Ferite di Akarai92 (/viewuser.php?uid=20411)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hurt and Fear ***
Capitolo 2: *** Passion after the battle ***
Capitolo 1 *** Hurt and Fear ***
Siori e siore, ho finito la trilogia!!! XD E’ stata
un’ardua lotta, ma l’ho spuntata! Speravo almeno
nell’ultimo libro un qualcosa per tirare fuori una slash
decente, ma niente. Brooks ma ha però regalato tanti bei
figoni *ç*
E, ritornata l’ispiratio, sono tornata sulle ficcine sui
fratelli elfi, con una fic stavolta non one-shot, ma credo intorno ai
due capitoli (grande progresso XDXD), uno dal punto di vista di Durin,
cioè questo, e l’altro dal punto di vista di Dayel.
Questo in particolare è ambientato dopo il loro arrivo nel
villaggio degli Gnomi Guaritori di Storlock con Dayel ferito.
Un grazie gigantesco a tutti quelli che commentano le mie cosucce,
immenso soprattutto a Taila che ha commentato entrambe le mie one-shot
su Shannara e spero gradirà anche questa X3
Au revoir e buona lettura!!
La notte era scesa lentamente, come un velo di pace e riposo, sulle
Quattro Terre, donando ai suoi abitanti, sfiniti dopo la lunga
giornata, un po’ di meritato riposo. Si sarebbero accesi i
focolari, i boccali si sarebbero riempiti nelle taverne, i paioli
avrebbero mandato il loro gustoso odore di cibo, le risate calde
sarebbero iniziate. Tutto come al solito.
Eppure per qualcuno nulla di tutto ciò sarebbe successo.
Durin, i lunghi capelli neri spettinati sciolti sulle spalle, se ne
stava accasciato su una sedia, le mani in grembo, gli occhi verdi persi
nel vuoto.
Da quel pomeriggio non si era riposato, né cambiato dai
logori abiti da viaggio, aveva soltanto lavato via il sangue dalla
pelle. Aveva questioni decisamente più impellenti di cui
preoccuparsi.
Il viso contratto dal dolore di Dayel continuava ad affacciarsi nei
suoi pensieri, la ferita sanguinante sul petto, la mascella contratta
dallo sforzo. E lui aveva potuto soltanto trascinarlo, sostenerlo, fino
a Storlock.
Un bussare improvviso alla porta lo fece sobbalzare, mormorando un
“avanti” pieno di aspettativa. Sulla porta della
sua stanza fece capolino uno gnomo, fasciato da una veste bianca,
simbolo dei Guaritori.
Senza parlare, gli fece cenno di seguirlo. Lo scatto dalla sedia fu
immediato, l’Elfo saltò su come una molla, la
speranza accesa e visibile negli occhi luminosi. Camminarono per un
tratto nel villaggio immerso nella sera, solo alcune torce illuminavano
il cammino. Guardandosi attorno, Durin notò delle piccole
figure che si aggiravano accanto alle finestre, tutte affaccendate
attorno a letti e brandine: gli Gnomi Guaritori erano attivi e pronti
anche a quell’ora della sera.
Presto giunsero ad una piccola costruzione che, come molte altre
nell’abitato, fungeva da piccolo ospedale; lo Gnomo lo
condusse, sempre senza una parola, lungo i corridoi, fino a fermarsi
davanti ad una porta.
Lo guardò, rivolgendogli uno sguardo penetrante, e si fece
da parte, invitandolo ad entrare.
Durin non se lo fece ripetere due volte. Entrò nella stanza
fiocamente illuminata da una lampada ad olio in punta di piedi,
tentando di ridurre al minimo il rumore dei suoi stivali sul legno
lucido.
Su un letto accanto alla parete era sdraiata una figura, i capelli neri
sparsi sul cuscino, gli occhi chiusi. Si avvicinò
maggiormente, fino alla sponda del letto, accanto al quale era posta
una sedia molto simile a quella dove era seduto prima.
La ignorò deliberatamente e si sedette sulle soffici
coperte, accanto al corpo.
