Solo tu

di Firefly137
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Se pensate che questo sia il semplice racconto di un anno di una ragazzina media, smettete pure di leggere, perché il senso di queste righe è ben diverso.
Scusate la mia franchezza, che tutti giudicano così rude, ma io sono fatta così o mi ami o mi odi e non mi sono mai pentita di questo aspetto della mia personalità.
Mi chiamo Giulia, Giulia Rossi. Che nome anonimo, vero?
A volte da bambina stavo a pensare a quante persone in tutta la nazione si chiamano come me. Mi chiedevo sempre, saranno tutte uguali a me, stesso carattere, stessi pensieri?
Con mia nonna paterna era così anche se non avevamo lo stesso cognome, ma solo il nome. Lei mi capiva più di chiunque altro.
Quando se ne andata (modo con cui le persone intendono morta, parola che a quanto pare spaventa molto, troppo) avevo quasi dodici anni, eppure sono stata a frignare per giorni, come una bambina che a perso il suo gioco preferito.
Il problema era che quella perdita aveva innescato in me una specie di effetto domino, che aveva portato all'apertura di cassetti della memoria che avrei preferito tenere chiusi a chiave.
Ma per ora non voglio parlare di questo, bensì del mio grandioso giorno prima del mio quattordicesimo compleanno, quando tutta la storia cominciò.
Il mio compleanno è l’undici settembre. Questo giorno è ovviamente ricordato da tutti per uno degli avvenimenti più importanti e drammatici del secolo: la distruzione delle Torri Gemelle.
Fortunatamente io sono nata precedentemente ed almeno per i primi anni della mia vita o potuto evitare quella formuletta: “ Che giorno sfigato per venire al mondo.”
Quel anno però il mio compleanno sarebbe stato ancora più sfigato del solito perché, come avevo scoperto pochi giorni prima, l’undici settembre sarebbe stato il mio primo giorno di scuola superiore.
Ogni anno spero non sia quello e quasi ogni anno è la medesima fregatura.
Quella vigilia di anno scolastico era stata ancora più allietata dal dolce risveglio che mi diede mia madre.
Erano le otto di mattina. Il giorno prima di scuola le otto del mattino valgono come le tre di notte (che poi correttamente si dovrebbe dire le tre di mattina).
Mia madre non capiva questa essenziale legge.
 Svegliò me e mia sorella urlando i nostri nomi.
 Dovevamo ancora andare a comprare cartella, diario ed il resto del corredo scolastico.
Era dall'ultimo giorno d’agosto che, tornati dalle vacanze, avevo chiesto a mia madre i soldi per andare a fare questi benedetti acquisti.
Mi madre aveva risposto in quel tono così irritante: << Stai calma Giù, voglio venire con te per consigliarti. Infondo c’è ancora così tanto tempo e inutile iniziare a farsi venire l’ansia.>>
Le ultime parole famose.
Ora era lei quella piena di ansia che ci incoraggiava a muoverci, dato che aveva solo quelle poche ore mattutine per accompagnarci.
Mia madre si chiamava Lucia Pastore e proveniva da Vieste, un paesino nel nord della Puglia dove ho passato ogni mia singola estate.
Si era trasferita a Roma per frequentare l’università e qui aveva incontrato mio padre.
Appena presa la laurea aveva iniziato ad organizzare il matrimonio e subito dopo era nata mia sorella.
Credevo che mia madre fosse molto triste.
Perché svolgeva un lavoro che non la soddisfava (faceva la guida in un museo), aveva tre figli di cui occuparsi senza sapere come fare e soprattutto aveva perso la persona che l’amava e le dava la forza di andare avanti.
Sto parlando di mio padre, Massimo Rossi.
Lui morì quando avevo otto anni e mezzo.
Mi manca tutto di lui.
La sua voce profonda e rassicurante.
I suoi occhi, così incredibilmente uguali ai miei.
La sua simpatia che produceva in me un’indescrivibile voglia di vivere.
Le favole che mia raccontava prima che mi addormentassi.
Il suo amore incondizionato.
Mi manca lui.
Nel periodo che sto raccontando però questa mancanza era diventata una sorta di buco nero nella mia testa.
I buchi neri non esistono, perché sono fatti appunto di non materia, eppure sono lì e per quanto tu voglia non puoi ignorarli. Sono stelle che muoiono, l’unica cosa (o non cosa) che possono diventare.
