You must go. 'Cause it's time to choose.

di Alex Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Incondizionatamente. ***
Capitolo 2: *** Sorrise e tutto sparì. ***
Capitolo 3: *** Saruman. ***
Capitolo 4: *** L'occhio di Sauron. ***
Capitolo 5: *** Sauron & Legolas. ***
Capitolo 6: *** La luna di sangue. ***
Capitolo 7: *** « Fanie Roitare. » Mai nome era stato più adeguato ***
Capitolo 8: *** Io sono Túron. ***
Capitolo 9: *** Spiegazioni. ***
Capitolo 10: *** Ti scorderai di me. ***
Capitolo 11: *** Cantagli una canzone. ***
Capitolo 12: *** Ricordi di una vita passata. ***
Capitolo 13: *** L'ascesa della luna. ***
Capitolo 14: *** La scelta. ***
Capitolo 15: *** Hai perso la guerra. ***
Capitolo 16: *** Di fuoco e ghiaccio. ***
Capitolo 17: *** La battaglia per la Terra di Mezzo ha inizio. ***
Capitolo 18: *** Ricordo. ***
Capitolo 19: *** Il fiume. ***
Capitolo 20: *** Il guardiano e Isil. ***
Capitolo 21: *** La battaglia per Gondor. ***
Capitolo 22: *** Certezza di morte, scarse possibilità di successo: che cosa aspettiamo? ***
Capitolo 23: *** La fine. ***



Capitolo 1
*** Prologo - Incondizionatamente. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 
Prologo.
 
“Incondizionata, in maniera incondizionata.
Ti amerò incondizionatamente. Non c'è paura ora. Lasciati andare e sii libero. Ti amerò in maniera incondizionata.
 
-Unconditionally. Katy Perry.”




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Un tuono rimbombò nella conca. Lo zolfo disperso nell’aria tremò, e i Nazgul in sella ai loro animali strillarono. Dalle loro gole usciva un suono acuto, che perforava l’udito a tutti coloro che li sentivano. Sauron camminava avanti e indietro nella sala del trono: una grossa stanza dalle mura nere, il pavimento di pietra e un palco rialzato dove sorgeva il suo enorme trono. In cima allo schienale di quello stava un teschio di cervo. L’oscuro signore di Mordor roteò su se stesso per l’ennesima volta, e invertì la rotta dei suoi passi. La sua mente non poteva fare a meno di pensare al ruggito del drago che aveva scosso le sue mura poco prima dell’arrivo di lei. Si accarezzò la guancia sovrappensiero e sospirò. Dalle finestre provenivano i soliti suoni tirati, angosciosi, crudeli. Poi, un’idea gli stuzzicò la mente: come poteva avere una regina se non le dava un trono? Guardò in direzione del proprio e alzò i palmi. Il pavimento tremò, scuotendo tutto attorno a se come durante un terremoto, e si crepò. Piano, piano dalle viscere di Mordor si erse una seconda grande sedia. Lo schienale di ossidiana era lucido, e ci si poteva specchiare sopra. Sauron ammirò il suo lavoro, sorridendo di se stesso; quando lei sarebbe tornata avrebbe finalmente potuto essere la sua regina.
 
 

°    °
 
 

« Basta! Basta, per carità! Vi ho detto che sto bene! » Strillai, spronando il cavallo in testa alla fila per sfuggire alle domande opprimenti di Aragorn e Gimli. La foresta attorno a noi era buia a causa delle miriadi di foglie, ma qualche raggio di sole riusciva comunque a tagliare il fogliame e illuminarci la via. Tirava un fresco venticello che mi accarezzava la pelle, e raffreddava la mia temperatura. Gandalf, in sella al suo – antipaticissimo – cavallo, che a quanto pare trovava gratificante  distruggere le cose altrui, mi sorrise. Mi sporsi leggermente verso la sua figura e domandai: « Se mi è permesso chiederlo, da quanto io sarei incinta? » La verità che mi premeva più di tutte era sapere quello; non ricordavo quanto tempo era passato da quella notte con Legolas e siccome Gandalf sapeva sempre tutto forse avrebbe potuto aiutarmi.
Il mago ci pensò un poco, poi si accarezzò la barba bianca e infine mi guardò.
« Su per giù, due settimane direi », disse. Ingoiai la saliva nella mia bocca e tornai diritta in sella.
« Intendi dire che tra poco avrò un enorme pancione? » Mi indicai la pancia e feci una smorfia. Quella cosa era ingiusta, non volevo perdere il mio fisico. Perché tutte a me, e a Legolas nulla? Tutta via, se però mi soffermavo a pensarci l’idea mi piaceva. Essere madre sarebbe stata una nuova avventura, un bella sfida per entrambi. Portai una mano alla pancia senza rendermene conto, e l’accarezzai dolcemente.
« Si. » Rispose il mago.  « Esattamente. »
« Sai Gandalf », sorrisi nella sua direzione, « scommetto che sarai un buon bab… »
« Un buon? » Aggrottò le sopracciglia in attesta della continuazione della frase.
« Amico. Si, si intendevo amico, non baby-sitter, chiaro. Amico. » Una risatina nervosa sfociò fra le mie labbra, che richiusi immediatamente. L’idea di quel mago come baby-sitter mi aveva attraversato la testa all’improvviso, ma poi le immagini che l’avevano seguita mi avevano fatto ricredere. Non avrei mai lasciato mio figlio in balia di Gandalf: avrebbe potuto trasformarlo  durante qualche suo strano incantesimo. Scossi le spalle, tentando di scordare quell’idea e mi afflosciai sul collo del mio cavallo. Chiusi gli occhi. « Quanto manca per Isengard? » Piagnucolai.
« Abbastanza. » Rispose il mago«.
« Grandioso. » Borbottai io, disegnando piccoli cerchi sul manto del mio destriero. Nella mia mente si alternavano molte domande: sarò una buona madre? Riuscirò a crescerlo bene, a proteggerlo? Come farò a sapere cos’è sbagliato per lui e cosa no? Nessuna di esse aveva un risposta, ma di una cosa ne ero già certa: io l’amavo. Maschio o femmina che fosse, io già l’amavo incondizionatamente. 




Peipe :3 ( Mi è venuta in mente un'idea: Nel caso qualcuna di voi volesse sapere delle news/snippett/aggiornamenti sulla FF, si potrebbe creare un gruppo su facebook. Se avete intenzione di farlo, ne sarei felice ^^.  Mi piacerebbe parlare con voi, non solo su efp.)

Non c'è l'ho fatta ad aspettare, dovevo pubblicare subito. E' stato più forte di me. Questo è il primo prologo che scrivo, per la trilogia.
MA.... Siamo arrivati all'ultima parte della trilogia #piange.
In questa FF vedremo una El determinata a tutto per difendere il suo bambino e coloro che ama, ma tuttavia debole sotto molti aspetti che scopriremo più avanti. Abbiamo già constato che è sempre lei, con quel suo caratterino pepato. 
Ma, poi, voi ve lo immaginate Gandalf come baby-sitter? Ahahah :')
Ho trovato una foto perfetta per Sauron. Mi girava questa idea in testa da molto tempo, e anche l'attore (che io adoro) mi sembrava perfetto per il ruolo di Sauron. Per cui, signori e signore, amanti della coppia Elauron (?), vi vado a presentare Sauron:


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Capitolo 2
*** Sorrise e tutto sparì. ***


Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/165601326984087/
 
You must go. ‘Cause it’s time to choose
 



Andiamo, amore fragile, che è successo qui?

-Birdy. Skinny Love.”

 
 
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Il vento spettinò i miei capelli, costringendomi a fermarmi e legarli in una coda alta. Erano molto più lunghi di quando eravamo partiti, ora arrivavano ben sotto le spalle ed erano di un castano scuro. Solo una ciocca bionda era rimasta a indicare la presenza di Isil, che era svanita nell’aria sotto forma di quella luce azzurrognola. Ultimamente mi era capitato di pensare a lei e ogni qual volta succedeva l’anello frema al mio dito, come mosso da una scossa elettrica. Non davo più importanza a quel cerchietto d’argento, che come un succhia sangue si riprendeva le forze vitali che chiedevo in prestito. Avevo persino cominciato a pensare che il dono di re Erond, dopo che era stato nelle mani di Isil, avesse sviluppato una certa antipatia nei miei confronti.
Diedi un colpo di talloni ai fianchi del mio animale e questo nitrì tirando la testa indietro per poi gettarla in avanti e superare tutti gli altri. Mi piaceva la velocità, mi piaceva l’idea di essere in testa a un gruppo come se fossi stata la persona da cui tutto dipendeva, come se la mia vita contasse davvero come avrei voluto. Chissà come ci si sentiva realmente ad essere a capo di una compagnia, o di un esercito. Chissà se ci sentiva glorificati, fieri di se stessi… chissà. In lontananza riuscivo a vedere Rohan, e una donna che aspettava il nostro ritorno nel piazzale della reggia. Tirai un'altra tallonata al povero animale e entrai in città seguita da tutti gli altri. Alcuni cittadini furono costretti a gettarsi di lato della strada al mio passaggio, perché non avevo alcuna voglia di rallentare. Ci pensò Eomer a farmelo fare, prendendo le mie redini all’improvviso e tirandole contemporaneamente alle sue. Non l’avevo visto avvicinarsi, ne tanto meno raggiungermi, e il solo fatto che mi avesse fermato lo stavo prendendo come un affronto alla mia persona.
« Forse dovresti correre di meno », mi suggerì Eomer quando ci fermammo. Gli rivolsi uno sguardo tagliente e affidai il mio cavallo a un garzone. L’uomo spostò i suoi capelli biondi all’indietro e sistemò la casacca che indossava, gli occhi marroni fissi su di me. « A Isengard sei stata poco bene, e a mio parere non avrebbero dovuto farti cavalcare da sola. Sei persino incinta, e ti comporti come se questo non fosse rilevante. Un bambino ti sta crescendo dentro, devi stare attenta se gli accadesse qualc… »
« Non mi conosci come loro. » Lo interruppi. « Sono molto più forte di quello che credi, e poi non succederà nulla al bambino, non permetterò che gli accada nulla. Nessuno lo metterà in pericolo. E se corro vuol dire che posso farlo.  » Affermai acidamente, congiungendo le braccia al petto furiosa. L’anello pulsò tremendamente, e io mi morsi l’interno delle guance pur di non fare strane smorfie. Sapevo che Eomer aveva ragione, che non avrei dovuto correre così tanto o stressarmi così tanto: ma mi serviva qualcosa per sfogarmi, scaricare le energie che il mio corpo aveva accumulato dopo la morte di Titano. Da quando lui se n’era andato non mi ero sentita diversa, solo più sola e scossa; sebbene io avessi accanto a me tutti quanti, Legolas compreso. Era come se mi mancasse qualcosa di tremendamente importane, ma non riuscivo a capire cosa.
« Tutto potrebbe accadere da un momento all’altro, perché sono proprio le cose che non crediamo possibili che avvengono all’improvviso. E se proprio lo vuoi sapere, tu sei il primo pericolo per tuo figlio. » Mi freddò con voce tagliente. Le mie labbra si socchiusero, ma non riuscii a rispondere. Ero fredda, immobile, spaventata da quella verità che mi aveva colpita con troppa violenza. Richiusi la bocca e sbattei le palpebre, per poi voltarmi e cominciare a salire le scale che portavano alla reggia. Eowyn mi venne incontro sorridente. Lei era sempre così bella, così perfetta anche dopo le disgrazie che le erano capitate. Lei riusciva a tenersi tutto dentro senza distruggersi: perché io no? Riusciva a sorridere nonostante tutto, riusciva a farsi amare anche quando era nel torto: perché io no? Riusciva sempre a vedere il bello nelle cose, anche quando non c’era: perché io no? Che diavolo avevo di sbagliato io?
« Mia signora! » Mi chiamò, e le sue labbra rosee s’incurvarono verso l’alto. Ricambiai il sorriso mentre dentro tentavo di tenere a bada la mia lingua, perché se avessi potuto l’avrei massacrata di insulti a causa del mio cattivo umore. « Mia signora, vi ho preparato un bagno caldo e un cambio di vestiti per la festa. Sono nelle vostre camere. » Mi strinse la mano e non smise un secondo di guardarmi dritta negli occhi.
« Grazie, mia signora. » Sputai fuori il più gentilmente possibile. Non vedevo l’ora di andarmene da li, perché sentivo gli occhi del fratello fissi sulla mia schiena e l’anello formicolare al mio dito, quasi volesse darmi la scossa di sua iniziativa.
 
 
 


°    °
 
 
 


C’era caldo fuori, e i fulmini scendevano sulle cave con forza. I tuoni smuovevano l’aria carica di tensione, e la polvere cominciava a entrare dalle finestre, ma a Sauron non importava. Raccolse le mani sotto il mento e nascose le labbra in esse. I suoi occhi seguivano con attenzione la figura magra che si muoveva veloce nei corridoi della reggia di Rohan, prima che si rinchiudesse in una stanza. Allora la sua visuale si spostò nella camera dove la ragazza si era chiusa. Era di una normale grandezza, con un letto dalle lunghe colonne di mogano che salivano verso il soffitto ornato da coperte verdi con sopra cucito lo stemma dei signori dei cavalli, un armadio e quello che sembrava un bagno. Ma poco gli importava dell’arredamento, quanto invece gli importava della ragazza. Gli occhi rossi del signore di Mordor seguirono ancora i suoi spostamenti: si avvicinò al letto e passò le dita su un vestito bianco, impreziosito da un fermaglio posto al centro della scollatura, accanto ad esso c’era un mantello dell’ennesimo colore. Slegò i capelli e infine si spogliò immergendosi in una vasca da bagno. Rimase ferma qualche minuto a osservare il muro, poi si levò l’anello dal dito e con rabbia lo lanciò contro uno specchio dall’altra parte della stanza, frantumandolo in mille pezzi. Nascose il viso fra le mani e prese a singhiozzare. Il cuore di Sauron ebbe un sussulto.
Tu sei il primo pericolo per tuo figlio. Lesse nei suoi pensieri. Tu sei il primo pericolo per tuo figlio. Continuava a ripetersi, e Sauron non capiva. Sei il primo pericolo per tuo figlio, e mentre lo faceva sprofondava sempre di più nell’acqua, finché anche il suo mento non fu sommerso. Si stava nascondendo dentro di essa per nascondere le lacrime che gli macchiavano le mani, e macchiavano pure l’acqua. Evidentemente, non ricordava che lei piangeva cenere liquida.
Eppure, pensò Sauron, persino quando è sola è talmente orgogliosa da voler reprimere i propri sentimenti. Perché non si fida di se stessa?
L’oscuro signore prese un respiro profondo e si richiuse il volto fra le mani. Non sopportava l’idea di vederla così ma non poteva intervenire. Come l’avessero visto avrebbero cercato in tutti i modi di farlo fuori, eppure non gli importava. Voleva vederla e dirle che sarebbe andato tutto bene. Dirle che lei sarebbe stata bene, che non bisognava vergognarsi di piangere. Ma… l’avrebbero ucciso se solo avesse fatto un passo, e Mordor sarebbe crollata se lui si fosse allontanato troppo. Da quando l’unico non era più nelle sue mani il suo potere era venuto meno e persino la sua stessa dimora rischiava di crollare se fosse andato via per troppo tempo. Aveva rischiato molto andando a Isengard, sebbene ne fosse valsa la pena quando era tornato la torre  aveva cominciato a venarsi e crepare. Perciò, l’unica cosa che poteva fare era assistere in silenzio, impotente a quella scena che gli faceva solo del male. Il rumore dell’acqua che si muoveva gli fece alzare lo guardo. Coperta da un lungo telo per asciugarsi Eleonora si muoveva nella direzione del letto: Sauron distolse lo sguardo imbarazzato. Chi l’avrebbe mai detto che una semplice guerriera avrebbe potuto metterlo in quella condizione? Lui, il grande  e potente signore di Mordor, imbarazzato nel vedere una donna vestirsi. Voglioso di lasciarle la propria privacy. Dopo aver sbirciato e essere stato sicuro che si fosse vestita per bene riprese a osservarla. La superficie di ossidiana del portale, attraverso il quale la “spiava”, cominciava a brillare più debolmente, segno che la stanchezza del signore oscuro stava prendendo il sopravvento. Ma se avesse potuto Sauron non avrebbe smesso di guardarla: era così bella in quel vestito bianco. Le curve perfette del suo corpo erano evidenziate, e persino il poco seno pareva più marcato con quella scollatura. Si diresse verso lo specchio distrutto e ne raccolse da terra  un pezzo abbastanza grosso, lo poggiò su un mobile e si sedette per acconciarsi i capelli. Ogni tanto si bloccava e restava a fissarsi, mentre nella sua mente si susseguivano angoscia, tristezza, paura, timore verso qualcosa che nemmeno lei sapeva spiegarsi. Altre volte si fermava e sfiorava la pancia con le dita, lasciando Sauron perplesso ad osservarla. Poi prima che il portale scomparisse la vide un’ultima volta alzarsi e asciugarsi le lacrime nere con una maglia gettata a casaccio sul letto. Sorrise e tutto sparì.
 
 
 


°   °
 
 



Entrai nella sala del trono e tutti i cittadini, reali e miai amici si voltarono a fissarmi. Mi sentivo inadeguata: il vestito che indossavo era stupendo, prezioso, mentre gli altri avevano addosso quelli di tutti i giorni. Come minimo Eowyn l’aveva fatta apposta a metterlo sul mio letto. Mi fermai in fondo alla sala e qualcuno mi porse un boccale stracolmo di birra, che accettai con un sorriso timido. Intanto ispezionai la stanza: non era cambiata dalla prima volta che c’ero stata: al mio risveglio dopo la morte di Boromir. Aveva le stesse colonne alte  che la dividevano in tre corridoio, accessibili attraverso archi lavorati. Al centro di essa stava un fuoco sul quale arrostiva un maiale, e notai che tutti erano seduti su delle panche di fronte a dei tavoli. Io ero l’unica in piedi, poggiata con le spalle a una colonna. Theoden scambiò a Eomer un’ultima occhiata e poi si alzò in piedi, così fecero anche i compaesani.
« Stasera ricordiamo chi ha versato il proprio sangue per difenderci. » Il mio pensiero andò ad Haldir, e a Titano. Non avrei mai dimenticato quella sera, mi dissi. « A VOI, MORTI VITTORIOSI! » Gridò il re.
« A VOI, MORTI VITTORIOSI! » Gli fecero eco i contadini e i guerrieri.
« A voi, Haldir e Titano », mormorai solo io. Non ero in vena di festeggiamenti quella sera, non perché non stessi bene fisicamente, ma perché stavo male sensibilmente come non mai. Io non ero mai stata una di quelle che piangevano per tutto. Ero sempre stata una di quelle che se doveva piangere lo faceva in una stanza da sola e mi vergognava pure, ma nel mentre speravo che qualcuno mi guardasse negli occhi e vi leggesse tutto. Perché portare i sentimenti che stavo provando era un peso - come un grosso stormo rinchiuso in una gabbia troppo piccola – e sentivo il bisogno che qualcuno arrivasse e mi liberasse da essi. Ma nessuno ne era in grado, neppure Legolas. Oppure aspettava fossi io a dirglielo, per non sembrare troppo appiccicoso.
Qualche ora dopo la gente si muoveva in lungo e in largo o restava seduta a mangiare finché non gli saltavano i bottoni delle bluse. I bambini correvano da una parte all’altra e alcuni uomini facevano gare di bevuta. L’odore nella stanza era pesante e vario: cibi grassi, birra, fumo e sudore. Per non parlare della musica e dei due piccoli hobbit che stavano dando spettacolo su un tavolo, davanti a tutte le persone che ridevano divertite. Sorrisi per la prima volta e presi a camminare fra la folla.
 
« Ah, ma non sei troppo vecchio per queste cose? » Domandai arrivando accanto a Gandalf. Il mago mi fissò continuando a battere le mani e sorrise.
« Non si è mai troppo vecchi. » Mi strizzò l’occhio. Finsi una risata, e pescai dalla mano di un uomo che passava il secondo boccale di birra. Questo mi fissò aggrottando le folte sopracciglia bionde, fece per dirmi qualcosa ma poi venne trascinato via. Gli feci la linguaccia e presi a bere a lunghe sorsate. Forse, dopo tutto dovevo smetterla di autocommiserarmi e iniziare a divertirmi. Haldir avrebbe voluto così, e anche Titano.
« Vacci piano, ragazza. » Mi consigliò Aragorn, spuntando alle mie spalle. « Sei incinta, devi stare atten… » Gli spinsi il boccale contro il petto e sbuffai adirata. Decidevo di divertirmi e qualcuno subito mi rovinava la festa.
« Sono incinta, non in punto di morte. So da sola quando fermarmi, grazie. » Sibilai, andandomene via. Proprio non capivo perché ogni uomo che incontrassi dovesse tirare in mezzo la storia del bambino.
Vorrei non aver mai fatto quello che ho fatto! Mi gridai da sola. Vorrei non essere mai rimasta incinta!
 
 
 

Hy everyone!
I'm here for you, with the next capter from my trilogy. 


Ora che ho finito con le cazzate, ricomincio:

Holaaaaaa!
Come state? Io Pe... Bene, bene. Il capitolo è osceno, ma dobbiamo capire che i cambiamenti d'uomore di El sono normali, dopo tutto è incinta. Fa parte della cosa, no? Che ne dite di Eomer e la sua frase fatale? E di Sauron? 

P.s: il vestito di Ele è questo, siccome mi piaceva e volevo usarlo - ma non sapevo dove - l'ho scelto per questo captiolo.



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Capitolo 3
*** Saruman. ***


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You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 
 



"Io non sono affettuosa, non abbraccio le persone senza motivo, non dico frasi sdolcinate, non mi faccio sentire, eppure ogni mia parola è piena di sincerità, ogni mio gesto è pieno di significato, ogni piccola cosa per me ha un senso.
In poche parole voglio solo dirti: apprezza tutto quello che faccio, non lo faccio per tutti."
 
- Con Affetto, Vaffanculo.






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La foresta buia attorno a noi mi metteva ansia. Era tutto chiuso, l’aria muschiosa mi affaticava i polmoni e nemmeno un filo di luce trapelava più dalle fronde. Sapevo benissimo che sopra le nostre teste splendeva il sole, ma li dentro sembrava il purgatorio: a un passo dall’inferno, e a un gradino dal paradiso. Sbattei le palpebre stancamente, socchiudendole per abituarmi al buio dei rami fitti.
« Perché fai quella faccia? » Chiese Aragorn ridendo.
« Mh… cosa? » Lo guardai risvegliandomi dai miei pensieri. « Quale faccia? »
« Quella », m’indicò divertito. Rilassai, allora, i muscoli del volto e gli sorrisi.
Era stato un lungo viaggio per me - che mi ero messa in testa di dover spronare tutti ad andare più veloci - efaticoso. Legolas e gli altri avevano parlato molto, poi sfiniti si erano acquetati e io avevo preso a ciarlare sul loro modo di combattere, giusto per sdrammatizzare un po’. « Aragorn: sembravi una ballerina priva di grazia quando ti sei gettato giù, fra gli Uruck-ai. Se vuoi qualche lezione posso assicurarti che esistono scuole apposite. » Gli avevo detto. Lui aveva semplicemente scosso la testa e sospirato, mentre gli altri avevano preso a ridere. « Lo faccio con affetto, mio re », avevo aggiunto.
Il mio cavallo scavalcò una radice e nitrì, in fondo a quella galleria naturale si vedeva una luce. Sbucammo finalmente in una pioggia di raggi solari, che mi riscaldarono la pelle e mi fecero sorridere allietata. Chiusi le palpebre e mi godetti il caldo, dopo tanto freddo. Era come una doccia rigenerante, arrivata al momento giusto quando ne avevo più bisogno, e voglia. Il sole mi penetrò nel corpo, sciogliendo il ghiaccio nelle mie ossa fragili. Sospirai soddisfatta da tanto e feci vagare la mia mano sulla pancia. Chissà quando sarebbe nato quel piccoletto: d’estate o d’inverno? Primavera o autunno? Magari…
« Benvenuti miei signori, a Isengard. » Quella voce mi fece sbarrare gli occhi. Abbassai la testa immediatamente e fermai il cavallo vicino a quello di Legolas. Su, in piedi sopra un muro eretto per miracolo stava Merry, la pipa in mano. Seduto ai suoi piedi Pipino fumava tranquillamente.
« Voi! » Grugnì Gimli. « Piccole canaglie! Ci avete spinti a una bella caccia, e ora vi troviamo a… a banchettare… a… e a fumare! » Agitò la sua lunga ascia. Sorrisi divertita e scambiai un’occhiata con Aragorn; sorrideva anche lui, sollevato dal fatto che i due piccoli hobbit stessero bene.
« Siamo seduti sul campo della vittoria. Gustando cosucce che ci siamo meritati », intervenne Pipino.
« Mh. » Merry fece uscire il fumo dalla bocca, schioccando le labbra per rincalcare il discorso dell’amico.
« Il maiale salato e paaaaarticolarmente buono. » Sorrisi a Pipino e tutti guardammo Gimli. Aveva un’aria così trasognata quando si parlava di cibo, che non sembrava lui.
« Il… maiale salato? » Balbettò il nano.
« Occhio, mastro nano, hai un po’ di bavetta proprio qui. » Portai una mano all’angolo della bocca. Gimli mi fissò risvegliatosi dai suoi sogni culinari e passò più volte il dorso della mano, scatenando la mia risata. Capito lo scherzo, il nano mi fulminò con un’occhiata e coricò le braccia al petto. Legolas mi rivolse un’occhiata di ammonimento divertito che ricambiai con una linguaccia. Gandalf borbottò qualcosa che suonò alle mie orecchie come “hobbit”, in un suono strascicato e arrendevole. Probabilmente l’aveva detto così perché quei due, pur trovandosi nel bel mezzo di una faida, avevano pensato al cibo.
« Siamo agli ordini di Barb-albero, che governa d’ora in avanti Isengard. » Ci annunciò lo hobbit, Merry. Storsi il naso stordita da quel nome, chi mai poteva averne uno così strano? Me ne curai poco, comunque. Smontai da cavallo e mi diressi verso il muretto dove i nostri piccoli amici erano coricati, allungai le braccia verso Pipino e lui ci saltò dentro. Mi strinse a lui mentre mi accucciavo per riportarlo a terra, ma neanche allora mi lasciò. Si teneva abbracciato a me così forte che potevo sentire la sua pipa ustionarmi.
Mi sei mancata. Sbattei le palpebre e l’allontanai.
« Hai detto qualcosa? » Chiesi. Lo hobbit mi fissò socchiudendo le palpebre e scosse la testa animatamente. « Allora me lo sarò immaginata. » Alzai le spalle con noncuranza e aiutai a scendere anche Marry, che non si dimostrò meno affettuoso di Pipino. La mia armatura sferragliò un poco quando rimontai a cavallo e mi affiancai all’elfo.
« Qualcosa non va? » Sussurrò Legolas, stando ben attento a non farsi sentire da Gimli. Lanciai un’occhiata di sfuggita al nano, intento a parlare con i due hobbit a cavallo con altri, e tornai a lui.
« Prima, quando ho abbracciato Pipino, ho sentito la sua voce nella mia testa. Ma lui non aveva detto nulla! »
« Tutto qui? El, ti sei scordata che puoi sentire i pensieri altrui? » Abbozzò un sorriso comprensivo, mentre i nostri cavalli avanzavano nell’acqua alta e nera, ricca di alberi e sporcizia. Corrugai le sopracciglia e assunsi un’espressione meditativa. Legolas non aveva tutti i torti, me n’ero proprio dimenticata. Non usavo i miei poteri per leggere nella mente di altre persone da mesi ormai. Titano non contava.
« Mastro Gandalf », una voce baritonale entrò nel mio campo uditivo. Alzai il capo in tempo per vedere un grosso albero venire verso di noi, camminando. Fino a quel momento non mi ero accorta che c’è n’erano almeno una dozzina attorno a noi, e ognuno camminava sulle proprie gambe. Repressi un urlo,  ma il mio cavallo non poté fare a meno di impennarsi e indietreggiare violentemente, rischiando di cadere su se stesso, ergo su di me. L’enorme albero, che capii doveva essere Barb-albero, ci ignorò e continuò a parlare con quel suo fare lento e trascinato. « Sono contento che tu sia qui. » Fra ogni parola che diceva c’era un intervallo di 10 secondi per riprendere fiato. Come facesse ad aver voglia di parlare non o sapevo. A me la cosa non andava a genio, odiavo le persone lente; dovevo avere e sentire tutto e subito. « Legno e acqua, tronchi e pietre li posso dominare. Ma qui c’è un mago con cui avere a che fare, chiuso in questa torre. »
Tutti alzammo lo sguardo verso la lunga costruzione di pietra nera, al centro della piazza inondata.
« Mostra il tuo viso », parlò Aragorn. Osservando meglio l’ambiente che ci circondava, un flash mi annebbiò la vista: ero già stata li. Per meglio dire, ero già stata dentro quella torre maledetta. Sauron mi era venuto a salvare, Titano mi aveva portata via. Dunque quella era Isengard, la potente? Solo ora riuscivo a vederla per davvero, essendo che durante lo sfrenato volo di fuga sul dorso del drago non ci avevo fatto molto caso. Era bella, non ci trovavo nulla da dire, ma era anche carica di crudeltà e desolazione. Saruman, colui che mi aveva rapita dalla custodia di Sauron e imprigionata, doveva essere la dentro.
« Fa attenzione. » Lo rimbeccò subito Gandalf. « Anche nella sconfitta Saruman è pericoloso. » Dunque i miei sospetti erano fondati.
« Hai mai visto un’adolescente umana, quasi diciottenne, e incinta quando è incavolata? » Mi lasciai sfuggire dalle labbra. Tutti mi fissarono e Gandalf divenne del colore della propria barba. « Appunto. » Borbottai io, accennando a un segno di vittoria col capo.
« Prendiamoci la sua testa e facciamola finita! » Gridò Gimli, rivolgendomi per la prima volta un’occhiolino complice. Sapeva con chi allearsi per queste cose.
« Io sto con il nano! » Annunciai. L’elfo biondo mi trafisse con un’occhiata. Le iridi azzurre erano severe, voleva tenermi buona; voleva che stessi buona.
« No, ci occorre vivo. Ci occorre che parli. » Disse lo stregone. Eomer accanto a lui corrugò le sopracciglia interdetto.
« Hai combattuto mote guerre e ucciso molti nemici, re Theoden. Dopo hai ristabilito la pace, non possiamo discuterne assieme come facemmo in passato, mio vecchio amico? Non può esservi pace fra me e te? » Una figura smilza apparve dall’alto della torre. Volsi il mento in alto e aguzzai la vista. La sagoma che ricordavo era proprio quella: snella, pelle giallastra, volto spigoloso e occhi neri. Senza accorgermene digrignai i denti e presi a ringhiare. Non so come riuscissi ancora a farlo, ma ci riuscivo e questo bastava a farmi sembrare pericolosa. Non che non lo fossi. La vista mi si appannò di rosso.
« El », Legolas mi richiamò. Non lo guardai, e rimasi a  fissare l’uomo che avrebbe tanto voluto farmi del male, ma che non c’era riuscito. Il principe non lo sapeva cosa aveva tentato quello stregone, con me. Chi aveva sfidato quando aveva scelto di portarmi via da Mordor, dov’ero al sicuro.
« Tra noi vi sarà pace », disse con forza il re, « tra noi vi sarà pace, quanto tu risponderai dell’incendio con l’ovest falda; e dei bambini che giacciono morti li.  Tra noi vi sarà pace quando la vita dei soldati, fatti a pezzi non ostante giacessero morti di fronte alle porte del tromba torrione, sarà vendicata! » La voce era andata a crescere d’intensità di parola in parola. Quel susseguirsi di lettere, frasi, era stato come sentire una valanga di verità tutta in una volta. Non avrei voluto essere al posto di Saruman, che ora era appoggiato al suo bastone e ascoltava dall’alto. « Quando penzolerai da una forca, per lo spasso dei tuoi stessi corvi, tra noi vi sarà pace. » Aggiunse infine Thoden, in un ringhio.
« Forche e cornacchie », sputò lo stregone. « Rimbambito! » La sua figura prese a sparlare, ma io non ascoltai. Ero troppo intenta a pensare al ringhio che mi nasceva in gola per udire anche una sola parola.
« Così sei venuto qui per informazioni? Ne ho alcune per te. » Capii soltanto, prima che lo stregone estrasse dalle sue vesti una sfera. Gandalf aprì le palpebre, fin quasi al cielo.
« Qualcosa di purulento cresce nella terra di mezzo. Qualcosa che è sfuggito alla tua vista. Ma il grande occhio lo ha veduto, perfino ora lui aumenta il suo vantaggio. » Feci per ribattere, ma un rumore assordante mi s’insediò nella testa. Era stridulo, come quando si passano le unghie sulla lavagna. Portai le mani alla testa e strinsi i denti. Non volevo gridare, e finché nessuno se ne fosse accorto avrei resistito. Ora, non avevamo tempo per un’altrode i miei “malesseri” sovrannaturali, se così potevamo chiamarli. Gandalf avanzò su Ombro manto. « Il suo attacco avverrà presto. Tutti voi morirete. Ma tu questo lo sai, dico bene Gandalf? Non puoi pensare che questo ramingo si siederà mai sul trono di Gondor! » Indicò Aragorn con un cenno del capo. Il legittimo re lo fissò adirato, nel suo silenzio. Intanto il dolore nel mio capo cresceva. « Questo esule strisciato fuori dall’ombra non sarai mai incoronato re. »
Oh, ma chiudi il becco vecchio bacucco! Avrei voluto gridargli volentieri.
« Gandalf non esita di sacrificare quelli più vicini a lui. » Sentivo i suoi occhi su di me; neri, brillanti, iniettati di potere e pazzia. « Quelli che egli professa di amare. Dimmi: quali parole confortanti hai avuto per il mezz’uomo prima di spedirlo alla sua rovina? La strada sulla quale lo hai posto può portare solo… alla morte. » Finalmente chiuse il becco.
« Ho sentito abbastanza. » Gridò Gimli. Poi si rivolse a Legolas e disse: « Finiscilo con una freccia nel becco. » Il giovane toccò la coda piumata dell’arma ma fu bloccato da Gandalf. Tentai di scordarmi il dolore per un attimo e fulminai con i miei occhi l’amico. Come poteva lasciare che Saruman vivesse ancora? Il dolore tornò più acuto. Non potei più trattenermi.
Gridai piegandomi sulla mia cavalcatura e stringendo il capo fra le braccia. Qualcuno sobbalzò sulla sella, qualche cavallo arretrò spaventato. Urlai rialzandomi, e le mie mani spararono delle fiammate in aria, verso lo stregone di Isengard. Saruman le evitò prontamente, e poi sorrise beffardo.
« Fallo smettere! » Strillai, e una colonna di fuoco alta almeno tre metri si innalzò dalla mia figura. Potevo sentirlo bruciare nelle ossa, sfrigolare nell’aria, ustionarmi la pelle, ma non m’interessava. Sapevo che era lui a farmi stare male e volevo che smettesse. Alcuni alberi parlanti si voltarono impauriti e si allontanarono il più in fretta possibile.
« Sarman, il tuo bastone è rotto! » Intervenne Gandalf, e il lungo pezzo di legno che fino a quel momento era stato fra le mani dell’altro si spezzò in mille pezzi. Il dolore si attenuò, e io chiusi gli occhi riportando il fuoco nel mio corpo. Vacillai per qualche secondo fra coscienza e incoscienza, incapace di restare sveglia me riluttante nello svenire. Qualcuno montò dietro di me e mi sorresse, prendo con una mano le redini del cavallo e con l’altra cingendo la mia vita. Riconobbi l’odore di bosco di Legolas, e abbozzai un sorriso.
« Sto bene », borbottai.
« Non è vero. Smettila di dire bugie. » Aveva la voce fredda di preoccupazione, e ora la sua mano si era posata sulla mia fronte. « Scotti, dannazione. Eowyn l’aveva detto che dovevi riposare. »
« Eowyn non è mia madre. » Ribattei stanca.
« Ma e’ comunque più saggia di te, e meno avventata. » Riportò la mano sulla mia pancia, e strinse leggermente senza farmi male. Sospirai troppo stanca e priva di forze per rispondere e tornai a guardare in alto. Solo ora mi ero accorta che dietro Saruman c’era una seconda figura: Grima. Prima che potessi dire qualunque cosa Legolas si mosse, incoccò una freccia e la sparò diritta nel petto dell’uomo dai capelli neri. Questo ruzzolò indietro e poi cadde, scomparendo dalla nostra vista. Saruman invece gongolò per qualche secondo sul posto, poi si voltò di schiena e cadde rovinosamente. Andava sempre più veloce, finché non venne infilzato su uno spuntone di legno. Mi portai le mani alla bocca, non perché fossi una ragazza sensibile, ma perché pensavo che nessuno meritasse una morte così stupida, e anche perché quella cosa mi aveva colta alla sprovvista. Spinsi la schiena contro il torace di Legolas e rimasi muta, per la prima volta dopo tanto tempo. Nessuno fiatò, per qualche minuto regnò un silenzio tombale. Si sentiva solo il rumore dei nostri respiri e i movimenti dei cavalli, il fruscio delle foglie nel vento. Io riuscivo anche a percepire il cuore di Legolas che batteva forte per l’impatto inaspettato.
« Invia messaggi a tutti i nostri alleati, ed a ogni angolo della Terra di Mezzo ancora libero: il nemico si muove contro di noi, dobbiamo sapere dove colpirà. » Ordinò Gandalf a Theoden. La ruota su cui era impalato Saruman intanto continuava a girare,  e il corpo sparì sott’acqua.
Chiusi gli occhi e mi tenni stretta alla casacca dell’elfo, che come me indossava ancora la sua “armatura” – composta solo da delle placche di metallo poste sulle spalle. – La mia forza stava venendo meno, forse a causa della troppa energia che avevo consumato lanciando le colonne di fuoco in aria. Adesso che non c’era più Titano dovevo fare più attenzione a come usavo i miei poteri, mi stancavo di più e potevo fare del male al bambino. Dovevo stare tranquilla per un po’. Dovevo stare lontana dai guai; ma sapevo benissimo che anche se mi ripromettevo cose di questo genere non ci sarei mai stata a debita distanza da quelle cose. Loro trovavano me, e io trovavo loro: incinta o no, non faceva differenza.




Ehy peipi. 

Inizio col dire che ho creato il gruppo su facebook: https://www.facebook.com/groups/165601326984087/ 

Dunque, detto questo: che ne dite del capitolo? Ele è stata impulsiva non trovate, con il fatto che è incinta etc.etc? 
Vabbé, noi sappiamo com'è fatta e dovremmo fare SANTO LEGOLAS. 
Detto questo grazie per le recensioni, ne aspetto molte altre :3

 

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Capitolo 4
*** L'occhio di Sauron. ***


Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/165601326984087/
 

 
You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 
 
“Che Dio benedica le persone che tutti i giorni crollano ma hanno sempre il coraggio di dire che stanno bene.”
 
— Cristiana Tognazzi.

 


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La notte di Rohan mi accarezzò la pelle come seta, facendomi fremere leggermente di freddo. Abbracciai il busto con le braccia e mi sedetti sul primo scalino che conduceva alla reggia. Rimasi ferma a fissare le immense praterie che si estendevano al di la delle mura, nere come le ombre di Mordor. In alto qualche stella brillava solitaria, infondendo malinconia a chiunque alzasse il volto verso il cielo nero. Era in quei momenti che avevo nostalgia di casa; di mamma e papà, e persino di mia sorella. Ogni tanto mi capitava di sognarli e loro mi dicevano che andava tutto bene, che non dovevo preoccuparmi, che dovevo essere felice; ma erano solo sogni. Serrai le palpebre e rimasi in silenzio, abbracciata a me stessa.
« Mia signora, cosa fate qui da sola al freddo? » Una voce irruppe nei miei pensieri, risvegliandomi all’istante dal leggero dormiveglia che aveva iniziato ad aleggiarmi attorno. Aprii gli occhi e voltai il busto, la figura di un uomo mi si parò davanti. Aragorn fece ancora qualche passo e poi si accomodò accanto a me, poggiando il mantello che possedeva sulle mie spalle. Sorrisi riconoscente e lo guardai: la luce fievole che ardeva nelle torce poco lontano da noi disegnava sul suo volto ombre serpentine. I capelli castani smossi dal vento gli conferivano un aspetto stanco, così come e sue occhiaie.
« Osservavo le poche stelle rimaste in cielo, mio signore Aragorn, e pensavo. » Ammisi, abbassando lo sguardo sulle mani, ora nude senza più l’anello.
« E a cosa pensavate, Eleonora? » Domandò guardando diritto avanti a se.
« A casa mia », risposi, « alla mia famiglia. Mi domando come sia dall’altra parte quando il mio corpo è qui. Mi chiedo se gli manco, o se per loro è come se non fossi mai esistita. » Alzai il capo e lo guardai per qualche minuto. Non mi ero mai soffermata molto su quell’uomo, non ne avevo mai avuto interesse sinceramente; ma ora che l’osservavo potevo leggere tante cose di lui, come il fatto che quando ascoltava qualcuno triste fissava davanti a se, oppure prendeva a giocare con le proprie mani simile a un bambino. « E poi, pensavo a… Boromir. » Il re alzò la testa di scatto, colto alla sprovvista dalla mia affermazione. « Pensavo che avrei potuto salvarlo, come avrei potuto salvare Haldir e Titano, ma non ci sono riuscita. Non sono riuscita a salvare nessuno di loro, e adesso non riesco a perdonarmi questa cosa. Mi sento come un peso al centro del petto: come se cinquecento elefanti mi stessero calpestando contemporaneamente. » Slegai i capelli e li lasciai ricadere sulle spalle, morbidi e disordinati come sempre. « La verità è che non ho fatto abbastanza. » Mi accarezzai il viso con entrambe le mani e presi un bel respiro. « Se avessi ucciso quell’orco prima che fosse riuscito a scoccare le frecce contro Boromir, lui sarebbe ancora vivo. Se solo avessi fermato quell’Uruk-ai prima che alzasse l’ascia ora Haldir sarebbe qui. Se avessi seguito il piano di Titano, invece di costringerlo con la forza a intervenire, ora sarebbe qui. Se fossi stata più… più attenta ora sarebbero tutti qui. »
« Non dire così, Eleonora. »  Aragorn girò il busto verso di me e prese le mie mani nelle sue. « Non fare così, mia signora, perché la colpa non è  tua. » Sorrise per qualche secondo e rafforzò la presa fra le nostre dita. « Le cose che accadono quaggiù sono state predette da tempo dai Valar. Non siamo noi che decidiamo chi salvare, sono loro che scelgono chi prendere. E’ il cerchio della vita: tutto accade per un motivo. Ok? Non sentirti in colpa per nulla, perché non era colpa tua. »
« Si, ma se io avessi… » I suoi occhi mi zittirono severamente, mentre le sue gambe si flettevano fino a farlo alzare. Mi porse una mano e io l’accettai di buon grado alzandomi in piedi. Il suo mantello frusciò contro la mia pelle.
« Non è stata colpa tua, Eleonora. » Mi sistemò una ciocca dietro le orecchie e baciò la mia fronte. « Non stare male per questo. »
« Ok, ho capito. » L’allontanai dolcemente. « Torna alla festa: la gente si starà chiedendo dove tu sia. » Il re rise leggermente e poi, dopo avermi sorriso, rincasò. Rimasi sola li fuori ancora per un po’, finché non mi venne voglia di tornare dentro. Ormai le stelle erano apparse copiose nel mare blu che stava in alto, e le radure erano diventate ombre nere della notte. Poggiai una mano alla colonna più vicina e le ammirai per qualche secondo ancora, tentando di dare retta alle parole di Aragorn. Quelle morti non erano state una mia colpa.
Ma come posso non pensarlo, quando è così? Mi chiesi.
« El », la voce vellutata di Legolas arrivò al mio orecchio col vento. Pochi secondi dopo l’elfo era davanti a me e i suoi occhi mi scrutavano silenziosamente. Senza che nessuno dei due dicesse una parola, allungai le braccia sotto le sue e mi tirai contro il suo corpo stringendolo forte a me. Poggiai la testa sul suo petto e ispirai il suo profumo di pulito. Era buono, dolce e soprattutto era suo, ma in un certo senso non mi calmò. Qualcosa, nella sua figura, non m’infondeva quel calore necessario che serviva a calmarmi. C’era qualcosa in  me che necessitava di… di Sauron. Strizzai le palpebre tentando di non pensarci e baciai il collo di Legolas, che sospirò leggermente.
« Ho sonno », sussurrai. Ed era vero, stavo morendo dal sonno. Lui mi accarezzò la schiena e poggiò la guancia sulla mia nuca, cullandomi dolcemente mentre canticchiava in elfico. Ridacchiai leggermente e ribaciai la sua pelle candida e calda. « Leg, ho sonno. Dico sul serio. » Mi specchiai nei suoi occhi e inarcai le sopracciglia davanti al suo sorriso divertito. « Che c’è? Perché sorridi così? »
« Mi hai chiamato Leg. Non l’avevi mai fatto prima. » Mi disse e accarezzò i miei fianchi con la punta delle sue dita. « E’ stato strano… ma dolce. » Avvicinò il suo volto al mio e a fior di labbra continuò: « Non è che la gravidanza ti rende più dolce? »
« Tzé, non sia mai! » Esclamai allontanandolo, poggiando una mia mano sul suo volto. Lui rise divertito quando mi allontanai e mi raggiunse, circondando le mie spalle con il suo braccio.
« Come non detto. » Sospirò, stanco. « Andiamo a riposarci. »
 
 


°   °
 
 


Le mura buie della stanza in cui il re aveva fatto disporre dei letti improvvisati era immersa nella luce soffusa delle fiaccole ancora accese. Legolas stringeva a se la madre di suo figlio e le accarezzava i capelli. Non erano mai stati così vicini da quando Isil l’aveva consegnata a Sauron, e il solo pensiero di quella cosa gli impediva di godersi a fondo quel momento. Gimli russava beatamente pieno, dopo la gara di bevute non aveva più aperto occhio, mentre tutti gli altri dormivano. Aragorn era l’unico che non stava assieme a loro, persino per il re era difficile dormire. Gli occhi azzurri dell’elfo diedero un ultimo sguardo alla sua compagna, che si era rannicchiata con la schiena contro il suo petto, e le sue labbra le lasciarono un bacio leggero sulla tempia. Si mosse piano, tentando di non svegliare nessuno e con calma cercò di levare la propria mano dalla stretta morbida di lei.
« Non andare via », piagnucolò Eleonora, nel dormi veglia che le alleggiava attorno.
« Torno presto », le sussurrò.
« Basta che non mi svegli con il tuo passo da rinoceronte », borbottò lei, prima di tirarsi le coperte fin sopra la testa. L’elfo accennò una risata sommessa e si alzò, indossò il proprio mantello e uscì all’aria fresca. La sua pelle gli fu subito grato di essere uscito all’aperto, dove finalmente poteva respirare. Quando però alzò il volto notò una cosa che lo colse impreparato.
« Le stelle sono velate. Qualcosa si smuove a est », annunciò con calma ad Aragorn, che l’aveva raggiunto silenziosamente. « Un insonne malanimo. » I loro occhi s’incontrarono per qualche secondo, per poi tornare a fissare le radure davanti a se. « L’occhio del nemico si muove. » Il cuore dell’elfo ebbe un sussulto. All’inizio non aveva pensato molto a quelle parole, ma quando aveva capito che Sauron si stava muovendo non solo per la sua battaglia, ma per la sua compagna, un ansia crescente aveva iniziato a conquistare il suo corpo. Se l’avesse trovata cosa sarebbe successo? Chi avrebbe scelto lei? Le avrebbe fatto del male perché l’aveva lasciato? Prima che le sue domande avessero una risposta, la sensazione di paura che prima si era insediata nel suo petto esplose. « Lui è qui. » Affermò, guardando Aragorn con occhi simili a fari. Qualche minuto dopo un grido si levò dalla stanza in cui tutti dormivano. « Eleonora! » Gridò l’elfo, precipitandosi verso la stanza. Aragorn lo seguì.
 
