I'll be there, always.

di LouisVans__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


                                                 I'll be there, always         
 
 

L'invidia è una brutta bestia, lo so.
E so che non dovrei invidiare tutti quei bambini, totalmente amati dai genitori, i quali farebbero qualsiasi cosa per renderli felici. Ma non posso farne a meno.
A volte mi chiedo... perchè? Perchè, io? Che cosa ho fatto di male per non meritare un'infanzia felice, spensierata?
La campanella che annunciava la cena mi risvegliò dai miei pensieri con un sussulto.
Guardai l'ora, erano le 20.00 in punto.
Al solo pensiero del cibo mi assalii un forte senso di disgusto ... tuttavia mi costrinsi a scendere nella mensa.
"Eh guarda un po' qui chi si vede!" , l'amara voce di Josh, uno dei tanti ragazzi dell'istituto ad avercela, per qualche inspiegabile motivo, con me, mi giunse familiare alle orecchie.
Aumentai il passo, nella speranza che mi lasciasse, almeno per questa volta in pace... ma prima che potessi svoltare l'angolo del corridoio una scarna mano mi affarrò per la maglia, costringendomi a fermarmi "Sei di fretta oggi, Harry?" .
Non trovavo nulla di divertente in quella frase, proninciata in maniera prepotente, superiore... ma evidentemente doveva essere così, dal momento che suscitò un coro di schiamazzi dal gruppo di amici di Josh.
"Senti, io non ho ancora capito cosa ti ho fatto, perchè se davvero qualche mio comportamento ti ha dato fastidio ... beh, possiamo parlarne..." Non terminai la frase, che un forte pugno mi colpi lo stomaco, provocandomi una fitta lancinante, che mi fece mancare il respiro.
"Sei così stupido... non lo capisci, che nessuno ti vuole? Nemmeno i tuoi genitori ti hanno voluto, hanno preferito sbatterti qui dentro, piuttosto che tenere un demente come te. Fai proprio pena"
Era l'ennesima volta che sentivo qelle frasi, quelle parole, e per l'ennesima volta mi fecero venire le lacrime agli occhi, riaprendo una ferita che troppe volte era stata calcata.
Per l'ennesima volta, quelle parole, mi fecero sentire inaeguato. Uno scarto del mondo, che nessuno vuole.
Mi lasciarolo lì, per terra, Josh e i suoi amici, andandosene ridendo sonoramente.
Ci misi qualche minuto a ricompormi, a cacciare indietro le lacrime, e il dolore allo stomaco.
Un dolore alla quale ero abituato.
Ragginsi la mensa a testa bassa, cercando di non farmi notare, perchè troppo stanco, anche per rispondere alle solite domande, di cosa mi fosse successo.
Mi sedetti in un angolo abbastanza isolato della grande tavolata alla quale ero seduto.
"Ciao, Harry! Hai una brutta cera, devo dire... va tutto bene?"
Peter mi fissava, seduto davanti a me, con un vassoio contente minestrina e insalata.
Era alto, Peter. Aveva una forma slanciata, e un viso armonioso, ma occhi troppo stanchi, troppo vecchi per appartenere ad un ragazzino di 15 anni.
Mi sforzai di sorridergli, era gentile con me, sempre.
E quello era il minimo che potessi fare per ringraziarlo.
"Normale... tu, come va?"
Mi sorrise come se stesse aspettando proprio quella domanda;"Ohh, alla grande, Harry!",
affermò, allegro, "Oggi sono finalmente riuscito a chiedere a Jessica...sai, la ragazza che mi piace, di uscire! E indovina che ha risposto!",
aprii la bocca per rispondere, ma Peter mi anticipò "Ha detto di sì! Tu... tu non hai idea di quanto sia contento! Mi ha dato il suo numero di telefono... sai?"
Peter mi parlò tutta la sera di quanto fosse contento che Jessica avesse accettato, e di quanto la adorasse... ma io rimasi ad ascoltare, senza mai dire nulla. Qualche volta annuivo, altre sorridevo, ma, di fatto, io con le ragazze non avevo un minimo di esperienza. Motivo per cui non sapevo che dire. "Beh, grazie per la chiaccherata, Harry.
Ci vediamo!" "Certo, e grazie anche a te".
Tutti i ragazzi dell'istituto nel frattempo si stavano alzando, per dirigersi verso le rispettive camere.
Feci anche io per alzarmi, iniziando a pregare di non ricontrare Josh e i suoi amechetti.
"Harry... posso parlarti?", disse una voce dolce.
La voce di Anne, la donna che mi aveva raccolto, ben 16 anni prima da per terra, quando i miei genitori, se così posso definirli, mi abbandonarono davanti alla porta d'ingresso.
"Dimmi", affermai. Di sicuro non era niente di buono.
Lo avevo imparato con gli anni, che quando le persone ti dicono 'posso parlarti', c'è qualcosa che non va. "Vieni", mi disse, facendomi segno di seguirla.
Arrivati nell'angolo della mensa estrasse una busta dal grembiule.
"Questa avrebbe dovuto dartela il direttore questa mattina, ma ha avuto un impegno improvviso, e mi ha detto di dartela... mi dispiace, Harry".
Anne non aggiunse altro, e tornò a sparecchiare i tavoli. Incuriosito fissai la busta, facendomi forza per aprirla. Ne estrassi un foglio, e lo spiegai.


