Harry Potter, Sylvia Green e la Pietra Filosofale

di SylviaGreen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono sono un'undicenne che cammina da sola per King's Cross il primo settembre... che c'è di male? ***
Capitolo 2: *** Qualcosa che davvero non sarei mai stata in grado di immaginare. ***
Capitolo 3: *** Se esco viva da qui, giurò che prometterò qualcosa. Non so ancora cosa. ***
Capitolo 4: *** Sta andando molto meglio di quanto immaginassi. Forse giurare fa bene! ***
Capitolo 5: *** Solo l'amore incondizionato per il cibo mi porta ad assaggiare le gelatine tuttigusti, altrimenti non lo farei, lo giuro... non suona convincente, eh? ***
Capitolo 6: *** E tutta questa roba qui da dove spunta fuori? ***
Capitolo 7: *** Hogwarts, arrivo! ***
Capitolo 8: *** Il Cappello Parlante ***
Capitolo 9: *** Meglio di così non potrebbe andare neanche pagando centomila galeoni ***
Capitolo 10: *** Una nottata così non è proprio una di quelle che un babbano definirebbe magiche ***
Capitolo 11: *** Insulsa scuola babbana, mi fai un baffo! ***
Capitolo 12: *** Ehi, sa volare! ***
Capitolo 13: *** Ehi, anche io so volare! ***



Capitolo 1
*** Sono sono un'undicenne che cammina da sola per King's Cross il primo settembre... che c'è di male? ***




 

Sono sono un'undicenne che cammina da sola per King's Cross il primo Settembre... che c'è di male?





Stavo girando per la stazione ferroviaria di King’ s Cross, di Londra anche quel giorno. Come tutti gli altri, del resto.
Come al solito, nessun mio amico immaginario mi aveva mandato un sms per chiedermi come stessi e che cosa stessi facendo in quel momento, e io non possedevo il numero di cellulare di nessun mio compagno delle elementari. A dir la verità, non avevo nemmeno un cellulare.
Adoravo passeggiare in città da sola, specialmente in stazione.
Mi permetto di rettificare: solo in stazione.
Quella stranissima passione era spiegata da due fattori: primo, adoravo i treni, così semplici eppure così utili, e secondo, mi divertivo ad osservare malignamente – forse per una sorta di vendetta contro tutti coloro che mi avevano trattata come un cane rognoso – tutte quelle persone che perdevano la loro corsa e poi, disperati per aver chiacchierato cinque minuti di troppo con il loro amico del cuore che aveva il treno tre ore dopo, andavano a piangere contro i poveri impiegati delle biglietterie, chiedendo un nuovo biglietto nonostante la corsa successiva fosse piena. Allora inveivano contro di loro, lamentandosi che fossero dei buoni a nulla incapaci di gestire le emergenze, quando in realtà erano loro gli incapaci di rispettare una tabella di marcia molto semplice: orario treno uguale prendere treno.
Come da routine, entrai in un bar appena sulla destra e chiesi quattro panini, – ero famosa per la mia fame da lupi – due bottigliette d’acqua, delle patatine fritte, dei tovaglioli e un sacchetto di plastica per portare il tutto: quello sarebbe stato il mio pranzo non appena tornata a casa, perché la mia abilità nella cucina lasciava leggermente (ma proprio leggermente) a desiderare un cuoco migliore. Chiunque avrebbe preferito persino un gatto sui fornelli al posto mio.
Sistemai il mio pranzo al sacco con cura nella borsetta vuota che portavo a tracolla, che già avevo predisposto per quello scopo (a mio parere, i bar della stazione erano i migliori della città, forse perché abituati ad un gran numero di clienti e, quindi, di gusti diversi), e aggiunsi anche un pacchetto di cicche alla menta che mi avrebbero sistemato l’alito dopo mangiato senza dover stare a spazzolarmi i denti per dieci minuti.
Camminai oltre la scritta TICKETS HERE e mi stavo recando decisa verso le piattaforme delle partenze quando un uomo (di cui potevo vedere solo un grosso turbante viola e un enorme carrello pieno di pacchi che trascinava) mi venne addosso, sbattendo la sua robusta spalla contro il mio petto. Probabilmente aveva perso il controllo del suo bagaglio, e non me ne stupivo affatto, ma riempirlo di meno no? Insomma, stava trasportando almeno sei o sette scatole di cartone una sull'altra in precario equilibrio, ma a quanto pare non gli era venuto in mente di prendere due borse. Ma perché?
Gli effetti di questa poca praticità si riversarono tutti sulla mia povera cassa toracica, la quale protestò con una fitta dolorosa che io tradussi in un leggero «Ahi».
«Oh, m-m-m-m-mi scusi», balbettò l'uomo quando si accorse che si era tuffato contro di me. Sembrava spaventato, come se fossi un cannibale pronto a mangiarlo. «S-s-s-son-n-o v-v-eramen-nte de-desolat-to». Alzò lo sguardo verso di me e i nostri occhi si incrociarono.
Gli sorrisi per tranquillizzarlo, commossa dalla sua paura. «Non si preoccupi, signore. Non è successo …», mi fermai per un istante, spaventata dal cambio repentino di espressione dell'uomo, ora pieno di curiosità, «… nulla …», lo sconosciuto si concentrò su di me come se fossi un pericoloso criminale di cui però non riusciva a ricordare i delitti, facendomi impallidire, «… di male».
Quello mi sorrise velocemente di rimando, continuando a fissarmi, e io scivolai via dal suo sguardo indagatore. Mentre proseguivo per la mia strada, mi sentivo ancora la schiena perforata dai suoi occhi, che si erano già trasformati in severi.



Quando mi voltai a guardarlo, per sicurezza, il suo corpo pareva scosso da tremiti incontrollabili, come se avesse un freddo cane – era Settembre, ma il tempo era stranamente clemente, perciò non c’era alcun motivo di aver freddo, specialmente se ricoperti da un mantello nero come il suo – oppure qualcos'altro …
… eravamo tornati alla paura?
Fammi capire: quando lo guardo trema, quando non lo guardo no? È un po' strano come comportamento.
Avrei voluto aiutarlo o per lo meno rassicurarlo; però si trattava sempre di un estraneo, e quindi pericoloso, così prima di fare qualunque azione che mi spingesse ad avvicinarmi a meno di un metro da lui, mi voltai a spiarlo di nascosto per un po' di volte.
E notai un particolare che mi insospettì non poco: non mi toglieva gli occhi di dosso.
I londinesi, i turisti, i manager, le hostess, i passanti, i familiari, gli anziani, gli infermi e chiunque fosse dovuto passare a mezzogiorno meno un quarto del primo settembre in una stazione; tutti continuavano a badare ai loro affari, s’infilavano nel suo campo visivo e ne uscivano senza preoccuparsene, eppure i suoi occhi sembravano non accorgersene: erano sempre fissi su di me, inespressivi, come se fossero quelli di una statua che non potevano fare altrimenti. Sembrava quasi che non avesse altro da fare che continuare a scrutarmi.
Peccato che lui non si trattava di una scultura, ma di un uomo vivente, e anche piuttosto corpulento.
Cosa cavolo c’era in me di tanto interessante? Ero solo una quasi undicenne in giro da sola … problemi? Avevo solo un pranzo al sacco nella tracolla, più delle tasche che non si poteva mai sapere che cosa potessero contenere … problemi? Non c’era nessun genitore a stringermi la mano e a dirmi che cosa dovevo o non dovevo fare … problemi?
Sta’ a vedere che questo è dei servizi sociali che mi ha scambiato per un’orfana e che mi vuole adottare.
O forse no …
Forse il suo animo non era così buono come invece la voce balbettante lasciava intendere.
Oddio. Un malintenzionato.
Prima mi viene addosso per suscitarmi benevolenza, poi mi fissa per attirare la mia attenzione e infine …
Per evitare che completasse il suo piano, camminai via più velocemente - ma anche più naturalmente - che potei fino a raggiungere il cartello: DEPARTURES. Accanto all’elenco dei treni, un enorme orologio dal quadrante bianco splendente segnava le ore 10.48, e subito sotto un display elettronico mi ricordava che quel giorno era il primo Settembre.
Ancora dodici giorni, e sarebbe incominciata la scuola: contavo alla rovescia il tempo rimanente di ferie con molto rammarico.
Tre giorni prima, i miei genitori erano partiti per Milano senza di me e io avrei dovuto iniziare la prima media da sola, con un appartamento che non sentivo mio (il mio cuore sarebbe sempre rimasto italiano, anche in mezzo a tanti londinesi) e pieno di faccende casalinghe da sbrigare, come spazzare i pavimenti, lucidare le finestre, lavare i piatti, strofinare i vestiti, che avevo sempre visto fare dagli altri, ma che a metterle in pratica da sola davano l'aria di essere molto complicate. Specialmente per una ragazzina di dieci anni come me.
Anche se dopo due mesi e otto giorni avrei superato la soglia degli undici, ero lo stesso rimasta da sola a curare una casa ad una così tenera età. Veramente un ottimo modo per responsabilizzarmi, complimenti miei cari parents, come dicevano a Londra.
Come ogni volta, non appena pensai a loro un leggero rintocco di malinconia si fece sentire in fondo al mio cuore.
Non provare a piangere per loro, mi rimbrottai,perché hanno avuto la sorte che doveva toccar loro. A fare i genitori si impara sul campo, e loro non si erano rivelati sufficientemente bravi e qualcuno li ha mandati in panchina. Ora tocca agli altri giocatori.
Ecco, magari un uomo sospetto con il turbante non fa parte della mia squadra.
Mi sentii di nuovo osservata, e per prudenza mi accucciai dietro ad un pilastro di pietra grigia sporca, trascinando con me la mia borsetta: per ironizzare, pensai che dovesse per forza trattarsi di un malintenzionato in pensione, dato che puntava sulle ragazzine di undici anni indifese senza quasi soldi in tasca - li avevo spesi tutti nel panino.
Ero abituata a ironizzare sui problemi e sulle tristezze, perché ne avevo ricevute fin troppe. Specialmente quel fatidico 29 Agosto.
I miei mi avevano rifilato tante di quelle scuse, tante di quelle bugie, tante di quelle prese in giro, che oramai io ero diventata un maestro a scovare le falsità. Mi avevano riempito la testa di tanti stai tranquilla, ti telefoneremo, tesoro non ti preoccupare, ma anche siamo in pena per te e perfino se riusciremo, ti verremo a trovare uno di questi giorni.
Certo, avrei voluto rispondere, ma non era il caso di far imbufalire due genitori l’ultimo giorno in cui li vedevo. Mi verrete a trovare, prenderemo un tè insieme, farete finta di aiutarmi a pulire casa, mi chiederete come sto andando a scuola, mi ripeterete che sono sempre nei vostri pensieri e poi tornerete in Italia a fare la bella vita e a sbrigare delle faccende che solo voi conoscete.
Però, contravvenendo al mio istinto, mi ero tenuta quelle parole in testa e le tiravo fuori dal cassetto nel momento in cui la mia mente vagava fino a quel giorno, distraendomi dal pensiero di essere stata rifiutata da chi invece avrebbe dovuto starmi vicino per sempre.
Un fruscio, che sembrava provenire dal pilastro al quale mi ero appoggiata, mi distrasse dai miei pensieri.
Alzando lo sguardo su una specie di ponticello che oltrepassava tre file di binari pieni di fumo, notai, prima che scomparisse, una strana, enorme macchia nera che non pareva appartenere a nessun essere terrestre. Era alta almeno due metri e venti e larga la metà, con le sembianze di un uomo grosso e corpulento e con una lunga barba folta, attorcigliata e cespugliosa.
Nel secondo seguente, quando quella bizzarra ombra sparì (ma forse me l'ero solo immaginata) sul ponte rimase solo un carrello dall'aria molto pesante, simile a quello dell'uomo con il turbante - cos'era, una mania? - e un ragazzino circa della mia età, alto e mingherlino, con scompigliati capelli neri e occhiali, che si guardava intorno stupito. Probabilmente il suo pettine era impolverato dal giorno in cui l’aveva comprato, ma non era tanto importante, a mio parere: nemmeno io mi pettinavo mai.
Abbiamo già qualcosa in comune!
Oddio, cos'era questo? Un pensiero da stupida cotta?



Distolsi lo sguardo subito, temendo di innamorarmi a prima vista: una stazione non era proprio il posto migliore per un primo incontro, e men che meno per un appuntamento romantico. Specialmente nelle mie condizioni.
Mi specchiai su di un vetro che ricopriva un telone pubblicitario di un nuovo e utilissimo rasoio elettrico con quattro marce e quattrocento sterline di costo. Nessuno lo guardava mai, poveretto: almeno in quel momento stava servendo ad aiutarmi a giudicare se fossi davvero così impresentabile nel caso quasi impossibile in cui fossi riuscita a trovare il coraggio di parlare con quel ragazzo.
Dovetti convenire sul sì. Ero sporca: i miei capelli marroni erano quasi neri grazie ad una patina di fumo che, chissà come, ritrovavo sempre sulla cute quando uscivo dalla stazione – non eravamo mica nell’ottocento, insomma – e le occhiaie sotto ai miei occhi castani parevano due occhiali da quanto erano marcate. Toh, ecco un altro aspetto comune. Il cappottino nero imbottito con cappuccio era stato perfino lucido una volta - incredibile a dirsi - però ormai si era rassegnato e adattato alla mia routine di almeno sette gite in stazione che mi concedevo a settimana, e si era ricoperto di una strana polverina grigia preventiva che non cercavo più nemmeno di togliere. Perlomeno aveva salvato dalla lavatrice la mia anonima maglietta a tinta unita. I jeans non erano molto sporchi, grazie al cielo: non sembravo proprio un barbone fatto e finito. Appena tornata a casa, avrei dovuto fare una doccia: ciò implicava anche pulire il pavimento, asciugare il vetro appannato, raccogliere tutti i capelli che perdevo da terra e sciacquare il tappetino dalle tracce di shampoo. Bello.
Sbuffando, pensai che avrei dovuto comunque darmi una ripulita. Se quel ragazzo mi avesse visto di nuovo …
Non mi andava però di utilizzare i tovaglioli che avevo comprato insieme al panino, e purtroppo non avevo fazzoletti di carta. Cosa avrei potuto usare?
Accidenti, era la prima volta in vita mia che mi preoccupavo di migliorare il mio aspetto. Questo sconosciuto mi stava cambiando veramente tanto. Doveva essere la giornata degli sconosciuti strani.
In una situazione di emergenza come quella, però, mi tornava sempre utile il mio cappotto. A guardarlo da profana, pareva uno di quei cappottini inutili esposti alle bancarelle dell'usato, che dopo due giorni già si restringevano. Invece bastava indossarlo per neanche una settimana e già manifestava la sua meravigliosa e strabiliante qualità, che credevo pochi altri avessero: essendo stato probabilmente concepito da chi aveva progettato la borsa di Mary Poppins, possedeva almeno un migliaio di tasche - molte delle quali aggiuntive, perché cucite da mia madre in un impeto di istinto materno - e aveva la capacità di contenere le cose più strampalate tutte insieme senza aumentare il suo peso di un grammo.
Ad essere sinceri, questo potere poteva anche dipendere dalla mia pigrizia di infilare oggetti su oggetti in tasca quando non ne avevo bisogno subito ma supponevo mi servissero in seguito: in questo modo, pensavo, sarà più facile ritrovarli. Non era assolutamente vero, dato che nelle tasche finiva per crearsi una piccola montagna di cianfrusaglie che rendeva impossibile una qualunque ricerca, però mi piaceva dirlo a me stessa. Era divertente trovare scuse inutili e assolutamente false, però verosimili. Chissà se quella capacità mi sarebbe tornata utile in futuro. Probabilmente no.
Annoiata della mancanza di vitalità che c'era quel giorno in stazione, mi sedetti alla base del pilastro su cui mi ero appoggiata e, per trovare qualcosa da fare, decisi di svuotare tutte le tasche che riuscii a raggiungere, e di segnare su un blocco di appunti che mi portavo sempre dietro cosa stavo trovando, in modo da non accanirmi poi come una stupida a cercare qualcosa per tutta casa senza ricordarmi che il loro - presunto - posto giusto era quel giaccone.
In mancanza di meglio, mi pareva un buon passatempo, così feci un lungo respiro profondo e iniziai.
Per prima cosa, in una tasca trovai uno straccio grigiastro e del sapone liquido, che provai senza convinzione a spiegarmi come il testimone della mia recente pulita dei sanitari del bagno. Era stata il giorno prima … o quello ancora prima … forse. Non mi ricordavo il giorno esatto, però rammentavo di aver per errore acceso a palla l’aria condizionata e, nella mia totale incapacità, non ero stata in grado di spegnerla: per quel motivo avevo tenuto addosso il giaccone per due ore filate, e poi ero andata a disturbare la mia arcigna vicina di condominio nella speranza che mi aiutasse. Lo aveva fatto, ma era stata anche un'ora a spiegarmi che cosa fosse assolutamente imperdonabile nel mio bagno.
Nella speranza di ricordarmi di rimettere lo straccio al suo posto, lo utilizzai per pulirmi il viso - asciugamano formato tascabile, in vendita nei migliori cappotti Green - poi ripresi la ricerca.
Ecco ciò che mi appuntai:

- Qualche spicciolo di sterlina;
- Tre boccette omaggio di profumo Dior, Giorgio Armani e Bulgari(probabilmente li avevo staccati da una pagina di pubblicità di una rivista);
- Un libro formato tascabile (questo non riuscii proprio a spiegarmelo, ma vabbè);
- Un block notes;
- Due penne;
- Bottoni di ricambio compresi di ago e filo;
- Un orologio;
- Due salvaslip (anche per quelli mi era ignoto come fossero finiti nella mia tasca, dato che avevo solo undici anni);
- Una mela mezza schiacciata ma probabilmente ancora buona.

E poi ci rinunciai, consapevole che, se avessi continuato, sarebbero saltate fuori altre meraviglie.
Probabilmente, pensai, a forza di svuotare e riempire un giorno sarebbe saltata fuori la nuova teoria della relatività.
Mi spiai di nuovo sul vetro e mi feci una linguaccia: avevo ancora le guance opache, e dato che lo straccio non poteva incidere poi molto sulla loro pulizia, ero obbligata a tornare a casa.
O forse no …
No, no, proprio no, invece!
Potevo prolungare la mia gita a piacimento e ritardare la doccia al ritorno: quando sarei tornata, non ci sarebbe stato nessun genitore imbronciato che si lamentava per la mia passione inutile e sconclusionata. Evvai!
Mi avvicinai ai binari quasi saltellando, per festeggiare: di solito non lo facevo per evitare di sporcarmi troppo, ma non potevo lasciar scappare quell’occasione di studiare più da vicino gli isterici clienti delle biglietterie. Proprio per niente.
Individuai, a circa cinque metri da me, il passo frettoloso di un londinese imbronciato con ventiquattrore in mano che si recava velocemente tra i binari nove e dieci, e capii che quello probabilmente avrebbe perso il treno, almeno a giudicare dal suo cipiglio che gli piegava il volto. Scommisi da sola le cinque sterline che il bar mi aveva dato di resto e m’intrufolai nella massa di gente per seguirlo.
Speravo di coglierlo in flagrante mentre cacciava la solita inutile imprecazione e il treno intanto correva via, ma quell’uomo, purtroppo, era in orario, e s’infilò dietro una coppietta di sessantenni teneramente abbracciati per salire sulla carrozza a lui destinata, stringendo bene il biglietto.
Uffa: stavo perdendo colpi. Ero ormai diventata brava ad avvistare il-passo-di-uno-che-sta-per-perdere-il-treno, ma spesso i manager lo usavano anche quando erano tre ore in anticipo, e mi disorientavano. Stavo per tornare indietro, quando dietro di me sentii una voce di un ragazzo, la cui serietà e quasi urgenza contrastava con la frase che stava proferendo.
«Mi scusi, signore …». Si stava rivolgendo ad un grosso controllore con una corta e ispida barba punzecchiante e una divisa troppo stretta per lui. «Sa dirmi dove posso trovare il binario nove e tre quarti?».



*Angolino autrice*
Eccomi qui con la mia prima storia :) E' banale più che mai, ne sono più che consapevole... però è da anni che la tengo lì nella mia chiavetta e volevo pubblicarla in qualche modo, per sapere che cosa pensa la gente dei miei stupidissimi filmini mentali.
Molto bene, ora attendo con ansia il vostro parere. Non siete riusciti a finirla? Vi siete bloccati a metà? Stavate per vomitare? Vi è piaciuta? Avete temuto che fosse una Mary Sue? Siete ancora convinti che lo sia?
Non abbiate paura di dirmelo: ogni parere, positivo e negativo, è bene accetto e accolto. Forse le critiche costruttive sono addirittura più accolte delle recensioni positive, perché mi aiutano a migliorare!
Sì, beh, l'istinto è prendersela, e probabilmente verrà anche a me; ma in quel caso aspetterò a rispondere e poi vi risponderò più tardi, digerendo il groppo e aprendo gli occhi per vedere se è vero!
Ah, una cosa: per costruttivo intendo la spiegazione precisa su che cosa non va bene e, se proprio non chiedo troppo, un parere su come posso migliorare. Possibilmente senza insulti, ma se proprio mi tocca ... almeno, ripeto, spiegatemene il motivo!
Grazie per avermi letto e buona giornata! :)

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Capitolo 2
*** Qualcosa che davvero non sarei mai stata in grado di immaginare. ***


Qualcosa che davvero non sarei mai stata in grado di immaginare





Chi cavolo sta dicendo una stupidata del genere? Pensai sbalordita, e rimasi di sasso quando lo seppi.
Si trattava di quel ragazzino che avevo intravisto sul ponte poco prima.
Ora potevo osservarlo molto meglio, anche se non riuscivo a capire da dove venisse quella strana euforia, e lo feci. Notai che aveva gli occhi azzurrissimi (e meravigliosi, ma quelli erano dettagli assolutamente irrilevanti), circondati da un paio di occhiali con le lenti rotte e tenute insieme da un pezzo di nastro adesivo, e un ciuffo disordinato sulla fronte, che però non riusciva a nascondergli una strana cicatrice rossa, stretta stretta, a forma di saetta. Chissà come se l'era procurata.
Tutto solo, trascinava con fatica un carrello pieno di scatole di cartone imballate, sulla cui cima si trovava una gabbia con una civetta delle nevi che si beccava le ali con scarso interesse. Era un bagaglio molto simile a quello dell’uomo con il turbante di poco prima, ma con meno oggetti ammonticchiati.
Una civetta? In stazione? Ma gli animali non erano vietati?
«Binario nove e tre quarti … vuoi fare lo spiritoso, non è vero?», ribatté con un sorriso forzato il controllore, e si allontanò.
In effetti, si trattava di una domanda alquanto bizzarra: in tutte le stazioni di questo mondo, chissà perché, c’era il binario nove e il binario dieci, ma di binari nove e tre quarti neanche l’ombra. Forse chi le aveva inventate non conosceva le frazioni, forse era costoso scriverlo sul binario, forse era qualcos’altro, ma quella era la verità: era piuttosto nonsense che invece quel ragazzo avesse stampato un volto uno sguardo profondamente deluso e smarrito, come a chiedersi "e ora cosa faccio?". Mi sembrava se la prendesse troppo per uno scherzo mal riuscito.
Eppure mi ricordavo le sue parole e il tono utilizzato … e comunque quello sguardo triste …
No, mi ripetei convinta. Quel ragazzo non sta mentendo. Per niente. È serio. Ci crede davvero.
Ma come? Perché? Che cosa gli è saltato in testa?
Perché è in giro da solo con questo carrello? Dove vuole andare?
Qui sono tutti matti, pensai avvilita. Prima quello con il turbante che mi fissa, ora il ragazzo con la cicatrice che si offende se non esistono i binari nove e tre quarti … non ci si può neanche divertire un po' a spiare chi inveisce per niente. Meglio andarsene.
Stavo per girare i tacchi quando dal nulla spuntò una signora corpulenta dai capelli corti riccioluti di un bel rosso vivo e dall'aria gentile ma un po' seccata, che camminava a passo svelto verso una direzione a me ignota.



Si trascinava dietro una schiera di cinque ragazzi: quattro maschi di età diversa (due gemelli perfettamente identici; uno più grande che camminava tutto impettito come un tacchino e uno della mia età che pareva voler scappare via) e una ragazzina che doveva avere un anno meno di me. Avevano tutti gli stessi capelli rossi e gli stessi carrelli, tutti ugualmente grossi e caricati all’inverosimile - proprio come quelli del tipo con il turbante e del ragazzo che era ancora vicino a me. La donna, che pensavo fosse la madre di tutti, era molto agitata e ogni tanto osservava nervosamente l'orologio della stazione; ogni tanto incitava i suoi ragazzi che li seguissero, e continuava a borbottare tra sé: «La stessa cosa tutti gli anni: tutto pieno di babbani!». Poi gridava di nuovo: «Avanti, ragazzi! Il binario nove e tre quarti è di qua!».
Non appena captai quelle parole, mi si accesero gli occhi come due fari.
Babbani? Ma di che diavolo parla? Cosa sono?
Binario nove e tre quarti? Esiste!?
Il ragazzo dai capelli neri si voltò a guardarla. «Babbani?», ripeté estasiato. Nella sua voce non c'era un filo di stupore che invece avrebbe dovuto esserci. Tirò un sospiro di sollievo e la seguì correndo.
Rimasta sola, lo osservai che si allontanava. Sospirai, pensando che sarebbe potuto diventare un amico per me, se solo …
… se solo …
Se solo cosa?
Se solo io non fossi così stupida da lasciarlo andare via così, senza neanche una spiegazione!
E così presi a seguirlo a rotta di collo. Mentre mi affannavo per raggiungerlo - correva molto veloce, accidenti - tentai di riflettere sul termine che aveva pronunciato quella signora e che aveva richiamato il ragazzo.
Babbano.
Non l’avevo mai sentito o letto in vita mia, e dire che leggevo molto; nessuno l'aveva mai pronunciato ed ero pronta a scommettere per davvero le cinque sterline che avevo che quella parola non si trovava sul vocabolario.
Allora da dove veniva? E, soprattutto, che cosa significava?
Anche quella storia del binario era sospetta: non esisteva, ne ero più che sicura, però il fatto era che a Londra vivevano delle persone che credevano che davvero ci fosse nella stazione di King’ s Cross un binario nove e tre quarti; e probabilmente quella conoscenza si era diffusa anche in altri paesi, perché il treno che si trovava sopra doveva pur portare da qualche parte.
Inoltre avevo notato altre sei parole che mi avevano incuriosito: la stessa cosa tutti gli anni.  Doveva quindi trattarsi di un qualche cosa che ogni anno si ripetesse, nello stesso periodo addirittura, e che spingesse delle persone a recarsi in una comunissima stazione di Londra e a salire su un binario sconosciuto per prendere un treno non segnato sui tabelloni elettronici per andare chissà dove.
Wow … che figata.
Era qualcosa di troppo strano per lasciarmelo sfuggire così, anche se poteva risultare pure pericoloso.
Avevo infatti imparato, da quando i miei genitori se n’erano andati, a sviluppare un senso di responsabilità e una conoscenza del pericolo che forse non si addicevano molto alla mia età: erano però entrambi necessari per coltivare la mia inguaribile curiosità senza finire nei guai. Mi ritenevo anche abbastanza coraggiosa, a parte le vertigini e i ragni, beninteso: a differenza di molti altri bambini, però, non temevo né il buio né l’incognito, perciò non potevo permettermi di lasciar andare la famiglia e il ragazzino senza capire nulla, per poi crogiolarmi nel dubbio e nella miriade di ipotesi che potevo formulare.
Magari avrei potuto anche farmi un giretto su quel treno sconosciuto, quando avrei capito dove portava, come si raggiungeva quel diavolo di binario, quanto costava il viaggio, a che ora partiva e dove si compravano i biglietti.
Dopo quei pensieri, ero più che risoluta a trovare il bandolo di quella matassa.
Raggiunsi la compagnia appena in tempo. Il ragazzino si era nascosto come me, per osservarli e, probabilmente, imitarli poco dopo. Era incredibile quante cose avessimo in comune. Davvero incredibile.
Ed era altrettanto stupido sforzarsi di notarle.
La signora panciuta si avvicinò ad uno dei pilastri che reggevano la tettoia della piattaforma dei binari tra il nove e il dieci e poi sospirò: «Avanti, Percy, prima tu».
Un ragazzo alto, allampanato, tra i sedici e i diciassette anni, si fece avanti. Era quello che camminava tutto impettito e orgoglioso, con il petto in fuori come un tacchino, e aveva appuntata sulla giacca sciupata una spilla viola splendente con la lettera P: probabilmente si trattava del suo nome, ma non ne ero certa. Trascinava lo stesso solito carrello pieno di scatole imballate ma, al posto della civetta delle nevi che apparteneva al ragazzino che ora si era nascosto, c’era un gufo reale che dormiva, con il capo sotto una grossa ala.
Era proprio una giornata strana: non avevo mai visto un gufo, tantomeno di giorno, e tantomeno in una stazione!
Percy fece un lungo respiro e poi svolse l’ultima cosa che mi sarei aspettata da uno sguardo intelligente, anche se gradasso, come il suo: prese a correre verso il pilastro. Ma era scemo?
Ma no, non poteva esserlo … l'aveva detto pure la madre: avanti, Percy, prima tu. Lei si aspettava che ci corresse contro … e lui pure, dato che si era preparato. E a quanto pare nessuno si era preoccupato della solidità di quei mattoni di cui era fatto.
Il mio intuito femminile mi diceva che non ero finita in una famiglia di fuori di testa che mi aveva fatto perdere la ragione.
Ci doveva essere un senso in tutto questo. Assolutamente.
Ma non riuscivo proprio a capire quale potesse essere.
Tenni gli occhi bene aperti, cercando di capire che cosa sarebbe successo in seguito: si sarebbe schiantato contro il muro, su quello non ci pioveva … e poi? Cosa avrebbe detto la madre? Praticamente lei gli aveva chiesto di correre contro quella colonna, come se lo volesse rassicurare che non fosse doloroso … ma lui perché voleva farlo?
E cosa c'entrava tutto questo con il binario nove e tre quarti e con quel bagaglio stracarico?
Avevo quasi la tentazione di non voler guardare, per non assistere all'autolesionismo di Percy di mia volontà, e per poco non mi coprii gli occhi con le dita.
Feci bene a non arrivarci, perché poco dopo accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata.
Qualcosa che si faceva beffe in una volta sola di ogni legge fisica valida sulla terra.
Percy scomparve nel muro.
Pareva che se lo fosse mangiato.
Mi stropicciai gli occhi ancora una volta, ma non stavo sognando, perché il ragazzino che li stava spiando come me aveva la mia stessa aria attonita. Evidentemente non si aspettava una cosa del genere.
Inutile dire che questo provocò in me un altro scoppio di gioia.
La signora si rivolse a uno dei due ragazzi identici che si trovavano poco dietro di lei. «Dai, Fred, vai tu!».
«Io non sono Fred!», si lamentò quello, emergendo dalla fila dei figli.
«Parola mia!», assentì l’altro indignato. «E poi dici di essere nostra madre».
«Oh, scusami George», mormorò desolata la donna.
Quello che era George si avvicinò al binario con lo stesso ghigno furbo del gemello, trascinando lo stesso carrello con le stesse scatole e la stessa gabbia. «Te l’ho fatta, io sono Fred!», esclamò prima di sparire nel muro. Suo fratello lo seguì subito dopo, impedendosi di vedere lo sguardo arrabbiato che la madre gli stava lanciando.
Sorrisi, divertita, e pensai che, se fossi riuscita a raggiungerli, sarebbe stato uno spasso conoscerli.
Sempre che quel muro fosse stato clemente anche con la sottoscritta.
L'ultimo ragazzo rimasto probabilmente aveva il mio stesso dubbio, perché osservava quel muro con uno sguardo terrorizzato, come se davvero temesse di dover essere digerito da un momento all'altro. Sua madre si avvicinò quindi per rassicurarlo e la ragazzina per tormentarlo, causando un ritardo generale del passaggio completo della famiglia Incorporeo dall'altra parte del binario.
Doveva averlo compreso anche il ragazzino con la cicatrice a forma di saetta, perché mi si avvicinò distogliendo gli occhi dai tre rimasti. «Ehi, scusami …», mormorò con gli occhi bassi. «Tu sai come si fa ad entrare in quel binario?».
«Non ne ho la più pallida idea», risposi in un sussurro per non farmi scorgere dalla famiglia. «Sto appunto cercando di scoprirlo».
Emise un sospiro di sollievo. «Menomale, non sono l'unico che non ci capisce niente. Anche tu sei del primo anno a Hogwarts, vero?». Mi sorrise, incoraggiante (doveva aver notato il mio sguardo disorientato a quella parola) ma anche un po’ seducente, Sylvia, che caspita stai dicendo? «Pensa che io temo di essere l’ultimo della classe, non so niente di niente …». Gettò un’occhiata rapida alle mie spalle e s’incuriosì. «Ma non hai il gufo, tu... strano. Non hai letto la lettera?».
Dopo quelle poche frasi, pensai che io e lui abitassimo in due galassie differenti e che stessimo parlando per una sorta di comunicazione interplanetaria che presto si sarebbe interrotta lasciandoci nel dubbio. Per fare un breve calcolo, avevo captato circa una quarantina di parole da lui pronunciate, ma avevo capito il significato di solo la metà.
Quale lettera? Quale anno? Quale Hogwarts? Quale classe? Quale gufo? Di che cavolo stai parlando?
E cos'hai guardato dietro di me?
Oh, no … dimmi che non hai visto …
Chiusi gli occhi, con un misto di curiosità, spavento ed eccitazione, e guardai alle mie spalle, dove avevo già intuito ci fosse …
il solito carrello nero con sette – tre in più di tutti gli altri – scatole piene di chissà che, identiche precise a quelle del ragazzo e a quelle della famiglia Incorporeo.
Un immediato turbine di domande si affollò nel mio cranio. Da dove vengono fuori? Appaiono così, dal nulla? E cos'ho fatto per farle venire qui? E cosa devo fare adesso? Devo andare io su quel binario?
«Ci dev'essere sicuramente un errore», decisi in modo falsamente tranquillo (per non andare nel panico). «Queste cose non sono mie, o almeno … non credo».
Lui sorrise, di nuovo seducente - ehm … «Basterà controllare il nome scritto sopra, non credi? Come ti chiami tu?».
«Sylvia Green», mormorai con timore.
«Piacere», e mi tese la mano, «io sono Harry Potter». Lanciò un’occhiata veloce al carrello e poi mi guardò sorridendo. «Oh, indovina un po’ cosa c’è scritto su quell’adesivo?».
Non avevo bisogno di guardare un'altra volta per scoprire che su uno scatolone era incollato un biglietto con su scritto a chiare lettere, impossibili da fraintendere: Sylvia Green.
Ora ci sono dentro, pensai. E non posso tornare indietro.
Osservai Harry più disorientata di prima, e lui mi sorrise di nuovo, incoraggiante. «E ora che mi dici?».
Che gli potevo dire? «Beh, hai ragione», mormorai stupidamente. «Queste cose sono mie».
L'eco di quelle parole rimbalzò nella mia mente e mi mise k. o.
Era il mio nome. Quelle cose erano mie.
Ero proprio come gli altri passeggeri del treno sul binario nove e tre quarti. Forse avrei addirittura dovuto seguirli su quel treno e andare in quel posto in cui stavano andando loro. E magari restarci anche.
Ma che cos'erano loro? Dove stavano andando? Cos'era quel binario strano? Dove conduceva?
Cos'erano tutti quei gufi? A cosa servivano? Cosa contenevano quelle scatole?
E soprattutto … perché tutto questo?
Ero sicura che Harry si mettesse a ridere per il mio stupore palesato, e invece non lo fece. Invece sorrise affabile. «Ti posso capire, anche io sono rimasto un po’ sorpreso quando ho saputo di essere un mago …». Mago? «… figurati quando poi mi hanno detto che dovevo andare a Hogwarts, manco sapevo cosa fosse …».Eh, pensa un po', neanche io … «… però, ecco, forse arrivare fin qui senza saperlo non è un po’ eccessivo?». Ma sapere cosa? «Dai, muoviti, tra dieci minuti il treno parte!». Quale treno? Da dove parte? Dove arriva? Perché parte? Perché tu parti, che forse potresti essere il mio unico amico qui a Londra?
Avevo capito una parola su dieci di quello che avevo detto; l'unica cosa che ero stata capace di intuire era che lui credeva che io dovessi partire con lui, e ora voleva aiutarmi a raggiungere il binario nove e tre quarti. Per quanto fossero gentili le sue azioni, e per quanto indubbiamente mi lasciassero assai lusingata, io non potevo partire: avevo una casa da mantenere, una scuola da frequentare e dei genitori da aspettare. E anche se avessi potuto, non avevo il biglietto e dubitavo che qualcuno mi permettesse di comprarlo gli ultimi cinque minuti … ma Harry non se ne curò: mi afferrò per il polso e mi trascinò di fronte alla signora panciuta che in quel momento, con fare tenero, stava cercando contemporaneamente di tranquillizzare il figlio e calmare gli strepiti della figlia più piccola, che voleva assolutamente vedere quel treno e che voleva anche tormentare il fratello fifone.
Io, molto coraggiosa, molto incosciente e molto cretina, presi l’iniziativa (e dovevo impegnarmi per benino a fingere, ora che c’era Harry a guardarmi): «Mi scusi, signora …». Lei si voltò subito a guardarmi, e mi sorrise cordiale (e anche un po' riconoscente, per averla distratta un attimo da quel casino di figli). «Non sappiamo come …». Le parole mi vennero meno. Come raggiungere Hogwarts? Come trovare il binario? Come prendere il treno? Come comprare il biglietto? Come fare in modo che Harry Potter si innamori perdutamente di me?
Ehm, no, quello non c'entrava niente.
In alternativa, indicai il pilastro.
Lei mi venne fortunatamente in soccorso, illuminandosi di un sorriso premuroso e dolce. «Come raggiungere il binario?». Annuii, sollevata. Beh, dai, non ci ero andata molto lontana. «Non preoccupatevi, anche Ron è qui per la prima volta», aggiunse, indicando il figlio che ci fece un sorrisetto di circostanza, ma che io non riuscii a ricambiare, tesa com'ero. «Non dovete far altro che correre verso quella colonna, tra i binari nove e dieci. Meglio che andiate di fretta se siete nervosi».
Ecco, l’aveva detto.
Correre lì in mezzo, dritti dritti verso quei mattoni solidissimi, sperando di passarci attraverso.
Un modo migliore di quello per rompersi il naso non esisteva.
Io lanciai ad Harry un'occhiata terrorizzata, e lui annuì. Poi deglutì e si avvicinò a me, a piccoli passi, trascinando il suo carrello. «Vado prima io», mormorò molto cavallerescamente, ma si vedeva che aveva una fifa dell'accidenti. Tutta giustificata, peraltro. Mi salutò con un «ci vediamo dopo», forzando le labbra in un sorriso per sdrammatizzare, e fece un lungo respiro.
La ragazzina più piccola, dai lunghi capelli rossi e dagli occhi verdi, sorridendogli, gli augurò: «Buona fortuna».
Lui ringraziò con un cenno del capo, fece un secondo sospiro, prese la rincorsa e corse velocemente verso il muro.
Nel momento in cui avrebbe dovuto toccarlo, la sua figura scomparve.
Ero rimasta sola con il mio carrello e con il mio corpo, che a toccarlo non sembrava assolutamente in vena di voler passare attraverso un muro.
«Tocca a te, cara», mi incitò dolcemente la signora.
Si prepari con il cellulare, pensai tristemente, dovrà chiamare presto un'ambulanza.
Con l'aria di una condannata a morte che si avvia verso il boia, avanzai trascinando a fatica il carrello.
Mi sistemai davanti alla colonna, guardandola fissa come se avesse gli occhi.
Ebbene sì, andrò a sbattere contro di te e non so nemmeno perché, sussurrai a voce bassissima, tanto che a malapena mi sentii.
Dovevo andare fino in fondo a quel casino e sbrogliarlo, perché ci ero dentro fin sopra i capelli.
E naturalmente, quando mi sarei spaccata la faccia contro il pilastro, la signora avrebbe capito che non ero una strega (o quel che era), e forse mi avrebbe ucciso perché mi ero infilata in segreti che non erano miei. Oppure mi avrebbe cancellato la memoria: chissà che cosa combinavano i maghi con casi di quel tipo …
… ma che ragionamenti stavo facendo?
Buttati, Sylvia, che è morbido!
Presi la rincorsa e feci l'ultimo respiro profondo.
All'attacco! Verso l'ospedale!
E presi a correre.
Nel momento in cui partii, mi pentii immediatamente dell'assoluta stupidaggine folle e insensata che stavo facendo.
Ma ormai non potevo più tornare indietro.
Ecco, avevo perso il controllo del carrello … che brutta idea … ero ad una spanna dal muro … due dita … un dito … chiusi gli occhi, sicura che la signora avrebbe dovuto chiamare il 999 e …
… e continuai a correre.
Non sentii dolore, mi sembrava proprio come se il muro fosse scomparso. Dov'ero capitata?
Aprii gli occhi...
... E mi ritrovai davanti l'ultima cosa che mi sarei aspettata di vedere.
Un treno a vapore, di color rosso fuoco splendente, con alcuni inserti neri. La prima carrozza, scura come la pece, recava la scritta:
 
Hogwarts Express
5972.