Forse visto che mio padre era una stella mi ero convinta che potesse diventare solo quello nei miei pensieri: qualcosa che tecnicamente non c’è ma in verità c’è sempre.
Anche mentre mi vestivo quella mattina, continuavo inconsciamente a pensare a quando lui ci portava ogni anno a fare gli acquisti prescolari rendendo quel momento magico come sapeva fare solo lui.
Dopo aver indossato un paio di pantaloncini di jeans, una maglietta rossa ed i sandali bianchi ero pronta ad andare, mentre mia sorella era ancora chiusa in bagno a truccarsi.
Con quel caldo come poteva sperare che il trucco sarebbe resistito?
E soprattutto, con quel caldo come sarei resistita io all'inizio della scuola?

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Ogni anno andiamo a fare acquisti sempre nello stesso negozio a bassi costi.
Avrei dovuto essere super indecisa su quello che volevo dato che stavo per iniziare le superiori, invece non mi interessava più di tanto.
Sì insomma, non sono mica uno zaino ed un diario a definire chi sei, no?
Avrei voluto rispondere di no in quel occasione ma sapevo, come so adesso, che il mondo funziona così: l’apparenza è tutto.
Allora optai per la scelta più ovvia ed anonima: diario della comix ed uno zaino tutto blue jeans di cui non mi ricordavo nemmeno il nome della marca.
Ero pronta per essere ancora una volta nella mia vita quella invisibile, quella che sta sempre zitta nel suo angolino.
Quando andavo ancora alle elementari le mastre o i genitori dei miei compagni mi dicevano sempre “Che carina, così silenziosa e timida sei dolcissima.”
Poi ridevano si me e mi incoraggiavano a parlare con frasi come “Dai su. Cos’è il gatto ti ha mangiato la lingua?”
Perché nessuno voleva capire che la timidezza era solo un mio orribile difetto e mettere in risalto continuamente il difetto di una persona non contribuisce molto alla sua autostima?
L’unico periodo in cui ebbi un po’ di pace fu quando morì mio padre. Almeno quando si è in lutto si ha il diritto di stare in silenzio, anche se sempre parzialmente, dato che tutti cercano di consolarti nei modi più squallidi per poi arrendersi, fortunatamente.
Comunque, ritornando alla vigilia del mio compleanno, fui la prima a decidere cosa volevo e dissi a mia madre che uscivo a prendere un gelato perché non ce la facevo più con quel caldo.
La gelateria era proprio a pochi passi e conoscevo il proprietario, Beppe, praticamente da quand’ero nata.
Nonostante questo non avevo molta confidenza con lui, come d’altronde non avevo molta confidenza con zii e cugini, come d’altronde non avevo molta confidenza con nessuno.
Il solito: cono piccolo al cioccolato.
Lo so fa ingrassare, ma d’estate una volta alla settimana e permesso, no?
Mentre leccavo il mio buon gelato mi sembrava che tutti mi fissassero.
“ Guarda quella grassona, chissà quanti gelati si mangia al giorno?” mi sembrava di sentire veramente queste parole che in realtà erano solo nella mia mente.
Mi sentivo grassa, enorme.
Cinquantacinque chili e non arrivavo nemmeno ad un metro e sessantacinque. Grassa e bassa.
Certo, non era poi così esagerato, ma rispetto a quasi tutte le mie compagne di classe c’era un abisso enorme. Speravo di finire in una classe di obesi, così da sentirmi a mio agio.
Non avevo alcuna voglia di tornare dentro il negozio, dove sicuramente mia sorella stava costringendo mia madre  a comprarle un nuovo zaino e comunque sicuramente non mi avrebbero fatto rientrare con quel cono in mano.
Sia la cartolibreria che la gelateria erano affacciate su una piazzetta.
In quella calda mattina della prima metà di settembre tutte le panchine erano occupate, ad eccezione di una, poco lontana da me.
Mi siedo all’angolo, un’altra mia incomprensibile abitudine.
Il posto era molto bello perché dietro davanti a me c’era una fontana bianca e si sentiva il gradevole rumore dell’acqua.
Ero intenta a guardarla e per vedere meglio un particolare mi spostai leggermente a destra e destra era anche la mano con cui reggevo il gelato.
Urtai contro qualcosa, anzi il mio gelato urtò contro qualcosa.
<< Ehi, non mi avevi visto.>>
Mi girai in un attimo verso la voce che aveva pronunciato quelle parole.