Dayel pareva addormentato. Il respiro regolare rompeva il silenzio,
allacciandosi con quello leggermente alterato dalla preoccupazione del
fratello.
La ferita sembrava guarita, o almeno sotto controllo. Le bende erano
state cambiate di fresco, e non sembrava ci fosse nulla di strano.
Solo, avrebbe preferito che Dayel si svegliasse.
Ricordava perfettamente quando, poche ore prima, erano arrivati,
stanchi e feriti, al villaggio degli Gnomi. Lui sosteneva
difficoltosamente il fratello, ormai completamente senza forze, e
tentava in qualunque maniera di tenerlo cosciente, rivolgendogli
morbosamente la parola.
Era riuscito nel suo intento fino alla fine, quando oramai allo stremo,
Dayel gli era svenuto tra le braccia, ed era stato prontamente portato
via dai vigili Guaritori.
Non lo aveva visto fino a quel momento. E anelava con tutto il cuore di
rivedere i suoi brillanti occhi smeraldo, così simili e
così diversi dai suoi.
Lentamente, come se temesse di romperlo, si piegò su di lui
sostenendosi con le braccia, e gli sfiorò la fronte appena
scottante di una ormai passata febbre con le labbra fresche.
Quando fece per rimettersi nella sua originaria posizione, si
ritrovò a fissare quel suddetto paio di occhi, che lo
scrutavano assonnati.
-Durin…?-
Lo mormorò appena con voce impastata dal lungo riposo,
strofinandosi gli occhi con fare infantile. Era sempre uguale, il suo
Dayel.
-Ben svegliato, dormiglione-
Sorrise il maggiore tornando seduto, studiando ogni azione del fratello.
Pian piano, Dayel si mise a sedere appoggiato ai cuscini, gemendo
appena per il dolore alla ferita ancora non rimarginata del tutto.
-Quanto ho dormito?-
-Non preoccuparti, siamo arrivati soltanto stamattina…-
Esitò per un attimo, guardandolo.
-…mi hai fatto morire di paura, Dayel –
Un’ombra colpevole passò sugli occhi
dell’Elfo, ombra che esprimeva tutto quello che sentiva nel
cuore.
Il dispiacere per aver fatto spaventare Durin.
Il senso di colpa per essersi fatto ferire.
La delusione, per aver fatto una figura da debole agli occhi del
fratello maggiore.
-Sono stato uno stupido… dovevo fare più
attenzione in battaglia, seguire i tuoi consigli invece di buttarmi a
capofitto, e invece guarda…-
Si indicò mestamente.
-…costretto a letto, da una stupida ferita –
Abbassò gli occhi, rattristato dalle sue stesse riflessioni.
Aveva espresso soltanto l’ultimo dei suoi pensieri, ma
intanto era qualcosa. Più che altro aveva paura della
risposta di Durin, che poteva confermare o meno ciò che
aveva detto.
Aspettò, timoroso. Silenzio. Nessuna reazione da parte
dell’altro. Arrischiò un’occhiata.
Si scontrò con un paio di occhi furenti, le sopracciglia
sottili aggrottate in un’espressione severa. Con cipiglio
deciso, si alzò e si andò a sedere ancora
più vicino a lui.
Dayel fece per parlare ma il fratello lo ignorò e gli prese
bruscamente il viso tra le mani.
-Primo: non ci trovo davvero niente di stupido nell’essere
ferito in uno scontro, soprattutto in quelle condizioni. Secondo: non
penso assolutamente che tu sia un debole-
Il minore spalancò gli occhi. Come al solito, e comunque non
riusciva mai a farci l’abitudine, Durin aveva capito tutto
senza nemmeno che ne parlasse.
-E terzo: fai bene a sentirti in colpa per avermi fatto spaventare,
perché davvero ho rischiato di restarci secco quando mi sei
svenuto davanti.-
In quelle ultime parole c’era un velo di ironia, che fece
ridacchiare il malato, sdrammatizzando la situazione. Lui sapeva sempre
trovare le parole giuste, pensò.