 
Il cartello sporco e polveroso dove c'era scritto BINARIO 10 era stato magicamente sostituito da uno color porpora pulitissimo con una scritta dorata luccicante: BINARIO 9 E ¾.
Ce l’avevo fatta.
Ero passata attraverso un muro.
Menatela, fantasma di Canterville, menatelaaaa …



*Angolino autrice*
Ecco qui il secondo capitoloo :) Non si va molto avanti, ma poi è così prevedibile ... l'avete già visto tutti quanti un miliardo di volte minimo, ma che ci devo fare io? Amo quel film! <3
Se siete arrivati qui perché non ce la fate più a leggerla, lasciate un commentino lì sotto in cui mi dite: "Che palle, davvero, è illeggibile questa storia, è troppo lunga... o la dividi in più capitoli ancora, oppure veramente non verrà nessuno da te". O qualcosa del genere. Dite quello che vi pare. Ricordate solo che l'omicidio è punibile per legge ;)
Se invece siete arrivati qui perché avete un minuscolo parere diverso da "Fai schifo" o "non ce l'ho fatta a finirla", commentate lo stesso e ditemi cosa vi è piaciuto e cosa non vi è piaciuto ... mi aiuterà a migliorare!
Insomma, tutto questo per dirvi che ogni parere, positivo e negativo, è sempre ben accetto!
Grazie mille per le 8o visualizzazioni (mi sembra) del capitolo precedente ... e anche a The_Sound_Of_Rain e a Jinny_2000 per le due meravigliose recensioni! Mi ha fatto molto piacere riceverle! :D Grazie perché mi seguite, grazie, grazie, graziee! :)
Grazie per avermi letto e buona giornata! :)

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Capitolo 3
*** Se esco viva da qui, giurò che prometterò qualcosa. Non so ancora cosa. ***


Se esco viva da qui, giuro che prometterò qualcosa. Non so ancora cosa.





Improvvisamente mi si riattivarono le orecchie, e un fischio acutissimo che mi strizzò i timpani mi avvisò che il treno era in partenza. Poi tutti gli altri organi di senso si collegarono al cervello e potei realizzare in che situazione mi trovavo.
Ero immersa in un casino assurdo. Intorno a me, nuvolette di fumo, gatti, civette, gufi, chiacchiericcio e urla si combattevano l'un l'altro per vedere chi fosse stato il più forte a farsi sentire, senza rendersi conto che le mie come le altre povere orecchie captavano tutto e chiedevano pietà. Alcuni trascinavano grossi carrelli tutti uguali, pieni di scatole di cartone, ma la maggior parte dei ragazzi che scorgevo - tutti tra gli undici e i diciassette anni - portava un grosso baule rosso che dava l'aria di essere assai più pesante, e soprattutto più duro se fosse caduto sull'alluce di qualcuno.
Però niente di ciò che vedevo mi permetteva di rassomigliare quel binario ad una stazione normale: tutto sembrava, anche se caotico, pervaso da uno strano senso di ordine, diverso da quello della maggior parte di tutti gli umani razionali, ma che pochi prescelti stradisordinati come la sottoscritta erano in grado di cogliere.
No, non era vero. Stavo delirando.
Forse era quella la vera magia di quel posto. A parte che per arrivarci bisognava passare attraverso un muro, beninteso.
E dato che io avevo compiuto il primo passo, mi sembrava di esser partita più che bene per una principiante.
Non vedevo l’ora di seguire Harry in quell’avventura: magari sarei pure riuscita a ritrovare la famiglia dai capelli rossi …
Ma non potevo fare nient’altro che rimanere lì a guardare il treno partire, salutando per sempre il mio nuovo fortunato amico e tornarmene a casa con scatole che erano mie solo per caso.
E il motivo era molto semplice: intorno a me non vedevo biglietterie e non potevo comprare il biglietto per salire su quel treno.
Dovevo fermarmi lì e lasciar andare quella stranezza a sé stessa, con l'unica gioia di poter raccontare ai miei futuri figli di essere passata attraverso un muro una volta.
Sconsolata, mi misi le mani nella tasca dei jeans e fissai le rotaie nere.
E le tasche dei pantaloni, purtroppo, non erano come quelle del mio cappotto: non facevano apparire niente di straordinario al loro interno. O almeno a quanto ne sapevo. Dato che non mi ricordavo di aver messo un pezzo di carta in tasca negli ultimi tre mesi, nessun pezzo di carta sarebbe dovuto apparirci dentro e finire sulle mie dita.
Tanto meno uno violetto e filigranato con la seguente scritta:
 
Da Londra a Hogwarts
Viaggio di sola andata
Binario 9 e ¾.
Ore 11.
 
Invece fu proprio quello che mi ritrovai a guardare con occhi sbarrati.
Era il biglietto del treno.



Non ebbi nemmeno il tempo di incominciare a pensare e questo da dove caspita spunta fuori che Ron, il figlio spaventato della signora gentile, mi chiamò. «Ehi! Tu sei quella di prima, giusto? Sbrigati, o perderai il treno!».
Mi voltai, e quello mi sorrise. Aveva i soliti capelli rossi di famiglia, delle lentiggini su tutto il viso e uno sguardo simpatico. Di cicatrici a forma di saetta, neanche l’ombra. Forse non erano così comuni. «Ciao, io sono Ronald Weasley, ma tutti mi chiamano Ron. Tu chi sei?».
«Mi chiamo Sylvia», risposi, stringendogli la mano che mi porgeva, «piacere di conoscerti. Ma non penso che salirò sul treno».
«Non dire stupidaggini», protestò lui. «Sei arrivata fin qui, non puoi pensare di andartene».
«Lo so …», mormorai triste. «Ma non sarebbe corretto …».
«E perché?».
«Ecco … ». Come potevo dirglielo? «Io non sono una … strega? O quel che è. Insomma, sono umana. Una ragazza. Un'undicenne normalissima». La sua faccia interrogativa non mi incoraggiò. «Non hai capito?»
«No, non tanto». Sbuffai. «Cioè, in pratica tu hai poteri magici?».
Ecco il modo giusto per dirlo. «No, neanche uno piccolo piccolo piccolo».
Non sembrava convinto. «Impossibile», fece infatti. «I babbani non sanno attraversare il binario».
«Quindi i babbani sono quelli … non maghi, giusto?», dedussi.
«Esatto. Ma guarda che se fossi babbana non saresti stata in grado di arrivare qui».
«Ma io non posso essere una strega. Ci dev'essere un errore, insomma … ».
Stavo per spiegarglielo meglio quando risuonò un campanello.
«Caspita, sono le undici meno cinque», gridò Ron. «Sali, che poi discutiamo durante il viaggio».
Non mi mossi.
«Allora, vieni o no?», mi incitò balzando sul treno.
No, non sono una strega e quindi non posso, stavo per dirgli.
Però poi pensai al carrello … a Harry … alle scatole misteriose … a Harry … al binario nove e tre quarti  … a Harry … ai poveri babbani che mi avevano maltrattata … a Harry di nuovo … sì, forse ero un po' ripetitiva …
Dovevo lasciarmi tutto questo alle spalle? Tutto quel mistero come se non fosse accaduto nulla?
Cioè, avevo appena scoperto di saper passare attraverso un muro e non facevo niente per scoprire che cosa me lo avesse fatto fare di me?
Però non sono una strega … se qualche mago mi becca sul treno, sono totalmente e assolutamente fregata …
Feci un lungo respiro e mi preparai a pensare a qualche cosa di eroico che mi spingesse a rassegnarmi a seguirlo.
E questo qualcosa di eroico era: Chisseneimporta!
«Adesso arrivo», mi decisi. «Mi aiuti con il carrello?».
Annuì, e con il suo aiuto lo issai sul vagone. Fu un'azione ancora più eroica della mia decisione, dato che probabilmente solo un meteorite sarebbe stato più pesante. Non appena riuscii a rilassare le mie dieci dita dei piedi, che avevano ricevuto quel bagaglio sopra almeno quattro volte ciascuna, osai domandargli di getto: «Cos’è Hogwarts?».
Sapevo che a quella richiesta si sarebbe insospettito, ma del resto io mi trovavo su un treno diretto a Hogwarts: dovevo in qualche modo scoprire cosa fosse questa Hogwarts.
Non si stupì più di tanto, forse perché era impegnato a massaggiarsi le braccia. «Hogwarts è una scuola di magia. Dicono che sia la migliore del mondo. Strano che tu non lo sappia».
Scuola di magia. E io cosa imparo, se non ho neanche i poteri?
«Non è strano», protestai proprio mentre il treno, con un fischio, partiva. «Io sono una babbana, e …».
«Bah, sciocchezze», mi liquidò lui, incominciando a camminare per il corridoio trascinando con se il suo bagaglio, e io mi affrettai a fare lo stesso per ascoltarlo e imparare qualcosa. «Ho sentito di genitori che facevano così. Mentivano ai loro figli: tu sei una babbana, tu sei una babbana, tu non fai apparire topi nel tè che ti fa schifo per non berlo, è un’illusione ottica, sei pazza, sei pazza». Naturalmente mi guardai bene dal dire che io non avevo mai fatto apparire topi nel tè, né tantomeno che i miei genitori mi avessero mai detto cose simili. Cioè, bugie ne dicevano, ma non così grosse. «Così li mandano tutti dagli psicologi e pagano parcelle spaventose per cercare di curare allucinazioni che invece sono anticipazioni di un mago molto dotato. Puh: odio chi non accetta di avere un mago in famiglia. Poi arriva la lettera e rimangono tutti di sasso, i genitori si arrabbiano, il figlio protesta e alla fine, a malincuore, raggiungono la scuola».
Mi sbrigai ad annuire convinta come se tutto ciò fosse successo anche a me, chiedendomi perché non avessi ricevuto quella lettera, che cosa ci fosse scritto e come si facesse a far apparire quegli stramaledetti topi per far capire di essere magici.
Forse c'era una sola risposta a tutto questo: ero babbana.
Era molto semplice.
E sarebbe stato anche molto semplice per un qualsiasi mago accorgersene.
No, ok, forse non è stata una buona idea venire qui sopra.
Mi affacciai al finestrino, ma al posto dello strano binario vidi un paesaggio incontaminato di vegetazione rigogliosa.
Si trattava della famosa campagna inglese.



Eravamo in viaggio, e niente poteva più fermarci.
Sono fregata.
Ron si guardò in giro come me, e sbuffò per un altro motivo. «Accidenti, non c’è uno scompartimento vuoto. Sono tutti occupati. E ora dove ci sediamo?».
Non risposi, e fissai sconvolta un pezzo di prato che vedevo fuori dal finestrino.
Mi trovavo su un treno diretto ad una scuola di magia, la migliore del mondo, senza avere una goccia di sangue di mago nelle vene. Avevo un bagaglio pesante il doppio del normale pieno di scatole che non sapevo fossero mie, e per giunta contenevano oggetti sconosciuti che io non avevo mai comperato in vita mia e non sapevo cosa fossero. In tasca avevo un biglietto che non avevo mai preso e che parlava di un binario che non esisteva nelle stazioni che si raggiungeva passando attraverso un muro. In quattro e quattr’otto un mago vero avrebbe potuto scoprire chi ero e cacciarmi fuori dal treno con un calcio nel sedere, e io non sapevo né dove si trovasse Hogwarts né quale fosse il tragitto che stessi percorrendo. Non avevo nemmeno un cellulare per avvisare qualcuno se mi avessero abbandonato. Ad essere precisi, non avevo nemmeno qualcuno da chiamare se fosse successo qualcosa di simile.
Sapere dove potessi sedermi era la mia ultima preoccupazione in quel momento.
Se esco viva da qui, non so cosa sono pronta a promettere, ma giuro che lo prometterò.
Sicuramente non posso promettere di non mangiare più pizza italiana. Chiedetemi tutto, ma non toglietemi la pizza.
Naturalmente il commento autoironico non c'entrava assolutamente niente con la faccenda.



*Angolino autrice*
Terzo capitolo in arrivo! Non si va molto avanti, però dovevo dividerlo perché poi la parte dopo è un blocco unico, e non potevo unirlo... non avrebbe dato lo stesso effetto narrativo :)
Lascio il solito messaggio per le recensioni...
Se siete arrivati qui perché non ce la fate più a leggerla, lasciate un commentino lì sotto in cui mi dite: "Che palle, davvero, è illeggibile questa storia, è troppo lunga... o la dividi in più capitoli ancora, oppure veramente non verrà nessuno da te". O qualcosa del genere. Dite quello che vi pare. Ricordate solo che l'omicidio è punibile per legge ;)
Se invece siete arrivati qui perché avete un minuscolo parere diverso da "Fai schifo" o "non ce l'ho fatta a finirla", commentate lo stesso e ditemi cosa vi è piaciuto e cosa non vi è piaciuto ... mi aiuterà a migliorare!
Insomma, tutto questo per dirvi che ogni parere, positivo e negativo, è sempre ben accetto!
Grazie mille per le 20 visualizzazioni del capitolo precedente (di cui almeno 15 sono mie che continuo a riguardarlo, ma vabbé :D ) e recensite, grazie! I pareri sono utili!
Grazie per avermi letto e buona giornata! :)

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Capitolo 4
*** Sta andando molto meglio di quanto immaginassi. Forse giurare fa bene! ***


Sta andando molto meglio di quanto immaginassi. Forse giurare fa bene!





Non avevo reso partecipe Ron della mia disperazione, perciò lui non se ne accorse e continuò a vagare tra i binari. Io lo seguii per pochi minuti, in silenzio, fino a quando non scorgemmo uno scompartimento quasi vuoto, a parte un posto accanto al finestrino. L’unico ragazzo che lo occupava, e che era tutto intento fissare estasiato il percorso, era Harry.
Emisi un sospiro di sollievo talmente forte da sollevare una tenda. Sia ringraziato il cielo! «Ehi, Harry!», chiamai con un sorriso stampato in faccia.
Si voltò verso di me e ricambiò l’allegria. «Oh, ciao Syl!». Già usava l’abbreviazione del nome, come se ci conoscessimo da un po’ di tempo e non da cinque minuti. Questo mi riempì inspiegabilmente di orgoglio. «Sono contento di vederti. Hai visto che ce l’hai fatta? Vieni, siediti pure, e puoi venire anche tu, se vuoi», aggiunse, rivolgendosi a Ron dietro di me.
Lui accettò arrossendo ed entrambi ci sedemmo, uno accanto all’altro, davanti a Harry, trascinando a fatica i nostri carrelli. Il suo si trovava sul sedile accanto a lui.
Dato che entrambi i ragazzi conoscevano il mio nome, si presentarono a vicenda. «Io sono Ron. Ron Weasley», disse il mio vicino, tendendogli la mano.
«Tanto piacere Ron. Io sono Harry. Harry Potter», rispose l’altro stringendola.
Non appena il mio amico pronunciò la parola Potter,  gli occhi di Ron si dilatarono dallo stupore, come se avesse appena visto un cane a sedici gambe che scalava un grattacielo. Probabilmente aveva smesso di respirare. E per cosa? Per un cognome! Cosa c’era di tanto sorprendente?
«Allora è vero!», quasi urlò.
Certo che è vero, pensai sorpresa. Cosa credevi che fosse, un manichino?
«E hai veramente la … la … la …». Aveva la voce spezzata: non riusciva quasi a parlare.
«La cosa?», domandò Harry, e io stessa ripetei la domanda dentro di me con molta più curiosità.
Ron inspirò ed espiro. «… Cicatrice?», riuscì finalmente ad emettere.
Harry sorrise. «Oh, sì», assentì. Poi si alzò il ciuffo e gli mostrò quel segno a forma di saetta che anche io avevo individuato poco prima.
Personalmente non ci avevo trovato nulla di strano, a parte forse la forma, ma Ron non era del mio stesso parere. «Cavolo!», esclamò, e poi rimase a guardare Harry con tanto d’occhi, come ipnotizzato.
Lui sorrise ancora e poi, sottraendosi al suo sguardo, osservò il mio. Io lo stavo fissando interdetta, chiedendomi che cosa ci fosse di tanto strano in una cicatrice come quella.
Io ne avevo a miliardi sulle gambe, e quindi?
E poi Ron come faceva a sapere che Harry aveva una cicatrice sulla fronte prima ancora di vedergliela?
«Tu non sai niente». Non era una domanda, ma il suo tono pareva sollevato. «Grazie al cielo, per te sono solo Harry. Che strano, però: Hagrid mi aveva detto che tutti sapevano della mia storia».
Aggiungendo l’identità di Hagrid all’elenco chilometrico di domande che avevo, ribattei: «Forse intendeva tutti i maghi».
«Ah, non ricominciare con ‘sta storia!», si lagnò Ron, distraendosi dalla cicatrice.
«Sì, anche a me l’ha detto», concordò l'altro. «Ma perché sei tanto convinta di essere una babbana?».
Era finalmente una domanda diretta.
«Perché …», esordii, incerta. Non sapevo da dove iniziare: avevo tanti di quei concetti per la testa che frullavano a velocità folle da non riuscire a estrarne uno da usare come punto di riferimento.
Iniziai con un respiro profondo per non finire nell’isteria o per non soffocare dal lungo monologo che pregustavo, e …
… e raccontai loro tutto.
Della stazione, del panino, degli amici che non avevo, dei genitori che erano tornati in Italia (Questo è peggio che avere alcuni che non accettano maghi in famiglia, aveva osservato Ron), dell’uomo che mi aveva urtato, del suo carrello così simile al mio, dell’ombra nera con le sue caratteristiche da uomo enorme (Forse hai visto Hagrid prima che scomparisse, perché lui è fatto più o meno così, aveva dedotto Harry), della domanda del mio amico al controllore, della signora Weasley e della sua famiglia che entrava nel binario, del carrello apparso dal nulla, del mio timore di andare a sbattere contro il muro, del biglietto che avevo trovato in tasca e, infine, del mio sollievo a incontrare Ron e poi Harry sul treno.
Che liberazione esporre finalmente tutta la vicenda!
Quando finii di raccontare, Ron era rimasto a bocca aperta proprio come se improvvisamente fosse spuntata una cicatrice a forma di saetta pure a me. «Wow», riuscì a dire.
Harry fu più pratico. «Io penso che tu abbia creduto in tutto questo tempo di essere una babbana, quando invece non lo sei. Quanto alla lettera, probabilmente Hogwarts ha avuto qualche problema con i gufi che portano le lettere». Gufi che portano lettere? Ma non erano piccioni? «Resta il carrello e il biglietto, ma forse in questo caso hai utilizzato la tua magia inconsciamente per ottenerli».
Non ero esattamente d’accordo con quell’ipotesi, e anche Ron aveva ritrovato la parola quel tanto che bastava per ribattere: purtroppo, però, quella era l’unica che riuscimmo a considerare buona dopo l'ora del discorso seguente e dopo almeno un altro migliaio di supposizioni di cui l'ottanta per cento erano assolutamente insensate - tipo: è apparso Superman e mi ha portato carrello e poteri direttamente da Krypton. La maggior parte di queste, naturalmente, venivano dalla mia mente impazzita.
Alla fine, Harry decise di raccontarmi la sua storia, dato che ero probabilmente l’unica strega – sempre accettando l’ipotesi di avere poteri magici – a non conoscerla, e avrei destato sospetti, se già non ne destavo di mio.
«Hagrid mi ha detto che», esordì (rinominando di nuovo quello che probabilmente doveva essere un gigante o qualcosa di simile, a giudicare dall’ombra nella stazione), «cinquant’anni fa c’era un mago di nome Vold …».
«NON PRONUNCIARLO!», lo interruppe bruscamente Ron, terrorizzato.
«Come mai?», gli domandai sorpresa.
«Nessuno lo pronuncia», mormorò tremando, «e se nessuno lo fa, nemmeno i grandi maghi, non dovremmo farlo neanche noi …». La sua voce si abbassò progressivamente, come se fosse spaventato addirittura a pensare un nome come quello, fino a ridursi ad un sussurro delicato che lasciò spazio di nuovo al racconto di Harry.
«Infatti tutti i maghi lo chiamano "Tu - Sai - Chi"», spiegò lui, seccato. «Secondo me è stupido: ormai è scomparso; ma ad ogni modo», alzò la voce per evitare le proteste di Ron, «era un mago cattivo, come avrai capito. Quando ha incominciato a raccogliere seguaci, chi non si aggregava veniva ucciso brutalmente. Creava una specie di cerchia, capisci? Non so a quale scopo».
«Probabilmente per avere potere», commentai. «Tutti gli umani di solito - e credo anche tutti i maghi - quando sono potenti non desiderano altro che esserlo ancora di più, e non si capisce mai che cosa se ne facciano poi di tutta quella potenza».
«Credo che tu abbia ragione», assentì Harry, «anche se Hagrid mi ha detto che in lui non era rimasto molto di umano. Ha terrorizzato il mondo magico: non si poteva mai sapere di chi fidarsi, non si poteva fare amicizia con nessuno … Tutti hanno un orribile ricordo di quel periodo».
Ora incominciavo a capire come mai Ron e tutti gli altri maghi avessero così tanta paura di lui.
«Alla fine, undici anni fa, Vol …», Ron gli lanciò un’occhiataccia, «vabbè, lui provò ad aggiungere alla sua cerchia anche i miei genitori, Lily e James. Loro hanno combattuto per non unirsi, ma … beh, lui li ha uccisi».
La disinvoltura ostentata da Harry in quell’ultima frase era palesemente falsa.
«Poi ha cercato di uccidere me, non si sa bene perché, ma …».
«Non sei morto».
«Esatto: chissà come hai fatto ad indovinare», scherzò Harry, per distrarsi dal racconto deprimente. «Per un motivo sconosciuto, la maledizione che avrebbe dovuto uccidermi mi è rimbalzata contro. Per questo mi è rimasta la cicatrice e per questo sono famoso».
«Chiaro», assentii io. «Sei l’unico sopravvissuto ad un mago che ha fatto strage. Come hai detto che si chiama?», domandai poi per provocare Ron (e nello stesso tempo per non tagliarlo fuori completamente dalla conversazione), e quello mi lanciò contro un’occhiata degna da maledizione. «Ok, non lo dire, me lo ricordo», aggiunsi, e poi mi rivolsi di nuovo a Harry. «Ci dev’essere stato qualcosa in te, quella notte, che lo ha fermato. Caspita, Harry, mi sa che a te non serve andare a scuola di magia! Perché non mi insegni qualcosa?».
Sorrise tristemente. «In realtà io di magia non so proprio niente …», disse come per scusarsi. «Tutti si aspettano grandi cose da me, pure quel signor Olivander del negozio delle bacchette magiche …». Decisi di non interrompere il suo sfogo per chiedergli chi fosse quell'Olivander, se davvero esistesse quel negozio, dove si trovasse e se una babbana come me (o no?) potesse andarci. «… insomma, solo perché l’interno della mia bacchetta è lo stesso di quella di Vold … ehm, scusa Ron», e lanciò un’occhiata di scuse all’amico torvo, «di tu- sai- chi sono tutti lì a pensare che io quasi riesca a fare le stesse cose … le stesse grandi cose che lui ha fatto con la sua bacchetta. Io non so niente», ripeté. «Sono solo Harry e … sì, sicuramente sarò l’ultimo della classe».
Poveretto. Quella paura doveva assillarlo proprio tanto, dato che me l’aveva già rivelata. «Non ti preoccupare, Harry, sarai di certo migliore di me», provai. «Certo, non sarà così difficile superarmi, dato che probabilmente io verrò buttata fuori da Hogwarts dopo cinque minuti, però è già una consolazione essere migliore di qualcuno».
«Ancora?», si lagnò Ron. «Ascolta, stammi bene a sentire: tu arriverai a Hogwarts, sarai smistata nella casa migliore – dicono che sia Grifondoro, c’è stato anche Silente, a suo tempo – sarai la prima della classe di Incantesimi, di Trasfigurazione e di Difesa contro le Arti Oscure e farai vincere anche la Coppa delle Case».
Avevo capito una parola su quindici, ma era evidente che il suo era un discorso di incoraggiamento, così provai ad annuire e a sorridere per farlo contento. Che bello, sarei stata inserita nella cosa migliore,  Grifocoso, perché ci era stato anche Silente (quel nome l’avevo riconosciuto, per lo meno, anche se non avevo la più pallida idea di chi fosse), sarei stata la prima della classe di coso, cosa e cosa due e avrei vinto anche la coppa cosa. Wow!
A giudicare dalla sua faccia, Harry aveva capito esattamente quanto me, ma le sue intenzioni di tranquillizzarmi erano alla pari con quelle di Ron. «Guarda, ti faccio leggere la lettera», mi propose infatti. «Così almeno sai che cosa probabilmente c’è nel tuo bagaglio, e se ti parlano di lettera, sai di che cosa stanno parlando».
Specialmente quell'ultimo punto era importante, dato che dubitavo che nelle mie scatole ci fosse qualcosa anche solo lontanamente magico. Però chissà, poteva accadere di tutto.
Annuii, confusa, e lui mi porse una busta di pesante carta bianca, senza francobollo. L'indirizzo era stampato al centro con inchiostro verde brillante, ed era:

 

Signor H. Potter
Piano terra
Catapecchia sullo scoglio
Mare.


Chissà come ci era finito Harry in una catapecchia su uno scoglio. Ripromettendomi di chiederglielo appena mi fosse stato possibile, aprii la busta ed estrassi due fogli di pergamena giallastra pesante. Lessi il primo con avidità.

 
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Direttore: Albus Silente.

 
(Ordine di Merlino, Prima Classe, Grande Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso, Confederazione internazionale dei Maghi).
 
Caro sig. Potter.
Siamo lieti di informarLa che Lei ha diritto a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l’elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie.
I corsi avranno inizio il primo Settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 Luglio p.v.

 

Risposta via gufo. Via gufo!
«Io non ho risposto», mi lasciai scappare ma mi trattenni dall’aggiungere quindi non sono iscritta per non far ricominciare il processo di convincimento.
«Certo, se non te l’hanno mandata come facevi a saperlo?», convenne Ron. «Ma Silente sa tutto e saprà anche che ci sono stati questi problemi e che non hai ricevuto la lettera».
Non molto rassicurata, continuai a leggere. Per lo meno avevo capito chi fosse questo Silente.

 
Con ossequi,
Minerva McGranitt.
Vicedirettrice.

 

Respirando a fondo per non andare in un altro attacco di panico, aprii l'altro foglio e lessi.

 

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
 
Uniforme.
Gli studenti del primo anno dovranno avere:
Tre completi da lavoro in tinta unita (nero)
Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno.
Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili).
Un mantello invernale (nero con alamari d’argento).
NB: tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una targhetta con il nome.
 
Libri di testo.
Tutti gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti testi.
Manuale degli incantesimi, volume primo di Miranda Gadula.
Storia della magia di Bathilda Bath.
Teoria della magia di Adalbert Incant.
Guida pratica alla trasfigurazione per principianti di Emeric Zott.
Mille erbe e funghi magici di Phyllida Spore.
Infusi e pozioni magiche di Arsenius Brodus.
Gli animali fantastici: dove trovarli di Newt Scamandro.
Le forze oscure: guida all’autoprotezione di Dante Tremante.
 
Altri accessori.
1 bacchetta magica.
1 calderone (in peltro, misura standard 2).
1 set di provette in vetro o in cristallo.
1 telescopio.
1 bilancia d’ottone.
 
Gli allievi possono portare anche un gufo oppure un gatto oppure un rospo.
 
Si ricorda ai genitori che agli allievi del primo anno non è consentito l'uso di manici di scopa personali.

 

Quando finii di leggere, mi si bloccò la circolazione per un minuto.
Esistevano libri di magia! Incantesimi! Trasfigurazioni! Pozioni magiche! Negozi di bacchette magiche! Misure standard per calderoni! Guanti in pelle di drago – e, di conseguenza, draghi veri! E, dato che ero certa che nessuno studente aveva voglia di portarsi a scuola ramazze per spazzare il pavimento, scope volanti!
E tutto questo senza che noi babbani ci fossimo mai accorti di nulla!
Niente di tutto ciò avevo mai creduto possibile nella mia casetta a Londra.
Passammo un’altra buona mezz’ora a discutere delle cose a Hogwarts (Grifocoso, Cosorosso, Corvocoso e Cosoverde, dove coso stava al posto di una parola che non mi entrava in testa): più che altro parlò Ron, raccontando di gente famosa che era andata in una o in un’altra e rivelandoci che sinceramente non sapeva secondo quale criterio la scuola stabilisse in quale cosa gli studenti sarebbero dovuti andare, e chi fosse l'addetto a farlo. Io non mi preoccupai più di tanto: il mio primario pensiero era il timore di non venire neppure ammessa a Hogwarts, figurarsi in quale cosa. Intanto avrei dovuto comprendere quale parola stesse al posto di tutti i miei coso e cosa, per lo meno per non fare figuracce.
Era ormai l'una del pomeriggio quando finalmente presi la decisione fondamentale: volevo andare in quella scuola.
Non avevo mai avuto amici veri e i miei genitori non sapevano niente, perciò non avevo nessuno da rimpiangere a Londra. Non conoscevo nessuno che sarebbe andato alle medie con me, perciò nessuno avrebbe potuto effettivamente testimoniare che io mi fossi iscritta lì: il mio nome poteva anche essere apparso per sbaglio, e ora che i miei genitori avessero confermato, sarebbe passato almeno il primo trimestre. E poi, il mio carattere timido non mi avrebbe certo permesso di farmi nuovi amici subito, come invece era accaduto lì.
Il luogo dove mi stavo recando in compagnia di Harry e Ron, invece, prometteva assai bene. Avevo fatto amicizia con due ragazzi della mia età, entrambi simpatici, cordiali e disponibili; possedevo già - incrociando le dita - il materiale necessario per quella scuola (a parte il sangue magico, si intende), e dato che ero passata attraverso un muro, potevo sempre sperare nell'indulgenza dei professori, specialmente di quel Silente.
Non solo: avevo perfino chiarito un sessantaquattresimo circa dei miei dubbi.
Ok: quando si arriva?





*Angolino autrice*
Tadà il quarto capitolo! Tutti pubblicati in fretta e furia perché ce li avevo già pronti ... me per il quinto dovrete aspettare ancora un poco perché devo trovare il tempo di leggerlo, rileggerlo e rileggerlo ancora :) Perché vi rivelo un segreto: questa storia ce l'ho già scritta (sono tipo 40 pagine) però è scritta peggio di 50 Shades, se sapere cosa intendo... quindi devo controllarla e ricontrollarla e ricontrollarla e riscriverla e ricontrollarla, se non l'ho già detto ;) Quindi, aspettate che vi fa bene :D *Non è vero*
Messaggino per recensioni (mi piace troppo questo messaggio, perciò lo incollo sempre uguale).
Se siete arrivati qui perché non ce la fate più a leggerla, lasciate un commentino lì sotto in cui mi dite: "Che palle, davvero, è illeggibile questa storia, è troppo lunga... o la dividi in più capitoli ancora, oppure veramente non verrà nessuno da te". O qualcosa del genere. Dite quello che vi pare. Ricordate solo che l'omicidio è punibile per legge ;)
Se invece siete arrivati qui perché avete un minuscolo parere diverso da "Fai schifo" o "non ce l'ho fatta a finirla", commentate lo stesso e ditemi cosa vi è piaciuto e cosa non vi è piaciuto ... mi aiuterà a migliorare!
Insomma, tutto questo per dirvi che ogni parere, positivo e negativo, è sempre ben accetto!
Grazie mille per le 30 visualizzazioni del capitolo precedente (di cui almeno 15 sono mie che continuo a riguardarlo, ma vabbé :D )! Non riesco a capire come mai il terzo abbia pià visualizzazioni del secondo, ma ho l'impressione che questi rimarranno per sempre i misteri di EFP. Recensite, grazie! Come continuo a ripetervi, i pareri sono utili!
Grazie per avermi letto e buona giornata! :)

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Capitolo 5
*** Solo l'amore incondizionato per il cibo mi porta ad assaggiare le gelatine tuttigusti, altrimenti non lo farei, lo giuro... non suona convincente, eh? ***


Solo l'amore incondizionato per il cibo mi porta ad assaggiare le gelatine tuttigusti, altrimenti non lo farei, lo giuro ... non suona convincente, eh?





Nel momento stesso in cui mi accorsi che in realtà, a parte i dubbi terrorizzanti che continuavano ad affollarsi nel mio cervello, io avessi una gran voglia di andare a Hogwarts, il tempo mi parve non passare più. Dato che non avevo la più pallida idea di dove stessimo andando, non potevo neanche calcolare quanto tempo mancasse, e ciò mi rendeva alquanto sul nervoso ...
Fortunatamente per Harry e Ron (che mi stavano intorno e, quindi, avrebbero potuto testimoniare quale mostro sarei diventata altrimenti), in quel medesimo istante una vecchietta si sporse nello scompartimento e ci guardò con fare amorevole. «Qualcosa dal carrello, cari?», domandò. Si trascinava dietro una montagna di dolciumi e snack, di cui il sole illuminava le buste di plastica.
«No, io sono a posto, grazie», mormorò Ron mesto, mostrando qualche panino schiacciato e un sacchetto di un altro strano dolce, che recava il bizzarro nome di zuccotti di zucca.
Io invece fissai il carrello con l'acquolina in bocca. Nella mia mente c'era una sola parola: Cibo!

 

Cibo, unico calmante della mia vita. ♪
Cibo, sola ragione di esistenza.
Cibo, vero motivo di crescita.
Cibo! Cibo! Cibo! ♪

 
Mi alzai e mi avvicinai a lei con un sorriso eccitato, stringendo gloriosa le mie famose cinque sterline. «Sì, grazie», emisi affamata. «Vorrei dei taralli, per piacere».
La mia estasi durò poco: la donna mi guardò come se avessi la pelle verde. «Dei cosa?».
Ops.  Mi morsi le labbra, sicura di aver combinato un pasticcio: la mia canzone mi aveva fatto leggermente uscire di testa. «Dei taralli … biscotti tondi … saporiti … con un buco al centro … non ne ha, vero?».
La signora mi scrutava con tanto d'occhi. «No, mi spiace … però ci sono calderotti a quindici zellini l'uno e gelatine tuttigusti+1 a due falci la busta, se può sostituire».
Per poco non cacciai un urlo. Ci sono cosa? Dei cosotti a quindici cosini l'uno?
Guardai Harry terrorizzata, e lui ricambiò con un'occhiata preoccupata, cavando fuori dalla tasca una serie di monetine bronzee e argentate che mi mostrò e che, capii, non erano assolutamente sterline.
Accidenti!
Con lo stomaco che borbottava per la fame a fissare quelle gelatine, costrinsi la mia bocca a pronunciare una scusa banale come: «Ah … no, non importa, grazie lo stesso» e mi risedetti sul sedile piagnucolando silenziosa, recuperando la mia borsa con i quattro toast.
Harry invece contemplava con aria pensierosa prima lo sguardo depresso di Ron, che sembrava mangiarsi con gli occhi una di quelle strane caramelle, e poi il mio. Alla fine si diresse verso la signora, stringendo nel pugno le sue monete. «Prendiamo tutto», annunciò, accompagnato da un verso che era a metà tra l'isterico, il sorpreso e l'estasiato, uscito dalla bocca di Ron.
Detto fatto: comprò una vagonata di dolci, indeciso su quale fosse il più buono, e al suo ritorno nello scompartimento il carrello era pieno a metà. Faceva fatica a portarli tutti in una volta sola, e non appena la signora se ne fu andata felice, li scaraventò tutti sui due sedili rimasti vuoti che erano di fianco a lui.
«Li dividiamo?», ci chiese con un sorriso.
«Beh …», mormorò Ron, con la voce che gli si faceva roca dal desiderio. «Non so se è il caso …».
Quando però Harry insistette, lui non seppe dire di no e, buttando all’aria i suoi panini, si tuffò in quel ben di dio. Harry ripeté l'offerta anche a me, ma io non mi feci pregare. Dopo aver divorato due dei toast comprati, mi tuffai tra i dolci.
Gli altri due panini, pensai con malinconia, me li sarei tenuti per il ritorno imminente.
Mentre Ron si spostava di fianco a Harry e scartava un pacchetto di Gomme Bolle Bollenti e io divoravo qualcosa che aveva lo strano gustoso nome di cioccoli, Harry lesse: «Gelatine tuttigusti+1».
«Suognano begne», biascicai a bocca aperta, e poi mandai giù il boccone. «Ma sanno davvero di tutti i gusti?»
«Tutti i gusti per davvero!», confermò Ron a bocca piena. «Ci sono cioccolato e menta piperita, ma anche spinaci, fegato e trippa». Poi mi guardò. «Forse ci sono anche i taralli, ma occhio quando le mangi», sorrise al mio sguardo luminoso, «non si scherza con le gelatine tuttigusti. Puoi trovare di tutto. George giura di averne trovata una al sapore di caccole, ma io non ci credo … si inventano sempre stupidaggini quei due».
Mentre Harry ne addentava una verde ai cavoletti di Bruxelles, io commentai con un sorriso: «Chissà come faceva a sapere che avesse proprio quel sapore». Ron sorrise. «Gnon sci può mai sciapere che coscia egntrava nella bocca di George quando era un lattante», scherzò a bocca piena, e poi se la riempì di più con una verde, una rossa, una marrone scuro e una color melanzana. Doveva essere divertente cercare di indovinare i sapori, e mi ripromisi di farlo in fretta.
Nel frattempo, aprii il sacchetto delle patatine comprato al bar. Aggiungo per discolparmi che di solito non le mangiavo se non quando stavo letteralmente sbavando dalla fame e le compravo tutte le volte proprio per essere pronta a quell’eventualità … perché io ero una ragazza molto diligente in fatto di cibo - mi sta crescendo il naso - ed ero consapevole che le patatine aumentassero la grandezza delle cosce e diminuissero quella delle tette, perciò non mi conveniva esagerare … lo sapevo benissimo, e mi contenevo … non suona molto convincente, vero?
Con la mente occupata a concentrarsi sulle patatine, pensai distrattamente che George fosse uno dei fratelli di Ron. Grazie al cielo, nell'universo di coso e cosa che avevo in testa, potevo distinguere qualche nome vero.
Finito il mio breve snack babbano, afferrai al volo tre gelatine che mi stava lanciando Harry e le ingurgitai una dopo l'altra: carne d'agnello, insalata e macedonia. Un pranzo completo.
Mentre io ero impegnata a fare la detective di gelatine, Harry afferrò una scatola esagonale blu intenso con i ghirigori dorati. «Cioccorane», lesse di nuovo. «Non saranno mica rane vere? Non mi piace l'idea di mangiare un anfibio, pelle compresa».
«È solo un incantesimo», spiegò tranquillo Ron addentando una gelatina rossa al gusto di lasagne, come ci disse subito dopo. «Ma sono le figurine che contano: in ogni scatola, ci sono le immagini di una strega o di un mago famosi. Io ne ho circa cinquecento. Dopo me ne potresti dare una? Mi mancano Agrippa e Tolomeo».
Harry annuì e aprì deciso la confezione. Al suono di un «Ehi, sctai atthento» di Ron con la bocca di nuovo colma di dolci, una rana di cioccolato balzò fuori; prima che Harry potesse riacchiapparla, quella si arrampicò sul finestrino aperto, fece spuntare la testa e fu inghiottita dalla corrente.
Ron sbuffò. «Questa è iella», commentò dopo aver inghiottito cinque o sei gelatine tuttigusti in una volta (chissà che sapore avevano in totale). «Fanno un solo salto come si deve. Controlli se c'è Agrippa? Grazie».
Harry girò la scatola per cercare. «Ho trovato Silente!», esclamò, convinto di aver estratto una rarità, e mi mostrò eccitato la figura di un mago con una lunga barba argentata, un vestito rosso, un naso lungo e ricurvo e un paio di occhiali sugli occhi scintillanti. Sotto la sua immagine, c’era scritto ALBUS  SILENTE. Poi la mostrò anche a Ron, chiedendogli muto se ce l'avesse già.



