A Shadow Hanging Over

di cup of tea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La tavola di cup of tea

Ciao a tutti! Volevo solo rubarvi qualche minuto prima della lettura per specificare alcune cosine, a parte i soliti “i personaggi non mi appartengono e non vengo pagata per scrivere di loro” – dovuti, è chiaro… 
Allora, questa è una Klaine (molto) liberamente ispirata al capolavoro di Charlotte Brontë, Jane Eyre, che ho appena finito di leggere e che consiglio a tutti quanti. È una storia intensa e cupa, di quelle che piacciono a me, ma allo stesso tempo così piena di speranza da farti innamorare della vita. Ecco, A Shadow Hanging Over ha l’ambizione di seguire un po’ questa linea. Sarà quindi una storia con tinte dark, ma i personaggi sono quelli che tutti noi amiamo (alcuni potrebbero risultare lievemente OOC per esigenze di trama, ma se posso darvi un indizio… non tutto è come sembra). Verranno anche sfiorati temi delicati - a questo si deve il rating arancione - come la religione, ma ovviamente non intendo urtare la sensibilità di nessuno e mi auguro che ogni affermazione o considerazione che i personaggi faranno nel corso della storia sia vista nell’ottica del contesto storico in cui è ambientata. In ogni caso, sono aperta a qualsiasi critica e disponibile a qualsiasi chiarimento. Potete lasciare i vostri commenti direttamente qui, oppure sulla mia pagina autore su fb, che trovate a QUESTO  indirizzo.
Cos’altro…? Ah, sì: nei limiti del possibile aggiornerò ogni domenica.
Ultima cosa e poi vi lascio, giuro! Vorrei ringraziare la mia wuthering heights (il cui nick non poteva essere più in sintonia con la storia ;) ), che come al solito si è sottoposta alla tortura della ricerca delle virgole di troppo o mancanti, che mi dà sempre spunti per trame nuove, che contribuisce al darne una forma, e che crede in loro più di quanto faccia io.
Ora non mi resta che augurarvi una buona lettura! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Cup of tea






 
A SHADOW HANGING OVER

CAPITOLO 1

 

Un freddo vento agitava le fronde degli alberi intorno alla tenuta.

Posto grottesco, pensò, dopo essere stato lasciato dalla carrozza davanti a un cancello aperto dai decori inquietanti. Si voltò a salutare il cocchiere con un sorriso gentile e un gesto della mano; poi si avviò sul viale fangoso verso l’ingresso di quell’enorme villa barocca, valigia e ombrello alla mano.

Sentiva l’umidità entrargli nel cuoio delle scarpe a ogni passo che i suoi piedi congelati azzardavano in mezzo alla melma, e gemette al pensiero che avrebbe dovuto buttarle via. Fortuna che ne aveva un altro paio schiacciato in mezzo ai pochi altri effetti personali. Si fece coraggio e proseguì, fino ai gradini di pietra scura che portavano all’ingresso di Hummel Place; poi chiuse l’ombrello e bussò, provando un grande dolore alle dita irrigidite dal freddo. Con suo grande sollievo, ci volle poco prima che qualcuno arrivasse ad aprirgli. Non più di qualche secondo, a dir la verità, il minimo che gli servì per ascoltare stupito il rimbombo del batacchio di ottone contro la porta. Talmente poco, che era come se in quella casa non avessero aspettato altro che il suo arrivo.

Il legno cigolò sui cardini arrugginiti, rivelando la figura di una giovane e allegra ragazza.

“Lei è Blaine Anderson! Non è vero?! Il nuovo gestore della biblioteca del signor Hummel!” Lo accolse con entusiasmo e voce squillante. “Entri, prego, eravamo preoccupati che non ce la facesse ad arrivare per via della tempesta!” La giovane donna non poteva essere la padrona di casa, pensò Blaine, vista la povera veste grigia che indossava, protetta da un lungo grembiule bianco con tasche ampie sul davanti. Aveva capelli neri raccolti sulla nuca e racchiusi in una cuffia, e dei grandi occhi castani dolci e profondi. “Sono la signorina Rachel Berry, la governante.” Si presentò tendendogli una mano prima che Blaine potesse chiedere nulla.
Blaine chiuse la porta dietro di sé. “Salve, mi chiamo Blaine Anderson” si presentò poi, togliendo il cappello e facendo un lieve inchino con il capo. Con la mano che lui non aveva afferrato, la signorina Rachel gli diede un buffetto sul braccio. “Non sia così formale, Blaine, qui siamo come una famiglia!” Lo sorprese la ragazza. “Dia a me!” Continuò, prendendogli di mano il cappello e la valigia. “Santana, ti prego, puoi mettere su del tè? Il signor Anderson è infreddolito!” Gridò a qualcuno in una stanza accanto. “Mi dia anche il cappotto, coraggio.” Gli sorrise. Blaine se lo sfilò e glielo porse, e poi la seguì come aveva intuito dovesse fare dai gesti incoraggianti della ragazza.

Se l’atrio era buio e freddo come la pietra con cui erano costruite le pareti e l’ampia scalinata che dominava l’ambiente, la stanza in cui entrarono si rivelò essere un piccolo salotto riservato alla servitù. Era caldo e illuminato grazie al focolare acceso, ma anche per i sorrisi delle tre persone che vi erano all’interno: la signorina Rachel, che stava appendendo il cappotto e il cappello, poi una ragazza con lo sguardo furbo e i tratti ispanici appoggiata a un piccolo tavolino da parete, e infine una biondina dall’aria trasognata seduta su una poltroncina di velluto verde ortica.

“Brittany S. Pierce, cameriera personale del signor Hummel” Si presentò quest’ultima, agitando uno straccio come una di quelle lady che salutavano gli ufficiali con fazzoletti di seta.

“Brittany, per favore, posa quello straccio… andrà polvere da tutte le parti!” La rimproverò la signorina Rachel, mascherando appena un’esasperazione probabilmente sviluppata in molto tempo.

“Rilassati, Berry, questa casa non vede un granello di polvere dal 1843.” Berciò la ragazza dai tratti ispanici.

“Ovvero, da quando ho cominciato a dirigere io questa casa!” Ribatté la signorina Rachel.

La ragazza ispanica la ignorò, alzando gli occhi al cielo e lasciandosi i capelli raccolti in una alta coda di cavallo. Blaine notò che era l’unica a non portare una cuffia, oltre ad essere l’unica a portare un abito nero e di ottima qualità. “Miss Santana Lopez, la proprietaria di questa bella tenuta.”

“Oh, signorina Lopez, sono desolato. Non sapevo fosse una parente del signor Hummel.” Chinò lievemente il capo, in cenno di scuse e di rispetto. “Sono qui per servirla. Che modestia, acconsentire a passare del tempo con la servitù!”

Santana scoppiò a ridere sguaiatamente, lasciando Blaine perplesso e visibilmente imbarazzato.

“Non le dia retta, Blaine. A Santana piace scherzare. Si atteggia tanto a regina del castello, ma la realtà è che di regale ha solo quell’enorme ego che si ritrova.”

“Come il tuo naso!” Replicò l’altra.

Se avesse potuto tirarsi una bacchettata da solo come gliene tirava il suo insegnante quando faceva errori stupidi, lo avrebbe certamente fatto. Come poteva aver scambiato una cameriera per una lady? Sempre meglio che il contrario, ovviamente, ma come poteva sperare adesso di ottenere il rispetto che un uomo con la sua istruzione meritava? Il freddo doveva avergli congelato anche le facoltà mentali.

“Tu hai un’aura luminosa, Blaine Anderson.” Sentenziò la signorina Brittany, strappando Blaine dalle sue riflessioni e spiazzandolo forse addirittura di più di quanto fosse successo con lo scherzo della signorina Santana o con i battibecchi infantili tra lei e la governante.

Sono finito in una gabbia di matti. “Come scusa?” le chiese, cercando di essere il più gentile possibile, per non offendere quella ragazza dal viso tanto dolce e innocente.

“Io vedo l’aura delle persone, sai? È un dono che ho da quando sono nata. I miei dicevano che fosse un marchio del Diavolo, perciò sono finita quaggiù a fare la cameriera, invece di sposare qualche ricco gentiluomo. Il signor Hummel però non si è fatto tanti problemi ad assumermi. Lui è buono e non ha paura dei miei poteri.” La signorina Brittany annuiva mentre raccontava la sua incredibile e triste storia. Era tranquilla, sembrava che avesse accettato la sua condizione e il suo precedente maltrattamento ormai da molto tempo. Blaine si sentì d’un tratto più solidale e comprensivo – non fece nemmeno caso a quanto quel supposto potere della signorina fosse inverosimile. “E che aura hanno le altre?” Chiese, mostrandosi interessato e cercando una scusa per distrarsi dalle frecciate che le due ragazze si stavano ancora tirando. Fece appena caso alla signorina Santana, che stava lasciando il salotto sbattendo la porta. Forse sarebbe tornata con quel famoso tè, sperò Blaine. Sentiva ancora il freddo nelle sue ossa.
“Santana ha ovviamente un’aura rossa, forte e passionale. Quella di Rachel è gialla e ambiziosa. La tua è blu, dolce e gentile. Eppure è luminosa.” Blaine la guardò meravigliato, quando la signorina Rachel li raggiunse. “Brittany, cara, aiuta Santana con le tazze, io devo parlare un momento con il signor Anderson.” La signorina Brittany si alzò e trotterellò – Blaine suppose – verso la cucina.

Quando furono soli, la governante Berry lo invitò a sedersi sul divanetto di velluto dello stesso verde della poltrona su cui prima era seduta la signorina Brittany. Gli spiegò poi come le loro giornate ad Hummel Place fossero organizzate, accennò alla cuoca Mercedes Jones, che a detta sua preparava pranzi coi fiocchi, e raccontò brevemente cosa fosse successo al signor Artie Abrams, il precedente bibliotecario. “È stato un bruttissimo incidente.” Commentò con trasporto. “Cadde da una scala mentre spolverava dei volumi sullo scaffale più alto e si ruppe una gamba. I dottori non hanno saputo guarirlo, anzi, la gamba peggiorò drasticamente e lui perse la facoltà di camminare. Non c’è da sottolineare che dovette rinunciare al suo lavoro. Noi tutti ci sentiamo responsabili, perché sentimmo un grido ma non ci facemmo caso, così prima che lo trovassimo passarono molte ore.” Blaine la guardò con occhi sgranati. “Oh, ma certo lei non sa delle urla!” Disse Rachel, comprendendo il perché dello sguardo di Blaine. Poi spiegò, con voce bassa e guardandosi intorno guardinga: “Questa casa è infestata, signor Anderson. Si sentono grida, ogni tanto. Grida di donna. Nella notte, in pieno giorno, perfino mentre mangiamo.” Annuì, come per dare enfasi a quello che aveva appena detto. Blaine non credeva alle sue orecchie. Poteva accettare che in quella casa ci fosse una ragazza pazza che era convinta di vedere dei colori aleggiare intorno alle persone, ma non che si credesse ai fantasmi. Questo, un uomo colto come lui non poteva tollerarlo.

“Signorina Berry, è sicura di quello che sta dicendo?”

“Oh, sì. Noi supponiamo sia la defunta madre del signor Hummel, morta in questa casa quando lui era già grandicello. Suo padre non riuscì a sopportarne la grave perdita, e morì di dolore dopo poco. Chiaramente le urla che sentiamo sono quelle di lady Elizabeth Hummel, distrutta dall’angoscia di essere stata la causa della morte del suo adorato marito, lasciando il loro unico figlio orfano di entrambi i genitori. Il signor Hummel fu allevato da una vecchia zia fino a quando fu in grado di provvedere da solo a se stesso.”

“Ma se è come dice lei, gli spiriti dei coniugi Hummel ora non dovrebbero essere insieme, in un posto migliore? E quindi le urla che lei sente non dovrebbero essere prodotte da qualcosa che non sia un fantasma?”

“I suicidi non vanno esattamente in Paradiso, signor Anderson.” Rispose la signorina, allusiva.

“Ma il signor Hummel non si è suicidato…”

“Rinunciare a combattere per la vita è molto simile a suicidarsi, non trova? Mi dia retta, quelle urla sono di certo quelle di lady Elizabeth, incapace di lasciare questo mondo per i Cieli, perché addolorata dal destino di dannazione che ha riservato a suo marito.”

“Signorina B-“ iniziò Blaine, ma fu interrotto da lei. “Mi chiami Rachel, suvvia.” Gli disse la ragazza, accompagnando le parole con un risolino acuto. “Signorina Rachel -  ricominciò Blaine, schiarendosi la voce - onestamente non credo che sia lo spirito di Lady Hummel a produrre quei suoni, con tutto il rispetto.” La signorina Rachel scosse la testa con accondiscendenza, come se ogni qualche tempo dovesse raccontare quella storia e puntualmente dovesse convincere il suo interlocutore della veridicità di quello che stava dicendo, per il suo bene. “Si fidi di me. Si ricrederà non appena si sentiranno le urla.” Fece una piccola pausa, poi, come riflettendo a voce alta: “Ma perché siamo finiti a parlare di questo? Ah, sì, le stavo dicendo del signor Abrams! Quel poveretto urlò per diverso tempo, prima che qualcuno si accorgesse che quelle che si sentivano non erano le solite grida a cui siamo abituati…”

Blaine decise di lasciar cadere l’argomento, spostando l’attenzione su qualcos’altro di più interessante. “Dov’è il signor Hummel?” La signorina Rachel non fece in tempo a rispondergli, perché la signorina Santana entrò – irruppe – nella stanza con un vassoio con tazze da tè e teiera in equilibrio tra il braccio e il busto esile, seguita dalla signorina Brittany, che stava portando un grande vassoio colmo di pasticcini appena sfornati. Blaine sentì l’acquolina in bocca soltanto a guardarli. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che ne aveva visti di così appetitosi. Probabilmente mai.

“Berry, smettila di fare la gatta morta con il nostro nuovo collega, lo spaventerai a morte!” la punzecchiò ancora la signorina Santana, ma la signorina Rachel questa volta non le diede corda. “Oh, ma a lui lei non interessa!” Intervenne la signorina Brittany. “La sua aurea mi dice che lei non sia esattamente il suo tipo.” Beccato. Forse aveva sottovalutato la faccenda dei poteri della signorina, o forse era semplicemente palese che non solo la Berry non fosse il suo tipo, ma anche tutte le altre donne della terra. Cercò di scacciare quel pensiero e finse una tosse improvvisa. “Smettetela di perdere tempo con queste osservazioni inutili, voi due! Il signor Anderson si ammalerà presto se non beve qualcosa di caldo!” Le rimbeccò la governante, ma anche se cercava di nasconderlo era in evidente imbarazzo per i commenti delle due cameriere. “Il signor Anderson!” la schernì la signorina Santana, ma fece come le aveva chiesto.

 
***
 
Il tè era delizioso. Il leggero aroma di bergamotto invase i suoi polmoni e il calore dell’acqua bollita lo rilassò completamente. E i pasticcini… oh, i pasticcini. Erano proprio squisiti come se li era immaginati, forse anche di più. Ora si sentiva pronto ad affrontare le stranezze di quelle tre donne con tutt’altro umore e con la grandissima pazienza di cui normalmente era dotato.

“Gentili signorine, vogliate perdonare l’impertinenza, ma dove si trova il signor Hummel? Mi sembra doveroso presentarmi.” Chiese a un certo punto.

“Il signor Hummel non c’è quasi mai.” Rispose svogliatamente la signorina Lopez, sprofondando tra i cuscini della poltroncina.

“Ha tanto da fare”, intervenne la signorina Rachel lanciando un’occhiataccia di rimprovero all’altra – non perché avesse detto chissà quale malignità sul loro padrone di casa, più che altro sembrava averlo fatto per abitudine. “Il signor Hummel è un attore!” Proseguì con occhi sognanti.

“Ora non ricominciare con la tiritera sulla tua carriera mancata!” La redarguì la signorina Santana. “Almeno io ho un sogno!” replicò lei. “Le donne non fanno teatro!” continuò l’altra. “Come sei indietro, Santana!” I loro battibecchi sembravano sempre non finire mai. Blaine pensò che avrebbe dovuto farci l’abitudine.

“Fanno sempre così, ma si vogliono bene.” Gli sussurrò la signorina Brittany in un orecchio. “Come nelle migliori famiglie, qui discutiamo, litighiamo, ci urliamo addosso, perfino. Ma ci saremo sempre le une per le altre. L’abbiamo già fatto e lo faremo ancora. Sempre.” Sorrise timidamente. “Il signor Hummel ha dato a tutte noi un posto dove sentirci libere di essere noi stesse, incurante delle nostre storie sgangherate, e noi gli saremo grate finché avremo vita, per questo.” In quel momento Blaine capì che la signorina Brittany era la persona dai sentimenti più puri che avesse mai conosciuto. Se le cose stavano effettivamente come diceva lei, allora avrebbe potuto cominciare anche a trovare le loro scaramucce divertenti. Nella sua vita aveva visto fin troppa disciplina e rigore, fin troppo odio e disprezzo. Anche la sua era una “storia sgangherata”. Un ambiente rilassato e dinamico come quello di Hummel Place sarebbe certamente presto diventata una piacevole e stimolante novità.

 
***
 
Data l’ora ormai tarda, la signorina Rachel promise a Blaine che gli avrebbe mostrato la biblioteca la mattina seguente. Ora avevano bisogno tutti di riposo, soprattutto lui, che era reduce da un lungo e freddo viaggio in carrozza, sopra strade dissestate e fangose per la pioggia tremendamente insistente.

La governante Berry lo accompagnò nella stanza che gli era stata riservata, appartenuta fino a poco tempo prima al signor Abrams. Si congedarono sulla porta – lui, ancora incapace di farlo informalmente, le fece un breve inchino con il capo, lei invece rise piano e appoggiò leggermente una mano sulla sua spalla. La guardò sparire nel buio del corridoio con solo una candela per illuminarne lo spazio. Ne aveva in mano una anche lui e, chiusosi la porta alle spalle, la spense con un soffio deciso e la appoggiò su un tavolino di legno scuro, per conservarla per la prossima volta che fosse stata necessaria.  

La stanza era illuminata da un caminetto acceso ma debole, e si affrettò a rinvigorirlo di modo che, per quando si fosse coricato, la stanza si fosse scaldata almeno un po’. Era piccola ed essenziale, con un grande letto che dominava gran parte dello spazio. Le lenzuola erano fresche e profumate, e la coperta di lana morbida e spessa sembrava l’ideale per un luogo tanto freddo. Scoprì anche con sollievo che qualcuna delle sue colleghe doveva averglielo preparato inserendo sotto il lenzuolo uno scaldino. L’unica finestra della camera era uguale a tutte le altre: ampia e a ogiva, decorata lungo tutti i contorni. La pioggia aveva ricominciato a scendere e Blaine chiuse la tenda per coprire almeno un po’ i bagliori dei lampi. Trovò ai piedi del letto la sua valigia e decise di disfarla velocemente, disponendo i pochi vestiti nell’ampio armadio a parete.. Infine, utilizzato il catino che gli avevano preparato con dell’acqua tiepida per lavarsi almeno mani e faccia, e infilatosi la veste da notte, si sdraiò sotto le coperte. Il letto era talmente morbido che sprofondò subito in un sonno profondo, cullato dal rumore della pioggia che batteva sui vetri e dallo scoppiettio della legna nel fuoco. Il pensiero di incontrare prima o poi il signor Hummel, che sembrava essere ammirato da tutta la servitù, fu l’ultimo che fece, prima di lasciarsi andare completamente al mondo dei sogni.




 
 

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La tavola di cup of tea – parte due

Vi lascio la lista completa dei personaggi di questa storia, vecchi e nuovi.
Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Santana Lopez, Brittany Pierce, Mercedes Jones, Sebastian Smythe, i defunti coniugi Hummel e una vecchia zia, qualche insegnante della Dalton, gli orrendi parenti Anderson.

Bene! Direi... a domenica prossima!


cup of tea 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA

Ehi!! Wow, non sapete che gioia ho provato nel vedere che il primo capitolo vi è piaciuto!! Vi ringrazio tutti, da quelli che hanno recensito (qui e in pagina), a quelli che mi hanno letto in silenzio, a quelli che hanno ricordato, preferito, seguito… vi meritate tutti un cupcake gigante!
Beh, Eccoci al secondo. Qui troverete un po’ di Seblaine… ZAN ZAN! Ahah la cosa buffa è che inizialmente non era proprio in programma che entrasse nella storia… alla fine, invece, è diventato uno dei personaggi principali! Sarà la mia parte profondamente innamorata di Sebastian che prende il sopravvento sulle mie azioni, sì sì.
Ehm ehm.
Bene, vi lascio alla lettura. Ovviamente vale il discorso che ho fatto per il primo capitolo, ovvero che qualsiasi affermazione, soprattutto quelle che riguardano religione e omosessualità, è da contestualizzare, e ribadisco che non parlo attraverso i personaggi, né intendo urtare la sensibilità di nessuno.
Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate. Qui o sulla mia pagina Facebook.
Un abbraccio.
Cup of tea
 

 
A SHADOW HANGING OVER

CAPITOLO 2



Blaine si svegliò presto. La luce fredda dell’alba entrava a stento dalla finestra, ma lasciava sperare che la pioggia avesse deciso di dare una tregua almeno temporanea alla brughiera. Fece un bel respiro, di quelli che gli venivano ogni volta che era entusiasta per qualcosa di nuovo, e si ritrovò a sorridere da orecchio a orecchio di prima mattina.

Andiamo, è solo un lavoro! E con molta probabilità sarà anche piuttosto noioso, si disse, ma il fatto era che era veramente veramente eccitato. Avrebbe cominciato una nuova attività, con un vero datore di lavoro e dei veri compiti, per di più in mezzo ai libri, il suo mondo. Non come alla Dalton, dove gli avevano garantito un posto come insegnante solo perché aveva studiato lì e che per questo non credeva di avere meritato davvero.
Sgranchì le dita dei piedi e sentì un dolore acuto attraversargli le ossa, dolenti per il freddo del viaggio del giorno precedente; eppure non smise di sorridere, perché era un male dolce, che gli riportò alla mente la calda merenda e i sorrisi che gli erano stati offerti al suo arrivo. Tutt’altra cosa rispetto al pane posso e il caffè freddo che riceveva a merenda quando era bambino, all’accademia.
Quando notò i raggi del sole filtrare con più potenza nella stanza, si alzò dal letto per avviare la sua giornata. Spense ciò che era rimasto del focolare, buttando qualche goccia d’acqua sulla cenere ancora ardente. Poi si lavò e si vestì con i suoi abiti modesti, e, prima di lasciare la sua camera, aprì la finestra per far entrare l’aria frizzantina nell’ambiente. Nello sprimacciare i cuscini e nel sistemare le coperte e le lenzuola, fu percorso da un brivido lungo la schiena: se la pioggia era cessata, di sicuro il freddo era ancora lungi dal lasciare spazio alla primavera.
Richiuse il vetro con un altro brivido, e cercò di allontanare il pensiero del suo vecchio insegnante di calcoli, che, quando trovava qualcuno dei suo compagni intirizzito dal freddo mentre facevano i compiti ognuno sulla propria piccola lavagnetta, era solito ricordare loro che un brivido non era altro che la morte che li attraversava ma li risparmiava.
La rigida e cristiana accademia maschile Dalton era stata la sua casa per nove lunghissimi anni, a partire da quando i suoi ricchi e aristocratici zii Anderson - che lo avevano allevato alla morte dei suoi genitori – si erano stufati della sua presenza. Non era sicuro che “stufati” fosse la parola giusta. Forse era meglio “spaventati”, “terrorizzati”, “preoccupati che con il suo ‘modo di fare’ traviasse i loro due teneri e indifesi bambini”. Ovviamente, Mary Jane e James non erano né teneri, né indifesi, per lo meno non lo erano con lui, ma questo i suoi zii non volevano vederlo. Quando erano piccoli, James lo isolava nei giochi con i suoi coetanei undicenni, mentre Mary Jane, che all’epoca aveva dodici anni, cioè due più di lui, lo prendeva in giro quando lo trovava a fare dolci con la cuoca di casa, andandosene in giro per le stanze dicendo : “Testa-Di-Cespuglio fa i dolci come le sguattere!”, “Testa-Di-Cespuglio fa i lavori da donna e da servitù!”. Essere tagliato fuori e definito un cespuglio, una donna, o una sguattera, faceva male. Faceva male perché lui aveva solo dieci anni e aveva appena perso i genitori; faceva male perché si sentiva solo e aveva solo bisogno di un amico; faceva male perché l’unico amico che aveva trovato era proprio la cuoca che gli stava insegnando a fare i dolci. Ma soprattutto, faceva male perché si sentiva già di per sé inadeguato sotto ogni punto di vista.

Sapeva già, in cuor suo, di essere diverso. Diverso da James, che già a undici anni destava l’interesse di madri facoltose perché si combinasse un matrimonio con il giovane rampollo di casa Anderson e le loro belle figlie, e che andava già in giro pavoneggiandosi a grande rubacuori. Ma anche diverso da Mary Jane, che poteva permettersi di ammirare gli ufficiali durante le parate senza aver paura che qualcuno potesse accorgersi dei suoi occhi sognanti. Perché, anche se fosse successo, sarebbe stato ritenuto normale. Anche Blaine sognava quando li vedeva, eccome. Ma non sognava di diventare uno di loro quando ne avesse avuto l’età giusta: sognava di sposarne uno. Sogno alquanto inaccettabile, eppure un sogno veramente forte e incomprensibile anche per lui, che era solo un bambino.
Fu quando Mary Jane lo scovò a pettinare una sua vecchia bambola, che pensava di aver buttato via ma che Blaine aveva recuperato in segreto per tenerla per sé, che le cose peggiorarono drasticamente.
La bambina andò dalla signora Anderson a fare la spia, deridendolo e facendo smorfie di disgusto che furono per Blaine come un colpo al cuore, come se la paura di essere qualcosa di sbagliato avesse preso la forma delle labbra di sua cugina, increspate per il ribrezzo che ora vedeva anche sul viso di sua zia. Non nutriva per quella signora grande affetto, perché da lei non ne riceveva affatto, ma quello sguardo ammonitore lo uccise. Corse via dal salotto dove aveva rincorso Mary Jane poco prima per pregarla di non dire niente, e si rinchiuse in uno sgabuzzino dove le serve riponevano le scope e gli stracci dopo averli usati. Sentiva delle voci fuori, in corridoio, ma non distingueva le parole, fino a che non calò il silenzio. Si accovacciò sul pavimento abbracciandosi le ginocchia, come se occupare poco spazio avrebbe significato sparire e non essere più costretto a sentirsi come si sentiva. Non ebbe mai idea di quanto tempo passò in quell’angusto nascondiglio, ma a un certo punto lo tirarono fuori. Era arrivato qualcuno per lui, gli dissero, e, intimorito ma curioso, Blaine scoprì di chi si trattava.

Sua zia, che davanti all’ospite si mostrò molto più amorevole e docile del solito, gli spiegò con dolcezza che quel signore che aveva davanti era il direttore di un collegio dove lo avrebbe mandato per correggere il suo “comportamento” e dove con la preghiera e il sacrificio avrebbe potuto ottenere perdono. In Blaine, la rabbia era salita fino alle orecchie quando sentì quelle parole, perché non capiva cosa non andava in lui e nessuno voleva spiegarglielo; comunque, prese la notizia della sua partenza con quieto entusiasmo.
Lasciare casa Anderson significava lasciare gli scherzi di James, la cattiveria di Mary Jane e la freddezza dei suoi zii.

Così il giorno successivo fu caricato su una carrozza che lo portò alla rigida Dalton Academy, dove sarebbe rimasto fino alla fine della sua istruzione. Lì scoprì che i suoi compagni erano per lo più bambini orfani o ragazzi i cui genitori non erano riusciti ad educare a dovere. Anche solo per questo, si sentì più a casa in quel luogo di sacrificio che nel lusso di casa Anderson, considerato che lui era di fatto entrambe le cose – orfano e da correggere. Fece amicizia in fretta: Sebastian, di un anno più grande di lui, era stato mandato alla Dalton per temperare la sua indole presuntuosa e “curare” una cosa che Blaine scoprì di avere in comune con lui. Anche Sebastian, per così dire, sognava gli ufficiali. Fu il ragazzo stesso a raccontarglielo, perché non vi vedeva nulla di male. Gli fece notare che nell’antica Grecia era normale che due uomini si amassero, e anzi era ritenuta la forma di amore più pura. “Dove l’hai letto?” gli aveva chiesto Blaine, nel buio del dormitorio. “Non sui libri che ci fanno studiare qui.” Gli aveva risposto lui. Blaine a tutta prima era rimasto dubbioso, ma vedere Sebastian così fiero e sicuro di sé lo aveva convinto a fidarsi di lui, al punto che un giorno gli confessò che anche lui era attratto dagli uomini. Sebastian non ne fu affatto sorpreso; al contrario, gli restituì un sorriso di dimensioni gigantesche, che scaldò un po’ il cuore di Blaine. Finalmente si era liberato di un peso, e c’era chi lo capiva. Non avrebbe mai più dovuto affrontare nulla da solo.

