The Hidden Truths

di Abbysullivan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abby ***
Capitolo 2: *** Lettere d'amore ***
Capitolo 3: *** L'autunno ***



Capitolo 1
*** Abby ***


Capitolo 1- Abby

Lucas mi fissava in silenzio, sembrava mi stesse valutando, il che da parte sua era normale, io rimasi ferma in attesa:
<< Mi piace come sei vestita oggi, l’abbinamento di colori è fantastico. >>
<< Lo vuoi far sapere a tutti? >>
<< Cosa? >>
<< Che sei gay. >>
<< Certo che no! >>
<< Allora fossi in te non parlerei di abbinamenti di colori e vestiti, non sono cose prettamente maschili. >> lui scoppiò a ridere, eravamo cresciuti assieme, ci eravamo sempre detti tutto per questo io ero una delle poche persone a sapere la verità, anche se a me sembrava palese: Lucas era omosessuale.
<< Ok, la smetto di parlare di argomenti femminili. Pensi che ce la faremo ad arrivare in orario oggi? >>
<< No, almeno che Cara non sia pronta entro due minuti. >>
<< Venti minuti fa ha detto che le servivano solo cinque minuti. >>
<< Tendenzialmente i suoi cinque minuti durano mezz’ora. >>
<< Arriveremo in ritardo anche oggi. >> lo decretò con convinzione mentre appoggiava la testa sulla mia spalla, il che non è affatto semplice visto che lui è molto più alto di me. Il quel momento il portone della villa più grande e costosa di Wahoo si spalancò sotto la forza di una ragazza alta e snella, dai lunghi capelli biondi, piccoli occhi azzurri e un sorriso capace di accecare chi ne venisse colto impreparato. Saltò di netto i tre scalini che la separavano da noi, come ci riuscisse con i tacchi per me restava un mistero, e ci abbracciò investendoci con il suo costosissimo profumo di rose:
<< Hey ragazzi! Avete visto? Sono in orario! >>
<< Già è un miracolo, probabilmente ora nevicherà in estate! >>
<< Abby non essere così crudele! >>
<< No, Lucas, ha ragione ma si sa che essere perfetta ruba parecchio tempo. >> scoppiammo tutti a ridere, il bello è che Cara ci credeva davvero, pensava di essere perfetta eppure non era se stessa: i capelli erano tinti, il suo colore naturale era un castano leggermente più chiaro del mio; nemmeno gli occhi erano azzurri, portava delle lenti a contatto, il loro vero colore era simile a quello dei capelli; senza contare i quintali di trucco che aveva sulla faccia ma era mia amica e io le volevo bene.
<< Forse è il caso di muoverci, per una volta potremmo riuscire ad arrivare in tempo. >> iniziammo quindi a correre verso la scuola: giù per la discesa che ci conduceva lontano dal quartiere ricco, attraverso stretti vicoli che puzzavano di marcio e morte nel quartiere malfamato, sino alle “case nuove” come le solevano chiamare anche se ormai erano lì da vent’anni. In una di quelle case, la numero sette per precisione, abitava l’ultimo componente di quelli che consideravo i miei migliori amici: Nicholas Lewis. Non serviva bussare alla sua porta, lui sapeva esattamente quando uscire, quasi ci spiasse dalle finestre, con tendine ricamate a mano da sua zia, di casa sua. Ci venne incontro sul vialetto lastricato al centro del il piccolo giardino fiorito che precedeva la casa sorridendo:
<< Ciao ragazzi! Oggi abbiamo deciso di compire un miracolo, arriveremo prima del suono della campanella! >> poi spostò lo sguardo su di me e parve arrossire un poco
<< Ciao Abby. >> ci incamminammo per la via principale della cittadina, la scuola si trovava a solo un quartiere di distanza. Lucas si avvicinò al mio orecchio e ridendo mi sussurrò:
 << Ciao Abby. >> tentando di imitare la voce di Nicholas, cercai di non scoppiare a ridere ma, soprattutto, cercai di non arrossire. Quando avvistammo i cancelli della scuola in lontananza l’istinto prese il sopravvento e iniziammo a correre a perdifiato, lo facevamo tutti i giorni, non eravamo tipi da arrivare in tempo alle lezioni, io non riuscivo nemmeno a ricordare se fosse mai successo in passato. Una volta varcata la soglia Cara si mise a strillare e saltellare come una pazza:
<< Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta! Siamo entrati prima della campanella! Whooooo! >> alzò i pugni al cielo con fare vittorioso, manco avesse vinto la medaglia d’oro nello sprint sui cento metri, e ci abbracciò di slancio continuando a urlare di gioia. Le persone nel corridoio ci fissavano come se fossimo matti e infondo non avevano tutti i torti ma a noi piaceva così, la normalità non era nelle nostre corde.
 
