and then, we kissed

di yelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Short skirts. ***
Capitolo 2: *** Non riuscivo a svegliarti. ***
Capitolo 3: *** A shot at the night. ***
Capitolo 4: *** Kisses like summer rain. ***
Capitolo 5: *** Under pregnant skies she comes alive. ***



Capitolo 1
*** Short skirts. ***


Note: prima di una serie di OS legate insieme da un tema unico: il bacio. Questo non vuol dire che in ogni fanfiction ci siano effettivamente Oliver e Felicity che si baciano, ma comunque l'atto in sè rimane un soggetto della storia.
Questa prima storia può essere definita un missing moment della puntata 2x06, quindi avviso di SPOILER! per chi non è in pari con la programmazione americana.
Buona lettura!


 

1. Short skirts

 

“Oliver! Noi due dobbiamo parlare.”
Felicity si precipitò nell’ufficio del suo capo come una slavina, senza controllo, incurante degli uomini presenti nella stanza insieme a lui. Lo sguardo di Oliver sembrò scivolarle addosso senza che lei ne recepisse il messaggio di fondo.
“Felicity,” sospirò rivolgendosi a lei. “Come sicuramente avrai notato, in questo momento sono molto impegnato, non ho temp-…”
“Mr. Queen, è urgente. Ho davvero bisogno di lei!”
La guardò sconsolato mentre uno degli uomini presenti nella stanza faceva un qualche commento su come fosse meglio non negare il proprio aiuto a una bella bionda. Sentendosi incastrato, Oliver si alzò in piedi sospirando rumorosamente. La seguì fino in corridoio, quell’ampio stanzone dove chiunque di passaggio avrebbe potuto vederli e sentirli.
“Felic-…” iniziò a parlare, con l’intenzione di farle notare la mancanza di privacy del luogo, ma venne immediatamente e bruscamente interrotto dalla voce di lei e dal dito che andò a poggiarsi sulle sue labbra.
“Oliver…” sembrava trattenere a stento le parole mentre chiudeva gli occhi strizzando le palpebre in quel particolare modo che era tutto suo. “Lo sapevi che qui dentro pensano tutti che io e te andiamo a letto insieme?”
Sconcertato e un po’ infastidito, Oliver annuì frettolosamente, senza pensare. Felicity scattò.
Lo sapevi?! E non ti è passata per la mente l’idea che potessi essere interessata a saperlo? Ho appena fatto la figura della cretina con Marge, quella della fatturazione, hai presente? Mi ha appena chiesto dove sia andata a far accorciare le mie gonne e se secondo me una come lei può avere qualche speranza di poter venire a farti qualche richiesta! Oh, è stata molto poco subdola a riguardo, credimi.”
“Felicity, calmat-…”
“E NON DIRMI DI CALMARMI! Quella ha sottinteso che io abbia avuto questo lavoro perché abbia fatto del sesso con te, e tu non riesco a fare altro che dirmi di calmarmi?!”
In preda ad una crisi di nervi, Oliver la guardò gesticolare senza freni, muovendosi avanti e indietro nello spazio di fronte a lui, i tacchi che rimbombavano ad ogni passo sulla superficie lucida e pulita del pavimento.
“Aspettami qui,” le intimò, prima di voltarsi e sparire dalla sua vista.
Felicity rimase basita, immobile nel silenzio che seguì la sua sfuriata. Dopo qualche secondo, incerta sulle proprie gambe, si mosse verso il suo ufficio, ma Oliver arrivò all’improvviso a bloccarle la strada, l’espressione seria, l’incedere sicuro.
“Ti avevo detto di aspettarmi,” le disse mentre le passava accanto afferrandole un braccio e trascinandola con sé lungo il corridoio. Si fermarono davanti alle porte dell’ascensore.
La presa sul suo braccio era forte, decisa. Felicity avvertiva il calore emanarsi dalla propria pelle nel punto in cui poggiavano le dita di Oliver. Avrebbe voluto liberarsi, ma quell’improvviso mutismo la spaventava, lo sguardo tagliente le bloccava qualsiasi movimento. Si limitò a stargli accanto, immobile, mentre lui chiamava l’ascensore e la trascinava dentro appena le porte si aprirono. Una volta dentro cercò di allontanarsi da lui, per quanto possibile nello spazio angusto a lei concesso, ma la presa di lui glielo impedì. Rimase basita a guardare Oliver allungare la mano e spingere il pulsante che frenò la corsa della cabina.
“Che diav-…?”
Ma Oliver la mise a tacere. Non lasciandole alcuna via di fuga, le si avvicinò fino a che lei poté sentire il calore del suo corpo sprigionarsi a pochi centimetri da lei. Troppo pochi. Poggiò istintivamente le mani sul suo torace, per poi levarle nell’attimo immediatamente successivo cercando di nascondergli l'imbarazzo che stava comparendo sul proprio volto. Si mise a fissare intensamente i bottoni della sua camicia.
“È vero, lo sapevo. Lo sapevo sin dal nostro viaggio in Russia.”
“Che cos-…?!” Felicity dimenticò il proprio imbarazzo e tornò a guardarlo ad occhi spalancati.
“È stata Isabel a mettermi la pulce nell’orecchio. Una volta tornati a casa non è stato troppo complicato scoprire quanta verità ci fosse nelle sue parole. Mi dispiace non avertene parlato, sul serio, ma l’ho fatto semplicemente perché non volevo turbarti.”
“Oh. OH! Non volevi turbarmi?! E dove diavolo eri quando ne abbiamo parlato, settimane fa?! Sono venuta nel tuo ufficio espressamente per discutere il fatto che non avessi la minima intenzione di diventare il tuo tutto-fare, ma a te non è minimamente importato cosa io avessi da dire o quel che pensassi!” Strillava, con le parole che uscivano senza freni dalle labbra tinte di rosso. Gli occhi, di nuovo fissi sul volto di lui, fiammeggiavano di collera. “Te lo avevo detto, Oliver, che io non volevo finire per essere la segretaria di Mr. Queen, ma tu hai voluto ascoltarmi? No, ovvio che no! E ora ci ritroviamo ad essere al centro dei pettegolezzi di gente così stupida da pensare seriamente che io possa venire a letto con te per ottenere un lavoro per il quale sono eccessivamente qualificata! E tutto questo perché non hai voluto ascoltarmi! Perché non volevi perdere tempo a farti diciotto piani in ascensore! Perché sia mai che a Mr. Queen, amministratore delegato della Queen Consolidated, sia permesso utilizzare un dannato telefono! Quindi perdonami se non riesco a crederti quando dici che non volevi turbarmi!”
Il suo sguardo fu duro mentre scivolava su di lui, affilato come la rabbia che scaturiva dal suo corpo come lampi.
“Felicity, io…” Oliver allungò il braccio, ma si ritrovò incapace di terminare il gesto: la mano rimase a galleggiare nell’aria, priva di destinazione. Non osava toccarla. “Mi dispiace, io non volevo…”
“Oh, certo che no! Tu non vuoi mai ferire nessuno, eppure lo fai sempre! Le tue intenzioni sono sempre buone, ma riesci comunque a dire la cosa sbagliata, ogni volta. Questo tuo modo di fare mi dà sui nervi, non lo sopporto!”
Felicity video lo sconcerto negli occhi di lui. Era pronta a scommettere che non molte persone, nel corso della sua vita, gli si erano rivolte con quel tono, con quelle parole. E certamente non si aspettava quelle parole da lei. Non era troppo difficile immaginarlo, glielo si leggeva chiaramente in faccia.
“Felicity, fammi capire… hai interrotto un’importante riunione e mi hai trascinato fuori dal mio ufficio… per dirmi che sono uno stronzo?”
Il tono duro colse Felicity completamente alla sprovvista, facendola balbettare quando riaprì la bocca.
“Io… ehm, c-credo di sì?”
Un sorriso comparve sul volto di Oliver. Un sorriso che la fece infuriare.
“Stavo scherzando, Felicity. Non fare quella f-…”
Ma Oliver non riuscì a terminare la frase, l’occhiata di lei glielo impedì. Si sentì il volto in fiamme, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo. Schiaffo che lei sembrava assolutamente pronta a dargli.
La fissò negli occhi furenti incapace di distogliere lo sguardo. Gli prudevano le mani dalla voglia che aveva di toccarla. Non l'aveva mai avuta così vicina da sentire il suo profumo di donna arrivargli alle narici, inebriante.
Deglutì.
Si sentiva uno stupido.
All'improvviso prese una decisione. Le sue mani salirono al volto di lei, piegò la testa e poggiò le labbra su quelle di lei. Erano morbide, eccitanti, e si aprirono per lui.
Oliver sbatté le palpebre e l'immagine che gli scorreva davanti sfumò.
Non l'aveva baciata, e Felicity era ancora arrabbiata con lui. Gli dava le spalle, nascondendogli la faccia alla sua vista.
Rassegnato, schiacciò di nuovo il pulsante e attese che la cabina tornasse a muoversi.
I suoi occhi rimasero incatenati a lei mentre le porte si aprivano e lei scappava via da lui. E lui, stupido uomo qual era, non si preoccupò di inseguirla, di dirle in qualche modo che aveva torto, che si era sbagliata. Sapeva che non era così. Aveva invece colto nel segno, e lui era stato troppo stupido e troppo preso da sé stesso per capirlo in tempo, per porvi rimedio. Era lui che aveva sbagliato, lui che stava sbagliando ancora adesso. Perché l’unica cosa a cui riusciva a pensare mentre la guardava scomparire dietro l’angolo, oltre le porte, irraggiungibile, l’unica immagine che ora gli riempiva la mente era quella delle loro labbra unite nel bacio che aveva solo sognato.
Lei aveva ragione, lui era un imbecille, e l’unica cosa a cui non era riuscito a smettere di pensare nello spazio angusto della cabina era avvicinare il viso a quello di lei fino al punto di non ritorno, fino al punto in cui lei non avrebbe più avuto la possibilità di scostarsi, di negarsi. E baciarla.
Se solo lo avesse fatto. Se solo avesse avuto il coraggio. Che cosa ne sarebbe stato di lui?