 
 


°   °
 
 



Strinsi le mani sulle tempie e repressi un secondo grido. Riuscivo a vedere il volto di Sauron fra le mura di Mordor, sorridente mentre mi tendeva la mano, ed io l’avrei stretta alla mia con forza, ma provavo un dolore immenso. Era come se tutto il mio corpo stesse andando in fiamme, come se nelle mie vene scorressero braci ardenti al posto di cenere. Ancora il viso dell’oscuro signore mi comparì davanti, e successivamente i miei occhi videro città in fiamme, bambini strillanti, uomini che correvano nel tentativo di salvarsi… un albero che bruciava. Strillai nuovamente in preda ad  un attacco di panico. Cosa mi stava accadendo? Perché mi sentivo andare a fuoco?
« Aiutatelo! » Sentii implorare da Marry, e qualche secondo dopo una grossa palla di vetro stava rotolando a terra e si stava fermando proprio dinnanzi a me. Feci in tempo a vedere l’occhio rosso di Sauron fissarmi magnetico, prima che Gandalf ci gettasse sopra uno straccio. Allora il dolore finì, e il mio corpo tornò alla sua temperatura. Mi abbandonai contro il materasso improvvisato e provai a riprendere fiato, intanto Legolas mi aveva tirato il busto verso l’alto e mi stava stringendo a se.
« Idiota di un Tuc! » Sbottò lo stregone verso Pipino, ma questo non rispose.  Allora l’uomo percorse a grandi passi la stanza e scostò malamente Marry, prendendo una delle mani dell’hobbit nelle sue.
No, non può essere morto anche lui. Non può. Implorai mentre respiravo a scatti. Aragorn si era ripreso bene, dopo aver tenuto in mano quella stana palla di vetro, perché Pipino no? Poggiai una mano sul braccio dell’elfo e strinsi per fargli capire che stavo bene, ma lui non allentò la presa; al contrario la strinse e mi poggiò contro il suo petto, come se avesse paura che da un momento all’altro io potessi fuggire.
« Guardami, che cosa hai visto? » Sbattei le palpebre e osservai il mago. Sotto la sua ombra Pipino stava tremando, era vivo. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
« Un albero. C’era un albero bianco, in un cortile di pietra… era morto. La città era in fiamme. »
« Minas Tirith. E’ questo che hai visto? »
« La città dei re. » Dissi a mezza voce, e questa volta fui io a tirarmi leggermente più verso Legolas. Se Pipino e io avevamo avuto la stessa visione significava che Sauron era in procinto di eliminare sul serio tutta la specie umana, e sicuramente non con dolcezza. Questo significava che mi ero infatuata di un assassino.
« H-ho visto lui. » Balbettò ad un tratto lo hobbit. Allora m’irrigidii e così fece Legolas alle mie spalle, tesi le orecchie. « Sentivo la mia voce nella sua testa. »
« E cosa gli hai detto? Parla! » Chiese lo stregone.
« Mi ha chiesto il mio nome. Ma non ho risposto. Mi ha fatto male. » Il mio petto tornò a sentire i cinquecento elefanti tutti in un colpo. Sauron aveva ferito Pipino, gli aveva fatto del male.
« Che cosa gli hai detto di Frodo e dell’anello? »
« Nulla, nulla. Non gli ha detto nulla. » Intervenni io, alzandomi di scatto. Poggiai una mano sul ventre quando un giramento di testa mi accolse. Aragorn e Legolas si mossero veloci e mi adagiarono con delicatezza sul pavimento. « Sto bene, tranquilli. » Borbottai, sebbene quelle attenzioni non mi dispiacessero affatto in quel momento.
« E tu che ne sai, Eleonora? » Sussurrò Gandalf.
« Perché anche io l’ho visto, ma non mi ha parlato. Però potevo sentire quello che chiedeva a Pipino nel mentre. »
« E poi cos’è successo? » Il mago si accigliò.
« Il mio corpo mi è parso bruciare, finché non hai coperto quella sfera. » Sussurrai, le palpebre che minacciavano di cadere nonostante la situazione in cui ci trovavamo.
« Gandalf, discutiamone meglio domani. Ormai ciò che è fatto è fatto, sarà tutto più chiaro alla luce del sole. Non è il caso di far perdere ore di sonno a tutti. » Intervenne Aragorn lanciandomi un’occhiata. Gimli sorrise e si rimise a dormire, dopo poco il suo russare riempì la stanza. Il mago lasciò andare l’hobbit, richiuse in una tela la sfera e la portò lontana da me, che finalmente ero tornata a sdraiarmi sotto le coperte.
« Se mi lasci sola di nuovo… » Borbottai minacciosa a Legolas.
« E chi ti lascia più. » Rispose prima che io potessi continuare. Mi strinse a se e io non ebbi nemmeno il tempo di contare fino a tre che ero nuovamente nel mondo dei sogni, sebbene brutti; le mura di Mordor mi circondavano ancora, ma questa volta ero in un’altra stanza. In fondo alla sala stava un piedistallo lucido con due troni, entrambi avevano dei teschi sopra gli schienali: uno era di cervo, e sostava sul trono d’ossidiana, mentre un altro, che mi pareva di gnu – sempre che esistessero nella Terra di Mezzo – era poggiato sul trono più grosso. Feci un passo in avanti e mi bloccai. Dove prima non c’era nulla, ora si ergeva una figura alta e allenata, con una cascata di capelli neri e gli occhi… azzurri.
« Sauron? » La mia voce echeggiò fra le pareti varie volte, finché non si disperse nello spazio.




Ehy peipi,
allurs, capitolino dolce questo. Oggi mi andava così. 
Parlando dell'immagine del capitolo: NON E' FIGHISSIMA? L'ha fatta una ragazza che segue e recensisce la ff da un pò, la stessa che ha fatto anche le altre due. Mamma mia, non è stupenda? RDTCFVYGBHNJ :Q____
Ne approfitto per ringraziare ( tanto love ) le ragazze che hanno aderito al gruppo facebook:
- Viviana ( colei che ha fatto le immagini :Q__ )
- Giulia ( Mucho Love :3 )
- Zaira ( Yep ^.^ )
- Simona e Paola ( le nuove arrivate ).

Detto questo: Tschus, buona notte :3

 

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Capitolo 5
*** Sauron & Legolas. ***


Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/165601326984087/
 
 

You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 


“ Io mi rialzo, sempre. Il problema non è quello. Il problema sono i pezzi di me che se ne vanno ogni volta in cui cado.  Il problema è quello che diventerò, pur di restare in piedi. ”
—           Susanna Casciani

 
 
 
 

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« Ehy. » La voce roca del signore di Mordor uscì dalle sue labbra come miele. Sbattei le palpebre e mi portai una mano alla fronte, cercando di capire come diavolo fossi finita li. Un conato di vomito minacciò di uscire dalla mia bocca, ma lo cacciai indietro e resistetti. L’aria zolfata di Mordor sembrava più forte delle altre volte in cui ci ero stata, e i rumori più alti. Forti grida si levavano dal basso facendomi accapponare la pelle, ma non era di quello che m’importava in quel momento. Adesso dove capire che era successo a Sauron, perché i suoi occhi erano così chiari, e non dello stesso colore del cielo di quella sera: rosso. « Tutto bene? »
« Mh… si. Si, sto bene. » Annuì con veemenza, ma non mi mossi e nemmeno lui lo fece. Restammo fermi nelle nostre posizioni ( schiena ritta, braccia lungo i fianchi, occhi negli occhi ) a fissarci. L’unico rumore nella stanza era quello del suo cuore, che batteva veloce come quello di un colibrì.
« Sei sicura? Sembri… sembri stupita di qualcosa. Diversa. » Sussurrò a un tratto, facendo un passo avanti. I capelli neri gli strusciarono sul mantello di pelo del medesimo colore e mi parve di vedere qualcosa strisciargli fra i piedi, ma fu un attimo e non ci feci molto caso. Mi passai una mano fra i capelli e l’elastico si ruppe cadendo a terra, con velocità la mia chioma bruna si sparse sulle mie spalle disordinatamente.
« Dannazione », borbottai senza dare retta alle sue parole. Una ventata d’aria calda m’investì e una mano calda mi fece alzare il viso. Sbarrai le palpebre e mi concedetti qualche minuto ad ammirarlo. Si, era cambiato rispetto a tutte le altre volte che l’avevo visto. I suoi tratti sembravano più seri del solito, i vestiti di un diverso colore: non più solo neri, ma anche verdi smeraldo; e gli occhi, i suoi occhi erano ghiacciai veri e propri, mi mettevano persino paura. Non infondevano calore come quando erano rossi, al contrario mi davano un senso di freddo e lontananza come se tutto stesse per prendere una piega diversa. Ma che piega poteva mai prendere il nostro tutto? E poi, noi avevamo realmente un “ nostro tutto ”? Insomma, io non sapevo nemmeno cosa realmente provavo per lui, e cosa lui provava per me.
« Eleonora », mi richiamò. Sbattei le palpebre e ripresi a respirare; fino ad allora non mi ero nemmeno accorta che avevo smesso.
« I-io… », poggiai una mano sul mio gomito e feci un passo indietro, mentre lui ne faceva uno in avanti. « Ho bisogno di chiederti delle cose, cose che necessitano di una risposta. » Si ghiacciò sul colpo. Le mani sui suoi fianchi si chiusero di scatto e la mascella s’irrigidì.
« Dimmi. » Rispose freddamente. Le cenere nel mio corpo parve rallentare e cristallizzarsi. Eravamo così diversi rispetto alle altre volte, così distaccati. Raccolsi tutto il coraggio che avevo e presi un bel respiro, se volevo avere delle risposte alle mie domande non dovevo tardare a chiedere. Qualche minuto e sarei potuta crollare, correre ad abbracciarlo e lasciare il mio guscio da  “perfetta stupida” lontano dal mio corpo. Ma, adesso il punto non era quello di lasciare il guscio da “perfetta stupida”, ora l’obiettivo era tirare fuori quello da “incazzata dell’anno”; perché dentro di me ero in fermento da quando  ero arrivata, sebbene avessi represso il sentimento e incanalato il tutto in altre cose, come la mano nei capelli o la rottura dell’elastico.
 
 


°    °
 
 



Sauron attese che lei facesse qualche passo verso di lui, ma Eleonora rimase ferma al suo posto senza muoversi. I capelli castani erano come una folta chioma leonina e le conferivano un aspetto feroce e al contempo dolce. Era strano vederla così, si disse l’oscuro signore, ma le piaceva. Pareva un cucciolo in cerca di attenzioni, sfide. La sentì respirare più profondamente e poi accadde.
« Mi spieghi che diavolo ti è preso? Perché hai fatto del male a Pipino?! » Sbraitò. Sauron fece un passo indietro colto alla sprovvista. Lei fece un passo avanti e continuò imperterrita. Nei suoi occhi castani cominciavano a vedersi venature rosso sangue, ma appena accennate segno che tentava di controllarsi.
« Non l’ho fatta apposta, ok? » Rispose prontamente l’oscuro signore, riprendendosi dal suo stato di shock iniziale. « Quel… Quell’Hobbit non avrebbe dovuto prendere la sfera, va bene? Era destinata a te, dovevi prenderla tu. Ma stranamente non ne sei stata attratta, mentre lui si. »
« Mi avresti fatto del male? » Sbraitò lei. Si portò le mani al volto e coprì un ringhio soffuso. Sauron la fissò dargli le spalle e prendere a camminare per l’intera stanza del trono a grandi passi, mentre nella sua testa cominciava a domandarsi se le domande necessitavano realmente di una risposta o se quello fosse solamente un modo per sfogarsi riguardo tutto quello che le era accaduto in quei mesi. Da quando l’aveva “scoperta” e osservata non l’aveva mai vista gridare per sfogarsi, o tanto meno fare come stava facendo ora: addossare le colpe a lui pur di alleggerirsi il carico di stress che teneva sulle spalle.
« Oddio, no. Certo che no. »
« Però hai detto che quella… quella cosa era destinata a me. E se non l’ho presa io, perché mi sembrava di andare a fuoco? » Domandò acidamente, voltandosi. I suoi occhi persistevano a venarsi di rosso, ma era come se non solo riuscisse a controllare quello che le accadeva dentro, bensì non volesse uscisse. Era come se avesse paura di fargli del male, di ferirlo sebbene lui fosse più forte, alto e veloce di lei. Come se si preoccupasse per lui. Ma tutto ciò non importava al signore oscuro, in quell’istante la domanda che gli aveva posto superava persino l’apprensione camuffata di lei nei suoi confronti.
« Cosa significa che ti sembrava di andare a fuoco? » Con grandi falcate le era davanti, e aspettava una risposta. Sbatté le palpebre e attese.
Lei si abbracciò il corpo per un attimo e poi borbottò: « Significa che stavo, o almeno mi pareva di, andare a fuoco. Se Legolas non fosse intervenuto credo che… » si bloccò all’improvviso, portandosi una mano a coprire le labbra. « Oh mamma mia. » Prese a dire, aggirando il corpo dell’oscuro fino a dirigersi ai troni. Si sedette su quello d’ossidiana, come Sauron aveva previsto e rimase immobile con le mani sulle labbra.
 
 



°   °
 
 



O mamma mia, o mamma mia, o mamma mia…
Poggiai i gomiti sulle ginocchia, ignorando il bon-ton dell’epoca e serrai le palpebre. I suoni mi arrivavano ovattati alle orecchie e l’istinto omicida dentro di me andava pian piano a dissolversi, fino a sparire del tutto. Ora che avevo gridato contro l’oscuro signore mi sentivo molto meglio: ero più leggera, come se un peso si fosse tolto dalle mie spalle. Ma un altro se n’era aggiunto.
« Cosa? Cosa c’è? Che ti prende, ora? » Intravidi l’ombra di Sauron e poi sentii il calore delle sue mani sulle mie spalle. Bruciavano più mai, o almeno così mi pareva e io non potei fare a meno che mordermi le guance per non gridare. Avevo già fatto la figura della stupida ragazzina a gridargli contro, se mai gli avessi detto che mi faceva del male solo toccandomi come sarei apparsa? « Eleonora che ti succede? »
« Devo dirti una cosa  importante. » Affermai, levando le mani dal volto e alzandolo verso il suo. Gli occhi di ghiaccio a me estranei mi osservarono. « Forse è meglio che ti siedi. » Le sopracciglia s’inarcarono ma fece come gli avevo detto e si sporse verso di me dal bracciolo del suo trono. Se avessi avuto un cuore ora sarebbe esploso dalla vergogna. « Io credo di sapere perché mi sentivo bruciare. »
« Allora, dimmi. »
« Io… io penso che. Oddio, come te lo posso dire? » Le mie guance s’imporporarono, e i miei occhi presero a pizzicare tremendamente.
« Mi devi dire qualcosa di brutto? Eleonora, cosa c’è che non va? »
I suoi occhi. Erano così limpidi e ignari di tutto, per la prima volta ci potevo leggere l’anima.  Ebbi l’impulso di prendergli la mano, ma come sfiorai la sua pelle mi parve di bruciare. Ritrassi le dita e poggiai la mano destra sulla pancia coperta dal vestito bianco che mi ero dimenticata di star indossando. Non mi ero cambiata, dopo la festa ero crollata fra le braccia di Legolas come un bradipo. Le iridi del signore oscuro seguirono i miei movimenti finché non si fermarono sul mio palmo. Strinsi leggermente la stoffa, sotto pressione e poggiai la schiena allo schienale di ossidiana. L’ombra delle corna del cervo si proiettò sulla mia figura.
« Penso che… che il bambino dentro di me soffrisse nel vederti, come Pipino quando ha tenuto in mano la sfera. Perché loro sono luce, e noi ombra. » Con lentezza la figura del signore di Mordor si poggiò allo schienale del suo trono e le braccia vennero disposte sui braccioli di pietra ruvida e smussata. Il volto diretto verso l’entrata in fondo alla stanza, vuota. Le tende si chiusero all’improvviso da sole, gettando l’enorme sala nella penombra, colorando tutto di rosso con la luce che le penetrava da fuori. Un tuono profondo rimbombò all’esterno, scuotendo le mura della torre che tremò. Strinsi le labbra e attesi che tutto si calmasse.
Non fare la bambina, sii forte. Non crollare, sii forte. Se ti urla contro, sii forte. Se ti caccia, sii forte. Se ti dice che dovrai combatterlo, sii forte. Se ti getta a terra, sii forte. Sii forte, sei sempre riuscita a cavartela da sola e rialzarti.
Un altro tuono, più forte questa volta, scosse le pareti che si venarono profondamente. Mossi la testa a destra e a sinistra per osservare il disfacimento di Mordor e poi tornai all’elfo seduto al mio fianco. I suoi occhi azzurri si stavano venando di arancione, poi divennero rossi rubino e infine porpora.
« Sauron », sussurrai appena, attendendo un suo movimento, anche il più piccolo. Invece lui non mi guardò, si alzò in piedi e si allontanò fino a raggiungere il centro della sala del trono. Gridò. Socchiusi le labbra e tappai le orecchie con le mani, perché quello non era un urlo normale: era potente e forte, ma al contempo sembrava talmente alto da farmi star male. Il pavimento sotto i miei piedi tremò con tanta forza che i teschi cedettero e caddero a terra distruggendosi, li evitai per un soffio saltando in avanti, oltre gli scalini. Inciampai sul mio vestito e caddi a terra, attutendo la caduta con le braccia. Il pavimento freddo era diventato ruvido e ricco di venature a causa del terremoto che scuoteva le mura di Mordor. Mi fece male, graffiò la mia pelle come gli artigli di un gatto. Feci una smorfia e mi alzai in piedi, maledicendo tutti i vestiti possibili e improbabili. « Sauron! » Strillai, cercando di attirare la sua attenzione. Ma lui non si mosse, rimase a gridare e a far smuovere il vento con forza, rendendo l’aria elettrica e facendo echeggiare tuoni potenti al di la delle tende rosse. Sapevo che tutto quel trambusto era dovuto a lui, al suo malcontento e non potevo dargliene torto. Io ne ero la causa. La mia poca coerenza la era, e mi odiavo per questo. Poco dietro di me un pezzo di muro cadde, imprigionando la fine del mio vestito sotto di esso. « Sauron! » Gridai ancora, incapace di liberarmi. Tirai con tutte le forze la stoffa bianca, ma questa sembrava fatta di ferro. Avevo le guance  in fiamme e il mio corpo non era più abbastanza  forte da reggere tutto quello. La morte di Isil, quella di Titano, il bambino: tutto mi aveva indebolita. « Sauron ti prego, fermati! » L’agghiacciante suono di un ennesima venatura mi fece alzare la testa. Proprio sopra di me un pezzo di soffitto si stava sgretolando, pronto a cadere. Tentai di fermare il respiro, lasciarlo stabile, controllato ma tutto era inutile. Il panico s’impossessò di me per un istante e feci quello che non avrei mai creduto possibile: puntai il palmo verso l’oscuro signore e lo sentii bruciare. Qualche istante dopo un intensa fiammata arancione e rossa ne scaturì fuori, si diresse verso Sauron e lo gettò contro la parete d’entrata. Tutto cessò e ogni cosa tornò ferma, come se nulla si fosse mai mosso. Il pavimento non tremava più, le venature non si creavano più, i tuoni e il vento erano scomparsi. Era tutto in stallo. Chiusi gli occhi e abbassai la mano, m’inginocchiai a terra e respirai il più lentamente possibile. Quando rialzai il viso dalle mani trovai il suo a fissarmi: gli occhi d’oro sembravano liquidi e carichi d’odio e disperazione. « Mi dispiace. »  Fu l’unica cosa che dissi.
« T-ti dispiace? » Strillò lui, poggiando la schiena contro il muro non in grado di alzarsi. « Ti dispiace?! » Gridò ancora, questa volta creandosi attorno un’aura nera come la pece.
« Sauron, ti prego calmati », sussurrai senza più voce in gola. Ero stanca, e stressata, e soprattutto arrabbiata con me stessa: perché in quel momento sembravo una ragazzina piagnucolosa; e avevo poche forze.  
« Come può dispiacerti una cosa del genere, Eleonora? Come puoi chiedermi di calmarmi?! » Barcollando si alzò in piedi e mi fulminò con lo sguardo. « Stai aspettando un figlio da un uomo che io detesto! Non posso calmarmi perché io ti amo! »
« E io amo lui! »  Strinsi una mano alla pancia e continuai a fissarlo. I tratti del suo volto erano così seri, addolorati, delusi. « Ma amo anche te. E non sono dispiaciuta di essere incinta. Non vedo l’ora che nasca questo bambino, ma tu… tu devi smetterla di intrometterti nella mia vita come hai fatto questa notte. Hai fatto del male ad un mio amico, e per poco non uccidevi mio figlio e me. » Tossii leggermente, e poggiai la mano libera alla gola. « Sauron, dei stare… » Ogni parola era pesante quanto un macigno. Ogni virgola, punto, pausa sembrava un burrone sotto i miei piedi. « Lontano da me. »
L’oscuro signore socchiuse le labbra e poi gridò ancora, si voltò verso la parete e sferrò un pugno talmente forte da sgretolarne un punto. Dalle sue nocche usciva sangue rosso che gocciolava sul pavimento. Ingoiai un fiotto di saliva e mi alzai cominciando a tirare in avanti il vestito. Un profondo strappo si aprì sopra le gambe: lo strappai. Percorrendo il pavimento disseminato di pezzi di muro raggiunsi Sauron, gli voltai le spalle e presi la sua mano nella mia. Il fluido caldo scese fra le mie dita inumidendole e colorandole di rosso. Con cautela avvicinai la mia mano destra alla sua guancia e c’è la poggiai sopra; bruciava la mia pelle, ma ignorai il dolore. I suoi occhi rossi, tanto famigliari, rimasero freddamente nei miei.
« Smettila, non servirà a nulla fare così. »
« Ti ho persa. » Mormorò, con la voce che saliva e scendeva come in un singhiozzo continuo.
« No, no, no, no. Non mi hai persa, ok? Si tratta solo di un po’ di tempo. » Mentre lo dicevo sapevo di mentire; quel poco tempo sarebbe dovuto essere almeno per sempre. Poggiai la fronte sulla sua e sussurrai ancora: « solo un po’ di tempo. »
 
 
 
La luce del sole mi colpì gli occhi facendomi gemere di fastidio. Allungai un braccio avanti a me e coprii i raggi con la mano, aprii le palpebre e vidi Legolas seduto davanti a me a gambe incrociate. Sbattei le palpebre mentre mi tiravo su; il sogno che avevo fatto la sera prima era stato devastante. Chi l’avrebbe mai detto che una finzione della mente potesse rendermi ancora più stanca di quanto non fossi? E chi l’avrebbe mai detto che un sogno potesse sembrare così reale?
« Buon…buongiorno », biascicai ancora mezza addormentata. Lui mi trafisse con i suoi occhi azzurri, freddi come ghiaccio e continuò a lucidare il piccolo pugnale che si portava sempre dietro.
« Allora, com’è andata? » Domandò bruscamente.
« Com’è andata cosa? » Mi rigettai a pancia all’aria sul telo che fungeva da materasso. Non capivo che voleva intendere Legolas con quella frase. Come sarebbe andata cosa?
« La visita a Mordor. »
Il mio corpo si congelò, prima che rizzassi la schiena. Una fitta alla pancia mi fece portare le mani su di essa e stringere la stoffa del vestito. Stranamente il tessuto mi pizzicò solo le cosce. Allora capii, gettando un’occhiata a me stessa vidi il danno: le ferite alle gambe e ai gomiti, il vestito strappato sopra le ginocchia, le dita sporche di sangue. E chiusi gli occhi, maledicendomi. Avevo perso Sauron, e stavo per perdere Legolas.
 
 
Holaaa peipe.
Che capitolo osceno XD. Scusssate tessori, ma proprio sono rincoglionita ultimamente - se poi aggiungiamo che il computer non mi ha salvato il capitolo le prime 2 volte, e l’ho dovuto riscrivere ogni singola volta, mi è anche passata la voglia.- Anyway, come vi sembra questo confronto Ele/Sauron? Sinceramente, orrendo? Che ne dite del vostro Sauron dagli occhi azzurri? ( si capirà più avanti il discorso degli occhi azzurri, tranquille.) E di Legolas, che ne pensate?

Ora godetevi il trailer :3

https://www.youtube.com/watch?v=yhfePjQaTzA

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Capitolo 6
*** La luna di sangue. ***


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You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 



Era tutto un "devi tenere duro", "vedrai starai meglio" "tutto passa". Tutto passa un cazzo! Non passa niente, perché i ricordi restano e ti fanno ancora più male.
 
-la ragazza che amava leggere. Tumblr.com

 
 

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Il sole entrava dall’unica finestra presente nella stanza, illuminando il pavimento piastrellato di ceramica e il mobilio. Un letto matrimoniale a baldacchino, con i tendaggi smossi dal leggero venticello proveniente da fuori, sostava con lo schienale alla parete bianca abbellita da decorazioni verdi. Il vestito azzurro che indossavo frusciava contro le lenzuola a ogni singolo movimento e i miei capelli con esso. Era così snervante dover stare rinchiusa in quella camera, eppure non avevo la minima voglia di partecipare alla “riunione” riguardo l’avvenimento della sera prima. Al contrario avevo scelto io di rimanere in quella stanza, quella di Eowyn, mentre lei era fuori con delle donne. Il vestito, beh, quello era stato il prezzo da pagare pur di non far riferire alla principessa delle mie ferite. Quello che credevo fosse stato solo un sogno, in realtà, si era rivelato concreto e le mie ferite reali. Legolas mi aveva portata da lei in braccio, dopo tutte le mie proteste, poi mi aveva lasciata alle sue cure e se n’era andato visibilmente alterato e preoccupato per la mia visita a Mordor. E ora mi ritrovavo sola, con quello che sembrava essere un sasso sulla bocca dello stomaco e forti nausee dovute alla gravidanza che mi mettevano di mal umore. Rizzai la schiena e l’appoggiai alla testiera di legno scuro del letto, sulla scrivania in lontananza una boccetta d’inchiostro catturò la mia attenzione: era piccola e fatta di vetro, al suo interno riluceva dell’inchiostro nero e poggiataci accanto sostava una piuma d’oca. Al suo fianco svolazzavano dei fogli tenuti fermi da un cofanetto. Mi alzai con cautela, e mi sedetti sulla sedia difronte alla scrivania. Scostai il cofanetto, impugnai la piuma e ne immersi la punta nella boccetta. Presi un bel respiro.
 


“ Cara mamma,
ciao, mi manchi. E’ quasi un anno che sono precipitata qui, in questa terra di caos e guerre. Sono finita in un circolo vizioso fatto di cospirazioni,  morte, predite, rancori, paure, vendette,… è tutto così strano, così diverso da casa. Io sono diversa, mamma; ho ucciso. Ho ucciso, mamma. Ho ucciso la mia stessa sorella, che aveva cospirato conto di me, e mi sento così male per questo. Ho perso un amico fidato, Haldir: l’ho visto cadere davanti ai miei occhi e non ho potuto fare nulla per salvarlo. Mi sono sentita così impotente, fragile, scoperta. Mentre lui cadeva, io sono rimasta immobile, colta dalla paura e dalla consapevolezza che avevo agito troppo tardi. Mi sono sentita una fragile e stupida bambina, mamma.  Ho sentito il mio guardiano cadere e smettere di respirare, in quel momento mi è mancato il respiro e ho scoperto cosa vuol dire non avere un cuore. Mamma, non ho più un cuore: è divenuto cenere.
Ho perso due amici mamma, che ora vagano per le terre di Mordor cercando di distruggere l’”unico”. Sinceramente, non so neanche se sono ancora vivi. Temo per loro, per le loro vite.
Mamma, mi sono innamorata della persona giusta e di quella sbagliata. Ho amato e ne sto pagando il prezzo, perdendo coloro che a cui appartiene il mio cuore. Ne ho già perso uno, mamma, e sento che sto per perdere anche l’altro; ma, io non voglio perderlo mamma. Non posso. Sento che non ci riuscirei ad andare avanti senza di lui, la sua figura al mio fianco. E’ come un’ancora, alla fine mi salva sempre. E, poi, è il padre di mio figlio. Si mamma, sono incinta. Non riesco a crederci nemmeno io. Sono due settimane, quasi tre, e pensa che io l’ho scoperto qualche giorno fa dopo una battaglia. Tutto questo sembra così surreale, e lo è. Persino io stento a crederci. Eppure, è la verità.
Ma tutto questo non conta nulla alla fine. Non so nemmeno perché ti sto scrivendo questa lettera che non potrai mai leggere, mamma. Alcune sere spero di addormentarmi e sognarvi: te, papà, persino quella piccola peste di mia sorella. Altre, invece, penso che vorrei chiudere gli occhi e non aprirli per tanto tempo, solo perché nel caso ti sognassi vorrei stare con te per tanto tempo.
Perché non sei qui con me? Io ho bisogno di te, e tutte quelle volte che ti ho detto che c’è l’avrei fatta anche senza di te erano una bugia. Io non c’è la posso fare senza te. Mi mancano i tuoi abbracci, la tua voce, il calore del tuo corpo. Mi manca tutto.
Mi manchi tu, mamma.
 

La tua
 
Ele.”
 
 
 
Un forte conato di vomito mi si fermò in gola, costringendomi a lasciar cadere la penna che ancora tenevo in mano e correre in bagno. Mi accasciai contro il water e vomitai cercando di non inzuppare i capelli. Se solo avessi avuto il mio elastico, ma si era rotto. Imprecai e un altro conato mi costrinse a piegarmi, chiusi gli occhi e poggiai le mani sul bordo. Quando finalmente il dolore allo stomaco finì, mi gettai a sedere sulle ginocchia e passai un palmo sulle labbra. Qualcosa di rosso scintillò fra le dita; non ci misi molto a capire che era sangue. Con il respiro a mille mi alzai e corsi in corridoio, la paure dentro di me che cresceva.
E se il bambino stesse male? Se avessi fatto qualcosa per farlo stare male? Mi serve Gandalf!
I raggi di sole mi accecavano di tanto in tanto, e dovetti evitare all’ultimo di scontrarmi con alcune serve, il tutto tenendo il vestito fra le braccia e tentando di calmare il respiro. Avrei fatto di tutto pur di sapere che mio figli non era in pericolo, specialmente a causa mia.
“Tu sei il primo pericolo per tuo figlio”, la voce di Eomer era tornata nella mia testa, con un eco continuo. Più tentavo di liberarmene, durante la mia corsa verso la sala del trono, più tornava; insistente e opprimente. Finalmente, in lontananza vidi il portone che conduceva alla sala lateralmente. Aumentai il passo e lo spalancai. L’aria fresca della stanza uscì in una ventata contro di me e tutti si voltarono non appena feci qualche passo avanti.
« Gandalf. »  Il mio petto si alzava e si abbassava convulsamente. Avevo il respiro corto, e una paura crescente. « Gandalf. » Gli occhi azzurri dello stregone percorsero con velocità il mio vestito azzurro, macchiato di rosso e le sue sopracciglia s’inarcarono.
« Eleonora, dannazione che è successo? . » Legolas scattò nella mia direzione e mi poggiò le mani sulle spalle, scuotendomi leggermente. « Chi ti ha fatto questo? » I suoi occhi azzurri erano come laghi di ghiaccio, ma non vi era più l’amarezza di quella mattina, ora vi era solo spavento e apprensione.
« I-io non lo so. H-ho solo… » Ammisi balbettando, bloccandomi a metà frase. Le mani dell’elfo strinsero di poco la presa sulle mie spalle e io mi sentii al sicuro per qualche secondo. « Gandalf, aiutami. Gandalf, questo non è sangue mio. » Mormorai lanciando uno sguardo allo stregone bianco, che era comparso al fianco del mio elfo. L’uomo, di tutta risposta, scostò con delicatezza il principe e mi circondò le spalle con un suo braccio mentre mi voltava. Ripercorremmo la strada dalla quale ero venuta e ci rinchiudemmo nella mia camera. Da fuori si udivano già i passi di Aragorn, Gimli e quelli affrettati di Legolas che tentavano di raggiungerci. Prima che qualcuno potesse dire qualcosa mi portai una mano alla bocca e corsi in bagno: altro sangue mi uscì dalla gola.
« Gandalf, questo non è sangue mio! » Strillai in preda al panico, rialzandomi. Lo stregone avanzò verso di me senza distogliere i suoi occhi azzurri dai miei scuri. Socchiuse le labbra, e il suo volto prese un’espressione preoccupata. Piegò leggermente la testa, e poi la rialzò conducendomi verso il letto.
« Sdraiati. » Ordinò, indicando il letto con il bastone.
Corrugai le sopracciglia e l’osservai, passai la lingua sulle labbra sporche di sangue e dissi: « Se mi venisse un altro attacco di nausea… »
« Fallo e basta. » Borbottò, dandomi un colpo sulla nuca con quel trabiccolo che usava per camminare. Un ringhio soffocato rimbombò nella mia gola, senza che riuscissi a controllarlo. Sbattemmo entrambi le palpebre e poi mi sdraiai com’era stato richiesto. Lo stregone si avvicinò al bordo del letto e passò il bastone sul mio corpo, gli occhi chiusi per concentrarsi. Quando il lungo pezzo di legno si fermò e ritoccò terra, Gandalf aprì gli occhi. Si accarezzò la lunga barba e poi corse ad aprire la porta d’entrata: tirò dentro la stanza Legolas come se pesasse nulla. L’elfo inciampò nei sui stessi passi, colto alla sprovvista, e quando riprese il portamento diritto si avvicinò a me. Mi misi a sedere e coprii la pancia con le mani.
« Come stai? El, cos’è successo? Ti senti male?» Mormorò il biondo.
« Starei molto meglio se tu non mi facessi tutte queste domande, Leg. Sto bene, diciamo. Sono solo un po’… scossa, ok? » Ammisi, accarezzandomi il volto con le mani. Sentii il sangue secco deposto sul palmo mi graffiò leggermente, mentre il calore del corpo di Legolas riscaldava il mio profilo.
« Scusa », miagolò al mio orecchio. Sentii il suo braccio cingermi i fianchi, e entrambe le sue mani si posarono sul mio ventre. Presi un bel respiro e alzai il mento in direzione di Gandalf, che se ne stava tutto curvo sulla scrivania. Ignorai quel suo comportamento e accennai uno starnuto per richiamarne l’attenzione.
« Gandalf. » Per la prima volta sentii la mia voce incrinarsi pesantemente, in ansia. Feci correre le mani sul mio ventre, poggiandole su quelle grandi dell’elfo e attesi. Lo stregone si voltò verso di noi e fece schioccare la lingua. Scossi il capo corrugando le sopracciglia. Lui sospirò.
« Il bambino, ha bisogno di calma. Il custode, invece, è assetato di battaglia. » Disse diretto, senza giri di parole.
« No, fermati, stop. » Intervenne Legolas, alzandosi in piedi di scatto. I lunghi capelli biondi gli si agitarono sulle spalle, mentre la casacca verde e marrone che indossava fece un brutto suono: simile a quello di uno strappo. « Cosa vuoi dire con: “il custode”? » La sua voce pareva un ringhio. « Titano è morto, e lo sai anche tu. Non può persistere il custode in lei se l’altra metà ne è morta. Nemmeno lei dovrebbe essere ancora viva, riguardo quello che ne so sulle leggende. »
« E questo è il punto caro principe! » Lo riprese con un colpo sul capo, del suo bastone,  Gandalf. « Lei dovrebbe essere morta quando il drago è caduto: ma non è successo. Lei lo era già prima, perciò non poteva morire di nuovo. »
« Non capisco… se io ero già morta, e non potevo morire di nuovo, cosa c’entra…  »
« Il guardiano? La parte che di lui non è morta, vive ancora in te. Questo significa che. »
« Che lei subisce ancora l’influenza del drago. » Completò la frase Legolas. Entrambi gli uomini si voltarono a fissarmi e io sbattei le palpebre. Entrambi avevano due pozzi chiari al posto degli occhi; due diamanti che mi osservavano e rilucevano contro luce, sembrando bianchi come le iridi. Continuai a osservare tutti e due, finché non chiusi gli occhi di conseguenza a un giramento di testa.
« Sebbene in minima parte. » Continuò Gandalf. Sorrisi e abbassai il capo verso le mie gambe.
« Comincio a detestare i sintomi della gravidanza. » Dissi per non far spaventare ulteriormente nessuno, giocando tutto sull’ironia. In realtà era come se una bomba atomica mi fosse appena scoppiata in testa, facendo esplodere tutti i miei neuroni funzionanti. « Non potevi restare incinta tu, principino dei miei stivali? »
« Quand’è la luna di sangue? » Lo stregone parve come risvegliarsi da un sonno durato anni. La barba bianca frusciò contro il suo petto scompigliandosi. Qualcosa brillò contro luce, ma lui lo nascose velocemente. Cosa nascondeva il nostro stregone?
« Fra qualche sera, perché? » L’elfo lo guardò di traverso, come me.
« Questo non va affatto bene. Non va affatto bene. » Prese a borbottare l’uomo. Corse a chiudere l’unica finestra della stanza e tutto crollo nel buio. Strinsi le mani a pugno per non gridargli dietro cattiverie e respirai profondamente. Ad un tratto, qualcosa mi fece contorcere la bocca delle stomaco e un altro ringhio si levò dalla mia gola. Spalancai le palpebre e vidi rosso; un rosso più intenso che mai. « E come pensavo. » Riaprì le tende e tutto tornò normale. « Stai con lei per le prossime notti, Legolas. Si preannuncia un cambio di eventi nella nostra compagnia, e non in bene. »




Pen...Bene, bene.
Ora, non provate a dire che non è osceno, perché lo è. Comunque è un capitolo di passaggio.
Approfondimenti per todos:
La luna di sangue: durante il periodo della luna di sangue il lato dormiente da "guardiano" di Ele, la cui metà è andata persa dopo la morte di Titano, si risveglia con aggressività - perché, appunto, non essendoci più Titano con cui dividere il potere tutto è sulle spalle della nostra ragazza -.
Il sangue: come già detto, il bambino rifiuta il male ( rivedete il capitolo successivo, in cui El tocca Sauron e si bricia ), perciò rifiuta anche la madre in un certo senso; o almeno, rifiuta il suo lato "oscuro".

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Capitolo 7
*** « Fanie Roitare. » Mai nome era stato più adeguato ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose. 
 


“Ma tu sei lei, e lo sei sempre stata.”
 
-Ligabue

 
 
 
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Le stalle erano gremite di cavalli, qualche cavaliere stava sellando il proprio, mentre io ed Aragorn ci apprestavamo a prepararne uno solo: il suo. Mi aveva promesso che mi avrebbe portata a fare una piccola passeggiata fuori Edoras, il tutto all’oscuro di Legolas. Non che volessimo tramare qualcosa alle sue spalle, ma semplicemente lui era preoccupato dagli avvertimenti dello stregone e della salute di nostro figlio. Anche io ero preoccupata, ma non pensavo che una semplice passeggiata potesse crearmi chi sa quali danni. A un tratto Marry e Pipino, capitanati da Gandalf, ci sorpassarono e si diressero verso il box di Ombro-manto. Feci un cenno a Aragorn e li raggiunsi.
« Ma, ma ci rivedremo presto. Non è così? » Gli occhi grandi e verdi di Pipino fissarono Merry; dentro vi era paura e desolazione. Lo potevo leggere fra le righe del modo in cui parlava che era triste, che sapeva che quello era un addio. Merry guardò di fretta Gandalf e poi tornò all’amico, scuotendo il capo.
« Non lo so. Non lo so cosa rivedrò. » Ammise solamente. La bocca dello hobbit a cavallo si socchiuse in un grido muto, mentre lo stregone montava alle sue spalle su Ombro-manto.
« Merry », sussurrò allibito Pipino. Poggiai le mani sul mio ventre, e la stoffa del vestito verde che indossavo si tirò leggermente. Era disarmante sentire quelle parole dagli stessi compagni che si erano ripromessi di proteggersi a vicenda. Presi un bel respiro e mi caricai di coraggio, avvicinandomi poi ai due a cavallo.
« Sii prudente, Gandalf. » Lo pregai con tutta me stessa, e poi rivolgendomi al piccolo hobbit dissi: « Abbi cura di te, Pipino, e non cacciarti nei guai.  » Gli baciai la fronte, scambiando un’occhiata d’intesa con l’uomo alle sue spalle. Gandalf chiuse gli occhi per un istante e sospirò.
« Ci rivedremo presto, Eleonora. » Mi assicurò, mentre raggiungevo Merry e mi mettevo al suo fianco. Posai una mano sulle sue spalle e osservai i due fuggiaschi. Ci sarebbero mancati, entrambi. « Corri, Ombro-manto. Mostraci cosa significa “fretta”! » Ordinò lo stregone al cavallo.
« Merry! » Gridò Pipino, mentre il cavallo s’impennava e correva via. La sua figura scomparve nella forte luce pomeridiana che s’irradiava dall’entrata delle stalle. Un singhiozzo represso attirò la mia attenzione: proveniva dal piccolo uomo, che si era stretto a una delle mie gambe. Sorrisi leggermente e gli accarezzai la schiena con la mano, mentre Aragorn, comparso da uno dei box, ci guardava dolcemente. I suoi occhi azzurri parevano laghi primaverili, limpidi.  In braccio teneva una sella ricamata d’oro e verde – i colori di Rohan- , mentre dal pomo di essa dondolava una testiera nera. L’appoggiò a una delle pareti del box e si scompigliò i capelli, arruffandoli come quelli di un barboncino.
Povero Merry, lo sentii pensare. E non potevo dargli torto. Merry, io e il re di Gondor lo sapevamo bene, aveva appena lasciato andare una parte di se, il suo migliore amico, e non si sarebbe mai perdonato per questo. A me era successo con Jasmine sulla Terra, e con Titano qui.
« Devo salutarlo! » Sborbottò il piccolo hobbit all’improvviso, prima di lasciare la mia spalla e mettersi a correre verso una delle torri. Il suo scatto mi colse impreparata, tanto che per poco non persi l’equilibrio e caddi. Il re mi prese prontamente, poi cominciò a corrergli dietro urlando il suo nome.
Uomini. Pensai solamente, raccogliendo il vestito fra le braccia per prendere a inseguirli. Uscii dalle stalle e la luce accecante del sole m’investì in pieno, per qualche secondo mi girò la testa ma tutto tornò normale poco dopo. Percorsi la scala di una delle torrette fiancheggiando Aragorn e alla fine mi aggrappai a un paletto per sostenermi. Gandalf aveva ragione: non dovevo sforzarmi troppo adesso. Ma non mi sarei arresa, non volevo era più forte di me. Restai ancora per qualche minuto ferma, a godermi il calore dei raggi solari sul mio corpo e la carezza del vento sulla pelle. Chiusi gli occhi e immaginai di essere a casa, nella mia stanza con la mamma che mi leggeva qualcosa prima di addormentarmi come quando ero piccola. Scossi le spalle e tornai alla realtà, concentrandomi sui due ragazzi che parlavano poco lontano da me.
« Mi ha sempre seguito dovunque andassi, da quando eravamo piccoli. L’ho sempre cacciato nella peggior specie di pasticci, ma poi… ma poi ero sempre li a salvarlo. » Sorrise Merry affacciato dal piccolo spazio trovato fra le assi di legno. Osservava Gandalf dirigere Ombro-manto lontano da Edoras, con Pipino in sella. Aragor gli rivolse un’occhiata carica di speranza e un sorriso accennato ma sincero. I capelli gli calarono sul volto con una raffica di vento leggera, e il re li rispostò indietro con una mano. « Ora se né andato. » Lo hobbit si voltò a fissarlo e gli occhi tristi imposero all’uomo di poggiargli una mano sulla spalla, per dargli due pacche consolatorie. « Come hanno fatto  Frodo, e Sam… »
« Una cosa che ho imparato sugli Hobbit », si affrettò a dire il re, « sono un popolo audace.  » I loro occhi erano incollati come se avessero avuto la colla.
« Avventato, forse. Lui è un Tuc. » Merry aveva il sorriso sulle labbra, e questo fece sorridere anche me che decisi era ora di intervenire nella conversazione. Mi avvicinai e poggiai la mano sulla spalla di Aragorn; il re si voltò a guardarmi sorridendo e lo stesso fece Pipino.
« Perché ci hai messo così tanto? » Borbottò incuriosito lo hobbit, esaminando il mio volto con occhi attenti. Le sue guance arrossate, segno che aveva corso, si piegarono in un leggero sorriso.
« Le scale… sono così tante. » Mi giustificai, gesticolando con la mano in aria mentre sentivo qualcosa poggiarsi sulla mia pancia. Allora rimasi ferma, immobile, aspettando che qualunque cosa fosse si bloccasse. Quando abbassai lo sguardo due mani poggiavano su di essa: una piccola, simile a quella di un bambino, l’altra era quella di un uomo.
« E’ cresciuta », constatò Aragorn, il suo pollice si mosse leggero sulla stoffa verde dell’abito e io sorrisi. Merry invece ritirò la propria mano e scrocchiò le nocche.
 « Ho fame, vado a mangiare. » E scomparve, rimanemmo solo io e il re.
Un uccello oscurò il sole per qualche secondo, permettendomi di esaminare meglio i tratti del sovrano: erano tirati e stanchi, doveva riposare. Addolcii il mio sguardo e allungai una mano sul suo volto ad accarezzarlo. La barba mi graffiò leggermente il palmo, tutta via era un “dolore” sopportabile. Gettai la testa verso destra e sorrisi un poco; la sua mano era ancora sul mio ventre, ad accarezzarlo. Era strano tutto quello. Non ero mai stata molto vicina ad Aragorn, ma da quando era incinta mi sentivo come spinta verso di lui, a dover prendermene cura in un certo senso, come lo ero con Merry e persino Gimli.
« Sei stanco, non è così Aragorn? Perché non vai a riposare? » Domandai prendendogli la mano nella mia e stringendola, mentre con lentezza ci dirigevamo verso le scale. Cominciammo a scenderle, mentre le palpebre del re sbattevano tentando di allontanare la luce del sole.
« Ti avevo promesso che ti avrei portata a cavalcare, Eleonora. »
« Ci sarà tempo per le cavalcate, mio signore, » annuii a me stessa senza accorgermene, « ora è tempo di riposo per te. Non ci sarai utile sveglio a metà, Aragorn. » Il sole venne oscurato nuovamente per qualche secondo da un altro uccello. « Abbiamo tre giorni prima che Gandalf arrivi nella città dei Re; questo significa tre giorni prima di avere notizie concrete, e questo porta a tre giorni di riposo, che di certo non faranno male ne a te, ne a me, ne a Legolas e neppure a Gimli. » Salimmo i gradini che conducevano alla reggia e entrammo negli alloggi. « Non trovi anche tu, mio signore? »
« Si, ma… » Lo fermai davanti a una stanza e  aprii la porta. Era identica alla mia, solo le lenzuola cambiavano e il disordine.
 « Fermata prenotata per sire Aragorn. » Scherzai, indicandogli con le braccia l’interno della camera. Lui corrugò le sopracciglia e unì le braccia al petto.
« Fermata… prenotata? »
« Oh, si, giusto: tu non sei del mio mondo. Non sai cosa siano i treni o roba del genere, lo dimentico sempre. Non importa. » Mi grattai il capo, alzai le spalle e mi allungai verso di lui. Le mie labbra sfiorarono la sua guancia per un secondo. « Buon riposo, mio signore. » Lo spinsi nella stanza e feci per chiudere la porta. Lui mi fermò a metà strada, stringendo la maniglia e tirando il tutto indietro.
« Non credo che dovrei… »
« Tre giorni Aragorn. » Gli ricordai, sventolandogli davanti tre delle mie dita. Lui sospirò rassegnato e mi fece chiudere il portone. Sorrisi vittoriosa avviandomi verso la mia camera, dove sapevo avrei trovato Legolas addormentato o meglio: in un dormiveglia molto profondo.
 
I raggi di sole che entravano dalla finestra davanti alla scrivania illuminavano l’inchiostro nero nella boccetta di vetro, e i fogli bianchi svolazzavano per la stanza sull’aria leggera. Sul letto era sdraiato a pancia in su l’elfo biondo, una mano sulla pancia l’altra sugli occhi. Alzai gli occhi al cielo, piegandomi a raccogliere la carta. La maggior parte dei fogli erano bianchi, tranne due: una era la mia lettera, l’altro non l’avevo mai visto. Rizzai la schiena e diedi le spalle a Legolas, analizzando il foglio ripiegato che tenevo fra le mani. Era più scuro degli altri, un color crema quasi,  e portava sopra un sigillo verde: due corna di cervo sul davanti della busta. Corrugai le sopracciglia e la infilai fra gli altri fogli; in quel momento tutto quello di cui non avevo bisogno erano altre notizie, qualunque esse fossero. Mi diressi verso il letto a baldacchino e con molta attenzione ci salii, sdraiandomi vicino al corpo caldo del principe. Abbracciai l’unico cuscino libero, gli diedi la schiena e chiusi gli occhi. Il sole era perfetto, riscaldava il mio corpo ma non mi colpiva in faccia. Sorrisi benedicendo Theoden per la scelta dei letti e rilassai i muscoli. Qualche istante dopo Legolas mi tirò verso di se con un braccio e prese a baciarmi le spalle con dolcezza.
« Dov’eri? » Sussurrò al mio orecchio. Mi mossi con lentezza per voltarmi verso di lui, ma quando lo feci i suoi occhi azzurri mi colpirono come diamanti. Alla fievole luce solare erano talmente chiari da sembrare bianchi. Arricciai le labbra e alzai le spalle.
« Sono andata alle stalle, a salutare Gandalf e Pipino. » La mia voce s’incrinò leggermente. « Poi ho accompagnato Aragorn nelle sue stanze e sono tornata. Molto interessante, no? Tu, che hai fatto oltre che fingere di essere una mummia stecchita? »
« Una che… ?»
« Nulla, lascia perdere. » Con una spinta voltai il viso verso l’alto e poggiai le mani sulla pancia. Era strano dirlo ma toccarla era confortante, rilassante. Era come se potessi gettare tutte le mie preoccupazioni fuori dalla una finestra e ricordarmi del piccolo mezzelfo che mi cresceva dentro. Respirai intensamente e le mie narici furono inebriate dal profumo di pini di Legolas. « Legolas », sussurrai a un tratto guardandolo, « cosa pensi che accadrà? »
« In che senso? » Domandò sbattendo le palpebre. Qualche filo biondo gli cadde sul volto, ma lui lo spostò con velocità.
« Cosa accadrà a… noi, a lui? » Mi ressi sui gomiti per alzarmi leggermente. « Insomma, anche se non l’ammetto ho paura di quello che potrebbe succedere. E se qualcosa andasse storto? Se il mio lato da guardiano prevalesse? Dio, Legolas, io non sopporterei il fatto di perdere… »
« No, ehy, ascoltami.  » Sia affrettò a mettersi a sedere e prendermi il volto fra le mani. « Andrà tutto bene, tutto si risolverà per il meglio come è sempre successo. Noi staremo bene, e lei starà bene. » Poggiò una mano sulla pancia, sorridendo dolcemente come mai aveva fatto. Feci correre le mie mani al suo collo e accarezzai la sua pelle liscia. Lui non aveva cicatrici, non tante quanto me almeno. « Non importa cosa succederà in questa dannata guerra, ok? Noi c’è la faremo, insieme. Tutta andrà bene. Tutti si risolverà come sempre.  »
« Me lo prometti? »
« Te lo prometto. »  Chiuse le palpebre, e  questo mi lasciò interdetta. Di solito quando diceva la verità non lo faceva mai, eppure decisi di credergli perché dopo tutto mi fidavo di lui.
 
