C'era stato un tempo...

di TheOnlyWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***



Capitolo 1
*** I. ***






I.


 
C’era stato un tempo, prima che la Regina Cattiva prendesse il controllo della Foresta incantata, prima ancora che Biancaneve nascesse, in cui tutti gli abitanti del Regno erano felici. La vita scorreva placida e tranquilla, all’insegna della serenità, della pace e del quieto vivere.
Era quello il periodo in cui i suoi genitori si erano conosciuti: il Cacciatore lo ricordava bene.
Nelle fredde sere d’inverno, quando il fuoco scoppiettava ardente nel camino e il vento del Nord si abbatteva impetuoso contro le imposte sbarrate, sua madre era solita accomodarsi sulla vecchia sedia a dondolo davanti al focolare, con uno scialle di lana bianca avvolto intorno alle spalle esili e una coperta adagiata sulle ginocchia.
«Mamma ti racconta una storia, tesoro. Vieni, avvicinati a me.» picchiettava leggermente sulle sue gambe e il Cacciatore accorreva, le si sedeva in braccio e le permetteva di accarezzargli i capelli, fino a che il fuoco si riduceva in cenere e il vento cessava di soffiare.
C’era stato un tempo in cui il Cacciatore aveva avuto un nome, un colore preferito – il verde, come gli occhi della mamma –, la paura dei temporali e perfino un’imbarazzante cotta per una bambina che viveva nel villaggio ai margini del bosco. Lei aveva le trecce bionde, gli occhi azzurri e tante lentiggini color nocciola, che risaltavano come costellazioni sulla sua pelle pallida.
Ma quel tempo non esisteva più: Regina aveva sottomesso al suo volere l’intera Foresta, il Re – che stato un uomo buono e gentile – era morto e Biancaneve, sua unica e amata figlia, era stata imprigionata all’interno del suo stesso palazzo.
I soldati della Regina avevano ucciso il padre del Cacciatore e sua madre era morta di crepacuore qualche mese dopo, avvolta nella stessa coperta pesante, le spalle sempre circondate dalla lana bianca. I suoi capelli erano diventati grigi in fretta, come se il dolore le avesse risucchiato ogni goccia di linfa vitale.
Era spirata tra le braccia del suo unico figlio, con lo sguardo annebbiato di chi vede la luce per l’ultima volta, negli occhi di una persona amata.
Il Cacciatore, allora, aveva dimenticato il suo nome: che senso aveva mantenerlo, se tanto nessuno l’avrebbe più pronunciato? Ogni cosa aveva perso importanza. Il verde era tornato il colore degli alberi e dei prati sconfinati ai margini della Foresta; la bambina bionda – che si chiamava Eloise e ormai tanto bambina non era più – aveva perduto il suo incanto e il temporale non faceva più paura, perché tutte le tempeste, prima o poi, trovavano pace.
Ma non l’anima del Cacciatore, perduta i un limbo in cui la solitudine non gli lasciava scampo, smarrita in un regno senza confine, dove la malinconia lo schiacciava, lasciando al posto del cuore un buco nero e privo di vita.
Poi, piano, il tempo aveva ripreso a scorrere e tutto aveva acquistato un senso. Il Cacciatore aveva ritrovato sé stesso, barricando la propria anima o, meglio, quel che ne restava, in una fortiera inespugnabile, costruita con pietre solide come il diamante. Nessuno avrebbe potuto distruggerlo. Era al sicuro, protetto e invincibile.
C’era stato un tempo in cui il Cacciatore aveva ascoltato le favole della buonanotte con gli occhi colmi di meraviglia e il giovane cuore palpitante di sincera emozione.
Ma quel tempo non c’era più e le favole si erano trasformate in incubi: la principessa mangiava la mela avvelenata e la Regina distruggeva la Foresta Incantata e i suoi abitanti.
Il lieto fine non sarebbe mai arrivato. Nessuno avrebbe vissuto felice e contento. Non esistevano più felicità, amore e speranza. Solo tristezza, dolore e una cupa desolazione che avrebbe avviluppato i cuori di tutti come un’erba cattiva.
C’era stato un tempo in cui il bene aveva vinto sul male ma, il Cacciatore lo sapeva bene, quel tempo non sarebbe più tornato.  
 