" Il signorino Harry, di anni 16, quest'oggi, è obbligato, in seguito all'articolo dell'istituto, ad abbandonare entro le ore 23.00 l'edificio......"
 

Non andai avanti a leggere. Lo piegai, o meglio, lo stropicciai, quel foglio. Ancora non sapevo, che quel pezzo di carta avrebbe cambiato radicalmente la mia vita.





Ciao a tutti!

Questa fanfiction è il frutto della diabolica mente della mia migliore amica, e mia.
Dal momento che è la "nostra" prima storia, vi saremmo eternamente grate se ci diceste cose ne pensate, accettiamo tutte le critiche! infondo servono a crescere no?
Un bacio da Ale e Viola99

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


In un certo senso, era come se quella lettere mi avesse tolto un enorme fardello dalle spalle.
Un grosso fardello che con il tempo era divenuto doloroso, insopportabile.
Non potevo, quindi, negare di essere contento di andarmene, dopo 16 anni lunghi, pesanti, colmi di tristezza e lacrime, da quella topaia.
In preda ad un improvviso attacco di euforia, dopo aver ricevuto la comunicazione, mi ero, dunque, precipitato in camera, raccolto i pochi vestiti consumati che mi ritrovavo, ed, infine, uscito.
Uscito in strada.
Uscito, verso una nuova vita.
Una speranza in qualcosa di migliore.
E non avevo salutato nessuno.
Perchè, d'altronde, chi avevo, là dentro, che tenesse a me? Nel momento in cui il massiccio portone scrostato dell'orfanatrofio si chiuse con un tonfo sordo alle mie spalle, non riuscii a trattenere un sorpiro.
Era come una liberazione, quella, per me.
Ben, presto, tuttavia, la felicità lasciò posto ad un grande vuoto, che lentamente venne colmato da un'incondiziono smarrimento.
 Merda.
Non avevo soldi, amici, parenti. Non avevo una casa.
 E quindi? quindi sei fottuto ecco.
Dopo vari minuti, decisi di incamminarmi in direzione del centro, nella speranza di ... beh, di un miracolo.
Mentre procedevo nel grande viale, guardai il cielo. Le nuvole oscuravano le stelle, e lasciavano trasparire una fioca luce, provieniente dalla luna.
Non faceva freddo, per essere una notte di novembre, ma nemmeno caldo.
L'aria della capitale inglese era fresca, e leggiermente dolciastra.
Dopo una mezz'oretta di camminata a passo sostenuto, iniziarono a dolermi i piedi, e i polpacci.
Mi rotravai sorpreso, inoltre, nel vedere come il centro della metropoli fosse ... degradato.
Era da parecchio tempo, dal momento che raramente partecipavo alle uscite organizzate in occasione di quelche festività, dall'orfanatrofio, che non mi recavo nelle principale vie di Londra, ma, ad ogni modo, non le ricordavo così malfamate.
Mi trovavo, infatti, in un quartiere dall'aria povera e fatiscente, caratterizzato da ben poche cose, se non unicamente la miseria.
Stesi per terra, sulla zona pedonale, erano numerosi i senzatetto, rannicchiati in angoli bui e sporchi.