 



°    °
 
 
 
Sauron gridò per l’ennesima volta, ormai lo faceva ogni giorno, e lanciò un oggetto pesante contro l’enorme porta di pietra che si stava per aprire. Questa si richiuse e non si mosse più. L’oscuro si sedette sul suo trono e guardò alla sua sinistra, dove un tempo stava il secondo trono ora risiedeva il vuoto. Il nulla per testimoniare quanto lui si sentisse tradito dalla persona che aveva amato. Lei era l’unica, e lo sarebbe sempre stata. In un moto di rabbia, tirò un pugno al bracciolo del suo trono e una scheggia appuntita si alzò in volo, roteò su se stessa svariate volte e cadde trafiggendogli la palpebra dell’occhio sinistro.  Serrò le palpebre. Portò una mano all’occhio e rinchiuse a pugno l’altra. Poteva sentire il sangue colargli sul volto come lacrime, caldo e denso, scendere e macchiargli il prezioso mantello nero che indossava.
« Sei sempre stato un tipo molto emotivo », intervenne una voce divertita. Il suono echeggiò nella stanza, superando di volume persino le grida e i rumori provenienti da fuori. « Io l’ho sempre detto. Anche quando quell’umano ti ha tagliato la mano. Troppe emozioni, Sauron; e per cosa? Essere distrutti da se stessi. Bah, io non ti capirò mai. » Tutto tacque, tranne il rumore dei passi leggiadri che rimbombava fra le pareti della sala del trono. Allora, l’oscuro signore alzò il volto e fissò la figura snella appena entrata nella stanza. Era ancora lontana da lui, osservava tutto con discrezione e un ghigno stampato sul viso. I lunghi capelli biondi, tanto chiari da sembrare bianchi, le calavano sulle spalle e si muovevano leggiadri, le sottili orecchie a punta spuntavano da essi. L’armatura fatta solo da un pezzo da mettere sulle spalle di potente ferro elfico, risplendette contro la luce proveniente dall’esterno di Mordor. « Certo, non sei messo bene, eh? Mi aspettavo qualcosa di meglio dalla grande e… potente Torre Nera. » Gli lanciò uno sguardo di sfida divertito, con quei suoi occhi di ghiaccio solido.
« Fanie Roitare. » Mai nome era stato più adeguato per un elfo: “Bianca Guerriera”. Gli occhi rossi dell’oscuro accettarono l’occhiata.
« Sorpreso di vedermi, fratello? » Lei abbozzò un sorrisetto malfico, che tutta via scomparve presto alla vista del profondo taglio sull’occhio. Lui la bloccò prima che potesse muoversi, in modo da farla fermare.
« Sto bene, sorella. Come hai detto tu: sono sempre stato un tipo emotivo. »
« Si ma cosa…? »
« Sentimenti, sorella. Lasciati dire una cosa: non innamorarti. L’amore t’inganna.  »





Hola peipe,
ve l'aspettavate questa new entry? Yep. Anyway, parlando d'altro: mi sono accorta che il fim dura meno degli altri (ho meno roba su cui lavorare) perciò allungherò i tempi a mio piacimento. Chiedo venia a Peter Jeckson e J.R.R Tolkien per questo cambio di programma. In tutti i modo, siccome la sorella del nostro Sauron diverrà un personaggio importante ho intenzione di scrivere un breve FF su di lei. Si chiamerà "La ragazza dei draghi", si scoprirà poi il perchè.

 

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Capitolo 8
*** Io sono Túron. ***


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You must go. ‘Cause it’s time to choose. 

 
 
“ Give me love, like her. ”

 
- Ed Sheeran.
 
 


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Quando Legolas decise di alzarsi il sole stava tramontando dietro una collina, al di la delle mura di Edoras. Il cielo era terso, e dipinto di rosa, rosso e arancio. Dalla finestra si sentivano le risate dei bambini, e degli uomini che rincasavano per la cena. Accanto a lui, sotto uno strato di pesanti coperte riposava la sua stella, immersa in un bel sogno, a giudicare dal sorriso che aveva sulle labbra. La vide stringere il cuscino e affondare ancora di più il viso nella stoffa della federa, tornando poi a riposarsi beatamente. L’elfo sorrise e con calma si alzò, i piedi scalzi toccarono le piastrelle del pavimento e lo fecero rabbrividire. Si stiracchiò un poco e il suo sguardo cadde sulla scrivania: i fogli impilati ordinatamente su di essa avevano una piccola gobba verso l’alto. Incuriosito, si diresse verso di essi e li sollevò. Una busta color crema si presentò ai suoi occhi, ma non fu quello a farlo tremare bensì il sigillo sopra riportatovi: due corna di cervo verdi sigillavano il tutto. Scostò con delicatezza la sedia che giaceva dinnanzi alla scrivania e vi si sedette. Si accarezzò il volto, sostando con le mani a metà viso più del dovuto. Il suo volto era una maschera di preoccupazione, curiosità e ancora preoccupazione. Se suo padre gli aveva spedito una lettera da Bosco Atro poteva voler dire molte cose, e la maggior parte potevano non essere belle. Facendosi forza, lanciò un ultima occhiata alla sua compagna, strappò il sigillo e ne estrasse la busta. La calligrafia perfetta di Thranduil spiccava in nero sul foglio color latte.
 
 

“ Legolas,

sono mesi che sei partito, e di te non ho notizie. Non mi dilungherò troppo con frasi scontate, ti chiedo solo di scrivermi come stai e che succede. Fanie sta arrivando, l’ho mandata io per tenerti d’occhio, non che non sappia che tu sei un ottimo arciere ma perché sei mio figlio, e come tale, voglio più sicurezza per te che per chiunque altro. Quando tronerai dalla tua eroica battaglia, figliolo, ho deciso che sarà Fanie la tua sposa. Immagina cosa vorrebbe dire avere il territorio di Mordor nel nostro regno, saremmo imbattibili. So che approverai la mia scelta, perché è la cosa giusta da fare per il nostro reame, e per te così che tu possa dimenticarti di Isil.
 

Thranduil ”
 
 
Il cuore millenario di Legolas prese a battere lentamente, mentre nelle sue mani la lettera veniva accartocciata e gettata a terra. I suoi occhi corsero nuovamente alla creatura distesa nel letto, e una lacrima gli rigò il volto. Come avrebbe potuto lasciarla andare, ora che aspettava suo figlio? Come avrebbe solo potuto separarsi da lei, che sebbene fosse acida, arrogante e comandasse tutto e tutti, era la sua El, la sua “stella”? E un secondo problema si aggiungeva a tutto questo, Fanie stava arrivando; probabilmente con i suoi draghi.
« Leg… Legolas?  Che ci fai già sveglio? Che ore sono? » La voce assonnata di Eleonora risuonò fra le pareti della stanza. L’elfo le sorrise e si alzò, tornando a sedersi di fianco a lei sul materasso. La luce del sole le illuminava i tratti facendola sembrare più bianca, due profonde occhiaie erano marcate sotto gli occhi e i capelli scompigliati sul volto. Era un disastro, ma restava bellissima. Prese ad accarezzarle i capelli scuri e i suoi occhi restarono  fissi sul volto di lei, che invece osservava il mondo cambiare fuori dalla finestra.
L’elfo sospirò.
« Tutto bene Legolas? » Era una voce vellutata quella della compagna, che ora lo fissava di traverso. « Sembra… che ti sia caduto il mondo addosso. » Scherzò lei, rifilandogli una pacca sul petto; evidentemente si era svegliata con il buon umore. Il giovane principe sbatté le palpebre e posizionò meglio la schiena sul cuscino alle sue spalle, continuò ad accarezzarle i capelli come se fosse la cosa più ordinaria del mondo e prese un bel respiro.
« Sto bene. » Mentì lui, rivolgendole un sorriso felice. Si domandò se lei lesse i suoi occhi, la tristezza che vi era dentro, perché ad un tratto la gioia nelle iridi della guerriera scomparve e al suo posto apparve sconcerto. Più veloce della luce si alzò, scavalcando il corpo del compagno, e si diresse in bagno. Legolas la seguì e le resse i capelli mentre vomitava sangue, ancora una volta.
 
 
 


°    °
 
 
 




L’aria le colpì il volto con talmente tanta forza che fu costretta ad abbassarsi contro il collo del dragone nero per restargli in groppa. Strinse il pomo della sella che il suo animale indossava e fischiò; quello era il segno che bisognava atterrare. Il sole stava calando dietro le colline e Fanie riusciva a scorgere Edoras sotto di loro. I suoi draghi sarebbero atterrati fuori le mura, erano troppo grandi per atterrarvi dentro sebbene fossero cuccioli. Con un tonfo le possenti zampe del dragone toccarono terra e un ruggito si alzò disperdendosi nell’aria fredda. Le luci delle case presero forza e subito un gruppo di arcieri si affacciò con le frecce incoccate negli archi. L’elfa alzò l’angolo della bocca e tirò fuori dalla borsa che teneva a tracolla un enorme pezzo di carne, che lanciò in aria e scomparve fra le fauci del rettile. Un altro ruggito si levò non appena una figura comparve sulle mura. Era buia, contro sole, ma Fanie l’avrebbe riconosciuto sempre e comunque, in ogni luogo. Poggiò le mani sui fianchi e spostò il peso su una sola gamba; un alito di vento le scompigliò i capelli biondi.
 
 
La sala del trono si presentò agli occhi dell’elfa con imponenza. I colori rossi del pavimento, e quelli verdi e oro degli arazzi risaltavano subito agli occhi. Le grandi colonne poste al centro di essa, decorate splendidamente, creavano un corridoio al suo interno che portava al trono. Le finestre posizionate in alto facevano entrare gli ultimi raggi di sole, e un fuoco ardeva in un piccolo camino con sopra un maiale allo spiedo. Un nano dalla barba fulva lo girava senza staccare gli occhi da quello.
« Convivi coni nani? » Domandò schizzinosamente l’elfo-femmina al ragazzo dai capelli biondi. Lui, che era rimasto serio per tutto il tragitto che li aveva condotti a palazzo le gettò un occhiata veloce, per poi indicarle una panca su cui sedersi. Lei ubbidì e le sue gambe gliene furono grate. Cavalcare draghi era splendido, certo, ma indolenziva i muscoli talmente tanto da non sentirli quasi più. Si sistemò o capelli su una spalla e riprese a guardare il suo principe. Erano passati mesi dall’ultima volta che l’aveva rivisto e non era cambiato di una virgola: solito portamento regale, soliti vestiti lavati milioni di volte, soliti occhi azzurri e magnetici. Quegli occhi che le ricordavano Thranduil, senza però infonderle paura come facevano quelli del suo sovrano.
« Lui è Gimli, figlio di Gloin, un mio amico », gettò un occhiata al nano e sorrise, « e compagno d’avventure. » Fanie sbatté le palpebre e alzò le spalle, lisciandosi i pantaloni con le mani come per non pensare alle parole del principe.
« Tuo padre lo sa? »
« Beh, non è per questo che sei qui? Per tornare a riferirgli come sto, cosa faccio?  Per riferirgli se io sono d’accordo a sposarti? » Per un secondo, il principe, digrignò i denti.
« Tuo padre l’ha deciso, non io. » Sborbottò immediatamente la guerriera, rizzando le spalle come un cane ringhia quando è messo alle strette. « E sono qui per sapere come stai, e per proteggerti. I miei draghi sono pronti per la battaglia. »
« Tu non hai obbiettato, non è così? » Ringhiò Legolas, allungandosi verso di lei con fare intimidatorio. Qualche ciocca gli ricadde sul viso ma non ci fece caso più di tanto, e continuò: « io non posso sposarti, Fanie. Ti sono grato per tutto quello che hai fatto e stai facendo, ma io non ti sposerò. »
« Perché? »
« E’ difficile spiegare, Fanie. » La giovane sbatté le palpebre e prese un bel respiro. Ora quegli occhi azzurri sembravano così freddi, parevano davvero quelli di Thranduil.
« E così: mi baci dicendo che hai dimenticato Isil, quando potevo benissimo leggere nei tuoi occhi che non era la verità, parti per questa impresa e dopo te ne vieni fuori dicendo che non puoi sposarmi senza una motivazione, andando contro i desideri di tuo padre di avere Mordor. Perché? » I palmi della ragazza si poggiarono sulle mani di lui, poi ci ripensò e li adagiò sul tavolo di legno freddo. L’ultimo raggio di sole si posò sul viso del principe, rendendo i suoi lineamenti rigidi e scuri. « Legolas, quello sulle tue mani è sangue? Che ti è successo? » Chiese poi notando delle sfumature rosse sulle dita del principe. Subito uno strano presentimento crebbe nel suo petto, la paura che si fosse ferito in una delle tante battaglie a cui aveva partecipato ultimamente. Lui poggiò le armi sul tavolo, socchiuse le labbra pronto a rispondere e si tirò indietro, come se qualcosa lo avesse costretto a indietreggiare. Una figura entrò nella sala da una porta secondaria alle spalle di Fanie, che si rese conto di lei solamente quando se la ritrovò accanto. Indossava un vestito azzurro, i capelli scuri erano lisci sulle sue spalle esili e candide e le labbra rosa chiaro erano piegate verso l’alto nella direzione di Legolas; e lui ricambiava. I due si guardarono per pochi secondi prima che la giovane si accorgesse di Fanie, ancora seduta sulla panca a fissarla
 
 



°   °
 
 



Mi avvicinai a Legolas, mettendomi al suo fianco e scrutai la giovane elfa che avevo innanzi a me. I lunghissimi capelli biondi le ricadevano su una sola spalla, il busto era fasciato da una casacca verde simile a quella di Legolas e i pantaloni marroni finivano in degli stivali neri e alti. Sulle sue spalle giaceva un armatura strana, ma tutta via di un materiale che già conoscevo: squame di drago azzurre. Mi accigliai e feci per aprire la bocca e parlare ma qualcosa mi trattenne, un pensiero potente scivolò nella mia testa e strinse in modo da farsi sentire.

Io sono Túron.

La sua voce echeggiava nel mio cranio con un eco continuo, mi sembrava di essere in mezzo a due campane che suonavano.

Io sono il vittorioso, colui che ti servirà ora che il tuo cuore ha cessato di battere. Io sono colui che ha fuoco e uragano dentro di se. Io sono figlio di Smaug.

Aprii le palpebre come se avessi visto un fantasma e guardai con preoccupazione fuori dalla finestra. Il sole era tramontato e tutte le lanterne brillavano al di fuori della reggia. Gimli era ancora impegnato a girare il suo “spuntino” serale, mentre alcuni servi cominciavano ad apparecchiare la tavola per la cena. Congiunsi le braccia al ventre e scacciai la presenza dai miei pensieri, chiudendo la mente all’essere che diceva essere figlio di Smaug.
« La tua armatura », dissi senza troppi giri di parole, attirando l’attenzione dell’elfo femmina che ora si era alzata in piedi. « E’ fatta con squame di drago: dove le hai prese? » Alzai il mento per mostrarmi sicura di quello che dicevo.
« Non devo risposte a un umana. » Sputò fuori la ragazza bionda, e i suoi occhi azzurri cielo mi perforano l’anima. Incrociò le braccia al petto e fece un passo avanti, sicura di se. Sul suo polso intravidi lo stesso stemma che era inciso sulla busta che avevo ritrovato il pomeriggio stesso; ora che ci pensavo dovevo ancora leggerla. Non sapevo come, ma sapevo di conoscere quel simbolo: apparteneva al mio passato, a qualcosa che mi aveva segnato.
« Dove le hai prese? » Scandii, con più gentilezza questa volta. Legolas mi circondò il bacino con un braccio e non mi sfuggì l’occhiata che la giovane gli rivolse. Era gelosa. Ma chi era lei per Legolas? Cosa significava il suo arrivo? E dove diamine era il drago che mi aveva parlato? 

 



°   °
 



L'ultimo sguardo di Fanie fu per Legolas. I loro occhi si incontrarono e lei vi lesse felicità e tristezza assieme. Tornò a guardare la ragazza e le iridi le caddero sulla mano poggiata sopra il ventre coeprto dal vestito: era come una tenuta possessiva, dolce e forte al tempos tesso. La carezza di una madre al figlio ancora non nato. E solo allora capì perché il suo principe non l'avrebbe sposata: perché aspettava un figlio da un'umana. Il mondo le crollò addosso; tutti quei mesi sulle sue tracce, tutti quei sacrifici, tutte le sue piccole battaglie messe in atto contro Thranduil per mandarla a cercarlo. Tutto vano, perché lui non l'aveva nemmeno pensata, neppure per un attimo. Aveva preferito un'umana a lei, aveva preferito una sconosciuta ad un'amica che sapeva amarlo. Ma cosa poteva mai darle lei, insulsa mortale, che Fanie non poteva? Cosa aveva quella ragazza di così speciale da riuscire a conquistare Legolas? Come aveva fatto a farsi amare così dal suo principe?





Anyway,
capitolo scritto in fretta per il poco tempo a mia disposizione :O. 
Avrei dovuto anche scrivere "La ragazza dei draghi" ma non c'è l'ho fatta, la posto dopo domani. Riguardo Fanie che mi dite? Ammetto che è insopportabile ora, ma lei e El stringeranno un bel rapporto in seguito. Ricordatevi che non lascio nulla al caso ;) E poi compaiono i primi accenni a Thranduil, che vi aspettate da lui? E dal nuovo amichetto 
Túron
Dedico il capitolo a tutte quelle sventurate che hanno avuto la sfortuna di conoscermi XD ( e che si sono iscritte al gruppo):

Viviana.

Zaira.

Giulia.

Viviana.

Paola.




 

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Capitolo 9
*** Spiegazioni. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 



“E quei “va bene” che non va bene manco per un cazzo.”
 
— Ligabue
 

 
 
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« E’ spaventoso. » Legolas fissò Fanie, che sorrideva divertita. La luna splendeva nel cielo nero, senza stelle quella notte, e non tirava un filo d’aria. La giovane ragazza si poggiò alle mura e osservò il drago nero lanciare una fiamma verso l’alto, che ricadde a terra come una cascata lucente, delineandol’enorme figura del rettile . Guardavano l’animale da molto tempo ormai, tanto che Legolas aveva persino visto le poche stelle sparire sotto il dominio delle nuvole grigie e nere; ma, da quanto aveva potuto capire, a Fanie non importava. A lei piacevano il buio tetro, la quiete e le compagnie silenziose, com’era lui. « Sul serio, Fanie, quel drago è spaventoso. » Ripeté. La giovane alzò le spalle e gli rivolse un’occhiata di sfuggita.
« Non importa che aspetto ha. Quando cresci con qualcuno l’aspetto non conta, perché alla fine gli vuoi bene incondizionatamente. » Gli rispose lei, e questa volta si girò completamente nella sua direzione mostrandogli gli occhi chiari. Sebbene fosse buio, Legolas riuscì a leggervi molte cose: felicità, desiderio, e qualche accenno di paura. Per un attimo ebbe la voglia di accarezzarle il volto, come aveva fatto prima di partire per la sua avventura, ma represse tutto non appena l’immagine della sua compagna gli sfiorò la mente. Pensando a lei, non poté notare quanto le due ragazze fossero diverse: alla sua guerriera piacevano le stelle, con quella luce lontana e bianca che, a detta di lei, racchiudeva l’infinita storia della vita e le anime degli antenati; mentre alla giovane elfa non andavano a genio. Lei aveva sempre preferito il caldo, il sole con quei suoi raggi di luce che penetravano fra le fronde di Bosco Atro, e se proprio doveva stare al buio non voleva sfere di luce attorno.
« Stai parlando di… tuo fratello? » Domandò il principe, stringendo i pugni dietro la schiena. Il solo pensiero di Sauron gli dava il volta stomaco. Non solo per la guerra che aveva intenzione di scatenare, ma perché il signore di Mordor provava qualcosa di forte verso la sua compagna; l’aveva visto quando le aveva letto la mente quella sera, che  ora gli pareva così lontana.
« Si. » Fanie spostò il peso da una gamba all’altra, osservandolo. « Sei turbato, principe. » Constatò successivamente,  « e non mi sembra sia a causa del drago. » Il biondo sorrise amaramente, ancora non si capacitava di come quella ragazza riuscisse a leggerlo; come se lui fosse stato un libro aperto. Eppure, questa cosa lo metteva in difficoltà con se stesso: si sentiva nudo, privato dello scudo che aveva costruito attorno alla sua figura e che nemmeno la sua stella era riuscita a scalfire.
« Sto bene, sul serio. » Tentò di tranquillizzarla, poggiandole una mano sula guancia. Come le loro pelli si toccarono una piccola scossa gli fece fremere le dita e allontanarle. Alzò gli occhi al cielo e si maledisse; come maledisse la sua memoria a breve termine. « Potevi ricordarmi del tuo piccolo trucchetto mentale, Fanie. » Gli borbottò, allontanandosi da lei. Di tutta risposta l’elfo femmina si staccò con grazia dalle mura e prese a fissarlo con le palpebre che si alzavano e abbassavano continuamente, e le labbra rosse socchiuse. Il primo alito di vento si alzò nella notte e fece scivolare i capelli di lei oltre le spalle.
« Come puoi amarla? » Gli sussurrò, portando le mani a coprirsi leggermente le labbra. « Lei che ti ha portato dolore. Lei che è la parte più oscura di questo mondo, che non ha cuore, non uno che batte più almeno? »  
« Io la amo. Non c’è un perché. » Si giustificò il principe, alzando le spalle come se dire quella frase fosse la cosa più semplice e normale del mondo. Lei, di tuta risposta, allungò la mano sulla sua di guancia e chiuse gli occhi. La solita scossa di poco prima si impossessò del volto del principe, che fu costretto a sua volta a serrare le palpebre. Si vide passare davanti agli occhi tutti i ricordi legati a quella ragazza, e rivisse in pochi minuti tutti i sentimenti provati a causa sua: l’amarezza nel vederla parlare con Titano, quando erano ancora ospiti di Sire Celeborn; la paura che aveva provato quando, guardandosi attorno, non l’aveva trovata e gli hobbit avevano preso a dire che era morta; il sollievo di tenerla fra le braccia dopo averla salvata dalla neve; la delusione nel leggere i suoi pensieri e trovarla a Mordor, mentre tentava di far ragionare l’altro uomo che l’amava; la desolazione del suo cuore quando Gandalf gli aveva detto della “luna di sangue”. Tutto scomparve non appena il loro contatto cessò.
« E’ stata a Mordor? » Per poco la voce della ragazza non tagliò l’aria in due. Le braccia di lei fremevano ma non per il freddo, bensì per la sorpresa della cosa. Fanie, pensò Legolas, aveva sempre creduto che nessun’altro avesse mai visto il fratello senza quella strana maschera, e questo doveva essere davvero spiazzante per lei. « E che diavolo è la “luna di sangue”?! »
« Abbassa la voce, ti prego, e calmati. » Le suggerì lui, allungando una mano per prendere il polso fra le sue dita.
« Come posso calmarmi quando la ragazza che dici di amare ha fatto più cose sbagliate in qualche mese di quante ne abbia fatte io in 2000 e passa anni? » Aveva gli occhi in fiamme, e queste vi bruciavano dentro. Il ragazzo guardò velocemente a destra e sinistra e poi, sempre tenendole il polso nella mano, la trascinò via. Corsero per le strade di Edoras, superarono con furtività un gruppo di guardie e si ritrovarono nella sala del trono. Tutto era bui li dentro e freddo, attorno a loro regnava il silenzio più totale. Fanie era ferma immobile, come una statua o un animale pronto a scattare. Le mani conserte al ventre, le maniche della blusa datale in prestito da Eleonora tirate su fino ai gomiti. Il giovane le rivolse uno sguardo; doveva avere gli occhi di chi ha sofferto molto, allora, perché la guerriera bionda parve abbassare di poco l’immagine da “dura” che aveva creato attorno a se poco prima. Prese un bel respiro e cominciò a raccontare tutto dall’inizio. Gli raccontò del loro primo incontro, di come lei fosse stata sgarbata per tutto il viaggio, e di come poi si fosse rivelata solamente una semplice ragazza cresciuta troppo in fretta. Gli spiegò cos’era capitato dopo che si erano rincontrati, proprio a Edoras, proprio dove ora stavano in piedi loro due. Gli disse di come l’aveva vista quasi morire al momento della separazione da Isil, e di come l’avesse vista essere sottomessa dal suo “Io guardiano”, per poi scomparire fra le mura di Mordor per giorni. Le riferì tutto, senza tralasciare dettagli… almeno, non i più importanti.  Alla fine del lungo racconto la giovane rimase muta, seduta sopra una panca a fissare il vuoto. L’espressione pensosa dipinta nello sguardo.
« Se quello che mi dici è tutto vero, dobbiamo aiutarla. » Disse poi a un tratto Fanie. « Se la luna di sangue è dopo domani, e il suo “io” guardiano avesse anche una remota possibilità di prevalere, non può restare qui.  » Si rivolse verso il principe e poggio il braccio sinistro sul tavolo, come fossero in un qualche bar. Ma non era ad un bar, erano solo in una sala del trono a parlare del futuro della compagna di questo, che tutto sembrava tranne che roseo.
« E dove potremmo mai andare? Non ci sono case disabitate fuori Edoras, almeno non case così vicine da raggiungere in un giorno e mezzo di viaggio. E chi vorrebbe mai aiutarci? »
« Io avrei un idea, principe. Ma tu devi essere disposto a sacrificare il tuo orgoglio e dare fiducia alla tua compagna. »
« Quest’idea la salverà? » Chiese di gettò il biondo.
« Non lo so di per certo, ma posso dirti che qualora lei dovesse perdere il controllo sarebbe in un posto sicuro. Molto sicuro.» Legolas fece correre la sua mano su quella della giovane, e questa volta il loro contatto non gli procurò nessuna scossa.
« Farei qualsiasi cosa per proteggerla. » Affermò, con una scintilla di speranza nello sguardo freddo. Fanie sospirò, guardando avanti a se e chiuse gli occhi per un istante.
« Questo non l’avresti mai fatto per me, quindi lei deve essere davvero importante. » Mormorò poi, prima di alzarsi e mettersi davanti alle braci spente. « Spero che ne valga la pena. » Aggiunse. Le sue labbra si socchiusero e dalla gola cominciarono a uscire parole strane e secche; una strana lingua che l’elfo non aveva mai sentito e che sembrava promettere tutto, tranne cose buone. Le braci, infatti, presero a brillare di un rosso intendo, che tagliava la cenere come lava. Una cortina di fumo prese a salire verso l’alto, una fiammata scaturì dal nulla e una figura comparve al centro di essa. Poi tutto scomparve, tranne la sagoma. Dal punto in cui si trovava Legolas vide solo un corpo slanciato, delle spalle larghe e dei capelli talmente neri da confondersi persino con la notte. Talmente neri da avere delle sfumature bluastre. Quando poi, lo sconosciuto si voltò a fissarlo i suoi occhi rossi come il sole trafissero il corpo dell’elfo. In pochi secondi i due erano uno d’innanzi all’altro e si osservavano con scrupolosità.
« Perché sei qui? » Ringhiò il principe.
« Una chiamata urgente da parte di mia sorella. » Rispose l’altro, con un tono alquanto annoiato. La sua voce roca rimbombò fra i muri di pietra liscia e lavorata, finché non si dissolse nell’aria. Legolas lo fissò, e non poté fare a meno di pensare quanto quegli strani occhi rossi gli ricordavano il fuco in tutto e per tutto. Non erano come quelli di El, che avevano un colore rosso uguale a quello del sangue; quelli di Sauron parevano elettrici e quella cosa rendeva il giovane alquanto inquieto. « Non potevo mancare. »
« Perché l’hai chiamato, Fanie? » Sputò allora l’elfo, rivolgendosi con cattiveria alla giovane. « Sarebbe lui i l tuo piano per salvare la vita a El e il bambino? Davvero? »
« Lei è in pericolo? » Ancora una volta la voce del signore oscuro rimbombò nelle pareti, però più acuta e con un accenno evidente di preoccupazione e stupefazione. « Che cosa significa questo? In che guaio l’hai cacciata, elfo? »
« Sauron, calmati. » Intervenne immediatamente la giovane, poggiando una mano sul torace grande del fratello. In confronto a lui lei era così piccola, quasi una bambina; ed erano così diversi, come il sole e la luna. Ma questo poco importava, adesso il regnante di Bosco Atro esigeva spiegazioni dalla guerriera. « Legolas, è l’unico modo. » Continuò poi lei, sempre tenendo la pressione sul corpo del fratello. « Mordor è l’unico luogo sicuro per lei. »
« No! Non sarà mai al sicuro con questo… questo mostro! » Gesticolò il ragazzo, alzando la voce di qualche ottava. « Per poco non l’ha quasi uccisa! Io l’ho visto, prima che lui riuscisse a espellermi dai suoi pensieri ed escludermi dagli avvenimenti quella sera. »
« E allora cos’hai intenzione di fare, è? Lasciarla qui, a Edoras, la notte della lunga di sangue pur sapendo che potrebbe distruggere tutto e persino il suo bambino? Vostro figlio? » Sbraitò Sauron, con quella voce che smuoveva persino le radici sotto terra.
« No. » Il biondo abbassò la voce, e prese un bel respiro. « Certo che no. »
« Allora mandala a Mordor. Li sarà al sicuro », Fanie gli prese il viso fra le mani. I loro occhi chiari si incontrarono e Legolas non ci vide che buone intenzioni. Poteva fidarsi di lei, lo sapeva. « Se non voi farlo per te, fallo per lei. Una volta passata la luna di sangue tornerà da te. Vorrà di sicuro tornare da te. »
« … va bene. » Prima di parlare Legolas esitò, e anche dopo aver acconsentito si sentì pesare l’anima. Quello non era un “va bene” detto con sincerità, era un “va bene” che non andava bene proprio un cazzo. Era un consenso forzato, fatto per salvare la vita alla sua famiglia. « Ma se impazzisci come l’ultima volta, o le torci un solo capello, sei morto più di quanto tu già non sia, essere. » Minacciò l’uomo dagli occhi rossi.
« Non le farò del male. » Sauron lo guardò in cagnesco prima di scomparire nel nulla. Al suo posto rimase solo un serpente nero, che si dissolse nelle ceneri. Fanie tirò un sospiro di sollievo, contenta che tutto fosse finito per il meglio.




Ciao Peipeeee :3

Allora che ne dite di questo capitolo? Alcune di voi sapevano gia di qualche spoiler visto che ne avevo messi due sul gruppo di facebook, ma fa nulla ditemi ditemi.
Anyway, una cosa che non c'entra molto: ho deciso di mettervi, d'ora in poi, degli approfondimenti sulla ff ( sui fatti, personaggi ecc... ), in modo che capiate meglio alcune cose che magari non avevate capito.
Le chiamerò: #CuriositàMadeOn

Partiamo dal #Nome:

All'inizio pensavo di chiamarla davvero Isil ( è un nome che mi piace tanto ), oppure Giulia; ma, successivamente, non riuscivo a immedesimarmici e visto che per crearla ci ho messo molto di mio, le ho dato il mio nome ( che non è altro che Isil in italiano ).

 

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Capitolo 10
*** Ti scorderai di me. ***


[ Inizio col farvi gli auguri di buone feste, Auguriiiii, splendide! ]
 
Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/165601326984087/
 

 
You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 



“So come stai, ti sembra tutto scuro e non vedi nient’altro che le paure nei tuoi guai.”
 
— Mondo Marcio
 

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Gimli passeggiava tranquillo, niente in quella giornata soleggiata poteva andare male a suo parere. Aveva fatto un’ottima dormita, si era riempito lo stomaco con cibi deliziosi e ora non gli restava altro che andare a cercare il suo amico dalle orecchie a punta, che di sicuro era ancora in camera a osservare la sua compagna. Più ci pensava e più tutto gli sembrava strano, avventato, affrettato. Insomma, non che non fosse felice per quei due ma tra pochi mesi avrebbero avuto un bambino e ora… ora si sentivano le loro urla che rimbombavano nel corridoio. Sbattendo le palpebre il nano affrettò il passo e giunse davanti alla porta della loro stanza; come lui anche Aragorn e la ragazza della sera prima erano fermi a ascoltare. Gimli gonfiò il petto, scansò i due e allungò la mano per bussare, ma una frase lo lasciò a metà strada.
« Quando pensavi di dirmi una cosa del genere?! »
« Stavo aspettando il momento adatto; ora non mi sembrava il caso di farti agitare viste le tue condizioni. E comunque sto cercando un modo per risolvere questa faccenda. »
« E’ la sorella di… » Eleonora si mangiò le parole, sicuramente mordendosi le labbra.  « E in più tuo padre ti ha ordinato di sposarla! »
« Credi che io ne sia felice?! Non sapevo nulla di tutto questo fino a qualche tempo fa; cercherò di mettere tutto apposto e la prossima volta… » La voce forte di Legolas stava gridando talmente tanto da far scuotere la porta. Il nano ritirò la mano e fece un passo indietro spaventato. Li aveva sempre visti litigare, l’elfo e la guerriera, ma non li aveva mai sentiti gridare in questo modo. Era come se tutto quello che avevano dentro il corpo stesse uscendo dalle loro labbra; e i tre fuori dalla porta non li vedevano neppure.
« Non c’è ne sarà bisogno, principino dei miei stivali! Non ci sarà una prossima volta! » Rispose secca lei e le orecchie del nano udirono dei passi farsi sempre più vicini al portone. Passi secchi, tutta via leggeri, molto probabilmente dell’elfo visto che sembravano provenire da degli stivali. Invece, quando la porta si aprì ne uscì Eleonora. Aveva gli occhi rossi, letteralmente, e le mani che cadevano ai lati dei fianchi strette a pugno. Ignorò completamente Gimli, Aragorn e la bionda, mentre si diresse a grandi passi lontano da quella stanza. Il nano non l’aveva più vista vestita da uomo dalla battaglia del fosso di Helm; gli stivali alti e neri erano lucidi, i pantaloni stretti che indossava sembravano splendere al sole, o forse era solo l’effetto creato dall’elsa preziosa della spada che Dama Galadriel le aveva dato, e la camicia bianca che le copriva il petto sventolava sulle maniche. Con rabbia la giovane gettò i capelli oltre le spalle e scagliò una fiammata contro il busto di un antenato di Theoden che si era frapposto fra lei e la strada. Quello cadde a terra frantumandosi in centinaia di pezzi. Alle spalle del nano, Fanie saltò sul posto spaventata. Poco tempo dopo una seconda figura sgusciò oltre la porta e si fermò a osservare le tre sagome. Gli occhi chiari pieni di dolore socchiusi in una muta domanda, osservavano proprio il volto dell’amico nano. Gimli sospirò e alzò un braccio indicando la direzione presa dalla giovane; un sorriso di ringraziamento sfiorò per qualche secondo le labbra rosee del ragazzo. Prima che il principe potesse fare solo un passo per seguire la propria compagna però una mano gli afferrò il polso. Era piccola in confronto alla sua, notò Gimli, e più curata.
« Legolas », Fanie lo fece voltare verso di lei e i loro sguardi chiari si scontrarono, « mi dispiace, è tutta colpa mia. Se io non… »
« Si. E’ tutta colpa tua. » La freddò il biondo, dando uno strattone al braccio in modo che lei lo lasciasse. « Se tu avessi detto di “no” a mio padre, lei non avrebbe trovato quella dannata lettera. Se tu non fossi arrivata con il tuo stramaledetto drago, così all’improvviso, lei non ne avrebbe sentito la presenza e non si sarebbe messa in testa di cercare un modo per mettercisi in contatto. » Gimli sbatté le palpebre e lanciò un’occhiata a Aragorn; negli occhi azzurri del sovrano vi lesse la stessa confusione che aleggiava nei suoi. Di che drago parlavano? A che lettera faceva riferimento Legolas?
« M-mi dispiace tanto, non pensavo che avrebbe trovato la lettera. I-io…  »
« Se tu me l’avessi data di persona, invece che lasciarla in camera mia, in questo momento avrei un problema in meno. » Sputò con rabbia Legolas. « E ora scusami ma devo andare a chiarire con la ragazza che amo. » E si congedò correndo via. Gimli l’osservò saltare i pezzi della statua e scomparire oltre il corridoio; prima che un'altra sagoma bionda lo sorpassasse. In un battito di ciglia vide la giovane elfa inginocchiarsi davanti ai resti del busto e cominciare a raccoglierli, senza curarsi dei piccoli graffi che le tagliavano il palmo. La luce che entrava dalla finestra le illuminò le braccia e sul posto risplendette un tatuaggio. Non era nero, come quelli normali che si vedevano di solito, ma di un verde intenso e ipnotico che andava a formare due grossa corna di cervo.
« Ti stai tagliando. » Aragorn le prese con delicatezza i cocci dalle mani, Gimli non si era nemmeno accorto che il re si era mosso. « Dovresti fare più attenzione, Fanie figlia di… » L’osservò attendendo un aiuto.
« Nessuno. Sono figlia di un nessuno senza gloria e sorella di un assassino senza rimorsi. » Rispose con risentimento agghiacciante lei. « E lo so che mi sto tagliando, non sono nata ieri. » Detto ciò si alzò e tornò sui suoi passi, scomparendo oltre la porta della sala del trono che si trovava in fondo al corridoio.
« Non possiamo di certi dire che Legolas non sappia trovarsi donne con carattere, no? » Sdrammatizzò Gimli, grattandosi il capo imbarazzato, mentre Aragorn gli lanciava un occhiata in tralice.
 




°   °
 
 


Varcai le porte di Edoras con velocità, e con altrettanta furia dilatai la mente sperando di mettermi in contatto con quella di  Túron. Mi sembrò una ricerca interminabile; era come solcare con i pensieri tutte le montagne delle terre di Rohan, infinite come il mare, alte fino al cielo. Il petto mi doleva, non solo per il dispendio di energie ma anche per la litigata con Legolas. I sensi di colpa mi divoravano dentro: forse non avrei dovuto gridargli quelle cose contro per poi scappare come una ragazzina. Ma non ero riuscita a fare altro, se non domandarmi perché ogni volta ci doveva essere qualcosa pronto a distruggere l’equilibrio precario che si creava fra noi. Perché ogni singola volta che qualcosa andava bene c’era qualcuno pronto a divederci. Portai la mano sinistra al petto e strinsi con l’intenzione di fermare il dolore che andava a crescere, ma era tutto inutile. Una stretta, sebbene forte, non avrebbe mai placato il dolore e i sentimenti.
Dove sei, stupido drago? Titano sarebbe già stato qui!  Pensai con rabbia, quasi abbaiando come un cane frustrato. Da una delle montagne poco distanti si udì un profondo rumore, come se un pezzo di esse si fosse staccato e sfracellato a terra. Voltai di scatto la testa e sul fianco di una di esse vidi due grandi ali nere e rossastre dispiegarsi fino a occuparne metà. Il sole vi batteva sopra come su uno specchio, riflettendo la propria luce sulla membrana con intensità. Un ruggito graffiò l’aria, e successivamente una vampata di fuoco scaturì nel vento, colorandolo come fosse fatto di tizzoni ardenti. Rizzai la schiena e osservai la roccia sgretolarsi, mentre un enorme figura si gettava nel vuoto per poi alzarsi in volo e dirigersi verso di me. Prima che potessi pensarci le mie gambe presero a muoversi da sole, finché non iniziarono a correre in quella direzione. Mi sentivo come trascinata verso il drago, quasi che tutto il mio corpo non aspettasse altro che raggiungerlo, le mie mani sfiorare le squame, e la mia figura sentirne il calore contro il petto come mi era capitato settimane prima. Come succedeva sempre con Titano. Quando la figura prese a scendere in planata mi fermai e la osservai scendere sempre più velocemente. Sembrava non riuscisse a fermarsi, e quando toccò terra scivolò alzando una nube di terra e polvere. Le grandi ali si spalancarono in modo da essere usate come vele per rallentare; si fermò a pochi metri da me, col collo allungato nella mia direzione. Era la prima volta che lo vedevo e dovevo ammettere che era enorme e stupendo. Era del tutto diverso da Titano, era tutto un altro mondo.
Mi hai chiamato? Chiese il rettile spostando leggermente la testa di lato per osservarmi meglio. Uno dei suoi occhi rossi si avvicinò talmente tanto che potei specchiarmi nella pupilla. Mi domandai se anche i miei fossero così quando il guardiano prevaleva in me.
« Si. Ho bisogno che tu mi faccia un favore. » Allungai la mano verso il suo muso e ve la poggiai sopra. « Portami via da qui. »
Dove, esattamente?  Domandò con curiosità. Presi un bel respiro e mi voltai a guardare Edoras; mi sembrava così lontana. Le armature dei cavalieri si potevano vedere brillare anche da li.
« Mordor. » Mi arrampicai sulla sua schiena e mi sedetti sulla sella di Fanie: se dovevo esserle grata di qualcosa era solo per quella.
Mordor? Ne sei proprio sicura, guardiana?
« Mordor. » Confermai.  Túron  sbuffò del fumo dalle narici e scosse la testa come per orientarsi, poi con un potente balzò saltò in aria. Mi ero dimenticata quanto fosse bella la sensazione dell’aria fredda sulla pelle e il sole che le faceva contrasto.
« Eleonora! » Sentii gridare e di colpo abbassai la testa. Una figura indistinta era ferma sulle mura di Edoras, immobile come una statua di ghiaccio. Il senso di colpa m’investì nuovamente, ma il mio cervello non mi lasciò scampo. Quella era la cosa migliore da fare, lo sapevo. Restare a Edoras per convivere con la futura sposa del ragazzo che amavo sarebbe stata una follia, le avrei potuto staccare la testa senza rendermene conto visto il mio poco autocontrollo, e poi non vedevo via d’uscita: la luna di sangue era alle porte e se non fossi riuscita a controllare il guardiano dentro di me avrei potuto uccidere persone innocenti. Era meglio che mi rifugiassi a Mordor, dove d’innocente non c’era nulla.
 
 
 
°   °
 
 
E così, dopo aver corso come un pazzo per tutto il villaggio, Legolas rimase fermo sulle mura a guardarla andare via. Il drago sbatteva le ali con forza e ogni battito era sempre più lontano finché non divenne un punto indistinto nell’orizzonte. Allora, il giovane principe sospirò e tornò sui suoi passi. Nella sua mente non vedeva nulla che non fosse l’immagine di lei che veniva portata via da un custode: prima Titano quando le aveva salvato la vita, e adesso quel drago nero e rosso che la portava lontana. E la colpa era la sua. Perché si era dimenticato di bruciare quella dannata lettera? Perché lei aveva dovuto scoprirlo così? Si rinchiuse in camera e si distese sul letto, guardò il soffitto e non provò nulla. Non sentì niente, nessuna emozione, niente e questo gli fece paura perché voleva dire che si era arreso all’evidenza che lei se ne sarebbe sempre andata alla fine; non importava perché, come o quando tanto lei sarebbe fuggita via. Sarebbe sempre scappata da chi le procurava dolore.
« Legolas, possiamo parlare? » Fanie entrò nella stanza con passo incerto. Il principe non la guardò nemmeno, cosa avrebbe potute dirle con lo sguardo che non le avesse già detto a voce alta quella mattina? « Legolas, ti prego. Sei chiuso qui da quasi tutto il giorno. » Ancora qualche passo avanti. « Legolas. » La sua voce s’incrinò a causa di un singhiozzo muto.
« Dovresti andare, sai? » Gli disse soltanto lui, con lo sguardo perso nel vuoto. « E’ tempo che tu vada realmente, Fanie. Vattene. Scappa da tutto finché sei in tempo; mio padre non ti troverà e se vorrai potrai farti un nuova vita. Scappa nelle terre immortali e ama qualcuno con la libertà che desideri. Tu che sei libera di fare questo, scappa, e non restare solo perché mi vedi così. Il mio dolore passerà, e quando lo farà andrò a cercarla e la porterò via con me, e le chiederò scusa. Cresceremo nostro figlio e magari, un giorno, ci rincontreremo Fanie. Forse, un giorno ci rivedremo.  » Si voltò a guardarla e una lacrima gli solcò il viso pallido. 
 
 
 
 
 
Anyway, ciao Peipeee.
Domani è la vigilia e io ho scritto questo di fretta ( come ho già detto alle ragazze del gruppo il computer non mi salva i capitoli, perciò li scrivo tutti sul momento ) solo perché volevo farvi un piccola sorpresa. So che è venuto male, ma è il pensiero che conta, no? ( se non siete d’accordo non ditemelo, annuite e basta :D )
 
Vabbè, visto che siamo in tema di draghi vi metto le #CuriositàMadeOn su di loro:
 
#Draghi

 
Ho scelto i draghi, perché ne sono sempre stata attratta. Le ho sempre trovate creature affascinanti e misteriose, dei titani.
Perciò, possiamo iniziare a parlare di:


#Titano: era uno dei grandi draghi del Nord, allevato da Gring e fatto in dono a Eleonora su richiesta di Thranduil prima della battaglia dei 5 eserciti. I due si separano non appena lei parte per la battaglia e muore, si rincontreranno 60 anni dopo. Nell'arco di tempo in cui i due non si sono visti, Titano cade in una specie di letargo che si spezzerà non appena Eleonora sarà tornata nella terra di mezzo, portando con se molta distruzione a causa della ricerca di cibo. I due combattono assieme e lui cade nella battaglia per difendere il Fosso di Helm.
 
#Túron: in italiano significa "Vittorio", per ciò gli ho affidato l'aggettivo di "vittorioso". E' figlio di Smaug, ritrovato dopo anni ( ancora uovo ) in uno dei viaggi di Gring, e subito offerto in dono a Thranduil per mantenere buoni i rapporti ( in quel periodo Titano si era appena risvegliato ed era fuori controllo ). Viene allevato e cresciuto da Fanie, un elfo femmina proveniente da Mordor, che però non riesce a gestirlo come in seguito farà Eleonora. A contrario del guardiano azzurro, il drago nero ha le stesse caratteristiche del padre Smaug ( capitemi ragazze, avevo visto "Lo hobbit: la desolazione di Smaug" e mi ero innamorata del drago; volevo farlo entrare un pochino nella mia ff ) : occhi rossi, e arti anteriori fusi alle ali che finiscono in uncini; ma al contrario del padre non è attratto dall'oro. Quando conosce la ragazza che diverrà sua guardiana la servirà fino alla morte.

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Capitolo 11
*** Cantagli una canzone. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.   
 

“Le canzoni sono tristi tanto quanto chi le ascolta.”


— Jonathan Safran Foer.

 
 
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« Ammettiamocelo, tutto quello che abbiamo avuto, che siamo stati alla fine non era nulla. O almeno, era molto ma non sarebbe potuto durare. Avrei dovuto saperlo, ricordarmi che lui era un principe e che tutta la sua vita si basava su regole, ordini, impegni “politici” e scelte del padre. Ma no, io dovevo scordarmi tutto questo, perché sono una stupida. Una stupida ragazzina che si è innamorata dell’uomo sbagliato, che ci ha fatto l’amore, perché non era sesso, ed è rimasta incinta; e mi sono illusa che tutto potesse andare bene, che finita la guerra saremmo stati bene assieme. Ma no, perché a me va tutto male! » Túron sbuffò una nuvola di fumo e girò il collo nella mia direzione. Il suo grande occhio rosso si restrinse per qualche secondo, poi tornò a guardare avanti.
Te ne sei dimenticata? Come ci si può dimenticare del titolo di quello che è il padre di tuo figlio? . Disse, e sbatté le ali lentamente. La leggera brezza che provocavano mi accarezzò la pelle del collo e io rabbrividii. Strinsi forte il pomo della sella e mi spostai leggermente a destra, osservando di profilo, per quanto era possibile, il viso del dragone. La sua grossa mandibola era immobile e le squame nere rossastre brillavano al sole. I suoi occhi si muovevano in continuazione, esplorando il cielo e il terreno sotto di noi in cerca di una qualsiasi minaccia.
« Beh, perché non ci ho mai dato molto conto, questa è la verità. » Risposi. « Infondo, quando ami qualcuno non dai conto ai suoi titoli, alle sue azioni. Ti importa solo di lui e di quello che provi.»
Mi dispiace, ma io non capisco. Non ho mai amato nessuno, non so cosa si prova.
« Quanto ti invidio. » Ammisi, tornando a fissare il suo collo. Socchiusi le palpebre e, contro sole, notai che la piccola cresta che aveva sul collo si muoveva verso l’alto. Mi allungai a sfiorarla e Túron fremette.
Ti prego, non toccarle.
« Perché? » Sbattei le palpebre incuriosita.
Sono appuntite e velenose.
« Sei… velenoso? Da quando i draghi sono velenosi? » Lui virò prepotentemente e io fui costretta a stringermi forzatamente alla sella. L’aria mi schiaffeggiò con forza il viso e io ringhiai. Non lo facevo apposta, quel ringhio usciva dalla mia gola ogni qual volta mi sentivo in pericolo.
Non c’è un drago uguale ad un altro. Mio padre non era velenoso, ma quando sputava fuoco il suo ventre diventava incandescente. Il tuo Titano, invece aveva il dono della parlantina. Rise sommessamente, e una nuvoletta di fumo gli uscì dalle narici. Ma, a parte gli scherzi, lui poteva vedere il futuro.
« Poteva vedere il futuro? E, poi, dove diamine l’hai incontrato? » Sfiorai con i polpastrelli le squame delle spalle e le trovai lisce, ma tutta via ruvide.
Ero un cucciolo quando venne a cercarmi; Fanie aveva appena imparato a sellarmi, e quando lo vide pensò di aver avuto un’allucinazione; in ogni modo, mi disse che mi aveva visto nel tuo futuro. Io gli chiesi se ci sarebbe stato pure lui, ma Titano rispose di no. Il tuo dragone azzurro già sapeva come sarebbe finita la sua vita, ma non ha voluto dirmi come se ne sarebbe andato. Quando siamo arrivati al Fosso di Helm e ho visto il suo corpo. Fece un attimo di pausa e una nube di fumo riuscì dalle narici; il vento gli accarezzò la membrana delle ali. Ho capito cosa intendesse con la frase: “ Io non ci sarò. ” La sua voce era visibilmente triste; era come se per lui la perdita di Titano gli avesse provocato lo stesso dolore che aveva avuto su di me. Voltò leggermente la testa nella mia direzione e riprese a parlare: allora capii anche un’altra cosa: tu non eri lontana da li e presto ci saremmo incontrati; e che ti sarei rimasto accanto tutta la mia vita, proteggendoti come gli avevo promesso.
« L’armatura di Fanie », mi domandai ad un tratto a voce alta, « era fatta con le squame di Titano, non è così? » L’immagine dell’armatura della ragazza, di un azzurro intenso come il cielo, mi tornò in mente. Il dragone non rispose, riportò solo il capo in avanti e cominciò a scendere, rallentando il battito delle ali. Quel silenzio era eloquente, avevo capito la sua risposta. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, mentre nel mio petto si creava come un’immensa voragine; un buco nero pieno di senso di colpa.
 