 
 



 
Buonasera (pomeriggio?) a tutte ^^
È la prima volta che pubblico qualcosa in questo fandom e sono un po’ agitata. Ciò che avete letto – se qualcuno l’ha fatto – è il prologo di una storia che vede Graham come protagonista. E’ un personaggio che ho amato profondamente e la sua morte non mi è proprio andata giù. Perciò, ecco qua un piccolo tributo! Sarà breve, tre o quattro capitoli al massimo, ma spero comunque che vi piaccia.
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate, mi farebbe molto piacere avere una vostra opinione :)
Con affetto,
Fede.


 
 
 

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Capitolo 2
*** II. ***






II.
 
 

 
«Sei morto perché io potessi vivere: perdonami. Il tuo sacrificio ti fa molto onore; grazie.»
La vita negli occhi del daino svanì velocemente, ma il Cacciatore non distolse lo sguardo nemmeno per un istante. Quella creatura era morta per permettergli di sopravvivere e ringraziarla era il minimo che potesse fare.
Presto o tardi, ancora non sapeva quando ma prima o poi sarebbe successo, anche lui avrebbe fatto una fine simile. Sperava solo che potesse essere altrettanto dignitosa.
Caricò il corpo ancora tiepido dell’animale sulle proprie spalle e si incamminò verso il villaggio: la gente aveva fame e lui voleva contribuire il più possibile affinché almeno i bambini potessero mettere qualcosa sotto i denti.
Gli stivali affondavano nella terra bagnata, l’aria era fresca, ma un po’ appiccicosa a causa dell’umidità trattenuta dagli alberi e intorno a lui non si sentivano nient’altro che i rumori ovattati della foresta: il cinguettare degli uccellini, il frinire degli insetti e, da qualche parte lì in mezzo, i passi felpati di Vega, la lupa grigia che oramai era diventata la sua unica compagnia.
Il loro era un legame che trascendeva ogni regola della natura; nemici giurati da che il tempo stesso aveva memoria, il lupo e il Cacciatore avevano trovato un accordo che permetteva ad entrambi di sopravvivere senza doversi uccidere: spartire la preda.
Il Cacciatore sapeva che nessuno vedeva di buon occhio quel suo legame apparentemente incomprensibile con una bestia che per secoli, da sempre, in effetti, aveva dato la caccia all’uomo e seminato il panico. Si era abituato all’improvviso gelo che si creava intorno a lui ogni qualvolta metteva piede al villaggio; ma, infondo, a chi importava? Sarebbe sempre rimasto solo.
Tutti i suoi affetti erano svaniti, ormai divenuti fantasmi nella sua memoria. Non ricordava quasi più il volto dei suoi genitori, la sua casa era stata distrutta dai soldati della Regina e lui viveva quasi allo stato brado, in compagnia di una lupa che tutti disprezzavano, ma che in realtà era molto più umana di quanto la maggior parte degli uomini sarebbe mai riuscita ad essere.
Ma non lui. Il Cacciatore non sarebbe mai diventato come loro; lui avrebbe fatto la scelta giusta, avrebbe mantenuto intatta la purezza del suo cuore, sebbene ormai fosse spezzato e con il battito ridotto al minimo: le sue stesse emozioni non avevano più alcuna importanza. C’era il vuoto, ma al tempo stesso la pace.
Imboccò il sentiero per il villaggio dopo circa un’ora di cammino, ma non prima di aver donato a Vega la sua parte di cibo. La lupa era sparita nel sottobosco trascinando con sé il brandello di carne, ma il Cacciatore sapeva che l’avrebbe rivista più tardi, al calar del sole.