«Io ne avrò sei», lo liquidò lui con un sorriso amichevole. «Tienila tu: puoi incominciare a fare la raccolta».
Harry annuì estasiato, e poi tornò a guardare la sua figurina come se fosse il suo primo trofeo. E si accorse che …
«Ehi, è sparito!», esclamò sorpreso, mostrandomi la scatolina di nuovo. Era vuota.
«Beh, non puoi mica pretendere che stia lì tutto il giorno, no?», domandò retoricamente Ron, ficcandosi in bocca tutte in una volta le ultime gelatine tuttigusti rimaste.
«Sai, nelle figurine dei babbani, le immagini non si muovono», commentai con un sorriso assaggiando uno zuccotto di zucca, e lo aumentai ancora di più alla vista degli occhi nuovamente fuori delle orbite del mio amico (forse anche per una strana caramella bluastra che avevo individuato prima che le ingurgitasse tutte). Stava incominciando a diventare un'abitudine.
«No?», domandò esterrefatto (aveva una capacità di riempirsi e svuotarsi la bocca tale da poter costituire un record: riusciva perfino a superarmi). «Nemmeno un pochino? Un passetto, una grattatina di naso, un sorriso, un occhiolino … niente?».
«Niente di niente», confermò Harry, aumentando (se possibile) lo stupore di Ron; poi lesse ad alta voce la breve didascalia sulla scatola. «Albus Silente, attuale preside di Hogwarts. Considerato da molti il più grande mago dell’era moderna, Silente è noto soprattutto per aver sconfitto nel 1945 il mago del male Grindelwald, per aver scoperto i dodici modi per utilizzare sangue di drago e per i suoi esperimenti di alchimia, insieme al collega Nicholas Flamel. Il professor Silente ama la musica da camera e il bowling.Hagrid mi ha detto che secondo lui Silente è il miglior preside che Hogwarts abbia mai avuto, probabilmente ha ragione».
Mi ero un po’ stufata di sentirmi dire questo nome senza sapere a chi si riferisse. Così annuii e poi chiesi: «Ma chi è esattamente questo Hagrid?».
«Ah, scusa, non te l’ho detto», fece lui, rivolgendosi solo a me perché ipotizzava che Ron lo sapesse già. «È il custode delle chiavi e dei luoghi a Hogwarts, almeno così mi ha detto. Una specie di segretario. Mi è sembrato che amasse molto le creature magiche: mi ha confessato che ha sempre voluto avere un drago, pensa te …».
Avevo appena sentito la parola "drago" unito al verbo "volere".
Naah .. il cibo può dare seri problemi ai neuroni, a volte.
Distolsi lo sguardo dalla figurina di Silente, che ora era riapparso e ci faceva l'occhiolino, e lo concentrai su qualche nuova cioccorana. Volevo anche io iniziare la raccolta, sicura che quelle figurine avrebbero potuto aiutarmi a scoprire qualcosa in più sui maghi famosi, e così mi persi tra Herpo lo Schifido, Montague Knightley, Bertie Bott e Ignatia Wildsmith, che unii alla collezione di Harry per farne una in due. Mentre scartavo la cioccorana che conteneva, come scoprii, la seconda immagine di Paracelso - Harry ne aveva trovata una in precedenza - notai una specie di sacchetto grigio peloso con una lunga corda beige che emetteva strani rumorini e faceva sparire i dolci come me. Rintronata com'ero dalla bontà di quei dolci, ci misi un poco a capire che fosse un topo, in carne, ossa e pelo, ma non me ne preoccupai più di tanto.
«Questo topo è vostro?», dissi guardando i miei amici.
«Sì, si chiama Crosta», rispose Ron fissandosi le scarpe e riprendendolo tra le mani. «È il vecchio topo di mio fratello Percy. Però lui ha avuto un gufo e a me hanno passato lui». Lo indicò sbuffando. «Patetico, vero?».



Mentre Harry mormorava: «Solo un pochino», il ratto sembrò analizzare con circospezione una gelatina tuttigusti. La annusò con attenzione, poi ne staccò un pezzetto, lo masticò con cautela e alla fine, soddisfatto, ingollò l’intera caramella con gusto.
«Non direi proprio», cercai di rassicurare Ron, «è intelligente, invece. Ha capito che con quelle gelatine bisogna andarci cauti».
Ron sorrise un poco, rincuorato dal mio maldestro tentativo, e provò a renderlo più interessante. «Fred mi ha insegnato a farlo diventare giallo. Vuoi vedere?», mi propose, e io annuii: non vedevo l’ora di osservare una magia vera e propria. Fino a quel momento, ne avevo soltanto sentito parlare nelle favole.
Il mio amico estrasse una bacchetta magica consumata e rosicchiata alla cui estremità baluginava qualcosa di bianco che, riflettei, doveva essere l’interno che scappava via. Gettò un’occhiata storta alla punta del suo oggetto e poi incominciò a recitare: «Per …».




*Angolino autrice*
Pubblicato finalmente il quinto capitolo! :D E tra poco pubblicherò anche il sesto, dato che ce l'ho quasi pronto... allora, vi sta piacendo questa storia sì o no? Perché non leggo molte recensioni... vabbé che sono una novizia, però se non leggo i pareri degli altri come faccio a sapere se la mia mente produce qualcosa di buono? :)
Grazie per le trenta visualizzazioni del capitolo precedente - il primo ne aveva un centinaio, mi sa che devo perdere l'abitudine di pubblicarli alle undici e mezza di sera :) - e un enorme grazie specialmente a Jinny_2000 che continua a seguirmi! :D 
Grazie per essere arrivati fin qui e buona giornata!

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Capitolo 6
*** E tutta questa roba qui da dove spunta fuori? ***


E tutta questa roba da dove spunta fuori?





Ron non aveva nemmeno incominciato a pronunciare il suo incantesimo che il volto di una ragazzina della nostra età dai capelli castani tutti in disordine si affacciò allo scompartimento. I suoi occhi marroni lampeggiavano di autorità e di responsabilità, forse in modo eccessivo. Indossava un lungo grembiule nero con i bottoni dorati: doveva essere il completo da lavoro in tinta unita che avevo letto nella lettera. Ron la fissò con i soliti occhi sbarrati, distraendosi dalla sua bacchetta.
Ma lei non aveva cicatrici.
«Qualcuno ha visto un rospo?», domandò con fare imperioso. «Un ragazzino di nome Neville l’ha perso», soggiunse, come se considerasse reati i salti degli anfibi.
Tutti e tre facemmo no con la testa, ma ormai la ragazza aveva individuato la bacchetta magica e la fissava con avidità. «Oh, state facendo magie? Fatemi vedere …», e senza tanti complimenti si accomodò su un sedile di fronte a Ron, accanto a me. Io la osservai per un attimo, poi me ne disinteressai e guardai di nuovo la bacchetta, e il topo subito sotto. Crosta aveva ormai finito la sua ispezione alle gelatine e stava beatamente dormendo sulle gambe del suo padrone, con il muso su una zampetta. Sicuramente non aveva la stessa aria eccitata della ragazza: stava per diventare giallo, ma la cosa sembrava non interessarlo.
Il mio amico aveva le punte delle orecchie paonazze, e non era più molto sicuro del suo incantesimo. Pareva che avesse improvvisamente dimenticato le parole, e fissava alternativamente Harry e le orecchie del suo topo con un punto di domanda ben distinguibile nelle pupille e nel cervello. Probabilmente si stava chiedendo come la ragazzina avrebbe reagito se lui avesse sbagliato la magia. Fece un lungo respiro profondo, tossicchiò e poi finalmente si decise a recitare:
«Per il sole splendente, per il fior di corallo,
stupido topo diventa giallo!». Poi colpì piano l’animale con la punta della bacchetta.
Ma non accadde niente di rilevante. Gli unici effetti che riuscì ad ottenere furono un leggero scoppiettio e il ricoprire il topo di morbidi batuffoli bianchi. Crosta aveva probabilmente sentito soltanto un po' di solletico sul sedere, ma ciò non aveva contribuito a svegliarlo: ora si stava accoccolando a una piuma che gli fungeva da cuscino e continuava a ronfare senza problemi.
«Sei sicuro che sia un incantesimo, quello?», lo provocò la ragazzina, non senza un po' di scherno. «Beh, non funziona, o sbaglio?».
Beh, sta andando a scuola per imparare, non per saper già le cose, mi venne istintivo da dire, però mi trattenni.
«Perché sai, non l'ho trovato nel Libro standard per gli incantesimi, nel manuale per gli incantesimi, volume primo e neanche in Un tocco e via! Gli incantesimi per principianti. Quello per la scuola l'ho imparato a memoria, ma non mi sembra di aver letto una cosa come questa neanche negli altri libri …».



Prese fiato. «Perché sapete, io sono convinta che i libri diano tutto nella vita, e la prima cosa che ho fatto quando ho ricevuto la lettera è stata buttarmi su quelli obbligatori, oltre che leggerne altri integralmente per arrivare preparata almeno un po'… voi non li avete trovati interessanti?».
Io non sapevo neanche di averli, pensai di getto, ma ovviamente mi morsi la lingua per non dirlo. Al contrario, annuii decisa a non fare altre figuracce.
«Naturalmente», si vantò poi, «ho anche provato a fare degli incantesimi semplici semplici, e mi sono riusciti sempre, e sono così fiera di me! Perché sapete, sono nata babbana, e i miei genitori erano così contenti quando hanno visto la lettera! Vi faccio vedere cosa so fare!». Cavò di tasca la bacchetta e la puntò contro le lenti rotte degli occhiali di Harry. «Per esempio …». La agitò e proclamò con fermezza: «Oculus Reparo».
Dalla bacchetta non uscì niente ma, non appena finì di pronunciare quello che sembrava latino - e io odiavo il latino - le lenti si riattaccarono con un clic in un sollevamento di ciuffo, facendo saltare in aria il nastro adesivo che le teneva unite.
Seguì un momento di silenzio, in cui Harry, dagli occhi sbarrati pari a quelli di Ron, si tolse gli occhiali per confermarne la solidità. Però ormai la nuova arrivata aveva visto la famosa cicatrice, e la sua sorpresa non prometteva nulla di buono per il mio amico.
Lei infatti esclamò con apprensione: «Per tutte le cavallette, tu sei Harry Potter!», e poi si controllò i capelli, in modo che non fossero troppo disordinati per presentarsi davanti ad una celebrità simile. «Io sono Hermione Granger», si presentò fiera (con l’aria di io - ho - letto - tutti - i - libri - su - di - te) e «e sono così fiera di conoscerti! Santo cielo, ci sei in tutti i libri sulle arti oscure che ho letto! E a proposito, voi siete …». Ci guardò con interesse, come se si stesse chiedendo se gli amici del famoso ragazzo fossero citati sull’enciclopedia a lui dedicata e se lei se li fosse dimenticati.
«Won Uesli», biascicò Ron a bocca piena.
«Piacere», rispose meccanicamente lei guardandolo con un’aria di sufficienza.
«Sylvia Green», mi presentai io, ed Hermione mi sorrise, forse solo per cortesia.
Preciso: non che mi stesse antipatica o che avessi pregiudizi. A prima vista pareva una ragazza veramente dotata e carina, a parte i capelli che andavano dove volevano loro. E poteva anche essermi simpatica, a parte il fare da so - tutto - io …
Poi lei si alzò e raggiunse di nuovo l’uscita dello scompartimento. «Fareste bene ad indossare le vostre divise: ormai manca poco all'arrivo», dichiarò, con mia grande gioia; poi si rivolse a Ron come avrebbe fatto con un bambino di dieci anni. «Hai dello sporco sul naso, a proposito, lo sapevi? Proprio qui», e indicò la parte sinistra del suo naso. Infine se ne andò con passo militare. Non sculettava neanche un po’, osservai.
«Io ho provato a fare degli incantesimi semplici, e mi sono riusciti sempre», le fece il verso Ron quando sparì dal vagone, continuando a guardarla mentre se ne andava. «Bleah».
Io non dissi nulla, perché sapevo come ci si sentiva a essere presi in giro per la propria diligenza.
Purtroppo però il comportamento di Hermione era molto fastidioso, ed era difficile non prenderlo in giro. Già studiare, a quanto ne sapevo, era indicato come un'attività illecita dalla maggior parte dei ragazzi; quando poi qualcuno aveva la brillante idea di ostentare la propria bravura, era come se offrisse su un piatto d'argento una presa in giro che sarebbe durata in eterno. Io lo sapevo perché purtroppo ero conosciuta come una secchiona alle elementari, e mi odiavano tutti. Non credevo di essere la più brava della classe, ma ormai i docenti purtroppo se n’erano convinti, e con loro i ragazzi e le loro madri. Non potevo lamentarmi ad alta voce della terza interrogazione fissata per lo stesso giorno che tutti mi apostrofavano con i soliti commenti: «Di che ti preoccupi, tu, che studi quattro ore al giorno?» (non era vero!), «Che te frega se prendi Distinto invece che Ottimo?» e altri simili. Di cui me ne potevo pure fregare, ma alla lunga erano veramente seccanti.
Lo dico adesso per non doverlo ripetere più: le interrogazioni mi erano pesanti quanto per gli altri, ed ero sicura che fosse così almeno per l'ottantacinque per cento dei secchioni. Anche a me stufava dover studiare una cosa che odiavo, e se lo facevo era solo perché ero obbligata: era così difficile da capire?
Per questo motivo detestavo la mia reputazione, e per questo motivo riuscivo a capire Hermione. Anche se non c'erano dubbi che quest'ultima potesse essere noiosa, se si impegnava; però avevo la strana impressione che non fosse una grande idea averla come nemica.
«Beh, comunque ci ha dato un buon consiglio. Sarà meglio seguirlo: voi che ne dite?», propose Harry stancamente. Non sembrava molto toccato dall’incontro con la ragazza, nonostante lei le avesse risparmiato almeno cento sterline di oculista.
Ron approvò con una smorfia, ma io rimasi immobile: erano ritornati i miei pensieri depressi.
Inizialmente ero stata contenta di arrivare, però poi avevo pensato all'incantesimo, e al fatto che in quella scuola se ne imparavano a centinaia e a migliaia se ne svolgevano, ogni giorno.
Io non li so fare: cosa potrò mai imparare?
Così diedi una risposta stanca: «Ehm … certo, se avessi le divise nel bagaglio le metterei».
«Oh, andiamo, Sylvia: come fai a essere così sicura che in quel popò di roba che hai dietro non ci sia neanche un grembiule come si deve?», mi domandò Ron scettico.
Harry fu d'accordo. «Già. E poi non puoi saperlo adesso … perché non controlli?», mi propose con aria incoraggiante e non sarcastica, come invece sarebbe dovuta essere.
Annuii, ma riponevo poche speranze nel mio bagaglio, e lo fissai con aria di sfida. Poi mi ci buttai a capofitto.
In ogni caso, pensai mentre mi industriavo a spezzare a mani nude il nastro adesivo da pacco che sigillava una scatola, è pesante, quindi qualcosa dovrà pur contenere.
«Se proprio non c’è», specificò Ron mentre mi guardava lavorare, «te ne presto una io: dovrei averne almeno due, e io e te abbiamo più o meno la stessa corporatura …»
Gli feci un sorrisetto di circostanza, grata perché si stesse tanto impegnando per salvarmi la faccia, ma nello stesso tempo non riuscivo a essere tanto ottimista. Ponendo il caso che avessi indossato le divise, cosa mai avrei potuto imparare?
Massaggiandomi le dita, finalmente staccai una delle ante che chiudevano il pacco.
Vuoi scommettere che è vuoto?
«Qui ci sono …», mormorai, e poi mi interruppi di scatto.
Avevo perso.
Non trovai le parole per esprimere la mia sorpresa, così mi limitai muta a tirar fuori una parte del contenuto di quella scatola.
Estrassi un paio di jeans, una maglietta arancione, un cappotto nero, una t-shirt di Snoopy, una felpa viola, e poi un'altra e un'altra … erano …
«… tutti, ma proprio tutti i vestiti che ho nell’armadio a casa. Questi stamattina erano lì!».
Nessuno seppe rispondere alla domanda chi li ha messi qui, ovviamente, e per di più fui costretta a rompere lo scotch di cinque pacchi prima di trovare quello giusto. Dagli altri, in compenso, vennero fuori una miriade di oggetti che ero sicura che fino alle dieci e mezza di quel giorno si trovavano a casa mia. Cacciati alla rinfusa non si sapeva bene dove, ma comunque tra quelle quattro mura: sicuramente non in sette scatole che mi erano apparse magicamente in stazione.
Dalla prima, oltre che i vestiti che avevo appena visto, cavai spugne, shampoo, balsami, asciugamani, spazzolini da denti, dentifrici, fili interdentali e tutta la marea di oggetti che tenevo in bagno, compresi quelli nascosti nelle miriadi di mensole e nei loro angoli più remoti e meno raggiungibili, invisibili persino ad un navigatore satellitare.
Nella seconda, trovai una lunga scatola di cartone finemente decorata, con la scritta Olivander in ghirigori dorati, che conteneva una liscia bacchetta in legno, che sembrava arrotolata su sé stessa; un enorme calderone in un materiale che assomigliava allo stagno; una scatola che conteneva delle provette in vetro finissimo; un telescopio completo di supporto e di carta stellare e una bella bilancia d'ottone.
Rimasi con tanto d'occhi quando scoperchiai la terza, pesante come non so cosa, che sembrava non avere mai fondo. Conteneva tutti i libri che erano rimasti in casa mia dopo che, pochi giorni prima, avevo provveduto a fare un bel repulisti in ogni scaffale e avevo scelto attentamente tra la moltitudine conservata dai miei genitori - principalmente religione e medicina - i volumi interessanti. Erano almeno una cinquantina, e ora erano tutti inseriti all'interno di quello scatolone, con al loro interno morbidi segnalibri rossi con le frange.
Nella quarta, trovai tutti i libri per la mia nuova scuola, compresi quelli che non avrei mai potuto usare come il Manuale degli Incantesimi e la Guida di Autodifesa contro le Arti Oscure, più alcuni in aggiunta come lettura orientativa con titoli del tipo Novecentonovantanove Incantesimi Per Cavarsela In Tutte Le Situazioni; Maledizioni e Fatture Per Una Difesa Completa e Assoluta; PPP. Cento e Uno tattiche Per Preparare Pozioni Perfette e perfino l’ABC dell’Allevatore. Cosa Bisogna Sapere Per Curare Gli Animali Fantastici. Una cosa era certa: leggerli sarebbe stato un assoluto spasso.
Dalla quinta scatola, più piccola delle altre ma molto più resistente ed incredibilmente più pesante, estrassi le sterline che custodivo gelosamente nella cassaforte dei miei genitori e nel mio salvadanaio, e che erano belle da vedere ma purtroppo sarebbero state inutili. In ogni caso, nessuno mi avrebbe mai derubato.
Finalmente, alla sesta, estrassi un grembiule nero con un’etichetta dorata appiccicata sopra su cui c’era già scritto, ovviamente, Sylvia Green, un cappello a punta nero e un paio di guanti bianchi molto resistenti. Avrei indagato in seguito per scoprire che cosa contenesse l’ultima scatola.
A causa di quella faticosa ricerca, avevo perso molto tempo e si era quasi fatto buio; il treno avrebbe potuto fermarsi da un momento all’altro e poi ripartire, lasciando a bordo me e tutta quella roba che avevo addietro.
Corsi come un lampo fino al bagno e mi cambiai alla svelta, infilandomi chissà come le gambe nelle maniche e mettendomi la divisa prima al contrario, poi con la scollatura sulla schiena. Non mi preoccupai di chiedermi come mai la misura del grembiule mi andasse perfetta: fui molto più interessata ad osservare quanto risultassi ridicola con quel cappello a punta sulla testa. Non ressi l’onta di uscire con quello addosso e lo infilai ripiegato in tasca insieme ai guanti.
Quando rientrai nello scompartimento, Harry e Ron si erano già cambiati e mi avevano anche fatto un enorme favore: in due, avevano richiuso le sei scatole che io avevo maldestramente aperto e le avevano risistemate in modo precario sul carrello. Inoltre, avevano raccolto velocemente i pochi dolci avanzati e li avevano sistemati nella mia borsa, in modo da garantirci uno spuntino in futuro. Li ringraziai di cuore e poi mi feci aiutare di nuovo per trascinare il bagaglio fuori dallo scompartimento (che bella dimostrazione di gratitudine) e in capo alla carrozza, in modo da essere già pronta quando bisognava scendere.
Le mie dita dei piedi sospirarono di sollievo quando una voce metallica che proveniva da chissà dove mi avvisò che avrei invece dovuto lasciare il mio bagaglio sul treno (ci avrebbe pensato la scuola a portarlo via), ma fui meno felice quando la vocina aggiunse beffardamente che, per raggiungere il punto di raccolta dei bagagli avrei dovuto percorrere il corridoio al contrario perché ero spuntata dalla parte sbagliata del vagone. Alla fine, con fatica, unii il mio carrello ad un dedalo di bauli e contenitori di cartone e rifeci di nuovo il corridoio di corsa per arrivare all’uscita.
La porta si aprì meccanicamente, inondandomi di vento freddo.
Stavo per raggiungere Hogwarts.
E la cosa più autolesionistica di tutte era che, nonostante stessi per andare a cacciarmi in un luogo dove qualunque mago adulto che mi avesse visto avrebbe potuto farmi tornare indietro e cancellarmi la memoria …
… non vedevo l'ora di entrare.






*Angolino autrice*
Ed ecco qui il sesto capitolo! Stavolta lo pubblico alle tre e mezza, voglio vedere se riceve le stesse visualizzazioni del primo capitolo - siamo passati a 111, quindi qualcuno continua a guardarlo! Grazie grazie grazie!
Scommetto che non vedete l'ora che Sylvia arrivi a Hogwarts... tranquilli, tranquilli, sapete bene come funziona la storia ... aspettate e vedrete :D
Grazie per essere arrivati fin qui, per avermi letto e per le 14 visualizzazioni (finora) del capitolo precedente ... l'ho pubblicato ieri sera e siamo già a quattordici!Mi sembra una buona media, voi che ne dite? :)
Mi raccomando, lasciate sempre un parere quando leggete: mi aiuta a capire se l'avete visto e vi siete rotti le palle e ve ne siete andati, oppure se l'avete letto tutto e ora siete con il fiato sospeso!
A proposito, vi svelo un piccolo segreto: non so nemmeno io cosa conterrà la settima scatola :D Chissà cosa si farà venire in mente la nostra Sylvia Green ...
E ho un'altra piccola cosa da raccontarvi: oggi mi sono riletta quasi tutta la bozza che avevo preparato anni fa ... e non ce l'ho fatta a finirla ._. Era troppo brutta, una roba da vomitarci su! Bleah! Speriamo di essere migliorata un po' a scrivere, perché altrimenti capisco benissimo le 20 visualizzazioni ;)
Grazie per avermi letto e buona giornata!

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Capitolo 7
*** Hogwarts, arrivo! ***


*Miniangolino autrice per salutarvi*
Eccomi di nuovo! :) Non vedevate l'ora, eh?
Non è vero, so benissimo che non ve ne fregava niente, ma io ho pubblicato il settimo capitolo ugualmente :P
Se avete voglia e non sprecate tempo, leggete pure.
E recensite alla fine! Ho bisogno dei vostri pareri! 
Se per esempio vi spaventa la lunghezza del capitolo e quindi lo mollate a priori, ditemelo, vi prego! :) Così magari li faccio un po' più corti ;)
Scusate per il ritardo - sempre che abbiate notato che sono in ritardo - e buona lettura!



 

Hogwarts, arrivo!





Al suono di un vocione rassicurante che annunciava: «Primo anno! Primo anno! Dai, scendete, non siate timidi!», saltai giù, seguita da Harry e Ron. Il leggero vento gelido che soffiava mi sferzò il viso, e annusando l'aria umida capii subito di trovarmi vicino a un lago. Il delicato scrosciare delle onde, però, era impossibile da udire, in quanto intorno a me si era subito acceso un vocio assordante che solo quell'annuncio poteva sovrastare.
O forse anche un campanellino d'allarme sarebbe stato in grado di farlo; in particolare uno che avvisasse che una babbana stava poggiando i piedi su quella piattaforma di pietra. Il pensiero mi fece bruciare il cuore.
Fortunatamente le mie erano solo fantasie, così mi confusi al resto del gruppo, tanto da perdere ovviamente il senso dell'orientamento dopo cinque minuti. Mi affrettai quindi ad accodarmi a Harry, e a Ron poco dietro di lui, che era già il mio punto di riferimento fisso. Lui era corso subito nella direzione da cui proveniva l'annuncio, e doveva averne individuata la fonte: stava infatti guardando con gli occhi scintillanti un omone enorme, che sembrava semplicemente troppo grosso per essere vero. [i]
Era alto circa due metri e venti, e largo almeno una volta di più, con una lunga barba nera, cespugliosa e disordinata che gli dava un aspetto terribilmente selvaggio. [ii] Reggeva una grossa lampada accesa grazie alla forza di un braccio enorme, che avrebbe potuto stritolare un uomo con la facilità con cui questo stringe una pallina di polistirolo. Nonostante quelle dimensioni, però, aveva un'aria simpatica e uno sguardo bonario e tenero: a guardarlo, si sarebbe detto con assoluta certezza che non avrebbe fatto male ad una mosca, e assai probabilmente era vero.
All’esterno dei raggi di luce che emetteva la sua lampada, il buio più profondo gravava nei dintorni: le stelle che trapuntavano il cielo non servivano a illuminarli. In ogni caso, perciò, avremmo dovuto fidarci di quel gigante.

Il quale vide il mio amico e, riconoscendolo, si accese in un sorriso. «Ciao Harry», salutò amichevole, come se si conoscessero da sempre, e gli diede una pacca sulla spalla che lo fece tossire.
«Ciao Hagrid», rispose lui.



Quindi era lui, quell'Hagrid: ora ero assolutamente sicura su di lui, e più che pronta a fidarmi.
Quando tutto il gruppo di ragazzi del primo anno si fu finalmente radunato intorno a lui, non senza un po' di timore, Hagrid prese a camminare lungo la piattaforma, reggendo salda la lampada. Lo seguii quasi in trance, ringraziando Harry mentalmente che mi stesse stringendo la mano: altrimenti non avrei saputo dove mettere i piedi e avrei vagato nel nulla come una scema. Il solo motivo per cui non esponessi i miei ringraziamenti a voce era che la mia gola si era improvvisamente annodata stretta e non c’era verso nemmeno di deglutire.
La causa era abbastanza facile da comprendere: temevo che uno qualunque degli adulti che abitasse o che lavorasse a Hogwarts riconoscesse in me qualche distintivo che indicava che fossi una babbana, che lo sarei sempre stata fino alla morte e che c'entravo come i cavoli a merenda in una scuola per maghi. Fortunatamente però il nostro viaggio che costeggiava il binario non pareva avesse in programma di incontrare adulti a parte Hagrid, beninteso, e lui, dato che non aveva cacciato strani urli o esclamato improperi, non sembrava avvezzo a riconoscere i maghi dai babbani. Perciò per il momento ero salva.
Per il momento, ovvio.
Lanciando alla buon'ora uno sguardo su dove stessi mettendo i piedi, mi resi conto che il binario che seguivamo stava lentamente sotterrandosi nel terreno, come se a mano a mano che proseguivamo si stesse progressivamente scavando un rifugio, lasciando il posto ad uno spiazzo vuoto di legno che sembrava proprio …
… un molo a cui erano saldamente legate un centinaio di barchette a forma di piccole e schiacciate gondole di legno con quattro posti ciascuna. Hagrid, dando l’esempio agli altri studenti, prese posto in una di esse, ed Harry lo seguì con decisione, sedendosi accanto a lui.
Io, facendo un lungo respiro, mi accomodai di fianco a Harry, stringendo la sua mano e badando bene di non stringere troppo per non incidere sulla sensibilità delle sue dita, e Ron si mise alla mia destra. A giudicare dal suo tremore, era spaventato quanto me.
Lentamente e non senza qualche gridolino isterico, tutti i ragazzi lo imitarono. Avevano tutti o quasi una fifa nera. C'era chi aveva paura dell'acqua, chi temeva di cadere, chi di avere il mal di mare - ops, di lago … ogni paura possibile e immaginabile si stava presentando in tutti loro, e questo mi confortò un po': non ero l'unica terrorizzata di entrare a Hogwarts, anche se contemporaneamente non vedevo l'ora di farlo.
Quando tutti si furono seduti sulle loro barche, quattro remi (due su ogni lato) presero a muoversi da soli con forza, formando grossi cerchi per avanzare.
Esatto, avevo capito bene: da soli. Ne tastai uno per assicurarmi della mia lucidità mentale, ma purtroppo per me era così.
Con un fruscio leggero, che faticai ad udire a causa del mio cuore che batteva come un tamburo, incominciammo ad avanzare lentamente nell’oscurità più assoluta. Sperai che le barche sapessero dove andare, perché non c'erano punti di riferimento da nessuna parte né fari: senza magia non ce la saremmo cavata.
Come mi suonava strano pensarlo!
A causa dello scuro opprimente, si riusciva soltanto ad intravedere - e pure a malapena - l’interno della goletta (grazie alla lampada che Hagrid ancora stringeva in mano) e forse pochi centimetri quadrati dell’acqua circostante (a causa di un faretto posto sulla prua della gondola e sulle altre). Solo quelle luci gialline che rischiaravano debolmente i dintorni indicavano che gli altri studenti ci stessero seguendo: non c’era un filo di vento, e le onde che sbattevano dolcemente contro le imbarcazioni non si udivano nemmeno. L’acqua, ovviamente nera come l’inchiostro, sussurrava impercettibilmente al tocco dei remi e assecondava il loro movimento.
Ero tanto stordita che udivo a fatica i sussurri che Harry stava rivolgendo all’amico gigante; erano sicuramente amici.
«A proposito, Hagrid», disse d'un tratto con voce un po' più alta, «lei è Sylvia e lui Ron».
«Ciao», mormorò Ron con un fil di voce.
Io feci un cenno di saluto e un sorriso. Non per sembrare sgarbata, ma ero troppo rincitrullita per emettere qualcosa di sensato. Però a Hagrid bastò: ci strinse la mano e prese a parlarci subito dei professori.
Probabilmente la sua intenzione era rassicurarci, se solo io fossi stata in grado di riconoscere appieno che cosa mi stesse dicendo e di ricordarmelo in seguito. Provai a riassumere il lungo discorso, ma fu difficile, specialmente per l’abbondanza di termini nuovi da tenere a mente: le cose si chiamavano Grifocoso, Cosorosso, Corvocoso e Cosoverde, come avevo già accertato con Ron, però i nomi ancora non mi entravano in testa. Una di loro, almeno a sentire ciò che si bisbigliava, era una fogna di maghi malvagi, un’altra era famosa per avere gli studenti più mollaccioni della scuola, mentre un’altra ancora era la migliore, aveva sfornato i maghi di prim’ordine più famosi della storia della magia, anche se non vinceva a Quicoso da sette anni.
Ogni cosa aveva un professore che la dirigeva: la McCosaera direttrice di Grifocoso, mentre il prof Coso era quello di Cosoverde (i nomi erano tutti concordi!). Tra le due case esisteva una profonda rivalità, specialmente perché Cosoverde strappava a Grifocoso sia la coppa di Quicoso sia la Coppa Cosada sette anni, da quando, cioè, Coso Weacoso (Weasley! Mi venne in mente all’improvviso. Sì, sì, era proprio quella parola … Coso Weasley) aveva lasciato la scuola. Quanti fratelli aveva Ron? Probabilmente non lo avrei mai saputo: ogni volta ne spuntava uno nuovo!
Il professor Silente era il miglior preside che la scuola avesse mai avuto, anche perché aveva permesso a Hagrid di non andarsene dopo la sua cacciata e di rimanere come guardiacaccia e come custode. Perciò forse avrei avuto qualche possibilità.
Le lezioni erano in generale difficili, Difesa contro le Arti Oscure la più interessante, Cosa (mi stavo chiedendo quando sarebbero ricominciati i nomi!) la più complessa, Pozioni la più stressante e Incantesimi la più divertente (che sfortuna che avevo), anche se, a detta di tutti, il prof Coso favoriva la sua casa, Cosoverde, sia per l’indulgenza con le infrazioni delle regole, sia per i punti per la Coppa Cosa che assegnava senza motivo.
La McCosa, invece, non ci pensava nemmeno per un minuto a barare, anche se sarebbe stato molto utile, dato che molto spesso i Grifocoso erano inclini a fregarsene altamente delle regole, e anche le partite di Quicoso non aiutavano di certo ad accaparrarsi la Coppa Cosa, dato che venivano perse in continuazione. E …
La voce di Hagrid non diceva niente che riuscissi a riconoscere, ma era rilassante e interessante: sarei andata avanti ad ascoltarlo per ore intere senza interromperlo per un attimo, se non avesse improvvisamente gridato anche agli altri studenti: «Ecco! Una perfetta vista di Hogwarts proprio adesso».
Al suo urlo, una nuvola si spostò (neanche a farlo apposta) e rivelò la meraviglia di scuola che stavamo per raggiungere.
Un coro di «Oooh» si levò tutto intorno a noi.
Ah, se tutti i college di Londra fossero stati come quello!
Quella vista mi valeva da sola il viaggio in treno, senza contare la compagnia di tre nuovi amici.
Non era un parallelepipedo sporco e scrostato come tutte le altre scuole, con un tetto piatto e tante aule con una logica ben precisa disposte una di fianco all'altra, con pochi spazi dove fare l'intervallo, e non aveva neanche un giardino dall'erba smunta e ingiallita. Non era proprio niente di tutto questo.
Era un castello.
Un maniero enorme, mastodontico, titanico, che sembrava appena uscito da un libro di fiabe.
Probabilmente la dimora della matrigna di Biancaneve o della Bella Addormentata sarebbe stata molto simile.
Dalla mia posizione sulla goletta, potevo vedere decine di torri con tetti appuntiti, centinaia di pareti esterne, perfettamente lisce e delimitate nella parte anteriore da centinaia di merletti squadrati che delimitavano le mura. Migliaia di piccole finestre bislunghe arrotondate splendevano nella notte, illuminate dall’interno.
Era impossibile calcolare il numero di sale: probabilmente ci sarebbero state milioni di stanze e milioni di scale e corridoi, con centinaia di milioni di letti, sedie, tavoli, banchi, lavagne.
Era una scuola.
Una scuola per maghi.
E io, babbana, avevo il permesso di vederla.
Io, babbana, mi ci stavo avvicinando.
E stavo perfino per entrare lì dentro.
Era un’idea straordinaria.
Hagrid tese una manona grossa come un piatto e la puntò dritta contro il castello. «Questa, ragazzi miei», annunciò a gran voce, «è Hogwarts. La più famosa Scuola di Magia e Stregoneria del mondo».



Pensare che in un posto come quello si studiasse faceva venire solo al pensiero una gran voglia di tuffarsi nei libri.
Anche se, in una tale abbondanza di spazi, avrebbero trovato sicuramente posto bidelli, custodi, medici, infermieri, veterinari … insegnanti … vicepresidi … presidi …
… adulti.
Adulti maghi.
Adulti che mi avrebbero riconosciuto.
Il nodo in gola si strinse, quasi soffocandomi.
Stavo per entrare in un posto riservato ai maghi, e probabilmente con ingresso severamente vietato ai babbani.
E altrettanto severe sarebbero state le punizioni a me riservate se avessi trasgredito questo obbligo.
Non avevo minimamente idea di cosa aspettarmi, e non era un bel pensiero. Per niente.
Potevo andare incontro ad un'epica figuraccia (se ero proprio fortunata), ad un'eliminazione della memoria (se mi andava così così) o alla mia uccisione (se proprio mi andava male), e non lo sapevo in precedenza.
Nello stesso tempo, però, non avevo per niente voglia di chiedere a Ron o a Hagrid (con assoluto disinteresse, eh! Solo per curiosità!) che cosa potesse succedere ad un babbano che vedesse il segreto dei maghi e giurasse di non dirlo a nessuno, perché non volevo certo esibirmi in preghiere del tipo ma se non lo dice veramente a nessuno, se promette solennementecon tutto se stesso di non farlo, se davvero si porterà il segreto fino alla tomba e non lo rivelerà ad anima viva, se non berrà mai e non si ubriacherà mai per mantenere la parola data, se giurerà sulla sua stessa vita e su tutto ciò che ha di più caro … non lo uccidereste, vero? Vero? Ditemi che è vero …
E avrei finito con un piagnisteo disperato che avrebbe di certo destato sospetti. No, non era proprio il caso.
Finalmente le barche approdarono e Hagrid saltò giù facendoci quasi ribaltare. «Oh, scusate», mormorò imbarazzato. «Sono sempre felice quando mi avvicino alla scuola. È sempre come fosse la prima volta».
«Ti manca tanto, eh?», mormorai io, mentre arrancavo con fatica fuori della barca, facendo attenzione a non essere sbalzata fuori da un momento all’altro dai movimenti su e giù. Poi aiutai i miei amici a venirne fuori.
Quando l’intero gruppo fu giunto a riva (senza venir disarcionato dalle barche a causa di un gigante a bordo saltato giù con troppa foga), Hagrid fece un fischio acuto e assordante, ficcandosi due dita in bocca - quanto avrei voluto impararlo - e le golette tornarono indietro da sole.
Poi il gigante ci condusse fino ad un enorme portone di legno aperto, progettato per far entrare esseri molto più alti di lui (ed era tutto dire) e si fermò.
«Io non posso accompagnarvi più di così», bisbigliò. «Ci vediamo al banchetto». Non ne sarei tanto sicura, Hagrid … «Voi andate avanti da soli: troverete delle scale. Salitele fino a quando non incontrerete una prof», cioè fino a quando non si sentirà l’urlo “una babbana a Hogwarts!”. «Dovrebbe essere la McCosa. Buona fortuna», ci augurò poi, stringendoci la mano, e se ne andò.
«Ne avrò proprio bisogno», sussurrai a voce talmente bassa che solo Harry e Ron, a neanche un passo da me, mi sentirono: Hagrid, fortunatamente, non udì una sillaba: non si trattava proprio del momento opportuno per svelargli il segreto.
In compenso, però, mentre avanzavamo, entrambi i miei amici mi tirarono contemporaneamente una gomitata che avrebbe potuto benissimo dissimulare [iii] un pugno: una a sinistra e l’altra a destra. Le incassai con uno sbuffo e continuammo a camminare.
«Grazie, eh», bisbigliai loro. «Mi avete fatto pure male».
«Così la prossima volta ci pensi dieci volte prima di essere pessimista», rispose Harry. Poi mi tese di nuovo la mano, e io la afferrai.
Grazie al sostegno, indispensabile per rispondere alla mia stanchezza inesorabile, raggiunsi insieme a loro una scalinata enorme in pietra, e la salimmo tremanti - io più di loro. Dietro di me, gli altri studenti spingevano per andare più veloci, ma io non mi affrettai più di tanto: se stavo correndo incontro alla mia morte, preferivo farlo con calma.
Una balconata di due scale più in alto, una severa ma accogliente voce ci guidava. «Prego, ragazzi, venite!», esclamava ad intervalli regolari, permettendoci di raggiungerla. Era rassicurante, anche se decisa, e mi diede subito una buona impressione.
Arrivammo infine davanti ad una signora di circa cinquant’anni vestita con una lunga uniforme verde smeraldo e con un cappello a punta nero identico a quello che io avevo in tasca. Ai piedi portava scarpe a punta che mi sarei facilmente immaginata ai piedi di un mago, e i capelli corvini erano raccolti in uno chignon. Sotto di essi un paio di scintillanti occhi di imprecisato colore ci scrutavano interessati. Il suo corpo snello ci sbarrava il cammino fino ad un’altra porta nera di legno verniciato poco più bassa rispetto a quella dell’ingresso.