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Capitolo 2
*** Non riuscivo a svegliarti. ***


2. Non riuscivo a svegliarti.


 
Felicity buttò le chiavi della macchina nella grande borsa che le appesantiva la spalla e appoggiò il telefono all'orecchio. Il numero dall'altra parte della cornetta squillava.
“Queen.”
“Oliver, sono Felicity.”
“Scusami,” lo sentì dire a chiunque si trovasse insieme a lui in quel momento. “Devo rispondere.” Qualche istante dopo era di nuovo in linea, e sembra piuttosto incazzato. “Felicity! Dove diavolo sei stata?! Ti ho telefonato dozzine di volte!”
“A dire il vero erano solamente sei, e giusto in questo momento sono fuori dal parcheggio. Arriverò in ufficio fra circa una quindicina di minuti.”
“sono curioso di sapere che tipo di persona ci mette 15 minuti a prendere un ascensore e salire al diciottesimo piano.”
“Una persona molto impegnata. Sul serio, Oliver, se la smett-...”
Ma Felicity non terminò mai la frase. Ad Oliver fu dato solamente di udire attraverso la cornetta lo stridio degli pneumatici e l'urlo di una voce sconosciuta. Grida, un urlo di dolore che era senz'altro di Felicity. E poi il nulla.
 
 
 
 
 
Felicity perse ogni cognizione del dove e del quando. Avvertì un corpo gettarlesi addosso da dietro, buttandola a terra in avanti sul marciapiede. Sentì le ginocchia e i palmi delle mani scorticarsi mentre tentava di frenare la caduta su cui non aveva però alcun tipo di controllo. Quando finalmente si fermò e alzò la testa, il tempo sembrò essersi fermato insieme a lei, carponi per terra. Si sentì come racchiusa in una bolla insonorizzata che la separava dallo sconosciuto il cui volto riempì improvvisamente la sua visuale. Vedeva le labbra dell'uomo muoversi, i suoi occhi guizzare sul suo volto con preoccupazione, ma al suo udito non arrivava suono di alcun genere. Strizzò gli occhi, ma nulla cambiò. La gente, improvvisamente assiepatasi intorno a lei, le afferrava le braccia, aiutandola a rialzarsi mentre lei cercava di sentire le parole che la circondavano. Una donna le porse gli occhiali persi durante la caduta e miracolosamente ancora intatti. Allungò la mano, e si accorse solo in quel momento di tremare. Un altro signore le porse la borsa; data la sua improvvisa leggerezza, era pronta a scommettere che metà del suo contenuto era sparso sul manto stradale.
Stordita, Felicity sbatté le palpebre e si voltò lentamente verso il punto della strada dove Diggle stava uscendo velocemente dalla propria macchina, gli occhi spalancati in un'espressione shockata e preoccupata.
“Che cosa è successo?” chiese lei rivolta a nessuno in particolare, la voce sottile e fragile, tremante come il resto di lei. Si accorse di vacillare sulle ginocchia. “Ho bisogno di sedermi.”
Le sconosciute mani che la reggevano la condussero ad un'enorme fioriera e la spinsero a sedervisi sul bordo. Il sole che puntava timido dalle nubi le scaldava la pelle fredda per lo shock.
Questa volta il viso che riempì il suo campo visivo le fu familiare. Diggle aveva perso l'espressione spaventata e ora la guardava con una calma che le trasmise attraverso il contatto delle mani poggiate sulle sue spalle.
“Stai bene?”
Lei aprì la bocca, ma nessun suono fu in grado di uscirne. Questa volta, però, non era l'udito il suo problema.
“Felicity? Dì qualcosa. Stai bene? Sei ferita? Devo chiamare un'ambulanza?”
Lei scosse la testa, non fidandosi del suo stesso corpo di riuscire a fare altro. Lui la esortò a parlare.
“No.” Scosse la testa, trasalendo al dolore che l'attraversò. “Sono un po' contusa, ma sto bene.”
“Non lo so,” intervenne lo sconosciuto che poco prima le aveva passato la borsetta. “È stata una brutta caduta... è sicura di sentirsi bene?”
“Certo! Ho solo la pelle un po' scorticata; ho bisogno di un kit di pronto soccorso, non di un ospedale con i loro dottori, e i camici, e i bisturi, e i ghigni nascosti dalle mascherine, e-”
“Felicity, per caso hai paura degli ospedali?”
“Io? No, Diggle, perché dovrei? Sono una persona adulta e coscienziosa che affronta ciò che le fa paura e lo trasforma in un punto di forza.”
“Okay,” sorrise lui. “Allora vieni, ti porto a casa.”
La gente riunita intorno a loro rimase a guardare mentre Diggle le porgeva la mano. Quando i loro palmi entrarono in contatto Felicity sobbalzò, completamente dimentica delle escoriazioni.
“Che cos'è successo?” Un poliziotto si fece strada fra la piccola folla e rivolse la propria attenzione su di lei. A rispondere, però, fu il primo uomo, quello che l'aveva spinta via.
“Era appena scesa dal marciapiede quando un'auto è arrivata sfrecciando e sbandando da dietro l'angolo. Sono piuttosto sicuro che il guidatore fosse ubriaco. Ho spinto la ragazza via dalla strada appena in tempo. Spero di non averle fatto troppo male, signorina,” aggiunse.
Felicity sollevò la testa sorridendogli, ancora spaventata. “Sto bene. Credo lei possa affermare con relativa sicurezza di avermi salvato la vita. Grazie.”
Aveva rischiato la vita. Il pensiero la colpì all'improvviso con violenza, accompagnata da un'ondata di nausea. Qualcuno che non avrebbe dovuto girare per le strade alla guida di una macchina l'aveva quasi messa sotto, c'era mancato davvero poco perché non avesse più potuto tornare al lavoro.
Oliver. Stava discutendo con Oliver quando quel tizio l'aveva spinta, e probabilmente aveva sentito tutto.
Deglutì, e prima di chiudere gli occhi scorse un movimento: qualcuno alla sua sinistra le porse una bottiglietta d'acqua, che afferrò con irruenza e tracannò in pochi sorsi. Sperò che il suo stomaco si calmasse.
“Dov'è il mio cellulare?”
 