-Però non provarci mai più…-
Aveva appoggiato dolcemente la fronte su quella di Dayel, sussurrando a
mezza bocca tutta la sua preoccupazione, in cinque semplici parole.
-Sei ci sei tu non credo che mi succederà niente –
Un respiro soltanto anche il suo, un soffio di voce che Durin
sentì sul viso, caldo e dolce.
Entrambi avevano gli occhi chiusi, godevano di quel piccolo momento di
intimità che di quei tempi pareva tanto difficile ottenere.
Stettero così per un tempo che parve infinito, ognuno
ascoltando il respirare dell’altro, assaporando ogni secondo
di calore che le loro pelli in contatto emanavano.
Poi, ad un certo punto, gli occhi magnetici di Durin si spalancarono,
fissando il volto perfetto del fratello minore. Erano praticamente
uguali, qualcuno, come spesso succedeva, li avrebbe potuti benissimo
scambiare per gemelli. Eppure… eppure lui vedeva sempre
quella sottile e impercettibile differenza, che percepiva nelle
espressioni, negli sguardi, nei sorrisi.
C’era sempre qualcosa di diverso tra lui e Dayel, una
diversità che andava oltre quella caratteriale, profonda e
marcata.
Ad esempio, non avrebbe mai detto che i suoi occhi, nonostante fossero
grandi e verdi come quelli dei fratello, riuscissero a dare quel senso
di innocenza e malizia allo stesso tempo, scaldando il cuore e
accendendo l’animo, quando le sottili palpebre li mostravano
al mondo.
Come in quel momento.
Un dolce sorriso si aprì sulle labbra di Dayel quando
incrociò il suo sguardo, restando appositamente a fissarlo.
Durin sentì l’impellente bisogno di dire qualcosa;
non sapeva cosa, una frase qualsiasi, una parola, un qualcosa che
esprimesse i suoi sentimenti.
Cosa che a quanto pareva non rientrava nelle cose che riusciva a fare
meglio.
-Dayel… io…-
Emanò un profondo e depresso sospiro. No, proprio no.
Fece per tentare di nuovo, ma l’altro fu più
veloce.
Gli chiuse la bocca con uno dei baci più dolci e maliziosi
che gli avesse mai regalato, sfiorandogli sfuggente le labbra con la
lingua.
-Non c’è bisogno che tu dica niente…
davvero, Durin. Va bene così. –
Quest’ultimo non era proprio convinto della cosa, ma un
secondo bacio di Dayel lo mise definitivamente a tacere, solo che
stavolta fu lui a reclamare il suo ruolo di fratello maggiore.
Rendendo il bacio più profondo, spinse delicatamente il
fratello contro il muro, in una posizione tutto meno che comoda.
Se ne dovette accorgere presto visto che, incurante dei gemiti di
protesta del fratello e senza mai staccare le labbra dalle sue,
salì sul letto e gli si mise a cavalcioni. Restando
però pacificamente sopra le coperte.
-Ti ricordo che sono ancora convalescente…-
Gli disse Dayel, in una pausa atta a non morire asfissiati, alludendo
alla pericolosa posizione del fratello.
-Oh, non approfitterei mai e poi mai di un ferito –
Peccato che la sua espressione dicesse tutto il contrario. Soprattutto
la sua mano affilata, che era già partita ad esplorare la
liscia pelle sotto la tunica, lo contraddiceva pesantemente.
Ogni obiezione fu soppressa dalle labbra prepotenti di Durin, labbra
che si incastravano perfettamente con quelle del fratello. Le quali non
sembravano, a differenza delle parole del proprietario, molto riottose
nei suoi confronti.
-Durin, ti giuro che se le tue attenzioni faranno riaprire la ferita
saprò come vendicarmi!-
A quelle parole il maggiore si fermò di colpo, guardandolo
sospettoso.
Non ci aveva pensato. Cautamente, come se avesse perso tutta
l’irruenza e l’impulsività di poco
prima, fece scorrere una mano lungo tutto il petto del fratello minore,
fino ad arrivare alle bende morbide che fasciavano la ferita.