 



°   °
 
 



Il lungo corridoio di Mordor brillava come fosse fatto di fuoco. Come sempre, dalle finestre entrava la luce rossa che emergeva nelle nuvole nere e i soliti strilli riempivano il vuoto che altrimenti avrebbe riempito tutto. Stranamente, quel giorno, quegli strilli acuti mi riempivano di gioia; significava che non ero la sola a soffrire, che tutti gli altri soffrivano. Strinsi le mani a pugno e mi voltai non appena dei passi veloci arrivarono alle mie spalle. Un orco alzò la propria ascia ma fu troppo lento: alzai di scatto la mano e una vampata di calore mi penetrò nelle ossa e si ripercosse sul corpo del mostro. La sua figura prese fuoco e divenne cenere in pochi secondi. Tornai sui miei passi.
L’enorme porta della sala del trono si innalzava davanti a me, lucida e immensa. La luce rossa si rifletteva su di essa, dandole un aspetto alquanto inquietante. Presi fiato, lo zolfo sembrò bucarmi la gola e infilzarmi le vene tanto era forte, e spalancai le porte. Una vampata d’aria m’investì, così come i due occhi rossi dell’uomo seduto sul trono. Subito, Sauron rizzò la schiena e la sua bocca si socchiuse. Non potei fare a meno di sorridergli divertita da quel comportamento.
« I tuoi orchi, guardie davvero sgarbate. » Cominciai per rompere il ghiaccio. « Ne ho dovuti fare fuori circa dieci. Bruciano molto in fretta, sai?  » Mi avvicinai a una finestra e ne osservai il panorama: milioni di orchi e altre viscide creature che si affrettavano alle fornaci per fabbricare armi; in lontananza l’enorme vulcano di Mordor.
« Li hai bruciati? » Si alzò in piedi e si diresse verso di me.
« Hanno cominciato loro, volevano mettersi sulla mia strada. » Mi giustificai, per poi allontanarmi dalla finestra e dirigermi al centro esatto della sala, davanti a lui. I suoi capelli neri erano molto più corti di quanto ricordassi, gli arrivavano alle spalle; gli era bastato qualche giorno per cambiare completamente.  I suoi occhi però erano gli stessi profondi inferni che ricordavo. Allungò una mano verso il mio viso, ma non mi toccò; al contrario ritrasse le dita con accurata lentezza e fece ricadere la mano lungo i fianchi. Sbattei le palpebre e la mia mente tornò a quando ero stata li l’ultima volta; il suo tocco mi aveva quasi ustionata. Ingoiai un fiotto di saliva e feci un passo indietro.
« Sei tornata, come mai? » Ignorò la mia risposta. Rizzai la schiena, per quanto fosse ancora possibile, e tentai di assumere un comportamento fiero e arrabbiato al tempo stesso. « E come hai fatto ad arrivare? »
« Lo sai perché sono qui, e come ci sono arrivata non ha importanza. » La sua mandibola si tese. « Hai fatto un accordo con Legolas; ho deciso di risparmiarti la fatica del viaggio di domani sera. »
« Eleonora, volevamo proteggerti. Speravamo… »
« Detto fra noi, non mi interessa che volevate proteggermi. » Lo bloccai immediatamente con un cenno di mano. « Non avete pensato che, se mi fossi ritrovata qui all’improvviso messa all’oscuro da tutti i vostri piani, avrei potuto esplodere più di quanto non farò già? Sauron, sono una bomba a orologeria e voi mi tenete all’oscuro di queste decisioni? » Strinsi le braccia attorno a me talmente tanto che le unghie mi graffiarono la pelle e potei sentire il sangue scorrermi sulle dita. Qualche goccia cadde a terra, confondendosi con la pietra nera. Le iridi dell’oscuro signore seguirono una goccia e subito passarono alle mie braccia.
« Ti stai facendo del male. Ele, farai del male al piccolo se ne fai a te. »
« Voi mi portate a farmi del male. » Sborbottai esasperata. « Tu e Legolas, con le vostre bugie, i vostri intrighi, i vostri ordini e le vostre domande! » L’immagine di Fanie mi attraversò la testa e chiusi gli occhi tentando di calmarmi. Ordinai a me stessa di calmarmi, di reprimere l’odio e la rabbia verso quell’elfa che in quel momento circolavano nelle mie vene. Sbattei le palpebre e piegai leggermente la testa verso sinistra « Ora c’è l’ho io una domanda per te Sauron: lo sapevi che tua sorella sposerà il padre di mio figlio? » Il ragazzo s’irrigidì. Le vene sotto la pelle pallida del collo parvero creparsi, così come fece il pavimento.
« Fanie dovrebbe sposare quello?! » Strillò quasi, dandomi la schiena e dirigendosi verso il trono. Come lo vidi stringere i pugni mi sentii male, e subito i miei pensieri tornarono a quando per poco non mi uccise. La ragazza era diversa ma la rabbia la stessa. « Mia sorella dovrebbe sposare quel ragazzo montato? » La pietra su cui poggiavo i piedi si crepò talmente profondamente che una piccola voragine mi costrinse a saltare di lato.
« Sauron, per favore. » Mi misi ad inseguirlo, ma lui era sfuggevole.
« Lei non mi aveva detto nulla. Mi ha tenuta nascosta una cosa così importante, ma come ha potuto? » Tutto tremò.
Dannazione, dannazione, dannazione! Pensai fra me e me. Ci risiamo. Quando finirà questa storia, lo porterò da uno strizzacervelli.
Qualche minuto dopo dalle pareti preso a staccarsi pezzi di pietra, e tutta Mordor era in agitazione. Fuori dalla porta d’entrata s’iniziavano a sentire strilli, e a giudicare dalle scosse che questa riceveva dovevano essere Uruck-ai. Roteai gli occhi e afferrai il signore oscuro per un polso; strillai di dolore quando mi sentii bruciare, ma non per questo la mia stretta venne meno. Tutto cessò, e Sauron volse gli occhi a me.
« Gridare non servirà a nulla. La decisione non è ne di Fanie, ne di Legolas; è di Thranduil. Loro sono obbligati a sposarsi. » Staccai la mano dal suo palmo e la portai al suo viso. Sentii lo sfrigolare della pelle del mio palmo ma lo ignorai; le mie dita sfiorarono i suoi capelli freschi. « Perderai solo la voce, e distruggerai Mordor; senza contare te stesso. » Lui non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo.
E ora che faccio?
Cantagli una canzone. La voce del mio compagno di viaggio echeggiò nella mia mente.
Una canzone, sei serio? Come potrebbe aiutarlo una canzone? Ha una crisi isterica peggio di una donna incinta al settimo mese senza cibo!
Tu fallo, la tua voce è rilassante. Ti ascoltavo mentre cantavi in volo, sei brava e le parole di quella tua canzone sono belle.
Mi morsi le guance e alzai gli occhi al cielo.
Ma guarda che mi ritrovo a fare. Mi dissi.
« Sai, dicono che cantare aiuti a calmarsi. Che ne dici se canto qualcosa e tu ascolti? Si, ok, sediamoci va. » Mi accorsi solo allora che avevo il fiatone, probabilmente dovuto al fatto che stavo bruciando viva e non me n’ero curata. Ingoiai un fiotto di saliva, e tentai di ricordarmi le parole della canzone. «Well you only need the light when its burning low. Only miss the sun when it starts to snow. Only know you love her when you let her go. »
« Questa canzone è triste, Ele. » Sussurrò lui, guardandomi negli occhi e specchiandocisi. Non mi feci distrarre e continuai a cantare, capendo che così facendo potevo distrarlo dal pensiero di Fanie e Legolas. Sinceramente, quella canzone distraeva anche me. « Only know you’ve been high when you’re feeling low. Only hate the road when you’re missing home . Only know you love her when you let her go. And you let her go. »



Ehy, peipeeee. 
Allurs, com'è? Che ne dite di questo capitolo? Troppo dolce, malinconico, qualunque cosa tranne che bello? Oggi mi è presa cosi.
In ogni modo, come vi sono andate le vacanze? Passate bene? ^-^


 

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Capitolo 12
*** Ricordi di una vita passata. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.



“Ti tratti come se non meritassi nulla.”

 
 
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« Questa cosa è ingiusta! » Le mi parole rimbombano in tutto il palazzo di Thranduil. Le posso sentire echeggiare persino ora, che nessuno parla e tutti mi osservano. Non entra il sole dal soffitto, e dietro il trono del re si diramano quelle corna di cervo che mi fanno tremare dentro, come il suo sguardo che è rivolto a me, proprio ora. « Quale essere con un cuore funzionante farebbe una cosa simile? Thranduil, quei nani hanno tutto il diritto di essere liberi e tentare di riconquistare la propria casa. » Tauriel si incammina verso di me e poggia le mani sull’elsa dei suoi pugnali bianchi.  So che non approva il fatto che io risponda così al suo re, e non solo perché sono l’ultima arrivata. So che non vede l’ora di cacciarmi da quando sono arrivata, perché al contrario suo io non mi sono fatta mettere i piedi in testa da nessuno dei due reali. Ma ha fatto una mossa falsa, mi ha addestrata e conosco ogni sua mossa a memoria. Sbuffo, alzo gli occhi al cielo e con velocità gli punto la lama del mio pugnale al petto. « Provaci; ti infilzerei il cuore al primo passo. » La stuzzico, ignorando le occhiate di Legolas e del padre che si è alzato in piedi. Lei abbassa gli occhi verdi sulla lama scintillante e fa un passo indietro, riporgendo le armi nel fodero sotto la tunica. Sento un peso lasciarmi il cuore; non mi ero accorta di quanto fossi spaventata nel fare quello che avevo detto. Io non sono un’assassina, no, per nulla. Nel mentre penso quelle cose Thranduil ha già percorso tutta la strada che ci divide e si erge imponente sopra di me. Posso vedere Legolas alla sue spalle irrigidirsi, fare un passo avanti e venire bloccato da un gesto repentino del sovrano. I nostri occhi sono incollati; posso leggerci tanta rabbia muta in quelli del sovrano, ma non so cosa lui possa leggere nei miei: forse la paura che sto provando proprio adesso, nell’avercelo difronte. La tunica argentata che porta splende all’improvviso e io socchiudo le palpebre per non rimanerne accecata. Sento uno strano calore alla guancia e quando ritorno a vederci bene, noto che lui è ancora li a guardarmi. La sua mano è sulla mia pelle, calda e profumata, e riesco a sentire il sangue correre nelle sue vene; questa cosa mi fa paura, non so come ci riesco, ho paura di questa cosa che mi accade ogni tanto. Le sue dita sfiorano i miei capelli scuri e una ciocca le segue uscendo dalla treccia rigida che mi ha fatto uno dei nani prima che venissero catturati.
« Faresti meglio a tenere la lingua a freno, Isil. » La sua mano si sposta sul mio collo e mi sento quasi bruciare, e non è solo per l’imbarazzo che tento di tenere a freno. « E’ pericolo esprimere le proprie opinioni così liberamente. »  Prendo un bel respiro, so che quello che sto per fare è avventato e mi caccerà nei guai, ma non c’è la faccio a trattenermi. Non posso.
« Non ho paura di dire quello che penso, mio signore. E in questo momento penso che tu sia un essere spregevole che pensa solo a se stesso. » Faccio un passo indietro in modo che la sua mano cada sui suoi fianchi; schiocco le nocche e comincio a liberarmi da tutte le armi che possiedo. Legolas mi fissa da dietro le spalle del padre; i suoi occhi sono così stupiti, le sue labbra socchiuse che non mi serve nemmeno domandargli cosa sta provando: è spaventato dalle mie azioni, da quello che potrei fare. Ma non deve avere paura, non farò male a nessuno, non ne farei mai a nessuno in quella stanza.
« Isil? » Il mio nome suona così strano quando esce dalle labbra dalle sovrano, strano e bello al tempo stesso; ma questo è sbagliato, tutto questo è ingiusto. « Di ancora qualcosa e sarò costretto a rinchiuderti per tradimento. » Afferma con decisione, eppure riesco a sentire il suo cuore millenario che corre come un cavallo imbizzarrito
« Non mi interessa; non mi piegherò a un sovrano che si rifiuta di… »
« Risveglierebbero il drago! » Grida, e la voce roca rimbomba nel palazzo. Sento le guardie tendersi alle mie spalle preoccupate delle azioni del loro signore.
« Non ha importanza, Thranduil! Possibile che non lo capisci? Siamo già sull’orlo di una guerra, a cui tu ti ostini a non dare conto. » Urlo anche io, e sento il mio cuore correre. Le mie grida si confondono e mischiano con la voce del sovrano fino a che non scompaiono. Stringo i pugni sui fianchi e chiudo gli occhi, prendendo un bel respiro. Ora tutto è calma, nessuno muove un muscolo e non vola una mosca.
« Guar… »
« So dove sono le celle, ci vado da sola. » Affermo riaprendo gli occhi. Ci guardiamo una attimo io e il re, e nei suoi occhi leggo la delusione dovuta al mio comportamento, ma anche la consapevolezza dovuta alla verità delle mie parole. Gli do le spalle e sorpasso le guardie prendendo la strada che conduce alle prigioni. E’ finita: sono una traditrice.
 
 



°    °
 





Sobbalzai aprendo le palpebre all’improvviso e subito una morsa di dolore mi strinse il ventre. Mi alzai con velocità dalla sedia su cui mi trovavo, senza fare conto a Sauron che era affacciato a una delle sue finestre e corsi fuori dalla stanza. Non mi ricordavo nemmeno come ci ero arrivata in quel posto, su quella poltrona; probabilmente mi ci aveva portata Sauron. Ricordavo solo che avevamo parlato, e poi basta.
Un’altra fitta mi costrinse ad appoggiarmi al muro e piegarmi in due, tenendo la mano libera sulla pancia. L’ormai nota sensazione di nausea mi pervase e poco dopo un fiotto di sangue rosso si sparse sul pavimento nero di Mordor. Tentai di ingoiare la saliva ma un altro conato mi costrinse a rinunciare all’idea. Il dolore s’intensificò e io fui costretta a inginocchiarmi e stringere forte le braccia attorno al mio corpo.
« Ci sono io qui con te, ci sono io. » Due mani mi presero i capelli e li tirarono verso l’alto. Voltai leggermente il capo verso Sauron e lui sorrise; come se quel gesto avesse potuto farmi stare meglio, e in un certo senso era così.
« Mi dispiace per il pavimento. »  Ammisi, gettando un’occhiata al suolo dove il sangue si andava a propagare, arrivando fin quasi a me e lui. Ora che lo guardavo meglio potevo notare le macchie dovute agli schizzi colorare la mia casacca bianca.  Sembravo uscita da un film horror.
« Il pavimento non è importante. » Sorrise, aiutandomi ad alzarmi. La sua presa si spostò sui miei fianchi, e non diede mai segno di volermi lasciare. « Come ti senti ora? »
« Come se mi avessero avvelenato e poi torto le budella dall’interno con un martello pneumatico dall’interno, mentre ero ancora cosciente. » Sauron alzò un sopracciglio e mi strinse di più.
« Non ho idea di cosa sia un martello pneumatico, ma da come l’hai detto non deve essere una bella cosa. Perciò ora ti porto in stanza e chiamo qualcuno a visitarti. » Poggiai immediatamente la mano sul suo petto e ci bloccammo.
« Dimmi che non chiamerai uno di quegli affari che usi come guardie, mi fanno impressione. » Socchiuse le labbra e alzò il viso, ma potevo vedere le labbra piegate in un sorriso divertito. Risi sommessamente e gli tirai un pugno sul petto. « Promettimelo. »
« Va bene; ma in cambio voglio una cosa. »
« Mh, astuto. Dimmi, cosa desideri? »
« Un bacio. » Tornò immediatamente a guardarmi  ei suoi occhi rossi brillarono. Probabilmente impallidii e diventai più bianca di quel che già ero, perché all’improvviso il suo sorriso divertito si trasformò in una smorfia spaventata e mi caricò fra le braccia. Sbattei le palpebre sorpresa ma prima che potessi domandare qualsiasi cosa uno strano rumore m’irruppe nelle orecchie; assomigliava tanto al rumore che fa il ghiaccio quando si crepa. Un rumore strano e terrificante. Chiusi gli occhi e mi abbandonai contro il petto caldo dell’oscuro signore.
« Dimmi che non sono io. » Sospirai.
« Quanto vorrei poterlo fare; tu non ne hai un’idea. » Aprì una porta con un calcio ed entrò; dalle finestre potevo vedere il cielo nero diventare elettrico, colorarsi anche del rosso nascosto fra le nubi e agitarsi come mai prima d’ora avevo notato. Poco tempo dopo mi ritrovai sopra un letto morbido. Sauron mi lanciò un’occhiata e corse fuori dalla stanza a cercare un medico, mentre io chiudevo gli occhi e tentavo di rilassarmi e dimenticare quel rumore che continuava a persistere.
Resisti, ragazzina. La voce del mio drago suonò lontana, ottavata alle mie orecchie.
 




°   °
 
 



« Cosa stai facendo? » Fili si affaccia dalla sua cella, e con lui anche tutti gli altri nani. Vedo i loro occhi sbarrarsi per la sorpresa, quelli di tutti tranne uno: Thorin. Il loro re non mi gurda, se ne sta appoggiato con la schiena alla parete della sua cella e fissa il vuoto davanti a se, mentre nella cella vicina Balin sorride leggermente nella mia direzione.
« Ho avuto la brillante idea di aiutarvi, sostenere voi e la vostra impresa. » Esordisco, aprendo con rabbia la porta di una cella che cigola. « Sono andata contro Thranduil, per voi e questo è il risultato.» Una guardia mi spinge dietro le sbarre e chiude portando via la chiave.
« Beh, non te l’abbiamo chiesto noi. » E’ la prima volta che sento Thorin rivolgermi la parola, almeno la prima in cui non tenta di offendermi.
« Zio! » Protesta Kili.
« Credete sul serio che lei ci abbia difeso? Ma per favore, è tutto un trucco di Thranduil. Un piano per tenerci d’occhio da più vicino. » Si volta e i suoi occhi azzurri mi congelano. Digrigno i denti e stringo le sbarre fra le mie mani fino a tagliarmi; è incredibile come gli uomini nella Terra di Mezzo riescano a farmi tirare fuori il peggio.
« Sei un cretino irriconoscente! » Gli dico arrabbiata e lui, che mi aveva dato le spalle, torna a fissarmi con gli occhi accessi da una fiamma. Gli altri nani si siedono per terra, oppure rimangono in piedi appoggiandosi alle sbarre per godersi la nostra litigata. Riesco a sentire i rumori che fanno le armature delle guardie, che incuriosite da tutto quel baccano si affacciano verso di noi.
« Non ti ho chiesto io di difenderci, ragazzina! » Risponde lui con quel tono che ha usato anche con Thranduil. Le mie ossa fremono e nella mente si creano diverse scene in cui io esco dalla cella e lo strozzo.
« Non sono una ragazzina, ho sedici anni! » Raccolgo una pietra da terra e gliela lancio contro, lui la evita per un soffio e si poggia alle sbarre infuriato.
« Se mai dovessi uscire di qui, ti scuoierò viva! »
« E io ti taglierò i gioielli di famiglia se solo tu provassi a toccarmi. »
« Ah! » Ride divertito dal mio tentativo di spaventarlo. « Non ci riusciresti mai. »
« Hai ragione: è tutto piccolo la sotto, le lame non li troverebbero. » Alzò le sopracciglia quando noto sul suo viso la consapevolezza che l’ho freddato. Mi volto e raggiungo l’angolo più a sud della cella, mentre fra le celle si spargono le risate della compagnia e quelle delle guardie. Chiudo gli occhi e lascio andare un sospiro misto a una risata.
Qualche ora dopo un’ombra oscura il sole e la mia curiosità mi costringe ad aprire gli occhi. Davanti alla cella c’è Legolas, il busto rigido e la mani strette alle sbarre. Sospiro e mi alzo raggiungendolo; ci guardiamo negli occhi.
« Perché. Dimmi solo che motivo c’era di fare tutto questo baccano per un gruppo di nani. » Domanda e cerca le mie mani poco più in giù delle sue. Lancio un’occhiata alle sue dita che tentano di stringere le mie, poi torno a lui.
« Perché si. E’ ingiusto tutto questo. » Lui alza gli occhi al cielo e sospira; io ritraggo le mani. « Tuo padre deve lasciarli andare. »
« Non lo farà, e io sono d’accordo con lui e lo sai. Non possiamo permettergli di risvegliare Smaug. »
« Siete proprio. » Mi mordo la lingua e gli do le spalle, allontanandomi nell’ombra. « Vattene, Legolas. »
« Prima ti faccio uscire. »
« No! » Mi volto all’improvviso e lo blocco. « Non voglio pietà, la vostra. Ho combattuto e ho perso, ora me ne starò rinchiusa qui come vuole tuo padre, principe. »
« Ti tratti come se non meritassi nulla, mai. Nemmeno l'aiuto di un amico. » Afferma ad un tratto.
« Sono una traditrice, principe. Non merito nulla, nemmeno una tua visita. »
« Mi stai cacciando? Mi stai dicendo che preferisci stare dalla parte di questi nani piuttosto che dalla nostra? »
« Si, Legolas, esatto. Sei perspicace per essere un principino elfico dalle orecchie a punta. » Mi volto a guardarlo, tentando di essere più convinta e fredda  possibile. La verità è che non voglio si cacci nei guai con il padre a causa mia.
« Come desideri. » Sbotta ad un tratto, voltandosi e dandomi le spalle. Non si volta nemmeno a guardarmi mentre risale le scale, e io me ne trono a sedermi nel mio angolino.
 
 
 
 


°    °
 
 



La luce colpì con forza la sala del trono. Legolas  si sedette su una panca e osservò Fanie parlare con Eowyn; le aveva detto di scappare ma lei aveva rifiutato dicendogli che ormai era parte di quella, e come tale l’avrebbe aiutato a riavere la sua stella. Si prese la testa fra le mani e respirò piano, tentando di riassumere tutti gli avvenimenti avvenuti, ma tutto quello che ricordava in quell’istante era il loro primo incontro, o meglio il secondo. Sorrise ripensando al modo in cui lei gli aveva parlato quando l’aveva caricata a cavallo, fregandosene del fatto che lui fosse un principe.
« Orecchie a punta, tutto bene? » Gimli si accomodò davanti a lui e lo guardò. Gli occhi scuri nascosto sotto la barba e i capelli fulvi.
« Si, certo. » Si lanciarono un’occhiata eloquente.
« Tornerà, l’ha sempre fatto. » Disse d’un tratto il nano, sfoderando uno dei sorrisi più sinceri che l’elfo gli avesse mai visto fare.
« Certo, perché avevamo bisogno di lei. » Borbottò tristemente Legolas, tornando ad appoggiare la testa fra le braccia. Si sentiva vuoto dentro, inutile. L’aveva lasciata andare come se nulla fosse, senza riuscire a spiegarle nulla di tutta quella strana situazione. Avrebbe dovuto fermarla, essere più veloce e raggiungerla, dirle che aveva bisogno di lei, e che non avrebbe sposato nessun’altra a parte lei.
« Avevamo? » Gimli rise. « Si beh, noi avevamo bisogno di lei ma El aveva bisogno di te. Alla fine, lei tornava per te. Se il destino vi separava lei trovava il modo per rivederti; e vedrai che questa volta non sarà diverso Legolas.  »
« Invece si, questa volta le cose cambiano. » Di scatto l’elfo alzò il capo e batté il pugno sul tavolo con tanta forza che il bicchiere poggiato poco lontano da lui cadde, rovesciando il contenuto sul pavimento. Il nano si spinse indietro con le braccia e la panca stridette sul pavimento. Eowyn e Fanie si voltarono a guardarli e Legolas puntò i suoi occhi in quelli dell’amica. « Fanie, ho bisogno che tu mi porti da tuo fratello. Ora. »
« C-cosa? » La giovane elfa sbatté la palpebre confusa.
« So che hai un altro drago nelle vicinanze, ed è ora che venga fuori. » Il principe aggirò il tavolo e la raggiunse, poggiando le mani sulle sue spalle. « Volevi riparare al tuo danno? Perfetto, questa è la situazione giusta. »
« Legolas, io non so se Sa… mio fratello ci accoglierà dove abita. »
« Ti prego Fanie: sei la mia unica speranza. »



Ehy peipeeee <3
Love, come state? Che ne dite di questo capitolo?Mi è venuta nostalgia dei nani di Erebor così li ho messi in un capitolino :3
Anyway, secondo voi che sta accadendo a El? E che intenzioni ha Legolas?

 

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Capitolo 13
*** L'ascesa della luna. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 


Mi sono sempre chiesto perché amore e sangue avessero lo stesso colore: adesso lo so.
 
- Alessandro D'Avenia
 

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 « Mio signore », un orco irruppe nella stanza in cui Sauron stava. L’oscuro lo fissò per parecchi minuti, mentre la sua mano continuava ad accarezzare il dorso di quella della giovane che giaceva nel letto. Aveva perso i sensi poco prima che lui tornasse con un medico e non si era più svegliata. Ora che la guardava, senza dare più conto al nuovo arrivato, il suo cuore batteva con talmente tanta velocità che pensava gli sarebbe uscito dal petto. Il volto della guerriera era pieno di crepature, quasi fosse fatta di porcellana; le poteva vedere correre sulla pelle bianca, creare strani disegni sul volto e il collo per poi insinuarsi sotto i vestiti e sparire. Sospirò, capendo che l’orco non se ne sarebbe andato e alzò nuovamente gli occhi verso di lui. L’essere si aggrappò alla propria lancia impaurito e ingoiò un fiotto di saliva.
« Cosa c’è ora? » Domandò con stanchezza Sauron; tutta quella situazione gli aveva prosciugato quasi tutte le energie.
« Vostra sorella », l’oscuro rizzò la schiena improvvisamente attento, « è nella sala del trono e insieme a lei c’è un ragazzo, mio signore, un elfo di Bosco Atro. » Scosso da una nuova ondata d’energie Sauron si alzò in piedi, lasciando andare con delicatezza la mano della ragazza e si diresse in corridoio; ordinò all’orco di sorvegliare Eleonora. Sapeva cosa voleva Legolas, la rivoleva indietro, ma lui non gli avrebbe permesso di portargliela via; specialmente ora che era in quelle condizioni.
 
 


°   °
 
 


Fanie poteva sentire i passi del fratello rimbombare nei corridoi. Aveva imparato ad ascoltare ogni singolo rumore che la circondava da quando aveva visto crollare la sua casa e essere portata via dai soldati di Elrond, per poi essersi ritrovata ai servigi di Dama Galdriel. Mentre chiudeva gli occhi per tentare di levarsi quelle immagini dalla testa, il rumore di una porta che si spalancava la fece voltare. Sauron avanzò verso di loro a passo sicuro, con il suo mantello di pelliccia nera che gli ventolava alle spalle e quegli orridi serpenti di cenere nera che lo seguivano a ogni passo. Al fianco della giovane, Legolas rizzò la schiena e non distaccò mai lo sguardo dal signore di Mordor; i loro occhi, azzurri come il paradiso e rossi come l’inferno, si osservarono dichiarandosi guerra in un muto silenzio. Fanie prese un bel respiro e scrocchiò le dita attirando l’attenzione dei due su di lei. Mosse le spalle e si diresse verso il fratello, fermandosi proprio davanti a lui. Come sempre la sovrastava con quell’altezza sproporzionata ma a lei non importava, non era li per una visita di cortesia; era li perché doveva riparare a un errore commesso.
« Sorella, che piacere rivederti. » Esordì Sauron, sorridendole senza guardarla. « Ti sei portata dietro anche il cane da guardia? »
« Sauron, ti prego non sono venuta qui per litigare. » Si affrettò ad affermare lei, poggiandole le mani sul petto; era così piccola in confronto a lui.
« Forse tu no, ma il tuo amichetto si. » Rispose con freddezza l’oscuro, poggiando le mani sulle spalle della sorella per spostarla di lato. Il cuore di Fanie prese a battere più del dovuto quando vide Legolas fare un passo avanti.
« Dov’è lei? » Chiese senza giri di parole il principe. Il re di Mordor gli girò attorno fino a fermarsi davanti al suo volto. Erano così differenti, pensò Fanie, eppure così uguali da amare la stessa donna e fare di tutto per tenerla al proprio fianco; perché alla fine si trattava di quello, una donna era l’origine delle loro controversie ( in quel momento la guerra che Sauron aveva dichiarato alla Terra di Mezzo non sfiorava la mente dell’elfa ).
« Non sono affari tuoi. » Replicò con sicurezza l’oscuro.
« Invece li sono eccome! E’ la madre di mio figlio, la donna che a… »
« Ami? » Sauron rise amaramente. « La ami così tanto da sposare un'altra, non è così?! » Con un gesto d’ira indicò la sorella, che si sentì cedere le gambe dall’imbarazzo. Dunque Sauron sapeva del matrimonio combinato, pensò Fanie con rammarico.
« E’ un matrimonio combinato; la scelta è di mio padre. » Si affrettò a rispondere Legolas, le cui nocche stavano diventando bianche da tanto stringeva forte le mani. « Io amo lei, non tua sorella, e fino a prova contraria lei ama me. Ho il diritto di sapere dove lei sia e tu hai il dovere di dirmelo! »
« Io non ho alcun dovere nei tuoi confronti! » Tuonò Sauron, afferrandolo per il colletto della blusa e lanciandolo contro una parete. Legolas volò contro il muro e si accasciò a terra per qualche secondo, poi si rialzò in piedi e scrocchiò il collo. Fanie si portò le mani alle labbra tentando di reprimere un grido. Aveva temuto questo momento da quando si erano messi a cavallo del suo drago e ora queste sue preoccupazioni si stavano avverando.
« Sei uno stupido se credi che lei resterà qui, per sempre. Non è un animale da tenere in gabbia, Sauron, lei è libera e così vuole restare. »  Esordì Legolas, avvicinandosi nuovamente a Sauron.
« E’ per questo che è scappata da te ed è venuta da me? Oppure è venuta qui perché tu le facevi del male? Dimmi, elfo silvano, se ti ama tanto come dici perché è venuta qui, da me? » Chiese con rabbia l’oscuro; Legolas si fermò come ghiacciato. Sauron l’osservò, e un ghigno gli nacque in faccia: aveva fatto centro, aveva colpito il punto più debole del principe. L’elfo silvano prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e lo colpì dritto in faccia con un pungo. Sauron cadde a terra, con le mani strette sopra il naso sicuramente rotto.
« Lei non mi ha lascito per te; lei mi ha lasciato perché aveva paura! E io non le farei ma del male! » Gridò l’elfo; e Fanie tremò. Prima che i due potessero cominciare a litigare di nuovo un urlo squarciò il loro baccano; tutti si voltarono verso la porta da cui era entrato Sauron. Per un momento tutto tacque, immobile come se il volume fosse stato staccato; Sauron, ancora steso a terra si girò sulla pancia e rimase in attesa di qualcos’altro, Legolas con i pugni stretti di fronte al petto ascoltò: un altro grido rimbombò nella sala, più acuto questa volta.
« El. » Sussurrò il principe e passando sopra Sauron corse in corridoio.
 
 


°   °
 
 


Chiusi le dita sui palmi ma questi non smisero di bruciare, bruciarmi. Sentivo ancora quell’insistente rumore di ghiaccio che si spezzava nelle mie orecchie e non potevo fermarlo. Mi alzai in piedi e diressi in bagno dove potevo trovare uno specchio. Poggiai le mani al lavandino, ma il calore che emanavano lo sciolse e questo colò a terra liquefatto. Alzai il viso dal pavimento e strillai ancora, questa volta non solo per il dolore; nello specchiò c’era una viso distrutto, venato come la porcellana quando diventa vecchi. Portai le mani sulle guance e la figura fece lo stesso, rabbrividii: quella ero io.  Che cosa mi succedeva? Spaventata tornai in camera e mi avvicinai alle finestre per osservare il cielo: in mezzo alle nuvole nere spuntò uno spicchio di luna rossa.
Non può essere! Mi dissi, la luna di sangue è domani sera, non oggi. Non stasera.
« El! » La porta si spalancò  con un tonfo e Legolas entrò nella stanza come un fulmine seguito da Sauron e Fanie. Per un secondo mi sentii leggera, felice che lui fosse li ma quando si diresse verso di me la paura tornò a persistere: se gli avessi fatto del male? Ebbi l’impulso di allungare la mani e mandarlo indietro, ma così facendo nelle condizioni in cui mi ritrovavo l’avrei ucciso.
« Stai lontano! Stai lontano da me! » Gli ordinai, facendo un passo indietro. I suoi occhi celesti mi guardarono stupiti dal mio comportamento e le sue labbra si socchiusero un poco. « Non voglio farti del male, ti prego. » Lo implorai, e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii fragile, distrutta e vuota dentro, con le lacrime che minacciavano di scendere. Ma non volevo piangere, perché non volevo mostrarmi debole, non volevo essere debole.
« Ele », la voce di Sauron mi suonò più vicina di quello che mi aspettassi. Chiusi gli occhi e quando li riaprii me lo ritrovai a poca distanza. Sobbalzai e feci un passo indietro, scontrando il bordo della finestra con i fianchi. Socchiusi le labbra e strinsi le mani in pugni, tentando di ignorare il dolore crescente. « Stai tranquilla, stai calma. »
« Calma? » Presi un respiro e sbattei le palpebre. « Sto crollando, letteralmente, e dovrei stare calma? » Fece un altro passo verso di me. « Stammi lontano, potrei farti del male! »
« No, invece. Non mi farai del male. » Strinse la sua mano attorno al mio polso e represse una smorfia di dolore. Sentii una lacrima solcarmi la guancia fino ad evaporare in aria; stavo diventando un vulcano con le gambe.
« Vattene. Andatevene tutti, non voglio farvi male. » Singhiozzai, ma ogni lacrima scendeva per un breve tratto e poi scompariva. Vidi la mascella di Sauron irrigidirsi, poi mi tirò a se e mi strinse facendomi dare la schiena a Legolas che era rimasto a guardarci per tutto il tempo. « Lasciami! » Dissi, ma lui non mi ascoltò. Sentivo il suo cuore correre veloce e le sue mani stringermi in un abbraccio doloroso, per entrambi.
« No che non ti lascio. Hai bisogno d’aiuto, perciò non ti lascerò sola.»
 
 
Ehy peipe,
 

come state? Come avete passato il capodanno? Io pe… bene bene :3
Anyway, che ne dite di questo primo capitolo del  2013 2014? Su, esprimetevi che - come sapete – tengo alle vostre opinioni.
Un bacione.
P.s: guardate qui che ho trovato *_*


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Capitolo 14
*** La scelta. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose. 
 
Perché ci vuole tempo, per trovarmi.

-The Fray



 



I found God on the corner of first and amistad,
Where the west was all but won
All alone, smoking his last cigarette
I said where you’ve been he said ask anything
Where were you
When everything was falling apart
When all my days were spent by the telephone
Never ring and all I needed was a call
Never came to the corner of first and Amistad

 
 
 
 
« Lasciami. » Gridai con rabbia, e la mia vista si appannò di un intenso rosso. Sauron, al contrario strinse la presa e lo sentii gemere. Per un attimo chiusi gli occhi e respirai con lentezza: non volevo fargli del male ma lui non mi lasciava altra scelta. Poggiai le mani sul suo ventre, ignorando il fatto che bruciavano da morire e lo spinsi. Una vampata di calore m’incendiò le vene e vidi il suo corpo volare contro una colonna per poi cadere a terra. Una vampata d’aria calda mi sfiorò la pelle, portandomi alle narici l’odore del sangue e dello zolfo. Strizzai per un attimo le palpebre, chiedendomi come riuscissi a distinguere quegli odori poi le riaprii e gonfiai il petto. Se c’era un momento in cui dovevo mostrarmi forte e fredda era quello. « Andatevene, ora. » Mi voltai con rabbia verso Legolas e Fanie e poi mi rivolsi nuovamente a Sauron che si era alzato in piedi: « Ti avevo avvertito, Sauron. »
« Lascia che ti aiuti. » Mi disse ancora lui. Roteai gli occhi al cielo e ignorai la vocina che mi diceva di accettare quel suoi aiuto.
« Non costringermi a buttarti fuori dalla finestra, questa volta.  » Gli intimai, e un ringhio crebbe nel mio basso ventre. Lui mi osservò con i suoi occhi rossi e non osò contraddirmi; con una smorfia mi superò, dandomi una spallata, e uscì dalla stanza senza dire niente. Restai di spalle e aspettai che la porta si chiudesse prima di lasciare andare un sospiro e voltarmi. La stanza era vuota, ora c’eravamo solo io e il mio “io” guardiano che scalpitava dalla voglia di uscire fuori e distruggere tutto quello che voleva. E, sinceramente, non gli davo torto: anche io avevo una voglia enorme di distruggere tutto quanto. Avevo voglia di distruggere tutto quello che mi rinchiudeva in questo momento: quelle quattro mura che mi tenevano prigioniera, anche se avevo scelto io di restarci. Avrei voluto distruggere me stessa, e tutti i problemi che causavo agli altri e a me. Gridai, per rabbia più per rabbia che per dolore, e alzai un palmo dirigendolo verso la scrivania. Una palla di fuoco rosso la colpì in pieno facendola bruciare.
 
 
Lost and insicure
You fund me you fund me
Lying on the floor
Surround me surround me
Why’d you have to wait
Where were you where were you
Just a little late
You found me you found me

 
 
 
Legolas affrettò il passo finché non raggiunse Sauron; allora lo prese e lo spinse contro il muro, tenendo un braccio sotto la sua gola e uno contro il suo petto. Sentiva il proprio cuore correre a causa dell’adrenalina e della paura che scorreva nelle sue vene come il sangue. Lo spettacolo a cui aveva assistito pochi minuti fa, la sua ragazza che lanciava, letteralmente, il suo peggior nemico contro un pilastro l’aveva lasciato di stucco e divertito al tempo stesso. Certo, come avrebbe potuto non divertirlo? In ogni modo, si sentiva comunque turbato da quell’eccesso di forza che le aveva visto usare; voleva risposte al più presto.
« Che diavolo era quel: “lascia che ti aiuti”? » Eppure, in questo momento non sembrava quella la cosa più importante, perché veniva sorpassata dal fatto che Sauron, l’oscuro signore di Mordor, avesse fatto il casca morto con la sua ragazza.
« Un tentativo di aiutarla. » Ringhiò Sauron, sputandogli persino in faccia.
« Cazzate. » Legolas serrò la mascella e caricò un pugno che non andò mai a segno, visto che Fanie lo bloccò in aria. Si voltò a guardarla e la fulminò. Gli occhi azzurri della giovane, però, non cedettero davanti a lui come sempre: al contrario ricambiarono la sfida che lui aveva riposo nei propri. Fanie non aveva voglia di giochetti, glielo si leggeva in faccia.
« E’ meglio che la finiate, entrambi. Non è il momento di mettersi a litigare. » Parlava con voce rigida che non ammetteva repliche. Con uno strattone, poi, separò i due ragazzi e li sorpassò dirigendosi a passo svelto nella sala del trono che si apriva davanti a loro in tutta la sua grandiosità. Legolas rivolse ancora un’occhiata alle sue spalle, e dalla fessura della porta riuscì a scorgere l’ombra delle fiamme che divampavano nella stanza. Prese un bel respiro e si voltò, abbandonando per l’ultima volta l’idea di tronare indietro e stringerla fra le sue braccia come avrebbe voluto fare sin dall’inizio.
Al suo fianco si aprivano immense finestre che brillavano della luce riflessa della luna rossa, che adesso era ben visibile in cielo. Spiccava fra le nubi nere e inondava tutto con il suo bagliore quasi tossico. Il principe di Bosco Atro si poggiò a una finestra e osservò con occhio attento tutto quello che si estendeva oltre Mordor: le fornaci sotto di lui erano gremite di orchi e altre orride creature, e in lontananza il vulcano eruttava lava rossa come rubini incandescenti. Un grido squarciò l’aria, ma come era successo per tutti gli altri tentò di ignorarlo, mentre il suo cuore affondava sempre di più nelle viscere e nei sensi di colpa. Continuava a ripetersi che se l’avesse tenuta fuori dalla battaglia al Fossi di Helm tutto quello non sarebbe successo, lei non avrebbe perso Titano e ora starebbero a Edora nel loro letto e non a Mordor nel covo del nemico.
« Beh, ti stai divertendo a osservare i miei territori, elfo? » Sauron lo strappò dai suoi pensieri comparendo al suo fianco. Legolas si voltò a guardarlo e rizzò la schiena per arrivare alla sua altezza; lo guardò negli occhi e provò a leggervi qualsiasi cosa ma nulla ne venne fuori. Quei due inferni rossi erano impossibili da leggere.
« Non quanto te, che ti stai divertendo nel vedermi ridotto così.  »
« Il povero principe è preoccupato per la bella donzella? » Rise Sauron, poggiandosi con la schiena a un pilastro dietro di lui. Una vampata d’aria li colpì entrambi facendo oscillare i loro capelli nel vento. Legolas serrò gli occhi, riducendoli a due fessure e schioccò la lingua.
« Intendi dire quella che ti ha gettato contro un muro? » Non poté nascondere il suo divertimento mentre pronunciava questa frase. « Beh, in tal caso si. Tu no? »
« No. » Rispose soltanto Sauron, carezzandosi una guancia mentre lasciava vagare il proprio sguardo fuori dalla finestra, oltre il cielo. « Mi fido di lei. »
« Anche io mi fido di lei, solo che. »
« Se tu ti fidassi di lei, realmente, non avresti detto “solo che”. Ammettilo, Legolas: la ami, ma hai paura delle scelte che farà dopo questa notte. » La risposta del signore oscuro lo prese in contropiede: non era vero che non si fidava di lei, solo che a volte pensava che le sue scelte fossero troppo spinte. Pensava che seguisse di più il cuore che il cervello, e questi ragionamenti a volte sono pericolosi.
« Perché, secondo te che scelte farà? » Chiese il principe incrociando le braccia al petto. Sentì i muscoli tendersi sotto la casacca, e il cuore perdere un battito nell’attesa della risposta.
« Non potremmo dividercela per sempre. » Cominciò Sauron; ma a Legolas quell’inizio già non piaceva. Loro non se l’erano mai “divisa”: lei era sempre appartenuta a lui e viceversa, ma mai a quell’essere assetato di sangue che diceva di amarla. « Sappiamo entrambi che lei dovrà scegliere, e non sempre la scelta è la più ovvia. »
« Mi stai dicendo che sceglierà te? » Il giovane non poté reprimere una risata amara, che gli si congelò nella gola. Prima che Sauron potesse rispondere un grido risuonò forte e lindo nella stanza in cui si trovavano. I due uomini voltarono la testa e si videro passare di fianco  un orco che andava a fuoco. L’essere, che correva alla ceca viste le fiamme che lo divoravano, si diresse con velocità verso una finestra e ne cadde oltre. I suoi strilli si dispersero nell’aria. I due si scambiarono uno sguardo stupito e poi entrambi si sporsero oltre il cornicione, osservarono la fiaccola ancora viva dimenarsi mentre cadeva e si guardarono ancora.
« Quanti ne hai messi a guardia della porta? » Domandò Fanie, unendosi ai due che ancora osservavano l’orco precipitare.
« Due. » Rispose distrattamente l’uomo.
« Risposta sbagliata: zero. » Ringhiò una quarta voce alle loro spalle. Legolas chiuse gli occhi e prima di voltarsi trasse un profondo respiro. Si voltò con molta calma, al contrario della giovane elfa al suo fianco e sgranò gli occhi. La sua compagna sorrise e gli lanciò la testa della seconda guardia messa per controllarla dritta fra le braccia. Gli occhi grigi dell’elfo la guardarono e poi le gettarono quasi immediatamente giù dalla  finestra.
« Per tutti i Valar. » Sussurrò Fanie, stringendo la mano al giovane biondo. Beh, Legolas non poteva darle tutti i torti, quella che gli si presentava davanti più che una ragazza sembrava un torcia. Eleonora fece un passo avanti, e tutto il suo corpo tintinnò come se fosse stato fatto di pietra; dalle venature profonde che ricoprivano la sua pelle usciva un intensa luce rossa, sicuramente un liquido che scorreva dentro di lei, che pareva lava. La giovane strinse le mani a pugno e le sue dita scrocchiarono facendo rizzare la pelle persino a Sauron.
 
 
But in the end everyone ends up alone
Losing her the only one whose ever known
Who I am who I’m not who I wanna be
My way to know how lost you will be next to me

 
 
Non so perché lo feci, probabilmente perché li avevo sentiti parlare di me come di un trofeo da vincere, oppure un cavallo su cui scommettere, fatto sta che alzai la mano nella loro direzione e prima che riuscissi a pensare una vampata di fuoco mi scaturì dal palmo. Non gridai, anche se avrei voluto farlo, perché non ci riuscii. Era come essere prigioniera del mio stesso corpo, nel mio stesso corpo. Vidi Legolas stringere Fanie a se e gettarla a terra facendole scudo con il suo corpo, per proteggerla da tutto quel calore; Sauron si premette contro il pilastro più vicino mancando il calore per un soffio.
Basta! Mi ordinai ma era come se la mia testa non elaborasse i miei ordini. Le mie gambe si mossero da sole e la vista mi si appannò come aveva fatto poco prima di uccidere quei due orchi. A grandi passi mi avvicinai al signore di Mordor e strinsi la sua gola nella mia mano. Sentivo tanto odio nei suoi confronti: dopo tutto lui aveva permesso a Saruman di rinchiudermi in una cella sotterranea, e aveva dichiarato guerra a tutta la Terra di Mezzo. Aveva permesso allo stregone bianco di sguinzagliare Isengard contro il Fosso di Helm, facendomi perdere Titano. Alzai il braccio, di conseguenza anche lui e lo scagliai contro il trono sul quale si sedeva sempre. Questo si frantumò in mille pezzi e gli crollò contro, facendolo urlare di dolore.
Basta, basta, basta! Mi gridai, ma il mio corpo non ascoltò. Seguii la scia che lui aveva percorso volando, potevo sentire il mio corpo stridere ad ogni passo, e lo raggiunsi.  Mi chinai su di lui e lo alzai, per poi rilanciarlo sopra le macerie della sua adorata sedia. Devo bloccarmi, basta.
« El, calmati ti prego. » La voce di Legolas mi fece voltare. Lui era al centro della stanza, con le mani alzate verso di me in segno di scuse. Gettai leggermente la testa a destra e il collo stridette, mentre le mie mani si chiudevano in pugni stretti.
No, lui no, ti prego. Non volevo fare del male anche a lui, non volevo fare del male a nessuno.
« Calmarmi?! » Strillai senza avere controllo delle mie parole, che uscirono graffiandomi la gola come gli artigli di un gatto. « Tu mi hai distrutta e buttata giù più volte di quanto io voglia ammettere! Come potrei calmarmi?! » Fui rapida ad alzare il braccio e indicarlo verso di lui per poi sparargli contro. L’elfo biondo cadde a terra gemendo, e si portò il braccio destro al petto.
« Eleonora, per tutto quello che ti ho fatto, per tutte le volte che ti ho ferita ti chiedo scusa.  » Gemette lui, senza la forza di alzarsi in piedi. I suoi occhi cercarono i miei e vi rimasero incollati mentre lo raggiungevo. Prima che potessi fare qualsiasi altra cosa, Fanie, di cui avevo completamento scordato l’esistenza, si frappose fra me e  lui e mi puntò una spada contro. A lei non mi dispiaceva fare del male, e gliene avrei fatto se una voce non mi avesse bloccato e costretta a indietreggiare. Più che una voce era un grido e mi rimbombava in testa come la trombetta rimbomba in uno stadio; solo che questo era un urlo acuto che mi fece gridare a mia volta. Indietreggiai e portai le mani alle tempie, gettando il viso verso il soffitto.
Non combattere con lui, ti stai distruggendo da sola ragazzina. Io la conoscevo quella voce, ma sicuramente la sentivo perché ero in quello stato, non c’erano altri motivi. Non combattere.
Sto sognando, non c’è alternativa.  Mi dissi.
Forse, o forse sei semplicemente una ragazza che ha bisogno dell’aiuto di un vecchio amico.
Ma tu sei morto.
Metà di me vive ancora in te. Mi contraddisse subito. Sarò morto quando tu riuscirai a liberartene, e ti scongiuro di farlo perché il limbo è un posto orrendo. Era incredibile come la presenza di Titano riuscisse ad alleviare le mie sofferenze persino quando lui non c’era più.
Non posso liberarmene. Ammisi. Non ne sono capace.
Certo che non ne sei capace, rimbambita,  se no perché mi sarei scomodato a parlarti?
Perché mi vuoi bene?
Lo sentii ridere – per quanto un drago potesse ridere, ovvio -; presi un bel respiro e chiusi gli occhi.  Potevo sentire la sua presenza aleggiarmi attorno, calda e rincuorante come quando era in vita.
Rilassati, così brava, e libera la mente. Feci come mi aveva detto e piano piano cominciai a sentirmi più libera: sentivo che il mio corpo tornava a seguire i miei ordini.
A-aspetta Titano, prima devo chiederti una cosa.
Domanda.
Fa male morire? Ti ha fatto paura? Il mio petto si alzava e abbassava come le ali di un uccello in volo. Mi ero sempre domandata se aveva sofferto molto e mi ero sempre sentita in colpa per quello che gli era successo.
Certo che ho avuto paura: avrei voluto vivere un po’ di più. Avrei voluto poter vedere di più il mondo in cui sono cresciuto, ma tutta via non rimpiango le azioni che ho fatto, perché hanno salvato te e quello che cresceva dentro di te. Ah, e credimi: morire fa meno male di quello che pensi. Ora rilassati e lascia defluire tutto il male da te.
Un ultima cosa!
Fai veloce, per favore: la luna di sangue non dura in eterno e capita ogni sessant’anni, vorrei raggiungere i Valar prima di allora.
Ti voglio bene.
Oh. Colsi una nota di stupore nella sua voce baritonale; ma non seppi dirmi se fosse solo stupore, oppure stupore a cui si è preparati. Te ne voglio bene anche io.
 
 
Early morning city breaks
I’ve been calling
For years and years and years and years
And you’ve never left me messages
Never send me no letters
You’ve got some kind of nerve
Taking all I want

 
 
Fanie avanzò silenziosamente verso la figura in piedi al centro della stanza, ma prima che potesse tentare di ferirla questa cadde a terra. La roccia che le ricopriva il corpo si sgretolò a contatto con la pietra del pavimento, lasciando così vedere il corpo umano della giovane; una nube di fumo nera evaporò nell’aria. Eleonora aprì gli occhi, ora del solito colore castano di sempre e ispirò aria, per poi iniziare a tossire. Fanie si avvicinò con cautela e prima che lei potesse dirle qualcosa la colpì con il piatto della spada, facendola ricrollare a terra.
« Fanie! Ma sei impazzita? » Urlò contrariato Sauron, rialzandosi da sotto le macerie del trono. L’elfa alzò il viso e lo fulminò con lo sguardo: il fratello era indenne dopo quello che la guerriera le aveva fatto. Aveva qualche taglio sulle mani e sulla faccia, ma non sembrava aver bisogno di cure mediche.
« I-io… » Balbettò la ragazza, che si ritrovò a lasciare all’improvviso l’elsa della spasa che cadde a terra con frastuono. « Credevo volesse uccidermi! » Si giustificò.
 