Alla Dalton, Blaine scoprì anche che i metodi utilizzati per “correggere il comportamento” erano piuttosto discutibili. Umiliazione davanti ai compagni, vessazioni fisiche e psicologiche, digiuno forzato… tutte cose che Sebastian aveva sperimentato su di sé, ma che non lo avevano affatto piegato. Blaine era affascinato dalla sua forza d’animo. “Sto solo aspettando di uscire di qui” gli aveva detto una volta dopo essere stato percosso davanti alla classe per non aver ripetuto la lezione a dovere. Aveva le lacrime agli occhi, mentre parlava con Blaine, dopo, fuori in giardino. La schiena gli faceva male dove era stato colpito, ma si era sforzato di non darlo a vedere. Blaine non aveva risposto, gli aveva preso una mano e gliela aveva stretta forte. Sebastian però la aveva ritratta subito, dicendo che non voleva che qualche insegnante li vedesse e punisse anche Blaine, e che non avrebbe sopportato di vederlo subire quello che subiva lui da anni. C’era una luce nei suoi occhi, mentre parlava, e non si trattava di riflessi nelle lacrime. Era una luce che Blaine non aveva mai visto in nessuno, e nessuno lo aveva mai guardato come Sebastian in quel momento: c’era preoccupazione, c’era affetto, c’era protezione, avrebbe osato dire che ci fosse anche amore.

Col passare dei mesi, Blaine si ritrovò ad arrossire quando le sue dita venivano sfiorate da Sebastian più o meno accidentalmente, o ad avere il batticuore quando sentiva il suo respiro nel sonno e desiderava che i loro letti fossero più vicini. Sebastian, probabilmente senza saperlo, gli stava insegnando cosa volesse dire vivere e amare sé stessi, e Blaine stava sentendo crescere dentro di sé la fiducia necessaria per innamorarsi davvero di qualcuno.

Ogni Natale, alcuni dei bambini tornavano dalle loro famiglie, quindi all’accademia rimanevano solo gli orfani e pochi docenti. Blaine e Sebastian non tornavano a casa perché là non erano ben voluti, quindi passavano le giornate di vacanza insieme a scuola.

Il Natale del sesto anno fu speciale. Sebastian gli bendò gli occhi e lo condusse in una delle aule vuote dell’accademia. Blaine non seppe mai come riuscirono ad arrivarci senza essere visti dagli insegnanti nei corridoi o dai compagni rimasti come loro alla Dalton, ma sapeva che Sebastian era sempre pieno di risorse e molto del suo fascino derivava proprio da questo. Quando fu liberato, Blaine si ritrovò in mezzo all’aula spoglia, confuso da quel gesto e dal sorriso di Sebastian che lo guardava con intensità. Lo vide mettere una mano nella tasca dei pantaloni della divisa e tirarne fuori qualcosa che non riuscì a distinguere fino a che non l’ebbe tra le dita. Erano un tasto bianco e uno nero di un vecchio pianoforte scordato, che – spiegò Sebastian – aveva visto abbandonato in una delle aule all’ultimo piano, chiuso agli studenti e agli insegnanti per via dei danni causati al tetto dalla pioggia e dalla neve degli ultimi inverni.
“So che ti piace suonare”, aveva detto, “lo vedo da come ogni tanto tamburelli le dita. Lo so che non sono movimenti casuali: mia sorella suonava sempre il pianoforte alle feste organizzate dai miei, prima che si trasferissero in un’altra contea per via dei pettegolezzi sul mio comportamento scandaloso e che mi spedissero qui.” Blaine era arrossito nel realizzare due cose: che Sebastian gli aveva appena fatto un regalo, e non uno qualsiasi, e che doveva essere un ottimo osservatore, perché aveva capito una cosa di lui che non gli aveva mai raccontato. Amava suonare il piano. Ma nessuno glielo aveva mai insegnato e per imparare da solo aveva dovuto ascoltare di nascosto le lezioni di Mary Jane per poi provare gli esercizi su ogni superficie: tavoli, sedie, le panchine la domenica in chiesa. A volte era riuscito a suonare perfino il vero pianoforte di casa, quando erano tutti fuori per fare compere e rimanevano solo i servitori ad ascoltarlo. Era un pubblico senza molte pretese e generoso nei complimenti e a Blaine questo bastava per essere fiero dei suoi lenti progressi. Mentre sorrideva al pensiero di essere importante per Sebastian almeno quanto lo era per la servitù degli Anderson, aveva visto il ragazzo avvicinarsi un poco verso di lui.

“Non oso immaginare che cosa combinassi a quei party…” aveva commentato quindi, scherzando. “Magari ti appartavi con il cameriere più carino della servitù, o non perdevi occasione di abbordare il giovane pupillo di qualche ricco signore…” Aveva continuato più nervosamente, notando che Sebastian stava riducendo sempre di più la distanza tra loro. A ogni parola aveva avuto il fiato più corto, a ogni passo di Sebastian il suo cuore aveva martellato più forte. Dopodiché era accaduto. Le labbra di Sebastian si erano appoggiate con fermezza sulle sue, in un unico, lungo, deciso bacio, che lo aveva lasciato senza fiato.

“All’epoca avevo solo tredici anni, ma il giovane Lord Pennyngton già mi trovava interessante. Era un viscido porco, ma ero troppo ingenuo per accorgermene. Ci trovarono nel locale della cucina adibito alla conservazione dei cibi, mentre stava infilandosi le mie mani nei pantaloni. Diede la colpa a me, ovviamente. ‘Sebastian Smythe ha un cuore perverso!’ disse, così mi spedirono qui, mentre lui a quest’ora avrà ereditato le terre e la tenuta della sua famiglia.” Aveva detto, senza allontanare il viso dal suo, quasi in un sussurro sofferente.

“Non posso crederci… mi dispiace.” Era stata l’unica cosa da dire, mentre sentiva il sangue pulsare nel collo contro la mano che Sebastian vi aveva appena appoggiato.

“Non devi dispiacerti. Quella vicenda mi ha insegnato che non bisogna fidarsi di nessuno. Ma poi ho incontrato te, che sei una creatura con una tale purezza di cuore che disarma.” E lo aveva baciato di nuovo, più volte, e Blaine si era lasciato travolgere. Aveva risposto con naturalezza a quel gesto che ormai non considerava più sbagliato. Come poteva essere sbagliato, se lo rendeva felice? Se lo faceva sentire importante e desiderato? Aveva messo le braccia intorno al collo di Sebastian, lo aveva stretto a sé, e, meravigliandosi della sensazione di quel corpo contro il suo, aveva liberato tutta la gioia che provava in un sospiro rumoroso.

Dopo quel Natale, la Dalton sembrò un luogo completamente diverso. O forse era Blaine ad esserlo.
il loro amore clandestino non fu mai scoperto, nemmeno la notte precedente alla partenza di Sebastian. Avendo completato la sua istruzione e avendo recitato a regola d’arte la parte di quello che lui e Blaine avevano chiamato ironicamente “3P” – “Perfetto Pervertito Pentito” – aveva ottenuto il permesso di lasciare la Dalton e di trovare la sua strada nel mondo, con i pochi soldi gli avevano lasciato i suoi. La notte in questione era una notte di gennaio. Il dormitorio era quasi deserto per via dell’epidemia di tifo che aveva colpito l’istituto. Blaine non riusciva a dormire e sentiva Sebastian girarsi e rigirarsi nel letto, il fruscio delle lenzuola assordante come i suoi pensieri. Decise di alzarsi e di raggiungerlo, in silenzio e senza fare rumore. Fu felice di trovare Sebastian già compresso in un’estremità del materasso, come se avesse saputo che quella notte non sarebbe stato da solo e che avrebbe dovuto lasciare lo spazio per qualcun altro. Si infilò sotto le coperte, accanto a lui, e per un po’ rimasero così, l’uno accanto all’altro a fissare il soffitto nel buio. A un certo punto, Blaine si sentì afferrare una mano, forte, e non poté fare altro che stringergliela a sua volta. “Vieni via con me.” Sussurrò Sebastian. Il cuore di Blaine fece una capriola. “Non posso.” Soffiò. “Lo so.” Rispose rassegnato Sebastian. “Vorrei solo che non fosse così.” Blaine si girò su un fianco, verso di lui, e gli circondò la vita con la mano libera, il resto del corpo si confondeva con quello dell’altro. Sentì una mano accarezzargli i capelli. “Fammi sapere dove ti sarai stabilito e appena sarò fuori di qui verrò a cercarti.” Disse, come in una supplica, contro il suo petto. Sebastian non rispose, ma lo strinse a sé. “Sei un uomo meraviglioso, Blaine Anderson.” E fu l’ultima cosa che sentì, prima di sprofondare nel sonno e in quelle braccia sicure.
Alle prime luci dell’alba, Sebastian lo svegliò, così che potesse tornare nel suo letto senza essere notato. Lui non aveva dormito. Strappò un bacio a Blaine, lungo e dolce, e un abbraccio da togliere il fiato, dal quale Blaine non avrebbe mai voluto liberarsi. Ma dovette farlo. Blaine scese dal letto di Sebastian per entrare nel suo e contare i minuti che mancavano alla loro separazione.

Quando arrivò l’ora, tutti gli allievi non costretti all’infermeria si stiparono davanti al cancello dell’accademia, per salutare uno di loro che ce l’aveva fatta. Blaine era tra loro, ovviamente, e vedere Sebastian salutare le istitutrici e i compagni ebbe uno strano effetto su di lui. Domande e dubbi si insediarono nel suo cuore al punto da fargli tremare le ginocchia. Come avrebbe fatto senza Sebastian? Dove sarebbe andato lui? Si amavano? Si sarebbero ritrovati? Nessuna risposta, ma un sorriso dolce, da lontano, e un saluto con la mano che tante volte aveva stretto. Sebastian sparì dentro una carrozza diretto nessuno non sapeva dove.
Blaine passò i mesi successivi immerso nello studio. Non si fece distrarre da niente. Perfino nel tempo libero rimaneva concentrato nella lettura. Romanzi, saggi, poesie… imparò quante più cose poté. Risultò impeccabile nei calcoli, nella lettura a voce alta e nella stesura di brevi testi scritti. Ci volle poco perché terminasse i suoi studi e che ottenesse il permesso di lasciare la Dalton, e così, nelle ultime settimane di permanenza, collezionò una serie di annunci di offerte di lavoro che giungevano all’accademia. Tuttavia, non rispose a nessuno di essi. Sperava che arrivasse una lettera per lui da parte di Sebastian, in cui ci fosse scritto dove fosse e come raggiungerlo… ma non arrivò mai.

Trascorse un anno.

Nessuna lettera.

Blaine occupava le sue giornate come supplente alla Dalton, un po’ per giustificare la sua permanenza finiti gli studi, un po’ per occupare le sue giornate, un po’ perché di fatto si sentiva perso. Non sapeva cosa fare della sua vita. Sebastian non si faceva vivo. Negli ultimi nove anni era vissuto all’interno delle mura fredde ma a loro modo rassicuranti dell’accademia, protetto dal mondo esterno, dalla vita reale.

Un giorno si fece forza. Prese in mano la situazione e accettò l’idea che Sebastian probabilmente non aveva più bisogno di lui. Si asciugò una lacrima davanti al cassetto pieno di annunci e rispose ad uno di essi.
 
Il signor Kurt Hummel ricerca un bibliotecario per la sua tenuta.
Inviare le proprie referenze a:
 signorina Rachel Barbra Berry,
 Hummel Place,
contea di N***

 
La sua assunzione fu pressoché immediata e si ritrovò a partire, lasciando quella che, tra alti e bassi, era di fatto diventata casa sua.
 
***
 
“Blaine? Mi sta ascoltando?”

“Come? Oh signorina Rachel, le chiedo perdono. Ero perso in mille pensieri.”

“Non si preoccupi. Stavo dicendo che siamo arrivati. Questa è la biblioteca.”

Era così. Una grande porta di legno pesante e scuro era appena stata aperta dalla signorina Rachel, e nascondeva una biblioteca che a Blaine parve immensa. Va bene, forse ci voleva poco a sembrare immensa se si era abituati a quella della Dalton, ma quella di Hummel Place era davvero, davvero enorme – se non nelle dimensioni, almeno nella quantità di libri contenuti. Blaine non aveva mai visto tanta ricchezza.

“Il signor Hummel desidera che qualcuno ora se ne prenda cura. Sa, è rimasta chiusa da quando sua madre è morta e non ha avuto il coraggio di aprirla da allora.” Spiegò Rachel. “Ma ora vuole che sia riportata all’antico splendore.”
Blaine la ascoltava appena. Era affascinato da quel luogo, seppur coperto di polvere e puzzolente di chiuso.

Entrò, con un rispetto quasi religioso.

L’ambiente era circolare e il soffitto alto. Gran parte dello spazio era occupato dagli ampi scaffali, il pavimento coperto da tappeti che donavano al tutto un’aria accogliente, mentre tende di velluto rosso coprivano le finestre quanto bastava per impedire l’entrata di troppa luce e quindi l’ingiallire dei libri, ma abbastanza da illuminare un poco l’ambiente.
Alcuni libri erano chiusi dietro i cristalli delle librerie, ma in molti scaffali Blaine trovò allineate tutte le opere scolastiche desiderabili, insieme a libri di letteratura, di poesia, di viaggi e a qualche biografia. Si trovavano anche, in quella stanza, un pianoforte vissuto ma ben tenuto e d’ottima marca, un cavalletto per dipingere e un paio di mappamondi.

Era l’inizio della sua nuova vita, e odorava di carta inchiostrata e paradiso.

 

 
 
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Note: Nell’annuncio per l’offerta di lavoro firmata da Rachel,viene detto di rispondere inviando una lettera all’indirizzo “Hummel Place, contea di N***”. Ebbene, non ho voluto specificare di quale contea si trattasse perché era così che si usava nei romanzi inglesi del Settecento e dell’Ottocento. Jane Eyre è pieno di esempi di questo tipo, così come Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen. Ho voluto mantenere quest’usanza anche io.
 
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Ricordo inoltre il Calendario dell’Avvento di Kurt e Blaine, dategli un’occhiata, se vi va!
Intanto, a domenica prossima con ASHO!
Cup of tea

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


A Shadow Hanging Over


Capitolo 3
 


Le prime settimane passarono veloci, ma monotone.

Sveglia al mattino presto, colazione in cucina con le signorine Rachel, Santana e Brittany, insieme alla cuoca Mercedes, che, come gli avevano anticipato, era davvero uno chef coi fiocchi. Poi, mattina e pomeriggio, svolgeva il suo lavoro alla biblioteca, che consisteva soprattutto nel catalogare i volumi per genere, autore e anno, oltre che nel provvedere alla manutenzione dei volumi stessi, nel caso fossero stati danneggiati dal tempo o dall’uso che una volta ne veniva fatto. Rachel aveva spiegato brevemente a Blaine che, quando Lady Elizabeth era in vita, la gentile donna permetteva agli orfani della città vicina di prendere in prestito i libri, a patto di riportarli indietro una volta finiti per consentire ad altri di consultarli dopo di loro. Era una donna generosa, che credeva nel diritto di questi bambini di godere delle meraviglie contenute in quelle opere, oltre che di ricevere un’educazione e un’istruzione adeguata. Alla sua morte, però, gli Hummel decisero di abbandonare almeno temporaneamente quella pratica - forse per il troppo dolore causato dal ricordo - e, una volta deceduto anche il signor Burt Hummel, la zia tutrice dell’allora signorino Kurt chiuse la biblioteca definitivamente. Nel suo racconto Rachel aveva aggiunto che, secondo lei, zia Hummel era semplicemente troppo pigra per occuparsi di una cosa tanto importante. Era già una gran cosa che avesse accettato di occuparsi del signorino. Ora, non avendo la zia più nessun potere su di lui – cresciuto e in grado di provvedere a sé stesso e alla sua casa – il signor Kurt Hummel si era deciso a riprendere l’attività voluta da sua madre. Il padrone di casa aveva chiamato il signor Abrams e poi, in seguito al suo brutto incidente, lui.

Blaine si era sentito piuttosto onorato di giocare un ruolo fondamentale in quel progetto.

Un lavoro che prima gli appariva dignitoso e interessante ma, detto senza tante cerimonie, del tutto fine a sé stesso, ora aveva acquisito tutt’altro valore. Se ci fossero state in Inghilterra – così come nel mondo – più Lady Elizabeth, probabilmente gli orfani non avrebbero più dovuto accontentarsi dei pochi e malridotti volumi garantiti dalle opere di carità. Lui stesso, alla Dalton, aveva dovuto fingersi soddisfatto della misera collezione di libri in pessimo stato in dotazione all’accademia. Ovviamente erano stati sufficienti per la sua istruzione, ma in quanto a letteratura d’evasione c’erano lacune di dimensioni gigantesche nella loro biblioteca. “Di parole non ci si nutre” era la risposta che veniva data a chi chiedeva un libro in più da leggere durante la ricreazione, come a dire che l’accademia non poteva permettersi un rinnovo o un’espansione  della biblioteca, dal momento che a stento riusciva ad affrontare la spesa dei rifornimenti di cibo. Di parole non ci si nutre, era vero, ma quando l’unica occupazione di un bambino è lo studio, l’unico suo pensiero il disgusto dei parenti più prossimi o l’assenza di essi, l’unica sua realtà un istituto rigido e freddo in senso letterale e figurato, un libro in più, un romanzo in più, può fare la differenza. I romanzi costituiscono da sempre il migliore rifugio per chi vuole scappare dal presente, ma soprattutto sono capaci di infondere speranza per un futuro migliore anche nella più cinica delle anime. Cosa non proprio irrilevante.

Tornando alle sue giornate a Hummel Place, esse si concludevano sempre allo stesso modo: cena alle sei e mezza con la servitù, chiacchiere davanti al fuoco e tè caldo alla mano, e andare a letto presto, in vista di un’altra giornata di lavoro.

Ogni giorno gli stessi programmi, gli stessi gesti, la stessa repressione del desiderio di scoprire se quel pianoforte in biblioteca funzionasse, la stessa negazione al pensiero di Sebastian e di cosa il ragazzo stesse facendo in quel momento.

Ma soprattutto, quattro settimane e nessun segno del signor Hummel.

Cominciava a pensare che non esistesse, che fosse uno spirito, come quello che la signorina Rachel diceva infestasse la casa. In effetti, pensandoci bene, non aveva ancora sentito le tanto celebrate urla.

Fece spallucce, un giorno, alla realizzazione di quanto appena detto, sistemando una copia de La storia degli uccelli inglesi di Bewick. Neanche fosse stata una qualche sorta di profezia, quella sera stessa, poco prima di cena, mentre stava percorrendo il lungo corridoio del terzo piano, quello che dalla biblioteca portava alle scale per i piani sottostanti, si fermò di colpo.

Un suono acuto, che associò più allo stridio di un uccello piuttosto che alle urla di una donna, gli ferì l’orecchio. Era un suono del tutto inaspettato in quella parte così solitaria della casa, uno scoppio di risa disturbante, stridulo, per nulla gaio. Poi la risata tacque, per ricominciare più squillante fino a diventare uno scroscio clamoroso, che parve risvegliare un’eco in ogni stanza. Sentì un brivido percorrergli la schiena, ma si costrinse ad allontanare la paura e il ricordo delle parole della signorina Rachel: “Quelle urla sono certamente di Lady Elizabeth, incapace di lasciare questo mondo per i Cieli, perché addolorata dal destino di dannazione che ha riservato a suo marito.” Se per un attimo – solo per uno! – avesse messo da parte la razionalità, e se la governante avesse avuto ragione, allora quei lamenti avrebbero dovuto appartenere ad uno spirito inquieto, un fantasma non pericoloso, probabilmente, ma… Blaine ebbe un sussulto. Che fosse pericoloso o meno, era pur sempre un fantasma… e i fantasmi erano spaventosi in ogni caso.

“Terrorizzante, vero?”

Blaine si girò di colpo verso una delle colonne che ornavano il corridoio, nella direzione in cui gli era sembrato provenisse una voce. Con sua grande sorpresa, da dietro di essa si mostrò una delle cameriere del signor Hummel.

“Santana! Allora è lei! Mi ha fatto spaventare!” La rimbeccò.

“Le urla? Oh no, bel musino… non sono io.” Ribatté l’esuberante ragazza. “A volte lo faccio per prendere in giro la Berry, così, tanto per tenerla sull’attenti. Mi nascondo dietro le tende e lancio uno di quegli urli che le farebbero tanto rizzare i capelli, se non li costringesse ogni giorno in quelle cuffie orribili - ma questa volta non sono stata io.” Continuò, noncurante.

“Allora chi è? Non posso davvero credere a quella storia…”

“Venga, andiamo insieme in cucina. Intanto le racconto.”
***
 
La signorina Santana era più disponibile di quanto volesse far sembrare.

Gli raccontò degli Hummel, anche se non era ancora stata assunta quando erano in vita. Gli disse di avere la stessa età del signor Kurt Hummel, al che Blaine dedusse che il padrone di casa fosse piuttosto giovane. Diciotto, vent’anni al massimo. Gli disse anche che non era permesso fare alcun accenno alle urla in presenza del signor Hummel, né chiedergli quando pensasse di essere di ritorno il giorno di una partenza. A volte stava via solo qualche giorno, a volte settimane… una volta era stato via per due mesi e non aveva avvisato in alcun modo del suo rientro, al punto che le ragazze avevano creduto che se ne fosse andato per sempre. Fortunatamente la signorina Rachel aveva insistito che la casa fosse tenuta in ordine costantemente, così, il giorno in cui il signor Hummel tornò, non furono colte impreparate. E poi gli raccontò curiosità sul resto della servitù, ma mai su sé stessa.

Che quella della ragazza fosse voglia di fare del pettegolezzo o meno, Blaine fu felice che gli avesse dato modo, in qualche maniera, di conoscere un po’ di più le sue colleghe.

Blaine scoprì, infatti, che la signorina Rachel avrebbe tanto voluto fare l’attrice di teatro e che ovviamente non ci era riuscita. Non tanto per le sue abilità – a detta di Santana, aveva talento da vendere – ma per il maschilismo ancora imperante nel mondo dello spettacolo, oltre al fatto che il teatro stava perdendo pubblico. Così la signorina Berry si era ritrovata a fare da governante ad Hummel Place. Era la sua prima esperienza, eppure la sua capacità di organizzazione e il suo orientamento alla realizzazione degli obiettivi la avevano fatta distinguere dalla massa fin da subito.

La signora Mercedes, invece, era la storica cuoca degli Hummel. Aveva accudito il signorino Kurt in diversi momenti, dalla morte dei genitori in poi. Se avesse potuto occuparsi di lui totalmente, lo avrebbe fatto, ma volente o nolente dovette farsi da parte davanti alle risorse economiche della vecchia zia Hummel, nettamente superiori alle sue. Inoltre, non si era mai visto che una povera cuoca allevasse un giovane aristocratico, e la zia Hummel non aveva perso occasione di farglielo notare, ovviamente con sgarbatezza e disgusto. In ogni caso, che la zia aveva i soldi necessari per garantire al signorino l’educazione e l’agio a cui era abituato, non importava a nessuno, perché non era capace né dell’amorevolezza né del calore che ci si aspetterebbe da una tutrice. Di questo si erano accorti tutti gli amici degli Hummel, ma nessuno aveva il coraggio di intervenire, dal momento che l’alternativa per il signorino sarebbe stata finire in un orfanotrofio. Mercedes Jones, d’altro canto, era povera in canna ma ricca di un amore che non aspettava altro che riversare su qualcuno di bisognoso, e da sempre aveva considerato il signorino come un figlio, non avendo potuto averne di propri. La signora Mercedes era legata agli Hummel da un profondo e reciproco sentimento di stima e rispetto, e occuparsi del loro bambino sarebbe stato per lei un onore. In pratica, gli disse Santana, alla fine dei conti zia Hummel si occupò nella parte finanziaria – non senza farlo pesare ogni giorno – perché maneggiare il denaro era l’unica cosa di cui era capace, mentre fortunatamente la signora Mercedes sopperiva alle vere cure. Era decisamente una donna che sapeva prendersi ciò che voleva, ovviamente sempre con le migliori intenzioni. Fu lei a insistere che l’ormai adulto signor Kurt Hummel intraprendesse la carriera di attore.

Di Brittany, Blaine già conosceva qualcosa, ma Santana approfondì raccontandogli del suo arrivo ad Hummel Place. La ragazza aveva frequentato l’Istituto di Lowood, a Lowton, e lì era quasi morta di tifo. Per qualche strana ragione, un giorno guarì, a differenza di molte sue compagne. “Brittany è speciale”, commentò Santana. “Ne ha passate tante, ma niente sembra averla scalfita”. E Blaine notò che nella voce della cameriera, nascosto sotto il suo tono di voce duro e fiero, giaceva un particolare affetto per la bionda ragazza di cui stavano parlando, al punto che credette di vedere anche lui quell’aura rossa che sembrava avere.
Anche se avesse voluto – e lo voleva, ma le buone maniere esigevano che non si ficcasse il naso nelle vite delle persone – Blaine non fece in tempo a chiederle nulla al riguardo, così come non domandò nulla sul suo passato.
In pochi minuti furono all’ingresso della cucina, così dovettero interrompersi.

Trovarono la signorina Rachel in piedi accanto alla tavola modestamente imbandita, con la signorina Brittany al fianco. La signora Mercedes stava portando un grosso vassoio con la sua zuppa e in quel momento Blaine realizzò di avere più fame di quanta si sarebbe aspettato.

 
***
 
La cena procedette bene, con i soliti battibecchi tra le signorine Rachel e Santana e le abituali uscite estemporanee della signorina Brittany. La signora Mercedes, dal canto suo, sembrava divertita da tutto questo, e guardava le ragazze con l’occhio affettuoso di chi è saggio e in là con gli anni.

Blaine, ora che insieme alle prime impressioni maturate in quelle settimane conosceva anche particolari più profondi sulla vita delle sue colleghe, non poté fare a meno di vederle tutte sotto una luce diversa. La signorina Berry era ambiziosa, ma il destino era stato crudele con lei. La signorina Brittany poteva essere pazza, ma di persone forti come lei ne esistevano poche. La signora Mercedes era molto di più di una cuoca sopraffina: era un po’ la mamma di tutti, determinata e orgogliosa. E la signorina Santana? Era ancora un mistero per lui. Eppure, sentiva che in lei c’era molto di più di quanto poteva aspettarsi.

 
***
 
Una fredda mattina, la piacevole monotonia che si era venuta a creare nelle giornate di Blaine ad Hummel Place subì un notevole scossone.

“Signor Blaine, si alzi, la prego!” Sentì una voce chiamarlo da fuori la porta della sua camera. Era ancora a letto, ma a giudicare dalla luce fioca che si intravvedeva a sento dietro le tende giudicò non fosse ancora spuntata l’alba. Si alzò in fretta e furia, totalmente in agitazione. Cosa poteva essere successo, perché lo avessero svegliato così presto? Forse il fantasma si era palesato? E lui… avrebbe finalmente creduto all’esistenza degli spiriti, qualora ne avesse avuto uno davanti? Aprì la porta ancora in veste da notte, e trovò la signorina Rachel tutta affannata e anche lei con la vestaglia ancora addosso.

“Che succede, Rachel?” Chiese, vedendola molto scossa.

“Oh, signor Blaine! Venga, presto! Qui lei è l’unico uomo, noi non abbiamo abbastanza forze!” E fece per tirarlo per un braccio, al che Blaine la bloccò.

“Signorina, la prego si calmi. Mi dica cos’è successo.” La esortò, pensando al contempo che, qualsiasi cosa avrebbe dovuto affrontare, sarebbe stato meglio farlo con abiti più consoni a quelli che entrambi portavano.

“Il signor Hummel! È qui!” Esclamò, tutta un fremito.

“Il signor Hummel?!” Ripeté lui per essere sicuro di non aver frainteso.

“Sì! Ma ha una caviglia slogata, e fatica a camminare!”