Alcuni di questi sonnicchiavano, altri, semplicemente, fissavano il vuoto con una bottiglia di scadente birra in mano, che a intervalli irregolari si portavano alla bocca. Ragazze volgarmente truccate e acconciate si atteggiavano sul ciglio della strada, al fine di attirare l'attenzione dei vari automobilisti.
Una di queste, con lunghi capelli biondi decolorati, e leggermente unti, mi si avvicinò.
"Hei, bello, ti sei perso?" Okay, questo non è il centro.
"Hem, no. Cioè ... io, io starei cercando il centro, però ... " balbettai, in risposta alla prostituta davanti a me, che emana un adore nausente di profumo, e che mi sorrideva maliziosamente:
 "si, mi sono perso." , mi arresi, alla fine.
L'unica cosa che volevo, in quel momento, era andarmene.
"Mhh", mugulò la ragazza, strusciandomisi addosso.
"se vuoi, posso aiutarti io, sai".
Cercai di scostarmi, ma lei mi intrapplò tra le sue braccia, come un ragno che trattiene la sua preda.
Un profondo senso di disgusto mi assalì.
"N-no, signirona, davvero, io..." , lei aderì maggiormente al mio corpo, mettendo in mostra il petto.
"Fai la brava, Vichy", ridacchiò divertita una voce morbida, vellutata.
Mi girai di scatto, curioso di vedere chi fosse il mio soccorritore.
E rimasi paralizzato. Ammaliato. Incantato. Il ragazzo dinnanzi a me avrà avuto, come massimo, una ventina di anni.
Aveva la pella diafana, priva di imperfezioni.
Occhi azzurri mare, incredibilmente penetranti e profondi, celati sotto lunghe e spesse ciglia nere.
Una bocca perfetta, da sembrare disegnata.
Un naso sottile, armanioso. E mi sorrideva, quell'essere perfetto.
Sorrideva. A me. E probabilmente in un altro momento della mia vita mi sarebbe venuta la bava alla bocca, ma non in quella circostanza, no.
Non in quel luogo. Indossava dei jeans strappati, attillati, e una maglietta nera, sopra la quale era rappresentata la stampa di un teschio.
"Ciao, piccolo", mi fece, "io sono Louis."
Indietreggiai leggermente, inciampando nei miei stessi piedi.
 Caddi sull'asfalto, graffiandomi le mani.
Oh, porca miseria!
Il ragazzo dark mi fissava con gli occhi eggermente socchiusi, come a volermi leggere dentro, e con un'arrogante ghigno stampato sul volto. Mi tese una mano, "Hai bisogno di una mano, piccolo?"
 Fantastico. Di bene in meglio.
"No, grazie. E non sono piccolo, per la cronaca." Louis ritrasse la mano, palesemente divertito, squadrandomi attentamente.
"E dimmi, piccolo, quanti anni hai?"
"21", mentii prontamente.
"Ah, si? E quindi in che anno sei nato?" Spalancai istintivamente gli occhi, colto alla sprovvista da quella improvvisa domanda.
Non ero mai stato un asso in matematica.
Mai.
 Oh, bhè ho sedici anni quindi avendone ventuno avrei quattro anni in più... No? E siccome sono nato nel 1996... sarei nato nel... 1992.
"Hem.... 1992", affermai, non proprio convinto.
Lui mi sorrise, sfoggiando una dentatura perfetta, e avvicinandosi pericolosamente sussurrò:
"Beccato".