 
 
 Lost and insicure
You fund me you fund me
Lying on the floor
Surround me surround me
Why’d you have to wait
Where were you where were you
Just a little late
You found me you found me

 
« Mi dispiace. » Fanie si sedette accanto a me sul letto e mi tamponò le ferite provocatemi dalla mia stessa corazza di roccia, sgretolatasi a terra.
« E’ tutto ok, Fanie, davvero. » La rassicurai, stringendo il lenzuolo in un pungo quando mi sfiorò una cicatrice riaperta.
« Questa è davvero profonda, menomale che non si è riaperta molto. Come te la sei fatta? » Domandò, alzandomi il braccio per farci passare sotto la benda che l’avrebbe fasciata.
« Me l’ha fatta Legolas, con un freccia la prima volta che ci siamo visti. » Non potei reprimere un piccolo sorriso, che attirò l’attenzione dell’elfa che incuriosita me ne domandò il motivo. « Non sono pazza, a prescindere da quello che ho fatto oggi, credimi. E’ che ripensandoci proprio non posso non riderci su: ero stata davvero acida con lui e l’avevo colto talmente alla sprovvista che aveva fatto di quelle facce davvero comiche. » Tirai una sospiro tra i denti quando Fanie strinse la fasciatura.
« E’ li che hai capito che ti piaceva?  Al primo sguardo? » Chiese.
« Oh no, assolutamente. » Scossi il capo con convinzione. « Ho iniziato a provare qualcosa per lui quando mi ha salvata dall’assideramento, o almeno credo. In ogni modo, mi ricordo che l’ultima cosa che gli dissi fu “goditi questa scena, perché è l’unica volta che ti permetterò di farlo!”.  » Anche lei rise questa volta e riporse le bende in un contenitore non molto lontano.
« Eri così fredda con lui? » Chiese poi, tornando a sedersi accanto a me. Sbattei le palpebre e osservai il muro, che avevo distrutto prima di uscire dalla camera, davanti a me riflettendo su quelle parole.
« Beh, si e lo sono stata anche dopo. Ma non ti credere che lui sia stato da meno: eravamo in continua lotta, anche se non si sarebbe detto a volte. Poi mi ha baciata e  sono caduta nel baratro senza ritorno. »
« L’amore? »
« La consapevolezza di amarlo, che è una cosa ben peggiore. » Ammisi, grattandomi una guancia assente.
« Beh, allora che intenzioni hai adesso che hai finalmente vinto contro il tuo guardiano interiore? » Mi scrutò con i suoi occhi di ghiaccio e arricciò verso l’alto le labbra rosse. Le rivolsi un’occhiata e alzai le spalle, per poi gettarmi a peso morto sul materasso dietro di noi. Lei mi osservò sorridente.
« Credo che sia ora di scegliere. »
« Scegliere? Cosa? » Anche lei mi raggiunse, sdraiandosi con noncuranza.
« La mia fazione. E’ tempo che mi decida, e non solo per il mio bene ma anche per quello di mio figlio. » Fanie si voltò su un fianco e poggiò la testa sul palmo della mano, sbattendo le palpebre a intervalli regolari.
« E? »
« Le ragazze flirtano sempre con il ragazzo cattivo, Fanie, ma non lo portano mai a casa dai genitori. » Sospirai.
« Hai scelto Legolas. »
« Ne sei stupita? »
« No. »
 
Why’d you have to wait
To find me to find me


 
Ciao Peipe <3
Mi scuso per questo capitolo orrendo ma non avevo idee. A dire la verità, ho ricevuto un mucchio di consigli utili da una ragazza fantastica che ringrazio moltissimo:


 
Grazie Chiara. 
Sei stata un angelo a sopportarmi, sei fantastica; aspetto ancora il video della cover su youtube. Anyway, spero che il capitolo sia stato di tuo gradimento :3

 

Come avete visto in questo capitolo ho messo il testo di una canzone ( "You found me" dei "The Fray" ), spero che questa piccolezza vi sia piaciuta, così come l'immagine all'inizio.
Ora siccome voglio rompervi le scatole vi svelo qualche d'una delle idee cestinate e degli approfondimenti che ho condiviso nel gruppo di Facebook:

#IdeeCestinate

 
-Non volevo uccidere Boromir, perché avevo in mente di creare un certo legame affettivo, non sentimentale, fra lui e El.
 
Ele, alla fine della prima ff, moriva realmente per salvare Boromir.
 
El perde tutti i poteri dopo aver partorito.
 
El, durante la luna di sangue, perde il bambino a causa del suo "io guardiano"
 
Alla fine dell'ultima ff, Ele si sveglia nella sua camera e capisce di aver sognato tutto.
 
#Approfondimenti
 
Partiamo dal #Nome :

All'inizio pensavo di chiamarla davvero Isil ( è un nome che mi piace tanto ), oppure Giulia; ma, successivamente, non riuscivo a immedesimarmici e visto che per crearla ci ho messo molto di mio, le ho dato il mio nome ( che non è altro che Isil in italiano ).
 
#ComportamentoeSegnoZodiacale

Come ho già detto Ele si ispira alla mia personalità, perciò l'ho fatta "nascere" ( che strano dire così O.O ) ad Aprile.
L' ariete è il segno degli inizi: intrepidi, passionali, coraggiosi, i nativi sono leader nati e si potrebbero definire "egocentrismo supremo". Non sono pazienti, e spesso sono insensibili, determinati e poco lungimiranti. 

Credo che questo spieghi molte cose. Specialmente il " si potrebbero definire "egocentrismo supremo" 
 
 
#CuorediCenere e #PerditaDiControllo

Eleonora era una delle gemelle di "luce & ombra". Nella storia della terra di mezzo questi avvenimenti sono rari, e molto spesso si gestiscono con l'uccisione dell'ombra che tende a nascere dal corpo del fratello. In questo caso è stato l'inverso: la luce è nata dall'ombra. Questo vuol dire che tutto il bene che circolava nel corpo di El è sfuggito via con Isil ( anche se potrebbe sembrare il contrario ). Questa cosa ha fatto si che l' "io" guardiano cominciasse a prevalere sul suo comportamento e sul controllo della rabbia. Quando infine, dopo tutto le disavventure avvenute a causa di Isil, Sauron - nei panni di Legolas - la scocca una freccia nel cuore il guardiano ha il sopravvento. Non avendo più dentro il proprio corpo un cuore pulsante, il suo "io" interiore, pur di sopravvivere, ha iniziato a pompare la cenere creata dal fuoco dentro di lei, che la brucia senza che se ne accorga. E' come se all'interno del suo "io" ci fosse un drago, essendo il suo guardiano Titano, e la rabbia si riversa fuori sotto forma di fiamme che scaturiscono dai palmi, mentre la cenere si mette in circolo nelle sue vene.
 
#Guardiani

I guardiani sono l'unione incondizionata di uno spirito ad un'altro; nessuno sceglie il proprio guardiano, succede e basta. L'origine vuole ( nella mia stramba ff [ Che Tolkien abbia pietà di me per questi obbrobri ] ) che le anime dei guardiani siano legate, i poteri di entrambi duplicati dalla forza forza dell'altro e la morte sopraggiunga per entrambi nel momento in cui uno dei due muore.
 
 

 

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Capitolo 15
*** Hai perso la guerra. ***


 
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You must go. ‘Cause it’s time to choose.



"E mi hai salvato tante volte da qualche tipo di altra morte"
 
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Davanti ai suoi occhi c’era il trono, il suo trono distrutto proprio da lui stesso. Sauron passò una mano fra i capelli e quando questa ne descrisse la fine l’uomo sospirò: si era dimenticato di averli tagliati. Gli occhi rossi dell’oscuro signore si nascosero sotto le proprie palpebre pesanti. Il corpo gli doleva in più punti, e vari ematomi dall’aspetto non bonario avevano iniziato a colorare la sua pelle di un viola intenso. Scosse il capo e si accarezzò le tempie pulsanti con un pensiero in mente: e ora, cosa sarebbe accaduto ora che il guardiano non era più un pericolo? La verità era che nessuno lo sapeva, forse nemmeno Eleonora. Magari, si disse Sauron riaprendo gli occhi, resterà qui e quando vincerò la guerra regnerà al mio fianco. Non le farò mancare nulla e crescerò loro figlio come se fosse il mio. Una fitta al braccio lo fece distrarre e così dimenticò quelle idee che parevano lontane e intoccabili.
« Beh, non si può dire che non ci abbia visto rosso. » L’ironia di Fanie rimbombò nella sala, alle spalle del fratello. Lui prese un profondo respiro e non si voltò, al contrario si avvicinò  al trono e ne prese fra le mani una grossa lamina. Non aveva dimenticato il matrimonio taciuto che si sarebbe dovuto svolgere, non l’aveva perdonata. Non aveva dimenticato nemmeno il colpo con cui aveva quasi ucciso la ragazza che amava, qualche ora prima. « Sauron, che hai? » Questa volta non c’era ironia nella voce, solo un po’ di risentimento per quella usata prima. Sentì i passi leggeri della ragazza avvicinarsi e poi le sue mani furono a un soffio dalle spalle del fratello prima che le ritraesse.
« Lei come sta? » Domandò solo l’oscuro signore, rigirandosi fra le mani quel pezzo lungo e spesso di  roccia.
« Bene, meglio di prima comunque. Ha qualche acciacco ma è normale. In ogni modo… puoi guardarmi in faccia Mairon? » Sborbottò la bionda. Il re alzò di scatto la testa al suono di quel nome, e gettò a terra la lastra di pietra: le schegge volarono per il pavimento, graffiandolo e rompendo gli altri cocci per terra. Erano così tanti anni che nessuno lo chiamava con il suo vero nome che gli sembrava persino non appartenergli più. In effetti come poteva appartenergli ancora quel nome che significava “l’ammirabile”, dopo così tante cattive azioni? Quel nome l’aveva gettato via quando si era alleato con Morgoth; l’aveva preso e gettato via cambiandolo con quello di Sauron.
« Sauron. Non mi chiamo più Mairon da anni, sorella. » La sua voce uscì più burbera di quello che si aspettava, ma tutta via graffiata da una nota di nostalgia per i tempi in cui serviva Aulë, il suo maestro: uno degli spiriti più potenti fra i Valar. Eh si, lui se le ricordava tutte le loro facce. Si ricordava ogni cosa di loro, e dei giorni trascorsi a imparare e forgiare prima che li tradisse. Si ricordava anche il suo aspetto, che rinacque nella sua mente coperto da uno strato di polvere: un aspetto del tutto diverso da quello.
 
 


°    °
 
 


Fanie attese, finché la voce del fratello non rimbombò fra le pareti di pietra scalfite dalla furia della guardiana. A terra giaceva quello che un tempo era il trono di Sauron, e il pavimento era costellato di crepe e buchi; poco dietro di loro stava ancora l’involucro di pietra, sdraiato a terra grigio e morto, nel quale la guerriera si era ritrovata durante la luna di sangue. Il cuore della giovane elfa batté forte quando il fratello la guardò voltandosi, e per un attimo rivide sotto il rosso che velava le sue iridi quegli occhi grigi che le avevno sorriso da bambina, quando giocavano ancora ignari del futuro che li avrebbe attesi. Dimenticatasi del discorso che si era preparata prima di entrare nella sala prese il volto del ragazzo fra le mani e ne accarezzò le guance con i pollici.
« Eppure, mi manca tanto chiamarti così Mairon; e mi mancano anche i tuoi capelli biondi e i tuoi occhi grigi. Mi manca quello che sei stato. » I suoi occhi azzurri l’osservarono e per un momento lei riuscì a vedere l’animo del fratello vacillare. La sua figura tremò un poco e qualche secondo dopo di fronte al suo esile corpo comparì l’immagine di quello che una volta era suo fratello: un giovane alto e forte, dai capelli corti, ondulati e biondi come il grano e gli occhi grigi e lucenti come le stelle della notte. Fanie socchiuse le labbra e sorrise, ma tutto svanì pochi secondi dopo. Il biondo scomparve e al suo posto apparve il nero, e quel grigio allegro che le ricordava le stelle si trasformò nel rosso che invece le faceva venire in mente la morte. Avvilita, sentì le mani del fratello poggiarsi sulle proprie per allontanarla. Il povero cuore della giovane smise di battere per qualche secondo, consapevole che alla fine quell’essere dai capelli neri non sarebbe mai tornato il fratello che tanto amava. Certo, Fanie lo adorava ma c’erano scelte che non aveva mai approvato: come dichiarare guerra a tutta la Terra di Mezzo. Lasciare mano libera a Saruman e i suoi orchi, e i mannari e gli Uruck-ai, che avevano saccheggiato, ucciso e distrutto villaggi interi sotto il suo ordine.
« Non tornerò indietro, Fanie. Questa è la mia scelta, e non la cambierò. So dove vuoi arrivare sorella, ma non porrò fine a questa guerra. »
« Questa che tu tenti di portare a termine è una pazzia che si è rivelata più distruttiva di quanto pensassi, Sauron! » La bionda elfa fece un passo avanti e strinse con forza il polso del fratello, che gemette di dolore a causa dei lividi che la sorella stava premendo fra le dita. « Poni fine a tutto, dichiara che ti sei arreso. Concludi questa guerra e vieni via con me; cominciamo una muova vita. »
« No. Non posso e non voglio concludere questa guerra così. »
« Perché? » La domanda di Fanie era un grido disperato, quello di un cuore che aveva sopportato troppo per troppo tempo. Quello di un cuore che necessitava di ricominciare una nuova vita assieme alla persona che più aveva amato in tutti quegli anni di vita: suo fratello Mairon, e non quello che era diventato.
« Perché quando Eleonora vedrà quello che ho conquistato resterà con me; quando mi vedrà forte capirà che stando al mio fianco sarà protetta da tutto e tutti. Ma non mi aspetto che tu capisca, sorella, visto che non hai mai amato nessuno. »
« Questo non è vero! » Gridò Fanie, sentendosi ferita e tradita dal suo stesso sangue. « Io ho amato, e amo ancora. Si chiamava Rìnon ed era, è ancora, il capitano delle guardie reali di Thranduil. » Raccontare quella storia le faceva male al petto, al cuore, ai sentimenti ma non le importava ormai di sentirsi così fragile e scoperta, tanto era tutto finito a puttane. « Lo amavo e lui amava me, e Thranduil lo sapeva ma ha deciso comunque che dovevo sposare Legolas. Rìnon mi ha lasciata appena l’ha saputo e poco dopo io sono partita alla ricerca del principe su richiesta del re. Ho visto il mio unico amore cadere a terra e infrangersi come se non fosse altro che vetro, ma sono andata avanti nonostante tutti e, ora,  tu vieni da me con il coraggio di dirmi che non ho mai amato nessuno? » La voce della giovane elfa era tagliente e furiosa, una vena gli pulsava sul collo lungo e pallido, mentre gli occhi rossi erano arrossati e sull’orlo del pianto. « Con che coraggio puoi dirmi una cosa simile? Con quale volto puoi dirmi una cosa simile? Nessuno che ami veramente qualcun altro tenterebbe di distruggere il mondo che ama! »
« Eleonora non ama questo mondo! »
« Lei non ama te come ama Legolas, questa è la verità! » Tutto calò nel silenzio più totale, e gli occhi di Sauron si ridussero a due fessure.
« Ripetilo e giuro che quando saremo sul campo di battaglia ti ucciderò con le mie stesse mani. » La minaccia uscì con un ringhio sibilato dai denti del re di Mordor. Fanie respirò affondo e si avvicinò coraggiosamente al fratello senza staccare il contatto visivo.
« Lei resterà al suo fianco. Morirà per lui e non per te, fratello: questa è la verità. » Scrocchiò le nocche e gli diede le spalle mentre il suo cuore correva a mille. « Ci vediamo sul campo di battaglia. » Ringhiò lei, ma in cuor suo era distrutta. Oltrepassò le porte della sala del trono e non si voltò nemmeno una volta, sebbene avrebbe voluto, per vedere se il fratello fosse rimasto li a guardarla.
 
 


°   °
 
 


« Legolas. » Avevo un nodo in gola quando entrai nella camera in cui lo stavano medicando, a causa mia. Avevo paura che non mi avrebbe più voluto parlare, o guardare in faccia dopo tutto quello che era successo. A testa bassa gli diedi le spalle e chiusi la porta di legno dopo che i due orchi che l’avevano curato uscirono, per poi prendere un bel respiro.
Tanto, prima o poi, dovrò guardarlo in faccia.  Mi dissi. Prendi coraggio e voltati.
Dopo aver strizzato le palpebre e essermi morsa il labbro quasi a sangue tornai a osservarlo. Lui era seduto sul letto, con le gambe divaricate e il mento poggiato sui pugni. Aveva un bell’occhio nero, e il torso nudo era riempito di fasce candide, macchiate qua e la di rosso. Risucchiai le guance all’interno della bocca e le morsi per punirmi del male che gli avevo fatto. I suoi capelli biondi erano gettati dietro le spalle e gli occhi azzurri mi osservavano curiosi. Un leggero lampo li attraversò poco prima che tendesse una mano verso di me. Esitai, restando a osservare le sue lunghe dita ferma in attesa delle mie, poi feci scivolare la mia mano fra esse e queste si incrociarono. Il calore del suo corpo caldo contro il mio congelato mi fece fremere, mentre lui mi tirava a se bloccandomi in mezzo alle sue gambe. Poggiò la mano libera sulla mia coscia e alzò il volto verso di me: sorrideva.
« E’ tutto ok. » Disse, facendo giocare le nostre dita unite fra loro. « Ne ho passate di peggiori, davvero. Questi sono piccoli tagli che guariranno presto, non sentirti in colpa. »
« Non mi sento in colpa. » Gli accarezzai i capelli, tirando una ciocca fuori dal mucchio e rigirandomela fra le dita. Era la prima volta che lo facevo, e dovevo ammettere che era una cosa dolce, non da me; dedussi che dovevo sentirmi davvero in colpa. Lo guardai per qualche secondo, prima che le nostre mani si dividessero e entrambe le sue fossero sulle mie cosce.
« Stai mentendo. » Mi tirò più vicina rinchiudendomi fra le sue gambe e io d’istinto poggiai le mani sulle sue spalle; sentii i muscoli guizzare a quel contatto.
« Non è vero, non sto mentendo. » Le sue mani salirono a solleticarmi i fianchi e io risi; allora il suo volto s’illuminò come mai da quando avevamo intrapreso l’inizio del viaggio. Sinceramente, non ricordavo nemmeno io l’ultima volta che avevo riso dopo tutto quello che era successo. In un attimo mi ritrovai sopra le lenzuola, sotto le mani veloci di Legolas che ancora non davano segno di volermi lasciare andare. Si sporse verso di me e mi lasciò un bacio sulle labbra: fremetti. Era così tanto che non gli davo un bacio, che non sentivo le sue labbra morbide sulle mie. Chiusi gli occhi e alzai la testa chiedendo un contatto maggiore, portando le mie mani fra i suoi capelli scompigliandoli. Lui non si fece attendere e portò il suo corpo su di me; le sue mani smisero di solleticarmi e passarono ad accarezzarmi lentamente, passando sotto la camicia che portavo per sfiorare la pelle nuda. Sinceramente in quel momento non calcolai neppure il fatto che fossimo a Mordor, nella roccaforte del nemico che avremmo dovuto combattere. Era da così tanto che non stavo vicina a Legolas, in quel modo, che pensavo non mi volesse più: ma i suoi baci dicevano il contrario. Forse, dopo tutto, quella era la dimostrazione che dopo tutto quello che avevamo passato – litigate, guerre, incongruenze, partenze, altre litigate – lui mi volesse come prima e io pure. Avevo pensato così tante volte di lasciarlo andare, di lasciare che trovasse qualcuna adatta a regnare al suo fianco ma non mi ero mai fermata a pensare come sarebbe stato per me vederlo effettivamente con qualcuna che non ero io. Forse, certamente ci sarei stata male; ma poi mi bastava toccare le sue labbra per capire che lui non avrebbe voluto nessun’altra e io non avrei mai potuto lasciarlo andare. Con un sospiro leggero lasciò libere le mie labbra e prese a baciare la linea della mia mandibola, scendendo con accurata lentezza sul collo dove si fermò per qualche secondo a succhiare un lembo di pelle. Quando ebbe finito sorrise sulla mia pelle e vi lasciò un bacio, per poi tornare alle mie labbra. Ma io volevo di più. Circondai il suo bacino con le gambe e lo feci voltare di scatto trovandomi sopra di lui. Il giovane sbarrò gli occhi e rise.
Ora ti faccio ridere io, pensai avvicinandomi al suo orecchio. Sapevo che era il suo punto più fragile e debole. Cominciai a baciarne il contro e morsi leggermente la punta; lui ansimò per un secondo, stringendo la presa sulla mia vita. Sorrisi soddisfatta quando il mio nome accompagnò un altro gemito, questa volta dovuto al fatto che avevo iniziato a muovere il bacino. Sorridendo l’elfo prese ad alzarmi la maglia e scoprire la mia pelle bianca, che accarezzava come se fosse fatta di porcellana; eppure ogni volta che mi sfiorava mi sembrava di andare a fuoco. In preda all’eccitazione del momento poggiai le mani sulla stoffa e la tirai via, ignorando completamente le fitte sotto le garze. Incontrai gli occhi del ragazzo e sorrisi, prendendo a sganciarmi pure i pantaloni.
« E’ ora di andare. » La porta si spalancò all’improvviso e Fanie entrò; non appena ci vide arrossì e si coprì gli occhi girandosi di schiena. Io sbiancai completamente, e Legolas si alzò a sedere con ancora me seduta sopra le sue gambe. Affondai il volto nell’incavo del suo collo per l’imbarazzo e con la mano presi a cercare la camicia che avevo gettato da qualche parte sul materasso: quando la trovai mi sembrò di toccare la terra promessa. « Scusate, scusate, scusate. Non volevo… non pensavo. Dio, scusatemi. » Dal tono di voce che usò non seppi dirmi se fossi più imbarazzata io o Fanie, oppure Legolas il cui amico la sotto si era risvegliato da qualche tempo.
 
 


°    °
 
 
« Voi andate, io devo fare una cosa. Arrivo subito. » Cercai gli occhi di Legolas e gli sorrisi leggermente. « Lo prometto. » Aggiunsi alla fine. I due giovani elfi si osservarono e poi si affrettarono a raggiungere il punto in cui i draghi ci aspettavano. Li guardai allontanarsi, mentre le chiome bionde volavano nel vento zolfato di Mordor. Gli diedi le spalle e corsi verso l’entrata della sala del torno, lanciando per un ultima volta un’occhiata ai due per accertarmi che fossero spariti oltre l’angolo. Presi un bel respiro e aprii il portone richiudendomelo alle spalle. I miei occhi si spalancarono nel vedere com’era ridotta quella sala, in cui Sauron era solito rinchiudersi di giorno; i muri erano venati e rovinati, nel pavimento c’erano grossi buchi e il trono in cima al rialzamento era ridotto a un mucchietto di pietre accalcate le une sulle altre. Ed era tutta colpa mia.
« Questo è tutto quello che resta del mio regno. » Sibilò ad un tratto una voce, che si disperse fra l’eco delle mura. M’immobilizzai e mossi solo la testa in cerca della figura del signore oscuro, ma di lui non c’era ombra. « Questo e tu. » Una cortina di fumo si addensò davanti a me e prima che potessi accorgermene Sauron era li davanti a me. Così vicino che riuscivo a specchiarmi nei suoi occhi di fuoco. « Sono così felice che tu sia rimasta qui, con me, e non sia andata via con quell’arpia di mia sorella. » Le sue mani si posarono sulle mie guance e in pochi secondi  le sue labbra furono sulle mie. Aprii gli occhi e poggiai le mani sul suo petto; le sue labbra premevano contro le mie con forza e quando le socchiuse morse il mio labbro con tanta forza da farlo sanguinare. Guaii e lo spinsi indietro, facendo a mia volta un passo indietro. Passai il dorso della mano sulla bocca e quando l’osservai la pelle era macchiata di rosso; lanciai un’occhiata perplessa al ragazzo che a sua volta mi osservava stupito del mio gesto. « Eleonora. » Disse a un tratto, come se in pochi secondi fosse riuscito a capire tutto quello che mi frullava per la testa.
« Non sono venuta per restare. » Annunciai a un tratto, trovando quel pizzico di coraggio in più che mi serviva per raccontargli la verità. La sua mandibola si tese e vidi le sue spalle irrigidirsi, per un momento ebbi paura. « Sono venuta per dirti addio, e questa volta non scherzo. » Trassi un profondo respiro.
« Hai scelto lui, dunque. »
« Ho scelto lui, si e ho scelto di combattere per le persone e le terre che amo. » Abbassai lo sguardo sulle mie mani e osservai le mie dita. « Sai, sei ancora in tempo per porre fine alla guerra se vuoi. Potresti… »
« Io non porrò fine a questa guerra! » Gridò, e con un passo mi raggiunse. « Non porrò fine a questa guerra ne ora ne mai. Io vincerò questa guerra, e quando dominerò su tutta la Terra di Mezzo », strinse la mani attorno alla mia gola all’improvviso e io mi ritrovai a circondare le sue dita con le mie per tentare di liberarmi; lui mi tenne stretta. « Rinchiuderò te e quel tuo piccolo elfo nelle più desolate e introvabili celle e vi torturerò per sempre: tanto siete immortali e l’immortalità è un lungo periodo. Lascerò che i miei orchi si nutrano di voi e se vorranno li lascerò stuprarti, così magari capirai di aver sbagliato fazione. » Mi lasciò andare e io caddi a terra. Portai le mani alla gola e l’osservai allontanarsi; il suo mantello nero ondeggiava alle sue spalle come un’oscura presenza.
« Ma tu non vincerai questa guerra. » Alzai il mento e mi avvicinai alla porta d’uscita. Lui bloccò la sua camminata per voltare il viso nella mia direzione. Non sapevo bene quello da dire, ma sebbene lui mi avesse ferita concretamente e sentimentalmente potevo tentare un’ultima volta a farlo ragionare. « Non potrai nulla contro gli uomini, e il discendente di Isildur. E non potrai niente contro i draghi. Perciò, Sauron, te lo ripeto per l’ultima volta: ferma la guerra e riporta la pace, sei ancora in tempo. »
« Io non fermerò questa guerra! » Urlò, voltandosi verso di me. « Io la vincerò e voi cadrete sotto il mio impero! Tu cadrai e rimpiangerai la tua scelta! » Dalla sua figura si erse una colonna di fumo nero che ben presto si colorò di rosso e prese fuoco. La osservai per qualche istante prima che cominciasse a correre verso di me, come una mandria cavalli imbizzarriti. Le guardai bruciare il loro stesso corpo e cadere sopra di me, senza riuscire a bruciarmi. Infatti, poco prima che crollassero inesorabilmente avevo alzato entrambe le braccia verso l’alto e altre fiamme, le mie, erano riuscite a creare una barriera attorno a me. Quando tutto cessò e le fiamme sparirono lanciai un’occhiata a Sauron.
« Stai per perdere la guerra: perché t ostini a non capirlo? » Mormorai.
« Non è vero, e comunque non è questa la cosa più importante che ho perso ora. »
« Ah, si? E sentiamo, cos’hai perso ora? »
« Ho perso molto di più di una guerra che vincerò: ho perso te. » Strinse i pugni lungo i fianchi e scrocchiò le nocche. Mi morsi il labbro e poggiai una mano sul portone, pronta ad uscire. Lui seguì i miei movimenti e sbatté le palpebre.« Questo non ti invoglierà a restare, vero? »
« Non sono una che si attacca alle sdolcinatezze. » Ammisi fredda, avendo capito a che gioco voleva giocare; pensava realmente che con qualche frase dolce io sarei rimasta? Cerco che non arei restata. « E ora scusami, devo andare. » Uscii dalla stanza appena in tempo: poco dopo una vampata di fiamme scaturì da sotto lo spazio libero della porta. E così stavamo giungendo al termine di tutto: la vera guerra incombeva e io avevo scelto da che parte stare. Speravo con tutta me stessa, però, che Sauron ci ripensasse e non bisognasse arrivare ai ferri; ma in cuor mio sapevo che questo non sarebbe mai successo. Perciò non mi restava che prepararmi a combattere contro l’uomo che avevo amato, a  fianco dell’uomo che amavo.




Peipe, buona befana dalla befana stessa :)
Come sono sentimentale oggi, non trovate anche voi? Anyway, che ne dite di questo capitolo? Spero vi sia piaciuto: mi dispiace Giulia ma come hai potuto vedere la scena del "oltre il bacio" non è stata con Sauron; e no, ragazze, niente gemellini di due padri diversi ( rispondo alle ragazze del gruppo di facebook e whatsupp. ). Peccato però, erano idee carine. Magari una prossima volta.
Ora vi lascio, perché è l'una e io sono K.O.
Notte <3

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Capitolo 16
*** Di fuoco e ghiaccio. ***


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You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 

 
Mi fido di te, che cosa sei disposo a perdere?
 
-Non ricordo di chi sia questa canzone, scusssatemiiii. ( Leggetelo come se fosse la canzoncina del pese di Gollum, fa uno strano effetto. Vero? )  

 
 
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Legolas accarezzò la linea della mia mascella con i polpastrelli; le sue dita lasciarono una scia infuocata ad ogni tocco, quasi volesse farlo apposta fregandosene delle condizioni in cui eravamo. Le coperte avvolgevano i nostri corpi sudati, caldi e eccitati. Il suo bacino si scontrava con il mio e ogni tanto non potevo fare a meno di ansimare e affondare le dita fra i suoi capelli, oppure nelle sue spalle lasciando righe rosse. Le labbra sottili dell’elfo si posarono sul mio collo, la sua fronte contro la mia guancia mentre le spinte diventavano più febbrili e veloci. Dentro di me era come se un uragano stesse crescendo, pronto a mettere confusione dappertutto, e un fuoco sembrava stesse bruciando le mie carni e le ossa; e la cosa strana era che mi piaceva. Non avrei voluto che quella sensazione finisse mai. Mi piaceva sentirmi così viva, in estasi, così vicina a Legolas: come se fossimo stati una cosa sola. In realtà in quei pochi momenti d’intimità che avevamo di rado, come quello, eravamo una cosa sola. Feci correre le mie mani sulla sua pelle candida e calda  e inarcai la schiena gettando la testa indietro. Le mie dita graffiarono il giovane elfo che strinse i miei fianchi nella sua presa salda e spinse un’ultima volta, prima di rilassare i muscoli e sdraiarsi sul mio petto, sfinito. Chiusi gli occhi e lasciai le dita libere di scorrere fra i suoi capelli  sudati, cosparsi sul mio torace come una coperta. Sospirai appagata e aprii le palpebre; il soffitto della sua stanza brillava del giallo riflesso dal sole che sorgeva sopra le montagne che circondavano Edoras;  un alito di vento mi accarezzava la pelle immergendomi in uno stato di quiete assoluta. Sentivo il respiro caldo di Legolas sulla mia pelle, e il suo cuore battere. Con una spinta il principe elfico si gettò al mio fianco e poggiò il mento sul suo palmo per osservarmi: i suoi occhi celesti sorridevano e io potevo sentirli osservarmi. Roteai le iridi e strinsi le coperte fra le dita portandomele al petto. Lui rise dolcemente, mentre io voltavo il capo nella sua direzione per osservarlo: aveva i capelli arruffati, gli occhi brillanti, e sembrava davvero spensierato; come se in quel momento nulla avesse potuto disturbare l’equilibrio di precaria quiete che si era creato nella stanza, neppure il mio caratteraccio . Le sue mani scivolarono sul mio braccio, facendomi sorridere per il solletico, poi descrissero le mie curve e infine si fermarono ad accarezzare il mio ventre. Aveva un tocco delicato, quasi inesistente che tutta via aveva il potere di rilassarmi ancora di più. Se avessi chiuso gli occhi probabilmente mi sarei sciolta sul materasso: non stavo così bene da mesi.
« Dio, potrei sciogliermi all’istante. » Mormorai stiracchiandomi leggermente.
« Ah si? » Rise l’elfo, spostandomi con la mano libera una ciocca di capelli dal viso. « Allora ho fatto un buon lavoro. »
« Legolas! » Risi, alzando di scatto il busto per tirargli il mio cuscino in faccia. Il colpò arrivò a destinazione e in pochi secondi Legolas me lo rigettò. Risi di gusto e abbracciai la stoffa morbida del tessuto, per poi gettarmi su un lato e chiudere gli occhi.
« Pensi che sarà una femmina? Perché io credo lo sarà. » A un tratto la sua voce echeggiò come un lampo improvviso. Storsi il naso e arricciai le labbra, aprendo le palpebre per incontrare per l’ennesima volta i suoi occhi che adesso, contro sole, parevano fatti di vetro.
« No. Per me sarà maschio. » Ammisi dopo averci pensato un poco. Lui corrugò le sopracciglia  e incrociò le braccia al petto; i muscoli del torace guizzarono e quelli delle braccia si gonfiarono.
« Cosa te lo fa credere? »
« Cosa fa credere a te che sarà femmina? » Rigirai la domanda divertita. Mi piaceva battibeccare con lui, era divertente vedere le smorfie che si dipingevano sul suo volto. Per esempio: ora aveva portato una mano sulla guancia e se l’accarezzava perso nei meandri della sua mente, mentre gli occhi correvano dal soffitto alla finestra dalla quale entravano i raggi del sole alto in cielo.
« Beh, sono il padre. » Rispose qualche minuto dopo averci, pensato fissandomi direttamente negli occhi.
« E io sono la madre: perciò ho ragione io. Punto. Storia conclusa. » Prima che potesse rispondere all’appello qualcuno bussò alla nostra porte e immediatamente ci voltammo verso di essa. Sbiancai pensando a tutto quello che gli altri avrebbero potuto udire mentre eravamo solo io e l’elfo, poi arrossii violentemente. Lanciai un’occhiata al giovane principe e in pochi istanti ci alzammo pronti a vestirci.
« Arrivo! » Gridai, mentre con fretta finivo di stringere l’abito rosso che Eowyn mi aveva prestato al nostro ritorno da Mordor. Mi sistemai i capelli più velocemente possibile e aprii la porta uscendo velocemente fuori, per poi richiudermela alle spalle. Fanie mi fissò inarcando un sopracciglio e io sorrisi angelicamente.
« Si? » Domandai, con ancora la mano stretta sulla maniglia dell’uscio. La guardai negli occhi per tentare di capire se qualcosa non andava ed effettivamente mi sembrò così. L’azzurro che adornava il suo bel viso giovanile era spento e cupo, quasi al suo interno ci fosse stata una tormenta di neve e la pelle era più chiara del solito. Lei sorrise accarezzandosi un bracci con la mano e una delle maniche azzurre del suo vestito scivolò sul braccio rivelando uno strano tatuaggio azzurrognolo. Socchiusi le palpebre e l’osservai: più che un tatuaggio sembrava una specie di marchio, o una voglia che però non avevo mai visto prima. « Fanie, che cos’è questo? » Immediatamente le mie dita strinsero con leggerezza il suo polso per voltarlo verso l’alto. Lei si sbrigò a staccarmi e coprire il tutto, per poi prendermi la mano. La sua testa si voltò in tutte le direzioni possibili prima che tornasse a guardarmi.
« E di questo che volevo parlarti. Questo e un’altra cosa. » Mi comunicò, cominciando a camminare velocemente con me al seguito. Cominciavo a non capire quello che intendeva: mi sembrava strana. Questo comportamento mi inquietava. I suoi gesti erano strani, la sua camminata di solito lenta ora era molto veloce, e i suoi occhi che fuggivano a destra e sinistra sembravano farlo apposta per mettermi in difficoltà. Mi morsi il labbro e rimasi in silenzio, aspettando che mi conducesse dove voleva lei.
 
 


°    °
 
 



Attorno a noi c’erano le praterie che costeggiavano Edoras; l’erba stava cominciando a crescere, la primavera era alle porte ormai e il sole batteva su di nomi caldo. Dall’alto un rombo d’aria ci costrinse a proteggerci il viso con le braccia: poi tutto cessò e tornò la normalità.
Ciao, ragazzina. La voce del drago nero rimbombò nella mia mente forte e fiera, mentre si avvicinava e allungava un ala su di me per proteggermi dal sole. Ti sei divertita col tuo elfo?
« Turon! » Esclamai imbarazzata guardandolo. I suoi occhi rossi sorrisero e mi parve di sentirlo ridere divertito, per quanto quella di un drago possa definirsi una risata. Sbuffai incrociando le braccia al petto e tornai a fissare Fanie, che aveva iniziato a torturarsi le mani. Il drago d’oro sedeva al suo fianco, e per la prima volta notai quanto fosse piccolo rispetto a Turon.
 
 
 

°    °
 
 
 



Fanie l’osservó, mentre Eleonora guardava il drago d'oro; poi gli occhi scuri della giovane umana erano tornarono sulla sua figura ancora muta e in piedi nel bel mezzo del nulla. Per quanto sapesse di esserle sembrata strana aveva sentito questo bisogno di rivelare a Eleonora il suo segreto, perché ormai non c’è la faceva più a mantenerlo.
« Dimmi, Fanie, perché mi hai portata qui? » Chiese incuriosita la guerriera, senza però usare un tono duro e rigato. La ragazza dei draghi prese un bel respiro e ascoltò il proprio cuore battere velocemente, qualche volta saltando persino qualche battito.
« E’ più facile se te lo mostro. » Mormorò allungando un braccio nella sua direzione, per poi alzare il palmo verso l’alto. Serrò la mascella e si concentrò su quello che voleva fare: subito una sensazione glaciale le avvolse il corpo in una stretta ferrea. La vista le si appannó per un istante, prima di tornare vivida, e come sempre vide le vene scomparire nel bianco candido della pelle; subito una scia di ghiaccio le perforò il palmo salendo verso l’alto: cristallina e brillante a causa del sole che vi si rifletteva. Fanie non si era mai soffermata realmente a osservare quelle cascate di gelo cha sapeva creare, perché erano anni che non le usava ( eccezion fatta per la tomba di Elendil ). Ora, che però, la guardava salire verso il cielo le parve una delle cose più belle che avesse mai visto: così preziosa, e naturale ed era lei a farla essere così. Per la prima volta si sentì, in un certo modo, unica e non più la ragazza che da bambina era l’ombra di se stessa: quelle giovane che viveva perché era nata, oppure che se veniva chiamata era solo a causa della sua parentela con Sauron; lo stesso che le aveva rovinato la vita successivamente.
« Per tutti i Valar. » Sentì sospirare a un tratto e immediatamente richiuse la mano a pugno. I suoi occhi da gatto si posarono sulla giovane nascosta dalle ali del dragone nero e l’espressione sul suo viso la fece sorridere; Eleonora sorrideva ammaliata, rapita dalla piccola cascata che ora cadeva su di loro in piccole goccioline che si coloravano d’arcobaleni. Il drago d’oro, accanto all’elfa allungò il collo e si beò del fresco che l’acqua gli poteva dare. « Fanie, questa cosa è strepitosa! Come riesci a farlo? » La guerriera uscì dall’ombra e in pochi passi la raggiunse: i finimenti d’oro del suo vestito brillarono al sole, così come i suoi occhi scuri.
« Nello stesso modo in cui tu fai quella cosa con il fuoco; solo che io sono sempre riuscita a farlo. » Spiegò la bionda, poggiando una mano sulla possente zampa del suo drago.
« Perché non c’è l’hai mai detto? »
« Non ne ho avuto il tempo, Eleonora sono successe così tante cose in così poco tempo; e poi non usavo questo potere da tanto. Da quando Sauron si alleò con Morgoth. »  Decise di non dire nulla della tomba di cristallo, tanto non sarebbe servito a niente raccontarlo. Lei non conosceva Elendil e non avrebbe più potuto farlo.
« Oh, capisco. » Una nota di tristezza tinse la voce della guardiana, che si voltò verso il drago d’oro; ma poi scomparve quando alzò il viso nuovamente lo sguardo verso di lei. « Anche Armë può farlo? »  
« Chi? » La voce di Fanie le uscì alta e confusa dalla domanda postale; lei non conosceva nessuna ragazza con quel nome. Osservò Eleonora sorridere innocentemente e indicarle poi il drago al suo fianco.
« Armë , il tuo drago. »   L’elfa esaminò per un attimo il viso della giovane, tentando di capire se la prendesse in giro o no, ma poi si ricordò che prima aveva chiamato per nome il drago nero e quello aveva riso, a suo modo; perciò, voltò il viso verso destra in alto e trovò il drago, o meglio Armë  a osservarla curiosa. Brillava al sole come fosse fata d’oro colato e i suoi occhi dell’ennesimo colore le studiavano. Una nube di fumo bianco le fuoriuscì dalle narici.
« Si, anche… lei può gelare ogni cosa. E’ colpa mia: un giorno per caso i miei poteri si sono scatenati e lei ha ingerito il risultato. Credo di aver gelato il punto in cui si creava il fuoco, così adesso è una sputa neve. »
« Ah, lo stesso giorno in cui hai seppellito il tuo amico e rubato l’armatura fatta con le squame di Titano, il mio primo guardiano, all’Uruck-ai? » Fanie sbiancò e gettò un’occhiata di sottecchi a entrambi gli animali, che ora si osservavano sorridenti. Si era completamente dimenticata che la giovane umana poteva comunicare con loro, in quanto guardiana di uno degli alati: lo sputafuoco. Con un nodo allo stomaco dovuto al fatto che ora la giovane sapesse, e avrebbe potuto sapere ogni cosa sul suo viaggio e lei, socchiuse le labbra pronta a rispondere. Fu bloccata dalla stessa guardiana che aveva ripreso a parlare: « A proposito: grazie di non aver lasciato l’armatura li. Se proprio doveva tenerla qualcuno, ora che era successo quel che era successo, sono felice che l’abbia presa tu. » Accarezzò il volto del suo dragone, che si era sdraiato completamente a terra. La voce di Eleonora aveva una nota grave, quel qualcosa che, sebbene potesse manipolare il ghiaccio, fece fremere Fanie fin dentro l’anima: nella voce della giovane umana c’era una tristezza che veniva celata al mondo intero per non appesantirlo di altri problemi. Una tristezza che voleva dire “mi manca. Mi manca talmente tanto che sto annegando ma nessuno lo sa, perché non voglio lo scoprano.” Quella tristezza che Fanie aveva imparato a riconoscere, perché anche lei aveva attraversato un periodo così: quando Sauron si era convertito al male.
« Eleonora… » La bionda allungò una mano nella direzione della castana, ma subito, svelta come una lepre, la ragazza le sorrise e allungò le mani in avanti.
« Sto bene, tranquilla. Solo un po’ di nostalgia. » Scosse il capo come per risvegliarsi. « Ogni tanto mi succede. In ogni modo: gli altri lo sanno che tu e la tua dragonessa potete fare quella cosa col ghiaccio? » 
« Cosa? No, certo che no. Io… »
« Fanie, dobbiamo dirglielo. Questa cosa potrebbe rivoluzionare completamente le sorti della guerra. Potremmo vincere di sicuro. » C’era una nota di speranza nella voce della giovane. L’elfa esitò, e rimase ferma a guardarla: era incredibile come cambiasse umore da un momento all’altro, riuscendo  a nascondere quei sentimenti tristi che comunque non scomparivano.
« Io, El, non lo so. Pensavo di aspettare. Insomma… »
« Quello non è fuoco? » Domandò ad un tratto Eleonora, indicando una montagna alle spalle dell’elfa. Fanie allora si voltò verso le montagne e una luce in lontananza, splendente e ben visibile nonostante il sole, brillò facendole sbattere le palpebre. Le ci vollero qualche secondi per carburare il segnale, ma quando lo fece sgranò gli occhi e gridò:  « Gondor! Gondor chiede aiuto! » Lanciò uno sguardo alla giovane umana e poco dopo si misero a correre.
 
 
 

°   °
 
 
« Sauron ha anticipato l’attacco! » Affermai, con il fiato corto mentre correvamo verso il castello di Theoden. Il vento caldo ci spirava in faccia, schiaffeggiandoci i capelli che volavano oltre le spalle. Eravamo state costrette a prenderci le gonne fra le braccia - fregandocene delle occhiate che i contadini ci lanciavano per la nostra “inadeguatezza” -  per correre più veloce che potevamo. Una gocciolina di sudore scese a rigarmi la pelle, poi finalmente giungemmo nella sala del trono. C’era un mucchio di gente quel giorno: stratega, capi militari, serve e noi della compagnia. Guardandomi attorno scorsi la figura famigliare dell’elfo vicino a un pilastro, perciò feci cenno a Fanie di seguirmi e entrambe ci avventurammo nella sua direzione. Mentre percorrevamo il poco tratto che ci divideva, non potei fare a meno di pensare alla giovane elfa che avevo alle spalle. Turon mi aveva raccontato prima, assieme al drago d’oro, com’erano andate le cose al Fosso di Helm, di come lei aveva pianto per quel giovane elfo – uno fra i tanti, che però quell’uno a cui era legata fra i molti – e l’aveva seppellito sotto il cristallo di ghiaccio.  Di come era emersa da dietro le mura con l’armatura scintillante al sole – motivo per cui aveva pensato le avesse strappate lei , ma che la dragonessa aveva corretto dicendomi la verità. – In un certo senso, la capivo. Capivo lei e la sua storia complicata, le difficoltà che aveva dovuto affrontare a causa di Sauron, e le paure e le avversioni che il tempo le aveva gettato contro nonostante fosse sola.
In un certo senso, pensai, non ha una storia così diversa dalla mia. Solo che nella sua versione il diavolo era Sauron mentre nella mia il diavolo ero io.
« Gondor chiede aiuto. » Solo questo riuscii a udire; solo quella frase riuscì a scalfire i miei pensieri su Fanie. Mi bloccai accanto a Legolas e rimasi a osservare. Aragorn era in piedi fermo davanti al re di Rohan; poco più indietro i suoi nipoti Eomer e Eowyn attendevano la risposta del sovrano, così come tutti glia altri, compresi noi. Come se ci fossimo letti nel pensiero io e l’elfo ci scambiammo uno sguardo preoccupato, ansiosi di sapere cosa il re avrebbe detto, per poi tornare a osservarlo. Il sole gli batteva sul viso facendo sembrare i suoi capelli bianchi. Strinsi la mano a Legolas come per trovare un appiglio,  un qualcosa di concreto a cui sorreggermi mentre speravo che Theoden accettasse di aiutarli.
« E Rohan risponderà. » Affermò ad un tratto, rompendo il silenzio che si era creato. « Radunate i Rohirrim. » Per la prima volta dopo tanto potevo affermare che Theoden aveva preso una decisione giusta. Ora, però, sorgeva una nuova sfida per me: convincere Legolas e tutti gli altri a partire con loro nonostante il mio stato attale. Mi guardai la pancia e l’accarezzai con la mano libera, gettando un’occhiata all’elfo che si accingeva a lasciare la presa per correre a preparare tutto il necessario per la guerra.
Spero solo che si fidi di me.
 
 
 
 
 
Ciao Peipe!
Che ne dite di questo capitolino di passaggio? Abbiamo trovato un Legolas e una El molto più uniti rispetto al solito, no? Evidentemente il fatto di aver fatto crollare i muri di lei ha dato una svolta alla storia. Ora è molto più dolce, ma non temete: ci saranno dei momenti in cui tornerà a essere lei.
Vi spiego un'attimo la frase d'inizio capitolo e la foto: la frase ( di cui non ricordo la canzone d'apparteneza ) è indirizzata più che altro all'ultima parte del capitolo: quella in cui El si domanda se Legolas si fiderà tanto da lasiarla patire con loro; e la foto uguale. Rappresenta ( a mio parere ) sia il salvataggio della fiducia che la perdita, perché non sappiamo cosa dirà l'elfetto.
Anyway: volevo ringraziare le ragazze e Simone ( unico ragazzo. Lo so che esisti, almeno nel gruppo ci sei. ) del gruppo di facebook e dirgli che sono fantastiche.  Vi ho fatto quel SUPER SPOILER sulla discendenza di Thranduil perché ve lo meritavate: insomma, siete uniche.
Colgo anche l’occasione per fare un po’ di pubblicità a qualche storia che io adoro (sempre su LOTR ):
Probabilmente le conoscete già, ma se la risposta è “no”, non fate i babbani e correte a leggerle che sono fantastiche.
-Sopravvissuta: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2375159
-Neve e Fiamme: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2111380&i=1
 
P.s: Chiara, conto alla rovescia finitoooo. Giulia, la parte “hot” andava bene? Aspetto una delle tue iper recensioni che mi fanno morire dal ridere.
 

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Capitolo 17
*** La battaglia per la Terra di Mezzo ha inizio. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.


“Un nome che ti trema dentro.”
 
— Vasco Brondi    



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C’erano sempre state cose che  lui non sopportava. Cose che gli avevano fatto male, come i sentimenti, quelli che aveva provato per lei e che pensava fossero ricambiati; ma invece la sua amata aveva scelto un altro. Lui l’aveva salvata, aiutata e curata. L’aveva vegliata per giorni interi quando stava per morire ma lei… lei si era innamorata di un altro e l’aveva abbandonato come fosse stato un ricordo e nulla di più. Un ombra nel buio, che si confonde con il silenzio della notte fino a diventare parte di essa, fino a scomparire. E, adesso che ci ripensava come ormai abitualmente faceva, la rabbia gli cresceva dentro il petto.  Perché l’aveva amata così tanto? Perché le aveva permesso di far crollare tutti i suoi muri? Perché ogni volta che la pensava il suo cuore pareva rallentare fino a fermarsi? Si era detto tante volte che era una cosa normale: che il battito cardiaco rallentava perché l’odio si diffondeva nelle sue vene, ma non ci credeva neppure lui stesso alle proprie idee. La verità era che voleva sentire il gelo della sua pelle contro la propria, voleva rivedere quegli occhi scuri che l’avevano rapito e voleva sentire le sue labbra fini sulle proprie. Ma non poteva. Non poteva perché quel principe elfico gliel’aveva strappata dalle braccia. Non poteva fare nulla a causa sua. Il signore oscuro strinse le dita attorno all’elsa della sua spada e osservò l’elmo che poggiava sul lungo portale, dal quale poteva osservare tutto. Il metallo nero dell’oggetto brillò sinistro, e successivamente Sauron batté un pugno contro il grosso tavolo nero, bloccando il flusso delle immagini che scorrevano sotto i suoi occhi rossi. Con uno scatto si alzò in piedi e si diresse giù, attraversò i lunghi corridoi della torre e per la prima volta dopo mesi mise piedi fuori di essa. L’elmo stretto sotto il braccio e la mano ancora stretta sull’elsa nera della spada. Si guardò attorno e scoprì che ogni singolo essere vivente presente lo stava osservando: allora ne prese uno a caso, uno strano e orrido orco dalla pelle rosa e il viso sfigurato, e l’avvicinò a se.
« Ascoltami molto bene orco, ho un lavoro per te. » Strinse una mano sulla sua spalla e sorrise maligno, mentre l’odio scorreva ancora nelle sue vene. Sapeva che poteva vincere la guerra, al contrario di quello che dicevano Fanie e Eleonora, e così aveva deciso di iniziarla prima del previsto. Quella notte stessa avrebbe mandato un gruppo di orchi alla conquista di Osghiliath. Quella stessa sera avrebbe aperto la guerra, e fatto vedere a Gandalf  - che sapeva essere a Gondor – di cosa lui fosse stato capace.
 