Come sempre, il suo arrivo non passò inosservato: era giorno di mercato e la strada principale era più affollata che mai. Fino a quel momento, era stato necessario farsi strada a suon di urla e gomitate, ma con la comparsa del Cacciatore era calato un silenzio di tomba, tanto fitto da poterlo quasi sfiorare.
Il Cacciatore si fece strada in tutta calma, con lo sguardo fermo, puntato verso la fine del mercato, il daino ancora sulle spalle.
L’uomo era così egoista, pensò. Tutti loro lo erano, dal primo all’ultimo. Persino i bambini non avevano più la loro innocenza. Non avevano il tempo di giocare, di conoscersi, di innamorarsi. La vita era diventata una lotta in cui solo il più forte riusciva a sopravvivere.
Se solo avessero capito… Se solo si fossero resi finalmente conto che non c’era nessuna speranza, che sarebbero tutti svaniti nel nulla spazzati via dalle forze del male, da quella Regina che avrebbe dovuto essere loro alleata e che, invece, li stava portando alla distruzione.
Ed ora erano tutti lì, ad osservare un giovane uomo che temevano e disapprovavano, a fargli strada per evitare un qualsiasi contatto, uno sguardo, un saluto. Eppure aspettavano solo il momento in cui il Cacciatore avrebbe consegnato la sua preda alla vecchia Adelle, che l’avrebbe distribuita secondo criteri che tutti capivano, ma nessuno approvava: bambini, anziani, mendicanti. Se fosse avanzato qualcosa, allora, sarebbe stato venduto. Ma non avanzava mai niente, e il Cacciatore non teneva nulla per sé.
«Dio ti benedica, ragazzo. Il piccolo Tommy non tocca cibo da tre giorni, un po’ di carne gli farà bene.»
Il Cacciatore annuì e rivolse all’anziana donna un cenno di assenso. Adelle era stata la moglie del capo-villaggio, anni prima. Quando lui era morto, lasciandola sola e senza figli, Adelle aveva deciso di aprire la sua casa a tutti gli orfani che la guerra folle e insensata della Regina aveva causato.
Il Cacciatore era stato uno di loro: aveva vissuto con la vecchia Adelle fino al compimento dei diciassette anni, dopodiché aveva deciso di rinunciare a tutto per dedicarsi ad una vita più pura e compassionevole.
Era stato durante la sua prima caccia, che aveva incontrato Vega, allora appena cucciolo, con le zampe troppo grosse e un occhio rosso e magnetico. Guaiva, persa, alla ricerca di qualcuno che le desse da mangiare e la salvasse dal freddo inverno che incombeva. Il Cacciatore aveva ucciso una lepre, l’aveva ringraziata per il sacrificio compiuto e ne aveva offerto il corpo alla lupa. Lei, però, non l’aveva mangiata tutta: con il muso sporco di sangue, aveva spinto ciò che rimaneva verso il Cacciatore. E lui, di nuovo, aveva ringraziato.
Adesso aveva venticinque anni, ma le cose non erano cambiate: Vega era ancora con lui e, ancora, quando erano soli spingeva dalla sua parte brandelli di carne. Il rapporto che tutti aberravano e additavano come contro natura era, in realtà, quanto di più sincero potesse esistere.
«Non prendi niente nemmeno questa volta?» la voce di Adelle appariva rassegnata e dispiaciuta e il Cacciatore sapeva che la sua preoccupazione era sincera, ma non aveva bisogno che si prendesse cura di lui.
In fondo, era il più egoista di tutti: proteggeva il suo cuore da qualsiasi forma di affetto, per evitare che venisse tormentato per l’ennesima volta.
«Ho già tutto ciò che mi serve.» con un ulteriore cenno del capo, si accomiatò dalla donna e riprese il suo cammino verso il limitare del bosco. Ora che si era allontanato, sembrava che gli abitanti del villaggio avessero ripreso a respirare: il mercato si ripopolò di voci e urla e il brusio di sottofondo ritornò tanto forte che probabilmente l’avrebbe sentito chiunque nel raggio di un miglio.