La scuola ha la brutta abitudine di annoiare gli studenti ma la nostra scuola era superiore: ci distruggeva letteralmente! Gli insegnanti erano tutti ultrasessantenni sulla via della pensione; parlavano in modo sbiascicato e incomprensibile, anche nella remota ipotesi in cui qualcuno volesse seguire la lezione rinuncerebbe dopo neanche un minuto, annaspando tra parole incomprensibili e termini che sembravano provenire dall’elfico antico. Per non parlare poi della nostra pausa pranzo: durava solo mezz’ora, avevi giusto il tempo di mangiare e ritornare alla monotonia della tua aula senza riuscire a scambiare due parole con i tuoi amici, veramente terribile! Senza contare che non ho ancora accennato ai gabinetti, quelli sì che facevano schifo, l’unico utilizzo pratico che ne veniva fatto era ficcarci la testa dei poveretti che finivano sotto le grinfie del gruppo dei “bulli” della scuola capitanato da quel senza-cervello di Ethan McKaine: non lo sopportavo, nessuno lo sopportava in realtà ma tutti si guardavano bene dal dirglielo in faccia, tutti tranne Cara. La campanella dell’ultima ora suonò, meno male che il lunedì finivo presto, gettai l’astuccio e i quaderni nello zaino senza badare se si erano rovinati o meno e mi fiondai fuori dall’aula, nessuno era più veloce di me quando si trattava di fuggire. Uscii dalla scuola e mi sedetti sulla nostra solita panchina ad aspettare, dopo qualche minuto Cara fece la sua uscita trionfale seguita da un manipolo di ammiratori che la imploravano in ginocchio di concedergli un appuntamento, lei mi raggiunse e si sedette al mio fianco, notando che i ragazzi non accennavano ad andarsene o anche solo a zittirsi gli fece un cenno con la mano e, con la voce più dolce e zuccherosa che le avessi mai sentito, disse:
<< Ragazzi vi prego, mi serve un po’ di tempo da sola con la mia migliore amica. Sareste così gentili da lasciarci sole?  >> Si passò una mano tra i capelli, fece svolazzare le sue lunghe ciglia e sorrise dolcemente verso gli ammiratori che risposero all’unisono:
<< Certamente Cara! >> prima di dileguarsi nel cortile.
<< Mi sto ancora chiedendo come ci riesci. >> lei sorrisi beffarda
<< È tutta questione di fascino ma non è bello come sembra, sono piuttosto seccanti. >>
<< Perché lo fai allora? >> la vidi arrossire sotto lo spesso strato di fondotinta, era una cosa assai rara, Cara non arrossiva, mai.
<< È solo che … insomma … c’è questo ragazzo che, diciamo, mi piace ma … >> non le lasciai finire la frase perché ero troppo sorpresa, lei non inseguiva nessuno erano gli altri a dover inseguire lei, il fatto che le piacesse un ragazzo era una novità
<< Che cosa?! Ti piace un ragazzo? Chi è? Dimmi lo conosco? >> la fissavo in attesa, ero così curiosa, lei invece indugiava mordicchiandosi le unghie perfettamente curate e pitturate di un tenue rosa pastello, dopo qualche secondo, che a me parve un secolo, si decise a parlare:
<< Certo che lo conosci, è sempre stato il tuo migliore amico. >> Che. Cosa. Aveva. Detto? Non poteva essere vero, avrei dovuto accorgermene, avrei dovuto dissuaderla dell’innamorarsi di lui fin dall’inizio ma i miei pensieri erano sempre stati altrove, su di un altro fronte amoroso.
<< Stai parlando di Lucas? >> lei mi guardò stupita e poi ridendo aggiunse:
<< Chi se non lui? >> Oh, accidenti! Questo sì che era un bel casino, Cara non sapeva e pensavo non avesse mai neanche riflettuto su quell’ipotesi. Sarebbe stato un disastro!
<< Ma, sì, insomma … ne sei proprio sicura? >> nella mia testa ripetevo “no,no,no,no” come un mantra ma guardando la faccia di Cara e il sorriso stampato sulle sue labbra non potevo che essere felice per lei, non l’avevo mai vista così radiosa.
<< Certo che sono sicura e dopo avertelo detto ne sono più che certa. Ho intenzione di dichiararmi! >>
<< Cosa?! >> il suo sorriso si affievolì leggermente, e ora cosa le avrei detto, non potevo certo dirle di non farlo senza svelarle il segreto di Lucas ma non potevo nemmeno restare a guardare
<< Sì, lo so che per te è impensabile. Credo che il verbo “dichiarare” non faccia nemmeno parte del tuo vocabolario ma dovresti farlo anche tu. >> Cosa? Io non avevo nessuno a cui dichiararmi o almeno non avevo intenzione di dichiararmi a nessuno, che argomento spiacevole ma almeno non stavamo più parlando di lei e del suo amore per i gay.
<< Dichiararmi a chi? >> sbuffai esasperata
<< A Nicholas, mi sembra ovvio! >> abbassai lo sguardo sulle mie unghie, era un bel po’ che non le limavo
<< Smetti di osservarti le mani e rispondimi! >>
<< Che ti devo dire? Non so come tu abbia potuto pensare una cosa simile, lui non mi piace! >> Cara rise con la sua voce cristallina e armoniosa, ogni ragazzo nel giro di duecento metri si voltò a guardarla con un sorriso ebete stampato sulla faccia
<< Certo, come no. Lui ti piace e parecchio, oserei dire, in più che ci perdi? Lui è cotto di te! >> abbassai nuovamente lo sguardo e arrossii
<< Non credo di piacergli … >> Cara si trattenne dal ridere di nuovo
<< Ciao Abby. >> anche lei con l’imitazione di Nicholas, se a Lucas piacessero le ragazze sarebbero la coppia perfetta
<< Smettila di prendermi in giro! >> aprì la bocca per replicare ma poi la richiuse e il suo sguardo si fece serio, mi voltai per vedere cosa avesse attirato la sua attenzione, non era facile distogliere Cara Williams dall’argomento “ragazzi”. Mi ritrovai a guardare una scena già nota, una specie di deja-vu tipico di chi va nella stessa scuola per molti anni: Ethan McKain che se la prendeva con un ragazzino del primo anno, Cara lo odiava e ancora di più odiava gli scontri impari. Si alzò di scatto e si diresse contro Ethan, lo colpì in pieno viso con un pugno, lui ovviamente non se lo aspettava:
<< Smettila di prendertela con quelli più piccoli di te, Ethan McCoglione! >> lui si rialzò, una mano era sul viso e copriva il naso grondante di sangue mentre l’altra era stretta a pungo, pronta a colpire ma nemmeno lui si sarebbe abbassato a tanto, non avrebbe picchiato una ragazza
<< Levati dal cazzo, barbie, questi non sono affari che ti riguardano! >> vidi le labbra di Cara contrarsi in una smorfia di disgusto, sapevo cosa stava per fare e a Ethan non sarebbe piaciuto.
<< Ma davvero? Risposta sbagliata! >> lo colpì in pieno con le sue scarpe tacco dodici nelle parti basse, un urlo soffocato scappò dalle labbra di lui mentre si accasciava a terra, su quelle di lei invece spuntò un sorriso trionfale, si voltò scuotendo i suoi lunghi capelli biondi e tornò a sedersi al mio fianco. Dalla sua posizione a raso terra Ethan non faceva che imprecare e maledirla
<< Uno di questi giorni te la farò pagare cara, Cara! >> io risi
<< Bel gioco di parole per uno con il quoziente intellettivo di un’ameba! >> anche lei rise
<< È la prima volta che ti prendi gioco di lui Abby, pensavo ne fossi spaventata come tutti gli altri. >>
<< Sì, ma questa scena era troppo divertente per non aggiungerci il tocco finale! >> entrambe scoppiammo a ridere nuovamente finché non mi accorsi che Nicholas e Lucas si stavano avvicinando, mi ricomposi, spostai alcune ciocche di capelli dietro l’orecchio e mi liscia la gonna. Mi girai in direzione di Cara, lei fece lo stesso e all’unisono ci chiedemmo:
<< Come sto? >> misi una mano sulla bocca per non ridere
<< Stai benissimo. >> mi rispose
<< Anche tu. >> quando mi voltai nuovamente verso l’entrata i ragazzi ci avevano raggiunto
<< Allora, chi è stata? >> chiese Lucas osservando Ethan che si reggeva palle e naso doloranti
<< E lo domandi pure? È stata Cara. >>
<< Modestamente. >> disse lei sorridendo
<< Andiamo a casa? >> domandò invece Nicholas, sembrava parecchio agitato
<< D’accordo >> risposi, Cara si alzò di scatto battendosi un mano sulla fronte
<< Che stupida! I miei genitori vengono a prendermi in limousine, mi spiace ragazzi ma devo proprio scappare! >> così dicendo corse via, oltre il cancello della scuola, dove una lunga macchina nera pareva attenderla da un po’, com’è che non ci avevo fatto caso? Noi tre invece ci incamminammo sulla strada principale del quartiere vecchio, una strana sensazione mi colse all’improvviso, come se avessi degli occhi puntati addosso. Mi voltai spaventata e incrociai lo sguardo di Alan, uno del mio stesso anno con cui non avevo mai parlato, durò solo qualche secondo poi distolse lo sguardo, eppure la sensazione di disagio non mi abbandonò anzi più cercavo di dimenticarla più la rivivevo nella mia mente, quegli occhi ambrati così simili ai miei si erano come stampati nella mia memoria. Non sarei riuscita a cancellarli mai più.
<< Ehi Abby? Ci sei? >> di colpo tornai alla realtà, Lucas mi stava sventolando una mano davanti alla faccia per vedere se reagivo, la bloccai e mi girai nella sua direzione
<< Scusa ero sovrappensiero, dicevi? >> con uno strattone liberò la mano e si strofinò il polso leggermente arrossato dalla mia stretta
<< Se domenica ti va di andare a vedere la partita di Nicholas, io vado. A cosa stavi pensando? >>
<< Certo che ci sono, chiederò anche a Cara. >> indugiai un attimo prima di aggiungere
<< Alan mi fissava, quel ragazzo è inquietante! >>
<< Tutto qui? È solo strano lascialo perdere. >> le parole di Lucas mi rassicurarono e il mio cuore smise di battere all’impazzata. Continuammo a camminare in silenzio per altri cinque minuti poi Lucas ci salutò, era arrivato a casa. Restavano due minuti di strada fino alla rotonda, due minuti interi solo io e Nicholas, ero così imbarazzata, mi tornò in mente il discorso di poco prima tra me e Cara. No, non dovevo pensarci, non avevo voglia di arrossire davanti a lui, dopo neanche un minuto ruppe il silenzio
<< Emm Abby, ecco io …  >> altro silenzio imbarazzante, ma chi è che l’aveva inventato? Sarei stata capace di andare lì e strozzarlo con le mie mani
<< Tu cosa? >>
<< Io … volevo solo dirti che … >> Oddio, non vorrà dirmi quello che penso stia per dirmi! Ti prego, fa che mi sbagli!
<< Mi piace come sei vestita oggi … sì, ecco >> tirai un sospiro di sollievo
<< Grazie, sei il secondo che me lo dice oggi. >> una leggera espressione d’infelicità passò sul suo volto ma non feci in tempo a domandargliene il perché che parlò di nuovo
<< Eccoci alla rotonda, bene, buona serata, divertiti! >>
<< Con mio padre? Non penso proprio! >> mi salutò con un cenno della mano e continuò dritto, verso le case nuove, io invece svoltai a destra, sulla strada mal asfaltata che conduceva al municipio, la casa di mio padre, il sindaco di Wahoo.
 