 


°   °
 
 



« Dobbiamo essere discrete, ha detto. Non dobbiamo farci riconoscere, ha detto! E ora fa un casino micidiale. Mi domando se questi uomini siano sordi oppure solo scemi. » Si la mentò Fanie, mentre i suoi occhi rivolti al cielo si posavano su di me, che con uno strano e veloce movimento tentavo di recuperare due spade dall’armeria di nascosto. Avevamo già recuperato le armature, che Aragorn e Legolas ci avevano sottratto di nascosto, così come aveva fatto Eomer con la spada di Eowyn, per paura che tutte e tre saremmo andate in guerra, ma quello non ci avrebbe trattenute. La principessa aveva trovato una nuova lama, mentre io e Fanie eravamo riuscite a scovare le nostre protezioni nelle stalle, sotto una pila di paglia. In ogni modo, purtroppo, la ricerca delle spade si rivelò una causa persa, perché quando me le ritrovai finalmente  fra le mani scoprii che erano semplici else e nulla di più. Lanciai un occhiata alla bionda al mio fianco e scossi il capo, mostrandole il mio bottino.
« Potremmo sempre utilizzare solo i draghi. » Borbottò lei quando sgattaiolammo via dall’armeria. Il sole splendeva e ci colpì in pieno costringendoci a socchiudere le palpebre. In lontananza riuscivo a sentire gli ordini che Thoden lanciava ai suoi soldati, i Rohirrim. Chiudendo del tutto le palpebre mi concedetti un momento di pace, uno di quegli attimi in cui mi esternavo dal mondo e tentavo di ricordare la mia vita prima di tutto questo, con mamma e papà, oppure la battaglia dei cinque eserciti. Era uno di quei momenti in cui tentavo di capire perché mi avesse ucciso, o perché ero finita li. Ma quei momenti non duravano mai tanto, infatti da li a poco Fanie mi strinse un braccio e riprendemmo a camminare fra la popolazione che non accingeva a spostarsi per farci passare: ognuno aveva qualcuno da salutare, qualcuno a cui dire addio conoscendo le sorti che il destino riservava. Gli uomini si accingevano a partire, ma sapevo, tutti a Edoras lo sapevano, che non tutti sarebbero stati in grado di tornare indietro. Mi chiesi se Legolas sarebbe tornato dopo la battaglia; se io fossi tornata. Mi domandai persino cosa sarebbe successo se lui fosse morto. Mi chiesi  come avrei reagito, se sarei stata in grado di crescere un figlio da sola li, nella Terra di Mezzo, oppure me ne sarei tornata a casa – in un modo o nell’altro -. Se Legolas fosse morto… Scossi il capo tentando di allontanare quei pensieri negativi e mi guardai attorno, cercando di trovarlo nella mischia, quando individuai accanto alle stalle Aragorn e Eowyn. Li osservai parlare e presi Fanie per un polso, dirigendoci verso i due. Il rumore delle grida e dei pianti era alto, e mi faceva male al cuore. Quanti soldati sarebbero tornati? Quanti padri, figli, mariti avrebbero fatto ritorno dalla grande guerra? Il padre di mio figlio mi avrebbe riabbriacciata?
Oh basta! Devi smetterla di pensare male, Eleonora! Tanto lo seguirai che lui lo voglia o no.
Con una spinta in avanti riuscii finalmente a distaccare la folla e a raggiungere Aragorn. Il sole rendeva la sua carnagione rosea più chiara, e gli occhi azzurri parevano due pozzi di zaffiri. I capelli scuri erano stati sistemati dietro le orecchie e le braccia muscolose erano intente a sistemare il sottosella al suo cavallo. Mi lanciò un occhiata e sorrise leggermente. Sistemandomi i capelli su una spalla, feci un passo in avanti e poggiai la mani sul collo dell’animale, che spinse la grande testa contro il mio corpo. Gli sorrisi accarezzandolo e tornai al re, prendendo un bel respiro.
« Torna intero, te ne prego. » Mormorai, avvicinando di un poco il mio corpo al suo.
« Lo farò, te lo prometto. » Mi osservò con quegli occhi ipnotici e sorrise dolcemente, spostandomi un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. « Ma tu promettimi che non ci seguirai in questa impresa. E’ pericoloso. » Le sue mani corsero alle mie spalle, stringendole leggermente, e il silenzio cadde tra noi mentre lui attendeva una risposta. Sentivo il sangue corrermi nelle vene, così velocemente e impetuosamente che credevo stessi per svenire o vomitare. Ma non accadde nulla di ciò e io mi ritrovai solo più muta e intenta ad osservare il futuro re di Gondor.
« Lo prometto. » Sussurrai ad un tratto, risvegliatami all’improvviso da quello strano sogno ad occhi aperti. Aragorn sorride e mi strinse a se. Le sue braccia avvolsero le mie spalle come fossi stata una bambola e mi ritrovai schiacciata contro il suo petto. Sospirai leggermente e disciolsi le dita che avevo intrecciato, prima di abbracciarlo a mia volta. Non l’avevo mai stretto a me: il calore del suo corpo contro il mio gelido era confortante, e l’odore della sua pelle era come un calmante naturale. Il re sorrideva, e sorrise ancora quando staccandoci poggiò una mano sulla mia pancia osservandola.
« Sai: ho scommesso con Legolas che sarà maschio. » Indicò con un dito il mio ventre e fece un passo in avanti. Un sorriso piegò le mie labbra verso l’alto, così come quelle di Fanie che si era avvicinata silenziosamente. Aragorn si piegò leggermente verso il basso e mi lasciò un bacio sul vestito. Mi accarezzai una guancia imbarazzata e alzai gli occhi al cielo tentando di arrossire: mi sentivo una bambina in quel momento. Una bambina a cui vengono fatti complimenti che gradisce.
« Hai fatto una scommessa? » Sussurrai sorpresa quando si erse sopra di me, e la sua ombra coprì la mia. Odiavo doverlo guardare dal basso verso l’alto, mi faceva sentire impotente.
« Una scommessa che io vincerò. » Ad un tratto Legolas comparve alle sue spalle, con le briglie del suo cavallo strette in una mano e Gimli sopra la sella. Lo guardai alzando un sopracciglio;  lui ricambiò. Il sole lo colpì all’improvviso, comparendo da dietro una nuvola di passaggio, rendendo i suoi capelli come fili d’orati e i suoi occhi simili a ghiaccio freddo; così chiari da sembrare un'unica cosa con l’iride bianco. Mi avvicinai a lui e, in pubblico, gli tirai un pungo deciso su una spalla. Lui represse un gridolino e mi fissò sorridente.
« Vedi di tornare, perché non ho alcuna intenzione di crescere un figlio da sola e insegnarli ad usare un arco. Oppure di dovermi subire tuo padre e le sue regole, che per giunta non ricordo. » Le mie nocche ancora ferme nell’angolo fra spalla e torace si schiusero e le mie dita corsero a stringere la spalla coperta dall’armatura. « O di andare avanti senza di te, principino dalle orecchie a punta. » Aggiunsi più silenziosamente, in modo che nessuno potesse sentire, mentre mi avvicinavo al suo volto. I suoi occhi corsero  esaminare il mio viso e la sua mano libera si poggiò sulla mia vita. Con dolcezza mi strinse a se e poggiò le sue labbra sulle mie. Fremetti sorpresa, prima di alzare la mano libera e poggiarla sulla sua guancia destra, mentre tenevo stretta la spalla per non allontanarlo. Chiusi gli occhi e mi abbandonai completamente, dimenticandomi persino che qualcuno ci stava guardando e che io stavo perdendo la mia reputazione da “cuore di ghiaccio”.  Potevo sentire il cuore di Legolas correre come un cavallo impazzito, mentre muoveva le labbra contro le mie e, con delicatezza nascosta, mi accarezzava il ventre col pollice. Per un istante, prima che lui se ne accorgesse e richiudesse la sua mente, riuscii a leggere i suoi pensieri: era spaventato e non voleva lasciarmi, perché aveva paura che avrei fatto qualcosa di avventato. Ma non doveva preoccuparsi, sebbene le sue paure su di me erano fondate: avrei fatto di sicuro qualcosa di avventato; la cosa positiva, però, era che questa volta non arei stata sola: Fanie sarebbe stata la mio fianco.
Ad un tratto, mi ritrovai entrambe le mani dell’elfo sulle guance; accarezzava la mia pelle con delicatezza e mi spingeva dolcemente verso le sue labbra avido di baci. Ma lui doveva andare e io dovevo prepararmi a partire in segreto. Con la tristezza nel cuore mi trovai a poggiare le mani sul suo petto per allontanarlo un poco, specchiandomi in quegli occhi chiari che, per me, erano la fine del mondo. Potevo sentire il suo battito cardiaco accelerato sotto il mio palmo destro e la cosa mi fece sorridere.
« E quando torni, fallo con ancora tutto attaccato. » Aggiunsi poi, e la mia voce risuonò leggera e calma; tutto a causa del suo bacio. Lui piegò le labbra arrossate verso l’alto e si posizionò al fianco del suo cavallo: una spinta ed era già in groppa. I suoi occhi si allontanarono dai miei solo quando fu abbastanza lontano, e Fanie mi si affiancò.
« Un addio con i fiocchi e le candeline. » Ridacchiò divertita. Mi voltai nella sua direzione e osservai i suoi occhi; scrocchiai le nocche stiracchiandomi. « In ogni modo, ora che si fa? »
« Si cercano delle armi e poi si parte. Mi sembra logico. »
« Nella stanza di Eowyn? »
« Perché la principessa dovrebbe tenere delle armi in camera? Mica ci si allena la dentro, no? » Chiesi, risvegliandomi all’improvviso dal mio stato post-bacio. Di tutta risposta l’elfa alzò un sopracciglio e mi osservò accigliata, piegando le braccia al petto.  « Si allena realmente li dentro? » Sbattei le palpebre stupita.« E allora che stiamo aspettando? Muoviamoci! » Raccolsi le gonne e mi avviai a grandi passi verso il palazzo, con Fanie al mio fianco. « Prima possiamo cambiarci? Detesto gli abiti. »
 
 



°     °
 
 



Sauron la osservò frugare fra i vestiti, sotto le coperte e in ogni angolo più recondito della stanza della principessa di Edoras, in cerca di un arma adatta alla guerra. La osservò impugnare un elsa lucente e mostrala a Fanie, che strinse fra le dita un’altra spada posta accanto a quella della guerriera. Una ciocca di capelli scuri gli rigò il viso, prima che venisse malamente cacciata indietro con un gesto. Gli occhi sempre puntati sulle due ragazze che gli avevano spezzato il cuore.
« Mio signore », la porta alle sue spalle si aprì improvvisamente e Sauron alzò il volto colto alla sprovvista; ma non si voltò. Un filo di luce irruppe nel buio tetro della stanza.
« Dimmi. » Ordinò con serietà e voce graffiante.
« Mio signore, Osghiliath è nostra. » Un sorriso aleggiò sulle labbra del sovrano, prima che le sue dita si intrecciassero fra di loro. « Che dobbiamo fare? »
« Portate la le catapulte e i troll, Gondor non rimarrà ferma mentre noi distruggiamo quella città. Gli uomini sono così stupidi che manderanno dei soldati a riprenderla. Se lo fanno, uccideteli tutti: non abbiate pietà; e scatenate la guerra. »
« Si, mio signore. » La stanza crollò nel buio e l’oscuro riprese a guardare le due ragazze con un sorriso maligno stampato sul volto.
E adesso chi è che vince, sorellina? Pensò vittorioso.
 
 
 
Ehy, ciao.
Questo è un capitolo di passaggio, ma che ne pensate? Sauron vuole vendetta, Ele tornerà l'avventata di un tempo e Fanie si troverà a seguirla.
Non mi fermo molto perché è tardissimo e io mi devo svegliare prestissimo! Notte <3
 
Grazie Viviana per questa splendida immagine. Sei fantastica!

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Capitolo 18
*** Ricordo. ***


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You must go. ‘Cause it’s time to choose. 
 
 
“Se vedi il mare in due occhi marroni è la fine.”
 
— occhiglaciali, tumblr.

 
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La cella è scura, fredda e umida, sebbene alcuni raggi di sole riescano ad aggirare la sbarre e poggiarsi al suolo. Sono giorni che sto rinchiusa qui sotto assieme ai nani, e che mi rifiuto di mangiare le cose che Thranduil mi manda in più; certo, un pezzo di pane non è che mi sazi così tanto, ma io non voglio sconti: ho fatto da sola questa scelta, e non ho intenzione di crollare. Un pizzico mi risveglia dallo stato assente in cui sono e quando mi volto trovo Fili a guardarmi: gli occhi scuri preoccupati.
« Tutto bene? » Domanda, ritirando la mano oltre le sbarre. Sorrido e annuisco, sebbene la mia testa stia scoppiando, la pancia mi brontoli e il mio corpo tremi dal freddo. Tutto a causa della mancanza di cibo, lo so che è per quello, ma sono maledettamente cocciuta e non ne toccherò nemmeno un pezzo. « Sicura? Non hai una bella cera. » Continua. Chiudo le palpebre, che sento pesanti più che mai e getto la testa indietro, poggiandola al muro freddo di roccia.
« Sono solo stanca. Tutto qui. » Lo rassicuro, risucchiando poi immediatamente le guance dentro la bocca per morderle quando una stilettata di dolore mi trapassa il ventre. Sento il nano sospirare e muoversi, tentando di allungarsi abbastanza verso di me per poggiare la mano sulla fronte. Quando ci riesce, la ritira subito e io apro una palpebra per spiarlo.
« Questa è febbre, e anche alta a mio parere. E’ colpa di queste celle umide, e del fatto che non mangi. Quando capirai che uscire da qui è la soluzione migliore? Non ci devi nulla, Isil. » Volto la testa verso di lui e mi sposto leggermente nella sua direzione, ignorando le fitte allo stomaco brontolante. Dio, mi sento debole e stanca più di quanto non dovrei. Sto per collassare, me lo sento.
« Non è vero. Non è febbre », si lo è, « sto bene. » Sono una bugiarda, ma non voglio farlo preoccupare. Lui continua ad osservarmi con quei suoi occhi incerti e capisco cos’ha in mente ancora prima che apra bocca. « Se osi chiamare le guardie giuro che ti strappo la barba. » Lo minaccio e, dirigendomi barcollando verso l’altro lato della cella, mi allontano. Porto le mani al petto e allungo leggermente le gambe, poggio la testa al muro e chiudo gli occhi. Tutto scompare, i pochi raggi di luce si affievoliscono e le tenebre mi incatenano nella loro morsa. E’ freddo e buio, e sto male. Sento solo voci in lontananza, ma non riesco a capire nulla i suoni sono ovattati, sfumati dal sonno che mi ha presa.
 


Quando apro gli occhi la luce mi acceca, costringendomi a socchiudere le palpebre per abituarmi pian piano a quel cambiamento. Riesco a distinguere forme e figure: sono in una grande camera, che si apre sul alto nord in un grosso terrazzo senza finestre dal quale entra una leggera brezza, che fa ondeggiare le grandi  tende di velluto verde. E’ tutto molto candido qui dentro, rilassante e al contempo diverso dalla cella in cui ero. Le pareti sono lisce e bianche, i mobili di legno che sono all’interno della stanza sono finemente lavorati e decorati con splendide figure sinuose ed eleganti. Abbasso lo sguardo e osservo il letto in cui mi trovo: è molto grande, troppo grande per essere un semplice matrimoniale e sopra il materasso sono stese lenzuola bianche e un secondo paio verdi smeraldo. Delle colonne di mogano salgono verso l’alto e s’intersecano fra loro creando un quadrato sopra la struttura, giacenti sulle travi ci sono dei veli candidi che scendono per la lunghezza delle travi e si legano ad essi tramite una corda d’oro. Un flebile cinguettio mi fa voltare verso l’esterno e li, prima nascosto dal movimento sinuoso delle tende, vedo un uomo. Indossa una lunga veste color argento, ma dal colletto posso dire che all’interno è di un intenso rosso purpureo. I capelli biondi, quasi argentei alla luce del sole, sono sciolti sulle spalle ampie e le braccia muscolose si muovo verso le tempie, dove le dita si fermano ad accarezzare le tempie candide. Trattengo il respiro quando capisco di chi si tratta; ci ho messo qualche minuto a ricreare la sua immagine senza corona nella mia mente, ma non posso essermi sbagliata. Socchiudo le labbra e muovo la testa con una velocità improvvisa che mi causa un giramento di testa. Mi reggo la testa fra le mani e quando il senso di nausea è passato sbatto le palpebre sorpresa e tento di porre risposte alle mie domande: Dove mi trovo? Di sicuro nella sua stanza. Perché sono qui? Devo essere svenuta e Fili deve aver chiamato le guardie. Perché proprio qui? Non ne ho idea. E ora che faccio? Pessima domanda, non ho risposte adatte. Prima che qualche idea possa passarmi per la testa, Thranduil volta leggermente il capo verso di me e i suoi occhi vengono attraversati da un fulmine vitale. Osservandolo, mi sento come una preda braccata da un cacciatore troppo bravo da cui poter sfuggire. I suoi occhi, vetro trasparente e freddo, restano fermi nei miei, mentre lui si volta completamente e comincia a camminare nella mia direzione con quel suo passo tanto leggero e sicuro che pare non toccare suolo. L’interno della tunica, come avevo previsto, è rosso e riluce sotto i caldi raggi solari. Supera gli immensi tendaggi verdi e io non posso fare a meno di sentirmi messa alle strette. Non mi piace stare sola col re: è freddo, distaccato, un predatore abile e riesce a smuovere dentro di me tanti sentimenti contrastanti contemporaneamente. Lo vedo e il mio cuore comincia a rallentare i battiti, sento la sua voce e mi pare fermarsi del tutto e il sangue nelle mie vene sembra congelarsi, ma non mi dispiace. Thranduil mi mette in soggezione, è capace di farmi tacere quando lo vuole davvero. Eppure, è in grado di farmi salire il nervoso con un solo gesto della mano a volte, o con i suoi discorsi. Smetto di osservare davanti a me, non mi ero neanche accorta di aver cambiato traiettoria visiva, e ritorno a guardare verso il re. Sussulto, trovandolo in piedi accanto al letto, e d’istinto stringo le coperte nei pugni e le tiro verso l’alto. So che sono vestita, me ne sono accertata, ma è stato un gesto naturale. L’elfo mi fissa e sono sicura di aver visto un piccolo guizzo di divertimento comparire per qualche istante sulle sue labbra; e ora non posso fare  a meno di chiedermi come dev’essere quando sorride o è felice, perché non l’ho mai visto lasciarsi andare ad un pó di felicità. I miei occhi corrono a delineare la sua mascella tesa, e poi tornano a fissare i suoi: sono così distaccati, sembrano due laghi ghiacciati provenienti da un altro mondo. Due candidi buchi neri che incanalano tutto e non fanno trasparire nulla. Prima che possa anche solo muoversi si avvicina, piegando il busto nella mia direzione, e i capelli biondi ricadono a pochi centimetri dal mio viso. Mi getto indietro, affondando nei cuscini alle mie spalle; farei di tutto per non mostrarmi imbarazzata di fronte a lui, dopo tutto devo pur mantenere la mia immagine da “stramba ragazza cocciuta e orgogliosa”.   
« Come ti senti? » Chiede con quella sua voce ghiacciata, che riesce persino a farmi congelare le vene nonostante l’insolito caldo che c’è fuori. L’osservo e socchiudo le palpebre tentando di non mostrarmi troppo stupita della domanda postami, anche se era scontato me la facesse.
« Bene. » Rispondo con il suo stesso tono di voce.
« Bene. » Ripete lui, alzando il busto e dandomi le spalle. La luce del sole oscura la sua figura mettendone in risalto il profilo. La veste argentea brilla un poco, i raggi illuminano anche l’elsa della spada che è attaccata alla cintura che poggia sui fianchi del re. Mi passo una mano fra i capelli e ragiono sul da farsi: non posso restare li, nelle sue stanze, non c’è la faccio è più forte die me. Standogli così vicina potrei impazzire e non agire coscientemente. Perciò, con velocità mi scopro le gambe e comincio a gattonare verso la fine del letto opposta al re, che ancora osserva il bosco che si estende oltre il terrazzo. Quando poggio i piedi a terra, la veste da camera che indosso rasenta il suolo e crea come un’aura attorno alla fine della mia figura. Lancio una veloce occhiata al sovrano e, caricandomi la gonna fra le braccia, mi avvicino alla suntuosa porta d’uscita. La mia ombra mi segue fedele, spero solo che non mi tradisca e si allunghi verso la luce più del dovuto. Allungo una mano verso la maniglia ma delle dita lunghe avvolgono il mio polso bloccandomi.  Lascio ricadere tutta la stoffa a terra e mi volto a  guardare il viso del sovrano, che mi guarda serio e enigmatico. Chissà cosa starà pensando, cosa vorrà fare. Poi penso che sia arrabbiato per il mio tentativo di fuga e subito il mio cuore accelera con talmente tanta forza che penso che cadrà a terra, sporcando il pavimento di sangue.
« Devi stare a letto, non puoi ancora andare a spasso per il mio palazzo con la febbre che hai avuto. » Sottolinea quel possessivo come se ne dipendesse la sua vita. Scrocchio le dita della mano libera, sapendo che a lui da fastidio, e lo fulmino con uno sguardo; ma lui rimane impassibile a fissarmi, con le spalle dritte e il portamento regale. Lo detesto quando fa così, ovvero sempre; mi fa salire il nervoso. Lui non può darmi ordini, non è il mio re, sebbene io viva in casa sua.
« Posso fare quello che voglio, tu non sei il mio re. » Lui si acciglia e stringe un po’ di più la presa, non demordo. « Sto bene, lasciami andare nelle mie camere a cambiarmi. »
« Sei pallida come un cencio, la febbre è passata da poco e non puoi permetterti di riprenderla viste le tue attuali condizioni di denutrizione. »
« E’ colpa tua se non mangio. Non voglio il cibo di un dittatore collezionista d’oro e  ossessionato dal proprio aspetto fisico, che non vuole aiutare dei nani a riconquistare la propria casa. » Socchiude le labbra e, quando le richiude, irrigidisce la mascella. L’ho colpito al cuore, perché per la prima volta sono riuscita a vedere le sue barriere abbassarsi un poco prima di essere rinnalzate. Sorrido soddisfatta, ma tutto cambia quando il re chiude le palpebre; per qualche secondo tutto rimane in stallo, fermo come se fossimo in pausa, poi uno strano rumore mi fa rizzare i capelli sulla nuca. I miei occhi corrono alla sa guancia, mentre quelli di vetro del re restano fissi sul mio volto cereo. Osservo la sua pelle bruciare, staccarsi, scomparire fino a lasciare intravedere i muscoli, i nervi e le ossa della parte sinistra del viso del sovrano. Seguo la linea che si ferma appena sotto lo zigomo e quando incrocio i suoi occhi sussulto: quello sinistro è bianco, l’iride si può distinguere solo perché è di qualche tonalità più scura, ma per il resto è tutto completamente bianco.
« Se questo è un trucco, smettila. Mi stai facendo paura. » Ammetto senza pensare, e tento di distogliere lo sguardo da quell’occhio ceco. No, non c’è la faccio a smettere di fissarlo, c’è come una calamita che mi spinge a osservare il suo viso deturpato sebbene non voglia. Ancora una volta, le mie orecchie sentono quello strano suono di carne lacerata e il viso di Thranduil torna quello che conosco, o almeno pensavo di conoscere.
« Non aiuterò quei nani, perché conosco la potenza del fuoco del drago. » Sibila avvicinandosi pericolosamente, poggiando le sue mani sulle mie spalle con poca gentilezza. E’ talmente vicino che riesco a sentire il suo profumo di aghi di pino e estate, sebbene non sappia proprio di cosa possa sapere l’estate: ma lui me la ricorda, così come i suoi occhi in questo momento mi ricordano i ruscelli. Il mio cuore sussulta: è maledettamente troppo vicino al mio corpo, e posso sentire i suoi muscoli e il suo calore. Il re mi osserva, e i suoi occhi di vetro mi sembrano vacillare un poco mentre esamina i miei tratti. La sua presa sulle mie spalle si fa più leggera, la distanza fra noi più sottile. Non riesco a capire cosa stia succedendo, non riesco a tentare di indovinare i suoi pensieri da quanto sono bloccata. E’ così vicino che è riuscito a mandare in tilt tutte le mie funzioni neuronali, e non ha neanche parlato troppo. Una sua mano sfiora i miei capelli, spostandoli dietro il collo e io rabbrividisco. I nostro occhi non si sono ancora lasciati andare, non ho ancora cercato di scappare da quella sua presa magnetica e non ne capisco il motivo. E’ come se fossi imprigionata in una morsa di ghiaccio, dove tutta via fa un caldo tremendo.  Questa cosa non va bene, affatto. Tutto sta diventando troppo stretto attorno a me, la stanza mi sembra rimpicciolirsi fino a soffocarmi, il re è troppo vicino e questa cosa mi mette pressione. Per la prima volta non so cosa fare, come comportarmi, cosa dire e la cosa mi mette nervosismo addosso.
« Sire. » Sussurro, per la prima volta dando a Thranduil del “lei”; ma per lui è come se non avessi detto niente.
« Hai degli occhi davvero, davvero scuri sai? Sembrano ruscelli. » Inarco le sopracciglia confusa, che abbia bevuto troppo vino? Probabile, quanto impossibile. Magari è solo scemo, ecco tutto. Continua a osservarmi e le sue mani si spostano dietro il mio collo con una delicatezza che pensavo non sapesse usare con le donne. Ha abbassato le barriere, lo capisco da come i suoi occhi cambiano da azzurri ghiaccio ad un tenue blu. Trattengo il respiro e l’osservo avvicinarsi. Il suo petto ampio preme contro il mio, il suo calore riscalda il mio corpo e i nostri respiri si fondono. Poggia le sue labbra sulle mie. Divento una statua, tentando di capire che fare perché lui mi ha preso in contropiede; ma poi, una delle sue mani si insinua nei miei capelli ed è la fine per me e il mio buon senso. E’ così delicato mentre mi sfiora la mia pelle che mi porta a chiudere gli occhi e dimenticami di tutto; le sue labbra sono gentili mentre si muovono e portano le mie a fare lo stesso. Alzo le braccia circondando il suo collo e il solletico che mi fanno i suoi capelli mi porta a sorridere. Dopo tutto non è una cosa così brutta: Thranduil sa essere persino dolce, in fin dei conti. Però… però c’è un pensiero che mi tormenta adesso: Legolas. La sua immagine sorridente mi passa davanti agli occhi, sotto le palpebre, mentre le mani del sovrano si apprestano a tirarmi verso l’alto, per farlo stare meglio.  Come posso fare questo a Legolas?  Come… prima che possa pensare ad altro la porta si apre e eccolo li: parli del diavolo spuntano le corna. Il giovane principe degli elfi silvani si è bloccato davanti a noi, e i suoi occhi passano da me al padre. Dio, che imbarazzo. Mi sento una puttana, e forse è quello che sono; alla fine non sono stata in grado di bloccare nemmeno uno stupido bacio che non volevo, perché alla fine mi era piaciuto.
 
 


 
°     °
 
 



Aprii di scatto le palpebre e una folata d’aria m’investì in pieno. Túron allungò le possenti ali, dispiegandole per far si che il vento le accarezzasse e scosse violentemente il capo, lasciando che una nuvola di fumo uscisse dalle grandi narici. Mi guardai attorno, constatando che stavamo sorvolando delle terre non molto lontane da Gondor e sbadigliai, poggiando una mano sulle labbra. Dovevo essermi appisolata qualche ora dopo la partenza, visto che la sera prima non ero riuscita a dormire. Avevamo deciso di accamparci e io avevo fatto il turno di guardia doppio, sebbene sapessi che Fanie non dormiva ma era come in stato di dormiveglia non mi ero sentita di svegliarla del tutto e rapirla dal poco sonno che aveva acquisito. Un'altra potente carezza d’aria mi fece intuire che Armë ci si era affiancata, e le sue ali battevano piano e ritmicamente fendendo l’aria gelide della notte.
« Ma quanto ho dormito? » Chiesi curiosa a Fanie, che era alle prese con i capelli che le erano finiti fra le labbra a causa del vento. Lei si voltò e sorrise, carezzandosi una guancia; sotto la luce stellare la sua pelle era paurosamente candida e gli orecchini alle orecchie brillavano sinistramente.
« Quasi due ore, non molto. In ogni modo, ben tornata nel mondo dei vivi. » Tornò a osservare le terre davanti a lei. Alzai le spalle, abbracciando il collo del mio dragone quando un grido squarciò la notte silenziosa. Immediatamente alzai il capo e così fece anche l’elfo; un altro lamento scosse le montagne e mi fece accapponare la pelle. Non era un lamento umano, ne animale, quelle grida non potevano arrivare così in alto con tanta nitidezza, perciò non potevano essere altro che…
« I Nazgûl! Via! » Gridò Fanie, stringendo le mani al pomo della sua sella. La dragonessa virò con velocità e ne evitò uno per poco. Voltai il busto per osservare quale strana creatura cavalcassero e rabbrividii: non era un drago, di certo. Aveva un lungo collo e una lunga coda e il viso ovale con una bocca che lo tagliava da parte a parte. Non aveva squame ed era liscio e viscido.
« Merda. » Mi lasciai sfuggire dalle labbra, prima di distendermi sul collo del mio drago e sperare che tutto andasse per il meglio.
 
 
Here we are, Peipe!
Questo, più che un capitolo capitolo, è un ricordo. Il tanto atteso ricordo del bacio  fra Thranduil e Ele. Anyway, che ne dite? Piaciuto? Ora vado a nanna <3 Notte :3

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Capitolo 19
*** Il fiume. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose. 
 


“La cosa peggiore è che quando pensi che hai superato il dolore, ricomincia tutto, e ti lascia senza fiato.”
 
— Grey’s Anatomy
 



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Mentre Turon virava all’improvviso e per poco non mi disarcionava nel vuoto, il vento freddo, mosso con forza dalle sue potenti ali, mi schiaffeggiò costringendomi a socchiudere le palpebre. Poggiai il mento sul petto e sentii i capelli schioccare nell’aria;  gli urli delle orride creature dei Nazgûl perforavano la notte come frecce. Li potevo udire avvicinarsi, con quello strano suono che usciva dalle loro gole, e sentivo perfino le spade mentre uscivano dai foderi. D’istinto portai una mano al fianco dove poggiava il fodero, pronta a stringere l’elsa della mia arma, ma lo trovai vuoto: la spada doveva essere scivolata via dalla copertura durante la virata improvvisata. Ringhiai e voltai la testa verso la mia sinistra, dove avevo visto scomparire Fanie; ma di lei non c’era traccia. Sperai con tutta me stessa che stesse bene e che se la sarebbe cavata. Prima che potessi accorgermi di qualsiasi cosa o anche solo pensarla, un’ombra comparve davanti alla nostra traiettoria e si fiondò su di noi come un carro armato. Turon alzò il collo e lanciò una fiammata che incendiò il buio per qualche secondo. Un grido potente mi fece fremere le ossa e, poco dopo, mi ritrovai a volteggiare nel vuoto mentre il mio drago si attaccava al collo di uno di quei mostri. Sbatteva le ali con forza, smuovendo l’aria fino a creare raffiche di vento che avrebbero potuto causare un tornado. Gli artigli di Turon affondarono nella carne viscida dell’essere e, mentre questo tentava di mordergli il petto invano, i denti affilati affondarono nel suo cranio. La lucertola volante strillò, colta alla sprovvista, e il sangue prese a schizzare fuori dai profondi fori lasciati; alcune gocce nere atterrarono sulle mie braccia e sul mio volto. Nel mentre, l’unico mio pensiero era tenermi stretta alla sella e tentare di non cadere. Volteggiavamo così velocemente, sospesi sul nulla più tetro, quando il dragone nero riuscì a schiacciare contro il fianco di una montagna quell’affare, che gridò talmente forte da farmi gridare a mia volta a causa del dolore alle orecchie. Affondai le unghie nella sella e, per la prima volta da quando quegli esseri ci avevano attaccato, rizzai la schiena e lasciai libere le redini di Turon, che così fu più libero nei movimenti. Con una mossa inaspettata, il dragone cavò uno degli artigli dal collo dell’essere e l’affondo nell’elmo del suo cavaliere. Una forte corrente d’aria ci spinse in avanti, gettandoci contro le due carcasse, e immediatamente Turon estrasse gli artigli dalla carne morta per combattere la raffica di vento e indietreggiare. Li sul fianco della montagna, dove prima c'era uno dei nove con la sua creatura, ora si apriva un profondo buco nero che andava a risucchiarli; un orrendo rumore, come di ossa rotte, impregnò l’aria nella quale era sceso un silenzio terrificante. Grida, ecco cosa ricordo: un grido talmente forte da far ruggire Turon e fargli perdere per qualche secondo la cognizione delle cose che ci circondavano. Smise di muovere le ali e entrambi precipitammo per vari metri, mentre tentavo di agguantare le redini senza riuscirci.
« Vola dannazione! » Strillai, ma il vento ululava così forte nelle nostre orecchie che lui non poteva sentirmi.
Vola! Vola, per la miseria, vola!  Gridai allora mentalmente e, come se si fosse appena risvegliato da un profondo sonno, Turon ringhiò, gonfiò il petto e allungò le possenti ali che si gonfiarono come una vela.
Scusa. La sua voce calda vibrò nel mio cranio, mentre ci alzavamo di quota. Chiusi le palpebre e lasciai uscire un sospiro; avevo realmente pensato che quella sarebbe potuta essere la fine per noi. Non mi ero nemmeno accorta, fino a quel momento, quanta paura avevo provato: ma non per me o per la mia vita, ma per quella di mio figlio; per la sua vita, che stavo mettendo a repentaglio.
Respirando affannosamente, quando il nostro volo si fu stabilizzato, cominciai a voltare il capo in tutte le direzioni, tentando di trovare Fanie e la sua dragonessa. I pensieri andavano a affollarsi nella mia mente, mentre le immagini di lei che cadeva dalla sella, oppure veniva presa e rinchiusa dagli artigli di una di quelle cose si bloccavano sotto le mie palpebre facendomi tremare. Con forza, poi, riuscii a trovare le redini e a stringerle nella mia presa. Turon si voltò a guardarmi. I suoi occhi rossi erano come torce di luce che illuminavano le mie paure, tentando di renderle meno terrificanti. Passai una mano sulle sue squame scure, senza smettere di osservare il perimetro che ci circondava.
« Dobbiamo trovarle. » Ordinai. Un'altra folata d’aria mi schiaffeggiò quando ci rimettemmo in volo, barcollando nel buio della notte.
 
 


°    °
 
 


Gimli si guardò attorno: quella densa nebbia verde lo metteva a disagio. Tutti quei soldati morti lo mettevano a disagio; e sapere che loro potevano fargli del male mentre lui non poteva lo lasciava alquanto sconcertato. Non gli andava a genio l’idea di poter essere ferito, e non riuscire a ricambiare la cosa. A lui piacevano le risse e le battaglie, e tutto quello che aveva a che fare con grida, armi e vittorie su vittorie contro l’elfo dalle orecchie a punta. A proposito del suo amico, era da un po’ che non lo vedeva: probabilmente era colpa di tutta quella nebbia verde. Con uno sbuffo si decise ad attraversare il ponte della nave; una strana sensazione l’avvolse quando il freddo pungente di quell’aria morta gli sfiorò la pelle. Rabbrividì fin sotto la folta barba ma continuò imperterrito, stringendo la sua ascia fra le mani, come per rassicurarsi. Finalmente, quando raggiunse la prua dell’imbarcazione trovo il principe di Bosco Atro  appoggiatovi di schiena, mentre fissava il corso del fiume che gli correva davanti. Gli occhi azzurri vacui e persi, mentre la notte andava a morire e lasciava lo spazio ai primi deboli raggi di sole. Poche stelle brillavano ancora in alto: erano nel bel mezzo di quel momento in cui nasce il giorno ma la sera ancora non si accinge ad andarsene, e i colori si fondono creando un confine tra realtà e fantasia, gioia e nostalgia che incatena il cuore di molti alla parte più profonda dell’anima. Il cielo si era tinto di un potente arancio, rosa e giallo ma il blu costante della notte non se ne andava e teneva incatenate in quell’istante le stelle e la luna, sebbene brillassero debolmente. Con la sua goffa andatura Gimli raggiunse finalmente l’amico biondo e alzò gli occhi al suo viso, dopo essersi poggiato anche lui alla balaustra di legno.
« Sto bene. » Si affrettò a dire Legolas, senza degnarlo di uno sguardo. Il vento, intanto, gli soffiò sui capelli facendoli volare leggermente e gonfiò le vele aiutando così le navi nella loro corsa sul letto del fiume.
« Beh, io non ti ho ancora chiesto nulla. » Sorrise il nano, appoggiando le mani sull’ascia. La lama brillò dei riflessi dell’alba.
« Sapevo che me l’avresti chiesto. » Rispose con semplicità il principe, gettandogli un occhiata. I suoi occhi azzurri incontrarono la luce del sole nascente e brillarono freddi e vitrei come fossero fatti di ghiaccio. Per la prima volta Gimli non riuscì a leggervi nulla dentro, quasi che l’anima dell’amico fosse stata congelata nella profondità del suo corpo millenario. Rabbrividii persino lui e distolse immediatamente le iridi, gettandole sulla verde massa che si muoveva sotto di lui.
« Beh, si. E’ vero, l’avrei fatto. » Borbottò poi distrattamente.
« Allora perché non l’hai chiesto? »
« Tu hai già risposto… » Il nano voltò la testa nella sua direzione e l’osservò, senza mai spostarsi dalla sua comoda posizione.
« Ma quella non era la verità, vero? » Inarcò una folta sopracciglia rossastra e socchiuse successivamente le palpebre; poi, dopo aver sbattuto le palpebre e aver continuato a osservare l’essere immortale si schiarì la voce. « Allora, orecchie a punta: che ti prende? »
« Ho un brutto presentimento. » Ammise Legolas, passandosi una mano sul viso stanco. Gimli non avrebbe mai detto che un giorno avrebbe mai potuto sentire quelle parole così: come se fosse una cosa naturale per il principe di Bosco Atro avere brutti presentimenti e stare male. O almeno, non avrebbe mai pensato che si sarebbe aperto con lui così liberamente.
« Scommetto che riguarda la tua “bella”. »
« Già. » L’elfo sospirò, ripassandosi una mano sul viso. « Ho come l’impressione che lei non mi abbia dato retta. »
« Te l’ha mai data? »
« No. »


Cio peipe.
Vado di fretta! E' UN CAPITOLO CORTO, MI DISPIACE. Doveva essere uno dei più lunghi, ma ho avuto degli inconvenienti (molto urgenti) ed è uscito questo sgorbio. Prometto che il prossimo capitolo sarà molto lungo! Molto Lungo! Ora devo correre! Love you!

 

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Capitolo 20
*** Il guardiano e Isil. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.
 




“Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio. Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo per levarsene la voglia.”
 
-W.Shakespeare-

 


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C’era tanta luce attorno a lei, sebbene fosse notte. La luna brillava in cielo e le stelle le facevano da corona, e un fievole vento ondeggiava fra le foglie di Bosco Atro. Fanie sorrise per l’ultima volta ad uno dei molti invitati alla “festa delle stelle”, erano tutti così tremendamente noiosi, e poi si diresse nel grande terrazzo che si affacciava sulla foresta. Varcò l’arco che sorreggeva la costruzione, un’immensa entrata di marmo ricamata da splendide decorazioni intrise di gemme preziose, e i tacchi dei suoi stivali toccarono il pavimento ticchettando. L’angolo delle sue labbra si alzò a quel rumore; era sempre stata rincuorata dal suono familiare di quei tacchi bassi e piatti che aveva indossato sotto il vestito, al contrario di tutte le altre elfe che preferivano dei sandali comodi. Lei, invece, quelle trappole infernali non le sopportava: non riusciva a camminarci, era come se indossarli non fosse nel suo DNA. Girando la testa a destra e sinistra, si poggiò alla ringhiera e alzò una gamba di soppiatto palpando la stoffa azzurra dell’abito, il cuoio dello stivale sotto essa e trovando infine l’elsa del pugnale bianco che si portava sempre dietro. Chiuse gli occhi, felice di sapere di non averlo perso, e diede le spalle alla festa. Da dentro la sala del trono provenivano risate e musica dolce che si diffondeva nell’aria e scacciava dalle ossa della giovane il freddo trasportato dal vento, che le scuoteva dolcemente gli ondulati capelli d’oro.
« Dunque, cosa ci fa una giovane e bella ragazza tutta sola, qui fuori, la notte delle stelle? » Una voce calda le rimbombò nelle orecchie, mentre si accingeva a voltarsi velocemente. Due occhi azzurri le sorrisero felicemente, splendendo nel buio della notte movimentata. Elendil ammiccò nella direzione di Fanie, mentre questa si accingeva a sorridere e andargli incontro, incurante del fatto che il vestito azzurro che indossava la faceva inciampare. Quando, finalmente lo raggiunse e lo strinse a se, non poté evitare di ridere di felicità. Erano mesi che non lo vedeva e stringerlo era l’unica cosa possibile da fare per colmare quel vuoto che era nato nel suo cuore alla sua partenza. Poggiò le mani sulle guance dell’elfo e esaminò ogni singolo tratto in cerca di qualche cambiamento: nulla era fuori posto. G             li occhi da felino erano sempre i soliti limpidi specchi d’acqua, i lineamenti della mascella erano regolari e marcati nel modo giusto e i lunghi capelli scuri gli scendevano oltra le spalle, disponendosi ordinatamente sulla schiena coperta dalla tunica verde smeraldo.
« Ma guardati! » Esclamò ad un tratto una terza voce, e una mano si poggiò sulla spalla dell’elfo. Elendil si voltò e fece un cenno di saluto al fratello, che era avanzato verso Fanie stringendola per un fianco dolcemente. « Ti lascio solo tre minuti, per andare a cercare la mia compagna, e quando torno vi trovo qui da soli. Non è che ci stavi provando? » La giovane ragazza sorrise, poggiando una mano sul petto del suo compagno, e i loro occhi – verdi di lui e azzurri di lei- si scontrarono e sorrisero. Quei due non se ne accorgevano ma quando si osservavano si stavano già baciando, o facendo l’amore. Si amavano così tanto che non si sarebbero accorti di nulla, eccetto loro stessi, se Elendil non li avesse risvegliati con un piccolo starnuto calcolato. L’allevatrice dei draghi alzò il capo in direzione del cognato e piegò la testa verso sinistra, sfiorando così la spalla di Rìnon.
« Sua maestà vi osserva. » Le spiegò, indicando con un cenno del capo l’entrata del balcone. Le iridi di Fanie corsero per tutto il tragitto e alla fine vennero incatenate in quelle del suo sovrano. Gli occhi di Thranduil,  quella sera, erano più freddi e scuri del solito. Persi nei meandri della sua anima, se mai ne avesse avuta una, ed erano simili a quelli di un predatore. I lunghi capelli biondi gli scendevano sulle spalle coprendo la lunga tunica bianca che indossava, la spada che correva sotto essa, appesa ai pantaloni di pelle, e la sua elsa era ben visibile a causa di tutti i diamanti che l’adornavano. Fanie smise di respirare  per qualche istante, e strinse la casacca di Rìnon con la mano che gli cingeva il fianco. Il giovane capitano delle guardie abbassò il capo verso di lei e poi lo rialzò nella direzione del sovrano; i suoi occhi verdi lo studiarono attentamente finché non scomparve.
« Quell’uomo mi da i brividi. » Ammise il fratello, voltandosi a guardare i due.
« Già, anche a me. » Sussurrò Fanie, lo sguardo perso nel vuoto e la voce assente che si disperse nell’aria della sera. « I-io devo andare. » Balbettò poi successivamente, lasciando andare Rìnon e saltando Elendil. Uno strano sentimento le calcava il petto, spingendola verso il basso come se non potesse respirare, non ci riuscisse. Gli occhi di Thranduil l’avevano graffiata dentro, e la sua voce le rimbombava ancora nella testa. Quelle parole sussurrate con tanta intensità e freddezza l’avevano segnata come le cicatrici che aveva sulla pelle.
Un ballo. Ti chiedo solo un ballo. Le aveva detto, ma la sua voce era stata piatta e costante come una  lastra di vetro.
 
 


°   °
 
 



Fanie aprì gli occhi all’improvviso e si ritrovò distesa sul terreno, Armë stava accanto a lei; le grandi ali dorate aperte come vele preziose. La giovane elfa si accarezzò la testa dolorante e tentò di ricordare cosa fosse successo prima: tutto ciò che gli veniva in mente era l’arrivo dei nove, la brutale virata della dragonessa e la sua rovinosa caduta dopo essere riuscita a uccidere uno degli stregoni. Nient’altro gli affiorava fra i ricordi, niente di niente se non quella sera in cui aveva ballato con Thranduil e aveva sentito il suo cuore millenario battere talmente forte da oscurare i sentimenti per Rìnon; ma poi ci aveva pensato e tutto quel trambusto in se stessa era cessato, e il suo capitano era tornato ad occupare un punto fisso nella sua mente –anche perché era letteralmente scappata via dalle braccia del re, appena la musica aveva taciuto-.
E’ l’alba. Annunciò Armë e in quel momento i raggi del sole presero a inondare di luce la vallata su cui le due erano stese. Il corpo del drago si imperlò di colori vivaci, e brillò come una cascata d’oro colato. I suoi occhi neri scrutarono il cielo, mentre un ruggito invadeva l’aria sopra di loro. Allora, la guerriera alzò il volto e poco più in basso delle nubi scorse un puntino nero, che si muoveva velocemente. Sorrise, lasciò uscire un sospiro dalle labbra e s’issò in piedi pulendosi i pantaloni con delle pacche. Un sottile strato di fumo si alzò fino ai suoi occhi per poi scomparire nella brezza mattutina.
« Amici o nemici? » Chiese Fanie, portando la mano all’elsa del pugnale bianco che teneva nello stivale.
Amici. La rassicurò il drago, voltandosi per gettarle un’occhiata sorridente.
 
