kagami inarcò una delle sue strane sopracciglia. “Non dirmi che hai già trovato delle informazioni.”

Suo padre rispose sarcastico, “Si, in effetti ce le ho. Mi stai sottovalutando?”

“Difficile non farlo, vecchio mio,” borbottò l’asso del Seirin. Continuò a leggere le istruzioni ed aggiunse altri ingredienti per la sua ricetta.

“Da quant’è che sei così impertinente?” sospirò il padre. “Comunque si, ho delle informazioni su quella donna, Kuroko Ibuki. Al momento ha 36 anni; è alta 168 centimetri per 60 chili circa. Ha frequentato l’Università di Tokyo, dove si è laureata in economia e commercio con il massimo dei voti, era la prima del suo corso. Ha vissuto in America, ma pare che ora viva in Giappone. È proprietaria di tre delle maggiori società giapponesi, l’Ibuki Corporation, l’Atari e la Rasa Corps. Kuroko Ibuki è una delle persone più influenti del paese.” Il padre di Kagami esitò, “Ma c’è qualcosa che mi sembra strano.”

Kagami, che aveva spento il gas e stava prendendo nota delle informazioni che suo padre aveva trovato, si fermò e chiese, “Che cosa?”

“Beh, innanzitutto non riesco a trovare nessuno dei suoi documenti di trasferimento.”

“Documenti di trasferimento?”

“Dal momento che è nata in America e ci ha vissuto per un certo periodo, dovrebbero esserci dei file di immigrazione che mostrano la sua residenza legale in Giappone. Di solito riesco a trovarli nel sistema senza problemi, anche perché è proprietaria di una delle nostre affiliate qui, ma non ce ne sono.” Kagami scrisse velocemente anche questo. “Inoltre ho chiamato tutte le compagnie di cui è proprietaria ed ho scoperto… qualcosa di strano.”

Il rosso si accigliò ed andò a sedersi, portando con sé penna e blocco per gli appunti. “Cosa intendi con qualcosa di strano?”

“Strano come tre identità,” disse suo padre. “Ho chiamato l’Ibuki Corporation e mi hanno detto che il proprietario è Kuroko Ibuki. Ma quando ho chiamato l’Atari, il nome del proprietario è diventato Suzuki Akihiko… Il proprietario della Rasa Corps è Abe Miku.”

“Tre nomi diversi ma un solo proprietario?” chiese Kagami incredulo.

“E sembra che le tre aziende non lo sappiano. Ognuna sostiene che Suzuki Akihiko o Abe Miku siano il proprietario di tutte e tre le imprese. Ho fatto delle ricerche su entrambi i nomi, e le informazioni che ho trovato sono completamente diverse da quelle di Kuroko Ibuki.”

“E due di questi sono anche nomi maschili,” mormorò Kagami continuando a scrivere.

Suo padre sospirò nel telefono. “Ora che te l’ho detto, ti dispiacerebbe dirmi perché questa donna ti interessa così tanto?”

Il campione posò la penna e si appoggiò allo schienale della sedia, allungando le gambe con un lamento. Fece un respiro profondo e si rilassò, “Kuroko Ibuki è la madre di un mio compagno di squadra.”

“Della tua squadra di basket?”

“Si,” Kagami si fermò e fece una pausa, poi: “Credo che stia abusando di lui.”

Suo padre restò a lungo in silenzio, poi rispose, “… Capisco. Allora farò tutto il possibile per scoprire di più su di lei.”

“Grazie, papà.”

“Cambiando discorso, hai preso in considerazione–“


“No, non mi trasferirò in America. Ciao, papà.” Riattaccò.


“Siamo arrivati a Kyoto. Le porte si stanno aprendo, per favore fate attenzione.”

Le poche persone che erano nello stesso vagone di Akashi si alzarono e si prepararono a scendere dal treno. Il rosso fece lo stesso, aggiustandosi la cravatta intorno al collo e l’orologio costoso al polso. Non appena le porte si furono aperte uscì dal treno e fu subito accolto dal freddo clima di Kyoto.

Akashi passeggiò per le strade di Kyoto: non erano troppo trafficate perché non era l’ora di punta, ma lo erano abbastanza da dover evitare dei bambini disobbedienti che avevano deciso di scappare dai genitori. Alcuni proprietari di negozi che conosceva lo salutarono educati mentre passava. Lui rispondeva solo con dei cenni.

 Akashi camminava perché non voleva prendere un taxi sporco e correre il rischio di rovinarsi i vestiti. La sua destinazione era piuttosto distante dalla stazione, ma non gli importava, era abituato a fare lunghe passeggiate anche su strade collinari. Se qualcuno, soprattutto un giocatore di basket, non aveva le gambe abbastanza resistenti per camminare tanto a lungo, allora era davvero debole.

Ovviamente, Kuroko era un’eccezione.

Raggiunse finalmente la sua meta. Era la casa più grande della città, quindi era difficile non vederla. C’era un piccolo cancello per bloccare gli intrusi ed un citofono. Akashi suonò ed aspettò che rispondessero.

“Residenza Akashi,” disse una voce familiare.

“Sono io,” rispose Akashi.

Ci fu una lunga pausa. “Seijuro… Aspetta che apro il cancello.”

Un secondo dopo il cancello si aprì automaticamente. Akashi entrò subito, dirigendosi verso l’ingresso principale della grande casa. La porta si aprì prima che la raggiungesse, e sulla soglia c’era un uomo alto dai capelli rossi. Proprio come quelli di Akashi, i capelli dell’uomo erano di un rosso acceso e molto corti. Emanava la stessa aura di autorità del ragazzo, e la sua faccia metteva una certa paura. Ma a differenza di Akashi l’uomo era alto, ed i suoi occhi non erano uno rosso e l’altro giallo, ma in entrambi erano presenti i due colori; erano quasi arancioni.

“Seijuro, non mi aspettavo una tua visita,” disse l’uomo.

“Mi dispiace, padre,” Akashi avanzò di qualche passo sul portico ed entrò quando suo padre si fece da parte per lasciargli spazio. “So che questa visita è improvvisa.”

“Infatti, lo è,” Akashi Hayato chiuse a chiave la grande porta. Fece schioccare le dita e subito apparve una cameriera che si chinò profondamente davanti a lui e a suo figlio. Poi aiutò Akashi a togliersi la giacca, lasciandolo solo con la camicia rossa elegante. Hayato guardò con approvazione i vestiti di suo figlio. “Cosa ti porta qui?”

Akashi si allentò la cravatta. “Avrei bisogno di un’ora del tuo tempo, se possibile.” Fece vagare lo sguardo per la casa della sua infanzia. “Dov’è mia madre?”

“È tornata al lavoro per controllare alcuni dettagli per un caso,” Hayato controllò l’orologio e sospirò. Quel giorno era molto occupato, ma era raro che suo figlio passasse a trovarli per parlare un po’, soprattutto da quando gli aveva comprato un appartamento tutto per lui lì vicino. Doveva esserci un motivo importante per la sua visita. “Posso dedicarti un paio d’ore. Va bene se andiamo in soggiorno?”

Akashi annuì, “Grazie.”

“Aiko,” chiamò suo padre. “Per favore porta in soggiorno due tazze di the e qualche dolcetto.”

“Hai, Akashi-san,” la cameriera si chinò e si affrettò a fare il proprio lavoro.

Padre e figlio entrarono nell’ampio soggiorno, dove li attendevano comodi divani, poltrone ed un piccolo tavolo rotondo. Akashi sedette su una grande poltrona, mantenendo una postura formale: schiena eretta, gambe incrociate una sull’altra e mani appoggiate entrambe su un ginocchio. Hayato stava seduto in modo più rilassato, su un divano di pelle di fronte a suo figlio. Teneva una mano appoggiata al bordo del divano e l’altra in grembo. Dovette sforzarsi di non alzare gli occhi al cielo per l’eccessiva formalità di suo figlio.

“Il suo the, Akashi-san,” disse Aiko entrando con un vassoio di tazze fumanti. Lo posò al centro del tavolo, con un altro vassoio su cui c’erano dei crackers di riso alla soia. “Ha bisogno di qualcos’altro?”

“No grazie.”

Aiko uscì dalla stanza.

“Allora, di cosa hai bisogno di parlare, Seijuro?” Hayato prese un cracker e la sua tazza di the, sorseggiandola lentamente.

Akashi fece lo stesso, ma iniziò mangiando un pezzo di cracker. “Padre, conosci una donna chiamata Kuroko Ibuki?”

Hayato non mostrò nessun segno di sorpresa quando sentì quel nome. Continuò a bere con calma il suo the e posò la tazza. “Certo, Kuroko Ibuki, 36 anni, laureata con il massimo dei voti all’Università di Tokyo, proprietaria di tre grandi società, e, stranamente, rivendica due identità,” elencò suo padre. Hayato era uno dei migliori avvocati e conosceva bene questo genere di persone. “Perché ti interessa, Seijuro?”

Akashi inarcò un sopracciglio. “Quindi la conosci, e sai anche delle sue multiple identità. Ma a dire il vero, sono tre.” Prese da una tasca un foglio piegato e lo passò a suo padre. “Questi sono i nomi che ho scoperto chiamando tutte e tre le società. Loro non sanno nulla delle altre identità; dati il suo potere e la sua influenza solo poche persone ne sono a conoscenza.”

“Tre?” Hayato, come suo figlio, alzò un sopracciglio mentre apriva il foglio piegato. Lesse i nomi ad alta voce: “Kuroko Ibuki, Suzuki Akihiko e… Abe Miku.” L’uomo serrò le labbra e guardò il foglio con sospetto. “Questo è… strano. Perché lei ti interessa così tanto? Ti ha fatto qualcosa?”

“In effetti, si.” Akashi prese un altro cracker e lo mangiò lentamente.

Suo padre aggrottò le sopracciglia. “Ti ha fatto del male?” volle sapere. “Ti ha minacciato? Insultato? Toccato?”

Akashi scosse la testa. Come se qualcuno potesse toccare lui. “No, padre… È la madre e la persona che abusa di Kuroko Tetsuya.”

“Kuroko Tets – quello che conosci dalle medie?”

“Si.”

“Abusa di lui?”

“Si.”

Il lato paterno di Hayato si spense e quello di avvocato entrò in azione. Chiese: “E quali prova hai, Seijuro?”

Akashi, conoscendo suo padre ed aspettandosi una domanda simile, rispose subito, “Il padre di Tetsuya è pronto a sporgere denuncia. Ho anche molti testimoni e sono sicuro che anche Tetsuya, la vittima, sarebbe pronto a denunciarla.”

“…Cosa vuoi che faccia Seijuro?

Lui, che stava aspettando questo invito, si sporse in avanti e disse: “Voglio che usi il tuo potere e trovi tutto quello che puoi su queste tre identità. Trova tutte le prove di cui abbiamo bisogno per perseguirla in tribunale. So che è molto influente, ma ha un grande segreto che sto cercando di scoprire; questa potrebbe essere la sua fine.” Akashi tornò ad appoggiarsi allo schienale e sospirò. “Ma per ora non ho ancora abbastanza connessioni per trovarlo. Mi serve il tuo aiuto, padre.”

Hayato esitò. Anche lui sapeva del potere di Ibuki, ed attaccare lei poteva essere la fine della sua carriera di avvocato. Ma, dal momento che suo figlio aveva messo da parte l’orgoglio ed era venuto lì per chiedergli aiuto, questo suo amico Tetsuya doveva essere importante.

Inoltre sua moglie si occupava del diritto di famiglia, e non avrebbe permesso che una persona che abusava di un bambino se ne andasse liberamente in giro. Hayato sapeva di non avere scelta.

I due passarono l’ora successiva discutendo vari piani per Ibuki. Akashi, avendo passato molti anni con suo padre, capiva i termini giuridici che lui usava e fu anche in grado di formulare dei piani da sé, tenendo conto dei suoi contatti e di quelli che avrebbe chiamato.  Hayato fece una lista di nomi e numeri telefonici di persone che avrebbero potuto aiutarli e che non erano sotto l’influenza di Ibuki. Hayato, l’unica persona che Akashi non riusciva a battere a shogi, l’uomo che lo aveva cresciuto per farlo diventare un leader subdolo e potente, sorrise quasi in modo sadico al piano quasi perfetto che stavano escogitando. Akashi, quello che tutti ascoltavano, quello abbastanza abile da sconfiggere un adulto medio sia dal punto di vista fisico che mentale, aveva uno scintillio negli occhi e poteva già vedere l’immagine di Kuroko Ibuki costretta a cadere in ginocchio.

Un’ora passò velocemente, ed il loro piano d’azione fu stabilito. Akashi si alzò e si sgranchì i muscoli. “Grazie per avermi dedicato il tuo tempo,” disse formalmente. “Contatterò queste persone al più presto per avere informazioni.”

“Hm,” anche Hayato si alzò per sgranchirsi. “A proposito, Seijuro, ti sei trovato una bella fidanzata?”

Akashi lo guardò male. “No, padre, non l’ho fatto e non lo farò.”

“Vorrò dei nipoti quando sarò più vecchio, Seijuro. E non voglio che mio figlio in futuro porti avanti i miei affari solo e senza una moglie.”

“Frequentare donne non rientra nei miei interessi in questo momento,” rispose indifferente. “Inoltre… ho già qualcuno di caro al mio fianco.”

Hayato guardò suo figlio con interesse, “Ah si? Chi è?”

Akashi non rispose.

Suo padre fece un sorrisetto, “E’ quel tuo Tetsuya?”

Di nuovo, Akashi non rispose.







NdT: Lo so, sono in ritardo, scusate >.<
Ma questo è un capitolo bello lungo, no? Quello che sto traducendo adesso è di ben 24 pagine di word O_o
Cooomunque, il povero Kuroko ha dovuto tornare a casa e separarsi da Akashi. Ed il rientro non è stato dei migliori…
Kagami si cimenta in cucina e, cosa importante, entra in scena il papà di Akashi! Che piano avranno mai escogitato insieme padre e figlio?
Grazie come sempre a lettori e recensori, che fanno la mia felicità!
Nienor_11

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

“Sono in ritardo!” annunciò Hyuuga. “Perché cavolo sono in ritardo?”

“Chissà?”mormorò Teppei, avanzando sul campo per fare un lay-up. “Dobbiamo solo riscaldarci ed aspettarli.”

Kagami raccolse una palla, saltò dalla linea dei tiri liberi e schiacciò con rabbia nel canestro. Questo scricchiolò e protestò sotto il suo peso e la sua forza. “Hei Kagami, ricordi cosa abbiamo detto?” Hyuuga lo guardò storto, “Risparmia le energie per la partita.”

“Non l’hai notato?” mosse la mano indicando la palestra. “Kuroko non c’è!”

La squadra del Seirin smise di fare esercizi di riscaldamento e si guardò intorno alla ricerca del giocatore dai capelli azzurri. Si assicurarono di controllare in ogni angolo , ed anche dietro di loro, perché era difficile vedere Kuroko anche quando c’era. “Hai ragione,” disse Koganei, “…Non c’è!”

Mitobe, sempre silenzioso, annuì.

“Cosa?” Tsuchida si grattò la testa. “Ha saltato tutti gli allenamenti ed ora salta anche l’amichevole?”

“Non pensate…” la coach esitò. “Non pensate che quello che ha detto Haizaki sia vero, no?”

Tutti, tranne Kagami, deglutirono. “S-spiegherebbe tutte le ferite,” commentò Hyuuga con riluttanza.

“E i giorni di scuola saltati,” aggiunse Teppei.

Izuki aggiunse ancora: “E gli eventi di qualche giorno fa, all’allenamento.”

Rimasero tutti in silenzio. Nessuno di loro aveva osato aggiungere altro alle parole di Haizaki. Avevano troppa paura di scoprire la verità, perché se era vero che Kuroko subiva degli abusi, tutti loro si sarebbero sentiti malissimo per non essersene accorti. Kuroko, pur essendo un’ombra, aiutava la squadra a modo suo. Senza di lui non era lo stesso, ed era sconcertante che per tutto quel tempo non avessero notato la terribile condizione del loro passatore.

“Scusate il ritardo!” gridò una voce gioiosa proprio mentre le porte della palestra si aprivano. Kise Ryouta entrò di corsa felice, tenendo con una mano una palla da basket. Aveva stampato in faccia un grande sorriso. “C’era traffico, giuro! E sapete quanto ci vuole per arrivare qui da Kanagawa,” si difese Kise quando tutto il Seirin si girò per guardarlo male.

“Idiota, non c’era nessun traffico,” Kasamatsu, il capitano del Kaijou, gli tirò una sberla sulla nuca. “Sei solo tu che hai dovuto fare l’autografo a tutte le tue fan fastidiose e ci hai fatti arrivare in ritardo!”

“Senpai, doveva essere un segreto!” si lamentò Kise, massaggiandosi la testa. Poi si guardò intorno e chiese, “Ci sono gli arbitri?”

Il padre di Riko si fece avanti scuotendo la testa, “Questa è solo un’amichevole tra noi. Oggi sarò io l’arbitro. Un giocatore della panchina di ogni squadra aiuterà segnando i punti sul tabellone.” Indicò il tabellone già acceso sul muro e il dispositivo per controllarlo. Tsuchida era già lì, dal momento che non avrebbe giocato.

“Per me va bene,” disse Kise. “Ci siamo già riscaldati correndo fin qui, quindi possiamo cominciare!” Il biondo osservò i giocatori del Seirin e fece un respiro di sollievo. “Kurokocchi non c’è.”

“Hei, non sottovalutateci solo perché non c’è Kuroko,” lo avvisò Kagami. “Altrimenti ve ne faremo pentire.”

Kise lo tranquillizzò, “Nah, Kurokocchi non mi perdonerebbe mai se lo facessi. E poi, sapevo già che oggi non sarebbe venuto; l’aveva detto Akashicchi.”

Questo attirò l’attenzione di Kagami. Anzi, attirò l’attenzione di tutta la squadra. Come sapeva che Kuroko non ci sarebbe stato? Voleva dire che sapeva anche perché era stato ‘assente ingiustificato’ in quegli ultimi giorni? Lo sapevano tutti nella Generazione dei Miracoli? Kagami aggrottò le sopracciglia perché gli dava fastidio sapere così poco. Odiava non essere messo al corrente delle cose, soprattutto quando si trattava di Kuroko.

“Che vuoi dire con Akashi l’aveva detto? È successo qualcosa a Kuroko?” Hyuuga fece proprio la domanda che si era formata nella mente del rosso.

“Kise, vieni qui! Stiamo per iniziare!” urlò il capitano del Kaijou.

Lui si girò verso la sua squadra riunita in cerchio e disse sorridendo, “Arrivo, datemi un minuto!”

“No! Sbrigati e vieni subito qui!”

“Oh, solo un secondo!” Kise fece il broncio, ma iniziò ad avvicinarsi alla sua squadra camminando all’indietro. “Akashicchi ha detto che mi avrebbe ucciso se vi avessi detto qualcosa, ed io tengo alla mia vita.” Girò la testa per incontrare lo sguardo di Kagami. “E’ meglio se non ti fai coinvolgere, Kagamicchi; non ne trarrai nulla di buono. E se incontrerai Akashicchi, lui ti fermerà… a modo suo.” Il volto di Kise apparve impassibile per qualche secondo, ed i suoi occhi erano pieni di serietà; la sua espressione si fece poi quasi iperprotettiva. Ma si trasformò subito in un sorrisetto furbo, e Kise mostrò al Seirin il pollice in su. “Buona fortuna!”

Lo guardarono tutti mentre lui correva verso i suoi compagni. Kagami non aveva capito se Kise gli aveva augurato buona fortuna per la partita o per Akashi.

Kiyoshi ed un giocatore del Kaijou si posizionarono al centro del campo; il padre di Riko teneva la palla tra loro. “Hey tu, biondino,” disse Teppei a Kise.

Kise fece finta di asciugarsi le lacrime. “È questo che pensate di me? Che sia un biondino?” si lamentò.

“Non ho idea di cosa stessi blaterando prima, di questo Akaji , Akasi o come si chiama, ma sappi che ora Kuroko è nella nostra squadra, ed abbiamo il diritto di sapere cosa succede.” Teppei sorrise a Kise “E te lo dimostrerò vincendo questa partita.”

Il biondo non rispose, sorrise solo facendo il gesto per 'pace'. L’occhio di Teppei ebbe un tic. Non so perché, ma mi irrita, pensò il playmaker e centro del Seirin.

“ Il Seirin avrà il nero, il Kaijou il bianco! Facciamo una bella partita!” Il padre di Riko lanciò la palla in alto e si mise il fischietto in bocca. I due giocatori più alti saltarono per prendere la palla; il salto di Teppei fu leggermente più basso di quello del giocatore del Kaijou, e la palla fu passata a Kasamatsu.

Il capitano passò subito la palla al loro campione. Kise palleggiò lentamente con la mano destra, puntando subito gli occhi sul canestro. “Scusate, ma…” Lo scatto di Kise fu quasi invisibile. Superò facilmente due giocatori in difesa, zigzagando verso il canestro. Passò con il suo eccezionale possesso di palla un Kagami sbalordito e saltò dalla linea del tiro libero.
Kise schiacciò la palla nel canestro, rimanendo appeso al ferro per qualche secondo, quindi si lasciò cadere atterrando in piedi senza problemi. “Siamo stati i primi a trovare Kurokocchi. Quindi abbiamo il diritto di tenervi nascosta ogni cosa.” Negli occhi di Kise, di solito allegri, c’era un luccichio spaventoso. Poi piegò di lato la testa con aria innocente, “Non dimenticatelo.”

Il Kaijou schiacciò il Seirin. Conto l’abilità del loro campione, che giocava con concentrazione e con rabbia, e contro gli altri giocatori della squadra che erano comunque forti, il Seirin non poteva fare nulla, senza Kuroko. Per di più Kagami era stato distratto dalle parole di Kise e non giocò dando il suo meglio.

Non perché aveva detto che Kuroko apparteneva a loro, (aveva capito che tutti i giocatori della Generazione dei Miracoli erano chiaramente pazzi, ed ormai ci era abituato), ma perché Kise sapeva quello che stava succedendo, ma Akshi gli aveva proibito di dirlo al Seirin. Perché Akashi voleva tenere nascosto il fatto che Kuroko – forse – subiva abusi? Non sarebbe stato più utile dirlo, così da poter avere testimoni e fare denunce?

“Fine della partita! 76 a 54 per il Liceo Kaijou!”

Kasamatsu scosse la testa rivolgendosi al Seirin, “Ragazzi, vi affidate decisamente troppo a quel giocatore invisibile.”

“È ovvio che perdiamo forza quando uno dei nostri giocatori migliori non c’è!” scattò Hyuuga. “E Kagami! Cos’era quello? Non hai fatto neanche uno dei tuoi salti! Kagami!

“Eh?” Kagami si riscosse dai suoi pensieri. La sua faccia non era coperta di sudore come lo era quando giocava dando il massimo. Aveva un asciugamano intorno al collo, e non sembrava preoccupato per la loro sconfitta. “Ah, scusa.” Il rosso si grattò la testa, “Oggi non è il mio giorno.”

Izuki lo fissò, “Che ti succede? Non sei il vero Kagami! Sicuro di star bene?”

“Izuki ha ragione,” fece notare Teppei. “Anche se Kuroko non è qui, tu avresti comunque fatto di tutto per battere Kise.”

“Ho già detto che mi dispiace,”brontolò Kagami. “Oggi sono un po’ distratto, tutto qui.”

“È per Kuroko, vero?” disse Riko, unendosi alla conversazione.

Kagami non rispose. Stava guardando i ragazzi del Kaijou che stavano già uscendo dalla palestra, con Kise che li seguiva per ultimo. “Io inizio ad andare. Voi andate pure a casa senza di me.” Kagami raccolse la sua roba, si mise la felpa del Seirin e si avviò verso l’uscita della palestra.

“Eh? Kagami! Dobbiamo andare a casa tua per controllare gli altri documenti!” urlò la coach. “Cosa dobbiamo fare adesso?”

“C’è una chiave sotto lo zerbino,” le urlò di rimando. “Potete andare a casa mia, attenzione solo a non rompere niente,” disse, quindi uscì.

Gli ci volle un po’ per trovare Kise. Aveva pensato di trovarlo con il resto della sua squadra, ma aveva scoperto che si erano divisi dopo la partita. Ma dopo aver seguito la strada che Kasamatsu gli aveva indicato non era stato difficile trovarlo. In fondo in Giappone non si vedeva tutti i giorni un modello alto e biondo che passeggiava allegramente per la strada. “Hei, Kise!”

Quest’ultimo si voltò sorpreso, “Oh, sei tu Kagamicchi! Che succede?”

Kagami, sempre brusco e un po’ sgarbato, disse, “Dimmi cosa succede a Kuroko. Voglio sapere la verità.”

Kise aggrottò le sopracciglia ed evitò il suo sguardo. Giocherellò nervosamente con le mani e disse, “Mi dispiace, Kagamicchi, ma… non posso.”

“Basta con queste cazzate,” scattò Kagami. “Non ho più visto Kuroko da quando il vostro capitano pazzo si è presentato al nostro allenamento. Non risponde al telefono e le due volte che sono passato da casa sua c’era una donna ancora più pazza che blaterava su quanto suo figlio fosse cattivo. Poi lei ha persino iniziato a minacciarmi, quando tutto quello che ho fatto è stato ascoltare i suoi deliri mentali. E questa Kuroko Ibuki–“

“Conosci la madre di Kuroko?” Kise, impallidendo, interruppe lo sfogo di Kagami. “E l’hai incontrata?”

“Si, e a quanto pare è Kuroko Ibuki, che sembra avere tre iden–“

Kise coprì la bocca di Kagami con una mano. “Non parlare di lei, o Akashicchi si arrabbierà.”

Kagami spinse via la mano e fece un passo indietro. “È di questo che sto parlando! Cos’ha lei di così importante che tutti voi dovete tenere segreto? Perché dovete nasconderci le condizioni di Kuroko? Siamo la sua squadra, sai! Ed io sono la sua luce, il suo partner! Ho il diritto di sapere!” Kagami urlò queste ultime parole, sfogando la tensione che aveva accumulato. Alcuni dei passanti li guardarono in modo strano, altri cautamente. Un poliziotto che si trovava dall’altra parte della strada li fissava con uno sguardo severo.

“Senti, Kagamicchi, so che sei arrabbiato, ma…”

“Rispondi alle mie domande, Kise!”

“Non posso; e se anche potessi, non lo farei…”

Perché no?”

Kagamicchi!

Il tono brusco di Kise fermò i vaneggi di Kagami. Il rosso incontrò il suo sguardo e si bloccò. Era la seconda volta che Kise aveva un’espressione arrabbiata. Nei suoi occhi vorticavano rabbia e gelosia, le sue mascelle erano serrate con aria decisa. Aveva le braccia conserte e la sua postura lasciava intendere che faceva sul serio. Ancora una volta, i suoi occhi mostrarono per un momento qualcosa, ma Kagami non riuscì a capire cosa fosse.


“Ti stai spingendo troppo oltre, Kagamicchi,” disse freddamente Kise. Questa frase fece arrabbiare Kagami ancora di più. “So che Kuroko è nella tua squadra, e so che adesso sei il suo partner. Ma Aominecchi è stato il suo primo partner, io sono stato il suo primo allievo, Akashicchi è stato il primo a scoprire il suo talento, Midorimacchi il primo a leggergli l’oroscopo, Murasakicchi il primo ad offrirgli uno snack. Noi siamo stati i primi. Non importa in quale squadra giochi adesso Kurokocchi, lui sarà sempre accettato da noi, e conterà sempre prima su di noi.” Kise fissò duramente Kagami. “Perché pensi che Kurokocchi abbia chiamato Akashicchi quando era nei guai? Qualsiasi cosa gli sia successa alla medie e gli stia succedendo adesso, riguarda noi, che siamo stati i primi a riconoscere il suo valore.”


Murasakibara Atsushi lasciò il negozio di dolci, piegandosi per uscire dalla porta piuttosto bassa, e fu accolto dalla fresca aria di Akita. Akashi l’aveva fatto tornare a casa, anche se lui non voleva. Ma, dal momento che si trattava di Aka-chin, aveva dovuto ascoltarlo. Chissà come sta adesso Kuro-chin, si chiese mentre mangiava i dolci che aveva appena comprato. Ah, oops, oggi ho saltato l’allenamento. Smise di camminare e pensò se fosse il caso di chiamare il capitano e inventarsi una bugia sul perché non era andato, o se invece fosse meglio lasciare che il capitano si chiedesse dove fosse finito. Murasakibara scrollò le spalle e scelse la seconda opzione, ma poi: Ma Aka-chin potrebbe arrabbiarsi con me…

L’alto giocatore sospirò per tutte queste complicazioni. Odiava quando il rosso si arrabbiava con lui, dal momento che aveva il massimo rispetto per Akashi, ma odiava anche allenarsi. “Chiamerò Muro-chin e lo dirò a lui,” mormorò. Era difficile premere i tasti del telefono con le sue grandi mani, ma ci riuscì.

“Pronto?”

“Muro-chin!” 
        
“Atsushi. Perché oggi non sei venuto all’allenamento?”

Murasakibara pensò un po’ e si inventò una storia. “Oggi mia madre è stata operata. Sono dovuto andare a visitarla!” Era una mezza verità. Sua madre era stata operata. Due mesi fa, ma non aveva importanza. E neanche il fatto che lui non avesse più soldi aveva importanza.

Tatsuya sospirò. “Sei proprio un bugiardo.”

“No, è vero!”

“Tua madre non è qui, e tu non hai abbastanza soldi per andarla a trovare, visto che spendi sempre tutto per i tuoi dolci. Come avresti potuto visitarla?”

“Oh. Ops.” Murasakibara poté quasi vedere che il suo compagno faceva roteare gli occhi. “Come fai a scoprirmi sempre, Muro-chin?”

Himuro sbuffò. “Perché le tue bugie fanno sempre pena. Sei di nuovo andato al negozio di dolci, vero?”

“..Si.”

“E vuoi che mi inventi una scusa migliore per il capitano, così non finirai nei guai con questo tuo Akashi, vero?”

“…Si.”

Tatsuya sospirò pensando a quanto fosse semplice capire Murasakibara. Avrebbe almeno potuto sforzarsi di mentire un po’ meglio, così lui non avrebbe dovuto essere coinvolto. “Va bene, lo farò, ma solo se tu verrai all’amichevole della prossima settimana.”

Il ragazzo dai capelli viola si mise in bocca un’altra patatina e masticò rumorosamente. “Grazie, Muro-chin,” disse con la bocca piena.

“Hm,” Tatsuya riattaccò.

Felice di aver risolto il problema, Murasakibara mise via il cellulare e ricominciò a passeggiare. Le patatine che stava mangiando purtroppo non avevano un gusto nuovo né erano le sue preferite, ma lo soddisfacevano comunque abbastanza. Era così concentrato nel mangiare che non si accorse di una donna molto più bassa di lui finché non le finì addosso.

“Scusi,” mormorò, anche se in realtà non era affatto dispiaciuto, visto che gli capitava tutti i giorni. Si spostò più a destra e ricominciò a camminare, senza neanche guardare la persona con cui si era scontrato.

“Fermati lì.”

Una voce fastidiosa e stridula raggiunse le orecchie di Murasakibara. Lui si girò pigramente, “Eh?” Non vide nessuno, sbatté le palpebre, e capì di dover abbassare lo sguardo. Quante volte doveva ripeterselo?

Incontrò lo sguardo di feroci occhi blu. Era stata una donna a chiamarlo. Bassa (secondo lui), dai capelli azzurri, pallida e che somigliava molto a Kuroko. Murasakibara inclinò curioso la testa e si mise in bocca un’altra patatina.

La donna disse, “Sei Murasakibara Atsushi, vero?” Guardò una foto che stava tenendo in mano, poi risollevò lo sguardo su di lui. “Capelli viola, alto e snack.”

Murasakibara si accigliò e strappò la foto dalle mani della donna. “Hey! – protestò lei – Ridammela!”

Guardò la foto con curiosità. Ritraeva la Generazione dei Miracoli, Kuroko compreso. Murasakibara rivide se stesso ai tempi del Teiko, con un cracker in bocca. Quello snack sembra proprio buono, pensò mentre esaminava l’immagine. “Perché ha una foto in cui ci sono io?”

La donna gli riprese la foto dalle mani, poi lo fissò male. “Forse non mi riconosci, anche se somiglio molto a lui,” fece un’espressione disgustata, “Ma sono la madre di Kuroko Tetsuya.”

“Hmm?” Murasakibara mangiò l’ultima patatina del pacchetto masticandola lentamente mentre analizzava la donna di fronte a lui. “No, non è vero.”

Kuroko Ibuki inarcò un sopracciglio, “Si che lo sono.”

“No, Kuro-chin non ha una madre.”

“È questo che vi ha detto quel marmocchio?” sibilò. La rabbia annebbiò la sua mente.

“Mm, no, – Murasakibara scosse la testa, – Ma lei è troppo brutta e cattiva per essere sua madre.”

All’improvviso una mano pallida scattò, afferrò la cravatta della sua divisa scolastica e tirò. La sua testa fu forzata a piegarsi per fermarsi davanti al viso della donna. La cravatta si strinse intorno al suo collo e rischiò di soffocarlo. Ma Murasakibara rifiutò di far vedere qualsiasi emozione per non dare soddisfazioni alla donna.

“Come scusa?” disse Ibuki vicinissima al suo viso. “Voi ragazzi dovete imparare a portare un po’ di rispetto per chi è più grande di voi. Potrei rovinare le famiglie di tutti voi così, – fece schioccare le dita – Se volessi. Il tuo capitano… com’era? Akashi Seijuro? Potrei rovinare così tanto il suo status sociale da farlo finire in mezzo a una strada.”

“Che paura,” disse Murasakibara. Tirò fuori da una tasca uno snack con aria indifferente, ignorando il fatto che una donna lo stava tirando giù per la cravatta. “Ed il suo alito non è piacevole.”

“Ma mi stai ascoltando? Potrei–“

Il ragazzo sospirò rumorosamente e mise una mano sulla testa della donna. Murasakibara era davvero alto ed una sua mano riusciva a coprire completamente la testa di Ibuki, che si lasciò sfuggire un verso di paura, ma riuscì poi a ricomporsi in fretta. “L’ho sentita la prima volta, signora. Sono stanco di sentirla parlare,” fece più pressione sulla sua testa ed Ibuki fu costretta a lasciar andare la sua cravatta. Murasakibara si raddrizzò e si sgranchì i muscoli, stagliandosi minaccioso davanti a lei. “Ma non dovrebbe creare problemi ad Aka-chin, e nemmeno a Kuro-chin.” Guardò Ibuki aggrottando le sopracciglia, quindi diede un grande morso al suo snack. “Ooh, questo gusto è così buono!”

“Oh e perché non dovrei creare problemi a Seijuro? È lui stesso a mettere la sua famiglia in una posizione rischiosa.”

“Mm, posso solo dirle che potrebbe uscirne male.” Murasakibara continuò a mangiare lo snack e parlava con la bocca piena. “Fisicamente o mentalmente, Aka-chin è bravo in entrambe le cose.”

“È una minaccia? Potrei farti arrestare per questo!”

“Noo, era una promessa.” All’improvviso gli occhi di Murasakibara parvero illuminarsi. “Sembrava di essere in un film! Sa, quello in cui il personaggio figo dice: ‘Non è una minaccia, è una promessa,’ o qualcosa di simile. Sembravo figo quando l’ho detto?”

Ibuki fece una smorfia per il suo comportamento infantile. Era ovvio che non sarebbe riuscita a ricavare informazioni da lui, e che il ragazzo non avrebbe potuto passare un messaggio a questo Akashi Seijuro. Sospirò. Venire ad Akita era stata una completa perdita di tempo. “Aspetta solo un po’, – gli disse come avvertimento – E tutti voi della Generazione dei Miracoli sarete distrutti.”

“Oookay, – Murasakibara la salutò con la mano – Bye!”

Ibuki se ne andò e Murasakibara fu libero di ricominciare a vagare. “Devo chiamare Aka-chin,”mormorò. Era più semplice chiamare lui, perché doveva solo far partire una chiamata rapida.

“Atsushi,” rispose Akashi con voce composta.

“Aka-chin! – salutò – Ho appena incontrato Ibusi!”

“….Ibusi? Intendi Ibuki?”

Murasakibara fece una pausa. Si sedette su una panchina, perché parlare e camminare allo stesso tempo era troppo stancante. “Il suo nome non era importante, quindi non me lo ricordo. Ma era la madre di Kuro-chin.”

Akashi inspirò bruscamente. “Che cosa ti ha detto?”

“Qualcosa sul distruggerti, credo.” Il ragazzo dai capelli viola si sforzò di ricordare quel che era appena successo. “Oh! Aveva una nostra foto.”

“Una foto?”

“Si, una foto con Aka-chin e tutti quanti al Teiko.”

“Interessante,” mormorò Akashi. “Grazie, Atsushi. Grazie a questo non ti punirò per avere saltato l’allenamento di oggi.”

Murasakibara avrebbe quasi sputato il suo snack per la sorpresa, se non fosse stato così buono. “Cosa? Ma Muro-chin doveva–“


“Non mi sfugge niente, Atsushi.” E riattaccò.


Kuroko stava seduto contro un muro, pietrificato e immobile. Non si era mosso da lì fin dal giorno prima, troppo spaventato per spostarsi o parlare. Teneva le dita chiuse saldamente intorno al suo cellulare. Aveva dormito pochissimo, sia per la posizione scomoda, sia perché aveva avuto paura che sua madre potesse entrare approfittando della notte, anche se la porta era chiusa a chiave e barricata. Non aveva nemmeno risposto quando Ibuki se n’era andata e Haru era venuto a bussare alla sua porta.

Haru aveva provato a parlargli, a dirgli che il taglio che si era fatto non era colpa sua e che ora poteva uscire, ma Kuroko sapeva che erano tutte bugie. Le immagini del sangue che usciva dal braccio di suo padre gli tornavano continuamente davanti agli occhi. Lui aveva causato tutto ciò.

Il giorno precedente Haru aveva continuato a bussare alla sua porta fino a quando era ormai sera e sua madre era tornata a casa. Quel giorno invece non ci aveva nemmeno provato.

Il cellulare tra le sue mani vibrò. All’inizio pensò che fosse di nuovo Kagami, ed era pronto e riattaccare, ma la scritta ‘Akashi’ catturò la sua attenzione. Kuroko non voleva rispondere, ma sapeva di non avere scelta.

“Q-Qui K-Kuroko,” disse piano.

“Tetsuya,” la voce fredda e severa di Akashi riuscì a calmarlo un po’. “Stai male?”

“No, sto bene,” riuscì a dire Kuroko. Sto bene fisicamente.

“Davvero?” chiese sospettoso l’ex capitano. “Non mentirmi, Tetsuya.”

“Non sto mentendo, Akashi-kun,” bisbigliò. “Sto bene.” I suoi occhi iniziarono a riempirsi di nuovo di lacrime, “Sto…bene.” Kuroko fissò con sguardo assente la sua stanza, con un sorriso tirato sulle labbra. Le lacrime stavano per iniziare a cadere. “Tutto…ok.”

Tetsuya! Dimmi cosa è successo,” ordinò Akashi. Poteva sentire la voce spezzata di Kuroko e capire le vere emozioni nascoste da quelle parole. Iniziò a pensare al peggio.

Kuroko scosse la testa e la appoggiò alle ginocchia. “N-no, sto bene,” disse tremando. Le lacrime gli colavano lungo le guance. Anche se nessuno poteva vederlo, stava ancora sorridendo. “S-sto bene. Nessuno deve preoccuparsi.” Più piangeva, più Kuroko si rifiutava di smettere di sorridere. “Sto bene… davvero… tutto bene.” Non ce la faceva più, e si lasciò sfuggire un singhiozzo. Anche attraverso il telefono, era sempre più evidente che il ragazzo stesse piangendo. “Ha…” Kuroko iniziò a ridere debolmente, “Ha, ha, ha, sto bene. Non ho bisogno di te, davvero. Non sto male… Sto-sto bene… Non è compito tuo Akashi-kun.”

Non riusciva più a formulare frasi coerenti, ormai scosso da continui singhiozzi. Akashi ascoltò, sconvolto, il pianto angosciato di Kuroko, interrotto di tanto in tanto dalle parole ‘tutto bene’ e ‘ok’. Continuò ad ascoltare a lungo, stringendo sempre di più i pugni per la rabbia. “Dannazione, Tetsuya, – bisbigliò – Perché continui a mentire a te stesso?”




 
 
NdT: Ta-daaa! Siamo giunti a metà storia!
In questo capitolo vediamo un Kagami che perde e non se la prende neanche tanto male, il che la dice lunga…. Questa volta ‘l’incontro ravvicinato’ con Ibuki è toccato a Murasakibara, ma non pare che lui ne sia rimasto particolarmente turbato. Abbiamo avuto l’ennesima conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno,  che ad Akashi non sfugge nulla. Invece il povero Kuroko è rimasto parecchio traumatizzato dal suo rientro a casa :’(
Ringrazio come sempre lettori e recensori!
Nienor_11

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

“Rin, voglio che ascolti con attenzione, ok?”chiese cautamente Hayato a sua moglie. Akashi Rin, la diabolica madre di Akashi Seijuro, nonché moglie di Akashi Hayato, stava sulla soglia dell’ufficio di suo marito, inarcando un sopracciglio perfetto. Teneva le braccia conserte, in attesa. Indossava un completo formale per il lavoro,  che consisteva in una gonna nera di media lunghezza, una camicetta bianca ed una giacca scura. Come suo marito e suo figlio, anche lei aveva i capelli rosso fuoco, ma i suoi erano leggermente ondulati e le arrivavano oltre le spalle.

Rin fece tamburellare le sue dita dalle unghie lunghe e curate. “Sbrigati e parla, Hayato. Sono occupata.”

“Non poi così tanto, no?” Hayato le indicò una delle sedie davanti alla sua scrivania. “Non mentire, ho controllato i tuoi impegni.”

“Tch.” Irritata, entrò nell’ufficio e si sedette. “Che cosa vuoi?”

Perché deve essere di cattivo umore proprio adesso? pensò infelicemente Hayato. “Ah, bene. Il nostro ‘fantastico’ figlio mi ha fatto visita ieri,” disse con sarcasmo.

“Seijuro?” L’espressione di sua moglie si addolcì un po’. “Perché non sono stata avvisata?”

“Stavi lavorando.”

L’occhio sinistro di Rin ebbe un tic. Per quanto quest’uomo sostenesse di essere furbo, e nonostante il rispetto che aveva guadagnato tra gli avvocati giapponesi, sarebbe sempre rimasto uno stupido. “Sta bene? Ha un aspetto sano? Si sta comportando bene? No, lascia perdere l’ultima domanda; è ovvio che si comporti bene.” Sorrise, “Dopotutto è mio figlio.”

Hayato ricambiò il sorriso con uno un po’ tremolante dei suoi. “Ehm, sta bene, ed è in forma. Ma è sempre il solito impertinente,” aggiunse borbottando.

“Non può essere impertinente, l’ho cresciuto io.” Rin si osservò le unghie per un momento, poi gettò un’occhiataccia a suo marito. “Quindi? Di cosa aveva bisogno Seijuro?”

“Ah-ah-ah-ah,” rise lui nervosamente grattandosi la nuca. “È proprio questo il problema.”

Quindi Hayato iniziò miseramente a spiegare il problema e la situazione in cui si era ritrovato coinvolto per colpa di suo figlio. Rin ascoltò esterrefatta e dovette domare l’impulso, che diventava più evidente man mano che passavano i minuti, di strangolare suo marito. Nomi come ‘Ibuki’, ‘Atari’ o ‘Kuroko’ la colpirono come un pugno nello stomaco. Quando Hayato ebbe finito di parlare, Rin dovette ricomporsi e trattenersi dal prenderlo a schiaffi finché non lo avesse mandato nelle profondità dell’inferno.

Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e: “Sei impazzito, Akashi Hayato?”strillò all’improvviso. Saltò su dalla sedia su cui era seduta e sbatté con forze le mani sulla lucida scrivania. Causò un rumore forte e minaccioso che fece trasalire persino ‘l’apparentemente formidabile’ Hayato. Per fortuna la porta era chiusa. “Come hai potuto?”

“B-beh, Rin…” provò a calmarla Hayato. “Sai che…”

“Come hai potuto… come hai potuto…”

“Lo so, lo so, ma…”

Come hai potuto permettere che questo Tetsuya venisse abusato per così tanto tempo?”

Hayato sbatté le palpebre. “Eh?”

Rin si allontanò dalla scrivania ed incominciò a camminare avanti e indietro per lo studio con espressione seria. Si passò una mano tra i capelli per tre volte, cosa che faceva sempre quando era stressata. “Povero ragazzo! Kuroko Tetsuya è un ragazzo davvero educato. L’ho incontrato una volta, quando Seijuro stava tornando da una delle sue partite di basket. E quando andava ancora alle medie Seijuro ne aveva parlato un paio di volte. Ed è stato abusato fin da allora? E mio figlio me l’ha tenuto nascosto?” L’occhio sinistro di Rin ebbe un altro tic, e lei si fermò. Lanciò un’occhiataccia a suo marito. “Ucciderò quel nostro figlio ingrato. Come ha osato tenermi all’oscuro di una cosa del genere?”

“Ha avuto i suoi motivi,” lo difese cautamente Hayato. Conosceva sua moglie e se non avesse preso almeno in parte le difese di Seijuro, sarebbe stato meglio che quest’ultimo avesse evitato di farsi vedere in casa per qualche settimana.

“E questa Kuroko Ibuki?” continuò sua moglie. “Vediamo: Kuroko Ibuki, che per qualche motivo ha due identità e tre delle più importanti aziende del Giappone, ha delle influenze assurde, 36 anni e si è laureata all’Università di Tokyo.” Come Hayato, anche Rin conosceva la famosa Kuroko Ibuki ed aveva memorizzato gran parte delle sue informazioni.

Intorno a lei iniziò a formarsi un’aura demoniaca; i suoi occhi brillavano furiosi. “Distruggerò quella donna,”ringhiò Rin.

“Calma, non è ancora il momento,” la rabbonì Hayato, cercando di nascondere la paura che provava. “Quello che sai su di lei è quasi tutto corretto, ma in realtà ne ha tre di identità.”
“Tre? Non c’è scritto nei rapporti.”

“Vero, ma il nostro figlio così intelligente ha chiamato tutte e tre le aziende ed ha scoperto tre identità.” Le mostrò gli appunti che aveva scritto il giorno prima con suo figlio.

Rin li prese e li esaminò velocemente. “Capisco. Seijuro ha fatto un buon lavoro nel raccogliere le prove basilari.” Fece finta di asciugarsi una lacrima, con un gesto drammatico. “Quel ragazzo in futuro potrebbe diventare un bravissimo avvocato.”

“Non succederà. Parla sempre di diventare un giocatore di shogi professionista.” Hayato sospirò. “Comunque, gli ho dato una lista di persone che può contattare. Io sto cercando di trovare informazioni dettagliate sul passato di Ibuki, ma non sono accessibili.”

“Niente dovrebbe essere inaccessibile per noi,” lo informò Rin. “A meno che il nostro cliente non voglia che sia così, ma i rapporti dovrebbero esserci tutti.”

“Lo so,” le disse sarcastico. “Ma non ci sono.”

Lei attraversò la stanza e si mise in piedi dietro a suo marito, sporgendosi in avanti per poter lavorare con il suo computer. Digitò velocemente la password per accedere ai documenti tenuti lì. Era così vicina che Hayato poteva sentire il suo profumo dolce e discreto, ed all’improvviso gli tornò in mente il motivo per cui l’aveva sposata.

“Se ti becco perso nella tua mente sconcia in pensieri poco casti, ti uccido,” disse Rin all’improvviso, sapendo esattamente quello a cui lui stava pensando.  
             
“Dammi un po’ di fiducia,”sospirò Hayato. “Sei entrata nelle informazioni base di Kuroko Ibuki, vero?” chiese, e Rin rispose solo con un “Mm.” “Io non sono riuscito ad andare oltre.”

“Vuol dire o che le autorità hanno deciso di bloccare e nascondere le informazioni, o che Ibuki stessa ha usato la sua influenza presso il governo per tenere nascosto il suo passato,” mormorò. “Secondo me è la seconda opzione quella giusta.”

Hayato mormorò il suo accordo. “Eppure, a meno che non si tratti di cose veramente serie che il governo ha bloccato per motivi di sicurezza, noi, che abbiamo più potere di tutti nel campo della legge in Giappone, dovremmo essere in grado di accedere a qualcosa di più di queste semplici informazioni.”     

“Se questo diventasse ufficialmente un nostro caso, non avremmo problemi ad accedere alla sua fedina penale.”

“Ma chi sarebbe l’accusa?”

Entrambi gli avvocati pensarono a loro figlio come accusatore e fecero un sorrisetto. “Non rendiamolo ufficiale, per ora,” decise Hayato. “È meglio che non sia di pubblico dominio e che Ibuki non lo sappia ancora.”

Rin non rispose, ma prese una sedia e si sistemò vicino al marito. Hayato le lasciò il computer, perché sapeva che lei era sempre la più veloce nel riuscire ad accedere a file nascosti. “I documenti giudiziari dovrebbero essere qui, se ce ne sono,”disse. Ma non appena provò ad accedere il computer emise un suono ed apparve un pop-up:

ACCESSO NEGATO

PASSWORD?

Rin fece schioccare la lingua e cliccò nello spazio per digitare la password. “Conosci il codice?”chiese sorpreso Hayato.

“Ibuki non è l’unica ad avere delle conoscenze,” rispose lei bruscamente. “Si da il caso che io abbia amici nella polizia.”  Fece muovere le dita sulla tastiera. “Vediamo. J-R-Q-V-D-A-3-9-M-1-A.” Grazie alla sua memoria infallibile digitò gli 11 caratteri necessari. Sullo schermo apparve un altro pop-up:

ACCESSO EFFETTUATO

Hayato fischiò per l’abilità di sua moglie. Sul computer apparve un solo file, e Rin ci cliccò sopra. Quando si aprì inarcarono entrambi le sopracciglia.  “Rapporti di vecchie violenze?”mormorò Rin. “Interessante.” Cliccò di nuovo e lesse ad alta voce: “Accusata per violenze fisiche in pubblico, due mesi di libertà vigilata. Il nome della vittima è _, ed è stata attaccata sia alla testa che all’addome. Motivi sconosciuti.” Rin lesse altri tre rapporti di questo tipo, tutti simili tra loro. Hayato si accigliava sempre di più man mano che Rin continuava con la lettura.

“Per essere una fedina penale non ci sono abbastanza informazioni,” disse quando lei ebbe finito. “Dov’è la data della sentenza? La data di quando è avvenuto il crimine? I nomi delle vittime? Le leggi che ha infranto, le norme e gli emendamenti? Dovrebbero esserci anche una sua descrizione e le sue informazioni personali.”

“Inoltre, – Rin passò ad un altro file – Sembra che Ibuki si sia trasferita tutte e quattro le volte, in posti sempre più lontani. Pensi che questo sia collegato alle sentenze?"

Hayato si lamentò coprendosi gli occhi con una mano. “Mi sembra di essere un detective, più che un avvocato.”

“Metà dei rapporti sono ancora nascosti oppure addirittura cancellati. Ne prenderò nota e farò lavorare due dei miei assistenti migliori su questo caso.” Rin scrisse velocemente qualcosa su un block notes che era sulla scrivania, poi staccò il foglio su cui aveva scritto e se lo mise in tasca. “Ora vado, ho un caso ufficiale su cui lavorare. La prossima volta che vedi Seijuro, digli che lo sto aspettando.” Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto malvagio, quindi Rin si alzò ed uscì dall’ufficio.


Hayato sospirò e si appoggiò allo schienale della sua sedia, girandosi per guardare fuori dalla grande finestra che si affacciava sulle strade trafficate di Kyoto. “Bene, Kuroko Ibuki, – disse ad alta voce – Hai due degli avvocati migliori del Giappone contro di te. Qual è la tua prossima mossa?”


“Scusate il ritardo!” disse Kise alzando il braccio per attirare l’attenzione degli altri due giocatori. Uno di loro teneva in mano una grande matita rosa, l’altro aveva un’aria scontrosa e teneva le mani in tasca. Sui volti di entrambi c’era un’espressione acida.

“Hey Kise,” si lamentò Aomine. “Com’è che prima ci chiami qui e poi arrivi in ritardo?”

“È una seccatura,” mormorò Midorima, afferrando il suo oggetto fortunato. “Ho dovuto convincere mia madre a lasciarmi venire.”

“Pft, devi chiedere a tua madre il permesso per uscire?” rise Aomine. Midorima lo ignorò.

Kise si grattò la nuca con aria impacciata. “S-scusate! Al lavoro mi hanno trattenuto fino a tardi.”  A dire il vero, Kise aveva fatto tutta la strada correndo per arrivare in tempo, ed era stato anche seguito da fans e fotografi fino alla stazione. Aveva il volto arrossato per la lunga corsa e il respiro ancora affannoso. Aomine osservò con espressione famelica l’abbigliamento da modello di Kise. Kise, notando lo sguardo di Aomine, arrossì ed urlò, “S-smettila, Aominecchi.”

“Eh? Non sto facendo niente,” rispose il ragazzo abbronzato. Posò una mano sulla testa del biondo e si avvicinò al suo viso. Kise fece un urletto. “Allora?” chiese Aomine, “Perché ci hai chiamati qui?” Era così vicino che Kise poteva sentire il suo profumo.

“Immagino sia per Kuroko, giusto?” chiese Midorima, tirandosi su gli occhiali con il medio e continuando a guardarlo male.

L’asso dei Kaijou si liberò dalla presa di Aomine, con suo grande disappunto, e rispose a Midorima. “Si! Voglio fare visita a Kurokocchi. Non è giusto che sia dovuto tornare in quel posto infernale, soprattutto ora che Akashicchi è a Kyoto. Voi abitate qui a Tokyo, no?”

Aomine sbuffò. Midorima fece “Humpf.” Kise sorrise allegro, “Benissimo, andiamo!”

“Aspetta.” La voce composta di Midorima fermò l’entusiasmo del biondo. “Qualcuno di noi sa l’indirizzo di Kuroko?”

Gli altri due si bloccarono sorpresi. “E-ecco… - disse Kise – Potremmo chiamare suo padre…”

“Hai il suo numero?”

Anche questa volta la risposta fu negativa. Midorima sospirò. “Come al solito fai dei piani senza pensare. Beh, potremmo cercare –“

“Temo di non potervelo permettere.” Tutti e tre I ragazzi si voltarono per trovarsi di fronte unaa donna dalla voce acuta e stridula. Capelli lunghi e azzurri, pallida, brutta; la riconobbero tutti.

“Perché questa donna appare sempre all’improvviso?” si lamentò Aomine. “Davvero, sembra che sia una stalker. Vada via.”

L’occhio di Ibuki ebbe un tic e le sue labbra si piegarono in una smorfia. “Come osi parlarmi così, moccioso? Non sai di cosa sono capace?”

“Capace di essere pazza,” mormorò lui a bassa voce. Midorima finse di tossire per nascondere la sua risata. Kise invece si nascose dietro al suo amato, spaventato dalla madre di Kuroko.

La donna dovette controllarsi. Siamo in pubblico. Non li posso attaccare, ricordò a se stessa. “Sono qui solo per avere qualche risposta, poi vi lascerò in pace,” disse con fermezza. “Se voi coopererete non succederà niente di male.” Guardò una foto, poi di nuovo i tre ragazzi. “Midorima Shintaro, Aomine Daiki e Kise Ryota.”

Aomine grugnì, Midorima si tirò su gli occhiali e Kise si lasciò sfuggire un versetto di paura.

“Se mi risponderete farò in modo che lo status sociale delle vostre famiglie migliori.”

Kise aggrottò le sopracciglia. “Ma kaa-san si arrabbierebbe se facessi la spia su qualcuno per lei. Non voglio che mi sgridi,” disse piano.

“Già, mamma me la farebbe pagare,” rabbrividì Aomine. L’unica persona che gli faceva paura era quel diavolo di sua madre.

“Mio padre mi farebbe sicuramente una ramanzina,” aggiunse Midorima. “E mia madre mi sequestrerebbe tutti gli oggetti fortunati; non posso rischiare così tanto.”

Ibuki li guardò male. “Voglio solo delle risposte! Non ho mai parlato di ‘fare la spia’.”

“Queste domande su cosa sarebbero, Kuroko Ibuki?” chiese furbamente il più alto di loro, giocherellando con la matita rosa.

“Su Akashi Seijuro,” rispose lei brusca. “Voglio sapere qual è il suo problema con me, cosa ha intenzione di fare e perché tutti voi siete immischiati negli affari di mio figlio.”

Aomine inarcò un sopracciglio. “Eh? Scusi, ma –“

“Se noi…” Kise si sporse da dietro la schiena di Aomine; la sua voce era esitante. “Se rispondiamo alle sue domande, smetterà di fare del male a Kurokocchi?”

Fare del male? Ibuki li guardò inespressiva. Non capiva proprio di che cosa il biondo stesse parlando. “Intendi Tetsuya? Non gli faccio del male, lo educo solo per il suo bene, ne ha bisogno.”

Subito Midorima e Kise dovettero fermare Aomine, che con un urlo di rabbia voleva attaccare la donna. La sua forza era bruta e gli altri due dovettero faticare parecchio per riuscire a trattenerlo. “Lasciargli lividi su ogni centimetro di pelle conta come educazione?”urlò Aomine. “E farlo cadere dal secondo piano? Rompergli le ossa? Praticamente ucciderlo? Dissanguarlo? È questo ciò che lei chiama ‘educazione’?”

“Aominecchi! – lo chiamò Kise – Calmati!”

“Le stai solo offrendo un pretesto per denunciarci, – gli bisbigliò con fervore Midorima – Vedi di trattenerti.”

Ibuki osservava divertita la scena. Aomine si calmò di colpo quando vide l’espressione beffarda sul viso della donna. Spinse via Kise e Midorima, frustrato per averle mostrato un momento di debolezza. Mise però una mano sulla testa del biondo, come modo per dirgli ‘grazie’. Kise mormorò e si appoggiò alla sua spalla.