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


                                      "I'll be there, always."
Oh Dio.
Che occhi.
Scintillanti e infiniti.
Assolutamente magnetici.
E, si, anche un po' maliziosi.
Mai in vita mia il mio cuore era stato così incline a spezzarsi.
Quegli occhi, però, erano troppo vicini per i miei gusti.
"Che c'è, hai perso la lingua, per caso, piccolino?", disse Louis, mantenendo un tono irrisorio.
Ma che arrogante!
"No, non ti preoccupare", ribattei secco.
E lui mi sorrise.
Di nuovo.
"Beh, dovrsti tornartene a casa. E' tardi, per un ragazzino come te, non trovi?", mi derise.
Probabilmente in circostanze normali avrei risposto con una battuta, a quella frase.
Ma questa non era affatto una circostanza normale.
E io non avevo la minima voglia di scherzare.
"Io non ho una casa. Non più. Mai più"
O forse semplicemente non ce l'hai mai avuta ...
Louis si fece improvvisamente serio, i suoi occhi ... comprensivi.
Come se iniziasse a capire la situazione in cui mi trovavo.
Tentò, quindi, di dire qualcosa, ma non lo fece.
E fu un bene.
Perchè aveva già detto troppo, già nuociuto troppo.
"E ... non hai un posto dove andare, stanotte?", mi chiese, e la sua voce trapelava una nota insolita di preoccupazione, che alterava leggermente la sua voce morbida e vellutata.
Scossi testa, affranto.
"Se vuoi ... puoi venire da me ... non è un problema, e non sarebbe la prima volta che ospito persone, quindi, davvero..." , passava il peso da un piede all'altro, come se fosse in imbarazzo, o a disagio.
Emozioni che facevano a cazzotti con la sua figura esteriore, da ragazzo Dark, e per niente ingenuo, o innocente.
Sotto la luce del lampione, il piercing al labbro luccicò, distraendomi un istante dai suoi occhi
"No, mi dispiace, ma non posso. Grazie comunque", e senza aggiugere altro, ripresi a camminare per il vicolo buio.
Senza guardare più quegli occhi, proseguii senza mai voltarmi indietro, come se tutte le parole uscite da quelle che dovevano essere morbide e calde labbra mi stessero inseguendo.
Ben presto mi accorsi di aver camminato parecchio, e che ormai si era fatto molto buio.
Un buio opprimente.
Soffocante.
La nebbia era divenuta fitta, densa.
Okay, perfetto, mi sono perso.
Avanzai senza una meta precisa, e iniziai ad avere realmente paura, rimpiangendo il fatto di non aver accettato l'invito di quel ragazzo... I mei pensieri furono interrotti quando sentii dei passi in lontananza.
Okay, Harry, stai calmo ... sei in un vicolo cieco dove non vedi niente, ma stai calmo.
Così, facendomi forza, mi girai.
Due figure slanciate e incappucciate mi venivano in contro, con passo sostenuto, deciso.
In un primo momento di smarrimento totale, li fissai interdetto, ma quando fui colto da un improvviso attacco di panico, iniziai a correre.
O meglio, totterellare, poichè il grande borsone a tracolla, dentro il quale avevo riunito tutti i mei averi, mi sbatteva incessante e ingombrante sulle caviglie.
Il risultato del mio tentativo di fuga doveva essere alquanto ridicolo.
E ne ebbi la conferma quando, passando davanti a una vetrina a specchio di un negozio abbandonato mi intravedei: assomigliavo a un tricheco che cerca disperatamente di scappare a due tigri.
La coppia di uomini incapucciati mi aveva quasi raggiunto, e io ordinai alle mie gambe di aumentare la velocità.
Anche se, di fatto, ottenni il risultato opposto.
I polmoni mi bruciavano per lo sforzo, manco avessi corso una maratona.
Mi trovavo in un vicolo stretto, ai quali angoli erano ammucchiati piccoli sacchi di spazzatura.
Sentii una mano afferrarmi per la maglia, e sbattermi per terra.
Oh no.... sono troppo giovane per morire ... Dio, ti prometto che verrò in chiesa tutte le domeniche, se solo ...