 



°   °
 
 




« Non ricordi proprio nulla? Niente di niente? Almeno la strada per Gondor… » Mi strinsi le braccia al petto per riscaldarmi, perché, sebbene ci fosse il sole, quella mattina si gelava. Gli occhi azzurri di Fanie si oscurarono per un minuto, poi tornarono i due soliti pozzi chiari che conoscevo. Per un attimo la voglia di intrufolarmi nella sua mente mi sfiorò il cervello, ma l’accartocciai quando mi ricordai i momenti in cui Legolas lo faceva con me: mi ero sentita violata e non avrei fatto una cosa del genere a Fanie – non un’altra volta almeno. – « Dimmi di si… per favooore.  » Lei scosse il capo con forza e si gettò indietro i capelli, raccogliendoli in una lunga treccia che le arrivava ai fianchi. Chiusi gli occhi e mi accarezzai le tempie con le mani, sospirando frustrata. Dannazione, ma perché doveva capitare tutto a me, a noi? Fanie era la nostra mappa, la nostra guida verso Gondor e la battaglia, conosceva la Terra di Mezzo meglio di chiunque altro e ora non ricordava più nulla. Ringhiai frustrata e tirai un calcio alla sabbia, che divenne una nube e successivamente scomparve sotto i raggi del sole. Un dolore improvviso al ventre mi fece aprire le palpebre e gemere silenziosamente. Le mie mani si mossero verso il basso e  strinsero la stoffa della mia casacca; gli occhi di Fanie si posarono su di esse, e la sua bocca si piegò verso il basso. Con poche falcate mi raggiunse e scostò le braccia dal mio ventre, alzando con velocità la stoffa della blusa.
« Che diamine ti ha colpita? » Praticamente gridò, ma non mi diede il tempo di rispondere perché si volse verso Turon e strillò ancora più forte: « Che diamine l’ha colpita?  Sangue di quell’affare? Cazzo. »
« Cosa c’è? Che mi succede? » L’agitazione nella voce di Fanie mise paura persino a me. Sentivo le sue mani muoversi sulla mia pelle, che bruciava. Ad un certo punto, si strappò con forza la manica del braccio sinistro e l’aprì in due, in modo da allargarla, prima di premerla sul mio ventre. Strane parole, veloci e sinuose presero ad uscire dalle sue labbra candide, mentre ogni tanto i suoi occhi incrociavano i miei. Le nostre armature brillavano sotto il sole; chissà da quanto era iniziata la battaglia. Mi immaginai Legolas correre ovunque, scoccando frecce e gridando numeri per tenere il conto dei soldati uccisi, mentre Gimli borbottava. Immaginai Aragorn spronare i soldati e, beh, le truppe di Sauron attaccare. Fanie intanto continuava a parlare sottovoce; la sua pressione sul mio ventre e lo stress che stavo accumulando sfociarono nello stesso istante: mi sentii come se un fiume in piena mi stesse travolgendo e io non volessi fermarlo. Come se quella fosse stata una cosa che avevo rimandato per troppo tempo. Il guardiano era tornato. « Mi fai male, dannazione! » Rugii all’improvviso, aprendo un palmo verso l’alto e lanciando una fiammata involontariamente; per un attimo la vista mi si appannò di rosso e tutto si fece confuso, quasi come se fossi stata drogata. Sentii il fuoco bruciarmi nelle vene, era una sensazione così familiare e al tempo stesso lontana che mi faceva stare bene: come se si fosse stabilizzato una specie di equilibrio che dopo la luna di sangue era divenuto precario. Ma questa volta sentivo di poterlo controllare con più facilità del precedente. Fanie saltò indietro impaurita e dalle sue dita si riversò fuori il ghiaccio. Una vampata di gelo si fuse con il calore delle fiamme e una strana scintilla scaturì come risultato. Dopo qualche tempo sentii il palmo bruciare e così ritrassi immediatamente il braccio e abbassai la casacca, indietreggiando finché non scontrai una delle ali di Turon. Voltai il capo verso il mio dragone, che mi osservava già da un po’, e gli sorrisi.
Dunque, siamo legati. Gli mormorai segretamente. Lui scosse il capo in segno d’assenso e una nube di fumo nero gli vibrò fuori dalle narici. Una strana sensazione invase il mio petto, come riscaldandolo, e poi scomparve. Solo allora mi ricordai di Fanie e mi voltai a guardarla. La giovane elfa teneva il viso puntato su di me, mentre i miei occhi incrociavano i suoi e le sue mani si chiudevano a pugno interrompendo il flusso del ghiaccio.
 « El, che ti è preso? » La sua voce era bassa e cauta, mentre faceva qualche passo nella mia direzione. Mi passai le mani sul volto e mi soffermai a coprirmi le labbra, colta da un improvviso senso d’imbarazzo.
« Oddio, scusami. Io non volevo fare quello che ho fatto è che… il legame. » Involontariamente sorrisi lanciando uno sguardo a Turon. « Il legame è stato sigillato, è per questo che ho reagito così. Mi dispiace. » Un  guizzo attraversò i suoi occhi, ma non saprei dire se fosse stato di ammirazione, curiosità oppure paura. Ma avrei optato per l’ultimo e così mi affrettai ad aggiungere: « Questo non c’entra con la luna di sangue. Sia chiaro. » Riprese un po’ di colore.
« Perfetto, ora che si fa? » Chiese ad un certo punto, avvicinandosi alla dragonessa che era rimasta sdraiata per tutto il tempo. In pochi minuti già ero sulla groppa di Turon, e stringevo le briglie fra le mani. Avevo un solo pensiero in testa: trovare la battaglia e prendervi parte; e se fosse rimasto tempo uccidere qualche altro Nazgul, tentando di non farmi finire addosso quella roba che passava nelle vene dei loro animali.
« Beh, si cerca Gondor. »
« Non sappiamo da che parte andare, non ricordo la strada te l’ho detto. »
« Ok, allora… da che parte veniva quei due Nazgul? »
« Sud. » Seguii il dito di Fanie  e lo vidi puntarsi in direzione delle montagne. Il sole splendeva su di loro, illuminando ogni cosa del suo tenue bagliore giallastro.
« Allora Sud sia! » Fanie mi rivolse un’occhiataccia in tralice, mentre afferrava le redini della sua cavalcatura. L’osservai per qualche istante sorridendo e poi mi ressi forte alla sella di Turon, pronta a volare. Sapevo che non avremmo trovato gioie all’arrivo nella città dei re, ma solo morte, urla e disperazione ed era proprio per questo che dovevamo trovarla. Tutto quel dolore gratuito inferto agli uomini doveva essere fermato. Mentre solcavamo il cielo con velocità, mi ripromisi una cosa: appena avrei trovato Legolas gli avrei fatto vedere il motivo per cui non l’ascoltavo mai. Gli avrei mostrato che anche io potevo combattere, nonostante la situazione in cui mi trovavo.
« Vinceremo? » Quella domanda mi arrivò dritta alle orecchie, ma fu solo per un secondo perché venne trascinata via dal vento che ci schiaffeggiava. In ogni modo, quell’attimo fu abbastanza per attirare la mia attenzione e voltarmi.
« Io dico di si. » Sorrisi convinta.
« Ah si? E cosa te lo fa credere? » Il vento le scompigliava la lunga treccia, facendola schioccare nell’aria come fosse stata una frusta. La sua armatura di drago brillava di una forte luce azzurra, costringendomi a mettere una mano sulla fronte.
« Beh, perché io sono Isil, la guerriera. » Ammisi, per una volta fiera di quell’appellativo. Non l’avevo più usato da quando l’avevo uccisa ma ora ne avevo bisogno: avevo bisogno di sentire la sua  forza scorrermi dentro le vene, il sangue correre con più intensità, come quando possedevo l’anello di mia sorella, Isil. Per la prima volta, oltre alla potenza del guardiano, avrei voluto avere persino la sua. Ma non sapevo dove fosse, ora, quella sfera di luce bianca e pura che avevo visto quella notte al Fosso di Helm.  « E tu sei Fanie, la ragazza dei draghi. E siamo invincibili. » Aggiunsi. L’elfa sorrise divertita dalla mia positività e diede due pacche sul collo di Armë, i suoi occhi sorrisero spietati e colmi di una determinazione nuova.
 Avremmo combattuto.
Avremmo rischiato le nostre vita pur di riuscire a sconfiggere Sauron.

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Capitolo 21
*** La battaglia per Gondor. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose. 



« Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle loro rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra,
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende. »
 
«  Uno alla giovane guerriera,
che il destino suo non sa,
cuore di cenere che ancora spera,
che fra non molto batterà. »

 

Tolkien & quell'imbecille dell'autrice di questa FF.
 



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Quanto tempo era che il suo cuore non batteva così forte? Poteva sentirne l’eco rimbombargli nelle orecchie, il rumore del sangue ovattava ogni suono attorno a lui, persino il più minimo. C’era silenzio, uno di quei muti silenzi tetri che nasce ogni volta prima di una battaglia decisiva, e, sebbene tutto questo era prescritto nei piani spiegati da Aragorn, Legolas non poteva fare a meno di provare un po’ di paura. Non sapeva bene perché quel sentimento lo avesse colto così impreparato, ma più ci pensava più sotto le sue palpebre, ogni volta che chiudeva gli occhi, affioravano le immagini della sua compagna: la vedeva ridere, gridare, venire ferita e feristi e, non ostante ciò, tenerlo alla larga a causa dell’orgoglio. Nella sua mente tornavano alla luce le loro prime conversazioni, le litigate e le riappacificazioni: « Se ti metti a cantare qualche canzone in elfico ti strappo le labbra. » Sorrise inconsciamente al ricordo del primo incontro. Era così strano vedere quanta strada avevano fatto da allora, quanti amici avevano perso e quante volte loro stessi avevano rischiato di restare separati per sempre. Era così strano pensare che dopo tanto tempo lui potesse sentirsi così pieno di sentimenti, quando per quasi sessant’anni non aveva provato niente se non desolazione e rabbia. Oh, la rabbia l’aveva covata per così tanto dentro di se ma era scomparsa non appena aveva incontrato quegli occhi castani per la prima volta, e poi era tornata quando Boromir l’aveva baciata per divertimento. Al solo pensiero le sue mani si strinsero con forza attorno all’arco e le nocche divennero più bianche del solito. Si rilassò solo quando il volto dell’amico gli passò davanti all’improvviso e la sua risata invase le sue orecchie. Inconsciamente rise leggermente, ripensando al giorno in cui scherzando avevano lanciato una freccia nella camera di Eleonora e questa era finita dentro il suo materasso. Ricordò anche le parole che Boromir aveva riservato ad Aragorn: “io ti avrei seguito, mio capitano, mio re.” E allora le labbra s’incurvarono verso il basso e il cuore batté con meno forza.
« Comunque vada: è stato un onore combattere al vostro fianco. » Mormorò, lanciando un’occhiata ad Aragorn e Gimli. I due si voltarono di scatto verso di lui e il re ingoiò un fiotto di saliva. L’elfo sapeva che Aragorn credeva nel loro nuovo esercito, morto, e in Frodo e Sam. Chissà se i due piccoli hobbit erano riusciti ad arrivare a Mordor, oppure erano periti nell’intento di farlo. Scuotendo il capo il giovano principe tentò di dimenticare quelle brutte idee, e al contrario si convinse che i due piccoli amici fossero, proprio in quel momento, molto vicini al vulcano e alla fine dell’impresa.
« Ah, hai fifa elfo? Hai paura di non riuscire a battermi? » Rise Gimli, sebbene si poteva vedere da un miglio di distanza che persino lui, sotto la sua folta barba rossa, fremeva un poco d’agitazione. Legolas lo fissò in tralice e scrocchiò le dita; il suono si diffuse nel silenzio. Con i chiari occhi da gatto il principe lanciò uno sguardo di sfida al nano, dimenticandosi del tutto di tutti i problemi che l’opprimevano.
« Ti batterei ad occhi chiusi, nano. » Borbottò fermamente convinto, ma prima che Gimli potesse ribattere grida, urla e stridii insopportabili offuscarono l’aria. Un forte odore di morte e sangue impregnò il vento e tutti i cuori palpitanti sulla nave si bloccarono all’improvviso. Il silenziò calò all’istante e gli sguardi s’incontrarono.
 Il cuore dell’elfo batteva piano mentre le navi rallentavano la loro corsa fino a fermarsi e le grida si facevano più forti. Un ombra scura volò sopra di loro e si dileguò con velocità, ma da quel poco che il principe aveva potuto vedere aveva intuito che era di un Nazgul. Sauron aveva rilasciato i nove molto presto.
« In ritardo come al solito feccia dei pirati! » Sentì gridare dal basso, e con il respiro fermo in gola l’elfo si appiccicò alla balaustra di legno della nave con la schiena. Pregò i Valar di proteggerlo e di fargli vincere la sfida contro Gimli, e soprattutto li pregò di tenere d’occhio la sua compagna e il figlio che portava dentro. « Ci aspetta un lavoro di coltello! » Gimli gli scosse la spalla e gli fece cenno di prepararsi. Aragorn aveva già flesso le ginocchia e si preparava a saltare. « Forza topi di fogna, scendete dalla nave! » Al suono della voce stridente, probabilmente di un orco, il futuro Re di Gondor saltò scavalcando la balaustra e Legolas e Gimli lo seguirono poco dopo. Davanti ai tre si trovava un piccolo battaglione d’orchi, tutti armati e ghignanti, convinti di avere la vittoria in tasca. Il loro capitano, un brutto tipo basso dalla pelle rosa salmone e senza naso, sgranò gli occhi e fece un passo indietro, eliminando dal volto il sorriso. Il principe si dondolò per un attimo sulle gambe, tentando di trovare la posizione migliore per scattare quando sarebbe arrivato il momento, e nel mentre l’orco impugnò la sua ascia.
« Ah! Questa volta perderai! » Grugnì Gimli, stringendo la propria ascia fra le mani come se fosse un tesoro. L’elfo gli rifilò un’occhiata e sorrise; poi, i suoi occhi gelidi si soffermarono sulla figura di Aragorn. Il giovane ramingo aveva stretto l’elsa della propria spada con forza e aveva iniziato a camminare. « C’è ne in abbondanza per tutti e due! Che vinca il nano migliore! » E detto questo, presero a correre verso i nemici. Dietro di loro, Legolas lo poteva sentire, l’esercito dei morti li seguiva. Era una strana sensazione sentirseli alle spalle, con quel freddo pungente e quell’odore agre e muffoso, che ti rincorrevano, o meglio: correvano contro i nemici. Si riversarono come una marea verde sul gruppo di orchi e in pochi secondi vennero sterminati; Legolas riuscì a levare la vita a due di loro e sorridente aprì le labbra per gridarlo al nano, ma il suo divertimento giunse al termine quando, con la coda dell’occhio e un suono prorompente, vide un’ombra troppo grossa per essere quella di un semplice Nazgul. Allora, si fermò per un secondo e spostò gli occhi verso nord: due draghi stavano per attaccare e lui sapeva a chi appartenevano.
 





 
°     °
 
 




Ci siamo, pensai, o vinciamo o periamo. Sotto di me sentivo le urla degli uomini innalzarsi numerose, le grida degli orchi echeggiarmi nei timpani e gli strilli di quelle viscide creature farmi fremere fin dentro le ossa. I Nazgul volavano sopra l’immenso campo di battaglia, intriso di odori pungenti e agri come quello del sangue, e mietevano vittime. Grandi Olifanti distruggevano ogni cosa e, con le loro enormi zanne, facevano volare i cavalieri di Rohan, oppure li calpestavano. Dall’altezza in cui mi trovavo il vento tirava forte e portava con  se i lamenti provenienti da Gondor. Voltai la testa verso la città e la trovai in fiamme e distrutta: la magnificenza e la casa dei grandi Re del passato era andata distrutta.  Un moto di rabbia mi crebbe dentro, mentre sentivo uno strano calore invadermi il petto e lo sguardo macchiarsi di rosso. Per una volta, avevo deciso, avrei lasciato libero il guardiano domato. Avrei lasciato che distruggesse ogni nemico che si sarebbe trovato sulla nostra strada e Turon sembrava apprezzare questa cosa.
« El! » Il grido di Fanie arrivò troppo tardi.  Con velocità, girai di scatto la testa in tempo per vedere uno di quegli esseri volanti venirmi addosso di traverso. Aveva il corpo reclinato all’indietro e i fievoli raggi solari, che scaturivano attraverso le nubi, gli illuminavano il ventre grigio e viscido facendolo quali sembrare traslucido. Le lunghe zampe artigliate si arpionarono al fianco sinistro di Turon e i grossi denti affondarono nella carne alla base del suo collo.  Il grosso dragone ruggì di dolore e, a causa del potente urto, girò su se stesso perdendo possesso del vento che ci aiutava a stare in volo. Volteggiammo con tanta forza nell’aria, mentre i volti dei due animali tentavano di azzannarsi a vicenda, che pensai avremmo causato un tornado. Mi strinsi alla sella e lasciai libere le redini, che tenevano i movimenti del dragone a freno. In pochi istanti un potente schiocco mi fece intuire che Turon le aveva distrutte e ora niente l’avrebbe fermato dal distruggere quell’essere. Le mascelle del mio drago si chiudevano e aprivano con forza nella direzione del Nazgul, che stava ben attento a non farsi prendere, mentre con forza sbatteva le ali per tentare di mantenersi dritto. Sentivo il suo sangue caldo colarmi dentro lo stivale e inzupparmi la gamba, e lo vedevo scivolare sulla sua spalla e precipitare verso il basso. Scrocchiai le nocche e il collo e, allungando una braccio verso quell’orrendo animale, aprii il palmo; il solito calore si sprigionò nelle mie vene, inondandomi di un tepore interno che mi fece chiudere gli occhi per un secondo. Tutto sembrò fermarsi e andare in stallo, mi concentrai sul fulcro del mio potere, che risiedeva nel mio cuore di cenere, e respirai a fondo: quando riaprii gli occhi un lampo rosso oscurò la mia vista e poi scomparve. Spinsi in avanti il palmo e una palla di fuoco mi bruciò la pelle prima di andare a segno: l’essere che il Nazgul cavalcava beccò la palla dritta nel petto. Le fiamme bruciarono il suo torace e vi lasciarono un buco mentre questo gridava, si dimenava e perdeva quota.
« Uccidilo! » Strillai in un moto di furia ceca, e Turon ruggì al di sopra della battaglia e si gettò in picchiata alla sua rincorsa. Le raffiche di vento create dalla veloce discesa mi costrinsero a socchiudere le palpebre e così mi ritrovai solo in grado di vedere il Nazgul agitare le mani, in cui erano ancora strette le redini, per tentare di far rialzare il proprio animale che bruciava, letteralmente, vivo dentro. Non mi importava di molto in quel momento, se non di prendere quell’affare e spezzarlo in due come uno stuzzicadenti. Finalmente, quando Turon riuscì ad avvicinarsi abbastanza, allungò gli artigli delle ali sul suo collo e lo tirò a se chiudendo le fauci attorno al suo collo, in una morsa letale. Le ossa dell’essere gracchiarono e si spezzarono con semplicità a contatto con le mascelle del dragone e metà del suo collo volò nel vuoto: gli occhi vitrei e le mandibole aperte. Il sangue che colava dal taglio prominente. « Lo so che puoi sentirmi, maledetto! Guarda cosa posso fare a te e le tue armate! » Strillai contro il cielo tutta la mia rabbia e frustrazione diretta a Sauron, che sapevo stava guardandoci dalla sua inutile rocca cupa. La sua ossessione per il potere, di quell’anello, e il controllo l’avevano ridotto a diventare a un mostro che non si sarebbe fermato davanti a nulla. Non aveva dichiarato guerra alla Terra di Mezzo perché voleva comandarla, certo che no: lui l’aveva fatto perché voleva sterminare gli uomini e dominare incontrastato senza dover dividere nulla con nessuno. « Non vincerai mai questa guerra! Dovessi passare sul mio cadavere! » Poi, allungando le braccia verso il Nazgul lanciai una fiammata. Le fiamme rosse si sparsero nell’aria attorno a me: alcune correndo alle mie spalle a causa del vento forte, altre arrivando a destinazione e infiammando il corpo dello stregone.
Finiscilo. Ordinai con freddezza e Turon, lasciata andare la carcassa dell’essere, si avventò sul corpo del Nazgul stringendolo fra i denti. L’urlo di quella creatura mi fece rabbrividire e stringere i denti; strillava con tanta forza da farmi pensare che da un momento all’altro tutta la mia testa sarebbe esplosa. A un tratto, poi, tutto cessò e il mio dragone lasciò cadere nel baratro della morte quella carcassa muta che si accartocciò  su se stessa fino a scomparire.
« Bravo. » Mormorai col fiatone. Non mi ricordavo quante energie sprecassi usando così tanta forza; non avevo più l’anello che mi aiutava ora, dovevo stare attenta.
E non è ancora finita. Esultò soddisfatto il drago. Non sembrava gli pesassero quelle sue ferite, quasi fossero inesistenti. Mi domandai perché quand’era stato ferito io non avessi sentito nulla, ma mi dissi che era normale: nemmeno con Titano all’inizio provavo dolore quando si feriva. Serviva tempo ed ero contenta che succedesse così lentamente, almeno non avevo dovuto sopportare il dolore di quei denti lacerarmi la carne. Che facciamo?
« Fanie? Dov’è Fanie? » Domandai velocemente. Mossi la testa in tutte le direzioni ma non la vidi: dov’era finita?
Sono dentro le mura a respingere gli attacchi! Come se ci avessero letto nel pensiero, ecco l’enorme drago doro innalzarsi oltre le mura e, con le zampe ricche di orchi e troll, venire verso di noi. Lungo la strada lasciò cadere il carico, che con grida e stridii cadde a terra morto. Gli occhi neri della dragonessa si fissarono su di noi e in pochi istanti ci raggiunsero. L’elfa aveva il volto e la corazza sporca di sangue nero, la treccia bionda, però, era ordinata e intatta.
« Ne ho uccisi più che potevo. » Mi ragguagliò ansante e riuscii a sentire il suo battito cardiaco aumentare persino da li, sebbene ci fosse molto frastuono.
« Dobbiamo ricorrere all’artiglieria pesante. » Affermai, mostrandole una fiammella viva che sostava sul palmo. Lei scosse il capo e i capelli biondi luccicarono sotto il tenue sole.
« Ne uccideremmo troppi dei nostri, credimi meglio di no. » Affermò, nel mentre muoveva la testa a destra e sinistra per controllare la situazione. « Meglio se facciamo lavoro di gruppo. »
 
 




°    °
 
 




Legolas corse contro l’olifante, evitando che le lunghe zanne appuntite e guarnite di speroni lo colpissero. Con un salto ben calcolato il giovane elfo saltò su una di esse, si aggrappò a una corda e, poi, si ritrovò stretto ad una delle grandi zampe dell’animale. Intorno a lui continuava a infuriare la battaglia, e le grida si levavano alte. Grida disperate di uomini che combattevano per rendere la terra un posto migliore per i propri figli, che molti non avrebbero visto nascere o crescere. Chissà se lui avrebbe mai visto sua figlia crescere, se sarebbe sopravvissuto anche a quella battaglia. Certo, avevano l’esercito dei morti dalla loro ma chi poteva assicurargli che qualche orco, o troll, o Nagul non l’avrebbero ucciso all’improvviso? Tentando di levarsi quelle idee dalla mente, e tornando a tenere il conto delle persone uccide in più rispetto a Gimli, si arrampicò sulla zampa dell’animale; quando arrivò in cima prese a scoccare frecce contro i nemici.
« 33, 34… » Aveva il fiato corto, ma doveva distrarsi; doveva combattere contro la voglia di alzare gli occhi al cielo e scrutarlo per vedere cosa stesse facendo la sua compagna. Temeva per la sua vita, sebbene cavalcasse un drago. Con una mossa abile evitò tre nemici, che caddero nel vuoto sottostante, si appese a una corda e dopo aver penzolato per qualche secondo fra le gambe dell’animale riuscì a tagliare il sotto pancia che lo abbracciava sul ventre. Gli uomini che risiedevano sulla grossa sella-fortezza  gridarono e precipitarono, finendo a terra dove il fiume di morte verde gli attendeva. Il principe gettò loro un’occhiata e poi tornò a concentrarsi sull’animale: estrasse tre frecce dal fodero e, facendo molta attenzione a non cadere, corse sulla sua schiena fino ad arrivare alla testa, dove scoccò i dardi. L’animale barrì e le sue zampe anteriori cedettero, dando così a Legolas l’opportunità di scivolare lungo la proboscide e toccare il suolo. Davanti a lui Gimli s’accigliò, e così il principe gli fece un cenno divertito con la testa.
« Comunque conta per uno! » Ringhiò il nano, tornando a combattere. Le sue grida si perdevano nel campo di battaglia. Aragorn, accanto a lui fendeva corpi su corpi, finché non c’è ne furono più. La marea verde divorava tutti i rimasti e i due dragoni distruggevano gli olifanti che tentavano di scappare, con ancora le persone a bordo. Legolas li guardava: volteggiavano nell’aria come fulmini doro e nero, bellissimi e al contempo pericolosi. S’incrociavano in volo e strappavano a metà gli animali con una forza e una cattiveria tale da spaventare persino lui, che sapeva combattevano dalla sua parte. Proprio in quell’istante, prima che se ne rendesse conto e potesse fare qualche passo verso sinistra, la metà anteriore di un olifante gli attirò accanto, e lui si ritrovò a pochi millimetri da una zanna bianca e coperta di filo spinato.
 
 


°    °
 
 



Lanciai uno sguardo a Gondor, dove una marea verde si stava riversando, e gridai felice. La città era stata distrutta, ma non conquistata dal nemico. Avevamo vinto e questo significava che Sauron aveva torto, che la sua guerra stava per concludersi e lui non avrebbe vinto. Sentii il petto gonfiarsi di gioia e lasciai che Turon atterrasse per riposarsi. Quando toccai il suolo con gli stivali le gambe mi cedettero, e per restare in piedi dovetti aggrapparmi ad una staffa. Non mi ricordavo che stare seduta per così tanto, alla fine, mi avrebbe intorpidito le gambe in quel modo. Con una smorfia sganciai i lacci dell’armatura e la lasciai ricadere a terra, fra la polvere e il sangue. L’aria umida e pesante mi accarezzò la pelle, facendomi venire la pelle d’oca, e mi affaticò i polmoni. Chiusi gli occhi, abbandonando la schiena contro la sella e gettando la testa all’indietro, tentando di calmare il calore nel mio petto. Turon si voltò verso di me e piegò leggermente il volto, osservandomi con quegli occhi neri e profondi come pozzi di catrame. Gli sorrisi e, per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, mi avvicinai al suo muso per accarezzarlo. Una nuvola di vapore si alzò dalle sue narici, bianca e calda, e si disperse nella nebbia che era andata a depositarsi sul campo.
« Sei stato fantastico. » Ammisi, reggendomi a lui pur non capendo il perché di tanta debolezza.
Grazie. La sua voce potente rimbombò nella mia testa, fiera e felice. Um, uh, hai visite. Una ventata d’aria mi spettinò i capelli e poco dopo ci pensò un abbraccio a tenermi in piedi. Il viso di Fanie affondò nella mia spalla e la sua morbida presa mi circondò come una coperta. Le squame della sua corazza mi graffiarono leggermente una guancia, ma ci feci poco caso e ricambiai la stretta: non m’importava delle apparenze, in quel momento ero felice di vedere che lei stava bene, così come il suo drago.
« Stai bene? Non hai una bella cera, sai? » Mormorò apprensivamente lei quando ci staccammo. Le sorrisi, alzando le spalle come se nulla fosse accaduto e mi passai una mano fra i capelli, slegandoli per poi rilegarli. Mi faceva male il petto, pulsava e bruciava ma non volevo allarmare nessuno, non mi sembrava il caso ora che la guerra era appena finita.
« Sono solo un po’ stanca, sai com’è: non combatto tutti i giorni. » Mi giustificai, sperando si bevesse quella cavolata. Prima che potesse rispondere, però, i suoi occhi corsero alle mie spalle e le sue labbra si serrarono in un muto sorriso.
« Di tutte le persone più cocciute e permalose che ci sono… sono felice che tu sia venuta. » Borbottò a un tratto una voce rude alle mie spalle. Un grande sorriso so aprì inconsciamente sulle mie labbra e, quando mi voltai, e trovai Gimli davanti a me non potei fare a meno di pensare a quanto ero felice di vederlo. Aveva ancora l’armatura indosso, e la barba era in perfetto stato. Mossi un passo verso di lui ma, non appena feci cenno di abbassarmi per abbracciarlo, lui mi fermò facendo un passo indietro. « Più tardi, ora non credo sia il momento, sai », con un cenno della testa m’indicò poco più dietro di lui. Legolas stava arrivando a passo spedito, i lunghi capelli non ondeggiavano al vento come al solito ma restavano fermi sulle spalle, quasi fossero fatti doro. Sospirai e, capendo il motivo del suo spasso spedito e della sua mascella tesa, aggirai il nano e mi dimenticai di Fanie. Ogni passo che facevo nella direzione dell’elfo era un macigno sulle mie spalle; sapevo di averlo fatto arrabbiare, e tanto anche. Arrivai davanti a lui e osservai il suo petto alzarsi e abbassarsi con regolarità, mentre i miei occhi si alzavano fino a incontrare i suoi. Socchiusi le labbra quando mi accorsi che erano freddi, distanti, di un colore neutro qual è il grigio vetro. Non avevano emozioni, ne anima: erano semplicemente spenti.
« So cosa vuoi dire e hai ragione, sono stata avventata ma… » Prima che completassi la frase lui si fece cupo in volto, più di quanto non lo fosse già, e digrignò i denti. Sembrava cattivo, come se si sentisse tradito, o peggio: deluso.
« Ti avevo chiesto una sola cosa, El, una sola: ed era di restare a Edoras per non farti del male e proteggere la vita del bambino. » I suoi occhi corsero alla mia pancia appena accennata. Risucchiai le guance all’interno della bocca e le morsi, abbassando il capo non riuscendo a sostenere il suo sguardo accusatorio. « Perché non mi dai mai retta, perché?! Quel Nazgul poteva ucciderti, se Turon non fosse riuscito a reagire ora saresti morta! »
« Si, ma non lo sono! Sono qui, di fronte a te e come puoi constatare sto b… » Il respiro mi si smorzò in gola, quando all’improvviso un dolore si espanse nel mio petto e nel mio ventre. Sgranai gli occhi, smettendo di parlare e portai una mano alla pancia. Legolas s’irrigidì e, abbassando la facciata da “Figlio di Thranduil”, si avvicinò a me poggiandomi le mani sulle spalle. « Qualcosa non va. » Sussurrai impaurita, sentendo le gambe cedere.
 « Cosa c’è che non va? El, cos’hai? » Chiese ansioso, passandomi una mano dietro al suo collo.
« Col bambino, qualcosa non va col bambino. Mi fa male la pancia e il petto brucia. » Il mio respiro si fece irregolare e la paura di poter perdere mio figlio s’impadronì di me. Legolas aveva ragione: non sarei dovuta andare in battaglia alle mie condizioni, avevo permesso a tutti di prendermi di mira e farmi del male senza pensare al bambino. Io stessa avevo creduto che non gli sarebbe successo nulla. Che stupida che ero.
« El, c’è la fai a camminare? » Sussurrò poi apprensivamente. Scossi il capo e strinsi un lembo della sua tunica verde.
« Legolas ho paura, non mi sento bene. Legolas, aiutami, ti prego, ti prego ho paura. » Cominciai a borbottare, sebbene quelle cose non fossero nel mio stile. L’elfo piegò le gambe e passò un braccio sotto le mie ginocchia, per poi prendere a camminare con velocità verso Gondor.
« Andrà tutto bene. Starai bene e anche il nostro bambino: Gandalf saprà cosa fare. »



 
Visto che sei arrivata fino a questo punto
spereca due minuti e
RECENSISCI QUESTA STORIA


Ciao Peipeeeee :3
Mi siete mancate molto, ziii! Che ne dite di cvesto captilo molto sancvuinario? Vi è piaziuto?
Gollum! Gollum!
Ma com scrivi Eleonroa? Ti sei ridotta al transivanico?
Ok, ora la smetto perché sennò vi spavento e non va bene. Anyway: sul serio, che ne dite? Troppo scontato? (Dio, se solo penso che mancano 3/4 capitoli alla fine mi sparo. Non voglio finisca: e se facessi capitoli da una riga? )
Vado, mucho love.

Isil

 

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Capitolo 22
*** Certezza di morte, scarse possibilità di successo: che cosa aspettiamo? ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.   


“Dice agli altri di resistere, quando è proprio lei che sta per crollare.”
 

 
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Il cielo era sereno quel giorno, non una nuvola solcava l’azzurro di cui era dipinto. Gli alberi se ne stavano comodi, a crogiolarsi sotto il sole mentre le loro foglie verdi frusciavano a qualche ventata occasionale. I primi boccioli stavano fiorendo, adornando le chiome colorate, e qualche farfalla svolazzava di qua e di la sull’erba del prato. Poggiai la schiena ad un albero e presi a sfogliare il mio libro: le pagine frusciarono fra le mie mani e le parole stampate sulla carta intrappolarono i miei occhi. Accanto a me, la mia sorellina aveva iniziato a giocare con le sue barbie; le lanciai un occhiata e inarcai un sopracciglio. Non avevo mai approvato il fatto che lei giocasse con quelle specie di “ragazze perfette” plastificate, per il semplice fatto che, durante la crescita, avrebbero potuto innescargli nel cervello strane idee. Sul telegiornale vedevo troppe volte storie che andavano a finire male e il tutto era iniziato a causa di un qualche paragone sulla magrezza.
« Non giocare con quelle streghe, leggiti un libro che è meglio. » Borbottai e lei si voltò a guardarmi. I suoi occhi chiari m’incenerirono all’istante, come se avessi appena bestemmiato. Arricciai il naso e le feci la linguaccia. « Guarda che se fai la cattiva, i Goblin ti verranno a prendere e ti mangeranno. » Lei gridò e, alzandosi velocemente, corse da nostra madre che stava seduta poco più in la. La seguii con lo sguardo, finché non si gettò fra le sue braccia e nascose il viso contro il suo petto.
« Mamma! » Strillò, agitando i piedini come un’elica impazzita. « Mamma! Mamma! » Le tirò i capelli, costringendola così ad abbandonare la sua lettura e prestargli attenzione. Sgranai gli occhi e riaprii in fretta il libro, nascondendo il mio volto fra le pagine de “Lo Hobbit”. Purtroppo, quella piccola arpia sapeva come fare ad ingraziarsi nostra madre e così mi subii una bella lavata di capo. Sbuffando, abbassai il libro e sorrisi a mia madre, che non perse l’occasione per fulminarmi con le sue iridi scure.  Successivamente, alzò gli occhi al cielo e sorrise. La osservai e rimasi a guardare le sue labbra piegate verso l’alto e le fossette ai loro lati. Era bella mia madre, almeno per me sarebbe sempre rimasta la donna più bella del mondo: con quella sua voglia di vivere e di crescere due figlie così agitate, come me e mia sorella. Dopo poco si alzò, tenendo mia sorella fra le braccia e mi diede le spalle, dirigendosi all’auto. Tentai di alzarmi ma qualcosa non me lo permise. Affondai i palmi nell’erba verde e spinsi verso l’alt,  ma sembravo come incollata al terreno.
« Mamma. »  La chiamai, ma lei parve non accorgersene. « Ehi, mamma… » Ancora non mi ascoltò e continuò ad allontanarsi. Colta dal panico iniziai a dimenarmi, ma non riuscivo a far nulla se non del male a me stessa. Attorno a me, intanto, tutto stava diventando scuro e  un intensa nebbia cominciava a diramarsi fra gli alberi in fiore, che perdevano le foglie e diventavano neri; come se un fuoco invisibile li avesse bruciati, divorati dentro. « Mamma! » Strillai, continuando a guardarmi attorno. La nebbia divorava ogni cosa e persino la figura di mia madre stava scomparendo dentro di essa. Graffiai il terreno, ora fangoso, e m’issai sulle gambe nonostante sembrasse una cosa impossibile; la pressione voleva schiacciarmi a terra. « Mamma! » Urlai, ma nessuno mi rispose. « Mamma! »
« E’ inutile che urli, lei non ti sentirà. » Una voce rimbombò nell’aria, cupa e roca. « Nessuno può. » Non ci misi molto a riconoscerla, dato che il proprietario non si fece problemi a mostrarsi a me. Una figura si erse nell’ombra: i capelli corvini gli arrivavano alle spalle, la pelle chiara contrastava con il nero e il verde smeraldo dei vestiti, mentre gli occhi rossi parevano due fuochi accesi.
« Sauron. » Sibilai, riducendo le palpebre a una fessura. La mia mano lottò contro la forza di gravità e toccò il mio fianco in cerca dell’elsa della mia spada, ma lo trovò vuoto. Le dita  accarezzarono la stoffa dei jeans e nulla di più. L’uomo rise sinistramente, facendo qualche passo nella mia direzione pur tenendosi a debita distanza. « Cosa ci fai qui? »
« Tua madre, suppongo. » Ignorò completamente la mia domanda e si guardò alle spalle, nel punto esatto in cui mia madre era scomparsa assieme a mia sorella nella nebbia. « Splendida donna, davvero. Ti assomiglia molto, sebbene tu abbia un aspetto più felino. » Ancora i suoi occhi rossi si puntarono su di me. Sostenni lo sguardo, senza mai lasciarlo cadere e rizzai le spalle il più possibile; la forza di gravità, adesso, mi schiacciava contro il tronco dell’albero. Ad essere sinceri, non credevo si trattasse proprio di quello: pensavo più che fosse Sauron a manipolarmi. Conoscevo i suoi trucchetti, sapevo cos’era in grado di fare. « Mi chiedo se sia brava come te nel combattimento, magari… »
« Non pensare neanche a sfiorarla, o ti strapperò gli occhi con le mie mani. » Ruggii aggressivamente, spingendo in avanti le spalle. Sbattei le palpebre e, quando riaprii gli occhi, le mie iridi si colorarono di rosso come la mia vista. Lui rafforzò la mia spinta contro la corteccia.
« AH! » Uno sbuffo gli solcò le labbra, mentre le sue gambe si muovevano verso di me. La pelliccia nera che indossava sempre ondeggiò alle sue spalle e sotto di essa dei serpenti neri strisciarono; non era la prima volta che vedevo qualcosa di simile manifestarsi. Doveva essere qualche trucco che Sauron usava per non farsi cogliere di sorpresa: serpenti di cenere che attaccavano chiunque quando tentava di ucciderlo. « Mi è sempre piaciuto questo tuo aspetto animalesco/aggressivo, sai? Tiri fuori gli artigli, wroar. » Mimò, con la mano, il movimento di un leone che muove la zampa come per prendermi in giro. Digrignai i denti indignata.
« Ah, si? Allora perché non la smetti di tenermi incollata all’albero così ti mostro anche quando sono animale dentro? Potrei fare un bel lavoretto sulla tua faccia con i miei artigli. » Lo minacciai, con aggressività, prima di sputargli in faccia. Lui inveì contro di me e si passò il dorso di una mano sulla guancia, pulendosi dal mio regalo viscido.
« Sei così insolente, ragazzina! » Strepitò. « Prima non lo eri. Dimmi, è il tuo amore per quello stupido elfo ti ha, per caso, fatto perdere le buone maniere? » Smisi di dimenarmi e sbattei le palpebre, sorpresa da quella sua domanda. Allora era per questo che era venuto qui – se mai ci fosse stato un “qui” da qualche parte -. Osservai i suoi occhi e, per un attimo, mi parvero azzurri. Un azzurro/grigio tanto lontano e freddo, spento e triste, che raccontava di una vita passata e di molte delusioni subite. Per un istante mi sentii triste per lui. Mentre quegli occhi all’apparenza grigi mi osservavano; era come se avesse abbassato le sue difese senza saperlo. Come se lui non si accorgesse di nulla. « Dannazione, mi dici perché non puoi amarmi? Mi puoi dire perché lui è riuscito a farsi amare da te e io no? Dove ho sbagliato? » Strillò ad un tratto, frustrato.
Chiusi gli occhi, mentre le sua voce iniziava a rimbombare attorno a noi. Le sue parole smuovevano l’aria umida e facevano fremere la nebbia. Sentivo l’umidità penetrarmi nelle ossa, come quelle domande taglienti.
« Perché lui mi fa stare bene. » Mormorai, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
« E io no? Non sei stata bene con me? » La sua mano si poggiò sul mio collo, facendomi fremere. Non l’avevo nemmeno sentito avvicinarsi.  Mi sentivo una vigliacca, in un certo senso mi sentivo come se l’avessi usato; come se lui fosse stato un passatempo quando litigavo con Legolas: ed era così. Avevo giocato col fuoco e, facendo si che lui si avvicinasse tanto, ora mi stavo bruciando. I suoi occhi rossi mi fissavano in attesa di risposte; in quel momento non mi sembrava nemmeno l’elfo cruento e crudele che aveva minacciato di morte me e il mio bambino. Non pareva l’essere che aveva dichiarato guerra alla Terra di Mezzo, portando morte e desolazione. Sembrava solo un uomo distrutto e solo, che tenta di aggrapparsi all’unica speranza che lo tiene in vita.
« Sono stata bene, è vero. Ma non ti amavo. » Sussurrai. « Eri solo un passatempo. » In un moto di rabbia strinse la presa sul mio collo e mi costrinse ad alzare la testa. I miei capelli si incastrarono nella corteccia e lui attanagliò con tanta forza la mia pelle che, invece di un grido, riuscii solo a rantolare. Alzai, con sforzo, le mani fino a stringergli i polsi e provai a scalciare: era così dannatamente forte. Ingoiai un fiotto di saliva e rantolai ancora. Mi mancava l’aria e quella poca che riuscivo a respirare era melmosa; mi affaticava i polmoni.
« Ero un passatempo, è questo che sono stato per te? Solo un passatempo!? » Gridò, a pochi centimetri dal mio volto. I due fuochi che aveva dentro gli occhi divamparono. Avevo una paura tremenda, non per me, io sapevo che potevo cavarmela in qualche modo, ma per il bambino dentro di me; sentivo il mio petto infuocarsi: come se dentro di me stessi bruciando. « Io ti amata e ti amo, ma sono solo un passatempo! » Mi lasciò andare e ripresi a respirare, poggiando la schiena all’albero alle mie spalle. Sauron mi diede le spalle, per poi infilarsi una mano in tasca. Quando l’estrasse, qualcosa brillò al suo interno. L’oscuro signore voltò il viso nella mia direzione e alzò l’angolo della bocca di poco.
 
Osservo l’anello al mio dito e sento la rabbia crescere dentro di me. Quel piccolo cerchio d’argento mi ha procurato solo danni; mi ha fatto uccidere mia sorella. Non voglio che uccida il mio bambino, non voglio che gli faccia del male. Vibra al mio dito, rubandomi energie preziose.
“Tu sei il primo pericolo per tuo figlio”.
Il vuoto dentro il mio petto è desolante, arido e io mi sento così sola. Con rabbia estraggo l’anello e lo lancio contro il vetro dello specchio che si frantuma in mille pezzi.
 
« Te lo ricordi questo, si? » Sorrise malefico Sauron. Fra le lunghe dita si stava rigirando l’anello di Isil, il mio, e l’osservava con avidità e divertimento. Il mio petto si alzò con più velocità, affanno e sorpresa. Cosa ci faceva con quello in mano? « Certo che lo ricordi: l’hai lanciato contro uno specchio e poi l’hai dimenticato li. » Mi lanciò un occhiata veloce, prima di far scivolare l’anello nel palmo della mano. « L’aveva preso in custodia il tuo amico stregone…Gandalf! »
 
Lo stregone parve come risvegliarsi da un sonno durato anni. La barba bianca fruscia contro il suo petto scompigliandosi. Qualcosa brilla contro luce, ma lui lo nascose velocemente.
 
« Sai: il tuo amico Gandalf l’ha perso durante l’attacco ai miei Nazgul. Non se n’è nemmeno accorto, da tanto che aveva alzato il suo bastone per salvare il figlio del sovrintendente di Gondor. Sfortunatamente per lui, uno dei miei nove l’ha preso e me l’ha portato. » Un lampo gli attraversò lo sguardo. « Quanti ne avete uccisi tu e mia sorella a proposito? 3 – 4? »
« Quattro, se conti anche quello ucciso da Eowyn. » Sibilai.
« Li avete quasi dimezzati, quindi. E io che credevo fossero i nove guerrieri migliori della Terra di Mezzo. » Sborbottò, stringendo il palmo. Un intenso dolore mi affiorò nel petto e io gridai. « Ah, dunque sei ancora legata al potere di Isil. » Osservò, stringendo il cerchio d’argento; il dolore si intensificò. « Sai, la cosa buffa è che mentre tu come passatempo usavi me, io posso usare te e chi ami. » Dal nulla della nebbia comparve un’altra figura. Avanzò incerta, costretta, e si fermò davanti a me. I lunghi capelli castani di mia madre volteggiavano in aria, mentre anche lei si alzava; al suo dito brillò il mio anello. Socchiusi le labbra e inorridii: cosa voleva fare Sauron?
Un pensiero solcò la mia mente e io gridai in preda al panico: « Non puoi farlo! No! »
« Tu mi hai usato, hai giocato con quello che più aspettavo: l’amore. E ora io giocherò col tuo. »  Detto questo, alzò una mano verso l’alto e mia madre gridò. Fu come se il mio petto fosse esploso: gridai a mia volta. Mi dimenai, scalciai, gettai in avanti ma era tutto inutile: lui mi teneva incollata al tronco. Era straziante vedere mia madre venire torturata, sentire il mio petto andare a fuoco, e non poterla salvare. Una lacrima solcò il mio volto quando lei strillò con più forza e poi si accasciò al suolo, morta. Socchiusi le labbra e la osservai. « E’ un peccato che non sappia resistere al dolore. Era una così bella donna. » Sauron le accarezzò il volto con dolcezza, ed estrasse l’anello dal suo dito. Inveii contro di lui e urlai, mentre lacrime solcavano il mio volto accaldato. Erano come lame che tagliavano la mia carne, affilate e precise. « Tutto quello che è stato fatto può essere disfatto. Così come una vita umana e, io credo, che sia ora che pure tu la segua. Hai vissuto già troppo a lungo. » E con un colpo di mano, chiuse le dita attorno al cerchio d’argento; una luce scaturì dagli spazi delle sue dita e io mi sentii morire. I suoi occhi rossi furono l’ultima cosa che vidi.
 



°    °
 
«

El! El, per carità svegliati! El, non lasciarmi solo.  Gandalf, aiutami! » Due mani mi smossero con violenza e si bloccarono quando socchiusi le labbra per respirare. Con lentezza aprii i miei occhi e sentii le mie guance umide di pianto. La prima cosa che vidi furono le iridi azzurre di Legolas, talmente vicine al mio volto che potevo distinguere ogni piccola sfumatura al loro interno. Le sue labbra inspirarono aria e sospirarono, sollevate. Con gentilezza, poi, fece passare le sue braccia attorno alle mie spalle e mi strinse a se. « Mi hai spaventato, non ti svegliavi più. » Sussurrò al mio orecchio.
« I-io cosa? » Chiesi disorientata, passandomi il dorso si una mano sotto gli occhi, per asciugare le lacrime che ancora cadevano. Continuavo a sentire gli urli di mia madre e vedevo il suo corpo morto a terra. Sauron che sorrideva e schiacciava l’anello fra le dita, ponendo fine alla mia vita. Ingoiai un fiotto di saliva e lasciai che le mie iridi vagassero per la stanza in cui ci trovavamo; non era molto grande, ma era intatta al contrario delle case che potevo vedere da fuori una piccola finestra. Io ero seduta su uno scomodo letto di legno e paglia e non c’era mobilio. L’aria era fredda ma il calore di Legolas riusciva a scaldarmi le ossa infreddolite.  
« Sei svenuta, El. Non lo ricordi? » Gli occhi azzurri del principe mi osservarono. Dovevo avere un aspetto tremendo, visto quanto mi ero mossa tentando di contrastare il potere di Sauron.
« S-si. Si, lo ricordo. » Sussurrai, osservandomi le mani per un istante. Come mai ero ancora viva? Insomma, ogni volta che sognavo, o meglio avevo collegamenti con Sauron, tutto era reale dal  dolore, alla felicità. Allora perché non ero morta, come il signore oscuro aveva previsto? Mi toccai il ventre e l’accarezzai: la pancia c’era ancora e questo era un buon segno. Il mio bambino era forte e non si era arreso.  
« Come ti senti? » Voltai la testa verso l’elfo e mi portai una mano al petto, accarezzandolo. Formicolava un poco, ma non faceva più male come prima. Sotto la pelle accaldata qualcosa si mosse: un battito mi fece trattenere il respiro.  « Tesoro? » Spinsi di più il palmo contro la pelle e rimasi in attesa. Piano piano il cuore iniziava a battere, pompare regolarmente come aveva fatto prima che Titano morisse.
« Legolas, dammi la mano. » Lo pregai, allungando un braccio verso di lui con il palmo rivolto verso l’alto. Il principe piegò leggermente il capo verso sinistra ma fece quello che gli avevo chiesto. Quando le sue dita sfiorarono le mie, un piccolo fremito mi corse su per la spina dorsale.
« Cosa c’è? » Mormorò, lasciandomi poggiare la mano sul mio petto. I suoi occhi rimasero incollati ai miei per un lungo istante, prima che io sorridessi.
« Ascolta. » Gli chiesi soltanto, lasciando che ogni cosa cadesse nel silenzio. Lui rimase muto, mentre all’esterno della stanza potevo sentire i pianti delle donne che avevano perso i mariti e i figli, oppure le loro gioie nel ritrovarli. Riuscii a distinguere persino i passi veloci di Gandalf; non era difficile distinguerli da quelli degli altri.
 « Batte, non è così? Il suo cuore, batte. » Lo stregone si materializzò davanti a me, sorridente. Aveva fatto un bagno, perché la sua barba e i capelli erano bianchi e splendenti, e gli occhi chiari brillavano di felicità. Appoggiandosi al bastone rimase a osservare il viso di Legolas, che ora aveva spostato lo sguardo verso di lui e sorrideva felice.
« Com’è possibile? Io credevo che… » La voce incerta dell’elfo, che spostava gli occhi da me allo stregone, rimbombò nelle pareti di legno.
« Sauron. Sauron ha distrutto l’anello di Isil e così ha ucciso anche l’ultima parte che mi teneva legata a lei. » Lanciai uno sguardo di fuoco a Gandalf, che abbassò per un istante il capo avendo capito che io sapevo. Quando, poi rialzò il volto ci sorrise.
« Sauron? » Sborbottò Legolas, infastidito nel sentire quel nome. Sbattei le palpebre e poggiai le mia mani sulle sue guance, sentendo il calore della sua pelle riscaldare la mia. Era così bello averlo accanto, essere riuscita a superare tutto e rivedere il suo volto; sebbene sapevo che non sarei mai riuscita a dimenticare la scena di mia madre.
« Si, ma stai tranquillo Legolas, te ne prego. Il bambino sta bene, non è questo quello che conta?  »
« Lo so, ma so anche che ogni volta che riesce a intrufolarsi nella tua mente ti fa del male. Se ha provato a sfiorarti, giuro, che partirò ora per Mordor e lo ucciderò io stesso e… » Avvicinai il volto al suo e premetti le mie labbra conto le proprie. Lui s’immobilizzò sorpreso e lasciò che le mie mani scivolassero sul suo collo, per poi unirsi dietro di esso. Quando mi staccai lui era ancora li, fermo immobile, ma le sue mani si erano posate sulla mia schiena e l’avevano stretta pronte a spingermi più vicini al suo corpo.
« La guerra porta molte disgrazie, giovane principe, ma anche qualcosa di bello, non è così? » Ridacchiò Gandalf, schiarendosi la voce.
« Non è successo nulla, fidati di me. »Sussurrai all’orecchio di Legolas, prima di issarmi sulle gambe.
 