«Buonasera, ragazzi. Benvenuti a Hogwarts», ci salutò con un sorriso. «Io sono la professoressa McGranitt». Ok, un nome era a posto: McCosa era McGranitt. «Sono la vicepreside della scuola, e sono molto contenta di vedervi». I suoi occhi dardeggiavano su ognuno di noi, come volesse scrutarci nell’anima: io mi rannicchiai il più possibile tra Harry e Ron, sperando che le loro aure di mago potessero distrarla. Di una cosa ero assolutamente certa: quella era una donna che non bisognava contraddire. E quindi mi impegnai più che mai a memorizzare i nomi che pronunciava.
Accidenti, proprio la vicepreside dovevamo incontrare …



«Tra pochi minuti varcherete questa soglia», e indicò la porta alle sue spalle, «e vi unirete ai vostri compagni; ma prima che prendiate posto verrete smistati nelle vostre case». Finalmente riuscivo a comprendere frammenti del discorso di Hagrid: tutti i miei coso e cosa stavano assumendo un significato più vario. «Sono Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde».  
Grifocoso, Cosorosso, Corvocoso e Cosoverde: beh, non ero andata poi tanto distante dalla realtà.
«Per il tempo che starete qui, la vostra casa sarà la vostra famiglia», spiegò poi la McGranitt. «I trionfi che otterrete vi faranno guadagnare punti, mentre ogni infrazione delle regole ne farà perdere; alla fine dell’anno, verrà assegnata la Coppa delle Case» (la cosiddetta Coppa Cosa).
La vicepreside si interruppe per un momento e alternò il suo cipiglio severo prima su un rospo marroncino beatamente posato sullo scorrimano della scala, che sembrava ricambiarle lo sguardo con spavento …
… e poi su un ragazzino tondo e infantile, dai capelli castani e il naso a patata, di cui si sentì il grido sollevato: «Oscar!».
Qualcuno di voi ha visto un rospo? Un ragazzino di nome Neville l’ha perso …
Il bambino che doveva essere Neville raccolse tutto gongolante il suo animaletto e se lo coccolò animato: mentre festeggiava a voce bassa si sentirono flebili le parole evitato, sgridata e nonna; solo in seguito si accorse di aver interrotto la professoressa.
«Mi scusi», mormorò delicato, e indietreggiò tornando al suo posto.
La McGranittsospirò, probabilmente avendo già capito di che pasta fosse fatto quel mago, e poi si congedò: «La cerimonia dello smistamento avverrà tra pochissimo». Chinò dolcemente il capo e poi entrò nel salone, chiudendosi subito dopo la porta alle spalle e impedendomi di scorgere che cosa si nascondesse dietro.
Non facemmo in tempo ad iniziare il brusio spaventato che segue sempre una dichiarazione ufficiale come quella che, al posto della McGranitt, si sistemò un pallido ragazzino biondo, con gli occhi grigi e l’aria arrogante. Era uno di quei tipi sempre perfetti, tutti pettinati e zuppi di gel, che a volte si vedevano anche nei college di Londra.
Dava le spalle al portone, e fissava con interesse nella mia direzione. Con lo sguardo lucente, additava al mio amico.

«È vero allora quello che dicevano sul treno», esordì con una parlata altezzosa di chi è abituato a comandare. «Harry Potter è venuto a Hogwarts».
Dopo le sue parole, che avevano evidentemente fatto effetto, il silenzio più assoluto calò per mezzo secondo netto.
Poi, tantissimi bisbigli curiosi e meravigliati partirono, fissando il mio amico.
Non c’era uno studente che non lo stesse indicando o non stesse pronunciando il suo nome, con gli occhi puntati sulla sua cicatrice e non sugli occhi azzurri, per esempio - molto più interessanti, peraltro, a mio parere.
Il biondino si avvicinò ancora di più e lo fissò con occhi bramosi. A differenza degli altri, i cui sussurri erano solo stupefatti, il modo in cui lui aveva detto Harry Potter lasciava intendere che avrebbe fatto di tutto per avere anche un briciolo della sua notorietà, perfino diventare il suo migliore amico, il che sembrava veramente costagli molto sforzo.
E ciò non mi andava bene neanche un po'.
Aveva una faccia talmente pulita e dei capelli così pettinati da mettermi voglia di tirargli uno schiaffo per disordinarlo un po’. Certo, lo avrei schiaffeggiato anche per un altro motivo: era il primo ragazzo che incontravo che identificavo come un antipatico senza nemmeno conoscerlo.
Non poteva essere più diverso da Harry, il quale aveva una faccia simpatica che mi aveva messo subito a mio agio e un modo di parlare tranquillo e modesto, nonostante il suo passato.
«Loro sono Tiger e Goyle», mormorò il ragazzo, e indicò due mastodontici giovani della mia età, uno più grosso dell'altro, uno dalla faccia più scema dell’altro. Certamente servivano a parargli le chiappe. «E io sono Malfoy». Si avvicinò affinché Harry potesse udire meglio il suo nome. «Draco Malfoy».
Dopo quell'esibizione, mi fu veramente difficile non trattenere; però non era il caso di insultare un ragazzino così arrogante, presuntuoso e pieno di sé proprio davanti al suo naso il primo giorno di scuola, specialmente da una babbana che stava per essere espulsa o addirittura uccisa. L'autocontrollo di Ron, però, non fu sufficiente da fargli trattenere uno sghignazzo.
Sembrava che l’ego di Malfoy ne avesse risentito pesantemente, perché si rivolse a Ron con un tono sarcastico perfetto per una provocazione. «Il mio nome ti fa ridere, eh?». Lo osservò per un secondo, poi parlò con un tono di sufficienza che avrebbe potuto usare benissimo per discorrere di una mosca. «Non c’è bisogno che ti chieda il tuo: capelli rossi … una vecchia toga di seconda mano … devi essere un Weasley».
Quasi mi uscì sangue dal labbro, perché l’avevo appena morso con tanta furia da quasi mozzarlo.
La rabbia contro quel ragazzino che aveva offeso un mio amico davanti a me senza nemmeno conoscerlo era salita direttamente dal cuore: con fatica la bloccai in gola, sperando che rimanesse lì, e conficcai le unghie nel palmo per trattenerle.
Avevo sperato che Draco avesse finito il suo discorsetto perché non sarei più stata in grado di sopportarlo oltre, ma purtroppo non potevo avere tutto, perché lui continuava guardando Harry, beatamente incurante della rabbia che stava scatenando.
«Scoprirai che alcune famiglie sono migliori di altre, Potter: non vorrai fare amicizia con le persone sbagliate». Lanciò un’occhiata sprezzante a Ron. «Posso aiutarti io …», e gli tese sicuro una mano.
Odioso, odioso, odioso.
Tremavo tanto di rabbia che Harry dovette tenermi ferma con entrambe le mani per impedire che esplodessi, ma almeno lo tenevo occupato a non stringere quella di Malfoy.
Infatti poco dopo gli rispose: «Credo di saper riconoscere da solo le persone giuste, grazie».
Finalmente potei respirare e cacciai un silenziosissimo sospiro di sollievo che fu udito da tutto il gruppo.
Draco, indispettito, si voltò a guardarmi aprendo la bocca, ma improvvisamente le parole gli vennero meno. Il luccichio arrogante nei suoi occhi si spense come se avesse premuto un invisibile interruttore. La sua parlantina da avvocato con me non funzionava.
Rimase lì stupidamente a guardarmi e io non riuscii a resistere alla tentazione di tingergli di indignazione quel suo bel faccino.
Gli feci una linguaccia.



Il viso di Ron s’illuminò come un nuovo sole appena sorto, nonostante fossero le undici di sera, e quasi si dissanguò le mani per non applaudirmi. Harry mi guardò, sorpreso e compiaciuto, e attese poi la risposta di Malfoy.
Già mi aspettavo i suoi commentini sprezzanti: Oh, Potter… guarda qui chi c’è con te … una babbana … vedo che sei veramente abile a scegliere le persone!
Invece, nessuna delle facce che i miei amici fecero fu ugualmente appagante come quella di Malfoy.
Il ragazzo, con gran stupore di tutto il gruppo, primi fra tutti Tiger e Goyle … arrossì.
E non solo: si morse un labbro per non parlare, abbassò repentinamente lo sguardo, lesse nelle pupille di un vicino l’arrivo imminente della McGranitt e si scansò all’istante per rifugiarsi tra i suoi due seguaci, come se stesse pensando che fosse quello il suo posto ed era lì che sarebbe dovuto rimanere per sempre.
Era inutile dire che avevo totalmente rinunciato a credere ai miei occhi.
«W-o-w», scandì Ron con un sussurro al mio orecchio. «Se dopo una cosa del genere ti cacciano, protesto. Lo giuro solennemente».
La professoressa riapparve davanti a noi. «Siamo pronti per ricevervi», annunciò, totalmente ignara dell'accaduto. «Seguitemi, prego».
Poi si voltò un’altra volta, aprendo le braccia all'improvviso, e le porte della sala si spalancarono lentamente, mostrando prima un leggero spiraglio della visuale.
Noi ci accodammo in fretta al suo mantello svolazzante, che ci copriva la visuale sulla stanza in cui stavamo per entrare.
Mentre varcavamo la soglia, con la coda dell'occhio, vidi gli occhi grigi di Draco Malfoy fissarmi la schiena.
Perché? Perché un ragazzo così arrogante con me diventava timido? Perché?
I miei pensieri su Draco si dissolsero tutti in un istante quando entrai in quella camera.
O forse dovrei dire: in quel salone.
 

 
 
[i]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo uno.
[ii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo uno.
[iii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo sei.





*Angolino autrice un po' più grande per salutarvi di nuovo - sono assillante :P*
Scusate tanto per il ritardo - mi ripeto - ed ccomi di nuovo con il capitolo! Finalmente la nostra ragazzuola entra a Hogwarts ... che cosa succederà? Verrà ammessa?
Che domande! Direi di sì, altrimenti su cosa la costruisco la storia? :D Però voi fate finta di niente e continuate ad arrovellarvi su questo punto, e scoprirete tutto al prossimo capitolo :)
Come avete visto, ci sono in questo capitolo alcune citazioni della Rowling. Non so se dovevo metterle, perché non sono così famose, però io me le ricordavo a memoria, e le ho scritte proprio pensando a quelle, quindi mi è sembrato giusto inserire il riferimento.
Sto rileggendo tutto il primo libro con calma, aiutandomi anche con l'audiolibro, così posso ricordarmi bene le scene, fare il confronto con il film e scriverle al meglio - se non avete letto l'avvertimento e non lo avete notato da soli, questa storia è movieverse cioè racconta la versione dell'adattamento cinematografico riadattata dalla sottoscritta - ma uff... che fatica fermarsi ad ogni capitolo del libro della Rowling! Vorrei andare avanti fino alla fine in un giorno solo!
Però poi non mi sarebbe utile per la scrittura di questa storia, e così cerco di contenermi ._. E' difficile, ve lo assicuro.
Mi raccomando, recensite, non limitatevi a leggere, perchè mi servono i vostri pareri! - mi ripeto.
Se vi siete fermati alla prima riga perché la lunghezza del testo vi spaventava, ditemelo, e farò capitoli più corti! - mi ripeto di nuovo :D
Ok, vi ho rotto le palle anche troppo.

Piccola parte dedicata ai ringraziamenti e alla pubblicità: passa oltre se non vuoi leggere, è una palla assurda ;).
Ringrazio Jinny_2000 per avermi letto e recensito come sempre - ma come farò a ringraziarti come si deve? :) - e alle 32 visualizzazioni del capitolo precedente. Un enorme grazie anche a chi ha messo questa storia tra i preferiti (Chibime88DiaIlovemylifeJinny_2000), a chi la ricorda ( __Estella__) e a chi la segue (
darkmagic31dubhealex__Estella__). Grazie, grazie, grazie! Mi avete reso immensamente felice! :) E dato che ieri ho combinato un pasticcio della miseria con i miei, tanto che mia madre mi ha dato della cretina - vi assicuro, non è una bella cosa - un po' di felicità fa sempre bene :D
E infine un enorme grazie anche per le 206 visualizzazioni di una piccola one-shot con una dramione a modo mio: è la storia più visualizzata tra tutte! Grazie! :)
(forse molte visualizzazioni sono mie... shhh, tralasciamo questo particolare :D )
Fine della parte dedicata ai ringraziamenti e alla pubblicità.

Ora l'ultimo - per numero, ma non per importanza - va a voi, che mi avete sopportato fin qui!
Grazie per avermi letto e buona giornata!

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Capitolo 8
*** Il Cappello Parlante ***


*Mini-angolino autrice*
Eccomi qui con l'ottavo capitolo! Mi scuso per il ritardo e vi lascio leggere con un solo avvertimento: in questo capitolo mi sono accorta che alcune delle informazioni principali per la storia non sono inserite alla perfezione nella versione del film, che è quella che sto riscrivendo, perciò qui ho dovuto inserire delle parti del libro: per esempio, come facciamo a sapere le caratteristiche di ogni casa, se il Cappello Parlante non canta? E come mai nel film vengono smistati soltanto Harry, Ron, Hermione, Draco e Susan Bones (Hossas) che in pratica serve soltanto a distrarre Harry dal Cappello per farsi fissare da Piton? E tutti gli altri? C'è una massa di almeno quindici ragazzi: come mai nessuno viene smistato a parte loro cinque? Non ha molto senso, voi che dite? Per questo ho deciso di inserire queste parti nella fanfic però, dato che la Rowling è l'unica suprema regina che sa descrivere questo momento, in molte parti ho lasciato la sua narrazione come è riportata nel libro.
Bene, ho finito di rompervi le palle: buona lettura e ci vediamo sotto!




 

Il Cappello Parlante




 

Non sarei mai stata in grado di pensare, con tutta la fantasia che disponevo e anche chiedendone in prestito da qualcun altro, che la mente umana o magica potesse progettare e costruire una sala così grande, magnifica e luminosa.
Era ampia il doppio di tutto il mio appartamento a Londra, ma molto più lussuosamente decorata. Era riccamente illuminata da migliaia e migliaia di candele di cera che sembrava volassero sopra quattro lunghissimi tavoli di legno, apparecchiati con piatti vuoti decorati, calici scintillanti e posate d'argento, intorno ai quali erano seduti gli studenti. In uno delle tavolate, riconobbi i familiari capelli rossi che mi avvisavano che ben tre dei Weasley che finora avevo visto avevano già preso il loro posto.
Tutti i ragazzi di tutte le tavolate avevano gli occhi fissi su di noi, come se fossimo tutti verdi, e ci scrutavano attenti come se si aspettassero chissà quale azione eroica.
L'idea non mi piacque affatto.

Alle estremità di tutti e quattro i tavoli, si apriva un ampio spazio dove tutti noi trovammo posto in piedi senza difficoltà, chiedendoci che cosa ci sarebbe successo di lì a poco. Due passi più avanti c’era una bassa scalinata in pietra con un seggiolino all'estremità e subito dietro un’altra tavola di legno sistemata orizzontalmente, sul cui lato che guardava il resto della stanza prendevano posto, su sedie dorate foderate di rosso, quelli che supposi fossero gli insegnanti.
Al centro esatto, in un piccolo trono dorato più lussuoso degli altri, riconobbi dalle cioccorane la figura di Albus Silente. Alla sua destra, la sedia della professoressa McGranitt era vuota.
Anche tutti i professori ci fissavano, con la stessa espressione piena di attesa: era assai imbarazzante.
Per evitare tutti gli sguardi, puntai gli occhi prima sulle sedie, poi sulle posate e poi, dato che non sapevo dove metterli, li fissai verso il soffitto.
O meglio, quello che voleva essere un soffitto, ma attraverso di esso si vedeva lo stesso cielo nero che avevo osservato fino a poco prima, con le stesse stelle. Eppure, aguzzando la vista, riuscivo perfino ad intravedere le fessure di cemento tra le mattonelle che lo formavano, quindi non poteva essere di vetro. Feci appena in tempo ad azzardare l’ipotesi che fosse trasparente quando la vocetta di Hermione, l'unica che aveva ancora la forza di emettere suoni in quella meraviglia, mi neutralizzò.
«Il soffitto non è vero», spiegò altezzosamente, come se fosse ovvio. «Sembra un cielo stellato, ma è una magia. È scritto in Storia di Hogwarts. Io l'ho letto», aggiunse tutta fiera.
Giusto, pensai. Magia. Mi era ancora molto difficile pensarci, figurarsi imparare qualcosa.
«Ok, mi espelleranno molto presto», mi lasciai scappare per la quintordicesima volta, con la voce che mi tremava. Non appena mi resi conto che avevo continuato a voce alta i miei pensieri, sperai che nessuno mi avesse sentito per evitare crisi nervose.
Sbagliato: sia Ron che Harry se ne accorsero, e girarono lo sguardo verso di me. Per istinto, mi misi le mani sulla pancia e mi protessi da eventuali gomitate.
«Senti un po’», iniziò Ron con tranquillità. «Se dici ancora una volta che ti espelleranno, ti caccio io perché mi sono rotto; è chiaro?», ma rideva mentre lo diceva.
«Dai, smettila con queste minacce», sorrise Harry. «Peggiori la situazione e basta».
«Ce l’ho anch’io, l’ansia, ma non temo che mi espellano», protestò lui, anche se il tono della sua voce nel parlare di quell'argomento lasciava intendere il contrario.
«La tua è ingiustificata», squittii, cercando di ridere (istericamente, ehm …) e di controllarmi. «Tu sei un mago, di che ti preoccupi? Nella lettera c’era scritto Lei ha il diritto di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts», la paura probabilmente mi faceva tornare la memoria,«quindi non ti cacciano se non sai colorare di giallo un topo», e le orecchie di Ron persero un po’ di rosso, «perché sei qui per imparare e, se te lo insegnano, un giorno lo saprai fare». Cercai di mantenere il controllo. «La faccenda è leggermente diversa per me», trattenni un singulto - stava diventando complicato, «perché con me non saprebbero nemmeno da dove cominciare e … e …», respirai affannosamente, «… e io non imparerò mai a fare una cosa del genere e …»
Ron, probabilmente terrorizzato dalle lacrime in arrivo, si allontanò di qualche passo ed Harry, rimasto ad affrontare la crisi di pianto, mi mise goffamente un braccio intorno alla spalla per consolarmi e cavarsi dall'impiccio. «Non ti preoccupare, Syl», mi mormorò in tono che cercava di essere rassicurante. «Non ti preoccupare, andrà tutto bene, andrà tutto … tutto …». La sua voce si affievolì progressivamente finché s’interruppe completamente non appena le nostre orecchie captarono uno strano bisbiglio tra i nostri vicini che gli fece drizzare i capelli in testa. In particolare, Ron stava sussurrando a due o tre ragazzini, che avevano tutti la stessa sua aria spaventata e lo stesso mio tono ansimante, parole che non si sarebbe detto uscissero dalla bocca di quel ragazzo che in precedenza era così spavaldo.
Per un attimo mi passò in testa il pensiero che forse lui si era discostato da me per non farmi sentire la sua preoccupazione, però il suo piano non era andato a buon fine, perché sia io che Harry la potevamo distintamente udire … e di certo faceva effetto.
«Chissà che cosa ci faranno fare …».
«Sono preoccupato: e se fosse una prova complicata, tipo una magia o un combattimento?»
«Ora che ci penso … i miei fratelli mi hanno detto qualcosa riguardo a un drago … o a un troll … a pensarci bene, cambiavano creatura ogni volta … spero che stessero scherzando».
«Non oso immaginare … pensa solo davanti a tutti gli insegnanti!».
«E il preside, addirittura!».
«Credi che questa prova influirà sui nostri voti?».
«Spero proprio di no … sono sicuro che farò una figuraccia … »
«Io non so fare niente, non possono chiedermi di fare incantesimi!».
«Figurati, io non ho neanche aperto i libri …».
«Allora, dunque dunque dunque, cerca di ricordare e concentrati: l’incantesimo Confundus confonde il nemico, l’Expelliarmus lo disarma, il Wingardium Leviosa permette una librazione …».
Quell’ultimo bisbiglio apparteneva chiaramente a Hermione, che stava ripassando tutti gli incantesimi che aveva studiato chiedendosi quale fosse quello che avrebbe dovuto usare.
Harry fece scivolare giù la sua mano dalla mia spalla e la strinse intorno alla mia: dato che sia io che lui eravamo nel panico, non avevo più ben chiaro chi dovesse confortare chi, e così ci facemmo coraggio a vicenda.
Fortunatamente la severa voce della McGranitt bloccò i nostri dubbi. La professoressa si trovava in piedi sulla scalinata, poco sotto al cappello, e reggeva una grande pergamena avvolta da un nastro rosso che dava l'aria di essere molto pesante. Tremai al solo pensiero di che cosa lei avrebbe potuto dire se avesse conosciuto l’argomento della nostra conversazione.
«Prima di iniziare la cerimonia», spiegò – e aveva detto cerimonia, cioè festeggiamento, e non uccisione repentina di un drago a testa, «il professor Silente deve dirvi alcune parole». Poi fece un cenno al preside, che si alzò, ci sorrise stancamente e incominciò con le sue raccomandazioni.
«Il primo anno, prendo nota, l’accesso alla foresta adiacente alla scuola è severamente proibito a tutti gli studenti. Inoltre, il guardiano della scuola, il signor Gazza», e accennò sorridendo ad un vecchiaccio appoggiato ad una porta lì accanto, «mi ha chiesto di rammentarvi che la parte destra de corridoio del terzo piano è zona preclusa a tutti coloro che non desiderano fare una fine molto dolorosa». Le sue parole, atteggiate a mo' di battuta ma serie come quelle di un genitore che dava una punizione, mi lasciarono un vuoto nel cuore. La voce del preside era neutra, come se stesse commentando una partita di pallavolo, ma celava una pena profonda, causata dagli anni o … da qualche altra cosa, per esempio da quella stranezza che c’era nella zona vietata: per quale motivo aveva accettato di tenere rinchiuso in una scuola, che insegnava a ragazzi che andavano dagli undici ai diciotto anni, un pericolo di quel tipo? «Grazie», concluse poi, guardando di nuovo il sig. Gazza.
Seguii il suo occhio e lo osservai per ricordarmi il suo aspetto: aveva una rete in testa che gli nascondeva gran parte del viso piatto, da cui sporgevano due grandi e arcigni occhi a palla, che sembravano fatti apposta per scovare dei furboni che si aggiravano nelle aree proibite, e un lungo naso ricurvo, forse rotto tre o quattro volte da ragazzi monelli. Reggeva in mano una grossa lampada accesa: probabilmente era già pronto al suo giro di perlustrazione. Ai suoi piedi, era acciambellata una gatta robusta e tigrata, con grandi e splendenti occhi rossi (ma le iridi dei gatti non sono gialle?) e baffi che vibravano alle sue fusa.
Nel lungo attimo che seguì le parole di Silente, in cui io ero stata tutta intenta a memorizzare l'aspetto del custode, nessuno proferì parole: i ragazzi avevano momentaneamente spostato lo sguardo da noi per rivolgerselo vicendevolmente con aria interrogativa, come a chiedersi che cosa aveva voluto dire il preside con le sue raccomandazioni.
«Bene», riprese la McGranitt, concentrandosi di nuovo su di noi, e poi fece apparire da quello che sembrò il nulla un cappello a punta, da mago, tutto rattrappito e pieno di macchie, e lo appoggiò sullo sgabello di legno.



Dopo un attimo di silenzio, il cappello si contrasse …
… Poi si aprì uno strappo vicino al bordo …
E da quel punto uscì una voce squillante che incominciò a cantare.

Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete
io ve lo giuro che mi scappello
se uno più bello ne troverete.
Potete tenervi le vostre bombette,
i vostri cilindri lucidi e alteri,
son io quello che al posto vi mette
e al mio confronto gli altri son zeri.
Non c’è pensiero che nascondiate
che il mio potere non sappia vedere,
quindi indossatemi e ascoltate
qual è la Casa in cui rimanere.
È forse Grifondoro la vostra via
culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria
fan di quel luogo uno splendore.
O forse è a Tassorosso la vostra vita,
dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita
e il duro lavoro non è innaturale.
Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio,
se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio
che si confà a simile gente.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei
che qui raggiungono fini ed onori!
Venite dunque senza paure
e mettetemi in capo all’istante
con me sarete in mani sicure
perché io sono un Cappello Parlante! [i]

Uno scrosciante applauso seguì la sua canzoncina, liberandoci dalla tensione, e il Cappello - ma forse fu solo frutto della mia immaginazione - arrossì e inchinò la punta a mo' di inchino, poi tornò immobile.
La McGranitt applaudì con i ragazzi, poi batté le mani per richiamare tutti all'ordine. «Ora, quando vi chiamerò, voi verrete avanti uno alla volta … » … tutti trattennero il fiato … «… io vi metterò il Cappello Parlante sulla testa e sarete smistati nelle vostre case».
Un rumoroso sospiro di sollievo rumoreggiò per tutta la sala, specialmente dalla bocca di Ron.
«Quindi bisogna solo mettersi un cappello in testa …», ci bisbigliò contrariato. «Giuro che quando vedo Fred e George …».
Anche io ero felice al pensiero che non dovessi fare chissà quali magie - che comunque non sarei stata in grado di svolgere - però l'ansia non mi aveva abbandonata. In pratica quel Cappello decideva a voce alta per quale casa fossimo adatti, però  sembrava che chiedesse molto: al momento non mi sentivo né coraggiosa, né intelligente[ii], né qualunque altra cosa che chiedesse.
La vicepreside attese il silenzio con pazienza, poi srotolò una lunga pergamena e lesse il primo nome. «Abbott Hannah».
A quelle parole, una ragazzina dai capelli biondicci raccolti in due codini uscì dalla massa, rossa come un peperone, spaventata al sentire il suo come primo nome della lista. Si sedette agitata sullo sgabello e la McGranitt gli posò il cappello in testa. Ci fu una breve pausa e poi …
«TASSOROSSO!», sentenziò il cappello.
La ragazzina si alzò, sollevata, e saltellò fino ad un tavolo all'estrema destra, accolta da un fragoroso applauso. In qualunque modo il Cappello avesse capito per quale casa lei fosse adatta, sicuramente aveva svolto la sua analisi in separata sede, e questo mi rallegrò. Magari avrebbe perfino tenuto per sé il mio essere babbana …
«Bones Susan», chiamò di nuovo la McGranitt.
«TASSOROSSO!», gridò il cappello, e la ragazzina seguì Hannah e si sedette al suo fianco.
«Boot Terry»
«CORVONERO!», e a battere le mani quella volta fu il secondo tavolo da sinistra. Molti studenti si alzarono e gli strinsero la mano per congratularsi, e pensai che doveva essere veramente orribile essere accolti da un mare di fischi.
Anche «McTass Mandy» fu assegnata a Corvonero, ma «Brown Lavanda» fu la prima nuova Grifondoro[iii] e il tavolo all'estrema sinistra la accolse con un fragoroso applauso.
A seguire, «Bulstrode Millicent», una ragazzina leggermente sovrappeso con una treccia bionda e un'espressione arrogante in volto, diventò una Serpeverde. Forse per il nome della casa, forse per la stessa rabbia che mi aveva afferrato quando una persona con lo stesso ghigno aveva offeso un mio amico, forse per altro, ma incominciavo a pensare che tutti i Serpeverde avessero un aspetto sgradevole.
«Finch-Fletchley Justin», chiamò ancora la McGranitt.
«TASSOROSSO!», decise il cappello dopo neanche tre secondi.
Con il nome seguente, «Finnigan Seamus», invece, il cappello stette quasi un minuto a pensare su quale casa fosse più adatta, prima di uscirne con un «GRIFONDORO!».
«Granger Hermione».
Era arrivato il turno della secchiona. La ragazza sussultò a sentire il suo nome, come se l’avessero svegliata di soprassalto; poi si costrinse a respirare e si ordinò con fermezza di stare calma. Passettino dopo passettino, ancora più tremante di Hannah, raggiunse il seggiolino e vi si sedette lentamente sopra alzando le spalle a ritmo del suo respiro.
«È matta quella, te lo dico io», ci borbottò Ron, e noi annuimmo subito, convinti.
O meglio, Harry era convinto.
Io ero molto più preoccupata a pensare che con tutta probabilità Green, nell'ordine alfabetico, venisse subito dopo Granger, a meno che non ci fosse stato qualche altro ragazzo prima  o …
… o a meno che io non fossi stata neanche chiamata. Era un'ipotesi assai probabile. Se il mio nome non avesse figurato nell'elenco? Se fossero stati tutti chiamati tranne la sottoscritta, che avrebbe aspettato ore e ore e ore e ore mentre la McGranitt con quel cipiglio severo avrebbe cercato di contattare infuriata i miei genitori?
Per il momento, l'insegnante non sembrava in vena di una sfuriata. Rimasta impassibile allo stato d'animo di Hermione, le appoggiò sulla testa il cappello, che subito sospirò di piacere.
Probabilmente gongolava per aver trovato un cervello così già pieno di nozioni.

«GRIFONDORO!», gridò subito, e tutti applaudirono allegri, specialmente il tavolo della sua nuova casa.
Trattenni il respiro … ecco, adesso chiamerà qualcun altro … io rimarrò qui, da sola e …
...
«Green Sylvia!», chiamò la McGranitt.
 
[i] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[ii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[iii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.






*Angolino autrice*
Muhahahaha, come mi sento cattiva! Credevate che in questo capitolo smistassi Sylvia, eh? :D E invece no! 
Il capitolo si chiama anche 'il Cappello Parlante' mica 'lo Smistamento di Sylvia' quindi non era mica scontato che ci fosse! :D
Comunque ora faccio giurin giurello che il prossimo capitolo dura almeno fino al dormitorio. Lo prometto!
Il motivo per cui questo capitolo dura così poco, se proprio proprio proprio proprio proprio lo volete sapere, è il seguente: sono malata, ho la testa bacata, ho mal di testa e il raffreddore, e quindi non sono ispirata (fa rima!). E poi sono pure depressa per una versione di latino andata male, una verifica di storia andata male, un'interrogazione di algebra andata male e una verifica di fisica in cui sicuramente andrò male ... per non parlare della mia ottima relazione sentimentale con il mio amato cuscino, dato che quello che mi piace è felicemente fidanzato con un'altra da Settembre. Ma intanto sono viva, posso ridere, posso incazzarmi, posso dormire e posso perfino mangiare (cibo, cibo, cibo!): mi sembra già un bel vantaggio!
Ok, so che non ve ne fregava niente saperlo, però io ve l'ho detto perché sono tanto cattiva, così almeno non potete uccidermi :D
Comunque cercherò di pubblicare presto il prossimo capitolo e di soddisfare la vostra curiosità. 
Ringrazio le 123 visualizzazioni del capitolo precedente (è più visto il 7 del 6 o.O) e poi ovviamente Jinny_2000 e Mary Evans che mi hanno recensito il capitolo! Grazie per i complimenti, siete fantastiche! :)
Ora me ne vado, vi chiedo la solita recensione da scrivere se vi va e mi scuso ancora per lasciarvi in sospeso... *risata alla Vincent Price*
Ciao!

 

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Capitolo 9
*** Meglio di così non potrebbe andare neanche pagando centomila galeoni ***


*Mini-angolino autrice*
E dopo un mese di assenza, Sylvia Green è pronta per essere smistata! Faccio pubblica ammenda per questa assenza enorme e per aver interrotto il capitolo precedente a metà - quanto sono crudele, muhahahaha - ma la spiegazione di tutto questo è molto semplice, ma un po' lunghetta (mi conosco, so che mi dilungherò): quindi non dico niente, non vi fracasso le palle e vi lascio leggere! 
Solo una cosetta piccola piccola vi dico: come sapete, questa storia è Movieverse, cioè è la fanfiction sul film e non sul libro; però alcune cose sono davvero incongruenti. Cioé, per esempio, come mai vengono smistate soltanto cinque persone e non in ordine alfabetico? E come mai il Cappello Parlante non smista in segreto ma racconta tutto per filo e per segno?
Per questo ho voluto aggiungere alcune frasi, come nel precedente, provenienti dalla Pietra Filosofale vera e, dato che la Rowling è la mia regina, chi meglio di lei sa descrivere queste cose? 
Ecco perché il racconto è pieno di collegamenti.
Come al solito mi sono dilungata ... ma va benissimo, tanto sicuramente nessuno avrà letto queste righe ;)
Buona lettura a tutti e scusate ancora per l'immenso ritardo!



 

Meglio di così non potrebbe andare neanche pagando centomila galeoni. 




«Cosa?», mi lasciai sfuggire, e Harry rise.
No, non era possibile … non potevo essere io … cioè, non ero una maga … ne ero sicura …
… doveva esserci un altro nome uguale al mio, sicuramente …
… cioè, persino una carota aveva più poteri magici di me … una carota sarebbe stata più capace di, di … sparire, o fare incantesimi, o colorare di giallo i topi … ma io …
… doveva esserci un errore, sicuramente  …
… ma nessun altro si fece avanti.
«Green Sylvia è assente?», domandò impaziente la McGranitt.
Alla fine mi feci coraggio, inspirai profondamente, contrassi il petto, espirai e mi buttai (fortunatamente senza inciampare da nessuna parte), avviandomi verso lo sgabello. Mi ci sedetti con una tremarella incontrollabile alle mani, che purtroppo riuscii a fermare solo afferrando la seggiola con tutte e dieci le dita infilzandole nel legno. L'ultima cosa che vidi fu lo sguardo incoraggiante di Harry e di Ron, e poi il buio più totale. Rimasi in attesa.