“Non risponderemo alle sue domande,” disse Midorima. “Ad essere sinceri, Akashi ci tiene nascoste delle informazioni importanti proprio per questo motivo. Comunque, – disse spingendosi in su gli occhiali – Il suo problema, così come il nostro, è Kuroko Tetsuya.”

“Questo l’avevo capito,” ghignò Ibuki. “Mio figlio è perfettamente felice a casa nostra. Non c’è bisogno che voi interferiate nelle nostre vite.”

“Sarà Akashi a deciderlo,” le rispose Aomine. “Andiamo, Kise, Midorima. Il nostro programma è appena stato rovinato.”

“Non vi permetterò di avvicinarvi a lui!” urlò la donna mentre loro si giravano dandole la schiena. “Non riuscirete a posare nemmeno i vostri sporchi occhi su Tetsuya.”

Midorima sospirò. “Vedremo.”

Ibuki fece un suono frustrato. “Perché? Perché contate tutti così tanto su questo Akashi Seijuro?” Si voltarono di nuovo verso di lei, osservando come perdeva ancora una volta il controllo.

“Non sapete che potrei distruggervi tutti quanti?”urlò all’improvviso. Alcuni passanti si fermarono e la guardarono preoccupati; gli adulti tennero a distanza i bambini. “Sono la donna più potente del Giappone! Tengo l’intero Paese nel palmo della mia mano! La famiglia Akashi potrebbe essere facilmente rovinata e a voi non importa?” Ibuki cadde in ginocchio e si fissò le mani. “Ogni volta c’è qualcuno che guarisce mio figlio. Faccio di tutto per punirlo, romperlo, ma non funziona mai. Qualcuno lo guarisce sempre. Ogni giorno si prende gioco di me con quella sua faccia senza espressione. È l’unica persona che conosco che non è ancora caduta nelle mie mani.” Ibuki strinse i pugni.

“È tutta colpa vostra!”urlò isterica indicando i tre giocatori, che la fissavano impietriti. “Vostra! Smettetela di interferire nei miei piani! Lasciate che quel maledetto ragazzo si rompa una volta per tutte!” Le sue urla fecero fermare altri passanti, ed alcuni iniziarono a pensare di chiamare la polizia.

Aomine fu il primo a riprendersi. Afferrò con una mano la spalla di Midorima, circondò con l’altro braccio  Kise e iniziò a tirarli indietro perché iniziassero a muoversi. A quel punto anche gli altri due tornarono in sé e si allontanarono il più possibile dalle urla stridule della donna.


“Pensate, avere una madre come quella…” mormorò Kise. Si appoggiò ad Aomine per supporto. “Mi dispiace, Kurokocchi.”


“Mm, papa?” mormorò al telefono un Kagami assonnato, mentre si girava sulla schiena. Quel pomeriggio non aveva allenamenti ed era libero. Il suo piano era di dormire, mangiare e poi continuare a dormire. Ma a quanto pare non sarebbe andata così.

“Taiga,” lo salutò suo padre, anche lui con voce stanca.

“Non sono quasi le due del mattino da te, vecchio?” chiese Kagami sospirando. Si mise seduto sul letto e stese i muscoli con un lamento. Non si preoccupò dei capelli, perché tanto sapeva che sarebbero stati un disastro.

“Chi è che mi ha detto di fare ricerche su Kuroko Ibuki?” rispose suo padre con voce un po’ più sveglia. “Ma visto come mi stai parlando, probabilmente non sei molto interessato.”
Con queste parole si guadagnò tutta l’attenzione di Kagami. “No, no, no!” urlò lui subito nel telefono. “Aspetta solo un secondo, vecch – p-papà! Per favore!”

Suo padre sbuffò. “Non serve aggiungere ‘per favore’ alla fine se hai appena detto qualcosa di maleducato.” Fece un sonoro sbadiglio e mosse alcuni fogli. “Comunque, non ho trovato molte informazioni.”

“Ma qualcosa hai trovato, giusto?”

“Puoi ben dirlo,” brontolò. “Non sono riuscito a trovare altro su Kuroko Ibuki, probabilmente i suoi documenti sono bloccati per qualche motivo nella filiale giapponese. Ma questo non ferma i pettegolezzi. Sono riuscito a trovare qualcosa parlando con diverse persone che lavorano in quella filiale.” Fece una pausa mormorando: “Le chiamate intercontinentali costano… ed il mio giapponese si è un po’ arrugginito, quindi è stato un lavoro molto lungo…”

“Cosa hai scoperto?” chiese impaziente Kagami.

“Smettila di essere così agitato, non è niente di speciale. Ho solo scoperto che pare che Kuroko Ibuki provenga dal mondo dello spettacolo.”

Il campione del Seirin inarcò entrambe le sopracciglia. “Eh? Il mondo dello spettacolo?”

“Pare che i suoi genitori fossero entrambi artisti famosi,” gli spiegò. “Molto famosi, ma pare che Ibuki abbia letteralmente cancellato i loro nomi. Non te li posso dire, perché me ne hanno riferito molti. Non ci sono prove. Per esempio, mi hanno detto che sua madre era una via di mezzo tra un’illusionista, una cantante e una conduttrice di un programma sul lavoro a maglia.” Il padre di Kagami fece un suono frustrato. “Le informazioni sul padre sono ancora peggio. Posso solo dire che lavoravano entrambi nello spettacolo.”

Kagami non seppe cosa rispondere. Ci pensò per un paio di minuti, poi sbottò: “Papà.. in che modo può essermi d’aiuto tutto questo?”

“E che cavolo ne so?” gli rispose lui brusco. Papà sta diventando scontroso. Meglio chiudere in fretta la conversazione. “Mi hai detto di trovare qualsiasi cosa per aiutare il tuo amico. Questo è quello che ho trovato.”

Kagami strinse le labbra. “Ogni indizio può essere utile, immagino.” Sospirò. “Grazie, papà.”

“Questo ti costerà una visita in America.”

“Verrò nelle prossime vacanze.” Entrambi riattaccarono.


Kagami lanciò il cellulare nella stanza. “I genitori vengono dal mondo dello spettacolo…” si lamentò ad alta voce, portandosi le mani tra i capelli. “E questo cosa dovrebbe voler dire?”


“La lista che mi ha dato mio padre è piuttosto corta,” disse Akashi aggrottando la fronte mentre osservava la lista con nomi, numeri di telefono e indirizzi. “Significa che non ci sono molte persone affidabili e non sotto l’influenza di Ibuki. Chiamerò i primi tre.”

Si trovava nel suo appartamento di Kyoto, che era molto più grande di quello di Tokyo, e metteva anche più soggezione. Era decorato con mobili rossi, che mettevano in risalto le pareti lisce e bianche ed il pavimento in legno. C’erano cinque camere: la sua camera da letto, due stanze per gli ospiti, una stanza misteriosa ed una che faceva da studio. Quando si entrava si era accolti dal salotto e, sulla destra, dalla cucina.

Ma non era questo a far sembrare l’appartamento intimidatorio, il fatto era invece dovuto alla pulizia perfetta ed all’aspetto di normalità. Sembrava del tutto normale che un paio di cesoie affilate fossero proprio vicine alla porta che dava sul patio dove c’erano delle piante, (si trattava in realtà per lo più di piante piccole, quindi non si capiva a cosa servissero le cesoie), ed andava benissimo che un coltello da burro fosse posato sul bancone della cucina vicino ad un cesto con della frutta e ad un paio di forbici nere.

Trofei di campionati di basket e competizioni di shogi erano allineati sugli scaffali, e spaventavano chiunque avesse avuto intenzione di sfidare Akashi in una partita di basket o shogi.

Akashi si sedette sul suo divano rosso, prese il cellulare che usava per le questioni di lavoro e compose il primo dei numeri che gli aveva dato suo padre. Il telefono squillò a lungo finché non rispose la segreteria telefonica. Akashi riattaccò e riprovò a chiamare.

Questa volta risposero. “Pronto? Con chi sto parlando?”

“Akashi Seijuro,” rispose lui senza tracce di paura. “E lei è Tsubaki Kaname.” Era un’affermazione, non una domanda.

“…Il figlio di Akashi Hayato, guisto?”

“Si.”

“Ah,” la voce di Tsubaki Kaname si fece improvvisamente nervosa. “Come posso aiutarla, Akshi-san?”

“Hm, – Akashi tamburellò le dita sul divano – Conosce Kuroko Ibuki?”

Sentire quel nome fu uno shock per Kaname, perché era da molto tempo che tentava di liberarsene. “Si, ho sentito parlare di lui. Tempo fa lavoravo per una delle sue aziende, ma mi sono licenziato perché assumeva sempre impiegati incapaci,” aggiunse con amarezza.

Impiegati incapaci, Akashi prese nota. “Mi dispiace farle rivivere brutti ricordi,” disse, anche se non gli dispiaceva affatto. “Ma ho bisogno di informazioni su di…lui. Per caso sa qualcosa di insolito sul suo conto? Non deve per forza essere qualcosa di eccezionale, ma qualsiasi aspetto strano potrebbe essere utile.”

“Se non le dispiace, utile per cosa? Perché mi ha chiamato così all’improvviso per sapere di Kuroko Ibuki?”

“Mi interessa,” rispose calmo.

Ci fu silenzio per qualche secondo, si sentiva solo il respiro veloce di Kaname. “Non so niente di particolarmente strano,” rispose alla fine. “Il nostro capo non si faceva mai vedere in pubblico e non abbiamo mai visto la sua faccia. Noi sapevamo solo il suo nome e della sua fama…. Ma anni fa, quando lavoravo ancora per lui, ho letto qualcosa sulle news.”

Akashi era pronto a scrivere. “Ovvero?”

“Era solo un articoletto su internet. Diceva che Kuroko Ibuki si era sottoposto a numerosi interventi nel corso degli anni.”

“Interventi?”

“Di chirurgia plastica, per essere precisi.”

Akashi inarcò le sopracciglia e annotò tutto velocemente. “Quando avvennero queste operazioni?”

“Non saprei la data esatta, ma l’ho letto circa… quindici o sedici anni fa, credo.”

Le sue sopracciglia si inarcarono ancora di più. Quanti anni aveva Tsubaki Kaname? “Mi sono segnato queste informazioni. Non c’è bisogno che le dica di mantenere il silenzio, vero?”

“No. Hayato-san è un mio caro amico.”

“Hm.” Akashi riattaccò.

Si appoggiò allo schienale del sofà e fissò lo schermo del televisore davanti a lui. “Tra i quindici e i sedici anni fa, proprio quando è nato Tetsuya. E se è uscita questa notizia, significa che in quel periodo era in Giappone, ed aveva già iniziato ad essere una donna influente.” Fece tamburellare un piede, impaziente. “Considerando che Tsubaki Kaname si riferisce a lei come se fosse un uomo, deve voler dire che anche la notizia che ha letto parlava di lei come uomo.” Akashi lanciò uno sguardo agli appunti sul suo block notes e contrasse la fronte. “Se i chirurghi che l’hanno operata avessero visto la notizia, non sarebbero stati confusi dal suo aspetto femminile?” Si accigliò mentre le numerose tessere del puzzle iniziavano ad incastrarsi l’una con l’altra. “A meno che…le operazioni siano avvenute in un altro paese.”

Akashi prese di nuovo il cellulare e digitò il secondo numero. La secondo conversazione fu simile alla prima.

“Si, confermo che si è sottoposta a interventi di chirurgia plastica,” farfugliò la donna la telefono. “È stato nelle news, prima che tu nascessi, credo. Ma anche perché ho un’amica che lavora ancora per lei e mi ha detto che il suo capo, Kuroko Ibuki, si è operata. Ma non l’ha mai vista. Quindi, tu sei il figlio di Akashi Hayato, vero? Lavoro in un piccolo studio legale, e mi chiedevo se –“

Akashi riattaccò.

Un piccolo asterisco era disegnato vicino al nome successivo della lista. Akashi lo fissò, cercando di capire cosa volesse dire. C’è qualcosa di diverso in questa persona? È meno affidabile? Mi obbedirà o… Akashi inarcò le sopracciglia. Ah. Capisco.

“Pronto?”rispose una voce monotona.

“Takumi,”salutò Akashi.

“Senza onorifici? Chi parla?”

Lui sospirò per le solite presentazioni noiose. “Akashi Seijuro.”

“Capisco.” A differenza degli altri, Takumi non era né spaventato né esitante. Il suo tono era semplicemente neutro.  “Come posso aiutarti?”

“Conosce…Suzuki Akihiko?” Akashi provò ad indovinare il nome.

Ebbe ragione. L’uomo rispose di nuovo senza esitazione. “Si, lo conosco. Sarebbe difficile non conoscerlo, credo che abbia tre grandi aziende.”

Lo. La seconda persona che aveva chiamato parlava di Ibuki come se fosse una donna, ma la prima e la terza ne parlavano come di un uomo.  “Sa qualcosa di strano su Akihiko?”

“Non particolarmente.”

Il playmaker del Rakuzan fissò il nome di Takumi. Perché mio padre mi avrebbe dato il nome di una persona inutile? Poi capì un’altra cosa. “Takumi, so che sembra strano, ma posso chiederle qual è la sua specializzazione?”

“… Analisi psicologica e comportamentale. Ero uno specialista.”

Scacco matto.




Akashi rimise a posto il suo secondo cellulare e sospirò. Parlare era un compito noioso. Ultimamente aveva fatto un mucchio di chiamate, il che non era da lui. Parlare con persone che lo guardavano dall’alto in basso finché non realizzavano che era ‘il figlio di Akashi Hayato’ lo irritava parecchio.

Penso che dovrei –

Il cellulare vibrò di nuovo. Questa volta però era quello personale. “Sono stufo di parlare per oggi. Se mi chiamano per qualche inutile motivo, mi assicurerò di far triplicare i loro allenamenti,” mormorò prendendo il cellulare, controllando chi lo chiamava e rispondendo: “Ryouta.”

“Akashicchi.” La voce di Kise non era allegra come sempre. Akashi capì subito che era successo qualcosa.

“Ryouta, che succede?”

“Ah, ecco,” il biondo fece una risatina nervosa, per prendere tempo prima di sputare il rospo. “Sapevo che l’avresti scoperto comunque, quindi dovevo –“

“Idiota, ci stai mettendo troppo tempo. Passamelo.” Kise fu interrotto da una voce brusca. Ci furono rumori di interferenze, proteste e di qualcosa che si spostava. Il rosso aspettò ‘pazientemente’ che cessassero. Quando lo fecero parlò la voce di Aomine. “Akashi, ci sei?”

“Daiki. Si, ci sono.”

Lui sbuffò nel telefono ed urlò, “Oi, Midorima! Tieni Kise lontano da me!... Hm. Bene, verrò al sodo: oggi abbiamo incontrato quella Kuroko Pazzoide.”

Akashi si rifiutò di mostrarsi sorpreso. Sta prendendo di mira tutta la Generazione dei Miracoli? “Oh? Ed è successo qualcosa di rilevante? Per caso ha confessato, o vi ha minacciati?” La domanda ‘Vi ha fatto del male?’ rimase implicita.

“Quella donna pensa di non aver niente d a confessare. Pensa davvero di stare facendo la cosa giusta. E si, ovviamente ci ha minacciati con il suo status sociale o quello che è. E poi… ha avuto una specie di esaurimento nervoso.”

“Esaurimento nervoso?”

“Non so, tipo una crisi di pazzia? È crollata in mezzo al marciapiedi, piangendo ed urlando che era tutta colpa nostra se Tetsuya non poteva ‘guarire’.  Poi ha iniziato a delirare su come lei lo voglia distruggere, ma ci sia sempre qualcuno a ‘guarirlo’. Ha usato proprio questi termini.” Aomine sbuffò e Akashi sentì che stava colpendo qualcosa. “Tutta questa situazione mi fa davvero incazzare!”

“Il suo intento iniziale nell’avvicinarci era di ottenere informazioni,” disse la voce di Midorima un po’ in lontananza. “Voleva sapere quali erano i tuoi piani.”

“Le avete risposto?” chiese Akashi mentre annotava questi fatti su un altro foglio.

“No.”

“Bene,”disse Akashi, contento. “Vi ha attaccati in qualche modo?”

Aomine ci mise un po’ a rispondere. “No, non fisicamente. Ma le sua parole hanno turbato parecchio Kise.”

“Capisco.”

“Dammi il telefono, Aominecchi!” Aomine lo accontentò e poco dopo fu la voce di Kise a parlare. “Akashicchi! Oltre alla mamma di Kurokocchi, l’altro giorno ho anche incontrato Kagamicchi.”

Quest’informazione lo interessò ancora più di quella su Ibuki. “Oh? Kagami Taiga del Seirin?”

“Si, lui. Akashicchi… sta diventando curioso. Molto curioso su Kurokocchi.”

“Davvero? In che senso?”

“Credo… che stia iniziando a fare delle ricerche su Ibuki. Potrebbe raggiungerci presto, se non l’ha già fatto.”


Il rosso fece un sorrisetto e scrisse il nome di Kagami. Hm, potrebbe diventare difficile nascondergli la situazione, anche se non sembra molto sveglio. “Bene,” disse. “Se non possiamo evitare di dirgli la verità, posso almeno utilizzarlo per i miei scopi.”


Kuroko prese i quaderni, le cartelline e gli appunti che l’insegnante gli stava porgendo. Erano tutto il lavoro che si era perso per i suoi giorni di assenza. Pensò che sarebbe stato meglio studiare tutto il giorno così da essere già in pari il giorno dopo. E poi aveva già saltato troppe lezioni ed i suoi compagni si sarebbero insospettiti se l’indomani non l’avessero visto a scuola.

“Guarisci bene,” gli disse l’insegnante.

“Grazie.” Kuroko si inchinò, quindi si girò per uscire dalla scuola, facendo attenzione ad evitare la palestra.

Il percorso fino a casa sua era piuttosto breve e non affollato. D’altronde non era l’ora di punta e la gente non stava ancora tornando a casa dal lavoro. Kuroko fece attenzione a non andare a sbattere contro nessuno, visto che di solito nessuno riusciva a notarlo.

Arrivò a casa, nascondendo il suo leggero zoppicare mentre percorreva il vialetto. Quando era uscito per andare a scuola non aveva chiuso a chiave la porta, ed ora poté riaprirla facilmente e sgattaiolare dentro. Si preparò a correre, nel caso sua madre fosse tornata, ma non ne ebbe il tempo perché qualcuno urlò, “Brutto marmocchio!” ed un pugno lo colpì sul naso.

Kuroko cadde indietro contro la porta, sbattendoci contro la testa. Vide le stelle davanti agli occhi e cadde a terra. Sentì un dolore acuto propagarsi a partire dal naso e gli sfuggì un lamento. Delle gocce di sangue caddero a terra, macchiando il pavimento. Si rese vagamente conto che il sangue era il suo, che gli stava gocciolando dal naso, sicuramente rotto: aveva sentito il rumore di qualcosa che si spezzava.

Rialzati, non importa quanto ti sia fatto male. A terra sei vulnerabile.

Le parole di Akashi riecheggiarono nella sua mente, e facendo un grande sforzo e tremando, Kuroko si alzò tenendosi il naso con una mano. La sua camicia bianca era ormai rovinata dalle macchie. Si appoggiò alla porta per avere un supporto ed osservò sua madre, respirando affannosamente attraverso la bocca.

Sua madre si trovava a pochi passi da lui, schiumante di rabbia. Teneva i pugni serrati, ed il destro si era leggermente macchiato di rosso quando l’aveva colpito. Le sue labbra rosa erano piegate in una smorfia. “Moccioso, non sai quanto mi hai umiliata oggi?”  Ibuki annullò la distanza che li separava con due passi decisi. Lo afferrò per la camicia prima che lui potesse fare qualcosa. “Tre ragazzini mi hanno sfidata davanti a tutti, oggi. Tre, ed è colpa tua!” Lo colpì con un altro pugno, questa volta all’occhio. Kuroko restò in silenzio e cadde di nuovo a terra.

Il naso e l’occhio che era stato colpito gli pulsavano intensamente. Stava già iniziando a sentirsi stordito. Rialzati. Senza esitare, Kuroko afferrò la maniglia della porta e provò ad alzarsi, tenendo un occhio chiuso e tentando di fermare l’emorragia dal naso con l’altra mano. Ma non si mosse di molto, perché il piede di Ibuki scattò e lo colpì allo stomaco.

Kuroko inspirò a fatica e cadde in ginocchio, tossendo ed ansimando per il nuovo dolore all’addome. Gli parve di soffocare. Oltre al naso rotto e sanguinante e all’occhio gonfio, forse stava soffocando e non lo sapeva. “Perché non ti decidi a stare giù?” urlò sua madre, tirandogli un altro calcio. Questa volta Kuroko riuscì a reagire grazie all’allenamento con Akashi ed afferrò abilmente il piede di sua madre con una mano. Ibuki ringhiò, muovendo bruscamente la gamba per liberarsi dalla sua presa, e, prima che Kuroko se ne accorgesse, lo colpì con l’altro piede. “Ora ti senti anche coraggioso? Resta a terra! Sei inutile! Incapace! Non sei figlio mio! Mio figlio non è debole, non mi deride, non mi disobbedisce! E sicuramente non mi umilia pubblicamente!” urlò lei colpendolo con forza sul petto.

Kuroko sputò del sangue e si sforzò di respirare. Sentiva di nuovo il suo corpo bruciare. Il dolore non era una cosa nuova per lui, eppure non vi si era abituato e dopo tutto questo tempo, questa tortura non lo aveva ancora reso insensibile.

C’è sempre qualcuno che ti guarisce!

Kuroko afferrò saldamente il piede che stava per colpirlo di nuovo, e lo tirò con quel poco di forza che gli era rimasta. Ibuki, colta alla sprovvista, strillò e cadde sul sedere. Kuroko fu sorpreso per l’efficacia di un semplice trucchetto, e si affrettò ad alzarsi prima che sua madre si riprendesse. Ma sfortunatamente era troppo lento ed i suoi movimenti troppo vacillanti, quindi riuscì a malapena ad alzarsi prima che il piede di Ibuki colpisse la sua faccia, tenendo la sua testa schiacciata tra la porta ed il suo piede.

“Come osi?” gli sibilò. “Come osi?” La scarpa che indossava  era ruvida contro la sua guancia e lo stava spingendo con tanta forza che riusciva a malapena a muovere la testa. “Solo perché hai imparato qualche mossa non puoi pretendere di battermi, tu essere insolente ed incapace.” Il suo piede spinse contro la guancia e la testa di Kuroko, che sentiva il suo cranio venire schiacciato contro la porta.

All’improvviso la pressione scomparve ed il sangue poté di nuovo fluire nella sua testa. Kuroko era vagamente consapevole che il suo naso non aveva ancora smesso di sanguinare, e che doveva fare in modo che smettesse al più presto. Sapeva anche di dover uscire prima che succedesse qualcosa di ancora peggio.

L’uscita più vicina è proprio davanti a me, fuori.

Ma era impossibile. Ibuki era lì e lui non sarebbe riuscito ad alzarsi, aprire la porta e scappare prima che lo raggiungesse.

Kuroko aprì lentamente un occhio, chiedendosi cosa avesse fatto fermare sua madre. Capì subito il perché; suo padre si trovava al fondo delle scale, pallido e spaventato ma con uno sguardo determinato. Ibuki lo fissò male sfidandolo, “Hai intenzione di fermarmi e non lasciarmi educare nostro figlio, Haru?”

Suo padre deglutì, e Kuroko lo guardò silenzioso ed implorante. Haru si accorse del suo sguardo, ma interruppe velocemente il contatto visivo. E poi, con orrore di Kuroko, disse, “C-certo che no, Ibuki. Sfoga pure tutte le tue insoddisfazioni… su di lui.”

“Oh?” Il viso di Ibuki si distese in un sorriso contento. “Hai finalmente capito, Haru? Sono felice.”

No… Ma, otou-san… lui è…

“Hai sentito, Tetsu-kun?”canticchiò sua madre. “Anche tuo padre approva i miei metodi.”

“N-no,” bisbigliò Kuroko.

Una mano lo schiaffeggiò con forza sulla sua guancia già gonfia. “Non parlare con quella voce così monotona,” gli sibilò. “So che lo fai per prendermi in giro.”

Le percosse non durarono ancora per molto. Sembrava che l’incontro con Haru avesse migliorato un po’ l’umore di Ibuki. Kuroko ricevette solo più qualche calcio, qualche insulto, un po’ di dolore in più e poi tutto finì. Ibuki sputò sul pavimento annoiata, ed uscì dalla casa con un “Tks.”

Alla fine non erano state le botte a bloccare Kuroko rendendolo insensibile. Era stato il fatto che durante il suo dolore aveva visto suo padre tirare fuori una fotocamera e scattare foto a sua madre e a lui.

Non appena sua madre fu uscita, Haru gettò quasi a terra la fotocamera e corse da suo figlio. Kuroko era per terra, ed una piccola pozza di sangue si era formata vicino a lui. Aveva la faccia gonfia per gli innumerevoli colpi. “Tetsuya, non muoverti, ti –“

Kuroko spinse via la mano che voleva aiutarlo. “Non toccarmi, per favore,” disse piano.

Queste parole gelarono Haru. Spalancò gli occhi con orrore e paura, aprì la bocca e la richiuse, prima di riuscire a dire, “No, Tetsuya non capisci. Akashi non ti ha spiegato –“

Kuroko non lo ascoltò. Stava impegnando tutte le sue energie per stare in piedi senza aiuto. Si alzò lentamente spingendosi con le mani ed ignorando il dolore. In qualche modo riuscì a mettersi in piedi.  La sua vista era molto sfocata,  e sembrava che tutto si muovesse davanti a lui, ma non importava. La sua destinazione era il bagno.

Face un passo, e rischiò di svenire dal dolore. Haru lo afferrò per le braccia per sostenerlo. “Per favore, Tetsuya, lascia che ti spieghi.”

“Per favore, non mi toccare,” bisbigliò di nuovo Kuroko. I suoi occhi blu erano senza espressione e sembravano senza vita. Si allontanò da suo padre incespicando, e riprese il suo percorso. Un passo, due passi, tre – si appoggiò al muro per evitare di cadere. Anche il più piccolo movimento lo faceva restare senza fiato.

Haru lo seguì, senza toccarlo e disse dolcemente, “Capisco che ora provi disgusto per me, ma lascia che almeno ti aiuti col kit di pronto soccorso.”

“Per favore, non toccarmi.” Il ragazzo ripeté le stesse parole, piene di dolore. Era come un robot, ferito ma insensibile e il suo viso non mostrava nessuna emozione.

“Tetsuya!”

Kuroko si fermò per appoggiarsi di nuovo alla parete. Guardò verso i suoi piedi, dove gocce di sangue continuavano a cadere. Haru strinse le mani sulle braccia di Kuroko, deciso ma con attenzione. “Per quanto tu possa essere cocciuto, ti porterò alle scale.”

Suo figlio non rispose, quindi Haru prese il suo silenzio per un ‘va bene’. Lo aiutò a raggiungere le scale, camminando lentamente. Quando arrivarono, Kuroko era senza fiato. “Vuoi che –“

“No.” Kuroko si liberò dalla presa di suo padre. “Per favore, non toccarmi più… otou-san.”

Queste parole fecero sgorgare delle lacrime dagli occhi di Haru. Si lasciò cadere sulle ginocchia, tremando. Guardò suo figlio che si trascinava su per le scale con fatica, lasciando tracce di sangue dietro di sé. Vedendo questo, Haru si coprì il volto con le mani. “Non capisci,” disse piangendo.

Il suo compito potrebbe essere… emotivamente difficile, ma è piuttosto semplice per le competenze che richiede….  Ma credo che lei sia il più adatto per questo lavoro.






NdT:Oggi mi sento felice, perché il mio esame di tedesco è andato bene! Quindi, per festeggiare, ho deciso di aggiornare con un po’ di anticipo rispetto a quello che avevo previsto.
Questo è, per ora, il capitolo più lungo… ed anche ricco di eventi, direi. Si scoprono nuovi indizi su Ibuki, quale sarà la verità? Ed il piano di Akashi inizia a prendere forma. Per non parlare di Rin!!
A voi i commenti! xD
Nienor_11

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14


Kagami si grattava la testa con aria assente mentre osservava il suo cellulare vibrare. Lo stava chiamando un numero che non conosceva. Aveva appena finito un allenamento – ancora una volta senza Kuroko – e stava tornando a casa, quando il cellulare nella sua tasca posteriore aveva iniziato a vibrare. Esitava, perché non conosceva il numero. Ma, dato il suo carattere impulsivo, si decise e premette il tasto verde. “Pronto?”

“Kagami Taiga,” lo salutò una voce fredda e vagamente familiare. Lui aggrottò la fronte, cercando di riconoscere la voce. “Sono Akashi Seijuro, l’ex capitano di Kuroko Testuya. Temo che il nostro primo incontro non sia stato particolarmente piacevole.”

Akashi? Akashi – l’ho già sentito. “Cos – sei il ragazzo pazzo con le forbici!” urlò all’improvviso Kagami.

“Pazzo con le forbici?” disse Akashi seccato. “Ho solo provato a colpirti per la tua disobbedienza.”

Kagami restò perplesso. Che cos’era lui, un cane? “Come hai avuto il mio numero?”

“Non c’è bisogno che tu lo sappia.”

Kagami deglutì e si guardò intorno sospettoso. “Cosa – cosa vuoi? Perché mi hai chiamato?”

“Ti interessa il passato di Kuroko, non è così?” La domanda raggelò Kagami. “Anzi no, non il suo passato, ma quello che ti stiamo tenendo nascosto. Stai facendo delle ricerche su sua madre.”

“Come fai a saperlo?”

“Non farmi domande,” lo interruppe Akashi. “Vieni subito a quest’indirizzo; ti aspetto.”

Kagami ascoltò l’indirizzo che gli veniva detto, prendendo in fretta una penna dallo zaino e trascrivendolo su una mano. Quando lo guardò meglio spalancò gli occhi. “Kyoto?” urlò. “Non andrò così lontano, a quest’ora poi!”

“Se il tuo bisogno di conoscere la situazione di Tetsuya non è urgente come avevo pensato, allora non c’è bisogno che tu venga.”

Kagami si calmò. Tutte le sue curiosità sarebbero state saziate se solo fosse andato a Kyoto. Il pazzo con le forbici gli avrebbe rivelato senza problemi la situazione sugli abusi di Kuroko, il suo partner. Non è troppo facile? Giusto un paio di giorni fa Kise mi ha minacciato. Era troppo semplice, ma il bisogno di sapere cosa stava succedendo fu più forte del suo istinto.  “Va bene,” disse burbero Kagami. “Sarò sul prossimo treno.”

“Il prossimo treno partirà tra sei minuti.” Akashi sembrava divertito.

Cosa? Dannazione!” Kagami si sistemò meglio la borsa da basket sulle spalle ed iniziò a correre. La stazione non era poi così lontana. “Farai meglio ad aspettarmi, nanerot – cioè Akashi… san… per favore.” La sua voce divenne titubante, e si ricordò solo all’ultimo minuto le ‘buone maniere’.

“Sono commosso dalla tua gentilezza,” disse Akashi annoiato. “Ti aspetto per le undici di stasera. Se arriverai più tardi non ti farò entrare in casa.”

Kagami stava per rispondergli ma si rese conto che Akashi aveva riattaccato, e ne fu sorpreso. “Ma che cavolo! Mi chiama di sera, si aspetta che io sia a Kyoto in poche ore e poi mi sbatte pure il telefono in faccia? Dannazione, Kuroko.” Rimise via il cellulare, arrabbiato. “Frequenti delle persone proprio strane.”

La corsa fino alla stazione fu breve ma stancante. Kagami dovette aspettare in una lunga fila per riuscire a comprare un biglietto, (era l’ora di punta, quando tutti tornavano a casa dal lavoro). Si accorse di non avere soldi con sé, solo il bancomat per le emergenze. Quindi, per sua sfortuna, dovette uscire dalla coda, andare a prelevare i soldi ad una macchinetta, e ricominciare la fila daccapo. Riuscì a salire sull’ultimo treno appena in tempo, le porte del vagone si chiusero proprio dietro di lui.

A quell’ora non c’erano molte persone che andavano fino a Kyoto, quindi il suo treno non era tanto affollato come gli altri. Kagami si trascinò fino ad un sedile vuoto e ci crollò sopra, esausto. Posò la sua borsa sul sedile affianco al suo. In quel momento erano le 7,30 di sera e ci volevano circa tre ore e mezza per arrivare a Kyoto da Tokyo. Avrebbe fatto appena in tempo.


“Stupido… nanerottolo dai capelli rossi,” mormorò Kagami. Gli ciondolava la testa per il sonno. “Dormirò un po’,” disse, ed appoggiò la testa alla sua borsa.


“Siamo arrivati nella prefettura di Kyoto. Le porte si stanno aprendo, per favore fate attenzione.”

La voce dell’annunciatore risvegliò Kagami dal suo sonno. Si sfregò gli occhi irritato, poi ne aprì uno per guardarsi intorno con aria assonnata. Quando vide che le porte stavano per richiudersi, afferrò la borsa e scese dal treno inciampando.

“Merda.” Kagami controllò l’ora e fece una smorfia. Erano già quasi le undici. Aveva poco più di dieci minuti per farcela. Non diceva sul serio sul non farmi entrare in casa sua dopo avermi fatto arrivare fin qui, no? In realtà non volava saperlo. Per precauzione Kagami affrettò il passo e corse fuori dalla stazione.

“Taxi!” chiamò, sventolando una mano. Anche se era ormai tardi, c’erano molti taxi nelle strade ben illuminate. Una macchina bianca gli si avvicinò, aprendo la portiera. Lui entrò velocemente ed ordinò: “Vada a questo indirizzo, la pagherò di più se ci arriveremo in fretta.”

Il vecchio autista prese il pezzo di carta, esaminò l’indirizzo e spalancò gli occhi. Quindi, senza parlare, ingranò la marcia e partì veloce verso la loro destinazione. Kagami tamburellava impaziente un piede e controllava l’orologio ad ogni minuto. Quattro minuti alle undici. Ce l’avrebbe fatta, vero? Il nano non l’avrebbe chiuso fuori per un ritardo di un minuto, no?

“Ci siamo,” annunciò all’improvviso l’autista. Kagami lottò per slacciarsi la cintura di sicurezza, lanciò i soldi promessi all’autista e si precipitò fuori dalla macchina, sbattendo la portiera senza neanche ringraziare. Corse verso il numero civico che ricordava; non fu difficile da trovare per due motivi.

Uno, la porta era rossa, e si notava tra tutte le altre normali porte nere.

Due, un rosso dall’aspetto familiare stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia e le caviglie incrociate.

“Alla fine ce l’hai fatta,” notò, evidentemente divertito per l’aria agitata dell’altro. “Ma non ne sono sorpreso, Taiga.”

“Non chiamarmi per nome,” scattò Kagami.

Gli occhi eterocromi di Akashi ebbero un luccichio pericoloso. “Ti chiamerò in qualunque modo vorrò,” gli rispose freddamente. Si voltò di spalle ed entrò nel suo grande appartamento. “Ebbene? Non vuoi entrare?”

Il modo di parlare del nanerottolo irritava tantissimo Kagami. Aveva visto come l’ex capitano di Kuroko giocava a basket, ed era vero che aveva talento, ma lui era sempre più grande e – forse – più forte di lui, (o almeno così credeva). Scommetto che posso batterlo a braccio di ferro, rifletté Kagami.

“Siediti,” disse Akashi indicando un divano. “È tardi. Hai fame?”

“No.” In realtà, Kagami aveva fame, ma non si sarebbe fidato di niente di quello che Akashi gli avrebbe offerto. “Perché mi hai fatto venire qui?”

Akashi prese i suoi appunti ed un block notes e li portò su un tavolo che era di fronte al divano. “Sei interessato al segreto di Tetsuya, no?”

Tetsuya? … Ah, Kuroko Tetsuya. Deglutì guardando torvo l’altro. “È  il mio partner, adesso. E non mi importa dei vostri segreti, quando un mio compagno di squadra viene picchiato.” Kagami strinse i pugni. “Quindi si, sono ‘interessato’, e se voi della Generazione dei Miracoli non mi direte niente, farò io stesso queste stupide ricerche.”

Akashi ignorò per il momento la sua maleducazione. “Stai diventando troppo ficcanaso,” disse schiettamente, sedendosi di fronte a Kagami ed incrociando le gambe. “Diventerai un ostacolo se continuerai così… ovvero se non ci aiuterai.” Akashi congiunse le dita delle mani e si sporse in avanti. “Anziché diventare una seccante persona sempre in agguato, ci sarai utile.”

“Utile?” A Kagami non piaceva l’idea di essere considerato uno strumento.

“Hm,” confermò Akashi. “Per quanto sia strano, tu sembri essere la persona più intelligente della squadra del Seirin. Se tu venissi a conoscenza della situazione prima che io possa spiegare, causeresti sicuramente problemi, correndo dai tuoi compagni a raccontare tutto. Non è forse vero?”

Kagami si agitò nervoso e con aria colpevole. Era vero.

“Le tue ragioni sono ovvie,” continuò Akashi. “Sono disposto a dirti tutto quello che vuoi sapere, ma,” sorrise freddamente facendo irrigidire Kagami, “Tutto questo dovrà rimanere confidenziale. Non dirai nemmeno una parola su Tetsuya al resto del Seirin, capito?” Non ci fu bisogno di aggiungere ‘altrimenti’; era implicito.

Kagami restò seduto in silenzio, con le sopracciglia aggrottate. Da un lato avrebbe voluto raccontare a tutti delle condizioni di Kuroko, visto che anche gli altri erano preoccupati come lui, ma dall’altra voleva anche avere qui ed ora le risposte a tutte le domande su cui aveva fatto ricerche e speso molto tempo.  Kagami sapeva di non essere bravo a mentire. Sarebbe stato capace di mantenere il segreto se gli avessero fatto della domande? Non osava immaginare cosa sarebbe successo se si fosse lasciato sfuggire qualcosa.

“Va bene,” rispose, dopo aver deciso che sapere era meglio che restare nell’ignoranza. “Manterrò il segreto.”

Akashi lo studiò alla ricerca di segni di esitazione sul suo volto contratto. Non ne trovò. “Molto bene,” si mise seduto in una posizione più comoda. “Risponderò a qualsiasi domanda ragionevole, entro i miei limiti.”

Ragionevole entro i miei limiti? Kagami inarcò un sopracciglio. Posso iniziare subito dalla domanda più importante. “Kuroko viene picchiato da qualcuno?”

“Abusato è il termine più adatto,” rispose subito Akashi, che si aspettava questa domanda. Si appoggiò allo schienale della poltrona. “Si, lo è stato e lo è ancora. Persino in questo momento, non sono certo che sia al sicuro.” Spostò lo sguardo di lato, aggiungendo mentalmente, Ma non posso fare niente – per ora.

Kagami serrò le labbra. Lo sapevo. “Chi lo sta abusando?” Ma sapeva già la risposta.

“Kuroko Ibuki,” rispose secco il capitano. “Sua madre.”

“Chi è Kuroko Ibuki?”

“Una donna piuttosto complicata,” rispose Akashi con sarcasmo. “Una donna con tre identità, le cui informazioni sono alquanto misteriose, e con una personalità psicotica. Ha trentasei anni, ha tre delle imprese più grandi e influenti del Giappone. Nessuno osa parlare apertamente delle sue tre identità… e solo pochi ne sono a conoscenza.”

Tre identità… psicotica… “Solo pochi lo sanno?” Questo per Kagami era quasi ridicolo, perché se Ibuki era così influente e conosciuta, non sarebbe stato strano che la gente non si accorgesse di parlare della stessa persona con tre nomi diversi?

“Ibuki ha molte connessioni, a livello ancora più profondo del governo. Si potrebbe dire che è invincibile sia nel campo della politica che in quello della legge.”

Kagami stette un momento a pensare. “Da quanto… Da quanto vanno avanti questi abusi?”

Il capitano fissò freddamente il campione dei Seirin. “Sono stato il primo a notare lo strano comportamento di Kuroko Ibuki verso suo figlio. È stato facile capire il resto, quando Tetsuya ha mostrato di avere paura di lei, e quando ho visto le sue continue ferite. Questo è successo a metà del nostro primo anno al Teiko.” Il viso di Akashi si contrasse improvvisamente.
“Non so quando siano cominciati gli abusi. Ma so che vanno avanti da anni, da ancora prima che io scoprissi la verità.”

Per anni… se Akashi l’ha scoperto al primo anno delle medie, allora Kuroko era abusato anche quando era solo un bambino piccolo? Kagami si portò una mano davanti alla faccia, e si lasciò sfuggire un lamento. Avrebbe dovuto capirlo. Non avrebbe dovuto credere alle patetiche scuse con cui Kuroko giustificava le sue ferite. Il mio partner veniva abusato proprio sotto i miei occhi. “Cos’era successo quel giorno, quando Kuroko ha poi dovuto saltare la scuola per così tanto?” La sua voce era attutita dalle mani ancora sul volto, e Kagami evitò di incontrare lo sguardo penetrante di Akashi.

“Quella volta sua madre gli aveva fatto male sul serio,” rispose Akashi. “Più del solito. Non aveva ossa rotte, ma molte contusioni interne. Le sue costole si sono salvate per un pelo. Ibuki l’aveva fatto cadere – o l’aveva spinto – dal secondo piano.”

“Dal secondo piano?”urlò Kagami saltando su dal divano. “Ma quella donna è completamente pazza!”

“Abbassa la voce,” gli disse brusco Akashi. “Questa è casa mia, comportati civilmente.”

Sentendosi come quando era sgridato da sua madre, il giovane si risedette rigidamente, borbottando uno ‘scusa’.

“Hm. Hai finito con le domande?”

“Ancora una,”disse Kagami. “Perché vuoi tenerlo segreto? Noi, il Seirin, non dovremmo poter sapere del nostro compagno?”

“Il Seirin è una squadra ficcanaso e molto chiassosa. Ibuki non deve assolutamente sapere dei nostri piani. È la donna più influente del Giappone, può trarre informazioni da molte fonti. Non voglio rischiare che questo caso diventi di pubblico dominio.” La voce di Akashi si fece molto più bassa mentre mormorava la frase seguente. Kagami dovette sforzarsi per sentirlo. “È anche per l’orgoglio di Tetsuya.”

Kagami non rispose. Fissava il pavimento ai suoi piedi, mentre rielaborava tutte le informazioni che aveva sentito quella sera. Anche se lo aveva sospettato, anzi, accettato, non poteva fare a meno di sentirsi colpevole per aver permesso che venisse fatto del male a Kuroko. Aveva accettato le ovvie bugie di Kuroko senza mai fare domande. E così, da anni, la sua ombra veniva abusata.

“Ora che hai finito,” Akashi interruppe il suo rimuginare, “Tocca a me.” Prese il block notes dal tavolo e lo mise, aperto alla prima pagina, di fronte a Kagami. “Queste sono tutte le prove, gli indizi e le informazioni che sono riuscito a raccogliere su Kuroko Ibuki. Sappi che solo tu e mio padre li avete letti, nessun altro. Se ti lascerai sfuggire qualcosa, ne pagherai le conseguenze.” Kagami rabbrividì. “Bene, vedo che capisci. Leggi i miei appunti. Poi scrivi sull’ultima pagina tutto ciò che sai e che non è ancora scritto qui.”

“Tutto ciò che so?”

“Hai fatto delle ricerche, no?”

“Beh, si, ma –“

“Scrivi anche i dettagli più piccoli o apparentemente inutili. Devo sapere tutto.”

Aggrottando la fronte, Kagami prese il block notes ed iniziò a leggere la prima pagina. Come previsto, Akashi aveva riempito riga dopo riga grazie alla sua abilità  di ricerca e alla capacità di trovare connessioni. La maggior parte della cose che Kagami sapeva era già stata annotata dalla calligrafia ordinata ma frettolosa di Akashi. Quando finì di leggere la seconda pagina, Kagami pensò di non avere niente da aggiungere che non fosse già scritto.

Akashi aspettò ‘pazientemente’. “Allora?”

“Beh…” Kagami si grattò la testa e prese la penna. Beh, c’è quell’informazione inutile che mi ha passato il mio vecchio. Ma sarà davvero d’aiuto? Scrisse velocemente quello che gli aveva detto suo padre. “C’è solo una cosa che so e che non hai scritto. Ma dubito che possa aiutare.”

Akashi prese i fogli ed osservò i caratteri disordinati scritti da Kagami. C’era scritto: ‘Entrambi i genitori di Ibuki lavoravano nel mondo dello spettacolo, prima della loro morte.’

Akashi fece un sorrisetto.


Hm.


Kuroko era sdraiato sul suo letto, la testa e la schiena appoggiate ad una montagna di cuscini. Osservava inespressivo il soffitto, senza muoversi. Se lo avesse fatto sarebbe tornato il dolore. Kuroko non voleva muoversi, anche se stare così tutto il giorno lo faceva stare in ansia, perché non riusciva a togliersi dalla testa le parole e le azioni di suo padre.

Quella mattina aveva provato ad andare a scuola. Suo padre era uscito, sua madre dormiva ancora e Kuroko era sgattaiolato fuori di casa, facendo attenzione e non senza dolori. Ma quando era arrivato in classe riusciva a stento a reggersi ancora in piedi. Si era seduto con fatica al suo posto, notando che Kagami era assente.

Era riuscito in qualche modo a resistere per la prima ora, ma quando si era alzato per la lezione successiva era svenuto. L’insegnante, che per fortuna lo aveva notato, gli era corsa accanto ed aveva chiamato un’infermiera. Kuroko era stato portato in infermeria, ma era riuscito ad evitare che chiamassero i suoi genitori.

“Ma, Kuroko-kun, stai male! Dobbiamo chiamare almeno tuo padre!” gli aveva detto la professoressa.

“Non si preoccupi, sensei,” aveva risposto. “Sono solo stanco. Posso andare a casa?”

Dopo aver insistito ancora un po’, la professoressa, riluttante, l’aveva mandato a casa. Kuroko era riuscito ad arrivare senza cadere.

E così si era ritrovato a passare l’intera mattinata a letto, fissando il soffitto e vedendo le azioni di suo padre ripetersi nella sua mente. Otou-san l’avrà fatto per un buon motivo, aveva provato ad autoconvincersi, ma senza risultato.

Dopo l’atto di tradimento di suo padre, Kuroko si era ripulito con attenzione usando ciò che c’era nello zaino che aveva trascinato con sé. Akashi gli aveva preparato tutto: bende, ghiaccio, disinfettante e antidolorifici. Non sapeva se il suo naso era rotto o no. Per precauzione aveva cercato di respirare attraverso la bocca per tutto il giorno.

Arriverà mai il giorno in cui okaa-san non mi attaccherà?

Un rumore alla finestra interruppe i suoi pensieri. All’inizio era debole, quindi pensò di esserselo solo immaginato, ma poi si ripeté, stavolta con più forza. Kuroko spostò lentamente le lenzuola  e, molto lentamente, scese dal letto rinnovando il dolore in tutto il corpo.

“Bussano alla finestra?” Chi avrebbe potuto raggiungerla? La sua camera era al secondo piano. C’era un albero che le arrivava vicino, ma i rami erano molto alti. In effetti il ramo ‘più basso’ era proprio all’altezza della finestra.

Kuroko vi si trascinò e spostò le tendine, quindi spalancò gli occhi.

Akashi Seijuro era proprio lì su quel ramo, con un sopracciglio rosso alzato, in attesa. Fece un cenno verso la finestra. Kuroko si affrettò ad aprirla e la stanza si riempì di spiacevole aria fredda. “Akashi-kun –“

“Non c’è bisogno di rami per arrampicarsi su un albero,” rispose Akashi prima ancora che lui potesse fargli la domanda. “Da piccolo mi arrampicavo spesso anche su dei semplici tronchi.” Mostrò le mani a Kuroko, “Ho i guanti.”

Kuroko osservò i robusti guanti invernali e chiese, “Come mai sei qui, Akashi-kun? Okaa-san dovrebbe tornare tra poco.”

“So dalle mie fonti che al momento tua madre sta lavorando all’Atari Corporation. Starà al lavoro per altre quattro ore. Fammi entrare.”

Kuroko dovette obbedire, e si spostò indietro zoppicando per permettere ad Akashi di saltare attraverso la finestra. Akashi notò aggrottando la fronte il suo zoppicare e si lasciò scivolare con movimenti aggraziati nella camera calda e accogliente. Non appena fu entrato si mosse in avanti per afferrare con attenzione il mento di Kuroko; quest’ultimo trattenne il respiro.

“Sei ferito gravemente,” osservò Akashi facendo schioccare la lingua. “È già stata tua madre?”

“Non è così grave,” bisbigliò Kuroko.

Akashi lo guardò male. “Hai il naso gonfio. È rotto?”

“Non lo so.”

A questa risposta l’ex capitano sospirò. Allungò una mano verso il naso di Kuroko, non badando a suo sussulto, e ne tastò delicatamente il profilo. Akashi si assicurò che non ci fosse nessun danno interno. “Non è rotto,” confermò. “Ma è molto gonfio. Dovrai metterci del ghiaccio.”

“Hai,” rispose docile Kuroko.

Akashi annuì e gli lasciò il mento. Osservò velocemente il resto del suo corpo gracile, e fu contento di vedere che le altre ferite erano state curate per bene. Su una guancia di Kuroko c’erano ancora i graffi causati dal tacco della scarpa di sua madre. Un occhio era ancora un po’ gonfio, ma il peggio era passato, dato che Kuroko vi aveva applicato del ghiaccio ogni quindici minuti. Ai vecchi lividi se ne erano aggiunti di nuovi che però stavano guarendo ed erano violacei.

“Che succede?” chiese Akashi, notando che gli occhi di solito inespressivi di Kuroko erano invece colmi di emozioni. “Ti fa ancora male? Siediti.”

Era tipico di Akashi andare a casa di qualcun altro ed iniziare a dare ordini. Comunque, Kuroko lo ascoltò e si sedette sul letto. Akashi gli si sedette vicino. “Sai, questa è una violazione di domicilio, Akashi-kun,” commentò Kuroko.

“Sono offeso,” disse Akashi con voce monotona, poi aggiunse. “Mi hai permesso di entrare, non sto commettendo nessuna violazione.” Kuroko non rispose, quindi Akashi si girò per vederlo in faccia. “Tetsuya.” Il suo tono fermo convinse Kuroko a guardarlo negli occhi. “Che succede?” C’era qualcosa, oltre alle ovvie botte ricevute, che preoccupava il ragazzo dai capelli azzurri.

Kuroko si sforzò di fare un leggero sorriso. “Sto bene, Akashi-kun.”

“Mi stai mentendo?”

A questa domanda Kuroko fece una pausa. Il sorriso svanì dalle sue labbra. “Ah….” Strinse i pugni e si piegò in avanti, coprendosi gli occhi con i capelli. La sua voce uscì debole, come un bisbiglio, “Era tutto… solo una bugia. Otou-san mi ha mentito. Lui… ha mentito.” Kuroko si osservò le mani, che tremavano. Continuò a tremare ad ogni parola, “Tutti qui… solo una bugia. Ma otou-san… Non pensavo che anche otou-san…-“ Il ragazzo smise di parlare, o avrebbe iniziato a piangere.

Akashi ascoltò con attenzione ogni sua parola. Spalancò gli occhi quando sentì ‘otou-san’ e ‘bugia’. Gli avevo detto di aspettare qualche giorno.

“Tranquillo,” disse Akashi, notando che il respiro di Kuroko si faceva più pesante e più veloce. “Ascoltami, Tetsuya.” Lo prese per le spalle e lo voltò per averlo di fronte a sé. Kuroko si rifiutò di guardarlo negli occhi, quindi Akashi lo costrinse alzandogli il mento con due dita. “Non è tutto una bugia, Tetsuya,” disse con calma. “Dimmi, pensi che io sia una bugia?”

Akashi-kun? Una bugia? Kuroko pensava che fosse impossibile. “Certo che no, Akashi-kun,” disse subito.

Un sorrisetto piegò le labbra di Akashi. “Non sarò mai una bugia per te,” disse con voce più dolce, e si sporse, avvicinando la sua faccia a quella di Kuroko, tanto che quest’ultimo poteva sentire il suo profumo. “Tetsuya, posso provare a fare una cosa?”

Provare? “Si,” rispose esitante Kuroko.


Un paio di labbra morbide e fresche si posarono sulle sue.


Nella stanza di Midorima squillò un cellulare con una nota suoneria. Il riso che tratteneva tra le bacchette si fermò a metà strada verso la bocca. Le sue sopracciglia verdi si aggrottarono e lui rimise il riso nella scodella. Nessuno lo chiamava mai a quest’ora, date le sue ‘regole severe’ per la chiamate dopo l’orario scolastico. Nessuno, se non una certa persona.

“Potete scusarmi, Padre? Madre?” chiese il tiratore.

Suo padre fece un verso d’assenso; sua madre annuì.

Midorima si alzò e si allontanò dal tavolo dirigendosi in camera sua, dove il cellulare era posato sulla scrivania. Lo prese e controllò chi era a chiamarlo. Come previsto il nome ‘Akashi’ lampeggiava sullo schermo. Premette il tasto verde e lo salutò, “Akashi.”

“Shintarou.”

“Hai bisogno di qualcosa?”

“In effetti è così. Sei libero questa sera?”

Lui pensò a cosa doveva fare dopo cena ed annuì. “Sono libero, perché?”

Akashi mormorò la sua approvazione. “Ho un lavoro da affidarti. Riguarda Tetsuya.”

La sua attenzione aumentò molto quando sentì il nome di Kuroko. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, il benessere di Kuroko era importante per lui, per quanto potesse essere tsundere. “Di cosa si tratta?”

“Ho avuto… delle informazioni interessanti da Kagami Taiga, che a quanto pare è la nuova luce di Tetsuya. Voglio che tu faccia dei controlli. Stasera sono impegnato e voglio che te ne occupi tu, viste le tue eccezionali abilità di ricerca.”

Midorima tossì per nascondere quanto fosse lusingato per l’apprezzamento del suo ex capitano, che di solito dispensava molte critiche. Ma era vero. Se non si teneva conto di Akashi, che aveva conoscenze importanti grazie ai suoi genitori,( che tra l’altro erano due degli avvocati migliori del Giappone, quindi cercare prove era un istinto naturale per Akashi ), Midorima era il migliore nel fare ricerche. “Cosa vuoi che cerchi?”

“A quanto risulta dalle nuove informazioni, i genitori di Ibuki erano famosi nel mondo dello spettacolo.”

“Spettacolo?”

“Sì. Di che tipo di spettacolo però non lo sappiamo, visto che non ci sono prove o indizi abbastanza stabili per giungere a conclusioni. Voglio che ricerchi i nomi ‘Abe Miku’ e ‘ Suzuki Akihiko’, ed in particolare i loro genitori. Aiuterebbe se riuscissi a trovare dei nomi. Ma voglio solo sapere che tipo di persone di spettacolo fossero e, se non sono più in vita, la data della loro morte.”

“È tutto?”

“Sì,” confermò Akashi. “Mandami per mail tutte le fonti che hai controllato e fammi sapere tutto ciò che hai scoperto.”

Midorima annuì, anche se l’altro non poteva vederlo. “Lo farò subito, stasera.” Ci fu qualche secondo di silenzio, nessuno dei due riattaccò. Il ragazzo dai capelli verdi ne approfittò per commentare, “Sembri… più contento, Akashi. Sei di buon umore?”

“Sono contento, Shintarou. Sì, sono di buon umore.” Akashi riattaccò.

 
 
Finita la cena, Midorima salutò i genitori ed andò in camera sua, chiudendo la porta ed accendendo il suo computer. Chiuse tutte le cartelle mediche che aveva avuto il permesso di studiare ed aprì una nuova pagina di ricerca su cui digitò ‘Abe Miku’ e ‘Suzuki Akihiko’.

Trovò molti articoli con informazioni false o inaffidabili. Molti parlavano di Suzuki Akihiko come di un ‘lui’. Parlavano per lo più della popolarità di Suzuki o del successo di Abe nell’espandere i suoi affari. Solo di tanto in tanto menzionavano di sfuggita il suo passato misterioso, commentando in un paragrafo di ‘famosi genitori dal mondo dell’intrattenimento’.

Era riportato che i genitori di entrambe le identità erano maghi, cantanti, ballerini ed anche presentatori di uno show televisivo giapponese. Tutti gli articoli riportavano informazioni diverse, nessuna risorsa era in accordo con quanto detto da un’altra.

“Possibile che il suo passato sia davvero così nascosto e complesso?” si chiese stancamente Midorima dopo ore di ricerca. “Non so come abbia fatto Akashi a trovare prove attendibili delle sue tre identità. Hanno tutte un passato oscuro.”

Alla fine, come ultimo tentativo, digitò delle parole diverse e apparvero solo cinque siti. Midorima cliccò sul primo e lesse rapidamente.

‘Abe Miku, figlia di una famosa cantante e di un attore, sta migliorando notevolmente la sua posizione sociale. Ha recentemente ampliato i suoi affari anche in America…’

Midorima tornò indietro e cliccò sull’articolo successivo:

‘Abe Miku si sta riprendendo dalla morte dei genitori. Dopo la perdita della cantante e dell’attore, Abe-san sembra intenzionata ad espandere i suoi affari in tutto il Giappone. Il funerale è stato celebrato il 19 dicembre, ma Abe-san non vi è stata vista…’

Due articoli che parlano di una cantante ed un attore… il 19 dicembre? Midorima cliccò ancora su un altro articolo.

‘Suzuki Akihiko ha perso il 17 dicembre entrambi i genitori in un tragico incidente. La data dei funerali non è ancora nota. L’impresa di Suzuki-san sta comunque ancora crescendo a dismisura e sembra intenzionata ad acquisire la Jibun il prossimo 21 dicembre…’

Gli altri articoli dicevano le stesse cose, per entrambe le identità. Midorama prese nota di tutte le fonti, le mise in un documento e ci scrisse alcuni appunti, come la data dei decessi, del funerale e la strana crescita degli affari subito dopo le morti. Ma non aveva trovato nessun nome.