«Cacciatore! Cacciatore, aspetta!»
Eloise era bella come il sole di giugno, quello che faceva maturare il grano, rendeva l’aria tiepida e la pelle dorata. Era così bella che la maggior parte degli uomini avrebbe ceduto un occhio della testa pur di poterla sposare.
Era di natura gentile, affabile e amorevole e, un giorno, sarebbe diventata un’ottima madre. I suoi bambini avrebbero trovato delle braccia esili ma forti e un sorriso d’amore ogni volta che ne avrebbero avuto bisogno e, di quei tempi, sarebbe successo molto spesso.
Il Cacciatore la osservò mentre avanzava verso di lui, con i capelli biondi che si agitavano intorno al viso come un’aureola, mossi dalla foga della corsa.
Teneva sollevata la gonna marrone, per evitare che l’orlo si infangasse ancora di più e, con la mano libera, reggeva un fagotto dall’aria piuttosto pesante.
Quando lo raggiunse, si concesse qualche istante per riprendere fiato, poi gli porse il fagotto con un sorriso così dolce che il Cacciatore non trovò nemmeno la forza di rifiutare. E, forse, nemmeno voleva farlo. Quale essere umano riesce a vivere tanto a lungo senza l’appoggio dei suoi simili? Per quanto ci provasse, per quanto fortemente lo desiderasse, alla fine era umano anche lui.
Un cuore che batteva, un cervello che pensava e un corpo che, tutto sommato, soffriva la mancanza di una carezza gentile, di un abbraccio, di un bacio.
«Non dovresti parlare con me, Eloise. Non dovresti nemmeno avvicinarti.» mormorò, con voce cupa. Eloise scosse la testa, raccolse tutto il coraggio di cui disponeva e sfiorò il viso del Cacciatore con la punta delle dita.
«Sei così solo, Cacciatore. Il tuo cuore invoca pietà, io lo sento. Non si può rimanere soli per sempre: potrei prendermi cura di te, potrei sanare le tue ferite.» spostò la mano sul cuore del Cacciatore, che rimase immobile, completamente pietrificato da un contatto che per anni lui stesso di era negato.
Non ricordava con chiarezza l’ultima volta in cui aveva sentito il proprio cuore battere così furiosamente: era una sensazione strana, che lo atterriva. Cosa avrebbe dovuto fare? Dire di sì, e permettere ad Eloise di curare le sue piaghe e la sua anima devastata con il suo tocco gentile, oppure doveva – come gli suggeriva l’istinto – scappare il più lontano possibile e rinchiudersi di nuovo nella sua gabbia?
«Io non lo so.» la sua voce appariva così titubante e il suo sguardo così spaventato – non più cacciatore, ma preda – che Eloise decise di mandare all’aria ogni dubbio e tutta la sua timidezza, per stringere quel giovane uomo solitario tra le sue braccia, nella speranza di infondergli un po’ di calore e dissipare il gelo che sembrava avvolgerlo come un mantello.
Il Cacciatore rimase immobile, con le braccia distese lungo i fianchi e la sacca con le provviste ancora stretta in mano.
Dopo qualche interminabile minuto, Eloise lo lasciò andare e gli rivolse l’ennesimo sorriso dolce.
«Promettimi che ci penserai, almeno. Anche la tua lupa sarebbe la benvenuta, sai? Potrai essere te stesso, Cacciatore, solo con qualcun altro.»
Trascorso qualche istante, il Cacciatore sospirò: aveva preso una decisione.
«Ci penserò.»
«È più di quanto mi aspettassi. Attenderò fino al tramonto di domani; ti prego, rifletti bene.»
Un’altra carezza sulla guancia, un sorriso fugace ed Eloise corse via, lasciando dietro di sé una scia di sogni, speranza e amore.
Da qualche parte nel fitto della foresta, Vega ululò.
 