Era un ragazzo, forse pochi anni più grande di me, dagli occhi azzurri e dei capelli bruni e scompigliati che però davano l’aria di essere soffici, anche senza il bisogno di toccarli.
<< Scusa, non l’ho fatto apposta.>> dissi seriamente dispiaciuta, ma con una ragionevole domanda in testa: perché si era seduto accanto a me?
Il ragazzo prima la grossa macchia di cioccolato sulla maglia e poi me, con un’espressione incredibilmente serena per la situazione.
<< Non importa, infondo è solo una maglia, si può lavare. Mi dispiace per la a fine del tuo gelato, che non si potrà più mangiare.>>
Mi sorride.
In quel momento non posso fare altro che pensare all’assurdità di quel individuo: come si fa a non arrabbiarsi quando qualcuno ti butta addosso un con gelato?
<< Comunque io sono Alessandro, piacere.>>
Il ragazzo mise una mano avanti, che io probabilmente avrei dovuto stringere.
Ero un po’ confusa. L’ultima volta che avevo visto fare quel gesto era in un film e pensavo che ormai fosse veramente superato.
Vedendo che non rispondevo al saluto il ragazzo, Alessandro o chiunque fosse, ritirò la mano.
<< Anche se non vuoi stringermi la mano, puoi dirmi il tuo nome se vuoi.>>
<< Non si dice il nome agli estranei.>>
Non capivo il perché di quella reazione fredda. Certo avrei potuto darmi validi motivi del tipo: non l’ho mai visto, sembra un tipo veramente strambo o cose così, ma non era nessuna di quelle la vera ragione.
<< Io però ti ho detto il mio nome, quindi non sono un estraneo. Comunque scommetto che il tuo nome inizia con la g.>>
Mi ricordai in quel momento della collanina che portavo al collo, con la mia iniziale placcata in oro, un regalo del mio battesimo.
<< Un attento osservatore.>>
Non so dove trovai il coraggio per dire quella frase.
<< Non sono un semplice osservatore, sono un mago e infatti sono sicuro che il tuo nome è Giulia.>>
Mi guardai intorno come se da qualche parte ci dovesse essere scritto il mio nome con una freccia che mi indicava, ma non c’era niente.
<< Come hai fatto?>>
<< Mi spiace, ma noi maghi non svegliamo i nostri segreti.>>
Era inspiegabile, eppure sentivo qualcosa che mi spingeva a continuare a parlare con quel singolare ragazzo.
Non potevo saperlo, ma quello sarebbe stato l’inizio di tutto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mentre io mi pulivo la bocca dai resti del gelato con un fazzoletto, Alessandro mi guardava con quei suoi grandi e bellissimi occhi.
Ma cosa voleva da me? Dato che sapeva il mio nome forse mi conosceva già da prima. Dovevo chiederlo, ma, come dodici volte su dieci nelle mia vita, mi mancava il coraggio.
<< Comunque io ho quindici anni e vado al liceo classico proprio qui vicino, l’Aristotele, tu?>>
Era lo stesso liceo a cui avrei per la prima volta messo piede il giorno dopo.
Questo mi convinceva sempre di più che quel ragazzo mi conoscesse.
<< Ma tu chi sei e come mi conosci?>>
La domanda apparve più rude di quanto avrei voluto, eppure Alessandro reagì comunque con un sorriso.
<< Mi chiamo Alessandro Ferrari. Sono di Roma. Ho quindici anni compiuti il venti luglio. Sto per iniziare la 2°F al liceo Aristotele. Adoro la musica rock. So suonare la chitarra. Ho un fratello ed una sorella degli amici molto particolari. Penso di averti detto abbastanza su di me. Riguardo alla secondo domanda, no, non ti conosco, ma mi piacerebbe.>>
La situazione si faceva più assurda man mano che la conversazione andava avanti.
Perché un ragazzo così carino avrebbe dovuto essere interessato a conoscere me?
Arrivai alla conclusione che doveva essere tutto uno scherzo, del tipo che un gruppo di ragazzi vedevano in giro una sfigata e si divertivano a prenderla per culo.
Magari sapeva il mio nome perché tutto era stato organizzato da qualche mio compagno di classe delle medie, quei coglioni che mi insultavano continuamente.
Così tutto sembrava avere un senso e si  sa che gli uomini cercano sempre la risposta più semplice.