Improvvisamente la stessa voce che aveva cantato mi bisbigliò all'orecchio: «Ehm … dunque, dunque ... difficile, molto difficile … mm, credo che un caso così difficile non mi sia mai capitato in tutta la mia vita  …». Trattenni il fiato. «… intelligenza da farci un mercatino, questo è sicuro … però anche il coraggio sa il fatto suo … e vedo anche lealtà e sincerità, anche se non molta pazienza … anzi, direi neanche un po' di pazienza … mm, no, Tassorosso lo escludo, anche se a fatica, devo ammetterlo … quel sarcasmo pungente e la furbizia sarebbero il passaporto per Serpeverde … ma quell'intelligenza va proprio bene a Corvonero; anzi, direi che Priscilla in persona mi ordinerebbe di metterti lì … e direi che se fosse solo per il coraggio, andresti dritta dritta a Grifondoro … ma dove ti posso mettere?».
Le dita mi stavano diventando bianche, ma mi aggrappai ancora più forte allo sgabello, come se temessi di venir spazzata via da un momento all'altro. «Mi va bene qualunque casa …», pensai disperata, «… qualunque casa basta che non mi espellano … basta che io rimanga qui … qualunque casa …».
La vocina ridacchiò, a sorpresa, perché non mi aspettavo che mi ascoltasse. «E perché mai dovrebbero espellerti? Leggo nei tuoi ricordi che sei riuscita ad attraversare il binario nove e tre quarti senza l'aiuto di nessuno, anche perché non vedo chi potrebbe aiutarti a farlo … e questo mi sembra già un indizio sufficiente per capire che possiedi capacità magiche … certo, magari di meno rispetto agli altri, sempre che tu non ti offenda, però in questa scuola puoi starci, eccome se puoi starci …».
Il mio cuore iniziò a battere forte forte, come una bacchetta su un potente tamburo. Stai a vedere che Ron aveva ragione. Feci l'ultimo tentativo, per essere sicura al cento per cento. «Ma come? Io non sono una maga … ne sono sicurissima».
Rise. «Beh, anche io ne sono sicuro, ma guarda che non sono mica solo i maghi ad avere capacità magiche! Ho letto da qualche parte, non mi ricordo bene dove - ormai sono vecchio, la mia memoria non è la stessa di un tempo - però ricordo che il professor Silente mi ha detto che esistono alcune creature … che, insomma, non sono maghi, però hanno poteri lo stesso, e possono fare le stesse cose che fanno i maghi, tipo salire sull'Espresso per Hogwarts o cose simili … mi pare si chiamino … wizbub, webeb … boh, qualcosa di simile».
Rimasi senza fiato per lo stupore. Quello era proprio uno sviluppo inaspettato.
Anche se non ero una maga D. O. C., al posto di frequentare quella banalissima scuola babbana dai muri quadrati e sporchi, stavo per prendere parte ad una meravigliosa, straordinaria, incredibile scuola di magia.
Finalmente riuscii a trovare abbastanza fiato per rispondere al Cappello. «Wow», emisi. «E quindi dove mi metti?».
Lui ritornò pensieroso. «Mm … ci sto ancora pensando … tu hai detto che ti vanno bene tutte le case?».
«Beh, sì, non conosco esattamente le caratteristiche di ognuna e non mi va di giudicare senza conoscere».
«E va bene, e allora … mm, Priscilla si incavolerebbe mica poco ma … penso che la migliore per te sia … sì, dai, GRIFONDORO!».
Come aveva fatto con gli altri, l'ultima parola era stata urlata a tutta la sala ma purtroppo anche al mio orecchio, e quindi ora potevo capire come mai tutti uscivano rintronati dal Cappello come se fossero appena usciti da una cassa acustica; così mi tolsi il Cappello leggermente stordita e mi recai tutta tremante al tavolo della mia casa, accolta da un applauso, sperando di beccare quello giusto. Uno dei Weasley mi strinse pomposamente la mano, salutandomi con «Benvenuta a Grifondoro! Spero che ti troverai bene», a cui risposi con un cenno, troppo stralunata per parlare.
Poi mi sedetti al primo posto che trovai libero, che fu quello di fianco ad Hermione. Lei mi strinse affabilmente la mano. «Ciao Sylvia. Sono contenta che tu sia qui con Grifondoro, e menomale che conosco qualcuno con cui andare nei Dormitori … penso che detesterei passare la prima notte da sola. Io sono così fiera di essere qui, temevo di non essere all'altezza … dicono che sia la casa migliore … c'è stato anche Silente, pensa …».
Dovevo assolutamente rivalutare quella ragazza. «Grazie, Hermione».
Lei mi sorrise di rimando e poi si volse a guardare il resto dello smistamento, e io la imitai. Mi piaceva l'idea di essere nella sua stessa casa dato che, a quanto avevo sentito, la Coppa delle Case veniva ottenuta a seconda dei trionfi scolastici; anche se il suo carattere a prima vista non sembrava dei migliori, probabilmente l'avevo giudicata male e sarebbe stata una carta molto utile da giocare per Grifondoro. Restava solo da sperare che Harry e Ron non andassero a Serpeverde … non credevo di riuscire a sopportare di vederli tutto il tempo in un altro tavolo.
«Goyle Gregory!», chiamò la McGranitt.
Si fece avanti uno dei due amici di Draco così grasso da rischiare di rompere il seggiolino quando si sedette, fissando la platea con uno sguardo perso nel vuoto. Era più alto dell'altro, con capelli castani riccioluti e una faccia quadrata e brufolosa.
«SERPEVERDE!», urlò il cappello dopo dieci minuti buoni di riflessione, di cui probabilmente Goyle non sarebbe stato capace. Il ragazzo era così fiero di sé stesso che, alzandosi a fatica dallo sgabello, si dimenticò il cappello in testa, e dovette tornare indietro per consegnarlo a «MacDougal Morag».
Quando venne chiamato il suo nome, Malfoy si fece avanti spavaldamente[i] e si sedette sicuro sullo sgabello, che tremava più di lui, già provato a causa del peso di Goyle. Venne immediatamente accontentato, e alla seggiola furono risparmiate gravose torture. Infatti la McGranitt aveva appena abbassato il Cappello sulla sua testa che quello gridò: «SERPEVERDE!».
Goyle scoppiò in un applauso non appena udì quella parola, e gli ostentò il posto che aveva lasciato libero di fianco a lui. Malfoy si sedette con aria molto compiaciuta e fissò severamente Tiger come a dirgli "vedi di farti onore" e quello rispose con un sorriso d'intesa e riprese a guardare il Cappello. O forse dovrei dire che riprese a fare la faccia da pesce lesso i cui occhi sembravano essere per caso diretti verso il Cappello Parlante.
«Tutte le streghe e i maghi diventati cattivi erano Serpeverde», mi bisbigliò Hermione all'orecchio. «Perfino tu - sai - chi lo era».
«Ti dirò che la cosa non mi sorprende», le sussurrai in risposta, spiando Malfoy con la coda dell'occhio.
Orami erano rimasti in pochi.
«Moon» … «Nott» … [ii]«Paciock» (era il ragazzo che aveva perso il rospo e che ruppe definitivamente lo sgabello, costringendo la McGranitt a ripararlo) … poi «Parkinson» … poi due gemelle, «Patil» e «Patil»[iii] … mancava poco al mio amico … poi «Perks Sally-Anne» …
La McGranitt si fece curiosa quando chiamò il nome successivo. «Potter Harry!».
Il silenzio piombò sulla sala e la tensione sul volto di Harry svanì immediatamente, come se un enorme peso gli fosse appena stato tolto dalla schiena, e lui si lasciò andare ad un profondo sospiro di sollievo. Mentre il ragazzo si avvicinava al nuovo sgabello, con lo sguardo di tutti i ragazzi e di molti professori addosso, il silenzio si spense e la sala fu percorsa da una miriade di sussurri, di cui era possibile captare alcune parole.
«Ha detto Potter ?».
«Ma proprio quell' Harry Potter …?».[iv]
«Proprio quello che …».
«La cicatrice …».
« … tu - sai - chi …».
La McGranitt appoggiò il Cappello sulla sua testa mentre tutti i ragazzi, compresi quelli già seduti ai tavoli, allungavano il collo per guardarlo meglio, simili a cuccioli di giraffa. Io feci un sorriso al mio amico e attesi con lui.



Nel momento stesso in cui il bordo del Cappello coprì gli occhi a Harry …
Improvvisamente non vidi più niente.
E con "niente", intendo proprio "niente".
Niente Hermione, niente tavolo dei Grifondoro, niente studenti che aspettano, niente piatto e posate … uno zero totale.
Non ebbi il tempo di spaventarmi che la vocina di prima mi sussurrò all'orecchio: «Mm … difficile, molto difficile anche tu … come la tua amica Sylvia, mi par di ricordare  … coraggio da vendere, e anche un cervello niente male … mm, c'è talento, e desiderio di mettersi alla prova … ma dove ti colloco?».
Un'altra voce, che sembrava provenire dalla mia testa ma forse anche dalla mia bocca, sussurrò: «Non a Serpeverde! Non a Serpeverde! Non a Serpeverde!».
«Non a Serpeverde, eh?», disse la vocina con fare suadente. «Ne sei sicuro? Potresti diventare grande, sai? È tutto qui, nella tua testa … e Serpeverde ti aiuterebbe nella via della grandezza, su questo non c'è dubbio …».
Lo stesso bisbiglio di prima non ne era interessato. «Tutto ma non Serpeverde … ti prego, ti prego, tutto ma non Serpeverde …».
«Oh, vabbé, se ne sei così sicuro … allora sarebbe meglio GRIFONDORO!».
E a quella parola, ripresi l'uso della vista. Così, dal nulla, e senza alcun motivo apparente.
Tutto era come l'avevo lasciato prima di diventare cieca per cinque minuti: Hermione, il tavolo dei Grifondoro, gli studenti che aspettavano, il piatto, le posate … l'unico cambiamento era che Harry Potter si era avvicinato al mio tavolo, dopo essere stato accolto dall'applauso più fragoroso di tutti. Il ragazzo che si era alzato a salutare me strinse vigorosamente la mano al mio amico, complimentandosi di tutto cuore, mentre i due gemelli Weasley si sgolavano: «Potter è dei nostri! Potter è dei nostri!».[v]
Harry si sedette di fianco a me, tutto contento di essere stato ammesso, e mi confidò per filo e per segno com'era andato il suo smistamento. Non sembrava avere la più pallida idea che io l'avessi praticamente vissuto con lui, così per non spaventarlo non glielo dissi; anche se forse feci male, perché solo ricordandogli che mancava ancora Ron bloccai il suo racconto.
Erano rimaste solo quattro persone da smistare. «Tiger Vincent» divenne un Serpeverde, accolto sul tavolo da una pacca sulla spalla di Goyle che avrebbe fatto ribaltare Malfoy sulla sedia, «Turpin Lisa» una Corvonero e finalmente fu il turno di Ron.
Il mio amico era pallido come un cencio, e si poteva distinguere chiaramente il grumo di saliva che stava mandando giù e forse, se avessi fatto più attenzione, anche il suo rumore. Si incamminò con passo malfermo fino allo sgabello e si sedette molto timidamente, fissando il Cappello con aria terrorizzata. Entrambi incrociammo le dita sotto al tavolo mentre il Cappello si appoggiava gongolando sulla testa di Ron, facendolo urlare; poi il Cappello gridò subito: «GRIFONDORO!».
Scoppiammo in un applauso fragorosissimo, facendo più casino di tutti gli altri messi insieme, mentre il nostro amico, dopo aver emesso un sospiro di sollievo che avrebbe spettinato i capelli di Silente, si accasciava su una sedia di fronte a noi.
«Ottimo, Ron!», si complimentò il suo fratello che si era complimentato con tutti. «Ben fatto!».
«Grazie Percy», rispose lui stremato, mentre «Zabini Blaise» veniva mandato a Serpeverde.
A quel punto la professoressa McGranitt arrotolò la pergamena in cui erano scritti i nomi dei ragazzi e portò via il Cappello Parlante. [vi]Andò poi a sedersi al suo posto, di fianco a Silente.
In quel momento, il mio stomaco gorgogliò. E poi tremò. E poi urlò.
Significava solo una cosa: avevo una fame tale che avrei potuto ingoiare il tavolo intero.
Quanto tempo prima avevo mangiato le gelatine tuttigusti? Un giorno, un mese, un anno, un secolo prima?
Mi sentivo come se fossi a digiuno da settimane. E il piatto di fronte a me, proprio come quello di Harry, di Ron, di Hermione, di Percy e di tutti gli altri, era vuoto. Inutilmente vuoto.
Si sentì il tintinnio di un cucchiaino contro un bicchiere, e poi la voce della McGranitt. «Attenzione, per favore!»
Subito dopo,  Albus Silente si era alzato in piedi. Sorrideva radioso a tutti noi, come se il massimo della felicità in tutta la sua vita fosse vederci tutti allegri e riuniti davanti a lui. «Vorrei dire alcune parole», avvisò. «E cioè: pigna, pizzicotto, manicotto, tigre!».
E tornò a sedersi. Harry non sapeva se ridere o no,[vii] io avevo un enorme punto interrogativo dipinto sul volto.
«Non capisco … è un po' matto?», domandai insicura a Hermione.
«Possibile», rispose lei con un sorriso. «Però è anche il migliore mago del mondo», e si ficcò in bocca un'enorme forchettata di carne di tacchino. «È un genio!».
«Ehi, come mai tu stai …», stavo per protestare, e poi tornai a controllare per sicurezza il mio piatto.
E rimasi di stucco.
Si era di colpo riempito di cibo, e ora rischiava di straripare.
E che cibo! Roast beef, pollo arrosto, braciole di maiale e di agnello, salsicce, bacon e bistecche, hamburger, patate lesse, patate arrosto, patatine fritte, Yorkshire pudding, piselli, carote, sugo di carne, fagiolini, salsa ketchup[viii] … non avevo mai visto così tanta bontà tutta insieme, e in una tale quantità.
Senza indugiare, mi riempii il piatto di un po' di tutto e incominciai a mangiare. Era tutto squisito, e probabilmente se il mio stomaco fosse stato lasciato libero in quel momento, avrebbe fatto fuori metà delle pietanze presenti sul tavolo. E Ron, a giudicare dal numero di salsicce che si stava contemporaneamente ficcando in bocca, dava l'aria di avere la stessa intenzione.
Stavo per sfidarlo a singolar tenzone quando Harry gemette e si toccò la fronte, nel punto preciso in cui si trovava la cicatrice.
Harry, porca di quella miseria, ho fame! «Che coscia c'è?», gli chiesi a bocca piena.
«N - niente», rispose sorpreso che me ne fossi accorta. «Stavo solo guardando quel professore dai capelli neri».

Dunque, vediamo chi devo incolpare per avermi interrotto. Seguii il suo sguardo e raggiunsi il tavolo degli insegnanti, fino ad uno strano insegnante, pallido e allampanato, con untuosi capelli neri e penetranti occhi scuri. Riuscii a beccarlo prima che si voltasse: aveva guardato Harry fisso negli occhi con una strana espressione. Non era stupore o quant'altro, no … era schifo … schifo puro. Come se Harry non gli piacesse affatto, ancora prima di conoscerlo. Ed era strano, perché un professore in teoria non dovrebbe mai giudicare qualcuno senza prima conoscerlo. Il professore era seduto di fianco a un altro corpulento insegnante con naso a punta, occhi grandi e un enorme, goffo turbante violetto in testa, e pochi picosecondi più tardi si era già voltato e conversava con lui.
Un turbante violetto … non mi era nuovo … ma ero troppo stanca per pensarci.
«Dimmi Percy», chiese Harry al tipo che si era complimentato con lui. Notai che aveva una spilla con una grossa "P" viola appuntata sul petto, «chi sta parlando con il professor Raptor?».
«È il professor Piton, caposcuola della casa Serpeverde».
«E cosa insegna?».
«Pozioni. Ma tutti sanno che ha un debole per le arti oscure: aspira al posto di Raptor».
Harry ritornò a guardare Piton, ma il professore non rispose più al suo sguardo.
«Cos'è un capo di una Casa?», domandai io a Percy.
«Diciamo il suo rappresentante», rispose lui. Sembrava molto fiero di poter parlare di quell'argomento. «Poi tra gli studenti ci sono i Caposcuola e i Prefetti, che invece rappresentano, curano e anche puniscono gli studenti. Sono loro che hanno il compito di riferire ai professori che cosa combinano gli studenti. È un gran lavoro, quello dei Prefetti».
Un lavoro da lecchini, vorrai dire. «Tu sei un Prefetto?».
«Già», ribatté tutto compunto, gonfiando il petto come un tacchino in modo da sbatacchiarmi la spilla in faccia.
Sposta quella spilla o te la ingoio. Annuii pesantemente, pensando che non poteva esistere a Hogwarts un lavoro più disonorante per gli studenti e più onorevole per i genitori, e allungai la forchetta verso un piatto di salsicce in mezzo al tavolo.
E per poco non mi prese un colpo: stavo per inforcare il naso di una faccia rugosa con dei baffetti scuri e un sorriso amichevole.
Spostai subito la forchetta e rimasi a guardare ammaliata la bocca di quel viso, appena passato attraverso il piatto, che si apriva. «Salve! Come andiamo! Benvenuti a Grifondoro! Io sono un suo fantasma!».
«Fantasma?», dissi d'istinto. «Tu sei un fantasma? Uno spettro? Una persona morta?».
Quello mi sorrise. «A Hogwarts è pieno di fantasmi, non lo sapevi?»
Sembrava che quelle parole fossero state una parola d'ordine, perché in quel momento si sentì un ululato da casa delle tenebre e una cinquantina di fantasmi invasero la sala. Rimasi incantata a guardarli: erano uno spettacolo meraviglioso. C'era chi si credeva su un campo di battaglia e tagliuzzava nemici invisibili con un lungo spadone incorporeo; c'era l'ubriaco che si lasciava rotolare sul pavimento sghignazzando; c'era chi sbatteva la sua testa di qua e di là; quel cavaliere laggiù che sfondava una finestra, cacciando grida di battaglia; quell'altra dama là del 1600 faceva svolazzare i nostri capelli muovendo la sua pesantissima gonna traboccante di pizzi; poi c'era quel conte che si sistemava i capelli, quell'altro che invitava una donna a ballare, una simpatica signora grassoccia che intratteneva altri fantasmi più giovani, un fantasma mezzo matto che veniva fuori dal pavimento sciabolando contro una piastrella che doveva stargli antipatica mentre reggeva un grosso calice di vino (ovviamente incorporeo) …
«Salve, Sir Nicholas», salutò Percy. «Passata una buona estate?».
«Têtre», rispose quello indignato. «Hanno di nuovo respinto la mia richiesta di partecipazione alla caccia senza testa! È …».
«Io lo so chi sei!», lo interruppe Ron. «Tu sei Nick - Quasi - Senza - Testa!».
«Sir Nicholas, se non ti dispia … », incominciò a dire il fantasma.
«Quasi - senza - testa? Come si fa ad essere Quasi Senza Testa?».
Nick era molto irritato, come se il discorso avesse preso una piega che lui non desiderava. «Beh, ecco, così». Si afferrò saldamente i capelli bianchi e tirò verso destra, staccandosi il capo e mostrandoci un collo pieno di sangue incorporeo fino al bordo destro, a cui la testa era ancora attaccata. Qualcuno aveva evidentemente provato a decapitarlo, ma non l'aveva fatto a dovere. [ix]

Tutti, compresa io - che stavo mangiando ancora quella salsiccia che avevo tentato di prendere prima di inforcare Sir Nicholas - emisero uno schifato "bleah", che il fantasma accolse tutto compiaciuto. Poi se ne andò.
Era ufficiale: a Hogwarts non si potevano fare gare di salsicce, c'era sempre un'interruzione che rompeva le scatole.


 
 
[i]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[ii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[iii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[iv]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[v]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[vi]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[vii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[viii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.
[ix]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 7.




*Angolino autrice*
Rieccomi! :) Spero che questo capitolo sia stato all'altezza delle vostre aspettative, dato che vi ho fatto attendere così tanto ... scrivete, scrivete tutto quello che vi pare, fatemi sapere cosa ne pensate!
Avevo detto che durava fino al dormitorio ... e invece no, non proprio (sono peggio delle pubblicità) ma penso che ci metterò poco a scriverlo. Penso. Spero. Mi auguro.
Dunque dunque, ecco il motivo del ritardo. Io a scrivere sono lenta come la fame. Mi serve l'idea giusta, le parole giuste ... mi piace di più correggere su una bozza già scritta che scrivere di mio, accidenti; ho un'indole da bacchettona tipo quella di Hermione e di Percy in questo libro ._. Comunque, ciò che vi devo dire è che in pratica io la fanfic della pietra filosofale l'avrei già scritta e finita; solo che lo era a undici anni. Ora l'ho riletta e ho pensato ... ehm ... avete presente quando Harry trova la sua bacchetta sporca di caccole di troll? Uguale. I primi capitoli li avevo già scritti, ma questo era il punto preciso in cui la mia fanfic riscritta si interrompeva, e quindi dovevo rifare tutto da zero. Non solo; la versione iniziale rispecchiava davvero il film (venivano smistate solo cinque persone) e con Sylvia Green succedeva un casino, il cappello gridava "UNA BABBANA!" e poi in qualche modo non chiaro nemmeno a me se ne usciva ... insomma, un casino. Molto simile ad una Mary Sue, peraltro. Quindi per questo motivo sono in un ritardo pazzesco.
Seconda cosa da dire: una scusa a  The_Sound_Of_Rain, che è una mia amica e che su Pottermore è, come me, in Tassorosso, perciò si aspettava che io fossi in Tassorosso. Dato che nella storia è fondamentale che io sia Grifondoro, purtroppo ho tradito crudelmente la mia casa. Scusaaaa! D:
Ringrazio tantissimo le 54 visualizzazioni dell'ultimo capitolo e soprattutto Jinny_2000WingsFly: ragazze, siete fantastiche! In particolare quest'ultima ha fatto una recensione molto emotiva in cui ancora un po' e mi ritrovavo il cranio virtualmente fracassato da una padella della signora Weasley ... ma sono ancora viva, come vedete! :D
Bene, ho finito con l'angolino-mica-tanto-piccolo autrice e vi saluto! Grazie ancora e non uccidetemi per questi tempi da Matusalemme! Sono giovane, voglio vivere! :D
Ciaoo! :D

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Capitolo 10
*** Una nottata così non è proprio una di quelle che un babbano definirebbe magiche ***


Una nottata così non è proprio una di quelle che un babbano definirebbe "magiche".





Quando tutti i nostri stomaci, compreso il mio senza fondo, si furono riempiti abbastanza da non dover richiedere cibo per le successive dieci ore, anche i dolci scomparvero - lasciando Ron, che si stava mangiando un pezzo di torta margherita, con uno sguardo delusissimo - e i piatti ritornarono ad essere bianchi e splendenti, come appena usciti di lavastoviglie.
«Molto bene», dichiarò Silente dopo un altro tintinnio di cucchiaino. «Se il signor Percy Weasley può venire qui un attimo, devo dirgli alcune parole in privato prima che porti i primini di Grifondoro in Sala Comune. Gli altri se ne possono andare a letto, compresi gli altri ragazzi di Grifondoro che ormai conoscono la strada per il dormitorio … l'importante è che non scardinino porte o non rompano armature». Strizzò l'occhio ai gemelli Weasley, che si erano guardati come illuminati dalla stessa strabiliante idea, e si sedette nuovamente, mentre Percy si alzava immediatamente, rischiando di rovesciare il tavolo da quanto era eccitato.
«Chissà cosa dovrà dirgli?», si chiese Hermione. «Silente non parla quasi mai con gli studenti di persona; se deve fare comunicazioni ufficiali, le annuncia a tutta la scuola prima di mangiare. O almeno, così mi hanno detto gli altri ragazzi».
«Magari si tratta di qualcosa sul suo rendimento scolastico», ipotizzò Harry.
«Ma va', è impossibile», sbottò Ron. «Percy a scuola è bravissimo, figurati se Silente gli deve dire qualcosa».
«E comunque, sicuramente non all'inizio dell'anno. Non ci sono ancora state verifiche», aggiunse Hermione delusa, come se non vedesse l'ora di farne qualcuna per dimostrare quanto valeva.
«Secondo me c'entra qualcosa il fatto che è un Prefetto», commentai. «Insomma, perché dovrebbe chiamare proprio lui, dato che non è successo ancora niente che lo riguardi personalmente? Deve essere qualcosa che riguarda la casa di Grifondoro … però qualcosa di troppo privato per essere annunciato a tutta la scuola».
«Se esistesse qualcosa del genere, sarei d'accordo», disse Hermione.
Ron sbuffò, guardando ancora la sua mano senza torta. «Immagino che lo scopriremo tra poco», disse, e io approvai.
Percy tornò al tavolo con aria decisamente meno allegra; avrei detto indispettita, come se fosse successo qualcosa sotto i suoi occhi che era in teoria suo compito controllare ma su cui non poteva influire. «Grifondoro, seguitemi per favore!», urlò a voce forse troppo alta, dato che eravamo rimasti soltanto in nove ragazzi. «Etenete il passo, grazie!».
Poi, senza neanche aspettare che ci mettessimo in fila, si mise velocemente a marciare fuori dalla Sala Grande, e io e i miei amici dovemmo quasi correre per raggiungerlo.
Uscito dalla Sala, Percy salì una scala a sinistra dall'aria traballante. Noi lo seguimmo, rallentando un po' nel timore che cedesse sotto i nostri piedi, solo per ritrovarci a scalpitare ancora di più su una scala sulla destra, fortunatamente molto più solida.
Uno dei ragazzi con la pelle scura e corti capelli neri riuscì a raggiungere Percy prima di noi. «Si può sapere dove stiamo andando?», gli chiese ansimando. «E puoi rallentare un po', per favore?».
Percy finalmente si fermò un momento, così anche il ragazzo di nome Neville Paciock che aveva rotto lo sgabello poté avvicinarsi a lui senza inciampare. «Questa è la via più diretta per accedere ai dormitori. Vi conviene utilizzare più o meno questa quando venite su dalla Sala Grande».
«Perché hai detto "più o meno"?», gli domandai.
Il suo sguardo, invece di volgersi verso di me per rispondermi, si alzò verso l'alto nervosamente. Poi si rivolse a tutti: «Tenete d'occhio le scale: a loro piace cambiare».
Compresi che sarebbe dovuta essere una risposta alla mia domanda, ma avevo capito meno di prima. E poi ero troppo stanca per rifletterci, e il mio stomaco stava per iniziare il suo concertino mentre digeriva.
Percy riprese a salire una scala a sinistra.
Poi un'altra a destra.
Poi una di fronte a me.
Poi una a sinistra di nuovo.
Stavo ovviamente perdendo il senso dell'orientamento, ma nella tasca della mia divisa non c'erano fogli o penne con cui cercare di segnarsi il percorso che ci stava frettolosamente mostrando, così mi limitai a seguirlo su una scala a destra.
Poi passammo dietro un quadro che si spostava appoggiandosi ad una parete.
Poi percorremmo un corridoio e salimmo un'altra scala a … a … non me lo ricordavo.
Poi ci fermammo, aspettammo che una scala che non capivo da dove fosse spuntata fuori si muovesse e poi percorremmo un giro dell'oca tremendo solo per ritrovarci dalla parte opposta di qualcosa.
Pensare che il giorno dopo avrei dovuto percorrere tutta quella strada nel verso contrario mi fece sbadigliare rumorosamente.
Poi voltammo da qualche parte, passammo attraverso qualcosa e attraversammo qualcos'altro.
I miei occhi si stavano chiudendo e le gambe ciondolavano. Continuavo a sentire nelle orecchie bisbigli interessati di uomini di età avanzata (che solo più tardi compresi che erano quadri) che mi indicavano e la mia unica domanda in quel momento era quando avrei potuto buttarmi a capofitto sul letto. Cercare di capire dove sarei andata il giorno dopo era un problema ormai irrisolvibile.
Stavo quasi per buttarmi a terra e smettere di camminare per protesta quando finalmente ci fermammo.
Senza che me ne fossi accorta, avevamo percorso un lunghissimo corridoio e ora ci trovavamo davanti ad un quadro che ritraeva una signora molto in carne, probabilmente di famiglia nobile, con grossi boccoli castani e un lungo e ricamato vestito rosa pieno di perle che le strizzava il corpo. La donna (che era dipinta, ne ero certa) era stanca quando me, però riuscì comunque a parlare. «Parola d'ordine?», domandò monotona.



«Caput Draconis», rispose pronto Percy.
La donna sollevò lentamente il braccio destro e il ritratto si staccò dal muro, rivelando un buco rotondo nel muro. Percy ci si infilò e tutti noi lo imitammo - Neville si fece spingere e io ebbi bisogno della mano di Harry per attraversarla senza capitombolare a terra dal sonno - fino a raggiungere una gradevole stanza a pianta circolare piena di comode poltrone, di tavolini di legno, di cassetti, di lampade e con due camini in cui scoppiettavano allegri fuocherelli che riempivano la zona di un leggero torpore che mi cantava la buonanotte. Era chiaro che ci trovavamo all'interno di una delle torri.
«Bene, ragazzi», spiegò Percy. «Questa è la vostra Sala Comune. Il dormitorio dei ragazzi è in alto a sinistra, mentre quello delle ragazze lo stesso a destra. I dormitori sono sette e sono divisi per anno; voi salite sul primo. Troverete che i vostri effetti sono già nelle vostre stanze». Poi finalmente mi guardò. «Sylvia, invece tu dovrai aspettare ancora un po' per dormire». Gemetti. «Seguimi, dobbiamo raggiungere l'ufficio di Silente: ha detto che deve dirti qualcosa di molto importante».
Gemetti ancora più forte. Avevo scoperto che cosa Silente aveva sussurrato a Percy in Sala Grande, e sicuramente aveva a che fare con il mio essere … webeb, o quella roba lì. Doveva aver parlato con il Cappello Parlante.
Così mi ritrovai a uscire di nuovo dal dormitorio e a percorrere un intricato tragitto tra scale, porte, arazzi e quadri apparentemente senza alcun senso logico. Percy era molto sicuro di sé e sapeva perfettamente dove stesse andando, o almeno lo credevo: in ogni caso, salii tante di quelle scale da perdere il conto, e solo grazie al corrimano una volta non caddi di faccia per terra dal sonno.
Finalmente arrancai fino alla porta dell'ufficio del preside e mi appoggiai sfinita al muro, chiudendo gli occhi. Percy, probabilmente mosso a compassione, entrò nello studio e riuscì a convincere Silente ad uscire.



Poi si ritirò sparendo dietro un arazzo e io rimasi sola con il preside, nel bel mezzo del corridoio.
«Sylvia Green, se non erro, giusto?».
Annuii, cercando di tenere gli occhi aperti.
«Molto bene. Veniamo subito al dunque dato che siamo entrambi molto stanchi». Ottima idea. «Dunque, come immagino ti abbia detto il Cappello Parlante, tu non sei una maga e neanche una babbana. Sei a metà. Il nome specifico per questa tua caratteristica è wimag, ma comprendo il Cappello se non se lo sia ricordato, preso com'era dallo smistamento. Essendo metà strega, hai alcune capacità, di cui però è meglio se ti accorgi da sola del loro possesso, sia perché impari meglio se le provi di prima persona, sia perché nessuno di noi ha la più pallida idea di quali siano». L'idea mi fece sorridere. «Una cosa però è certa: non puoi fare magie».
«Non ne sono stupita, professore», riuscii a biascicare.
«Per quanto riguarda le lezioni, quindi, ci siamo organizzati in questo modo: le seguirai con la tua casa, ma per ogni corso che comprenda magie, tranne Pozioni e Volo, studierai una volta magia con i tuoi compagni e una volta una materia babbana. Non dovrai preoccuparti dei libri non magici, li porteranno gli insegnanti. Riteniamo sia opportuno che tu impari anche la magia, a causa della tua doppia natura».
«Professore, mi perdoni, ma perché frequenterò regolarmente Pozioni e Volo?».
«A quanto mi è stato riferito dal professor Piton e da Madama Bumb, non ti occorrono particolari capacità magiche per seguire queste lezioni. Ti raccomando, Sylvia, di non usare mai la bacchetta magica nelle ore in cui studierai le materie babbane, altrimenti Grifondoro potrebbe subire una perdita di punti assai onerosa; naturalmente questa dipenderà dalla clemenza della professoressa McGranitt, ma dubito che tu abbia molto di che sperare».
Annuii, troppo stanca per saltare felice per tutta la stanza. Non ero per niente dispiaciuta dal fatto che non potessi toccare una bacchetta magica. Già mi eccitava l'idea di seguire le lezioni di Pozioni. «A che ora iniziano le lezioni domattina?», domandai.
«Alle otto in punto, nell'aula di Trasfigurazioni, non molto distante dalla Sala Grande. Credo che siate con i Tassorosso».
Annuii nuovamente e feci per congedarmi, quando Silente mi fermò di nuovo. «Ah, Sylvia, aspetta un attimo».
Mi voltai. «Mi dica, professore».
«Devo dirti una cosa che non ti piacerà. Purtroppo nel dormitorio delle ragazze del primo anno ci sono solo tre letti e quindi manca il quarto per te; tecnicamente non c'è lo spazio per inserire il tuo letto, con la disposizione attuale. Stasera dovrai dormire in Sala Comune; domani mattina, mentre voi sarete a lezione, provvederemo a preparare un letto per te. La cosa ti dà fastidio?».
Scossi la testa. «Mi basta che ci sia qualcosa su cui dormire; credo che sarei capace di prendere sonno anche sui sassi».
Silente sorrise. «Ottimo, allora. Buonanotte Sylvia», e si voltò per tornare nel suo studio.
In quel momento riapparve Percy, che aveva un'aria così contrariata che sembrava un gufo svegliato a gomitate a mezzogiorno. Ancora continuavo a non capire come mai fosse così arrabbiato: mi sembrava una reazione eccessiva anche se ero io la prima ad innervosirmi se qualcuno cercava di tenermi sveglia quando avevo sonno. Percy marciò via dal corridoio così velocemente che quasi dovetti correre per stargli dietro, ed ero sicura che lo facesse apposta per stancarmi.
Non seppi come, ma alla fine riuscii ad arrivare gattonando nel Dormitorio e ad entrare attraverso il ritratto. Poi mi infilai sotto le coperte appoggiate sopra un materasso dall'aria malconcia, a cui Percy aveva tirato un garbato calcio.
In quel momento, arrivarono Harry e Ron, con gli occhi pesti dal sonno. Il fatto che erano rimasti svegli per aspettarmi mi riempì di gratitudine e così mi costrinsi a rispondere a tutte le loro domande, anche se in alcuni momenti non riuscivo a trovare la forza neanche per muovere le labbra.
Quando arrivai a spiegare loro che supponevo che Percy mi odiasse, o qualcosa del genere, Harry era scettico ma Ron annuì con aria grave. «Possibilissimo, sai. E non credo ci sia niente di personale. Percy è fissato con le regole. Ci ha guardato storto mentre scendevamo le scale per raggiungerti ma non poteva dire niente, dato che eravamo comunque nel Dormitorio … ma sai, secondo le regole, a quest'ora dovremmo essere già a-a-a-addormentati». Sbadigliò come a dire che tutto esse sommato avevano ragione. «Ma non ti devi preoccupare, non saremo quasi mai con lui, a parte le prime volte in cui dobbiamo imparare la strada per andare a mangiare, o cose s-s-simili». Sbadigliò nuovamente e io lo imitai. «Sempre che riusciamo a orientarci in questo labirinto».
«Sicuramente se adesso non dormissi, domani non riuscirei a muovere neanche un m-m-muscolo», risposi sbadigliando un'altra volta. «Figurarsi trovare la s-s-strada per le a-a-a-a-a-aule. 'Notte, ragazzi».
Poi appoggiai la testa sul cuscino e non feci a tempo a vederli arrampicarsi su per le scale del Dormitorio che caddi in un sonno profondissimo e senza sogni (o perlomeno, senza che me ne ricordassi uno).
Mi sembrava che fossero passati solo cinque secondi quando ricevetti una grossa cuscinata in faccia talmente violenta da svegliarmi, il mattino dopo. «Ehi, che modi!», protestai indispettita a chiunque fosse stato. «Ma che ore sono?».
«Muoviti, babbana!», ghignò la voce di Percy, perfettamente sveglio. Fortunatamente per lui ero maga solo a metà, altrimenti avrei potuto strangolarlo con la coperta, o qualcosa del genere. Invece mi limitai a guardare l'orario.
E quasi cacciai un urlo. «Sono le cinque della mattina!», gridai. «Perché mi svegli a quest'ora?».
«Bisogna pulire per terra», spiegò Percy crudele. «E tu dormi per terra e quindi ti devi svegliare». Sul braccio, reggeva un solo straccio e quindi, dopo essermi accasciata sul divano, dovetti aspettare fino alle sette perché avesse finito. Avevo troppo sonno per pensare che era troppo sospetto che fosse un ragazzo a pulire il Dormitorio e che in realtà tutta la faccenda era una cattiveria architettata da Percy per svegliarmi prima del previsto. Tentai di addormentarmi sul divano, ma ogni volta che stavo per prendere sonno, Percy lo spostava con un calcio, facendomi sobbalzare. Quanto avrei voluto avere anche solo la forza necessaria ad alzare le braccia sul suo collo inerme! Eppure ero sia troppo stanca sia troppo buona per recidere la sua vita, anche se mi aveva svegliato a quell'ora. Buon per lui.
Finalmente Percy terminò le pulizie e io, sfinita, riuscii a riprendere sonno.

Fui svegliata solo mezz'ora dopo da Hermione. «Sylvia! Cosa ci fai ancora a dormire?», gridò.
Inveii contro di lei a voce molto alta. «Possibile che non si possa dormire in pace?!», urlai poi.
«E quanto vorresti dormire ancora?».
«Magari il tempo che mi serve per avere le forze sufficienti ad alzarmi da questo divano!». E mi girai dall'altra parte per sottolineare meglio il concetto, con il risultato di rimbalzare stupidamente sulle molle.
«Non ti è bastata la nottata?».
«Come se avessi dormito qualcosa durante questa notte!», ribattei arrabbiata.
«Vabbé, fai come vuoi», annunciò altezzosa. «In ogni caso le lezioni stanno per incominciare. Sono le sette e mezza, la colazione in Sala Grande è già finita, hanno già distribuito gli orari e le lezioni iniziano alle otto …».
«… nell'aula di Trasfigurazioni, lo so», biascicai stanca. «Siamo con i Tassorosso. La classe quanto è distante da qui?».
«Non lo so e non credo che qualcuno di noi conosca la strada per arrivarci», disse lei stizzita. «Dobbiamo andare a caso, a meno che Percy non si degni di saltar fuori e di accompagnarci; ma mi pare di aver capito che sia già in classe e che quindi non possa illustrarci come si arriva».
«Il che è soltanto un bene», borbottai, lasciandola sorpresa. «Anzi, spero che oggi inciampi su tutti i gradini che gli capitano a tiro e scivoli su tutti gli stracci che Gazza ha casualmente lasciato in giro. È stato lui a svegliarmi alle cinque e mezzo, stamattina, perché doveva far finta di pulire per terra fino alle sette», spiegai poi.
«A proposito, come mai dormi qui?».
«Ordini di Silente», ribattei, rassegnandomi ad alzarmi. Le domande di Hermione, anche se cordiali, sicuramente non mi permettevano di riprendere sonno. «Da domani, comunque, dormirò in camera con voi. Hai detto che la colazione è già finita?».
Annuì. «Hanno già sparecchiato. Qui ho l'orario: se ti sbrighi, possiamo provare a raggiungere l'aula di Trasfigurazioni abbastanza in fretta da non far arrabbiare la McGranitt».
Alla fine, controvoglia, scesi dal letto. «Non è che mi puoi accompagnare in bagno? Sarà meglio che mi sbatta in faccia un po' di acqua gelida, così cercherò di sostituire l'energia del cibo». Rimpiansi amaramente la colazione a base di croissant e di fette biscottate imburrate che avrei sicuramente potuto trovare in Sala Grande e mi lavai la faccia con almeno mezzo litro di acqua gelida, sperando di svegliarmi.
Così iniziò la mia prima giornata di scuola ad Hogwarts. Anche se era una scuola di magia e io ero felicissima di poterla frequentare, sicuramente a casa avrei trovato il tempo sufficiente a fare colazione, e il ricordare con rammarico la mia casetta solitaria e la scuola babbana a cui ero ancora iscritta non mi piacque neanche un po'. Sperai almeno che il resto delle ventiquattro ore sarebbero state un po' più interessanti.






*Angolino autrice*
Rieccomi, dunque! Ho finalmente ritrovato l'ispirazione e quindi mi affretto a pubblicare questo capitolo. Mi sento molto importante per questo :D
Non ho assolutamente niente da dire, a parte che devo volare a fare storia e quindi che scappo :)
Ringrazio per le 46 visualizzazioni del capitolo precedente e poi le due utenti che mi hanno recensito: 
 Jinny_2000 e The_Sound_Of_Rain. Grazie, grazie, grazie!
Bene, ora vi saluto e me ne vado! Ciao!

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Capitolo 11
*** Insulsa scuola babbana, mi fai un baffo! ***


Insulsa scuola babbana, mi fai un baffo!