Uno dei due uomini stava guardando ansioso la strada, come per controllare che non arrivasse nessuno.
L'altro, invece, stava prendendo delle ... banconote dalle tasche.
Me le buttò addosso, e poco dopo scomparvero, correndo, nella fitta nebbia.
Ma che sta succedendo!?
"Ahhh! Brutto ladro! Credevi di farmela franca, eh!? Solo perchè sono un po' anziana!?"
Una vecchietta sulla suttenatina, relativamente grassoccia, con dei capelli bianchi raccolti in un scomposto chignon, e bassa, mi veniva in contro con un pugno alzato, come in segno di protesta.
La sua espressione era furente.
E la sua borsetta di pelle rigida, prima che potessi reagire, si scagliò violentemente sul mio viso.
Una, due, tre volte.
Pareva la scena di un dramma pazzo.
"Signora, aspetti!", gridai, portandomi le mani davanti al viso, per proteggermi.
La vecchia, però, non ancora soddisfatta, mi si scagliò contro, afferrandomi i capelli, e iniziando a tirarmeli.
Ahia, porca miseria!
"Signora, si fermi! Aiuto! Aiuto, mi stanno aggredendo!", urlai, nel tentativo che qualcuno mi soccorresse da quella matta.
"Signor.. AHIA! Sign... SIGNORA LA PREGO SI RICOMPONGA!"
Stavo perdendo le staffe.
Cercai di rialzarmi da terra ma un altro pugno mi fece sbattere contro il muro freddo.
Fu la vecchietta a darmelo, e notai che aveva la mano quasi totalmente tatuata.
Ma che cazzo ...?
"Ecco! Così impari signorino! Tzè, questi giovani d'oggi... " e se ne andò continuando a farfugliare e gesticolare da sola.
Si, no, okay, Oh mio Dio.
Rimasi appoggiato contro il muro tutto graffitato, non ragionavo più.
Ero stanco.
Sconvolto.
Troppe cose in un giorno, troppe informazioni da accumulare.
E senza avere il tempo di pensare, svenni, cadendo per terra.
                                                                                                                  ***                                                                                              
La prima cosa che avvertii, quando ripresi i sensi, fu un dolore lancinante alla testa, e al braccio.
Lentamente aprii gli occhi, e ci misi qualche istante a mettere a fuoco ciò che mi circondava: ero steso per terra, in una posizione totalmente innaturale.
Era buio pesto, e il lampione illuminava parzialmente il vicolo malfamato.
Due occhi marroni, che mi guardavano, attirarono la mia attenzione.
Mi tirai su di scatto, spaventato, e colto alla sprovvista.
Tre persone mi circondavano.
Si trattava di ragazzi sulla ventina, tutti relativamente alti.
Uno di questi era di sicuro un tossico.
Aveva numerosi graffi sul corpo, occhi lucidi e stanchi, e una carnagione molto pallida.
Sul giallastro.
Era, inoltre, unto e bisunto.
Gli altri due, invece, sembravano comuni ragazzi.
Uno era moro, l'altro aveva lunghi capelli rossi, che gli ricadevono disordinatamente sulle spalle.
"Hey, ragazzo, stai bene?" , mi chiese, il rosso.
Lo fissai qualche istante, incerto se rispondere e ringraziare, o semplicemente afferrare il borsone e svignarmela, di nuovo.
Ma ero troppo stanco, anche per alzarmi in piedi.
Non sarei mai riuscito ad affrontare un'altra corsa.
Optai, quindi, la prima possibilità.
"Hem ... si, grazie".
Feci per alzarmi, ma un dolore improvviso al fianco mi tolse il respiro, ricordandomi la vecchia che mi aveva aggredito poco prima.
Era sparita, e con lei anche tutte le banconote.
"Hai bisogno di una mano?", chiese sempre il ragazzo con i capelli rossi, con finta premura.
"No, ce la faccio da solo. Grazie"
"Non mi sembri dei dintorni. Ti sei perso?", a parlare era stato il ragazzo moro, che mi fissava con antipatia.
E' così evidente?
"A dire il vero, non ho una meta precisa."
I tre ragazzi vicino a me si scambiarono occhiate eloquenti, e si sorrisero.