 
 
 
 
Felicity?!” Oliver gridò il suo nome al telefono, ma non ebbe alcuna risposta. Solo rumori di fondo, voci stridule e lontane, passi e ancora grida. Si voltò e vide che qualcuno lo fissava, ma -che cosa curiosa- non ricordava né chi fosse né perché si trovasse lì.
“Mr. Queen? È tutto a posto?”
No, brutto idiota, avrebbe voluto rispondere, ma si limitò a correre fuori dall'ufficio per fermarsi davanti alle porte dell'ascensore. Al telefono aveva sentito lo stridio violento degli pneumatici interrompere bruscamente la voce di lei, poi grida, e ora il niente. Il telefono giaceva inerme e muto nel pugno della sua mano.
Si gettò nell'abitacolo appena le porte si aprirono, schiacciando il tasto del piano terra con furiosa impazienza. Mentre l'ascensore si muoveva, Oliver sembrava volersi muovere insieme ad esso per accelerarne la corsa. Incapace all'immobilità abbassò lo sguardo sullo schermo del cellulare e digitò il numero di Diggle. Avrebbe volentieri gettato l'affare per terra appena sentì la voce meccanica della segreteria telefonica, se solo in quell'esatto momento non si fossero riaperte le porte. Si lanciò fuori dall'abitacolo e corse per la hall, muovendosi preciso fra le persone che lo fissavano, confuse e probabilmente spaventate.
Mentre spingeva la porta a vetri dell'edificio si costrinse a respirare, a pensare. Davanti a lui non c'era niente, solo il traffico cittadino quotidiano.
Ma poi eccolo lì. Il campanello di gente a qualche dozzina di metri alla sua sinistra fu abbastanza indicativo di dove si trovasse Felicity. Si incamminò a passo troppo veloce, ma prima che potesse raggiungerla Diggle gli si parò davanti.
“Che cos'è successo?” gli chiese trafelato.
“Sta bene, Oliver. Ha solamente avuto la sfortuna di incrociare la strada con un ubriaco.”
“Alle nove di mattina?”
l'altro scrollò le spalle.
“È ferita?”
“Solo qualche graffio, niente di troppo serio. È un po' disorientata e contusa. Dice di non aver bisogno del pronto soccorso, ma credo ne sia semplicemente terrorizzata.”
“Te l'ha detto lei?”
“No, ma è piuttosto chiaro,” sorrise. “La guardia del palazzo è corsa dietro alla macchina, ma l'ha persa dopo poco. È riuscito a prenderne la targa, ma non a vedere chi era alla guida.”
“Okay, Diggle, grazie. Ora scusami, voglio vederla.”
 
 
 
 
 