Passò ritmicamente le dita sottili sui pezzi di stoffa
bianca, leggermente impregnati di sangue.
Poi, di botto, si tolse da sopra Dayel e si abbandonò su un
lato del letto, accanto a lui, con un’espressione
corrucciata. Incrociò le braccia e si distese meglio,
accomodandosi sui cuscini.
Intanto il minore lo fissava con un sopracciglio alzato, nonostante
fosse ormai abituato a quegli strani scatti di umore; Durin era
notoriamente lunatico.
Cercando di non fare sforzi si accomodò anche lui sui
morbidi cuscini, appoggiando la testa accanto a quella del fratello.
Senza una parola quest’ultimo si voltò e
affondò il viso nei suoi capelli neri e lisci.
-Tanto prima o poi la ferita si rimarginerà…-
La frase lasciata in sospeso aveva un inquietante sapore di minaccia,
ma Dayel la assorbì in parte compiaciuto da tutto
quell’attaccamento da parte della sua affascinante
metà.
Pian piano, tentando di trattenere qualsivoglia smorfia di dolore, si
voltò verso l’altro occupante del letto,
poggiandosi sul fianco sano.
Il fratello gli rivolse uno sguardo preoccupato.
-Sicuro che puoi stare in questa posizione?-
Dayel sorrise teneramente alla sua ansia, e gli posò la mano
sulla guancia in una dolce carezza. Senza rispondergli, gli si
avvicinò e lo abbracciò stretto, poggiando la
testa sulla sua spalla. Non gli importava della ferita,
finché poteva averlo vicino anche solo per quella notte.
Sarebbe bastato stringerlo a sé per dimenticare il dolore.
Sentire le sue labbra accanto all’orecchio per lasciarsi
tutto alle spalle.
Percepire il suo respiro sulla pelle per chiudere la missione e il
resto del mondo fuori da quella porta.
Sarebbe semplicemente bastato il suo amato fratello per sentirsi in
pace.
-Se tenti di farmi qualcosa nel sonno, sarai tu quello convalescente!-
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Capitolo 2 *** Passion after the battle ***
Olèèèè la seconda parte!!
X3 All'inizio avevo adirittura pensato ad un epiloghetto, come dire, un
pochito più "spinto" però poi ho abbandonato
l'idea, rimandandola ad un altra fic *sorrisetto malefico* preparatevi.
XDXD Sorvolando i miei piani di conquista del mondo conosciuto e non,
come detto in precedenza questa parte è dal punto di vista
di Dayel dopo la battaglia finale, discostandomi un pelo dal libro che
dice che è Dayel stesso a trovare Durin tra i feriti. Spero
che sia almeno leggibili e non eccessivamente smielata x3
Un grazie gigantesco di nuovo a Taila che commenta ognuna di queste
piccolezze ^_______^ e anche a Silver, che ogni tanto si ricorda di
venirci a dare un'occhiata XD
P.S. Il titolo del capitolo viene dalla canzone di Utada Hikaru
"Passion" dalla colonna sonora di Kingdom Hearts, in particolare la
versione che accompagna il filmato finale, che come titolo aggiuntivo
ha "After the battle". Quindi ho fuso le cose XDXD
I suoi passi affrettati ed ansiosi risuonavano chiari per tutto il
corridoio di pietra, rimbombando tra le pareti levigate di solida
calce, mentre quasi correva, il fiato corto per lo sforzo di reggersi
anche solo sulle gambe.
Svoltò un angolo, accelerando il passo quel poco che poteva,
la spada che gli tintinnava al fianco, la testa tutta concentrata a
raggiungere una certa stanza.
Che non aveva la più pallida dove si trovasse.
Svoltato un altro angolo, si ritrovò a sbattere contro una
figura alta e magra, che sgranò gli occhi non appena lo vide.
Menion.
Fermandosi affannato, l’Elfo lo prese per le spalle e lo
fissò allucinato.