 



Dopo essermi lavata abbondantemente la faccia, mi arrischiai a uscire sonnolenta dal dormitorio e a recarmi con Hermione nella classe di Trasfigurazione. Si trattò di un'autentica impresa. Anche se le scale, invece che qualche milione come mi ero immaginata arrivando a Hogwarts, erano "solo" centoquarantadue in totale, questo non significava affatto che fosse così facile percorrerle. A dire il vero, avrei preferito - almeno per il primo giorno - una versione molto più numerosa ma monotona e babbana, dato che ero  troppo in ritardo, affamata e stanca per pensare di poter trovare divertenti le scale di Hogwarts
Alcune erano ampie e spaziose e non davano assolutamente problemi se uno tentava di salirle, e naturalmente non ci capitarono mai. Il tipo che ci ritrovammo davanti più spesso era di quelle strette e pericolanti, senza corrimano o con un gradino che scompariva, cacciava urli all'improvviso o traballava. Poi c'era sempre il pericolo delle scale che cambiavano e se ne andavano a zonzo senza un'apparente tabella oraria prestabilita. Ciò che mi svegliò veramente, però, fu un litigio di cinque minuti buoni con una scala che, senza alcun motivo apparente, non aveva assolutamente voglia di farci passare; dopo due o tre imprecazioni che fecero storcere il naso a due quadri, io ed Hermione ci rassegnammo a fare tutto il giro mentre la scala ridacchiava beffarda.
Ma non era finita lì: nel nostro gironzolare per la scuola sperando di trovare l'aula di Trasfigurazioni  - io ancora innervosita per la discussione - incontrammo porte che non si aprivano a meno di non chiederlo cortesemente o di non far loro il solletico nel punto giusto (io, per il nervoso, andai a sbattere contro una di loro, che si arrabbiò e non mi permise di cercare di aprirla); altre che non erano affatto porte ma solidi muri che fingevano di esserlo e due volte un paio di fantasmi chiacchierando passarono attraverso una porta mentre stavamo cercando di aprirla, facendoci fare salti di un metro a testa.  Fortunatamente la seconda di quelle volte uno dei due fantasmi era Nick-quasi-senza-testa, il quale fu disposto a dirci dove fosse l'aula che cercavamo - ovviamente dall'altra parte della scuola, però almeno non dovevamo passare attraverso quella accidenti di porta - e fu così gentile da consigliarci un paio di trucchetti per impedire alle scale di protestare; così riuscimmo ad arrivare in tempo in classe, sotto uno sguardo piuttosto accigliato della professoressa McGranitt, che ci indicò due dei quattro banchi affiancati rimasti liberi. Poi mi disse che aveva deciso di comune accordo con gli altri insegnanti che quella settimana sarebbe stata completamente magica, in modo da farmi capire che cosa avrei dovuto affrontare e, come dedussi, in modo da caricare abbastanza gli altri di compiti per non lasciarmi troppo indietro quando, due settimane più tardi, mi sarei riunita alle lezioni magiche. Detto questo, si appoggiò alla cattedra e si rivolse a tutti gli studenti con un tono molto serio. «La Trasfigurazione è una delle materie più complesse e pericolose che apprenderete a Hogwarts», disse. «Chiunque faccia confusione nella mia aula sarà spedito fuori e non sarà più riammesso. Siete avvisati».
Poi trasformò la sua cattedra in maiale e viceversa. Tutti rimasero molto impressionati e non vedevano l'ora di cominciare, ma ben presto si resero conto che ci sarebbe voluto un bel po' prima che riuscissero a trasformare un mobile in un animale. Prendemmo tutti un mucchio di appunti complicati [i] (Hermione sembrava l'unica ad averci capito qualcosa e io continuavo a guardarla nella speranza che mi spiegasse che cosa avevo appena scritto) per dieci minuti, dopodiché ricevemmo un fiammifero ciascuno e la professoressa mi obbligò a osservare Hermione che si impegnava a trasformarlo in un ago. Anche lei, infatti, sembrava aver capito che la mia amica era stata forse l'unica ad aver compreso qualcosa della lezione.
Io avevo davvero intenzione di guardarla, ma mi distrassi immediatamente per via di un verso acutissimo proveniente dalla finestra aperta, chiedendomi chi l'avesse emesso e che cosa fosse successo. Hermione mi richiamò, ma non feci in tempo a riconcentrarmi sul fiammifero che sulla cattedra apparve un grosso gatto soriano con strani segni neri intorno agli occhi e ci misi un po' a capire che effettivamente si trattava della professoressa McGranitt. Per la seconda volta provai a ritornare su Hermione, ma in quel momento si sentì un tonfo, uno sbatacchio e due respiri molto ansanti, e io non potei fare a meno di distrarmi di nuovo, voltandomi a vedere da dove provenisse quel rumore. Due istanti più tardi, Harry e Ron corsero trafelati e ansanti in classe, con i capelli tutti scompigliati e i lividi sulle mani - dovevano essere andati a sbattere contro svariate porte anche loro - ed Hermione lanciò loro un'occhiata di profonda disapprovazione che nessuno dei due notò.
«Ce l'abbiamo fatta!», esclamò Ron felice, guardando il gatto sulla cattedra. «Ti immagini la faccia della McGranitt se eravamo in ritardo?».



Alzò lo sguardo e se la ritrovò davanti, le labbra ridotte a un filo sottile e gli occhi che lo perforavano severi attraverso le lenti squadrate, che avevano la stessa forma dei segni che, da gatto, aveva intorno agli occhi. Ron la guardò spaventato e Harry deglutì. Poi Ron disse: «È stata maledettamente brava».
«Oh, grazie per questo giudizio, signor Weasley», replicò lei, senza l'ombra di un sorriso. «Forse risulterebbe più utile se trasformassi il signor Potter e te in un orologio da taschino. Almeno uno di voi sarebbe puntuale».
Poi guardò Harry. «Ci siamo persi», disse lui pronto, sfoderando una faccina tenera e afflitta.
«Magari vi occorre una mappa», ribatté la McGranitt dura, senza lasciarsi intenerire da Harry. «Spero che troviate lo stesso i vostri posti», e poi voltò loro la schiena, mentre Harry e Ron si sedevano esausti nei due banchi vuoti di fianco ai nostri.
Ron mi piantò in faccia uno sguardo severo. «Perché non ci hai aspettati, eh?», attaccò.
«Perché mi hanno rotto le scatole per dieci minuti perché mi spicciassi senza di voi», tentai di rispondere, ma furono parole al vento. Al contrario, fu in grado di trovare in cinque minuti dieci buoni motivi per stare a letto fino alle otto meno un quarto. «Avresti dovuto capirli!», grugnì. «Per colpa tua abbiamo forzato la porta del corridoio del terzo piano, e Gazza quasi ci mandava in punizione. Menomale che c'era Raptor, perché altrimenti sai che bello, il primo giorno a pulire le finestre!».
«Ehi!», gli sibilò Hermione, tirandogli una gomitata. «Mi stai facendo perdere la concentrazione!».
«E tu cosa ci fai qui?», le domandò Ron sorpreso, accorgendosi solo in quel momento che era lì. Poi captò la mia espressione colpevole: io sapevo che lui la detestava. «Ah, e quindi sei venuta con lei, eh! E ci hai traditi!».
«Dai, Ron, non esagerare», provò a rabbonirlo Harry.
«Adesso pure tu ti ci metti, eh!», protestò lui, forse un briciolo più calmo.
«Dai, Ron, come potevo aspettarvi se stamattina Hermione … » e approfittai del momento per raccontargli di quella mattina e della spiccata simpatia di Percy nei miei confronti. Ron smise all'istante di lamentarsi con me. «Avrebbe dovuto aiutarci, quel maledetto idiota», sbottò arrabbiato. «E dire che era tanto fiero di fare il Prefetto … aspetta che lo sappiano Fred e George; probabilmente tenteranno di soffocarlo con gli stracci».
«Non sapevo che i Prefetti dovessero pulire il Dormitorio», disse sorpreso Harry.
«Sarà un nuovo compito che hanno assegnato quest'anno», grugnì Ron.
«No, Ron, non devono», mugugnai io. «Proprio lui ieri sera mi ha elencato i compiti dei Prefetti, e non mi ha mica detto che dovevano sfacchinare per pulire il Dormitorio, altrimenti non sarebbe stato tanto fiero di dirmi che lo era, no? Sono sicura che era solo un modo per buttarmi giù dal letto fuori orario».
«Ma allora se è così bisogna protestare!».
Sbuffai. «Sì, e a chi bisogna sporgere querela? A lui! Mi ha fregato».
«E ti fregherò ancora, Green, se non stai attenta a quello che fa la signorina Granger», mi interruppe in quel momento la professoressa McGranitt. Mi voltai verso di lei ed ebbi la sensazione di stare per essere incenerita dal suo sguardo. «Non me ne importa niente di quello che che avete da dirvi tu, Potter e Weasley, anche se vi stavate confidando in tono così alto che non mi stupirei se aveste intenzione di raccontare tutto anche a noi».
Evidentemente, nella foga della discussione ci eravamo dimenticati di sussurrare. «Ehm …», balbettai, dopo aver lanciato un'occhiataccia a Ron. «Io non credo che  … ».Volevo dirle che non credevo che la mia storia avesse riscontrato l'interesse di qualcuno in classe, ma provvidenzialmente in quel momento si sentì di nuovo quel verso acuto, che ci fece voltare entrambe verso la finestra; poi ci fu uno scoppiettio vicinissimo a me ed Hermione esultò.
Era, non si sa come, riuscita a far diventare d'argento il suo fiammifero, e gli aveva fatto apparire due punte alle estremità. E la cosa più bella era che io non ero riuscita a vedere come avesse fatto, ma la McGranitt non avrebbe potuto incolparmi perché in quel momento ero stata distratta proprio da lei.
Lei evidentemente lo capì, perché mi lanciò un'occhiata molto torva prima di affrettarsi a far vedere alla classe l'ottimo risultato di Hermione, gratificandola con un sorriso. Il suono della campanella subito dopo le impedì di proseguire il discorso con me; riuscì però benissimo ad assegnare a me, a Ron e a Harry il doppio dei compiti rispetto agli altri, notizia che accogliemmo con un rumoroso sbuffo. Avevo sperato che la scuola avesse contagiato con la sua magia e magnificenza anche i professori spingendoli a non darci compiti, ma purtroppo in questo Hogwarts era maledettamente simile alle scuole babbane. Anche se si trattava sempre di Trasfigurazione e non di qualche materia insulsa come Latino, gran parte del divertimento consisteva nell'usare la bacchetta, che a me era categoricamente proibita.
In particolare fu durante incantesimi, l'ora successiva, che sentii la mancanza della bacchetta.
Infatti il professor Vitious era piccolo e grassottello e per arrivare alla cattedra per fare l'appello aveva impilato una decina di libri uno sopra l'altro; arrivato al nome di Harry, aveva fatto un salto di un metro per la sorpresa ed era ruzzolato giù. Ma invece di cascare pesantemente pesantemente, aveva creato dal nulla una gran montagna di cuscini in cui si era tuffato e su cui si era accomodato per continuare l'appello, guadagnandosi un fragoroso applauso da parte di tutta la classe e una grande invidia da parte mia. Quanto mi sarebbe piaciuto poterlo fare in Sala Comune, a casa mia o, ancora meglio, scaraventare una raffica di cuscini in testa a Percy!



Il resto della settimana percorse tra alti e bassi, ma non c'era niente da dire: era molto meglio che frequentare una banale scuola babbana. La professoressa Sinistra, insegnante di astronomia, passò mezz'ora della sua lezione a spiegarci cosa avremmo imparato nella sua materia - pareva interessante: i nomi delle stelle, i movimenti dei pianeti e le caratteristiche dei satelliti - e l'altra mezz'ora a spiegarci come si leggeva una carta stellare e a pulire maniacalmente il suo nuovo telescopio. Uscii talmente rintronata di stelle e stelline dopo quella lezione che arrivai tardi a Erbologia e fui sgridata dalla professoressa Sprite, che mi mise da sola a curare e potare una specie di grosso fungo viola di quattro metri, e così ci misi il doppio del tempo degli altri, che erano in coppia. Alla fine della lezione, mi scaraventai di corsa fuori dalla serra fino alla Sala Grande, perché quel giorno a pranzo c'erano le salsicce, solo per scoprire, arrivata al tavolo, che ero uscita tanto in fretta da dimenticare la borsa con tutti i libri, e così ci tornai per accorgermi che i fogli del compito di storia della magia che avrei dovuto portare l'ora seguente erano tutti unti e sporchi di terra. Se non altro la ramanzina del professor Ruf, l'unico fantasma tra gli insegnanti, mi avrebbe conciliato il sonno. Storia della magia era di gran lunga la materia che odiavo di più, sia perché Ruf era un sonnifero in forma umana, sia perché storia era appassionante come una gara di sottomarini. Già studiare la storia babbana per me era stato un supplizio per tutte le elementari, e solo grazie ad una recita teatrale sui romani ero riuscita a ricordarmi qualcosa su questo o quell'imperatore; ma cercare di imparare qualcosa sulla storia magica era una battaglia persa. Alla prima lezione avevo provato a stare attenta, ma dopo due secondi mi ero accorta che solo Hermione era in grado di resistere al suo potere con una raffica di pizzicotti, non di certo io; e quindi avevo passato un'ora o a chiacchierare con Harry - tanto Ruf era talmente abituato al disinteressamento degli studenti alla sua materia che non se ne curava - oppure con la testa accoccolata sulle braccia e gli occhi semichiusi, osservando con grande interesse una mosca volare e consolandomi che il giorno successivo avrei finalmente provato Difesa contro le Arti Oscure, che già a sentirla nominare mi sembrava una materia grandiosa.
Il giorno dopo, però, ero rimasta delusa. Il professor Raptor era quello con il turbante con cui avevo visto il professor Piton conversare, ma le sue lezioni non erano affatto quella gran figata che mi aspettavo. Lui non faceva altro che spiegare con voce molto terrorizzata di cosa avremmo dovuto parlare quell'anno, come se avesse preferito non saperlo, e ogni tanto faceva nomi di orride creature che potevano capitarci di fronte.

Ogni tanto raccontava delle basi delle arti oscure - secondo lui, bastava conoscere il pericolo - ma il tremolio continuo della sua voce rendeva difficile ogni comprensione e scatenava risolini soffocati per tutta l'ora. Fu l'unica materia per cui non vedevo l'ora che arrivasse la settimana babbana, perché con Raptor avrei studiato Matematica e Scienze, e io le adoravo.
Il Venerdì fu un giorno molto importante per me. Finalmente ero riuscita ad arrivare in tempo per mangiarmi almeno due brioche senza perdermi neanche una volta, e arrivata a colazione, Hermione mi informò che ci aspettavano due ore di Pozioni con i Serpeverde. L'idea di rivedere di nuovo Draco nella mia classe non mi piacque affatto, e non ero l'unica a essere preoccupata.
«Piton è il direttore della casa di Serpeverde», spiegò Ron quando gli chiesi il motivo della sua espressione sgomenta, «e dicono che favorisca enormemente la sua casa rispetto alle altre. Sai, punti in più a caso, penalizzazioni per altre case e robe del genere».
«Beh, ora vedremo se è vero», dissi per consolarlo, «ma secondo me è soltanto brutta fama. Insomma, ogni aspetto dei Serpeverde sembra fare paura: il fantasma, il serpente nello stemma, Piton … magari in fondo sono tutte brave persone». Poi gettai un'occhiata al tavolo di Serpeverde e vidi Malfoy, Tiger e Goyle che ridevano sguaiatamente nel prendere in giro il gufo di una ragazzina di Tassorosso. «Molto in fondo», aggiunsi.

«Secondo me quelli di Serpeverde sono tutti degli idioti», intervenne un ragazzo dai capelli rossi che mi giunse alle spalle. Era più alto di Ron e - beh, sì, lo ammetto - più attraente, perché aveva quel cipiglio di chi è sicuro di saper fare qualunque cosa da solo, di cui Ron era privo. «Piacere, io sono Fred Weasley», aggiunse con un sorriso e mi tese la mano, mentre se ne avvicinava un altro identico. «E questo è George». Lo indicò.
Lui fece un cenno. «Sì, fidatevi, sono tutti delle cacchette di lumaca», aggiunse  poi. «In effetti è abbastanza rivoltante che abbiano vinto la coppa delle case per sette anni di fila».



«Non mi sorprende», mugugnò Ron. «Piton vi toglie … tipo … cento punti a testa ogni anno?».
«Solo perché respiriamo», precisò Fred. «Detesta i Grifondoro».
«È una cosa ingiusta!», protestò Hermione, seduta poco distante da me. «I professori non dovrebbero avere preferenze! La McGranitt non ne ha, per esempio».
«Sì, infatti ci ha sommersi di compiti anche se siamo Grifondoro», grugnì Ron. «Ogni tanto un po' di preferenze non sarebbero neanche male».
Hermione gli lanciò un'occhiataccia prima di alzarsi, che lui ricambiò. Quei due non andavano affatto d'accordo, e riuscivano a sopravvivere senza litigare tutti i giorni soltanto perché io avevo spiegato cinque volte a Ron che Hermione, quando non faceva l'altezzosa sapientona che lui tanto detestava, in realtà era disponibile, altruista e molto affidabile e che io mi trovavo bene con lei in dormitorio.
«Beh, comunque non credo sia esatto parlare di preferenze con Piton», spiegò Fred. «A lui non va a genio nessuno. Fa finta che gli piacciano quelli di Serpeverde perché è la sua casa, ma in realtà li guarda come guarderebbe un sacco pieno di cacca di drago». Poi lanciò un'occhiata a Tiger e Goyle. «Esattamente come farebbe qualunque persona di buon senso».
«Pozioni è difficile?», domandò Harry.
«Non più difficile di Trasfigurazioni, se si fa finta che Piton sia soltanto un brutto arazzo unto appeso al muro», disse George. «Ma quell'uomo mette soggezione. E per soggezione intendo che sarebbe capace di farti a fettine se sbagli un passaggio. Sempre che la pozione non lo faccia prima di lui, ovvio».
Se lo scopo dei gemelli era stato quello di rassicurarci, non ci erano riusciti: avevo un fastidioso gorgoglio allo stomaco che minacciava di farmi vomitare tutto quello che avevo appena mangiato dentro il calderone. Gettai un'occhiata spaventata all'orologio. «Ragazzi, che ne dite se ci muoviamo ad andare in classe? Non vorrei arrivare in ritardo il primo giorno, e voi?».
Ron ed Harry scattarono in piedi e Fred annuì, addentando una grossa fetta di formaggio. «Occhio a non farvi avvelenare!».
«Può succedere?», esclamò Ron terrorizzato, piantando i piedi a terra.
«Forse sì, se non ci sbrighiamo», gli sibilò Harry, spingendolo in avanti fino quasi a farlo cadere, e tutti e tre incominciammo a correre per andare in classe, che si trovava nei sotterranei.
Arrivammo - cosa inaudita - cinque minuti in anticipo e io ebbi l'istinto irrefrenabile di scappare da quella classe subito dopo esserci entrata. Faceva paura: grosse creature non bene identificate viscide e molli strisciavano dentro vasetti di vetro poggiati su una mensola attaccata alla parete, e un freddo glaciale penetrava da ogni spiffero. Non c'erano finestre, dato che ci trovavamo nei sotterranei, e non mi sarei stupita di veder spuntare da un angolo un mostro con sette braccia e la pelle viola a chiazze rosse, o qualcosa del genere. Ci fiondammo a cercare tre posti tutti vicini, nella speranza che un tavolo di legno mezzo marcio e un calderone ci potessero proteggere da Piton. Li trovammo, ma di fianco a uno dei posti era seduta Hermione; così Ron si catapultò su quello più distante da lei, e Harry si affrettò a sedersi alla sua destra. Così io presi il posto tra lui ed Hermione. Poi individuai Draco, Tiger e Goyle, seduti tutti intorno ad un calderone molto più vicino a Piton, che confabulavano tra loro. Avevano una strana aria soddisfatta.
«Quando Malfoy confabula, non è in arrivo niente di buono», setenziò Ron.
Subito dopo una porta sbatté e l'alta figura di Piton entrò in classe. Un improvviso silenziò calò su di noi: tutti dovevano aver sentito o captato l'aura di terrore che quell'uomo aveva sui suoi alunni. Il suo mantello nero svolazzò alle sue spalle e lui continuò a camminare fino al tavolino traballante che fungeva da cattedra, senza salutare nessuno. Poi si voltò e ci squadrò tutti uno ad uno, come a chiedersi chi avrebbe potuto torturare per primo.
«Non ci saranno sventolii di bacchette o stupidi incantesimi in questo corso, come tale». Le sue parole severe e concise erano poco più di un sussurro, ma non ce ne sfuggiva una. Il silenzio era totale, e neanche le mosche avevano il coraggio di ronzare. «Non mi aspetto che molti di voi apprezzino la sottile scienza e l'esatta arte di preparare pozioni, comunque ai pochi, scelti dal fato», e il suo sguardò scivolò velocemente su Malfoy, «che possiedono la predisposizione, io posso insegnare come stregare la mente, irretire i sensi; posso dire come imbottigliare la fama, approntare la gloria, finanche mettere un fermo alla morte».
Malfoy sorrise e diede di gomito ai suoi amici, che lo guardarono con grande ammirazione. Io stavo per farlo notare a Harry, ma mi accorsi che il mio amico stava prendendo appunti con grande attenzione, riportando lentamente e molto chiaramente le parole di Piton. Evidentemente ci teneva a non venire avvelenato. Per non disturbarlo, tornai a guardare Piton, che aveva volto lo sguardo pericolosamente verso di noi.

«Tuttavia», mormorò, «magari alcuni di voi sono venuti a Hogwarts in possesso di abilità così formidabili da sentirsi completi abbastanza da non prestare attenzione!».
Si interruppe, e ci fissò con insistenza. Ci misi qualche secondo a capire che si stava riferendo a Harry e lo colpii sul braccio. Lui smise all'istante di prendere appunti e rispose agli occhi di Piton con uno sguardo spavaldo. Lo sentii però deglutire.

«Signor Potter!», mormorò Piton con voce sarcasticamente riverente, accennando ad un inchino. «La nostra nuova celebrità».
Harry sostenne il suo sguardo, fissandolo dritto negli occhi. Ron guardò prima Harry, poi Piton, poi di nuovo Harry, e infine nascose la sua testa al sicuro tra le braccia.
«Dimmi, cosa ottengo se verso della radice di asfodelo in polvere in un infuso di artemisia?», domandò Piton all'improvviso.
Radice in polvere di che cosa, in un infuso di che cosa? Harry lanciò un'occhiata furtiva a Ron, [ii] accoccolato al banco, e a me, la cui espressione era sconcertata quanto la sua. La mano di Hermione, invece, era scattata in aria. [iii] Harry la guardò imbarazzato, poi guardò Piton con aria di scuse.
«Non lo sai?», borbottò lui, poi ghignò crudele. «Bene, riproviamo, dove guarderesti, Potter, se ti chiedessi di trovarmi un bezoar?».
Hermione alzò di nuovo la mano più in alto che poteva, ma quella volta Harry non la guardò neppure. «Non lo so, signore», disse.
«E qual è la differenza fra aconito e luparia?», incalzò Piton.
Quella volta, Hermione si alzò in piedi con la mano che spingeva per salire più in alto che poteva e con gli occhi imploranti. Avrei voluto sibilarle di smetterla: era chiaro che Piton non voleva sentire la sua risposta, altrimenti l'avrebbe già chiesta. Era solo una prova di perfidia nei confronti di Harry, il quale lo fissò di nuovo negli occhi. «Non lo so, signore».
Piton sorrise beffardo. «Peccato. È chiaro che la fama non è tutto, vero signor Potter?». Draco si unì al sorriso, voltandosi a guardarlo come se fosse tre metri più in alto rispetto a lui.
Forse fu quello a farlo scoppiare. «È chiaro che Hermione lo sa», disse tranquillamente. «È un peccato non chiederglielo».
Alcuni risero, Ron lo guardò ammirato, spuntando dalla sua tana improvvisata, ma Draco sussurrò qualcosa a Tiger, sorridendo.
«Silenzio», sibilò Piton lentamente, e tutti si zittirono all'istante.
Poi lui, dopo aver fissato Harry per due lunghissimi secondi, marciò fino al suo banco, senza smettere di guardarlo.



«Abbassa la mano, sciocchina», ordinò a Hermione, senza neanche degnarla di uno sguardo. «Per tua informazione, Potter, asfodelo e artemisia creano una pozione soporifera potentissima, il Distillato della morte vivente. Un bezoar è una pietra che si trova nella pancia delle capre e che salva da molti veleni. Riguardo all'aconito e alla luparia, sono la stessa pianta, chiamata con due nomi diversi. Ebbene … perché voi tutti non prendete appunti?».
Ci fu un tramestio improvviso in cerca di penne d'oca e pergamene [iv] e Piton finalmente distolse lo sguardo da Harry e tornò al suo registro. «Quelli di Grifondoro annotino che cinque punti verranno tolti alla loro casa», mormorò mellifluo, mentre Draco lo fissava estasiato. «Il loro compagno è irriverente».
Dopo quel breve scambiò, noi di Grifondoro ci fissammo tutti uno ad uno, terrorizzati, e poi Dean fece il segno della croce.
Dopo aver segnato i cinque punti in meno, Piton ci divise in coppie - io finii con Harry - e ci fece preparare insieme una pozione per curare i brufoli. Aprendo il libro, mi accorsi che pareva una preparazione abbastanza facile, così mi affrettai a pesare cinquanta grammi di ortiche secche, assicurandomi di non commettere errori, mentre Harry pestava tre zanne di serpente. Piton, intanto, vagava per i banchi, muovendo critiche praticamente a tutti tranne che a Malfoy, che sembrava piacergli. [v] Quando passò davanti al nostro tavolo, tornò a fissare Harry, il quale non alzò gli occhi dal suo calderone, e poi si volse a guardare me. Io avevo appena messo nel calderone le ortiche secche e, cercando di non distrarmi a guardare il professore, versai mezzo litro di acqua e accesi il fornello, regolando la fiamma.
«Bene, Green», mormorò Piton all'improvviso. «Brava».
Quasi feci scoppiare un incendio dalla sorpresa. «C-cosa?».
«L'intensità della fiamma è perfetta, e di solito questo è l'errore che tutti commettono», sussurrò lui. «Mi fa piacere che tu non l'abbia …». Un potente sibilo e una nuvola di fumo verde acido lo interruppero all'improvviso, e voltò la testa verso l'origine del problema.
«Che diavolo è … oh, dannazione, perché a me?».
Seguii il suo sguardo e mi accorsi che Neville, non si sapeva come, era riuscito a fondere il suo calderone con quello di Seamus, che era finito disgraziatamente in coppia con lui, e l'intruglio non ben definito che sarebbe dovuto essere la sua pozione ora colava per terra, corrodendo qualunque cosa incontrasse. In meno di due secondi tutti noi eravamo saliti sugli sgabelli meno Neville, che nel tentare di imitare la nostra prontezza, era scivolato ed era finito dritto dritto sulla pozione. Cacciò un urlo orripilante: grosse pustole rosse stavano incominciando a formarsi sulla sua pelle.
«Idiota», sbottò Piton. «Non c'era scritto chiaramente sul libro che dovevi aggiungere gli aculei di porcospino dopo aver tolto il calderone dal fuoco? Guarda cos'hai combinato!». Poi ordinò a Seamus di accompagnarlo in infermeria e dichiarò la lezione finita venti minuti prima del tempo. Questo significava sia che Neville non aveva ricevuto penalizzazioni per il suo errore, sia che potevamo accedere alle prime bistecche senza che venissero arraffate da quelli del settimo anno, che approfittavano della loro altezza e della lunghezza delle loro braccia per arraffare quelle che noi potevi primini non riuscivamo a raggiungere in tempo.
Camminando sulle sedie, tutti noi ci affrettammo ad uscire da quei sotterranei terrorizzanti, con la pancia che borbottava per la fame, ma prima che riuscissimo a scappare, Piton si rivolse a Harry. «E tu, Potter … perché non gli hai detto di non aggiungere gli aculei? Pensavi che se lui avesse sbagliato tu ti saresti messo in luce, vero? E questo è un altro punto in meno per i Grifondoro».
La cosa era così ingiusta - Harry era stato tutto il tempo vicino a me e non si era minimamente interessato a ciò che aveva combinato Neville - che lui aprì la bocca per ribattere, [vi] ma Ron gli tirò una gomitata alle costole che lo zittì all'istante, rischiando di farlo cadere in mezzo alla pozione. «Sappiamo che sei coraggioso, amico; non è il caso di farsi spennare. Potrebbe diventare molto cattivo, almeno così ho sentito io».
«Sempre che non lo sia già», commentò Harry cupo uscendo dalla classe.
 
 
[i] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 8.
[ii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 8.
[iii]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 8.
[iv]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 8.
[v]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 8.
[vi]J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 8.





*Angolino autrice*
Mi inchino, mi prostro, vi imploro il perdono per l'abnorme ritardo di questo capitolo.
Mi dicevo "no, dai, aspetto un'altra recensione e poi lo metto ..." e poi le recensioni sono magicamente diventate quattro, e quindi dovevo assolutamente metterlo!
Alle fine, incredibile ma vero, ce l'ho fatta! A parte questo, non ho assolutamente niente da dire che vi possa interessare, a parte che sono su Fidelius, ho aperto due discussioni da due settimane e nessuno mi ha ancora risposto. Grr! 
Dunque, se siete su Fidelius e siete Green Hydra (non so come e non so perché, ma sono finita lì), rispondetemi; e se siete degli aiutanti di accessori per il Quidditch, per piacere, rispondete!
Ah, altro messaggio: in questo periodo mi sto interessando molto a Photoshop e a Sony Vegas, sto divorando tutorials tu tutorials, quindi se non mi vedete molto spesso su EFP è perché sto cercando di imparare qualcosa! :)
Ringrazio per le 72 visulizzazioni del capitolo precedente e soprattutto le quattro persone che mi hanno recensito: Fleur Dolohov (che mi ha fatto venire un colpo nella sua recensione), emily132, Jinny2000 (io la adoro questa ragazza, senza la sua recensione non vado avanti :D) e The_Sound_Of_Rain (che so che non ha ispirazione, quindi facciamo una colletta per fargliela venire :D).
Bene, ho finito, ora me ne vado anche perché tra poco devo fare latino - me misera! Ciao!

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Capitolo 12
*** Ehi, sa volare! ***


Ehi, sa volare!
 




Passai tutto il viaggio verso la mensa a consolare il mio amico sul fatto che in fondo sarebbe riuscito a sopravvivere anche con il professor Piton che lo odiava, anche se dovetti ammettere anche io che era alquanto improbabile. Raggiungemmo la Sala Grande per il pranzo per primi, e io e Ron, dopo aver adocchiato una piccola montagna di salsicce, ci guardammo con aria di sfida.
«L'ultimo che arriva al tavolo è un bezoar!», urlò lui, e prese a correre.
Purtroppo era partito in anticipo, così non feci in tempo a raggiungerlo che aveva già rumorosamente divorato cinque salsicce di fila prima che potessi fermarlo, e non accennava a lasciarmene neanche una.
«Va bene!», esclamai esasperata mentre mi toglieva il piatto dalla mia portata. «Sono un bezoar, okay? Adesso mi dai le salsicce?».
Lui rise ma non mollò il piatto, e dovetti quasi ribaltarne un altro prima di riuscire ad acchiapparlo con la forza. Dopo che lo avevo ben agguantato, per niente al mondo gliel’avrei mollato; e queste furono le premesse per una sfiancante battaglia alle salsicce e a chi ne mangiava di più. Tutto questo, faccio notare, avvenne sotto gli occhi di Harry, che non sapeva se ridere o darci definitivamente per dei decerebrati, e di Hermione, che invece sapeva già perfettamente che scelta fare.
Mentre io e Ron eravamo impegnati a sfidarci, arrivò la posta.
Quel giorno quasi non mi importò, visto lo sforzo al quale mi stavo dedicando, ma il primo giorno ero rimasta con tanto d’occhi nel vedere all’improvviso un sacco di gufi, civette, barbagianni, assioli, allocchi sciamare all’interno delle finestre aperte, come se il loro senso dell’orientamento fosse andato completamente in tilt all’improvviso. La Sala Grande era tutto uno sbattere di ali, uno sventolare di piume, un fischio. Memore del film di Hitchcock[i], mi ero già coperta la testa con la borsa quando avevo visto Ron alzare lo sguardo dubbioso, in cerca di qualcosa. Poi mi aveva guardato. «Ma che diamine fai? Non avrai mica paura!».
«Ehm … è una cosa che succede spesso, questa?», avevo domandato.
«Menomale che succede!», aveva risposto lui, lasciandomi di stucco. «Pensa se succedesse una volta alla settimana … la Sala Grande sarebbe tanto piena di lettere da doverle infilare anche dentro le uova!».
La frase aveva fatto scoppiare a ridere Harry per un buon quarto d’ora, e solo quando ebbe finito di pulirsi dal cibo mezzo masticato che aveva sputato tra i singulti, fu in grado di raccontarcene il motivo: Ron aveva più o meno descritto la situazione che era successa a casa sua, quando i suoi zii non accennavano a fargli leggere la lettera di ammissione per Hogwarts. Al racconto, al contrario di Ron – che se la rise beatamente – sorrisi ma non mi misi a ridere, anche per rispetto nei confronti del mio amico. In cambio, però, mi mangiai due salsicce, salendo in vantaggio nella competizione. Ero finalmente riuscita a ingaggiare una gara, e quindi niente avrebbe potuto fermarmi, in teoria; in pratica però no, perché malauguratamente per me arrivò un grosso barbagianni e si posò proprio sul piatto che custodivo gelosamente. Solo quando gli stette per dare una forchettata in testa, Ron si accorse della sua presenza, e ci vollero altri cinque minuti di occhiate torve da parte del rapace perché capisse che era suo.



«Non è il gufo di famiglia», spiegò lui, mentre prendeva in mano le sue lettere e il giornale che il barbagianni portava legati ad una zampa. «Il nostro me lo aspettavo stramazzato sul tavolo con la testa dentro una ciotola».
Il barbagianni chiurlò, offeso.
«No, in realtà Errol è rimasto nella guferia: era stanco morto quand’è arrivato, e ha rubato la tana a questo barbagianni», dissi io.
«Sì, è proprio tipico di lui», grugnì Ron, riprendendo a mangiare. Poi si bloccò, la forchetta a mezz’aria. «Ehi! Mi mancano delle salsicce! Ma tu bari!».
Non feci in tempo a dire che avevo solo usato bene il mio tempo che notai che anche Harry si era bloccato, nella stessa posa di Ron. «Oddio, Ron, hanno pietrificato Har–».
«E tu come diamine fai a saperlo?», mi interruppe lui.
«Beh, non ti muovevi e …».
«Non quello! Come fai a sapere del gufo! E come fai a sapere che si chiama Errol?».
Rimasi pietrificata anche io – a quanto pareva, era il giorno degli stupori. Ma a differenza degli altri, dopo pochi secondi non mi distolsi dalla mia posizione, incapace di reagire – e, tra l’altro, felice di notare che Ron, al contrario di me, non mi stava fregando le salsicce dal piatto, perché anche lui si era accorto del problema. Effettivamente, scorrendo nella mia memoria, lui non aveva mai accennato alla cosa, altrimenti anche Harry l’avrebbe saputa. E allora io come diamine facevo a saperla? Eppure ero così certa di averla imparata da qualcuno, ad un certo punto …
«Ehm … magia?», provai, esitante.
«Anche io sono un mago, genia», ribatté Harry.
Giusto. Perspicace, Green.
Il barbagianni chiurlò di nuovo, visibilmente irritato.
E io mi illuminai: avevo capito tutto.
«Me l’ha detto lui, no?».
«No!», protestò Ron. «Io non te l’ho detto! Me lo ricorderei, altrim–».
«Non tu!», ribattei io. Stavo incominciando ad arrabbiarmi: volevano veramente darmi della cretina! «Il barbagianni!».
A quanto pareva, sì. Ero proprio cretina.
Calò un silenzio di tomba per cinque minuti buoni, durante il quale entrambi i miei amici continuavano a muovere le mascelle senza accorgersi di non avere niente in bocca; e io nel frattempo li guardavo, incerta. Avevo detto veramente qualcosa di sbagliato? Cioè, tra scale che si muovono, persone che passano attraverso i muri, topi che diventano gialli e cappelli parlanti, un barbagianni non poteva avermi detto qualcosa?
Alla fine fu Harry quello che riprese la parola per primo: «Lui … ti ha parlato?».
A quanto pare, no. I barbagianni non parlano. Ma come negare la verità? «Beh, ecco … se vogliamo proprio metterla su questo piano … sì». Lo sguardo che i due si scambiarono mi fece subito aggiungere: «Ma non l’ha fatto apposta, eh! Gli è venuto … spontaneo, diciamo».
Come se ciò che stavo dicendo potesse migliorare la situazione! Ora avevo pure ammesso di aver capito le circostanze del messaggio, come se ci fosse stato bisogno di un’ulteriore prova del mio errore! Ma davvero era così grave parlare con i barbagianni? Non mi sorprendeva che fossero sempre così arrabbiati.
Finalmente Ron si degnò di spiegarmi qualcosa. «Ecco … Sylvia, non so se lo sai, ma nel mondo dei maghi non è che sia proprio comunissimo che gli animali parlino agli umani».
Ah. Carino: quella volta in cui finalmente potevo assomigliare vagamente ad una maga, ero una pazza.
«No? Ma neanche un sussurro piccolo piccolo?».
«In generale si limitano a fare i loro versi», confermò lui.
 «Cioè, gli animali si dicono un sacco di cose e noi … voi … non ne percepite neanche una?».
Senza accorgermene, avevo alzato la voce e la mia indignazione aveva fatto voltare molte teste verso di noi. Mi si comprenda: avevo sempre desiderato poter capire i segreti degli uccellini quando cinguettavano.
Capitemi voi, perché Ron non lo fece. «Abbassa la voce, idiota!», sibilò, con una tale veemenza che mi sentii subito – un pochino – in colpa. «Non è proprio il caso di far sapere a tutti dopo una settimana che sei … uhm, cosa sei?».
«Una wimag», risposi automaticamente. «Cioè qualcosa di strano, complicato e ignoto. Cosa vuoi che importi agli altri?».
«Sì, ma io intendevo in senso un po’ più specifico».
«Allora una IUMA».
«Sarebbe?».
«Istituto Universale per Mediatori Animali».
Io e Ron ci guardammo alternativamente per dieci secondi netti, prima di scoppiare fragorosamente a ridere all’improvviso, tanto che Harry decise definitivamente di far finta di non conoscerci; ed Hermione e il barbagianni – che stava tra l’altro bellamente mangiando il mio pane – si voltarono simultaneamente a guardarci. Poi la prima scosse la testa e si alzò, forse per troncare di netto i sospetti per un’eventuale rapporto tra tali cervelli bacati e lei, mentre il secondo si spaventò, sputò un pezzo di mollica sul piatto – il mio piatto! – e riprese il volo, probabilmente ripromettendosi di non tornare mai più a quel tavolo. Nel momento preciso in cui staccò le zampe da terra, la professoressa McGranitt si avvicinò pericolosamente a noi tre seduti.
«Ehi, voi tre!», ci chiamò. Harry alzò la testa e io e Ron tacemmo simultaneamente – con fatica, devo ammetterlo – ma non sembrava arrabbiata con noi. Non più del solito, per lo meno. «Quando avete finito di ridere», e ci squadrò con aria di disapprovazione (tipico di lei), «vi ricordo che alle tre e mezza di oggi iniziano le lezioni di volo».
«Ah», fece Ron, continuando a sghignazzare.
Harry fu un po’ più riconoscente. «Grazie, professoressa».
«Grazie», ripetei io, prima di scoppiare in un nuovo accesso di risatine guardando Ron, che stava facendo chiaramente finta di parlare con un cucchiaino. E saremmo andati avanti per ore, se una voce altezzosa alla nostra sinistra non ci avesse interrotto.
«Quando avete finito di ridere, vedete di prestarmi un po’ di attenzione».
Fortunatamente non era di nuovo la professoressa McGranitt, ma Hermione: mentre noi ridevamo, quella Speedy Gonzales versione strega aveva trovato il tempo di andare in biblioteca e tornare, e ora reggeva un grosso libro dalla copertina lucida intitolato il Quidditch attraverso i secoli. Aveva un’aria interessante, ma non era da leggere durante una gara delle salsicce – che, ci tengo a precisare, non era ancora conclusa, anche se tutti sembravano essersene dimenticati!
Io e Ron guardammo storto il suo piatto, ancora mezzo pieno, ma io feci il terribile errore di annuire alle sue parole.
Non l’avessi mai fatto! Hermione partì come una furia a spiattellare l’uno dopo l’altro consigli e suggerimenti che aveva trovato su quel volume, che evidentemente era interessante ma non quanto le salsicce, e il bello era che c’era pure chi la stava a sentire: si trattava di Neville Paciock, il ragazzo che aveva perso il rospo il primo giorno, che ora aveva le sopracciglia aggrottate dalla concentrazione e le manine grassocce strette a pugno intorno ad uno strano oggettino sferico.
«Neville, cos’è quella cosa?», gli chiesi, approfittando di una pausa di Hermione per distrarci un po’.
«Una Ricordella», mi spiegò. «Nonna sa che dimentico sempre le cose … questa ti dice se c’è qualcosa che hai dimenticato di fare». Dato che anche Harry si era interessato – perché ogni cosa sarebbe stata più interessante di Hermione in quel momento – Neville sorrise e si impegnò di più a spiegare. «Non so quale meccanismo ci sia dentro, ma in pratica è così, guardate: uno la tiene stretta come sto facendo io ora, e se diventa rossa … oh». Il sorriso di Neville si incurvò in una smorfia, perché la Ricordella era appena diventata scarlatta. «… beh, vuol dire che hai dimenticato qualcosa … ».