"Beh," fece il tossico, rivolto al ragazzo moro, ancora accucciato vicino a me "potresti farne un tuo segretario, non credi?"
I tre ragazzi ridacchiarono.
Io, però, non trovavo nulla di divertente in quella frase.
Anzi, vi trovai un barlume di speranza.
"Cercate un segretario?", dissi, alzandomi, e ripulendomi i pantaloni dalle foglie bagnate e marcie che si erano attaccate ai jeans.
I tre ragazzi si scambiarono, per l'ennesima volta, uno sguardo.
"Si, esatto."
E' la tua occasione, Harry. Potrai iniziare una nuova vita, avere una casa, un lavoro.
"Io sono disponibile", affermai, tutto contento, soggiogando un ampio un sorriso.
"Non hai una casa? Una famiglia?", il ragazzo moro, che intanto si era accostato agli altri due, pronunciò quella frase con tono sarcastico, come se si stesse prendendo gioco di me.
In risposta, io scossi la testa.
I tre iniziarono a confabulare a sottovoce tra di loro, e io mi sentii improvvisamente di troppo, desideroso di andarmene.
Ma non potevo rischiare di farmi sfuggire questa occasione.
Dopo un paio di minuti, questi si girarono verso di me.
"Bene," fece il moro, il tono palesemente infastidito, contrariato, quasi arrabbiato "verrai a casa con me"
Oh, Dio, grazie!
                                                                                                                    ***
Numerose erano le domande che avrei voluto porre a quel ragazzo, che mi camminava accanto con aria distaccata.
Forse non è stata un ottima idea accettare così, su due piedi. Avresti dovuto informarti, prima.
Ma di tempo non ne avevo avuto.
Alla fine, spinto dalla curiosità, mi decisi a parlare;
"Io sono Harry, comunque... e tu sei...?"
Il moro non mi degnò nemmeno di uno sguardo, e si accese una sigaretta.
Ispirò, e poi, buttano fuori il fumo dalla bocca fece "Zayn"
Ero desideroso di chiedere qualcos'altro, come, per esempio, dove fossimo diretti precisamente, o in che ambito lavorativo avrei dovuto esercitare la mia professione.
Ma non lo feci, perchè era evidente che lui non avesse la minima voglia di discorsare.
Sovrappensiero controllai l'ora.
Erano le 2:15 del mattino.
Le gambe erano divenuti due macigni che mi trascinavo dietro stancamente.
Avevo un sonno tremendo, e non riuscivo a pensare ad altro se non ad un letto caldo e morbido.
Quando svoltammo l'angolo, entrando nell'ennesimo vicolo malfrequentato la mia attenzione fu attirata da un paio di ragazzini che, pressapoco, avranno avuto quindici o sedici anni.
Erano coricati per terra, magri e ricoperti da indumenti che invece di essere vestiti, assomigliano di gran lunga di più a un paio di stracci, recuperati dalla spazzatura.
Uno di questi ragazzi era riverso nel proprio vomito.
Rimasi scandalizzato da quella atroce visuale, e mi venne voglia di andare ad aiutarli, quei ragazzini.
Tuttavia, dovetti trattenermi, dato che eravamo arrivati, con sommo sollievo dei miei piedi e delle mia gambe, a quella che doveva essere la casa del ragazzo scorbutico, di nome Zayn.
Lui aprì il portone con uno scatto, e lo lacsiò andare, non curandosi del fatto che mi piombò addosso.
Le scale del palazzo maleodoravano di marcio e di chiuso.
Erano quasi totalmente al buio, se non fosse stato per la fievole luce del lampione, che passava attraverso la finestra con i vetri sudici e incrostati.
Altro che impresa delle pulizie, qui ci vorrebbe un gruppo di disinfestazione.
L'appartamento si trovava al secondo piano della vecchia palazzina.
E quando Zayn entrò, e io lo seguii a capolino, dovetti ordinarmi di non scappare via a gambe levate.
Già, perchè quell'appartamento era peggio di una fogna.
La moquette color verde vomito era lercia.
La carta da parati, che rappresentava una stampa floreale, era scolorita, e in certi punti si espandeva, ben visibile, la muffa.