-Dov’è, Menion?? Dov’è
Durin??-
L’ansia nella sua voce era palpabile, ansia che non gli
permetteva nemmeno di riprendere fiato. Il principe di Leah
abbassò lo sguardo, cercando le parole per non allarmare
maggiormente il giovane.
-Dayel… ecco lui…-
Ma lui non si faceva prendere in giro così facilmente.
Strinse la presa sulle spalle del ragazzo e lo costrinse a guardarlo
negli occhi verde smeraldo, disperati.
Menion sospirò e indicò una porta di legno alla
fine del corridoio, prima di una svolta. Il giovane Elfo gli
lanciò un’occhiata riconoscente e si
buttò a capofitto verso la destinazione indicata,
raggiungendo la porta in un secondo.
Senza nemmeno bussare la aprì. Tre teste si voltarono
stupefatte verso di lui.
Due guaritori si affaccendavano accanto ad un letto, coperto
parzialmente di sangue, e rivolsero verso di lui soltanto un attimo
della loro attenzione.
La terza testa apparteneva all’imponente figura di Balinor,
che lo guardava triste.
Prima che Dayel facesse anche un passo, gli si avvicinò e
gli posò dolcemente una mano sulla spalla esile. Era stanco
e tirato, eppure si stava occupando personalmente di controllare i suoi
compagni feriti.
Gli rivolse un’occhiata incoraggiante e lo condusse
più vicino al letto, che fino a quel momento Dayel non aveva
avuto il coraggio di guardare.
-Non è molto grave, ma ancora non si è svegliato
da quando lo abbiamo portato qui… temono che non lo faccia
per niente…-
La sua voce era triste, e quelle notizie crudeli ma, si disse il
giovane, sarebbe stato inutile nascondergli la reale situazione.
Non appena i medici si scostarono permettendogli di guardare la figura
sdraiata sul letto, circondata dal sangue, le sue gambe sembrarono non
reggerlo più.
Durin, i capelli sparsi sul cuscino, il volto pallido e tirato dalla
sofferenza, era abbandonato sulle coperte, una ferita spaventosa alla
spalla sinistra, attorno alla quale i due medici si stavano affannando.
Gli occhi del fratello minore si velarono di lacrime.
-Non c’è più rischio che perda
l’uso del braccio, dovrà soltanto tenerlo a riposo
per un periodo. Devi assicurarti tu che lo faccia. -
La voce di Balinor lo fece voltare a stento dalla visione straziante
del fratello. Il gigante della Frontiera tentava di sorridergli e
infondergli speranza, e Dayel gli fu riconoscente per questo.
Rimasero a guardare per qualche tempo, finché i guaritori
non ebbero stretto sottili e resistenti bende attorno alla ferita,
allontanandosi dal ferito.
Balinor lanciò a Dayel un’occhiata eloquente, gli
diede una leggera pacca su una spalla e condusse fuori assieme a lui i
medici, chiudendo la porta.
Erano rimasti soli.
Lentamente, senza fare rumore, l’Elfo si avvicinò
al corpo del fratello, così debole e fragile in quel
momento, e si sedette sul bordo del letto, continuando a tenere gli
occhi fissi su di lui.
Il suo petto magro si alzava e si abbassava sommessamente, al ritmo di
un respiro fin troppo flebile per i gusti di Dayel; gli occhi erano
serrati, le profonde iridi verdi nascoste dalle palpebre. Quegli occhi
che lui avrebbe preferito vedere aperti.
Le mani erano abbandonate ai lati del corpo, morbide e rilassate.
Delicatamente Dayel ne prese una tra le sue: era liscia e calda, ma
sembrava così fragile, dava l’impressione che se
l’avesse lasciata cadere si sarebbe infranta in mille pezzi.
La strinse dolcemente, con una disperazione a stento repressa, e se la
portò alle labbra.
Il contatto con quella pelle così familiare
riportò alla sua mente tanti momenti simili, tante
disperazioni, tanti dolori, tante lacrime, ma anche tante risate, tanti
sguardi, tanta gioia.