Felicity trasalì quando la ragazza –che si era presentata come un'infermiera dello Starling General Hospital di nome Brenda– le tamponò i palmi delle mani con il disinfettante. Era ancora seduta sul bordo della fioriera, mentre la giovane era in ginocchio sul marciapiede accanto a lei. Diggle era apparentemente sparito, e dinanzi a lei v'erano ora nient'altro che volti a lei sconosciuti. Fino al momento in cui lui arrivò, e per la prima volta dopo tanto tempo si ritrovò muta davanti ai suoi occhi penetranti e al suo volto quasi severo. Avrebbe voluto essere in piedi al suo arrivo, ma le girava la testa e le gambe ancora non reggevano il suo peso. Lui s'inchinò dinanzi a lei fino al punto in cui quegli stessi occhi furono alla stessa altezza dei propri. Fissandoli ad una distanza così ravvicinata, si ritrovò ammutolita dall'intensità di quello sguardo. La vide scrutarla da capo a piedi e indugiare sulle sue mani che l'infermiera era ancora impegnata a fasciare.
“Sto bene,” si sentì in dovere di rassicurarlo. “Davvero, non mi sono fatta niente, mi disp-...”
“A me quelle non sembrano niente,” esclamò serio accennando alle sue mani.
“Sono solo graffi. Sul serio, Oliver, mi faccio di peggio con la carta quando sono impegnata con quelle tue maledette fotocopie.”
Rimasero in silenzio a fissarsi per qualche minuto, il cuore di Felicity incapace di calmare il proprio battito. E poi lui la colse completamente alla sprovvista, afferrandola per i gomiti e tirandola in piedi fino a stringerla a sé. Le passò le mani fra i capelli in un gesto che a lei sembrò casuale. La testa poggiava sul petto di lui, dove il cuore tuonava forte e veloce nel suo orecchio. Il contatto fu breve, fugace, ma intenso. Lui si scostò per primo, ma non si allontanò.
“Signore?” Un poliziotto si avvicinò per rivolgere la parola ad Oliver. Era giovane, ed apparentemente intimidito dal suo interlocutore.
“Agente, salve. Avete fermato lo sconosciuto?”
“Non ancora, ma abbiamo un testimone che ha preso la targa, mentre un altro ha visto la macchina nel momento in cui ha svoltato l'angolo e pensa di riuscire a fare un identikit della persona al volante.”
“Quindi non avete niente?” La voce di Oliver era dura. Sembrava quasi seccato dal giovane.
“Signore? Le ho appena d-...”
“So perfettamente cosa ha appena detto, agente, la ringrazio.”
“Oliver...” Diggle, comparso qualche istante prima accanto a loro, poggiò una mano sul braccio dell'amico con l'intento di calmarlo. L'altro rispose scansandosi ed allontanandosi. Diggle lo seguì.
“Oliver, che ne dici di darti una calmata?”
“Sono calmissimo,” rispose accelerando il passo.
“Credo sappiamo benissimo entrambi che non è vero. Hey!” Con un paio di balzi lo superò e gli si piantò davanti. “Rilassati, Oliver. Sta bene.”
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Okay, come preferisci,” sbuffò lui con malcelata ironia.
“Hai parlato con il tizio che l'ha spinta via?”
“Sì, è quello con la camicia blu che parla con la polizia. Non ha avuto il tempo di vedere alcunché.”
Oliver mugugnò un'affermazione incomprensibile prima di dargli le spalle e tornare da Felicity.
Non la guardò mentre stringeva la mano dell'agente che stava prendendo la sua deposizione. Era una donna giovane, con un cipiglio severo che dedicava a tutto il mondo, la bocca chiusa in un sorriso vuoto e senza angoli.
“Lei è un conoscente della signora?” gli chiese.
“Sono il suo datore di lavoro. Era al telefono con me quando... quando è successo.”
“Bene,” disse con tono dura che lasciava intendere che in realtà niente andasse bene. “Allora la lascio a lei. Ho preso la sua dichiarazione, e per il momento non c'è altro di cui abbiamo bisogno. Se troveremo il responsabile potremmo chiamarla in centrale per un identikit, ma per ora può tornarsene a casa.”
“La ringrazio, agente.”
La donna se ne andò senza alcun tipo di cenno verso di lui. Oliver si voltò ad incontrare lo sguardo di Felicity, ma gli occhi di lei erano chiusi. A causa dello shock, della stanchezza, o forse di entrambi, la ragazza era riversa sul sedile della macchina su cui la poliziotta l'aveva fatta accomodare per porle le sue domande. Dormiva, la guancia appoggiata sulla pelle calda del sedile, le gambe penzoloni dalla portiera aperta. Il vestito a fiori che indossava quel giorno era sgualcito , strappato nei punti dove il tessuto aveva attutito in modo infinitesimale la caduta. La guardò respirare, il volto disteso in una smorfia pacifica che cancellò la paura e lo spavento, e il peso dal suo cuore.
 
 
 
 
 
Felicity si svegliò di soprassalto, per passare dal sogno che stava facendo ad un incubo. Delle labbra sconosciute poggiavano sulle sue impedendole il respiro. Colta dal panico, si ritrasse e mulinò le braccia fendendo l'aria fino a incontrare qualcosa di caldo e duro, che colpì con il pugno chiuso con tutta la forza che riuscì a racimolare. Emanava un odore di cedro, e di pulito.
“Ahi!” bofonchiò lo sconosciuto prima di allontanarsi. Ovviamente era Oliver. Lo guardò allibita massaggiarsi la mascella. “Non pensavo potessi avere tanta forza nelle braccia.”
“Non farlo mai più!” disse lei, senza fiato. Lo guardava con sospetto, come fosse un cane appena rivoltatosi contro il padrone. “Dico sul serio. Mi hai spaventata a morte.” Si strinse le braccia al petto senza perdere l'aria sospettosa, e Oliver si sentì in colpa. Solo un po'.
“Mi dispiace,” le sussurrò, senza essere sicuro che davvero gli dispiacesse. “È solo che ti ho vista dormire, e...” si bloccò. “Stavi sognando, e io non riuscivo a svegliarti.”
lei si tocco le labbra con la punta delle dita, il suo smarrimento ormai sulla soglia della disperazione. “Quindi mi hai baciata.”
“E tu ti sei svegliata. Vieni, ti accompagno a casa.”
“Io non voglio andare a casa.”
“Ma ci andrai. Avanti,” la esortò afferrandole il braccio e tirandola in piedi. Felicity si divincolò.
“No!”
“Non fare la stupida, Felicity...” Ma Oliver si accorse in fretta della pessima scelta di parole utilizzata. Il risentimento di lei fu immediato, s'irradiava da lei come umidità del mattino sotto i raggi del sole caldo. “Non fare quella faccia, sai perfettamente quello che intendevo dire.”
“No, non lo so; perché non leggo nella mente e non ho la minima idea di cosa ti passi per la testa! E sia mai che Oliver Queen riesca a dire esattamente quello che pensa!”
“Felicity, che diavolo ti prende?”
“Niente! Sono sempre la solita, vecchia Felicity, che parla troppo, e balbetta, ed è sempre nervosa quando t-...” si bloccò fissando il proprio sguardo altrove.
“Quando cosa?”
“Niente. Non ha importanza.”
“Sei sotto shock. Devi riposare.”
“Se io sono sotto shock, che dire di te?!”
“Di me?”
“Mi hai baciata! E, sul serio, credo di non aver mai sentito una scusa più stupida della tua!”
Il sorriso di Oliver fu fugace, timido, ma non sfuggì alla vista di lei. “Felicity...”
“Non disturbarti, Oliver, lo so già,” lo anticipò lei, voltandogli le spalle ed incamminandosi lungo il marciapiede. Lui la seguì con espressione costernata.
“Che cosa sai, esattamente?”
Lei si fermò e lo fronteggiò. “Non fare finta di niente, non serve. So benissimo a cosa stai pensando.”
“Non avevamo appena deciso che non ne hai la minima idea?”
“Stai pensando 'ma chi diavolo me l'ha fatto fare di baciarla, ora sono costretto a starla a sentire mentre blatera cose senza senso che non capisco perché ho il quoziente intellettivo di un bambino di cinque anni'...”
“Sono abbastanza sicuro che non sia questo, ciò a cui sto pensando.”
“Sì, beh, ho parafrasato. Ma seriamente, Oliver, non c'è bisogno che dici nulla, te lo si legge in faccia.”
“Davvero? E, dimmi, in faccia mi si legge anche questo?” E pronunciate quelle parole, Oliver le circondò il volto con le mani e si chinò a baciarla per la seconda volta. Quando rialzò il viso gli occhi gli brillavano. “E ora lascia che ti riporti a casa.”
Felicity si lasciò guidare dalla mano di lui che stringeva la sua, per una volta incapace di trovare le parole.
 