Allegò il documento ad una mail e lo mandò ad Akashi, contento di essere riuscito a svolgere il suo compito.


Erano già le dieci di sera quando Akashi arrivò a casa, a Kyoto. Aveva intenzione di chiamare suo padre e poi di riposarsi, ma quando notò Aomine e Kise davanti alla sua porta capì che le cose non sarebbero andate come aveva programmato.

Ma era ancora di buonumore, cosa rara per lui, e questo grazie ad un certo qualcuno. La sensazione di calore sulle sue labbra non era ancora svanita. “Daiki, Ryouta. Come mai siete qui?” Akashi si avvicinò a loro, inarcando un sopracciglio in attesa.

“Akashicchi!” urlò Kise, gettandosi in avanti ed afferrandolo per le spalle. “Devi aiutarli! Per favore! Usa i tuoi contatti, qualsiasi cosa, non importa! Devi farlo!”

“Calmati, Ryouta,” disse Akashi posando una mano su quella di Kise. La stretta sulle sue spalle non era particolarmente dolorosa, ma gli dava comunque fastidio. “Non mi piace che mi si ordini di fare qualcosa. Perché devo?”

Aomine afferrò Kise per il retro della maglietta e lo spostò da addosso ad Akashi. “È un po’ stressato,” disse con tono burbero. “Non ha preso bene la notizia.”

“Di che si tratta?”

“Ibuki ha rovinato la reputazione dei suoi genitori,” spiegò amaramente Aomine. “E con rovinato, intendo davvero rovinato. I suoi genitori sono stati retrocessi fino al livello più basso. E sai che suo padre era il pilota con il grado più elevato… I loro stipendi sono stati ridotti di oltre la metà.”

“È terribile!” Kise si asciugò gli occhi con la manica della giacca. “T-tou-san è stato accusato ed hanno ‘dimostrato’ che beveva a usava droghe, ma lui non lo farebbe mai! E… e Kaa-san è stata accusata dell’incendio delle cucine che una settimana fa ha distrutto un edificio e quindi non potrà più condurre il suo show.” Le parole di Kise si fecero incoerenti, e lui iniziò a singhiozzare, portentosi le mani alla faccia. Aomine mise un braccio intorno al biondo, tenendolo vicino a lui.

“Non so come abbia fatto,” disse Aomine abbassando la voce, “Ma è riuscita ad avere prove ‘schiaccianti’ a suo favore. Ora i genitori di Kise sono nei casini.”

“Non è giusto,” disse Kise piangendo contro il petto di Aomine. “È tutta colpa mia. Io… io l’ho fatta arrabbiare.”

Aomine cercò di calmarlo e gli passò una mano tra i capelli biondi. Un po’ imbarazzato, gli diede un bacio sulla testa. “Zitto ora,” disse poi, dato che non era molto bravo a confortare gli altri. “Stai balbettando. Non è stata colpa tua.”

“Aka-Akashicchi,” disse Kise con voce debole, mentre si asciugava gli occhi per incontrare lo sguardo furioso dell’altro. “Devi fare qualcosa per la madre di K-Kurokocchi… o farà del male a tutti.”

“Fidati di me, Ryouta,” rispose con tono freddo Akashi, che ormai aveva perso il buonumore. Nei suoi occhi c’era uno strano scintillio. “La fermerò.”

 
 
Akashi pagò un taxi per riportare Aomine e Kise alla stazione, quindi entrò nella sua camera ed andò dritto verso il computer. Controllò come prima cosa le sue mail e notò subito quella di Midorima. Ci cliccò per aprirla e, ignorando la lista delle fonti, scese subito a leggere gli appunti. Trovò scritte lì le date e le professioni.

Hai fatto un buon lavoro, Shintarou. Akashi pensò di chiamare il capitano del ragazzo dai capelli verdi e di chiedergli di diminuire del 50%  gli allenamenti di Midorima. “Cantante e attore, hm? Perché non ci sono i nomi?” Continuò a leggere. “Gli affari crebbero subito dopo le morti? C’è stato un accordo… il 21 dicembre. Questa deve essere una data importante.”

Aprì il browser e fece una ricerca. Stava cercando una lista di persone famose morte nella settimana prima del 21 dicembre dell’anno in cui Ibuki aveva fatto l’accordo. Dopo aver confrontato diverse fonti ebbe una lista con sette nomi.

“Sette, eh?” Akashi li guardò velocemente. “Due di loro non sono né cantanti né  attori. Questo li riduce a cinque.” Si sgranchì i muscoli delle braccia, aprendo e chiudendo le mani. Scoprirò ogni segreto di questi cinque.

Spostò lo sguardo di lato, dove una scacchiera da shogi era posta innocentemente su un tavolino; le pedine erano ancora nella stessa posizione dell’ultima volta che aveva giocato. “Bene, Ibuki,” mormorò.

“Hai fatto la tua mossa. Ora tocca a me.”

 



 
NdT: Scusate il ritardo! Quella di aggiornare con anticipo la scorsa settimana non è stata poi un' idea così geniale...
Tra l’altro, non avevo tenuto conto del fatto che il mio computer ed il caldo estivo decisamente non vanno d’accordo. D’ora in poi credo che non riuscirò ad aggiornare più di una volta a settimana.
Ma spero che mi perdonerete dopo aver letto questo capitolo! Le cose si fanno interessanti, sotto diversi punti di vista. Le ricerche, così come le relazioni, iniziano a fare passi avanti…
Alla prossima, Nienor_11

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15


Akashi Hayato si sfregò gli occhi e, lamentandosi, appoggiò la fronte alla sua scrivania. Ibuki era la persona con più segreti con cui avesse mai avuto a che fare. Se questo fosse stato un caso ufficiale, probabilmente avrebbe ammesso che si trattava del più difficile di cui si era occupato fin’ora. Non riusciva a trovare niente di sicuro o di nuovo su di lei; niente. C’erano solo informazioni false o vaghi eventi. Sua moglie era riuscita ad avere qualche dettaglio in più sui rapporti delle violenze, come le date e i nomi delle vittime, ma oltre a questo le sei ore in cui erano stati occupati con le ricerche non erano servite a niente.

Hayato sospirò e rialzò la testa. Si passò le mani tra i capelli rossi. Stanno diventando lunghi, notò. Lunghi per lui, perché in realtà erano ancora piuttosto corti, come quelli di suo figlio. “È meglio mandare i rapporti a Seijuro,” mormorò.

“Digli di venire a casa per il weekend,” gli ordinò sua moglie mentre passava davanti al suo ufficio. Aveva un sorrisetto stampato sulle labbra. “Deve ancora pagare per avermi nascosto Ibuki.”

Sapendo che era meglio non contraddirla si limitò ad annuire e aprì la mail, allegando una cartella con tutti i documenti ed i rapporti. La mandò al figlio, aggiungendo un breve messaggio: ‘Tua madre ti vuole a casa per il weekend. È meglio fare come dice lei!’

“Hayato.” Rin entrò nell’ufficio, sbattendo sulla scrivania pile di scartoffie. “Prenditi una pausa dal caso Ibuki. Hai un nuovo caso; il processo sarà tra un mese. Io sto già lavorando su due casi, quindi questo tocca a te.”

Lui guardò le scartoffie sollevando un sopracciglio. “Questo non lo chiamerei ‘fare una pausa’.”

“Chiamalo come ti pare.”Rin scosse una mano e si girò per uscire. “Oggi mi occupo io delle ricerche su Ibuki.”

“Va bene,” sospirò lui mentre la porta si richiudeva. Prese i primi fogli iniziando a studiarli, poi sbatté le palpebre e guardò verso la porta. “Aspetta, ma non ha detto che lei ha due casi? Come trova il tempo per fare le ricerche su Ibuki?”


Si sbatté una mano sulla faccia con un lamento, perché sapeva che sua moglie l’aveva fregato ancora una volta.


Kuroko uscì di casa chiudendo la porta senza far rumore.  Non aveva più visto suo padre e non sapeva se sua madre fosse in casa o no. Quel giorno era pronto per tornare a scuola. Aveva preso degli antidolorifici ed aveva ribendato le ferite più serie. I lividi erano quasi tutti nascosti, il suo zoppicare era invece piuttosto evidente. Aveva anche un cerotto bianco sulla guancia per coprire i graffi lasciati dalla scarpa di sua madre.

Akashi lo aveva aiutato a disinfettare le ferite che non poteva raggiungere da solo, come quelle sulla schiena. Kuroko cercò di non arrossire al pensiero di Akashi. In parte si era aspettato un bacio, vista la loro posizione, ma era stato comunque sorpreso di sentire le labbra di Akashi contro le sue. Era stato un bacio lungo ma casto. Kuroko, che non aveva esperienza, si era limitato a muovere le labbra ogni volta che Akashi le muoveva. Il rosso aveva ridacchiato quando aveva interrotto il bacio e, come se niente fosse, gli aveva chiesto di potersi occupare delle sue ferite.

Fino a quel momento Kuroko non si era preoccupato per le sue preferenze nelle relazioni sentimentali. Non aveva avuto tempo di occuparsi di qualcosa di così ridicolo, anche perché sua madre avrebbe fatto del male a chiunque fosse stato con lui. Ora però non riusciva a spiegarsi la sensazione di ‘disagio’ che stava sentendo da quando Akashi era andato via.

La suoneria del suo cellulare lo distrasse dai suoi pensieri. Kuroko si incamminò zoppicando verso la scuola, cercando intanto il cellulare nella borsa. “Pronto? Qui Kuroko,” rispose con voce monotona.

“Tetsu,” disse la voce roca di Aomine.

“Aomine-kun,” disse Kuroko con tono leggermente sorpreso. “Hai bisogno di qualcosa?”

“In realtà si tratta di quello di cui tu hai bisogno,” disse Aomine sospirando. “Vuoi un passaggio per andare a scuola? È una rottura, ma sono vicino. Ed è stupido ed avventato camminare quando si sta male.”

Kuroko sbatté le palpebre, continuando a camminare verso la scuola. “Ah, è gentile da parte tua, Aomine-kun. Ma sto bene, andrò a piedi.”

“Oi, Tetsu,” protestò Aomine. “Ti sto offrendo un passaggio. Akashi mi uccide se scopre che ti ho lasciato andare a scuola da solo.”

“Di’ ad Akashi-kun che non ho bisogno di un passaggio,” disse Kuroko con tono inespressivo.

“Ma – !”

“Grazie, Aomine-kun. Ciao.” Riattaccò e mise via il cellulare. In realtà a Kuroko sarebbe piaciuto avere un passaggio, ma in quel momento non voleva dipendere da nessuno. Se non riusciva a fare una cosa tanto semplice come camminare fino a scuola allora era davvero debole.

La campanella suonò proprio mentre stava entrando in classe. L’insegnante gli fece un cenno, contento che il suo studente ‘invisibile’ stesse bene. Kuroko arrancò fino al suo banco e si sedette. Quel giorno Kagami era presente e si girò verso di lui mentre si stava sedendo. Kuroko si preparò mentalmente a ricevere una sfilza di domande.

Che però non arrivarono.

“Stai… bene?” gli chiese Kagami con imbarazzo.

Kuroko lo osservò sbattendo le palpebre. “Hai, sto bene. Ho solo avuto un incidente, quindi sono dovuto restare a riposo per qualche giorno.”

Kagami fece una smorfia per la bugia, ma poi annuì. “È un bene, credo. Cioè, che stai bene.” Posò una mano sulla testa di Kuroko, cercando di ignorare il livido che gli si vedeva sul polso ed il cerotto sulla guancia.“Potevi almeno dircelo. In questi giorno Riko andava in giro borbottando che ti avrebbe ucciso.”

 Kuroko allontanò la mano dalla sua testa e sospirò. Già, presto avrebbe dovuto fare i conti con gli allenamenti che aveva saltato. Sapeva che non poteva ancora allenarsi (o Akashi l’avrebbe sicuramente scoperto), ma poteva per lo meno assistere e guardare gli altri.

Comunque era strano che Kagami non gli stesse facendo domande o  che non fosse arrabbiato per quando sua madre aveva interrotto l’allenamento in palestra. Kuroko aveva pensato che Kagami sarebbe stato quello più arrabbiato di tutti.

Le ore a scuola passarono senza incidenti. Kuroko riuscì a resistere per tutto il giorno senza svenire, anche se arrivava un po’ in ritardo a tutte le lezioni, dato che era costretto a camminare lentamente. Non incontrò nessuno degli altri giocatori del Seirin se non Kagami, che era in classe con lui. Ignorò lo strano comportamento di Kagami ed evitò le persone che non lo notavano.

“In piedi! Inchino!”

“Grazie per il lavoro di oggi,” dissero in coro gli studenti.

Kuroko ritirò i suoi appunti e si mise in spalla la borsa, sussultando. “C’è un allenamento dopo,” disse Kagami sgranchendosi i muscoli e sbadigliando. “Ma è meglio se non vieni.”

“No, ne ho già saltati troppi. Verrò a vedere.”

“Sei sicuro?” gli chiese Kagami guardandolo con aria preoccupata.

Kuroko lo guardò inespressivo. “Sei stranamente premuroso, Kagami-kun.”

Il campione si girò, con un leggero rossore sulle guance. “N-non è vero! Che c’è di male se mi preoccupo?”

“Beh, è stano. Smettila per favore.” Kuroko, sempre molto diretto, non prestò attenzione alla reazione di Kagami e si incamminò lentamente fuori dall’aula. “Vieni, Kagami-kun?”

Kagami, con un tic all’occhio, uscì dalla classe e lo raggiunse. “Ti faranno delle domande,” gli disse.

“Lo so. Mi sorprende che tu, Kagami-kun, non ne abbia fatte.”

Il rosso non gli rispose.

 
 
“Kuroko!”

Il nome fu urlato da diverse voci. All’improvviso tutti gli alti giocatori si fiondarono sul povero ragazzo. Hyuuga fu il primo a raggiungerlo, quindi arrivò Teppei seguito dal resto della squadra. Aida li raggiunse per ultima, ma si fece largo tra la ‘folla’ ed avanzò verso Kuroko. Fece scattare una mano, afferrandogli entrambe le guance. “Brutto moccioso.” Il suo occhio sinistro ebbe un tic e lei fece un sorriso chiaramente falso. “Voi matricole pensate di poter fare tutto quello che volete. Cosa ti fa pensare di poter sparire all’improvviso senza avere una giustificazione?”

“Ah… Mi dispiace,” riuscì a dire Kuroko mentre le sue guance venivano tirate avanti e indietro. Non gli dava fastidio al taglio sulla guancia, ma non era nemmeno piacevole.

Mentre lo stava ‘torturando’, Aida notò il cerotto e due lividi violacei che avrebbero dovuto essere nascosti dai capelli. Smise ti tirargli le guance e fece un passo indietro per osservarlo con uno sguardo attento. “Ti sei fatto male,” disse, spalancando gli occhi.

“Si, mi hai fatto male,” rispose, massaggiandosi la guancia senza cerotto.

“No, non quello. Intendo quei lividi. E cos’hai fatto alla guancia?”

Kuroko coprì con una mano i lividi che erano appena sopra un suo sopracciglio; quelli erano dovuti ad uno dei pugni di sua madre. Ma i suoi capelli erano abbastanza lunghi, quindi aveva pensato che non si sarebbero visti.

“Già, e quando sei entrato ho notato che stavi zoppicando,” aggiunse Koganei.

“Aspetta, quelle sono –“ Hyuuga si avvicinò e spostò la maglietta, che a Kuroko stava larga, per scoprirgli una spalla, rivelando le bende che gli fasciavano il corpo. “Bende? Cosa cavolo ti è successo, Kuroko?”

Si mette male, pensò Kagami.

Kuroko allontanò la mano di Hyuuga e si risistemò la maglietta. “Per favore non fare queste cose così all’improvviso. Mi sono fatto male durante una rissa.”

Hey, se proprio devi mentire usa almeno sempre la stessa scusa. Mi hai appena detto di aver avuto un incidente; Kagami lo guardò in modo strano.

“Una rissa? Hai avuto una rissa?” La squadra proprio non riusciva ad immaginare il loro Kuroko, educatissimo e mingherlino, coinvolto in una rissa.

“Due ragazzi si stavano picchiando e siccome non mi hanno notato, ed io stavo passando vicino a loro, mi hanno colpito per sbaglio.”

Si sorpresero tutti, compreso Kagami. In effetti era una cosa realistica, che sarebbe potuta succedere a Kuroko. Persino Kagami ci avrebbe creduto, se non avesse già saputo la verità. Kuroko ignorò le loro reazioni e si chinò. “Mi scuso per le mie assenze, e purtroppo nemmeno oggi posso allenarmi. Ma starò qui a guardare voi.”

“Beh, si, va bene ma,” Aida si mordicchiò un labbro osservando di nuovo Kuroko. Quelle ferite sembravano piuttosto serie.

“Ragazzi, basta guardarlo e fargli domande,” intervenne finalmente Kagami. “Non dobbiamo allenarci? Giochiamo o no? Nel weekend avremo un’altra amichevole, giusto?”

“Pensavo che soprattutto tu, Kagami,  gli avresti fatto domande,” ribatté Hyuuga. “Eravamo tutti in pensiero e volevamo sapere cos’è successo a Kuroko.”

Il campione si grattò la testa. “Ma ora è tornato. Certo che sono curioso, ma non ho intenzione di braccarlo per avere risposte,” borbottò.

“Kuroko.” La voce tranquilla ma forte di Teppei fece fermare tutti i mormorii. Kuroko si voltò verso il senpai. “Stai subendo degli abusi?”

Tutti trattennero il respiro. Kagami si immobilizzò. Kuroko si limitò a fissarlo. Ora la domanda che aveva tormentato la mente di tutti, (tranne che in quella di Kagami, che aveva saputo la verità un paio di giorni prima),da quando la madre di Kuroko si era presentata agli allenamenti, era stata fatta apertamente. Ora avevano paura di conoscere la risposta. Avrebbero preferito che Teppei non fosse stato così diretto.

Aspettavano tutti una risposta, ma questa non arrivò. Kuroko rimase in silenzio, con lo sguardo inespressivo fisso negli occhi di Teppei. Il suo viso non mostrava nessun segno di una qualsiasi emozione. Kagami colse l’occasione per mettersi davanti a Kuroko. “Ma che domande fai?” chiese. “Non sono affari tuoi.”

Teppei aggrottò le sopracciglia per qualche secondo, poi scrollò le spalle e per scusarsi sorrise a Kuroko da dietro la spalla di Kagami. “Scusami, Kuroko. Dimentica quello che ho detto.”

“Va bene,” gli rispose con voce monotona.

“O-ok!” urlò Hyuuga. “Forza iniziamo! Soprattutto voi, matricole; avremo una partita nel weekend e questa volta non perderemo!”

Tutti urlarono per darsi la carica e così si spezzò la tensione; Kuroko andò alle panchine per assistere. Anche se il ragazzo non lo mostrava, guardando Kagami e gli altri giocare sentiva il forte desiderio di unirsi a loro. Era da giorni, forse già da una settimana che non giocava a basket e gli mancava le sensazione della palla tra le mani, anche solo per qualche secondo. Kuroko iniziò ad agitarsi nervosamente.

Il cellulare che vibrava catturò la sua attenzione. Kuroko aggrottò la fronte mentre lo prendeva da una tasca. Di solito solo Kagami e Akashi gli mandavano degli sms; in quel momento Kagami era proprio lì, e Akashi avrebbe dovuto essere ancora a scuola. Aprì il cellulare per vedere chi gli aveva scritto.

Otou-san.

Il respiro di Kuroko si fece irregolare quando vide il nome di suo padre. Perché gli stava scrivendo? Doveva proprio leggere il messaggio?

Ma il ragazzo sapeva che era maleducazione ignorare un messaggio di suo padre, quindi lo aprì e lesse lentamente i caratteri che lo componevano:

Tetsuya, capisco che ora non mi vuoi vedere né parlare. Per quanto io mi scusi, le mie azioni rimarranno impresse nella tua memoria. Ma per favore, questa sera permettimi di spiegarti alcune cose. Ti chiedo solo questo, Tetsuya. Tua madre non sarà a casa ed io tornerò prima dal lavoro.

Alla fine del messaggio c’era la firma ‘Kuroko Haru’.


Kuroko rilesse ancora una volta il messaggio, ancora più lentamente. Le parole non cambiavano. I suoi occhi blu si fecero tristi al pensiero di suo padre. Si chinò in avanti, facendo in modo che i capelli gli coprissero il viso, e chiuse il telefono, rimettendolo nella borsa. “Otou-san…”


“Kuroko-san!” Tre persone salutarono Kuroko Haru avvicinandosi all’entrata di un ristorante. Il padre di Kuroko le aspettava lì in piedi, con aria stanca.

“Ne è passato di tempo dall’ultima volta,” disse quello che lo raggiunse per primo. “Grazie per averci invitati qui.”

“Già,” annuì Haru facendo un piccolo sorriso. “Anche se a dire il vero è passato solo un mese. Ma è sempre un piacere vedervi, Jun-kun, Hiroshi-kun, Catherine-san.”

“Un mese è pur sempre un lungo periodo, Kuroko-san,” disse sorridendo Catherine, una donna straniera dai capelli biondi. Aveva un viso ovale dall’aspetto gentile, incorniciato dai capelli chiari che le arrivavano fino ad appena sopra le spalle. Era più giovane del padre di Kuroko, ed era molto carina.

Haru aprì la porta del ristorante e li fece entrare. “Chiamatemi pure solo per nome.”

“Eh? Allora tu lascia perdere gli onorifici, Kuroko-san,” disse Hiroshi, il proprietario di una piccola impresa, facendo un sorrisetto e guardando Haru con un sopracciglio inarcato.

Per l’uomo dai capelli azzurri era strano chiamare qualcuno solo per nome (tranne Ibuki, ovviamente). Rivolgersi a tutti in modo educato era nella sua natura. Non era stata sua intenzione passare questa sua personalità fin troppo educata a Tetsuya, ma lui se ne era impadronito fin da piccolo. Haru deglutì al pensiero di suo figlio.

“Lascialo stare, Hiroshi,” disse Jun, il più vecchio dei tre, mentre teneva la porta aperta anche per Haru. “Sappiamo tutti che per Kuroko-san è impossibile chiamarci senza onorifici.”

“Un tavolo per quattro?” chiese una cameriera.

Haru annuì, “Si, grazie.”

Lei fece un inchino e li invitò a seguirla con un gesto della mano. “Da questa parte, prego.”

Poco dopo erano tutti seduti, Hiroshi e Jun da un lato del tavolo e Catherine e Haru dall’altro. Bevettero tranquilli il loro the mentre sceglievano cosa ordinare per quel pranzo nel tardo pomeriggio. Haru non aveva fame, quindi non aveva neanche preso il menù. Quello che avrebbe dovuto fare da lì a pochi minuti gli toglieva completamente l’appetito.

“Allora, Kuroko-san”. Jun, dopo aver ordinato, restituì il menù alla cameriera e lanciò uno sguardo verso l’uomo dai capelli azzurri. “Come mai ci hai fatti venire qui all’improvviso?”

“Già, è stata proprio una sorpresa,” disse Catherine sorseggiando il suo the. “A proposito, come sta tuo figlio? È da così tanto che non lo vedo!” Anche Jun e Hiroshi lo volevano sapere. Per loro Kuroko Tetsuya era un ragazzo adorabile e innocente.

Posso fidarmi di loro, vero? Pensò cautamente Haru. Hiroshi-kun è il proprietario di una piccola impresa, Catherine-san è una modella e Jun-kun è un reporter. Non dovrebbero essere sotto l’influenza di Ibuki. Eppure agiva ancora con cautela verso i suoi vecchi colleghi. Ma doveva pur fidarsi di qualcuno, e queste persone erano le più affidabili che conosceva. “Ah, in realtà è proprio per questo che vi ho chiamati qui.”

“Perché ci hai chiamati qui?” Hiroshi si sporse in avanti appoggiando il mento sul palmo della mano. “Ci hai chiamati per tuo figlio?”

Haru strinse le labbra; trovava quella situazione più difficile del previsto. Abbassò lo sguardo sul tavolo e strinse le mani che teneva in grembo. “Conoscete mia moglie, no?” bisbigliò.

Per fortuna gli altri lo sentirono, nonostante la voce bassissima. “Ibuki? Si, l’abbiamo incontrata una volta,” disse Hiroshi con una smorfia. “Una donna sgradevole, non riesco a capire perché tu l’abbia sposata.”

Me lo domando anch’io, pensò Haru. Prima che Tetsuya nascesse… eravamo davvero felici a quel tempo? “Ed è strano che non vediate più mio figlio da anni, no?” continuò Haru sempre a bassa voce.

Jun fece un’espressione sorpresa. “Beh, abbiamo pensato che fosse strano, ma non ci siamo mai posti davvero il problema.”

“È perché… Tetsuya è – abusato,” riuscì a dire Haru con voce strozzata. Quelle parole gli lasciarono un gusto amaro in bocca.

Catherine smise di bere il the; Hiroshi alzò di scatto lo sguardo verso Haru; Jun si bloccò. “Cosa – cosa hai detto, Kuroko-san?” riuscì a chiedere Catherine. “Se è uno scherzo non è divertente.”

“No,” rispose lui piano. “È la verità.”

“Aspetta.” Hiroshi si era ripreso dalla trance in cui era caduto. “Ci stai dicendo che tuo figlio, Tetsu-kun, è abusato? Da chi?”

Haru distolse lo sguardo. “Da Ibuki.”

Jun inspirò rumorosamente e la presa delle sue mani si strinse sulla sua tazza. “Tua moglie?”

“Sì…”

“D-da quanto?” chiese Catherine.

Haru si coprì il volto con una mano. “Da quando Tetsuya aveva quattro anni.”

“Quattro anni?” chiese Hiroshi. “Vuoi dire che Tetsu-kun è stato – anzi è ancora – abusato da dodici anni? E tu stai ancora con quella donna?”

“Hai.” La risposta si sentì appena.

Haru non se l’era aspettato, o forse si, ma non così all’improvviso. Ci fu un urlo ‘No, Hiroshi!’ poi qualcuno lo strattonò per la camicia, obbligandolo ad alzarsi in piedi. “Brutto figlio di –“ Gli arrivò un pugno dritto su una guancia, ed il dolore iniziò subito ad espandersi in tutto il suo volto, mentre lui cadeva a terra sul pavimento freddo e con una guancia gonfia. Haru si portò una mano alla zona colpita. Si, per favore, pregò mentalmente, Fatemi male. Me lo merito.

“Come hai osato?” ringhiò Hiroshi, che era in piedi davanti a lui ed aveva le nocche della mano destra arrossate. “Hai permesso a quella brutta stronza di abusare di Tetsu-kun per così tanto?E sei ancora sposato con lei? Ma cosa cazzo hai in mente? Divorzia da quella troia e porta via Tetsu-kun!”

Haru non rispose. Cercò di alzarsi, con una mano ancora sulla guancia e l’altra a terra per aiutarsi. Riuscì a mettersi in ginocchio, ma poi si fermò. In fondo se Hiroshi doveva colpirlo di nuovo, era meglio stare a terra e prendersele. Suo figlio se le prendeva di santa ragione quasi ogni giorno.

“E-Ehm, per favore, evitate di usare questo linguaggio e la violenza in questo edificio. Se creerete ancora disturbo d-dovremo chiedervi di uscire,” disse una cameriera con voce nervosa. Haru, che si vergognava, evitò di guardarla.

“Ci dispiace moltissimo,” disse Jun alzandosi per chinarsi. “Non disturberemo più.”

“Kuroko-san,” la voce tranquillizzante di Catherine risuonò vicino al suo orecchio. “Alzati. Hiroshi ha agito stupidamente. Vero, Hiroshi?” Il suo tono sottintendeva un leggero avvertimento.

Hiroshi si massaggiava la nuca, frustrato. “Si… Mi dispiace, Kuroko-san. Ho agito prima di pensare.” Gli porse una mano, che Haru strinse per tirarsi su. “Sono sicuro che avrai i tuoi buoni motivi.”

“Esatto,” annuì Catherine. “Non sei il tipo che terrebbe Tetsu-kun in questa situazione senza una buona ragione.”

Si erano riseduti tutti ai propri posti, e Haru si teneva al fresco la guancia con una bottiglia di acqua ghiacciata che Catherine aveva comprato. Arrivò il cibo che avevano ordinato, e la cameriera lo servì velocemente, prima di allontanarsi in fretta. Catherine e Jun guardavano male Hiroshi, che si limitava a sorridere imbarazzato.

Jun fu il primo a parlare, dopo aver assaggiato un boccone. “Allora, Kuroko-san.” Haru alzò lo sguardo sui suoi colleghi. “Perché non hai divorziato da Ibuki o non l’hai denunciata alla polizia? Ce le hai delle prove, no?”

“Mostrare direttamente alla polizia un paio di foto non servirebbe a niente,” li informò Haru. “Sapete che Ibuki è molto influente.”

“Si, ma sarebbe comunque responsabile per aver violato delle leggi,” ribatté Hiroshi.

Haru scosse la testa. “Ibuki è la persona più influente del Giappone. Attaccarla dall’esterno è inutile.” Si prese la testa tra le mani. “Se divorziassi da lei, le verrebbe dato l’affidamento di Tetsuya, e questo peggiorerebbe solo le cose. E se anche venisse accusata per gli abusi, dovrebbe solo pagare una cauzione. Ha delle connessioni che vanno anche oltre il governo.”

“Ma non puoi permettere che Tetsu-kun continui così,” disse Catherine. I tre pensarono al ragazzino che avevano visto quattro anni prima: educato, dolce e dalle buone maniere. Erano stati invitati ad una partita di Kuroko con il Teiko, quando lui era stato accettato nella prima squadra. Erano rimasti tutti meravigliati per il modo in cui il ragazzo cambiava quando era in campo e giocava a basket.

“Lo so,” disse Haru. “Ecco perché sto pensando di attaccarla dall’interno.”

“L’interno…?” chiese Jun inarcando un sopracciglio.

“Hai. Ibuki ha molti segreti che il governo non conosce o sta nascondendo. C’è un amico di Tetsuya, Akashi Seijuro, che mi sta aiutando.”

Hiroshi fishiò. “Akashi, eh? Sei riuscito ad avere la famiglia Akashi dalla tua parte? Beh, cazzo, in questo caso sì che hai una chance.”

“Bada a come parli,”disse Jun tirandogli un colpo in testa.

“Il motivo per cui vi ho fatti venire qui… era questo.” Haru tirò fuori qualcosa dalla sua borsa e lo posò sul tavolo. Erano nove foto, tre per ognuno di loro. Catherine si sporse in avanti ed iniziò ad esaminarle per prima.

Si lasciò sfuggire un sospiro inorridito, “Queste sono…!”

“Foto degli abusi,” completò cupamente Jun.

Le foto erano semplicemente indescrivibili. Erano immagini chiare ed orribili di Ibuki e Kuroko; quest’ultimo era per terra e cercava di proteggersi con le braccia. Haru le aveva scattate da un’angolazione con cui si vedevano le facce di entrambi. In due delle tre foto Ibuki lo stava prendendo a calci. Nella terza gli stava tirando un pugno direttamente su un occhio. Erano difficili da guardare; a Catherine vennero le lacrime agli occhi per l’espressione di dolore che poteva vedere sul volto di Kuroko. Ma fu l’espressione che il ragazzo aveva nella terza immagine a far posare a tutti loro le foto e a fargli distogliere lo sguardo. Nell’ultima foto, a differenza delle altre due, Kuroko era completamente inespressivo. Il suo sguardo era vuoto, senza emozioni; nulla traspariva dal suo volto. Il pugno che stava ricevendo non gli causava nessuna emozione; non c’era niente.

“Ho bisogno che voi mostriate queste foto e raccontiate di Kuroko Ibuki a delle persone di cui vi fidate,” disse Haru con voce debole. “A persone che non siano sotto l’influenza di Ibuki. Abbiamo bisogno di avere più persone possibile dalla nostra parte. Per favore,” abbassò lo sguardo. “Questa sarà l’ultima volta che vi chiederò qualcosa.”

“Kuroko-san, queste foto,” iniziò Hiroshi, “Sono state scattate durante gli abusi. Vuol dire che…?”

Haru deglutì e non rispose. Jun inspirò rumorosamente. “Le hai scattate tu. Mentre tutto questo succedeva, tu guardavi e scattavi le foto.”

Lui continuò a non rispondere. “E-e T-Tetsu-kun?” Catherine aveva paura di chiederlo ma doveva sapere.

Di nuovo, Haru non rispose. La donna gemette. “N-Non dirmi che Tetsu-kun ha dato la colpa a te?”

“Ho dovuto,” disse finalmente Haru. “Ho dovuto… Non ho avuto scelta, ho dovuto.” Guardava il tavolo, confuso e scosso. “Ho…dovuto. Mi capite, no? Ho dovuto.” I ricordi di lui che guardava suo figlio venire picchiato a pochi passi di distanza, mentre lui stava fermo senza fare niente, lo tormentavano. La faccia inespressiva di Kuroko che gli diceva di non toccarlo gli aveva fatto venire una crisi nervosa quella notte. Era una cosa che lasciava il segno, qualcosa di cui la sua mente non si sarebbe mai liberata, anche se suo figlio lo avesse perdonato.

Due braccia circondarono Haru, che si ritrovò con il naso schiacciato contro una spalla calda. Dei capelli biondi ricadevano vicino alla sua fronte. “È orribile,” disse Catherine, sbigottita. “Dover guardare mentre tuo figlio è picchiato, scattando foto per aiutarlo… e poi essere incolpati.” Le sue mani, femminili ma forti, gli strinsero la schiena. “Mi dispiace così tanto.”

Haru scosse lentamente la testa. “Ho dovuto.” La sua voce si spezzò e delle piccole lacrime gli scesero lungo le guance. “Ho dovuto… riprenderla mentre dava il peggio di sé, quindi l’ho presa in giro – l’ho incoraggiata. Avevo bisogno che mi credesse dalla sua parte. Ho dovuto,” pianse aggrappandosi alla maglia di Catherine. “Ma capisco l’odio di Tetsuya; è quello che mi merito. Ma la sua faccia quel giorno – la sua faccia –“ Haru non riusciva più a parlare in modo coerente. Piangeva in silenzio, senza fare troppo rumore.

Sentì che Hiroshi chiedeva il conto. Arrivò la cameriera, cercando di non badare a Haru, e posò il conto sul tavolo, per poi tornare veloce alla sua postazione.

“Non preoccuparti, Kuroko-san,” disse Jun con voce rassicurante. “Lo faremo. Essendo un reporter ho molte conoscenze. E riguardo a tuo figlio… dovresti chiarire subito come stanno le cose.” Appoggiò il mento a una mano e guardò fuori dalla finestra. “Conosco Tetsu-kun abbastanza bene da sapere che è il ragazzo più rispettoso e brillante che conosca. Lui capirà.”


Lo so, pensò Haru tra le lacrime. Lo so.


“S-signora!” due uomini si fiondarono nel suo ufficio e si avvicinarono alla scrivania. “C’è un’emergenza, Abe-san!”

“Che succede?” chiese freddamente Ibuki, irritata dall’intrusione.

“Qualcuno ha guardato i suoi file, signora,”disse subito uno dei due. “I file personali e anche quelli del governo. Per alcuni ci sono stati tentativi di accesso, ma sono falliti. In altri casi, però, come per i documenti di identità e quelli penali, c’è stato un accesso parziale.”

Ibuki aggrottò la fronte. “Un accesso parziale?” Chi era stato? Sapeva che la polizia non avrebbe osato, e solo la polizia poteva farlo, perché sapevano il codice. Sapeva anche che chiunque volesse mettersi contro di lei non sarebbe stato tanto stupido da denunciarla apertamente alla polizia.

Doveva essere stato qualcun altro, qualcuno con molti contatti, proprio come lei. “Siete riusciti a capire il luogo da cui è stato effettuato l’accesso?”

“No, si tratta di una linea privata,” rispose l’uomo, ma poi esitò. “In realtà siamo riusciti ad avere le lettere ‘AKH’ mentre cercavamo di rintracciarla. Solo quelle però.”

AKH? Ibuki aggrottò la fronte e fece tamburellare le dita. Era un codice? No, forse delle iniziali. AKH…. Aka… Akashi Hayato. La donna dai capelli azzurri spalancò gli occhi e si alzò dalla scrivania. “Quel dannato marmocchio!” disse ad alta voce. Non solo Akashi, quello stupido ragazzo, stava indagando su di lei, ma ora aveva anche coinvolto la sua famiglia? Non aveva imparato la lezione, neanche dopo che lei aveva distrutto la famiglia di Kise! Doveva arrivare ad attaccare la famiglia Akashi per fargli capire che nessuno poteva sfidarla?

“Fuori di qui,” ordinò bruscamente ai due uomini spaventati. “Bloccate di nuovo l’accesso ai miei file e stabilite dei nuovi percorsi di sicurezza. Se dopo oggi qualcuno riuscirà ancora ad aprirli, voi due perderete il vostro posto di lavoro.”

“S-si, signora!” dissero i due, e si affrettarono ad uscire.


Ibuki ghignò, prese il cellulare e digitò un numero. “È ora di fare una chiamata al governo.”


“Sono a casa,” disse Kuroko, sapendo che era inutile. La macchina di suo padre non era sul vialetto, e secondo il messaggio che suo padre gli aveva mandato, sua madre non era ancora rientrata.

Posò la sua borsa e si diresse zoppicando in cucina. Se stasera otou-san vuole parlare con me, dovrei provare a cucinare qualcosa. Era qualcosa che doveva fare, anche se aveva perso la fiducia in suo padre. Ma Kuroko non poteva cucinare niente in quelle condizioni, e anche quando non era ferito, sapeva fare solo le uova sode.

Comunque le uova sode andavano bene, quindi Kuroko prese un pentolino, facendo una smorfia per il dolore che continuava a tormentarlo. Stava riempiendo la piccola pentola con dell’acqua, quando sentì il suono del suo cellulare provenire dalla borsa. Un po’ sorpreso, Kuroko posò la pentola e si diresse verso la fonte del suono. Sullo schermo del cellulare lampeggiava il nome Akashi.

“Akashi-kun,” disse, ma poi si fermò rendendosi conto che la sua voce suonava un po’ troppo felice.

“Tetsuya,” lo salutò Akashi tranquillo. “Sei andato a scuola oggi?”

“Hai,” confermò Kuroko mentre andava di nuovo in cucina per occuparsi della pentola.

“Capisco,” Akashi fece una piccola pausa, poi continuò, “Tetsuya, perché questa mattina hai rifiutato l’offerta di Daiki?”

A quella domanda Kuroko si fece quasi sfuggire un uovo dalle mani. Aggrottò le sopracciglia, “Ah…”

“Non avresti dovuto rifiutare,” disse severo l’ex capitano. “È stato imprudente da parte tua. La tua scuola è a soli 800 metri da casa tua, ma nelle tue condizioni non dovresti camminare così tanto. L’offerta di Daiki era giusta, ha il foglio rosa.”

Kuroko non poté ribattere al tono di Akashi. Mise quattro uova nel pentolino ed abbassò la testa, come se Akashi fosse stato lì vicino a lui. “Mi dispiace, Akashi-kun,” si scusò. “Non succederà più.”

“Hm,” fu la risposta di Akashi. “Non dovrà accadere di nuovo.”

È la prima volta che parlo con Akashi-kun dopo il… bacio, Kuroko quasi arrossì, e lui mi fa la ramanzina.

“Tetsuya?”

“Hai?” Kuroko aumentò la fiamma sotto al fornello.

“Resisti ancora un altro po’, va bene?” Akashi mormorò all’improvviso. “Ti farò uscire da quella casa.”

Le labbra di Kuroko si piegarono in un piccolo sorriso. “Hai. Aspetterò, Akashi-kun.”

“Molto bene. Domani mattina Daiki passerà a prenderti. Se non arriva, chiama Ryouta.”

Kuroko sapeva che Akashi stava per riattaccare, visto che non salutava mai prima di finire una chiamata, quindi disse velocemente, prima che fosse troppo tardi, “Aspetta, Akashi-kun!”

“…Si, Tetsuya?”

“Grazie,” disse lui piano. “E, io… Mi è piaciuto.” Non c’era bisogno di spiegare esattamente ‘cosa’ gli fosse piaciuto.

Akashi ridacchiò. “Lo so.”





 
NdT: Ehm, salve a tutti. Lo so sono in ritardassimo, ma abbiate pietà, tra gli esami e la depressione per essermi persa il concerto dei Muse, posso spiegare...  *si arrampica sugli specchi*
A questo punto non faccio più promesse, così evito di infrangerle. Farò il possibile per aggiornare senza farvi aspettare troppo.
Colgo l’occasione per ringraziare le 15 persone che hanno messo la storia tra le preferite, le 4 che l’hanno messa tra le ricordate e le 42 (!) che l’hanno messa tra le seguite. Non controllavo da un po’ e…wow siete aumentati! Grazie davvero, ho informato anche l’autrice e vi ringrazia anche lei :)
Alla prossima, Nienor_11

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16


Akashi Seijuro, di nuovo di buon umore, versò il the appena preparato e ancora bollente in due tazze. Stava aspettando un ospite che sarebbe arrivato in due minuti esatti, quindi aveva già preparato il the in anticipo. Ho la tentazione di mettere qualcosa nel suo the, pensò Akashi per un momento, prima di scuotere la testa.  Ma questo risveglierebbe solo la sua indole volgare.

Proprio come aveva previsto, bussarono alla porta due minuti più tardi, alle 5,52 del pomeriggio. Andò con calma alla porta e poi l’aprì di scatto, sorprendendo il visitatore, che stava continuando a bussare. Sulla soglia apparve Kagami Taiga, con una mano sollevata per bussare ancora e l’altra su una coscia, dal momento che era piegato in avanti per riprendere fiato. “Dannazione, bast- cioè nanerot- Akashi!” disse Kagami cambiando il modo di esprimersi quando vide l’espressione dell’altro farsi cupa. “Tu, Akashi! Smettila di chiamarmi agli orari più strani e di aspettarti che venga qui in tempi impossibili!”

“Chiamarmi Akashi è un complimento,” gli rispose secco Akashi, voltandosi per andare in cucina. “Entra e chiudi la porta. Accomodati nel salotto.”

Kagami, anche se reclutante, obbedì e si sedette sul divano che ormai conosceva. Osservò tutti i trofei di basket e sbuffò.

“I trofei sono solo uno spreco di plastica e metallo. Non servono a niente, se non come prove e per vantarsi. Io li uso come prove,” disse Akashi che, rientrando nel salotto con un vassoio col the e qualche biscotto, aveva notato l’espressione di Kagami.

“Te li sei guadagnati,” borbottò Kagami. “Dovresti almeno apprezzarli ed esserne grato.”

“La vittoria è il mio unico premio, e quella è scontata.”

“Arrogante.”

“Come scusa?”

Kagami tossì, “Niente.”

Akashi lo guardò con aria indifferente e bevve un sorso di the. “Come pensavo. Hai capito il motivo per cui ti ho chiesto di venire qui, vero?”

Più che altro ordinato; Kagami scrutava e guardava con sospetto il suo the. Era avvelenato? “Si, per avere più informazioni o qualcosa del genere. Ma in realtà non ho nuove informazioni. Il mio vecchio non mi ha più contattato.”

“Tuo padre?” chiese Akashi. Teneva già in mano una penna ed un block notes, sfogliandolo per trovare una pagina bianca su cui scrivere.

Kagami annuì. “Pare che mio padre lavori in una filiale americana della società di Ibuki. Ha accettato di aiutarmi, ma non può fare molto, dato che in America tutti i documenti sono bloccati.” Kagami si decise e rischiò la sua vita bevendo con esitazione un sorso. Era normale. Le sue spalle si rilassarono per il sollievo.

Akashi lo guardava, divertito per la sua reazione. “Chiama tuo padre.”

“Eh?” Kagami inarcò un sopracciglio. “Perché?”

“Richiedigli informazioni. Metti il vivavoce e non mettere in discussione quello che dico.” Ad Akashi non importava che stava dando ordini ad un ospite. Chi veniva a casa sua doveva obbedire ai suoi comandi. Ah, sempre che non fosse sua madre.

Maniaco del controllo, pensò Kagami, ma poi tirò fuori il cellulare. Chiamò suo padre, attivando il vivavoce come aveva chiesto Akashi. “Mm? Oh, Taiga? Oggi è il mio giorno libero,” lo salutò la voce assonnata di suo padre.

“Ah, scusa papà.” Kagami si sentì a disagio per dover parlare davanti ad Akashi. “Mi sono scordato del fuso orario.”

Suo padre si lamentò e sentirono dei rumori di qualcosa che si muoveva. Akashi iniziò a far tamburellare un piede. “Ovvio che l’hai scordato. Cosa vuoi? Cavolo, ha lasciato la tv accesa! E perché è su un canale delle news?”

“Papà,” disse Kagami impaziente. “Per caso hai qualche nuova informazione su Ibuki?”

“Quella donna? No, non ne ho. Sono stato occupato. Hey, senti le news – oh, ma non hai un canale con le news americane lì, vero?” Kagami chiuse gli occhi e trattenne un sospiro mentre sentiva che suo padre alzava il volume della tv. Dato che aveva messo il vivavoce sia lui che Akashi poterono sentire l’annunciatrice che parlava in inglese. Kagami, che era vissuto per anni in America, capiva quello che stava dicendo, e anche Akashi, che aveva studiato lì, capiva senza problemi.

Recentemente la polizia si è attivata nella Times Square di New York City. Più di venti persone sono state interrogate su un criminale ricercato che sembra essere sparito dall’America da oltre tre anni…

“Cavolo! Questi poliziotti dovrebbero fare qualcosa di utile, invece di perdere tempo per un caso irrisolto! Un criminale sparito da più di tre anni? Sai, potrebbe essere già morto a quest’ora.”

Sì, sì, certo vecchio mio. Non potevi mentire e dire di aver trovato qualcosa? Qui c’è in gioco la mia vita. Kagami lanciò uno sguardo veloce ad Akashi, ma il capitano stava ascoltando con attenzione le news dal telefono.

Il criminale, una donna,  è stato accusato di diversi crimini federali, alcuni di questi non sono stati resi noti dalla polizia. Sono state trovate delle sue tracce nella sede di New York della compagnia Fanta, e un impiegato ha affermato che qualcuno ha usato la loro linea per chiamare un numero sconosciuto. La polizia è riuscita ad identificare il numero chiamato ed ha scoperto che si tratta di un numero straniero, del Giappone, che riconduce a …

Akashi ascoltò il nome. Le sue sopracciglia si sollevarono di qualche centimetro e lui afferrò il block notes e la penna. Quel nome, Akashi ripeté il nome più volte nella sua mente. Se non sbaglio, si dovrebbe scrivere… Scrisse i nomi ‘Ibuki Kuroko’, ‘Akihiko Suzuki’ e ‘Miku Abe’ in verticale. Li aveva scritti all’occidentale, con il nome che precedeva il cognome. I suoi occhi freddi e calcolatori osservavano i nomi, pensando furiosamente e analizzando le lettere. Le sue sopracciglia erano aggrottate per la concentrazione.

Se li allineassi così….

Li scrisse di nuovo. E di nuovo. E di nuovo. Poi cerchiò delle lettere.

E poi – sorrise.


“Scacco matto.”


Kuroko si sedette al tavolo della cucina con quattro uova sode davanti a lui. Ne teneva un altro in mano, e lo stava mangiando a piccoli morsi. Aveva appena finito di bollirli, ed ora stava aspettando che suo padre tornasse a casa. I compiti, ancora da finire, occupavano un angolo del tavolo; Kuroko aveva perso la motivazione quando era arrivato al terzo problema.

I suoi muscoli si tesero quando sentì il rumore della porta che si apriva, ma si sforzò di rilassarsi. Sua madre non era ancora a casa, era solo suo padre, no?

Solo otou-san, ricordò a se stesso.

“Tetsuya?” lo chiamò dal corridoio la voce tranquilla di suo padre. La porta si chiuse con un ‘click’, la borsa di suo padre fu posata per terra, quindi i passi leggeri di Haru si mossero verso la cucina. Kuroko riavvicinò i compiti per far finta di aver passato il tempo in modo produttivo.

Haru si fermò sulla porta della cucina e fece una pausa per studiare suo figlio. Sembrava sollevato di aver trovato Kuroko lì ad aspettarlo. Sulla sue labbra si formò un piccolo sorriso tirato. “Stai facendo i compiti?”

“Hai,” disse Kuroko con la sua solita faccia inespressiva. Evitò di guardare suo padre e si sforzò di normalizzare il respiro, che si era fatto più veloce. La sua presa sulla matita che aveva in mano si era fatto un po’ troppo forte.

È sempre un bravo ragazzo, pensò Haru entrando in cucina e mettendosi dall’altra parte del tavolo, di fronte a Kuroko. “Hai fatto le uova sode? Vuoi qualcos’altro da mangiare? Di sicuro ci sono –“

“Sono a posto, otou-san,” rispose Kuroko sempre inespressivo.

Haru deglutì tornando nervosamente sui suoi passi. “Ca-Capito.” Tra i due si creò un lungo silenzio. La tensione nell’aria era così spessa che si poteva tagliare con un coltello. Si potevano sentire i rumori creati dalla matita di Kuroko, e si poteva anche notare che la sua mano stava tremando leggermente. Haru lottò per trovare qualcosa da dire, qualcosa per riuscire a rompere il ghiaccio.

L’uomo dai capelli azzurri sospirò e si lasciò cadere sulla sedia di fronte a suo figlio. Il corpo di Kuroko si irrigidì, ma lui continuò a scrivere numeri sul suo quaderno di matematica. Haru serrò le labbra, prima di aprirle per parlare, ma non ci riuscì. Era molto più difficile di quel che avesse pensato. Sospirò ancora, “Tetsuya, so che le mie azioni dell’altro giorno sono… imperdonabili.” Kuroko si immobilizzò alle parole di suo padre, ma Haru non riuscì a capire cosa gli stesse passando per la testa. Fece un piccolo sorriso pieno di dolore verso il tavolo.

Kuroko posò la matita e alzò lo sguardo su suo padre, senza parlare. Sapeva che era maleducazione ignorare qualcuno che stava parlando di qualcosa d’importante.

“Non mi aspetto che tu mi perdoni,” continuò Haru, guardando con disperazione negli occhi inespressivi di Kuroko. “Ma voglio che ascolti le mie ragioni. La verità, e poi avrò finito. Voglio solo che tu mi ascolti.” Haru si sporse in avanti, prendendosi la faccia fra le mani e parlando con voce attenuata. “In qualità di padre, voglio che tu capisca le mie azioni. Come poi le gestirai dipende da te.”

Kuroko non rispose.

Haru fece un lungo sospiro tremante. “È stato un paio di giorni dopo che tua madre ti ha fatto cadere dal secondo piano. Akashi-kun mi ha chiamato e mi ha chiesto di incontrarlo in un bar.”

Negli occhi di Kuroko ci fu un leggero luccichio di interesse al suono del nome di Akashi.

“Aveva un compito da affidarmi.” Suo padre si strinse le mani con forza. “Un compito per rovinare tua madre e per farti uscire da questa casa. Mi aveva avvertito che sarebbe stato un compito importante dal punto di vista emotivo, ma – “Haru dovette fare una pausa per ricomporsi. “L’ho accettato per il tuo bene. Da un lato… è dura ricevere il tuo odio…. Ma sono disposto ad accettarlo per la tua sicurezza.”

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, ma stette in silenzio. Cosa c’era di così importante in quel lavoro, tanto che suo padre lo aveva accettato anche se sapeva che avrebbe perso la fiducia di Kuroko?

“Il mio lavoro consisteva nel prendere in giro tua madre durante i suoi… attacchi. Era l’unico modo per prenderla mentre dava il peggio di sé; per distrarla così che non avrebbe notato. Allo stesso tempo dovevo avere la sua fiducia – solo per un po’. Incoraggiarla durante i suoi attacchi sembrava l’idea migliore.” Haru sorrise, con dolore. “Mi dispiace… Deve averti fatto davvero male…” la sua voce cedette, e lui scosse la testa. “Ho scattato delle foto come prova. Ibuki non l’ha notato. E poi,” smise di parlare e serrò le labbra, ma poi continuò, “…. Ho distribuito le foto.”

Il respiro di Kuroko si bloccò. Suo padre – suo padre lo aveva esposto ad altre persone quando lui era in quello stato? Lo avrebbero visto mentre veniva abusato?

“Le ho fatte vedere ai miei tre amici più fidati. Ti ricordi di Jun-kun, Hiroshi-kun e Catherine-san?”

Conosceva quei nomi. Li aveva incontrati per l’ultima volta alcuni anni prima, poi all’improvviso avevano smesso di visitarli. Kuroko annuì piano, per far vedere che lo stava ascoltando.

“Gli ho chiesto di diffondere la notizia degli abusi tra persone che non sono sotto l’influenza di tua madre. Hanno accettato.” Suo padre si coprì gli occhi con un braccio. “So… che questo viola I tuoi diritti… esponendoti così. Ma, per favore, devi capire. Puoi odiarmi, non fidarti di me, volere la mia morte, ma voglio che tu capisca,” abbassò il braccio per guardare Kuroko negli occhi. “Farò qualsiasi cosa – qualsiasi cosa – per liberarti da Ibuki e farti stare bene. Non starai ancora a lungo con lei. Mi spingerò fino a farmi odiare da te, pur di tenerti al sicuro.”

Haru chiuse gli occhi, non facendocela più a guardare gli occhi inespressivi di suo figlio. “Questa è la verità su come sono andate le cose. Attaccheremo Ibuki dall’interno. È stato Akashi-kun a pianificare tutto, e mi ha detto di non parlartene fino a dopo i fatti. Ma accattare è stata una mia decisione.” Congiunse le mani e le posò sul tavolo, aprendo gli occhi. “Ora sai tutto delle mie azioni, Tetsuya. Cosa farai?”

Akashi… sapeva. Kuroko non riusciva a capacitarsene. Akashi sapeva cos’era successo il giorno in cui Kuroko gli aveva detto che suo padre era una bugia. Lo sapeva, eppure –

Dimmi, pensi che io sia una bugia?

Certo che no, Akashi-kun.

Akashi era una bugia? Aveva mentito per tutto quel tempo?

Tetsuya, posso provare a fare una cosa?

Sì.

Akashi non sarà mai una bugia. Kuroko scosse la testa più volte, e si osservò le mani tremanti. Abbassò la testa lentamente, ed i capelli gli coprirono gli occhi e il viso. Suo padre non poteva vederlo, quindi Kuroko permise ad un paio di lacrime di scendere. “Voglio fidarmi di te, otou-san,” disse Kuroko a bassa voce. “Voglio…Voglio… Mi rifiuto di odiarti.” Si prese il viso tra le mani. “Ma, io –“

“Penso,” lo interruppe gentilmente Haru, “Che andrò in camera mia per il resto della sera. Ti lascerò stare. Ibuki non tornerà prima dell’una, quindi ricordati di chiuderti in camera tua prima di allora.” Si alzò ed aggirò il tavolo per stare vicino a Kuroko. Allungò una mano per toccare suo figlio, ma poi si fermò a metà gesto e la tirò indietro, scuotendo la testa. “Ti voglio bene, Tetsuya. Voglio che tu lo sappia.”

Haru uscì dalla cucina, disperato e stanco, lasciandoci un Kuroko in preda ad una lotta interiore.

Dimmi, pensi che io sia una bugia?

Mi spingerò fino a farmi odiare da te, pur di tenerti al sicuro.

Non mi aspetto che tu mi perdoni.

Puoi odiarmi, non fidarti di me, volere la mia morte, ma voglio che tu capisca…

Kuroko sollevò lo sguardo dalle sue mani, le lacrime avevano smesso di scendere. I suoi occhi ora erano determinati e la sua decisione… la sua decisione era abbastanza semplice.
 

 
Haru girò di nuovo il pancake e lo guardò sfrigolare e cuocere nella padella. Del bacon caldo era servito in un piatto, già pronto. Una caraffa di succo d’arancia era messa sul tavolo. Per qualche motivo quella mattina Haru voleva avere una colazione all’americana. Spostò il peso da un piede all’altro nervosamente mentre aspettava che suo figlio scendesse giù. Come Kuroko si sarebbe comportato nei suoi confronti quella mattina gli avrebbe dato la sua risposta.

La madre di Kuroko era uscita presto, alle cinque del mattino, ringhiando a Haru che sarebbe stata fuori casa per tutta la giornata. Sembrava molto contrariata, quindi Haru non le aveva fatto domande. Più tempo passava fuori casa, meglio era.

Poco dopo Kuroko scese zoppicando le scale, ma questa volta le sue ferite si notavano già di meno. Entrò con cautela nella cucina, attirato del profumo di bacon a pancake prima ancora di vederli. Al suono dei passi leggeri di Kuroko, Haru voltò la testa.

“Tetsuya,” lo salutò Haru con esitazione. Kuroko smise di camminare e fissò suo padre, che deglutì. “Hai – preso una decisione?”

Kuroko sbatté le palpebre. “Quale decisione, otou-san?”

Haru aggrottò la fronte. “Ti sei dimenticato? Ti ho parlato –“

“Non c’è niente su cui debba decidere, otou-san,” rispose Kuroko e si avvicinò per guardare i pancake che suo padre stava cucinando. “C’era qualcosa su cui dovevo riflettere?”

Haru ci mise un po’ a capire quello che suo figlio stava facendo. Ma quando capì, gli occhi gli si riempirono di lacrime. Strinse le mani ai suoi fianchi. “Tetsuya, “ bisbigliò. “Grazie.” Prese Kuroko per le spalle e lo strinse in un forte abbraccio. Continuò a stringerlo forte, come se Kuroko potesse sparire da un momento all’altro.

Delle lacrime inumidirono i capelli di Kuroko. Diversi ‘grazie’ furono mormorati vicino al suo orecchio. Haru, se possibile, lo strinse ancora più forte, sempre però facendo attenzione a non fargli male. Kuroko ricambiò gentilmente l’abbraccio, stringendo suo padre ed aggrappandosi alla sua camicia.

“Che tu stia male per colpa mia… non è quello che voglio. Mi fido di te, otou-san,” disse piano Kuroko.