Tutto portato e causato dalla persona che ora se ne stava abbandonata
su un letto triste e freddo, combattendo con la morte come aveva fatto
per una vita. Battaglia che se fosse stata persa avrebbe portato alla
fine e alla distruzione non soltanto Durin, ma anche il fratello.
Una lacrima solitaria percorse mestamente la guancia liscia del minore,
lasciando una traccia lucente di dolore. Dayel non si sprecò
ad asciugarla, inutile dato che, lo sentiva negli occhi, molte altre
presto l’avrebbero seguita. Non c’era nessuno a
vederlo, se lo sarebbe anche potuto permettere.
Con la mano di Durin ancora stretta tra le sue, cadde in ginocchio a
terra, il pianto ormai incontrollabile, i singhiozzi silenziosi a
stento trattenuti. Appoggiò la testa al petto del fratello;
poteva sentire il suo cuore battere, silenzioso e fievole, come se
dovesse fermarsi da un momento all’altro.
E pregò, pregò perché non si fermasse,
perché resistesse, perché aprisse quegli stupidi
occhi e lo guardasse come aveva sempre fatto.
Un solo sussurro scappò dalle sue labbra bagnate di lacrime
salate.
-Per favore, Durin… non lasciarmi da solo. Non puoi
farlo…-
Avrebbe voluto dirgli tante altre cose, che lo amava, che non avrebbe
sopportato che morisse, che avrebbe voluto rivederlo sorridere.
Ma si limitò a stringere ancora la sua mano, cercando di
infondergli quella forza che in quel momento forse avrebbe voluto anche
lui.
Lentamente e con fatica, aprì gli occhi, disturbato da una
luce fuori dal suo campo visivo.
Si guardò attorno spaesato, e vide brillare la luce di una
lampada ad olio sul piano del tavolo accanto al letto.
Durin!
Si voltò di scatto e davanti ai suoi occhi si
ripresentò la vista del fratello addormentato, il respiro e
il ritmico alzarsi ed abbassarsi del suo petto regolare sotto di
sé.
Guardò fuori dalla piccola finestra: doveva essersi
decisamente addormentato, pensò. Era scesa la sera. Qualche
stella brillava nel cielo nuvoloso, piccoli bagliori luminescenti.
Si alzò da terra, con le ginocchia intorpidite per la
scomoda posizione e si risedette sul materasso, comodissimo in
confronto al freddo pavimento. Non aveva mollato nemmeno per un secondo
la mano del fratello.
Pian piano, la riposò sul petto del proprietario,
accarezzandola un’ultima volta.
Pensò per un momento agli altri suoi compagni, a Balinor, a
Menion, ad Hendel.
Non aveva fatto sapere a nessuno di loro, a parte vagamente di
sfuggita, come stava. E viceversa. A malincuore decise di alzarsi ed
andarli a cercare, magari chiedendo a uno dei medici se avesse potuto
sostituirlo per un po’ di tempo.
Avrebbe voluto fare tutto meno che allontanarsi da Durin, ma il suo
istinto gli diceva che lui non si sarebbe mai svegliato senza di lui.
Dolcemente, alla ricerca di un ultimo contatto prima di andarsene,
posò le labbra su quelle morbide ed immobili del fratello,
lasciandoci un delicato bacio. Era tutto quello che poteva fare.
Fece lentamente per alzarsi, spostando il peso dalle braccia dove si
teneva alzato, quando gli si presentò un bizzarro fattore:
un essere non ben identificato, che chiaramente non poteva essere suo
fratello, addormentato fino a pochi secondi prima, stava
prepotentemente rispondendo al suo bacio.
Si staccò di scatto, ad occhi sgranati. Quelli di Durin lo
fissavano maliziosi, ancora con una vaghissima ombra di sonno.
-Mi piace parecchio questo nuovo metodo di sveglia-
Aveva la voce impastata dal lungo riposo, e mentre il fratello minore
lo fissava come fosse un fantasma cominciò a strofinarsi gli
occhi, come un gatto sornione.
Quando ebbe finito, riportò la sua attenzione su Dayel,
ancora nella stessa posizione.
-Beh?! Dayel stai bene?-
Faceva lo spavaldo, nonostante la voce affaticata e la poca
mobilità.