 

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Capitolo 3
*** A shot at the night. ***


Note: ci tengo a precisare che questa fanfiction è una raccolta di one shot, indi per cui ogni singolo capitolo è slegato da quello che lo precede e da quello che lo segue. L'unico tema che ricorre e che lega le storie è quello del bacio.
Per quanto riguarda questo capitolo in particolare, si tratta di una song fic, il cui titolo e le cui lyrics arrivano dall'omonimo singolo dei Killers.
La storia può considerarsi AU, in quanto nello show abbiamo già visto che Felicity è soddisfatta detentrice di una mini rossa, quindi il fatto che in questa fanfiction prenda i mezzi è una distorsione di quanto abbiamo visto nel telefilm. Abbiate pazienza, mi è venuta l'idea della oneshot e ci sono andata a nozze, senza badare a certe quisquille XD
Credo di aver finito con le precisazioni, non mi resta che augurarvi una buona lettura!
ps: per il momento non ho altre one shot pronte da pubblicare (ne ho altre in lavorazione, che però pubblicherò come storie a sè stanti), quindi non so quando tornerò ad aggiornare questa raccolta. 




 

A shot at the night.


 
Once in a lifetime, the suffering of fools
To find our way home, to break in these palms
Once in a lifetime


Solo pochi millimetri impedivano alle loro mani di sfiorarsi. Felicity poteva quasi avvertire il calore delle dita di Oliver irradiarsi fino alle sue nel vuoto quasi impercettibile che le separava.
Erano praticamente soli sulla banchina, in attesa dell’arrivo del treno che li avrebbe riportati a casa. Si era ritrovata così spesso in quello stesso luogo, in quello stesso punto, e altrettante volte si era immaginata Oliver accanto a lei, che ora non sapeva cosa fare di sé stessa.
Aveva voglia di toccarlo.
Okay, aveva sempre voglia di toccarlo, ma mai come in quel momento aveva avvertito la pelle pizzicare nello sforzo di trattenere ogni movimento. Uno sforzo che le impediva persino di alzare lo sguardo sul volto di lui, che in ogni caso stava parlando al telefono e aveva di meglio da fare che preoccuparsi di lei.
No, in realtà era ingiusta. Se in quel momento si trovava lì insieme a lei era solamente perché lui stesso aveva insistito per accompagnarla a casa. Perché, fra tutti quelli che l’avevano preceduto, avesse scelto proprio quel giorno non le era dato capirlo. Ma era lì. In quel preciso istante era al suo fianco, e a lei era dato di fissare la sua bocca muoversi al ritmo delle parole che non riusciva a cogliere mentre si scioglievano nel freddo abbraccio della sera. Non poteva pensare un modo migliore per terminare la serata.
O meglio, ci riusciva. E senza nemmeno tanto sforzo, ma era piuttosto inutile forzare le barriere della fantasia quando sapeva che la realtà non avrebbe mai potuto avvicinarvisi. E lei si accontentava.
Più o meno.
Ma, oh!, era così dannatamente bello, anche sotto le luci artificiali e mal funzionanti che disegnavano ombre scure sul suo volto, facendolo assomigliare un po’ di più alla versione arcigna di sé stesso.


 
Give me a shot at the night
Give me a moment, some kinda mysterious
Give me a shot at the night


 
Solo in quell’istante Felicity si accorse che il viso di Oliver era girato verso di lei e che la bocca formulava parole che non raggiungevano il suo udito.
“Scusa, parlavi con me? Ero distratta.”
“Mi fissavi. Pensavo fosse un modo per rimproverarmi.”
“Di cosa? Hai fatto qualcosa di sbagliato?”
“Dimmelo tu. Pensavo ti desse fastidio il fatto che fossi ancora al telefono.”
“Oliver, sei l’amministratore delegato della Queen Consolidated. Non posso avercela con te solo perché fai il tuo lavoro.”
“Sei sicura?”
“Certo. Per chi diavolo mi prendi? Stavo semplicemente ammirando il paesaggio.” Sì, adesso si diceva così. Ammirare lo splendido paesaggio che era il suo corpo.
“Ed è di tuo gradimento?”
“Più di quanto tu possa immaginare.” Quand’è che, esattamente, era diventata così dannatamente sfacciata? Come faceva Oliver a non leggerle in faccia quello che stava pensando?
“Quindi è per questo che ti ostini a prendere i mezzi pubblici?”
“No, Oliver, mi ostino a prendere i mezzi perché sono comodi. Sai, non tutti noi mortali possiamo permetterci una macchina con autista o una tuta di pelle con cui correre per i tetti di Starling City. Che poi, se proprio vuoi saperlo, non so come tu faccia a saltare e a muoverti in quel modo quando sei vestito di pelle da capo a piedi. Te lo devo dire, quella divisa sembra dannatamente scomoda.”
“Va bene, Felicity, ho capito,” sorrise lui. “Non metterò più in discussione il tuo modo di viaggiare. E in ogni caso ti assicuro che il costume non è poi così fastidioso come può sembrare.”
“Non ci tengo comunque a provarlo, te lo lascio volentieri.”
“Peccato.”
Cosa?!, pensò.
“Cosa?” gli domandò.
“Niente.”


 
Once in a lifetime, the breaking of the roof
To find that our home, has long been a throne
Draw me a life line, ’cause honey I got nothing to lose