Spalancai l’imponente portone in legno e lo richiusi, con un cigolio alquanto sinistro, alle mie spalle. Nella casa regnava il silenzio più assoluto, forse mio padre era fuori per questioni di lavoro. Mi recai in cucina: misi due fette di pane a scaldare; preparai un piatto ed un coltello; presi la marmellata dal frigo e aspettai che il pane fosse pronto. Quando presi in mano la prima fetta mi bruciai le dita, scottava terribilmente
<< Ahi! Accidenti, odio questo tostapane! Quel bastardo a tanti di quei soldi che potrebbe comprare una casa nuova se lo volesse eppure eccomi qui con il tostapane che cuoce il pane come gli pare! >> raccolsi la fetta caduta a terra e la gettai nella spazzatura, presi l’altra con più attenzione e la posai sul piatto, ci spalmai sopra una buona dose di marmellata e mi spostai in soggiorno per gustarmela davanti alla televisione. Dopo neanche cinque minuti sentii dei rumori provenire dall’entrata: qualcuno stava aprendo la porta, spensi in fretta la tv e mi pulii dalle briciole di pane. Quando mio padre entrò mi squadrò da capo a piedi e sospirò demoralizzato
<< Non ci siamo Abigail, quante volte ti ho detto di non mangiare davanti alla televisione? >>
<< Ma io non stavo … >>
<< Stai zitta! >> istintivamente strinsi le braccia sul petto, quando urlava mi faceva paura
<< Ora pulisci! >>
<< Abbiamo una donna delle pulizie per questo. >> risposi indignata
<< Come scusa? >> lo sapevo che aveva capito, mi stava solo dando l’opportunità di cambiare versione e scusarmi, probabilmente era di buon umore, peccato che io non avevo intenzione di scusarmi
<< Ho detto che abbiamo una donna delle pulizie per questo. >> mi fissò rabbioso
<< Certo ma tu non sei superiore a lei e ora muoviti! Pulisci questo schifo, stupida ragazzina! >> andai in cucina, presi scopa e paletta dall’armadio e tornai in sala. Lui mi osservò per tutto il tempo che mi fu necessario a raccogliere le briciole dal tappeto e dal divano, quando tornai indietro feci per salire le scale ma lui mi bloccò afferrandomi il polso
<< Non rispondermi mai più con quel tono di voce, intesi? >>
<< Con quale tono di voce esattamente? >> sapevo che si sarebbe arrabbiato ma non m’importava, poteva urlare quanto voleva, se solo provava a picchiarmi l’avrei denunciato alla polizia e lui sapeva che le mie non erano minacce vuote, l’avrei fatto, nessuno mi avrebbe creduto perché lui era il sindaco e tutti lo credevano un brav’uomo, ma io l’avrei fatto e gli avrei lasciato una piccola macchia indelebile sul suo curriculum da cittadino modello. La sua reputazione immacolata era la cosa a cui teneva di più, addirittura più della sua stessa vita e io l’avrei rovinata, anche se di poco, in eterno.
<< Con questo tono da saputella! >> il polso cominciava a farmi male
<< Lasciami andare. >> mollò la presa, io feci qualche altro scalino poi mi fermai indecisa, mi voltai nuovamente nella sua direzione e aggiunsi:
<< Ci serve un tostapane nuovo, questo fa schifo. >> alzò una mano come per colpirmi, poi parve ripensarci e si fermò, non mi disse se avrebbe provveduto a comprarne uno nuovo ma capii da sola che non gliene importava nulla, come tutto quello che dicevo sarebbe stato dimenticato nel giro di un’ora ma vederlo andare via arrabbiato e insoddisfatto era abbastanza per me, al tostapane avrei pensato poi. Raggiunsi la mia stanza e chiusi la porta a chiave, nel caso John avesse deciso che infondo voleva farmela pagare e io di certo non volevo rendergli le cose facili, avrebbe dovuto sfondarla quella porta per entrare. Mi sdraiai sul letto sospirando, non ero mai andata d’accordo con mio padre, ultimamente poi andava sempre peggio, sarei dovuta scappare ma dove? Wahoo è una piccola cittadina e quando colui che ti cerca ne è il sindaco non ti ci puoi nascondere, nemmeno in casa dei tuoi amici. Avrei dovuto andarmene lontano, se solo avessi avuto il coraggio l’avrei fatto, se qualcuno si fosse offerto di partire con me sarei andata, se Nicholas avesse bussato alla finestra dicendo di volermi salvare dalla mia terribile sorte io gli avrei detto di sì, senza esitare neanche un secondo, tra le sue braccia mi sarei sentita al sicuro, ne ero certa. Forse Cara aveva ragione, forse dovevo dichiararmi: infondo ero innamorata di lui da ben tre anni.

Spazio Autrice
Spero che vi piaccia la mia prima storia! :) Non la sto scrivendo da sola ma in collaborazione con Gilliancole
Spero vi piaccia, aspetto le recensioni! :)

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Capitolo 2
*** Lettere d'amore ***


Capitolo 2 – Lettere d’amore

Pov Lucas

Il campo sportivo della Wahoo High School era affollato da una miriade di studenti, io cercavo di arrancare, spintonando e scusandomi in ogni direzione, verso i posti destinati agli allievi dell’ultimo anno e contemporaneamente cercavo le mie due amiche: Abby e Cara. Ero certo del fatto che quest’ultima sarebbe stata in ritardo ma speravo che almeno Abby si degnasse di arrivare in tempo. Una volta raggiunti i seggiolini dell’ultima fila presi posto posando la giacca sui due posti affianco, qualche minuto più tardi sentii la voce di Abby che si faceva strada nella massa, piccola com’era non ci sarebbe mai riuscita senza un po’ d’aiuto: mi alzai e andai a ripescarla, salvandola da un componente della squadra di football che rischiava di schiacciarla, tenendola per mano la guidai fino all’ultima fila.
<< Grazie per avermi salvato la vita là in mezzo. >> sbuffò lei cercando di riprendere fiato
<< Non c’è bisogno di ringraziarmi, lo so che senza di me non sopravvivresti un solo giorno qua dentro! >> scoppiai a ridere e lei mise in broncio facendo finta che le mie parole l’avessero offesa allora iniziai a solleticarli la pancia, sapevo che non riusciva a resistere per più di due secondi, infatti si mise subito a ridere come una pazza:
<< Piantala! – ristate – Smettila subito! Prima che decida di – altre risate – prenderti a calci! >> tirai indietro le mani e lei si ricompose un poco, senza staccarmi i suoi occhi accusatori di dosso
<< Ora sono veramente arrabbiata con te. >>
<< Sei pessima con le bugie e poi sappiamo entrambi che non puoi restare arrabbiata con me a lungo. >> mi regalò uno dei suoi sorrisi più belli, era tanto che non sorrideva così, ultimamente era spesso di malumore, triste o irritata. Il più delle volte cercava di nasconderlo: faceva battutine ironiche, chiacchierava divertita con Cara o con me, magari riusciva ad incantare la nostra amica bionda ma io e lei eravamo cresciuti assieme e se pensava anche solo di riuscire ad imbrogliarmi si sbagliava. Stavo ancora riflettendo su questo quando Cara apparve, correndo sui tacchi, e si lasciò cadere pesantemente nel posto accanto ad Abby:
<< Santo cielo quanta gente! Credo che nella lotta per superare quell’energumeno laggiù mi si sia spezzata un’unghia! Dannazione le avevo appena limate! >> sospirò esasperata, si mise a frugare nella sua borsetta e dopo poco tirò fuori una minuscola limetta e si mise al lavoro; nel giro di cinque minuti l’unghia sembrava come nuova solo più corta delle altre.
<< Sua altezza ora è pronta? Ci degnerà della sua attenzione? >> chiese Abby cercando di trattenere le risate
<< Scusatemi ragazzi! Non vi ho nemmeno salutato, sono una completa idiota ma sapete quanto ci tengo ad avere mani perfette. Giuro che mi farò perdonare! >> fece una piccola pausa prima di aggiungere:
<< Prima o poi. >>
 