Blaine mandò al diavolo l’etichetta e si fiondò lungo il corridoio dietro alla signorina Rachel. Aiutare un uomo ferito a entrare in casa propria era certamente più urgente di cambiarsi d’abito.

Uscirono dalla porta di ingresso, e Blaine sentì l’aria gelida della notte investirlo con tanta forza da mozzargli momentaneamente il fiato. Si fece forza per raggiungere quello che doveva essere il signor Hummel, appena oltre il grande cancello che separava la strada pubblica dal giardino della tenuta. Accanto a lui, Santana lo sorreggeva, mentre Brittany teneva le briglie di uno scuro cavallo carico di due valigie. Cavallo con cui, ipotizzò, il signor Hummel doveva essere arrivato fin lì.

“Brittany, porti Alexander nella stalla, sia gentile.” Fece appena in tempo a sentirlo dare disposizioni alla sua cameriera. “Oh, lei deve essere il nuovo bibliotecario!”

“Blaine Anderson. Molto obbligato, signore.” Si presentò con un piccolo inchino.

“Via, Blaine, non le hanno detto di non essere così impettito?” Lo rimbeccò l’altro, mentre veniva abbracciato dalla signorina Rachel con quello che sembrava grande e ricambiato affetto. 

Blaine arrossì. “Sì, signore.”

“Mi chiami pure Kurt. Non devo essere molto più vecchio di lei, non è così?”

“No, signore… signor Kurt.”

“Blaine ha frequentato la Dalton, è abituato alla formalità.” Spiegò la signorina Rachel al loro padrone di casa. “Sì, è rigido come un manico di scopa!” Lo prese in giro Santana. “A me lui piace!” Affermò Brittany, che non era ancora andata via.

“Ragazze, solo i Numi sanno quanto mi siete mancate!” Ridacchiò il signor Hummel, facendosi abbracciare dalle tre cameriere. Blaine trovò che quel signore – ragazzo – aveva una graziosissima risatina acuta, deliziosa quanto la sua voce delicata ma squillante. Ovviamente, trovò strano anche il tono di gioviale familiarità con cui si era rivolto alle sue sottoposte. Ma lo trovò allo stesso tempo adorabile e accogliente.

“È così, Blaine? La Dalton Academy?” Riprese il signor Hummel, dopo essersi ricomposto.

“È così, signore.”

“Sono convinto che presto si sentirà libero di rilassarsi un po’. Rimanga in questa casa, e scoprirà che la vita non è brutta come avranno sicuramente cercato di farle credere in quell’istituto.” Lo incoraggiò con un grande sorriso.

Curioso, un commento del genere, specie se fatto da chi aveva perso entrambi i genitori da bambino. Proprio com’è successo a me. Per qualche motivo si sentì confortato profondamente. Rispose al sorriso con un altro sorriso.

“Ora, entriamo, forza! O congeleremo tutti!” Concluse il padrone di casa.

Blaine prese sotto braccio il signor Hummel, più alto di lui ma leggero come un fuscello. Non era sicuro, ma credette di arrossire quando afferrò con una mano quella sinistra di Kurt e con l’altra gli cinse il fianco destro.

 
***
 
La signora Mercedes aveva preparato per tutti una golosa e calda colazione.

Dopo aver accompagnato il signor Hummel all’interno della casa, si erano riuniti tutti intorno alla tavola. Non quella del piccolo salotto della servitù, dove Blaine era ormai abituato a mangiare, bensì quella della bellissima sala da pranzo della tenuta.

“Ma non mangiamo in cucina?” Aveva chiesto a bassa voce a Brittany. “Che sciocchezze! Non vorrai costringere il signor Hummel a mangiare in un posto così angusto!” Blaine aveva preferito non sottolineare che con “Mangiamo” lui intendeva solo la servitù, garantendo comunque un appetitoso pasto al padrone di casa, ma nella sala da pranzo. A casa Anderson funzionava così: servitù da una parte, padroni da un'altra. Non lo aveva sottolinato, perché d’un tratto anche a lui sembrava una cosa molto sciocca non mangiare tutti insieme.

Tornando alla colazione, Blaine ebbe modo di osservare il signor Hummel a fondo.

Egli stava raccontando della sua ultima esibizione nei panni di Anthony Hope in un gotico dramma dal titolo lunghissimo. “Sweeney Todd” era tutto ciò che Blaine era riuscito a cogliere, tanto era assorbito dalle movenze di colui che stava parlando. Constatò che il signor Hummel possedeva una grazia di cui prima non aveva potuto fare caso, considerato l’equilibrio precario a cui era costretto dalla caviglia offesa. Ora, con una rigida benda a proteggerla, era più libero di muoversi, senza paura di peggiorare la sua situazione. Aveva appoggiato la gamba su una seggiola vicino a lui, in attesa che arrivasse il dottore della città a un miglio da lì. Blaine seguiva i suoi gesti come ipnotizzato. Ma la voce -  oh, la voce! – quella era la parte che preferiva.

Finì la sua colazione, mentre il signor Kurt raccontava di come il suo cavallo Alexander si fosse imbizzarrito in mezzo al bosco e lo avesse disarcionato. In qualche modo era riuscito a domarlo di nuovo, ma di camminare proprio non se ne aveva potuto parlare, perciò aveva chiesto a un gentile fattore, che passeggiava con il suo cane di primo mattino, di chiamare aiuto. Così era giunto ad Hummel Place, e lì il buon uomo, dopo aver chiamato le domestiche, lo aveva dovuto lasciare per occuparsi delle sue faccende.

“Blaine, quando sarò in grado di muovermi autonomamente, voglio assolutamente vedere la biblioteca!” Esclamò il signor Hummel, a un certo punto. La signorina Rachel si era alzata per aiutare le signorine Santana e Brittany a sparecchiare, mentre la signora Mercedes era andata in cucina per sistemare pentole e piatti. Blaine aveva fatto cenno di alzarsi e aiutarle, ma il signor Kurt lo aveva bloccato con quell’affermazione.

“Senz’altro, signor Hummel. Ne sarei felice.” Rispose, nervoso neanche lui sapeva per cosa.

“Proprio non ne vuole sapere di abbandonare quei “Signor Hummel”, non è così? Sa, di signor Hummel ce n’è stato uno, mio padre. Un uomo di grande coraggio. Io voglio essere solo Kurt, o signor Kurt, se proprio le piace di più. Ma permetta a me di chiamarla Blaine, la prego.”

“Certo, signore.”

“Allora, come si trova ad Hummel Place?” Proseguì il padrone di casa, evidentemente lontano dall’idea di interrompere la conversazione. A Blaine non dispiacque.

“È un bel posto, signore. Un po’ freddo, forse. Ma siete tutti molto gentili, e questo basta e avanza a scaldarmi.”

“Abituato a ben di peggio, alla Dalton, immagino.”

“È così, signore, infatti.”

Il signor Hummel parve assorto, per un momento. “Avrei potuto finirci anche io, sa? Santana gliel’avrà detto, ne sono sicuro. Cara ragazza, se la si conosce bene, ma ha la bocca larga.” Commentò. “Ebbene, immagino di dover ringraziare la mia odiosa zia per non aver subito quel destino. Ironia della sorte. Non posso serbare odio nei confronti della donna più detestabile che io conosca solo perché mi evitato un’infanzia di sacrifici e rinunce.”

A quel punto, Blaine non poté dargli ragione. “Non era tanto male, alla Dalton.” Rinunce e sacrifici, certo. Ma lì era diventato un uomo. Un uomo colto e responsabile.

“Ah, no?” Il signor Hummel parve seriamente sorpreso.

“No. Voglio dire, certo le misure adottate erano insopportabili, soprattutto all’inizio. Ma è a quel luogo che devo tutto quello che so.”

“E come ha fatto? Si è piegato del tutto alla loro dottrina? Ha davvero rinnegato sé stesso, alla fine?”

Come faceva il signor Hummel a sapere quale fosse il motivo per cui era stato mandato all’accademia? Paranoico, non è così. Intende dire se alla fine sei diventato il timoroso burattino dei tuoi insegnanti.

Giusto?

“No, signore. Ho avuto la fortuna di incontrare una persona che mi ha insegnato a non corrompere ciò che sono.”

“Una persona di grande valore.”

“È così, signore. Lo era.”

“Io parlavo di lei.”
 


 
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La tavola di cup of tea

Kurt Hummel è tornato al McKinlehmehmehm ad Hummel Place! Evviva!! Era anche ora, vi do pienamente ragione.
Dunque, qualche precisazione:
  • Parlando della carriera mancata di Rachel è stato menzionato il fatto che il teatro è in declino. Ebbene, all’inizio dell’Ottocento il teatro in Inghilterra non aveva più il seguito che aveva avuto precedentemente; questo a causa dell’avvento del romanzo. Per i capolavori di Oscar Wilde e di George Bernard Shaw bisogna aspettare la seconda metà del secolo.
  • L’Istituto di Lowood a Lowton, che qui è stato frequentato da Brittany, è quello che originariamente frequentò Jane Eyre nell’omonimo romanzo.
  • Sweeney Todd: the Demon Barber di Fleet Street, di George Dibdin Pitt è un dramma gotico del 1842, che prese spunto dai terribili fatti di cronaca circa un barbiere impazzito che uccideva i suoi clienti per farne poi cibo da vendere. I remake sono innumerevoli, compreso il recente adattamento di Tim Burton con Johnny Depp.
Grazie a tutti! <3
cup of tea

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


A SHADOW HANGING OVER

CAPITOLO 4


 

“Rachel, cara, ti dispiacerebbe portarmi un bicchiere d’acqua? Questa stupida gamba…”

Blaine osservò la signorina Berry prenderne uno e riempirlo dalla brocca posata su un vassoio, per poi portarlo al signor Hummel, disteso sul divano con la gamba dolorante appoggiata su una montagna di cuscini.

Erano passate due settimane da quando Hummel Place aveva riavuto il suo padrone, ma ancora non si erano visti miglioramenti alla sua ferita. “È solo una slogatura alla caviglia” aveva detto il dottor Mason. Aveva anche aggiunto di avere pazienza, e che con il riposo e la tranquillità del proprio ambiente domestico si sarebbe risolto tutto. Evidentemente il dottor Mason non era a conoscenza dei battibecchi tra le signorine Rachel e Santana, o delle urla che si udivano nei corridoi – la cui entità sovrannaturale doveva essere ancora provata – o della incapacità del signor Hummel di stare fermo e comodo. Forse Mason non se n’era accorto, ma si poteva vedere perfino a grande distanza che il signor Hummel non era una persona abituata alla staticità. Era uno che doveva agire, fare qualcosa delle sue giornate; pieno di progetti, sogni, ambizioni. Cielo, sto diventando come la signorina Brittany. Ci manca solo che ora veda la sua aura color – “

“È verde, tanto per la cronaca.”

“Come, scusa?” In quel momento Blaine ebbe la certezza che non si sarebbe mai abituato alle uscite a sorpresa di Brittany. Ora la ragazza lo stava guardando con i suoi particolari occhi dalla forma all’insù, e sbatteva le palpebre perplessa per non essere stata capita. “L’aurea del signor Kurt. È verde. Non se lo stava chiedendo?”

“Io… sì, sì. Ma non ad alta voce…” Vero?

“No? Oh, beh. Che cosa curiosa.” La signorina Brittany alzò le spalle e uscì dalla sala da pranzo, per rifare il letto del signor Hummel come ogni mattina. Blaine non poté fare a meno di continuare a fissare la porta da cui era uscita, anche se ormai la signorina non si vedeva più. Come aveva fatto a capire a cosa stava pensando? E, ad ogni modo, a cosa corrispondeva il verde nella sua strana categorizzazione di colori e personalità? E lui aveva davvero già intuito come fosse il signor Hummel? Gentile nei modi, interessante nei racconti, dalla voce acuta e soffice. Di una bellezza fredda come le stanze della casa di cui era padrone, e soprattutto sicuro di sé. Eppure in un modo completamente diverso da Sebastian.

Sebastian.

Sentì un nodo alla gola nel ripensare a quel nome.  

“Cosa trova di tanto interessante nel legno degli stipiti, signor Blaine?” La voce del signor Hummel lo riportò alla realtà. Era un’abitudine degli abitanti di quella casa fare domande a tradimento? “Niente, signore. Mi scusi.”

“Non c’è nulla di cui scusarsi. È una bella porta.” Rispose il padrone di casa, con fare incoraggiante. “Va tutto bene, Blaine?” Continuò.

“Certo, signore. Ora però devo andare in biblioteca, con permesso.” Si alzò dal tavolo, posò la tazza della colazione sul vassoio, facendo attenzione che Rachel non vedesse i suoi occhi già lucidi, e uscì dalla stanza. Corse dritto su per le scale, al terzo piano, in quel posto che, per tutte le ore che vi passava, cominciava a sentire un po’ suo. Un perfetto rifugio per occasioni di emergenza come quella.

Blaine, andiamo. Un solo nome non può condizionarti in questo modo.

Prese un volume a caso di quelli che doveva ancora controllare e sistemare e cercò di concentrarsi sul lavoro.

Trascorse due ore buone immerso tra carta e pensieri, cercando di allontanare i ricordi antichi che erano inevitabilmente riaffiorati nella sua mente. Lui e Sebastian insieme nel cortile della Dalton,  lui e Sebastian che si scambiavano occhiate furtive nei corridoi, lui e Sebastian che si baciano di nascosto, lui e Sebastian, Sebastian mentre studiava, Sebastian, Sebastian, Sebastian. Strane cose, i ricordi: che siano legati a momenti felici o infelici, causano sempre dolore e senso di mancanza in chi li possiede.

Sentì dei passi lungo il corridoio, fuori dalla biblioteca, a cui seguirono leggere battute sul legno della porta socchiusa. La signorina Rachel stava chiedendo il permesso di entrare.

“Entri pure, Rachel.” La invitò, dopo essersi ricomposto. Le fece un piccolo inchino, come era buon uso quando entrava in stanza una signora.

La vide rispondere con un sorriso e guardarsi attorno, affascinata.

“Caspita! Blaine, ha fatto un ottimo lavoro!” In effetti, in quel mese e mezzo aveva già sistemato due alti scaffali. Libri in ordine alfabetico per autore, rilegati e curati se danneggiati. Ma il resto era ancora tutto da sistemare e di certo, nel complesso, non si poteva definire un ottimo lavoro.

“Non ho ancora finito, mancano ancora quei tre bancali e le mensole.” Disse, e lo sguardo mesto della signorina Rachel lo fece sentire in colpa. Forse era suonato un po’ ostile, e lei non c’entrava nulla con i suoi drammi. “La ringrazio, comunque” aggiunse, quindi. “Fa sempre piacere che il proprio lavoro venga apprezzato.” Le sorrise, sperando di aver tamponato l’incidente.

La vide sorridere sinceramente e si rincuorò.

“Aveva bisogno di qualcosa? Prego si sieda, che maleducato.”

Lei si sedette sullo sgabello del pianoforte, e poi disse: “Oh, niente di particolare, in realtà…”

Ora Blaine non poteva che essere francamente incuriosito dalla sua visita.

“Cosa sta aggiustando ora?” Gli chiese lei.

“Oh… Questa, mia cara signorina Rachel, è una preziosissima trascrizione della tragedia teatrale del grande William Shakespeare, Romeo e Giulietta.”

“Io adoro il teatro! E di cosa parla?”

“È la sventurata storia di due innamorati appartenenti a due famiglie rivali, che troveranno pace solo nella morte, l’unico luogo dove possono essere insieme.”

“Oh che storia triste… eppure, così romantica!”

“Concordo, tutte le storie migliori sono tragiche. Ma Romeo e Giulietta non parla solo di un amore appassionato, puro e romantico, come lo ha definito lei. L’amore ha molte facce, ed è proprio di questo che parla l’opera.”

“Più tipi di amore?”

“Proprio così: per il padre di Giulietta l’amore è solo un contratto vantaggioso tra due famiglie; per la balia di Giulietta, invece, l’amore è qualcosa di fisico e che appartiene unicamente al mondo dei sensi” Qui la signorina arrossì. “Caspita! E che altro?” lo incalzò. “Beh,” rispose lui, “per il pretendente della ragazza, il conte Paride, approvato dalla famiglia di lei, l’amore è legato all’apparenza di decoro e di buon comportamento.”

“Quante cose che sa, signor Blaine!”….. “Ma lo sa quali storie piacciono veramente a me?”

“Quali, mi dica.”

“I romanzi di formazione. Soprattutto quelli dove il protagonista – o la protagonista, possibilmente – riescono a coronare i loro sogni o a raggiungere i loro obiettivi senza alcun aiuto, contando unicamente sulle proprie forze.”
Una scelta accurata, visti i suoi trascorsi. “Oh, ma certo.” Le sorrise. Era contento della piega che aveva preso la conversazione: quale argomento migliore se non i propri gusti in fatto di libri? Senz’altro era un modo per entrare in ulteriore confidenza. E la letteratura era il suo campo preferito. “Quali ha letto?” Le chiese, seriamente interessato.

“Io… beh, in realtà non ho letto molto…” La signorina sembrava all’improvviso a disagio. Blaine si morse la lingua. Non aveva idea né del passato, né del tipo di famiglia da cui proveniva Rachel, ma era chiaro che non aveva la stessa fortuna del signor Hummel, o non avrebbe scelto la carriera da governante. Avrebbe dovuto pensarci, prima di fare domande.
“Però i miei papà me ne raccontavano tante, quando ero piccola.” Aggiunse la giovane governante.

“I suoi papà?!” Certo questa era una cosa insolita. Come era possibile che una bimba fosse cresciuta da due uomini?

“L’ho sconvolta, vero? Deve sapere che vengo da un piccolo paese di montagna e che mia madre morì dopo avermi partorito. Non ho un vero padre, o almeno non l’ho mai conosciuto. Però mia madre aveva un fratello, uno dei miei due papà, e lui mi accolto come una figlia. Scappò con il ragazzo delle mucche, creando scompiglio nella sua famiglia – i miei nonni. Ma si amavano e non potevano più stare separati. Si stabilirono a poche miglia da Londra, in un povero ma grazioso paesino. In qualche modo nessuno li ha ancora denunciati. Io stessa sono cresciuta bene con loro e non ho mai avuto problemi; forse è perché nessuno si cura di chi ami, se il primo pensiero di tutti è trovare da mangiare per la propria famiglia e non hai il tempo per i pettegolezzi.”

“Devono essere due grandi persone.”

“E’ proprio così.” Rispose sorpresa la signorina Rachel. “Sono molto colpita, devo ammetterlo. Le uniche persone che hanno reagito così pacificamente come lei sono le persone che abitano con me in questa casa. E’ bello vedere che c’è gente buona in giro.”

Blaine le fece un grande sorriso, come a farle intendere che non aveva alcun tipo di pregiudizio, su nessuna cosa al mondo. Non avrebbe ricevuto da lui che comprensione e appoggio. “Coraggio, Rachel: mi ha reso terribilmente curioso. Mi racconti una delle storie che ascoltava da piccola, la prego.”

La signorina Rachel cominciò a raccontare, e con gli occhi esplorava luoghi invisibili a tutti fuorché a lei. “Beh, c’era quella di questa ragazza che da sguattera diventa una principessa con l’aiuto di una fata. Ma per qualche ragione non mi piaceva molto. Forse perché, se la fatina non ci fosse stata, lei non sarebbe diventata la moglie del principe. Io preferivo quella che i miei avevano intitolato Rachel la stella.” Ridacchiò lievemente al ricordo. “Immagino l’avessero inventata di sana pianta per farmi contenta, ma mi piaceva molto. Parla di questa bambina, Rachel, che sogna di diventare una stella. Allora promette, alle stelle del mattino, che si impegnerà con tutte le sue forze per imparare la loro lingua, a scintillare come loro, e a illuminare la Terra. Le stelle accettano e le dicono che dipenderà tutto da lei: se il suo impegno sarà sufficiente, si guadagnerà un posto accanto a loro, nel firmamento, e illuminerà il mondo insieme a loro.”

“Ce la fa, alla fine?”

“Lei, sì…” Lasciò la frase a metà, persa nei suoi pensieri. Blaine intuì che al momento nella mente della signorina era in corso un paragone tagliente tra la piccola Rachel della storia e lei stessa. Ricominciò a sistemare i volumi, posando Romeo e Giulietta e passando a Re Lear.

“Signor Blaine, posso chiederle una cosa?” Chiese la signorina, dopo qualche minuto.

“Ma certo.” Rispose lui, posando il volume per concentrare tutta l’attenzione su di lei.

La signorina ci pensò un momento, poi disse: “Perché stamattina è fuggito via dal salotto? Sembrava scosso…”

“Avevo… avevo molto da sistemare. Il signor Hummel non sarà contento se per quando sarà guarito non sarà tutto a posto.” Le rispose posando nuovamente lo sguardo sull’opera di Shakespeare.

“Il signor Hummel ci impiegherà ancora qualche tempo prima di guarire. Che mi dice di lei?”

“Io cosa?”

“Oh, andiamo, Blaine. La sua ferita non è evidente come quella del signor Kurt, ma sento che sta sanguinando da qualche parte.”

Forse, tanto valeva aprirsi con qualcuno. Lei lo aveva fatto con lui. E Rachel sembrava essere una buona amica: meno pettegola della signorina Santana e con i piedi per terra più di Brittany. Inoltre, chi meglio di lei sarebbe stata priva di pregiudizi?

Sospirò di rassegnazione – o forse sollievo perché finalmente poteva aprirsi con qualcuno.

“Ecco, io… Sì, insomma, deve sapere che quando ero alla Dalton ho avuto quella che si dice una cotta.

“Oh, già mi piace. Continui, la prego.”

“Diciamo che la nostra storia è dovuta rimanere segreta.”

“Come quella di Romeo e Giulietta?”

“Sì, ma per motivi diversi dai loro…”

“Non capisco. Perché non poteva stare con lei?”

Blaine alzò gli occhi al cielo. Stava per confessare. “Rachel… la Dalton è un’accademia maschile.”

Rachel parve scandalizzata. “No! Santi Numi, Blaine! Non mi dica che vedeva segretamente un’istitutrice!”

“No, per carità, Rachel, si calmi! Nessuna istitutrice!”

“E allora…”

“Allora…”

“Allora lei.. Allora a lei piacciono gli uomini!” Esclamò la signorina con voce alta e fare trionfante.

“Shhhh! La prego!”

Lei si alzò in piedi, come incapace di contenere un entusiasmo di cui Blaine non riusciva a comprendere la provenienza. “Oh Cielo! Sì! Il signor Hummel aveva ragione! Che bellezza!”

“Il signor Hummel??”

“Certo! E’ lui che lo capisce al volo! Sa, forse è per via del fatto che anche lui è come i miei papà.”

“Lui…” Alt! Troppe informazioni in una volta sola!

“Oh si! Che bello!” La governante cominciò a vagare per la biblioteca, girando su sé stessa e facendo cambi di direzione repentini.

“E quando avreste parlato di me?!” Le chiese sconcertato Blaine.

“Non ha importanza ora, mi racconti come è andata a finire con il fanciullo aitante dell’accademia.”

“Perché deve essere per forza finita?”

“Andiamo… lei è qui… senza di lui…”

“D’accordo, sì, è finita. O meglio, lui è andato via dalla Dalton e non si è fatto più vivo.”

La signorina gli si fece vicino e gli poggiò una mano su una spalla. “Blaine, dia retta a me. Lei merita di meglio!”

“Per esempio, chi?”

“ll signor Hummel, ma è ovvio! Siete entrambi soli da troppo tempo.”

“Signorina non credo sia il caso. Dimentica la nostra differenza di rango, e soprattutto che un amore tra due uomini non è, per così dire, decoroso come quello tra un uomo e una donna.”

“E lei dimentica in che casa si trova. Qui non siamo come là fuori. Qui può essere chiunque si senta di essere. E ovviamente di amare chiunque lei voglia.”

“E che mi dice del fatto che potrei non piacergli?”

“A lei, il signor Hummel, piace?”

“Io… sì… cioè, non lo so, non ci ho mai pensato.”

“Cominciamo da questo, il resto verrà da sé.”
***
 
Quel pomeriggio la pioggia aveva ricominciato a battere inclemente contro i vetri di Hummel Place. Erano le cinque, l’ora della pausa, e come ogni giorno la servitù era riunita intorno al tavolo della sala da pranzo con una tazza di tè in mano e un pasticcino appena preparato dalla signora Mercedes nell’altra.

Il signor Hummel era seduto accanto a loro, con la gamba appoggiata a una sedia adiacente alla sua; la signora Mercedes stava pensando al menu da preparare per la sera; le signorine Santana e Brittany parlottavano tra loro, e sembrava proprio che la signorina Brittany stesse leggendo la mano all’amica. Blaine in tutto questo cercava di evitare le occhiate eloquenti che la signorina Rachel faceva saettare tra lui e il signor Hummel.

Il fuoco scoppiettava allegro nel caminetto e pareva che si fosse diffuso nell’aria di quella stanza il buon umore. Per tutti, fuorché per il signor Hummel.

Blaine poteva percepire la sua noia come fosse la propria, e poteva anche comprendere che, per un uomo abituato a viaggiare ed esibirsi, essere costretto al riposo poteva equivalere a sentirsi in prigione. Era un peccato vedere immobile e stufo un uomo dotato di grande energia e ambizione.

Decise che avrebbe fatto qualcosa per ravvivargli la giornata.

E non era stata la conversazione con la signorina Rachel ad avergli suggerito di farlo e di conoscerlo meglio. No, certo.

“Signor Hummel, la biblioteca è per metà sistemata. Quando vuole, posso mostrarle a che punto sono arrivato.” Gli propose.

“Blaine, non pensi al lavoro anche nella pausa, la prego. E’ chiuso tutto il giorno lassù e non la si vede in giro fuorché durante i pasti. Si prenda un po’ di tempo per sé. Sta lavorando molto.”

“Che significa signore?”

“Le do dei giorni di permesso fino alla fine della settimana.”

“Ma come, signore? Come farà la biblioteca ad essere pronta per Natale? La signorina Rachel mi ha detto che l’obiettivo sarebbe garantire a ciascuno di quei bambini un libro per le feste!”

“Blaine, so benissimo con quale ritmo sta lavorando, non creda il contrario. Sono sicuro che se riprenderà lunedì non rimarrà troppo indietro.”

Blaine si trovò con le spalle al muro. “Come vuole, signore.” Però gli aveva rovinato l’unica idea che aveva avuto. Ora avrebbe dovuto trovare qualcos’altro per occupargli il tempo e tirarlo su.

“Chi vuole che gli sia letta la mano?” Se ne uscì Brittany, all’improvviso. “Signor Blaine?”

“Io? Oh, la ringrazio Brittany, ma la chiaroveggenza non fa per me.”

“Andiamo, Blaine, non vuole far contenta la signorina?” Intervenne il signor Hummel. “Brittany, la mia mano è pronta per essere letta.” La ragazza esultò. “Ma solo se poi Blaine si farà leggere la sua.” Continuò il padrone di casa.

Blaine rimase restio.

“Oh coraggio!” Lo incitò la signorina Rachel. “Può essere divertente! E poi non è che ora abbia altro da fare.” Ecco da chi viene l’idea della temporanea interruzione del lavoro. Rachel e le sue cospirazioni!

“D’accordo. Ma prima leggerà quella del signor Hummel.” Accettò.

“Ma che noia! Qualcuno prenda una decisione o Santana Lopez andrà da un’altra parte a farsi gli affari propri!” Sbottò la ragazza dai capelli corvini, parlando di sé in terza persona. Forse credeva di conferire maggior enfasi alle sue parole.

La signorina Brittany prese tra le sue una mano del signor Hummel e la studiò un poco. La tensione e l’aspettativa per ciò che avrebbe predetto era palpabile in tutti i presenti, e Blaine, l’unico scettico della compagnia, si sentì quasi in difetto e in dovere di aprire la mente.

“Signor Hummel,” cominciò la ragazza, “lei ha davanti a sé un futuro colorato. Vedo del verde… e un'altra sfumatura, più scura e calma. Ma è lontana al momento. Un impedimento. Vedo un impedimento. Come un’ombra che incombe. La seconda sfumatura tende verso un’altra, un’arrogante anima viola. Una volta però quest’anima era arancione, accogliente e infiammata, ed è questo l’impedimento: l’anima scura crede che quella da cui è stata separata, l’anima arancione, sia uguale a ciò che era. Ma torniamo a lei, signor Hummel. Perché l’anima scura si faccia più vicina, occorre fare un passo alla volta. Piano, e con pazienza. Ma quelle che al momento sono solo sfumature separate, si fonderanno a formare un colore tutto nuovo. Ah, sì. Vedo anche che non sarà più solo a teatro. Ma la via è ancora lunga. Forse più del percorso in direzione del colore a lei destinato.”