 
Non c’era più divertimento sul suo volto. Non un sorriso. Niente di niente. All’improvviso a Felicity fu dato di vedere i pensieri dell’uomo affollarsi dietro le sue iridi offuscate, tanto che aveva quasi l’impressione di poterli toccare se solo avesse allungato la mano.
“Oliver?”
“Sì?”
“Mi dispiace.”
Lui rimase in silenzio per qualche istante, come a voler soppesare la sua domanda, prima di aprire la bocca e chiederle: “Per che cosa?”
“Per quello che ti è successo. Sull’isola, intendo. Per quello che… ehm, per quello che hai passato.” Perché le parole facevano così fatica ad uscirle dalla bocca?
“Non ce n’è bisogno, Felicity. Sul serio.”
“Ma voglio farlo. A volte sono dura con te perché dimentico che ci sono cose che non conosco, ma questo non vuol dire che non siano mai esistite, e il fatto che siano cose che non posso neanche immaginar-…”
“È meglio così, Felicity,” la interruppe. “Te lo assicuro.”
“Ma io voglio capire… voglio sapere. Non voglio venire tagliata fuori solo perché mi ritieni troppo fragile per sopportare il peso di quello che hai da dire.”
“Felicity, ti prego. Possiamo parlare d’altro?”
“Lo vedi? Lo stai facendo proprio ora. Mi stai chiudendo fuori. Non sono così debole come tu sembri pensare, Oliver. Sul serio. Posso reggerlo.”
“Non lo metto in dubbio. Non mi sarei mai intrufolato nella tua macchina per chiederti aiuto, se non avessi creduto che fossi forte abbastanza.”
“E allora qual è il problema? Non ti fidi di me fino a questo punto?”
Ma la risposta dalla bocca di Oliver venne resa muta dal suono meccanico delle rotaie a riempire il vuoto fra i loro sguardi muti.
Inaspettatamente, lui colmò il vuoto fra i loro corpi e si chinò sul volto di lei, in modo che arrivassero quasi a sfiorarsi. Felicity fu così sorpresa di quella vicinanza così intima che si mosse all’indietro, ma lui le afferrò il braccio e le impedì il movimento.
“Vuoi davvero sapere perché non riesco a parlarti di quello che è successo sull’isola? Vuoi davvero sapere perché non voglio che tu mi faccia domande su quello?”
Lei spostò lo sguardo via da lui, spaventata e certa che Oliver in ogni caso non si aspettasse una risposta.
“Perché non voglio contaminarti con i miei ricordi.. voglio guardarti senza avere paura di quello che potrei scorgere nei tuoi occhi. Voglio poter parlare con qualc-… con te sapendoti ancora pura. Mi distruggerebbe sapere di essere la causa della tristezza e della pena nel tuo sguardo.”
Felicity seppe rispondere solo con il silenzio, incapace com’era di organizzare i pensieri che le ronzavano in testa.
Ma Oliver non sembrò in grado di reggere la mancanza di suoni e parole nell'aria. “Felicity, parlami.”
“Oliver... non puoi impedirmi di provare tristezza o qualsiasi altra cosa io voglia provare per quello che hai passato sull'isola, anche se tu ti ostini a non volerne mai parlare. È come se avessi in mano un pacchetto di Skittles e tu me lo portassi via dicendomi che mi fanno male e che potrei diventare grassa, perché non me ne importerebbe alcunché. Appena uscita di qui andrei a comprarmene altre 10 confezioni, chi se ne frega della dieta!”
“Tu non sei a dieta.”
“Lo so, ma non è questo il punto!”
“E allora qual è?”
“Non puoi proteggermi da qualcosa su cui non hai il controllo.”
“Certo che ce l'ho,” sussurrò lui, più a sé stesso che rivolto a lei, che rispose scuotendo la testa.
“No, Oliver. Mi dispiace, ma non puoi controllare tutto, e soprattutto non puoi controllare come io possa o debba sentirmi.”
“Non mi convincerai a raccontarti dell'isola.”
“Va bene,” rise. “Vorrà dire che sceglierò un altro motivo per alzarmi dal letto, la mattina.”


 
Look at my reflection in the mirror
Underneath the power of the light
Give me a shot at the night
I feel like I'm losing the fight


 
Fu nell'attimo successivo che il cuore di Felicity perse un battito e il suo mondo si fermò. Un calore che non s'irradiava dal suo corpo le circondò il viso, arrossandole le guance e la punta del naso. Erano le mani di Oliver che le cingevano il volto ora accaldato. Erano i suoi occhi che la inchiodarono al suolo senza possibilità di muoversi. Il suo cuore prese a battere all'impazzata, dettando il ritmo dei pensieri che, muti, le vorticavano in testa.
Quando le loro labbra si unirono il respirò le mancò. La percezione del mondo le mancò. L'unico cosa che in quell'istante esisteva erano le labbra di Oliver, calde, umide, poggiate gentilmente sulle sue. I suoi movimenti erano lenti, gentili. Quasi a chiedere il permesso. Lei glielo concesse aprendo la bocca e lasciandolo entrare. Gli occhi, spalancati nella sorpresa, vennero chiusi per assaporare il momento.
Profumava di un odore leggero, acre; un profumo di cedro, sudore e pulito. Sollevò le mani ad accarezzargli il viso; le dita incontrarono la sua barba che ne solleticò la punta. Circondata dal buio, la sua mente era completamente, assolutamente rivolta alla sorpresa e alla meraviglia di quel bacio inaspettato. La pressione di Oliver era gentile, delicata sulle sue labbra. Un lieve gemito che non sapeva venire da lei la rese partecipe delle sue stesse emozioni. Sopraffatta, si tirò indietro, ma le mani di lui glielo impedirono; la tennero ferma esattamente dov'era mentre il resto di lui continuava a baciarla. La gentilezza divenne urgenza, l'emozione si trasmise a lei nel tatto, nel respiro di lui sul proprio viso, nelle sue ciglia che le solleticavano la pelle sensibile. Comparvero denti, quelli di lui, che le morsero il labbro inferiore.
Quando fu ormai certa di aver perso la capacità di respirare le fu dato di sciogliersi da quell'istante , da quel contatto intimo quanto inaspettato. In quel momento il mondo tornò a vivere intorno a loro. Felicity udì nuovamente i suoni della gente, le loro parole inudibili, passi, il fischio di un treno. Il loro passaggio a casa era arrivato.
Incerta sulle sue gambe, tenne lo sguardo basso. Era certa che il suo volto fosse rosso del fuoco che la bruciava. Oliver però non le lasciò quel lusso. Avvertì le sue dita poggiare leggere e delicate sotto al suo mento, per poi esercitare una leggera pressione finché lei tornò a guardare in fronte a sé. Il volto di lui entrò nel suo campo visivo. Sorrideva, sereno.
La stessa mano andò a stringersi attorno alla sua, mantenendo la presa mentre la trascinava dentro il vagone aperto. Le dita di lui la stringevano con un calore che non aveva mai sperimentato. Avrebbe voluto che non la lasciasse mai andare.
Si sedettero su due seggiolini liberi e rimasero immobili, guardando ognuno il riflesso dell'altro nel finestrino di fronte a loro. Oliver sorrideva ancora.
Felicity sorrise di rimando.


 
Give me a moment, some kinda mysterious
Give me a shot at the night
 

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Capitolo 4
*** Kisses like summer rain. ***


NDA: finalmente inserisco una nuova storia nella mia raccolta :D c'è stato un periodo in cui temevo che non sarei più riuscita a scrivere one-shot con questo tema. Per fortuna ho superato il blocco, ed eccomi qui di nuovo! In più posso assicurarvi che è in trascrizione un altro paio di storie che spero di pubblicare entro la fine del mese di giugno.
Grazie a tutti per essere ancora qui a leggere le mie storie. Have fun! :D

 