 



 
Eccomi qui con il secondo capitolo! Si comincia ad entrare un po’ di più nell’ottica del Cacciatore, si spiega il suo rapporto con Vega – non credo che nel telefilm la lupa abbia un nome e non so nemmeno se il legame con Graham sia tanto forte, ma io l’ho immaginato così – e con gli abitanti del villaggio. E poi c’è Eloise, che sembra portare un po’ di luce nella sua vita. Non voglio anticiparvi niente, ma… niente, okay. Me ne sto zitta.
Spero di essere riuscita a mantenere il carattere del Cacciatore, perché l’ultima cosa che voglio è stravolgere il suo personaggio. In ogni caso, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non vi siate uccise per la noia/disperazione.
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Ne approfitto anche per ringraziare le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e che hanno inserito questa storia tra le seguite, preferite, ricordate. Grazie mille.
Con affetto,
Fede.  

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Capitolo 3
*** III. ***






III.
 


La solitudine è velenosa. Corrode, distrugge e dilania l’animo, rendendo l’uomo non tanto dissimile dalle bestie contro le quali combatte. Il Cacciatore lo sa bene: vive nella solitudine da così tanto tempo che ormai le parole faticano ad uscirgli di bocca. Per questo la lupa è la sua compagna ideale: con lei non c’è mai stato bisogno di parlare. Vega sa.
Sa quando il freddo è tanto intenso da togliergli il fiato, sa quando ha fame, sa quando ha bisogno di compagnia e quando, invece, ha l’assoluta necessità di trovarsi solo con sé stesso e con i suoi demoni.
Quella sera, però, mentre il fuoco cuoceva la carne tenera di un coniglio e al tempo stesso riscaldava un po’ l’ambiente, il Cacciatore si sentì più solo che mai. Per la prima volta da quando aveva scelto che tipo di vita condurre, aveva l’impressione di essersi condannato con le sue stesse mani. Quanto a lungo avrebbe sopportato, ancora, di vivere come un animale selvatico? Poteva fingere di essere un lupo, ma la sua natura umana avrebbe sempre preso il sopravvento.
L’idea di un focolare, di un pasto caldo e di un letto da condividere era più allettante che mai. Eloise sarebbe stata un’ottima compagna, per lui. Lo capiva, lo accettava, l’avrebbe fatto sentire amato e, forse, avrebbe scaldato il suo cuore gelido, riportandolo alla vita. Avrebbe sentito di nuovo qualcosa e la solitudine sarebbe stata meno opprimente.
Come sarebbe stato, poter contare su qualcun altro?
Addentò un pezzo di carne, ma scoprì di avere lo stomaco completamente chiuso. Guardò Vega, che sonnecchiava a qualche metro di distanza. Il pelo grigio era rischiarato dalla luce del fuoco e si era colorato di sfumature aranciate che la facevano sembrare un po’ meno pericolosa del solito. Quando si accorse di essere osservata, aprì gli occhi. Lo sguardo del Cacciatore non la infastidiva: era gentile, sincero e limpido. Non le avrebbe mai fatto del male, anche se ne sarebbe stato capace, anche se avrebbe potuto perché, in fondo, era quello che la natura di entrambi gridava.
Attacca, uccidi, difenditi.
Ma sapevano entrambi di essere al sicuro l’uno con l’altra e tanto bastava. Si addormentarono così, rannicchiati a poca distanza, con il fuoco ormai ridotto in cenere e la solitudine un po’ meno opprimente.
Nevicò, quella notte. Il Cacciatore si risvegliò in preda a brividi di freddo: la coperta e il suo improvvisato giaciglio non l’avevano protetto abbastanza. Ancora una volta, la prospettiva di un letto caldo e di un tetto sopra la testa ebbero la meglio sul suo desiderio di solitudine. Sarebbe andato da Eloise, quella sera. Le avrebbe detto che forse poteva farcela, a ricostruirsi una vita, a creare dei nuovi legami, a fidarsi di un altro essere umano. E forse Eloise l’avrebbe abbracciato, gli avrebbe detto che ci sarebbe sempre stata. Forse sarebbero stati felici, loro due, insieme.
Camminò per la foresta, mentre la neve continuava a cadere e faceva sembrare ogni cosa più candida e innocente che mai. Come poteva un mondo così bello essere vittima di tanta crudeltà? Perché gli uomini si uccidevano tra di loro, perdevano tempo in faide inutili, che avrebbero lasciato solo polvere e ossa e distrutto ogni traccia di lealtà, coraggio e amore?
Sarebbe bastato così poco, per accantonare le divergenze. Avrebbero potuto collaborare l’uno con l’altro, provvedere ai propri bisogni senza scavalcare il prossimo. Forse, avrebbero persino potuto allearsi contro la Regina che, di fatto, era il principale motivo della loro infelicità.