Haru lasciò andare Kuroko, ma tenne le mani sulle sue spalle. Guardò dritto nei suoi occhi. “Sono molto fortunato,” bisbigliò, “ad avere te come figlio.” Gli diede un bacio sulla fronte pallida.

Dopo una colazione silenziosa ma piacevole, Haru gli chiese se avesse bisogno di un passaggio. “No, grazie,” rifiutò Kuroko. “Passa a prendermi Aomine-kun.”

“Aomine-kun? Il tuo amico delle medie?”

“Hai.” Kuroko prese la sua borsa e se la mise in spalla. “Dovrebbe già essere arrivato. Ora vado.”

Suo padre annuì. “Buona giornata. Tetsuya?”

Kuroko si girò, una mano sulla maniglia. “Hai?”

“Grazie.”

Lui si girò, sorridendo leggermente. “Non c’è motivo di ringraziarmi, otou-san.”
 
 

“Come mai ci hai messo tanto?” chiese Aomine mentre Kuroko saliva sulla vecchia macchina.

“Scusami. Stavo mangiando,” disse Kuroko con cortesia. “E scusa anche per il disturbo.”

Aomine sbuffò. “Non scusarti per quello. Scusati per avermi fatto urlare dietro da Akashi, quando non ti ho dato un passaggio. Tanto per cominciare è stata tutta colpa tua.”

Kuroko guardava fuori dal finestrino le case che scorrevano veloci. “Non credo che Akashi-kun urlerebbe. Ma mi dispiace.”

“…Ma non ti dispiace sul serio, eh?”

“...”

Il ragazzo abbronzato sbuffò di nuovo. “Come pensavo. Davvero, nessuno mi apprezza in questi giorni. Kise mi piange addosso per giornate intere, Akashi continua a darmi ordini, e Midorima trova la scusa che guidare porta sfortuna, quindi io devo accompagnarti a scuola. L’unico innocente è Murasakibara, ma dubito che sia davvero innocente.”

“Perché Kise-kun piange?”

Aomine strinse con più forza il volante. Aveva parlato troppo. Akashi gli aveva specificamente detto di non parlare a Kuroko dei danni causati da Ibuki. “È solo il suo lavoro da modello che lo stressa. Sta un po’ esagerando nelle sue reazioni,” mentì con facilità Aomine. “Niente di preoccupante.”

Kuroko lo guardò sospettoso, ma non commentò. “Tu non devi andare a scuola, Aomine-kun?”


“Nah,” rispose lui. “Oggi non vado a scuola.”


“Quindi tutti tranne Akashicchi e Kurokocchi abbiamo ricevuto il messaggio?”chiese Kise. Stava parlando ad un alto tiratore, un gigante che mangiava snack e ad un  ragazzo abbronzato che si stava avvicinando.

“Sicuramente Akashi ne è al corrente anche se non ha ricevuto il messaggio,” disse Midorima sistemandosi gli occhiali. Teneva in mano un retino per i pesci rossi. “Non so di chi sia il numero, ma diceva di incontrarci qui al parco.”

Murasakibara mostrò agli altri il cellulare. “Stessa cosa,” disse, mentre mangiava un cracker.

“Sì, l’ho ricevuto questa mattina. Però, che cavolo? Abbiamo fatto bene ad ascoltare ciò che diceva il messaggio? Potrebbe essere un qualche imbroglio,” sospirò Aomine, annoiato ed appoggiò un braccio sulla testa di Kise, per riposarsi. Il biondo protestò, ma con scarsi risultati.

“È una coincidenza troppo strana che quattro membri della Generazione dei Miracoli siano stati chiamati qui al parco,” disse Midorima. “Deve essere qualcosa di importante, ed è molto probabile che ci sia lo zampino di Akashi.”

“Hai proprio ragione.” Una voce profonda li fece sobbalzare tutti, tranne Midorima, per la sorpresa. Si voltarono tutti verso la voce e videro un uomo ed una donna di alta statura. I loro capelli rosso fuoco e i loro occhi dagli strani colori erano familiari ai quattro ragazzi. I due erano vestiti elegantemente, con dei completi tipici degli avvocati. La donna teneva le braccia incrociate ed aveva uno sguardo scettico e scontroso, mentre l’uomo teneva le mani lungo i fianchi, senza espressioni particolari se non una piccola ruga tra le sopracciglia rosse.

Kise sbatté le palpebre ripetutamente. “Hey, non vi sembrano…?”

“Ah, Hayato-san, Rin-san,” la voce sorpresa di Midorima interruppe l’osservazione di Kise.

“Li conosci, Mido-chin?”chiese Murasakibara continuando a mangiare. “Mi ricordano qualcuno.”

“L’uomo è Akashi Hayato, la donna Akashi Rin. Insomma, sono i genitori di Akashi.”

Aomine e Kise ci misero un po’ a processare l’informazione. Murasakibara non sembrò particolarmente sorpreso. Mantenne la sua espressione assonnata e iniziò a mangiare una barretta di cioccolato. “E-eeehhh?” urlò Kise. “I genitori di Akashicchi? Gli assomigliano tantissimo!”

Midorima sbuffò per la stupidità del biondo, “Proprio perché sono i suoi genitori, idiota.”

Rin si schiarì la gola. I giocatori si calmarono e le rivolsero la loro attenzione. “Ci siete tutti?” chiese lei. “Mi sono assicurata di avere i vostri numeri di telefono per contattarvi. Dov’è Seijuro?”

Hayato avanzò di un passo posandole una mano sulla spalla. “Seijuro ha detto che aveva altre cose di cui occuparsi. A parte lui, ci sono tutti.”

La donna ebbe un tic all’occhio. “Cerca di evitarmi, eh? Quel ragazzo, giuro che quando ce l’avrò davanti,” Lasciò in sospeso la minaccia e strinse le mani torcendole. Hayato fece un sorrisetto per la paura che aveva colpito in modo ovvio la Generazione dei Miracoli. A volte era orgoglioso di quella donna demoniaca che era sua moglie.

“Ragazzi,” disse Hayato. “Shintarou-kun ci ha già incontrati una volta, ma credo che il resto di voi non l’abbia mai fatto. Ma non fraintendetemi, noi sappiamo tutto di voi.” Il modo in cui lo disse fece rabbrividire Kise ed Aomine. Persino Murasakibara smise di mangiare rimettendosi lo snack in tasca. “Io sono Akashi Hayato, il padre di Seijuro. Lei è sua madre, Akashi Rin. Vi abbiamo chiamati qui per il caso di Ibuki, la donna che abusa il vostro amico.”

 Si fecero tutti tesi al nome della madre di Kuroko. Non sapevano che i genitori di Akashi fossero a conoscenza di Ibuki; Akashi doveva aver pensato che Ibuki fosse una persona estremamente complicata, dal momento che aveva coinvolto i suoi genitori. “S-salve, Ha-Hayato-san, R-Rin-san,” balbettò Kise inchinandosi.  “Io sono –“

“Kise Ryouta, giusto?” chiese Rin.

“H-Hai!”disse il biondo colto alla sprovvista, arretrando e finendo tra le braccia di Aomine. L’aura che la donna emanava era molto simile a quella emanata da Akashi quando era infastidito – non arrabbiato, infastidito.

Rin non badò alla reazione di Kise. “E voi siete Aomine Daiki e Murasakibara Atsushi.” Fece una pausa per cercare nella sua borsa, da cui tirò fuori un pacchetto di patatine con la scritta: NUOVO GUSTO LIMITATO! SOLO NELLA PREFETTURA DI KYOTO! “Ti piacerebbero, Atsushi?”

Gli occhi di Murasakibara si illuminarono. Erano giorni che cercava quelle patatine. Le afferrò impaziente, come un bambino piccolo. “Grazie,”mormorò prima di aprire il pacchetto e mettersi in bocca la prima patatina.

È proprio come l’ha descritto Seijuro, osservò Rin. Poi spostò la sua attenzione su Midorima. “Shintarou. Stai bene in questi giorni?”

“Rin-san. Sto bene, anche se suo figlio mi sta facendo fare lavori ridicoli,” disse lui in tono formale. Si inchinò leggermente davanti a lei.

“Seijuro? È sempre così egoista,” sospirò la donna con finta aria melodrammatica.

“H-Hey,” bisbigliò Kise ad Aomine. “Non sembra anche a te che odi solo noi?”

 Rin li guardò male. “Hai detto qualcosa, Ryouta?”

“N-No!” rispose lui.

Hayato sospirò per i modi di fare di sua moglie, ma non li commentò. “Va bene, ora ascoltate,” disse alla fine. “Vi abbiamo chiamati qui perché vogliamo che facciate da testimoni. Kuroko Ibuki dovrebbe arrivare qui tra pochi minuti. Il vostro compito è di osservare o aggiungere qualche commento. Io e Rin useremo il nostro potere e le nostre informazioni per metterla con le spalle al muro fino a farla cedere. Io,” fece loro vedere un registratore portatile, “Registrerò tutto ciò che verrà detto. È tutto chiaro?”

 “Woah, aspetta,” lo interruppe Aomine. “Ibuki sta arrivando? Qui?”

“È quello che ha appena detto, Daiki,” disse brusca Rin.

I muscoli di Kise si tesero, ma Aomine gli massaggiò la schiena con movimenti circolari per farlo calmare. “Comportati normalmente,” gli disse Aomine vicino ad un orecchio. “Non possiamo fare casini. È per Kuroko. E in più,” baciò Kise su una guancia, “Dopo ti darò un premio.”

La faccia del biondo si fece rossa, e Kise colpì Aomine sul petto. “Ahominecchi!”

“Avete capito tutti quel che dovete fare?” chiese di nuovo Hayato.

Questa volta annuirono tutti.

“Eccola che arriva,” mormorò Rin.

Si voltarono tutti nella direzione in cui Rin stava guardando. Ed infatti una donna magra stava avanzando a passo deciso verso di loro. I suoi capelli azzurri dondolavano avanzi e indietro ad ogni suo passo. L’espressione sul suo volto era ancora più acida di quella di Rin, ed i suoi lineamenti erano distorti in uno sguardo malvagio. Teneva nella mano sinistra un cellulare.

Kise si tenne stretto alla giacca di Aomine, Murasakibara guardò Ibuki con espressione stanca e Midorima si risistemò gli occhiali. Rin e Hayato stavano in piedi composti e fissavano Ibuki.

“Akashi Hayato,” sibilò Ibuki quando fu abbastanza vicina. Avanzò decisa e si fermò davanti a loro. “Come hai avuto il mio numero? Perché mi hai chiamata qui?” Poi la donna guardò oltre la coppia Akashi e fece una smorfia. “Hai portato anche i marmocchi?”

“Parla in modo civile, tu, donna orribile,” scattò Rin. Hayato le posò una mano sulla spalla per calmarla. Avrei dovuto avvertirla del suo carattere irascibile, pensò infelice Hayato.

Il naso di Ibuki avvampò. “Come scusa?” urlò. Murasakibara si coprì le orecchie con le mani per il suono fastidioso.

“Ti abbiamo chiamata qui solo per avere delle risposte, Kuroko Ibuki,” intervenne Hayato. “Spetta a te decidere se rispondere o no. Noi non ti costringeremo. Inoltre anche venire qui, invece di ignorare il nostro invito, è stata una tua scelta. Dato che hai scelto di venire non hai il diritto di dire che abbiamo interrotto i tuoi impegni.”

La madre di Kuroko aggrottò la fronte e spostò lo sguardo sulla Generazione dei Miracoli. “Dov’è quel marmocchio di tuo figlio?”

“L’ho cresciuto io, non è un marmocchio,” le rispose Rin.

Ibuki la ignorò concentrandosi su Kise, che cercava di nascondersi. Sorrise malvagiamente. “Kise-kun,” disse con una finta voce dolce. “Come se la passano i tuoi ultimamente?”

A questo punto il biondo scattò. Non importava se era lui ad essere insultato o ferito, ma quando lo era la sua famiglia la situazione era diversa. La sua famiglia non avrebbe dovuto avere niente a che fare con questa donna. “Sei un mostro!” urlò Kise. Aomine lo trattenne per la vita per evitare che si scagliasse su Ibuki. Il biondo afferrò le braccia di Aomine cercando di liberarsi. “Come hai potuto fare del male alla mia famiglia! Sei malvagia come un diavolo nei confronti di tutti quanti! I-io spero che tu possa morire per il bene di Kurokocchi! Sei cattiva! Stupida, stupida, stupida, stupida!” Il vocabolario limitato di Kise non impressionò particolarmente la donna dai capelli azzurri. Gli occhi di Kise si erano riempiti di lacrime, quando Aomine lo avvolse in un abbraccio.

“Calmati,” gli mormorò il ragazzo abbronzato. “Se reagisci così le darai solo una soddisfazione.”

“Stupida… stupida,” la voce di Kise era attutita dalla giacca di Aomine.

Hayato lanciò uno sguardo all’ex copiatore del Teiko, poi si rivolse di nuovo ad Ibuki, “Gradirei che non li deridessi,” disse con voce bassa.

Ibuki lo guardò male. “Che cosa vuoi, Akashi-san? Perché mi hai chiamata qui?”

“Come ho già detto, voglio risposte.”

“Risposte a cosa?”

“Su tuo figlio,” questa volta fu Rin a rispondere. “Kuroko Tetsuya, giusto?”

A quel nome Ibuki si irrigidì visibilmente. “Cosa c’entra lui? Al momento non vale il mio tempo.”

“Sarò diretta e non menerò il can per l’aia, Ibuki,” disse Rin freddamente. “Stai abusando Kuroko Tetsuya in questo periodo e/o lo hai fatto in passato.”

Ibuki fissò Rin direttamente nei suoi occhi dagli strani colori. “No. Lo punisco giustamente, come ritengo opportuno.”

Midorima si fece avanti, con espressione calma e determinata. Si sistemò gli occhiali con la mano che teneva il retino per pesci. Ibuki lo guardò, annoiata. “Qual è la sua definizione di punizione? Quali azioni ritiene che lo siano?”

Una buona domanda, lo lodò mentalmente Hayato, anche lui sarebbe un buon avvocato.

“Mi rifiuto di rispondere a questa domanda.”

“Perché fai del male a tuo figlio?” chiese prontamente Hayato. “Qual è il tuo scopo? La tua motivazione? In quali circostanze ritieni che sia necessario punire Kuroko Tetsuya?”

“Mi rifiuto di rispondere a questa domanda,”ripeté Ibuki.

“Hai paura?” continuò Rin. “Spaventata dalle conseguenze? Se non avessi fatto niente di male risponderesti senza problemi a queste domande. Hai fatto qualcosa di male? Cosa ti impedisce di rispondere?”

Ibuki, ovviamente alle strette, serrò le labbra e strinse i pugni. Per qualche secondo ci fu silenzio, si sentiva solo il vento freddo che ululava nell’aria carica di tensione. Quando Ibuki si decise a parlare, Hayato ebbe la risposta che stava cercando. “Volete sapere perché gli faccio del male?” ridacchiò Ibuki minacciosamente. Senza farsi notare, Hayato premette il tasto start del registratore. “Non gli faccio male. Lo addestro.”

“Cosa intendi?” chiese Rin, che voleva avere più informazioni da registrare. “Lo addestri? Ma non è un cane.”

“Volevo un successore,” disse lei, folle. “Ne volevo uno. Ho costruito tutta la mia vita, partendo dal livello più basso; ed eccomi ora, la donna più intoccabile del Giappone, con tre delle più grandi società. Sono ricca, sono potente, e sono temuta! È più di quanto avessi potuto volere, penserebbero alcuni. Ma io voglio di più,” disse con un freddo mezzo sorriso. “Voglio che il mio nome sia portato avanti. Tutti devono sapere del mio nome – no, non il mio nome. Della mia esistenza. L’unico modo è avere un erede. È l’unico motivo per cui ho sposato Haru! Per avere un figlio; un figlio che mi avrebbe ubbidito.”

All’improvviso la sua faccia si piegò in una smorfia. “Ma è stato controproducente. Il bambino che ho fatto nascere si è rivelato essere proprio come suo padre. È debole, ha una morale disgustosa, mi disobbedisce. Proprio come ho detto a loro,” volse lo sguardo alla Generazione dei Miracoli, “Mi prende in giro. Il modo in cui mi guarda con quegli occhi inespressivi mi fa capire che non mi prende sul serio. Non riesco a ricavare niente da lui. Quindi l’unico modo perché mi ascolti, mi obbedisca, mi tema, è quello di spezzarlo.”

“S-spezzarlo?” Aomine era senza parole.

“Una persona spezzata darà ascolto solo alla persona che è riuscita a spezzarla,” disse Ibuki ridendo. Era una risata spregevole e orrenda. “Giorno dopo giorno, vedo che si spezza un po’ di più. Ha paura di me, mente a tutti ma non a me. Oh, è meraviglioso, davvero meraviglioso. Ma voi – voi avete rovinato tutto.” Puntò in dito contro I ragazzi dai capelli variopinti. “Guarirlo, continuare a guarirlo è inutile! Più voi lo fate, più io cercherò di spezzarlo con ancora più forza. Lui è mio, e sarà il mio erede. Non sarà nient’altro che una mia creazione, e non potrete fermarmi!” L’ultima parte fu un grido così forte, che Hayato fu contento di aver scelto un parco abbandonato come luogo d’incontro.

Ibuki ansimava senza fiato dopo la sua lunga confessione. Hayato fermò il registratore, visto che aveva sentito tutto ciò che voleva. “Si, ma, Kuro-chin –“

“Ho finito di parlare,” disse Ibuki guardando Rin e Hayato. “Avete ascoltato le mie risposte, ma sappiate questo: non importa se voi conoscete i miei piani. Non importa se avete tutte le prove  del mio ‘abusare’ mio figlio. Ricordatevi di chi sono io, nessuno al mondo può sconfiggermi.”

“Sono stufa delle tue minacce,” disse Rin, tranquilla, il che era sempre un brutto segno. “Ora è il nostro turno. Mio figlio è il migliore in questo gioco, e tu hai due degli avvocati migliori contro di te. Non pensare di essere l’unica con i contatti giusti, Kuroko Ibuki.”

Non dissero altro; Ibuki non rispose e, con aria melodrammatica, si girò e si allontanò veloce dal parco.

“Se n’è andata?” chiese piano Kise.

“Sì,” confermò Rin gettando un’occhiataccia al biondo. “Cos’è stata quella scenata che hai fatto poco fa? Non hai pensato che avrebbe potuto denunciarci se tu l’avessi attaccata?”

“M-mi dispiace –“

“Capisco la situazione dei tuoi genitori,” lo tranquillizzò Hayato. “Quando avremo sconfitto Ibuki userò il mio potere per aiutarli a riguadagnarsi il loro status. Ma sappi che la specialità di Ibuki è un attacco mentale. Non puoi permetterle di influenzarti così.”

Kise abbassò lo sguardo. “Mi dispiace.”

Aomine guardò i due Akashi con gli occhi spalancati. Cavolo, questi due inducono la stessa reazione in tutte le persone. Sono proprio come Akashi… o Akashi è proprio come loro? E che cavolo, tre Akashi?

“Ora andiamo. Non parlate a nessuno, se non a mio figlio, di quello che avete sentito oggi,” ordinò Rin.

Murasakibara annuì. “Grazie per le patatine,” disse di nuovo.

Rin annuì. “Oh, e se per caso senti Seijuro, digli che sua madre lo aspetta. Ho alcune… questioni da sistemare con quel ragazzo.” Piegò le dita. “È tutto. Andiamo, Hayato.”

La Generazione dei Miracoli, questa volta Midorima compreso, rabbrividì a quella minaccia.
 
 

“Secondo te li ho spaventati troppo?” si chiese Rin. Stavano camminando per le strade affollate di Tokyo, cercando di arrivare alla stazione.

“Li spaventi sempre troppo. Siamo fortunati che Seijuro sia venuto su bene,” rispose Hayato. La loro definizione di ‘bene’ era diversa da quella degli altri. “Oggi comunque siamo stati fortunati. Abbiamo avuto da Ibuki proprio quello che volevamo.” Cinse il corpo di Rin con un braccio.

Rin scacciò via il braccio. “Non toccarmi, qualcuno potrebbe vederci.”

Hayato tenne il broncio finché non arrivarono alla stazione.

 
 
 


 
NdT: Buonasera!! Questa volta sono abbastanza puntuale, spero lo apprezziate :)
Ho visto che siete ancora aumentati, e vi ringrazio di cuore!
In questo capitolo c’è stato il primo incontro tra Ibuki e gli Akashi, ve lo immaginavate così?
Poi a quanto pare Kuroko e Haru si sono chiariti, e meno male, soffrono entrambi già abbastanza.
Ci sentiamo al prossimo capitolo,
Nienor_11

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

“Stai di nuovo andando in aula computer, Akashi-san?” gli chiese uno studente del primo anno. Gli studenti si stavano preparando per il breve intervallo, che in tanti trascorrevano restando in classe. Ma Akashi aveva un piano diverso.

“Sì. Mi piacerebbe che te lo tenessi per te,” gli ordinò Akashi indirettamente, uscendo dalla classe prima di ottenere risposta. Aveva solo dieci minuti, ma gli sarebbero bastati se non avesse perso tempo. Prese gli appunti dal suo zaino, in caso si fosse dimenticato dei nomi, (ma era impossibile, dato che la sua memoria era ottima).

Akashi raggiunse la grande aula computer della scuola. Tutti i computer erano occupati, ma un povero ragazzo del primo anno lasciò velocemente libero il suo quando il rosso iniziò a fissarlo. Soddisfatto, Akashi si sedette ed aprì un motore di ricerca. Digitò velocemente un nome, ma si bloccò al cognome. In effetti non sapeva ancora il cognome. I suoi appunti contenevano i nomi delle celebrità su cui aveva fatto delle ricerche, e lui scelse il cognome con la storia più sospettosa.

La sua ipotesi si rivelò esatta.

Trovò molti articoli, quasi tutti su siti stranieri. Akashi scelse il primo e trovò un articolo in inglese:

È un’omicida e una molestatrice ricercata da più di tre anni. La polizia sospetta che sia scappata in un altro paese, ma il caso è stato archiviato come irrisolto. Harold Smith, la vittima, fu trovato morto nel letto di casa sua. Sulla scena del crimine sono state rilevate delle impronte digitali, ma non si sapeva a chi appartenessero.

Dopo ulteriori indagini si è scoperto che il colpevole è la figlia di Julie e Liam Sevaine…

Akashi cliccò su un altro articolo, anche questo in inglese.

È stata bollata come un’assassina, una killer, una criminale. Latita da anni, ma si possono ancora trovare sue tracce in molte posizioni del governo. La polizia ha lasciato cadere il caso come irrisolto, ma ha continuato ad indagare in segreto, ammettendo solo ora pubblicamente di aver continuato le indagini.

La madre dell’assassina è Julie Sevaine, una cantante pop di fama nazionale. Si è trasferita in Giappone per motivi sconosciuti, mettendo fine alla sua carriera. La polizia non riesce a contattarla, ma non ha trovato nessun collegamento tra l’assassinio e la fine improvvisa della sua carriera musicale.
Il padre è Liam Sevaine, anche lui conosciuto nel mondo dello spettacolo come attore. Come sua moglie ha rinunciato alla propria carriera e si è trasferito in Giappone. La polizia crede che anche la colpevole si sia trasferita in Giappone, con l’aiuto dei genitori.

In seguito si scoprì che entrambi i genitori morirono in Giappone dopo pochi anni.

Akashi annotò la presunta data della loro morte, poi controllò la data in cui le tre società giapponesi iniziarono a crescere. Che coincidenza che le società abbiano iniziato a crescere subito dopo la morte dei suoi genitori, rifletté Akashi mentre scriveva.

Osservò la foto che accompagnava l’articolo e la mandò per e-mail a Kise Ryouta. La campanella suonò proprio mentre stava cliccando su ‘invia’.

 

La parte più complicata era ormai superata. Ora svelare i segreti di Ibuki sarebbe stato semplice come sciogliere un nodo ai lacci delle scarpe.
 


 

La vibrazione del cellulare riscosse Kuroko dai suoi pensieri. Sapendo di essere praticamente invisibile, Kuroko prese il cellulare e controllò il messaggio. Di solito nessuno gli scriveva durante le lezioni, quindi pensò che fosse qualcosa di importante.  Il ragazzo dai capelli azzurri sbatté le palpebre quando lesse il nome di Akashi:

Esci dalla scuola e vieni al Tokyo Park. Hai cinque minuti.

Era un tipico messaggio di Akashi, che doveva essere eseguito con puntualità. Kuroko sospirò, sapendo che non avrebbe potuto disobbedirgli.  Alzò la mano per essere notato dall’insegnante.

“Si, Kuroko-kun?” chiese quest’ultimo, un po’ sorpreso di vederlo in classe.

Kuroko si alzò. “Non mi sento molto bene, sensei. Potrei andare in infermeria?”

L’insegnante annuì. “Va bene. Kagami-kun, potresti –“

“Ah, va bene così, sensei,” disse velocemente Kuroko. “Posso andarci da solo.”

Lo guardò con sospetto, decidendo se mandare comunque anche Kagami o se lasciarlo andare da solo. Alla fine, per evitare problemi, l’insegnante annuì e gli diede un breve messaggio per l’infermiera. Kuroko lo ringraziò e lasciò l’aula portando le sue cose con sé.

Uscire dalla scuola non fu difficile, dato che nessuno degli insegnanti nei corridoi normalmente lo notava, ed in quel momento Kuroko si stava particolarmente sforzando per passare inosservato. Zoppicò fuori dalla scuola e si diresse verso il Tokyo Park. Akashi aveva scelto bene, perché il parco era molto vicino alla scuola e, per arrivarci, Kuroko non si sarebbe dovuto affaticare camminando a lungo.

Il ragazzo dai capelli azzurri raggiunse il parco in tre minuti. Individuò subito tra i bambini piccoli che correvano lì vicino una chioma rossa. Stava in piedi di fianco ad una panchina, indossava la sua divisa scolastica e teneva le braccia conserte. Appesa ad una spalla aveva la borsa del Rakuzan. Parecchie madri gettavano occhiate veloci al ragazzo dall’aspetto minaccioso, ma allo stesso tempo molto bello. Akashi, comunque, non ci faceva caso, concentrandosi solo su Kuroko.

“Akashi-kun,” lo salutò Kuroko, mentre zoppicava per raggiungerlo.

Akashi lo osservò velocemente prima di rispondergli, “Tetsuya.” Avanzò per colmare la distanza che rimaneva tra di loro, quindi sollevò con due dita il mento di Kuroko. “Sembra che tu stia guarendo bene. Senti ancora dolore?”

Kuroko appoggiò il suo corpo a quello di Akashi prima di rendersi conto di quello che stava facendo. Akashi, anche se un po’ sorpreso, sostenne senza fatica il ragazzo più basso passandogli un braccio dietro la schiena.  Kuroko strinse i vestiti di Akashi, imbarazzato per quello che aveva fatto, ma cercando di non farlo notare dalla sua espressione. Akashi fece un sorrisetto e lo strinse un po’ più forte a sé.

“Hai, sto guarendo bene,” rispose piano Kuroko. “Non mi fa più male.”

Akashi inarcò un sopracciglio rosso, capendo che Kuroko non si stava riferendo solo all’aspetto fisico, ma anche a quello emotivo.

“Hm.” Il rosso fece un passo indietro, mantenendo però il braccio intorno alla vita di Kuroko, senza badare agli sguardi delle altre persone presenti puntati su di loro. “Andremo a Kyoto.”

“Kyoto?” ripeté Kuroko. “A casa tua, Akashi-kun? Ma non va bene saltare del tutto la scuola, Akashi-kun.”

“Una volta ogni tanto si può fare,” rispose Akashi. “C’è qualcuno che ci darà un passaggio, quindi non dovremo camminare.”

Un po’ riluttante – ma tanto Akashi lo avrebbe comunque convinto – Kuroko seguì Akashi fino ad un’auto.

Il viaggio in treno fino a Kyoto fu lungo ma comodo. Ad un certo punto una delle mani di Akashi si era posata su quella di Kuroko ed era rimasta lì per il resto del viaggio. A Kuroko non dava fastidio. Faceva finta che non ci fosse mentre guardava fuori dal finestrino. Il treno era quasi vuoto, quindi nessuno li stava fissando.

Non dovettero fare a piedi nemmeno il tragitto dalla stazione alla casa di Akashi, perché quest’ultimo chiamò un taxi e, dopo pochi minuti, i due arrivarono davanti al suo grande appartamento. Kuroko, che fino a quel momento aveva visitato solo la casa di Akashi a Tokyo, fu sorpreso che un appartamento potesse essere così grande.

“Entra e siediti sul divano. Io intanto preparo del the,” ordinò il rosso mentre apriva la porta.

Kuroko obbedì, ma si fermò quando sentì parlare di the. “Ecco, Akashi-kun,” disse con voce esitante. “Potrei avere un frappè alla vaniglia?”

“No, non puoi,” rispose secco Akashi mentre si toglieva le scarpe. “Non è salutare, e berlo non ti aiuterà a diventare più forte. Siediti ora.”

Kuroko fece il broncio, ma andò fino al divano e si sedette. Akashi fu tentato di alzare gli occhi al cielo per la sua reazione, poi andò in cucina a preparare il the.

Ora che era solo, Kuroko colse l’occasione per osservare il salotto. La sua attenzione si posò subito sui trofei e lesse tutti i successi di Akashi.

Giocatore di Maggior Valore Akashi Seijuro

Campione di Shogi

Maggior Numero di Vittorie a Shogi

Miglior giocatore dell’anno

Alcuni erano del periodo al Teiko, altri dalla scuola elementare o di competizioni estive di cui Kuroko non sapeva nulla. Akshi-kun è fantastico, pensò.

“In futuro ti premierò con un frappé alla vaniglia, ma per ora dovrai bere il the,” disse Akashi entrando in salotto con due tazze e un piatto di fagioli di soia freddi come spuntino. Kuroko annuì con riluttanza e prese la sua tazza, bevendo un piccolo sorso. Akashi si sedette al suo fianco, bevendo anche lui.
“Come sta tuo padre?”

Kuroko sapeva che la vera domanda era ‘Come vanno le cose tra te e tuo padre?’ L’ex capitano aveva l’abitudine di chiedere le cose restando sul vago. “Adesso va tutto bene,” rispose a bassa voce. “Otou-san mi ha detto la verità.”

Akashi lo osservò con la coda dell’occhio. “Davvero?”

“Hai.” Kuroko posò la tazza e si girò per poter guardare Akashi negli occhi. “Akashi-kun, è vero, no? Tu hai detto a otou-san di farmi – quello.” Non c’era bisogno di specificare cosa fosse ‘quello’.

Akashi bevve con calma un altro sorso dalla sua tazza. Poi incontrò lo sguardo di Kuroko per rispondergli, “Sì, è vero –“

“Perché lo hai fatto, Akashi-kun?” lo interruppe disperato Kuroko, ma poi si bloccò, rendendosi conto di aver appena interrotto e parlato bruscamente al suo ex capitano. Abbassò lo sguardo. “Mi dispiace. Otou-san non dovrebbe stare male per causa mia. Akashi-kun… avresti dovuto chiedere a qualcun’altro. Otou-san…”

“Tetsuya.” La voce fredda di Akashi impedì a Kuroko di continuare, così lui chiuse la bocca e spostò lo sguardo sulle scarpe dell’ex capitano. “Guardami.” Non poteva disobbedire; Kuroko alzò la testa e incontrò i suoi occhi eterocromi. Subito una mano pallida e ruvida gli afferrò il mento facendolo spostare, così i loro volti erano ora solo a pochi centimetri di distanza.

“A-Akashi-kun…”

“Sono sicuro che tuo padre te l’abbia ripetuto più di una volta,” disse Akashi severamente.  “Farà qualsiasi cosa per portarti al sicuro lontano da quella casa, anche se gli costerà la tua fiducia. Io la penso allo stesso modo. Farò qualsiasi cosa, anche se si tratta di distruggere sul piano emotivo le persone che ti sono vicine, se questo significa che sarai al sicuro. Tuo padre lo sapeva, ed era anche consapevole dei suoi stessi desideri. Ha scelto questo lavoro, gli ho dato una scelta. Tu non devi preoccuparti di queste questioni inutili.  Tuo padre negherebbe subito qualsiasi problema legato al suo lavoro se ti sentisse parlare così.” Piegò la testa, ora ancora più vicina a quella di Kuroko, che era rimasto senza parole. “Ora, ripetimi ancora una volta: pensi che io sia una bugia, Tetsuya?”

Lentamente, molto lentamente, Kuroko scosse la testa, per quanto poteva nella presa di Akashi. “No, Akashi-kun, non sei una bugia.” Poi una sua mano pallida si posò su quella di Akashi che gli teneva il mento, liberandosi così dalla stretta. Il rosso lo osservò con attenzione mentre lui abbassava le loro mani, ancora unite. “Mi dispiace aver dubitato di te, Akashi-kun.”

Akashi gli strinse la mano e posò l’altra su una sua guancia. “Posso provare qualcos’altro, Tetsuya?”

“Qualcos’altro?” Kuroko aveva una vaga idea di quello che volava Akashi. “…Sì.”

Il rosso fece un sorrisetto prima di chinarsi e posare le sue labbra su quelle di Kuroko. Le loro labbra erano morbide e umide e sapevano del the che avevano appena bevuto. Kuroko strinse più forte la mano di Akashi, poi, esitante, rispose al bacio. All’inizio fu difficile, perché durante il loro primo bacio aveva fatto quasi tutto Akashi, mentre lui era rimasto fermo.  Questa volta il ragazzo dai capelli azzurri era preparato, ma non sapeva cosa fare.

Akashi ridacchiò contro le sue labbra, poi si staccò un po’ per parlare. “Voglio provare qualcosa di diverso. Non aver paura,” mormorò.

Un po’ spaventato, Kuroko lasciò andare la mano di Akashi e, tremando, mosse le braccia mettendole intorno al corpo di Akashi. Quindi si aggrappò ai suoi vestiti. Akashi invece portò anche l’altra mano sulla guancia di Kuroko, e le loro labbra si unirono di nuovo. Questa volta, però, qualcosa di umido leccò il labbro inferiore di Kuroko.

Lui, sorpreso, aprì la bocca e Akashi ci fece entrare la sua lingua con gentilezza, così che l’altro non lo respingesse. Kuroko, ovviamente, si abbandonò subito alla forte guida di Akashi. La presa che aveva sull’ex capitano era ormai stretta, ma ad Akashi non importava. Lo baciò con gentilezza, guidando il ragazzo inesperto con la sua lingua.

Si separarono quando Kuroko aveva ormai finito l’ossigeno. Aveva il respiro leggermente affannato, mentre Akashi continuava a tenere il viso vicino al suo. Gli occhi azzurri incontrarono quelli rossi e gialli, e, prima che Kuroko potesse fare qualcosa, si ritrovò schiacciato contro il corpo di Akashi, con la faccia premuta contro una sua spalla. Kuroko aumentò la presa sistemando meglio le braccia intorno al corpo muscoloso dell’altro. Akashi invece sistemò una mano sulla nuca di Kuroko e l’altra intorno alla sua vita. Seduto sul divano, il rosso distese le gambe così che Kuroko gli si potesse sedere in grembo circondandogli la vita con le gambe.

 “Akashi-kun?” lo chiamò Kuroko a bassa voce.

“Cosa c’è?” Kuroko poté sentire il petto di Akashi vibrare quando lui parlò.

“Cosa… cosa siamo noi?” domandò esitante. “Cos’è la nostra relazione?” Un leggero rossore apparve sulle sue guance, ma nessuno poteva vederlo.

Il rosso sciolse l’abbraccio e allontanò Kuroko per poterlo guardare negli occhi, blu e inespressivi. “Cosa vuoi che siamo, Tetsuya?” Fece scorrere una mano tra i capelli di Kuroko. “Mi stai chiedendo di diventare il mio amante?” chiese con un sorrisetto.

“Per favore, non dire cose così dirette all’improvviso,” disse Kuroko, e Akashi seppe di averlo messo in imbarazzo. Kuroko abbassò lo sguardo per nascondere il suo rossore. “Non voglio pensare a noi in modo diverso da come lo pensi tu, Akashi-kun.”

L’espressione di Akashi si addolcì, e lui si chinò per dargli un bacio veloce. “Sei mio,” gli disse diretto. Non era da Akashi pronunciare frasi sdolcinate come ‘Sei il mio amato’ o ‘Sarai sempre importante per me’. Quando parlava in tono fintamente dolce di solito le frasi sottendevano la sua abilità nell’influenzare, dare ordini e comandare. Ma Kuroko conosceva Akashi abbastanza bene da capire quello che voleva dire. “Continuerai ad essere mio, e di nessun altro. Solo io posso assaggiare le tue labbra.” E lo baciò di nuovo per dimostrarlo.

Non era esattamente il momento più dolce che una coppia potesse avere, ma la mente di Kuroko tradusse quelle parole in qualcosa di simile a ‘Per me tu sei speciale e non rinuncerò a te. Nessun altro può averti.’ Guardò Akashi con un’espressione apparentemente assente. La mente di Akashi la tradusse in un’espressione di gratitudine.

“Non possiamo permettere che si sappia, Tetsuya,” gli ricordò Akashi. “Il nostro obiettivo è tua madre. Se tua madre lo venisse a sapere, complicherebbe ulteriormente le cose. Puoi dirlo a tuo padre e agli altri, tipo Daiki e Shintarou, ma a nessun altro.”

“Hai,” annuì Kuroko. “Posso… Akashi-kun, posso… stare in –“ cercò di dire.

“Sì, puoi.” In qualche modo Akashi sapeva quello che voleva Kuroko, e lo riprese tra le sue braccia. Kuroko si risistemò nella sua solita posizione e strinse forte il petto di Akashi, appoggiando la testa su una sua spalla.

Akashi cambiò posizione per stare più comodo. Tra loro calò un silenzio rilassato, mentre Akashi pensava a come distruggere Ibuki e tenere Kuroko al sicuro. Kuroko invece si chiedeva se suo padre avrebbe accettato questa relazione; in fondo Kuroko non gli voleva mentire.

Dopo un po’ la posizione scomoda iniziò a causare fastidio alla schiena e alla gambe di Akashi. “Tetsuya, devo –“ Si bloccò quando sentì dei respiri profondi. Akashi spostò la testa per osservare il ragazzo contro la sua spalla.

Kuroko era addormentato, con la bocca leggermente aperta, da cui respirava contro il collo di Akashi. Le sue braccia circondavano ancora il corpo dell’ex capitano, ma lui era sicuramente addormentato. La sua espressione era rilassata e inconsapevole dei pericoli che il futuro aveva in serbo per lui. Sembrava che si sentisse al sicuro tra le braccia di Akashi. Il rosso stava per svegliarlo, ma si fermò e lo osservò. Ora che ci faceva caso, notò che i suoi occhi erano leggermente cerchiati e che anche il suo volto mostrava chiari segni di stanchezza. Akashi fece schioccare la lingua. In questo periodo non sta dormendo bene.

 

Facendo piano, per non svegliarlo, Akashi lo sollevò e lo sistemò al suo fianco. La testa di Kuroko era ancora appoggiata alla sua spalla, e il suo corpo modellato contro il suo, ma ora stava molto più comodo. Akashi gli passò un braccio intorno alle spalle per tenerlo al sicuro, poi, con discrezione, appoggiò la testa alla sua.
 


 

“Sei sicuro di avere ricevuto la mail, Kise?” chiese Aomine, irritato per essere dovuto andare fino a Kanagawa dal biondo. “E c’era scritto il mio nome?”

“Sì!” confermò Kise. “L’ha inviata Akashicchi! E diceva che anche tu, Aominecchi, dovevi esserci!”

“Ma perché non possiamo farlo a casa mia?”

Il biondo si fermò davanti alla casa e si girò per guardare male il ragazzo abbronzato. “Io vengo sempre a Tokyo per te. Anche tu devi venirmi a trovare qualche volta!”

Aomine sbuffò. “Pff, che seccatura.”

Kise si rigirò ed inserì la chiave che aveva in mano nella serratura. Prima di aprire la porta, però, si girò per dire esitante, “Kaa-san ora è in casa, quindi dobbiamo fare piano.”

Aomine aggrottò le sopracciglia. “Okay, va bene.”

La porta si aprì e i due ragazzi entrarono. Aomine fu sorpreso quando vide quanto fosse grande, ma soprattutto quanto tutto fosse pulito. Quando lo disse, però, ricevette un ceffone da Kise. “Pensavi che vivessi come uno sciattone, Aominecchi?” piagnucolò.

“Ahia,” si lamentò Aomine massaggiandosi il braccio. “Non c’è bisogno di essere violenti.”

“Dobbiamo andare in camera mia, lì c’è un computer,” disse Kise, spostandosi per entrare in salotto. “Kaa-san, sono a casa.”

“Mm, Ryouta? Sei già a casa?” Una donna bionda alzò lo sguardo dallo schermo del computer e, con aria stanca, lo indirizzò verso Kise. I suoi capelli non erano stati spazzolati e la sua pelle non era perfettamente curata, diversamente dal solito. Il suo sorriso sembrava forzato. “E lui chi è?”

Aomine, colpito dall’aspetto della madre di Kise, non riuscì a rispondere subito. Ma quando Kise gli diede una gomitata, si riprese e parlò. “Aomine Daiki,” disse inchinandosi brevemente. “Piacere di conoscerla.”

“È l’amico di cui ti parlavo, Kaa-san,” spiegò Kise con voce allegra. Ma nonostante la facciata felice, Aomine capì che anche il suo sorriso era forzato. “È qui per aiutarmi con un progetto scolastico. Staremo in camera mia.”

Sua madre si strofinò gli occhi. “Va bene. Non riesco a portarvi su degli snack, quindi servitevi pure da soli. E tenete la porta aperta!” L’ultima parte fu una battuta spontanea.

“Kaa-san!” si lamentò Kise arrossendo. “Non- non ascoltarla Aominecchi!” Afferrò Aomine per un braccio e lo trascinò per le scale fino in camera sua.
Quando furono abbastanza lontani da non essere sentiti, Kise lasciò andare il ragazzo stupefatto. Kise non riuscì a sostenere lo sguardo interrogativo di Aomine, che aggrottò di nuovo la fronte. “Kaa-san sta cercando un lavoro,” spiegò piano Kise. “Il suo stipendio è troppo basso, quindi passa tutto il tempo a cercare un lavoro che le renda di più. Ecco perché ha quell’aspetto. Tou-san sta facendo gli straordinari per avere di nuovo una promozione, e rimediare alla scarsità dello stipendio. È un periodo… movimentato.” Kise tirò su col naso e si sfregò gli occhi con una mano. “Sto cercando anch’io un lavoro per aiutarli, ma non lo trovo.”

Aomine, a disagio, accarezzò la testa del biondo, riuscendo comunque ad essere di conforto. “Pensiamo all’e-mail adesso,” suggerì.

Kise si sfregò gli occhi ancora una volta. “G-giusto. Akashicchi ha detto che dobbiamo avere le informazioni prima del tramonto.”

“Di che si tratta esattamente?”

Kise accese il computer ed entrò nella sua casella di posta. Poi cliccò sul messaggio di Akashi:

Tu e Daiki siete esperti di photo editing. Usate le due foto che ho allegato e correggete tutte le differenze che trovate. Alla fine del lavoro le foto dovrebbero sembrare quasi uguali. Poi mandatemele entro il tramonto.
Akashi

“Cosa diamine…?”Aomine inarcò un sopracciglio. “Photo editing?”

“Ho un programma sul mio computer. Potremmo usare quello,” propose Kise.

“Prima scarica le foto.”

Le foto si rivelarono essere quella di una donna sconosciuta e dall’aspetto strano e una della madre di Kuroko. Kise odiò subito quella di Ibuki, ma la aprì lo stesso con il suo programma, mettendo le due immagini una di fianco all’altra. “In effetti si assomigliano,” disse Kise, sorpreso. “Ma sono anche diverse. Saranno sorelle?”

“No, non possono essere sorelle,” negò Aomine. Prese il mouse dalla mano del biondo. “Quella sulla sinistra sembra più giovane di quella a destra. Ma guarda,” ingrandì entrambe le foto del 50%. “La struttura della mascella, gli zigomi, la forma e il ponte del naso sono troppo simili per delle sorelle. Inoltre,” Aomine spostò il mouse per concentrarsi sul collo delle donne. “Nella foto a sinistra c’è un neo, proprio sulla sinistra del collo, lo vedi? C’è lo stesso neo anche sulla foto a destra. Sono la stessa persona.”

“Eh?” Kise inclinò la testa. “Come fa la persona a sinistra ad essere la madre di Kurokocchi? Non sono proprio uguali!”

“Già,” concordò Aomine. “Penso che sia questo ciò che Akashi vuole che noi scopriamo.”

“Ma come?”

Aomine non rispose, ma iniziò a cliccare su diversi strumenti del programma di Kise. Suo padre lavorava come photo editor, quindi lui aveva imparato diversi trucchetti del mestiere fin da piccolo. Ingrandì il viso della foto a sinistra e lo ritoccò leggermente con l’aerografo. Lavorò anche sulla foto a destra, modificando il volto dalla pelle tesa così che avesse di nuovo le stesse piccole rughe naturali della foto sinistra. Kise osservava, commentando di tanto in tanto grazie alle sue conoscenze.

Alla fine si trovarono con due volti molto simili.

“Ora è chiaro che si tratta della stessa persona,” disse Kise. “Ma perché sono ancora leggermente diverse?”

“Ibuki deve essersi sottoposta a qualche intervento di chirurgia plastica,” suppose Aomine. “Probabilmente Akashi lo sospetta e ci ha inviato queste per avere una conferma.”

“Akashicchi è davvero troppo intelligente,” disse Kise.

Il ragazzo abbronzato fece un cenno d’assenso. “Comunque, mandiamo tutto ad Akashi, prima che perda la pazienza.”

 

Aomine entrò nella sua posta ed allegò le tre immagini: le due originali ed il risultato. Poi cliccò ‘invia’.
 


 

“Aka-chin,” Murasakibara bussò forte alla porta di Akashi. Era arrivato fin lì in treno dopo l’allenamento, ma non aveva pensato di chiamare prima l’ex capitano per avvertirlo. “Aka-chin,” si lamentò di nuovo. “Fa freddo, Aka-chin!”

Non ricevette risposta. Murasakibara aggrottò la fronte e fece il broncio allo stesso tempo. Perché Akashi lo stava ignorando? Di solito non faceva così. Ah, e dov’era già la chiave di riserva?

Il gigante cercò lì intorno, sotto il tappetino d’ingresso, nei vasi di fiori, ma Akashi era troppo furbo per lasciarla in posti così ovvi e Murasakibara non riuscì a trovarla da nessuna parte. “Aka-chin è cattivo,” mormorò, guardandosi attorno ancora una volta. Ma questa volta qualcosa di argentato catturò la sua attenzione. Murasakibara sbatté le ciglia, e si chinò per guardare meglio. Era la chiave, incastrata nel muro proprio vicino alla porta.  Prima non ci aveva proprio fatto caso. Tipico di Aka-chin sapere che nessuno avrebbe visto la chiave lasciata proprio lì davanti agli occhi.

Murasakibara aprì la porta, contento per l’aria calda che lo accolse. La porta si chiuse sbattendo dietro di lui. Murasakibara diede un morso al suo snack prima di dire ad alta voce, “Aka-chin, perché sei –“

Smise di parlare quando, sulla soglia del salotto, vide la coppia davanti a lui. Sul divano rosso c’erano Akashi e Kuroko. La testa di Kuroko era appoggiata per metà alla spalla e per metà al petto di Akashi. Le sue mani stavano stringendo il davanti dell’uniforme  di Akashi, ed i suoi occhi erano chiusi in un sonno profondo e pacifico. Akashi aveva un braccio posato in modo protettivo sulle spalle di Kuroko, ed il mento appoggiato alla sua testa, anche lui con gli occhi chiusi ed addormentato. I due non si erano minimamente accorti del gigante dai capelli viola che stava masticando snack rumorosamente. Sembravano tranquilli e stanchi allo stesso tempo.

“Mm, anche gli altri vorranno vedere questa scena,” pensò Murasakibara ad alta voce, quindi prese il cellulare. Scattò velocemente una foto e la inviò al resto della Generazione dei Miracoli. Aveva finito il suo snack, quindi Murasakibara scartò un lecca-lecca e se lo infilò in bocca. “Cosa dovrei fare ora? Ho fatto tutta la strada fino a qui…” disse, guardando la coppia addormentata.


Mm, meglio lasciare soli Aka-chin e Kuro-chin. Hanno bisogno di riposare.




 
NdT: Salve a tutti!
Ehm, sono in ritardo, ma dovete capire che stavo meditando sul senso della vita ed ho perso la cognizione del tempo… No, ok, in effetti le scuse alla Kakashi-sensei non sono le più indicate.
Ora comunque sono qui con un nuovo capitolo che scioglie qualche mistero sulla figura di Ibuki. Non avendo mai usato Photoshop o programmi simili, chiedo scusa se alcuni termini non sono esatti, nel caso correggetemi pure!
 Poi ci sarebbe anche quella scenetta AkaKuro, ma scommetto che non l’ha notata nessuno xD (A proposito, grazie lucelince!)
Ah, stavo per dimenticare! Murasakibara trova Akashi e Kuroko in un posizione simile a quella della foto nel link, solo che Kuroko dovrebbe stare spostato più sul fianco. Il link è lo stesso che l’autrice Virelei ha messo nell’originale :)
http://www.advancedanime.com/displayimage.php?pid=333961
Ovviamente i miei ringraziamenti vanno a tutti voi che recensite / preferite / ricordate / seguite, e che continuate ad aumentare! Grazie davvero e scusate se vi ho fatto aspettare !
A presto, Nienor_11

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

Akashi controllò il suo orologio e sospirò mentalmente: era già quasi mezzogiorno. Afferrò la cravatta che portava al collo ancora allentata, rifece il nodo, quindi la strinse. Si trovava davanti alla casa di famiglia, indossando ancora una volta una camicia elegante (nera, questa volta), ed una cravatta rossa. Per qualche motivo però stava esitando prima di suonare il citofono.

Proprio così: lui, Akashi Seijuro, stava esitando.

“Oggi sono piuttosto occupato,” disse ad alta voce, ricontrollando di nuovo l’orologio. “Ho programmato di portare Tetsuya –“

“Seijuro, so che sei lì fuori. Se non porti le tue chiappe in casa entro quindici secondi, smetterò di pagare l’affitto del tuo appartamento e ti farò vivere per strada come un barbone!” ringhiò all’improvviso una voce femminile attraverso il citofono. Akashi sbatté le palpebre come se niente fosse, restando impassibile anche se era stato colto di sorpresa. C’erano solo due persone che potevano permettersi di parlargli e minacciarlo così senza rischiare di morire: suo padre e sua madre.

Tipico di mia Madre, pensò Akashi; quindi attraversò i grandi cancelli della casa, che avevano iniziato ad aprirsi. La porta si aprì non appena le sue scarpe nere tirate a lucido si posarono sui primi gradini. Sulla soglia apparve Akashi Hayato, con un’espressione stanca e guardinga.

“Tua madre è nel salotto,” disse, esausto. “Ti sta aspettando.”

“Hm.” Akashi entrò nella casa della sua infanzia e si tolse la giacca. “Ho ricevuto la tua mail.”

Hayato si passò una mano tra i capelli. “Certo che l’hai ricevuta. È solo per questo che sei venuto qui, no?”

“Quello, tra le altre cose,” rispose Akashi. “Mia madre… come sta?”

“Abbastanza bene,” gli rispose brusco. Poi Hayato allungò una mano e, posandola sulla spalla di suo figlio, lo fece voltare per esaminarlo bene. Non capiva come mai Seijuro fosse così basso, dal momento che sia lui che Rin erano alti, e sperava disperatamente che crescesse presto. “I tuoi capelli stanno diventando lunghi.”

“Non è vero,” disse Akashi, liberandosi dalla sua presa. “Preferisco tenerli così.” Si girò prima che suo padre potesse rispondergli ed iniziò a camminare verso il salotto, dove sua madre lo aspettava. I suoi passi riecheggiavano leggeri nel grande corridoio illuminato. Akashi svoltò e, con una certa lentezza, entrò in salotto.

I capelli rossi di sua madre furono la prima cosa che vide. Akashi Rin era seduta su un divano costoso con le gambe accavallate e un braccio appoggiato sul suo stomaco, mentre l’altro portava una tazza di the alle sue labbra. I suoi occhi dal colore insolito brillarono in direzione di Akashi, mentre lei sorseggiava il the con calma.

“Seijuro,” lo salutò, posando la tazza.

“Madre,” le rispose Akashi. Nella famiglia Akashi erano tutti molto formali. “Sono a casa.”

“È proprio comodo dire che questa è la tua ‘casa’,” disse Hayato, che lo aveva seguito, mentre entrava nella stanza. “Siediti, Seijuro.”

Si sedettero, formando un triangolo nella stanza.  Akashi si sistemò sulla poltrona alla sinistra di Rin, Hayato su un altro divano alla sua destra. Fu servito il the e la famiglia restò seduta in un silenzio pesante, limitandosi a sorseggiare il the e sgranocchiare qualche snack. Dopo un po’ Akashi si appoggiò allo schienale della poltrona ed incrociò le gambe. Fissò sua madre, come se fosse in attesa di qualcosa.

“Mi avevi fatto chiamare, Madre?”

Rin posò con calma la tazza, quindi si passò una mano tra i capelli rossi. “Sì, Seijuro.” Sentendo il tono glaciale della moglie, Hayato gettò uno sguardo carico di pietà verso il figlio. “Come sta il tuo amico in questo periodo? Il suo nome è – ah, Kuroko Tetsuya, se non sbaglio?”

Akashi si irrigidì. A quanto pare sua madre lo sapeva. “Sta bene,” disse tranquillamente. “Non c’è niente di particolare da dire su di lui.”

“Oh? Niente?” La voce di Rin iniziò a farsi tagliente. “Neanche qualcosa sugli abusi da parte di sua madre che vanno avanti dalle medie e di cui non sono stata messa al corrente?”

Hayato inspirò rumorosamente. “Rin…”

“Non so davvero –“ Qualcosa di veloce e pericoloso volò mancando di poco la testa di Akashi, conficcandosi poi nel muro alle sue spalle. Essendoci abituato fin da piccolo, Akashi smise solo di parlare e fissò sua madre con occhi penetranti. Dietro di lui, un coltello si era incastrato nel muro, che fino a pochi istanti prima era ancora integro.

Mio figlio mi sta forse mentendo?” chiese dolcemente Rin.

“Non avevo finito di parlare,” disse freddamente Akashi.

“Non ce n’è bisogno,” scattò Rin. Si alzò all’improvviso dirigendosi verso suo figlio, che la guardava con espressione indifferente. Rin si avvicinò minacciosa ad Akashi, e la loro differenza di statura fu ancora più evidente, dato che lui era seduto. “Perché non mi hai mai detto che Kuroko Tetsuya era una vittima degli abusi di Ibuki?”

Akashi spostò lo sguardo sulla tasca dei pantaloni firmati di Rin e notò che nascondeva un altro coltello di riserva, che spuntava leggermente e brillava alla luce. Rialzò lo sguardo sul viso di sua madre, rispondendole distaccato, “Per il momento non ritenevo ci fosse urgenza di informarti. Ma ora ne ho parlato a mio Padre, quindi non vedo il problema.”

L’occhio sinistro di Rin ebbe un tic, e lei torse le mani come se volesse strozzare Akashi. “Sei proprio un moccioso,” sibilò.

“Di solito dici che non può essere un moccioso,” intervenne Hayato. “Visto che, dopo tutto, l’hai cresciuto tu.”

“Non mi rimettere in bocca le mie stesse parole.” Rin si piegò in avanti, così che il volto di suo figlio fosse vicino al suo. “Dimmi, è stato divertente mentirmi?”

“Madre, non ti ho…”

Rin girò la testa e fece finta di non averlo sentito. “Mi hai mentito! Omesso la verità! È lo stesso che mentire!”

Akashi sospirò, portandosi una mano sugli occhi. Quando sua madre faceva così, nessuna parola sarebbe andata bene come spiegazione. Rin lo vide sospirare, e un sorriso falso e arrabbiato si aprì lentamente sul suo viso.

Hayato, notando che la vita di suo figlio era in pericolo, parlò ad alta voce per interromperli. “Seijuro, tua madre – anche se ha esagerato un po’ – ha ragione. Parlarci di Ibuki quando andavi alle medie ci avrebbe aiutati a fermarla.”

Akashi guardò suo padre, poi sua madre, poi di nuovo suo padre. Ecco una delle tante ragioni per cui vivo per conto mio. “Allora mi scuso sinceramente per ogni problema che vi ho causato e per la mancanza di rispetto che ho dimostrato.”

Dato il suo tono piatto e distaccato, entrambi i genitori capirono che le sue scuse non erano affatto sincere.

“Chiedere scusa non basterà!” dichiarò Rin. “Come punizione dovrai portare qui Kuroko Tetsuya, così che Hayato ed io possiamo incontrarlo personalmente!”

…. Hayato tossì.

… Rin inarcò un sopracciglio.

… Akashi distolse lo sguardo.

I loro movimenti si bloccarono per un lungo momento, mentre Akashi considerava l’idea, Rin si teneva pronta ad uccidere suo figlio in caso avesse rifiutato, ed Hayato stava pronto ad allontanare Akashi dal pericolo per non essere costretto a partecipare al suo funerale.

Akashi aprì la bocca, “Mi rifiu –“

Un coltello sibilò nell’aria e il lato non affilato della lama strisciò contro la guancia di Akashi prima di conficcarsi appena al di sotto di quello lanciato poco prima. Hayato trattenne il respiro guardando Rin, che fremeva di rabbia. “Stavi dicendo, Seijuro?”

 
Il ragazzo guardò sua madre senza paura, poi prese il cellulare. La sua mente era però ancora sorpresa per essere sopravvissuto a un attacco di sua madre.
 