Le partite di calcio non mi avevano mai entusiasmato, erano solo un branco di umani che rincorrevano una palla manco fossero dei cagnolini ma avevo due buoni motivi per essere lì quel giorno: il mio migliore amico giocava a calcio e i suoi compagni erano uno più bello dell’altro, forse avrei dovuto mandare Nicholas in missione per scoprire se ce n’era almeno uno a cui non piacesse guardare sotto le gonne delle cheerleader. L’arbitro fischiò la fine del primo tempo, la nostra squadra era in vantaggio di due goal, mi voltai verso le ragazze per chiedere se qualcuna di loro avesse per caso sete ma Cara mi precedette:
<< Io vado a prendere qualcosa da bere, avete sete? >>
<< No, grazie. >> rispose Abby ancora imbambolata a fissare Nicholas a bordo campo senza maglietta, ma quando si sarebbe decisa ad ammettere che lui gli piaceva?
<< Grazie Cara, questa volta passo. Sarei andato io a prendere da bere ma visto che ti sei offerta, cosa alquanto rara, ti lascio andare. >> lei sorrise stizzita alla mia provocazione e si allontanò scomparendo tra la folla. Abby, che aveva smesso di guardare l’amore della sua vita, scrutava preoccupata la direzione in cui si era diretta Cara, allungava il collo a destra e a sinistra per cercare l’amica.
<< Stai tranquilla, è solo andata a prendere da bere. >>
<< È questo che mi preoccupa, lei non si sforza mai di fare qualcosa se qualcun altro la può fare al posto suo. >> aveva ragione, era uno strano comportamento da parte sua ma a volte capitava che fosse più gentile del solito, sarebbe stato molto più preoccupante se avesse deciso di tornare al suo colore naturale o se una mattina fosse uscita senza trucco. Quindi, tutto sommato, non c’era nulla di strano finché non vidi la squadra di calcio che fissava, immobile, una ragazza alta e bionda mentre avanzava fino al centro del campo di gioco. La guardai allibito: si era tolta i tacchi e aveva raccolto i capelli in un’ elegante coda alta, in mano teneva un microfono ma non avrei saputo spiegarmene il motivo, sorrideva felice come se quello che stesse per fare fosse una delle cose per lei più importanti, tipo una sfilata di moda. Vidi Abby schizzare in piedi agitata
<< Siediti, sarà una delle sue solite idee per mettersi in mostra oppure ha scordato di dire alle cheerleader gli orari del prossimo allenamento. >> risi ma lei non mi stava ascoltando, potevo vedere la sua mente lavorare frenetica alla ricerca di una soluzione per un problema impossibile, quelle fosse il problema però lo ignoravo.
<< Mi stai ascoltando? >>
<< Non c’è tempo! Non è come pensi tu, è … oddio ora che faccio! Lo sapevo che avrei dovuto convincerla a non farlo, avrei dovuto dirgli … no, non potevo! Accidenti a quella stupida promessa! >>
<< Ma che stai blaterando!? Quale stupida promessa? >>
<< Quella che ho fatto a te! Ora è troppo tardi, mi spiace così tanto Lucas non sapevo che l’avrebbe fatto oggi davanti a così tante persone! >>
<< Fatto cosa? >> lei non fece in tempo a rispondermi, Cara iniziò a parlare e tutti potevano sentirla
<< Scusate l’interruzione gente ma c’è qualcosa di davvero importante che devo annunciare! È una sacco di tempo che sto aspettando il coraggio di dirlo e oggi l’ho finalmente trovato. >>
Sentii il respiro di Abby farsi affannoso
<< No, no , non può farlo. >> continuò a sussurrare sempre più agitata
<< Mi sono innamorata del più bello, simpatico e dolce dei miei migliori amici. >>
<< Devo fermarla, lo faccio per lei! >> Abby iniziò a correre lungo gli spalti nel vano tentativo di raggiungerla, non ci sarebbe mai riuscita
<< Sto parlando di Lucas Parker. Lucas io ti amo! >> Cosa? Tutto questo non aveva il minimo senso per almeno tre motivi fondamentali, primo: Cara non s’innamorava degli altri, erano gli altri a innamorarsi di lei; secondo: se lo fosse stata me ne sarei accorto; terzo, non che il più importante: ha me interessavano i ragazzi, non le ragazze. Sulla folla calò il silenzio più assoluto, tutti si voltarono a guardarmi con espressioni di sorpresa sul volto; vidi Abby ferma a metà strada tra il nostro posto e le scale che scendevano sul prato, aveva un’aria così dispiaciuta, probabilmente si sentiva in colpa perché era ormai abbastanza ovvio che lei sapesse. Mi alzai e con estrema lentezza scesi verso il campo, quando superai Abby le sussurrai dolcemente:
<< Non è colpa tua dolcezza, non è colpa di nessuno. >> quando raggiunsi il punto in cui si trovava Cara erano ancora tutti in silenzio
<< Quindi? >> sprizzava gioia da tutti i pori, saltellava da un piede all’altro agitata, in attesa della mia risposta. Le afferrai una mano e la trascinai letteralmente via da lì, fin dentro gli spogliatoi della palestra adiacente, da fuori rincominciarono a venire rumori: il pubblico si era ripreso dalla sorpresa; l’arbitro aveva fischiato l’inizio del secondo tempo e i calciatori erano tornati in campo. Quando ci fermammo avevo ancora il vuoto in testa, non avevo idea di cosa dirgli ne un modo gentile con cui spiegargli la situazione.
<< Mi hai portato qui perché ti vergognavi a baciarmi in pubblico? >> sorrideva, ignara di come si sarebbe sentita di lì a poco
<< No, è solo che non posso farlo Cara. >>
<< Cosa? Baciarmi? >> sembrava confusa e probabilmente lo era ma sorrideva ancora
<< Stare con te. >> la felicità scomparve del tutto sostituita da un’espressione triste e arrabbiata
<< È perché ti piace un’altra? >> magari, almeno sarebbe stato più semplice da spiegare. Presi un bel respiro e mi ripetei che non avevo scelta, lo stavo facendo per il suo bene, meritava di sapere
<< Cara, io sono gay, e almeno che tu non voglia cambiare sesso non credo che la cosa potrebbe funzionare. >> dovevo smetterla con le mie battute idiote, questo non era proprio il momento, ma perché non tenevo la mia boccaccia chiusa ogni tanto?
<< Oh. >> fu l’unica cosa che riuscì a dire, rimasi in silenzio, in attesa della sua prossima domanda, probabilmente la peggiore
<< E non l’hai mai detto a nessuno? >> eccola, questa l’avrebbe distrutta definitivamente
<< Abby e Nicholas lo sanno. >> mi aspettavo che si arrabbiasse con me perché l’avevo detto a tutti tranne che a lei invece se la prese con Abby
<< Cosa? Io mi sono confidata ad Abby una settimana fa e lei non ha fatto nulla per fermarmi! Ha lasciato che mi ridicolizzassi davanti all’intera scuola! Oh ma la pagherà per questo, io … >> non riuscì a finire la frase, scoppiò in lacrime e si accasciò a terra con la schiena contro uno dei tanti armadietti grigi che riempivano la stanza. Mi abbassai e l’abbracciai
<< Le avevo chiesto di non dirtelo, è colpa mia. >> le asciugai le lacrime, lei tirò su col naso un paio di volte prima di riuscire a parlare nuovamente
<< Il primo ragazzo di cui m’innamoro e lui ha la faccia tosta di essere gay, non ti senti un po’ in colpa? >> rise tra i singhiozzi, il sorriso migliore è quello che lotta per farsi strada tra le lacrime: è la felicità che vince il dolore.
<< Sì, forse un po’ ma sono sicuro che là fuori c’è qualcun altro che ti farà battere il cuore e che sarà in grado di ricambiare il tuo amore. >> la strinsi un po’ più stretta
<< E quando lo troverai io sarò in prima fila. >> si sciolse dal mio abbraccio per guardarmi negli occhi
<< Grazie, sarà lo stesso per te, ne sono sicura. >> ci alzammo con l’intenzione di svignarcela prima che i calciatori rientrassero trovandoci nel loro spogliatoio chiedendoci cosa diavolo fosse successo ma poco prima di uscire lei mi afferrò un braccio tirandomi indietro e posò delicatamente le sue labbra sulle mie: era un bacio dolce non passionale; le sue labbra sapevano delle lacrime di poco prima, leggermente salate; era così vicina che potevo udire il suo cuore battere all’impazzata contro il mio petto e allora capii che quello non era un bacio d’amore bensì un bacio d’addio. Quando si allontanò era arrossita leggermente, una cosa che non si addiceva per niente alla Cara Williams che conoscevo
<< Scusami, volevo solo sapere come sarebbe stato. >>
<< Non preoccuparti anche Abby mi ha baciato una volta. >> vidi il suo volto passare da sorpreso a geloso fino a riempirsi di quella curiosità morbosa delle ragazze per le relazioni altrui
<< Che cosa? >> forse sarebbe stato meglio non dirglielo
<< Lascia stare non ha importanza. >> dissi sorridendo, prevedevo già la bufera che si sarebbe scatenata di lì a poco
<< Sì che ne ha! Raccontami tutto! Com’è successo? Perché? Ormai lo hai detto, parla! >> me ne andai ridendo con Cara che mi seguiva sparando domande a raffica con quel tono di voce tipico degli agenti di polizia convinti del fatto che tu sia colpevole, a quanto pareva si era già ripresa dalla delusione amorosa che le avevo procurato.
 