Era lei che aveva portato il regno alla rovina. Lei, che aveva perso di vista la sua umanità, venduto l’anima alla magia oscura e a un uomo che uomo ormai non era più. Nessuno sapeva cosa avesse spinto la Regina a diventare ciò che era e a nessuno importava. Erano tutti troppo egoisti, incapaci di comprendere. Non vedevano al di là del proprio naso e questo li avrebbe portati alla rovina. Anche il Cacciatore era come loro, in fondo. Come gli uomini che tanto disprezzava, preferiva vivere nella solitudine e nel silenzio, nella codardia e al riparo dalla società. Nascosto dalla foresta, che si era rivelata un’alleata quanto mai preziosa e indispensabile, attendeva una svolta che, forse non sarebbe mai arrivata, senza esporsi, senza prendere una decisione.
Si diresse verso il villaggio quando il cielo cominciò ad oscurarsi: la neve cadeva ancora più fitta e un vento freddo aveva cominciato a soffiare impetuoso.
Al Cacciatore tornò alla mente una delle numerose serate passate davanti al fuoco, quando era bambino. Ricordò di nuovo di sua madre, che gli porgeva una tazza di tè caldo e si accomodava sulla vecchia sedia a dondolo. Suo padre attizzava il fuoco nel camino e si sedeva sul vecchio tappeto che un tempo era appartenuto a sua nonna. Restavano lì per ore, in silenzio, a godersi una pace che davano per scontato e che presto gli sarebbe stata negata.
Era passato tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva pensato ai suoi genitori. In genere, cercava di tenere il loro ricordo il più lontano possibile, perché nonostante avesse ormai venticinque anni, faceva ancora male. Così male che l’idea di andare incontro ad Eloise lo atterriva. Ma gliel’aveva promesso ed era un uomo di parola.
Il villaggio era avvolto nel silenzio. Non c’era un’anima in giro e i suoi abitanti erano rintanati nelle proprie case e godersi il calore di un focolare e un pasto magro, ma caldo. Percorse la via principale in tutta calma, guardandosi intorno alla ricerca di qualche avvisaglia di pericolo. Era un accorgimento che aveva preso tempo prima, quando alcuni soldati della regina erano stati avvistati ai confini della Foresta Incantata, alla ricerca di chissà chi. Il Cacciatore sospettava si trattasse di Biancaneve – correva voce che la futura regina si fosse data alla macchia per sfuggire all’odio di Regina – ma se davvero la principessa avesse cercato rifugio nella sua foresta, lui l’avrebbe senz’altro saputo. Nulla sfuggiva ai suoi occhi.
Tranne l’ombra che lo seguì, discreta e celata alla perfezione, fino alla piccola casa in cui Eloise viveva.
Prima di bussare, il Cacciatore prese un profondo respiro. Stava facendo una cosa che andava contro la sua natura di uomo solitario, ma quello era il primo passo. Presto, la solitudine non sarebbe più stata la sua compagna prediletta.
Eloise lo accolse con un sorriso splendente, che mise in mostra due fossette adorabili e gli zigomi rotondi. Si fece da parte per farlo entrare.
«Temevo che non saresti venuto.»
Il Cacciatore annuì, muovendo qualche passo lungo la stanza. Sembrava un animale in gabbia ed Eloise si sentì improvvisamente titubante: come rapportarsi ad un uomo fatto per essere libero? Lei non lo sapeva. Era abituata ai giovani del villaggio, che la guardavano come se fosse un premio da conquistare e, pertanto, se ne era sempre tenuta alla larga, sperando che prima o poi avrebbe trovato il vero amore. Poi il Cacciatore era riapparso nella sua vita e lei aveva pensato che fosse quello giusto per lei. Era un uomo buono, generoso e dal cuore puro, come non se ne incontravano spesso.
Aveva impiegato tanto tempo per trovare il coraggio di parlargli, anche solo per un timido saluto. A volte, aveva avuto l’impressione che lui la odiasse, ma dai suoi occhi scuri non era mai trapelato niente, sebbene dai suoi gesti risultasse evidente la ritrosia verso chiunque lo circondava.
«Se devo essere sincera…» continuò, vedendo che lui non accennava a parlare «Non so come comportarmi. Io ti infastidisco, Cacciatore? La mia presenza, per te, è fonte di disagio?» mormorò, tormentandosi una ciocca di capelli biondi tra le dita esili e pallide.
Il Cacciatore interruppe la sua camminata e si voltò a guardarla, un barlume di perplessità negli occhi.  
«Dovrebbe essere il contrario, Eloise.»
Fu la risposta del Cacciatore. Con passo leggero, si avvicinò all’unica donna che aveva dimostrato di non temerlo. Quando le fu davanti, sospirò.
«Non so come comportarmi. Non sono abituato a stare con le persone, non… ho voglia di scappare, Eloise. Tutto questo mi spaventa.» confessò infine, tutto d’un fiato. Sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie della ragazza e lasciò che lei lo abbracciasse e gli circondasse la vita con le braccia. Rimasero così, in silenzio, stretti l’uno all’altro, a bearsi di un silenzio che non sapeva più di solitudine, ma di pace.