Fece di nuovo per parlare, ma le parole gli si strozzarono in gola
quando vide le lacrime negli occhi e lungo le guance di Dayel. Stava
… piangendo.
Prima che potesse proferire parola, il fratello gli si gettò
letteralmente tra le braccia, soffocandolo.
-Sei contento di avermi fatto prendere questo spavento?! Stupido di un
fratello!!-
Piangeva e gli gridava contro, affondato nei suoi capelli, mentre lo
stringeva a sé, aggrappato convulsamente alla sua stessa
vita, che aveva temuto di perdere per sempre.
Durin restò scioccato per qualche secondo, poi dolcemente
gli passò le braccia dietro la schiene, abbracciandolo. Per
fortuna erano abbracciati in quella maniera, si disse, non avrebbe
fatto una grande figura da fratello maggiore se Dayel avesse visto
anche le sue di lacrime.
Il pianto si spense poco dopo, quando il minore si alzò,
puntellandosi sui gomiti, per guardare Durin in viso. Aveva gli occhi
arrossati, le guance ancora più rosse e lo sguardo truce.
Il maggiore si trattenne a sento dal ridere a quello spettacolo. Dayel
sapeva sempre sembrare un bambino.
Alzò lentamente la mano destra, l’unica che poteva
muovere, fino a raggiungere il suo viso e posarvi una dolce carezza,
portando via le ultime lacrime che ancora indugiavano sulla sua pelle
lattea.
-Non sarò mai contento di vederti in questo stato. E per
quanto riguarda lo spavento, prendila come una piccola vendetta.
–
Strizzò malizioso l’occhio all’altro,
sottintendendo il tremendo spavento che anche Dayel gli aveva fatto
prendere prima di giungere a Storlock, molto molto tempo prima.
Quest’ultimo fece per ribattere, ma Durin lo interruppe.
-Preferisco farti spaventare che permettere che ti facciano del male.
–
Dayel sentì il respiro mancargli. Lo aveva detto con una
tale passione, con una tenerezza, che l’Elfo ebbe paura di
finire per piangere di nuovo. Si era fatto ferire in quella maniera
orripilante perché non voleva che capitasse a lui. Quello
stupido.
Quell’appellativo adattato a suo fratello maggiore lo fece
sorridere.
-E adesso cosa hai da ridere? Il mio sacrificio è
così ridicolo?!-
Il tono poteva sembrare irato e offeso, e Dayel ci avrebbe potuto anche
credere se non avesse visto chiaramente quel brillio divertito negli
occhi smeraldo.
Senza rispondergli lo baciò di slancio, tappandogli la
bocca. Durin, come suo solito, volle approfondire la reciproca
conoscenza, posando una mano dietro la nuca del fratello e
avvicinandolo maggiormente a sé. Lo lasciò
soltanto quando temette di soffocarlo.
-Tu hai la pessima abitudine di zittirmi con un bacio quando non vuoi
sentirmi parlare…-
-E tu quella più che deviata di tentare di violentarmi ogni
volta che cerco un po’ di affetto…-
gli rispose per le rime Dayel. Con una voce leggermente incrinata ed
ansimante, constatò con piacere.
Rimasero a guardarsi per un’infinità di tempo
negli occhi, movendoli appena per catturare un piccolo e insignificante
movimento l’uno dell’altro, persi nel loro piccolo
mondo perfetto.
Fatto della reciproca presenza.
All’improvviso, colto dalla stessa subitanea sensazione che
lo aveva preso quel giorno a Storlock, Durin sentì in fondo
al cuore di dover parlare.
Ma stavolta non di dover dire qualcosa, una cosa qualsiasi.
No, lui doveva dire a Dayel una cosa precisa, che mai aveva avuto il
coraggio di esternare.
Prese un profondo sospiro.
-Dayel…-
Il suddetto lo guardò con più interesse ed anche
un velo di preoccupazione.
-Senti Dayel…-
Niente, non riusciva a terminare un qualsiasi periodo articolato.