4. Kisses like summer rain.



Piove.
Piove così forte che non vedo niente al di là della cortina data dallo scrosciare violento della pioggia.
Fa freddo. Più freddo di questa mattina. Le braccia nude tremano a contatto con l'acqua battente. La pelle punge.
Nascondo le braccia nelle maniche del maglione che porto sempre in borsa. Sfortunatamente, mi ripara dal freddo, ma niente può contro la pioggia.
L'acqua continua a cadere sui miei capelli disordinati, scivola lungo la curva del collo in gocce che non posso ignorare. Nel breve tragitto che separa la macchina dalla porta di casa tua mi ritrovo infradiciata, e non c'è niente che possa fare a riguardo prima che tu compaia sull'ingresso.
Perciò, eccomi qui. Davanti alla porta chiusa, bagnata, consapevole delle lacrime che si mischiano alla pioggia.
Non so perché mi trovo qui ora. In realtà non so nemmeno perché sto piangendo.
Quello che so, però, è che tu sei l'unica persona che voglio vedere in questo momento, quando il mondo diventa un posto inospitale e non riesco a fermare le lacrime. Sei tu l'unica persona che può aiutarmi a ritrovare il luogo a cui appartengo, quel posto che posso chiamare casa.
Oliver.
Sei tu la mia casa.
Suono il campanello mentre mi angustia la speranza che tu sia solo in casa, che non sia tua sorella ad aprire la porta. Adoro Thea (sul serio!), ma non ho intenzione di spiegarle perché sono qui a piangere sulla soglia di casa sua. L'unica cosa che voglio sono le tue braccia intorno a me. L'unica cosa di cui ho bisogno.
Alle mie orecchie arriva il suono della zanzariera preceduto da passi pesanti in avvicinamento, dall'altra parte della porta d'ingresso. Per un breve istante il mio stomaco si stringe. Mi chiedo se ho preso la decisione giusta, venire qui a cercarti.
Poi la porta si apre.
I tuoi capelli sono scompigliati – non deliberatamente. Sei sempre così ordinato che è inusuale per me vederti così arruffato, come se questa mattina ti fossi dimenticato di guardarti allo specchio.
Mi guardi con una leggera confusione negli occhi gentili, prima che i tuoi lineamenti si ammorbidiscano.
Indossi dei calzini morbidi, un paio di jeans sotto ad una camicia da bottoni aperti, e un sorriso sincero che scalda il mio cuore infreddolito.
Sono bagnata fradicia ed impegnata nel disperato tentativo di trattenere i singhiozzi soffocanti che minacciano di sopraffarmi. Senza dire una parola mi attiri fra le tue braccia, stringendomi come se avessi l'intenzione di non lasciarmi mai più, e finalmente posso abbandonarmi addosso a te, sapendo che tu sarai la mia ancora, che tu mi terrai in piedi.
Mi accarezzi i capelli e mi fai oscillare gentilmente mentre le mie lacrime ti macchiano la camicia, inzuppandola quasi quanto la pioggia che ancora ci bagna.
Velocemente – molto più velocemente di quanto potessi immaginare – la schiacciante sensazione di tristezza scema. Su di noi scendono il silenzio e la calma.
Gentilmente – con così tanta gentilezza che il mio cuore si stringe – mi allontani da te. Solo qualche passo, abbastanza perché tu riesca a vedermi in viso. In quel momento nei miei occhi vedo me stessa.
Non la donna in piedi di fronte a te, con i capelli bagnati e gli occhi gonfi.
E neanche la donna la cui immagine è impressa nella mia mente, un'immagine che continuerà ad accompagnarmi per il resto della vita.
La donna che vedo riflessa nelle tue iridi è una donna che non esiste. È la parte migliore di me, spogliata di ogni difetto, di ogni sbavatura. È la donna che ho sempre inseguito, che ho sempre desiderato essere. La donna che so non raggiungerò mai.
Eppure nei tuoi occhi io sono quella donna. Perfetta, e bellissima.
Con la stessa gentilezza allunghi una mano. Le tue dita accarezzano fugaci la pelle fredda della mia guancia, un attimo prima di infilare una ciocca ribelle dietro l'orecchio sinistro. Esiti un istante solamente, un momento infinitesimale, una minuscola breccia nella tua corazza. Rimango immobile, cristallizzata nell'attesa di ciò che sta per arrivare. Che cosa sia, esattamente, non lo so. O forse lo so, ma ho semplicemente troppa paura per ammetterlo.
Ed un nuovo momento arriva. Mi attiri di nuovo a te, più vicina. I nostri occhi si toccano, si sfiorano, non mollano la presa, nemmeno quando per un secondo hanno un guizzo, si spostano sul confine delle mie labbra. È l'istante in cui comprendo che stai per baciarmi. E allora chiudo gli occhi, e la mia mente esplode in un coriandolo di sensazioni, colori e odori.
Bagnati, persi l'uno nell'altra, ci abbandoniamo al sapore di noi, alle nostre bocche che danzano l'una contro l'altra, ai nostri volti che si scontrano e s'incontrano.
Non avvertiamo più il battere della pioggia sulle nostre palpebre chiuse. Il mondo intorno a noi dimenticato, esistiamo solo noi nell'universo di infinito istanti.
Voglio trascorrerli tutti insieme a te, labbra contro labbra, occhi contro occhi, in un bacio infinito che ci lasci senza fiato.

 

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Capitolo 5
*** Under pregnant skies she comes alive. ***


NDA: ogni tanto torno a scrivere piccole storielle per questa raccolta di OS. Questa in particolare è poco più di un mero esercizio stilistico, uno sfogo di fluff e dolcezza. Ogni tanto ne abbiamo tutti un po' bisogno :)
Il titolo mi fa un po' schifo, ma in questo periodo sono assolutamente senza fantasia, quindi ho preso in prestito la prima canzone a cui ho pensato XD
Buona lettura!

 