In quel momento mi alzai dalla panchina con il mio solito sguardo freddo ed indecifrabile e mi girai verso il ragazzo:
<< Chiunque tu sia, tu ed i tuoi amici andatevene a fanculo, perché non è divertente.>>
Per la prima volta il sorriso scomparve dal volto di Alessandro per lasciare il posto ad uno sguardo interrogativo.
Mante mi allontanavo a passo veloce, dietro di me sentivo le sue parole che andavano a scontrarsi con la mia corazzo:
<< Non capisco. Cos'ho fatto? I miei amici chi? >>
Non provò a seguirmi.
D'altronde il tragitto per arrivare dei miei famigliari fu veramente brevissimo.
Erano a pagare alla cassa del negozio.
Finalmente Vanessa e Giorgio (mia sorella e mio fratello) avevano soddisfatto i loro capricci ed erano pronti a tornare a casa.
Mia madre, immersa nella solita nebbia che oscurava il suo sguardo, non si accorse affatto della mi espressione stravolta, invece mia sorella mi domando subito << Cos'è quella faccia? >>
Ovviamente lei non diceva per preoccupazione, ma per la sua abitudine a criticare qualunque cosa io facessi, come ogni sorella maggiore che si rispetti sa fare.
Tornata a casa, dopo il pranzo che non assaggiai quasi per niente (dovevo dimagrire in qualche modo) mi stesi sul letto con il computer portatile a fianco.
Quasi inconsciamente mi ritrovai su Facebook a ricercare il nome Alessandro Ferrari.
Con mia grande sorpresa lo trovai.
Guardai la foto. Era lui. Bellissimo come sempre.
Avevamo anche tre amici in comune, cosa strana dato che ero iscritta su Facebook da quasi un anno ma avevo solo 250 amici.
Quindi forse non stava mentendo.
Perché nel mondo è così difficile scoprire la verità? Perché gli uomini sono così maledettamente bravi a mentire? Chi ha inventato la bugia?
Domande che formavano un groviglio nel mio cervello e sembravano senza risposta.
Mi ero completamente dimenticata del primo giorno di scuola, del mio compleanno, di tutto.
Solo per quel ragazzo semi sconosciuto.
Non gli avrei di certo inviato l’amicizia, poco ma sicuro, ma già pensavo che sicuramente l’avrei rivisto altre volte.
Infondo eravamo nella stessa scuola ed anche nella stessa sezione.
Tutto forse si sarebbe deciso in quelle quattro mura che ho sempre tanto detestato.
Gli piaceva la musica rock.
Un’altra vicinanza a me.
Non sembravo proprio il tipo, ma in realtà era dall'inizio dell’estate che ero rimasta incantata da quel genere magico.
Forse tutto sarebbe iniziato da lì.
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
 
Primo giorno di scuola superiore.
“Solo mille giorni è tutto finirà.” pensai.
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi.
Come ad ogni occasione importante della mia vita, ero arrivata in ritardo.
Non che fosse colpa mia, era mia sorella che ci aveva impiegato la sua consueta eternità per prepararsi.
Purtroppo dovevo andare in motorino con lei.
Come avesse fatto mia sorella a prendere il patentino? Restò sempre un mistero.
Andava veloce come un razzo, senza curarsi più di tanto di segnali o simili.
Si lamentava sempre di quel vecchio motorino rosso dicendo di voler subito guidare un’auto.
L’unica cosa buona di tutto quel discorso era pensare che l’anno dopo io avrei preso il patentino e quel piccolo mezzo rosso che in realtà apprezzavo più di lei.
Arrivammo a scuola proprio mentre stava suonando la seconda campanella.
Vanessa mi mollò lì dicendo che doveva occupare un posto nei banche di dietro in classe. Le quarte e le quinte avevano un’altra entrata.
Io invece da quanto avevo capito dovevo andare in auditorium per il discorso del preside e di vari insegnanti a quelli del primo anno.
Peccato che non sapessi neanche dov'era l’auditorium.
Entrai nella scuola, immergendomi nel bianco dell’atrio.
Era molto spazioso e c’erano anche i distributori di merendine.
Avevo una fame pazzesca, non avendo mangiato niente per colazione e molto poco il giorno prima.
Nell'atrio c’era un solo ragazzo, che stava prendendo qualcosa ad uno dei distributori.
Anche se era girato lo riconobbi subito. Era Alessandro.
Probabilmente tutti erano già in auditorium ed io non volevo fare la figura di quella che arriva quando ormai tutti si erano già seduti.
L’unica era chiederli una mano, ma non avevo alcuna voglia di parlarli.