Brittany lasciò tutti a bocca aperta. Nessuno aveva capito niente. Lei alzò la testa dalla mano del signor Hummel, e come uscita da una sorta di trance sorrise ai presenti, come se non avesse appena predetto il futuro a nessuno.

“Bene, Blaine, è il suo turno.” Proclamò il signor Hummel.

Blaine porse, con aria di sfida rivolta al padrone di casa, la mano alla signorina Brittany. Calò il silenzio come poco prima.

“Uhm… Vedo… Vedo… Signor Blaine, lei ha freddo!” Giunse alla conclusione Brittany.

“Freddo? No, io non ho freddo.”

“Lei ha freddo… dentro. E’ stato ferito, non è così? Una fiamma ha bruciato il suo cuore, trasformandolo in un pezzo di ghiaccio. E ora non sta bene, perché tiene lontano da lei il più nobile e forte dei sentimenti, l’unico capace di liberare il vero fuoco che arde in lei. Le sembra di aver già provato tutto quello che è concesso agli uomini, ma in realtà non ha ancora idea di cosa si prova quando si è innamorati. Ma le dico un segreto. Lei si trova in una curiosa situazione: ha davanti a sé tutti gli elementi per essere felice, non gli resta che combinarli. Il caso li ha posti un po’ distanti l’uno dall’altro, ma faccia sì che si uniscano, e ne risulterà la felicità.”

E Brittany uscì dal suo trance per la seconda volta, lasciando in Blaine e in tutti i presenti l’ambigua sensazione che qualcosa stava per succedere.




****************************************************
La tavola di cup of tea

Dunque, come certamente avrete capito la storia della sguattera che diventa principessa grazie a una fata madrina è Cenerentola. Invece, Rachel la stella è tutta farina del mio sacco - non prendetemi in giro!
Ho citato anche Romeo e Giulietta, specificando che è di Shakespeare, ma non l’ho fatto per Re Lear. Ebbene, anche Re Lear è un’opera di Shakespeare. Lo so che lo sapevate già. Ma dovete capirmi, quando stavo scrivendo questo capitolo, stavo scrivendo anche la tesi, perciò ultimamente mi trovo con l’ossessione della bibliografia.
Che altro? Beh, voi avete capito le parole di Brittany? Dai… non è tanto difficile. Ad ogni modo, mi sembra giusto riportare che le ultime premonizioni che Brittany rivolge a Blaine sono le stesse che una veggente (che non è una veggente, ma non vi voglio spoilerare il romanzo, nel caso vogliate leggerlo) fa a Jane Eyre. Mi sembrava che calzassero a pennello anche per il mio Blaine.
Direi che con le specificazioni abbiamo finito.
Volevo solo ringraziarvi tutti <3
Cup of tea

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


A SHADOW HANGING OVER


CAPITOLO 5



 
Le premonizioni di Brittany avevano lasciato in Blaine una strana sensazione.

Non aveva mai creduto al sovrannaturale, aveva sempre avuto un certo senso pratico ed era solito far prevalere la ragione sulle emozioni, ma quella casa stava mettendo in discussione tutto ciò che pensava di sapere.

La sua infanzia dagli Anderson era stata caratterizzata da una separazione netta tra padroni e servitù; qui invece il signor Hummel trattava i suoi sottoposti come dei pari, ed era stato cresciuto addirittura da una di loro.

Alla Dalton aveva imparato a tenere nascosto ciò che non era socialmente accettabile; qui invece una ragazza aveva due papà, e il padrone di casa non aveva paura di chi era “diverso” – addirittura lo accettava sotto il suo tetto, dando rifugio a tutti quelli che il mondo scartava.

Gli era stato insegnato che a tutto c’è una spiegazione logica; qui invece si credeva agli spiriti e alla preveggenza.

Aveva sempre creduto che la realtà potesse essere divisa in due parti nettamente separate: bianco o nero, vero o falso, giusto o sbagliato. Ma la verità che aveva appena realizzato era che c’era un infinito mondo di possibilità.
 
“Lei ha freddo… dentro. E’ stato ferito, non è così?” D’accordo, la signorina Rachel doveva aver spifferato qualcosa a Brittany, giusto? Fissò il soffitto dal materasso del suo letto. Il signor Hummel gli aveva concesso quattro giorni di pausa e Blaine aveva deciso di passare la sua prima mattina di vacanza a letto, a meditare. Era sceso giusto per una velocissima colazione, per rintanarsi nella sua stanza subito dopo. “Una fiamma ha bruciato il suo cuore, trasformandolo in un pezzo di ghiaccio. E ora non sta bene, perché tiene lontano da lei il più nobile e forte dei sentimenti, l’unico capace di liberare il vero fuoco che arde in lei.” Ma quale fuoco? Nel momento in cui Sebastian aveva deciso di non farsi più sentire aveva spento qualsiasi cosa in lui, o almeno questa era la sua sensazione. “Le dico un segreto. Lei si trova in una curiosa situazione: ha davanti a sé tutti gli elementi per essere felice, non gli resta che combinarli. Il caso li ha posti un po’ distanti l’uno dall’altro, ma faccia sì che si uniscano, e ne risulterà la felicità.” Cosa significava? Quali elementi gli erano davanti? Era una congiura, non c’era dubbio. Tutti in quella casa per qualche motivo lo volevano vedere col signor Hummel, dimenticando che entrambi non avevano neanche dato segno di piacersi in quel senso. E dimenticavano anche la differenza di rango e il fatto che fossero entrambi uomini, ovviamente, anche se Rachel sosteneva non fossero due argomentazioni rilevanti.

Certo, l’infinito mondo di possibilità, doveva averlo già dimenticato.

Provò a immaginarsi una vita futura con il signor Hummel.

Si vedeva accanto a lui a cena, tutto agghindato da gran signore senza però sentirsi tale.

Allora si vide vestito modestamente, ad aspettare il suo compagno di ritorno da un grande spettacolo. Non era una brutta immagine, ma pur sempre strana.

Ebbe poi la visione di sé messo da parte quando il signor Hummel avrebbe ricevuto visite, o da solo per lunghi periodi quando il signor Kurt fosse partito come era solito fare. E questo non gli piacque. Come avrebbe occupato il tempo? Avrebbe comunque gestito la sua biblioteca? In tal caso, non sarebbe stato molto diverso dalla situazione in cui si trovava già. Ma come avrebbe reagito? Avrebbe fatto la parte di quello che accetta qualsiasi condizione? O avrebbe avuto il coraggio di aprirsi e di sostenere i suoi diritti come legittimo compagno di un uomo che avrebbe dovuto rispettarlo e trattarlo come meritava? Se c’era una cosa che in quegli ultimi tempi a Hummel Place aveva imparato era che non si era fatti per negare sé stessi in favore degli altri. C’era posto per tutti, e non era forse questo che il signor Hummel professava ogni giorno?

Presa considerazione di ciò, la triste immagine che poco prima aveva preso forma nella sua mente lasciò il posto ad un’altra. Vide il signor Hummel a casa, per Natale. Lo vide tenergli una mano, entrambi seduti sul divano. Vide un caldo camino scoppiettante. Vide Rachel versare il tè, Santana guardare il paesaggio innevato fuori dalla finestra, la signora Mercedes portare in tavola i suoi famosissimi muffin e Brittany esclamare “I bambini! Eccoli, arrivano!” E allora vide tutti alzarsi e Rachel aprire la porta agli orfani del villaggio. Tutti in ordine, in fila, li vide cantare la loro carola di Natale e poi entrare prudenti in quella casa che ai loro occhi sarebbe apparsa enorme. Vide la biblioteca popolarsi in fretta e lui, Blaine, distribuire i volumi che i bimbi richiedono. La gioia nei loro occhi li avrebbe illuminati, così come il suo sorriso e quello delle sue amiche. Il signor Hummel, però, sarebbe stato quello che avrebbe sorriso di più: il suo sogno si era realizzato. E forse io ho trovato il mio.
Sarebbe stato un gran lieto fine.

Però cosa ne pensava il signor Hummel?

Con quella storia dei colori, la signorina Brittany non era stata molto chiara.

“Un impedimento. Vedo un impedimento. Come un’ombra che incombe. La seconda sfumatura tende verso un’altra, un’arrogante anima viola.” Blaine ricordò di aver visto il signor Hummel rabbuiarsi un poco a quelle parole. Forse anche lui era lontano dalla felicità e non aveva più voglia di lottare per essa, proprio come lui. “Perché l’anima scura si faccia più vicina, occorre fare un passo alla volta. Piano, e con pazienza. Ma quelle che al momento sono solo sfumature separate, si fonderanno a formare un colore tutto nuovo.”

Forse Brittany si riferiva a qualcun altro, ma Blaine non potè che pensare che quel colore scuro si trattasse proprio di lui. Il blu era un colore scuro, no? Un passo alla volta, aveva detto la ragazza. Non si deve avere fretta quando si è alla ricerca della felicità, no di certo, perché si rischia di prendere un abbaglio.

Gli girava la testa, per tutte quelle domande e riflessioni.

Ma la questione era una e semplice: vedeva nel signor Hummel un’opportunità di essere felice, una persona qualsiasi a cui avrebbe potuto affezionarsi, o vedeva in lui l’unica opportunità di esserlo, l’unica senza la quale non avrebbe avuto senso vivere?

Certo, era decisamente troppo presto per decidere.  

Un passo alla volta, e lo avrebbe scoperto.

 
***
 
Quando si decise a scendere, in salotto trovò solamente il signor Hummel e la signorina Brittany. In casa c’era un grande silenzio.

“Dove sono tutti?” Chiese al padrone di casa.

“Mercedes ha lasciato la tenuta pochi minuti fa: una vecchia e lontana zia è gravemente malata e ha chiesto di lei. Starà via per un po’. Rachel e Santana sono invece andate in città, al mercato.” Poi, il signor Hummel, rivolgendosi a Brittany, disse: “Brittany, lasciaci soli un momento, grazie.”

Blaine trasalì, per qualche motivo.

La ragazza lasciò la stanza.

Passò quella che a Blaine parve un’eternità, prima che il signor Hummel dicesse qualcosa.

“Cos’è quella faccia direi quasi spaventata, Blaine? Stia tranquillo, sono anch’io vittima, quanto lo è lei, delle cospirazioni delle sue colleghe.”

Oh, beh. Questo Blaine non se l’aspettava.

“Le mie ragazze vogliono solo vedermi felice. E a quanto pare vogliono che lo sia anche lei…” Continuò il padrone di casa.

“Rachel sembra tenerci molto, sì. Ed è strano, per me, perché nessuno ha mai tenuto a me davvero.” Rispose lui, come riflettendo ad alta voce.

“Quando diciamo che qui siamo una famiglia, lo diciamo con cognizione di causa.” Disse il signor Hummel, donandogli un sorriso comprensivo che a Blaine parve splendido. Incominciava a crederci anche lui. “Facciamo così”, continuò, “conosco Rachel, e quando si mette in testa qualcosa, non si ferma prima di aver tentato il tutto e per tutto. Finora solo in una cosa ha ceduto prima di averla ottenuta. Diamole quello che vuole – facciamole vedere che ci abbiamo provato – e poi prometto che la lascerò in pace, e che lo farà anche Rachel. Solo, è l’unico modo perché lei si convinca che non c’è niente tra di noi. Altrimenti sarà una piaga per tutti noi. Le sta bene?”

Oh. Okay. Era chiaro che il signor Hummel non aveva nessunissima intenzione di “fare un passo alla volta”. Era arrivato già a destinazione, ben diversa da quella che aveva predetto la signorina Brittany. E così, in fondo, aveva avuto ragione lui. Differenza di rango, omofobia, o il semplice non interesse verso la sua persona – non importava quale fosse la vera causa – il signor Hummel non riteneva che Blaine valesse la pena di mettersi in gioco. Se non per mettere a tacere le fantasticherie di una sua sottoposta.

Blaine sentì una fitta, come se si fosse aperta una crepa, da qualche parte dentro di lui, e il magico quadretto che si era inventato poco prima fu squarciato in due dalla tagliente verità.

“Blaine?” Lo richiamò.

“S-sì, sì, certo, signore. Come vuole.”

“Insieme possiamo farcela.”

Insieme, sì certo.

Anzi, no.

In un moto di crescente orgoglio e autostima, Blaine prese una decisione. Era arrivato il momento di smetterla di essere usato o di sottovalutato: il signor Hummel voleva che la signorina Rachel li vedesse fare amicizia? Ebbene, questo sarebbe stato quello che avrebbero fatto. Avrebbe detto o accettato un “no” solo dopo che si fossero conosciuti davvero. Anche se questo avrebbe significato operare alle spalle del signor Hummel stesso.

Blaine annuì, solo per mettere fine all’odiosa conversazione.

Si sedette sulla poltrona vicino al divano dove stava il signor Hummel, e dopo un po’ chiese: “Quando torneranno le signorine Rachel e Santana?”

“Entro il tramonto, di certo.” Rispose il signor Hummel. Pareva sorpreso. “Perché me lo chiede?”

“Ho un’idea per cominciare con la nostra farsa. E dovrà sporcarsi le mani, perciò si metta il cuore in pace e tiri su le maniche, mentre io l’accompagno di là.”

 
***
 
Di là era in cucina.

Blaine aveva preso sotto braccio e sorretto il signor Hummel fino a lì, che fortunatamente non era troppo distante. Come la mattina in cui l’aveva accompagnato in casa, Blaine constatò che era snello e leggero, ma troppo alto per lui, per essere sostenuto senza fatica.

Una volta lì e adagiatolo su una sedia, cominciò ad aprire le ante degli armadietti, alla ricerca dell’occorrente, ovviamente sotto lo sguardo ancora perplesso del signor Hummel. Non gli aveva ancora detto cosa avesse intenzione di fare.

“Dove sono…?” Chiese Blaine più a sé stesso che al padrone di casa, che senza dubbio non avrebbe saputo rispondergli. Un uomo altezzoso come lui sarà entrato in cucina solo per dire alla servitù dove sono le altre macchie da pulire. No, va bene, forse non era affatto così, però che poteva farci? Ora aveva il dente avvelenato nei suoi confronti.

“Blaine, vuole spiegarmi?” Chiese quasi risentito il signor Hummel.

“Eccole!” Disse per tutta risposta lui, trovando finalmente le uova. Aveva già raccolto sul tavolo la farina, lo yogurt, lo zucchero e il burro, mancavano solo loro. Anche se Rachel e Santana erano uscite per fare la spesa, per fortuna i beni di prima necessità erano già in casa. “E le nocciole? Ah, faremo senza.”

“Sono nella dispensa. Mercedes non può farne a meno.” Rispose ora rassegnato il signor Hummel, come se ormai avesse accettato l’idea che Blaine non avrebbe detto nulla fino a che non avesse avuto tutto sotto controllo.

“Oh, grazie.” Rispose l’altro, sorpreso. Forse c’era già entrato in cucina, dopotutto. Ma questo non cambiava niente. E poi… vederlo così sulle spine era una piccola vittoria dolce come il miele. Prese anche le nocciole e le aggiunse al resto.

“Bene,” annunciò infine. “Quello che io e lei stiamo per fare, signor Hummel, si chiama cucinare dolci.” Disse, con una voluta petulanza.

“Cucinare dolci?”

“Proprio così, signore. Non era annoiato in questi giorni? E guardi un po’ che combinazione: io ho qualche giorno di permesso. Quindi…”

“Va bene, va bene.” Lo interruppe il padrone di casa. “E quali dolci andremo a cucinare, se posso saperlo?”

“Muffin alle nocciole.”

“Muffin alle nocciole?”

“Muffin alle nocciole, sì. Sono come dei semplici pasticcini ch-“

“Lo so che cosa sono i muffin, grazie. Il mio sconcerto sta nel fatto che lei pretende di volere insegnarmi a farli. Il sono il Re dei Muffin, i muffin pretendono di essere cucinati da me, quando preparo i muffin cori angelici irrompono in cucina. Anzi gli angeli fanno la fila per assaggiarli.”

“…Però, che modestia!” Disse Blaine, impressionato.

“Sono stato cresciuto da una cuoca, sa com’è.”

“Oh, beh, per un po’ una cuoca è stata l’unica amica che avevo.”

“Vediamo cosa le ha insegnato, allora.”

Blaine accettò la sfida. Prese il restante occorrente – bilancia, ciotole, cucchiai, forchette e altro – e cominciò.

Prese un uovo e lo ruppe battendolo elegantemente con una posata, lasciando cadere il contenuto in una ciotola ampia. Nella stessa fece scivolare anche i grammi di zucchero desiderati e il burro che nel frattempo si era ammorbidito. Poi piazzò il tutto di fronte al signor Hummel. “Prego, monti il tutto.”

Il signor Hummel prese una forchetta e obbedì. Era come se finalmente si fosse deciso a stare a sentire Blaine. O sta solo aspettando di vedere dove sbaglio.

Una volta fatto ciò, Blaine, che fino a quel momento era stato dalla parte opposta del tavolo rispetto al padrone di casa, gli si avvicinò, per rovesciare lo yogurt nell’impasto. Non era la prima volta che si trovavano a quella ristretta distanza – lo aveva già trasportato sottobraccio ben due volte, e lì la distanza era stata addirittura minore – ma ora c’era qualcosa, che Blaine non riuscì a definire. Era come se la sua pelle fosse attirata verso quella del signor Hummel, incontrollabilmente. Le loro mani erano così vicine…
Ma si ridestò.

“Prego signor Hummel, ricominci pure a mescolare il tutto, io intanto peso e setaccio la farina.”

Il signor Hummel obbedì, ma con una lentezza che Blaine giudicò alquanto strana. Come se qualcosa dentro di lui facesse resistenza ai comandi del cervello. Decise di ignorare la cosa e pesò la farina.

“Mi scusi, Blaine, davvero. Mi ero ripromesso di non correggerla ma…”

E ti pareva.

“Le assicuro che non mi sto sbagliando.” Rispose Blaine, seccamente.

“Io ci metterei del formaggio, prima della farina.”

Sì, certo, questa è buona. Non ci va il formaggio nei muffin alle nocciole. “Formaggio, signore?”

“Mercedes li faceva così, quando ero più piccolo. Mi ricordano la mia infanzia.” Rispose il signor Hummel, con una tale dolcezza, ritrovata in chissà quale ricordo, che Blaine non riuscì più ad essere arrabbiato.

“Ehm, d’accordo, possiamo provarci, allora. Può essere una bella scoperta.” Si fece più accomodante Blaine.

“Non se ne pentirà.” Rispose l’altro, tutto contento. Aveva sfoggiato un sorriso che ricordò a Blaine quanto lo avesse trovato adorabile dal primo momento che lo aveva incontrato.

Trovò del formaggio spalmabile avanzato da Mercedes dalla preparazione del pranzo e lo aggiunse all’impasto sotto indicazione delle dosi da parte del signor Hummel. Percepì con la coda dell’occhio la soddisfazione non maligna sul volto del padrone di casa e, per qualche ragione, fu contento anche lui.

Il signor Hummel riprese a mescolare gli ingredienti, mentre Blaine setacciava la farina con un colino. Sembrava nevicare sul loro impasto.

“E’ una buona idea quella di non buttare la farina così come capita… non avevo mai pensato di usare qualcosa che la rendesse più soffice e priva di grumi.” Disse a un certo punto il signor Hummel. A Blaine parve proprio un complimento, e ne ebbe la conferma quando il padrone di casa aggiunse: “Sono colpito.”

“E’ un vecchio trucco che Bessie mi ha insegnato quando ero piccolo.” Rispose gentilmente Blaine.

“Deve volerle molto bene.”

“E’ così. Lei mi ha sempre trattato come un bambino normale, bisognoso della stessa attenzione di cui tutti i bambini necessitano. Ma poi gli Anderson mi hanno mandato via, e non so se Bessie lavori ancora con loro.”

“Le manca?”

“Vorrei solo sapere se sta bene. Ma non me la sento di scrivere ai miei zii, con loro non voglio avere più niente a che fare. Può tritare le nocciole, per favore? Continuo a girare io.” Disse, porgendo al signor Hummel il sacchetto che conteneva le nocciole e un coltello grande e affilato. Prese poi la ciotola con l’impasto e continuò a mescolare quella che ormai era una crema soffice e spumosa. Il signor Hummel rimase in silenzio mentre tritava. Sembrava pensieroso, ma d’altra parte anche Blaine lo era diventato. Probabilmente, come lui stava pensando a Bessie, Il signor Kurt stava pensando alla sua infanzia con la signora Mercedes. Si volevano ancora bene, si vedeva, ma inevitabilmente il loro rapporto doveva essere lievemente mutato con la crescita del signor Hummel. Probabilmente era difficile per tutti e due tenere ben distinti i ruoli di madre e figlio adottivi e quelli di cuoca e padrone. Doveva essere un po’ disorientante.

Lo guardò facendo attenzione a non essere visto. I movimenti veloci con cui tritava le nocciole erano esperti e capaci. Lo vide fermarsi un momento, tirarsi su le maniche della camicia ripiegandole verso i gomiti, e liberare le sue braccia candide e, a occhio e croce, lisce come le mani che Blaine già aveva avuto il piacere di toccare quando lo aveva trasportato. Riprendendo il coltello e premendo la lama sulle nocciole, i suoi bicipiti si gonfiavano e sgonfiavano ritmicamente. Blaine sentì di nuovo quell’impulso profondo e ancestrale di sfiorarlo.

“Basta così, sono perfette!” Se ne uscì all’improvviso. “L-le nocciole, intendo. Intendo le nocciole.” Non le sue delicate eppure forti braccia divine.

“Certo che intendeva le nocciole, Blaine. Che altro poteva aver voluto intendere?” Rispose il signor Hummel, sgranando gli occhi azzurri con sorpresa e ingenuità – costruita, giudicò senza riserve Blaine – e sbattendo le sue graziose ciglia.

Avrebbe voluto sotterrarsi. Il signor Hummel aveva capito… aveva capito senza dubbio. Che figura!

 “Ehm, unisca anche quelle all’impasto e formi quelli che una volta cotti diventeranno i nostri muffin!” Lo esortò in fretta.

“Va bene.” Convenne il signor Hummel. Ma poi aggiunse: ”Vuole lo faccia con le dita o…?” E a Blaine parve la cosa più sporca ed eccitante che avesse mai sentito.

“Come, prego?” Chiese, come spaventato.

“La posata, Blaine. Ce l’ha ancora lei in mano. Uso le mani per l’ultima mescolata o me la ridà?” E indicò la forchetta che effettivamente Blaine stava stringendo con una forza sovrumana con la mano destra.

“Oh! Oh, ma certo, la forchetta! Ecco, tenga!” Gliela porse, freneticamente.

Il signor Hummel lo fissò un poco prima di ricominciare a impastare, dopo aver rovesciato le nocciole. Blaine si morse un labbro, imbarazzato, e si portò una mano dietro la nuca, come ogni volta che era nervoso. Fortuna che la mano non era sporca degli ingredienti usati.

“Blaine…?” Chiese il signor Kurt.

“Sì?”

“Si rilassi.” Rispose dolcemente.

E con sua grande sorpresa, tanto bastò a rilassarlo davvero.

 
***
 
I muffin alla fine vennero davvero bene.

Rachel e Santana arrivarono, come da programma, precise per l’ora del tè e convennero che quei pasticcini erano davvero ottimi.

Anche la sera passò in fretta e in allegria. Prima, Blaine aiutò le signorine a mettere a posto la spesa, poi tutti insieme cenarono con una zuppa semplice ma calda e gustosa preparata da Rachel. Dopodiché, davanti al fuoco, la signorina Brittany e la signorina Santana giocarono a carte – Santana vinceva sempre, ma aveva anche dichiarato apertamente di aver truccato il mazzo. Chissà perché a Brittany non dava fastidio che l’amica barasse. Il signor Hummel, invece, steso sul divano leggeva un libro. Era molto carino, così assorto.

Rachel era tutta presa con un ricamo per un cuscino, mentre Blaine, accanto a lei, decise di  riposare un po’ gli occhi.

Batterono le ventitré.

Probabilmente credevano si fosse addormentato, perché sentì Rachel alzarsi piano e andare vicino al signor Hummel – o almeno così ipotizzò Blaine per la direzione da cui proveniva il suono della voce della signorina.

“Allora,” stava dicendo lei, “Oggi è stato bello?”

“Cosa?” Disse il signor Hummel.

“Come cosa, signor Kurt! Lei e Blaine…?”

“Sto leggendo Rachel, non disturbarmi.”

“Oh, andiamo. Mi racconti un po’. Ci sono state occhiate ammiccanti? O dolci sguardi innamorati? Carezze? Baci appassionati sul tavolo della cucina? Cielo, dovrò pulirlo a fondo...”

Blaine arrossì. Per fortuna era in penombra.

“Rachel! Perdiana, cosa sta dicendo?!” Rispose indignato il signor Hummel.

“Niente, fantasticavo un po’.”

Ci fu una pausa, rotta poi dal signor Hummel.

“E’ stato un bel pomeriggio.” Dichiarò. “Blaine è un’ottima compagnia. E’ stato bello conoscerlo un po’. Non dirò altro”.
Blaine a quel punto sorrise, e si addormentò davvero.
 
 
 

**********************************
La tavola di cup of tea

Dunque, dunque, dunque.
Un po’ di commedia, finalmente! Che dite? Era ora? x)
Ad ogni modo, oggi vi devo un’unica precisazione. Anzi, la devo ad Alessandra. E’ sua la ricetta dei muffin alle nocciole, anche se qui l’ho modificata un po’. In realtà dovrebbero esserci in più le gocce di cioccolato e il formaggio in questione è il Philadelphia. Non credo proprio che esistesse nel 1848, perciò ho dovuto accontentarmi di lasciare un generale “formaggio spalmabile”. Inoltre, ho saltato anche la parte fondamentale della crema al burro col colorante alimentare per fare i decori tipo cake design. Ah, è sempre di Alessandra l’idea di setacciare la farina – oppure di norma si fa così e io non lo sapevo. Non so fare alcun tipo di cupcake, shame on me. Però sono buoni davvero! :D sulla mia pagina fb trovate una foto di quelli che ho fatto insieme a lei.
Alla prossima settimana, e continuate a dirmi che ne pensate della storia – o dei muffin, se vi va di tentare di farli!
Un abbraccio e Buon Natale,
cup of tea  

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


A SHADOW HANGING OVER

CAPITOLO 6

 


Dormire sul divano non era stata una grande idea.

Quel cuscino così duro poteva anche essersi conficcato nella schiena di Blaine, e, se fosse stato davvero così, sarebbe stato bizzarro chiamare il cerusico per farglielo estrarre.

Decise di mettersi seduto, piano piano.

Aveva addosso una coperta con la quale non ricordava di essersi protetto.

Era notte fonda, non c’era nessuno in giro.

Dovevano averlo lasciato lì, per paura di disturbarlo.

Beh, non che così sia stato meglio.

Tastò sul tavolino alla ricerca di una candela, dopodiché, una volta trovata, la accese con i resti ardenti del focolare. Uscì dal salotto e salì la scalinata dell’atrio, diretto verso la sua camera, che, pensò amaramente, sarebbe stata gelata.

I gradini, in quel buio, sembravano infiniti. La schiena gli doleva incredibilmente.

E poi si sentì il grido.

Blaine si bloccò sulle scale, agghiacciato. Non si era ancora abituato, né era riuscito ad darvi una spiegazione razionale. Si affrettò e arrivò su in cima, fino alla porta della sua camera. La aprì e vi si chiuse dentro. Il vento fischiava forte contro i vetri e il temporale appena cominciato – chissà se la pioggia avrebbe mai lasciato quel luogo? – scrosciava incessante contro le fronde degli alberi, sul terreno, contro le mura di Hummel Place. Lo trovò d’un tratto un posto inquietante e oscuro.

Si mise a letto, ma sentì dei passi, fuori dalla porta.

Tranquillo, Blaine, i fantasmi non camminano! Ma che dico, i fantasmi non esistono nemmeno!

Qualcuno bussò. Blaine trasalì.

Si alzò lentamente, e afferrò la prima cosa che gli capitò a tiro e che potesse sembrare almeno vagamente ad un’arma di difesa: il suo catino pieno d’acqua. Meglio di niente. Sicuramente avrò l’effetto sorpresa.

