Dodici uomini, dodici eroi, dodici costellazioni

di Lady_Angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cardia dello Scorpione - Cuore ***
Capitolo 2: *** Albafica dei Pesci - Solitudine ***
Capitolo 3: *** Regulus del Leone - Sorriso ***



Capitolo 1
*** Cardia dello Scorpione - Cuore ***


“Sin dal giorno in cui nacqui ho sempre desiderato soltanto vivere pienamente.
Poco importa se la mia esistenza sarà lunga o breve.”
(Saint Seiya Lost Canvas extra vol.2)
 
Cardia era malato; lo sapeva, conosceva la sua sorte, il suo destino, ma non gli importava perché voleva vivere pienamente la propria vita.   
Gli avevano dato un anno, trecentosessantacinque giorni da passare nel letto di quell’orribile sanatorio; aveva solo dieci anni e seppur piccolo aveva già le idee chiare: non sarebbe morto dentro quelle quattro orribili mura.

Cardia era ribelle; lo sapeva, sapeva che abbandonando il sanatorio avrebbe rischiato la propria vita, ma cosa aveva da perdere? Un anno rinchiuso in quel luogo malato non avrebbe mai e poi mai rimpiazzato un minuto di libertà.
Correva, correva lo scorpione verso la vita, verso quel destino così dannatamente crudele, ma il suo piccolo cuore non poteva reggere quell’euforia di bambino che cercava di liberarsi.

Cardia era coraggioso; lo sapeva, sapeva che sarebbe giunta la sua ora, ma la paura non lo tormentava.

Cardia era arrogante; lo sapeva, sapeva che non si doveva rispondere alle persone più anziane di lui, ma non gli importava perché quell’uomo che era comparso dal nulla gli dava veramente sui nervi.

Cardia era testardo; lo sapeva, sapeva che rifiutando la vita eterna che gli era stata offerta dallo sconosciuto avrebbe abbandonato la possibilità di vivere per sempre, ma cosa se ne faceva di una vita infinita?
L’eternità sarebbe stata una gigantesca gabbia che mai e poi mai gli avrebbe permesso di vivere pienamente la propria esistenza.
Vita eterna. Quanti umani l’hanno desiderata e quanti l’hanno sognata?
Lunga vita, vita infinita e solo per poter scappare da ciò che più terrorizza: la morte.
A Cardia, però, non importava, lui voleva soltanto avere la possibilità di vivere a pieno, di provare tutte le gioie, i dolori, i profumi, i sapori, i sentimenti che una vita breve sarebbe riuscita a fargli assaporare.

Cardia era un cavaliere ; lo sapeva, sapeva che accettando la tecnica segreta del vecchio avrebbe vissuto un po’ più a lungo ed avrebbe tratto dei vantaggi dal suo cuore malandato.
Vivere pienamente; ora poteva permetterselo.

Cardia era impulsivo; lo sapeva, sapeva che davanti al nemico non sarebbe riuscito a fermarsi. Il suo cuore ardeva, gioiva alla vista di un qualcuno in grado di farlo bruciare.

Cardia era un amico; lo sapeva, sapeva che una volta svenuto per via del troppo calore proveniente dal cuore, sarebbe arrivato in aiuto Degel, il suo compagno d'armi.

Cardia era sarcastico; lo sapeva, sapeva che avrebbe riso davanti agli occhi preoccupati del suo migliore amico.
Rideva; rideva davanti a quel destino crudele, a quel cuore ormai malato, a quella vita ormai segnata.
Rideva perché ormai non si poteva fare altro, perché piangere significava soltanto perdere tempo ed abbandonare minuti preziosi.
Rideva perché il riso poteva allungare la vita.

 

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Capitolo 2
*** Albafica dei Pesci - Solitudine ***


“Resterò qui.
Poiché se me ne andassi anch’io, voi resterete sicuramente solo, maestro”
(Saint Seiya Lost Canvas extra vol.1)

 
 
Cosa significa non poter toccare nessuno? Cosa si prova a doversi allontanare dal mondo per non ferire un compagno? Solitudine, ecco l’unica soluzione, l’unica risposta ad un quesito così terribile, ad un destino che, furiosamente, si vuole solo accanire su qualcuno.
Ogni volta che Albafica tornava da una missione doveva per forza passare nella casa dei suoi compagni, chiedere permesso ed allontanarsi  perché aveva paura; tremava all’idea che un suo caro potesse perire per mano del suo stesso venefico sangue.
“Non mi devi toccare” ormai era una frase ricorrente, un avvertimento che ripeteva in continuazione; faceva allontanare qualsiasi essere vivente da quel corpo così candido e perfetto eppure i suoi occhi azzurri celavano un’infinita tristezza e un’irraggiungibile desiderio di calore umano.

Perché Albafica, nel suo cuore, non desiderava altro che un po’ di compagnia.

“Il legame scarlatto”, la sua maledizione. Una condanna immeritata per un ragazzo così generoso. Aveva sacrificato la sua vita per il suo maestro; non gli interessava vivere da eremita  poiché Rugonis era al suo fianco.

Perché Albafica, nel suo cuore, non aveva altro che ricordi.