Neville si stava sforzando di ricordare che cosa mai avesse dimenticato quando[ii] Hermione, seccata per essere stata interrotta, riprese la sua conferenza con più fervore di prima. Io, Harry e Ron ci alzammo contemporaneamente da tavola, perché perfino la fine del pasto era preferibile rispetto a una spiegazione come quella, ma Hermione si alzò con noi senza smettere di parlare (me misera!) e sarebbe andata avanti fino all’arrivo nel dormitorio se non avessimo fortunatamente incontrato Fred e George, che ci stavano andando come noi.
«Ehi, ragazzi! Ho sentito la McGranitt. Oggi iniziate volo, eh?», esclamò uno dei due.
«Sì», rispose Ron, lieto di interrompere Hermione. «E voi no?».
«Noi non ne abbiamo bisogno, fratellino», si vantò Fred – credo. «Facciamo già parte della squadra di Quidditch di Grifondoro, cosa ce ne facciamo di altre lezioni?».
«E poi», aggiunse – forse – George, «in realtà queste lezioni servono solo a vedere se potete permettervi di stare su una scopa, anche se quelle della scuola fanno abbastanza schifo, ma nel resto degli anni non ne fanno più».
Naturalmente mi avvilii subito. «Proprio una delle poche lezioni a cui posso partecipare!», mi lasciai sfuggire.
Ecco. L’avevo detto.
Io, Harry, Ron e Hermione stavamo seguendo l’esempio di Silente, che aveva rivelato la verità su di me soltanto a chi era strettamente legato alla faccenda: avevamo immaginato che l’attenzione del preside riguardasse la reputazione di Hogwarts e, dato che tutti e tre – quattro, contando Hermione – tenevamo alla nostra scuola, volevamo anche che non fosse screditata per colpa nostra – cioè mia.
In ogni caso, però, ormai era fatta, e neanche la dolorosa gomitata di Harry servì a rimangiarmi le parole. Così, dopo molti alibi a cui né Fred né George credettero, fui costretta a raccontare per filo e per segno wimag e compagnia bella, compresa la storia di Percy. La situazione comunque fu approvata anche da Harry e da Ron, che videro con gran soddisfazione la spiegazione di Hermione troncata per sempre.
Finii di raccontare alle tre meno un quarto, e il resto del tempo lo passammo a escogitare vendette tutti insieme contro di lui, con Hermione che ci ascoltava e che sembrava che stesse in continuazione trattenendosi per parlare. Probabilmente per proteggere Percy, ci disse Ron quando lo feci notare, e Harry fu d’accordo.
Alle tre e venticinque, dopo una lunga programmazione di come avremmo potuto convincere Percy a tuffarsi nel Lago Nero e a farsi stritolare dalla piovra gigante che ci viveva, finalmente Harry ebbe il buonsenso di guardare l’orologio e di ricordare a tutti noi che avevamo una lezione di volo a cui partecipare. Fred e George ci augurarono buona fortuna e finsero di andarsene a letto a riposarsi; ma poi tornarono indietro e, mentre Ron non guardava, lo spinsero a faccia in giù dal buco del ritratto.
«Giusto per prepararti psicologicamente alla caduta dalla scopa», ridacchiò Fred prima che Ron potesse lanciargli improperi.
La battuta del gemello, che avrebbe dovuto essere divertente, in realtà ebbe il solo risultato di renderci ancora più nervosi. Anche se sia Harry che io avevamo provato a non ridere quando avevamo visto Ron cadere come uno stoccafisso e invece ad aiutarlo come meglio potevamo, ora che Fred e George e possibili spintarelle erano fuori dalla nostra portata ci era tornata la paura. Ma più che la caduta dalla scopa – speravamo che l’insegnante di volo ci salvasse in tempo – il nostro timore era un altro. Anche se non lo dicemmo a voce alta, fui certa che almeno io e Harry stessimo pensando alla stessa cosa non appena passammo di nuovo nella Sala Grande, ora con i tavoli puliti e senza piatti (sigh!). Infatti fu proprio quando vedemmo lo stendardo dei Serpeverde appeso vicino al loro tavolo che lui commentò: «Proprio quello che ho sempre desiderato: rendermi ridicolo a cavallo di una scopa sotto gli occhi di Malfoy!»[iii].
«Non sai ancora se ti renderai veramente ridicolo», disse Ron con grande buonsenso, ma anche lui tremava un po’ all’idea. «Comunque, ho sempre sentito Malfoy vantarsi di quanto è bravo a giocare a Quidditch, ma scommetto che sono tutte balle».[iv]
«E poi», rincarai io, scendendo le scale per andare in cortile, «ci sono due casate oltre a noi e a loro; possibile che dobbiamo finire proprio con Serpeverde?».
«Sì, esatto», approvò Ron. «Non è detto che saremo con loro».
Ma a quanto pare era sottinteso: non appena raggiungemmo il cortile e ci unimmo al gruppo dei nostri compagni di Grifondoro, non potemmo fare a meno di notare che, intenti a esaminare le venti scope stese sull’erba, c’erano Malfoy, Tiger e Goyle. Ovviamente, Corvonero e Tassorosso sembrava non esistessero, quando dovevamo fare qualcosa di potenzialmente imbarazzante: sembrava fatto apposta. In particolare Malfoy, giusto per tranquillizzarci un po’, si stava vantando con Tiger e Goyle a voce molto alta delle sue incredibili imprese da bambino a cavalcioni della sua Comet Duecentosessanta, che finivano sempre con lui che sfuggiva per un pelo agli sguardi dei babbani a bordo di quegli strani aggeggi volanti che loro usano.
Evitai di urlargli che in generale gli aerei volavano ad altitudini tali per cui la pressione avrebbe potuto farlo secco in mezzo secondo, ma lo dissi a Ron, che probabilmente non lo sapeva, e lui mi guardò sorpreso.
«Ho sempre pensato di aver rischiato di andare a sbattere contro uno di loro, quella volta in cui sono salito sulla scopa di Charlie», spiegò a me e a Harry, che aveva sentito.
«Probabilmente era un elicottero», ipotizzò Harry.
Ron stava per chiedergli quale fosse la differenza, quando alle tre e mezzo precise arrivò la professoressa. Era bassa e in carne, con i capelli corti e grigi e gli occhi gialli e luminosi. Silente mi aveva detto che si chiamava Madama Bumb.
«Beh, cosa ci fate tutti sparpagliati?», sbraitò. «Prendete posto di fianco alle scope. Di corsa, muoversi!».
Immediatamente ci rendemmo conto che quello che aveva detto George era vero: le scope della scuola effettivamente facevano un po’ schifo. Sembravano piuttosto ramazze vecchie e sporche, usate da una casalinga per anni e anni per spazzare il pavimento, e i rametti che le formavano erano storti e mezzi spezzati. La mia aveva il manico un po’ scheggiato, quella di Seamus Finnegan aveva persino delle incisioni sul manico. A Neville, che era arrivato per ultimo, era toccata quella peggiore: emanava vagamente una puzza di legno marcio. Hermione, invece, dato che era stata probabilmente una delle prime ad arrivare, si era presa la migliore: sembrava quella meno consumata, dal manico quasi lucente, e i rametti erano tutti più o meno dritti. Doveva essere la più nuova.
«Stendete la mano destra sopra la vostra scopa», disse Madama Bumb di fronte a noi, «e dite su!».[v]
A Harry e – inaspettatamente – a me, la scopa saltò immediatamente in mano e quasi ci sfuggiva, come se non vedesse l’ora di spiccare il volo, ma poche altre seguirono il loro esempio. Quella di Hermione, che pure avrebbe dovuto volare di più della mia, rotolò un po’ e si fermò sui suoi piedi, mentre quella di Neville era rimasta ferma a terra, come se non avesse minimamente sentito la sua voce tremante. Evidentemente la riuscita di quel primo esercizio non dipendeva dalla qualità della scopa, ma dal tono di voce che si usava. Magari – ma ora avevo molto più timore ad azzardare ipotesi – le scope erano in grado di capire la determinazione nel dirlo. Come se sentissero che Neville aveva paura. Dopo che Harry fu d’accordo, provammo a dirlo a Ron, la cui scopa si era alzata a metà e poi era tornata giù; lui ci riprovò con voce più decisa – praticamente era come se stesse sentenziando un comandamento divino – e subito il manico gli finì dritto in faccia. Lui lo afferrò dopo che ebbe rimbalzato sul suo naso, massaggiandosene la punta. Malfoy rise alla scena. Lui aveva già in mano la scopa, ma non potevo testimoniare se l’avesse fatta salire a comando o se si fosse chinato di nascosto a prenderla. Quello, comunque, fu ciò che fece Neville dopo numerosi tentativi infruttuosi. Hermione, invece, non si era rassegnata, e dopo tre faticosi tentativi riuscì a ordinare la scopa a salire. Era una bella cosa scoprire che esisteva una materia per cui lei non fosse praticamente fatta apposta.
A quel punto, Madama Bumb mostrò a tutti come montare il manico di scopa senza scivolare verso il fondo, e poi passò in rassegna le file per correggere la presa[vi]. Sembrava che sia io che Harry ci fossimo seduti perfettamente sulla scopa d’istinto, mentre «Vorrà dire, signor Malfoy, che sono anni che usi la presa sbagliata! Il pollice va sopra le altre dita, non sotto; e non mi è difficile spiegarmi come tu sia quasi andato a sbattere contro un elicottero, visto che girare a sinistra è praticamente impossibile se tieni le mani in questo modo!». Ron ebbe solo una correzione – si sedeva troppo avanti – mentre con Neville la professoressa passò dieci minuti solo per convincerlo a mettersi a cavalcioni della scopa, perché il ragazzo non ne voleva sapere. Ci riuscì solo con un compromesso secondo il quale lei dovette ancorarlo a terra con le braccia e assicurarlo quattro volte che la scopa non prendeva il volo da sola, ma che era lui a governarla. L’idea sembrava terrorizzare ancora di più il ragazzo, che stava abbracciando il manico con tutta la forza che aveva, rischiando di farlo a pezzi ancora di più.
Alla fine di questa spiegazione ulteriore, Madama Bumb era molto più seccata. «Quando suonerò nel fischietto», gridò a tutti quanti, «con i piedi vi darete una spinta, forte. Tenete la scopa ben salda. Dopo che vi sarete sollevati di circa un metro, inclinatevi leggermente in avanti e ritoccherete terra. Al mio fischio: tre … due …».
Ma Neville, nervoso e sovreccitato com’era, nel timore di rimanere a terra, si diede la spinta prima ancora che il fischietto avesse sfiorato le labbra di Madama Bumb. [vii]



E fu una spinta incontrollata, causata dalla paura, che lo portò molto più in alto di circa un metro. Alzai lo sguardo seguendo l’ascesa, eccitata e spaventata insieme. Tre metri … sei metri …
Dovette arrivare ai dieci prima che la scopa si fermasse nel vuoto per qualche secondo; e poi … speravo che la scopa, oltre a sentire la sua paura, avesse anche il buon senso di galleggiare a mezz’aria, ma invece cadde rovinosamente a terra, facendo sbattere il suo manico e Neville, che nel frattempo vi si era avvinghiato, contro il prato del cortile. Contemporaneamente ad un urlo di dolore, si sentì distintamente un crack proveniente da un punto indistinto del ragazzo.
A quanto sembrava, la più grande nostra paura si era avverata, anche se non su di noi, e Madama Bumb non aveva avuto il tempo di intervenire. Si limitò ad avvicinarsi a Neville, che sembrava sull’orlo di una crisi di pianto, e a prendergli le mani tra le sue. «Polso rotto», bofonchiò. «Dai, su, alzati. E non frignare». Lo sollevò bruscamente, con forza, rimettendolo in piedi. Neville si reggeva in piedi a fatica, come se si fosse rotto anche tutte le ossa delle gambe, e aveva l’aria di voler scappare a gambe levate da quel cortile per non tornarci mai più.
«Dovete tenere i piedi saldamente a terra mentre accompagno il signor Paciock in infermeria», annunciò severamente la professoressa mentre si allontanava a passi svelti, reggendo Neville per la collottola. «Se becco una sola scopa per aria, chi la monta si ritroverà espulso da Hogwarts prima che riesca a dire Quidditch». E sparì.
Non appena Madama Bumb scomparve nel castello con Neville alle calcagna, iniziarono una serie di chiacchiere che prendevano in giro il povero ragazzo, come se io non sapessi perfettamente che ognuno di loro aveva temuto di fare la stessa sua figuraccia.
«Ma avete visto che incapace?».
«Che razza di stupido senza cervello».
«Quel gran salame che non è altro!».
«E quella scopa che continuava a volare!?».
«Poveretta, si stava stancando nel portare un peso come il suo!».
«E lo avete sentito?».
«Gne gne, sempre a piangere!».
«Che frignone incapace!»
Il più maligno tra loro era sicuramente Malfoy. Ora che Neville non poteva sentirlo e nessuno aveva il coraggio di prendere le sue difese, stava sputando tutte le brutte parole che gli venivano in mente su di lui, ed erano tante. In più, senza che Madama Bumb se ne fosse accorta, si era chinato e aveva raccolto da terra la Ricordella che Neville aveva perso nella caduta, e ora la stringeva tra le mani come un trofeo. Il vetro lavorato della pallina luccicava al sole mentre lui la teneva sollevata.
«Avete visto che faccia?», sghignazzo a voce molto alta. «Se avesse stretto questa, si sarebbe ricordato di cadere sulle chiappone!».
Tutti risero e lui, rinfrancato dal successo della battuta, rise con loro. E sarebbe andato avanti ancora per molto a dire altre brutte parole, forse peggiori, se non avesse sentito una voce arrabbiata alle sue spalle. «Dammi qua, Malfoy!».
Era Harry. Sia lui che Ron, insieme a me, avevano ascoltato le prese in giro dei Serpeverde senza sapere cosa dire per intimidirli – quando incominciavano a sfottere, era dura fermarli – ma ora Harry aveva raggiunto il limite. Tutti tacquero all’istante per godersi la scena.[viii] Era da un sacco di tempo che aspettavano uno scontro diretto. Loro come Harry e Draco, probabilmente.
«No», rispose Malfoy, arrogante. «La metterò in posto dove Paciock dovrà cercarsela». Si mise a cavalcioni della sua scopa e spiccò il volo. «Che ne dici del tetto?». Si fermò a circa tre metri da terra, guardandoci come se fossimo nullità. Purtroppo non aveva mentito: volava molto bene, in modo lineare e sicuro. «Cosa c’è, Potter? Pensi di non arrivarci?».
Harry fece per prendere la scopa, e ovviamente Hermione gli venne addosso prima che partisse. «No, Harry, non se ne parla!», gridò. «Madama Bumb l’ha vietato, e per di più non sai nemmeno volare!».
Lui non la guardò neanche: nella sua testa c’era solo la Ricordella e Malfoy, e niente avrebbe potuto fermarlo. Non appena spiccò il volo, dandosi una spinta con i piedi, vidi Ron incrociare le dita di nascosto, senza farsi vedere dai Serpeverde, e pensai che dovevo farlo anche io. Però, per qualche strana ragione, non ne sentivo il motivo. E quando vidi il mio amico dirigersi deciso verso Malfoy, capii perché: lì a mezz’aria, mentre saliva, con il vento che gli scompigliava i capelli e senza aver mai toccato prima una scopa volante in vita sua, lui sapeva perfettamente cosa fare, senza bisogno che io sperassi per lui. Senza bisogno di studiare o leggere il librone che Hermione aveva preso dalla biblioteca, conosceva i movimenti da fare d’istinto, come se glieli avessero inculcati nel cervello. Sapeva come sterzare, come accelerare e perfino come contrastare lo sbandamento leggermente a sinistra di cui Fred e George ci avevano avvertito. Sapeva come sistemarsi per favorire l’aerodinamicità e come salire ad altezze vertiginose senza scivolare a terra.  Non appena raggiunse Malfoy, mettendosi proprio davanti a lui, si levò un urlo di ammirazione da parte di tutti i Grifondoro – il più forte era il nostro, chiaramente – ed era del tutto giustificato. Harry volava bene come Malfoy, se non addirittura meglio. Con la sola differenza che, vivendo tra babbani, non aveva mai toccato una scopa.
L’unico problema in tutta questa faccenda era che io non avrei dovuto saperne assolutamente niente. Io avrei dovuto stare lì a sperare con Ron, sperando che non cadesse, e poi gridare ammirata e sollevata quando avevo notato che sapeva il fatto suo. E invece non avevo avuto paura per lui neanche per un secondo. Era come lo sapessi già … o meglio, come se avessi capito in contemporanea a Harry che era capace di andare sulla scopa.
E, a coronare il tutto, non era la prima volta che mi sembrava di essere nella sua testa.
Ma complimenti, Green. Ora leggi pure nel pensiero.
Stavo appena per iniziare a preoccuparmi della mia testa e delle pazzie che poteva fare quando sentii, forte e chiaro, le parole di Harry. In teoria non avrei dovuto udirle, data la lontananza. E invece no: mi rimbombarono nel cervello come se me le stesse urlando nei timpani. «Dammela, Malfoy, o ti butto giù da quella scopa!».
«Ah, sì?», rispose Malfoy con un ghigno che, però, non riusciva a dissimulare la sua preoccupazione.[ix] Non avrei dovuto sentire neanche quelle parole, ovviamente, ma era come se le udissi dall’orecchio di Harry: ben distinte, con tutte le sfumature di significato che il tono di voce lasciava intendere.
Prima di vedere quello che successe dopo, sentii nella mia mente che Harry aveva deciso di farlo. Non mi si chieda come.
Lui si piegò in avanti fino a quasi mettersi in orizzontale, afferrò saldamente il manico di scopa e diede un’accelerata tremenda verso la mano di Malfoy che ancora reggeva la Ricordella, e per poco non riuscì veramente a prenderla: Draco fece appena in tempo a scansarsi, e i suoi capelli superpettinati furono subito scompigliati dalla folata d’aria scatenata da Harry. Lui invertì bruscamente la rotta, fermandosi all’improvviso e girando di centottantagradi, e poi tornò di nuovo indietro, arrestandosi dietro Malfoy che, nel frattempo, si era voltato.
«Niente Tiger e Goyle a salvarti l’osso del collo quassù, eh?», lo apostrofò Harry[x] e, ancora una volta, io lo udii perfettamente.
Sembrò che a Malfoy fosse venuto in mente lo stesso pensiero.[xi] Il ragazzo ormai aveva capito che Harry volava molto meglio di lui.  E se avesse dato un’altra accelerata come quella, catapultandolo giù dalla scopa? Non sarebbe stato in grado di spostarsi, in quel caso. Così disse: «Facciamo a modo tuo, allora!», con la voce definitivamente preoccupata, e lanciò la Ricordella verso il tetto della scuola, molti metri più in là. Poi si diresse velocemente verso terra, senza nemmeno voltarsi indietro a vedere se Harry fosse riuscito a prenderla, ma questo Harry non lo vide.
Il ragazzo era totalmente concentrato verso la palla, che vedeva come al rallentatore sollevarsi in aria e poi sfrecciare a tutta velocità verso un muro di Hogwarts. Draco non aveva la forza necessaria per farla raggiungere il tetto, e la palla si stava dirigendo dritta dritta contro la finestra di un ufficio, non molto lontano dai nostri dormitori. Harry si chinò in avanti un’altra volta e diede una seconda accelerata puntando deciso verso il muro, il doppio più veloce della pallina, tanto veloce che confondeva il vento che gli fischiava nelle orecchie con le grida di tutti noi, rimasti a terra a guardare. Immaginai che Malfoy stesse rosicando, ma non potevo guardarlo neanche se avessi voluto: i miei occhi e il mio cervello, come se avessero una volontà tutta loro, si stavano concentrando sulla rincorsa di Harry e sulla velocità della Ricordella, che ora era sempre più vicina … ormai era a portata di mano … ma anche la finestra era vicina, troppo vicina, e ancora un poco e ci sarebbe andato contro … Harry allungò il braccio e …
La afferrò. Strinse forte la Ricordella poco prima di sfracellarsi contro il vetro, e poi senza quasi accorgersene fece una capriola su se stesso, ritornando perfettamente dritto e dando le spalle al muro. Ancora stava osservando la palla che teneva in mano, come se fosse un trofeo appena conquistato con fatica. E in effetti lo era. Se lo faceva rigirare tra le mani, tutto contento, un gigantesco sorriso di soddisfazione stampato sul volto. Sapeva di aver compiuto un’impresa eccezionale, incrementata anche dal fatto che non si era procurato neanche un livido piccolo così. Nessuno di noi sarebbe riuscito a imitarlo, o per lo meno non al primo anno. Forse neanche negli anni seguenti.
Con lo stesso sorriso ritornò come una scheggia indietro, reggendo la Ricordella con un braccio teso, e non appena atterrò io e Ron gli corremmo incontro per fargli i complimenti – Ron era rimasto letteralmente senza parole – ma …
Ma non avemmo il tempo di dire niente, perché c’era una persona dietro di noi.
L’ultima persona che avremmo voluto vedere in quel momento.
La professoressa McGranitt.

 
 
[i] Il film è Alfred Hitchcock, Gli Uccelli (The Birds), 1963.
[ii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iv] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[v] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[vi] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[vii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[viii] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[ix] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[x] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xi] J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.


 
*Angolino autrice*
Incredibile ma vero: dopo almeno sei mesi di ritardo, SylviaGreen ce l'ha fatta a pubblicare il capitolo!
Non so se devo aspettarmi applausi o pomodori :')
Comunque, siamo svelti: innanzitutto un ringraziamento speciale a The_Sound_Of_Rain, alias Lucilla, che è una mia grande amica e che ha trovato il tempo di leggere questo capitolo prima di voi anche se voleva fare un'altra cosa. Grazie Stregatto, ti adoro! (Preghiamo le muse per te perché abbia ispirazione!)
Secondo, devo assolutamente ringraziare le tre persone che mi hanno scritto la recensione al capitolo precedente: Fleur Dolohov (che ho scoperto che si chiama come me), Jinny_2000 (che ha iniziato una storia: andate a vederla!) e Emily132, che è invece solo lettrice ma molto accanita. Grazie, ragazze, grazie mille! 
E infine, l'ultimo ringraziamento a voi, che avete letto questo papiro fino a qui! Scusate la lunghezza (su Word sono cinque pagine) ma dovevo farlo così lungo, visto il ritardo con il quale lo invio :)
Ciao ciao e alla prossima!

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Capitolo 13
*** Ehi, anche io so volare! ***


 
Ehi, anche io so volare!
 


 
Avrei voluto urlare. Per avvisare Harry, per far tornare indietro il tempo in qualche modo, per impedire in qualunque maniera mi fosse possibile che lei non vedesse quello che aveva appena visto, per fare qualcosa, qualunque cosa fosse …
C’è sempre la speranza che in realtà non sia successo niente …
«Potter!», gridò la McGranitt, il panico e la rabbia nella voce, le labbra sottilissime. «Cosa diamine ti è saltato in mente, si può sapere?».
Come non detto.
Harry rimase paralizzato, la scopa stretta in una mano e la ricordella nell’altra. Il suo brusco atterraggio lo stava rapidamente portando alla realtà. «Io … professoressa …». La voce gli morì in gola: stava capendo il problema.
«Come osi …», sibilò lei, stringendo ancora di più la bocca. Era impossibile dire se fosse più arrabbiata o più spaventata. Non sapevo quale fosse peggio. «Avresti potuto romperti l’osso del collo … mai, da quando sono a Hogwarts …».
Lui continuava a tacere. Non aveva ancora mollato la scopa, e ora la stringeva come se fosse l’unica ancora di salvezza che avesse. La lenta realizzazione delle conseguenze di ciò che la sua impulsività lo aveva spinto a fare si poteva distinguere chiaramente nei suoi occhi e sulle nocche, che stavano diventando progressivamente bianche dallo sforzo di aggrapparsi alla scopa.
Nessuno parlava, e l’unico rumore nel cortile era il bubbolare lontano di un gufo, nella Foresta Proibita, probabilmente arrabbiato per essere stato svegliato da qualcosa. Tutti fissavano alternativamente la McGranitt e Harry, cercando di capire per primi quale sarebbe stata la prossima mossa di uno dei due; l’unica che guardava a terra, con un’irritante aria di chi la sa lunga, era Hermione. Come se la situazione non fosse stata abbastanza problematica, lei fissava l’erba accanto alla sua scopa con grande interesse, e mi sembrava quasi di vedere un sorrisetto minuscolo aleggiarle sul volto. Certo: non era lei quella che l’aveva fatta volare senza permesso, e non era lei quella che era rimasta a guardare mentre un suo compagno di casata lo faceva.
Ma non era l’unica che gioiva.
Draco Malfoy, alle spalle della professoressa McGranitt, stava dicendo qualcosa a Tiger e Goyle sottovoce.
Qualcosa che aveva tutta l’aria di essere divertente.
Reagii d’impulso. «Ma professoressa, è stato provocato!», esclamai.
Molti sbatterono le palpebre, sorpresi: non si aspettavano un tale risvolto nella situazione.
«Silenzio, Green», rispose la McGranitt senza neanche guardarmi. «Potter, seguimi».
Harry aveva appena incominciato a muovere la gamba destra che altre voci esplosero tra i Grifondoro: la mia richiesta era caduta nel vuoto, ma per lo meno aveva risvegliato qualcosa.
«Professoressa, Neville …».
«Taci, signorina Patil[i]».
«Non è stata colpa sua, professoressa …».
«Green, non ti avevo detto di smetterla?».
«Ma dico davvero …».
«Green, per favore …»
«Ma Malfoy …».
«Basta così, Weasley».[ii]
«Sì, però Malfoy …».
«Weasley, ti ho detto ‘basta così’», ripeté la McGranitt per la quinta volta.
Ormai avevo finito le risposte, e le sopracciglia della mia professoressa si stavano arcuando sempre di più in modo che suonava assai pericoloso, almeno ad una prima occhiata. Sembrava avere voglia di fulminarci tutti se solo uno avesse osato controbattere.
Si guardò intorno con quegli occhi fiammeggianti per qualche secondo, poi si rivolse di nuovo a Harry. «Avanti, Potter. Seguimi».
In tutto questo, lui era rimasto come paralizzato, ancora stretto alla sua scopa, ma non aveva provato a protestare. Doveva ormai aver capito l’antifona: io, Ron e Calì avremmo potuto andare avanti a implorare per ore, e non sarebbe successo comunque niente. Con sguardo sconsolato, lasciò la vecchia scopa dalla mano, che cadde con un tonfo sordo sul prato e il cui eco sembrò riecheggiare in tutto il cortile. Poi diede la ricordella a Ron con la richiesta muta di consegnarla a Neville – e di fargli pesare per circa qualche decennio quanto era costata la sua sbadataggine, mi promisi –, si stiracchiò un po’ le nocche e ci fece un cenno stanco con la mano. «Ci vediamo dopo», mimò con le labbra.
Dopo.
Mentre prendeva il treno che lo avrebbe riportato a Londra.
Poi ci voltò le spalle, e a testa alta seguì la professoressa McGranitt fuori dal cortile.
Probabilmente verso il suo ufficio. A seguire, verso quello di Silente.
E verso l’espulsione.
«Oh, madama Bumb! Ho bisogno di Potter per qualche minuto, ti spiace?».
La McGranitt si era fermata di scatto, e Harry, preso com’era dai suoi pensieri, le era quasi finito addosso: la professoressa di volo era appena tornata tutta trafelata dall’infermeria, con i corti capelli grigi scarmigliati, il mantello nero tutto storto e le mani bagnate, e stava venendo incontro alla McGranitt.
«Minerva!», esclamò, e la raggiunse quasi correndo. «Proprio te cercavo … Paciock, il signor Paciock si è fatto male durante la lezione, si è rotto il polso, ora è in infermeria … per la barba di Merlino, quanto può essere maldestro?». Nell’alzare gli occhi al cielo, incontrò lo sguardo della McGranitt; e dall’occhiata di fuoco che lei le rivolse, dovette capire che non le importava molto delle disavventure di Paciock su un manico di scopa, perché si affrettò ad accorgersi che la professoressa aveva Harry alle calcagna. «Oh, non dirmi che un altro lascia il cortile! Cosa diavolo è successo, Potter? Ti sei fatto male? Anche tu? Ma non avevo detto che dovevate tutti rimanere a terra? Non dovete giocare per la nazionale da qui a cinque minuti: che fretta avete tutti quanti di salire su queste dannate scope? Che poi funzionano anche male … probabilmente le vecchie Scopalinda funzionerebbero molto meglio, e sono anche di serie … e costano solo una quarantina di galeoni, perché nessuno dice a Silente che sarebbe una buona idea comprarle?».



«Mia cara Rolanda», la interruppe la McGranitt, «so bene quanto tu sia informata sulle scope e mi piacerebbe davvero ascoltarti, ma al momento devo …».
«Oh, certo che sono informata, e Silente farebbe bene a starmi a sentire, per una volta!», ribatté madama Bumb senza ascoltarla. «Scopalinda non produce grandi scope, questo ormai lo sanno tutti – la compagnia dei fratelli Ollerton era innovativa nel ’26, non ora – ma la 2 e la 3, che ormai risalgono a una sessantina d’anni fa, potrebbero anche andar bene per degli studenti che desiderano avvicinarsi per la prima volta ad una scopa, dato che hanno una buona capacità di curvare e sono state prodotte appositamente per uso sportivo, e poi …».
«Rolanda». Quella volta la McGranitt parlò con tono deciso, suscitando le risa di alcuni ragazzi intorno a me. «Ho bisogno di Potter per qualche minuto».
«Cosa?», rispose lei, ancora presa nel suo mondo di manici di scopa. «Cos– … ah, sì, va bene. Perché?». I suoi occhi indugiarono su Harry, passarono distrattamente sulla sua cicatrice e si spalancarono lentamente quando notò che aveva la divisa sporca di terra. Aveva capito. «Hai volato durante la lezione, vero?», esclamò. «Vi avevo detto di non farlo! Ma ti sei fatto male? Non dirmi che devo portare anche te in infermeria … ti prego, un altro proprio non lo reggo …».
La McGranitt intervenne prima che incominciasse un’altra tiritera. «No, neanche un graffio», disse con tono sbrigativo, trascinando Harry per un braccio, «ma ti spiegherò tutto dopo. Ora è fondamentale che ci avviamo … dai, Potter!».
Con Harry che minacciava di cadere sotto le spinte della McGranitt e questa che continuava a incitarlo per evitare che le chiacchiere di Madama Bumb li rallentassero di nuovo, i due scomparvero.
L’eco dei passi affrettati dei due nel corridoio si spense lentamente, e calò il silenzio per qualche secondo.
Solo ora che se n’era andato mi ero veramente resa conto della realtà.
Harry sarebbe stato espulso.
Dopo neanche un mese, sarebbe uscito dalla scuola per non farvi mai più ritorno.
Ron e io saremmo diventati dei maghi o una sottospecie di essi senza di lui, e nessuno dei due poteva fare qualcosa per impedirlo.
Sul momento mi era parso meraviglioso che Harry avesse difeso Neville recuperando la ricordella per lui, specialmente perché aveva fatto un figurone davanti a tutti i Serpeverde, Malfoy per primo; ma ora … ora che fissavo senza vederlo il punto in cui prima era lì a festeggiare con la ricordella stretta in pugno, mi chiedevo perché a lui.
E, per conseguenza, perché a me.
Harry era un mio amico. Il mio primo vero amico dopo undici anni di solitudine e di finzione. Era il primo ragazzo che avevo conosciuto a Hogwarts e la ragione prima e ultima per cui avevo deciso di venirci invece di restarmene tra i babbani. Era stato lui a incuriosirmi, lui ad avermi fatto trovare il carrello, lui che poi mi aveva incoraggiato ad attraversare quel binario.
Se ora mi trovavo in un cortile a Hogwarts e stringevo un manico di scopa volante al posto di una ramazza per pulire il pavimento di casa mia, sotto lo sguardo vigile della mia vicina di casa, era solo ed esclusivamente merito suo. Lui non aveva mai avuto veramente idea di quanto tutto questo significasse per me, e io non avevo mai trovato le parole giuste per dirglielo, specialmente perché temevo che, nel farlo, le mie guance sarebbero diventate di una fluorescente tonalità di fucsia che avrebbe svelato più di quanto io ero disposta a confessargli.
Quella paura in quel momento mi sembrava stupida e insensata. Credevo di avere anni a disposizione per parlargliene e per dimostrargli con i fatti, più che con i discorsi, cosa pensavo di lui; e invece lui era costretto a lasciare quella stessa scuola che con tanta determinazione mi aveva spinto a raggiungere.
E tutto questo perché aveva cercato di recuperare qualcosa che Neville aveva perso e che Malfoy aveva rubato.
Provai per un attimo a immaginarmi come mi sarei sentita se in quel momento mi avessero ordinato di andarmene da Hogwarts. Fortunatamente fu solo per un attimo, perché non credevo che avrei retto al colpo.
Harry era costretto a lasciare Hogwarts per colpa di Malfoy.
Io sarei rimasta senza Harry per colpa di Malfoy.
Non tutto era perduto, certo: sarei diventata una wimag coi fiocchi e avrei imparato tutto quello che lui non era riuscito a capire, per poi magari insegnarglielo; gli avrei scritto tutti i giorni, utilizzando tutti i gufi che sarei riuscita a convincere;  e poi ci sarebbe stato sempre Ron a farmi compagnia, e Hermione, che imparava molto più in fretta di me e che avrebbe potuto aiutarmi con le spiegazioni per Harry … e soprattutto avrei avuto un biondino apparentemente perfetto e curatissimo da fare in tanti pezzettini ventiquattr’ore su ventiquattro, in barba a qualunque cosa potesse provare per me il primo giorno. Con appena un po’ più di allegria, pregustai tutto quello che avrei potuto fargli per vendicarmi: spaccargli la faccia, come prima cosa; e farlo scivolare lungo dodici rampe di scale di fila, sperando che una di loro decidesse di spostarsi all’ultimo per farlo cadere nel vuoto; e costringerlo a farsi bersagliare da tutti i fantasmi in una volta; e … e …
Dopo una settimana, già lo sapevo, quel passatempo sarebbe venuto meno, o per mancanza di idee sulla nuova tortura, o per morte da parte del torturato. La soluzione era risparmiarlo – anche se l’idea mi faceva rizzare immediatamente i capelli in testa – oppure combinare un bel disastro che avesse molto a che fare con la sua permanenza in infermeria per qualche decennio davanti a tutta la scuola, così da farsi espellere seduta stante e poter raggiungere Harry, dovunque fosse in quel momento. Ammetto che nessuna delle due ipotesi mi allettava, perché sì, volevo molto bene a Harry, ma Hogwarts era Hogwarts.
La voce di Madama Bumb mi raggiunse come da molto lontano.
«Molto bene. Molto … bene. Molto bene».
Aveva un tono indecifrabile: un po’ un misto tra confusione, irritazione, spavento e isteria, senza una prevalenza effettiva di uno dei quattro sentimenti.
«Bene!».
La quarta volta, si era aggiunto anche il tipico tono da professoressa arrabbiata da non contraddire, che doveva aver preso dalla McGranitt. Fossi stata un pelo meno lucida, probabilmente avrei incominciato sin da subito a perseguire il mio obiettivo “facciamoci tutti espellere per salvare il-Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto”, ma considerato il tutto era meglio incominciare dal giorno dopo: poteva esserci comunque una minima possibilità che non venisse espulso. Dopotutto, madama Bumb si era sorpresa di vedere la McGranitt che trascinava via Harry, e quindi potevo addirittura azzardarmi a pensare che l’una non sapesse dei progetti dell’altra. O forse era solo una mera utopia.
Comunque sia, alle parole della professoressa alzai stancamente lo sguardo per fissarla, e la vidi che si aggirava irrequieta tra le nostre scope adagiate per terra, cercando di richiamare l’ordine. «Ricominciamo l’esercizio. E per piacere, cercate di non rompervi altre parti del corpo prima della fine dell’ora. Di corsa, muoversi!».
In quei due secondi, come risvegliati da una trance, tutti i miei compagni di Grifondoro e gli altri di Serpeverde erano riusciti a mettersi di fianco alle proprie scope, a dire velocemente «Su!» e a portarle alla suddetta posizione con una buona dose di imprecazioni in sostituzione della formula, o quel che era. Oltre a quello, però, non sembravano aver voglia di fare altro. La recente e probabile scomparsa di Harry pareva averli tutti pietrificati nella sua stessa ultima posizione: con le nocche bianchissime nello sforzo di tenersi alla scopa.
«Al mio fischio …», gridò Madama Bumb, che non si era accorta di nulla. « … Tre, due, uno …».