Mise con cautela un piede dopo l’altro, fino alla porta.

La aprì con un rapido gesto e rovesciò – lanciò – l’acqua addosso al presunto malintenzionato.

“AHHHHH!” Urlò una vocina ben conosciuta. “Signor Blaine! Che diamine le prende?! Che significa?! La mia camicia da notte…!”

“Oh, signorina Rachel, mi deve scusare… Non avevo idea che fosse lei! Venga dentro, tenga un asciugamano! Le chiedo immensamente perdono.” Fece ammenda Blaine, desolato.

La signorina Rachel prese l’asciugamano che le aveva offerto e si tamponò i capelli – per una volta non costretti nella solita cuffia – e la veste da camera. Fatto ciò, disse: “Signor Blaine, ero venuta alla sua porta per trovare conforto. Ha sentito il grido? Non mi spaventa mai, quando lo sento… ma così, nel pieno della notte…! Oh, ero terrorizzata! Sono uscita dalla mia stanza, e ho visto una luce di candela nella sua, e ho pensato di venire da lei. Pensavo di farmi un tè, per rilassarmi, ma ora sono tutta bagnata...”

“Non si preoccupi. Vada a cambiarsi, al tè ci penso io. E’ il minimo che possa fare.”

 
***
 
La signorina entrò in cucina giusto quando l’acqua nel pentolino stava cominciando a bollire.

“Venga, è quasi pronto.” La invitò.

“La ringrazio.” Rispose lei, sedendosi al tavolo.

Blaine portò teiera e tazze e versò il tè prima in quella della ragazza, accompagnandola con uno spicchio di limone.

“Quando sono in pena, il tè al limone è l’unica cosa che mi calma. Come faceva a saperlo?” Chiese la signorina Rachel.

“Fortuna, credo. Ad ogni modo, piace molto anche a me, e io offro solo cose buone quando voglio fare un’offerta di pace.”

“Non deve scusarsi di niente, stia tranquillo. In effetti avrei reagito allo stesso modo, se avessero bussato alla mia porta dopo un grido straziante. Magari non avrei usato dell’acqua, quello no.”

“Sono desolato…”

“Sto scherzando, Blaine! Aiuta a sdrammatizzare. Allora… lei e il signor Hummel, eh?”

Blaine bevve un sorso dalla sua tazza pensando bene a cosa dire.

La signorina Rachel era la persona con cui aveva legato di più, in quella casa, e, nonostante fosse molto tardi – o molto presto? – decise che una chiacchierata tra “amiche” era quello che ci voleva. Avrebbe calmato i loro animi turbati e giovato a entrambi.

“Rachel”, cominciò, “è molto dolce da parte sua adoperarsi con tanto entusiasmo per la felicità mia e del signor Hummel, ma lasci che le dica una cosa… è più complicato di quel che sembra”.

La signorina Rachel parve perplessa. Blaine si affrettò a continuare, prima che lei potesse chiedere i dettagli. Con “chiacchierata tra amiche” Blaine non intendeva certo dire che avrebbero parlato di lui. “Ad ogni modo, anch’io mi preoccupo della sua felicità, sa? Non mi guardi così, dico sul serio. E’ sempre stata molto carina con me, e vorrei restituirle il favore.”

“Non deve restituirmi niente, Blaine, lo sa.”

“Oh, certo che no. Però lo voglio fare. Mi dica come posso renderla felice.”

“Io sono felice”.

“Andiamo, Rachel. Lei non è fatta per essere una semplice governante. La sento cantare, ogni tanto, quando fa le pulizie.”

Blaine percepì che la signorina Rachel stava arrossendo, seppur nascosta dalla luce della candela posta sul tavolo davanti a loro.

“Ha una splendida voce. La più bella che io abbia sentito. E non lo dico solo perché l’unica persona che io abbia mai sentito cantare è quella campana stonata di mia cugina Mary Jane, affatto. Sono sicuro che anche dopo aver sentito milioni di persone cantare, io continuerei a pensare che la sua voce sia la migliore.”

Probabilmente l’elogio sincero funzionò, perché la signorina Rachel cominciò a parlare un poco di sé.

“Sicuramente saprà che volevo fare l’attrice.”

“Voleva? Ora non più?”

“Perché dovrei? Sto bene qui. Ho persone che mi vogliono bene e sono molto brava nel mio lavoro.”

“Quindi mi sta dicendo che se le venisse offerto il ruolo principale in una grande opera teatrale, lei rifiuterebbe perché le piace fare la governante?”

La signorina Rachel sembrava pronta a rispondere affermativamente, ma si bloccò.

“Un’opera come Romeo e Giulietta?”

“Perché no? Sarebbe una magnifica Giulietta Capuleti.”

“L’ho letto, sa? Non ho resistito, dopo che lei me l’ha spiegato così bene. Adorerei essere Giulietta… ma questo non significa che ci riuscirò.”

“Mi delude, signorina Berry. La credevo molto più ambiziosa.”

“N-non mi chiami più così… la prego.”

“Ambiziosa? “

“No… ‘Signorina Berry’. Prima mi ha chiamato solo Rachel ed è stato molto dolce.”

Blaine rifletté un momento. Era vero. Per la prima volta da quando era lì, aveva lasciato perdere le formalità e si era appellato alla sua amica con le maniere socievoli che si hanno solo con coloro a cui ci si sente legati da particolare affetto, e lo aveva fatto in un modo così naturale che non vi aveva fatto neppure caso.

Al che rispose: “Bene, Rachel, io continuerò a chiamarla solo Rachel se lei mi promette che mi starà a sentire. Forse ho un piano per farle ottenere qualche chance per diventare attrice.”

Rachel sembrò pensarci un po’ su, ma solo perché chiunque sarebbe stato meravigliato da una proposta del genere.

“Affare fatto.”

 
***
 
Era già l’alba, e, ormai, tanto valeva rimanere svegli.

Prepararono la colazione per tutti, che, appena scesi in sala da pranzo, parvero sopresi di vederli già all’opera.

“Non avete sentito le urla, questa notte?” Chiese Rachel.

Il signor Hummel si irrigidì visibilmente.

Mai parlare delle urla in presenza del signor Hummel, aveva detto la signorina Santana. Forse la risposta al mistero del fantasma infestante si sarebbe risolto chiedendo direttamente e semplicemente al padrone di casa. Quella tensione che sembrava averlo pervaso era un chiaro segno del fatto che poteva saperne più di chiunque altro.

“No, Berry. Niente di niente.” Tagliò corto la cameriera ispanica.

Rachel colse il rimprovero muto della collega e cambiò argomento. “Chi vuole del tè? Abbiamo anche uova fresche e pane morbido.”

Ma la tensione rimase anche durante la colazione. Magari lui e Rachel non erano stati gli unici a dormire male, pensò Blaine.

“Blaine, oggi riesco che riesco a mettere giù la caviglia, ci terrei a vedere la biblioteca, se non le spiace.” Se ne uscì a un certo punto il Signor Hummel.

Per qualche ragione Blaine arrossì. Forse era l’idea di passare un altro intero pomeriggio in compagnia di quell’uomo, loro due da soli. D’altra parte, anche se i commenti che aveva sentito nel dormiveglia gli avevano fatto piacere, non era sicuro che fossero stati sinceri: il signor Hummel voleva che la loro amicizia fosse una farsa e probabilmente anche le sue parole lo erano state, solo per zittire Rachel.

“Come vuole, signore. Ma mi deve lasciare qualche momento per sistemare le poche cose che ho lasciato in giro. Per via delle ferie immagino che i volumi che ho lasciato sui tavoli si siano riempiti di polvere.”

“Ma certo, Blaine. Tutto il tempo che le serve.”

 
***
 
Così Blaine passò quella mattina a spolverare, riordinare i volumi ancora sparsi, sbattere i tappeti e passare la scopa sul pavimento. Voleva che la biblioteca si presentasse al meglio per la persona che gli aveva commissionato un lavoro importante come il riportare in voga il lavoro di una madre generosa e sventuratamente deceduta.

O forse voleva solo fare bella figura con in signor Hummel.

Qualunque fosse il motivo, appena dopo pranzo tutto era pronto per quella visita.

Blaine aiutò il signor Hummel a fare le tre rampe di scale che separavano il piano terra da quello della biblioteca e, fortunatamente, non lo lasciò neanche una volta aperta la porta di quella stanza così preziosa: al signor Hummel cedettero le ginocchia per l’emozione, ma Blaine lo stava ancora sorreggendo.

Uno scambio di sguardi e di sorrisi.

Poi, finalmente, entrarono.

“Che meraviglia…!” Commentò il signor Hummel, più a sé stesso che a Blaine.

“Sì, beh, mi manca ancora tutto questo lato e anche quelle mensole, e-“

“Non dica altro.” Lo interruppe il padrone di casa. “Sarà tutto perfetto. E’ già tutto perfetto.” Continuò, sfiorando il pianoforte lucido e pulito. Liberò i tasti dalla loro copertura di legno e ne pigiò uno. Scoprì con sorpresa che era anche perfettamente accordato. Sorrise di nuovo. “Mi aiuti a sedermi sul divano, ora, la prego. La gamba comincia ad essere stanca.”

“Oh, ma certo.” Si affrettò Blaine. Rinnovò la presa sul fianco del signor Hummel e lo accompagnò fino al piccolo divano di velluto verde ortica, adibito alla lettura.

“Eccoci.” Disse Blaine. Fece per lasciare il braccio del signor Hummel ma questi lo bloccò.

“Blaine…”

“Mi dica, signore.” Blaine era decisamente sorpreso e curioso.

“Vorrei chiederle una cosa.”

“Ma certo. Quale cosa?”

“Più che una cosa… si tratta di un favore. Sì, sì, un favore.”

“Oh, okay.” Ma il signor Hummel non diceva niente, perciò Blaine cominciò a tirare a indovinare – anche perché il silenzio si stava facendo imbarazzante. “Devo sprimacciarle il cuscino? O aprire un po’ le tende? Questa stanza è molto buia…”

“No, no. Niente di tutto questo. Io volevo chiederle se aveva voglia di leggermi qualcosa.”

Oh.

“Rachel mi ha detto che sa molte cose sulla letteratura.” Spiegò il signor Hummel, come a volersi giustificare per una richiesta tanto bizzarra. “Come attore di successo immagino che sapere quante più cose possibili sulle grandi opere in poesia e in prosa sia alquanto auspicabile. La cultura sta alla base di tutto.” Continuò, tutto impettito.

A Blaine fece tenerezza. Quell’uomo, così austero da risultare perfino forzato, aveva in realtà un cuore dolce come il miele e morbido come il burro, e faceva perfino fatica a nasconderlo. Il grande affetto per le sue sottoposte era stato già un segnale evidente della sua vera natura, ma ora, di fronte a una richiesta così umile, poteva essere chiaro anche a un cieco che ciò di cui il signor Hummel aveva bisogno era semplicemente essere coccolato. Blaine non credeva di essere la persona più indicata per quello, ma finché si trattava di leggere un libro a voce alta, poteva cavarsela.

“Signor Kurt, lasci perdere i paroloni. Mi dica solo quale libro prendere e glielo leggerò fino a che non riterrà noioso il suono della mia voce.

Il signor Hummel sorrise. Forse arrossì, addirittura.

“C’era un libro che mia madre mi leggeva sempre, quando ero piccolo. Non ricordo il titolo, ma ricordo che mi faceva sempre ridere per i nomi così strani dei luoghi e dei personaggi. Parlava di un uomo che viaggia tra i mondi e incontra personaggi bizzarri.”

“Uhm, okay… nomi strani, viaggio tra mondi e personaggi bizzarri… forse mi sono fatto un’idea. Torno subito.”

Blaine si avventurò tra gli scaffali e raggiunse la sezione della letteratura sul viaggio. Scorse tra i titoli e gli autori e poi lo trovò: I viaggi di Gulliver, di Jonathan Swift, 1726.

Prima ancora di tornare dal signor Hummel, cominciò a leggere a voce alta: “PARTE PRIMA: IL VIAGGIO A LILLIPUT. Mio padre aveva una piccola proprietà nel Nottinghamshire: ero il terzo di cinque figli.”

“Oh, è proprio lui!” Esclama il signor Hummel. “Come ha fatto a capirlo?!”

“Mi intendo di letteratura, come dice Rachel.” Rispose Blaine facendo spallucce, una volta tornato al divanetto.

“E’ una divertente favola per bambini, non trova?” Chiese il signor Hummel.

“Sa, non è solo questo. E’ una di quelle opere che vanno bene per tutte le età, perché può essere letta a più livelli. Come favola per bambini, certo, ma è anche un’allegoria politica, una satira. I quattro viaggi che Gulliver compie, hanno tutti un significato.”

“Per esempio?”

“Beh, i piccoli ‘Lilliputians’, che Gulliver incontra nel primo viaggio, stanno a rappresentare la crudeltà e la meschinità che, secondo Swift, erano proprie dell’Inghilterra di oltre cent’anni fa. Se guardiamo invece al secondo viaggio,” Blaine girò la pagina sulla pagina desiderata e la mostrò al signor Hummel, “si può notare che i giganti di Brobdingnag rappresentano la vanità umana e l’amore per sé stessi. Per la loro forma enorme, Gulliver prova fascinazione ma anche disgusto e, mettendosi a confronto con loro, capisce come i Lilliputians dovevano averlo visto.”

“E’ davvero affascinante.” Commentò il signor Hummel. “Si sieda qui accanto a me e continui, la prego.”

Blaine occupò titubante il posto che il signor Hummel gli aveva appena fatto sul divanetto. Constatò che era più piccolo di come sembrava, date le loro ginocchia a contatto. Si schiarì la voce e cercò di concentrarsi per continuare.

“Nel terzo viaggio, Gulliver approda sull’isola volante di Laputa, la cui capitale Lagado è popolata da filosofi e scienziati. In questo Swift fa una parodia delle pretese del pensiero intellettuale astratto, senza alcuna connessione con la realtà. Probabilmente si riferiva alla Royal Society, di cui faceva parte anche Newton.”

“Sono nomi davvero divertenti, non trova?” Disse il signor Hummel, ridacchiando.

In effetti, avevano un che di buffo, doveva riconoscerlo.

“Aspetti di sentire allora il nome del popolo della quarta terra esplorata dal nostro protagonista: Houyhnhnms.”

“Come?” Il signor Hummel ora rideva di gusto.

“Houyhnhnms.”

Il signor Hummel rise ancora più forte. “Lo ripeta, la prego! E’ impronunciabile!” Si asciugò perfino una lacrima.

Ripeterlo di nuovo creò non pochi problemi a Blaine. Cominciò a ridere anche lui, perché il suono era davvero esilarante oltre che stravagante. “Houyhnhnms! Houyhnhnms! Houyhnhnms! Lo ripeta con me!” Lo esortò allora Blaine.

Il signor Hummel non seppe mai quale fosse l’interpretazione del quarto viaggio di Gulliver, perché si fermarono a ripetere i nomi delle popolazioni così a lungo che persero la cognizione del tempo.

Il libro conteneva anche molte immagini che commentarono insieme. Condividere lo stesso libro – per metà aperto sulla gamba di Blaine, per l’altra sulla gamba sana del signor Hummel – non sembrava strano a nessuno dei due. Le loro dita si erano perfino sfiorate in alcuni momenti, quando uno voleva gira la pagina e l’altro voleva indugiarvi ancora, o quando indicavano lo stesso punto sulle figure.

Ma Blaine cominciava ad accusare la stanchezza accumulata dalla notte precedente, così tormentata e soprattutto breve. Si accorse di stare lentamente scivolando verso la spalla del signor Hummel, incapace com’era di sorreggere la propria testa. La tirò su un paio di volte, ma della terza non si accorse. Aveva chiuso gli occhi, mentre il signor Hummel stava ancora commentando l’immagine di un Gulliver che osserva un gigante Brobdingnag. Sentiva le parole dell’amico – sì, amico, non padrone di casa, né datore di lavoro – in lontananza, soffici e vellutate. Erano come una ninna nanna, e non perché stesse dicendo cose noiose. Semplicemente, la voce del signor Hummel era un suono che cullava, la sua spalla ossuta un sostegno per le sue membra stanche e il calore che così vicini stavano emanando entrambi, creavano l’ambiente perfetto per sprofondare in un sonno quieto e sereno.

Così quieto e così sereno che, ancora oggi, Blaine potrebbe giurare di aver sentito una mano accarezzargli il viso.
 
 


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La tavola di cup of tea

Ciao a tutti! Procedono bene le vacanze? Io sto mangiando decisamente troppo! X)

Le precisazioni di oggi sono legate per lo più a “I Viaggi di Gulliver”. Ebbene, la citazione che ho riportato è tratta dall’edizione del suddetto testo (oh, cielo, parlo come Blaine) in allegato a Onda Tv Magazine (2003), che non sapevo nemmeno di avere. Per quanto riguarda l’interpretazione del quarto viaggio – per chi fosse interessato – si può dire che sia una critica verso il genere umano in generale. La terra che Gulliver esplora è guidata da cavalli intelligenti chiamati Houyhnhnms, e questi sono serviti e riveriti da una razza bestiale e subumana, gli Yahoos. Gulliver, un essere umano fatto e finito, cerca di spiegare agli Houyhnhnms che lui non è selvaggio come gli Yahoos, ma, dal punto di vista degli Houyhnhnms, il ritratto che Gulliver fa della violenta e viziosa società dalla quale proviene conferma semplicemente che gli esseri umani non siano migliori degli Yahoos, ma semplicemente più sofisticati nelle loro barbarie.

Con questo, chiedo ufficialmente scusa a Swift per aver insistito sulla ridicolezza dei nomi da lui inventati – ma, andiamo, Houyhnhnms!

Per il resto, voglio ringraziare voi che leggete, recensite, preferite, ricordate e seguite.

Devo però avvisarvi che, probabilmente, la pubblicazione di domenica prossima potrebbe saltare. Domani parto e torno proprio domenica, ma non ho idea dell’orario. Sarò senza computer fino ad allora e col tablet faccio una fatica tremenda; quindi, onde evitare di pubblicare il ricettario di mia mamma invece del capitolo 7, preferirei tornare a casina prima di farlo. Ad ogni modo, vi farò sapere!

Intanto vi mando un caldo abbraccio, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
A presto!
Cup of tea
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


A SHADOW HANGING OVER
CAPITOLO 7




Il signor Hummel lo lasciò dormire in quella posizione per qualche tempo, ma per l’ora del tramonto si trovò a desiderare che Blaine si svegliasse, perché rimanere fermo così a lungo stava cominciando a creargli qualche problema alla circolazione. Tuttavia, non voleva svegliarlo: era così calmo e tranquillo, nessuna maschera formale sul suo volto, nessuna rigidità nei tratti somatici. Sembrava addolcito, chissà cosa stesse sognando. Ma c’era anche un altro motivo per cui stare lì a sorreggergli il capo non lo infastidiva più di tanto: era la prima volta, da molto tempo, che stava così vicino a un uomo. Con il signor Adam Crawford non era finita bene: erano entrambi attori, entrambi ambiziosi, nessuno dei due disposto a seguire l’altro nei suoi progetti.

Blaine era diverso da Adam: devoto al lavoro, sì, ma anche capace di ragionare con la sua testa, per nulla accecato dalla ricerca del successo e del profitto; e poi c’era qualcosa, sotto tutta quella disciplina e quel rigore, che lo attraeva: era come se ogni rara volta che il bibliotecario gli permetteva di vedere dell’altro, fosse un regalo. Qualcosa di prezioso e concesso a pochi. Era un privilegio, o almeno era così che lo vedeva lui. O forse era semplicemente la sua spiccata intelligenza ad affascinarlo; un’intelligenza piuttosto sexy, a suo avviso.

Adam, invece, per quanto fosse gentile e attento, non era abbastanza. Era tutto lì, nulla da scoprire, nulla da imparare. L’unico aspetto che rendeva la loro storia emozionante era che dovevano tenerla segreta con i loro colleghi, quindi anche solo il baciarsi dietro le quinte era una scossa potente di adrenalina. Ma aveva dovuto ammetterlo, un giorno: “Non ti amo, mi dispiace.” Aveva detto. Il signor Crawford non aveva risposto, aveva semplicemente abbassato gli occhi, si era voltato, e non si era fatto più vivo. Il signor Hummel aveva interpretato quel gesto come la resa di fronte a qualcosa per cui non sarebbe valsa la pena combattere, e quindi che anche Crawford non provasse per lui tutti i grandi sentimenti che entrambi credevano di provare.

Forse Rachel aveva ragione: magari il signor Anderson e lui dovevano concedersi una possibilità.

E se lui non avesse voluto? Aveva accettato l’accordo, no? Sarebbe stata tutta una farsa per far contenta Rachel, nient’altro. Lui non aveva obiettato. Cosa sarebbe successo se d’un tratto avesse cambiato le carte in tavola? Se gli avesse detto: “Ehi, amico, Rachel ha avuto la vista lunga! Mettiamo insieme.” Okay, di certo non avrebbe formulato la sua proposta in un modo tanto volgare, ma il concetto sarebbe stato quello. No, era decisamente pericoloso. Avevano appena cominciato a conoscersi ed ad apprezzare le reciproche qualità: dichiararsi adesso sarebbe stato troppo rischioso; se Blaine non fosse stato del suo stesso avviso il minimo che sarebbe potuto capitare era che la loro amicizia sarebbe finita ancora prima di cominciare davvero.

O forse ne sarebbe valsa la pena?

“Tieni a freno la lingua, Hummel.” Si lasciò sfuggire a voce.

Blaine cominciò a muoversi piano contro la sua spalla, ma il suo respiro era ancora lento e regolare. Probabilmente non aveva sentito niente di quel commento. Il signor Hummel lo guardò, ma da come erano messi riusciva a vedere solo i riccioli scuri del bibliotecario: ora la sua testa era perfettamente incastrata nell’incavo del suo collo e poteva sentire la punta del suo naso appoggiato appena sotto alla sua mascella. Il suo respiro gli sfiorava la pelle, e un brivido lo percorse. Un brivido piacevole, ma del tutto inappropriato rispetto a quanto aveva appena deciso. Doveva svegliarlo, non c’era altra soluzione.

Lo mosse leggermente e Blaine emise un gemito, prima di ridestarsi all’improvviso.

Negli occhi spalancati del bibliotecario, il signor Hummel lesse incredulità, spavento forse, dovuto al ritrovarsi tra le braccia di quello che si supponeva essere solo il suo datore di lavoro.

Lo vide tirarsi su, e annaspare alla ricerca delle parole giuste per scusarsi di una tale mancanza di rispetto. “Signor Hummel, chiedo venia, mi sono assopito e… oh, mi deve scusare, la prego, non accadrà più.” Cosa si diceva per scusarsi con un uomo, fino a poco tempo prima un estraneo, addosso cui si ha dormito così spudoratamente?

“Stia tranquillo, Blaine, è normale, ha dormito poco stanotte. Inoltre, queste sono ancora le sue ferie, e può gestirsele come meglio crede.” Gli sorrise, per rassicurarlo.

“Quanto ho dormito?” Chiese Blaine, per nulla più tranquillo.

“Non molto…” Mentì il signor Hummel.

Blaine si alzò in piedi e guardò fuori dalla finestra. “Non molto, signore? Ma è già notte!”

“Sono solo le diciannove, Blaine, si calmi. Non c’è niente di male nell’aver avuto bisogno di riposo.”

“Ma signore, io… insomma…” Ho dormito su di lei.

Il signor Hummel si alzò a sua volta, e gli si fece vicino, prendendogli una mano. “Le ho già detto di non preoccuparsi. Non è stato un problema, gliel’assicuro.” Il loro occhi si agganciarono.

“Okay”, fu l’unica cosa che Blaine riuscì a dire, in un soffio.

***
 
Tornato in camera sua, Blaine si infrescò con l’acqua del catino. Per qualche ragione, dopo essersi svegliato sul divano con il signor Hummel, era stato colto da un attacco improvviso di caldo e necessitava di abbassare la propria temperatura corporea.

Sentì bussare alla porta mentre si asciugava la fronte e si strofinava i riccioli.

Era Rachel.

“Blaine, la disturbo?” Chiese la ragazza sulla porta.

“Certo che no, Rachel.” Le sorrise. “Mi dica.”

La ragazza trattenne a stento un gridolino di entusiasmo che Blaine non riuscì a spiegarsi. “Venga giù in sala da pranzo. Per le ventuno. Metta il vestito più bello che ha. Non chieda perché.” Rispose.

“Il vestito più bello che ho? Ma li ho tutti uguali…” disse lui, mortificato.

“Oh, avrà di certo qualcosa di più elegante del suo solito abito… uno magari per la domenica, in chiesa.” Insistette lei.

“Io non vado in chiesa, Rachel.”

“Okay, allora magari uno di quando insegnava alla Dalton.” Riprovò lei.

“Io… ascolti, mi dica solo per cosa devo prepararmi.”

“Sssst! Niente domande, era la regola.”

“Io non l’ho mai accettata!”

“Si metta semplicemente l’abito che le piace di più. Lui la aspetterà di sotto.” Tagliò corto allora Rachel, sbrigativa.

“Lui chi? Aspetti! Rachel!” Ma lei era già fuggita giù dalle scale.

Rimasto da solo, confuso, e senza la più pallida idea rispetto a cosa lo aspettasse, aprì l’armadio. Una fila di abiti scuri erano appesi in ordine lungo l’asticella, tutti banali, tutti castigati.

Optò per un paio di calzoni neri da infilare negli stivali alti fino al ginocchio che Rachel gli aveva comprato dopo che si era inzuppato al suo arrivo a Hummel Place, una camicia scura e una giacca con i bottoni. Si guardò nello specchio del comò: non era molto diverso dal solito… quindi afferrò il nastro che Rachel aveva utilizzato per legare insieme gli stivali a mo’ di pacco regalo e cominciò a giocarci. Se lo rigirò tra le mani. Era di un tessuto morbido verde scuro. Gli occhi gli guizzarono nuovamente verso lo specchio. Girò intorno al collo il nastro e cominciò a legarlo come una cravatta a farfalla. Il risultato gli piacque molto e si ritrovò a sorridere da solo davanti alla sua immagine riflessa. Si lisciò un poco i riccioli e prese un bel respiro profondo.

Non aveva idea di cosa lo aspettasse qualche piano più sotto.

Lo scoprì presto.

La sala da pranzo era illuminata da un grande candelabro posto elegantemente su una tavola apparecchiata per due e dal fuoco che scoppiettava nel camino. Di fianco ad esso, il signor Hummel stava in piedi tutto impettito e ben vestito, come al solito, e sulla porta della cucina c’erano Rachel e le cameriere.

“Che cosa significa…? Voi, ragazze, non mangiate con noi, questa sera?” Chiese, quasi in imbarazzo. Sapeva benissimo che cosa significasse: il signor Hummel doveva aver architettato una cena per due a lume di candela per alimentare la loro farsa. Probabilmente, alla fine, il signor Hummel avrebbe detto a Rachel che le cose tra di loro non avrebbero funzionato non tanto perché lui non volesse, ma per colpa dell’altro, Blaine, che non voleva fare uno sforzo. Rachel gli avrebbe creduto, lo avrebbe cercato in camera sua e si sarebbe arrabbiata, e poi lo avrebbero bandito da Hummel Place, e…

Okay, ora stai facendo volare un po’ troppo la fantasia.

“No, Blaine. Stasera io e le ragazze saremo solo le vostre cameriere. Quello che dovrete fare voi, invece, è sedervi, mangiare, chiacchierare e godervi la serata.” Rispose Rachel a nome di tutte.

Blaine guardò il signor Hummel, che rispose facendo spallucce.

***
 
La cena era squisita. Mercedes aveva preparato un pasto da tre portate complete, tutte ugualmente gustose: una zuppa di cavolo per il primo, pollo arrosto e patate di secondo, e una torta con marmellata di arance per dessert.

L’unico neo della serata era il silenzio imbarazzato che si era creato tra i due commensali.

Lo ruppe il signor Hummel. “Non ci sono io dietro a tutto questo.” Ci tenne a precisare.

“Nemmeno io…” Rispose Blaine.

“Allora deduco che siano state le ragazze.”

“Così sembra.”

Beh, pare proprio che l’imbarazzo ci sia ancora.

E anche il silenzio. Si sentiva solo il grande pendolo battere il tempo. Com’era possibile passare da ridere come matti il giorno precedente a quello? Dormire addosso a qualcuno che si suppone essere solo il tuo datore di lavoro potrebbe aver contribuito a quell’impasse?