Pov Abby
 
La partita era finita da un pezzo quando Cara e Lucas riapparvero, io li stavo aspettando al solito posto assieme a Nicholas che era appena arrivato. Cara mi corse in contro e con una poderosa spinta mi fece cadere di faccia dalla panchina
<< Tu, che ti autodefinisci la mia migliore amica, razza di idiota! Il cervello lo usi ogni tanto o per te è solo un optional? Non farmi mai più una cosa del genere! >> mi rialzai a fatica tossendo polvere, il naso mi faceva così male che ogni respiro era pura agonia ma per fortuna non era rotto.
<< Lo so, mi dispiace. >>
<< Cara ma sei completamente pazza? Pensavo avessimo chiarito che non è stata colpa sua! >> sbottò Lucas arrabbiato
<< Stai zitto! Io ho chiarito le cose con te, non con lei! >> Cara si girò nuovamente nella mia direzione
<< E ora spiegami quando, dove, come e perché l’hai baciato. >> Baciato? Non era possibile! Lucas le aveva detto del bacio nonostante la promessa!
<< Perché gliel’hai detto? >> lui abbassò lo sguardo con fare colpevole e aveva ragione, era colpa sua.
<< Mi spiace mi è scappato. >> Nicholas, che per tutto quel tempo era rimasto in silenzio, esplose in un urlo pieno di rabbia del tutto atipico per qualcuno così calmo come lo era lui
<< Tu l’hai baciata? >>
<< No, lei mi ha baciato. >> specificò Lucas, sembrava quasi offeso dall’accusa. Nicholas si voltò verso di me scandalizzato continuando a sbraitare come un ossesso
<< Tu l’hai baciato? >> Cara perse anche la poca pazienza che le era rimasta, non che ne avesse mai avuta molta
<< Visto? A tutti interessa parlare del tuo bacio perciò siediti e parlacene! >> ubbidii sedendomi sulla panchina, un gesto che mi strappo un gemito di dolore: nella caduta dovevo aver sbattuto anche una gamba
<< È successo due o tre anni fa. >> iniziai a raccontare
<< Io volevo solo sapere come fosse baciare qualcuno ma … non ero e non sono il tipo di ragazza a cui i ragazzi s’interessano così ho chiesto a Lucas. >> feci una piccola pausa per riprendere fiato, tutti mi ascoltavano in silenzio, Cara sembrava dispiaciuta di avermi trattato con tanta durezza mentre Nicholas era in imbarazzo probabilmente per la sua reazione, ripresi a parlare
<< Mi aveva appena detto di aver capito di essere gay e così ho pensato che era la scelta migliore: lui non mi avrebbe deriso e io non mi sarei sentita in imbarazzo. Tutto qua, non è una grande storia. >> lo dissi con tono triste, lo potevo vedere dagli occhi dei miei amici che riflettevano sempre le miei emozioni, eravamo legati da un’amicizia così profonda che ci sembrava di essere parte di un’unica persona. Cara mi abbracciò
<< Mi spiace tesoro, non avrei dovuto chiederti niente. La rabbia mi ha accecato. >> Lucas alzò lo sguardo da terra per incrociare i miei occhi, nei suoi io leggevo rimorso.
<< Avrei dovuto stare zitto, scusa Abby. >> sorrisi debolmente, era sempre così gentile nei miei confronti anche se spesso parlava più del necessario
<< Sei perdonato. Siete tutti perdonati. >>
<< Anche tu sei perdonata. >> mi sussurrò dolcemente Cara. Il sorriso tornò sul volto di tutti i presenti fino a trasformarsi in una sonora risata.
<< E tu perché hai dato in escandescenza Nik? Geloso che la tua ragazza abbia baciato prima un omosessuale? >> Cara si trattenne a stento dal ridere, io diventai rossa come un pomodoro maturo e Lucas rideva divertito dalla sua stessa battuta
<< Non è la mia ragazza. >> ribatté Nicholas
<< Però vorresti che lo fosse. Dai ragazzi vi piacete da una vita e non avete nemmeno il coraggio di dirvelo in faccia, prendete esempio da Cara! Lei almeno ci ha provato! >> Cara lo colpì con un pugno amichevole alla spalla e Lucas si finse offeso prima di scoppiare a ridere assieme alla mia migliore amica. Nicholas rimase in silenzio ed io voltai la testa per nascondere il rossore che continuava ad ardere sulle mie guancie finendo per incrociare gli occhi ambrati di Alan, mi fissava in silenzio senza nessuna espressione sul viso, non capivo se lo faceva perché era interessato a me, cosa assai improbabile, o per qualche altro oscuro motivo che sfuggiva alla mia mente. Distolsi velocemente lo sguardo e richiamai l’attenzione dei miei amici
<< Alan mi sta fissando, di nuovo! >> tutti voltarono contemporaneamente lo sguardo nella sua direzione
<< Grazie tante! Ottimo modo per farvi notare! >> sbuffai esasperata
<< È davvero inquietante, forse dovremmo fare qualcosa. >> suggerì Nicholas
<< È davvero bellissimo! >> sospirarono Cara e Lucas all’unisono voltandosi poi di scatto l’uno verso l’altra
<< L’ho visto prima io. >> specificò Lucas
<< Si ma oggi mi hai già spezzato il cuore, non vorrai rubarmi anche il ragazzo che mi piace?! >>
<< Ma se l’hai visto solo per qualche secondo? >>
<< E con questo che vorresti insinuare? >> Lucas imprecò silenziosamente verso Cara e riportò l’attenzione su di me
<< Io non me ne preoccuperei Abby, è solo strano. Magari gli piaci. >> risi divertita dalla battuta, io non piacevo ai ragazzi, loro non mi consideravano nemmeno. Se poi contiamo anche il fatto che la mia migliore amica era praticamente una modella si capiva perfettamente perché nessuno mi notava.
<< Lo escludo ma lasciamo perdere, non ho voglia di parlare di questo adesso. >> ci alzammo e di comune accordo ognuno si diresse verso casa propria.
 
Ero convinta che mio padre fosse già uscito, entrai sbattendo la porta per farla chiudere e un urlo mi raggiunse dal piano superiore:
<< Abigail! Si può sapere che ti salta in mente?! >> Accidenti! Ma che ci faceva ancora a casa a quell’ora? Doveva uscire a cena!
<< Mi spiace, c’era corrente d’aria e la porta … >>
<< Sta zitta! Non voglio sentire le tue cazzo di scuse! >> lo vidi scendere dalle scale con foga, vestito di tutto punto: pronto per andare a cena con i suoi colleghi. Se solo fossi entrata qualche minuto più tardi!
<< Mi spiace. >> sussurrai abbassando la testa
<< Ti ho forse detto di parlare? No? E allora taci! >> mi superò e uscì di casa lasciandomi sola all’entrata a riflettere sugli errori della mia vita, su di uno in particolare: perché non ero ancora fuggita?  Mi diressi al piano superiore con l’intenzione di rifugiarmi nella mia stanza per non uscirne mai più, avrei riflettuto seriamente sull’ipotesi del suicidio se non fosse stato per gli amici che avrei dovuto lasciare indietro, loro mi avevano salvato donando alla mia vita qualcosa che l’aveva resa degna di essere vissuta: amore. Quando passai davanti allo studio di mio padre mi accorsi che la porta era socchiusa, un occasione d’oro visto che la chiudeva sempre a chiave. La spinsi delicatamente facendola aprire quanto bastava per poter passare: dentro era buio e caldo, le finestre erano chiuse e le tende tirate per non lasciar passare nemmeno uno spiraglio di luce; i muri erano pieni di mensole ricolme di libri di ogni genere, riuscii a leggere solo qualche titolo “Basi dell’economia aziendale” e “Costituzione degli Stati Uniti D’America” l’ultimo l’avevamo letto a scuola almeno una ventina di volte. Il centro della stanza era occupato da un’enorme scrivania in mogano finemente lavorato, ereditata da non so quale bi-bisnonno, completamente ricoperta da fogli e appunti di lavoro. Aprii tutti i cassetti ma non trovai nulla d’interessante: solo penne e matite varie; alcuni post-it e un’agenda con la copertina logorata dal tempo. Tornando verso la porta inciampai nel tappeto persiano che copriva gran parte del pavimento e mi aggrappai a uno degli enormi volumi della biblioteca personale di mio padre nella speranza di non cadere, cosa che ovviamente non successe! Quando mi rialzai mi accorsi che il libro in questione in realtà era una scatola e che durante la caduta si era aperta rivelando il suo contenuto segreto: lettere. Ne presi una a caso e incominciai a leggere:
 