Non ci fu bisogno della mia iniziativa, perché appena lui afferrò la barretta di cioccolato ed il resto del suo acquisto si girò e mi guardò con il solito sorriso paragonabile solo all'alba.
<< Ero certo che ci saremmo rivisti, ma non immaginavo che succedesse così presto.>>
Ok, ormai era successo, ora non mi restava altro che chiederli la direzione per l’auditorium così da potermi dileguare.
Gli lo chiesi e lui si avvicinò prima di rispondermi.
<< Veramente è nell'edificio qui affianco. Ti accompagno.>>
<< Non dovresti entrare in classe?>>
<< Hanno già fatto l’appello. Ho detto che sarei andato a prendere qualcosa alle macchinette, ma la De Luca mi conosce, sa che intendevo che starò fuori per una ventina di minuti.>>
“Bene è anche uno sfogliato casinista.” pensai tra me e me.
Mi accompagnò fuori dalla scuola e mi indicò un punto del cortile, accanto al bar della scuola.
<< Io ed i miei amici siamo lì alla ricreazione, se vuoi raggiungerci…>>
Non capivo quello che provavo. Da una parte ero quasi commossa da come Alessandro si stava comportando con me, ma dall'altra restavo vigile per paura di una fregatura, dato che tutto stava assumendo dei contorni irreali.
Arrivati all'auditorium entri senza far rumore, salutai con una mano il ragazzo e mi sedetti alla prima poltroncina libera che trovai.
Il preside aveva già iniziato il suo discorso.
L’assemblea di accoglienza andò avanti per quasi un’ora, in cui il preside Galli ed alcuni prof fecero discorsi per tranquillizzarci, si fece l’appello di tutte le classi e si parlò in breve di come funzionava un liceo classico.
Io stavo quasi per addormentarmi, però a tenermi sveglia ci pensava il rumorino del gioco sul telefono che con impegno stava svolgendo il mio vicino di posto. Per fortuna non era in classe con me.
Dopo tutto questo il professore incaricato, un certo Conte, di accompagnò in classe che era al primo piano dell’edificio dov'ero entrata prima.
Ci disse che per quel anno ci avrebbe insegnato italiano e storia. Sette ore alla settimana con lui.
Infondo non era così male: sulla quarantina, alto, capelli neri, occhi nocciola.
Non fui così fortunata per il compagno di banco.
Finii accanto ad uno dei classici secchioni dagli occhiali spessi come fondi di bottiglia  che seguiva ogni discorso del prof e non provò neppure a rivolgermi la parola.
Arrivò la ricreazione. Tutti si alzarono emozionati solo dal fatto di dover scendere in cortile. Infondo era una grande novità per noi, che alle medie dovevamo sempre restare in classe (anche se c’era chi girava per la scuola, seppur senza permesso).
Ora cosa dovevo fare?
Andare da Alessandro? Restare lì da sola in classe?
E’ incredibile come una scelta così banale può cambiare totalmente un’esistenza. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il cortile era illuminato da un sole che sembrava voler annunciare:
<< L’estate non è finita! Uscite da questo posto!>>
Avevo ceduto.
Alessandro mi aveva convinta a fare qualcosa che per me era sempre stata impossibile: conoscere nuove persone.
In realtà quando ero piccola la situazione era leggermente migliore.
Tutti mi definivano una bambina timida, ma riuscivo a trovare degli amici perché alle elementari tutto è più facile. Non c’è cattiveria, almeno fino agli ultimi anni.
Poi quando morì mio padre tutto il mio mondo crollò a pezzi.
Mi chiusi in me stessa. Troncai ogni contatto.
Gli ultimi anni delle elementari amici e amiche tentarono di farmi tornare la Giulia di prima, ma quella bambina dalle trecce castane non esisteva più.
Alle medie nessuno conosceva la mia storia ed io non avevo alcuna voglia di raccontarla, così divenni in breve tempo semplicemente la ragazzina silenziosa ed asociale. Infondo è sempre più facile giudicare un persona che provare a comprendere le cause del suo comportamento.
Invece ora ero lì.
Mi stavo avvicinando al bar della scuola.
Il piccolo edificio riusciva a dare un po’ di ombra, che valeva veramente oro in quella giornata ardente.
Allora lo vidi.
Era appoggiato al muro del bar e stava parlando e ridendo con un gruppetto di ragazze e ragazzi.
Probabilmente erano tutti più grandi di me.