La suoneria del cellulare svegliò Kuroko, che aprì lentamente gli occhi e sbatté le palpebre un paio di volte prima di allungarsi per prendere il telefono, facendo una smorfia per i muscoli doloranti. Haru aveva insistito perché Kuroko dormisse anche durante il giorno, così il suo corpo si sarebbe ripreso più velocemente. L’unica cosa che Kuroko odiava di questi pisolini era che gli lasciavano i capelli tremendamente arruffati.

“È Akashi-kun,” mormorò mentre, ancora assonnato, controllava chi lo stesse chiamando. Aprì il cellulare e premette il tasto per rispondere. “Akashi-kun…”

“Stavi dormendo, Tetsuya?” la voce di Akashi contribuì a svegliarlo un po’ di più.

 “Ah, sì, ma non importa.” Kuroko si mise seduto. “Hai bisogno di qualcosa, Akashi-kun?”

“Hm,” disse Akashi. “So che avrei dovuto avvisarti prima, ma ho chiesto a qualcuno di passarti a prendere. Vestiti in modo appropriato.”

“Passarmi a prendere? Andiamo da qualche parte, Akashi-kun?”

Kuroko si tolse le coperte di dosso e si alzò dal letto. Ma sentì subito la testa girare e dovette aggrapparsi al comodino per mantenere l’equilibrio. Si osservò allo specchio: i suoi capelli azzurri, come previsto, erano aggrovigliati ed avevano l’aspetto di un nido d’uccello. Si chiese come facessero a mantenere quella posizione assurda.

“Tu vai da qualche parte,” rispose Akashi. “Verrai a Kyoto a casa mia. Incontrerai mia madre e mio padre.”

Kuroko rimase in silenzio, sbigottito. Sembrava che il suo cervello non riuscisse a processare le parole di Akashi. Madre? Padre? Di Akashi? Quel pensiero spaventò Kuroko. “Ah, ehm, non penso che sia una buona idea.”

“Tu ci verrai, Tetsuya,” ordinò Akashi, ma poi parlò con voce più dolce per rassicurarlo. “Non preoccuparti, i miei genitori non ti faranno del male.”

Kuroko sentì una voce di donna in lontananza. “Fargli del male? Seijuro, cosa gli hai detto di noi?”

Akashi sembrò ignorarla, dato che Kuroko non lo sentì rispondere. “Qualcuno ti sta già aspettando per accompagnarti alla stazione. Quando arriverai a Kyoto troverai un altro autista. Qualsiasi cosa succeda tu non dovrai camminare, mi hai capito?”

“Hai…”

“Vestiti in modo adeguato. Ti aspetto.” Akashi riagganciò.

Kuroko rimase un momento a fissare il cellulare con la fronte aggrottata, poi lo posò sul comodino. Era una cosa improvvisa e che non si aspettava, ma dato che Akashi gli aveva chiesto di andare, lui lo avrebbe fatto.

Il problema era che non aveva nessun vestito formale da indossare. Sua madre non lo portava quasi mai con sé per delle ‘occasioni speciali’, quindi Kuroko non aveva mai avuto bisogno di ‘vestiti appropriati’. La camicia più bella che ho è da lavare, pensò Kuroko. Forse otou-san ne avrà una vecchia?

“Otou-san?” chiamò il ragazzo uscendo dalla camera. Non sapeva se suo padre fosse ancora in casa o no.

“Sono qui,” rispose Haru dal suo piccolo studio. Kuroko  lo raggiunse ed entrò nello studio, dove faceva più caldo. Suo padre, che era seduto su una sedia con le rotelle, si girò per osservare Kuroko e tentò di non fissare troppo i suoi capelli. “Hai dormito bene? Hai bisogno di qualcosa?”

“Hai, ho dormito bene,” rispose Kuroko. “E… otou-san, avresti una tua vecchia camicia elegante che non usi più?”

Haru inarcò un sopracciglio. “Una vecchia camicia elegante? Perché?”

Kuroko esitò. “Devo andare a trovare Akashi-kun a Kyoto.”

“E ti serve una camicia elegante?”

Kuroko abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi e mosse nervoso le mani. “Incontrerò i suoi genitori,” disse a bassa voce.

Haru ci pensò un po’ poi contrasse le labbra. “Ah, capisco.” Quindi si alzò, si sgranchì i muscoli e indicò a Kuroko il piccolo divano malandato. “Siediti lì, vado a vedere se ce n’è una che ti possa andare bene.”

“Grazie, otou-san.” Kuroko si spostò zoppicando fino al divano e si sedette rigido su un cuscino. Si sfregò gli occhi con fare assonnato e osservò suo padre che cercava nello stanzino in cui teneva i vestiti.

La loro casa aveva solo tre stanze: la camera di Kuroko, la camera da letto principale e poi una stanzetta calda che aveva solo una piccola finestra. Dato che Haru e Ibuki non dormivano nella stessa camera, Haru si era sistemato nella stanzetta, che usava anche come ufficio. Quindi la maggior parte dei suoi vestiti si trovava lì.

“Ne ho molte ma, vista la tua taglia, dubito che ti possano andare,” disse Haru. “Proviamo questa…”

Attraversò la stanza con tre passi e si inginocchiò davanti a suo figlio. “Alza le braccia,” ordinò.

Kuroko si accigliò. “Posso fare da solo, otou-san.”

“L’ultima volta che ti sei cambiato da solo ti sei fatto di nuovo male. Su le braccia.”

Non potendo disobbedire, il ragazzo sospirò e sollevò le braccia. Haru gli tolse gentilmente la maglietta, facendo attenzione alla costole che stavano ancora guarendo. Osservò le bende che fasciavano il torso di suo figlio e lo aiutavano a respirate mantenendogli la schiena dritta e le ossa nella posizione corretta. “Ti sembra che le bende siano troppo strette?” Kuroko negò. “Ok, allora infila le braccia nelle maniche.”

Poco dopo Kuroko stava indossando una camicia blu troppo grande per lui. Haru si alzò, lo osservò e scoppiò a ridere. Kuroko, confuso dalle risate del padre, si alzò e si avvicinò ad uno specchio per controllare cosa ci fosse di strano. Quando la sua immagine si riflesse nello specchio, Kuroko aggrottò le sopracciglia.

Ora non solo Kuroko aveva i capelli completamente arruffati, ma indossava anche una camicia decisamente larga per lui. Le maniche gli coprivano completamente le mani e il bordo gli arrivava a metà coscia. Anche se era già stata abbottonata gli scivolava comunque da una spalla, scoprendogli il collo.
“Otou-san,” protestò Kuroko. “Non posso indossare questa davanti ad Akashi-kun. È troppo grande.”

Haru ridacchiò. “Usavo quella camicia quando andavo al college. Devi crescere, Tetsu.” Kuroko lo guardò inespressivo. Haru sospirò e ricontrollò tra i suoi vestiti. “Non è elegante come quella, ma credo che possa andare.” Prese una camicia bianca a maniche lunghe, un gilè blu e dei jeans scuri. “Forse i jeans non sono esattamente della tua taglia, ma possiamo farci un risvolto.”

Qualche minuto dopo Kuroko aveva finito di vestirsi. Le maniche erano ancora un po’ troppo lunghe per lui, ma suo padre era riuscito a sistemarle piegandole con cura. Avevano fatto un risvolto ai jeans, ma non si notava, perché era nascosto dalle scarpe. Il gilè gli andava quasi a pennello, era solo un po’ largo, ma si notava appena.

“Così va meglio,” osservò Haru. “Ma devi fare qualcosa per i capelli.”

Kuroko se li toccò tristemente. “Non ho tempo di sistemarli.”

“In questo caso,” Haru prese un berretto di lana nera dalla sua scrivania. “Dovrai indossare questo. Tanto fa freddo e Akashi-kun si aspetterà di vederti indossare qualcosa di caldo, no?”

“Hai,” rispose piano Kuroko.

Haru sistemò con gentilezza il berretto sulla testa di suo figlio, riuscendo a coprire del tutto i capelli. La lana nera creava un forte contrasto con il volto pallido di Kuroko. “Bene, ora sei pronto. Ti serve un passaggio fino a casa di Akashi-kun?”

“Non ce n’è bisogno, Akashi-kun ha detto che qualcuno mi passerà a prendere,” disse Kuroko rifiutando educatamente l’offerta. “Grazie, otou-san.”

Haru si abbassò e posò un bacio sulla fronte di Kuroko. “Fai attenzione. Fa freddo, è meglio se prendi una giacca. Torna prima delle otto, ok? Tua madre sarà a casa per le nove, ed è meglio se arrivi prima tu.”

“Va bene,” disse Kuroko obbediente. “Otou-san, vuoi che ti porti qualcosa da Kyoto?”

“No, grazie,” sorrise Haru. “Akashi-kun sarà impaziente. È meglio che ti sbrighi se non vuoi perdere il treno.”

“Hai. Allora io vado!” Kuroko uscì dallo studio e scese le scale. Prese il cappotto che era appoggiato a una sedia della cucina, poi uscì di casa furtivamente, chiudendo la porta dietro di sé. Subito la fredda aria di Tokyo attaccò le sue guance e aggredì il suo corpo. Kuroko tremò e si infilò velocemente il cappotto. Otou-san ha ragione. Fa davvero freddo.

“Ehm… scusi, è lei Kuroko-san?”

Una voce sconosciuta gli fece alzare lo sguardo, che incontrò degli occhi marrone scuro. Un uomo dall’aspetto giovane sovrastava Kuroko. Indossava un completo standard e dei guanti neri di pelle e sorrideva educatamente.

“Scusi, ci conosciamo?” chiese educato Kuroko.

“Ah, quindi è davvero lei Kuroko-san.” L’uomo fece un passo indietro e si inchinò. “Sono Takanaga Kouta. Akashi-san mi ha mandato qui per darle un passaggio.”

Kuroko, sorpreso, si inchinò a sua volta. “Akashi-kun l’ha mandata qui?”

“Vivo qui vicino, e dato che devo un favore alla famiglia Akashi, questo è il minimo che potessi fare per il loro figlio,” Kouta sorrise e fece un gesto indicando una macchina dietro di sé. “Andiamo? La stazione non è molto lontana, ma il treno partirà tra mezz’ora.”

Il ragazzo annuì; non era abituato a ricevere passaggi in questo modo, quindi seguì l’uomo in silenzio fino alla macchina dell’aspetto vissuto. Prese posto su un sedile posteriore, mentre Kouta si mise alla guida.  “Andiamo alla stazione!”

In effetti il tragitto fino alla stazione fu breve. Kouta diede a Kuroko il biglietto per Kyoto che si era procurato prima e il ragazzo lo ringraziò. Poi lo informò che a Kyoto avrebbe trovato una donna ad aspettarlo. Kuroko memorizzò l’informazione, annuì ed entrò in stazione. Sua madre l’aveva mandato molte volte a Kyoto per svolgere alcune commissioni, quindi Kuroko sapeva bene dove andare e quale treno prendere.

“Le porte si stanno chiudendo. Per favore allontanarsi dalle porte.”

Kuroko si trascinò fino ad un posto vuoto vicino al finestrino. Il treno era abbastanza affollato, quindi era stato fortunato a trovare un posto isolato dalla folla. Ma nessuno lo notava mai, quindi per lui non era poi così difficile isolarsi. Kuroko appoggiò la testa al finestrino freddo e sospirò.

I genitori di Akashi-kun… assomiglieranno ad Akashi-kun?

Aveva incontrato la madre di Akashi solo una volta, e solo per un breve momento. Da quel breve incontro aveva capito che era una donna molto intelligente e che Akashi aveva ereditato molti dei suoi tratti da lei. Ma non sapeva nient’altro sui genitori del suo ex capitano.

Sapranno della… relazione tra Akashi-kun e me? A quel pensiero Kuroko si sentì arrossire.

Il treno si fermò fin troppo presto e Kuroko dovette scendere. Lui e la donna che lo doveva accompagnare da Akashi impiegarono parecchio tempo a trovarsi. La donna non notava la sua presenza, mentre Kuroko non riusciva a vedere oltre le persone più alte di lui, quindi incontrarsi era quasi impossibile. Si trovarono solo quando andarono letteralmente a sbattere l’una contro l’altro.

“Sono terribilmente dispiaciuta,” si scusò per l’ennesima volta la donna, mentre si avvicinavano ai cancelli principali della villa, che si aprirono automaticamente, dato che il loro arrivo era atteso. La macchina comunque non attraversò i cancelli, ma vi si fermò davanti. “Spero che non sia stato un fastidio per te.”

“Nessun problema,” disse Kuroko chinando la testa. “È stata anche colpa mia. Grazie per il passaggio.”

“La famiglia Akashi ti aspetta all’entrata. Devi solo percorrere il vialetto e bussare alla porta.”

 
“Hai. Grazie mille.” Kuroko scese dall’auto, richiudendo la portiera. La macchina ripartì subito dopo. Kuroko fu lasciato solo ad ammirare la grandissima casa davanti a lui. “Akashi-kun è davvero ricco…”
 
“Arriverà presto?” chiese Rin impaziente.

Akashi controllò l’orologio. “Dovrebbe essere qui a momenti.”

Sua madre sbuffò poi lo osservò con la coda dell’occhio. “La cravatta!” Rin si voltò e si mise di fronte ad Akashi. “Non è abbastanza stretta.” Prese la cravatta rossa e la strinse deliberatamente al massimo. Quindi gli diede uno strattone per soddisfazione personale. Akashi non mostrò nessun segno del suo soffocamento imminente.

“Mi stai strozzando, Madre. Riesco appena a respirare,” fu tutto ciò che disse.

“Bene. Te lo meriti.”

Hayato alzò gli occhi al cielo. Appena sua moglie si fu girata, allentò con discrezione la cravatta del figlio ed inarcò un sopracciglio quando quest’ultimo lo guardò indifferente. Suo figlio non era il tipo da ringraziare qualcuno apertamente. “Che tipo di the piace a Tetsuya?” chiese Rin.

Akashi ci pensò un momento. “The verde uji,” rispose. Rin lo riferì a uno dei camerieri. “Cercherà di mangiare o bere qualcosa di poco sano. Ma deve ancora guarire, quindi rifiutate le sue richieste.”

Sua madre storse il naso. “Seijuro, sei così severo.”

Mia Madre mi ha davvero detto che sono severo?

Un leggero bussare fece voltare tutti e tre gli Akashi verso la porta. Akashi e Rin si diressero entrambi rapidi verso l’entrata. “Seijuro, stai indietro. Aprirò io la porta,” disse bruscamente Rin.

“Madre, lo spaventerai. La aprirò io.”

Lo farò io!”

“Lo faro io.”

“Seijuro, fatti da parte!”

“È una cosa che non posso fare.”

Alla fine fu Hayato ad aprire la porta, mentre madre e figlio continuavano a litigare ‘formalmente’ e mantenendo la calma. La porta si aprì e apparve Kuroko, più pallido del solito. Hayato osservò il suo abbigliamento con approvazione e gli sorrise. “Ciao, tu devi essere Kuroko Tetsuya.”

Kuroko si inchinò profondamente. “S-salve. Sì, sono Kuroko Tetsuya. È un onore incontrarla, Akashi-san.” Il ragazzo suppose che l’uomo di fronte a lui fosse il padre di Akashi. In realtà non era difficile da capire, visti i capelli e gli occhi.

Hayato fece un sorrisetto. “Seijuro e Rin avevano ragione; sei davvero fin troppo educato.” Posò una mano sulla spalla del ragazzo, ma si accigliò quando Kuroko sobbalzò istintivamente. Ibuki gliene ha fatte passare davvero tante. “Alza la testa. Non so cosa ti abbia detto Seijuro, ma io non mordo mica,” si grattò la nuca. “Di solito.”

“Dire così ti rende piuttosto spaventoso, Padre,” disse la voce di Akashi da dietro Hayato, e gli occhi di Kuroko si illuminarono un po’ a quel suono. “Inoltre non ho detto niente del genere su di te. Anzi, a dire il vero non ti ho mai neanche menzionato.”

Akashi si fece avanti ed entrò nel campo visivo di Kuroko. Aveva il suo solito sorrisetto stampato in faccia, ed allungò una mano per toccare la spalla sinistra di Kuroko. Hayato notò che il ragazzo non sobbalzava quando era Akashi a toccarlo. “Tetsuya, com’è stato il tuo viaggio fin qui?”

“È andato bene,” rispose piano Kuroko.”Sono contento di poterti vedere, Akashi-kun.”

“Hm.”

“Seijuro, fammelo vedere.” Un’altra voce, questa volta femminile, catturò l’attenzione di Kuroko. Una donna alta e dai capelli rossi avanzò tra padre e figlio e si fermò proprio di fronte al ragazzo. Si chinò un po’ in avanti per osservarlo più da vicino.”Hm…”

“Piacere di conoscerla,”disse in tono piatto Kuroko, poi si inchinò. “Akashi-san.”

Le sue parole furono seguite da un momento di silenzio così lungo che Kuroko temette di aver detto qualcosa di sbagliato. Stava per scusarsi, quando due mani calde si posarono sulle sue guance ancora fredde e gli fecero alzare il viso. Kuroko si ritrovò a fissare degli occhi colorati. “Tetsuya,” disse Rin, assaporando il suo nome. “Sei davvero carino.”

Akashi sospirò e si massaggiò il ponte del naso.

Hayato si coprì la faccia con un mano.

Kuroko sbatté le palpebre. “Grazie.”

“E anche così educato,” lo lodò Rin. “Sei proprio come ti immaginavo. Ti ho incontrato solo una volta, ma non sei cambiato per niente.”

“Grazie…”

“Ora basta, Madre.” Akashi intervenne per liberare Kuroko dalla presa di Rin. “Di solito non sei così prodiga di complimenti.”

Rin incrociò le braccia. “È perché non ho un figlio così obbediente.”

Akashi fece finta di non aver sentito e si concentrò su Kuroko. Toccò il berretto che il ragazzo stava ancora indossando. “Avevi così tanto freddo da dover indossare questo, Tetsuya?” Continuò a toccarlo, accigliato; copriva quasi tutti i capelli di Kuroko, e questo ad Akashi non piaceva.

“No,” disse Kuroko. “Ma dato che quando mi hai chiamato stavo dormendo, avevo i capelli in disordine, e non ho avuto tempo di sistemarli.” Ah, sì, Akashi ricordava dai tempi dei campi estivi al Teiko che ogni mattina i capelli di Kuroko erano un disastro. Incontrare i suoi genitori in quello stato non sarebbe stato opportuno.

“Vieni dentro, Tetsuya,” disse Hayato. “Ti stavamo aspettando.”

“Spero di non avervi fatto aspettare troppo,” disse Kuroko togliendosi le scarpe per entrare. Non tolse invece la giacca, dato che aveva ancora freddo.

“Non preoccuparti,” intervenne Rin. “Il the ci aspetta in salotto. C’è qualche snack in particolare che vorresti mangiare?”

Kuroko guardò furtivamente Akashi, chiedendosi se poteva richiedere qualcosa. Il rosso non ebbe nessuna reazione, quindi Kuroko riportò lo sguardo su Rin. “Sarebbe un problema avere un frap –“

“Non provarci nemmeno, Tetsuya,” gli ordinò Akashi. Kuroko rimase tristemente in silenzio, ed Hayato dovette sforzarsi per non sorridere.

Si sistemarono di nuovo in salotto. Rin scelse la poltrona, Hayato lo stesso divano su cui era già prima mentre Akashi e Kuroko si sedettero vicini sull’altro divano. Kuroko mangiò reclutante alcuni fagioli di soia, perché Akashi glielo aveva ordinato. Hayato li osservava ed analizzava la natura del loro rapporto.

“Tetsuya,” chiamò Rin. Kuroko le prestò attenzione. “Tu frequentavi la stessa scuola media di Seijuro, vero? Eri nel club di basket?”

“Hai,” confermò Kuroko.

“Ti piace giocare con Seijuro?”

Kuroko si sentiva a disagio nel ricevere tutte quelle attenzioni dalla famiglia Akashi, ma rispose comunque a bassa voce. “Sì, mi piaceva.”

Rin si passò una mano tra i capelli. “Allora dimmi, come mai non sei andato al Rakuzan con Seijuro? Perché ti sei iscritto al Seirin, una scuola quasi sconosciuta e con una squadra di basketball scarsa, quando il Rakuzan eccelle sia nell’istruzione che negli sport?”

“Madre,” la avvertì Akashi.

Kuroko abbassò la testa. Gli altri lo osservarono mentre lui si stringeva le mani in grembo e nascondeva il viso. Akashi gli posò una mano sulla testa. “È sicuramente vero,” disse Kuroko quasi bisbigliando, “Che mi divertivo a giocare con Akashi-kun e gli altri. M-ma… non volevo seguire Akashi-kun al Rakuzan. Io… mi affidavo troppo alla squadra del Teiko, e Akashi-kun e gli altri mi stavano lasciando indietro. Volevo diventare più forte… per superare Akashi-kun.” Fece un respiro profondo perché aveva parlato troppo. “Poi il Seirin non è male. I miei compagni di squadra sono affidabili.”

Akshi si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. “Sciocco,” disse, mettendo un dito sotto il mento di Kuroko e facendogli sollevare lo sguardo. “Io vinco sempre, quindi ho sempre ragione. Non credo che tu possa mai superarmi.”

Kuroko lo fissò negli occhi, determinato. “Forse non ancora nel basket, Akashi-kun, ma so di poter bere più frappè alla vaniglia di te.”

“Questo non c’entra…”

“Smettetela con questo scambio di effusioni,” scattò Rin. “Mi fa venire male agli occhi.”

“Sei stata tu a domandarglielo, Madre,” disse Akashi, lasciando andare il mento di Kuroko. “Sei soddisfatta?”

“No.”

Hayato la guardò seccato, mentre Akashi la ignorò. “Ora che avete incontrato Tetsuya, possiamo passare al motivo per cui io sono qui.”

“E qual è questo motivo, Seijuro?” Questa volta fu Hayato a parlare. Era già abbastanza stanco dello scambio di battute tra Akashi e Rin, quindi voleva andare dritto al sodo prima che Rin potesse interromperlo.

“Kuroko Ibuki.”

A quel nome Kuroko si inquietò. Akashi lo avvicinò di più al suo corpo; le loro spalle ora si toccavano. Cercando di non farsi notare, Kuroko si aggrappò al bordo della camicia di Akashi. “Siamo pronti. La fase preparatoria è finita.”

Rin inarcò le sue sopracciglia perfette e congiunse delicatamente le dita. “Oh? Hai raccolto abbastanza prove?”

“Sì. Sono riuscito a capire.” Akashi fece un sorrisetto furbo. “La fine si sta avvicinando.”

Kuroko, che non capiva, si raddrizzò e chiese, “Di cosa stai parlando, Akashi-kun?” Si lasciò sfuggire un piccolo sbadiglio, ma richiuse in fretta la bocca e si sfregò un occhio.

“Ibuki,” ripeté il rosso. “Tua madre – i suoi segreti sono stati rivelati.” Si sgranchì le dita aprendo e chiudendo le mani. “Sta per arrivare il momento di farti uscire da quella casa.”

“Ne sei sicuro, Seijuro?” chiese Hayato. “Non si possono fare errori nel campo della giustizia. Hai delle prove e dei testimoni impeccabili? Non c’è nessuna supposizione? Deve essere tutto concreto.”

Occhi rossi e gialli incontrarono occhi quasi arancioni. Akashi annuì leggermente a suo padre. “È tutto concreto. Ci scommetto tutto quello che ho.”

“Non… scommettere tutto… Akashi-kun,” Kuroko si sfregò gli occhi, rendendosi conto di stare per addormentarsi. “È un bene…che sia tutto… a posto. Molto… bene…” Il ragazzo non ce la faceva più: la sua testa cadde lentamente fino a posarsi sul grembo di Akashi, quindi si addormentò immediatamente.
Tutti e tre gli Akashi guardarono increduli il ragazzo addormentato. Un momento era sveglio, e quello dopo dormiva sulle gambe del compagno. Akashi fu il primo a riprendersi, e cercò di non sorridere. Posò una mano sulla testa del sedicenne addormentato e parlò piano per non rischiare di svegliarlo. “Il suo corpo deve ancora guarire, e noi prima abbiamo interrotto il suo riposo. I colpi ricevuti da sua madre non sono stati affatto leggeri, e lui è ancora in uno stato di fragilità.”

“Capisco,” disse Hayato continuando a guardarlo con espressione sorpresa. “A proposito, Seijuro, non sono particolarmente interessato nelle tue preferenze di genere, ma in futuro vorrò diventare nonno. Assicurati di fare un’adozione.”

Akashi si irrigidì. “Non essere ridicolo, Padre.”

“Preferirei che tu avessi una moglie. Ma se devi scegliere un uomo, allora Tetsuya è la scelta migliore,” aggiunse sua madre.

“Anche tu, Madre, non dire sciocchezze.”

Hayato si sgranchì con un sospiro. “Tornando all’argomento principale; Seijuro, sei davvero sicuro di essere pronto?”

“Sì, lo sono,” confermò Akashi. “E vorrei svolgere il ruolo dell’accusa per questo caso, mentre, Madre, tu sarai il mio avvocato.”

 
Rin sorrise compiaciuta. “Sarà un piacere.”
 
Il cellulare di Midorima vibrò. Era una vibrazione bassa, di avvertimento, che lo fece scattare in allerta. “È solo un messaggio,” mormorò tra sé. Prese il cellulare dalla borsa della scuola e lo aprì.

Siamo pronti.

 
Il tiratore sbatté le palpebre. Impiegò giusto un paio di secondi a capire il significato di quelle parole. Affilò lo sguardo e tamburellò le sue dita fasciate su una gamba. “Interessante.” Con uno scatto richiuse il telefono.
 
Siamo pronti.

Murasakibara aprì con movimenti pigri un pacchetto di patatine e se ne mise una in bocca. Masticò rumorosamente. “Kuro-chin…”

 
Poi ne mangiò un’altra.
 
Siamo pronti.

Aomine fece un altro canestro tirando con una sola mano. Si piegò in avanti, col respiro affannato. Del sudore colava lento sulla sua faccia, ed aveva un asciugamano posato sulle spalle. Nella mano sinistra teneva il cellulare. “Non è da me allenarmi,” brontolò.

 
Quindi strinse il cellulare con più forza.
 
Siamo pronti.

Kise sorrise. Era un sorriso di avvertimento, un sorriso vendicativo. Afferrò il cellulare e fissò il muro davanti a sé. “Finalmente,” bisbigliò. “Potrò vendicarmi per kaa-san e tou-san.”

 
Rise e richiuse il cellulare. “La Generazione dei Miracoli è pronta.”
 

Imputato Kuroko Ibuki

CON LA PRESENTE SIETE CONVOCATA a rispondere alle accuse e a notificare una copia delle vostre risposte all’avvocato ricorrente entro 20 giorni dalla notifica di questa convocazione, giorno della notifica escluso, oppure entro 30 giorni nel caso in cui questa convocazione non Vi fosse consegnata personalmente entro la Prefettura di Tokyo.

In caso di mancanza di una Vostra risposta a questa convocazione, sarà espressa contro di Voi una sentenza in contumacia a favore delle risoluzioni richieste nella denuncia; Vi saranno inoltre addebitate le spese del processo.

Data: 0X-0X-20XX
Akashi Rin
Avvocato di Akashi Seijuro
(03) – 0X2X3 – XX32


 


NdT Ciao a tutti!
In questo capitolo c’è un’atmosfera un po’ meno pesante del solito, soprattutto nella prima parte.
Ammetto però di avere avuto qualche problema con la parte finale e i termini giuridici. Ho fatto qualche ricerca, ma se tra voi ci fosse qualcuno che nota cavolate assurde, me lo dica pure, che mi correggo volentieri. :) Comunque ci avviciniamo alla svolta decisiva….Ibuki, preparati!!
Come sempre vi ringrazio tutti! Spero che questo capitolo via sia piaciuto…
Alla prossima, Nienor_11

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19
 
Kuroko si accovacciò per terra, chiuse  gli occhi e si premette i palmi delle mani sulle orecchie per la disperazione. Tenendo le ginocchia premute contro il petto e la testa abbassata, Kuroko sobbalzò quando un’altra scarica di colpi violenti si abbatté sulla sua porta. Sebbene avesse le orecchie tappate poteva ancora sentire la voce violenta che imprecava attraverso la sua camera.

“Maledetto marmocchio!”strillò la voce. “Muovi il culo ed esci di lì! Ti ammazzo!” Altri colpi violenti si scagliarono contro la porta, accompagnati da espressioni così colorite che avrebbero fatto vergognare persino un marinaio. Il pomello si muoveva senza sosta per i continui tentativi di aprire la porta. Kuroko sussultò cercando di ignorarlo. “Fammi entrare, Tetsuya! Cazzo, dov’è il cacciavite? Giuro che ti ammazzo appena riesco a trovarti!”

Kuroko Ibuki era in piedi dall’altra parte della porta, livida di rabbia, e respirava affannosamente con la mascella serrata. Entrambe le sue mani erano chiuse a pugno, ma la sinistra teneva stretto un foglio di carta stropicciato, su cui era scritto in nero: ordine di comparizione in tribunale. Come osa quel marmocchio – come osa coinvolgere il sistema giudiziario in tutto questo? Come osa causarmi questi problemi; ha la faccia tosta di voler rovinare la mia immagine pubblica.

“Fammi entrare!” urlò colpendo con un forte calcio la porta, tanto che parte della vernice si scrostò.

Intanto Kuroko pregava che suo padre arrivasse presto a casa. Però sapeva che era inutile, perché suo padre sarebbe stato fuori per buona parte della giornata. Non avevano previsto che Ibuki sarebbe tornata a casa, vista la nota che lei aveva lasciato quella mattina.

Sentendo un altro calcio colpire la porta, Kuroko si alzò velocemente e si precipitò verso il cellulare. Le sue mani tremanti premettero il numero sbagliato per ben due volte, ma poi riuscì finalmente a premere il ‘3’ con il pollice. Era una chiamata rapida, quindi il cellulare chiamò automaticamente la persona di cui lui aveva bisogno.

“Tetsuya?” Kuroko non era mai stato così felice di sentire la voce di Akashi.

“A-Akashi-kun,” disse Kuroko, sussultando quando Ibuki ricominciò a urlare una serie insulti e a colpire con calci e pugni la sua porta.

Akashi riuscì a sentirla, anche se non c’era il vivavoce impostato. “Tetsuya, adesso tua madre è in uno dei suoi momenti pericolosi?”

Kuroko, spaventato, si aggrappò con la mano libera al tessuto sottile del tappeto. “Hai,”riuscì a dire, assicurandosi che la sua voce fosse abbastanza alta da essere sentita anche tra le urla di Ibuki, ma non troppo, perché sua madre non si accorgesse che stava parlando al telefono. “Otou-san non è in casa.”

“In camera tua hai un armadio, vero?”chiese Akashi. “Entra nell’armadio.”

“C-come?”

“Nell’armadio. Adesso.”

Kuroko si alzò lentamente, con le sopracciglia aggrottate, e si mosse verso l’armadio, facendo del suo meglio per ignorare le urla di sua madre. Aprì un’anta, entrò e la richiuse. Subito fu come se un velo nero come la notte fosse calato sui suoi occhi. Non poteva vedere né sentire nulla, se non le grida di sua madre. Questo lo fece agitare ancora di più, perché non poteva vedere ciò che gli accadeva intorno. Chiuse gli occhi, ma li riaprì subito, perché non c’era nessuna differenza.

“Perché hai voluto che entrassi nell’armadio, Akashi-kun?”Kuroko tremò quando l’ennesimo tentativo di forzare la porta giunse alle sue orecchie. Kuroko l’aveva barricata incastrando una sedia sotto al pomello, così che sua madre non avrebbe potuto aprire anche se la porta non fosse stata chiusa a chiave, ma nonostante ciò non si sentiva ancora al sicuro.

“Chiudi gli occhi, Tetsuya,” disse Akashi a voce bassa. “Appoggiati con la schiena contro il muro. Fai dei respiri lenti e profondi.”

Kuroko obbedì ad Akashi ed iniziò a respirare profondamente attraverso il naso. All’improvviso poté sentire chiaramente il battito del proprio cuore.

“Non ascoltare niente e nessuno se non me.” La voce autoritaria dell’ex capitano si impresse profondamente nella mente di Kuroko. “Tetsuya, tu mi obbedirai.”

Tenendo gli occhi chiusi, Kuroko si sforzò di rilassare le spalle tese e di bloccare ogni suono che avrebbe potuto distrarlo, inclusa sua madre. Ora avrebbe ascoltato solo Akashi. “Hai,” disse piano.

“Tu mi appartieni,” disse Akashi. “Ti ricordi della promessa implicita che ci siamo scambiati la scorsa volta, vero?”

Kuroko rischiò di arrossire al ricordo dei molteplici baci che Akashi e lui si erano scambiati appena una settimana prima. In realtà lui, non avendo nessuna esperienza in ambito sentimentale o sessuale (se non per quella volta che era uscito con Momoi alle medie), non sapeva che due persone potessero baciarsi in quel modo nella vita reale.

Rispose di nuovo con un flebile ‘sì.’

Akashi ridacchiò dall’altro capo del telefono, e Kuroko fu felice di sentire quel suono piacevole, (piacevole solo per lui; per chiunque altro quel suono era un segno di una sventura imminente), che contrastava con le oscenità urlate da sua madre. “Bravo,” commentò Akashi nello stesso tono dolce e allo stesso tempo esigente. “Sembra che la mia famiglia ti abbia… accettato, Tetsuya.”

“Intendi i tuoi genitori, Akashi-kun?”

“Sì. Anche se le parole che hanno scelto sono state piuttosto inappropriate.” Kuroko aggrottò la fronte, chiedendosi che cosa avessero detto di lui e Akashi. “Resisti ancora qualche giorno, Tetsuya.” Il ragazzo dai capelli azzurri si rilassò a quella frase tenera; i suoi occhi erano ancora chiusi. “La data del processo è stata fissata. Presto sarai libero.”

“Libero… con te, Akashi-kun?”chiese Kuroko esitante.

Akashi si lasciò sfuggire un suono divertito. “Sì, con me. Con tuo padre, e con Shintarou e gli altri. Più persone verranno a sapere della nostra relazione, ma ne sapranno solo fino ad un certo punto. Nessun altro conoscerà il sapore delle tue labbra.” Kuroko abbassò la testa e tentò di non arrossire. “E presto ti inviterò ad uscire in modo appropriato; ti porterò in un luogo appartato, dove nessuno ci troverà.”

Kuroko sentì come se una fonte di calore gli si fosse posata sulle spalle, ed immaginò che Akashi fosse lì al suo fianco, a riscaldarlo con il suo calore corporeo, con un braccio intorno alle sue spalle. Quest’immagine lo fece rilassare completamente, e Kuroko si sistemò per stare più comodo all’interno dell’armadio.

“Sembra…bello…Akashi-kun,” riuscì a mormorare Kuroko. La sua testa ciondolò e la stanchezza ebbe la meglio sul suo corpo. Il telefono gli scivolò di mano.

 
Poco dopo la sua mente fu invasa da un’oscurità confortante.
 
“Tetsuya?”chiamò Akashi alzando un sopracciglio. L’unico suono che ricevette in risposta fu un respiro profondo. Akashi scosse la testa e fissò il cellulare. “È proprio incauto ad addormentarsi così.”

“Chi era, Seijuro?” Rin gli si avvicinò a passo veloce e cercò di sbirciargli il cellulare, ma Akashi l’aveva già richiuso.

“Era Tetsuya,” rispose tranquillo Akashi.

Un uomo dai capelli azzurri si alzò di scatto dal divano, gli occhi sgranati per la paura. “Cosa? Come sta? Si è fatto male?”

Hayato posò una mano sulla spalla dell’uomo per farlo calmare.

“Stia tranquillo, Haru-san,” disse Akashi voltandosi per parlargli. “Sembra che Ibuki abbia diretto la sua rabbia contro Tetsuya e che stia dando la colpa a lui. Era in una delle sue… crisi.” Akashi si diresse verso il tavolino del salotto e prese una tazza di the. I suoi occhi eterocromi si scurirono alla menzione della madre di Kuroko.

“Lui sta bene?” chiese di nuovo Haru.

“Sta bene. Probabilmente ha chiuso la porta a chiave e l’ha bloccata con qualcosa. In questo momento si trova nell’armadio, addormentato.”

“…Nell’armadio?”

Akashi non rispose.

“Heh, è proprio da Akashi ordinare a Tetsu di fare cose sconce,” rise Aomine sotto i baffi. Era appoggiato ad una parete vicino a Kise, lontano dagli altri, ed aveva le labbra piegate in un sorrisetto compiaciuto.

Akashi si girò per osservare con calma il ragazzo abbronzato. “Daiki, il tuo allenamento è appena stato triplicato. Il tuo capitano è Imayoshi Shoichi, giusto?”

Aomine deglutì con fatica e tentò di non lasciar vedere la sua paura. “Non aumenterebbe mai il mio allenamento. Tanto non lo farei.”

“Ma l’ha aumentato quando gliel’ho chiesto la scorsa volta, e tu hai obbedito ai miei ordini, non è così?” mormorò cupamente Akashi.

“Questo solo perché ci avevi minacciati!”

“Non vedo il motivo per cui non possa minacciarti di nuovo, allora.”

Akashi pronunciò quella frase il modo così casuale, così normale, come se stesse parlando del tempo. Hayato osservò la scena, orgoglioso di suo figlio, mentre sorseggiava divertito il suo the. Rin invece scosse solo la testa.

Catherine, la collega di Haru, si avvicinò di più al padre di Kuroko. Qualcosa le diceva che il ragazzino coi capelli rossi era pazzo, e che era una persona da evitare il più possibile. Jun si limitò ad inarcare un sopracciglio.

Erano andati tutti a Kyoto, invitati nella maestosa casa dei genitori di Akashi. C’erano l’intera Generazione dei Miracoli, il padre di Kuroko, Catherine, Jun e Hiroshi, Akashi e i suoi genitori, un impiegato fidato per ognuna delle aziende possedute da Ibuki, un avvocato che lavorava per Hayato e Kagami. Erano tutti nell’enorme salotto della casa, per lo più seduti sui divani e le poltrone messe a disposizione, ma qualcuno stava in piedi, lasciando per educazione il posto agli altri. Akashi era in piedi, ma non per educazione, semplicemente quando stava in piedi sentiva di avere la situazione sotto controllo.

Gli unici a mancare erano Kuroko stesso e la persona che si stavano impegnando a distruggere, Ibuki.

“Per favore, facciamo tutti silenzio.”

Alla richiesta di Hayato tutti smisero di parlare e spostarono la propria attenzione sulla famiglia Akashi. Rin e Hayato erano in piedi vicino ad un divano, con Akashi tra di loro. Ora che erano fianco a fianco, quasi tutti sbatterono le palpebre sorpresi per la somiglianza tra i tre. Soprattutto tra Hayato ed Akashi, che avevano entrambi dei capelli corti e rossi e degli occhi dagli strani colori.

Rin si schiarì la voce. “Vi abbiamo chiesto di venire qui per discutere i piani su Kuroko Ibuki. Penso che dovremmo essere tutti bene informati.”

Tutti annuirono, ed alcuni ebbero i brividi a sentire quel nome.

“Avete tutti portato una copia delle vostre prove? Che si tratti di un verbale scritto, di articoli, registrazioni o foto, ne avremo bisogno. Se siete solo dei testimoni non ci servirà altro che una vostra dichiarazione.” Hayato si passò una mano tra i capelli rossi e osservò oltre metà dei presenti annuire. Lui sospirò, sollevato. “Ci separeremo in tre gruppi, dato che siamo in troppi per escogitare un piano unitario. Abbiamo già preso in considerazione la vostra posizione – per quelli di voi che parteciperanno al processo – e vi abbiamo inclusi nella nostra sequenza d’azione. Sappiate che alcuni di voi si troveranno in pericolo e che altri saranno obbligati a presentarsi come testimoni durante il processo, sia per noi che per la difesa.

Io farò diverse copie cartacee delle nostre prove e terrò al sicuro le registrazioni. Come ho detto potreste essere in pericolo e diventare l’obiettivo della rabbia di Ibuki, ma non preoccupatevi dei danni che lei vi causerà da questo momento in poi. Questi saranno tutti sistemati dopo che avremo vinto il processo. Ci sono domande?”

Nessuno osò parlare.

“Molto bene. Ora verrete con me, con mia moglie Rin o con mio figlio Sei –“

“Un momento,” lo interruppe Catherine. Tutti si girarono verso di lei. “Lascia che suo figlio, appena sedicenne, sia coinvolto? Non è pericoloso? E a proposito, perché questi ragazzi sono qui? Non li sta mettendo tutti in pericolo?” Si stava riferendo alla Generazione dei Miracoli e a Kagami.

Midorima le rispose prima che Akashi potesse parlare. Il ragazzo dai capelli verdi fissò freddamente la collega di Haru. “Signora, io non la conosco. Ma sappia che siamo più che capaci di cavarcela da soli. Probabilmente noi ne siamo molto più capaci di tutti voi,” disse guardando la piccola folla composta per lo più da adulti. “Inoltre sarà Akashi ad avere il ruolo dell’accusa durante il processo. Non ci sottovaluti.”

Akashi inarcò leggermente un sopracciglio in direzione di Midorima. Era positivamente impressionata dalla risposta del suo ex compagno di squadra. Più tardi dovrò premiarlo.

“Come ha detto Shintarou-kun, sanno badare a se stessi,” confermò Hayato. “Ora, nel mio gruppo, che si occuperà delle dichiarazioni dei testimoni, ho bisogno di Catherine-san, Jun-san, Kagami-kun, Kintarou, Kagura e Atsushi-kun. Andremo nel mio ufficio per discutere il nostro piano.”

Le persone nominate seguirono reclutanti Hayato ed uscirono dal salotto. I due impiegati dell’Atari e della Rasa abbassarono nervosi lo sguardo, spaventati perché stavano per tradire Kuroko Ibuki. Murasakibara, confuso per non essere stato inserito nel gruppo di Akashi, era il più reclutante, ma seguì comunque il gruppo quando vide uno sguardo carico d’aspettativa sul viso del suo ex capitano.

“Bene, io mi occuperò delle prove. Hiroshi, Daiki, Yuki e Haru; venite con me.” L’ultimo degli impiegati delle aziende di Ibuki si alzò esitante e seguì la donna dai capelli rossi. Hiroshi e Haru la seguirono senza problemi. Aomine, scocciato perché si doveva separare da Kise, li seguì solo dopo che Akashi l’ebbe minacciato di quadruplicare i suoi allenamenti.

“I rimanenti verranno con me,”disse brevemente Akashi.

Midorima e Kise – gli unici rimasti della Generazione dei Miracoli – e l’avvocato seguirono il ragazzo in un’altra stanza. “Akashicchi,” si lamentò Kise. “Perché hai separato Aominecchi da me? Non abbiamo gli stessi compiti?”

“Daiki ha le foto che avete modificato; le presenterà come prove. Tu sarai solo il testimone che lo confermerà.” Akashi chiuse la porta dietro di sé. Erano entrati in un piccolo studio, che era stato abbandonato quando Akashi si era trasferito a vivere da solo. “Smettila di lamentarti.”

Kise guardò in cagnesco il pavimento. A dire il vero, lui voleva essere parte di quelli che avrebbero mostrato le prove che avrebbero definitivamente distrutto Kuroko Ibuki.

“Seijuro-kun.” L’avvocato si fece avanti ed aggrottò la fronte. Akashi lo guardò, irritato per come l’uomo lo guardava negli occhi dall’alto in basso. “Preferirei parlare di questa faccenda con Hayato-san. Sarebbe molto meglio se io fossi messo nel gruppo di Hayato-san.”

“Io sono suo figlio,” disse secco Akashi. “Ciò che deve essere detto a mio padre può benissimo essere detto anche a me. Ne verrei comunque a conoscenza, alla fine.”

L’avvocato ebbe un tic all’occhio e spostò il suo peso da una gamba all’altra.

“Basta perdere tempo,” disse Midorima sistemandosi gli occhiali con il medio.”Akashi, cos’è che ci hai tenuto nascosto?”

Il rosso strinse con più forza la cartellina che teneva in mano. “Già, vi ho tenuto nascoste delle cose, vero?” Posò la spessa cartellina sulla scrivania, la aprì ed iniziò a rovistare tra i fogli. “Dato che Ryota e Daiki hanno modificato le foto, loro due dovrebbero già sapere parte di ciò che ho scoperto.”

Midorima guardò male Kise. Il biondo si grattò la testa. “Beh, ci siamo fatti un’idea, ma i dettagli sono ancora confusi.”

“Leggere questo dovrebbe essere d’aiuto.” Akashi tirò fuori tre plichi identici. “Ho fotocopiato tutti gli appunti, le scoperte e le prove su questi fogli. Le prime due pagine contengono i miei appunti ed un riassunto. Ci troverete i segreti di Ibuki che abbiamo scoperto. Sono questi che useremo per vincere il processo.”

Akashi porse un plico a ciascuno dei presenti. L’avvocato lo guardò, annoiato, dato che era già a conoscenza dei segreti di Ibuki e di come li avrebbero usati per attaccarla. Lui non avrebbe partecipato al processo; si sarebbe limitato ad aiutare a decidere il piano e l’ordine con cui presentare le prove. Midorima e Kise, invece, vi avrebbero preso parte.

“Questo è …” Midorima spalancò gli occhi. Rilesse quelle parole più volte, processando mentalmente i nomi e paragonando le sue previsioni con gli appunti di Akashi; tutto risultava nella stessa risposta. “Come ho fatto a non accorgermene… era proprio davanti ai miei occhi.”

Kise sussurrò lentamente il nome sulle sue labbra. Osservò i fogli, incredulo. “Quadra tutto. Ogni cosa ora ha senso.” Guardò Akashi con ammirazione. “Akashicchi, sei troppo intelligente…”

“Tutti hanno aiutato,”rispose Akashi. “Ma ovviamente io ho sempre ragione, non è così?” Non era mai stato un tipo troppo modesto. “Ora che siete stati messi al corrente della situazione,” Akashi li guardò freddamente negli occhi, avvocato incluso.

 
“Siete pronti a distruggere Ibuki?”
 
Kuroko Ibuki spalancò la porta del suo ufficio e vi si precipitò dentro. Molti degli impiegati sgranarono gli occhi per il suo modo di fare e si allontanarono veloci. La donna dai capelli azzurri era più che furiosa. Nella sua mente nuotavano migliaia di imprecazioni, indirizzate a  suo figlio, alla famiglia Akashi, a suo marito, alla Generazione dei Miracoli; a tutti quelli che l’avevano sfidata. Si erano messi sul suo cammino, avevano interferito.

“Dannazione!”ringhiò, prendendo la lampada dalla sua scrivania e gettandola contro il muro. La lampadina si ruppe in tanti piccoli pezzi di vetro affilato. Ancora furiosa, afferrò la targa con il suo nome e gettò anche quella contro la parete. “Non dovrei essere temuta? La donna più potente del Giappone? Perché non hanno paura di me?” Ibuki gettò via una sedia.

Poi la donna fece dei respiri profondi e lottò per ricomporsi. Piegò le dita delle mani, combattendo il desiderio di strangolare suo figlio. “Vogliono la guerra,” sibilò a denti stretti. “Saranno accontentati.”

Prese il cellulare da una tasca e compose velocemente un numero. Quindi lo portò all’orecchio con un sorrisetto.”Gli Akashi potranno essere i migliori avvocati del Giappone,” mormorò. “Ma io ho qualcuno che è ancora meglio.”

“Pronto? Iba – voglio dire, Ibuki?” La persona che aveva risposto parlava un inglese fluente.

“Liam,”disse Ibuki, parlando anche lei in inglese. “Ricordi quel favore che mi dovevi qualche anno fa?”

“…Sì.”

 
“È ora di restituirmelo. Io … ho bisogno che tu venga in Giappone per un po’.”
 
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“Fa male, Akashi-kun,” una voce debole ma inespressiva si rivolse al rosso. Istintivamente Kuroko afferrò le mani che gli stavano facendo male. Akashi alzò le sopracciglia, con uno sguardo che fece mollare la presa a Kuroko. Quindi ricominciò a bendargli il corpo.

“So che fa male,”disse Akashi. “Ma sarà ancora peggio se non metti se bende. Rilassati.”

“Hai,” rispose subito Kuroko. “Dove sono Aomine-kun e Kise-kun?”

Metà delle persone che avrebbero partecipato al processo si trovavano nell’appartamento di Akashi. Haru aveva svegliato presto Kuroko ed insieme erano andati in macchina fino a Kyoto. Non avevano preso il treno, perché sarebbe stato troppo pieno, ed uno spazio affollato non avrebbe favorito la guarigione di Kuroko. I due avevano incontrato Catherine, Jun e Hiroshi: anche loro dovevano presentarsi a casa di Akashi. Murasakibara e Midorima erano arrivati insieme, ma erano rimasti tutti e due fuori, dato che nell’appartamento c’era già troppa gente. Midorima era appena oltre la porta, Murasakibara invece aspettava in macchina, sgranocchiando qualche snack.

“Daiki e Aomine sono già andati,” rispose il rosso. “Lo stesso vale per mia Madre e mio Padre, insieme a Taiga.”

Kuroko sbatté le palpebre, sollevando le braccia quando Akashi gli chiese di farlo. “Kagami-kun? Hai coinvolto anche lui?” Per qualche motivo questo fece risvegliare un leggero senso di rabbia nel suo petto.

“Si stava facendo troppo curioso,” rispose brusco Akashi. “Inoltre ha delle connessioni in America. Mi sono state utili.”

“Ma –“

“Non discutere.”

Kuroko serrò le labbra e non disse più niente. Rabbrividì un po’ per il vento freddo. Tutti loro, suo padre, i colleghi, Akashi e lui, erano nel salotto, impegnati negli ultimi preparativi. La porta era spalancata e l’aria fredda poteva entrare.

“Hai freddo, Tetsu? Vuoi che chiuda la porta?” Haru smise di camminare avanti e indietro e si avvicinò preoccupato a suo figlio. Nonostante volesse apparire composto, l’uomo era tutto sudato per il nervoso e l’agitazione. Nella sua mente erano sorti tantissimi dubbi. “Ti fa male?”

“Sta bene, Haru-san. Si allontani o lo renderà nervoso.” Akashi si alzò da dove era inginocchiato, dato che aveva finito di fasciare Kuroko.

“G-giusto, chiedo scusa.”

“Indossa questa, Tetsuya.” Akashi prese una nuova camicia nera ed elegante, che aveva comprato appena il giorno prima. Haru era andato con lui per aiutarlo a scegliere la taglia adatta al fragile ragazzo.

Kuroko, obbediente, infilò le braccia nelle maniche, ma era infastidito dal fatto che Akashi avesse speso dei soldi per una cosa così inutile. Comunque non osò lamentarsi.

“Girati.”

Kuroko si girò.

Akashi iniziò ad abbottonare la camicia, partendo dall’alto. Le sue dita fredde sfioravano il petto di Kuroko e continuarono a farlo man mano che Akashi passava ai bottoni più in basso. Kuroko lottò per non arrossire e si morse un labbro per mantenere la calma di fronte a suo padre. Akashi fece un sorrisetto, consapevole della reazione di Kuroko. “Ora la cravatta.” Prese una cravatta a righe e la sistemò bene intorno al collo del compagno. Questa volta le dita di Akashi sfiorarono il suo mento.

“Akashi-kun,” disse Kuroko, ma si interruppe quando vide l’espressione del rosso.

“Adesso sei pronto,” disse piano Akashi, passando una mano tra i capelli di Kuroko per sistemarli. “Fisicamente. Sei anche pronto mentalmente?”

“Hai,” annuì Kuroko. “Dato che tu, Akashi-kun, e tutti gli altri sarete con me.”

“Ma certo.” Haru si sporse in avanti e baciò Kuroko sulle guance. “Non dovrai affrontare quella donna da solo.”

Akashi si sgranchì il collo e poi prese la cartellina voluminosa che era sul tavolo. “È ora. Siete tutti pronti?” Gli altri annuirono. “Andiamo. Tetsuya, tu verrai in macchina con me.”

Accettarono tutti le disposizioni ed iniziarono ad uscire. Kuroko si aggrappò saldamente alla giacca di suo padre, mentre Akashi gli posò una mano sulla schiena per incoraggiarlo ad avanzare. Quando furono fuori Midorima li salutò, tenendo in mano anche lui una cartellina di documenti.

Kuroko alzò lo sguardo sulla luce accecante del cielo e fece un respiro profondo.


Si comincia, okaa-san.



 
NdT: Salve a tutti!
Che dire, questo è un po’ un capitolo di transizione, nel prossimo ci sarà finalmente il processo. Vi avviso già, sarà un capitolo molto lungo, e con molti termini giuridici su cui dovrò documentarmi, quindi mi ci vorrà un po’ per prepararlo. >.<  Spero che in caso di ritardo siate misericordiosi….!
Nel frattempo, spero che questo vi sia piaciuto!
Come sempre, vi ringrazio tutti! Alla prossima, Nienor_11

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20


Kuroko sentì i suoi muscoli irrigidirsi quando l’auto svoltò davanti all’edificio del tribunale della Prefettura di Tokyo. Poteva osservare dal finestrino l’edificio alto ed esteso, e si ritrovò a stringere il sedile della macchina, le sue dita premute contro il rivestimento di pelle. Akashi lo notò, e lo fece smettere con gentilezza, spostandogli le mani sul suo grembo. Kuroko non protestò.

Girarono lì intorno per qualche minuto, poi finalmente l’autista di Akashi trovò parcheggio in un posto un po’ nascosto. La portiera dell’auto si aprì ed Akashi uscì per primo, seguito da Kuroko. Haru aveva parcheggiato non troppo lontano da loro, e ora si stava avvicinando di corsa a Kuroko, seguito dai suoi colleghi e da Murasakibara e Midorima.

“Kuro-chin,” Murasakibara infilò una mano nella tasca dei suoi jeans e ne tirò fuori una barretta di cioccolato. La porse a Kuroko. “Tieni. Aka-chin ha detto che non hai ancora fatto colazione.”

Kuroko restò sorpreso per il gesto gentile di Murasakibara, anche se non era salutare mangiare cioccolato a colazione. “Grazie, Murasakibara-kun,” disse, accettando la barretta.

Midorima tossì, si sistemò gli occhiali, poi, con fare impacciato, si posizionò di fronte a Kuroko. “Ti ho portato il tuo oggetto fortunato, dato che è evidente che non segui l’oroscopo giornaliero di Oha-Asa.” Gli porse con la mano fasciata un portachiavi a forma di cono gelato. Kuroko lo ringraziò di cuore e lo prese.

Haru gli si avvicinò e lo abbracciò. “Tutto a posto?”

“Sto bene, otou-san,” disse Kuroko, riuscendo a mentire facilmente.

“Finalmente sei arrivato, Seijuro.” Una voce femminile li fece voltare tutti. Rin, Hayato, Kagami, Kise e Aomine gli si stavano avvicinando a passo veloce, con espressioni severe ma risolute. Aomine e Kise indossavano un completo elegante, mentre Rin e Hayato avevano una tipica tenuta da avvocato. Akashi era vestito in modo molto simile a quello di suo padre.

“Il viaggio da Kyoto è stato lungo,” disse Akashi. “Hai fatto le copie?”

“Sì, oltre a quelle che hai fatto tu l’altro giorno, ne ho fatte altre due copie: una per la polizia e l’altra per la giuria,” disse Rin stringendo con più forza la sua valigetta, come se le prove che conteneva potessero svanire se non le avesse trattenute.

Hayato si corrucciò. “Sei sicuro di volere tua madre come avvocato? … Potrei benissimo farlo anch’io,” disse con un po’ di gelosia.

“Smettila di comportarti come un bambino, Hayato,” sbuffò Rin. “Era ovvio che Seijuro avrebbe scelto me, dopotutto l’ho cresciuto io.”

“Non ho niente contro di te, Padre,” intervenne Akashi. “Ho scelto mia Madre solo perché durante un processo lei è più aggressiva.”

“E io invece non lo sono?”

Il ragazzo dai capelli rossi sospirò e si sistemò la giacca, “Mia Madre è più adatta ad affrontare Ibuki. Tutto qui.”

Kagami aggrottò la fronte, perché si sentiva completamente fuori posto, e preferì concentrare la sua attenzione su Kuroko. “Oi, Kuroko, stai bene? Sembri pallido.”

“Non preoccuparti, sto bene.” Kuroko si chiese se davvero sembrava più pallido del solito. “Comunque, Kagami-kun, tu non dovresti essere coinvolto in tutto questo.”

Kagami fece un grugnito. “Non dire cazzate, Kuroko. Sei persino fortunato che il Seirin non ne sappia nulla.”

“E continuerà a non saperne nulla,” minacciò indirettamente Akashi.

“Kurokocchi~!” Kise balzò in avanti e lo abbracciò stretto. Kuroko fece una smorfia. “Il tragitto fin qui è stato orribile, Kurokocchi! Aominecchi si è comportato male e non mi ha lasciato sedere davanti! Anche se l’avevo detto prima io! Non è un’ingiustizia? Sì, vero? Non avrei dovuto stare io davanti, dato che l’avevo detto per primo? Ma Aominecchi ha detto che dato che è più alto di me, si sarebbe messo lui sul sedile davanti! È più alto di solo tre centimetri! Questo è barare, vero? Vero? Cioè, voglio dire…”

Le chiacchiere di Kise si fermarono bruscamente. Anzi, tutti quelli del loro gruppo che stavano parlando si zittirono. Kuroko, confuso per quel silenzio improvviso, si liberò dall’abbraccio di Kise e si girò verso la direzione in cui tutti stavano guardando. Dopo averlo fatto, restò lui stesso fermo e in silenzio.

Una lunga limousine nera aveva girato lentamente nel parcheggio del tribunale di Tokyo. Aveva i finestrini oscurati, quindi non si poteva vedere chi vi era seduto. Avanzò lentamente, fermandosi e spegnendo il motore solo di fronte all’entrata. Quando un autista sconosciuto scese dall’auto, Akashi si avvicinò immediatamente a Kuroko, affilando lo sguardo.