“Senta, signor Hummel”, cominciò Blaine, stufo di quelle stupide pause lunghe anche intere mezzore tra una frase e l’altra. “Se sono state davvero le ragazze a organizzare tutto, vediamo di goderci davvero la serata, anche per rispetto nei loro confronti e del loro impegno. Va bene?”

“Io… sì, sono d’accordo.”

“Bene, allora.” Si sentì sollevato Blaine. “Dunque…” Cercò di trovare un argomento di conversazione. “La cena era ottima…”

“E’ vero, sì.”

Okay…

“Sta bene, così…” improvvisò allora il signor Hummel, sorprendendo Blaine. “Con quel papillon.”

Oh. “La ringrazio, signore. Anzi, signor Kurt.”

Il signor Hummel parve stupito.

“Sa, a Rachel piace essere chiamata per nome… comincio ad apprezzare anche io questi modi amichevoli. Se non le dispiace la chiamerò signor Kurt, d’ora in avanti.”

Il signor Hummel parve ancora più sorpreso. “Ma certo che non mi dispiace. Gliel’ho chiesto io un mese fa.”

“Lo so, ma ci impiego abbastanza tempo a cambiare abitudini.”

“A me sta bene.” Gli sorrise il signor Kurt. “Purchè tolga anche il “signor”, prima o poi.”

Questa, poi. A Blaine sembrava già alquanto sfrontato chiamare il proprio padrone per nome, figuriamoci eliminarne addirittura il titolo. Però l’idea gli piacque. Rendeva un po’ più vera la visione che aveva avuto qualche giorno prima su di loro come compagni. Blaine, piantala. Lui non ti vede come lo vedi tu. Finirai per farti molto male.

“Ci proverò, signor Kurt.”

Passò qualche altro minuto di silenzio, poi il signor Kurt riprese la parola.

“Blaine, ci ho pensato tanto…”

“Riguardo a cosa? Mi dica.” Gli sorrise di rimando Blaine.

“Beh, riguardo... a noi due.”

Okay, non può essere vero. Questo è un sogno e fra poco mi sveglierò.

Blaine sentì un rumore dietro alla porta, come se le cameriere fossero proprio lì ad origliare ma facessero a gara, allo stesso tempo, per vincere la postazione migliore.

“La ascolto…” Soffiò Blaine.

“Le assicuro che quanto sto per dirle non è frutto di scelte affrettate, né decisioni prese a cuor leggero. Ne ho parlato anche con Rachel, che per fortuna o sfortuna pare tenere a tutti noi più di chiunque altro, ed è stata lei ad aprirmi gli occhi su molte cose. E poi c’è quella profezia di Brittany, e non riesco a smettere di pensarci.”

“Signore, quella potrebbe essere solo una stupidaggine…”

“E se non lo fosse? Ha mai pensato attentamente alle parole?”

Più di quanto lei creda. E più di quanto avrei voluto. Mi sono innamorato di lei, mentre pensavo a quelle parole.

“E a quale conclusione è giunto, Kurt?” Chiese, con il fiato corto e il cuore che esplodeva nel petto.

“Io…” Il signor Hummel gli prese una mano. “Sa, è molto tempo che non faccio discorsi del genere. Anzi, probabilmente non ne ho mai fatti. Ma quello che voglio dirle, sempre che lei sia d’accordo, ovviamente, è che… Rachel potrebbe aver ragione.”

Non mi basta. Devo avere la certezza che quello che mi stai chiedendo sia la mia mano. O qualsiasi cosa si chieda quando un uomo si propone a un altro uomo.

“Signore, non capisco…”

“Blaine.” Riprovò il signor Hummel, ma si sentì qualcuno suonare alla porta.

“Non si interrompa, la prego.” Non adesso!

“Vorrei chiederle di uscire. Può dirmi di no, se crede, ma le prometto che non se ne pentirà.”

Ecco.

Un grande sorriso si fece strada sul volto di Blaine, e, pronto a rispondere di sì, sentì addirittura le lacrime di felicità pungergli gli occhi. Ma fu interrotto prima che potesse dire qualsiasi cosa.

Rachel irruppe nella stanza, con il fiatone.

“Blaine, signor Kurt, vi prego di scusarmi, ma ho appena aperto la porta e un uomo mi ha consegnato questa.” Indicò una busta. “E’ per lei Blaine, ed è molto urgente, così l’uomo mi ha riferito. Avrei aspettato a darvela domani, ma il fatto che sia arrivata così tardi mi fa pensare che non possa aspettare tanto.”

Una busta. Chi poteva essere? Lui non aveva amici, e i parenti che gli erano toccati non lo amavano affatto. E se fosse… no, non può essere lui. Si staccò controvoglia dalla mano del signor Hummel e prese la lettera.

Ebbe un tuffo al cuore.

Aveva studiato troppe ore insieme a Sebastian per non riconoscerne la scrittura.

“S-scusate. Mi serve un momento da solo.”

“Blaine, stai bene?” Chiese il signor Hummel, preoccupato. Cosa poteva esserci di tanto importante per interrompere la loro conversazione? Non aveva ancora ricevuto una risposta, e tanto bastò per fargli pentire di essersi così tanto esposto.

“C-credo di sì… mi serve solo un momento.” Uscì dalla sala da pranzo, diretto alla sua camera, ma non fece in tempo a raggiungerla. Aprì la busta sulle scale e lesse.



 
Pochi minuti dopo rientrò in sala da pranzo vestito con cappello, guanti e cappotto.

“Dove va?” Chiese Rachel, rimasta con le altre insieme al signor Hummel.

“Starò via qualche giorno, un amico ha avuto dei problemi e devo raggiungerlo immediatamente.”

“Parte a quest’ora?! Ma è notte fonda! E’ pericoloso!” Obiettò lei.

Lo sguardo di Blaine si spostò sul signor Hummel. Non era impassibile come se lo era aspettato. Era… visibilmente angosciato. “Il mittente della lettera mi ha assicurato che l’uomo che l’ha consegnata mi accompagnerà in carrozza da lui. Andrà tutto bene.” Cercò di rassicurare tutti  Blaine.

“E il suo lavoro?” Intervenne il signor Hummel. “Le sue ferie finiscono domani.”

“Tornerò presto.” Rimarcò queste due ultime parole per assicurarsi che il signor Hummel le afferrasse, non per il lavoro, ma per la loro storia sfortunatamente neanche cominciata.

Si diresse verso l’uscita.

Dietro di lui, la sua casa, la sua famiglia, i suoi affetti.

Davanti a lui, un amore finito, un tradimento, un criminale in prigione che chiede aiuto all’unico amico che ha.
 
 



********************
La tavola di cup of tea
Okay, tazzine! Eccomi qui. Scusaaaaaaate il ritardo, ma ieri ho dovuto svolazzare su una scopa per distribuire dolci e carbone. Il vostro rientro alla normalità vi ha creato problemi? Dai, dai!
Ad ogni modo, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Direi che qualcosa si è smosso, no?
ZAN ZAN!
Ahahah x) beh, vi ringrazio tutti, anche per la pazienza <3
Siete i migliori!
A domenica prossima <3
Cup of tea

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


LA TAVOLA DI CUP OF TEA – PARTE 1

Ciao, tazzine <3

Ho una piccola precisazione per questo capitolo. Contiene tematiche delicate, perciò mi sento di ribadire i vari avvertimenti che sono già valsi per alcuni dei capitoli precedenti. Non intendo urtare la sensibilità di nessuno.

A dopo!

 





A SHADOW HANGING OVER

CAPITOLO 8





La carrozza lo portò a Reading, nel Berkshire.

Arrivò di prima mattina, e, già alle porte della cittadina, Blaine aveva intuito quale fosse la meta finale. Insomma, non poteva essere che Sebastian lo avesse fatto chiamare per fare una bella gita lungo il Tamigi; no, non poteva. L’unica ragione plausibile che giustificasse l’urgenza che traspariva della sua lettera era che ci fosse di mezzo il carcere. Magari un vecchio zio aveva avuto problemi con la legge e Sebastian doveva tirarlo fuori ma da solo non ne aveva la forza e si era rivolto a lui… oppure, suo padre aveva esagerato col barare al gioco d’azzardo e ora aveva bisogno di una mano da suo figlio, il figlio che aveva tanto disprezzato. Anche in quel caso Sebastian poteva sentire il bisogno di avere accanto un amico, giusto? Blaine continuava a pensare a tutte le più improbabili spiegazioni per allontanare dalla mente l’unica che aveva senso: Sebastian era la persona che aveva avuto problemi con la legge, non zii o genitori.

La prima delle sue supposizioni – ovvero che il carcere fosse la meta – si rivelò corretta.

Scese dalla carrozza con un sospiro, ringraziò e salutò il conducente con una mano e si diresse oltre i cancelli di quell’odioso edificio.

“Mi chiamo Blaine Anderson. Cerco il signor Sebastian Smythe.” Annunciò alla guardia di turno davanti al portone.

La guardia non rispose, ma si mise a parlottare con un collega.

Il suddetto collega invitò Blaine a seguirlo, e fu durante il percorso lungo i corridoi del carcere che ebbe la certezza che anche il suo secondo timore era fondato.

Sebastian era un criminale.

Ad un certo punto, la guardia aprì una porta di un legno molto pesante e fece cenno a Blaine di entrare. “Avete venti minuti.” Dichiarò.

Blaine entrò esitante nell’ambiente. Era una grande e fredda sala, dove i detenuti evidentemente incontravano i loro parenti. Seduto a un tavolo, Sebastian lo stava aspettando.

Ebbe un tuffo al cuore.

Se lo ricordava bello, giovane, affascinante. Lo era ancora, certo, ma aveva negli occhi una luce sinistra, un bagliore maligno, che non aveva mai avuto. Il sorriso sprezzante che aveva sul volto, quando riconobbe Blaine, aveva qualcosa di inquietante.

“Blaine, sei venuto!” Lo accolse alzandosi, quando Blaine si fu avvicinato.

Blaine indietreggiò, come spinto da un moto di repulsione. Sebastian lo notò, e abbandonò il sorriso sprezzante per lasciare spazio alla delusione dovuta alla reazione dell’amico. Si risedette, allontanando lo sguardo da Blaine.

“Come sei finito qui dentro?” Chiese Blaine, rimanendo fermo a distanza di sicurezza.

“Non parlarmi con quel tono. Sento il tuo disprezzo fino a qui.” Fu la risposta di Sebastian. “Non vuoi nemmeno lasciare che ti dia la mia versione?” Chiese poi, mostrando di nuovo quel sorriso tanto costruito.

Blaine scosse la testa, sospirando e non riuscendo a guardare in faccia quella persona che ormai non sapeva più neanche chi fosse.

“Siediti, dai.” Si sentì dire, con voce suadente.

Cedette. Cedeva sempre a Sebastian, e non riusciva ancora a spiegarsi il perché.

Quando si fu seduto, Sebastian cominciò a parlare.

“La farò breve perché il nostro tempo è limitato. Dopo che sono uscito dalla Dalton mi sono sentito un uomo libero. Niente più stupide lezioni bigotte, niente più finzione davanti agli insegnanti. Mi sentivo invincibile, ma anche divorato dalla voglia di vendicarmi di chi mi aveva rinchiuso per otto anni in quel dannato istituto. Mi recai dalla mia famiglia, che mi accolse per il figlio pentito che credevano fossi. Rubai loro una grossa somma di denaro e me ne andai di nuovo. Il prossimo che avrei incontrato sarebbe stato Lord Pennyngton. Quel lurido porco si è sposato con una donna che finge di amare e che non riesce a mettere incinta, perché preferisce abusare dei suoi giovani servitori. Scommetto che li minaccia di licenziarli se si rifiutano di ottemperare alle sue richieste da pervertito. Quando sono entrato nella tenuta che ha avuto in dote da sua moglie, ho percepito lo schifo di quell’uomo anche solo respirando la sua stessa aria. “Sebastian Smythe! Come è stata la tua permanenza alla Dalton? Ti sei redento? Hai riconosciuto i tuoi peccati? O ti sei fatto tutto il dormitorio?” Mi ha riso in faccia, quel bastardo. Ma, naturalmente, ho finto una calma che non avevo e ho fatto parlare la parte di me che mi salva sempre in questo genere di situazioni. “Lord Pennyngton, la trovo bene. Sono venuto qui per ringraziarla.” “Ringraziarmi?” Ha detto, e solo in quel momento mi sono accorto dell’enorme pancia gonfia che aveva, probabilmente dovuta all’alcol che ingeriva per fingere di trovare sua moglie attraente. “Sì, ringraziarla. Ho trovato la pace in quell’istituto, e qualcuno disposto a correggere quella che era la mia… indole. Sono un uomo nuovo, grazie a lei.” Era sorpreso e mi ricorderò la sua faccia da ebete finché campo. Mi chiese di rimanere da loro per cena. Accettai. Fu servita una cena da re, durante la quale ebbi l’opportunità di conoscere in qualche modo sua moglie. Provai pena per lei, perché è una brava donna e non si merita un tale maiale. Ci lasciò a fine pasto. Disse che sapeva che suo marito amava parlare con i suoi amici da solo. Io lo presi come un segno del destino: era il momento di agire. Non sopportavo più quella bocca sporca di cibo e i suoi rumori dovuti alla digestione di un pasto eccessivamente abbondante – non faceva altro che ricordarmi di come mi avesse condannato alla fame e al sacrificio oltre che alla negazione di me stesso, facendomi spedire alla Dalton. Approfittai del suo senso di assopimento e presi un coltello. Blaterava, tossiva. Era disgustoso. Mi toccò un ginocchio con le sue mani luride – purtroppo eravamo seduti vicini a tavola. Io di riflesso gli infilzai l’altra, quella che teneva ancora appoggiata sul tavolo. Un colpo secco. Ci impiegò perfino qualche secondo a realizzare cosa gli avessi appena fatto. Urlò. Io mi alzai e lo minacciai di tagliargli la gola. L’avrei fatto davvero, sul serio. Ma entrò la cameriera, in quel momento, allarmata dalle urla. E io fui colto con le mani del sacco. Quindi eccomi qui, da circa un anno, condannato ai lavori forzati presso il carcere di Reading per tentato omicidio.”

Blaine ascoltò tutto il racconto senza dire una parola. Era sconcertato, sembrava surreale. Il Sebastian che conosceva non era quest’uomo rancoroso e vendicativo: era dolce, gli aveva insegnato ad amare e ad amarsi, era intelligente, protettivo… poteva essere cambiato così radicalmente? O era Blaine a essere stato cieco per tutto quel tempo?

“Perché mi hai fatto venire qui?” Chiese, senza commentare altro.

“Ho bisogno di soldi. Così posso pagarmi la cauzione e uscire di qui. Me ne hanno dato la possibilità per buona condotta, ma io non ho tutto quel denaro.”

“E quello che hai rubato alla tua famiglia?”

“Ho dovuto restituirlo. Quando i miei scoprirono che ero io il ladro, mi promisero di non farmi causa se avessi restituito tutto e se me ne fossi andato per sempre. Ho fatto entrambe le cose, anche se l’alloggio che ho ottenuto non sia proprio una reggia.” Disse ridendo amaramente, guardandosi intorno.

“Quanto ti serve?”

“Mille sterline.”

“Mille sterline?! Sono troppe! Io non ho così tanti soldi!”

“Dai, Blaine. Lo so che ti sei trovato un buon lavoro.” Incalzò Sebastian, allungandosi sul tavolo, verso Blaine. “Sei troppo intelligente per esserti fermato a insegnare alla Dalton. Devi essere uscito di lì per forza, e per farlo devi aver ottenuto un buon lavoro, presso, magari, una ricca famiglia. Aiutami, ti prego.”

“Perché dovrei?!” Urlò Blaine, sfinito e arrabbiato. “Tu sei andato via, promettendomi di farmi sapere dove fossi per raggiungerti, e ho aspettato, e aspettato, passando ogni mio giorno nella speranza che l’indomani sarebbe arrivata una tua lettera! Niente, Sebastian, niente per un anno intero! Io ti ho aspettato, io ti amavo!”

A quel punto anche Sebastian perse la pazienza. “Non è che potessi scriverti “Ehi, Blaine, ho trovato un buon posto tutto per noi, una stanza a dirla tutta, nel carcere di Reading! Ti aspetto amore mio, non vedo l’ora di riabbracciarti.” Non credi?! Ho preferito lasciarti credere che stessi bene e che, sì, magari mi fossi dimenticato di te, anche se questo non mi sarebbe possibile nemmeno fra un milione di anni!”

“Eppure, te ne sei dimenticato davvero, Sebastian! Nel momento in cui hai preferito vendicarti di chi ti ha fatto del male, invece di vivere una vita felice con me, lontano da loro per sempre. Giudichi e critichi tanto lo stile di vita di Lord Pennyngton, pieno di menzogne e segreti, ma la realtà è che voi due siete uguali; l’hai detto tu stesso: l’unica arma che ti permette di andare avanti e cavartela sempre, sono le bugie. Mentivi alla Dalton, per far credere a tutti che ti fossi pentito, e ne sei uscito indenne. Hai mentito alla tua famiglia una volta tornato, hai mentito a Lord Pennyngton prima di minacciarlo di morte. Probabilmente hai mentito anche qui, per ottenere la buona condotta. E hai mentito a me, quando sei andato via e mi hai fatto credere che ci saremmo rivisti. Anche tu vivi una vita di menzogne e segreti, quando vivresti molto meglio accettandoti e lasciandoti alle spalle tutto il dolore che ti sei o che ti hanno procurato.”

Per anni Blaine aveva creduto che Sebastian fosse quello più forte tra loro due. Ora, con gli occhi aperti, vedeva che non era affatto così. Ora, ripensando ad Hummel Place, si accorgeva di quanto dovesse essere grato di aver trovato persone così meravigliose.

Sebastian si era calmato. Alle urla sostituì una voce piatta, triste.

“Perché credi che abbia chiamato te, nel momento del bisogno? Tu sei migliore di me, lo sei sempre stato. Sei quanto di più puro esista sulla Terra, e io dovrei starti vicino per migliorare anche solo un po’. Tirami fuori di qui, e sarò un uomo nuovo. Te lo prometto.”

Ma Blaine ormai non credeva più alle sue promesse.

“Ti tirerò fuori di qui, ma, una volta libero, le nostre strade si separeranno.” Disse, secco.

“…Come?”

“Ho una famiglia, adesso. Degli amici veri. Quando uscirai di qui, te ne troverai degli altri anche tu.”

“Come puoi farmi questo, Blaine?”

“Te lo sei fatto da solo.” Rispose Blaine, e, detto ciò, considerò la loro conversazione terminata. Si alzò.

“Aspetta Blaine! Io ti amo, ora ho capito qual è stato il mio errore! Ti chiedo perdono.”

“Mettila così, allora: hai fallito nel tentativo di uccidere Lord Pennynton, ma sei riuscito a uccidere il mio amore per te.”

Non disse altro e uscì, lasciando Sebastian per sempre.

Ringraziò la guardia, che lo condusse fuori dall’edificio. In città, cercò un alloggio a cui appoggiarsi per il soggiorno che avrebbe tanto voluto evitare ma che era necessario.

Trovò una locanda umile e a un buon prezzo e si stabilì lì. Chiese all’oste che fossero consegnati nella sua camera delle carte e una penna, con le quali scrisse poi una lettera a Rachel.

 
“Gentilissima Rachel,
mi trovo a Reading, sto bene.
Rimarrò qui per tutto il tempo necessario ad aiutare il mio amico. Ricorderà Sebastian, gliene parlai una volta.
Se le scrivo è perché anche io ho bisogno dell’aiuto di una amica, poiché ho un’odiosa richiesta da presentare.
So di aver lavorato solo qualche mese, e che ho già ricevuto i miei stipendi, ma ora è assolutamente urgente che mi vengano anticipati anche quelli dei prossimi mesi. La somma totale di cui necessito è pari a mille sterline, e mi rendo conto che si tratta di una cifra cospicua, soprattutto se chiesta tutta in una volta. Confido in voi e nella vostra bontà.
Tornerò il prima possibile per saldare il mio debito.

Omaggi,
Blaine Andreson

 

Inviare quella missiva fu la prima cosa che fece, perché prima fosse stata inviata, prima sarebbe arrivato il denaro e prima sarebbe potuto tornare a casa.

Passarono cinque giorni, prima che ricevesse una risposta.

 
Carissimo Blaine,
mi auguro che stia bene. La sua richiesta mi ha allarmato non poco, devo confessarlo.
Ma, come da lei richiesto, ecco il denaro desiderato.

Ci auguriamo tutti che possa tornare presto.


Rachel Berry
 
Sì, ora poteva tornare a casa e riabbracciare le sue amiche e il suo amato signor Hummel, che, ormai non aveva alcun dubbio, era destinato a lui.

Brittany lo aveva previsto, no? “Un impedimento. Vedo un impedimento. Come un’ombra che incombe. La seconda sfumatura tende verso un’altra, un’arrogante anima viola. Una volta però quest’anima era arancione, accogliente e infiammata, ed è questo l’impedimento: l’anima scura crede che quella da cui è stata separata, l’anima arancione, sia uguale a ciò che era.” Ora l’ombra si era diradata. La felicità doveva essere vicina.

Perché allora si ostinava a voler aiutare Sebastian? Non poteva semplicemente lasciarlo lì, a scontare il resto della pena, che senza dubbio si era meritato?

La risposta era una, e una sola. Era il suo modo di perdonarlo. Sebastian, in fondo, aveva bisogno solo di questo: che qualcuno lo perdonasse. Per tutta la vita si era sentito dire quanto il suo comportamento fosse sbagliato e per tutta la vita si era ritrovato a combattere da solo le sue battaglie, senza che nessuno si preoccupasse di capire le sue azioni. Per quanto Blaine non lo giustificasse, capiva perché aveva voluto vendicarsi, e perché non aveva cercato di mettersi in contatto con lui prima. Lo perdonava per questo. E magari anche Sebastian si sarebbe perdonato tutto quello che gli altri gli avevano rinfacciato.

Si recò al carcere e consegnò il denaro a chi di dovere, senza però voler vedere l’amico uscire.

Prese invece una carrozza, diretta, finalmente, ad Hummel Place.
 





 
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LA TAVOLA DI CUP OF TEA – PARTE 2

Okay, tazzine. Che ne pensate? È stato un capitolo piuttosto tosto da scrivere, immagino anche da leggere.

E’ vagamente tratto da “La Ballata del Carcere di Reading”, di Oscar Wilde. Devo però confessare di non essere minimante sicura che nel 1848 – anno in cui è ambientata ASHO – il carcere fosse già stato costruito e che fosse funzionante. Ho cercato e ricercato informazioni, ma non ho trovato nulla. Se qualcuno dovesse saperne di più, non esiti a farmelo sapere; non vorrei mai aver incarcerato Sebastian in una prigione inesistente. A proposito, povero Seb :’(

Fatemi sapere che ne pensate!

Ah, come ho già detto in pagina, il giorno di pubblicazione passa da domenica a martedì!

A settimana prossima, allora!

Un bacione a tutti quanti


cup of tea

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


A SHADOW HANGING OVER

CAPITOLO 9






Tornare ad Hummel Place era decisamente tornare a casa.

Finalmente aveva sistemato le cose con Sebastian, finalmente lo aveva visto per quello che era veramente, finalmente aveva il cuore libero e poteva amare l’unica persona che lo meritava sul serio.

Scese dalla carrozza, e corse all’ingresso della tenuta.

Gli sembrò di essere tornato a qualche mese prima, quando era appena arrivato. Quella lontana sera pioveva, faceva freddo e si sentiva spaesato. Adesso, invece, nonostante la gelida aria di dicembre, il sole splendeva e la luce donava all’edificio una nuova vita, una meravigliosa aura.

O forse era Blaine ad essere cambiato.

Forse era riuscito a liberarsi dell’ombra che lo seguiva, dell’amarezza dei ricordi di infanzia e di fanciullezza. Ora riusciva a vedere il futuro.

Rachel gli aprì e lui non resistette dall’abbracciarla. Una volta avrebbe ritenuto tutto ciò alquanto disdicevole, ma era così che si salutava un parente, una persona cara, no? E allora non era tanto sbagliato.  Rachel sembrò colta alla sprovvista, ma rispose all’abbraccio con lo stesso affetto.

“Oh, Blaine, che bello riaverla qui!” Lo accolse.

“Dove sono le altre? Voglio salutarle tutte!”

“In cucina…”

Blaine si fiondò dove gli era stato indicato e trovò Brittany a lavare i piatti e Santana ad asciugarli. Corse loro incontro. “Ragazze! Che bello vedervi!”

“Chi è lei?! Si allontani da noi! Lei non è chi dice di essere! L’Anderson che conoscevamo era rigido come un manico di scopa!” Lo prese in giro Santana.

“Santana, le tue battute mi fanno sempre morire dal ridere…!” Rispose lui, abbracciandola.

“No, decisamente gli hanno fatto bere qualcosa.” Commentò lei, roteando un dito vicino alla tempia, dandogli del matto.

“Signor Anderson! Che bello, è tornato! Ora le stanze riprenderanno quel delizioso profumo di ciliegia! Ha ancora quella lozione per capelli, non è vero?”

“Brittany, oh, cara, cara, Brittany!” Abbracciò anche lei Blaine. Poi scorse la signora Mercedes.

“Signora mia!”, la salutò. Lei rispose, con grande entusiasmo, che avrebbe fatto una magnifica torta in suo onore.

Quando Blaine si fu calmato un momento, dovette chiedere la cosa che gli premeva di più.

“Dov’è… dov’è lui?” Chiese mestamente.

Cadde un grande silenzio nella stanza. Le signorine si guardavano tra di loro ma nessuna si decideva a parlare.

“Ragazze…”

 A un certo punto, come se per un tacito accordo dare le brutte notizie fosse compito di Rachel, questa parlò.

“Blaine, il signor Hummel…”

“Cosa, cosa gli è capitato?!” Si allarmò.

“…E’ partito.”

“Che significa ‘partito’? Partito per dove? Non capisco…”

“Venga con me, parliamo un poco.” Lo invitò a seguirla Rachel.

Salirono fino alla biblioteca, dove Blaine si sentì afferrare dallo sconforto. Cosa poteva essere successo? Stavano così bene, lui stava per accettare la proposta del signor Hummel e avrebbero cominciato la loro vita insieme… una settimana poteva essere bastata a cambiare cose?

Rachel si sedette sul divano sul quale solo pochi giorni prima Blaine si era assopito sulla spalla del signor Hummel.

“Parli, Rachel, per l’amor del cielo…”

“Blaine, mi ascolti con attenzione. Sappia che quanto le sto dicendo non ha niente a che fare con l’alta stima che ho di lei, e che il mio affetto rimane del tutto invariato. Ma questi giorni sono stati difficili per il signor Hummel, e anch’egli è mio amico. L’ho visto angosciato quando lei partì, quella sera. L’ho visto agitarsi perché lei è partito senza dargli una risposta, e si è convinto che l’unica ragione plausibile fosse la sua reale indifferenza nei suoi confronti. Non avevamo idea di dove fosse andato, e, anche se avesse voluto raggiungerla, lei, Blaine, non ha lasciato nessun recapito. Fino a che non mi scrisse di anticipargli gli stipendi, cosa che ho fatto molto volentieri, perché so quanto è altruista e che se ne aveva bisogno era senz’altro per una buona causa. Prima che io la leggessi, ad ogni modo, la sua lettera è finita nelle mani del signor Hummel – spesso legge la mia posta, perché molte volte il contenuto è rivolto a lui, come quando l’abbiamo assunta. Ebbene, mi chiese chi fosse questo Sebastian…” Si interruppe per qualche secondo.

“Rachel, non mi dica che…”

“Ho dovuto farlo, Blaine! Ho dovuto spiegargli chi era! Il signor Hummel è il mio padrone! Cerchi di capirmi… non credevo che avrei scatenato una tale reazione in lui!”

“Quale reazione, Rachel?! Quale?!” Blaine si sentiva sull’orlo di una crisi di nervi.

“Si è messo in mente che se lei ha preferito tornare da questo Sebastian, piuttosto che lasciarlo al suo destino, è perché il vostro legame è ancora forte e che non si può competere con quello. Ha detto che gli sarebbe servito del tempo, che doveva riflettere, e un giorno ha preso Alexander ed è partito. Non ha detto per dove, né per quanto.”

Blaine sentì il bisogno di sedersi.

“Ma tornerà, non è vero?”

“Vorrei poterle dire di sì con certezza.”

