Aveva solo voglia di esplodere.
Nel suo classico modo di “fare le cose come Raffaello”, lui
voleva esplodere.
Non finire sotto tre chilometri terra.
Non lasciarsi cancellare dalle ombre o lasciarsi ingurgitare
da una folla di persone.
Voleva esplodere. Non deprimersi.
Se piangeva, era per raffreddare la pelle calda di rabbia.
Non perché volesse essere consolato. Se singhiozzava, era per reprimere la
forza che gli montava dentro. Chissà poi perché lo faceva.
Di solito, non si tratteneva così a lungo. Esplodeva.
Lasciava la sua energia defluire via. E poi stava meglio.
“Si” pensò, “è di questo che ho bisogno.”
Fermò la moto e la lasciò scivolare a terra, sul ciglio
sabbioso della strada.
Come ci era arrivato, non riusciva a ricordarselo. Aveva
solo guidato, spinto la moto oltre ogni limite di velocità, per brevi tratti
aveva sentito dietro di se le sirene della polizia, ma aveva continuato ad
accelerare e accelerare.
Attraverso la sabbia rossa.
Si tolse con forza il casco, lo buttò a terra.
Tremava. Se ne accorse solo dopo aver tirato la testa fuori
da quella boccia per pesci. Tremava.
Tremava di rabbia, di gelosia, un gelo che lo uccideva
dentro, fuoco che lo consumava, tempesta che lo frustava. Era rabbia, e
impotenza, quella che provava.
Era sicuro di aver fatto le cose per bene, questa volta. Di
poter fare le cose come Leonardo.
E invece aveva incasinato tutto, di nuovo.
Ecco perché fuggiva. Per non distruggere le cose che gli
erano più care. Per distruggere tutto il resto. Come quel deserto rosso sangue
che non aspettava altri che lui per essere distrutto.
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Io sono il migliore in quello che faccio. Ma non sempre
quello che faccio è piacevole.
Questo almeno se lo ricordava.
Tutto il resto continuava a sfuggirgli di mente, ed era
frustrante scoprire di poter richiamare alla memoria solo frammenti confusi.
Una guerra sanguinosa dietro l’altra. Bombe, cannoni,
fucili, si rincorrevano nella memoria. Non ne era sicuro, ma una volta era
stato eseguito assieme ad un uomo.
Ma se era stato ucciso da un plotone di esecuzione, perché
era ancora lì?
Spinse la moto sulla strada, sperando di trovare presto una
pompa di benzina. Certo, speranza un po’ campata in aria, in un deserto.
“Ma non si sa mai”
Poi c’era suo fratello. Era sicuro di aver avuto un
fratello, una volta, in un’altra vita forse. Sembrava tutto così datato, I
mobili, I vestiti, il dialetto, come se fosse stato piccolo solo molto tempo
prima.
Suo fratello lo rimproverava di essere sempre malato, lui
rispondeva che alla sua età anche lui era spesso a letto.
Fece schioccare le ossa del collo taurino. Era davvero tutto
così esasperato, così strano, nella sua testa, che a stento ne riusciva a
venirne a capo.
Sicuro, non era stato un santo. Ma quel Gambit aveva
continuato ad insistere che fosse stato una buona persona. Non la smetteva più
di parlare, quel tipo.
Logan portò avanti la moto come se fosse leggera, come se
fosse un origami di carta sottile.
Andò avanti. Finché non vide la moto di Raffaello sdraiata a
terra, e la tartaruga oltre il guard rail.
“Qualcuno ha avuto una brutta giornata” disse.
Una seconda tartaruga
lo affiancò.
“Lui si chiama
Raffaello. Ed ora è molto arrabbiato”
“Perché dovrebbe
interessarmi?” fece apatico Logan.
“Perché…” continuò
Michelangelo “perché mio fratello ha bisogno subito di un eroe che lo salvi da
se stesso.
Subito. Fallo per me.”
Logan portò di nuovo
lo sguardo sulla tartaruga che, come un dannato, colpiva la sabbia.
Sorrise.
“Sono il migliore in
quello che faccio. Ma non sempre quello che faccio è piacevole”
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Aveva colpito la sabbia forte, più forte, sempre più forte.
Fino a sbucciarsi le nocche.
Allora aveva colpito ancora più forte, mentre la rabbia era
cresciuta, il sangue si era mescolato alla sabbia.
Forse aveva pianto. Ma non ne era sicuro. D’altro canto non
era sicuro di dove fosse. Non era sicuro neppure del tempo che fosse passato.
Perché doveva essere sempre così? Perché doveva essere
lui quello incapace?
Quando la rabbia sembrava affievolirsi, un nuovo groppo gli
si formava in gola.
Leonardo… Leonardo invece era perfetto.
Quella situazione lo animava di una inesauribile energia
nervosa, che però lo stava distruggendo.
Lui era il capo. Lui il salvatore di New York. Lui era la
minaccia per il cattivo di turno. Leonardo, non Raphael.