E fece bene a farlo. Quando l’autista aprì la portiera del passeggero, una persona dall’aspetto familiare ed odiato ne uscì. Alla vista di quella persona, Kuroko indietreggiò finendo tra le braccia di Akashi. Il rosso lo sorresse e per riflesso lo fece avvicinare di più al suo corpo. Haru posò una mano sulla spalla di Kuroko, con fare protettivo. Aomine e Kise torreggiavano appena dietro ad Akashi e Kuroko, mentre Murasakibara e Midorima avanzarono, posizionandosi ai lati della coppia. Kagami si avvicinò a Midorima. Catherine, Jun e Hiroshi si mossero nervosi; Hayato e Rin si irrigidirono solo.

Kuroko Ibuki stava dritta in tutta la sua altezza, ed aveva i suoi lunghi capelli azzurri legati in una stretta coda di cavallo. Indossava una gonna grigia standard, accompagnata da una giacca abbottonata sul davanti e da dei gioielli dall’aspetto costoso. Aveva una borsa appesa al suo braccio sinistro, mentre nella mano destra portava alcuni documenti. Ibuki si voltò per parlare con qualcuno, e poco dopo anche un uomo biondo uscì dall’auto.

I due si incamminarono nella direzione di Kuroko, ma non si erano ancora accorti degli sguardi puntati su di loro. Ibuki avanzava con falcate ampie e decise, ed il suo viso aveva un’espressione irritata. I suoi tacchi risuonavano rumorosamente sull’asfalto. Kuroko sussultò ed abbassò la testa; le sue mani iniziarono a tremare.

“Parla a qualcuno di questo ed io ti romperò ogni osso, lasciandoti a marcire nel tuo stesso sangue.”

“Alzati, brutto rammollito! L’avevi quasi detto ai tuoi piccoli amichetti, eh? Vuoi che faccia male anche a loro? Sei inutile!”

“Okaa-san …. No …”

“Ti mando all’ospedale, mostricciattolo!”

Kuroko abbassò ancora di più la testa, e si coprì le orecchie con le mani. Akashi, accortosi del suo comportamento, strinse Kuroko a sé e gli posò un bacio sulla testa, con discrezione. Tutti erano concentrati su Ibuki, quindi nessuno lo notò. “Ora calmati, Tetsuya,” gli disse con tono allo stesso tempo autorevole e confortante.

Kuroko si concentrò sulla voce di Akashi per non pensare alle urla di Ibuki. Quella donna aveva causato molti danni al ragazzo, quindi la sua reazione in quel momento era quasi scontata. Haru strinse le labbra ed abbassò lo sguardo.

Finalmente Ibuki percepì gli sguardi penetranti puntati su di lei. Continuò a camminare, ma si girò verso il suo ‘pubblico’.  Quando lo fece, la sua espressione divenne ancora più truce. La sua occhiataccia non era rivolta verso il gruppo in generale: era puntata direttamente su Kuroko, che non osava guardarla negli occhi. Ibuki sputò verso di loro e continuò ad avanzare, ordinando seccamente all’uomo biondo di seguirla.

L’uomo obbedì. Hayato si accigliò quando il biondo gli passò davanti, sentendo una sensazione familiare, che però non riusciva a riconoscere. Quell’uomo … Hayato si grattò la testa.

I due si allontanarono, lasciando un’ atmosfera tesa dietro di loro. Kagami fu il primo a spezzare il silenzio.

“Stupida donna,” grugnì il rosso. “Non sa di essere brutta con quell’espressione?”

“Senti chi parla, Bakagami,” borbottò Aomine.

“Che cosa hai detto, Ahomine?” chiese Kagami, ma lasciò perdere quando l’altro lo ignorò. “Non lasciarti intimidire, Kuroko. Possiamo batterla. Oi, mi stai ascoltando?”

Kuroko non rispose.

Rin raddrizzò la schiena. Si fece largo tra il gruppo di ragazzi e si fermò solo di fronte a quello che cercava di farsi il più piccolo possibile. “Tetsuya-kun.” Era raro che Rin usasse gli onorifici. Posò le mani sulle spalle del ragazzo; Kuroko alzò lentamente lo sguardo per guardarla negli occhi. “Sono considerata il migliore avvocato del Giappone, e per un buon motivo. Ora dimmi, Tetsuya-kun, ti fidi di Seijuro?”

Il ragazzo dai capelli azzurri annuì lentamente.

 
“Allora devi fidarti anche di me. E credere che noi,” disse guardandolo negli occhi con espressione seria, “Vinceremo.”
 
“Tutti in piedi!”

La folla, fino ad allora seduta, scattò in piedi all’arrivo del giudice.

“Inchino!”

Tutti si inchinarono verso il giudice, che sollevò un sopracciglio alla vista della gente, mentre avanzava verso la sua postazione, al centro dell’aula. “Quante persone abbiamo oggi,” mormorò.

Ma c’era un buon motivo. Kuroko Ibuki, la donna più potente del Giappone, la donna più famosa, ma allo stesso tempo più misteriosa, proprietaria di tre aziende e con una grande influenza su ogni cosa, era davvero accusata per qualche motivo. Loro volevano sapere chi aveva osato sfidare la ‘Grande Ibuki’e come lei avrebbe reagito. ‘Loro’ erano le persone che la conoscevano come Ibuki. Le persone che la conoscevano (o lo conoscevano, in alcuni casi) come Akihiko o Abe Miku non erano venute.

Alcune persone tra gli spettatori furono sorprese di vedere che Kuroko Ibuki era una donna.

“Seduti!”

Si risedettero tutti, tranne l’accusa, la difesa e la vittima. Akashi e Rin stavano in piedi con aria confidente, di fronte al giudice, sul lato sinistro dell’aula. La valigetta di Rin era posata sul tavolo di fronte a loro, ed era già aperta e pronta all’uso. Akashi guardava tranquillo dritto davanti a sé, i suoi occhi eterocromi pieni di determinazione e sicurezza.

Kuroko Ibuki stava in piedi sull’altro lato, alla loro destra. Non sembrava sicura e spavalda, ma seccata ed arrabbiata. Le sue sopracciglia erano aggrottate, il suo occhio sinistro aveva un tic e lei continuava ad aprire e chiudere le mani. In quel momento si sentiva sotto pressione, perché non aveva previsto che tutte quelle persone sarebbero venute per assistere al suo processo. L’uomo al suo fianco si passò una mano tra i capelli dorati, lanciando un sorriso smagliante verso il giudice. Anche la sua valigetta era aperta e posata sul tavolo davanti a loro. Il giudice inarcò di nuovo un sopracciglio.

Kuroko si mise seduto al posto che spettava alla vittima. Ora era ancora più nervoso di prima, e teneva la testa abbassata tra le spalle  piegate in avanti. Akashi era più lontano da lui rispetto ad Ibuki, e questo non lo faceva sentire al sicuro. Comunque suo padre e gli altri testimoni erano abbastanza vicini, quindi riuscì a scacciare parte della tensione dalle sue spalle.

Hayato osservò con i suoi occhi arancioni il biondo, che sembrava brillare. Il suo aspetto mi ricorda qualcuno … Poi capì. Hayato, solitamente sempre composto, spalancò gli occhi e posò con decisione una mano sulla spalla di Haru. Il padre di Kuroko sussultò per la sorpresa, quindi si girò verso di lui con uno sguardo interrogativo. Hayato gli parlò bisbigliando. “Quell’uomo, vicino a Ibuki. Io, anzi, Rin ed io… lo conosciamo. Quando aveva diciannove anni era un prodigio alla facoltà di legge. Poi si è trasferito in America per studiare sia la legge giapponese che quella americana. Haru-san… lui è pericoloso. Si chiama Liam Wiltz, ed è un avvocato di successo, molto conosciuto in America. È famoso per essere riuscito a fare giudicare innocenti i peggiori assassini. Ed ora, in qualche modo, Ibuki è riuscita a farlo venire in Giappone.” Hayato fece un respiro tremante. “Se non fosse andato in America, probabilmente ora sarebbe al nostro posto, come migliore del Giappone.”

A quella notizia la gamba di Haru, che fino a quel momento si era mossa nervosamente, si fermò. Le sue sopracciglia si inarcarono. Haru chiuse le mani a pugno e deglutì con fatica. Lo sapevo, Haru entrò in panico, Sapevo che non avremmo dovuto farlo. Sapevo che avrebbe avuto dei contatti con l’avvocato migliore. Probabilmente ora quell’uomo farà credere a tutti che Tetsuya è mentalmente instabile e poi – Haru non voleva neanche pensare a quello che sarebbe successo dopo. Fissò il suo sguardo nervoso su Akashi. Per favore, Akashi-kun, Rin-san. Non perdete contro di loro.

Il giudice attese che calasse il silenzio, quindi si schiarì rumorosamente la gola. Indossava un tradizionale completo da giudice giapponese. “Buongiorno. Quest’oggi a richiamare qui il Popolo della Prefettura di Tokyo è il Giappone contro Kuroko Ibuki. Le controparti sono entrambe pronte?” La folla si sistemò mentre il processo aveva inizio.

Rin, che aveva fatto questo per più di dieci anni, si passò una mano tra i capelli rossi e disse senza mostrare emozioni, “Pronti per il Popolo, Vostro Onore.” Akashi invece non aveva mai svolto il ruolo di Pubblico Ministero in un processo, quindi inarcò solo le sopracciglia e tamburellò con le dita sul tavolo.

“Pronti per la difesa, Vostro Onore,”rispose allegro Liam, con un gran sorriso. Mise una mano nella valigetta e gettò uno sguardo rassicurante a Ibuki. A quella scena Kagami rischiò di strozzarsi.

Il giudice annuì e continuò con il protocollo: “La prima tappa di un processo è una dichiarazione iniziale. Inizierà il Pubblico Ministero, seguito della difesa. Prego, Pubblico Ministero, venga a presentare il caso alla giuria.”

Quello era il segnale per Akashi. Sua madre lo aveva istruito sulle varie parti del processo, spiegandogli quando sarebbe stato il suo turno per parlare. Grazie alla sua straordinaria memoria, Akashi ricordava ogni cosa che doveva dire, nell’ordine giusto.

Akashi raddrizzò la sua postura e si voltò verso la giuria. I suoi occhi freddi e dai colori diversi ne fecero indietreggiare alcuni membri. “Vostro Onore e signore e signori della giuria,” nell’aula silenziosa riecheggiò la voce composta di Akashi.

Kuroko, che stava facendo del suo meglio per mantenere il controllo, si rilassò sentendo la sua voce. Hayato osservò suo figlio, orgoglioso per come riusciva a restare calmo e composto. Qualsiasi altro ragazzo dell’età di Akashi sarebbe stato molto nervoso e avrebbe balbettato, se si fosse ritrovato a dovere agire come Pubblico Ministero. Ma suo figlio non era un ragazzo ordinario. Beh, è stato cresciuto da una donna diabolica, pensò sarcasticamente Hayato.

“L’imputata è accusata di abuso minorile nei confronti della vittima Kuroko Tetsuya. Si tratta di abusi sia fisici che psicologici,” continuò Akashi, presentando il caso alla giuria, ma volgendo lo sguardo per controllare Kuroko. Sembrava che il ragazzo non stesse tremando né andando in panico. “Le prove mostreranno che l’imputata ha abusato della vittima per tredici anni. In questo momento la vittima ha sedici anni. Nel corso di questi anni il corpo della vittima ha riportano numerose ferite. Le prove che presenterò dimostreranno che l’imputata è colpevole per tutti i molteplici capi d’accusa.”

I mormorii del pubblico si fecero sempre più forti, man mano che Akashi parlava. Tutti erano ovviamente shockati per il fatto che Ibuki fosse accusata di abusi. Il giudice li guardò male e domandò che venisse fatto silenzio.

Nel frattempo Ibuki aggrottò la fronte con espressione seria per le parole usate da Akashi. Molteplici capi d’accusa? Nell’ordine di comparizione ne era menzionato solo uno. Liam, invece, non sembrava essere preoccupato. Non appena Akashi ebbe finito di parlare, lui entrò in azione:

“Vostro Onore e signore e signori della giuria: davanti alla legge la mia cliente deve essere presunta innocente fino a prova contraria. Durante questo processo non sentirete né vedrete alcuna vera prova contro la mia cliente. Verrete a conoscenza della verità: che Kuroko Ibuki, madre di Kuroko Tetsuya, è sempre stata la madre che sostiene suo figlio, affetto da una malattia mentale …” Haru spalancò gli occhi e dovette controllarsi per non saltare addosso al biondo che aveva chiamato suo figlio malato mentale. Sembrava che anche Akashi volesse uccidere Liam. “ …. Ed è stata ingiustamente accusata di abusi. Quella che voi definite ‘vittima’ è stata abusata da qualcun altro. Quindi, la mia cliente non è colpevole.”

Era ovvio che stesse pronunciando un discorso che si era preparato, ed anche se tutti, dalla parte di Kuroko, si aspettavano che Ibuki usasse quella scusa per difendersi, la cosa faceva ugualmente loro ribollire il sangue nelle vene. Murasakibara, che sedeva al fianco di Hayato, guardò torvo Ibuki, strappando a metà un orsetto di gomma. Aomine dovette dargli un colpo in testa per convincerlo a mettere via i dolci. Il resto della Generazione dei Miracoli osservava con attenzione Kuroko, per controllare che non fosse colto da un attacco di panico da un momento all’altro. Ma Kuroko continuava a sedere al suo posto, immobile e con la testa abbassata.

“Ora il Pubblico Ministero può presentare il caso e le sue prove.”

Akashi prese il posto di Liam. Sebbene tutti gli sguardi fossero puntati su di lui, la sua maschera non vacillò. Stava in piedi con fare sostenuto, lo sguardo puntato sui membri della giuria. Uno di questi ultimi deglutì rumorosamente. Sul viso del ragazzo apparve un sorrisetto. “Signore e signori della giuria,” iniziò Akashi inclinando leggermente la testa ed affilando lo sguardo. “Quest’oggi l’imputata è stata accusata di abusi fisici e psicologici nei confronti della vittima, Kuroko Tetsuya. Kuroko Ibuki, cosiddetta madre della vittima, ha iniziato gli abusi quando la vittima aveva solo tre anni. Questi abusi sono continuati per tredici anni. In data 0X - XX- 20XX, la vittima è stata ospitata in casa mia per potersi ristabilire. Le prove mostreranno che l’imputata è colpevole.”

“Avete dei reperti che possono essere ammessi  come prove contro l’imputata?” chiese formalmente il giudice.

“Vostro Onore, abbiamo molti reperti che saranno ammessi come prove. Ma ora il pubblico Ministero chiama la vittima.” Akashi osservò il suo compagno.

A quella frase Kuroko smise di respirare. Quello era il suo segnale, toccava a lui. Si sforzò di sollevare la testa, ma il suo corpo era come paralizzato. Lo faccio per il bene mio e di Akashi-kun, ricordò a se stesso. Almeno questo posso farlo.  Fu solo quando la mano dell’ufficiale giudiziario lo prese gentilmente per un braccio che Kuroko riuscì a muoversi. A dire il vero, il suo corpo si mosse per istinto, sobbalzando al tocco della mano sconosciuta. L’ufficiale lo guardò preoccupato, ma Kuroko scosse la testa e si alzò senza bisogno d’aiuto. Le sue gambe rischiarono di cedere, ma riuscì ad avere un po’ più di sicurezza quando incontrò lo sguardo di Akashi. Quegli occhi severi, uno rosso e l’altro giallo, sostenevano Kuroko.

Quando l’ufficiale giudiziario l’ebbe scortato al banco dei testimoni, un impiegato gli chiese il nome e cognome. Kuroko rispose ubbidiente, facendo lo spelling del cognome. Finite le formalità, Akashi ebbe il permesso di interrogarlo.

“Kuroko Tetsuya,” annunciò piano Akashi. Kuroko tremò per il modo in cui il rosso aveva pronunciato il suo nome, e tenne lo sguardo puntato su di lui, per evitare un contatto diretto con sua madre. Percepiva lo sguardo truce di Ibuki su di sé, e sapeva che se l’avesse guardata in faccia, non sarebbe più stato in grado di parlare o muoversi. “Figlio legittimo di Kuroko Ibuki. È vero che subisci gli abusi di Kuroko Ibuki su base quasi quotidiana?”

Kuroko deglutì, con i nervi a fior di pelle, consapevole di tutti gli occhi che lo fissavano. La sua mente era confusa e lui iniziava a sentirsi male. “Sì,” riuscì a dire.

La folla restò senza fiato ed i mormorii ricominciarono. Il volto di Ibuki divenne rosso per la rabbia, e lei sbatté le mani contro il tavolo. “Sta mentendo!” urlò. “È delirante! Malato! Tutto ciò che dice è una bugia!” Sentendo quelle urla Kuroko alzò lo sguardo. Fu un errore, perché incrociò subito quello furioso di Ibuki. All’improvviso, le pallide dita che stavano tamburellando nervosamente contro la sua gamba si bloccarono nel bel mezzo del movimento.  Gli occhi di Kuroko divennero completamente inespressivi e la sua pelle divenne ancora più pallida. Le sue labbra rimasero parzialmente dischiuse.

“Silenzio! Silenzio in aula,” ordinò il giuduce. Il rumore cessò un po’, ed il giudice fissò lo sguardo su Liam. “Controlli la sua cliente. Non ha ancora il diritto di intervenire.” L’avvocato annuì e sussurrò qualcosa ad Ibuki.

Un pugno lo colpì violentemente sulla guancia. Kuroko inciampò indietro, e, quando non riuscì a ritrovare l’equilibrio, il tavolino di vetro gli si conficcò nel fianco. Le sue mani cercavano si coprire la guancia colpita. Dopo nemmeno un secondo un calcio brutale lo colpì alle costole. Il vetro ora gli trafiggeva la schiena, ed il ragazzo ruzzolò contro il tavolo.

“Oggi al lavoro mi hanno fatta incazzare,” ringhiò Ibuki. “E vederti mi fa incazzare ancora di più.” Una mano afferrò Kuroko per la gola, impedendogli di respirare. Lui stava soffocando, cercando di artigliare la mano che lo teneva, ma Ibuki strinse ancora di più la sua presa e lo gettò contro un muro.

La testa di Kuroko sbatté violentemente contro la parete. Lui tentò di frenare la caduta cercando si afferrare qualcosa con le braccia, ma riuscì solo a far cadere un vaso, che si ruppe in tanti pezzi. “Guarda cosa hai fatto!” strillò Ibuki. “Il mio vaso preferito! Dannato moccioso!” Gli si avvicinò e gli calpestò con forza una gamba.  Il ragazzo urlò e poté sentire il rumore delle ossa che si spezzavano sotto la scarpa di sua madre. “Come ti permetti di fare casino in casa mia? Come ti permetti?” Ibuki afferrò uno dei cocci del vaso caduto. “Mi stai rovinando la vita!” La rabbia le offuscava la mente, in cui ormai non c’era più posto per nessun pensiero coerente. Senza pensare iniziò ad abbassare il pezzo di vetro, con l’intenzione di pugnalare il suo stesso figlio.

Kuroko, percependo che la sua vita era in pericolo, raccolse le forze per sollevare le braccia e fermare la discesa della mano di Ibuki. Il vetro affilato gli tagliò la pelle, e lui fece una smorfia di dolore, mentre cercava di sopraffare la forza schiacciante di sua madre. Lungo il braccio gli scorreva del sangue. “O-okaa-san,” riuscì a dire.

La donna guardò disgustata il suo patetico figlio. Liberò il braccio dalla sua presa, lasciando un taglio profondo sul palmo di Kuroko. Quindi la pressione sulla sua gamba sicuramente rotta cessò. Kuroko fece un respiro di sollievo e chiuse gli occhi, pregando perché il peggio fosse passato. Ibuki invece gli sputò in faccia e gli si avvicinò. “Ascolta, ragazzino,”sibilò. “Se lo racconti a qualcuno ti uccido. Mi hai sentito? Ti uccido.”

Kuroko respirava a fatica. Aveva iniziato a massaggiarsi inconsciamente il palmo, dove quella volta si era tagliato con il vetro. Da dove stava il pubblico non si capiva che stava avendo un attacco di panico, ma da vicino Akashi se ne accorse. Approfittò del fatto che il giudice stesse ancora cercando di ristabilire il silenzio per voltarsi verso Kuroko. “Tetsuya.” Il tono con cui pronunciò il suo nome fece alzare lo sguardo al povero ragazzo. “Devi restare calmo.”

Non era una richiesta, era un ordine.

Kuroko abbassò gli occhi sul banco dei testimoni. Le sue dita ripresero a tamburellare. Le labbra dischiuse si chiusero. Le sue guance ripresero un po’ di colore. E, poco alla volta, il suo respiro tornò alla normalità. Akashi era riuscito a farlo tornare in sé.

“Potete continuare,” disse il giudice quando la situazione si fu calmata.

Akashi annuì leggermente. “Quando hanno avuto inizio gli abusi?”

“Quando avevo tre anni, quasi quattro,” rispose piano Kuroko.

“Questi abusi sono continuati fino ad ora?”

“Sì.”

“Vedi la persona che ha commesso gli abusi in quest’aula?”

Kuroko deglutì. Akashi gli aveva già detto che gli avrebbe fatto quella domanda. “S-Sì. Sarà messo a verbale che la vittima riconosce nell’imputato la persona che ha commesso gli abusi,” disse formalmente, proprio come Akashi gli aveva detto di fare.

“Hai mai avuto bisogno di recarti in un ospedale per essere curato?”

“Per alcune delle ferite che mi sono state inflitte avrei dovuto andare in ospedale,” disse, quasi senza voce. “Ma okaa-san non voleva che ci andassi. Per questo il più delle volte è stato mio padre a curarmi.”

Alcune delle persone tra il pubblico mormorarono, “Che madre crudele!”

“Sei disposto a mostrarci le ferite che hai subito in passato?”

Questa era la parte che Kuroko temeva di più. Akashi gli aveva detto che poteva rifiutarsi di mostrare le ferite in pubblico, ma lui sapeva che mostrarle ora avrebbe avuto un impatto maggiore. Giocherellò nervosamente con le dita. “Hai,” rispose piano.

Il giudice aggrottò le sopracciglia. “La difesa ha qualche obiezione?”

“Non ne abbiamo, Vostro Onore,” rispose Liam.

“Molto bene. Procedete con la dimostrazione.”

Kuroko portò le mani pallide e tremanti al primo bottone della camicia. Iniziò a sbottonarla, il primo bottone, poi il secondo, poi il terzo. Ci mise molto tempo, ma presto la camicia fu completamente sbottonata, e lui se la sfilò.

Versi di sorpresa si diffusero per l’aula. Haru si coprì la faccia, per non vedere le ferite che suo figlio aveva dovuto scoprire. Hayato fece una smorfia per quella scena. Midorima strinse il suo oggetto fortunato in una presa letale. Akashi rimase apparentemente inespressivo, sopprimendo il desiderio di far del male alla donna che aveva causato a Kuroko tutto quel dolore. Ibuki fremette di rabbia in silenzio.

Delle bende bianche avvolgevano il torace ed il petto di Kuroko. L’aria fredda gli pungeva la pelle pallidissima. Dei lividi giallastri in via di guarigione coprivano parte del collo e delle spalle di Kuroko, e se ne intravedevano altri anche al di sotto delle bende. Quei lividi erano orribili da vedere, ed alcuno spettatori dovettero distogliere lo sguardo.

Ma quella non era la parte peggiore. Lividi e bende erano cose quotidiane per Kuroko, le cicatrici invece … Kuroko dissipò le sue paure ed esitazioni e si voltò lentamente per mostrare la schiena. Quando lo fece, molte più persone trattennero il respiro per quello che videro. Kise dovette premere il viso sulla spalla di Aomine per non vedere quelle cicatrici tremende. Haru, che sapeva cosa gli altri stavano osservando, non osò alzare lo sguardo su suo figlio.

Delle cicatrici grandi e brutte spuntavano da sotto le bende e si avvolgevano sino alle spalle ed al collo di Kuroko. Erano slabbrate, profonde e sembrava che non fossero guarite del tutto. C’erano dieci linee in tutto, cinque che si allungavano fino alla spalla destra, le altre invece fino alla sinistra. Le cicatrici non sembravano guarite per bene, e la pelle sembrava ancora lacerata ed era di un intenso rosa malsano. Alcune delle linee erano più grandi delle altre, ma erano tutte comunque orribili.

Quelle cicatrici risalivano ad una volta in cui Ibuki era stata pubblicamente messa in imbarazzo in un supermercato. Era tornata a casa nel bel mezzo di un attacco di rabbia, ed aveva fatto irruzione nella stanza di Kuroko, che a quel tempo aveva sette anni. La donna aveva subito dato la colpa del suo imbarazzo al bambino, riversando la sua rabbia su di lui. Quella volta Haru non era in casa (cosa per la quale aveva un profondo rimorso), quindi Ibuki ne aveva approfittato. Prima che lei stessa si rendesse conto di ciò che stava facendo, le sue unghie lunghe ed affilate si erano conficcate nella schiena di suo figlio, trascinandosi su fino all’altezza delle spalle. Il bambino era svenuto urlando per il dolore. Dopo quell’incidente, Ibuki non aveva avuto contatti con Kuroko per un’intera settimana.

Ciò che rimaneva di quel ricordo erano delle vecchie cicatrici permanenti – sia fisiche che psicologiche.

L’umore della folla cambiò bruscamente, spostandosi da shock a compassione. Si sentirono chiaramente alcune frasi:

“Povero ragazzo …”

“Quel bambino sta soffrendo …”

“Come ha potuto quella madre …”

“Che qualcuno lo copra!”

Kuroko fu sorpreso da questo cambiamento, finché non ne realizzò il motivo.

Stava piangendo.

Le lacrime gli scendevano velocissime lungo le guance. Gli cadevano sulle mani tremanti, ed alcune gli scivolavano tra le dita, cadendo per terra. Kuroko sfiorò una delle lacrime, confuso di come stesse piangendo senza neanche accorgersene. Quel pensiero fece scendere ancora più lacrime, e presto non fu più in grado di controllarle. Continuavano a scendere, per quanto lui cercasse di asciugarsele. Alla fine ci rinunciò. Kuroko si premette le mani sugli occhi … e pianse in silenzio. Gli tremavano le gambe, e sembrava che stessero per cedergli.

Alla fine lo stress, l’ansia e la paura si erano impossessati di lui.

Ibuki lo guardava disgustata. Non appena Haru vide le lacrime scattò in piedi e tentò di raggiungere Kuroko, ma degli agenti di polizia lo trattennero. Poté solo restare a guardare con impotenza mentre suo figlio piangeva.

Il giudice se ne accorse, e rivolse a Kuroko uno sguardo accigliato. “Silenzio! Silenzio in aula! Difesa, avete domande?”

Liam, che fino a quel momento aveva sorriso, fissò le cicatrici inflitte da Ibuki. “No … Vostro Onore. Nessuna ulteriore domanda.”

“Pubblico Ministero, la vittima ha finito ed è congedata.”

Akashi raccolse l’indumento di seta ed iniziò con calma ad aiutare Kuroko ad indossare di nuovo la camicia. Non parlò a Kuroko, né tentò di asciugargli le lacrime. In quel momento la sua priorità era rivestirlo. Quando entrambe le braccia furono infilate nelle maniche, Akashi abbottonò rapidamente la camicia, partendo dall’alto.

“Aka-Akashi-kun,” disse Kuroko tra le lacrime. “Mi disp –“

Le sue scuse furono interrotte da un abbraccio. Ora il volto di Kuroko era appoggiato alla spalla di Akashi. Sembrava che al rosso non importasse che i vestiti si bagnassero di lacrime. Una mano si posò tra le ciocche azzurre di Kuroko. “Tranquillo,” disse gentilmente Akashi. “Sei stato bravo. Molto bravo.”

Kuroko ricambiò istintivamente l’abbraccio dell’ex capitano. “Mi disp –“          
                         
Fu di nuovo interrotto. “Tetsuya,” disse Akashi severo. “Sei stato bravo. Non hai motivo di scusarti.”

“… Hai.”

L’ufficiale giudiziario riaccompagnò Kuroko a sedersi, mentre anche Akashi si risistemò la giacca e tornò al suo posto. Il giudice si schiarì la gola. Non aveva mai avuto un processo con un’atmosfera così intensa. “Ora la difesa può presentare il caso e le prove.”

Liam si alzò. Dopo le prove d’impatto mostrate da Akashi ora avrebbe dovuto dare il massimo per difendere Ibuki. Non c’è dubbio sul fatto che sia davvero stata Ibuki a compiere gli abusi, pensò il biondo. Ma dato che sono un avvocato e che lei mi paga

“Signore e signori della giuria,” annunciò. “La mia cliente è accusata di abusi fisici e psicologici nei confronti di un sedicenne. La vittima ha riconosciuto nella mia cliente la responsabile degli abusi. Ma, la difesa sostiene che la vittima sia un malato mentale. La vittima non sa distinguere le menzogne dalla verità. Inoltre,” Liam face una pausa. “Il Pubblico Ministero ci ha fatto indirettamente capire che la mia cliente ha causato quelle cicatrici sulla schiena della vittima. Dobbiamo quindi supporre che la mia cliente sia colpevole senza averne nessuna prova? La vittima ha ammesso di non essere mai andato all’ospedale! Quindi come possono sapere che la colpevole sia la mia cliente?”

L’americano fece scorrere lo sguardo sulla giuria. “La difesa chiama a testimoniare Akashi Seijuro.”

Il sopracciglio destro di Akashi si inarcò. Era molto raro che il Pubblico Ministero fosse un testimone. Ma nonostante ciò, il rosso si alzò con fare sicuro e fu accompagnato dall’ufficiale giudiziario al banco dei testimoni.

“Akashi Seijuro, figlio dei migliori avvocati del Giappone, non è così?” chiese Liam.

Akashi lo fissò negli occhi. “Sì.”

“Da quanto tempo conosci Kuroko Tetsuya?”

“Da cinque anni.”

Liam annuì. “Qual era la tua relazione con la vittima durante gli anni delle medie?”

Akashi sapeva bene quel che l’americano stava cercando di fare. Ma non aveva importanza, dato che Akashi l’aveva già previsto. “Ero il capitano della prima squadra di basket della scuola media Teiko.”

“Durante i tuoi anni alle medie, gli studenti dicevano molte cose. Alcuni dicono che minacciavi costantemente i tuoi compagni di squadra. Questo si è mai spinto ad avere come risultato un comportamento violento?”

Akashi non esitò. “Trattavo i membri del club in modo equo. Usavo soltanto gli esercizi fisici per allenarli e come eventuali punizioni.”

E questo non è niente, brontolò Aomine tra sé. Mi ricordo ancora di quella volta in cui mi hai fatto indossare un vestito, solo perché avevo detto che sembravi debole

Liam, irritato perché Akashi non aveva risposto alla sua domanda, lo pressò. “C’erano molte voci su delle minacce di violenza da parte tua. È vero?”

“Non farei mai del male fisico ad un compagno, gli assegnerei solo degli allenamenti in più. Tetsuya non è mai stato colpito dalle mie mani.”

Il biondo strizzò gli occhi. “Non hai risposto alla mia domanda. Inoltre non ho detto nulla riguardo alla vittima.”

Akashi gli lanciò uno sguardo gelido, i suoi occhi mostravano intelligenza. “Ho risposto; se poi le risposta sia stata diretta o indiretta, questa è un’altra questione, visto anche che lei non ha chiarito la cosa. Se io avessi o no fatto del male a Tetsuya era una domanda contenuta implicitamente nella sua.”

Rin fece il gesto di asciugarsi una lacrima. Non era mai stata così orgogliosa di suo figlio. Se solo potessi convincerlo a lasciar perdere la carriera nello shogi e a seguire le nostre orme

Liam si coprì la faccia con una mano per ricomporsi. Quando la tolse, sul suo viso era comparso un sorriso brillante e falso. “Non ho ulteriori domande, Vostro Onore,”disse, facendo scrocchiare le nocche in modo impaziente.

“Molto bene. Il testimone è congedato.”

L’ufficiale scortò Akashi fino al suo posto. Liam concluse il suo discorso. “L’accusa presume falsamente che la mia cliente abbia compiuto gli abusi. Ma non ci sono prove a dimostrarlo.” Quindi tornò al suo posto.

Toccava a Rin, che si voltò per affrontare la giuria. “La difesa ha appena finito la sua dichiarazione. Noi Pubblici Ministeri accusiamo Kuroko Ibuki di abusi fisici e psicologici. La difesa nega di aver fatto del male alla vittima, e si proclama innocente perché la vittima è un malato mentale. Ma se la vittima ha una malattia mentale, perché nessuno l’ha mai aiutato fin’ora? Perché non è in un ospedale? Perché non è mai stato in un ospedale? E, ancora più importante, perché non risulta tra i malati mentali? Non ha mai ricevuto nessuna terapia per questa malattia?” Fece una pausa perché si capisse l’importanza di quelle informazioni. “Dal suo interrogatorio, poco fa, non è risultata nessuna difficoltà nel parlare o nel muoversi. Che tipo di malattia ha?”

Ibuki digrignò i denti e strinse le mani. C’era da aspettarselo da Akashi Rin.

“La difesa afferma che non ci sia alcuna prova a dimostrare che Kuroko Ibuki sia colpevole degli abusi. Ma abbiamo molti reperti che ci dicono che è così. Vostro Onore, ho delle denuncie passate per abusi a carico dell’imputata che vorrei fossero ammessi come prove. I documenti ci mostrano che l’imputata è stata accusata molte volte in passato per abusi in luogo pubblico.”

Liam sbatté le mani contro il tavolo. “Obiezione! Quelli sono documenti estremamente personali a cui un avvocato non può avere accesso. La difesa non era stata messa al corrente di questo.”

“Obiezione respinta. L’accusa ha un reperto che deve essere esaminato.”

Il biondo digrignò i denti.

I documenti riguardanti Ibuki furono passati ad un agente di polizia, che li passò al giudice. Il giudice li esaminò. “Il reperto #1 è stato ammesso come prova.” Rin sorrise compiaciuta. I documenti furono passati ad un impiegato, che li etichettò con un adesivo ufficiale.

“I documenti mostrano anche che l’imputata si è trasferita numerose volte, sempre in seguito ad una denuncia per abusi. Ci sono troppi movimenti sospetti per dire che si tratti di una mera coincidenza. Vorrei che la giuria ne prendesse atto.”

Il giudice aspettò che Rin finisse, quindi disse, “È il turno della difesa di presentare le sue prove.”

“La difesa chiama a testimoniare il segretario dell’Ibuki Corporation.”

L’ufficiale giudiziario accompagnò un uomo al banco dei testimoni. Un impiegato registrò il suo nome e cognome.

“Dove lavora, Kio-san?” Liam si avvicinò al testimone con un sorriso gentile.

L’uomo si guardò intorno nervosamente, e si leccò le labbra quando il suo sguardo si posò su Ibuki. “A- All’Ibuki Corporation, l’azienda di Kuroko Ibuki, a Tokyo.”

“Qual è il suo lavoro?”

“M-mi occupo del lavoro d’ufficio di Kuroko-san ed organizzo i file sul computer principale.”

“Mi dica, Kio-san, per caso ha notato se ci sono stati numerosi tentativi di accesso a dei file riservati?”

“Sì,” deglutì l’uomo. “Ci sono stati numerosi tentativi di accedere ai file di Kuroko-san. Ma sono riusciti ad ottenere solo parte delle informazioni.”

Liam spostò gli occhi sulla giuria, per assicurarsi che prestassero attenzione. “Come definirebbe questi tentativi, Kio-san?”

“L-li definirei pirateria informatica.”

“Sa chi ha tentato di accedere ai documenti?”

Il segretario tentò di ricordare le iniziali. “Mi pare che provenissero da una linea con il nome AKH. Molti di noi pensano che stia per Akashi Hayato.” Hayato si irrigidì. Dannazione, la mia linea avrebbe dovuto essere privata e sicura.

“Quindi, un avvocato ha tentato di hackerare i documenti. Ne aveva il permesso?”

“N-no, non credo. Un avvocato non può accedere a nessun documento di una persona finché il caso che la riguarda non è reso ufficiale.”

“Quando sono avvenuti gli attacchi ai documenti?”

“Qualche settimana fa. Prima che si sapesse ufficialmente di questo caso.”

Liam sorrise compiaciuto. Se non poteva negare del tutto che Ibuki fosse colpevole per gli abusi, la giuria avrebbe almeno dovuto riconoscere che Akashi Rin ed Akashi Hayato avevano fatto ricorso a mezzi illegali per ottenere le loro prove. “Non ho ulteriori domande, Vostro Onore.” Il segretario fece un sospiro di sollievo.

“Molto bene. L’accusa ha domande?”

Rin rispose a denti stretti, “No, Vostro Onore.”

“Il testimone è congedato.”

Non appena il segretario si fu allontanato, Liam chiamò un altro testimone. “La difesa chiama Sui Aiko.” Una donna, una poliziotta, fu accompagnata al banco dei testimoni. Rin la riconobbe immediatamente. “Aiko-san, qual è il suo rapporto con Akashi Rin?”

“Siamo amiche,” rispose. “Amiche intime.”

“Intime? E, agente, ha mai sfruttato il suo status per diventare… intima con Akashi Rin?” La poliziotta spalancò gli occhi. Liam la incalzò, “Ad esempio, dicendole come arrivare ai documenti della mia cliente?”

Lei strinse le labbra. “… Sì, lo ammetto. L’ho messa al corrente di diverse strategie per accedere ad un file.”

Liam inarcò le sopracciglia, come se fosse stato sorpreso. “Capisco. Non ho altre domande, Vostro Onore.”

“L’accusa ha domande?”

“Sì, Vostro Onore.” Rin si avvicinò al banco dei testimoni. “Agente, il dipartimento di polizia ha dato a me, Akashi Rin, il permesso di trattare i file che tu mi ha prestato?”

Aiko sbatté le palpebre. “Sì.”

“E che tu, che fai parte del dipartimento di polizia locale, mi dia modo di accedere ad un file, conta come permesso?”

“Credo di sì … in un certo senso.”

“Non ho ulteriori domande.”

L’agente fu congedata. Anche lei ne sembrò sollevata, ma chiunque lo sarebbe stato se avesse dovuto testimoniare in presenza del migliore avvocato del Giappone e allo stesso tempo anche della donna più influente del Giappone.

Ora era di nuovo il turno di Akashi. Rin aveva aperto la sua valigetta per passare a suo figlio le prove di cui aveva bisogno. Avrebbero presentato il secondo ed il terzo reperto. Akashi prese posto davanti al giudice. “Vostro Onore, ho alcune foto ed una registrazione che dovranno essere ammesse come prove. Chiedo che la registrazione venga fatta ascoltare al pubblico. Per le foto, invece, vorrei che ci fosse un’udienza a porte chiuse.”

Quasi tutti sapevano che Akashi non ‘chiedeva’ le cose. Le ordinava, in modo diretto o indiretto. Alla fine gli Akashi l’avevano sempre vinta.

Il giudice annuì, ed uno degli ufficiali gli passò le prove. Lui osservò le foto ed impallidì per la scena che rappresentavano. Erano troppo esplicite per il pubblico, ed il giudice capì perché Akashi voleva che restassero private. Persino lui dovette passarle velocemente ad un impiegato per non doverle più vedere. “Le tre foto sono ammesse come prova, saranno il reperto #2.”

Ibuki divenne rossa di rabbia. Non sapeva quale fosse il contenuto delle foto, ma era ovvio che non si trattava di niente di buono per lei. “Le foto potrebbero essere state photoshoppate!” urlò, anche se non toccava a lei parlare. “Che razza di giudice è lei?! Potrebbero essere false! Non possono essere usate come prove.”

“Questo è l’ultimo avvertimento. Tenga a freno la sua cliente,” ammonì il guidice. Liam si coprì il volto con le mani. “Agente, faccia partire la registrazione, prego.”

La cassetta fu inserita nel lettore ed il volume fu alzato per permettere a tutti di ascoltare. Il pubblico si sporse in avanti, curioso di sapere cosa voleva mostrare il Pubblico Ministero. Quello che sentirono fu inaspettato; la voce di Ibuki squillò e rimbalzò tra le mura dell’aula del tribunale:

 “Non gli faccio male. Lo addestro.”

“Cosa intendi? Lo addestri? Non è mica un cane.” Disse la voce di Rin.
 
“Volevo un successore. Ne volevo uno. Ho costruito tutta la mia vita, partendo dal livello più basso; ed eccomi ora, la donna più intoccabile del Giappone, con tre delle più grandi società. Sono ricca, sono potente, e sono temuta! È più di quanto avessi potuto volere, penserebbero alcuni. Ma io voglio di più. Voglio che il mio nome sia portato avanti. Tutti devono sapere del mio nome – no, non il mio nome. Della mia esistenza. L’unico modo è avere un erede. È l’unico motivo per cui ho sposato Haru! Per avere un figlio; un figlio che mi avrebbe ubbidito.”

A quelle parole Haru si coprì la bocca con una mano tremante. Ibuki era immobile per lo shock. Non sapeva cha Hayato quella volta aveva registrato il loro incontro.
 
“Ma è stato controproducente. Il bambino che ho fatto nascere si è rivelato essere proprio come suo padre. È debole, ha una morale disgustosa, mi disobbedisce. Proprio come ho detto a loro, mi prende in giro.”

Kuroko, non volendo più sentire quelle parole crudeli, si coprì le orecchie e nascose la testa tra le ginocchia. Chiuse gli occhi per fermare le lacrime che minacciavano di scendere.

“Il modo in cui mi guarda con quegli occhi inespressivi mi fa capire che non mi prende sul serio. Non riesco a ricavare niente da lui. Quindi l’unico modo perché mi ascolti, mi obbedisca, mi tema, è quello di spezzarlo.”

“S-spezzarlo?” Questa era la voce di Aomine.

“Una persona spezzata darà ascolto solo alla persona che è riuscita a spezzarla. Giorno dopo giorno, vedo che si spezza un po’ di più. Ha paura di me, mente a tutti ma non a me. Oh, è meraviglioso, davvero meraviglioso. Ma voi – voi avete rovinato tutto. Guarirlo, continuare a guarirlo è inutile! Più voi lo fate, più io cercherò di spezzarlo con ancora più forza. Lui è mio, e sarà il mio erede. Non sarà nient’altro che una mia creazione, e non potrete fermarmi!” L’ultima parte era strillata e, quando la folla si lamentò per la voce troppo acuta, dovettero abbassare il volume.

Le labbra di Akashi si curvarono in un leggero sorriso. I mormorii inorriditi del pubblico gli diedero soddisfazione. Era il momento di dare una svolta all’accusa per abuso. Fece scorrere lo sguardo sulla Generazione dei Miracoli, Kagami, Haru e gli altri. Loro annuirono nella sua direzione. “L’accusa chiama tutti i testimoni a rilasciare le loro dichiarazioni.”

Il giudice gli diede il permesso. Uno alla volta, tutti i testimoni si presentarono al banco e pronunciarono con voce forte e chiara la loro versione di fatti:

“Almeno due volte a settimana, Kuroko si presenta agli allenamenti di basket del Seirin ricoperto di ferite. Il più delle volte zoppica. Appena qualche settimana fa, sua madre si è presentata ad un allenamento serale. Ha avuto una specie di crisi ed era ovvio che Kuroko avesse paura di lei.” – Kagami.

“Essendo padre di Seijuro, conosco abbastanza bene i suoi amici. Kuroko Tetsuya, però, è sempre stato nascosto. Ho scoperto solo da poco delle sue ferite. La registrazione che abbiamo sentito qualche minuto fa è stata fatta da me. L’unica mentalmente instabile qui è Kuroko Ibuki.” – Hayato.

“Kuroko sarà sempre seccante, ma le sue ferite lo erano ancora di più. Nella mia famiglia ci sono molti dottori. Durante tutti gli anni delle medie, ho dovuto bendare e disinfettare le sue ferite numerose volte. Ed era sempre Kuroko Ibuki a causarle.” – Midorima.

“Kuro-chin sta sempre male, ed è sempre colpa della sua madre cattiva. Un giorno, Kuro-chin si era rotto una gamba, perché era stato calpestato da qualcuno. Kuro-chin non ha detto che era stata sua madre, ma sulla sua gamba era rimasta l’impronta di una scarpa con i tacchi alti. Il giorno dopo ho notato le scarpe di sua madre, e combaciavano con l’impronta. Ma Kuro-chin non accettò nemmeno il dolce che volevo offrirgli …” – Murasakibara.

“Alle medie Tetsu saltava molti allenamenti. Ma non per pigrizia. Lo faceva perché le sue ferite erano tanto gravi che sarebbe dovuto andare all’ospedale. Ma lui si rifiutava sempre, dicendo che sua madre non voleva. Perché no? Come fa a non avere un’assicurazione sanitaria, dato il suo status?” – Aomine.

“A volte Kurokocchi aveva delle ferite davvero gravi, che Midorimacchi doveva curare. Era terribile, ed a volte Kurokocchi piangeva anche. La prima volta che ho incontrato sua madre, lei era arrabbiata perché Kurokocchi si era fermato fino a tardi a giocare a basket, ed il giorno dopo Kurokocchi si è presentato all’allenamento con delle nuove ferite! Non è strano?” – Kise.

“Quando Tetsu-kun era piccolo lo vedevo molto spesso. Ma poi ho dovuto smettere di andare a trovarlo. Ora ne capisco il motivo, e mi dispiace non aver fatto nulla fin’ora per aiutarlo. Ho visto le foto; è terribile, ed è ovvio che Ibuki abbia fatto qualcosa di crudele al ragazzo.” – Catherine.

“Tetsu-kun è un bravo ragazzo, non dovrebbe avere questo tipo di trauma nella sua vita. Anch’io ho visto le foto, e tutti abbiamo visto i colpi subiti dal corpo di Tetsu-kun. Ormai è un fatto che non si può più nascondere, né si può mentire al riguardo.” – Hiroshi.

“Tetsu-kun era un bambino brillante. Anche se la sua faccia era inespressiva, si capiva che era felice. Ma ora, dopo tredici anni, non ha più quello sguardo. È … devastante.” – Jun.

“Sono il padre di Tetsuya ed il marito di Kuroko Ibuki. Quasi ogni giorno ho sopportato la vista di mio figlio che veniva picchiato. È una cosa che vorrei poter dimenticare. Ho perso il conto delle volte in cui sono stato ferito io stesso per salvare mio figlio. Fin’ora la paura di una battaglia per l’affidamento mi ha trattenuto dal pensare al divorzio. Questa non è una situazione che un bambino dovrebbe affrontare, questo trauma e questo dolore. È terribile, e desidero disperatamente che mio figlio non debba più avere esperienze di questo tipo. Quindi, vi prego … aiutate mio figlio.” – Haru.

Dopo essersi inchinato, Haru raddrizzò la schiena e si allontanò incespicando dal banco dei testimoni. Kuroko intanto si era alzato dal suo posto per aiutare suo padre a tornare a sedersi. I due si scambiarono un abbraccio stretto.

Liam era impallidito, non aveva mai avuto tutte queste testimonianze contro di lui in un processo. Quindi è questo il potere della famosa famiglia Akashi. Osservò Akashi, che sorrideva soddisfatto. Quel ragazzo ci sa davvero fare.

Rin prese posizione. “Ci sono prove più che sufficienti per dimostrare che l’imputata è colpevole come da accusa.” Osservò i membri della giuria. “Ma se ancora non fosse abbastanza, c’è un altro capo d’accusa che intendo avanzare contro l’imputata, per dimostrare la sua colpevolezza per gli abusi di Kuroko Tetsuya:

Kuroko Ibuki è qui in Giappone come immigrata clandestina.”


 
 
 
 
NdT: Ta-daaa!
Con questo capitolo festeggiamo (in ritardo >.<) l’inizio della seconda stagione dell’anime di Kuroko no Basuke!!!
Gli ultimi due o tre capitoli precedenti erano un po’ di transizione, qui invece torna l’azione e finalmente si capisce il piano degli Akashi.
Nelle note di fine capitolo della storia originale, l’autrice dice che ha descritto un po’ una via di mezzo tra il sistema giuridico giapponese e quello americano.
Personalmente, spero solo di non avere fatto imperdonabili strafalcioni.  La cosa del’Pubblico Ministero’ non mi convince del tutto, perché leggendo wikipedia, mi pare di capire che si tratta di un ente che esercita l’azione penale e non dei funzionari che ne fanno parte. Ma il nome di questi funzionari non sono riuscita a trovarlo, e comunque dire ‘Pubblico Ministero’ mi sembrava molto meglio che dire ‘accusatore/ accusa’.
Se qualcuno tra voi studia giurisprudenza ed ha soluzioni migliori, si faccia avanti :)
Credo sia tutto; come sempre vi ringrazio tutti, sperando che il capitolo vi piaccia!
Nienor_11

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21


“Obiezione!” disse Liam con voce ferma. “Come era scritto chiaramente sulla convocazione della mia assistita, contro di lei è stato avanzato un solo capo d’accusa. Secondo la legge e la norma, l’imputato ha il diritto di sapere di che cosa è stato accusato e non possono essere avanzati nuovi capi d’accusa durante lo stesso processo.”

Rin si passò una mano tra i capelli e ribatté abilmente, “Obiezione, Vostro Onore. Non stiamo avanzando quest’accusa per farne un nuovo caso, ma solamente per dimostrare che l’imputata è colpevole di abusi. Noi Pubblici Ministeri non richiediamo che l’imputata venga sanzionata per immigrazione clandestina. Ma è nostro diritto presentare quante più prove possibili per dimostrare la sua colpevolezza.”

Il giudice non mostrò emozioni sul suo volto. “L’obiezione della difesa è respinta. Le prove presentate dai Pubblici Ministeri contro l’imputata varranno per il processo attuale. Gli altri capi d’accusa verranno annotati per un altro processo.”

Ibuki imprecò sottovoce.

Rin sorrise soddisfatta e continuò il suo discorso. Stava in piedi con portamento sicuro e si era sistemata i capelli, che sembravano infuocati, su una spalla. “In questo momento, l’imputata Kuroko Ibuki è qui in Giappone come immigrata clandestina. Ah, errore mio, non dovrei forse chiamarla … Sevaine Ibakmi?”

Gli occhi della donna dai capelli azzurri si spalancarono così tanto che Aomine temette che le sarebbero caduti dalla orbite. I suoi muscoli si tesero e lei strinse i pugni al di sotto del tavolo. Akashi sembrò soddisfatto della sua reazione.

“O come dicono gli anglofoni,” continuò Rin, “Ibakmi Sevaine. Ibakmi è il nome dell’imputata, Sevaine è il cognome. Qui in Giappone l’imputata possiede tre identità: Kuroko Ibuki, Suzuki Akihiko e Abe Miku. Vostro Onore, vorrei che questo fosse messo a verbale: se si scrivono i nomi dell’imputata nell’ordine che ho appena elencato e si prendono le prime due lettere di ogni nome, si otterrà il nome Ibakmi.”

Il giudice chiese alla stenografa del tribunale di ripetere ciò che Rin aveva detto. Quest’ultima si sistemò gli occhiali ed osservò il dialogo che stava trascrivendo con la sua macchina da scrivere. “L’avvocato dell’accusa ha detto: ‘L’imputata ha tre identià qui in Giappone: Kuroko Ibuki, Suzuki Akihiko e Abe Miku.’ Lo spelling della trascrizione inglese è: I-B-U-K-I, A-K-I-H-I-K-O, M-I-K-U.”

Uno degli impiegati del tribunale annuì per confermare la correttezza dell’affermazione di Rin. In effetti si otteneva il nome Ibakmi.

“Vorrei che questo venisse accettato come prova, Vostro Onore.”

“La difesa ha obiezioni?”

“Non ne abbiamo, Vostro Onore.” A dire il vero Liam era completamente confuso. Non era stato informato di nulla di tutto ciò.

“La dichiarazione sarà ammessa come prova.”

“Vorrei presentare anche questi documenti riguardanti le tre identità che ho menzionato. Abe Miku, Kuroko Ibuki e Suzuki Akihiko, come risulta dai loro file personali, possiedono tutte le stesse tre aziende. Sembra che siano conosciute con lo stesso titolo.”

Il giudice sfogliò velocemente i documenti. “Questo reperto sarà ammesso come prova.”

Rin fletté le dita. Stava vincendo su tutti i fronti, ed era una bella sensazione quando tutto andava come voleva lei. “Il Pubblico Ministero chiama a testimoniare un impiegato della Rasa Corps.”

L’ufficiale giudiziario scortò un uomo giovane e dall’aspetto nervoso al banco dei testimoni. Sbrigate le formalità, Rin iniziò l’interrogatorio. “Dove lavora?”

“Alla rasa Corps, in una succursale a sud.”

“Cos’ è esattamente la Rasa Corps?”

“È una delle tre aziende più grandi del Giappone.” L’uomo sembrava orgoglioso di lavorare per quell’azienda.

“A quante persone appartiene la Rasa Corps?”

Lui aggrottò la fronte. “Ad una sola, ovviamente.”

“Di chi si tratta?”

“Non lo sa? È Abe Miku-san.”

“Chi è Abe Miku?”

“La donna più potente del Giappone, la proprietaria delle tre aziende più importanti.”

Rin indicò Kuroko Ibuki. “Mi dica, chi è quella donna?”

Lui sbatté le palpebre. “Abe Miku-san.”

Il pubblico restò a bocca aperta. Akashi sembrava annoiato, dato che sapeva già quello che stava succedendo.  Però si godeva le espressioni di Ibuki.

“Ora il Pubblico Ministero chiama a testimoniare un impiegato dell’Atari Corps.”

Si ripeté la scena fatta già con il testimone precedente. Le domande furono le stesse, cambiava solo il nome dell’azienda e della rispettiva proprietaria. Quando Rin chiese chi fosse Ibuki, la risposta fu ‘Suzuki Akihiko’. Dal pubblico si alzarono di nuovo mormorii sorpresi. Era evidente che la donna dai capelli azzurri fosse conosciuta con tre nomi diversi.

“Come ho detto, Vostro Onore e signore e signori della giuria, l’imputata ha tre identità. Ma il nome con cui fu registrata all’anagrafe alla nascita è Sevaine Ibakmi.” Rin passò diversi articoli di giornale ad un agente, che li consegnò al giudice. “Parecchi anni fa, due personaggi dello spettacolo di nome Liam Sevaine…” L’avvocato biondo alzò di scatto la testa quando sentì il suo nome, ma poi capì che non si parlava di lui e si ricompose, “…E Julie Sevaine vivevano in America. Come provano molti di questi articoli, i due avevano una figlia, chiamata Ibakmi Sevaine. Delle notizie mostrano che negli anni successivi i due rinunciarono alla carriera senza un motivo apparente e si trasferirono in Giappone. La figlia rimase in America. Vostro Onore, è questo che dicono gli articoli?”

“Sì, è così.”

 “Allora chiedo che il primo articolo venga accettato come prova. Tenga il secondo ed il terzo a portata di mano per quello che dirò tra poco, per favore.”

“La difesa ha obiezioni?”

“Non ne … abbiamo, Vostro Onore,” rispose Liam con voce debole. Stava iniziando a sentirsi male.

Il giudice fece archiviare l’articolo come prova, e Rin continuò. “Chi è Sevaine Ibakmi? Secondo le news americane di appena un paio di settimane fa, è una criminale ricercata. Per essere più precisi, è ricercata per omicidio e per abusi. Latita da più di tre anni, e la polizia americana sta ancora indagando su questo caso irrisolto. L’articolo dice che Sevaine Ibakmi è scomparsa nell’anno 19XX. Nello stesso anno, in Giappone è apparsa una donna misteriosa, inaugurando tre piccole imprese: l’Atari, la Rasa Corps, e l’Ibuki Corporation.”

L’aula del tribunale si riempì di mormorii sorpresi, e persino Haru sembrò colpito dalla notizia.

“L’attività dei due artisti si intensificò in quel periodo, e si può supporre che Sevaine Liam e Sevaine Julie aiutarono la loro figlia ad entrare illegalmente in Giappone, usando la loro influenza per aiutarla a sfuggire alla polizia americana. Due anni dopo, i due morirono, lasciando la figlia ormai adulta. Dopo appena pochi mesi, gli affari delle imprese che lei aveva inaugurato prosperarono improvvisamente.” Rin osservò intensamente la giuria.

“È solo una coincidenza che questi eventi siano avvenuti allo stesso momento della scomparsa di Sevaine Ibakmi? Alcuni impiegati del mio ufficio hanno cercato i documenti sul trasferimento e l’immigrazione di Kuroko Ibuki, ma non ne esistono. Nonostante ciò, sul suo certificato di nascita si legge che è nata a New York City, stato di New York, Stati Uniti d’America. Dato che non è nata in Giappone, dove sono i documenti del suo trasferimento? Dov’è il suo certificato di cittadinanza? Inoltre,” enfatizzò Rin per far capire che non aveva ancora finito, “La foto di Sevaine Ibakmi non somiglia all’imputata tanto da permetterci di determinare che si tratti della stessa persona. Ma abbiamo dei documenti che ci informano che quando era più giovane, l’imputata si è sottoposta ad interventi di chirurgia plastica. La foto che vi sto per presentare, dimostrerà tramite un processo di photo editing come questi interventi siano serviti all’imputata per nascondere i suoi innumerevoli crimini.”

Consegnò la foto che Kise e Aomine avevano modificato, e questa fu passata al giudice, la cui fronte si contrasse per la somiglianza tra le due immagini. “Vorrei che gli articoli e la foto fossero ammessi come prove.”

Il giudice acconsentì.

“Come già detto, il Pubblico Ministero non richiede una pena per questi crimini durante questo processo. Quanto detto è solo una prova per supportare l’accusa di abusi.”
Rin deglutì e ripassò mentalmente tutti i suoi appunti. Aveva detto tutto? Senza tralasciare nulla? Di solito era sicura di sé e concludeva non appena aveva finito di parlare, ma il caso Ibuki era piuttosto complicato, e non potevano permettersi nessun errore. “L’accusa non ha nient’altro da aggiungere, Vostro Onore.”