“Bene. Ora me ne ritorno in classe.” dissi fra me.
Purtroppo era troppo tardi.
<< Ciao Giulia.>> l’urlo di Alessandro si sentì ad un chilometro di distanza e la sua mano che mi salutava non lasciava scampo.
Ora anche i suoi amici mi stavano fissando.
Avevo voglia di dissolvermi nell'aria afosa di quella mattina.
Alla fine arrivai accanto a lui.
<< Ragazzi lei è Giulia. Non so nient’altro su di lei perché per ora sono ancora un estraneo.>>
Mi  si parò davanti una bellissima ragazza: era poco più alta di me, castana, snella, belle forme ed occhi nocciola.
<< Piacere, mi chiamo Eleonora, ma tutti mi chiamano Elly. Sono sua cugina, anche se non ci somigliamo per niente.>>
<< Per mia fortuna.>> commentò Alessandro.
Elly gli si avvicinò e gli diede un pugno amichevole sul braccio.
<< Sei proprio un coglione.>>
<< Ci possiamo presentare anche noi?>> domandò un ragazzo dai capelli all'altezza delle spalle lisci e castani, quasi dorati.
<< Certo, basta che non la traumatizzate.>> rispose Alessandro.
<< Io sono Riccardo. Detto Tab.>> disse quello stesso ragazzo.
<< Perché il tuo sopranome e Tab?>> non potei fare a meno di chiedere.
<< Un giorno te lo racconterò.>>
<< Fai anche il misterioso, ma va…>> gli urlò una ragazza bassina, robusta, dai ricci bruni e gli occhi verdi che prosegui << Comunque io sono Victoria, ma non provare mai a chiamarmi così, perché lo detesto. Puoi chiamarmi Vic.>>
<< Io sono Chiara. Puoi chiamarmi Chiara.>> si presentò scherzando così una ragazza alta quasi un metro e settantacinque dai capelli biondo miele più corti di quelli del ragazzo di prima e degli occhiali dalla montatura molto larga.
<< E l’ultimo sfigato sono io, Walter.>>
Quest’ultimo era un ragazzo dai capelli bruni e scompigliati , piuttosto robusto e brufoloso.
<< Questi sono i miei migliori amici. Spero che ti stiano simpatici.>>
Alessandro mi guardava sorridendo come al solito e forse si aspettava che dicessi qualcosa.
Io ero lì bloccata a pensare a quale incidente potevo aver subito per finire in coma ad immaginarmi tutto quello.
Erano tutti così sorridenti, felici, come se fossero contenti di conoscermi. Assurdo, semplicemente assurdo.
<< Stasera noi usciamo. Vuoi venire.>>
L’invito di Alessandro mi paralizzò ancora di più.
Fortunatamente il mondo iniziò a girare nel giusto verso e qualcuno ebbe qualcosa da ridire.
<< Ma se neanche la conosciamo. Non abbiamo fatto entrare nel gruppo neanche Kevin che vediamo ogni giorno e sta a tutti simpatico.>> a parlare era stata Vic.
<< A me non sta molto simpatico.>> replicò Walter.
<< A te non sta simpatica alcuna forma di vita. >> commentò Tab.
Walter stava per replicare, ma Elly li interruppe  facendomi intendere di essere la saggia del gruppo.
<< Ragazzi possiamo tornare in argomento. Ho parlato con Alessandro stamattina mentre venivamo a scuola. Lui vorrebbe farci conoscere meglio Giulia, perché a lui è sembrata una ragazza molto simpatica ed interessante che ha molte caratteristiche in comune con noi.>>
<< Fai il primo?>> mi chiese Walter.
<< Si, ma questo non importa.>> rispose Alessandro per me << Solo perché vai al terzo non significa che perdi punti ad uscire con una del primo, no?>>
<< Infondo non ne abbiamo proprio di punti, cosa dovremmo perdere?>> scherzò Chiara.
Mi piacevano quelle conversazioni disordinate e caotiche fatte in gruppo.
La campanella squillò. La ricreazione era terminata.
<< Ci vediamo in quella piazzetta di ieri alle sei, d’accordo?>> disse Alessandro mentre se ne andava in classe, senza ovviamente aspettarsi da me una risposta.
Perché mi ero comportata da celebro lesa? La solita stupida.
Era incredibile, ma per la prima volta in vita mia avevo voglia di uscire.
 


Angolo scrittrice… Spero che la storia vi piaccia. Una piccola recensione? :-/ 

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