Aveva colpito ancora più forte la sabbia, e ne era rimasto
intrappolato.
Non riusciva a fare le cose come Leonardo. Non riusciva
ad eguagliarlo neppure lontanamente, per quanto ci provasse. Per quanto si
dannasse l’anima.
Cercò di dimenarsi, senza risultati. Alla fine, sbatté
frustrato la testa nella sabbia.
“Qualcuno ha avuto una brutta giornata”
Raffaello si era girato di scatto, irato. La sabbia si era
attaccata sulle guance, dove prima erano scorse lacrime. Non potevano
interromperlo così, chiunque fosse.
“Che vuoi?” ringhiò.
Il grosso pugno dell’altro lo colpì in faccia.
La vista di Raffaello si sdoppiò. Il suo corpo era stato
spinto nella sabbia. Si alzò immediatamente, pulendosi il muso.
“Te spiezzo!”
Avanzò e fronteggiò l’altro, caricando il braccio; strinse
le dita e sferrò un pugno a sua volta.
Logan intercettò il braccio, tirandolo a se, e sferrò una
forte ginocchiata allo stomaco dell’altro.
Raffaello represse a stento un grido di dolore.
“Ti piace? È Adamantio.”
Cadde carponi a terra. Afferrò il suo Sai, lo lanciò in
alto, distraendo l’uomo; Sferrò un pungo dal basso, colpendo poco più in basso
del plesso solare di Logan.
“Che fai” strascicò Logan sputando disgustato “cos’era
quella carezza?”
La rabbia all’improvviso era mondata nell’animo di Raphael,
come un uragano pronto a distruggere. Era distratto, colpiva male, senza forza,
traballando sulle gambe, già esausto.
“Ca-carezza!” non poteva crederci. Eppure, avrebbe giurato
di aver colpito con tutte le sue forze… invece no.
Ne era seguito un pugno. Un calcio, un altro pugno. - Non
so di quale dei due.
Però ho sentito uno scricchiolio di frattura.- Lo
scontro si era fatto più animato.
Era un succedersi di ganci e pugni, dati e ricambiati
dall’uno e dall’altro.
In uno scontro così frenetico, Raphael sentiva la rabbia
scivolargli via, e orma si era rassegnato a battersi in apnea, senza respirare,
mentre il cuore minacciava di esplodere ad ogni balzo scatto o colpo.
Fino a che Raffaello aveva riconquistato la sua arma
gemella, e le aveva affiancate di fronte al petto giallo.
Per un attimo, la battaglia era cessata. Raphael sembrava sul punto di perdere
I sensi.
“Stai guarendo” disse, fra un sospiro e l’altro, la
tartaruga.
“Prendi fiato, ragazzo. Non ho ancora finito con te.”
“E cosa avresti contro di me?”
Stava prendendo tempo. Si era improvvisamente accorto di
avere un braccio spezzato.
Cosa avrebbe fatto Splinter? Cosa avrebbe fatto … suo
fratello? No; Cosa avrebbe fatto Raphael?
“Sono venuto per darti una lezione” disse, calmo.
SNIKT! – questo
suono era venuto dall’uomo -
Tre lucenti lame, ora, uscivano tra le nocche della mano
destra; tre affilati artigli bucavano la pelle tra le nocche della mano sinistra.
Ora Raphael poteva riconoscere in quell’uomo Wolverine, l’eroe dei fumetti di
suo fratello.
Raffaello strinse le dita sull’impugnatura dei Sai. Il
braccio sinistro si lamentò, ma lui non vi diede importanza. Non poteva perdere
contro un personaggio dei fumetti. E prima che potesse accorgersene, Logan era a
pochi centimetri da lui.
Cosa avrebbe fatto Raphael?
Strinse I denti.
“Non oggi. Non morirò oggi”
Incrociò gli artigli di Wolverine tra il Monouchi e lo Yoku
dei Sai, - il rostro centrale e una delle sue proiezioni – e con un
rapido movimento del polso, girò entrambe le armi facendo puntare a terra il
Saki – la punta – per intrappolare gli artigli.
Spinse in basso le armi, colpendo con una spazzata la guancia dell’altro.
Ora che aveva ritrovato la sua concentrazione, quel ‘ghiottone’
non lo avrebbe certo fermato.
Colpire più forte. Senza arrendersi. Senza pietà. Per
vincere il duello. E tornare dalla sua famiglia.
E chiedere perdono. Ecco cosa avrebbe fatto Raphael.
"Hai
un modo idiota di chiedere scusa, Raphie”
Aveva
smesso di piangere.
Ora che vedeva suo fratello impegnarsi per vincere, tornare a pensare di “fare
le cose come Raffaello”, poteva essere più tranquillo.
Presto sarebbe tornato a casa. A fingere di odiare Leonardo, ad impegnarsi per
proteggere New York, a cercare l’affetto di suo padre.
A litigare con lui.
“Vinci”
disse Michelangelo.
E cambiò
sogno.