Haru allentò la tensione che si era accumulata nelle sue spalle. Avevano finito. Ora la loro vittoria o sconfitta sarebbe dipesa dal discorso conclusivo della difesa e poi dalla giuria. Il padre di Kuroko lanciò uno sguardo all’avvocato di Ibuki e si sorprese di vederlo pallido. “Non mi avevi detto che è uno degli avvocati migliori che abbiano studiato in America, Hayato-san?” chiese Haru a bassa voce. “Perché non ha sollevato obiezioni per nessuna delle prove?”

“È davvero l’avvocato migliore,” gli mormorò Hayato. “Ma guardalo in faccia, sembra shockato. È ovvio che Ibuki non lo aveva messo al corrente di nessuna di queste informazioni. Quando assumi un avvocato, è tuo dovere informarlo di tutte le possibili accuse che l’altra parte potrebbe rivolgerti. Ibuki gli ha tenuto nascoste delle cose …  Se l’avesse saputo prima avrebbe sicuramente preparato delle informazioni da opporre alle nostre.” Hayato si passò una mano sul volto. “Insomma, è colpa di Ibuki. Siamo fortunati.”

“La parola può passare alla difesa, per esporre il caso e le prove.”

Liam restò in silenzio, guardando male il tavolo davanti a lui. “Posso chiedere una pausa, Vostro Onore?”

“Sì, può.”

“La mia assistita richiede una breve pausa per riordinare le idee.”

“Pausa concessa. La corte farà una pausa di circa mezz’ora. In questo lasso di tempo la giuria può esaminare le prove ammesse. I membri della giuria non possono avere nessun tipo di contatto né con la difesa, né con l’accusa. I giurati escano per primi dall’aula, prego.”

Rin, disturbata dalla pausa, aspettò impaziente che i giurati uscissero dalla porta sul retro. Quando furono tutti fuori, l’accusa ebbe il permesso di uscire, ed Akashi si diresse verso la porta anteriore. Tutti gli altri lo seguirono.

Fuori la brezza li rinfrescò. Nell’aula del tribunale l’aria era tesa e calda, quindi era piacevole poter fare una pausa. Ma Hayato era preoccupato e si chiedeva quante informazioni avrebbe potuto trovare Liam in quel lasso di tempo.

“Akashi-kun!” Kuroko riuscì facilmente a passare tra la folla e ad arrivara di fronte ad Akashi. I due dovettero aspettare un po’ che anche gli altri li raggiungessero, e nel frattempo la maggior parte di quelli che erano tra il pubblico si erano allontanati. Akashi lo oservò con occhio critico: Kuroko aveva avuto il permesso di sciacquarsi la faccia durante il processo e si era rimesso in ordine dopo la sua crisi di pianto.

Dopo aver stabilito che stava abbastanza bene, Akashi lo strinse a sé. Kuroko incespicò un momento, ma poi si accomodò contro la figura snella del suo compagno. Una mano gli si posò tra le ciocche azzurre. “Stai bene?”

“Hai,” rispose, poi fece un passo indietro per liberarsi dall’abbraccio e Akashi lo lasciò andare. Kuroko fece ancora alcuni passi indietro ed osservò le persone davanti a lui: Kagami, Murasakibara, Midorima, Akashi, Kise, Aomine, suo padre, Hayato, Rin, Catherine, Hiroshi e Jun.

Tutti loro erano venuti lì per aiutarlo a liberarsi da ulteriori abusi. Kuroko si sentì debole a quel pensiero.

Li sorprese tutti – tranne Haru forse, da cui aveva imparato le buone maniere – inchinandosi profondamente e formalmente. Akashi incrociò le braccia. “Grazie mille a tutti voi,” disse a voce bassa Kuroko, che teneva lo sguardo abbassato. “Avete affrontato così tanti problemi per me. Mi dispiace per il disturbo che vi ho causato. Grazie.”

“Aw, avanti, Tetsu,” si lamentò Aomine. “Mi fai sentire in imbarazzo. Smettila di chiedere scusa ed inchinarti!”

“Sono d’accordo con Ahomine,” disse Kagami. “Davvero, smettila con ‘sto inchino!”

“Kuro-chin, se ti chini troppo non riesco a darti uno snack …”

“Kurokocchi, sei così carino! Ma non riesco a vederti in faccia!”

“Che sciocchezza …”

Catherine sorrise alle battute dei ragazzi ed avanzò, chinandosi di fronte a Kuroko e posandogli gentilmente una mano sulla testa. Il ragazzo si rialzò lentamente per guardarla. “Sei un bravo ragazzo, Tetsu-kun.”

Lui sbatté le palpebre. “Grazie.”

“È troppo educato,” sbuffò Rin guardando male Haru. “Mi chiedo da chi abbia preso.”

Haru ignorò l’occhiataccia e si avvicinò a Kuroko, prendendo il posto di Catherine. Poi strinse kuroko in un abbraccio. “Sono orgoglioso di te,” bisbigliò vicino all’orecchio di Kuroko, dandogli poi un bacio sulla fronte. “Hai fatto del tuo meglio, Tetsuya.”

Liberò Kuroko dall’abbraccio e si spostò per lasciargli un po’ di spazio. Akashi gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. Kise osservò la mano con sospetto.

“Akashicchi, ultimamente stai toccando troppo Kurokocchi! L’hai persino abbracciato! Non … non mi dire,” l’espressione di Kise si fece inorridita, “Akashicchi, hai una relazione con Kurokocchi? No! Aominecchi, dobbiamo salvare Kurokocchi, o verrà mangiato!”

Kuroko restò in silenzio, senza rispondere a quella domanda, di cui al momento non aveva bisogno.

 
Akashi inarcò solo le sopracciglia.
 
Kuroko Ibuki uscì come una furia da una porta laterale del tribunale. L’edificio aveva tre uscite: quella sul retro per la guiria, quella anteriore per l’accusa, e quella laterale per la difesa. Era stato pensato così per evitare contatti tra le parti. Ibuki aveva tentato di seguire suo figlio all’entrata anteriore, ma degli agenti di polizia l’avevano bloccata, guastandole ulteriormente l’umore.

Marciò furiosa fino a dove avevano parcheggiato. Liam la seguiva da vicino. “Cosa cazzo stai facendo?”strillò Ibuki non appena ebbero raggiunto la loro auto. Si girò per fronteggiare il biondo. “Dovresti essere l’avvocato migliore! Non hai studiato in America? Gli Akashi non dovrebbero rappresentare un problema per te, viste le tue conoscenze! Ti ho pagato per niente, ho solo sprecato i miei soldi! Non mi sei utile!”

Silenzio,” le ribatté duramente Liam. Parlava nella sua lingua nativa, l’inglese. “Mi hai nascosto delle informazioni, quindi è colpa tua se ho dovuto richiedere una pausa per riordinare le prove. Se mi avessi detto prima che era un’immigrata clandestina…

Non sono un’immigrata clandestina!” urlò Ibuki, anche lei in inglese.

Non lo negare,”le disse bruscamente Liam. “Sei molto fortunata ad avere me come avvocato. Con tutte queste prove contro di te non puoi più semplicemente dichiararti innocente.” Liam sospirò e si passò una mano tra i capelli. Dopo aver respirato profondamente per un paio di volte, tornò a parlare in giapponese. “Abbiamo trenta minuti. Sono abbastanza per svolgere le mie ricerche. C’è una biblioteca qui vicino?”

“Ce n’è una a due isolati da qui,” gli rispose  bruscamente. “Cosa hai intenzione di fare?”

 
“Te lo spiego mentre ci andiamo. Dimmi come arrivarci.”
 
“È ovvio che andrà bene,” disse Rin sprezzante. “Abbiamo portato delle prove schiaccianti, che danneggeranno Kuroko Ibuki.”

“Sì, ma trenta minuti gli saranno sufficienti per riorganizzarsi,” ribatté Hayato. “Pensaci, non hai riconosciuto il suo avvocato?”

“Sì che l’ho riconosciuto.”

Rin e Hayato discutevano davanti alla loro macchina. Aomine, Kagami e Kise avevano deciso di andare in un fast food lì vicino per pranzo, dato che stavano morendo di fame. Murasakibara si era lamentato con Akashi perché i suoi snack erano quasi finiti, quindi Akashi aveva ordinato a Midorima di accompagnare il ragazzo ad un supermercato per comprarne altri. Haru si era offeto di dare un passaggio ai suoi colleghi fino alla stazione, dato che il loro compito era finito. E Akashi e Kuroko … erano semplicemente scomparsi da qualche parte.

Rin sospirò e si appoggiò alla macchina. Si tolse la giacca elegante. “Abbiamo fatto tutto il possibile per attaccarla, Hayato. Abbiamo finito. Non possiamo trovare altre prove, anche se ne avremmo il tempo. Se anche Ibuki ed il suo avvocato riuscissero a trovare qualcosa per rispondere alle nostre accuse, non potremmo comunque contrattaccare.”

 
Hayato annuì e contrasse le labbra. “Possiamo solo sperare per il meglio. Conoscendo nostro figlio, sappiamo che non si fermerà finché non avrà vinto.”
 
Akashi e Kuroko si erano incamminati lungo una stradina un po’ nascosta, circondata da alberi senza foglie ed erba secca. Era una strada laterale rispetto all’edificio del tribunale, e da lì si poteva vedere parte del parcheggio e della strada principale. Akashi aveva trascinato lì Kuroko, (non che lui avesse fatto resistenza), ed aveva insistito per fare una passeggiata per aiutarlo a rilassarsi.

I due camminavano in silenzio, senza né parlare né tentare di avvicinarsi l’uno all’altro. Kuroko continuava a lanciare occhiate al suo compagno, chiedendosi se c’era qualcosa che non andava o se lui aveva detto qualcosa di sbagliato. Akashi non dette segno di accorgersene, sebbene fosse consapevole degli sguardi e del fatto che Kuroko stava diventando sempre più ansioso.

Ad un certo punto Kuroko non soppportò più il silenzio. Sebbene lui stesso fosse un tipo silenzioso, quella situazione tra di loro era angosciante e lo faceva agitare. “Ehm… Akashi-kun?” chiamò, fermandosi.

Anche Akashi si fermò, girandosi per guardare Kuroko. Un sopracciglio inarcato mostrava che lo stava ascoltando. Kuroko si inchinò. “Grazie per tutto quello che hai fatto per me, Akashi-kun.” Si raddrizzò velocemente, perché sapeva che ad Akashi non piaceva che lui si inchinasse troppo a lungo.

Akashi affilò lo sguardo, e con un dito fece cenno all’altro di avvicinarsi. Kuroko, confuso, gli si avvicinò lentamente. Una mano gli si posò sulla guancia, ed Akashi si sporse un po’ in avanti, per portare i loro occhi alla stessa altezza. “Non devi ringraziarmi per quello che ho fatto,” mormorò il ragazzo, fissando gli occhi blu e inespressivi dell’altro. “Quando capirai che l’abbiamo fatto tutti per nostra scelta?”

“Che sia per vostra scelta o no, state tutti avendo problemi per causa mia,” disse Kuroko con voce monotona. “Sto pensando a come sdebitarmi.”

“Hm.” Akashi fece passare un braccio intorno alla vita di Kuroko, attirandolo a sé. Kuroko non protestò. “Nessuno accetterà un regalo da te.”

“Allora non farò nessun regalo.”

“Non vorranno essere ripagati.”

“Otou-san mi aiuterà.”

Akashi scosse la testa. Vide che poco distante c’era una panchina e vi guidò Kuroko. “Siediti.”

Kuroko si sedette, e l’ex capitano fece lo stesso, sistemandosi alla sua destra. Kuroko si appoggiò subito stancamente alla spalla di Akashi, che non disse niente e coninuò a tenergli un braccio intorno alla vita. “È quasi finita,” disse Akashi. “Abbiamo vinto.”

“Non puoi ancora saperlo, Akashi-kun.”

“Lo so. Io so tutto.” Fece un sorrisetto e piegò la testa per osservare il ragazzo mezzo addormentato. “O te ne sei dimenticato, Tetsuya?”

Kuroko aggrottò la fronte, ma non sollevò la testa dalla sua spalla. “Sei troppo presuntuoso –“ Un paio di labbra fresche si posarono sulle sue, interrompendolo. Accadde all’improvviso,  le labbra erano morbide ed esperte. All’iniziò restò fermo per la sospresa, con il suo cervello che tentava ancora di capire cosa stesse accadendo alla sua bocca. Per i pochi baci che si erano scambiati prima di allora, Akashi gli aveva sempre chiesto prima il permesso. Ma forse il rosso pensava che lui si fosse abituato ai diversi tipi di baci e che non ci fosse più bisogno di chiedere. Kuroko ci mise più del solito a ricambiarlo.

Portò lentamente le braccia al collo di Akashi. Non era la prima volta che si baciavano, ma Kuroko non sapeva ancora come posizionarsi. Dove doveva mettere le mani? Avrebbe dovuto inclinare la testa? Avrebbe dovuto girarsi? Poteva sporgersi in avanti?

Akashi, percependo le insicurezze dell’altro, si girò per tenere Kuroko per la vita; in questo modo Kuroko poteva solo stare girato verso di lui, con le braccia intorno al suo collo e la testa leggermente inclinata per stare più comodo. Quando Kuroko si rese conto che era solo Akashi a portare avanti il bacio, iniziò a muovere in modo esitante anche le sue labbra.

Si scambiarono un bacio casto, senza lingua. Un bacio semplice, lungo e tenero. Poi Akashi si tirò indietro per permettergli di respirare. I respiri di Kuroko erano affannati, mentre continuava a cingere con le braccia il collo di Akashi. Kuroko fissò gli occhi eterocromi di Akashi, che brillavano divertiti. Un leggero rossore apparve sulle sue guance pallide e lui nascose il suo volto contro una spalla dell’ex capitano.

“È stato cattivo da parte tua, Akashi-kun,” mormorò contro la camicia.

Sentì il corpo di Akashi vibrare e capì che si era lasciato sfuggire una risatina. Una mano gli passò tra i capelli, prima di posarsi sulla sua nuca. “Volevo solo osservare la tua reazione.”

“Avresti dovuto chiedermelo prima.”

“Ma non ci sarebbe stata nessuna reazione da osservare.”

Kuroko non rispose e premette ancora di più il suo corpo contro quello di Akashi. Era contento che non ci fosse nessuno che avrebbe potuto vederli. Quando prima Kise gli aveva fatto quella domanda, non era riuscito a trovare una risposta adeguata.

Restarono così per alcuni minuti, finchè non arrivò una folata di vento freddo che fece rabbrividire Kuroko. Quest’ultimo si liberò dall’abbraccio e si alzò dalla panchina. Akashi seguì il suo esempio. “Vado a comprare una bevanda calda,” disse Kuroko, alzando la zip della sua giacca. “Ho abbastanza soldi per prenderne due. Cosa prendo per te, Akashi-kun?”

Akashi lo guardò storto. “Vengo con te, Tetsuya.”

“Voglio andare da solo,” ribatté Kuroko, ma poi aggiunse in tono più dolce, come spiegazione, “Voglio un po’ di tempo per pensare. Non ci riesco se ci sei anche tu, Akashi-kun. Okaa-san in questo momento starà probabilmente cercando informazioni su Rin-san e su di te … ed anche su di me. Io … voglio essere preparato per quello che dirà, così io…” Kuroko abbassò lo sguardo, “Non reagirò di nuovo come ho fatto prima.”

Akashi lo fissò, poi scosse la testa. “È troppo pericoloso lasciarti andare da solo. Non importa che sia vicino e che tu voglia stare solo. Davvero pensi che ti possa lasciare andare dopo quello che ti ha fatto tua madre? È per la tua sicurezza, Tetsuya.”

Kuroko afferò la mano di Akashi. “Per favore, Akashi-kun,” chiese bisbigliando. “Ci metterò quattro minuti esatti. Forse anche meno. Ho il mio cellulare. Voglio solo qualche momento per riflettere da solo.”

Akashi combatté una battaglia interna contro quegli occhi che lo guardavano supplicanti. Perse. “Quattro minuti esatti. E sai che dico sul serio,” disse. “Se ci metterai di più penserò subito che ti sia successo qualcosa e chiamerò gli altri.”

Kuroko si inchinò felice. “Hai. Grazie, Akashi-kun.”

Akashi lo guardò incamminarsi velocemente lungo la stradina e poi svoltare, uscendo dal suo campo visivo. Chiuse gli occhi e si risedette sulla panchina verde. Il distributore di bevande è a circa due minuti da qui, se si cammina con calma. Se continua a questo passo, Kuroko ci arriverà in un minuto e venti o trenta secondi. Per selezionare e prendere due bevande, ci vogliono circa trenta secondi. Ci metterà lo stesso tempo per tornare, se mantiene la stessa andatura. In tutto impiegherà circa tre minuti e quarantacinque secondi. Kuroko Ibuki è uscita dalla porta laterale che da sul parcheggio. Se Tetsuya ha ragione, e lei è furba, si sarà diretta in biblioteca per fare delle ricerche. Sicuramente non si incontreranno …

 
Si passò una mano sulla faccia. Quando voleva, la sua mente sapeva complicare terribilmente anche le situazioni più semplici.
 
L’autista aprì la portiera dell’auto lussuosa, perché Ibuki vi potesse entrare. Liam si era già accomodato sul sedile anteriore, ed era concentrato sui documenti che aveva già nella sua valigetta. Ibuki sospirò e si aggiustò la gonna, pronta per entrare nell’auto.

Ma vide con la coda dell’occhio qualcosa che attirò la sua attenzione. Un ragazzo. Un ragazzo basso. Dall’aspetto familiare. Un ragazzo che conosceva e che aveva i capelli azzurri.  Un ragazzo che conosceva, che aveva i capelli azzurri e che era da solo.

Il viso di Ibuki si distorse in modo disgustoso. “Anzi, Liam,” disse sporgendo la testa nella macchina, “Vai avanti tu. Io resto qui.”

“Cosa vuoi fare?”

“Ho una faccenda da sbrigare.” Fece un cenno all’autista, che prese posto ed iniziò a guidare verso la biblioteca. Ibuki attese che la limousine svoltasse l’angolo, continuando a tenere d’occhio il ragazzo.

 
Poi iniziò a seguirlo.
 
Akashi lanciò uno sguardo al suo orologio d’oro. Tre minuti. Erano passati tre minuti. Ci sarebbero voluti altri quarantacinque secondi prima che fosse di ritorno. Magari solo trenta se camminava più spedito.

Si appoggiò allo schienale della panchina e girò la testa per tenere d’occhio il parcheggio. A quell’ora era quasi vuoto, erano rimaste poche auto, comprese quelle del loro gruppo. L’auto di Ibuki non c’era più, ma per qualche ragione questo non lo tranquillizzò. Ricontrollò l’orologio. Erano passati cinquanta secondi. Qualcosa non va. I suoi occhi attenti scorsero per un istante dei corti capelli azzurri. Il tempo scorse lentamente e Akashi non ebbe neanche bisogno di girarsi per ricontrollare lo strano colore di quei capelli setosi.

Scattò in piedi ricontrollando per l’ennesima volta l’orologio. Erano passati quarantacinque secondi dallo scadere dei quattro minuti. Kuroko non l’avrebbe mai fatto aspettare. Qualcosa non andava. C’è qualcosa di sbagliato, Akashi serrò i denti. Quei capelli – sono di Ibuki.

Ibuki.

Ibuki.

All’improvviso, l’Akashi Seijuro sempre con la testa sulle spalle e che incuteva timore iniziò a correre. Il vento gli scompigliò i capelli, e le sue gambe si mossero più velocemente di quanto avessero mai fatto, il che la diceva lunga, visti i severi allenamenti a cui si sottoponeva ogni giorno. In una mano teneva stretto il cellulare.

Tetsuya.


 
 


 

NdT: L’autrice, Virelei, specifica che il nome Ibakmi esiste davvero, anche se non sa in che lingua sia.  La K è muta, quindi si pronuncerebbe ‘Ibami’. Una sua amica si chiama così, e lei ne ha tratto ispirazione, perché le sembrava un nome strano e con un che di malvagio xD
Questa volta sono stata abbastanza veloce, vero? Non vi ho tenuti troppo sulle spine xD Anche se in realtà questo capitolo ci lascia ancora di più col fiato sospeso…
Come sempre, spero di aver fatto un lavoro decente e che questo capitolo vi piaccia!
Alla prossima, Nienor_11

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Kuroko si incamminò verso il distributore di bevande, dove avrebbe scelto qualcosa di caldo per sé e per Akashi. Sapeva che Akashi avrebbe contato ogni singolo secondo che lui avrebbe impiegato prima di tornare, quindi si assicurò di non rallentare il passo. Se da una parte era bello avere qualcuno che si preoccupava per lui, (ma ovviamente Akashi non l’avrebbe mai ammesso), dall’altra era anche soffocante. Ma sapeva che era per un valido motivo, dato che Ibuki era ancora considerata ‘innocente’ ed era a piede libero.

Il ragazzo si fermò davanti al distributore facendo un sospiro. Kuroko Ibuki, sua madre. Una madre che era capace di rigirare i fatti a suo vantaggio in pochi secondi. Quella era la prima volta che la vedeva perdere. Kuroko era colpito dall’abilità di Akashi e di sua madre, ma aveva dei dubbi. Stava filando tutto troppo liscio, vero?

Non devo pensare queste cose, si rimproverò Kuroko scuotendo la testa. Dovrei fidarmi di Akashi-kun.

Doveva superare le sue paure. Quando sua madre sarebbe stata allontanata da lui, si sarebbe allenato a non sussultare per ogni nuova mano che lo toccava, ed avrebbe dedicato più tempo al basket, dato che ora era sempre troppo occupato o troppo ferito per poter giocare. Per tutta la durata della sua vita sua madre l’aveva rallentato; quando lei non ci sarebbe più stata, chissà quante nuove possibilità gli si sarebbero presentate.

Akashi-kun non vorrebbe vedermi comprare qualcosa di poco salutare, pensò Kuroko. Prenderò del the caldo per tutti e due.

Prese le due lattine dal distributore, rischiando di lasciarle cadere perché erano troppo calde. Usando le maniche come guanti provvisori riuscì a tenerle goffamente in mano, e si incamminò velocemente per tornare indietro, dato che l’ex capitano lo stava aspettando. Il calore delle lattine attraversava le maniche e gli riscaldava le mani fredde.

Non permetterò che okaa-san abbia la meglio su di me, pensò. Lei se ne andrà. Akashi-kun

Qualcosa gli impedì di respirare. Il palmo di una mano ruvida e gelata premette con forza contro il suo naso e la sua bocca. Un braccio gli circondò la vita e lo strattonò violentemente, immobilizzando il suo corpo contro quello dell’aggressore. Era un corpo femminile, Kuroko lo capì dai seni che premevano contro la sua schiena. Dei capelli azzurri ma non suoi gli volarono in faccia.

 
“Non azzardarti a fare nessun rumore,” sibilò l’aggressore. “O giuro che ti ammazzo subito.”
 
Dannazione, Tetsuya, Akashi correva lungo le strade, ignorando gli sguardi maleducati che riceveva dalle persone che sorpassava nella sua fretta. Correva alla massina velocità da tre minuti, ma nel suo corpo in quel momento non c’era spazio per la fatica. Kuroko era il suo unico pensiero. Dove si troverà? Dove l’avrà portato Ibuki?

In un posto isolato, gli disse il suo istinto, ma a Tokyo c’erano tantissimi posti che avrebbero potuto essere adatti. Quindi questo non lo aiutava a restringere il campo delle ricerche. In un posto a cui non penserei nemmeno io… Un posto ovvio, scontato…

I suoi occhi attenti controllavano velocemente ogni angolo delle strade che attraversava di corsa. Era a questo che serviva il suo Occhio dell’Imperatore, oltre che a vincere. Svoltò, ignorando un grido indignato di una passante. Ci sono troppe persone… lei potrebbe facilmente nascondersi tra loro… dove, Tetsuya?

Dove giocavamo insieme.

Akashi-kun… ci possiamo andare?

Okaa-san non mi lascia più andare là.

A lei… quel posto non piace…

Akashi smise di correre. Si fermò nel bel mezzo del marciapiede; il suo respiro non era nemmeno affannato. Affilò lo sguardo.

 
Là.
 
“Okaa-san!” urlò Kuroko, prima che la sua guancia fosse colpita da un pugno. Si sbilanciò indietro, andando a finire contro un muro di mattoni. Scivolò debolmente verso il basso. “F-Fermati, per fav-“

Una mano scattò e lo strinse con forza intorno alla gola. Il ragazzo tentò subito di liberarsi da quella mano, perché aveva un disperato bisogno di ossigeno. Ma con i suoi sforzi riuscì solo a far sì che la mano stringesse ancora più forte. “Stai zitto,” gli sibilò sua madre. “Non voglio sentire nemmeno una parola da te. Hai osato dire a tutti di me, portarmi in tribunale,  crearmi problemi di fronte a più di cinquanta persone, e poi hai ancora la faccia tosta di dirmi di fermarmi? Ti meriti questo, dannato moccioso!” fece sbattere di nuovo la testa di Kuroko contro il muro di mattoni. Kuroko si sentiva stordito, sia per la mancanza di ossigeno che per il dolore che gli si diffondeva per il corpo.

Stava per svenire.

“Oh no, non credo proprio.” Ibuki lasciò andare il collo di suo figlio, spingendolo a terra. La sua faccia finì nel fango. “Non ti lascerò andare così facilmente. Devi provare dolore, sarà la tua punizione. Chi ti ha detto che puoi andare a dormire?” Gli sputò quasi addosso. “Dopo tutto quello che mi hai fatto, pensi di meritarti di non sentire dolore? Eh?” Ibuki lo colpì con un calcio alle costole, poi lo afferrò per il bavero e lo sollevò facilmente, dato il suo peso leggero. Kuroko la guardò negli occhi rimanendo inespressivo, anche se in lui stava crescendo il panico. Nella sua mente scorrevano tutte le mosse di aikido che Akashi gli aveva insegnato.

Ibuki tirò un pugno, mirando dritto al suo naso. Finalmente il suo istinto si risvegliò, e Kuroko inclinò leggermente la testa, così il pugno lo colpì solo di striscio a una guancia. Questo fece sbilanciare Ibuki, dato che si era aspettata di colpirlo con tutta la sua forza. Lo slancio la fece incespicare un po’, e Kuroko ne approfittò per afferrare debolmente la mano che lo teneva per il colletto e torcerla. Lei lo lasciò andare e cadde a terra, dato che lui si era spostato di lato.

“Tu… maledetto…  spreco di spazio,” ringhiò Ibuki mentre si rialzava barcollando. “Non sai quando è ora di arrenderti?” Gli tirò un calcio, ma Kuroko premette il palmo della mano contro la sua gamba e spinse. Ibuki perse l’equilibrio e cadde di nuovo. Si passò il dorso di una mano sulle labbra per ripulirsele, sogghignando. “Quel marmocchio degli Akashi ti ha insegnato delle nuove mosse, eh?” Ibuki si alzò tanto velocemente che Kuroko, stanco, quasi non la vide, e fu mandato a sbattere contro il muro. “Non sei l’unico a conoscere qualche trucchetto.” Colpì forte lo stomaco di Kuroko con una ginocchiata, ed il ragazzo tossì sangue e cadde a terra.

Alzati.

Kuroko non ci riusciva.

Combatti.

Non ci riusciva.

Difenditi.

Impossibile.

Ibuki osservò suo figlio, impazzita. Lentamente si chinò ed aprì la piccola borsetta che aveva fissato alla gonna. Nella sua mano apparve un coltello scintillante e terribile, talmente brillante che un raggio di luce si rifletteva negli occhi di Kuroko. “Togliti la camicia,” gli disse in tono minaccioso. Con passi ostili si avvicinò al ragazzo ancora a terra.

Kuroko sgranò gli occhi. Per una volta, la paura si mostrò evidente sul suo viso solitamente inespressivo. Ibuki fece un gran sorriso contento. “Togliti la camicia,” ripeté.

“Okaa-san,” bisbigliò lui.

 
“A quanto pare ti serve un’altra lezione di obbedienza.”
 
Deve aver preso una strada poco frequentata, rifletté Akashi. Non può aver trascinato un ragazzo che lottava per liberarsi in una strada affollata. Il suo sopracciglio ebbe un tic. Sempre che Tetsuya abbia lottato.

Akashi stava ancora correndo. La sua meta era lontana da raggiungere a piedi. Ma sapendo che chiamare un taxi a quell’ora l’avrebbe solo bloccato nel traffico, non aveva potuto far altro che correre. Nella mano destra teneva il cellulare, su cui stava digitando velocemente un numero con il pollice. Si portò il telefono all’orecchio, senza mai rallentare nemmeno per un secondo.

“Akashicchi?” gli rispose la voce confusa di Kise.

“Ryouta,” Akashi svoltò un angolo, scansando senza problemi un gruppo di quattro persone che passeggiava. In fondo alla strada poté vedere il posto che cercava. “Vieni con Daiki e Taiga al Jun Cafe. Immediatamente.”

“Cosa? Adesso? Perché?”

“Tetsuya sta male.”

Era tutto ciò che serviva perché Kise obbedisse agli ordini di Akashi senza porre altre domande. Akashi poté udire le voci di Aomine e Kagami all’altro capo della linea.
“Arriviamo subito, Akashicchi.”

“Fate in fretta o ne subirete le conseguenze.” Akashi riattaccò, iniziando subito a digitare velocemente un altro numero.

“Akashi.”

“Di’ ad Atsushi di venire subito al Jun Cafe. Tetsuya sta male.”

Midorima mantenne la calma. “Murasakibara, vai al Jun Cafe. Kuroko è ferito. Sai dov’è?”

Akashi sentì che anche l’altro ragazzo evitò di fare inutili domande. “Mm~ Sì, so dov’è. Incontrerò lì Aka-chin.”

“Sta andando. Cosa vuoi che faccia io, Akashi?” chiese Midorima con voce sempre calma.

“Chiama la polizia e un’ambulanza. Chiama anche mia Madre e mio Padre. Metteremo fine a questa cosa una volta per tutte.”

“Capito.” Midorima riagganciò.

Poi l’ex capitano chiamò Haru.

“Akashi-kun?”

“Tetsuya sta male. L’ha preso Ibuki.”

“…Cosa?”

Niente domande, Haru.” La voce di Akashi si fece più brusca. “Vada al Jun Cafe.”

Haru finì la chiamata senza neanche salutarlo.

 
Il bar era vicino. Akashi continuò a correre ignorando gli insulti dei passanti. Combatti, Tetsuya.
 
“Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo!“ urlò Aomine iniziando a correre. Kagami e Kise erano subito dietro di lui. Tra i passanti, una mamma coprì le orecchie di suo figlio e gettò un’occhiataccia ai tre ragazzi. “Ce ne andiamo per dieci minuti, e gli succede subito qualcosa!”

“È quella stronza,” intervenne Kagami con voce piena d’odio. “Non ha capito che è ora di finirla.”

Questa volta Kise rimase in silenzio, stringendo le labbra con forza. Kurokocchi

“Il Jun Cafe non è lontano da qui. Dovremmo riuscire ad arrivarci insieme ad Akashi,” disse in tono burbero Aomine.

 
Nessuno gli rispose, ma tutti accelerarono il passo.
 
“Kuro-chin, Aka-chin, Kuro-chin, Aka-chin,” mormorava Murasakibara. Non stava proprio correndo, ma non stava neanche camminando. Grazie alla sua altezza poteva avanzare con ampie falcate, quasi come se andasse di corsa; in questo modo riusciva a coprire molta più distanza degli altri membri della Generazione dei Miracoli. “Aka-chin ha paura… Non va bene…” Corrugò la fronte ed armeggiò con un pacchetto di patatine, continuando a ‘correre camminando’.
 
A prima vista si sarebbe detto che al ragazo non importava niente di quella situazione.

Ma un osservatore più attento avrebbe notato che anche lui aveva paura, proprio come Akashi.

 
“Grazie, Midorima-kun,” disse Hayato sbrigativamente prima di mettere fine alla comunicazione. Rin, che aveva sentito l’intero discorso, guardò seriamente suo marito. Il padre di Akashi venne subito al dunque: “In macchina o di corsa?”
 
“Di corsa.”
 
Akashi svoltò e fu quasi subito di fronte al bar. Ma non si fermò lì; girò a sinistra e superò dei fitti cespugli di erbacce, piante e fiori. Era qui che mesi fa aveva trovato Kuroko, ed era qui che aveva avuto inizio la battaglia con Ibuki.

Akashi sapeva che c’erano posti ancora più nascosti se si avanzava tra le erbacce, posti lontani da tutti, da cui nessuno avrebbe potuto sentire le urla. Non si preoccupò del fatto che gli altri avrebbero potuto avere difficoltà a trovarlo, perché credeva che almeno uno di loro avrebbe capito che Ibuki aveva portato Kuroko in un luogo nascosto.

“Ci sono quasi,” mormorò continuando ad avanzare.

“Ti ammazzo!” risuonò uno strillo, mentre lui si avvicinava.

È completamente impazzita, Akashi imprecò mentalmente riprendendo a correre lungo il sentiero irregolare. Devo arrivare in tempo

“Ti odio, brutto-“ gli insulti peggiori risuonarono con quella che sembrava la voce di Ibuki. “Hai avuto il coraggio di crearmi dei problemi; ti farò soffrire. Mi stai ascoltando? Stupido pezzo di merda, sei già svenuto…”

Tetsuya.”

La voce immobilizzò Ibuki. Stava tenendo Kuroko per il colletto ed il suo pugno era tirato indietro, pronto a colpire. Lungo il braccio che usava per tenere suo figlio colava del sangue. Voltò leggermente la testa, per accogliere Akashi con un gran sorriso.

Il rosso non riusciva a distogliere lo sguardo da Kuroko – ma era davvero Kuroko? Il suo Tetsuya? Il corpo aveva ricevuto troppe botte per poterne essere sicuri. I suoi capelli azzurri erano tutti sporchi e macchiati di fango, e la sua testa pendeva flosciamente dal collo. Anche se il suo viso era nascosto dall’ombra, Akashi riuscì a distinguervi dei lividi e dei tagli. La camicia elegante era stappata in vari pezzi, ed un grande taglio partiva dalla spalla destra del ragazzo, allungandosi fino all’altezza del suo stomaco. Se fosse molto profondo o no, Akashi non poteva saperlo, ma del sangue ne usciva rapidamente, spargendosi a terra. Una delle gambe di Kuroko era piegata innaturalmente.

“Akashi-kun,” disse Ibuki, con voce seducente. “Sei venuto a goderti lo spettacolo?” Fece come per riprendere da dove era stata interrotta e scagliare il pugno, ma la voce di Akashi la bloccò:

“Se osi,” la sua voce era di ghiaccio, dura ma allo stesso tempo delicata, “Se osi fare di nuovo del male a Tetsuya con quelle tue mani, te ne farò pentire.”

La donna ormai impazzita sollevò la testa e scoppiò a ridere. “Voi Akashi siete capaci solo a parlare. Non ti prenderò mai sul serio.” Fece scattare il pugno e colpì la guancia di Kuroko, che venne lanciato indietro.

Akashi scosse la testa. “Io ti avevo avvertita,” mormorò.

All’improvviso l’ex capitano sparì, e riapparve dietro Ibuki. La donna venne colpita da un calcio forte e brutale, che la mandò a sbattere contro il muro. Akashi ripiegò con movimenti eleganti la gamba usata per il colpo, riposandola graziosamente a terra. Inclinò la testa, ed i suoi occhi eterocromi brillavano mentre avanzava verso Ibuki.

Ibuki ringhiò saltando in piedi. Scattò verso l’ex capitano, tenendo il coltello pronto. Akashi la scansò, colpendola con il palmo di una mano e con un calcio preciso alla testa. Il coltello le sfuggì di mano, e cadde rotolando tra il fango fino a sparire tra le erbacce. Ibuki barcollò, sorpresa che un ragazzo stesse avendo la meglio su di lei, e non ebbe il tempo di reagire quando una voce disse al suo orecchio:

“Non ho tempo da perdere con quelli come te.”

Qualcosa la spinse forte contro il muro.  Il dolore fu insopportabile ed Ibuki si abbandonò all’oscurita, prima di poter anche solo pensare di difendersi.

Akashi osservò disgustato la donna svenuta; lui se l’era cavata senza nemmeno un graffio. Ma non restò lì a fissarla per molto, dato che aveva altre cose di cui occuparsi. Si avvicinò rigidamente a Kuroko, inginocchiandosi al suo fianco. Cercò subito di stabilire quali fossero le ferite più gravi.

Ferma l’emorragia.

Il problema maggiore era il taglio, probabilmente causato dal coltello: stava sanguinando tantissimo. Senza pensare, Akashi si tolse la giacca e la premette contro la ferita. Quando vide che non era abbastanza, si tolse anche la camicia, restando solo con una canottiera. Quindi legò entrambi gli indumenti al corpo di Kuroko, nel modo più stretto possibile. Cercò di fare attenzione alle altre ferite, ma doveva fermare il sangue.

“Svegliati, Tetsuya,” ordinò, ma non ricevette risposta. Akashi serrò i denti. Doveva sapere se il ragazzo fosse ancora vivo oppure no.

“Akashicchi!”

“Akashi!”

“Aka-chin!”

Quattro alte figure correvano verso Akashi, che rivolse loro solo un’occhiata veloce, prima di riportare la sua attenzione su Kuroko.

Akashi aveva i pantaloni macchiati di sangue, ma non se ne curava. “Siete in ritardo,” disse, senza guardarli.

“Cosa diamine – Kurokocchi!”urlò Kise, lasciandosi cadere sulle ginocchia non appena li ebbe raggiunti. Il suo colorito si stava facendo verdastro. “Oh.. Oh, io – Kurokocchi – sta… male – il sangue…”

“Non guardare, Ryouta.”

“Ci abbiamo messo un po’ a trovere questo posto,” disse Aomine col fiato corto, poi osservò bene il corpo del suo vecchio partner. Non appena l’ebbe visto, Aomine si esibì in una serie di forti imprecazioni, degne del migliore dei marinai. Kagami si unì a lui, dopo che anche lui ebbe visto Kuroko.

Murasakibara guardava arrabbiato il corpo apparentemente senza vita. “Dov’è la madre di Kuro-chin?”

“Da qualche parte lì dietro. Svenuta.” Akashi strappò un pezzo della camicia già a brandelli di Kuroko, e lo legò intorno al braccio sanguinante del ragazzo. “Dov’è Shintarou? È arrivata la polizia?”

“Midorima è davanti al bar. Sta portando qui i dottori dell’ambulanza.”

“Avresti dovuto ucciderla, Aka-chin.”

Akashi ignorò l’ultimo commento e si girò per guardare oltre i cespugli di erbacce. Proprio in quel momento apparvero diverse figure dirette verso Kuroko. Akashi li aspettò legando in altro pezzo di stoffa intorno alla testa del ragazzo. Il taglio non aveva ancora smesso di sanguinare, e le bende provvisorie si stavano inzuppando velocemente.

Kise non riuscì proprio a ricordare quello che accadde dopo. Era tutto confuso, e se qualcuno avesse chiesto ad Akashi quel che era successo, probabilmente avrebbe risposto anche lui che non se lo ricordava, nonostante la sua proverbiale memoria.

Kise ricordava che dei dottori erano arrivati il più velocemente possibile. Si ricordava che avevano guardato Kuroko ed erano impalliditi. Ricordava che un dottore aveva urlato di sistemare qualcuno su una barella, e che un altro aveva messo una maschera sul volto ferito del suo Kurokocchi. Ricordava che qualcuno l’aveva scosso ordinandogli di tirarsi su, ma non sapeva chi fosse stato. Poco dopo erano arrivati anche molti poliziotti, prendendo da parte Akashi per interrogarlo, e Kise ricordava che era dovuto intervenire anche Midorima, dato che il rosso si rifiutava di dare risposte lunghe ed esaustive.

Kise ricordava che i dottori avevano sistemato anche Ibuki su una barella, e che Murasakibara aveva fatto una scenata, dicendo che avrebbero dovuto lasciarla morire. Ricordava che poche parole di Akashi erano bastate a far calmare Murasakibara. Poi era arrivato qualcun altro. Un uomo – un uomo che somigliava molto a Kurokocchi. Ricordava che quell’uomo aveva urlato ai dottori, chiedendo come stava suo figlio, implorando Akashi di spiegargli quel che era successo, piangendo perché suo figlio era sul punto di morire.

A quel punto, Kise si rese davvero conto della situazione. Kurokocchi stava per morire. Avrebbe potuto morire. Stava morendo. Qulcuno aveva iniziato a scuoterlo ancora di più, e ricordava di essere stato stretto tra braccia forti e calde. Quell’abbraccio l’aveva confuso, e non capiva chi lo stava abbracciando, ma quello, chiunque fosse, lo strinse a sé ancora più forte.

Solo allora Kise si accorse che anche lui stava piangendo.
 



 
 
NdT: … Dopo un finale di capitolo del genere non so che dire…
Quindi questa volta, per vostra grande gioia, mi limito a ringraziare tutti i lettori, vecchi e nuovi!
Al prossimo capitolo, Nienor_11

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23


La prima cosa che Kuroko sentì al suo risveglio fu – nulla? Il suo corpo era completamente insensibile.  Le sue emozioni, invece, erano un discorso a parte. Confusione, paura, tradimento, stupore: non riusciva a distinguerle. Era strano passare da un’emozione all’altra senza che il suo corpo sentisse nessun dolore. Non avrebbe dovuto sentire qualcosa? Anche i contatti fisici erano stati solo una creazione della sua mente? Si era immaginato quella sofferenza per tutto quel tempo?

Dove – si trovava? Perché non riusciva ad aprire gli occhi? Ora che ci faceva attenzione, c’era un beep… beep… beep… di sottofondo che continuava ad infastidire le sue orecchie sensibili. Che cos’era?

“Il suo battito cardiaco sta tornando a livelli normali, ed anche il respiro si sta regolarizzando. Hm?”

Un leggero mormorio. Profondo, professionale – cosa?

L’eco di passi pesanti. Ma scomparve dopo pochi secondi. Il suono di una porta che si apriva piano.

Kuroko aprì lentamente gli occhi. La prima cosa che vide fu una tenue luce bianca. Strizzò gli occhi perché la luce, anche se soffusa, gli dava fastidio. Girò lentamente, molto lentamente la testa di lato ed osservò il luogo in cui si trovava. Una piccola finestra, una sedia su cui si sarebbe potuto sedere solo un bambino, poster sulla salute appesi a muri beige, ed un vaso di fiori con un’etichetta con il suo nome: Tetsuya Kuroko.

Girò la testa verso l’altro lato e trovò il monitor che causava i beep incessanti. Vicino a lui c’era un computer, ed una cartellina era posata su un tavolino.  Kuroko si osservò il braccio sinistro e, vedendo una flebo, richiuse gli occhi. Gli aghi proprio non gli piacevano. Non era perché facevano male – Kuroko poteva sopportarlo – ma per il semplice pensiero che un ago fosse inserito nella sua pelle. Una flebo era ancora peggio, perché faceva entrare dei liquidi direttamente nelle sue vene.

Sono in ospedale?

Il ragazzo riaprì gli occhi e sollevò la testa. Un paio di occhi castano-dorati incontrarono i suoi. Kuroko proprio non l’aveva notato.

Kise era seduto lì, pallido e shockato, con le labbra screpolate leggermente dischiuse, perché non sapeva cos’altro fare. I suoi capelli biondi erano completamente scarmigliati, dato che si era rigirato più volte sulla poltrona, cercando di dormire. I suoi occhi erano contornati da delle occhiaie scure, che stonavano con il suo viso da modello. Si era svegliato dal suo sonno agitato per i leggeri movimenti che aveva sentito venire dal letto. A quanto pareva aveva fatto bene a svegliarsi, dato che ora sarebbe stato il primo a salutare Kuroko.

“K-Kurokocchi?” chiamò con voce stridula, schiarendosi poi la gola secca.

Kuroko sbatté le palpebre. “Kise…-kun?”

“Kurokocchi!”Questa volta Kise quasi gridò, scattando dalla poltrona. A quel suono Kuroko fece una smorfia. Aomine, che Kuroko aveva appena notato, sentendo quel nome aprì di scatto gli occhi e si guardò intorno stupito. Poi il suo sguardo incontrò quello di Kuroko, e le sue sopracciglia blu scure si inarcarono sorprese.

Solo allora Kuroko si accorse che c’erano quasi tutti. La Generazione dei Miracoli, Kagami e suo padre. Erano tutti sistemati nella stanza; due sul mini divano, uno per terra, uno seduto contro il muro, uno su una poltrona, e due su delle sedie dall’aspetto comodo.

Kise si affrettò a raggiungere il letto di Kuroko, chinandosi verso di lui. “Stai bene, Kurokocchi? No, è una domanda stupida, ovvio che non stai bene! Beh, senti dolore da qualche parte? Haru-san ha chiesto ai dottori di darti mooolti antidolorifici, ma non so se hanno funzionato. Ti senti intorpidito? Credo che dovresti sentirti così. Se vuoi posso…”

Aomine colpì Kise piano sulla nuca. “Lascialo respirare. Si è appena svegliato. Oi, Tetsu, stai male o ti serve qualcosa?”

Tutti quei commenti stordirono Kuroko. Allora è per questo che non sento nulla.

“Io – sto bene,” provò a dire Kuroko, chiedendosi come mai la sua gola fosse così secca. “Perché sono qui?”

I due inclinarono contemporaneamente la testa. “Vuoi dire che non te lo ricordi?” chiese Aomine.

“Cos – sai chi sono, vero, Kurokocchi? Come mi chiamo?”

Da qualche parte nella stanza qualcuno si lamentò. Tre teste si voltarono verso l’intruso. Era Murasakibara, che era steso su un divano decisamente troppo piccolo per lui. Si stava sfregando gli occhi con aria assonnata. “Ehh, cosa succede, Kise-chin? Mine-chin?” Si sfregò gli occhi ancora una volta – anche lui aveva le occhiaie – prima di aprirli e guardare verso di loro. Quando vide che Kuroko era sveglio, la sua espressione si illuminò. “Kuro-chin?”

“Murasakibara, torna a dormire. Ieri hai avuto solo un’ora di sonno,” borbottò Midorima, sospirando perché era stato disturbato dal suo sonno già scomodo di suo. Uno volta sveglio non c’era niente da fare, sarebbe rimasto sveglio.

“Ma Mido-chin,” iniziò a lamentarsi Murasakibara.

“Oggi tocca a te mangiare lo sgradevole cibo dell’ospedale, quindi riposati,” lo interruppe Midorima, passandosi una mano sulla faccia e toccando a tentoni il tavolo al suo fianco per trovare gli occhiali. Se li infilò, la sua vista su Kuroko si fece nitida e lui si bloccò. “…Kuroko?”

“State tutti zitti,”scattò Kagami mettendosi seduto sul divano. “Sul serio, non ho dormito abbastanza…”

“Kurokocchi è sveglio!”

Cosa?” Si girò verso il ragazzo silenzioso. “È sveglio? Perché non mi avete chiamato prima?”

Poi fu Haru a svegliarsi per la confusione. Si premette i palmi delle mani contro la faccia e sospirò. “Ragazzi, per favore, fate silenzio. Capisco che non state comodi, ma…”

“Ma Kuro-chin è sveglio~”

“Sì, sì, Murasakibara-kun, ma… Cosa hai detto?”

“Suo figlio si è svegliato, Haru-san.”

Haru lasciò cadere le mani dalla sua faccia e si girò verso il letto. Incrociò lo sguardo di suo figlio. “Tetsuya,” bisbigliò. Gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime. “Tetsuya!”

Kuroko si ritrovò improvvisamente tra le braccia di suo padre. Era un abbraccio gentile, attento alle sue ferite e alla flebo attaccata al suo braccio. “Grazie al cielo,” pianse piano Haru, appoggiando il viso contro la spalla di suo figlio. “Ero così preoccupato – Oddio, grazie.”

“Otou-san,” disse debolmente Kuroko, dando dei colpetti alla schiena di suo padre con la mano destra, quella senza aghi. “Mi dispiace averti fatto preoccupare.”

Suo padre si staccò dall’abbraccio. “Senti dolore da qualche parte? Ho chiesto ai dottori di fare in modo che non sentissi niente, in caso ti fossi svegliato.” Poi si rese conto della situazione. “Ah! Dobbiamo informare il dottore!”

“L’ho già fatto,” disse Midorima dopo aver premuto il pulsante del campanello. A quel punto Kagami, Murasakibara, Aomine, Kise e Midorima erano tutti in piedi alla destra del letto di Kuroko, solo Haru era alla sua sinistra. “Il dottore non ha specificato se puoi mangiare o bere qualcosa, quindi credo che sia meglio se per ora aspetti.”

“Ma volevo passare a Kuro-chin qualcuno dei miei snack!”

“Più tardi, Murasakibara.”

“Ci hai davvero fatti preoccupare, Tetsu,” borbottò Aomine. “E dormire su quelle sedie è stata una gran seccatura.”

Kagami aggiunse, “Per lo meno ora stai bene. Ho detto al Seirin delle tue condizioni. Non ero sicuro se dire o no ai ragazzi il motivo per cui eri in ospedale, quindi gli ho mentito. Ti hanno mandato i fiori.”

Kuroko guardò suo padre con la fronte leggermente aggrottata. Haru eliminò il solco tra le sue sopracciglia, dandogli un bacio sulla fronte pallida. “Cosa c’è?”

“Queli sono le…” Kuroko esitò. “Le mie condizioni? Perché sono qui?”

Midorima si accigliò e gli toccò piano la testa. Kuroko sussultò. “I dottori non hanno parlato di una commozione cerebale né di una perdita di memoria.”

“Non ti ricordi, Kurokocchi? I-Ibuki…”

Sentire quel nome risvegliò la sua mamoria. Oh, eccome se ricordava. La sua mente fu riempita da immagini e urla; ne pullulava. A Kuroko sembrò quasi di sentire il dolore straziante che proveniva da quei ricordi. Gli insulti, le botte, gli attacchi, le minacce: Kuroko portò le dita al collo, dove le mani di sua madre l’avevano stretto più volte. I suoi ricordi arrivavano solo fino al punto in cui sua madre aveva preso il coltello. Dopo c’era solo il vuoto.

“Capisco,” bisbigliò. “Ma… io sono vivo.”

“Certo che sei vivo,” disse Haru con voce fervente. Portò le mani sulle guance di Kuroko. “Avevi rinunciato a combattere Ibuki, perché pensavi che saresti morto? È andata così, Tetsuya? Ti sei arreso per morire? Ti prego – dimmi che non è così.”

Kuroko non rispose. Riuscì ad evitare di rispondere quando bussarono un paio di volte alla porta ed un dottore entrò. “Vedo che ti sei svegliato,” lo salutò. “Sono il Dottore Hideyoshi, e mi sono occupato di te in questi tre giorni.”

Tre giorni?

Il dottore si sporse in avanti per poggiargli due dita sul polso fasciato. “Il monitor dice che il tuo battito è regolare, ma voglio controllare per esserne sicuro.” Mise l’altra mano sulla fronte di Kuroko. “La temperatura è a posto ed anche il livello di ossigeno è regolare. Senti dolore da qualche parte?”

“No,” rispose piano.

“Bene. Visti tutti gli antidolorifici che ti ho somministrato, spero che tu non senta nulla. Hai fame?”

A dire il vero Kuroko non ne aveva, e lo disse.

Ma tutti protestarono. “Devi mangiare, Kurokocchi!”

Il dottore sorrise. “Hai dei buoni amici. Più tardi ti farò portare un po’ di pane, va bene?” Kuroko annuì, reclutante. “Devo misurare la tua pressione sanguigna e poi controllare le bende, per vedere se devono essere cambiate. Tra un’ora verrà un altro dottore per fare qualche test ed assicurarsi che tu non soffra di perdita di memoria o altri problemi simili.”

Mentre il dottore gli sistemava la macchinetta per misurare la pressione sl braccio, Kuroko gli chiese a bassa voce, “Come sono le mie condizioni?”

“Ah, non te l’hanno detto?”

“Ho pensato che lei avrebbe potuto spiegarsi meglio, dottore,” disse Haru serrando poi le labbra.

“Hm, bene, te lo dirò con franchezza,” il dottor Hideyoshi si voltò verso il monitor, mentre il bracciale per la pressione entrava in azione stringendo dolorosamente il braccio di Kuroko. “Saresti potuto morire.” L’atmosfera nella stanza si fece tesa. “Sia le tue ferite che le prove trovate dai poliziotti che hanno ispezionato la zona mostrano che hai opposto resistenza, che hai lottato contro l’aggressore. Se non lo avessi fatto…” Il dottore strinse le labbra. “Il primo giorno le tue ferite erano molto più serie. Sei entrato in coma circa un’ora e mezza dopo essere stato ricoverato qui in ospedale. Avevi molte sbucciature secondarie, facili da curare, ma c’erano anche due tagli profondi che ci hanno fatto preoccupare.”

Il dottore si sporse per toccare con leggerezza la spalla destra di Kuroko. “Da qui,” poi spostò la mano al suo addome, “A qui, c’era una profonda ferita inflitta da una lama. E da qui,” le sue dita si spostarono sulla clavicola sinistra, scendendo poi sul petto, “A qui, c’era un’altra profonda ferita da lama. Ti ha quasi perforato un polmone, e sei stato fortunato che non abbia causato danni al cuore. Nessun organo vitale è stato danneggiato; siamo riusciti a ricucire entrambe le ferite.”

Il dottore sospirò, infilandosi dei guanti. “Per quel che riguarda le ossa, le tue braccia ed i tuoi polsi stanno bene, non hanno né fratture né distorsioni. Ma abbiamo visto che tre delle tue costole sono rotte, così come la tua gamba. Quando verrai dimesso dovrai usare le stampelle per un po’. Non ci sono stati né commozioni cerebrali né danni al cervello. Ma le ferite causate dalla lama ti lasceranno delle cicatrici.”

Kuroko chiuse gli occhi. Il suo corpo avrebbe avuto un altro segno per ricordargli quello che sua madre gli aveva fatto.

“Sul tuo corpo sono già apparsi molti lividi, ed abbiamo cercato di applicare del ghiaccio per ridurli almeno in parte. La tua testa ha subito danni per i ripetuti colpi contro il muro, secondo la ricostruzione della polizia. Non ha avuto bisogno di punti di sutura, ma sei stato fortunato a non subire un trauma cranico.” Il dottore gli aprì la vestaglia da ospedale che indossava per dare un’occhiata allo stato delle bende. “Senbra che le bende siano a posto. Tra qualche ora manderò qualcuno a controllare e vedere se bisogna cambiarle.”

Richiuse la vestaglia di Kuroko, ricoprendolo con il lenzuolo. Poi Hideyoshi si sporse verso il ragazzo e sorrise. “Hai altre domande riguardo alle tue condizioni?”

“Come,” Kuroko fece una pausa, ma poi continuò. “Come sono arrivato qui? O-Okaa-san… cosa…”

“Credo sia meglio che siano i tuoi amici o tuo padre a spiegarti questo.” Il dottore ricontrollò ancora una volta la pressione del sangue, poi tolse la macchinetta dal braccio del suo paziente e si sfilò i guanti. “Per ora sembra che tutto sia a posto. Se avessi bisogno di qualcosa, devi solo premere il campanello. Tra un’ora verrà qualcuno per farti dei test, poi ti farò portare qualcosa di leggero da mangiare.” Hideyoshi uscì, chiudendo la porta senza far rumore.

Nella stanza calò il silenzio.  Kuroko si guardava le mani. Era stato in coma… per tre giorni. Non riusciva ad accettare che quella fosse la realtà.

“Kuro-chin,” lo chiamò Murasakibara.

“Come sono arrivato qui?” chiese piano Kuroko.

Aomine incrociò le braccia. “Akashi. Non so come, ma ha capito che Ibuki ti aveva portato via. Lui ci ha chiamati tutti. Quando siamo arrivati ti abbiamo trovato svenuto tra le sue braccia.”

Akashi-kun. Gli occhi inespressivi di Kuroko si sgranarono. Come aveva fatto a dimenticare? Come aveva potuto dimenticare proprio la persona che avrebbe dovuto ringraziare e a cui doveva rivolgere le sue scuse più che ad ogni altro? Il suo ex capitano era lì? Cercò di guardare oltre i ragazzi della Generazione dei Miracoli, per vedere se il rosso fosse lì, ma non riuscì a capirlo.

“Akashi-kun…”

“Sono qui.”

Tutte e sei le teste si voltarono verso Akashi. Era lui quello che stava seduto per terra, con la schiena appoggiata al muro, comodamente nascosto in un angolo. I suoi occhi eterocromi osservavano freddamente i suoi ex compagni di squadra. Lui, a differenza degli altri, non aveva occhiaie sotto gli occhi, ma questo non voleva dire che aveva dormito più di loro. Anzi, se qualcuno lo avesse chiesto agli altri ragazzi, loro avrebbero risposto che Akashi aveva dormito meno di tutti loro messi insieme.

A dire il vero, Akashi era stato il primo a svegliarsi. Aveva sempre avuto il sonno leggero, quindi il rumore di qualcosa che si muoveva sul letto lo aveva svegliato. Kise si era svegliato pochi istanti dopo, seguito da tutti gli altri. Aveva deciso di lasciarli fare per il momento, mentre lui aspettava sul pavimento, con un braccio posato su un ginocchio portato al petto. Non aveva fatto nessun rumore fino a pochi secondi prima, e intanto tutti gli altri erano accorsi intorno a Kuroko.

“Akashi-kun,” chiamò di nuovo Kuroko, cercando di mettersi seduto, ma non riuscendoci per il dolore.

“Resta sdraiato,” gli ordinò bruscamente Akashi. Kuroko obbedì. L’ex capitano si alzò con movimenti armoniosi e guardò duramente tutte le persone che circondavano Kuroko. “Vorrei che usciste tutti per qualche momento.”

Si alzò un coro di proteste.

“Ma Akashicchi!”

“Aka-chin,” disse Murasakibara aggrottando la fronte.

“Ma Tetsu si è appena svegliato!”

Tutti quanti”, ripeté Akashi. “Vorrei che usciste per qualche momento.”

Non si sprecarono a protestare una seconda volta. Persino Haru diede un altro bacio alla fronte di Kuroko, annuì discretamente ad Akashi ed uscì. Murasakibara fece il broncio, ma la sua espressione si fece felice quando Akashi gli lanciò un pacchetto di patatine al peperoncino e al limone.