Blaine ci pensò un momento. “D’accordo, allora. Non vogliamo farci cogliere impreparati, giusto? Terremo in ordine questa casa in attesa del suo ritorno, come abbiamo sempre fatto.” Guardava nel vuoto, alla ricerca di un appiglio. Sapeva che Rachel aveva intuito che non si sarebbe limitato a fare i mestieri, ma con gratitudine scoprì che gli avrebbe lasciato fare tutto quello che avrebbe ritenuto giusto per riportare ad Hummel Place il suo padrone.


 
***
 
Quello che Blaine fece nei giorni successivi fu nascondersi dietro a mille occupazioni per non permettere alla disperazione di farsi strada nel suo animo.

Riprese il suo lavoro alla biblioteca, aiutò le ragazze in cucina, a spolverare, a pulire i pavimenti e a riassettare le camere. Quella del signor Hummel, quella di Kurt, però, rimaneva off-limits. Per qualche ragione preferiva fossero Rachel o Brittany ad occuparsene.

Tenne anche fede alla promessa fatta all’amica governante, chiamandola per nome e tentando con lei l’impresa di realizzare il suo sogno di attrice. Innanzitutto, la accompagnava al pianoforte quando la ragazza si esercitava nel canto. Poi, le dava qualche lezione di cultura del teatro, spiegandole commedie, tragedie e farse dei più famosi drammaturghi degli ultimi tempi. Rachel era un’allieva diligente e capace, una gioia per qualsiasi maestro. Blaine pensava che fosse un peccato che non avesse avuto la possibilità di sviluppare un’adeguata istruzione in gioventù. Nelle lezioni di recitazione, la ragazza dimostrò di avere un talento naturale per il dramma. Era a suo agio con la disperazione e la rabbia, e inscenava questi sentimenti con grande naturalezza – forse li marcava anche troppo, ma tutto sommato non c’era nulla da rimproverarle. Perfino Santana dovette ammettere, nel salotto trasformato per una sera in piccolo teatro, che non se la cavava affatto male. Ebbe solo un appunto da farle: c’erano personaggi femminili che, oltre ad avere una grande forza d’animo, avevano anche una forte sensualità, e questo in Rachel non veniva fuori. Si offrì volontaria per insegnarle l’arte della seduzione e dell’ostentazione del proprio fascino.

E fu così che Blaine scoprì cosa nascondeva il passato di Santana. A quanto pareva, prima di essere assunta in casa del signor Hummel, Santana si guadagnava da vivere come attrice di burlesque, un genere non ancora molto in voga. Poi aveva deciso che era ora di cambiare – non era una persona molto costante – perciò, quasi con sufficienza, aveva risposto a un annuncio molto simile a quello a cui aveva risposto lui e fu assunta ad Hummel Place.

Ad ogni modo, in poco tempo Rachel raggiunse un livello accettabile anche in quella sfera.

Ma in quei giorni, nessuna notizia giunse dal padrone di casa.


 
***
 
L'impensabile, per Blaine, accadde un mattino, settimane dopo il suo ritorno.

Il vento soffiava forte contro le finestre, ma il cielo era terso, per una volta.

Stava sistemando uno degli ultimi volumi della libreria che occupava la parete sinistra della biblioteca, quando si accorse che nella pila dei pochi libri che gli rimanevano da sistemare c'era una raccolta di alcune pagine del diario di bordo di Cristoforo Colombo, l'esploratore.

Strano. Pensò. Ero convinto di averlo già messo al suo posto...

Si diresse nella sezione dedicata alla letteratura da viaggio e sistemò il vecchio volume sotto la lettera C, essendo il tutto organizzato secondo l'ordine alfabetico per autore. Non erano molti i libri che occupavano quello spazio: qualche racconto di autori sconosciuti che avevano avuto il coraggio di lasciare la sicurezza della propria casa, una raccolta di corrispondenze scambiate con qualche parente di Lady Hummel partito per un viaggio... forse un solo romanzo. I viaggi di Gulliver.

A Blaine si mozzò il fiato quando gli cadde l'occhio sulla copertina di quel libro che lui e Kurt avevano sfogliato insieme.

Sembrava passata una vita da quegli attimi di spensieratezza.

Afferrò quel vecchio volume rilegato in pelle e cominciò a voltarne le pagine, alla ricerca di un accenno di serenità che potevano aver assorbito durante quell'amabile pomeriggio.

Trovò di meglio, e se ne accorse trasalendo.

All'altezza della Quarta Parte, quella che trattava degli Houyhnhnms, era stato inserito un foglio di carta sgualcito.



 
Carissimo Blaine,

Mio Amato Blaine,

Blaine,

se hai trovato questa lettera significa che sei tornato a casa e che hai colto correttamente i miei indizi.
Non ti dirò, tuttavia, dove mi trovo.
Sappi che sto bene e che, per quanto infelice, sto facendo quello che so fare meglio e che mi fa stare meglio.
Vorrei chiederti di cercarmi, ma una parte di me sa che è meglio rimanere lontani.
Vorrei chiederti anche la ragione del tuo ritorno ad Hummel Place,
ma so che mi devi i soldi degli stipendi anticipati,
quindi credo che questa sia la spiegazione più probabile.
Per quanto mi riguarda, considera i tuoi debiti saldati.
Non voglio indietro un centesimo.
Voglio che tu sia felice,
perciò, se senti di dover seguire un’altra strada,
va’ pure.
Troverò un altro bibliotecario.

Ossequi,
Kurt Hummel
 
 

Blaine lasciò andare l’ossigeno che aveva trattenuto mentre leggeva.

C’era qualcosa di sbagliato in quella lettera.

Un misto di tristezza, rabbia, rassegnazione, odio, forse. Era confusa, e lo era anche Blaine.

Cosa voleva il signor Hummel? Essere cercato? Essere lasciato in pace? Voleva che Blaine lasciasse per sempre Hummel Place e non sarebbe tornato finchè lui non l’avesse fatto?

L’unica cosa di cui era certo, era che ora, per lo meno, aveva un indizio concreto per trovare il signor Hummel e cercare di rimettere le cose a posto, una volta per tutte.
 





*******

LA TAVOLA DI CUP OF TEA

Cielo, il tempo vola!
Scusatemi per questo “hiatus” imprevisto… Non ho giustificazioni, questa volta. Niente laurea (come era capitato per Il Calendario dell’Avvento di Kurt e Blaine), niente impegni improrogabili, niente di niente. Solo, una profonda sfiducia per questa storia e una piccola perdita di interesse per Glee in generale (ma mai per i Klaine). Ad ogni modo, eccomi di nuovo qui, decisa a portare a termine quello che ho iniziato. Spero che questo capitolo sia una ripresa accettabile :)


A presto (promesso)!


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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


A SHADOW HANGING OVER

Capitolo 10
 





La lettera di Kurt aveva investito Blaine con un'ondata di speranza.

Finalmente aveva qualcosa su cui lavorare per ritrovare il suo amato, al contrario dei giorni precedenti in cui aveva fondamentalmente brancolato nel buio. Scoprì presto, però, che la situazione non era molto cambiata: il foglio non conteneva nessun indirizzo, nessun riferimento, nessun accenno a luoghi, persone o avvenimenti che lo potessero mettere sulla giusta strada. Cercare una persona che non voleva essere trovata era una faccenda ad alto tasso di difficoltà, si ritrovò a constatare.

Aveva stilato perfino una lista di luoghi plausibili - dalle città più vicine a quelle distanti miglia e miglia. La lettera diceva: "Sto facendo quello che so fare meglio e che mi fa stare meglio", perciò a Blaine sembrò una buona cosa aggiungere i teatri della zona, immaginando il signor Hummel sul palco in tutta la sua gloria. Aveva chiesto a Rachel quali fossero quelli per i quali Kurt lavorava più spesso e li aveva visitati all'incirca tutti, ma senza alcun risultato. Il signor Hummel sembrava veramente sparito nel nulla, e Blaine cadde nello sconforto per l'ennesima volta. Ormai erano passate settimane.

Una notte, incapace di addormentarsi per via della tempesta che imperava fuori dalla casa e dentro la sua testa, ebbe una folgorazione.
Riprese la lettera di Kurt e la riesaminò come fosse la prima volta. Alla luce fioca della candela, chino sulla scrivania e sul foglio, cercò di guardarlo con occhi nuovi, non con quelli svogliati di chi pensa di aver già visto tutto. Ignorò i segni che con la penna aveva fatto sulle parole che riteneva più importanti, non fece caso agli angoli sgualciti dovuti alle migliaia di volte che lo aveva aperto, non guardò a nulla che non fosse il testo redatto dal signor Hummel.

 
Carissimo Blaine,
Mio Amato Blaine,
Blaine,

 
Già qui si sforzò di non fermarsi: le correzioni su quelle parole affettuose erano come frecce laceranti nel suo cuore, ma sebbene lo sentisse sanguinare, sapeva che, perché continuasse a battere, doveva ritrovare Kurt, e per farlo doveva andare avanti con la lettura. Doveva esserci qualcosa, per forza.
 
Se hai trovato questa lettera significa che sei tornato a casa e che hai colto correttamente i miei indizi.
Non ti dirò, tuttavia, dove mi trovo.
 
No, evidentemente non li aveva colti tutti, gli indizi, o non si sarebbe trovato ancora a quel punto fermo. Se li avesse colti, pensò amaramente Blaine, a quest’ora sarebbero stati insieme, ad Hummel Place, felici ed innamorati come non mai.

Sappi che sto bene e che, per quanto infelice, sto facendo quello che so fare meglio e che mi fa stare meglio.

Il fatto che fosse infelice avrebbe dovuto dare a Blaine una qualche sorta di conforto, perché significava che non era l’unico ad essere afflitto dalla loro lontananza. Ma la verità era che saperlo privo della sua naturale forza d’animo, tenacia e ottimismo era solo un’altra angoscia che si sommava a tutte le altre.

Vorrei chiederti di cercarmi, ma una parte di me sa che è meglio rimanere lontani.

Le frecce già conficcate nella sua carne dovevano essere state spinte ulteriormente da mani invisibili, perché ora si sentiva proprio mancare il fiato.
 
Vorrei chiederti anche la ragione del tuo ritorno ad Hummel Place,
ma so che mi devi i soldi degli stipendi anticipati,
quindi credo che questa sia la spiegazione più probabile.
 
Possibile che Kurt potesse pensare una cosa del genere? Che fosse tornato solo per i soldi? Cosa avevano costruito insieme, solo un mero rapporto di lavoro? Non era possibile, non ci poteva credere nessuno; era chiaro a tutti che tra loro ci fosse qualcosa. Perché per Kurt non era così evidente come lo era per lui e per gli altri?
 
Per quanto mi riguarda, considera i tuoi debiti saldati.
Non voglio indietro un centesimo.
Voglio che tu sia felice,
perciò, se senti di dover seguire un’altra strada,
va’ pure.
Troverò un altro bibliotecario.

 
L’unica strada che Blaine voleva percorrere era quella di una vecchiaia meravigliosa accanto al suo vero amore. Kurt lo voleva felice? Bene, che si facesse trovare, allora. Se non si fossero ricongiunti, sarebbe stato infelice per il resto della vita. 

Ossequi,
Kurt Hummel

Posò il foglio sul tavolo e si lasciò cadere contro lo schienale rigido della sedia.

Niente.

Cosa gli sfuggiva?

L’occhio gli cadde nuovamente sulle prime righe.

 
Sappi che sto bene e che, per quanto infelice, sto facendo quello che so fare meglio e che mi fa stare meglio.

Ecco. Lì stava la chiave!

Era così concentrato su sé stesso e sulle emozioni che quella lettera gli suscitava, che aveva perso di vista la persona che l’aveva scritta. Era Kurt, per l’amor del Cielo! Cosa lo faceva stare bene? Il teatro, certo, ma non solo! Dove si trovava al sicuro? Nella braccia di chi si era rifugiato per tanti anni?

Mercedes.

Lei doveva sapere per forza qualcosa.

Se ne infischiò del fatto che fosse notte fonda e si fiondò fuori dalla camera - con cappello da notte, camicia e ciabatte; candela in una mano e lettera nell’altra - verso la stanza di Mercedes, al piano più basso, vicino alla cucina.

Bussò con foga.

“Mercedes! Mi apra. La prego, sono Blaine!”

Continuò a bussare per un po’, ma poi finalmente la signora aprì. Si era evidentemente svegliata di soprassalto, e i capelli che non si era nemmeno sforzata di riordinare ne erano la prova. D’altronde non dovevano essere neanche le cinque, come biasimarla?

“Blaine, ragazzo, che diamine succede?”

“Mercedes, deve scusarmi per questa impudenza, ma è questione di vita o di morte!”

“Addirittura? Se è così, non posso che ascoltare. Venga in cucina, un tè sarà d’aiuto.”

“No, la ringrazio. Non per scortesia, ma perché è davvero urgente. Si tratta… del signor Hummel.”

Mercedes rimase in silenzio, in attesa.

“Lei deve sapere dov’è andato! Non è così? La prego, sto impazzendo!” Non riuscì a trattenersi.

“Blaine… il signor Hummel non vuole essere trovato. Tornerà, ne sono sicura, ma solo quando sentirà che è il momento.” Rispose la signora, cercando di essere il più comprensiva possibile.

“Ma lei sa dove si trova?” Insisté Blaine, sull’orlo di una crisi di nervi.

“Vada a letto Blaine, è sconvolto. Ne riparleremo domattina.” Mercedes fece per richiudere la porta.

“No, Mercedes, la prego!” La bloccò con una mano. La ritrasse subito, temendo di aver passato un limite.

“Blaine, io comprendo quanto è frustrato e quanto desidera mettere le cose a posto, ma non lo farà certo a quest’ora della notte.”

“Mettere le cose a posto? Quindi Kurt le ha parlato! Non è così? Deve essersi confidato con lei e deve averle detto quanto è arrabbiato con me!”

Mercedes tirò un lungo sospiro. “Se le dico di sì, mi promette che tornerà a letto?

“No.” Rispose Blaine senza neanche pensarci.

“Allora, no.”

“Mercedes…” Implorò, con gli occhi ormai lucidi.

La signora finalmente mollò la presa. “Blaine, mi ascolti bene. Il signor Hummel è come un figlio per me, quindi mi comprenderà se sono tendenzialmente portata a proteggerlo e a stare dalla sua parte.”

Blaine annuì.

“Mi comprenderà anche se le dico che il signor Hummel ha subito un grave colpo quando lei è partito, e che per questo una parte di me è infuriata con lei.”

Blaine annuì di nuovo e, di riflesso, guardò per terra.

“Tuttavia,” e qui Blaine riportò lo sguardo su Mercedes, speranzoso, “lei è un brav’uomo, ed è evidente che tiene molto a Kurt, o non saremmo qui a discuterne in abiti da camera. Le dirò quello che so, ma solo perché tengo alla felicità del signor Hummel e, sì, anche della sua. L’ultima volta che ho avuto sue notizie si trovava a Bath, dalle mie sorelle. Ma questo risale a una decina di giorni fa, non so se ora sia ancora lì.”

Blaine rimase sbalordito. “Le prometto che farò di tutto perché Kurt sia felice.” Disse formale, come se, da giovane pretendente, stesse chiedendo la benedizione di una madre per la mano del figlio.

“Lo spero. Ora, se non ti dispiace…”

“Ma certo, buonanotte, signora.”

Mercedes lo abbracciò per poi ritirarsi nella sua stanza. Blaine fece appena in tempo a ringraziarla di cuore e a ricevere un grande sorriso da parte della buona donna.

Corse poi nella sua camera e si costrinse a mettersi a letto. Avrebbe dovuto dormire almeno qualche ora, o non sarebbe riuscito ad affrontare il viaggio fino a Bath, il giorno seguente.

 
***

Di buon’ora, Blaine si alzò più carico che mai.

Non aveva ancora smaltito l’adrenalina di quella notte e si vestì a fatica, con le mani che gli tremavano. Quel giorno avrebbe ritrovato Kurt e, per qualche ragione, sentiva all’altezza dello stomaco un misto di speranza e paura.

Chiamò Rachel e la avvisò che sarebbe partita insieme a lui. Lei non se lo fece ripetere due volte.

Diedero a Santana disposizioni per mandare avanti la casa in loro assenza, e per tutta risposta la ragazza rispose che era nata per comandare e che curare una casa sarebbe stata una passeggiata. Rachel era estremamente preoccupata, e non si sforzò neanche di non darlo a vedere.

Brittany assicurò che sarebbero state bene, ma questo non rincuorò affatto Rachel.

Abbracciarono e salutarono le colleghe e poi Baine e Rachel salirono sulla carrozza appena arrivata davanti al cancello di Hummel Place.

 
***

Bath era una piccola cittadina del Somerset, nell’Inghilterra sud occidentale. Era famosa per le terme, e Rachel non mancò di dire che rima di tornare a casa avrebbero dovuto farci un salto.

“Non siamo qui in vacanza, Rachel.” Le ricordò Blaine.

“Lo so, lo so. Ma è così eccitante! Non mi capita spesso di viaggiare.”

Arrivarono all’indirizzo che Mercedes aveva dato a Blaine e, un po’ titubanti, bussarono alla porta. Il sole splendeva alto.

Una signora all’incirca dell’età della cuoca di Hummel Place aprì.

“Buongiorno, signora.” Salutò cordialmente Blaine. Rachel fece sfoggio di un grande sorriso.

“Buongiorno.” Rispose quella che doveva essere una delle sorelle di cui parlava la signora Mercedes. Erano praticamente identiche.

“Sono il signor Blaine Anderson, e lei è la signorina Rachel Berry.” Cominciò Blaine, ma Rachel lo interruppe. “Siamo i dipendenti del signor Hummel, signora, oltre che suoi amici. Avremmo tanto bisogno di vederlo, se non le dispiace. E’ una questione molto delicata.”

La signora li guardò storta. Chissà che idea si era fatta di loro. “Il signor Hummel non è qui.”

Crac. Fino a quanti pezzi un cuore può spezzarsi?

“Non è qui?” Ripetè Rachel, guardando preoccupata Blaine.

“No, cara, l’ho appena detto.”

“E… se non l’è troppo di disturbo… potrebbe dirci dove si trova?”

Blaine fissava il vuoto. Menomale che Rachel era venuta con lui, o quel silenzio in cui era piombato sarebbe parso alquanto imbarazzante.

“Dovrebbe essere al teatro, a quest’ora. Dovrebbe tornare per le quattro.”

Blaine si illuminò. “Mi sta dicendo che si trova qui a Bath?”

“Certo, giovanotto. Il teatro non è così lontano. Potete aspettarlo qui, se volete.”

“No, la ringraziamo, ma dobbiamo trovarlo subito.” Si affrettò a dire Rachel.

“Allora vi conviene seguire questa strada e girare a destra  fino a quando trovate la locanda del signor Thomas. Da lì poi vi indicherà lui la strada.”

“Signora, che sia benedetta! Grazie, mille volte grazie!” L’abbracciò Blaine, mettendo al bando tutte le formalità che si portava dietro di solito.

Si misero in cammino. Kurt era solo a qualche isolato.
 
Finalmente.





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La tavola di cup of tea

Eccolooooo! Come promesso in pagina, entro sera è arrivato il capitolo! Serpo vi piacciaaaaaaa!

Un abbraccio,


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(Ora corro a vedere la puntata)

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


A SHADOW HANGING OVER

Capitolo 11






Erano circa le quattro del pomeriggio, quando Blaine e Rachel raggiunsero il piccolo teatro della cittadina. Una folla di gente aspettava davanti all’entrata e occupava gran parte della strada. Uno spettacolo aveva tutta l’aria di essere messo in scena a breve.

“Mi scusi, buon uomo”, azzardò Blaine, chiedendo a un robusto paesano di quale opera si trattasse.

Romeo e Giulietta, signore. Per l’ennesima volta accompagno mia moglie a vederlo, ne va matta. Se non altro, pare che in questa edizione Giulietta sembri davvero una donna. Voce e tratti delicati, dicono. Speriamo. Ho visto Giuliette perfino con la barba.”

Rachel fece una faccia disgustata, che Blaine ricambiò.

“La ringraziamo, signore. Buon divertimento. Saluti sua moglie da parte nostra.” Si congedò Blaine, alzando un momento il cappello.

I due si diressero poi verso l’ingresso, facendosi strada tra gli abitanti della cittadina. Sul portone del teatro, un grande manifesto dichiarava orario, nomi degli attori, titolo dell’opera e il suo autore. Si trattava davvero di Romeo e Giulietta, e ciò che non poté non saltare agli occhi di Blaine fu il nome di Kurt vicino a quello della protagonista femminile. Gli comparve un sorriso sul volto: Kurt sarebbe stato una splendida Giulietta, e, ancora più importante, lo aveva trovato.

Pagarono al grasso bigliettaio le poche sterline necessarie per vedere lo spettacolo e, finalmente, entrarono.

Rachel era tutta in fermento: si vedeva che quello era il suo habitat naturale, sebbene si trovasse tra il pubblico e non sul palco. I suoi occhi brillavano di meraviglia e a Blaine fece la stessa tenerezza di un bambino con il suo primo cucciolo. Il teatro era piccolo e di epoca elisabettiana. Il pubblico era distribuito nella platea e sull’anello formato dagli spalti. Il palcoscenico era l’unico elemento ad essere riparato da un tetto, mentre spalti e platea erano aperti sul cielo velato di nuvole bianche. Fortunatamente, quel giorno il clima era mite. Blaine invitò Rachel a prendere i loro posti sull’anello, a destra del palco. In meno di mezzora il teatro si riempì completamente.

Lo spettacolo, infine, incominciò.

Costumi di colori brillanti, voci alte e ben gestite, risate da parte del pubblico al momento giusto e fiato sospeso per il resto del tempo.

Quando Giulietta entrò in scena, accanto alla balia e poi ai suoi genitori durante la festa a casa Capuleti, Blaine sentì il cuore fermarsi. Era Kurt, era proprio Kurt! Era magnifico, perfetto. Provò anche la morsa della gelosia, quando le sue mani toccarono quelle di Romeo. Rachel se ne accorse e strinse quelle di Blaine nelle sue. Si calmò, per quanto potesse. Stava già programmando un’incursione dietro le quinte, appena fosse finito il primo atto. Il problema stava nel riuscire ad arrivarci, considerati gli omaccioni della sicurezza.

La scena del balcone fu toccante e poetica come sempre. Le metafore che Romeo usò per Giulietta sarebbero state le stesse che avrebbe usato Blaine per descrivere Kurt.

Poi, il sipario si chiuse. Qualche minuto di intervallo, prima che lo spettacolo ricominciasse.

“E’ il momento.” Dichiarò Blaine, alzandosi.

“Per fare cosa?” Chiese Rachel, quasi timorosa della risposta.

“Devo andare a parlargli.”

“Adesso? Ma non c’è tempo, Blaine! Aspetta che la tragedia sia finita, poi potrai dirgli quello che vuoi. Non ti darà la giusta attenzione, adesso.” Provò a farlo ragionare l’amica.

“No, Rachel, tu non capisci! Se mi vedrà, tornerà tutto a posto! Ho aspettato tanto questo momento!”

“Ed è per questo che potrai aspettare ancora per un’ora. La troppa fretta può portare solo guai!”

“Ti prego, amica mia, devo trovarlo ora! Deve sapere che sono qui, che l’ho trovato, che lo amo e che voglio stare con lui per sempre!”

L’enfasi delle sue parole dovette convincere Rachel dell’urgenza dei suoi sentimenti, perché anche lei si alzò, determinata. “Allora andiamo! Avrai bisogno di me, con quel gigante davanti alle quinte.”

Blaine l’abbracciò, grato.

Scesero le scale e arrivarono davanti all’uomo il cui compito era proteggere gli attori da persone come loro. La cosa era più complicata di quanto Blaine si fosse aspettato.

“Buongiorno, gentil signore!” Attaccò Rachel. “Il mio amico, qui, ha veramente bisogno che ci lasci passare...”

“No.” Rispose seccamente l’omaccione. A confronto con la piccola signorina, era veramente un gigante. E anche in confronto a Blaine, a dirla tutta.

“La prego signore, è questione di vita o di morte.” Riprovò Rachel.

“No.”

“D’accordo, a mali estremi, estremi rimedi! Sono incinta, ha capito? Lì dentro c’è mio marito! Devo dirglielo, lui ancora non lo sa, la prego!” Strillò Rachel, attirando l’attenzione di non poche persone. Blaine provò vergogna per lei. L’omaccione la bloccò per un braccio, quando lei tentò per l’ennesima volta di passare. “Mi lasci andare!”

“Ehi, ma che fa?!” Intervenne un signore, in platea.

“Non vorrà prendersela con una giovane donna che aspetta un bambino, non è vero?!” Si indignò una signora con in braccio suo figlio piccolo.

“Cafone!”, “Che vergogna!”, “Prendersela con una donna indifesa, codardo!” Gridarono in molti.

Il povero gigante li lasciò finalmente passare, anche se Blaine fu molto dispiaciuto per la sorte che gli era toccata.

Seguì Rachel dietro le quinte, dove gli attori erano tutti presi dai cambi di costume, trucco e dal ripasso delle battute; dire che c’era una grande confusione sarebbe stato un eufemismo.

Vestito con un abito semplice da signora, Kurt si aggirava tra i suoi colleghi per assicurarsi che fosse tutto a posto. A quel punto Blaine non resistette oltre.

“Kurt!” Lo chiamò, con Rachel accanto.

“Blaine…? Che ci fate voi qui?”

Il sollievo di Blaine per averlo ritrovato fu ricambiato, da parte di Kurt, con un’incredulità dettata da quello che sembrava puro e semplice disappunto.

“Noi… Io ti ho trovato!” Sorrise intimorito. Perché Kurt non era felice quanto lo era lui?

“Dovresti andartene. Lo spettacolo sta per ricominciare.” Rispose secco Kurt, voltandogli le spalle.

“Kurt…” Lo richiamò Blaine, confuso. Lo afferrò per un braccio, così che Kurt si girasse di nuovo verso di lui, ma ottenne solo uno strattone e uno sguardo pieno di rabbia.

“Ti aspetti che sia contento? Che, solo per il fatto che hai capito dove fossi, dovrei accoglierti a braccia aperte? Te ne sei andato, Blaine! Senza darmi una risposta e senza spiegarmi quale fosse il problema!”

“Ti ho detto che sarei tornato…” La reazione furiosa di Kurt lo aveva messo con le spalle al muro. Perché faceva così? Non sapeva dove guardare e sentiva le lacrime già pungergli agli angoli degli occhi.

“Non mi è bastato! Non quando Rachel mi ha spiegato dove - e soprattutto da chi - stessi andando!”

“Io…”

“Lascia perdere, Blaine. Ora devo tornare sul palco. Non farti rivedere mai più.”

Un grido improvviso li distrasse. Si girarono entrambi nella direzione da cui era partito e scoprirono un attore, Jacob, a terra, che si teneva una caviglia. Doveva essere inciampato nei costumi di scena rimasti abbandonati tra un cambio e l’altro.

“Jacob, o mio Dio! Stai bene?!” Gli corse incontro Kurt. Blaine lo seguì e riconobbe nell’uomo ferito la persona che poco prima faceva da balia a Giulietta.

“No che non sto bene! Credo di essermi rotto qualcosa!”

Rachel intanto raggiunse la calca di attori e membri dello staff che ormai aveva circondato il povero Jacob. Qualcuno toccava il tempo a chi doveva rientrare in scena, altri si disperavano di fronte al fatto che la caviglia offesa avrebbe impedito a Jacob di recitare. Kurt era uno di questi ultimi.

“E il monologo della balia? E’ fondamentale a questo punto della tragedia! Lo spettacolo verrà rovinato!”

Jacob rispose lagnandosi del poco tatto di Kurt.

“Signor Hummel, io…” Cominciò Rachel, ma lui non la stava ascoltando, troppo preso dalla sua incontenibile preoccupazione. “Signor Hummel!” Riprovò, con un tono di voce più alto e squillante. Calò il silenzio. Il signor Hummel, finalmente, parve darle attenzione.

“Io… posso prendere il suo posto.” Dichiarò quindi la ragazza con fermezza.

“Onestamente, Rachel, io non credo sia una buona idea.”

“La prego, signore, posso aiutarvi! Conosco le battute a memoria!”

“Posso confermarlo.” Intervenne Blaine, resosi conto di quale grande opportunità fosse quella, per la sua amica.

Kurt gli lanciò un’occhiataccia. "No, mi dispiace. Non se ne parla, è troppo rischioso."

Gli altri attori vollero dire la loro.

"Non abbiamo scelta, Hummel."

"Là fuori aspettano!"