Caro Chris,
sto bene ma la vita senza te è un inferno, voglio tornare a casa. Ho sentito dire da alcuni terribili cose sul mio conto, tu non crederci, sono la stessa di sempre e non cambierò solo perché lui mi ha imposto il suo amore. Ci vedremo presto, è una promessa!
Tua per sempre,
Alexis
 
Alexis era il nome di mia madre, sentivo mio padre parlarne a volte mentre dormiva ma non mi aveva mai raccontato nulla di lei. Quella lettera non era mai stata spedita, non c’era il timbro postale però c’era l’indirizzo del destinatario: Chris Gray, 6th Str, Wahoo, NE. Le altre lettere erano tutte risposte da parte di questo Chris a mia madre in cui lui le prometteva di aiutarla o le diceva che si sarebbero visti presto e finivano tutte nel medesimo modo “Ti amo”. Sapevo che mio padre era un uomo terribile ma pensavo che mia madre lo amasse dopotutto, invece lo tradiva con un altro, un altro che però amava veramente e profondamente. Chissà quanto avevano sofferto entrambi per amore, mi facevano così tanta tenerezza che mi ritrovai inconsciamente a tifare per loro e per il trionfo di un sentimento così forte anche se sapevo che non poteva essere finita bene visto che mia madre era morta. Sul fondo della scatola trovai una brutta copia scritta a mano da mio padre, era indirizzata a Chris Gray:
 
Tu credi che io non sappia? Alexis mi ha confessato tutto prima di morire e mi ha chiesto di darli a te e così avevo deciso ma ora ho cambiato idea, lei resta con me e se non ti va bene dirò tutto alla polizia: il traffico di armi e droga e anche l’omicidio commesso da quello stupido del tuo amico e che tu hai aiutato a coprire. A te la scelta, l’amore o la liberta?
John Sullivan
 
Era una minaccia, non c’erano dubbi, ma perché? Non feci in tempo a formulare un’ipotesi, dei rumori provenienti dal piano inferiore mi distrassero, infilai nuovamente le lettere nella scatola a eccezione di quelle scritte da mia madre e mio padre e la rimisi al suo posto. Corsi in camera mia e richiusi in tutta fretta la porta alle mie spalle nel momento esatto in cui mio padre rientrava sbuffando e imprecando perché aveva dimenticato dei documenti importanti. Mi ero salvata per un pelo.

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Capitolo 3
*** L'autunno ***


Capitolo 3 – L’autunno

 
Pov Lucas
 
Ero sdraiato sul prato dei giardini pubblici da almeno dieci minuti, possibile che non ci fosse una volta, una sola, in cui i miei amici erano puntuali? Ci eravamo dati appuntamento alle dieci esatte, il mercoledì era una giornata di scuola terribile per tutti noi perciò avevamo deciso di saltarla. I miei si fidavano ciecamente di me, potevo uscire senza lo zaino di scuola e loro non ci facevano neanche caso;
“Lucas è un bravo ragazzo, non è il genere di persona che marina la scuola!” ricordai la voce di mia madre mentre lo diceva, orgogliosa, alle sue amiche casalinghe con cui si fermava a chiacchierare durante la spesa. Per gli altri però era diverso: Abby viveva come una reclusa in casa sua, tutto veniva controllato nei minimi dettagli, anche un errore banalissimo poteva farla scoprire; Nicholas viveva con la sua unica zia, lei era molto protettiva nei sui confronti e si assicurava continuamente che lui stesse bene e infine Cara, nessuno di noi sapeva con certezza come andassero le cose a casa sua ma eravamo tutti a conoscenza della sua fissa per la perfezione perciò sarebbe stata in ritardo comunque.
Respirai a fondo l’aria autunnale: il caldo dell’estate l’aveva abbandonata da tempo ma il freddo pungente dell’inverno, quello che ti gela dentro con un solo respiro, non l’aveva ancora ghermita con le sue mani di ghiaccio; sapeva di fumo, di foglie cadute dagli alberi, di brividi a fior di pelle perché non ci si era vestiti abbastanza pesanti, di parole non dette o dette al momento sbagliato, di stanchezza perché l’anno scolastico era appena iniziato e di amicizia.
Sì, l’aria autunnale profumava d’amicizia.
Non un’amicizia qualunque, una di quelle che dura una vita intera, di cui non potrai mai fare a meno, il genere di sentimento che legava me, Abby, Cara e Nicholas. Io e Abby siamo stati inseparabili fin da piccoli: stesso asilo, stesse elementari, stesse medie, stesse scuole superiori, stesse persone che ci prendevano in giro, esclusi dagli altri ci siamo fatti forza l’un l’altra e siamo diventati migliori amici. Ho provato molte volte ad immaginare la mia vita senza Abby e il risultato è stato il vuoto più totale: senza di lei nulla avrebbe più senso, il mondo finirebbe sottosopra, tutto diventerebbe grigio e cupo, senza significato. Da che mi ricordi lei c’è sempre stata, eravamo noi due soli contro il mondo, fino all’arrivo di Cara: si trasferì in paese undici anni fa; la scuola era iniziata da una settimana la prima volta che le rivolgemmo la parola. Per sette giorni l’avevamo osservata mangiare da sola perché nessuno degli altri bambini voleva avere niente a che fare con lei, troppo bella, troppo perfetta e irraggiungibile ma noi eravamo riusciti a vederla per quello che era: una bambina sola e triste che aveva bisogno di amici. Il secondo lunedì Abby prese il suo vassoio e lo posò al fianco di quello di Cara, le tese la mano e si presentò, lei la strinse sorridendo e da quell’istante entrò a far parte dei “Bambini Invisibili”, così ci chiamavano gli altri con cattiveria eppure noi ne avevamo fatto il nostro vanto, l’invisibilità era pur sempre un superpotere. Nicholas arrivò più tardi, in terza elementare, non fece in tempo a mettere piede nella scuola che tutti conoscevano la sua triste storia: i genitori erano morti e lui aveva dovuto lasciare l’Inghilterra per tornare a vivere in America con sua zia Gemma. Ovviamente questo convinse gli altri che doveva essere un tipo strano, uno con cui era meglio non giocare ma non per noi, i “Bambini Invisibili” accoglievano tutti gli esclusi con il sorriso sulle labbra, infondo le persone più interessanti e speciali sono anche quelle più strane.
Un scricchiolio di foglie mi riportò alla realtà, mi alzai a sedere e mi ritrovai faccia a faccia con Cara che imprecava a denti stretti contro me e la mia stupida idea di andare ai giardini, teneva in mano uno dei suoi stivaletti neri col tacco a spillo letteralmente distrutto e mi guardava infuriata.
<< Lo ripagherai tu questo? Tu e le tue stupide idee! >>
<< Non mi pare ti sembrasse così stupida ieri mentre ti lamentavi del test di chimica in programma per oggi. >> sbuffò spazientita e incrociò le braccia sul petto
<< Ok, va bene, hai vinto! >> si lasciò cadere di peso al mio fianco sospirando e poi mi sorrise all’improvviso come se un pensiero meraviglioso le avesse di colpo riempito la testa
<< Hai visto! Non sono arrivata per ultima! È un avvenimento storico, dobbiamo festeggiare! >> scoppiammo a ridere entrambi e io tornai a stendermi sull’erba umida di rugiada aspettando l’arrivo degli altri per potermi sentire effettivamente a casa.
 