5. Under pregnant skies she comes alive.


L'oscurità in cui la stanza era immersa era totale, così come l'assenza di suoni e rumori al di là dei loro respiri. Quello di Felicity era lento, regolare. Solo nell'udirlo Oliver avvertiva una quieta calma pervadere ogni particella, organo e muscolo del proprio corpo, e spingerlo poco oltre, verso l'ultima soglia del sonno.
Sdraiati sul piccolo letto nell'altrettanto piccolo appartamento di Felicity, non c'era alcuno spazio fra i loro corpi, avvinghiati l'uno all'altro come naufraghi in una tempesta. Il volto di lei poggiava sul suo petto nudo, e si muoveva insieme ai battiti ed ai respiri di Oliver. Le loro gambe erano strette in un contorto intreccio sotto il lenzuolo che leggero li copriva fino alle cosce. La calura estiva entrava dalla finestra abbandonata insieme ai suoni di chi, fuori da essa, quella notte non trovava pace.
C'era stato un tempo, non molto lontano, un tempo di cui ancora conservava il ricordo, in cui Oliver era stato uno di loro, un'anima in fuga nelle notti senza luce, alla ricerca di una distrazione nella quale annegare.
Poi aveva trovato Felicity, ed era annegato in lei.
Piegò il capo, ad incontrare la chioma bionda che riposava serena nell'incavo del suo collo, e ne aspirò il profumo con la stessa malinconia ed intensità con cui un alcolizzato bramava una bottiglia di vino, o un bambino abbandonato un tocco d'affetto. L'aveva cercata con affanno, senza nemmeno sapere cosa avrebbe trovato.
Stretto nel reciproco calore dei loro corpi, il cuore di Oliver batteva sereno, all'unisono con quello di lei. L'aria intorno a loro, la vita, il mondo, sfioravano le loro pelli accaldate senza lasciare segno del proprio passaggio, se non una traccia umida di desideri raccolti e promesse innocenti.
La verità era che la vita in quel momento gli sorrideva, radiosa come non mai, ed Oliver era spiazzato dall'intensità con cui gli accecava la vista. Non era abituato al calore che gli colmava lo spirito, e questo lo rendeva terrorizzato all'idea di perdere ciò che non aveva mai avuto prima. La sua gioia era contaminata dalla paura, ma mai sarebbe tornato ad essere quell'involucro vuoto che per troppo tempo era stato, prima di trovare quello che sempre gli era mancato.
Disteso nella quiete silenziosa, la mente impossibilitata all'immobilità, Oliver ripercorse i propri ricordi più preziosi.
Il giorno in cui il proprio sguardo si poggiò per la prima volta sul suo viso dalla bellezza gentile.
Il sorriso che lei gli aveva strappato, che lui le aveva concesso, senza neanche sapere, senza neanche rendersi conto che quel sorriso prezioso era stato il suo primo da quando era tornato indietro, tornato a casa, tornato dall'inferno.
Il primo abbraccio.
La prima volta che Oliver la vide per ciò che realmente era: una donna, e non solamente la partner di cui sentiva di potersi fidare.
Il giorno che capì che le emozioni che portava rinchiuse dentro la parte nascosta di sé potevano avere un nome diverso, potevano essere qualcosa di più forte della fiducia e dell'amicizia. Di molto più forte.
Era una sera come tante, finita in un modo come tanti. Niente aveva preannunciato un cambiamento improvviso, niente l'aveva avvisato o preparato per quel qualcosa di sconosciuto che improvvisamente aveva bussato alle soglie del suo subconscio, dilaniandogli il cuore e l'anima in una dolce tortura.
Era appena tornato da un giro di ricognizione. Era ferito, sofferente e sanguinante. Aveva percorso le scale del rifugio con movimenti lenti e studiati ad evitare il dolore che le ferite gli procuravano. Come sempre, Felicity l'attendeva trepidante in fondo alle scale, pronta ad abbracciarlo con il suo usuale trasporto.
Ma non quella sera. Quella sera, invece, aveva rivolto lo sguardo sulle macchie di sangue non ancora rapprese, sull'espressione dolente che gli oscurava il volto, e si era trattenuta. Invece, aveva atteso che le arrivasse a fianco, aveva allungato un braccio e lo aveva poggiato sulla sua schiena. Con l'altra mano, aveva preso il braccio di lui e lo aveva avvolto intorno al proprio collo. Avvinghiati in quel modo, con una gentilezza studiata e controllata tanto da commuoverlo, lo aveva aiutato a camminare sino alla sedia più vicina. Alto, molto più alto di lei, Oliver aveva lottato per non poggiarsi interamente addosso al suo fisico minuto, ma Felicity si muoveva decisa, e lui non poté fare a meno avvertire i suoi tentativi gentili di convincerlo a poggiare il proprio peso su di lei. Era una prova di resistenza che Oliver non aveva avuto intenzione di perdere. Eppure, mentre camminavano lentamente verso il loro piccolo traguardo, non era riuscito a resistere all'impulso di poggiare la propria guancia sui suoi capelli soffici e di chiudere gli occhi mentre ne aspirava il profumo di miele e di donna. In quell'istante un senso di pace e di conforto avevano invaso il suo corpo affaticato.
“Sono qui,” l'aveva sentita sussurrare, dolce e rassicurante. “Va tutto bene.”
E lui le aveva creduto.
Era stato in quel momento, mentre il proprio corpo lo tradiva e la fatica e il dolore iniziavano a sommergerlo fino al punto di non ritorno, in quel momento in cui non sarebbe riuscito a reggersi in piedi se non fosse stato per l'appoggio donatogli dal corpo di Felicity, che Oliver si era accorto che quella donna, minuta e solo apparentemente ordinaria, era diventata importante, forse la persona più importante dell'intera sua vita. E che quel sentimento che gli bruciava nel petto e gli appesantiva il cuore, forse... forse poteva chiamarlo amore.
Felicity, sotto di lui, intorno a lui, si mosse. Oliver la guardò afferrare la realtà intorno a lei nel buio della notte e scrollarsi di dosso gli scampoli di torpore che le appesantivano le palpebre.
“Oliver.”
Il suo nome suonava così dolce mentre usciva dalla sua bocca. Aveva un sapore diverso. Più dolce.
Quando lei lo chiamava, Oliver sapeva che il proprio nome era al sicuro lì dove si trovava, stretto fra le sue labbra, in un richiamo infinito. E per questo, ogni volta, Oliver si abbandonava a quel suono, e si lasciava andare. Protetto. Al sicuro.
Con quella certezza, rispose al suo richiamo con un sorriso.
“Ehi,” sussurrò con dolcezza. “Come stanno le mie ragazze?” chiese, mentre la mano destra scendeva gentile ad accarezzarle la pancia. Era ancora presto, troppo poche le settimane per poter avvertire il feto muoversi. Ma era lì, entrambi lo sapevano, e tanto bastava.
“Come mai sei così sicuro che sia una bambina?”
“Sono sicuro, e basta.”
“Oh. Molto maturo, signor futuro padre.”
“Sei solo arrabbiata perché tu vuoi un maschietto.”
“Io non voglio un maschietto!” replicò piccata. “Ho solo detto che mi sarebbe piaciuto dare alla luce l'erede della famiglia Queen.”
“Felicity, lo so che per te questa potrebbe essere una notizia shockante, ma siamo nel ventunesimo secolo. Nostra figlia sarà comunque l'erede di quel che rimane della famiglia, a prescindere dal sesso.”
“Ah-ah-ah, molto divertente. Comunque non puoi avere la certezza che sia femmina.”
“E invece lo so.”
“Ma non dovrei essere io, a dirlo? Sono io che porto la nostra creatura in grembo. E vuoi smetterla di toccare la mia pancia? Mi fai il solletico!”
Oliver fece eco alle risate di lei, prima di chinare il volto a regalare lo sfarfallio di un bacio leggero sulle labbra, aperte in un sorriso. Poggiò la propria fronte contro la sua in un gesto gentile, dolce.
“Posso fare anche di meglio,” mormorò contro la sua pelle, il respiro caldo addosso a lei, labbra contro labbra, naso contro naso. Poi, con tutta la delicatezza di cui fu capace, si staccò da lei, scivolò via dal suo fianco e scese lungo il suo corpo. La sfiorò di baci, sul collo, il petto, prima un seno e poi l'altro. E poi scese ancora più giù, ancora più baci. Scaldò la sua pelle con la propria fino a raggiungere la curva sottile della sua pancia, e lì, nel punto in cui la curva era più sporgente e la promessa del futuro più florida, poggiò il bacio più dolce che conservava nel cuore. Con le labbra ancora posate sulla pelle nuda, Oliver alzò gli occhi ed incontrò quelli liquidi e caldi di Felicity, ed insieme si persero nella promessa di un futuro che li incatenava indissolubilmente in un legame infinito.

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