"Hanno ragione, Kurt." Intervenne allora Blaine. "E poi è molto brava. Si è esercitata molto."

"Cosa vuoi saperne tu?"

Di fronte a una domanda del genere, Blaine dovette fare appello a tutta la sua forza d’animo. "So che se non fossi così arrabbiato, in questo momento, non ci penseresti due volte e le consegneresti al volo il costume di scena. So anche che le stai impedendo di provare per punire me. Ma lei non se lo merita, e non c'è bisogno che te lo dica io. E poi so che ti amo, e che ho sbagliato a lasciarti all’oscuro di quanto stavo per fare. Comprendo il tuo stato d’animo; se ti do tanto fastidio, me ne andrò. Ma falla recitare con voi." Una grande e dolorosa consapevolezza gli aveva afferrato il cuore: Kurt non lo avrebbe perdonato. Non c’era più niente da fare. Tanto valeva che almeno Rachel riuscisse a coronare il suo sogno. Per quanto riguardava quello di vivere felice per il resto della sua vita con Kurt, si era infranto nel momento in cui lui lo aveva guardato con tanto odio.

"No, Blaine...!" Rachel si portò una mano sulla bocca, sconfortata.

"Tranquilla, amica mia." Le prese le mani tra le sue. "Ho fatto il possibile. Ma, purtroppo, a volte le azioni che compiamo cambiano la realtà dei fatti al punto di non poterla più riportare alla situazione iniziale."

Si congedò dall'amica con un abbraccio, poi chinò il capo in segno di educato saluto di fronte a un meno impassibile signor Hummel.

Si allontanò dagli attori appena in tempo, prima che il sipario venisse aperto di nuovo. Avrebbe voluto rimanere nel pubblico ad assistere all’inevitabile trionfo della signorina Berry e dello spettacolo in generale, ma dovette lasciare quel luogo – un po’ per quello che aveva promesso al signor Hummel, un po’ perché le lacrime che già scorrevano sulle sue guance gli avrebbero comunque impedito la vista.

***

Decise di tornare dalle sorelle di Mercedes, in attesa di Rachel. Non era sicuro che sarebbe tornata ad Hummel Place con lui, visto il successo che l’avrebbe certamente investita. Però voleva almeno salutarla, prima di tornare a casa.

Ma sarebbe stata ancora casa sua? Aveva senso tornare ad Hummel Place? Forse avrebbe dovuto scegliersi un altro posto, fare domanda da un’altra parte, sperare di essere assunto presso un'altra famiglia… Ma la dura verità era che si sentiva in famiglia solo con Rachel, Santana, Brittany, Mercedes… e Kurt. Senza di loro si sentiva confuso e perso.

Holly Jones, la minore delle sorelle della gentile cuoca, gli offrì del tè per ingannare l’attesa. Era una donna giovane e sorridente, e ispirava fiducia. La qualità che Blaine apprezzò di più, però, fu la discrezione: sebbene fosse evidente che ci fosse un problema, non gli chiese nulla, e lui ne fu grato. Starsene per conto suo era l’unica cosa di cui aveva veramente bisogno. Un pianto liberatorio, lontano dagli occhi di tutti; una muta disperazione da condividere solo con se stesso; un attimo di umanità che nessuna formalità avrebbe potuto nascondere. Ecco la ragione per la quale si sentiva così affranto – e sì, forse anche un po’ arrabbiato con Kurt: con i suoi modi da “siamo tutti uguali”, “siamo una famiglia”, “sii te stesso”, aveva creato una crepa nello scudo protettivo di Blaine e lo aveva convinto a provare dei sentimenti. Sentimenti veri, di quelli che squarciavano il cuore e per questo ti facevano sentire vivo, ma anche così male, nel momento in cui non erano più ricambiati. Un amore non corrisposto faceva soffrire fino a un certo punto, ma sapere di essere stato corrisposto e poi abbandonato ti faceva sentire sbagliato.

Qualcuno bussò alla porta, e Blaine si ridestò dai suoi pensieri accorgendosi che ormai si era fatto buio.

“Blaine…?” Una voce in confondibile, a cui corrispose un viso indimenticabile.

“Kurt, perdonami, me ne stavo andando. Lo so che mi hai detto di non farmi vedere mai più. Stavo solo aspettando che Rachel tornasse…”

“Io invece speravo fossi rimasto qui per me.”

Una risposta del genere non potè che spiazzare Blaine. Rimase ammutolito.

“Blaine, ho pensato a quello che hai detto… e nonostante sia ancora furioso con te, non riesco a smettere di pensare a una cosa in particolare.”

“Cosa?”

“Tu hai detto che mi ami.”

“E’ così.”

Seguì una pausa che parve infinita. Kurt sembrava volergli leggere l’anima con i suoi occhi investigativi e profondi. “Tu mi ami davvero?”

“Con tutta l’anima. Quando ti vedo, il mio cuore batte come la pioggia contro le finestre di Hummel Place, durante un acquazzone. Ti amo perché mi hai insegnato a vivere, ti amo per il tuo carattere difficile ma sempre dolce e aperto. Ti amo perché sei tu, e non vorrei accanto nessun altro.” Le parole uscirono dalla bocca di Blaine con la stessa facilità con la quale le labbra di Kurt si posarono sulle sue. Gli era corso incontro già a metà della dichiarazione e gli aveva circondato le spalle con le sue braccia morbide, prima di baciarlo con grande intensità. Era un bacio che racchiudeva tutta la gioia di due persone dal passato difficile che finalmente avevano trovato qualcuno con cui avere un futuro migliore. Nei loro sospiri c’era una totale, tanto agognata, meravigliosa, arresa. Non c’era più bisogno di lottare contro nessuno; la vittoria l’avevano appena conquistata.

“Torniamo a casa”, sussurrò Kurt tra un bacio e l’altro.

Gli occhi di entrambi brillavano di felicità.
 
 
 
*******************************
La tavola di cup of tea
Ce l’abbiamo fatta, yay! Ce l’hanno fatta penare, ma finalmente si sono decisi! Evviva, evviva! Spero che la vostra attesa sia stata ben ripagata.
Ma non è mica finita qui, lo sapete, vero? Ci sono ancora un sacco di interrogativi da sciogliere: le urla di casa Hummel, Rachel e la sua carriera di attrice, la biblioteca… uff, ce n’è di roba! Spero abbiate voglia di arrivare fino alla fine con me!
Un abbraccio gigante <3 siete meravigliosi!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


A SHADOW HANGING OVER

Capitolo 12





E’ incredibile come, quando tutte le nuvole che si sentono incombere sopra la propria testa diradano, anche tutte le altre cose che ci circondano assumono nuovi colori e, soprattutto, una nuova luce.

Sulla carrozza che li stava riportando ad Hummel Place, Blaine non riusciva a staccare gli occhi da Kurt, che ogni volta che si accorgeva dello sguardo innamorato di Blaine non poteva fare a meno di arrossire, facendo impazzire d’amore Blaine ancora di più, se possibile.

Fu un viaggio tutto sorrisi e risolini imbarazzati, tutto carezze e dita intrecciate. Nemmeno la strada dissestata lo rese difficile: i due passeggeri quasi non si accorgevano dei numerosi sobbalzi che i sassi e le buche inevitabilmente provocavano alla carrozza. Tutto ciò a cui parevano dare attenzione erano i visi l’uno dell’altro e il cielo azzurro sopra di loro.
 
***
Finalmente a casa, l’accoglienza non fu timida.

Un’aria di festa aveva avvolto la tenuta, e le ragazze, dopo aver salutato, abbracciato, ed essersi congratulate a dovere con i due neo innamorati, insistettero perché fosse organizzato un party di bentornato.

“Brittany, noi non facciamo queste cose… non abbiamo mai invitato altri a casa nostra.” Obiettò il signor Hummel, dubbioso.

“Lo so, signore! Ma è proprio questo che si deve fare quando le nuvole non incombono più! Aria di cambiamento! Invitiamo della gente qui, apriamoci al mondo!”

“Brittany, tesoro,” intervenne Santana, con un affetto che Blaine, per la prima volta da quando era ad Hummel Place, associò più all’amore che all’amicizia. Come si diceva prima, tutto acquista una nuova luce, quando si smette di pensare alle proprie disgrazie e ci si guarda bene intorno. “In effetti neanche io credo sia una buona idea…” continuò Santana.

“Perché no?” Chiese l’altra, innocentemente.

“Perché nessuno vorrà venire qui.”

“Perché no?” Ripetè Brittany.

“Perché siamo un covo di reietti, ecco perché.” Sbottò Santana. “Tu sei considerata matta, per quanto noi sappiamo che invece sei solo un genio; abbiamo poi due innamorati che insultano la religione, di cui uno ha perfino avuto una tresca con un criminale; e anche una cuoca che si improvvisa mamma di un re.”

“Basta così, Santana!” Intervenne il signor Hummel.

Santana incrociò le braccia, risentita.

Brittany, dal canto suo, aveva gli occhi lucidi. “Ma… la profezia si è compiuta, perfino la parte del nuovo compagno di palcoscenico del signor Hummel…  Dobbiamo festeggiare…”

“A proposito, che fine ha fatto la Berry?” Chiese Santana.

“Ha realizzato il suo sogno e la profezia di Brittany.” Rispose Blaine, lieto che l’argomento fosse cambiato e che gli animi potessero così rilassarsi nuovamente. Raccontò dello spettacolo e della parte che Rachel aveva ottenuto per un caso totalmente fortunato e apparentemente voluto dal destino. Disse anche che sarebbe rimasta ancora per qualche giorno a Bath per sostituire Jacob, mentre il signor Hummel aveva lasciato il ruolo di protagonista al suo sostituto, un grato attore alle prime armi.

“Quindi i nostri sforzi sono serviti! Bene, ora dovremo solo farne altri per sopportare il suo ego quando tornerà!” Commentò ancora la ragazza ispanica, andandosene in cucina.

Blaine volle seguirla. Si scusò con gli altri presenti e la raggiunse, trovandola appoggiata al lavello con le braccia tese e il capo chino.

“Tutto bene, Santana?” Chiese titubante.

“Certo, caro il mio bibliotecario. Perché non dovrebbe?” Lo canzonò con un sorriso amaro.

“Perché non ti ho mai vista così… di malumore. Di solito ti diverti nel prendere in giro, ora invece lo fai pensando davvero quello che dici.”

“Benvenuto ad Hummel Place, Blaine Anderson! Ti presento la stronza più cattiva della casa!”

“Santana…”

“Perché dobbiamo fare un party?! E’ proprio necessario? Siete tornati a casa, evviva, ma non importa a nessuno! A nessuno importa di sei disperati che hanno fatto buon viso a cattivo gioco e cercano di sopportarsi a vicenda solo perché altrimenti non lo farebbe nessun altro! Non mi va di invitare la città e vedermi sbattere in faccia tutta la sua indifferenza. Non abbiamo bisogno di loro. Non ho bisogno di nessuno.”

La ragazza sembrò per la prima volta lasciare entrare qualcuno dentro la sua corazza. Aveva appena detto di non aver bisogno di nessuno, ma la realtà era che aveva un gran bisogno di sentirsi accettata e apprezzata. E anche di parlarne apertamente.

“Santana, tutti qui abbiamo bisogno di qualcosa, compresa tu. Poi possiamo decidere come affrontare quello che ci viene offerto in risposta. Possiamo chiuderci e incaponirci e lamentarci perché non siamo o non abbiamo quello che desideriamo, oppure meravigliarci e sorprenderci nello scoprire che anche se non è ciò che volevamo è bello lo stesso o supera addirittura le nostre aspettative. Guarda me: io avevo solo bisogno di un lavoro e ho trovato invece una famiglia. Non potrei esserne più grato.”

“Non capisco perché me lo stai dicendo.”

“Santana, diamo questo party, proviamoci. Per Brittany, che ne ha bisogno. Per sua natura non sembra una ragazza abituata a rimanere chiusa in gabbia. Deve vedere gente, parlare con loro.”

“E se le danno di nuovo della pazza? E se la vogliono far rinchiudere? Cosa faremo? Cosa farò io? Io... non posso vivere senza di lei.”

“Le hai parlato di queste paure? Lei… sa che le vuoi bene in un certo modo?”

“Come fai a saperlo?”

“Beh… amo un uomo… mi riesce abbastanza semplice individuare altri che come me amano chi non dovrebbero. Ma chi ha scelto chi si può e chi non si può amare?”

Santana si fermò un momento a riflettere. “Questo non cambia niente. Non le dirò nulla, e tantomeno lo farai tu.”

“Non farò niente. Non spetta a me. Ma fossi in te, metterei da parte tutti i timori e le direi tutto.”

Il silenzio che seguì era intriso dei pensieri della ragazza, persa in chissà quale ricordo. “Sai perché me ne sono andata da quel teatro, tempo fa?”

Blaine non rispose, aspettò che fosse lei a raccontarglielo.

“Avevo appena dichiarato il mio interesse per un’altra ballerina, Carmen. Ballava il flamenco, portava sempre questi bellissimi abiti rossi, con spacchi vertiginosi che lasciavano intravvedere le sue cosce lisce e olivastre. Era estremamente sensuale quando suonava le nacchere e i suoi occhi neri erano così profondi che spesso ho pensato di annegarmici dentro. Ero solo una ragazzina e non pensavo che dicendole apertamente quello che provavo per lei avrei causato un tale casino. Lei si spaventò. Era abituata a ricevere apprezzamenti, ma solo da uomini, che decideva a suo piacimento di assecondare o di rifiutare. Ma essere desiderata da una ragazza, questo era troppo anche per lei: mi umiliò nello spogliatoio, davanti alle altre ballerine. Ti risparmio i loro sguardi disgustati e le loro mani che cercavano di coprire i punti sensibili del corpo rimasti scoperti tra un cambio di costume e l’altro. Arrivò il direttore del teatro, indignato dal nostro baccano. Conosciuta la ragione, si prese gioco di me e poi mi portò nel suo lurido ufficio. Mi fece un lungo discorso su quanto io fossi sbagliata e di quanto avessi bisogno di essere riportata ‘sulla retta via’. Ci provò con me insieme alla sua guardia del corpo, ma riuscii a scappare prima che potessero farmi qualsiasi cosa. Ed eccomi qui, decisa a non fare lo stesso errore di mettere la mia vita nelle mani della persona sbagliata.”

Aveva parlato per tutto il tempo con un freddo distacco, ma ora gli occhi erano velati dalle lacrime.

Blaine non potè fare altro che andare ad abbracciarla. Lei non si scompose, ma Blaine potè percepire comunque la sua gratitudine.

“Brittany è diversa.” Le sussurrò.

“Ma la società no.”

Noi siamo la tua società. E a noi va bene chiunque tu voglia essere. Sarebbe sciocco lasciarsi sfuggire l’opportunità di essere felici solo perché abbiamo paura. Credimi, l’ho sperimentato sulla mia pelle.”

Santana di lasciò sfuggire un sospiro divertito contro la sua spalla e poi si liberò delicatamente dall’abbraccio.

“Sai, Anderson, in fondo non sei tanto male.”

“Ecco la Santana che conosco!”
 
***
 
Quando ricomparvero nella sala da pranzo, Blaine e Santana scoprirono che durante la loro attesa Brittany aveva convinto il signor Hummel a dare quella fantomatica festa - da organizzare per il fine settimana, così che fosse presente anche Rachel. Blaine strinse la mano di Santana per farle sentire tutto il suo appoggio e che tutto sarebbe andato per il meglio; dopodichè si meravigliò del coraggio della ragazza quando chiese a Brittany di parlarle.

Kurt chiese di essere aggiornato, ma l’unica cosa che Blaine rispose fu: “La nostra bambina sta crescendo.”
***
I preparativi furono condotti con estrema diligenza e professionalità. Sembrava perfino tornata per qualche giorno la bella stagione, quindi fu possibile riempire i locali della tenuta di fiori colorati.

Rachel arrivò in tempo per coordinare i lavori e intanto raccontò di aver ricevuto un’offerta per la firma di un contratto che l’avrebbe vista come personaggio secondario nella nuova commedia da inscenare nel teatro di Bath. La sua balia di Giulietta aveva fatto talmente successo che il direttore non aveva potuto lasciarla andare via. Era una piccola parte, ma il primo passo verso il suo grande futuro di attrice.

Brittany fu incaricata di portare gli inviti in città ma, prima che uscisse, Blaine riuscì a captare lei e Santana scambiarsi un tenero bacio sulla porta. Gli scappò un sorriso, che Santana notò, imbarazzata.

A lei spettò la pulizia dei locali più ampi, che avrebbero ospitato centinaia di persone. Ancora non era cnvinta che dare una festa fosse una buona idea, ma si era lasciata convincere dagli occhi azzurri e imploranti di Bittany. Sperava solo che tutto andasse bene.

Mercedes, dal canto suo, ovviamente si dedicò al cibo, mentre Blaine provvide ai piccoli interventi di manutenzione fino ad allora rimandati, e Kurt gironzolava per la casa e il giardino per assicurarsi che tutto fosse a posto. Il vento, fuori, aveva ricominciato a soffiare forte.
 
***
Alle diciannove, ora prestabilita per l’inizio dei festeggiamenti, ancora nessuno aveva bussato alla loro porta. Intanto, il vento aveva riportato delle nuvole nere cariche di pioggia nella brughiera. Sembrava già notte, con quel buio. Mercedes accese le candele nella sala da pranzo dove si erano riuniti tutti nell’attesa.

Blaine era su un altro pianeta: vedere Kurt così ben vestito e curato lo faceva sognare ad occhi aperti. Anche Santana e Brittany si tenevano per mano sedute sul divanetto, ma Santana muoveva nervosamente la gamba accavallata e si stava torturando un’unghia. Rachel, intanto, si scaldava la voce speranzosa di potersi esibire anche quella sera. In effetti, il suo ego era un po’ cresciuto negli ultimi giorni.

Alle venti passate, ancora nessuno. Pensarono potesse essere per via del temporale che nel frattempo era scoppiato. Nessuno sarebbe uscito di casa con quel tempaccio.

Alle ventuno, di fronte al fatto che le uniche anime presenti erano ancora solo le loro, decisero che era inutile aspettare oltre. Eppure qualcuno suonò i batacchi del portone.

Holly e Meredith, le sorelle di Mercedes, erano arrivate da Bath incuriosite dall’invito che Rachel aveva esteso loro prima di tornare ad Hummel Place.

“Quando si parla di feste, noi non manchiamo mai… ma questa deve essere stata molto breve! Sono già andati tutti via?”

“Non è venuto nessuno, come io avev-“

“Santana!” La interruppe Blaine, prima che potesse dire qualcosa che avrebbe potuto offendere qualcuno.

“Oh, che importa?! I grandi party non piacciono a nessuno. E noi possiamo divertirci anche senza tutta quella gente, no?” Intervenne Meredith, la più esuberante delle sorelle Jones.

“Ci tenevamo molto a conoscervi tutti, Mercedes ci parla sempre di voi.” Proseguì Holly, che salutò Blaine con un abbraccio affettuoso.
In quel momento, il grido di casa Hummel, rimasto muto per diversi giorni, ruppe l’atmosfera come un ospite sgradito e indesiderato. Un urlo agghiacciante, il solito suono acuto che poteva far gelare il sangue di chiunque. Gli sguardi spaventati delle signore presenti fece scattare qualcosa dentro Blaine. Basta, non si poteva continuare con la storia del fantasma! Qualcuno doveva risolvere l’enigma, una volta per tutte. E siccome sembrava essere l’unico a non credere fino in fondo al paranormale, si arrese all’idea che sarebbe stato lui. Sapeva anche che la cosa non avrebbe fatto piacere a Kurt, in presenza del quale, sapeva, non si doveva accennare alle grida. Avrebbe quindi effettuato le sue ricerche di nascosto, ma per una buona ragione.
 
***
Le sorelle Jones si fermarono per tutto il fine settimana.

Santana riacquistò un po’ della sua sicurezza – vuoi perché alla fine aveva avuto ragione lei riguardo all’indifferenza della città nei loro confronti, vuoi perché aveva capito che la loro forza stava proprio nell’essere diversi, vuoi perché Brittany era la sua anima gemella e la stava rendendo felice.

Vuoi perché Holly le fece un lungo e saggio discorso su quanto solo la famiglia possa capirti davvero e sull’impossibilità di piacere all’intera società inglese indistintamente. Una volta accettati dalle persone a cui si vuole bene, tanto basta a renderti felice.

Blaine invece riusciva a fuggire per qualche ora in biblioteca, con la scusa degli ultimi ritocchi ai volumi. La verità era che aveva finito di sistemare tutto già da prima che partisse per Bath, ma non aveva ancora voluto mostrare il suo lavoro a Kurt. E la cosa capitava a fagiolo, dal momento che lì poteva condurre tutti i gli studi che voleva in materia di case più o meno infestaste.

All’inizio a Kurt non dispiaceva che Blaine lavorasse così tanto: in fin dei conti lo aveva assunto perché facesse il bibliotecario, c’era tutto il tempo per fare gli sposini una volta finito il suo incarico. Poi però cominciò a sentirne la mancanza e a soffrire la solitudine.

Una sera, dopo che Blaine si fu congedato per andare a dormire, Kurt decise di seguirlo in camera sua. Ciò che trovò dietro la porta, fu una sorpresa: non un assonnato fidanzato in veste da notte pronto per il mondo dei sogni, bensì una macchina umana instancabile china su pile di libri appoggiati alla scrivania.

“Che stai facendo?” Chiese seriamente curioso.

Blaine cercò di nascondere l’ovvio, inutilmente. Optò per la verità, che era sempre la cosa migliore. “Io… Kurt, sono un uomo di scienza. Non sopporto quando le cose non hanno una spiegazione logica. Sto cercando qualcosa che mi aiuti a capire cosa provoca quei suoni terribili che si sentono attraversare i muri. So che non vuoi parlarne-“

“Blaine.”

“-ma continuo a scervellarmi e non trovo niente che abbia senso-“

“Blaine.”

“-trovo solo cose sui fuochi fatui, che secondo alcuni sono le anime dei morti, ma noi non vediamo fantasmi, ne udiamo i lamenti-

“Blaine.”

“- quindi, se tu potessi aiutarmi a capire…”

“Blaine!”

Finalmente Blaine usò la bocca per qualcos’altro, ovvero rispondere al bacio che Kurt gli aveva stampato pur di farlo star zitto. Confuso da quella reazione inaspettata, Blaine rispose anche al largo sorriso che Kurt gli stava rivolgendo.

“Vieni con me.” Gli disse quest’ultimo e lui lo seguì.
 
***
Camminarono furtivi lungo i corridoi e le scale della tenuta buia e silenziosa, fino a quando arrivarono di fronte alla porta di una stanza che Blaine aveva sempre visto chiusa a chiave. L’unica chiave l’aveva infatti il signor Hummel e non permetteva a nessuno di entrarci.

“Blaine, questa è la vecchia stanza dei miei genitori. Sei l’unico a cui permetterò di farla vedere, dopodichè la chiuderò per sempre.”

“Non sei obbligato…”

“No, ma voglio farlo.” Sorrise e girò la chiave nella serratura.

Quando entrarono accesero una candela che potesse illuminare un poco la stanza e poi Blaine afferrò la mano di Kurt, che aveva gli occhi umidi. La stanza era gelida perché una finestra era rotta e non era mai stata riparata. Aveva smesso di piovere, ma il vento imperversava ancora e spense la candela in un soffio. Fortunatamente la luna bastava a far entrare un po’ di luce, che, riflettendosi sulla superfice, permise a Blaine di notare una bizzarra costruzione di vetri e fili appesi al soffitto.

“La storia delle urla di mia madre se l’è inventata mio padre quando ero piccolo. Si sentiva talmente in colpa per la sua morte che si punì con l’invenzione di un fantasma venuto a vendicarsi di lui. Costruì lui questo aggeggio, dopo aver rotto il vetro con le sue mani. Alla fine, non è nient’altro che un lampadario a cui sono appesi dei vetri, ma quando c‘è vento questi sbattono e tintinnano l’uno contro l’altro, producendo quel suono stridente che tanto conosciamo. E’ amplificato grazie a qualche miracolo dell’architettura, che propaga le vibrazioni attraverso le pareti di pietra per tutta la casa. Non ho mai detto a mio padre di aver scoperto la verità, così come non lo dirò mai ad altri all’infuori di te. Voglio che tu sappia tutto di me, e questo marchingegno fa parte del mio passato, del mio presente e del mio futuro. In parte gli sono addirittura affezionato: pensare che sia mia madre, me la fa sentire vicina. Ecco… questa è la spiegazione logica.”

“Oh, Kurt…” Blaine lo afferrò e lo baciò con passione. Amava quell’uomo ogni giorno di più.

“Sei sicuro che non vuoi dirlo alle altre?” Chiese poi, una volta richiusa a chiave la stanza.

“Nah… mi piace vedere quando si spaventano!” Ridacchiò Kurt, contagiando Blaine.
 





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LA TAVOLA DI CUP OF TEA
Eccolo! Finalmente!
Spero vi sia piaciuto anche questo, ormai siamo praticamente alla fine (il prossimo sarà l’epilogo, dopodichè non ci resterà che salutarci :’( ) Se invece non vi è piaciuto, ci tengo ad informarvi che oggi è due anni che sono su efp, quindi è una sorta di compleanno per Cup of Tea, e quindi non le si possono far critiche! Ahahah ovviamente scherzo, ogni commento malvagio è benaccetto, così come quelli buoni!
Che dire, buona lettura e buona nanna a tutti!
Vi abbraccio, soprattutto per la vostra pazienza <3
Cup of tea

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


A SHADOW HANGING OVER

Epilogo

 



 
Natale, 1849

Era già il secondo anno da quando la biblioteca di Hummel Place era stata aperta.

In quella giornata speciale, quella dell’inaugurazione, l’anno prima, Blaine aveva mostrato finalmente a Kurt il suo lungo e preciso lavoro di rilegatore di volumi e catalogazione che aveva compiuto da quando era stato assunto. Kurt era stato molto contento di lui e del risultato, e la soddisfazione negli occhi della persona che amava più di sé stesso era la più grande gratificazione.

Ora, che era Natale, era giunto il momento di sfruttare tutto quel lavoro e aprirla al pubblico di orfani della città, come avrebbe voluto Lady Hummel se fosse stata ancora viva.

Blaine e Kurt erano seduti sul divano, e si tenevano per mano. Il camino scoppiettava allegro, mentre Rachel versava il tè e Santana guardava il paesaggio innevato fuori dalla finestra. Mercedes stava portando in tavola i suoi famosissimi muffin e le sue sorelle, ospiti ancora una volta nella tenuta, si davano al ricamo. Blaine si sentiva il cuore caldo, e si ricordò di quando – in occasione della “vacanza” che l’allora signor Hummel lo aveva costretto a concedersi – aveva avuto una visione simile a quella che gli si stava palesando ora. Strinse un po’ di più la mano del suo compagno e gli sorrise.

All’improvviso, Brittany esclamò “I bambini! Eccoli, arrivano!” E allora si alzarono tutti, eccitati. Rachel aprì la porta ai bimbi del villaggio. Erano adorabili, tutti in ordine, in fila, mentre cantavano la loro carola di Natale. Quando poi entrarono prudenti e timorosi, Blaine non resistette dal trasmettere loro tutto il suo entusiasmo. “Facciamo a chi arriva primo?” Esclamò. Allora i visi dei bambini si trasformarono in grandi sorrisi e le loro piccole urla felici invasero l’ambiente quando corsero su per le scale. Una volta arrivati alla biblioteca, distribuirono i volumi che i bimbi richiedevano, e la gioia nei loro occhi illuminò i visi di tutti. Il signor Hummel, però, era quello che sorrideva di più: il suo sogno si era realizzato.

E anche quello di Blaine di vivere per sempre felice e contento con lui e tutte quelle persone meravigliose.
 
 

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L’ultima tavola di cup of tea

arrivati alla fine, non posso che ringraziarvi tutti. Forse questa è la fic in cui ho messo più impegno e senza il vostro appoggio probabilmente l’avrei abbandonata molto tempo fa. E, invece, eccoci all’epilogo, sei mesi dopo averla iniziata. Grazie, mille volte grazie. Spero che vi sia piaciuta e che, al di là della trama, vi abbia fatto magari incuriosire sul romanzo da cui è liberamente tratta, o che vi abbia stuzzicato in quei momenti in cui Blaine mostrava la sua passione per la letteratura inglese. Nelle sue parole c’era un po’ di me, che adoro quel mondo.

Alla prossima, tazzine. Vi adoro, siete uniche <3

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