Passarono altri dieci minuti, l’unico rumore che si sentiva era il frusciare del vento tra le foglie secche degli alberi, anche Cara aveva smesso di lamentarsi. L’inquietudine si stava facendo strada dentro di me: e se Abby non fosse riuscita a non farsi scoprire dal padre? Lui l’avrebbe punita, forse l’aveva picchiata.
<< Cara, non sei preoccupata? >> lei parve risvegliarsi da un profondo stato di meditazione, probabilmente stava riflettendo su come aggiustare il suo stivale.
<< Sì, dove lo troverò un paio uguale? >> sospirai, ormai la conoscevo non avrei dovuto più stupirmi di nulla
<< Intendevo per Abby, non per le scarpe. >>
<< Sono stivaletti, non scarpe! Comunque sono sicura che ce la farà, è una ragazza in gamba e se suo padre solo la sfiora sappiamo cosa fare. >> rimase un attimo in silenzio pensierosa poi aggiunse
<< Sai cosa mi preoccupa? Il fatto che lei e Nick non si siano ancora messi assieme, voglio dire lo sanno tutti che si piacciono, persino quel coglione di Ethan! >> effettivamente tutti erano a conoscenza del fatto che Abby e Nicholas si piacevano ma non pensavo che questo potesse rappresentare una fonte di preoccupazione per Cara.
<< Sono sicuro che prima o poi uno dei due si dichiarerà. >>
<< Invece non lo faranno! Serve un piano d’azione, siamo i loro migliori amici dobbiamo assolutamente risolvere questa situazione! >> perfetto, l’avevo persa
<< E cosa vorresti fare, sentiamo! Costringere Abby a fare una dichiarazione in mezzo a un campo da calcio durante la pausa tra il primo e il secondo tempo? >> mi colpì con un pugno sulla spalla sbuffando d’irritazione mentre io scoppiavo a ridere per la faccia scandalizzata e offesa che aveva fatto.
<< Non ridere, tu mi hai spezzato il cuore! >> lo disse con una serietà tale da farmi morire il sorriso sulle labbra
<< Sai avevo già immaginato la nostra vita assieme: ci saremmo sposati dopo il college; avremmo vissuto in una meravigliosa villa a South Beach perché so che è lì che vorresti vivere; avremmo avuto due bambini magari due gemelli, un maschio e una femmina, e magari anche un cane. Avevo contemplato tutte le possibilità tranne quella che tu mi tradissi con il giardiniere sexy che avevo intenzione di assumere. >> si voltò verso di me sorridendo ma il suo sguardo carico di tristezza la tradiva, l’abbracciai stretta a me e sussurrai:
<< Mi spiace di aver rovinato i tuoi piani ma, sinceramente, tu cosa pensavi di fare con il giardiniere sexy? >> lei mi spinse via e cominciò a ridere fino ad arrivare alle lacrime
<< Colpita, uno a zero per te. >> tornammo entrambi a stenderci sul prato in silenzio per qualche minuto
<< Hai ragione, non devo intromettermi tra Nicholas e Abby. Due a zero per te. >> mi voltai verso di lei e la trovai che mi guardava con un sorriso appena accennato sulle labbra. La sua mano scivolò delicata nella mia e restammo così, immobili ad osservare il cielo nuvoloso di fine ottobre, fino all’arrivo dei due ritardatari.
 
Pov Abby
 
Ero uscita alla solita ora, come se a scuola ci stessi andando veramente, per poi appostarmi nei pressi di casa in attesa che mio padre raggiungesse il municipio: l’edificio a fianco di casa nostra. In pratica erano una sola costruzione divisa in due parti distinte da un muro centrale.
Quando uscì mi feci piccola piccola dietro i cespugli del vialetto osservando con attenzione la sua espressione: era stanco; disgustato, probabilmente da se stesso, e frustrato perché non era rimasto nulla per la colazione nel frigorifero. Non c’erano segni di rabbia o collera, significava che la scuola non aveva chiamato per segnalare la mia assenza, ero salva.
Appena il portone si chiuse alle sue spalle sgusciai fuori dal mio nascondiglio e iniziai a correre il più velocemente possibile verso il parco, ero in ritardo di ben venti minuti.
La strada la conoscevo a memoria perciò non stavo prestando molta attenzione alle altre persone finché non andai a sbattere violentemente contro qualcuno
<< Oddio! Mi scusi! Non vole … Nicholas?! >> lui si stava massaggiando il petto dove con molta probabilità avevo sbattuto la testa, mi sorrise divertito
<< Originale come saluto mattutino! >> risi tastandomi la testa alla ricerca del bernoccolo che sospettavo di avere da qualche parte
<< Pensavo fossi già al parco. >>
<< Mia zia ha pensato di tenermi a casa per la prima ora, così avrei potuto studiare chimica in tutta calma ed essere pronto per il test. Poverina non aveva idea che avessi deciso di saltarlo! >>
Ci incamminammo verso il punto d’incontro in silenzio, m’imbarazzava restare sola con lui e ancora di più quando non parlavamo. Avevo notato che da un po’ mi fissava di sfuggita per poi distogliere lo sguardo quando mi voltavo nella sua direzione.
<< Perché mi fissi? >> questa volta ero riuscita ad incatenare i nostri sguardi e lui non aveva avuto il coraggio di far finta di nulla e guardare altrove.
<< Non ti sto fissando! >> sospirai alzando gli occhi al cielo
<< Non sono stupida, ti dico che lo stai facendo! >>
<< E la cosa ti da forse fastidio? >> arrossì leggermente e nascose le mani nelle tasche larghe della felpa. Odiavo questo genere di domande: potevo dire la verità, cioè che non mi davano fastidio perché lui mi piaceva ma era troppo imbarazzante oppure mentire dicendo di no e rovinare una delle migliori occasioni di sempre. Cara mi avrebbe certamente urlato di scegliere la prima opzione e saltargli letteralmente addosso mentre Lucas di fare quello che sentivo più giusto. Respirai a fondo cercando di non perdere il controllo e di non arrossire, o almeno non troppo.
<< No, non mi da fastidio. Non se sei tu a farlo. >> sentivo il cuore battere così forte contro il petto che ero quasi certa potesse sentirlo anche lui. Il suo sguardo, che si era spostato a terra mentre io riflettevo in silenzio, si alzò nuovamente per incontrare il mio e m’imposi di non distoglierlo.
Notai che nei suoi occhi verdi c’era una luce diversa dal solito, era come se i fuochi artificiali del quattro luglio gli fossero scoppiati dentro illuminandoli dall’interno.
Smise di camminare e rimase immobile a fissarmi con un sorriso sulle labbra che diventava, di secondo in secondo, più grande. Prese il mio viso fra le mani e quello che seguì fu uno dei momenti migliori della mia vita: Nicholas Lewis, il ragazzo che mi piaceva da tre lunghi anni, mi baciò.
Avevo sognato tante volte quel momento e, come ogni ragazza perdutamente innamorata sa bene, pensavo che non sarebbe mai accaduto realmente invece ero lì, tra le sue braccia, ed era tutto molto più bello e perfetto di come l’avevo sempre immaginato.
Quando ci allontanammo avevo uno stupido sorrisino stampato in faccia e per quanto ci provassi non se ne andava finché non si tramutò in una sonora risata alla vista delle guancie di Nicholas che sembravano aver preso fuoco dal tanto rossore.
<< Che hai da ridere? >>
<< È solo che non ti sei visto, sembri un pomodoro! >> e allora anche lui si mise a ridere.
Lo afferrai per mano e iniziammo a correre in direzione del parco dove Cara e Lucas aspettavano da più di mezz’ora.
 