Il rosso del sangue che scendeva dalla bocca del suo insegnante, il rosso dei fiori che l’avrebbero imprigionato per sempre in quella terra così maledettamente silenziosa, la tristezza nel suo sguardo.
Le lacrime rigavano quel volto perfetto, la malinconia iniziava a farsi sentire e la solitudine stava per divorarsi l’eroe.

Perché Albafica, nel suo cuore, sapeva di essere solo.

Una punizione immeritata, ma pur sempre accettata con estrema signorilità e con la quale conviveva giorno e notte.
La solitudine, quella sensazione orribile; uno stato che porta chiunque a diventare un dannato egoista, ma non per il giovane cavaliere dei pesci.

Perché Albafica, nel suo cuore, cercava solo di salvare gli altri.

Nell’isola dei Guaritori gli era stata offerta una seconda possibilità, una nuova scelta, un mughetto bianco che avrebbe sconfitto il veleno di quelle mortali rose. Una nuova vita fuori dal Santuario, lontano dalla maledizione, ma il giovane eroe aveva esitato e poi rifiutato.

Perché Albafica, nel suo cuore, amava ardentemente le sue rose.

Un bambino, Pefko, salvato da scarlatte rose benigne, un maestro scomparso a causa di un irrealizzabile desiderio.
Proprio quel giorno il cavaliere solitario aveva riassaporato il gusto della compagnia, aveva riscoperto il sorriso di un amico, aveva imparato a non temere più la solitudine.

Perché Albafica, nel suo cuore, voleva ricominciare tutto dall’inizio e così aveva deciso di fare.

Ogni volta che tornava da una missione doveva per forza passare nella casa dei suoi compagni, chiedere permesso ed allontanarsi; quella volta, però, l’aveva notato, aveva visto gli occhi sorridenti degli amici e finalmente era riuscito a capirlo: non poteva sfiorare nessuna persona, ma non era solo, perché tutto ciò che legava lui agli altri cavalieri era un sottile filo trasparente che ogni giorno andava protetto e curato come una delle più belle rose del giardino.

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Capitolo 3
*** Regulus del Leone - Sorriso ***


“Ti assicuro che tornerò!
E, a quel punto, dovrai fare un grande sorriso!”
(Saint Seiya Lost Canvas extra vol.7)
 
 
Un sorriso rende felice l’animo di chi lo dona e regala un momento di speranza a chi lo riceve.
Un sorriso può guarire qualsiasi ferita e può curare un cuore ormai consumato dalle lacrime.

Grecia.

Regulus aveva un eroe: suo padre, il Cavaliere del Leone.
Il bambino viveva protetto dalle braccia possenti del re della foresta, una protezione paterna e piena di calore.
La sua realtà appariva gioiosa, allegra, piena di compagnia ed amore,  ma in un lampo la sua vita cambiò a causa di una Viverna che gli aveva tolto l’unico affetto, gli aveva eliminato l’unico eroe, l’aveva costretto a crescere in un secondo.
Gli anni d’oro di una vita spensierata si erano spenti ed avevano lasciato spazio al buio della solitudine; il viso così solare veniva pian piano ricoperto da lacrime amare, tristi gocce che annacquavano quegli occhi color del cielo oscurandogli la vista felina  e non permettendogli più di vedere né il suo passato né il suo presente, mentre il futuro riusciva ad apparire triste, logoro e solitario.
Per giorni il giovane leone non faceva altro che piangere davanti alla tomba del suo defunto padre; pianti, urli e dolore fino a quando non decise di smetterla perché le lacrime erano terminate ed era riuscito, finalmente, a notare la bellezza dei ricordi.
“Io mi troverò dovunque: nel mondo, nella terra e nelle piante”  questo era il lascito del padre e questo era quello che doveva fare Regulus: osservare il mondo per non dimenticare e perdere il proprio eroe.
Si allenava, lottava con le unghie e con i denti per poter prendere l’armatura color del sole e nel mentre osservava.  Non si faceva sfuggire nulla con i suoi occhi perché con quelle pietre preziose raccoglieva ogni singola immagine, ogni più piccolo particolare per poter ritrovare il padre e per non doversi sentire solo.
Gli anni passavano e finalmente era diventato il nuovo Re della foresta, il nuovo Cavaliere del Leone. C’era riuscito, aveva seguito una delle tante orme lasciategli dal padre; ora toccava a lui proteggere la dea, la propria casa ed il suo santuario e nel giro di poco tempo era riuscito ad ottenere, anche, la sua prima missione.

Irlanda.

Nella terra dei folletti aveva imparato che cosa volesse dire difendere una persona dalle ostilità e soprattutto dalle lacrime della perdita.
Lui aveva acquisito un’altra orma del padre,  l’aveva seguita e l’aveva assimilata, ma non solo. Il giovane Regulus aveva insegnato alla triste Conaire che cosa significasse sorridere anche dopo aver subito un dolore enorme. Il leone, infatti, lo sapeva bene perché in passato  aveva deciso di colpire la tristezza, di schiaffeggiarla, con una delle armi più letali: il sorriso. Voleva dare uno schiaffo morale a quella vita che aveva deciso di togliergli l’affetto più grande.

Grecia.

Regulus era tornato dalla missione con gli occhi colmi di ricordi ed  aveva imparato anche una grande lezione:  proteggere gli altri sempre con un grande sorriso perché era questo che significava essere re, perché era questo che voleva dire essere il Cavaliere d’oro del Leone.
 
 

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