Il Cacciatore pensò che Eloise sembrava fatta apposta per stare tra le sue braccia. Era piccola, minuta, apparentemente indifesa. Ma era coraggiosa e tenace e non si sarebbe arresa di fronte a niente.
Ancora una volta, fu lei a prendere l’iniziativa: si sollevò sulle punte dei piedi, sostenendosi sulle spalle del Cacciatore e gli sfiorò timidamente le labbra, leggera come un petalo di rose e fugace come il volo di una farfalla. Il Cacciatore tremò appena, chiuse gli occhi e si permise, per una volta, di essere un uomo come tutti gli altri. Ricambiò il bacio con intensità, con una mano tra i capelli di Eloise e una invece, sul fianco morbido.
Successe tutto in un attimo: la porta si spalancò all’improvviso e un vento gelido spazzò l’intera stanza. Eloise emise un gridolino spaventato e il Cacciatore estrasse il pugnale dal fodero, prima ancora di individuare la figura che occupava il lato est della stanza.
Era impossibile non riconoscerla. Avvolta in un lungo abito rosso sangue, con i capelli corvini raccolti in un’acconciatura elaborata e il volto sapientemente truccato di nero, la Regina Cattiva aveva il fascino della morte e la malignità del peccato.
Il Cacciatore si parò davanti ad Eloise.
«Sono spiacente, ho interrotto qualcosa?»
Regina mosse qualche passo per la stanza, apparentemente serena. Il Cacciatore seguì ogni suo movimento con lo sguardo, ben attento a non lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio di quella donna pericolosa. Cosa voleva? Perché era lì?
«Vostra Maestà, desiderate accomodarvi?» pigolò Eloise, debolmente. La Regina sorrise, di quel sorriso maligno che lasciava presagire brutte intenzioni e che, pensò il Cacciatore, non annunciava niente di buono.
«Sei molto gentile, mia cara
Eloise rabbrividì e si avvicinò alla Regina per scostarle la sedia. Il Cacciatore represse l’istinto di urlarle di allontanarsi, di scappare il più lontano possibile, ma sarebbe stato impossibile.
«Cosa volete?» domandò, rigido e sempre più in allerta. Aveva un brutto presentimento.
«Mi occorrono i tuoi servigi, Cacciatore. La tua capacità, per ritrovare una persona che intralcia i miei piani.» sibilò la Regina, con gli occhi neri scintillanti di collera e odio a stento trattenuti.
«Trovate qualcun altro, io non lavoro per nessuno.»
In futuro, il Cacciatore avrebbe ripensato a quella risposta fin troppo secca e se ne sarebbe pentito amaramente, ma non allora. Non quando la prospettiva di una vita serena in compagnia di Eloise era l’unica cosa che contava, l’unico progetto nel quale intendeva impegnarsi.
Con un sorriso serafico, la Regina si allisciò le pieghe della lunga veste.
«Occorre trovare un accordo, allora. Forse, con il giusto incentivo…»
La mano della donna affondo nel petto di Eloise prima ancora che il Cacciatore potesse rendersene conto. Eloise urlò, un gemito sofferente e ferito, poi osservò con un misto di stupore e orrore il proprio cuore nella mano della Regina.
«Cacciatore.» sussurrò, terrorizzata.
La supplica sorse spontanea delle labbra del Cacciatore. Lui, che non aveva mai pregato nessuno, si ritrovava a implorare per salvare la vita di una donna gentile, che per lui aveva nutrito un sentimento così puro da riuscire a spezzare la solitudine che lo avvolgeva.
«Vi prego, lasciatela andare. Verrò con voi questa sera stessa, Maestà, ma lasciatela andare.»
A conferma delle sue parole, rinfoderò il pugnale e alzò le mani in segno di resa. La Regina sorrise soddisfatta, il cuore rosse e pulsante ancora in mano.
Eloise, immobile e terrorizzata, guardò il Cacciatore e si sforzò di sorridere. Poi il suo volto si contrasse in una smorfia e gli occhi azzurri si spalancarono per lo stupore. Si accasciò a terra, con la mano dove un tempo c’era un cuore che aveva battuto e che le aveva permesso di amare con intensità.
Nel pugno chiuso della Regina, solo un mucchio di polvere.




 
***



Sinceramente mi sento una cacca. E non solo perché ci ho messo così tanto ad aggiornare (vi chiedo umilmente perdono, a proposito), ma anche perché ho ucciso un personaggio che mi piaceva da matti, sebbene molto diverso dai miei standard. 
Perciò, addio Eloise. Davvero, mi sento male. Non ho mai ucciso nessuno, nelle mie storie, è una cosa a cui non sono abituata. Io sono più per l'happy ending e questa cosa mi distrugge, davvero. Perciò mi ritiro, non ho niente da dire. 
Scusa, Cacciatore, non volevo essere tanto stronza.
Spero che il capitolo, per quanto bleah, vi sia un po' piaciuto. Se vi va, fatemi sapere che ne pensate, davvero, sarebbe importante ed è sempre un piacere leggere le vostre opinioni :)
Con affetto,

Fede. 

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