Il salotto era costituito da due divani di pelle consumata, e un tavolino in legno, sopra la quale era posizionata una televisione di modeste dimensioni, che stonava con il resto dell'arredo povero e rovinato.
A desta del salotto, vi era la cucina, dalla grandezza di uno sgabuzzino.
Passandoci davanti potei intravedere un mobiletto, un piano cottura minuscolo, e un fornello.
Ma come diavolo fa a vivere qui dentro?
Zayn notò il mio sconforto, e sorrise, quasi soddisfatto.
Mi fece segno di seguirlo, conducendomi in un corridoio lungo e dall'aria malsana.
Poi, senza tante cerimonie, mi indicò una porta, e aggiunse "Fai come se fossi a casa tua".
Quella frase, però, suonava più come: "Vedi di non rompermi i coglioni, sfigato, o ti rovino"
Aprii la porta, preparandomi al peggio, come ratti giganti che scorrazavano per terra.
Rimasi, invece, sorpreso nel vedere come la piccola stanzetta, arredata con un letto e un piccolo armadio, fosse pulita e ordinata.
Entrai, lanciando il pesante borsone che avevo tenuto fino a quel momento a tracolla per terra.
E mi buttai sul letto.
E, si, quel letto non era il massimo.
Il materasso era un po' troppo rigido, e in certi punti, invece, sprofondava.
A me sembrò, tuttavia, il letto più morbido e comodo del mondo.
E prima che potessi pensare a quell'assurda giornata, mi addormentai, sfinito.
Un forte botto, nella stanza accanto, mi fece riaprire gli occhi di scatto.
Guardai l'ora, erano le 5:00 del mattino.
Un altro botto, più forte di primo, contro la parete, attirò la mia attenzione.
Ero stanchissimo, avevo dormito si e no 3 ore.
Mi stropicciai gli occhi, nel tentativo di di mettere a fuoco l'ambiente circostante.
Quando sentii un forte ansito, preoccupato, mi alzai.
Oh, no! I ladri ... siamo in un posto malfrequentato, queste cose sono all'ordine del giorno ...
In un primo momento ebbi l'istinto di tronare nel letto, e nascondermi sotto le coperte.
Tuttavia, preso dalla agitazione, aprii lentamente la porta di quella che sarebbe dovuta essere la mia stanza, sporgendo la testa nel corridoio, per vedere se ci fosse qualcuno.
La casa, però, era totalmente al buio, senza nessun segno di saccheggio.
Improvvisamente un gemito strozzato proveniente dalla stanza accanto alla mia mi fece sobbalzare.
Zayn ... lo stanno soffocando! Oh mio Dio ...
Senza pensarci due volte mi precipitai verso l'origine del rumore, e una volta davanti alla soglia della camera, spalancai la porta.
Rimasi pietrificato nel vedere la scena che mi si presentava davanti: Zayn completamente nudo sul letto, si voltò di scatto lanciandomi un'occhiata che si trasformò dall'iniziale sorpresa a omicida.
Sotto di lui un ragazzo ansimava.
"Zay... perchè hai semsso? Dai ti prego ... finiamo"
Riconobbi immediatamente quella voce morbida e vellutata.
Quella voce che, qualche ora prima, mi aveva deriso, e poi, quasi per magia, si era fatta dolce, protettiva.
"Esci di qui! Immediatamente! Se non vuoi che ti spezzi l'osso del collo!" mi scossi e ritornando lucido uscii, chiudendo immediatamente la porta.
Oh, Dio ... è gay... quello è il ragazzo Dark, Louis!






Ciao a tutti!
Io e la mia amica, con la quale sto scrivendo questa storia, ci scusiamo per il ritardo con cui abbiamo pubblicato il capitolo, purtroppo lo studio è tanto, e il tempo poco. ç_ç
Speriamo che il capitolo vi piaccia, e vi saremmo immensamente grate se lasciaste una racensione, per farci sapere cosa ne pensate!
Ringraziamo di cuore tutti coloro che hanno recensito, o che hanno aggiunto la fanfiction alle seguite, ricordate, e preferite :)
Questo significa davvero molto per noi!
Un abbraccio.
Ale e Viola99.

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