Quando arrivammo Lucas si alzò di scatto con un aria soddisfatta e vittoriosa, probabilmente non ne poteva più di aspettare. Quanto a Cara il suo sguardo scese inevitabilmente sulle nostre mani intrecciate, non era una che si lasciava sfuggire i dettagli importanti, e un sorriso di vittoria si stampò anche sul suo viso. Lasciai andare la mano di Nicholas arrossendo leggermente, cosa che fece distendere le labbra della mia amica ulteriormente, e andai a sedermi al fianco di Lucas.
<< Iniziavo a pensare che non sareste più venuti, vi immaginavo già fuggire assieme verso Parigi, la città dell’amore! >> sospirò Lucas ridendo, lo colpii sulla spalla senza fargli male: anche se avessi voluto non ci sarei riuscita, avevo la forza di una lumaca morta!
<< A proposito di te e … >> iniziò a dire Cara ma non le permisi di finire la frase, non avevo tempo ne voglia di affrontare l’argomento e c’erano cose più importanti di cui dovevo metterli al corrente: le lettere che avevo trovato.
Iniziai a raccontare la litigata tra me e mio padre, cosa non troppo insolita, fino ad arrivare alla scoperta delle suddette lettere. Gli altri mi avevano ascoltato in silenzio e così rimasero per qualche minuto anche dopo che ebbi finito di parlare, Lucas fu il primo a romperlo:
<< Devo ammettere che questa cosa m’inquieta un po’ ma potrebbe essere la volta buona per scoprire qualcosa su tuo padre con cui poterlo tenere in pugno. >> effettivamente non l’avevo guardata da questo punto di vista ma Lucas aveva ragione, mio padre aveva minacciato qualcuno e questo andava a mio vantaggio.
<< Quell’uomo era l’amante di tua madre, mi sembra ovvio che tuo padre lo abbia minacciato ma conoscendolo non si sarà fermato solo a quello. >> aggiunse Cara sommessamente confermando ciò che aveva detto il nostro migliore amico
<< È inutile che stiamo qui a fare ipotesi su cosa abbia o non abbia fatto John Sullivan, andiamo da questo Chris Gray e chiediamoglielo di persona! >> quella di Nicholas sembrava la cosa più sensata da fare, vidi gli altri muovere la testa in segno di assenso, ma non potevo presentarmi davanti alla porta di uno sconosciuto e dire:
“Salve, lei era per caso l’amante segreto di mia madre, l’uomo minacciato di morte da mio padre conosciuto anche come il perfido e spregevole sindaco di questa città?”.
Avevo bisogno di tempo per preparare un discorso sensato e che non mi facesse sembrare una pazza fuggita da un manicomio, quindi avremmo dovuto rimandare la “gita” di qualche giorno.
<< Mi sembra una buona idea ma non oggi, se vogliamo farci dire la verità dovremo essere molto convincenti e preparati. >> tutti annuirono all’unisono e tirai un sospiro di sollievo, mi ero già immaginata mentre tentavo inutilmente di convincerli a desistere perché quando si lanciavano in qualcosa lo facevano a capofitto e senza riflettere, non che io fossi da meno.
 
Dopo pranzo ci dirigemmo verso scuola: anche se il mercoledì mattina era pesante il resto della giornata era dedicato alle attività extrascolastiche e non ce lo saremmo perso per nulla al mondo.
Cara e Nicholas si diressero verso i campi sportivi: la prima entrò in quello da football americano nel quale si stavano allenando i giocatori, infondo al terreno di gioco c’era un’area adibita all’allenamento delle cheerleader e Cara, quest’anno, ne era il capitano;
il secondo invece raggiunse i suoi compagni che avevano appena iniziato a riscaldarsi nel piccolo stadio di calcio della scuola.
Io percorsi un altro tratto di strada con Lucas, lui non praticava alcuno sport ma, visto che era obbligatorio fare qualcosa durante quel pomeriggio, si era offerto volontario come aiuto-bibliotecario per l’intero anno scolastico e io sola ne conoscevo il vero motivo: Lucas amava alla follia i romanzi rosa! Il suo amore era, però, proporzionale alla vergogna che provava nel confessarlo agli altri perciò tutti pensavano che il suo passatempo fosse quello di guardare i film horror più terrificanti in circolazione.
Quando arrivammo in prossimità della scuola lo salutai e presi la strada che portava verso le palestre, entrai nella numero tre, quella con la migliore parete da scalata di tutto il Nebraska. Ovviamente era solo il mio pensiero anche perché non le avevo provate tutte, non ancora almeno!
Varcai l’entrata dello spogliatoio e salutai Mandy Pimple, meglio conosciuta come BrufoloMandy, l’unica altra persona che praticava questo sport oltre me forse perché era l’unico in cui nessuno poteva prenderla in giro: si arrampicava meglio e più velocemente di uno scoiattolo impaurito, era formidabile.
Mi cambiai, uscii dallo spogliatoio e m’incamminai in direzione della parete, la mente libera da ogni pensiero e preoccupazione, c’eravamo solo io e la gioia che provavo nel praticare quello sport. Mandy era già arrivata in cima e si apprestava a scendere, infilai l’imbragatura e poggiai il piede sulla prima sporgenza.
 
Pov Cara
 
Le altre avevano lasciato lo spogliatoio da un pezzo: le avevo fatte lavorare molto quella sera e tutto quello che volevano, probabilmente, era tornare a casa, sdraiarsi sul letto e non muoversi più fino al mattino.
Mi strofinai i capelli con l’asciugamano ormai fradicio anche se sapevo che non sarebbe servito a nulla, questione di abitudine suppongo, li legai in uno chignon alto e mi rivestii con tutta calma evitando di bagnare la maglietta pulita mentre la facevo scivolare sopra la testa.
Raccolsi le mie cose e le gettai alla rinfusa nel borsone bianco e azzurro delle cheerleader e mi apprestai a uscire per tornarmene a casa ma mi bloccai davanti alla porta, feci qualche passo indietro e guardai il mio riflesso nel vecchio specchio rovinato dal tempo con più attenzione: la ricrescita castana era ben visibile all’attaccatura dei capelli, era ora di rifare la tinta.
Spensi le luci e chiusi a chiave la porta degli spogliatoi poi presi il telefono e scrissi a mia madre che avevo bisogno di altri soldi sulla carta, non si degnò nemmeno di rispondermi, qualche minuto dopo il telefono suonò: “Avviso: sono stati depositati duecento dollari sul suo conto.” Almeno sui soldi non dovevamo discutere.
Sulla strada di casa mi fermai al supermercato, comprai la tinta; una nuova boccetta di smalto rosa pallido; il fondotinta e una di quelle scatole piene di cibi precotti irriconoscibili che, una volta infilate nel microonde, diventavano commestibili.
Entrai in casa con il borsone a tracolla, la borsa di plastica in una mano e i miei stivaletti col tacco rotto nell’altra. I capelli erano ancora bagnati, dopo la doccia non avevo rifatto il trucco e avevo tenuto le scarpe da ginnastica sporche di fango pur di non camminare a piedi nudi.
<< Rebecca, sono a casa! >> non ricevetti nessuna risposta
<< Rebecca! >> un mugugno proveniente dalla cucina mi fece capire dove si trovava mia madre e che, come al solito, non era molto contenta di vedermi.
<< Non strillare, la testa mi sta esplodendo. >> era seduta al tavolo della cucina, non lo usavamo mai per mangiare visto che solitamente cenavamo nella sala da pranzo, davanti a lei erano appoggiati una bottiglia di vino e un bicchiere mezzo pieno. Bel modo per curare un’emicrania.
<< Volevo solo dirti che sono tornata, grazie per i soldi. >>
<< Spero fosse qualcosa di importante, tipo un trattamento di bellezza. Ne avresti veramente bisogno. >> da quand’ero entrata non mi aveva degnata di uno sguardo ma appena sbuffai i suoi occhi furono su di me.
<< Oh cielo! Come sei conciata? I tuoi capelli fanno schifo, per non parlare della faccia e delle scarpe che indossi! >> gettai gli stivaletti a terra
<< Il tacco si è rotto. >> proclamai con enfasi nel tentativo di fermare la sua cascata di rimproveri
<< Non è del tacco che mi sto preoccupando. >> prima che rincominciasse a parlare mi voltai e la lasciai da sola in cucina diretta verso la mia stanza.
Sentii i suoi passi ticchettarmi dietro:
<< Sei un disastro come figlia! Possibile che tu non riesca ad essere carina ogni tanto? >> mi bloccai a metà delle scale, la rabbia che saliva a imporporarmi le guancie
<< Io lo sono sempre ma tu non te ne accorgi nemmeno! >> lei alzò le braccia al cielo e le lasciò ricadere sui fianchi
<< Dove ho sbagliato con te? Perché non posso avere la figlia perfetta che vorrei? >>
<< Perché nessuno è perfetto Rebecca e tu non l’hai ancora capito. >> rimase a fissarmi in silenzio mentre finivo di salire le scale e raggiungevo la mia stanza, scomparendo dalla sua vista.

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