Kagami fu l’ultimo ad uscire. Si assicurò di sbattere la porta un po’ più forte del dovuto.

Akashi scosse leggermente la testa e si avvicinò a Kuroko. Non badò alle bende ed agli aghi, si limitò a chinarsi per prendere la testa del ragazzo tra le mani. Portò il suo viso vicino a quello di Kuroko.

“Senti dolore?” chiese Akashi. “Non mentirmi.”

“Il mio corpo non sente niente, Akashi-kun.” Kuroko non protestò nemmeno per le mani fredde di Akashi. Si appoggiò ad una di esse e sospirò. “Akashi-kun, io…”

“Se quello che stai per fare è scusarti, allora resta in silenzio.” L’ex capitano fece scivalore la mano a cui Kuroko non si stava appoggiando verso la ferita alla clavicola, percorrendone il contorno. “Non hai motivo di chiedere scusa.”

Kuroko cercò di non ribattere, tanto Akashi non avrebbe cambiato idea, qualsiasi cosa lui avesse potuto dire. “Allora, graz-“

Un dito sottile premette contro le sue labbra screpolate. “Vale lo stesso per i ringraziamenti.”

Kuroko afferrò la mano che gli tracciava la ferita ed aggrottò la fronte. Akashi inarcò un sopracciglio, sfidandolo a disobbedirgli. Ma quando Kuroko non parlò, si decise a farlo Akashi. “Se c’è qualcuno che deve scusarsi, quello sono io.”

Kuroko protestò. “Tu sei quello che dovrebbe scusarsi meno di tutti, Akashi-kun. È stata colpa mia…” Akashi lo guardò male e la sua voce venne meno.

“Eri sotto la mia protezione quando sei stato ferito,” disse secco Akashi. “Gravemente. E proprio da Ibuki. Non avrei mai dovuto lasciarti andare da solo quel giorno.”

“Okaa-san è imprevedibile,” lo difese Kuroko. “Non potevi sapere se mi avrebbe attaccato o no. Erano solo quattro minuti.”

Akashi sentì che gli stava stringendo forte la mano, e lo guardò con sguardo interrogativo. “Sono Akashi Seijuro. Dovrei conoscere le mosse del mio avversario, specialmente se si tratta di tua madre.” Il suo tono diceva a Kuroko di non ribattere.

Kuroko sospirò mentalmente e girò la testa, ma vide la flebo e fece una smorfia, rigirandosi subito. Akashi aveva ancora una mano contro la sua guancia, l’altra era stretta tra le sue. “Cosa succederà a okaa-san?”

“La polizia è arrivata sul posto insieme ai medici,” rispose Akashi. “I piccoli danni che le ho causato sono guariti in un giorno, ed il giorno dopo è stata subito processata per tentato omicidio. È stata giudicata colpevole.”

Kuroko restò senza fiato. Sua madre? Colpevole? Era possible? Cosa era successo al suo avvocato? “Quindi vuol dire…?”

“La sua sentenza non è stata resa pubblica, dato che lei aveva chiesto un’udienza privata. Mia madre è stata il Pubblico Ministero, e mio padre il suo avvocato. Io sono stato solo un testimone.” Akashi liberò momentaneamente le sue mani per prendere una sedia e sistemarla vicino al letto. Si sedette e porse di nuovo le mani a Kuroko perché le stringesse. “So che passerà molto tempo in prigione. Dato che ha attaccato te, l’accusa di abusi è stata dimostrata e lei è stata giudicata colpevole anche per quella. Il suo avvocato non ha potuto fare altro che farle ammettere la propria colpa nel processo per tentato omicidio.”

Kuroko rimase sdraiato immobile - ancora più immobile di quanto fosse prima, dato che gli aghi gli impedivano già i movimenti – e tentò di processare lentamente quelle informazioni. Sua madre aveva perso. Sua madre, la donna più potente ed influente del Giappone, aveva perso. Era un sogno?

“È finita?” bisbigliò Kuroko.

“Sì, è finita.”

“È… finita.”

“Sì.”

“È finita.”

Akashi si avvicinò al viso di Kuroko, passandogli una mano tra i capelli azzurri. Posò le sue labbra contro quelle dell’altro, ancora shockato. “Sì, Tetsuya, è finita.”

Occhi blu fissavano occhi rossi e gialli. Gli occhi blu si riempirono di lacrime, ed i pollici di Akashi le asciugarono prima ancora che si versassero. “È finita, Tetsuya,” mormorò nell’orecchio del compagno. “Tuo padre ha già chiesto il divorzio, e mia madre lo farà approvare presto. Tuo padre sta già cercando una nuova casa in cui trasferirsi.” Akashi lo baciò di nuovo dolcemente sulle labbra. “Ricomincerai da capo.”

 Kuroko poté solo rispondere con un altro bacio.

Qualcuno che bussava alla porta li interruppe. Kise sporse nervoso la testa nella stanza. “Ehm, Akashicchi? Possiamo – Possiamo entrare ora?” Fece un verso stidulo e si scansò, aspettandosi che un paio di forbici sbucassero dal nulla per colpirlo sulla sua bellissima fronte. Ma sorprendentemente non gli venne lanciato contro niente.

Gli occhi di Akashi erano divertiti per la reazione di Kise. “Sì, potete entrare.”

“Ehm, ma Murasakibaracchi ha appena portato Himuro-san. Vuole che entri anche lui.”

“Il fratello adottivo di Taiga e anche mia madre? Sarà affollato.”

“Il dottore ha detto che ora le condizioni di Kurokocchi sono stabili, quindi può ricevere fino ad undici visitatori per volta, visto che la capacità totale è di tredici visitatori.”

L’ex capitano si passò una mano sulla fronte. “Falli entrare.”

All’improvviso la porta si spalancò e molti ragazzi alti si scagliarono nella stanza. Il primo ad entrare fu Kagami, seguito da Midorima, Aomine, Kise, Haru, Rin e per ultimo Murasakibara, che si trascinava dietro un ragazzo che Kuroko aveva incontrato solo due volte: Himuro Tatsuya, il fratello adottivo di Kagami.

“Himuro-san,” lo salutò debolemente Kuroko. Fu il massimo che riuscì a dire.

“Ciao,” gli sorrise cortese Tatsuya, che ricordava di averlo incontrato solo una volta, invece che due.

“Si è svegliato e nessuno me lo ha detto?” chiese Rin, mentre avanzava verso Kuroko. “Dimmi, Tetsuya-kun, come ti senti? Mio figlio ti ha fatto qualcosa? A volte è un moccioso viziato, lo so.”

“Mi pare di ricordare che mi hai difeso diverse volte, dicendo che non sono un moccioso dato che mi hai cresciuto tu, Madre,” ribatté Akashi.

“Non ricordo di aver detto nulla del genere.”

Kuroko sbatté le palpebre. “Sto bene, grazie Rin-san.”

“Muro-chin,” disse Mirasakibara ‘bisbigliando’. Lo sentirono tutti. “Ho finito gli snack.” Aveva già finito le patatine dategli da Akashi.

“Ti ho già detto che non spenderò i miei soldi per comprarti degli snack.”

“Ma Muro-chin… li ho finiti.”

Tatsuya lo ignorò con fare ostinato.

“Muro-chin… Muro-chin… Muro-chiiiin, sono finiti gli snack… Muro-chin!”

“E va bene!” Tatsuya prese da una tasca novantatré yen. Poi afferrò la mano enorme di Murasakibara e gli posò le monete sul palmo. “C’è una macchinetta lungo il corridoio. Puoi prenderne solo uno.”

Gli occhi di Murasakibara brillarono. “Hai ~,” ed uscì dalla stanza saltellando.

“Atsushi.”

Il ragazzo dai capelli viola si fermò, girandosi verso l’ex capitano. “Aka-chin?”

“Cosa si dice?”

Murasakibara aggrottò le sopracciglia con espressione infantile. “Oh, grazie, Muro-chin~!” Poi andò via.

Aomine scosse la testa. Midorima si sistemò gli occhiali, abituato alle stranezze del più alto. Kagami inarcò le sue strane sopracciglia, sorpreso nel vedere che qualcuno riusciva a portare al limite la pazienza del suo amico d’infanzia e fratello. Ma poi la sua attenzione si concentrò sulle mani intrecciate di Kuroko e di Akashi.
“Seriamente, che tipo di relazione avete voi due? Alla fine non hai ancora risposto alla domanda di Kise.”

“Eh?” Kise alzò la testa al suo nome. “Oh! Già, Akashicchi! Kurokocchi! Non mi avete risposto!”Si avvicinò allegro a Kuroko. “State insieme?”

“Ryouta,” lo ammonì Akashi.

“È una domanda innocua,” si difese Kise. Aomine si disse d’accordo

Rin sbuffò. “Non è ovvio? Certo che stanno insieme. È da settimane che stanno insieme.”

“Eehh?” fecero tutti, eccetto Haru e Midorima.    
       
Le orecchie di Kuroko si tinsero di rosa. Haru lo guardò meravigliato, perché non lo aveva mai visto arrossire così. Rise accarezzando la testa di suo figlio, dandogli poi un bacio su una guancia. “L’importante è che tu sia felice,” gli bisbigliò in un orecchio.

Kagami abbassò lo sguardo. “Cavolo, ho perso la mia chance,” borbottò. “Sono arrivato troppo tardi.”

Questa volta un paio di forbici comparvero effettivamente, e graffiarono una guancia di Kagami, prima di infilzarsi con precisione sulla fronte di un uomo disegnato su un poster appeso alla parete. Kagami si immobilizzò.

“Troppo tardi per cosa, Taiga?” mormorò Akashi. “Non stavi sicuramente pensando di portare via Tetsuya, vero?”

“N-no,” rispose lui balbettando.

“Proprio come pensavo,” disse Akashi, tornando a guardare Kuroko.

Aomine diede una pacca alla schiena di Kagami.

 
Kuroko restò in silenzio, sforzandosi di smettere di arrossire. Akashi sorrise compiaciuto.
 
*Time skip*
 
“Attento,” disse Akashi. Tenne aperta la portiera della macchina ed afferrò la pallida mano tesa verso di lui. Dall’entrata spuntavano delle stampelle. Nella macchina si intravedeva una scarpa da basket indossata da qualcuno. Akashi si chinò, passando un braccio intorno alle spalle di Kuroko per aiutarlo ad uscire. Kuroko, la cui gamba ingessata era coperta da un grande stivale, saltellò fuori sulla gamba buona, appoggiandosi al corpo del compagno per aiuarsi. L’aria fresca contro la sua pelle era piacevole. Akashi premette il viso sui capelli di Kuroko, inspirando di nascosto il suo profumo. Ma Kuroko se ne accorse ed arrossì. “Akashi-kun,” protestò piano.

“Hm.” Akashi prese le stampelle dall’auto e, invece di passarle a Kuroko, le gettò ad Aomine, che aspettava lì vicino e che dovette scattare per prenderle.

“Mi servono, Akashi-kun.”

“Hai tre costole rotte. Sicuramente sono già in parte guarite mentre eri all’ospedale, ma sei ancora fragile. Ed i punti di sutura portebbero riaprirsi. Non essere incauto.” Poi Akashi fece qualcosa che per Kuroko era impensabile. Si piegò e lo prese in braccio. Kuroko cercò subito di liberarsi.

“Mettimi giù, Akashi-kun. Questo non è necessario.”

“Tetsuya.” Kuroko smise di dimenarsi. “Voglio che tu faccia una cosa.”

Kuroko guardò Akashi con uno sguardo interrogativo. L’ex capitano non chiedeva spesso agli altri di fare qualcosa; ma forse questa non era una richiesta.
“Che cosa, Akashi-kun?”

“Ripeti quello che dico.”

“Ripetere…?”Kuroko annuì lentamente. “Posso farlo.”

“Sei,” iniziò Akashi.

“Sei…”

“Giù.”

“Giù…”

“Rho.”

Kuroko sbatté le palpebre. “Rho…”

Akashi fece un sorrisetto. “Ora ripetilo tutto di seguito.”

“Seijuro,” obbedì Kuroko. Poi si bloccò. Ed arrossì. E nascose il volto contro la spalla di Akashi. “Non è giusto, Akashi-kun.”

Il rosso scosse la testa. “Seijuro,” lo corresse. “D’ora in poi mi chiamerai per nome.” Chiuse la portiera e si incamminò verso l’entrata. L’autista ripartì. Aomine, Midorima e Murasakibara li stavano aspettando davanti alla porta.

“È impossibile.”

“Ci lavoreremo.”

Midorima non fece commenti per come Akashi stava portando Kuroko. Annuì leggermente verso di lui, per dirgli che tutto era pronto.

Anche Aomine annuì. Murasakibara si limitò a sgranocchiare felicemente un cracker, salutando Kuroko con una mano. Akashi li vide annuire, ma non diede segno di averlo notato. Avanzò fino ai gradini del portico e si diresse alla grande porta di legno.

Proprio mentre raggiungeva la porta, questa si aprì, ed un Kuroko Haru rasato e profumato apparve sulla soglia. I suoi occhi marroni brillavano di felicità. Osservò suo figlio e sorrise.

“Bentornato, Tetsuya.”

Kuroko alzò lo sguardo sulla sua nuova casa, poi si girò verso il padre, sorridendo.

“Sono a casa, otou-san.”




 
NdT: Salve! Prima di tutto: scusate se vi ho lasciato per tutto questo tempo col fiato sospeso!
Che ve ne pare? Vi stavate chiedendo anche voi dove cavolo fosse Akashi? :D
Ed il povero Kagami, che è arrivato tardi? Ha rischiato la pelle, lol.
Questo è l’ultimo capitolo, sapete? Ora ci manca solo più l’epilogo ed un piccolo extra che l’autrice ha definito ‘Statistiche delle storia’. Ecco, quest’ultima parte è divisa in due: la prima è l’insieme delle schede dei personaggi, con informazioni tipo età, altezza, hobby, cibo preferito… e, per i personaggi principali, anche un’analisi ‘psicologica’. L’autrice l’ha fatto perché alcuni recensori le avevano fatto notare che secondo loro la personalità di Kuroko era troppo debole. La seconda metà è una piccola continuazione della storia, o un epilogo dell’epilogo, se preferite. :)
Ecco, tutto questo per chiedervi: vi interessa/ha senso tradurre anche le schede dei personaggi? Potrebbe essere un po’ difficile, perché l’autrice ha scritto i suoi commenti in prima persona. Ma se volete non c’è problema, in qualche modo lo faccio!
Ok, chiudo qui, sperando che questo capitolo vi sia piaciuto, scusandomi ancora per il ritardo, e ringraziandovi tutti!!
Nienor_11

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


Epilogo



“Non dovresti sforzarti.”

Akashi fece passare un braccio intorno alla vita di Kuroko, aiutandolo a raggiungere il divano e sedersi. Kuroko si sistemò lentamente sul divano nuovo, facendo una smorfia per una fitta di dolore all’addome. Akashi lo vide sussultare. “Stai male? Tuo padre ha le medicine che ti hanno prescritto.”

“Sto bene,” rispose Kuroko. “Ho solo bisogno di fermarmi un momento.”

La Generazione dei Miracoli aveva organizzato una festa di benvenuto per Kuroko. Non era una gran festa in sé e per sé, ma c’erano frappé alla vaniglia, decorazioni, ed era stata invitata anche la squadra del Seirin. I compagni di squadra erano contenti di rivedere Kuroko dopo quelle che parevano settimane ( e probabilmente lo erano, ma la mente di Kuroko era ancora un po’ confusa e non riusciva a ricordare). La coach l’aveva abbracciato con tutto l’entusiasmo possibile, badando però a non fargli riaprire le ferite, e gli aveva detto che le dispiaceva per l’incidente d’auto che aveva avuto. Kuroko, sapendo che quella era la scusa che si era inventato Kagami, si limitò ad annuire e a ringraziare gentilmente tutti.

I ragazzi del Seirin non presero molto bene la presenza di Akashi. Ma in effetti nessuno al di fuori della Generazione dei Miracoli, del Rakuzan e dei suoi genitori la prendeva particolarmente bene. Hyuuga fissò il capitano piuttosto basso, quindi inarcò sorpreso le sopracciglia. “Sei il tipo pazzo e possessivo dell’altra volta!”

I membri della Generazione dei Miracoli smisero di chiacchierare. Nessuno si mosse. Lentamente, una ad una, tutte le teste colorate si voltarono per fissare l’audace capitano del Seirin. Rin e Hayato guardarono Hyuuga increduli, chiedendosi se al mondo esistesse una persona più stupida di lui. Haru fece finta di non aver sentito ed andò in cucina per tenersi occupato, dato che non voleva partecipare al disastro imminente. Tutti nella stanza, tranne Kuroko ed Akashi, aspettarono con il fiato sospeso. Lo fecero anche i giocatori del Seirin, perché avevano notato che l’atmosfera si era fatta improvvisamente tesa e spaventosa. Kuroko aggrottò le sopracciglia, guardando Hyuuga.

Ci ricorderemo di te, Senpai, pensò.

Akashi e Kuroko lasciarono il salotto, dove Hyuuga gemeva e si lamentava, e si diressero verso le scale. Kuroko non aveva ancora avuto l’opportunità di esplorare il resto della sua nuova casa, quindi ne avrebbe approfittato per vedere la sua camera.

“Tetsuya?” Haru si affrettò a raggiungerli ai piedi delle scale. “Stai bene? Vuoi riposarti?”

“Sto bene, otou-san,” lo rassicurò Kuroko. “Voglio solo vedere la mia stanza.”

“Ah,” suo padre annuì. “Una volta salito è la prima porta a sinistra. Catherine-san mi ha aiutato ad arredarla, dato che io non so farlo bene neanche per me.” Si massaggiò il collo. “Vuoi che ti aiuti a salire?”

Kuroko scosse la testa appoggiandosi ad Akashi, che lo sorresse. “Mi aiuterà Akashi-kun. Otou-san, dovresti tornare in cucina, sento odore di bruciato.”

Haru spalancò gli occhi, ricordando che il piatto americano che stava provando a cucinare stava ancora friggendo in padella. “Oh! Hai ragione. Akashi-kun, potresti fargli prendere le medicine dopo che siete saliti in camera? Dovrebbero essere sulla scrivania. Deve prenderle a quest’ora.” Quindi Haru si girò e si affrettò verso la cucina e l’odore di bruciato, non vedendo il cenno di assenso di Akashi.

“Cosa stai facendo, Tetsuya?”

Kuroko si bloccò con il piede sano sul primo scalino, mentre si teneva alla ringhiera per aiutarsi. “Sto andando in camera mia?”

Akashi lo osservò, poi scosse la testa. “Non salirai le scale da solo,” disse chinandosi.

Kuroko, sapendo quello che Akashi avrebbe fatto, cercò subito di indietreggiare. Ma non potè spostarsi molto, visto che aveva una gamba rotta. “No, Akashi-kun! Non…” Ma Akashi lo fece lo stesso: lo sollevò senza fatica e lo portò in braccio. Kuroko cercò di opporsi, ma sapeva che non avrebbe potuto vincere. “Le tue azioni sono estremamente sgradevoli,” disse quindi con espressione corrucciata.

Il suo ex capitano fece un sorrisetto, “Davvero?”

“Hai.”

Akashi scosse la testa ed entrò nella stanza, sistemando con attenzione Kuroko sul letto blu. Kuroko si sistemò meglio, mettendosi seduto con la schiena appoggiata ad una serie di cuscini contro il muro. In questo modo poté osservare bene la sua nuova stanza.

Era semplice. Era blu. Aveva decorazioni che ricordavano il basket.

Era quello che voleva Kuroko.

Più tardi dovrò ringraziare Catherine-san, pensò.

“Prendi questo e bevilo, Tetsuya,” ordinò Akashi. Gli passò tre pastiglie, una bustina di un qualche medicinale ed un bicchiere d’acqua. “C’è scritto di prenderne una per volta. Devi anche prendere tutto il contenuto della bustina.” Poi lo guardò con un sopracciglio inarcato, aspettando che si decidesse a bere. Akashi sapeva che Kuroko detestava le medicine, soprattutto quelle in polvere.

Kuroko fece una smorfia ed iniziò dalle pastiglie. Poi aprì con attenzione la bustina.

“Tutta.”

Il suo occhio destro ebbe un tic d’irritazione. Si versò il contenuto in bocca, poi si affrettò a bere per evitare di sentire il gusto. Ma nonostante questo parte di quel gusto gli restò sulla lingua anche dopo che ebbe deglutito. “Una cosa del genere non dovrebbe esistere,” disse con voce piatta, passando la bustina vuota ad Akashi, che la buttò via.

“Hm.” Dopo aver gettato la bustina vuota in un cestino, Akashi raggiunse Kuroko sul letto morbido e nuovo. Si spostò in modo che Kuroko stesse appoggiato al suo petto. Si sistemarono nella posizione tipica: Kuroko era tra le gambe di Akashi, con la schiena appoggiata al suo petto. Akashi circondò con le braccia la vita di Kuroko. “Senti dolore?”

“Sto bene, Akashi-kun.”

“Seijuro.”

“Non ti chiamerò Seijuro.”

“Oh?” Akashi si sporse in avanti, così che Kuroko potesse vedere la sua faccia. “Tetsuya, mi stai disobbedendo?”

Kuroko lo fissò con sguardo ostinato. Akashi ne approfittò per baciarlo dolcemente sulle labbra ancora un po’ screpolate. Kuroko, preso alla sprovvista, riuscì solo a ricambiare il bacio all’ultimo secondo. “Non puoi fare sempre così, Akashi-kun,” disse quando si separarono.

“Fare cosa, Tetsuya?”

“Non far finta di essere innocente.”

“Mi sto fingendo innocente?” In effetti, nessuno poteva mettere le parole ‘Akashi’ e ‘innocente’ nella stessa frase.

Kuroko non rispose, sistemandosi meglio contro il corpo di Akashi, che rispose con un leggero bacio sulle sue ciocche azzurre. Restarono seduti in un silenzio confortevole, finché Kuroko non disse a bassa voce, “Akashi-kun… Stavo pensando di andare a trovare okaa-san. In prigione.”

La presa di Akashi si fece leggermente più stretta. “Non le permetteranno di ricevere visite, a meno che non abbia una buona condotta e la sua condizione sia stabile. Ma dubito che questo possa accadere presto.”

“Lo so, ma…” Kuroko strinse le labbra. “Io… voglio solo vedere, anche tra qualche anno, se si ricorderà di me… Se le dispiace aver…” la sua voce venne meno.

“Tetsuya, ti dico questo ora, e te lo ripeterò anche, non importa quanto sia crudele.” Akashi fece inclinare la testa di Kuroko passandogli due dita sotto il mento. “A Kuroko Ibuki, una persona che non merita di essere chiamata ‘okaa-san’, come invece fai tu, non importa e non importerà mai di te. Le importa solo di se stessa, e continuerà a vivere in quel modo dietro le sbarre, dove noi l’abbiamo mandata. Qualsiasi azione gentile verso di te o verso chiunque altro, sarà sempre e solo per sua ambizione personale. Non pensare nemmeno di perdonarla per tutte le cicatrici che ti ha lasciato.” Akashi tracciò il taglio richiuso con i punti sulla sua clavicola. I suoi occhi assunsero un’espressione più dura. “Capito?”

Kuroko abbassò lo sguardo. “Hai,” rispose piano.

Akashi lo baciò. All’inizio Kuroko non rispose al bacio, ma presto si lasciò andare alle labbra calde di Akashi. Inclinò esitante la testa, afferrando le spalle di Akashi per raddrizzarsi. Akashi lo avvicinò ancora di più a sé. “Non preoccuparti per queste questioni irrilevanti,”mormorò Akashi contro le sue labbra. “Sevaine Ibakmi è stata condannata da mia Madre e mio Padre. Tuo padre ha comprato una nuova casa, le tre aziende saranno divise e affidate a tre persone diverse, i genitori di Ryouta hanno riavuto le loro vite com’erano prima, e credo che una certa Adela Catherine sia interessata a tuo padre.”

Kuroko spalancò gli occhi. “Catherine-san…?”

“È finita, Tetsuya,” Akashi sporse la testa verso quella di Kuroko. “Liberati di quella donna. La tua vita comincerà da qui. Starai con me. Nessuno oserà farti di nuovo del male.”

Kuroko sentì che un grandissimo peso gli veniva tolto dalle spalle. Si sentì leggero, e si sentì sollevato – ancora più di quando era in ospedale. C’era qualcosa che lo aveva bloccato, trattenendolo per tutto quel tempo, ed era il suo rifiuto della situazione di sua madre. Si lasciò andare contro Akashi, afferrando la sua maglietta rossa.

Kuroko chiuse gli occhi. Inalò l’inconfondibile profumo del suo compagno.

Poi espirò.

“Hai, Akashi-kun.”


 
 




NdT: Salve!
In ritardo fino all’ultimo, giusto per non smentirmi >.<
Cooomunque, questa in teoria è la fine, ma, come vi ho anticipato l’altra volta, c’è ancora un capitolo con le schede dei personaggi ed un piccolo extra.
Non mi sebra vero che sia quasi finita!!
Ne approfitto per lasciarvi il link del profilo dell’autrice, se volete magari lasciarle due paroline come recensione o per PM, sicuramente le farebbe piacere ;) Lei è gentile e risponde sempre. Tra l’altro nel suo profilo è linkato anche il suo Tumblr, se per voi è più comodo.
http://www.fanfiction.net/u/4077201/Virelei
Come sempre grazie a tutti, alla prossima! Nienor_11




 

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Capitolo 25
*** Story Statistics ~ Piccola continuazione di Betrayal In Its Most Simplest Form ***


Story Statistics ~ Piccola continuazione di Betrayal In Its Most Simplest Form


Nota Introduttiva:

Prima di iniziare vi saluto tutti :) Come vi avevo accennato un paio di capitoli fa, nelle recensioni alla storia originale su fanfiction.net alcuni lettori avevano fatto notare a Virelei che secondo loro in questa storia la personalità di Kuroko era troppo debole. Per questo l’autrice ha pensato di scrivere le caratteristiche che aveva in mente per i vari personaggi, in modo da spiegare anche il loro comportamento. Poi per accontentare i lettori, ma anche perché i capitoli non possono contenere solo le note dell’autore, ha scritto anche una breve continuazione. Mi dispiace dirvelo, ma l’autrice non ha intenzione di scrivere un sequel a questa storia.
D’ora in poi quando troverete la prima persona (io) fate conto che sia Virelei a parlare/scrivere.
Ci si vede a fine capitolo per i dovuti ringraziamenti!!

 
Kuroko Tetsuya:

Età: 16 anni

Altezza: 168 cm

L’analisi di Kuroko si basa unicamente sul fatto che subisce degli abusi. È abusato. Lo sviluppo del personaggio e le sue caratteristiche sono cambiati drasticamente per questo unico motivo. Molti hanno detto che agiva in modo troppo debole, troppo ‘sottomesso’, ma penso che si debba tenere in considerazione che è abusato.

Gli abusi possono cambiare molte persone. La reazione più probabile per la vittima sarebbe l’isolamento. Le condizioni mentali non gli permetterebbero di provare a difendersi, combattere o anche solo rilassarsi. Quindi l’immediato cambiamento da grintoso a debole del carattere di Kuroko non è una sorpresa: sua madre lo picchia.

È per questo che ho voluto inserire le lezioni di Akashi sull’aikido, un’arte marziale giapponese. Trovare il coraggio per resistere a chi ti attacca quotidianamente è un risultato per la vittima, e volevo che Kuroko avesse almeno in parte il carattere ‘impassibile, grintoso’ dell’originale. Ma con gli abusi passati, nella mia storia Kuroko non potrà essere lo stesso.

Kuroko è stato molto disponibile nell’assecondare Akashi – si potrebbe quasi dire che ha agito in modo  ‘sottomesso’, (anche se io non userei questa parola per descriverlo). Una vittima di abusi solitamente si appoggia totalmente ad una persona che può sostenerla ed aiutarla, se ancora non si è arresa completamente. Akashi ha dato inizio alla lotta contro Ibuki, quindi Akashi è la persona a cui si appoggia Kuroko.

Quindi, per concludere, no, non credo che Kuroko fosse troppo debole in questa storia. Doveva essere debole perché Akashi potesse fare la sua parte e per essere adatto al ruolo di figlio abusato. Non potevo renderlo poco realisticamente e fare in modo che Kuroko venisse picchiato quasi a morte ogni volta, ma subito dopo agisse come se niente fosse.

Ovviamente ci sono ancora molti difetti nel carattere di Kuroko che potrei sistemare, e forse lo farò quando avrò finito le mie altre storie. Betrayal In Its Most Simplest Form è stato un esperimento, una fan fiction con cui ho voluto giocare, e sono davvero felice che sia piaciuta :)


Akashi Seijuro

Età: 16 anni

Altezza: 173 cm

All’inizio avevo descritto Akashi come un personaggio troppo premuroso. Rabbrividisco quando leggo l’inizio dei miei primi capitoli. Ma presto ho capito che era un po’ out of character ed ho provato a renderlo più duro in modo che fosse più forte. Ci sono state molte volte in cui mi sono spinta un po’ troppo oltre perché, beh, Akashi è il mio personaggio preferito xD Iniziavo a fangirlare e così via, ed ero davvero entusiasta di scrivere di lui. Soprattutto adesso! Avete letto gli ultimi capitoli di Kuroko no Basuke? Ah, tutti quei momenti AkaKuro. (NdT: tenete conto che questo è stato scritto a inizio luglio!)

L’inserimento di due OC (Hayato e Rin) ha aiutato lo sviluppo del personaggio perché entrambi erano avvocati. Far fare il Pubblico Ministero ad Akashi è stata un po’ un’esagerazione, ma questa è finzione, ahah. E ci sono casi in cui degli adolescenti possono davvero esserlo, in determinate circostanze. E poi i suoi genitori erano avvocati influenti.

All’inizio scrivere di Akashi è stato difficile, dato che è un personaggio così complesso. Si preoccupa per i suoi compagni di squadra (nel gioco di Kuroko no Basuke), ma può anche essere spietato. Mi sono dovuta abituare a fare in modo che SOLO lui chiamasse gli altri giocatori della Generazione dei Miracoli per nome (Uh, ragazzi mi avete assillata per questo xD), ma ora scrivere di lui è divertente :D

 
Da qui in poi i personaggi sono elencati secondo l’ordine alfabetico del cognome. I miei OC avranno qualche informazione in più :)

Adela Catherine (presto Kuroko Catherine)

Età: 33 anni

Altezza: 169 cm

Cibo preferito: Sansai udon

Cibo che non le piace: Sashimi

Le piacciono: Haru, Kuroko, cucinare, fare la modella

Non le piacciono: Gli abusi, lavorare al computer, lo stress

Famiglia: È figlia unica.

Volevo un personaggio femminile che potesse essere compatibile e vicino a Haru. Dopotutto Haru merita una donna che gli voglia bene, vero? Lei era uno dei personaggi che hanno sostenuto Haru aiutando con le dichiarazioni durante il processo, e mi sono divertita a scrivere di lei con Kuroko e Haru.

Coff, ed alcuni di voi avevano capito che sarebbe diventata una Kuroko. Chissà perché, mi chiedo?


Akashi Hayato

Età: 39 anni

Altezza: 186 cm

Cibo prferito: Tutto ciò che fa bene alla salute

Cibo che non gli piace: Dolci

Gli piacciono: Esercitare la legge, vedere suo figlio, intimidire la gente, sua moglie (quando è di buon umore)

Non gli piacciono: Le persone che lo sottovalutano o che sono troppo piene di sé, fare esercizi fisici (eppure è un tipo atletico), sentirsi dire che è vecchio

Famiglia: È sposato ed ha un figlio

Impiego: Avvocato più influente del Giappone, proprietario dell’industria giuridica più grande del Giappone

Ho amato scrivere di Hayato! Dovevo rafforzare il personaggio di Akashi creandogli un background, e cosa c’è di meglio dell’inserimento dei suoi genitori! Non volevo che la personalità dominante da ‘pazzo delle forbici’ venisse da suo padre, dato che sarebbe stato un po’ scontato. Ma volevo comunque che Hayato fosse un personaggio forte, quindi spero di averlo dimostrato. Pare che molti di voi fossero fan dei genitori di Akashi, ahah, quindi grazie!


Akashi Rin

Età: 37 anni

Altezza: 178 cm

Cibo preferito: Riso al curry piccante

Cibo che non le piace: Cibi amari

Le piacciono: Esercitare la legge, i coltelli, che la gente si inchini davanti a lei, correre, suo figlio (con qualche eccezione) e suo marito (anche qui con qualche eccezione)

Non le piacciono: I mocciosi, le persone violente, la disobbidienza, le bugie, i palmari

Famiglia: Sua madre è ancora in vita, è sposata ed ha un figlio

È stato divertente scrivere di Rin ed è piaciuta a molti lettori. Akashi ha decisamente preso da Rin, e lei ha avuto un ruolo importante nella fine di quella stron – di Ibuki. L’ho resa un avvocato forte che ottiene ciò che vuole. Mi è piaciuto scrivere di lei e sviluppare il suo personaggio.


Aomine Daiki

Età: 16 anni

Altezza: 192 cm

È stato facile usare Aomine per le parti un po’ più comiche, ahah. Cioè, non mi piace proprio leggere quelle storie tutte angst che ti risucchiano l’anima e ti lasciano depressa per almeno un paio d’ore. Le sventure di Aomine con Akashi erano il modo migliore di far ridere.

È stato vicino a Kise durante la sua crisi, ed ho pensato che fosse la persona più adatta a manipolare le foto tra tutta la Generazione dei Miracoli, quindi ho affidato il compito a lui e Kise.


Kagami Taiga

Età: 16 anni

Altezza: 190 cm

All’inizio era solo un personaggio che quelli della Generazione dei Miracoli guardavano dall’alto in basso, ritenendolo un impiccione. Ma ho dovuto renderlo uno degli aiutanti, perché è la nuova luce di Kuroko. È un personaggio importante per Kuroko. E sapendo del suo passato in America, ho pensato che fosse il più adatto ad avere connessioni americane.

A dire il vero, non credo che avrei trovato un modo per esporre Ibuki come invece ho fatto con Kagami. Ha aperto la strada ad Akashi, in modo che lui potesse scoprire il passato segreto di Ibuki. È molto importante ed ha creato la breccia di cui Akashi aveva bisogno.


Kise Ryouta

Età: 16 anni

Altezza: 189 cm

Dovevo avere un’altra vittima di Ibuki, per dimostrare che era una vera minaccia di cui occuparsi. E chi avrebbe potuto svolgere questo ruolo meglio di Kise? xD È stato facile scegliere lui, ed è stato utile anche per i momenti più divertenti, insieme ad Aomine e Kagami. Sono una fan dell’AoKise (dato che Aomine e Kise non interferiscono con l’AkaKuro :)), quindi ho voluto che loro due lavorassero insieme per aiutare nel caso Ibuki.

Alcuni hanno fatto notare che anche Kise era un po’ troppo debole, e sono anch’io d’accordo per alcuni aspetti. È un errore mio, ma io penso a Kise come ad un ragazzo eccentrico, socievole, che è serio solo quando si tratta di basket. Ibuki ha attaccato anche lui, quindi volevo far vedere la sua vulnerabilità. È stato bello scrivere di lui ed Aomine!

Nel capitolo in cui Ibuki picchia Kuroko nel vicolo sono subito passata al POV di Kise. Mi è sembrato il personaggio più adatto a cui rivolgersi in quella situazione. Ha avuto un grande impatto sui fan – ne sono così contenta :O – e sono felice di aver fatto scendere anche qualche lacrima, ahah. Kise ha davvero dato una svolta al capitolo, ed è stato difficile scrivere quella parte.


Kuroko Haru

Età: 36 anni

Altezza: 175 cm

Cibo preferito: Qualsiasi cibo

Cibo che non gli piace: Nessuno, davvero

Gli piacciono: Suo figlio, passare tempo in famiglia, cucinare, il basket, l’artigianato, disegnare

Non gli piacciono: Ibuki, lavorare, la pigrizia, le persone violente

Famiglia: Ha un figlio

Ci sono molti genitori che si trovano nella stessa situazione di Haru. I loro figli vengono picchiati proprio davanti ai loro occhi, e loro non possono fare altro che pararglisi davanti per il tempo necessario a farli scappare momentaneamente. Non possono chiedere il divorzio perché temono una battaglia per l’affidamento del figlio. Volevo che Haru fosse un personaggio forte, ma allo stesso tempo indifeso. Ibuki lo costringe a stare con lei perché vuole Kuroko, quindi Haru non può fare nulla contro di lei senza temere per il benessere di suo figlio.

Mi è piaciuto scrivere di Haru, perché è un personaggio realistico, ed è stato toccante scrivere del suo affetto per Kuroko.


Midorima Shintarou

Età: 16 anni

Altezza: 195 cm

Anche se Midorima è stato solo un personaggio secondario ha contribuito parecchio alla storia. Essendo un ricercatore, un analista ed un Miracolo, ha offerto supporto a Kuroko. Mi sono divertita con i suoi modi da ‘tsundere’, ahah. L’ho anche fatto partecipare al processo (assegnandogli una dichiarazione) perché volevo mostrare che è sempre stato presente per Kuroko.

Anche nella parte in cui Akashi affronta la madre di Kuroko nella palestra del Seirin, Midorima era lì ad offrire supporto medico. Ah, mi piace far fare il dottore al suo personaggio. In fondo vuole davvero diventare un dottore. E la parte – molti fan hanno detto che sono state le loro battute preferite – in cui Midorima e Akashi dicono che Kuroko appartiene a loro alla fine dello stesso capitolo è stata un fattore di cambiamento per Midorima.

Non ha avuto molte parti, ma ha dato un grande contributo alla storia.


Murasakibara Atsushi

Età: 16 anni

Altezza: 208 cm

Mi sono divertita tantissimo con Murasakibara! Davvero, il bambinone della Generazione dei Miracoli, ahah. Un ragazzo goffo, infantile, ma anche sadico, a cui piacciono i dolci è molto facile da scrivere, e ne sono felice! Amo l’aspetto infantile di Murasakibara, ed è servito ad allentare un po’ la tensione nella storia.

Ho dovuto mettere in gioco anche il lato leggermente sadico di Murasakibara, che in fondo non è certo un angioletto. Ah, quanto mi piace che Murasakibara abbia insistito perché Ibuki fosse lasciata a morire nel vicolo. Il suo personaggio ha contribuito ad alimentare l’odio verso Ibuki.


Liceo Seirin

Alcuni hanno detto che il Seirin non ha avuto una parte in questa storia, ed è vero. Ho incluso solo Kagami. Il motivo è che il Seirin ha troppi personaggi di cui tenere conto. Troppi personaggi per cui avrei dovuto trovare dei ruoli inutili. Il numero dei personaggi che già avevo era perfetto per attaccare Ibuki. Non me ne servivano altri.

Probilmente il Seirin non avrà mai un ruolo importante nelle mie storie, a meno che non sia una storia che parla solo di basket. Anche in ‘Whispering Fireworks’ il Seirin non è molto presente.

Mi sono resa conto che la mia introduzione era un po’ fuorviante riguardo il ruovo del Seirin, quindi l’ho cambiata :)
 

Per soddisfare i fan che sono arrivati fin qui sperando che questa fosse anche una continuazione, ho scritto un brano che continua Betrayal In Its Most Simplest Form. Dopo questo non ce ne saranno più : ‘)
 

“Sono a casa,” annunciò piano Kuroko. Entrò nella casa calda e grande, richiudendo piano la porta alle sue spalle. Su una spalla portava la sua borsa del Seirin; sotto il braccio destro teneva una palla da basket. Il duro allenamento di quel giorno gli aveva lasciato alcune goccioline di sudore sulla fronte. Kuroko iniziò a togliersi le scarpe sporche.

Catherine saltò su dal divano, facendo cadere tutti i fogli ed i libri che stava tenendo in grembo. Su uno dei fogli c’era scritto in grassetto ‘Il Perfetto Vestito da Sposa’. “Tetsu-kun!” esclamò Catherine. “Non sapevo che oggi saresti tornato così presto. Non ho nemmeno preparato la cena! Hai fame? Posso prepararti uno spuntino, o vuoi qualcosa di più sostanzioso? Lo sapevo che avrei dovuto cucinare già prima! Posso farti qualcosa col microonde, oppure –“

“Catherine-san,” la interruppe Kuroko sorridendo. Attraversò il salotto e posò una mano sulla spalla di Catherine. “Concentrati pure sui preparativi per il matrimonio. Non preoccuparti, non ho fame.”

La donna bionda si rilassò appoggiandosi allo schienale del divano. “Okay, ma ne sei sicuro? Sei appena tornato da un allenamento.”

Kuroko iniziò a raccogliere i fogli ed i libri sparsi per terra. Li mise in ordine, poi li restituì a Catherine. “Se mi verrà fame, mi preparerò io qualcosa. E poi sia otou-san che io ci arrabbieremmo se tu ti stressasi troppo prima del matrimonio.”

“Già, il duo di arrabbiati,” disse Catherine prendendolo in giro con un sorriso. “Ricorda che sarò io ad essere arrabbiata se continuerai a rimpinzarti di frappè alla vaniglia.”

“Vado in camera mia,” disse Kuroko, come se non avesse sentito l’ultima frase.

Stava ancora salendo le scale, quando incontrò suo padre che le scendeva di corsa. “Tetsu,” lo salutò sorpreso Haru. “Sei tornato presto.”

“Sono a casa,” Kuroko ricambiò il saluto.

Haru sorrise felice. Scese qualche scalino per raggiungere suo figlio, baciandolo poi sulla fronte pallida. “Bentornato. Vuoi mangiare qualcosa?”

“No, grazie. Passando alle cose importanti, hai della vernice sulla faccia, otou-san.”Kuroko superò suo padre su per le scale, lasciandosi dietro un Haru alla ricerca di uno specchio per lavarsi via la vernice.

In quei pochi mesi in cui erano stati liberi, la vite di Haru e di Kuroko erano cambiate in meglio. Haru si era subito licenziato dal suo lavoro, ed aveva iniziato a disegnare e dipingere più spesso. Riusciva a pagare senza problemi l’affitto grazie al denaro che guadagnava con i suoi disegni e con il suo nuovo lavoro, che lo teneva lontano da casa per meno tempo, con una paga migliore di prima. Kuroko era guarito dalle ferite senza problemi, e appena aveva potuto aveva iniziato a frequentare gli allenamenti con il Seirin. Non doveva più rabbrividire per le cicatrici che gli aveva lasciato sua madre, perché il pensiero di Ibuki dietro alle sbarre lo faceva sentire libero e leggero.

Catherine e Haru avevano iniziato lentamente la loro relazione. Haru, soffocato dai documenti per il divorzio, era stato aiutato da Catherine per tutto il tempo necessario. Lei li visitava spesso ed all’inizio, quando Haru era ancora alla ricerca di un lavoro, li aveva aiutati a far fronte alle spese. Catherine aveva riallacciato il rapporto con Kuroko, e Haru era felice quando la modella bionda era presente. Era dovuto intervenire Kuroko con l’ordine schietto di mettersi insieme perché i due iniziassero finalmente a frequentarsi ufficialmente. La proposta di matrimonio era arrivata solo più tardi. Haru pensava che fosse ancora troppo presto, ma sapeva anche che era la cosa giusta da fare.

Kuroko entrò nella sua stanza, posando la borsa in un angolo. Poi si buttò sul letto con un gran sospiro. Avrebbe dovuto farsi un bagno, ma per quello c’era tempo.

Akashi passava tantissimo tempo con Kuroko. I due erano separati da un viaggio in treno di due ore, ma il rosso era determinato a trascorrere insieme tutto il tempo possibile. Akashi aveva suggerito più di una volta che se Kuroko avesse frequentato il Rakuzan sarebbe stato tutto più semplice, ma Kuroko non l’aveva assecondato. Nonostante ciò Kuroko era felice di vederlo, e Haru era sempre più che disponibile ad ospitarlo in casa.

“Tetsu? Cosa vuoi per cena?”chiese Haru dalla cucina.

“Qualsiasi cosa va bene, otou-san,” rispose Kuroko senza pensare.

 “Allora posso preparare una delle ricette che mi ha passato Akashi-kun?” chiese suo padre con tono canzonatorio.

Kuroko aggrottò la fronte. “Tutto tranne quelle ricette.”

Durante la sua guarigione, Akashi era stato inflessibile per quel che riguardava i pasti salutari. Aveva mostrato a Haru molti piatti della cucina americana per aiutare Kuroko a crescere di più, e piatti nutrienti che non avevano nessun sapore. Kuroko aveva dovuto resistere per parecchio tempo senza nessun frappè alla vaniglia.

Un forte bussare alla finestra lo fece sedere sul letto. A proposito di Akashi. Kuroko si avvicinò alla finestra e la spalancò, osservano un certo capitano dai capelli rossi comodamente seduto su un ramo. Ultimamente Akashi aveva preso l’abitudine di arrampicarsi su quell’albero quasi tutti i giorni, dato che era un albero facile da scalare.

“Abbiamo una porta, Akashi-kun,” disse Kuroko, allontanandosi per lasciare entrare Akashi. “Otou-san apprezzerebbe molto se tu la usassi.”

Akashi afferrò una mano di Kuroko, tirandolo verso di sé. Le loro labbra si unirono dolcemente; Kuroko si rilassò contro il suo corpo, e la mano sulla sua testa strinse un po’ più forte le sue ciocche azzurre. Fu il capitano ad interrompere il bacio con una risatina. “Seijuro,” gli ricordò. “Inizio a pensare che lo fai apposta a non chiamarmi per nome.”

“È ancora troppo strano chiamarti per nome, Akashi-kun.” Kuroko si toccò le labbra, risistemandosi poi sul letto. “Come sta Kise-kun?”

“I genitori di Ryouta si sono liberati dall’influenza di tua madre,” rispose Akashi, accomodandosi su una sedia, appoggiando il mento al palmo della mano, ed osservando con attenzione Kuroko. “Mio Padre sta lavorando al loro caso. Per compensare agli errori sul lavoro sono stati promossi ad una posizione più favorevole.” Poi assottigliò improvvisamente lo sguardo. Kuroko si mosse nervoso. “Quanto pesi, Tetsuya?”

Kuroko sbatté le palpebre. “Cinquantasette chili.”

“Allora in questo periodo non hai mangiato bene,” lo accusò Akashi con voce vellutata.

“Ho mangiato abbastanza.”

“Potrei sempre chiedere a Daiki di passare a prenderti dopo gli allenamenti con il Seirin,” lo minacciò velatamente. “Dirgli di portarti tutti i giorni in un ristorante e farti mangiare solo pasti nutrienti. Potrei dirgli di tenerti lontano da questo ‘Maji-Burger’ e negarti la tua bevanda prefe – “

“Mangerò di più,” cedette Kuroko. “Non c’è bisogno di essere così drastici, Akashi-kun.”

“Seijuro.”

“Akashi-kun.”

Dei passi leggeri sulle scale impedirono ad Akashi di ribattere. “Tetsuya? Con chi stai parlan…” La porta della stanza di Kuroko si aprì all’improvviso, ed apparve Haru, incuriosito. Gettò uno sguardo ad Akashi, poi uno alla finestra, e sospirò. “Abbiamo una porta, Akashi-kun,” disse, esasperato.

“Già, così mi hanno detto,” rispose il rosso. “Buonasera, Haru-san.”

Haru si passò una mano tra i capelli. “Buonasera. Vuoi del the?”

“No, grazie. Ma vorrei fermarmi per la cena.”

“Certo. Vado a cucinare qualcos’altro allora.” Si diresse alla porta, ma poi si fermò per dire, “Tetsuya, non fare niente di inappropriato, mi raccomando.” Poi uscì, lasciando la porta bene aperta.

Kuroko sbatté le palpebre, confuso. Akashi fece un sorrisetto. Si alzò dalla sedia e si sedette sul bordo del letto. Kuroko colse il segnale e cambiò posizione, appoggiando la testa sulle gambe di Akashi. Il profumo del capitano gli riempì le narici. “In realtà sono venuto per darti questa,” disse Akashi, quasi reclutante. “Mia Madre l’ha ricevuta proprio oggi.” Prese da una tasca una busta con dei fogli e la consegnò a Kuroko. “Sta a te decidere.”

Kuroko avvicinò i fogli per leggerli. C’erano molti termini giuridici che non capiva, ma colse comunque il messaggio principale. Serrò i pugni, stropicciando di conseguenza i fogli. Non poteva essere vero… perché così presto? Akashi gli fece riaprire le mani. “Sembra che Ibuki si sia comportata eccezionalmente bene negli scorsi mesi. Credo che il suo status abbia più peso di quel che avevo previsto, anche in prigione. Non so come abbia fatto, ma ora può ricevere visite dai familiari.” Passò una mano tra i capelli di Kuroko, per dargli un po’ di conforto. “La scelta è tua, Tetsuya. Ma se deciderai di farle visita, non ti permetterò di andarci da solo.”

Kuroko teneva lo sguardo inespressivo e fisso davanti a sé. Sua madre aveva già il permesso di ricevere visite dai familiari? Cosa aveva fatto? Corrotto le guardie? Le aveva minacciate? Aveva contatti anche in prigione? Kuroko non poteva credere che sua madre avesse mantenuto una buona condotta. Non poteva essere, non era nella sua natura. In lui crebbero la rabbia e la paura, mentre nella sua mente passavano immagini di Ibuki. No, non si meritava ancora quel privilegio.

Akashi inarcò un sopracciglio quando Kuroko iniziò a strappare con cattiveria i fogli. Pezzetti di carta si sparsero sul letto e sul pavimento. Kuroko continuò a strappare finché le sue mani non furono stanche, ed il suo letto non fu completamente ricoperto di carta. A quel punto lasciò cadere bruscamente le braccia lungo i fianchi. Respirava profondamente.

“Presumo che questa sia la tua risposta,” disse Akashi, divertito. Poggiò le mani sulle guance di Kuroko, chinandosi in avanti. Le loro labbra si sfiorarono per un secondo.

“No,” mormorò Kuroko, aggrappandosi al collo di Akashi e spingendosi via dal letto. Il rosso cadde all’indietro, tenendo Kuroko fermo sopra di sé.

Delle labbra screpolate incontrarono labbra morbide, dita sottili si intrecciarono in ciocche azzurre, occhi blu furono nascosti da palpebre abbassate. Ancora una volta Kuroko poté sentire nel suo petto una profonda riconoscenza nei confronti del ragazzo di fronte a lui. Si separarono lentamente.

Qualcosa brillò negli occhi eterocromi di Akashi. “Ho sentito dire che il Seirin è arrivato alle finali della Winter Cup. La vostra prossima partita sarà contro il Rakuzan.”

Kuroko rotolò su un fianco, così da non essere più addosso ad Akashi. “Vinceremo, Akashi-kun.”

“Non hai imparato niente?” Akashi si girò per guardarlo negli occhi. “Io vinco sempre, e quindi ho sempre ragione.”

“Non questa volta. Il Seirin batterà il Rakuzan alla Winter Cup.”

“Lo vedremo.” Si girò di nuovo, guardando verso il soffitto. “Mantieni questa determinazione durante la gara. Voglio che sul campo siamo nemici. Dopo che avrò vinto la Winter Cup, invece –“

“Forse volevi dire dopo che il Seirin avrà vinto la Winter Cup, Akashi-kun?”

“Non perdo mai.”

Kuroko diede una leggera gomitata ad Akashi. Probabilmente era l’unica persona a poterlo fare senza rischiare di morire. Appoggiò la testa alla spalla dell’ex capitano. “Questo è il genere di battaglia che posso combattere…” esitò. “Seijuro-kun. Non mi tirerò indietro.”

Akashi fece un sorriso scaltro. “Spero proprio di no,” mormorò. “Allora,” appoggiò la testa a quella di Kuroko, i loro volti erano vicinissimi. “La nostra prossima battaglia sarà sul campo. Vedremo chi sarà il più forte. E…”

Kuroko inclinò la testa. “E?”

“E chissà, magari durante la partita potrei baciarti.” Akashi premette le labbra contro la fronte di Kuroko, quindi si alzò. Non gli lasciò il tempo di reagire. “Tuo padre ci sta chiamando,”disse, sparendo oltre la porta.

Kuroko scattò su. “Akashi-kun! Non è giusto.” Ma sospirò, sorrise e seguì Akashi giù per le scale. Ibuki aveva ripetuto molte volte che Kuroko e suo padre non se la sarebbero cavata senza il suo supporto ed il suo ‘generoso’ aiuto. Lo aveva insultato, minacciato e gli aveva urlato di apprezzare il modo in cui lei stava portando avanti la famiglia; poi,  come madre, lo aveva tradito. Le sue parole e le cicatrici che gli aveva lasciato erano incise in lui, e gli ricordavano quanta poca influenza ora lei avesse sulla sua vita.

Ora suo padre poteva avere una moglie con cui essere felice, e Kuroko poteva concentrarsi sui suoi studi e sul basket, preparandosi per la Winter Cup, che avrebbe vinto. Se la stavano cavando bene, e nemmeno il pensiero di Ibuki poteva disturbarli.

Dei forti colpi sulla porta riecheggiarono per la casa, poi la porta venne spalancata. Kise, Midorima, Aomine e Murasakibara apparvero sulla soglia. “Akashicchi ci ha invitati!” urlò Kise. “Ed Aominecchi ha portato da bere!”

“Certo, perché non facciamo tutti una festa?” chiese stanco Haru, avanzando per salutarli.

“Kurokocchi!” Kise abbracciò Kuroko. “Aominecchi ha portato un frappé alla vaniglia per te!”

“Aka-chin ha detto di portare dei dolci, quindi ecco qui,” disse Murasakibara mostrando una borsa della spesa.

Midorima si sistemò gli occhiali. “Hm. Sono stato invitato all’ultimo minuto. Dato che l’acquario oggi è secondo in classifica, ti ho portato il tuo oggetto fortunato.”

“Kise mi ha trascinato qui,” borbottò Aomine.

“Non mentire, Daiki.”

Kuroko si appoggiò ad una parete ed osservò in silenzio la scena intorno a lui. Vide che Kise salutava pieno di entusiasmo Catherine e Haru, e che Aomine gli tirava un pugno in testa perché stava facendo troppo casino. Vide Murasakibara offrire un Pocky ad Akashi, e Midorima che scuoteva la testa mormorando qualcosa di incomprensibile. Osservò suo padre, che stava cercando di tenere la situazione sotto controllo, chiedendo a tutti cosa preferivano da mangiare e da bere, e Catherine, che era scappata in cucina a preparare qualcosa in più per i loro ospiti non invitati.

Poi guardò Akashi, che lo guardava a sua volta ogni pochi secondi, prima di occuparsi della Generazione dei Miracoli. Un leggero sorriso incurvò le labbra di Kuroko.

Sì. Se la stavano cavando bene.
 

 



 
NdT: E così eccoci qui alla fine! Un po’ mi dispiace che sia finita :’(
Ma è ora dei ringraziamenti!!

Prima di tutto, ovviamente, ringrazio Virelei: senza di lei non saremmo qui a leggere questa storia. Thanks a lot ^_^ Spero di essere riuscita a rendere in modo adeguato Betrayal In Its Most Simplest Form, e che i lettori l’abbiano apprezzata. Ci sono di sicuro parti che potevano essere rese in modo migliore, ma ho cercato di fare il possibile per rendere la lettura piacevole (nonostante le tematiche) e scorrevole. Spero di esserci riuscita!

Ma ora passiamo a VOI,
che avete preferito questa storia: Amaerise, Appuru, A_K_I_R_A, cake, Cremisi, debby914, denisa_chan, Donny, Fraengland39, gattapelosa, Giuliacardiff, Hanacchi, keiko chan, KISAchin, Leanis, Lullola, Marie Claire, marii_chan, Mitsuki Loveless, Momocch, mughetto della neve, Nakajima Yui, Nami24, Niniel Jaeger, otakulove99, Ricchisan, Silvy__, TeaminninaBling, v_chan, White Angel, Yuki95ify, _Macchan_;

che avete ricordato questa storia: Appuru, A_K_I_R_A, denisa_chan, fairy94, Maddy_6, renjo_, seia;

che avete seguito questa storia: Akira423, apple19, Appuru, Aredhel, A_K_I_R_A, Beatrix91, Black_phoenix95, Daifha, deby97, diogene, Elyana, erol89, evy88, EWILAN, FranKuro, free_happy, Hanacchi, HaruHaru, inca25, Isangel, keiko chan, Kilya_, Kirasupercane, Kurochan, Kuroichan, Kuroyuri, LadyKokatorimon, Lord Okita, lucelince, Luna_Ginga94, lyeb sauskin, marii_chan, Marumind, mayoko chan, Nakajima Yui, Nokey, ouden, renjo_, Reo, Ricchisan, rima echizen, Rity, sa01, Sarah del mondo antico, Silvy__, TaeminninaBling, tetsuya_da96, Tsubaki3, Vane88, vegeta_girl_prince, Wolfgirl93, Yoru no Yume, Yume Hoshiko, Yumeji, Yurie_cchi, _EucliffeRedHot_, _Lily;
grazie tante, davvero!! :) Spero di non aver dimenticato nessuno, e di non aver sbagliato i vostri nick. Se così fosse, scusatemi, ma siete tantissimi!!

Un ringraziamento particolare va anche a chi ha trovato un po’ di tempo per lasciare una recensione, ovvero: Seth24, HMKR6918, lucelince, pampam_17, Yuki95ify, Whie Angel, cake, Hanacchi, A_K_I_R_A, Wolfgirl93, marii_chan, denisa_chan, Ricchisan, tetsuya_da96, Shiemi Mania, Rity, Black_phoenix95, Nakajima Yui, Luna_Ginga94.  Scusate se a volte (ok, quasi sempre, lo ammetto) ho risposto in ritardo alle vostre recensioni. Sappiate che le ho sempre apprezzate!

E, last but not least, grazie mille anche a chi si è limitato a leggere. Se ci fosse un modo per ringraziarvi uno ad uno lo farei, credetemi!
Credo sia tutto, quindi non mi resta che ringraziarvi tutti ancora una volta e salutarvi!
Nienor_11 :)

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