-Durin, non ti preoccupare…-
Anche quella volta stava cercando di interromperlo, dicendogli di non
preoccuparsi.
Non poteva permettergli di sfuggire ancora una volta; perché
ora che ci pensava non era la prima volta che tentava di svicolare il
discorso, quando vedeva che Durin o la situazione si facevano troppo
seri.
-No, Dayel ascoltami!-
Si sarebbe imposto, con sé stesso e con suo fratello. O
prima o poi sarebbe esploso.
-Durin, davvero, è tutto a posto così. Non
c’è bisogno che tu…-
-No!-
L’esclamazione del maggiore lo fece zittire, lasciandolo a
fissarlo con un’aria tra lo spaventato e il rassegnato.
Sembrava ad un passo dal tapparsi le orecchie con le mani, come i
bambini.
Per precauzione, Durin gliele prese tra le sue, e puntò i
suoi occhi splendenti in quelli speculari di lui.
-Dayel…-
-No…-
-Dayel, fammi parlare!-
Lo guardava con un cipiglio deciso che lo spaventò.
Non voleva che lo dicesse, non voleva che parlasse, voleva soltanto
godere quel bellissimo silenzio che solo tra loro sapeva crearsi. Dire
significava ammettere, ed ammettere non era loro concesso.
Di nuovo Durin fece per prendere la parola, e di nuovo un moto di
panico si impadronì del minore. Glielo avrebbe impedito.
Di getto lo baciò, premendo prepotentemente la bocca su
quella del fratello, in un gesto che sembrava molto più
adatto all’altro che a lui.
Durin non si sottrasse, ma nemmeno cercò di approfondire la
cosa. Semplicemente, assecondò le sue labbra, lasciando in
Dayel un sano senso di scampato pericolo.
Ma non aveva calcolato la furbizia maliziosa del fratello. Durin si
lasciò scappare un sorrisetto malefico, e proprio ad un
passo dalle sue labbra rosate sussurrò:
-Ti amo-
Dayel sgranò improponibilmente gli occhi, tramutandoli in
due laghi verdissimi, e un rossore scarlatto si impadronì
delle sue guance diafane.
Lo aveva fatto, lo aveva detto. Adesso niente avrebbe potuto salvarli,
non si sarebbero più potuti nascondere dietro nulla.
Eppure non suonava così male. Se lo ripeteva nella mente,
era un suono così dolce, così piacevole; lasciava
una sensazione inspiegabile di appagamento e di calore nel cuore.
Inconsapevolmente un sorriso si formò sulle sue labbra,
ancora ad un passo da quelle di Durin.
-Dovresti vederti, Dayel. Sembri un pomodoro maturo!-
Ridacchiava quest’ultimo, guardando l’espressione
di beatitudine mista ad imbarazzo del fratellino. Che, indignato, mise
su un cipiglio imbronciato, e senza guardare il viso
dell’altro, si alzò e facendo un giro impossibile,
si buttò sotto le coperte assieme a lui.
-Fammi spazio, stupido. –
Borbottò, ancora rossissimo in volto. Durin rise di gusto a
quel comportamento infantile, e ignorando le sue flebili proteste gli
passò un braccio attorno alle spalle e lo attirò
a sé, abbracciandolo. Dayel, sempre imbronciato,
poggiò la testa sul suo petto, accomodandosi.
Non avrebbe lasciato quella stanza per molto tempo, se lo sentiva.
Scese un silenzio rotto solo dai loro respiri regolari, tranquilli
nella vicinanza al sonno.
-Durin? Beh… insomma… volevo dirti che
anch’io… anche io ti…-
La voce gli tremava e soltanto il buio non permetteva al maggiore di
vedere quel particolare colorito violetto vergogna che le sue guance
avevano assunto.
-Insomma… anche io… hai capito no?!-
Concluse spazientito, ritirandosi nella sicurezza dell’incavo
del collo dell’altro.
Durin sorrise nell’oscurità e posò un
bacio delicatissimo sulle labbra di Dayel.
-Lo so, lo so… non preoccuparti-
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