Fischiò per due secondi di fila, finendo il fiato e sputacchiando; ma nessuno si era ancora alzato in volo.
Ci guardò, sorpresa e incapace di credere che nessuno di noi avesse anche un solo neurone concentrato sulle sue parole.
Io mi ero completamente dimenticata di scopo e modalità dell’esercizio che aveva dato inizio a tutto quel casino, e ad essere sinceri non me ne importava assolutamente niente. Se la professoressa non fosse stata lì, con i suoi occhi gialli che mi inchiodavano sul posto; e se fosse stato permesso mandare allegramente a cagare un professore, in quel momento l’avrei fatto e avrei ricorso la McGranitt per tutta Hogwarts, urlando a squarciagola … avrei tirato giù metà quadri di Hogwarts, costringendola ad ascoltarmi … avrei tirato giù un putiferio e coinvolto metà del corpo insegnanti, il preside e alcuni fantasmi, ma lei non poteva espellere Harry, non poteva … e invece ero lì, apatica e senza vita, a rifare quello stesso esercizio che era stato la causa indiretta di tutto!
Madama Bumb si guardò un po’ in giro, analizzò velocemente gli studenti e dovette arrivare a dedurre che nessuno di noi si ricordava un granché dell’esercizio. «Ma cosa avrà fatto Potter di così eclatante?», sbottò all’improvviso.
Il mio cuore mancò un battito. E poi un altro. E un altro ancora.
Poi riprese a battere furiosamente, salendomi quasi in gola per ribadire la sua autorità e rischiando di uscire dalla bocca.
Il fatto che la professoressa, con voce molto seccata e con molte imprecazioni trattenute di mezzo, incominciasse a rispiegare tutto l’esercizio per filo e per segno, prendendo persino Malfoy come cavia, era assolutamente irrilevante.
L’unica cosa che aveva importanza in quel momento era che madama Bumb non era per niente al corrente dell’azione – che io chiamerei impresa se non fossi spudoratamente di parte – di Harry e delle sue conseguenze.
Il che significava che la McGranitt, qualunque cosa avesse visto, aveva fatto tutti i suoi ragionamenti per conto suo.
Il che significava ancora che probabilmente non conosceva la minaccia di espellere Harry da Hogwarts e che forse – ma solo forse – non aveva mai pensato di farlo.
Forse Harry non sarebbe stato espulso.
Forse io non dovevo necessariamente spaccare la faccia a Draco Malfoy nelle successive ventiquattro ore.
Forse non c’era la certezza, ma per lo meno c’era la speranza.
Lanciai un’occhiata raggiante a Ron; ma prima di farlo, mi accorsi che era talmente depresso che aveva alzato lo sguardo solo in quel momento dopo un’interessata analisi dei ciuffi d’erba vicino alle scope – i quali, nelle ultime ore, sembravano avere acquisito un particolare interesse per tutti – e che quindi probabilmente si sarebbe offeso, se io mi fossi rivolta a lui in quel momento con un viso così illuminato e gioioso. E non sia mai che Sylvia Green pecchi di tatto, o no?
In ogni caso, la mia mente, per la prima volta, si concentrò veramente sulle parole di madama Bumb.
«E non dimenticate che dovete salire di un metro. Non di più! Una leggera spinta, e il peso in avanti prima che scivoliate a terra. Tenete la scopa ben salda! E le ginocchia devono essere leggermente piegate, in modo da evitare bruschi ritorni al suolo! Esattamente così!». Afferrò Malfoy per le spalle e lo abbassò con una tale forza da farlo gemere silenziosamente per il dolore, mentre rimetteva a posto le rotule nell’articolazione e piegava le gambe. Sorridendo, cercai di memorizzare l’idea: avrei potuto replicarla, semmai si fosse presentata l’occasione.
«Spero che sia chiaro per tutti!», esclamò alla fine, dopo un quarto d’ora di spiegazione. Non si era mai dilungata tanto fino a quel momento e immaginai che l’ultima cosa che desiderasse in quel momento era un’ennesima gitarella in infermeria.
«Ora, pronti … al mio fischio!».
Malfoy sfuggì alla sua presa e riafferrò la sua scopa, mettendovisi a cavalcioni. Ron, mogio mogio, lo imitò; e tutti gli altri ragazzi fecero lo stesso, chi più e chi meno eccitato.
«Tre … due … uno …».
Montai anche io sulla scopa e strinsi il manico con tutta la forza che avevo: era dopotutto il primo volo, e io non volevo cadere da sei metri come Neville. Purtroppo tra le dita tenevo del legno talmente marcio che temevo che si modellasse e accartocciasse al mio tocco. Sperai che reggesse per il tempo rimanente della lezione.
Madama Bumb fischiò una seconda volta e io, come molti altri insieme a me, piegai le gambe e mi accinsi a darmi la spinta.
Tanto non voli, mi dissi improvvisamente mentre lo facevo.
Fui talmente sorpresa di me stessa da rimanere paralizzata un’altra volta.
Nonostante le rassicurazioni del Cappello, nonostante il fatto che seguissi lezioni metà magiche e metà babbane e nonostante tutto ciò che mi aveva detto Silente, una parte di me era ancora convinta che sarei rimasta a cavalcioni sulla scopa, saltellando come un coniglio paralitico, a guardare Ron volare senza poterlo raggiungere, e Harry, che volava benissimo senza aver mai preso lezioni da nessuno. La possibilità che venisse espulso mi colpì di nuovo con un pugno in pancia, e per un attimo contemplai di nuovo l’idea di farmi espellere apposta; ma alla fin fine tutto si riduceva al volere o no restare a Hogwarts, e se non ci fossero state altre complicazioni, non ci sarebbero stati dubbi sulla mia risposta a quel dilemma.
Risentii la voce di Silente, ovattata dal sonno che avevo quella sera: «A quanto mi è stato riferito dal professor Piton e da madama Bumb, non ti occorrono particolari capacità magiche per seguire queste lezioni». E quel giorno, Piton mi aveva fatto un complimento sulla mie esecuzione della pozione scaccia brufoli.
A ben vedere, quell’esercizio con la scopa era l’ultima, definitiva prova che non ero una babbana – o almeno non del tutto – e che avevo il diritto di frequentare Hogwarts più o meno come gli altri.
Mi chinai, feci due lunghi respiri profondi, e finalmente saltai.
E mi alzai in volo non appena i miei piedi lasciarono la terra.
Senza ritornare giù.
Con la felicità più estrema, mi accorsi che era una cosa che avrei saputo fare senza bisogno di studiare. Un po’ Harry me l’aveva insegnato nel suo primo tentativo, un po’ era come se il mio istinto stesso avesse la piena coscienza di quello che stava facendo e sapesse come dirigermi. E io, contro qualunque forza di gravità esistente, stavo fluttuando in aria, sempre più in alto. Nonostante il mio peso considerevole, viste le quantità di cibo che trangugiavo ogni volta che ne avevo l’occasione, mi sentivo leggerissima nell’aria, come una piuma sospinta dal vento; ma a differenza di questa, ero io a decidere dove andare, ed era la scopa ad eseguire. Il manico mezzo marcio rispondeva ai miei comandi e ai miei pensieri come una parte del mio corpo perfettamente efficiente.
Infatti ero talmente eccitata che stavo rischiando di salire di venti metri senza neanche rendermene conto.
A differenza sua, però, io sapevo cosa fare anche se non avevo ascoltato una parola tra quelle di madama Bumb. Avevo il controllo della mia scopa e sentivo che sarei scesa quando lo avessi voluto, quasi immediatamente.
Ma chi aveva voglia di scendere?
Avevo sempre desiderato volare, e da piccola Peter Pan mi aveva sempre affascinato per quella sua meravigliosa possibilità di spiccare il volo con un semplice salto; e ora che anche io potevo, seppur con un mezzo, imitarlo, non avevo nessuna intenzione di rimanere con i piedi per terra. Avrei potuto restare in aria per ore e non mi sarei stancata, mai.
«Ehi, Sylvia! Funziona! Ce la facciamo!».
In questa grande esaltazione, le parole di Ron si insinuarono nella mia testa come da molto lontano, come fosse stato il ticchettio di una sveglia mentre stavo ancora dormendo; ma lui non era affatto distante da me.
A ben vedere, era quasi a un metro di distanza.
Era più malfermo sulla scopa di me e si teneva con entrambe le mani e meno sicurezza, ma il peggio era passato: non era caduto. Non aveva e non avrebbe mai fatto la figuraccia di Neville, e non l’avrebbe raggiunto in infermeria.
Gli sorrisi; e per la prima volta da quando Harry se n’era andato, lui ricambiò. Era un sorriso debole e incerto, come se si sentisse in dovere di trattenerlo, ma non poteva fare a meno di esibire, in un impercettibile movimento delle labbra, quanto fosse felice e soddisfatto di se stesso; e io neanche.



Dall’alto, potevo vedere anche la situazione dei miei compagni di casata, e non se la stavano cavando molto male: Dean Thomas era alle calcagna di Ron, stringendosi talmente forte alla scopa che sembrava la volesse stritolare ma ostentando uno sguardo spavaldo tutto intorno e fulminando chiunque avesse anche solo la minima intenzione di prenderlo in giro; Hermione tentava di seguirlo a ruota, con la paura dell’altezza contrapposta al desiderio ardente di compiacere la professoressa, e per calmarsi stava stritolando il manico della sua scopa: il risultato era un buffo su e giù. Ron scoppiò in una risatina affrettata, guardandola mentre tentava disperatamente di rimanere alla stessa quota, e Seamus Finnegan, dal basso, lo guardò male: lui, a differenza di Hermione, non era riuscito nemmeno ad arrivare in alto, dato che la sua spinta non era stata abbastanza forte, e ora ci osservava con un misto di invidia e ammirazione. Pensai che fosse una gran fortuna per la sua autostima non sapere che persino una mezza babbana ci era riuscita prima di lui.
Per quanto riguarda i Serpeverde, gli unici ancora a terra erano Tiger e Goyle, che si sforzavano di attraversare con le gambe grassocce il manico di scopa per montarlo, e Draco Malfoy, che aveva appena finito di dire loro qualcosa di apparentemente molto divertente e ora stava salendo sulla sua scopa tenendola quasi verticale.
«Malfoy, non fare il gradasso!», gli urlò madama Bumb con tono leggermente isterico. «Tieni quella dannatissima scopa dritta, o finirai anche tu in infermeria!».
Lui ridacchiò e, in sella alla sua scopa, la guardò con quello che voleva essere un gentile stupore e che invece era sarcasmo e disprezzo. Poi, per tutta risposta, si diede una spinta talmente forte che si sollevò di dieci metri in un colpo solo, schizzando davanti a noi: Ron lo evitò per un soffio e Hermione si sottrasse dalla sua traiettoria solo perché la paura che le venisse addosso l’aveva fatta di nuovo scendere di mezzo metro.
«Per la barba di Merlino, Malfoy!», urlò di nuovo madama Bumb, imbufalita. «Torna subito giù!».
Lui sorrise nuovamente ed eseguì con una lentezza esasperante, un centimetro alla volta; e quando finalmente toccò terra, tentò di scendere dalla sua scopa mimando un inchino.
Fallendo miseramente, perché per poco non si tuffò di testa sul terreno e atterrò invece con il sedere, girandosi all’improvviso.
A quella vista, il sorriso incerto di Ron si allargò di nuovo e lui scoppiò in una tosse poco convincente. Io, molto meno delicata di lui, scoppiai a ridere nel vero senso della parola, e Hermione, contagiata, sorrise e risalì del mezzo metro che aveva perso prima.
Proprio mentre le sorridevo, cercando di incoraggiarla a raggiungermi …
Niente.
Era sparito tutto.
Ero improvvisamente diventata cieca e non vedevo più niente se non un nero opprimente intorno a me.
Non percepivo più la scopa sotto di me, non stavo più tenendo il suo manico; ed era come se stessi fluttuando dolcemente verso un’altra dimensione, in un altro universo … dopo poco avrei visto le stelle … sì, dovevano essere stelle, c’era della luce … si accendeva sempre più … ora era grande, vasta, come il sole … stava illuminando uno spazio chiuso … forse ero in un altro pianeta, ed ero una viaggiatrice dello spazio che andava a portare notizie alle altre civiltà …
Misi lentamente a fuoco lo spazio intorno a me.
C’erano mattoni a vista color terracotta intorno a me … un pavimento in pietra, che sentivo sotto i miei piedi … molti quadri appesi alle pareti, con vari personaggi che non riconobbi … e la luce, ecco la luce del giorno che illuminava tutto.
E improvvisamente mi accorsi che stavo camminando con passo affrettato in qualcosa che sembrava proprio … un corridoio.



Ma perché? Che scopo aveva?
Improvvisamente mi fermai. Non sapevo perché e non avevo la minima idea di quello che stesse accadendo. Dove mi trovavo? Chi stavo seguendo? Perché stavo seguendo qualcuno? Chi ero?
Davanti a me risuonò una voce, distorta dall’eco della strana visione.
«Mi scusi, professor Vitious, mi presta Baston per un attimo?».
Era la voce della McGranitt, eccitata come non l’avevo mai sentita prima d’ora. Ma a cosa le serviva un bastone? E perché era lì, e perché era con il professor Vitious? Aveva forse intenzione di picchiarmi? Come sapeva che ero lì con lei?
Come scoprii poco dopo, Baston era una persona. Più precisamente, era un ragazzo corpulento di circa sedici anni, dalle spalle larghe come quelle di un nuotatore e i capelli castano chiaro tagliati cortissimi, e me lo ritrovai nel campo visivo dopo che era uscito da una stanza.
Molto simile ad un’aula, in effetti.
Incominciavo ad avere una certa idea su quello che stava succedendo.
«Voi due, venite con me!», disse la voce della professoressa McGranitt, e poco dopo mi ritrovai a seguirla dietro un corridoio. Sentii che Baston mi guardava incuriosito, ma non osai fargli neanche una domanda.
«Qui dentro». La professoressa ci indicò una stanza – anche questa molto simile ad una classe, in effetti – che sarebbe stata vuota se non fosse stato per un essere trasparente molto simile ai fantasmi, con un buffo cappello a sonagli in testa e un sorrisetto furbo sul volto incorporeo, tutto intento a scrivere parolacce sulla lavagna.



«Fuori, Pix!», gli gridò la McGranitt con un tono che non ammetteva repliche. Lui si voltò, seccato per essere stato interrotto, e non appena riconobbe la professoressa, si accorse che non era il caso di controbattere. Così lanciò il gessetto in un cestino, facendolo risuonare rumorosamente con un’eco che rimbalzò per la stanza, e si dileguò attraverso una parete, imprecando. La McGranitt entrò altera nella stanza e si voltò a guardare me e Baston. Ogni traccia di severità sul suo volto era sparita.
«Potter, questo è Oliver Baston. Baston …», e qui sorrise raggiante, «ti ho trovato un Cercatore!».
Da perplesso che era, Baston divenne il ritratto della felicità; ma io quasi non me ne accorsi.
In un unico, formidabile istante, la McGranitt aveva dissolto tutti i miei dubbi in una volta e mi aveva resa la persona più felice di Hogwarts, e solo con un’unica, piccola parola di sei lettere.
Mi aveva chiamata Potter.
Non Green: Potter.
Il che significava solo una cosa: ero entrata nuovamente nella mente del mio amico.
In quel momento, mi trovavo nella testa di Harry, a Hogwarts, e avevo appena sentito i piani che la McGranitt aveva per lui.
Che non parlavano di espulsione.
Credo che avrei potuto toccare il soffitto della Sala Grande con un dito; tanto era come toccare il cielo. E avevo persino imparato a volare con la scopa: tempismo perfetto!
«Dice sul serio, professoressa?».
«Ci puoi giurare», rispose lei, risoluta. «Il ragazzo ha un talento naturale. Non ho mai visto niente di simile. Era la prima volta che salivi su una scopa, Potter?».[iii]
Io ed Harry annuimmo, entrambi sollevati per ragioni diverse. Io avevo voglia di saltellare per tutta Hogwarts e di gridare a tutto il mondo e anche alle altre galassie quanto fossi felice della novità, mentre Harry incominciava a credere che forse non l’avrebbero espulso e si sentiva più fermo sulle gambe.
Sì, beh, non è che fosse proprio sveglio e pronto di mente, ma potevo capirlo: anche io non sarei stata molto lucida, dopo aver passato un momento di terrore secondo il quale avrei rischiato di essere espulsa da Hogwarts.
«Ha afferrato quella palla con una mano sola, dopo una picchiata di quindici metri», continuò la professoressa McGranitt a Baston. «E non si è fatto neanche un graffio. Neanche Charlie Weasley ci sarebbe riuscito».
Ora Baston aveva l’aria di uno che vede all’improvviso realizzarsi tutti i suoi sogni.
«Hai mai visto una partita di Quidditch, Potter?», gli chiese, euforico.
«Baston è il capitano della squadra dei Grifondoro», spiegò la McGranitt[iv], compiaciuta.
«E ha anche la corporatura di un Cercatore», commentò Baston, girando intorno a Harry e osservandolo attentamente per valutarlo. «Leggero, veloce … dovremo procurargli una scopa decente, professoressa … una Nimbus Duemila o una Tornato Sette, direi».
«Parlerò con il professor Silente e vedremo di fare un’eccezione alla regola per gli studenti del primo anno. Sa il cielo se abbiamo bisogno di una squadra migliore di quella dell’anno scorso. I Serpeverde ci hanno stracciato nell’ultima partita … per settimane non ho avuto il coraggio di guardare in faccia Severus Piton …».[v]
Ero talmente interessata alla conversazione, come Harry, che quando qualcuno parlò, le sue frasi mi raggiunsero come da un’enorme distanza, insinuandosi lentamente nel mio cervello e facendosi strana tra i neuroni annodati.
«Green! Dove credi di andare? Torna subito qui! Sbrigati!».[vi]
Chi era? Cosa voleva? Ero in un corridoio di Hogwarts e impersonavo Harry, non dovevo tornare da nessuna parte …
Tentai esitante di muovere le gambe, forse per eseguire agli ordini.
E mi accorsi con orrore che non ero affatto nel corridoio.
Ero a cavalcioni di una scopa volante mezza scassata, ed ero a circa dieci metri di altezza. Più in alto di tutti gli altri.
Più in alto di quanto effettivamente doveva essere, in effetti.
Con una gran fatica, mentre ancora le parole della professoressa McGranitt mi risuonavano in testa come un buffo eco contrapposto alle parole di madama Bumb – perché era lei ad avermi richiamato, giusto? –, ricordai.
Inclinarsi leggermente in avanti.
Era quello che dovevo fare.
Strinsi saldamente la scopa tra le gambe e spostai il peso in avanti.
Il parco sparì di nuovo …
«Voglio che tu ce la metta tutta negli allenamenti, Potter, altrimenti potrei cambiare idea sul fatto di non punirti».[vii]
… sbattei le palpebre, decisa a concentrarmi. Dovevo restare nel cortile, almeno finché ci tenevo al mio collo.
Mi tenni aperti gli occhi con la mano e mi concentrai sulla discesa, mentre tutti gli altri mi guardavano. Per un attimo mi passò per la testa che cosa avrei potuto dire o fare mentre ero praticamente in trance, e poco mancò che non ci finissi di nuovo per la vergogna. In alternativa, ammirai – come molti altri prima di me – il ciuffo d’erba ormai vip, e me lo immaginai tirare fuori un cappellino con visiera e occhiali da sole e sorridere ai flash dei fotografi babbani.
Con questa buffa immagine, toccai terra e scesi dalla scopa.
Riflettendo sulla mia situazione fino a quel momento, tutto sommato non me l’ero cavata molto male. Sì, ero salita nove metri in più del dovuto come Malfoy e avevo rischiato di cadere di faccia per via di un’intromissione nei pensieri di un mio amico, ma per il resto ero andata bene. Più o meno.
Madama Bumb forse aveva supposto per un attimo che io fossi una totale incapace, dato che mi aveva visto andare così in alto e rimanere a tale quota per più tempo del previsto; ma dopo aver visto la mia discesa esemplare avrebbe dovuto ricredersi, per forza. Così io non sarei stata sgridata e avremmo vissuto tutti felici e contenti.
E fu in quel preciso momento che la McGranitt disse l’ultima frase fatidica a Harry.
«Tuo padre sarebbe stato orgoglioso: anche lui era un ottimo giocatore di Quidditch».[viii]



Un gran sorriso, contemporaneamente consapevole e inconsapevole, mi si dipinse in volto.
«Green, mi fa piacere che tu sia felice, ma ti ricordo che sei tornata a terra venti minuti in ritardo rispetto agli altri, quindi ti consiglio di stare attenta alla lezione».
Quella seconda volta, madama Bumb non ci mise molto a riportarmi con i piedi per terra.
La guardai come si guarda di solito la Spezzindue di turno. [ix] «Sì, mi scusi», mormorai a voce bassa.
Forse non mi aveva scusato proprio del tutto – in fondo i professori non perdonano mai gli studenti, e lo si vede dai voti finali – ma comunque era un dettaglio irrilevante e, come aveva detto George quelli che sembravano secoli prima, quella era la prima e ultima lezione di volo che avremmo mai frequentato a Hogwarts. Non era un gran problema, dopotutto.
L’esercizio successivo, che la professoressa spiegò in modo molto più conciso, consisteva nel fare il giro del cortile volando.
L’effetto fu immediato: Lavanda Brown, una ragazza dai riccioli biondi un po’ in carne, lasciò cadere la scopa che teneva in mano con un tonfo e si rifiutò categoricamente di farlo; Calì Patil, dai lineamenti asiatici e con i capelli neri, che stava sempre appiccicata a Lavanda, la imitò subito dopo con un risolino, facendosi prendere in giro dalle ragazze di Serpeverde; Hermione guardò alternativamente loro, madama Bumb e noi, e poi fece un lungo respiro e mise su una faccia che sarebbe dovuta essere convinta e determinata; Seamus Finnigan, quel ragazzo dai capelli color sabbia che non era riuscito a volare nell’esercizio precedente, si dichiarò sicuro e pronto, ma in realtà continuava a guardare il manico della sua scopa come se fosse fatto di spine lunghe dieci centimetri; Dean Thomas, l’amico di Seamus, dalla pelle scura e dai capelli ricci, restò praticamente indifferente.
La professoressa scrutò i recidivi per un momento – Lavanda Brown sembrava pronta ad affatturarla, se solo fosse stata capace di farlo – e decise che per la sua e loro incolumità era meglio lasciar perdere. Così acconsentì a farli accomodare su una panca che fece apparire lì vicino, facendosi riconsegnare le scope e senza assegnare nessun punto in meno a Grifondoro, con grande disappunto di Serpeverde. Non aveva neanche dato il via che Malfoy si offrì a fare l’esercizio per primo e, purtroppo, lo eseguì alla perfezione, facendo anche una piroetta all’atterraggio; madama Bumb non disse nulla, incerta se sgridarlo o complimentarsi con lui, e alla fine optò per lo sfogarsi con l’incapacità di Tiger e Goyle, il cui peso era talmente esagerato che rischiavano di rompere il manico. Ron, che venne chiamato subito dopo di loro, si sentì molto più insicuro di Malfoy – purtroppo aveva potuto constatare che lui, benché raccontasse un sacco di frottole, indubbiamente volava bene – ma se la cavò senza problemi di sorta, se si esclude il tremore incontrollato delle braccia e le orecchie che splendevano.
Non ce ne furono neanche quando io svolsi l’esercizio, subito dopo Hermione, il che dissipò i sospetti della professoressa sul fatto che io non stessi attenta e non fossi capace. Non ebbi squarci del pensiero di Harry – e sinceramente non potevo dire di esserne dispiaciuta, dato che questi avevano una particolare abilità nell’arrivare quando io ero meno pronta per riceverli – e l’unico evento degno di nota fu uno stridio infastidito di gufo proveniente dalla Foresta Proibita che aveva l’aria familiare: non l’avevo già sentito, prima? Non era stato un bubbolare ad aver squarciato il silenzio tra la McGranitt e Harry? E non era stato lo stesso bubbolare ad avermi distratto durante la lezione di trasfigurazione?
No, pensai subito dopo. Era diverso.
Inizialmente non me n’ero accorta, dato che ero troppo impegnata a vedere gli effetti sulla professoressa della mia distrazione, ma ora che avevo appurato di essere in grado di comprendere – almeno per sommi capi – gli animali, potevo dire qualcosa di più: nel primo caso, era seccato, come se fosse successo qualcosa che non voleva che succedesse; nel secondo caso, invece, era terrorizzato. Chi lo rendesse così e perché restava naturalmente un mistero.
Dopo che anche Blaise Zabini, un ragazzo di colore alto, dagli zigomi pronunciati e gli occhi lunghi e obliqui, ebbe svolto l’esercizio più o meno bene, madama Bumb spiegò l’ultimo: bisognava salire di cinque metri circa e poi ritornare indietro in una decorosa picchiata lenta, cercando di non spiaccicarsi contro il suolo. Non aveva neanche finito di parlare che Lavanda e Calì cacciarono un urlo in contemporanea prima di rendersi conto che erano esonerate; e mentre loro gridavano, tutti gli altri fecero un passo indietro talmente profondo che la professoressa si ritrovò con un metro di distanza da noi su tutti i fronti.
Madama Bumb decise di incominciare con uno studente alla volta e di convincerli personalmente: impiegò tanto di quel tempo a costringere Dean Thomas ed Hermione a montare sulla scopa – lei venne spinta sul manico praticamente di peso – che quando entrambi ebbero finito l’esercizio, il sole era già basso sull’orizzonte. Pansy Parkinson, una ragazza corpulenta dai lineamenti duri che stava sempre appiccicata a Draco Malfoy, rise sonoramente all’esibizione di Hermione, che si era praticamente messa a testa in giù sulla scopa per la picchiata, e per la paura di prendersi una capocciata contro il suolo aveva fatto una buffa capriola sul terreno che l’aveva fatta arrivare distesa su un lato con le braccia annodate alla scopa e ai capelli cespugliosi. Era molto arruffata quando si rialzò, ma fortunatamente viva e senza niente di rotto.
«Ti rendi conto?», mi sussurrò Ron, soddisfatto. «Abbiamo trovato qualcosa in cui non è capace!».
«Vorrei vedere te!», ribatté piccata Hermione, che si stava ancora risistemando i capelli.
Ron diventò tutto rosso, e Pansy rise anche a quello.
«Parkinson, vediamo te», la interruppe madama Bumb, e il ghigno le sparì dal volto mentre quello di Ron si allargò, «e dopo ci sarai tu, Weasley», aggiunse poi, e lui si agitò immediatamente.
A rincuorarlo fu la figura pessima di Pansy. Dato il suo peso, che era circa il doppio di quello di Hermione, non appena incominciò la picchiata tentando di mantenere un angolo di circa quarantacinque gradi, si inclinò inesorabilmente verso il basso fino a scendere quasi verticalmente. Le sue urla avrebbero svegliato una talpa a un chilometro sottoterra. Curiosamente, fu proprio il manico mezzo marcio della sua scopa a salvarla da un trauma cranico: all’ultimo momento, nel disperato tentativo di sopravvivere, lo inclinò talmente tanto da spezzarlo, e la forza dell’urto ribaltò la scopa nella direzione diametralmente opposta. La ragazza, che non se l’aspettava, perse la presa, scivolò all’indietro e cadde sul sedere, tra le risate generali.
Dopo una tale figura meschina, Ron non poteva che andare meglio; a dir la verità, però, non aveva bisogno di qualcuno peggio di lui subito prima per risaltare sugli altri. Era certamente un po’ malfermo sul manico: le braccia tremavano tanto da rischiare di spezzare anche lui il manico, e sulle sue orecchie si poteva cuocere un uovo sopra, da quanto erano paonazze; ma il momento cruciale – quello di stabilire l’angolo della retta rispetto al terreno lungo la quale sarebbe tornato – passò senza particolari difficoltà e atterrò più o meno parallelo al suolo. Era forse il primo a farlo decentemente.
Come c’era da aspettarsi, Malfoy si offrì di farlo subito dopo di lui e non sprecò il momento esibendosi in un’imitazione molto esagerata di Ron che si agitava sulla scopa, il quale sperò ardentemente che il manico andasse in pezzi come quello di Pansy. Purtroppo non accadde; anzi, con gran sfortuna, Malfoy eseguì l’esercizio alla perfezione, anche se il malumore di Ron fu attenuato dalla sgridata che Malfoy si beccò per aver fatto finta di cadere.



Dopo di lui, madama Bumb volle vedere me.
Il problema in realtà per me non era l’esercizio: Harry aveva già fatto una picchiata, e io sapevo di avere memorizzato, anche senza sapere come, la sua tecnica. Il vero fulcro della questione era un possibile squarcio della mente di Harry da un momento all’altro: se fosse arrivato mentre stavo scendendo, sarei caduta e mi sarei rotta l’osso del collo esattamente come aveva rischiato di fare la Parkinson. Era per questo che tremavo, mentre salivo sulla scopa.
Mi diedi la spinta e puntai verso l’alto, concentrandomi sul cielo azzurro. Due metri … tre metri … niente … quattro metri …
Ero arrivata, e ancora niente.
Mi fermai di botto e per un pelo non mi dimenticai di rimettere la scopa dritta e non scivolai al suolo.
Respira, Green, mi dissi. Ce la farai.
Afferrai il manico con entrambe le mani, puntai il ciuffo d’erba vip con cui ormai avevo una certa familiarità e spostai il peso in avanti, lentamente, controllando la discesa.
Quattro metri … tre metri … due metri e mezzo … incominciai a sollevare il manico per rimettermi dritta, spostando di poco il peso indietro … due metri … menomale che avevo imparato a sciare, perché altrimenti tutti quei cambiamenti di peso mi avrebbero fatto girare la testa … un metro e mezzo … stavo per scendere …
Eccolo.
L’avevo sentito di nuovo. Quello stridio.
Era addirittura più forte del battito del mio cuore.
E quella volta era veramente terrorizzato.
Ero talmente all’erta che misi un piede in fallo mentre scendevo, e per poco non ruzzolai a terra; all’ultimo momento, però, strinsi forte la scopa con tutta la forza che avevo e riuscii a rimanere in equilibrio. In qualche modo, scesi dalla scopa con disinvoltura,  cercando di nascondere la quasi caduta, e madama Bumb mi sorrise. Evidentemente non si era accorta di niente. «Bene, Green, ci siamo quasi», disse «Attenta solo a non prestare attenzione a tutto quello che succede intorno a te, e a concentrarti su quello che fai».
Sì, beh, se n’era accorta, ma era andata bene.
Questo voleva dire che per la prima volta da quando ero a Hogwarts avevo ricevuto nello stesso giorno ben due complimenti da parte dei professori su qualcosa che sapevo fare, e non che ascoltavo senza farlo. Non avevo mai avuto una media così alta.
E non solo: Tiger aveva appena spezzato la scopa che aveva usato Neville all’inizio, ed era caduto da quattro metri di altezza con un tonfo che aveva fatto rimbombare tutto il cortile e causato un mezzo terremoto; Goyle, nel tentativo maldestro di aiutarlo, si era ferito al dito mentre allungava una mano per sostenerlo; Millicent Bulstrode, un’altra robusta ragazza di Serpeverde dai capelli neri che faceva a gara con Pansy nell’idolatrare Malfoy, nel provare per ultima a eseguire l’esercizio, aveva rotto un’altra scopa nel darsi la spinta, e una scheggia di legno le era finita nel sedere, facendola ululare di dolore; e Harry non sarebbe stato espulso da Hogwarts.
Era una magnifica giornata, dopotutto.
La lezione finì dieci minuti dopo, con madama Bumb che esplodeva perché ora avrebbe dovuto portare qualcun altro in infermeria e con Malfoy che se ne andava con Pansy Parkinson e Millicent Bulstrode. Entrambe sembravano avere una tale foga nell’adularlo che c’era da sorprendersi se non era ancora stato spiaccicato da un abbraccio stritolante di una delle due, e in quel momento lui stava veramente rischiando la vita: stava parlando a proposito delle scope di Hogwarts che facevano schifo e che suo padre avrebbe dato di matto se l’avesse saputo, o qualcosa del genere, e Pansy Parkinson era assolutamente convinta che lui si stesse lamentando non perché era fatto così per natura, ma perché lei aveva rischiato la vita su una di quelle. Naturalmente Millicent aveva ancora il sedere dolorante, e quindi era altrettanto convinta che quello di Draco fosse un gesto dolce, e il risultato era che il suddetto ragazzo tanto gentile con loro rischiava di trasformarsi in una sottiletta da un momento all’altro.
Dopo essermi goduta quella meravigliosa scena, tornai con Ron verso il dormitorio dei Grifondoro. Entrambi eravamo soddisfatti della lezione – tutto sommato, potevamo considerarci i migliori, escluso Harry – e quando lui ci venne incontro in Sala Grande, il sorriso stupefatto di Ron migliorò ancora di più lo spettacolo. «Credevo ti avessero espulso!».
«Meglio!», esclamò lui. «Ora ti racconto …».
Finsi di essere molto interessata al racconto di Harry, anche se in realtà sapevo già tutto, e mi divertii segretamente un mondo a vedere Ron che passava dal meravigliato all’estasiato ad ogni singola parola dell’amico. Fred e George, che stavano passando in quel momento insieme a Lee Jordan – un loro amico dai capelli rasta e il sorriso smagliante, che aveva una fantasia per gli scherzi pari solo a quella dei gemelli – gli dissero che dovevano parlare un attimo con Harry e si aggiunsero silenziosamente al nostro gruppetto. Fred chiese con il labiale se Ron fosse caduto, e quando io negai strabuzzò gli occhi talmente tanto da rischiare di lanciarli in mano a George.
«Cercatore?», esclamò Ron alla fine della spiegazione di Harry. «Mai quelli del primo anno … Tu devi essere il più giovane giocatore della scuola da …».[x]
«Un secolo», completò Harry, soddisfatto. «Me l’ha detto Baston[xi]».
Ron era talmente stupito, talmente impressionato che non riusciva a staccare gli occhi da Harry e continuava a guardarlo a bocca aperta[xii]; non si era nemmeno accorto che i suoi fratelli si erano aggiunti a loro, e fece un discreto salto quando uno di loro iniziò a parlare.
«Complimenti», disse George a bassa voce. «Ce l’ha detto Baston. Anche noi siamo nella squadra: battitori[xiii]. Lui dice che sei la nostra arma segreta!»
Fred non ci lasciò il tempo di chiedere che cosa fossero i battitori. «Ve lo dico io, quest’anno la coppa del Quidditch la vinciamo noi», disse. «È da quando Charlie se n’è andato che non vinciamo più, ma la squadra stavolta promette bene. Devi essere proprio bravo, Harry: Baston stava praticamente saltando di gioia quando ce l’ha detto».



«Bene, ora dobbiamo andare. Lee Jordan è convinto di aver trovato un nuovo passaggio segreto per uscire dalla scuola».
«Scommetto che è quello dietro alla statua di Gregory il Viscido che abbiamo scoperto la prima settimana. Ciao!».[xiv]
I due erano appena scomparsi quando Harry si ricordò di una cosa. «A proposito di uscire da Hogwarts! Non ve l’ho detto: ho ricevuto una lettera da Hagrid mentre non c’eravate».
L’informazione mi colse di sorpresa, e aprii scioccamente la bocca per dire qualcosa, senza avere tuttavia le parole per dirlo. Avevo creduto di sapere tutto sugli eventi importanti che gli erano accaduti in quel pomeriggio: come mai non conoscevo quello?
Ron invece non era molto sorpreso. «Cosa dice?».
«Ci ha invitati a prendere il tè tutti insieme alle tre e mezza», rispose Harry, «ma non so se l’invito vale ancora … per qualche ragione, Edvige è arrivata in ritardo a consegnare la posta – me l’ha data neanche un’ora fa, quando sarebbe dovuta arrivare stamattina».
«Proviamo ad andare comunque», rispose Ron. «In fondo non ha ricevuto una tua risposta. Nel caso, sarà per un’altra volta».
Harry e io acconsentimmo senza parlare, e voltammo i tacchi, diretti da Hagrid.
Io non avevo ancora detto niente.
Ero troppo sorpresa: per quale motivo non avevo avuto il minimo squarcio che mi dicesse che era arrivata la lettera?
In pratica: come mai sapevo solo alcune cose e non altre?
La scelta era casuale oppure seguiva un criterio preciso?
E quale?

 
 


[i] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[ii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[iv] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[v] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[vi] Non so come mai: mi sembra una figata assurda fare la scala delle parole J
[vii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[viii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[ix] Scusate, dovevo fare questo riferimento a Matilde, di Roald Dahl (1988).
[x] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xi] Harry potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xiii] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.
[xiv] Harry Potter e la pietra filosofale, capitolo 9.






*Angolone autrice, perché dopo tre mesi ne succedono di cose!*
Okay, direi che l’avvertimento Movieverse sta andando allegramente a farsi fottere; ma Pix il Poltergeist deve esserci. Deve.
D’altronde, che ci posso fare se amo il libro e mi piacciono solo alcune delle modifiche del film? Quando arriverò (se arriverò) alla Camera, giuro che la farò tutta filo-libro. E così tutti gli altri, fino ai Doni. Ma allora – nel 2394 circa – vi sarete già stancati di me e mi odierete per la lentezza negli aggiornamenti, e quindi io morirò triste e sola in un angolino buio a piangere perché il ragazzo che mi piace a malapena mi saluta. Comunque bisogna dirlo: almeno è diverso da quello precedente, che non mi conosceva neanche. Sto facendo decisamente dei passi avanti nel mondo dell’amore!
Anyway … questo angolino si chiama NdA quindi teoricamente dovrei parlare della storia e non della mia vita alias puntata di Beautiful: quindi ecco qui.
Allora:
1. il capitolo 4 ha 474 visualizzazioni e il capitolo 1 ne ha 477, mentre quelli in mezzo molte di meno: devo ancora capire come questa cosa sia possibile, dato che la gente non può passare dall’1 al 4 e contemporaneamente capire qualcosa della storia. Qualcuno sa darmi una spiegazione?
2. Avviso a tutti quelli che vogliono prendersi i punti per aver recensito tutti i capitoli della storia che, se non vi tornano i conti, il capitolo 3 è senza recensioni. E si sente tanto solo e triste. Noo, questa non è una richiesta non propriamente implicita di recensire anche quel capitolo lì, quando mai!
3. Il capitolo 7 al momento ha 394 visualizzazioni e vi amo tutti per questo *__*
4. Dato che scrivo capitoli lunghi, secondo me non è una cattiva idea mettere le immagini, in modo che spezzino la narrazione e diano una piacevole distrazione. Voi cosa ne pensate?
5. Cosa faccio dell’avvertimento Movieverse? L’aggiunta di Pix e tutte quelle altre cose dei capitoli precedenti bastano a giustificare questa modifica, secondo voi?
6. Alle persone che hanno messo questa storia tra le seguite: volete che vi avvisi?
7. Sette, sette, sette, settee!
L’apparente pazzia di questa ultima parte non deve farvi necessariamente supporre che sia vostro dovere esorcizzarmi: basta andare a vedere codesto video  e calarsi nell’ottica di deficienza della sottoscritta per capire quasi tutto. E comunque Scottecs mi deve amare, dato che sto facendo pubblicità a questo video ovunque io lo ritenga necessario, cioè sempre e comunque.
 
Ah, vi avviso: tutte le ‘u’ che vedete in questo capitolo e in questo angolone sono state scritte per pura fortuna, dato che il tasto delle ‘u’ della mia tastiera del computer è in agonia e io lo rimetto al suo posto con una cura materna circa cinque volte al giorno. Piangiamo tutti insieme per questa perdita imminente.
 
L’angolone autrice continua con i ringraziamenti! Perché in due mesi il numero delle persone che mi seguono è aumentato, cosa che non credevo possibile, quindi vi ringrazio tuuutti quanti!
Questo tuuutti è stata una tortura per il tasto della u, che ora piange. Consoliamolo tutti insieme!
 
Dunque, procediamo con ordine:
 
Per le recensioni del capitolo precedente.
Brinza_1993, Jinny_2000, emily132, Fleur Dolohov.
Per aver messo questa storia tra le preferite:
Chibime88; DiaIlovemylife; emily132; erm159; HoraN_LEllA; Jinny_2000; The Sound Of Rain.
Per aver messo questa storia tra le ricordate:
emily132; erm159; valepassion95.
Per aver messo questa storia tra le seguite:
Brinza_1993; cris325; dubhealex; emily132; Fleur Dolohov; HoraN_LEllA; marika silente; Mary Evans; pippi94; valepassion95; vale_misty.
 
Voi non avete idea di quanto mi rendiate felice quando vedo quei numerini vicino a ‘gestisci le tue storie’. Mi sento la persona più fortunata del mondo. Specialmente dopo aver considerato che non aggiornavo da tre mesi.
 
Bene, ora passiamo finalmente a voi, cari lettori anonimi che avete letto questo capitolo!
Cosa ne pensate? Vi piace? Vi fa cagare? Vi ha liberato l’intestino?
Ditemelo in una recensione! Anche con bandierina arancione: se la critica aiuta a migliorare invece di offendere e basta, è bene accetta!
Ricordate sempre il messaggio di elyxyz:

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit
Dona l’8% del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede) 

Farete felice anche me, ve l’assicuro! ^_^
 
Dovrei aver finito. Così siete felici pure voi.
Sono leggermente logorroica e grafomane, ma cosa vogliamo farci? In tre mesi ne succedono, di cose!
Sì, questa dovrebbe essere una ragione in più per spingermi ad aggiornare più frequentemente. Lasciamo stare.
Ieri c’era un gigantesco arcobaleno dove vivo, e quindi ho passato metà pomeriggio a saltellare e a dire “Oggi c’è l’arcobaleno! C’è l’arcobaleno! C’è l’arcobalenooo!”. Spettacolo alquanto imbarazzante per chi mi stava intorno, ma non importa.
No, ora ho finito veramente.
Tanti arcobaleni a tutti quanti!

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