 


°    °
 
 


La sala del trono, della città dei Re, brillava di una luce bianca e candida. Era una delle poche cose rimaste intatte a Gondor e tutti ci eravamo radunati al suo interno. Prima di entrare mi ero lavata e cambiata la casacca, che si era sporcata di sangue. Aragorn mi aveva abbracciata e osservata, e poi il suo sguardo era corso a Legolas che stava appena dietro di me. Il calore del suo corpo era inconfondibile, ma non eravamo qui per quella ragione: una guerra doveva ancora concludersi e avevamo bisogno di organizzarci. Ora che avevamo perso anche l’esercito dei morti, poi, avevamo ancora più bisogno di una strategia.
Gimli si era seduto su una sedia posta prima degli scalini che portavano al trono, e così io mi dovetti accontentare di quelli. Legolas si frappose fra noi, mentre Eomer affiancò il nano. La giovane elfa dai capelli bianchi si accomodò al mio fianco, mentre Aragorn preferì restare in piedi.
Gandalf prese a parlare ma, del suo inizio discorso, colsi solo: « L’oscurità sta aumentando. » Abbassai lo sguardo e osservai le mie mani. Le immagini di Sauron tornarono a navigarmi nella mente, come una barca sbattuta di qua e di la durante una tempesta. Pensai a Frodo e Sam e mi domandai se sarebbero mai riusciti a distruggere quel dannato anello e porre così fine all’esistenza del male.
« Se Sauron avesse l’anello lo sapremmo. » Annunciò sicuro Argorn.
« Sauron non ha l’anello. » Concordai, dopo aver poggiato gli avambracci sulle ginocchia ed aver alzato il viso in direzione di Gandalf. « Frodo e Sam non sono ancora stati scoperti. »
« E’ solo questione di tempo. » Rispose lo stregone. « Sauron, ha subito una sconfitta, si. Ma, dietro le mura di Mordor il nostro nemico si sta riorganizzando. »
« Su questo, non posso darti torto. Sauron sa quello che fa, non lo si può negare. » Fanie avevo preso parola ed ora si era alzata e aveva iniziato a camminare per la stanza. Eomer e Legolas la seguirono con lo sguardo.
« Che rimanga li, che marcisca! Perché interessarcene? » Sborbottò Gimli, facendo fuoriuscire dalle sue labbra una nuvola di fumo bianco e denso. Gandalf si volto verso di lui con occhi sbarrati e io feci lo stesso. Davvero credeva che l’oscuro signore non sarebbe tornato alla carica?
« Perché diecimila orchi, ora, si trovano tra Frodo e il monte fato. » Spiegò con semplicità lo stregone, lasciando che il nano si pentisse di quello che aveva detto. « L’ho mandato alla morte. » Sussurrò poi, a se stesso, l’uomo. Si, era vero: lui aveva mandato alla  morte Frodo e Sam, e tutti noi. Ma, così facendo, aveva anche permesso agli uomini di mobilitarsi e tentare di rimediare al danno di Isildur.
«  No. C’è ancora speranza per Frodo. » Aragorn si voltò a osservarlo, le mani incrociate al petto. « Ha bisogno di tempo, e di passare al sicuri attraverso le pianure. Questo possiamo darglielo noi. » Una strana idea m’increspò la mente. Osservai gli occhi azzurri del sovrano di Gondor e attesi che spiegasse, prima di dire la mia. Fanie fece lo stesso.
« Come? » Chiese Gimli.
« Attiriamo gli eserciti di Sauron, smuoviamo le sue terre. Poi raduniamo le sue forze e marciamo sul nero cancello. » Il nano, che stava fumando, per poco non si strozzò con la nuvola che gli uscì dalle labbra. Lanciai un’occhiata a Fanie e lei sorrise, assentendo con la testa. Socchiusi le labbra ma Eomermi si parò di fronte, oscurandomi la vista.
« Non possiamo vincere la battaglia con la forza delle armi. »
« Non per noi stessi: ma possiamo dare a Frodo una possibilità se teniamo l’occhio di Sauron fisso su di noi. » Poi, osservando Gandalf il re aggiunse: « Renderlo cieco ad ogni altra cosa visiva. »
« Un diversivo. » Mormorò Legolas.
« Io e Fanie possiamo tranquillamente are quello che hai in mente, Aragorn. » Mi issai in piedi avvicinandomi a lui. Tutti gli occhi dei presenti in sala erano rivolti a me e alla giovane elfa che mi aveva affiancata. « I nostri draghi posso facilmente volare attorno alla torre dell’occhio e confonderlo. Frodo avrà tutto il tempo che gli serve a disposizione. »
« Potrebbe pensare che sia una trappola. » Intervenne Gandalf. « Non abboccherà all’amo. »
« Allora potrei entrare nella torre e affrontarlo: è mio fratello e abbiamo dei conti in sospeso. Gli ho promesso che avrei tolto la vita dal suo corpo con le mie stesse mani e manterrò fede ad essa. » Propose Fanie. I suoi occhi grigi non erano mai stati più freddi e seri, come il suo tono.
« Certezza di morte, scarse possibilità di successo: che cosa aspettiamo? » Gimli sorrise, alzandosi dalla sedia. Gli gettai un’occhiata e sorrisi a mia volta, per una volta in accordo con lui.
« Io quoto il nano, cosa stiamo aspettando?  » Chiese Fanie, già in procinto di partire.
« Ci farai muovere con i draghi? » Domandai freddamente. Io non volevo tenere occupato Sauron, io volevo ucciderlo. Per tutto il male che mi aveva fatto.  Aragorn mi osservò per qualche secondo e poi sospirò, lanciando un’occhiata alle mie spalle. Sapevo che Legolas disapprovava ma io dovevo farlo, a qualunque costo.
« Solo, state attente. » Ci raccomandò, sorridendo brevemente.

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Capitolo 23
*** La fine. ***


You must go. ‘Cause it’s time to choose.     




“Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio. Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo per levarsene la voglia.
Perciò ama moderatamente: l’amore che dura fa così.”


-W.Shakespeare-

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Lanciai uno sguardo alle stelle che illuminavano la notte. Splendevano, mute e silenziose, e, sebbene sapessi che erano solo ammassi di gas informe, non potei fare a meno di domandarmi come dovessero sentirsi a stare così in alto, sole. Chissà se le riempiva il vuoto dentro, o se avevano sentimenti. Forse persino loro amavano, in un certo senso. Magari amavano la luna, che ogni sera d’estete vegliava al loro fianco sulla terra; o magari, molto più semplicemente, ridevano di noi, destinati a morire quando la felicità bussa alla nostra porta oppure vivere per sempre nel rimorso e nell’odio più totale.
La sala del trono di Gondor era vuota, a quell’ora tutti erano andati a dormire; in attesa della grande ultima guerra che si sarebbe tenuta davanti al Nero Cancello. Una mezza luna svettava tra le piccole luci stellari, mentre i suoi fievoli raggi entravano dalle finestre e illuminavano il pavimento, le mura e il trono, bianchi e neri. Le alte colonne nere reggevano il soffitto alto, qualche candelabro ancora acceso infondeva una luce spenta all’ambiente. Tutto sembrava messo in pausa, statico. Nessun rumore si alzava dall’esterno; persino i draghi avevano finalmente trovato pace, abbandonandosi ad un sonno risanatore, dopo aver banchettato con le carcasse degli olifanti rimaste sdraiate sul campo di battaglia. L’unico spostamento d’aria era causato dal mio respiro regolare. Poggiai una spalla ad una colonna liscia e poggiai le mani sul ventre, senza staccare lo sguardo dal cielo. Persino da sotto la stoffa riuscivo a sentire il calore della mia pelle e la linea accennata della pancia. Ormai era passato poco più di un mese da quella sera e avevo cominciato ad abituarmi a pensare a tutte quelle piccole cose che avrei dovuto fare finita la guerra: come comportarmi da mamma e smetterla di essere una ragazzina avventata e cocciuta. Ma un dubbio gravava su di me: ora che il mio cuore batteva nuovamente io ero immortale? Chiusi gli occhi e respirai profondamente, poggiando una tempia alla colonna fredda. Le mie dita continuarono ad accarezzare la pancia e il mio cuore a battere.
Stai bene? La tua mente è rumorosa, sai?  Turon s’intrufolò fra i miei pensieri, la sua voce potente mi fece aprire le palpebre e riprendere a respirare; non mi ero nemmeno accorta di aver smesso. Ingoiai un fiotto di saliva e passai una mano fra i capelli, prendendo lunghi fiati.
Scusa, mi dispiace averti svegliato. Mormorai e sentii la mia stessa voce rigida graffiarmi i timpani. Ero insicura e impaurita in quel momento, non sapevo nemmeno io com’ero riuscita a parlare così distaccatamente al mio guardiano.
Stai mettendo su la maschera da dura, per caso? Ringhiò in contrattacco il drago, e lo immaginai alzare la testa dalle zampe e digrignare i denti. Potevo udire la sua mente, eppure non mi era permesso di provare i sentimenti che provava lui. Non ti azzardare a mettere la maschera con me. io non sono uno dei tuoi stupidi amichetti bipedi: io posso leggerti nella mente, ragazza, e sapere a che pensi. Perciò, ora sputa il rospo. Il suo tono non ammetteva repliche. Ingoiai un altro fiotto di saliva a vuoto e scrocchiai le nocche. Dilatai la mente finché non udii forte e chiaro il suono di quella del dragone e rimasi muta per qualche secondo. Cosa gli avrei potuto dire? Quanto mi sarei potuta aprire con lui, sebbene fosse il mio guardiano? Un macigno enorme mi pesava sul petto; ero divisa tra dirgli mezza verità e tutta.
Ho paura. Le parole uscirono da sole dai miei pensieri, appena sussurrate. Ho paura di morire, Turon. Il mio cuore ha ripreso a battere e questo significa che sono  di nuovo umana, che la mia vita finirà fra qualche anno. Sarò costretta ad abbandonare Legolas e nostro figlio. Feci una pausa sentendo gli occhi bruciare e un silenzioso nodo stringersi attorno alla mia gola. Stavo realmente per piangere, sul serio? Io, che mi ritenevo un “cuore di ghiaccio” stavo per piangere così?  Non voglio lasciarli andare, dopo che ho lottato così tanto.
Tu desideri l’eternità, Eleonora. Ma, l’eternità è molto, molto tempo. Forse, una vita da umana sarà più completa e gratificante che una vita da elfo.
No, non è vero. Come potrò vivere in pace sapendo che potrei andarmene da un momento all’altro? La consapevolezza di lasciare chi amo sarebbe una maledizione per me. Voglio vivere, non voglio morire.
La morte, a volte, può essere come una sorella maggiore, sai? Ti prende fra le sue braccia e ti culla fino a farti addormentare equando ti svegli sei in paradiso, e vegli su chi ami dall’alto. La morte è una strada alternativa alla vita.
Io ho ucciso mia sorella. Ringhiai, e  al solo pensiero di Isil sentii le mani pizzicarmi.  Mi ha tradita e così ha pagato. Perciò, non voglio morire: non ci tengo a rivederla.
La vita immortale può essere triste, piena di rimorsi e delusioni sai? Continuò imperterrito sulla sua strada.
Non mi interessa, Turon. Voglio restare in vita, al fianco della persona che amo e di mio figlio e non  ambierò idea.
Lo so, sospirò rassegnato alla mia determinazione, e sfortunatamente avrai ciò che chiedi, El. Un drago è immortale, a meno che non venga ucciso prima, e così il suo guardiano. Sono come legati da un filo rosso: il loro legame è indissolubile. Le loro vite sono legate finché uno dei due non viene ucciso.
« El? » Sobbalzai, colta di sprovvista e mi voltai. Dall’ombra avanzò una sagoma, snella e alta. I lunghi capelli d’argento erano mossi e lasciati liberi sulle spalle, mentre la vestaglia bianca che indossava strusciava a terra; stretta in mano teneva una pergamena. Socchiusi le palpebre finché Fanie non passò davanti ad un raggio di luna e la pergamena brillò; era di un bianco pallido, sopra portava uno stemma verde e non era una pergamena ma una lettera. « Perché sei ancora sveglia? »
« Pensavo. Tu cos’hai in mano? » Mi staccai dalla colonna e avanzai verso di lei; le lunghe maniche della mia camicia da notte caddero e andarono a coprirmi anche le mani. Mi ero dovuta accontentare di quella per dormire, sebbene avessi chiesto un paio di pantaloni, e così ora dovevo fare a botte con lo strascico e la stoffa in più. L’elfa lanciò uno sguardo alla lettera stretta fra le lunghe dita e sospirò, allungando il braccio nella mia direzione. Tolsi la busta dalle sue mani e la rigirai fra le dita, osservandola con curiosità. Lo stemma era lo stesso dell’ultima lettera che avevo letto: un cerchio verde, con sopra incise le corna di un cervo.
Proveniva da Bosco Atro.
Alzai lo sguardo incontrando quello di Fanie e lei ingoiò un fiotto di saliva; era agitata. Rimanemmo ferme a osservarci, poi, con cautela, aprii la lettera e tornai a fissare le parole scritteci sopra.





Cara Fanie,

non so quanto tempo passerà ancora prima che io possa rivederti: forse non ci rivedremo più. Non so nemmeno quando e se ti arriverà questa lettera; il Re ha iniziato a far controllare tutta la corrispondenza, ignorando le lamentele del suo popolo, forse attende risposte da parte di Legolas o tue. Mi dispiace così tanto di averti tratta in quel modo il giorno in cui sei partita. L’unica cosa di cui mi rammarico è quella e di non averti baciato e detto che mi saresti mancata; perché mi manchi Fanie. Mi manchi ogni maledettissimo giorno. Mi manca ogni cosa che fai e non sopporto più la lontananza. Sono sempre stato troppo orgoglioso lo so, me ne rendo conto e ora me ne pento amaramente. Se solo avessi messo da parte quello stupido orgoglio e fossi riuscito a tenere testa a Thranduil ora ci sarei io al tuo posto, a rischiare la vita. Ma non ti sto scrivendo per questo: ti scrivo per farti sapere che sto arrivando, sto venendo a prenderti.
Non so quanto ci metterò, se riuscirò a trovarti e se mi vorrai ancora; ma sto arrivando Fanie. Ho tanti errori a cui devo porre rimedio ma tu sei la mia priorità. Aspettami.


Rìnon.


« Chi è Rìnon? » Riuscii solo a chiedere, alzando lo sguardo dalla carta. Fanie si portò una mano alle labbra e trattenne un singhiozzo, prima di scoppiare a piangere. Lacrime cristalline le solcarono le guance candide e piccoli singhiozzi riempirono la stanza. Mi guardai attorno, passandomi una mano dietro il collo e rimasi immobile, indecisa. Cosa avrei dovuto fare? Come mi sarei dovuta comportare? Dopo svariati minuti di indecisione mi convinsi a fare un passo avanti e passare le braccia attorno alle sue spalle, spingendola verso di me. La sua tempia si poggiò alla mia e i suoi singhiozzi  inondarono il mio udito. Mi faceva male vederla così fragile; lei che da quando l’avevo conosciuta non si era scomposta davanti a nulla, neppure suo fratello.
« E’… era il mio compagno, prima che Thranduil rovinasse ogni cosa. » Le sue braccia strinsero la mia vita e la sua testa si abbassò sulla mia spalla, il suo petto si abbassava a singhiozzi e le sue lacrime bagnavano la stoffa del mio pigiama. Oh, se solo fossimo state a casa mia in questo momento ci saremmo gettate sul letto a guardare la tv e ingozzarci di schifezze, tra cui il gelato. Se solo fossimo state ragazze normali, in un mondo normale avremmo superato ogni cosa con delle sciocchezze: ma non eravamo ragazze normali in un mondo normale e non risolvevamo le cose con delle sciocchezze. Noi eravamo due donne immischiate in una battaglia, pronte a combattere per la libertà degli altri. Non avevamo la possibilità di fare vite normali, non più ormai. « M-ma non s-sono qui per questo… » si allontanò asciugandosi gli occhi e si passò una mano fra i capelli. Rizzò le spalle e affilò lo sguardo, tornando la guerriera che conoscevo. « Sono venuta per parlare del piano d’attacco di domani. » La sua voce era nuovamente seria e sicura: ogni traccia del pianto di prima era scomparsa.
« Beh, non c’è molto di cui discutere Fanie.» Scrocchiai le nocche e incrociai le mani al petto.
« Intendi dire che non vuoi organizzare nulla:  un piano d’attacco, nulla? » Sbatté le palpebre sorpresa.
« Io ho un piano, Fanie: attacco. » Alzai le braccia in alto e mi stiracchiai, prima di sbadigliare leggermente. I miei occhi passarono in rassegna le finestre e il panorama dietro di loro: era ancora notte fonda e il sonno iniziava ad avere la meglio. « E, guarda caso, il piano funziona sempre. »
« Ma non ne esci mai senza un graffio. » Ribatté lei, arricciando il naso contrariata. I suoi occhi grigi erano taglienti e curiosi allo stesso tempo. Chissà cosa le frullava in testa in quel momento.
« Si, beh, è un prezzo che sono disposta a pagare. Perché alla fine ne esco sempre vincitrice, in ogni caso. » Sbadigliai ancora e mi strofinai gli occhi con i pugni, passandole accanto e superandola. « Buona notte. » Le augurai in procinto di svoltare l’angolo. « Ci vediamo domani. »
« Stiamo andando incontro ad un destino peggiore della morte. » Disse ad alta voce e io mi bloccai. Rimasi per qualche secondo ferma, ad osservare il corridoio buio davanti a me. Il battito dei nostri cuori rimbombava nel grande salone silenzioso, come un battito d’ali di un colibrì.
« Ho già incontrato la morte, Fanie ed ho vinto. » Risposi, osservandola da sopra la mia spalla per qualche secondo. « Non mi fa più paura. » Sebbene mentissi, perché avevo paura di morire, riuscii a far si che la voce mi uscisse decisa e sicura, come volevo apparire. Dopo averla risalutata ed aver camminato per le stanze della reggia ancora intatte, entrai nella camera che mi aveva indicato Legolas prima di uscire per andare in qualche posto con Aragorn e gli altri; erano andati a parlare con i pochi uomini rimasti, a discutere dei piani per l’indomani e a parlargli dell’intervento che avremmo fatto io e Fanie con i draghi, perciò non c’era. Chiudendomi la porta alle spalle mi diressi verso il letto e mi gettai sul materasso; brutta idea: era scomodo e duro e freddo. Mi girai su un fianco e passai una mano sotto il cuscino, chiudendo gli occhi. Sarebbe stata una lunga notte, fredda, in attesa del ritorno del principe di Bosco Atro. Rimasi in dormiveglia finché non sentii la porta aprirsi e richiudersi; solo allora, quando il materasso si piegò sotto il peso dell’elfo e le sue braccia mi circondarono mi sentii finalmente in grado di riposare. Non mi ero accorta di quanto avessi sonno e freddo realmente avessi finché non avevo sentito il suo calore scaldarmi. Mi voltai verso di lui e affondai il capo nel suo petto, respirandone l’odore fresco e pungente che tanto mi piaceva.
« Buona notte. » Lo sentii sussurrare, mentre il sonno m’imprigionava nei suoi meandri.

 




°      °

 




Il sole brillava già alto quando ci alzammo tutti.  Dall’unica finestra della stanza svettavano raggi di luce che trafiggevano l’aria, si allungavano sul pavimento e colpivano le nostre armature poste sulla panca ai piedi del letto. Mi alzai velocemente e legai i capelli come meglio potevo, grazie ad un elastico di fortuna. Tolsi la camicia da notte, mi lavai e corsi ad indossare gli abiti per la battaglia: stivali neri e alti fino al ginocchio, pantaloni dell’ennesimo colore, una blusa bianca e, infine, la corazza rossa e argentea che non ricordavo di aver mai raccolto dal campo di battaglia. Probabilmente Legolas doveva essere andato a cercarla quella notte, per riportarmela prima dell’ultima battaglia, che era alle porte. Ora non ci si poteva più tirare indietro, non c’erano più ne “se” ne “ma”: c’era solo il “vinceremo”. Strinsi l’ultima cinghia della corazza e mi voltai verso il mio elfo, che non aveva detto una parola da quando c’eravamo alzati; sorrisi inconsciamente. Era così fiero nel suo portamento, così… così lui.
« In bocca al lupo. » Sussurrai avvicinandomi, poggiando le mani sul suo petto. « Possa la grazia dei Valar proteggerti. » Sorrise e strinse le mie dita fra le sue, senza però toglierle dal posto in cui le avevo poggiate. Sentivo il suo cuore correre come le zampe di una gazzella e questo faceva si che anche il mio facesse lo stesso.
« Cormlle naa tanya tel’raa. » Disse in elfico. Non capii cosa intendesse, ma il suono era così melodioso che rimasi per un attimo incantata. « Lle naa vanima. » Aggiunse poi. Sorrisi e alzai un sopracciglio, in attesta di una spiegazione a quelle strane frasi melodiose. 
« Tu sai che io non parlo elfico, vero orecchie a punta? » Borbottai quando lui non disse più niente. Legolas sorrise, alzando gli occhi al cielo e una piccola risata gli scosse l’addome, facendolo fremere.
« Ho detto », iniziò a spiegare puntando gli occhi nei miei, « che il tuo cuore è come quello di un leone e che sei bellissima. » Socchiusi le labbra e strinsi la stoffa della sua maglia. Non c’era scherno nel suo sguardo, solo pura verità; riuscivo a leggere nei suoi occhi ogni cosa. Erano così limpidi che per qualche istante mi ci persi e la mia mente elaborò ogni ricordo facendolo tornare vivido come se l’avessi appena vissuto. Ogni ricordo, dal primo incontro all’ultimo, mi scaldò il cuore.
« Ti amo. » Riuscii solo a sussurrare. Forse era un po’ tardi per dirglielo: avevo avuto un anno per poterlo fare ma avevo scelto quel momento e non sapevo neanche io perché. « Vedi di restare intero, ti prego. O giuro che ti farò resuscitare per poi ucciderti con le mie stesse mani. » Tentai di sdrammatizzare, senza fargli capire quanto ci tenevo a lui e alla sua vita.
« E tu vedi di tornare viva. » Replicò, abbassandosi per baciarmi. Poggiai le mani sulle sue guance e intrufolai le dita fra i suoi capelli morbidi, alzandomi sulle punte per agevolarlo. Le sue mani strinsero il mio bacino con dolcezza, attirandomi verso il suo corpo. Socchiusi le labbra e gli permisi l’accesso alla mia bocca; la sua lingua accarezzò la mia con delicatezza.  Il mio cuor prese a battere come un la batteria di un concerto metal, e allora strinsi le braccia attorno al collo del ragazzo premetti di più le labbra contro le sue. Legolas sembrò apprezzarlo, perché rafforzò la presa sui miei fianchi fino a farmi alzare i piedi da terra. Sorrisi divertita e mi allontanai da lui un secondo per riprendere fiato; i suoi occhi azzurri da gatto brillavano, luci e famelici, sotto i raggi del sole. « Ti amo, anche io. » Mormorò, per poi rimettermi a terra. Sospirai quando tornai consapevole di quello che ci aspettava e gli accarezzai per l’ultima volta una guancia.
« Vinceremo. » Dissi decisa.
« Dobbiamo. » Replicò lui e ci avviammo verso l’uscita. « Oh, aspetta. » Si bloccò e tornò sui suoi passi, inginocchiandosi per qualche secondo sotto il materasso per poi riemergerne con qualcosa in mano: una lunga spada dall’impugnatura d’argento a cui mancava un braccio. « Questa è per te. Si chiama Orcrist e fu forgiata a Gondolin dagli alti elfi della famiglia di Re Elrond. Lui l’ha manda a te come augurio di buona fortuna. » Me la porse con cautela e io la presi, togliendola dal fodero. La lunga lama ricamata brillò sotto il sole e la pietra incastonata nell’elsa parve brillare come un stella. La riporsi nel fodero e legai quest’ultimo alla vita.
« Speriamo porti realmente fortuna. » Sospirai, tornando alla porta.

Il sole ci colpì dritti in faccia quando varcammo la soglia della stanza, rendendo i capelli dell’elfo bianco/argentei. Davanti a noi si estendevano le truppe di Gondor e Rohan; i pochi uomini rimasti stavano tutti sellando i cavalli e le loro armature scintillavano sotto il cielo limpido. Mi domandai come in una giornata così bella si sarebbe potuta decidere la sorte della Terra di Mezzo. Osservai quello che potevo, visto la forza del sole, finché i miei occhi non catturarono le sagome di Aragorn, Gimli e Fanie in disparte. Presi un profondo respiro e mi avviai verso di loro, con l’elfo alle calcagna. Quando li raggiungemmo tutti si voltarono a guardarci. Gimli strinse l’ascia fra le mani e mi sorrise felicemente: quella era la sua idea di “arrivederci”. Sebbene la trovassi molto poco amichevole, mi limitai ad abbassare di poco la testa, prima di rivolgermi ad Aragorn. I suoi occhi blu sembrarono velarsi di tristezza, sebbene le sue labbra erano curvate leggermente verso l’alto. Poggiai una mano sulla sua spalle e sorrisi, lui fece lo stesso. I nostri occhi rimasero incollati per qualche minuto, poi le sue labbra si socchiusero.
« Resta viva, mi mancheresti troppo se morissi. » Mi ordinò, stringendo leggermente la presa sulla mia spalla. Aragorn era diventato come un fratello maggiore per me durante quell’avventura e sentirgli pronunciare quelle parole fu come sentire un grosso macigno atterrarmi sopra il cuore e rotolare via. Trattenni le lacrime, che non sgorgarono mai in quel momento, e lo attirai a me in un abbraccio. Le nostre armature tintinnarono a contatto e brillarono nuovamente al sole quando ci staccammo.
« Lo stesso vale per te, mio re. » Ammisi. « Guida i tuoi uomini e vinci, noi ti aiuteremo per quanto ci sarà possibile. » Lancia un occhiata a Fanie, che annuì con il capo. « Ora, se volete scusarci », mi allontanai del tutto dal trio di uomini e affiancai l’elfa bionda, « i cieli ci aspettano. »
« Già, il fuoco per la distruzione di Mordor non apparirà dal nulla. » Aggiunse Fanie, poggiandomi le mani sulle spalle e indirizzandoci oltre le mura distrutte della città, dove Turon e Arme ci attendevano.




 

°     °

 





Turon fendette l’aria con le grosse ali nere e abbassò il volto verso la terra per osservare l’esercito di Aragorn. In lontananza riuscivo già a vedere il nero cancello, e l’occhio di Sauron che ci osservava; il rosso della sua iride già ci aveva puntati, e il l’urlo stridulo che produceva aveva iniziato a fendere l’aria. Digrignai i denti, tentando di non pensare al dolore che quello strano verso procurava alle mie orecchie e lanciai uno sguardo a Fanie. Anche lei, come me, stava tentando di resistere al dolore che suo fratello produceva. Il cielo si era oscurato di nubi grigie e l’aria era diventata pesante di zolfo: tutto era come l’avevo sempre visto e immaginato. Dietro il nero cancello, riuscivo a scorgere le immense armate di Sauron radunarsi, con le armi alzate al cielo e le bocche aperte da cui uscivano ringhi acuti.
« El! » Urlò Fanie, avvicinandosi quanto più poteva a me con il suo drago. « Aragorn ha fermato l’esercito, è ora di agire. »
« Che stiamo aspettando? » Domandai io. L’elfa sorrise e facemmo avanzare le cavalcature con velocità. Passammo sopra il Nero Cancello e molte teste si alzarono nella nostra direzione. Sentii qualche orco iniziare a gridare ordini agli arcieri: in poco tempo un mare di frecce iniziò a fendere l’aria, ma non arrivò mai a noi che volavamo troppo in alto. Al contrario, si alzavano per molti metri e poi tornavano a scendere verso il basso dove mietevano vittime. Si stavano uccidendo da soli, ma questo non sembrava fermarli dal cercare di ucciderci.
 « Fanie! » Urlai, sovrastando il rumore che quegli esseri facevano. « Fuoco? » Lei mi rivolse un’occhiata velocemente e scosse il capo; con un bracciò puntò la torre a cui eravamo dirette. Sapevo che il suo obiettivo era uccidere Sauron, ma se avessimo fatto fuoco avremmo risparmiato un po’ di fatica all’esercito oltre le mura.
Seguiremo il piano, ragazza. Intervenne allora Turon e la sua voce mi colse alla sprovvista. Rizzai  la schiena e mi aggrappai alla sella per restare in equilibrio.
Ma, se noi uccidessimo già qualcuno di quegli esseri forse…
Ho detto no, El. L’ultima volta che non hai seguito un piano il tuo guardiano è morto e tu hai dovuto convivere per un mese con l’animale che era rimasto in te. E in più, questa volta, se io dovessi morire moriresti anche tu e non torneresti più. Mi riprese freddamente, con un tono che non aveva mai usato prima d’ora con me. Irrigidii la mascella e chiusi gli occhi per un secondo, ragionando sulle sue parole. Era vero, l’ultima volta che non avevo seguito un piano il mio guardiano era morto: non volevo succedesse ancora.
Hai ragione: atteniamoci al piano.

Con velocità le ali di Titano si aprirono e, come due grosse vele, l’aria le gonfiò rallentandone la velocità. Tolsi i piedi dalle staffe, tentando di non cadere e m’issai sulla sella: davanti a me si apriva un varco profondo metri e metri. Se non fossi riuscita a saltare bene sarei precipitata nel vuoto di Mordor. Ingoiai un fiotto di saliva a vuoto e piegai le ginocchia. L’aria che tirava lassù era forte, ma più pulita rispetto a quella di prima, e per poco non caddi. Mi rimisi in equilibrio dopo poco e lanciai un occhiata a Fanie, che mi aspettava nel corridoio che conduceva alla sala del trono. Scrocchiai le nocche e iniziai a correre. Oltrepassai la sella e aumentai l’andamento delle gambe quando mi ritrovai sul collo squamoso del drago, poggiai per l’ultima volta il piede sulla testa di Turon e poi saltai. Allungai le braccia verso la ringhiera e ci mancò poco che non la mancassi. Il mio cuore batteva talmente forte che mi stupii di non averlo perso durante il salto, quando l’aria aveva schiaffeggiato il mio volto e i miei capelli. Il mio petto sbatté contro la dura roccia fredda e l’armatura vibrò. Presi a muovere le gambe per trovare un appiglio, ma come risultato riuscii solo a perdere la stretta di una mano alla ringhiera; con forza riuscii a issarla nuovamente e spingermi verso l’alto. Fanie strinse i miei polsi e mi tirò verso l’alto, in salvo. Atterrammo entrambe sul pavimento ruvido e freddo.
« Siamo davanti alla sala del trono, sbrighiamoci. » Mi disse, con voce già affannata per lo sforzo. Allora, ci issammo in piedi e voltammo entrambe il capo in direzione del Nero Cancello: le porte si erano aperte, la battaglia stava per iniziare. Per un istante mi domandai se Frodo fosse in viaggio verso il monte Fato, se fosse riuscito ad arrivare, poi mi levai la sua immagine dalla testa e tornai a seguire l’elfa.
« Restate in attesa qui! Se la torre crolla e noi non siamo ancora uscite, andatevene! » Gridai ai due draghi, mentre il rumore dei mei stivali rimbombava fra le pareti. Fanie, davanti a me, correva con velocità e i suoi capelli biondi le ondeggiavano alle spalle. Davanti a noi si ergeva la grande porta nera, la stessa porta che avevo oltrepassato svariate volte per molti motivi.  Fanie allungò un braccio e la spalancò con impeto, entrando nella stanza come una furia; la seguii. La prima cosa che riuscii a vedere fu il trono ancora distrutto che giaceva sul ripiano, le crepature del pavimento e i muri, le macchie di sangue a terra. Tutto sembrava essersi fermata alla sera della Luna di Sangue. Poggiai una mano su Orcrist e mi mossi cautamente, guardandomi attorno: tutto era muto e statico. Le tende rosse si muovevano col vento caldo e zolfato, ma di Sauron neppure l’ombra. Eppure, sapevo che era li da qualche parte, sapevo che c’era: sentivo la sua presenza. Era opprimente, quasi insistente; la sentivo sulla nuca, sulla pelle, dentro il petto.
« Tu dovresti essere morta! » Tuonò una voce all’improvviso, facendomi fare un giro su me stessa. « Io ti ho uccisa! Ho distrutto l’anello! » Gridò ancora e una nube di fumo si materializzò al mio fianco. Mi voltai velocemente ma lui fu più rapido: si smaterializzò e comparve alle mie spalle, stringendomi un braccio attorno al collo. Presi un bel respiro e gettai la testa all’indietro, colpendolo in pieno volto, e lo costrinsi a lasciarmi.
« Ho la pellaccia dura, dovresti saperlo. » Ribattei, impugnando la spada con una mano sola. I miei occhi analizzarono il suo viso: nel punto in cui l’avevo colpito aveva iniziato a uscire un rivolo di sangue scarlatto che andava a macchiargli la pelle candida e i vestiti neri.
« E’ una cosa che ho sempre amato di te. » Miagolò maleficamente, facendo un passo in avanti. Picchiettai le dita sull’elsa liscia e fredda e mi preparai ad attaccare ancora, ma Fanie si mise in mezzo. La sua spada si bloccò sotto la gola del fratello, graffiandola. «Ah, sorella! Sapevo che non ti saresti persa la festa. » La sua voce rauca si propagò per la sala del trono, e venne assorbita dai muri. Nei suoi occhi rossi passò una scintilla  che non riuscii a riconoscere ma di sicuro non annunciava qualcosa di buono.
« Avevo promesso di ucciderti con le mie stesse mani: mantengo sempre le mie promesse. » Ringhiò la bionda, spingendo ancora la lama verso la gola del fratello, che però non si mosse di un millimetro. Un sorriso strafottente gli animò il volto candido.
« Sai, anche qualcun altro non poteva resistere all’idea di partecipare. » Con uno schiocco di dita, poco più lontano da Sauron, apparve il corpo di un giovane elfo. Indossava dei vestiti verdi e marroni, come Legolas, ma i suoi capelli lunghi erano neri e la sua pelle macchiata di rosso. Fanie trattenne appena un urlo e lasciò cadere la spada a terra prima di gettarsi verso il ragazzo.
« Rìnon! » Strillò, poggiandosi la testa del giovane sulle gambe. « Ma cosa gli hai fatto? Mostro! » Gridò poi in direzione del fratello, che sorrideva malignamente. Osservai la scena per qualche istante, immobile e mi ricordai di quanto Fanie avesse pianto la sera prima per quel giovane. Per il suo compagno. Un odio profondo si diffuse, allora, nel mio corpo. Vagò dentro di me, aumentando la sua potenza man mano, crescendo. Stringendo ancora più forte Orcrist l’alzai in alto e, con un urlo liberatorio, mi avventai su Sauron. Colto alla sprovvista, il Signore Oscuro riuscì per un pelo ad evitarmi, senza però sfiorare la mia spada con una guancia. Quando mi girai per osservarlo, sulla sua guancia destra si era aperto uno squarcio dal quale colava un rivolo di sangue. L’uomo digrignò i denti e raccolse da terra la spada della sorella, soppesandola fra le mani.
 « Te la farò pagare. » Sibilò.
« Ti sto aspettando. » Risposi freddamente, lanciando uno sguardo di sfuggita a Fanie: era piegata sul corpo del giovane e le sue spalle sobbalzavano a ogni singhiozzo muto. Doveva odiare tremendamente suo fratello in quel momento. Accorgendomi che la lama di Sauron stava per colpirmi appieno saltai di lato evitandola e parai un attacco brutale che mi costrinse ad indietreggiare.
Le nostre lame s’incontrarono più volte, e il loro rumore metallico rimbombò nell’aria. Evitai un suo attacco, passando sotto la lama che graffiò la mia armatura, e girai su me stessa con l’intenzione di affondargli la lama in un fianco. Il colpò, però, andò a vuoto perché Sauron si eclissò nell’aria. Irrigidii la mascella e attesi la sua prossima mossa; poteva attaccare dove voleva, ma era troppo prevedibile. Feci in tempo ad abbassarmi che, la sua lama fendette l’aria sopra la mia testa. Purtroppo, persi l’equilibrio e mi ritrovai sdraia a terra: parai un suo attacco e ne evitai un altro rotolando; le braccia iniziavano a dolermi.
« Tu dovresti essere morta. » Strillò ad un tratto Sauron, parando un mio affondo e stringendomi una mano attorno al polso; quello con cui tenevo la spada. Il suo tocco incandescente mi portò a gridare, aprire le dita e lasciare che la lama cadesse. Sentivo la pelle bruciare e le gambe cedere sotto la pressione che Sauron mi faceva. Alla fine, fui costretta ad inginocchiarmi. Gridai ancora quando la punta della sua lama, dipo aver tagliato i lacci che tenevano stretta l’armatura, si posò sulla mia spalla e ne tracciò una lunga linea: la mia pelle si squarciò come carta tagliata da una forbice. « Ti avrei dato tutto, ma hai preferito lui. Ti avrei amata di più, ma tu hai scelto di amare lui. Ora, muori. » Puntò la lama al mio cuore e premette un poco.
« Sei un essere spregevole. » Strillò ad un tratto Fanie, alzandosi dal corpo di Rìnon. I suoi occhi erano freddi e ghiacciai e dalle sue dita stavano fuoriuscendo strisce di ghiaccio appuntite. « Muori! » Gridò gettandosi sul fratello come una furia. Entrambi caddero a terra, rotolando sul pavimento, e l’alfa riuscì ad afferrare Orcrist e issarla in alto per parare un fendete dell’uomo. Con una forza che non credevo avesse spinse a terra l’Oscuro e gli bloccò le braccia con le gambe, congelandogli le proprie. « Pagherai per tutto quello che mi hai fatto! Per tutto il male che hai fatto alla mia famiglia, ai miei amici e alla mia terra! Muori! » Strillò ancora e, con un solo colpo, affondò la spada nel petto di Sauron; ma, colta dalla rabbia, non si limitò ad un solo colpo: lo infilzò più volte con cattiveria. L’elfo gridò dal dolore inarcando la schiena e voltò la testa nella mia direzione. I suoi occhi di fuoco incontrarono i miei per l’ultima volta prima che le sue palpebre si chiudessero. La torre di Mordor prese a tremare e, con orrore, mi accorsi che eravamo arrivate alla fine. La battaglia era vinta, Sauron sconfitto, ma noi potevamo ancora morire. Tenendomi il braccio ferito con una mano, corsi dalla ragazza e la tirai su per una spalla. Stringeva ancora Orcrist fra le mani e delle lacrime salate le attraversavano il volto sporco di sangue.
« Andiamocene! » Strillai, stingendo un laccio della sua armatura fra le dita e iniziando a correre. Lei non si mosse. « Fanie! » Ululai nuovamente.
« Non posso abbandonarlo qui, ti prego. » Mi lanciò uno sguardo disperato e poi, porgendomi l’arma si diresse verso il corpo senza vita di Rìnon. Gli accarezzò la fronte con dolcezza e lo caricò fra le braccia. Poggiai nel fodero la spada e ingoiai un fiotto di saliva.
« Devi farlo. Non c’è più tempo, Fanie, dobbiamo andare. » Mormorai, continuando a seguire con lo sguardo la crepa che si stava creando sul muro nero.
« Lo porterò con me. » Ringhiò, passando le mani sotto il suo corpo. Tentò di sollevarlo ma era troppo pesante, così lo rimise a terra. Con mano tremante corsi da lei e la trascinai via, cominciando a correre più veloce che potevo. Lei si dibatté, gridò, imprecò e inveì contro di me e tentò di scappare alla mia presa: ma non ci riuscì. Poté solo saltare, quando la spinsi giù dalla torre, e atterrare sul dorso di Arme, che come d’accordo ci stava attendendo. Io, lanciai un ultimo sguardo al corpo morto di Sauron e respirai a fondo, stringendo la mano attorno al braccio destro ferito, poi saltai. L’aria schiaffeggiò il mio viso finché non mi trovai seduta sulla mia solita sella a cavallo del mio drago. Per la prima volta non mi sentii mai così in colpa e sollevata al tempo stesso: finalmente era tutto finito. Proprio mentre i draghi fendevano l’aria con le grosse ali di membrana e prendevano velocità, la torre di Mordor cadde spezzandosi in due.  Un forte urlo si propagò per l’intera valle e la battaglia si bloccò. Voltai il busto e la guardai cadere, mentre con lei se ne andavano alcuni dei miei ricordi più tetri. I muri portanti si schiantarono su se stessi e, in lontananza, il monte Fato eruttò maestosamente. Un onda d’urto si sprigionò nell’aria appena quella toccò terra e sospinse con forza i draghi in avanti. Io stessa fui costretta ad abbassarmi e reggermi come potevo alla sella di Turon. La terra sotto i piedi degli orchi cadde e con loro il Nero Cancello; quando lo sorvolammo Turon si permise di sputare fuoco nelle profondità degli abissi per poi ruggire e lo stesso fece Arma con il suo ghiaccio.
Oddio, Frodo e Sam! Strillai a me stessa, quando mi voltai a guardare il vulcano esplodere. La lava aveva iniziato a scendere come un mare rosso e bollente: quei due non potevano essersi salvati. Col cuore in gola, passammo sopra il piccolo esercito di uomini e le aquile ci vennero incontro. Sopra una di loro cavalcava un uomo dalle vesti bianche logore: Gandalf. Lo guardai volare via, verso il monte fato e nel mio cuore nacque una piccola speranza: Gandalf non partiva mai per nulla. Frodo era ancora vivo. Con una nuova, sebbene piccola, speranza ci dirigemmo tutti verso Gondor.

Turon atterrò con velocità e io saltai giù dalla sua groppa con altrettanto tempismo; ma, prima di potermi voltare, qualcuno mi afferrò da dietro e mi strinse forte. Mi abbandonai ad una risata schietta, girandomi nell’abbraccio e baciai con forza il mio elfo. Lui sorrise, stringendomi le braccia attorno alle spalle. Gemetti un poco a causa della ferita, ma poco mi importava: in quel momento stavamo bene tutti e tre, eravamo vivi. Salutai con altrettanto entusiasmo Aragorn, stringendolo a me come un fratello e persino Gimli che si dimostrò contento dell’abbraccio ricevuto. Strinsi a me anche Merry e Pipino, che gettarono le braccia attorno al mio collo con felicità; mi erano mancati quei due piccoletti. Fanie, al contrario, atterrò con leggerezza e silenziosamente eclissandosi quasi subito. La seguii con lo sguardo e spiegai agli altri quanto era successo nella torre. Legolas chiuse gli occhi e inspirò profondamente: Rìnon era suo amico, ed ora non c’era più; sapevo quanto facesse male quella cosa. Perdere un amico era un po’ come perdere un arto: ti sarebbe rimasta la cicatrice in eterno. Un segno incancellabile della sua presenza.

Quando Gandalf fece ritorno assieme alle aquile restammo tutti in attesa. Smontò dal dorso di una di queste e, dietro di lui comparve Sam. Senza nemmeno pensarci i due piccoli hobbit che prima erano al mio fianco corsero da lui, stringendolo forte.
Dov’è Frodo? Mi chiesi successivamente. Una terza aquila atterrò innanzi a noi e depose il portatore dell’anello a terra. Ingoiai un fiotto di saliva e mi avvicinai, come tutti, per poi inginocchiarmi di fianco il suo piccolo corpo. Notai, con orrore, che l’indice della sua mano sinistra non c’era più e che lui pareva privo di vita.
« Frodo? » Sussurrai. Con un gesto veloce il piccoletto alzò la mano, con il dito mozzato, e la strinse attorno al mio polso. Sobbalzai impaurita, ma quando incontrai i suoi occhi mi rilassai: non sembrava triste, solo stanco e sfinito e dolorante.
« E’ tutto finito? » Domandò con poca voce.
« Si. C’è l’hai fatta. » Lo lodai, accarezzandogli i capelli ricci e castani. Lui sorrise e chiuse gli occhi, sfinito.

Apprendemmo in seguito che ci sarebbero voluti almeno 9 mesi per ricostruire interamente Gondor e almeno altrettanti perché Frodo si rimettesse pienamente; così, dopo un attenta chiacchierata, io e Legolas avevamo deciso di intraprendere un nostro viaggio e tornare a Bosco Atro dove Re Thranduil attendeva il figlio. Restammo in contatto con  la compagnia, informandoli ogni mese sull’andamento della gravidanza e in attesa di loro notizie sulla ricostruzione di Gondor. Avevamo promesso ad Aragorn che non saremmo mancati alla sua incoronazione, così ogni giorno spedivamo una lettera al nostro amico che rispondeva prontamente.
La prima volta che misi piede nel Reame Bosco, ricordo, tutti gli occhi erano puntati su di me e sulla mia pancia che era cresciuta durante il viaggio a cavallo di Turon (avevamo scelto di viaggiare così perché i draghi sono molto più veloci dei cavalli e non necessitano di fermarsi praticamente mai. Perciò il viaggio era durato solo qualche settimana. ) Ricordo come gli occhi del sovrano mi avevano scrutata, freddi e distaccati, e di come le sue labbra si erano piegate leggermente verso l’alto alla vista di Fanie. E ora, che erano passati sette mesi dal mio arrivo li, lui non smetteva mai di sorridere alla sua vista sebbene lei l’odiasse per quello che le aveva fatto; non si era dimenticata il modo in cui le aveva detto che sarebbe stata costretta a sposare suo figlio, ribatteva sempre Fanie.




 

°    °





Legolas si passò una mano fra i capelli, poi sul volto e infine di nuovo fra i capelli, tirandoli questa volta. Aspettava fuori dalla sua stessa stanza da letto da quasi sei ore, quelle in cui la sua El era entrata in travaglio, e non era riuscito a distrarsi nemmeno un attimo. Ad un tratto un grido lo scosse dentro, facendogli alzare la testa di scatto. Suo padre, che stava comodamente seduto su una sedia che si era fatto portare sorrise dolcemente, abbassando la maschera di ghiaccio che portava ogni giorno. Legolas gli rivolse uno sguardo, per poi tornare ad osservare la grande porta ad arco verde. Altre urla percossero il corridoio.
« Stai calmo, Legolas. » Lo riprese divertito Thranduil, con quella sua voce decisa e divertita. « Andrà tutto bene, la tua compagna è forte: una guerriera. »
« Si, ma senti come urla. Gli sta facendo male… per tutti i Valar, ada. » Il giovane principe prese a scrocchiarsi le dita ad una ad una, e quel comportamento gli ricordo la sua compagna: lei lo faceva sempre quand’era nervosa.
« Legolas, è normale. Anche tua madre gridava così quando sei venuto alla luce e mi ha pure maledetto un paio di volte. Scommetto che anche la tua El… » prima che il re potesse portare a termine la frase un grido più forte arrivò alle loro orecchie, seguito da un: “ Giuro che ti strapperò le orecchie appena uscirò di qui, Legolas! ” che fece ridere Thranduil di gusto.
« Intendevo questo. » Il re continuò a ridere per qualche secondo ancora e, dopo essersi accorto della serietà del figlio, si ricompose. « Vedrai, figliolo, il tuo bambino nascerà forte e sano, e a giudicare dalla madre che ha persino cocciuto. » Tentò di tranquillizzarlo, poggiandogli una mano sulla spalla.
« Si, credo tu abbia ragione ada. » Sussurrò Legolas, portandosi una mano fra i capelli. Le urla continuarono per una buona porzione di tempo ancora, poi tutto calò nel silenzio. I due elfi si voltarono verso la porta che, ora, si stava aprendo e seguirono con lo sguardo Fanie: aveva la treccia scompigliata e le mani rosse segnate dalle dita dell’amica. Si soffiò su un ciuffo biondo, chiuse la porta alle sue spalle e sorrise a Legolas.
« Beh, sei padre. » Annunciò, sorridendo felicemente. « Ed, è un maschietto. » Continuò. L’elfo si alzò di fretta, il cuore che batteva a mille e abbracciò stretta l’amica. L’elfa ricambiò l’abbraccio velocemente, perché poi il principe l’abbandonò per intrufolarsi nella stanza. Nella foga, lasciò la porta aperta e si diresse senza pensarci al letto: sdraiata fra vari cuscini e sotterrata da una pesante coperta giaceva la sua compagna. I capelli castani stretti in una treccia sfatta e la fronte sudata. Quando incontrò i suoi occhi scuri vi lesse tanta felicità e stanchezza, e amore. Il principe le sorrise e le accarezzò la fronte, baciandola più volte su di essa, sulle guance e sulle labbra.
« E’ maschio. » Sussurrò lei, la voce affannata.
« Lo so. Lo so, El. » Mormorò lui, alzando la testa nella direzione in cui la levatrice stava fasciando loro figlio.
« Ah, ho vinto io. » Scherzò lei, issandosi sulle braccia e gettando la schiena contro la testiera del letto coperta di cuscini. Proprio in quell’istante una giovane elfa le si fermò accanto e le porse una coperta azzurra. La guerriera la prese e la spinse con dolcezza contro il suo petto, gettandone un lembo dietro la testa del piccolo, per accarezzagli i pochi capelli biondi che aveva. « Haldir. » Sussurrò appena, alzando il viso verso il suo compagno.
« Haldir. » Confermò Legolas, sdraiandocisi accanto e baciando sulla fronte il piccolo.




 

°       °






Poggiai la fronte contro la spalla di Legolas e ispirai il suo profumo. Mi doleva ogni parte del corpo e la gola bruciava, ma ne era valsa la pena per tenere in braccio quel fagottino che ora si muoveva leggermente. Gli accarezzai una guancia e Haldir strinse la manina attorno al mio dito, voltandosi verso di me con gli occhi aperti.
I suoi occhi.
I suoi occhi erano di un azzurro così chiaro che sembravano ghiaccio ed erano contornati da un piccolo cerchio nero. Erano meravigliosi, e sembravano quelli di suo padre. Socchiusi le palpebre e lasciai che Legolas lo prendesse in braccio, poco prima che io mi addormentassi sfinita.

 

 
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Due mesi dopo eravamo nuovamente a Gondor, e con noi, assieme a Fanie, c’erano persino Thranduil e Haldir. La prima cosa che avevamo fatto arrivati nella città dei Re era stata quella salutare tutti, dal primo all’ultimo, e poi di andare da Frodo, che ha detta di Gimli, si era appena risvegliato.

« Ciao Frodo, ti vedo bene. » Gli sorrisi, abbassandomi al suo livello. Il piccolo Hobbit mi osservò per qualche istante, poi mi strinse le braccia al collo e io cinsi la sua vita con una mano.
« E tu sei stupenda: la maternità ti dona. » Mi disse lui, osservando il mio bambino con la faccia inclinata verso destra. Un sorriso nacque sul suo volto e su quello di tutti gli altri quando Haldir aprì gli occhi, risvegliatosi dal sonno in cui era caduto, e sorrise con la sua boccuccia senza denti. Iniziò a muovere i piedini quando Gimli lo prese in braccio con un po’ di timore e Legolas gli insegnò come fare. Erano proprio un bel duetto quei due, mi ero dimenticata com’era vederli assieme.
« Frodo ha ragione: la maternità ti dona. » Mi sorrise Aragorn, affiancandomisi. Gli rivolsi un occhiata di sfuggita e sorrisi, senza togliere gli occhi dalla scena di Legolas e Gimli.
« Grazie, mio signore. » Risposi, mordendomi le labbra.
« Mi sei mancata, sai? » Aggiunse lui, facendo cadere tutte le mie barriere.
« Anche tu! » Esclamai stringendolo in un forte abbraccio fraterno, che mi fece scuotere tutte le ossa.


I momenti a seguire furono quelli che conoscete tutti: l’incoronazione di Aragorn e il suo ricongiungimento ad Arwen (grazie all’intervento di Legolas), l’amore che si era scatenato fra Faramir ed Eowyn e l’inchino davanti ai giovani hobbit avventurieri: Sam, Merry, Pipino e Frodo. L’inizio della quarta era della Terra di Mezzo.
Ma, se vi state chiedendo com’è finita la mia, di storia, posso dirvi che si è conclusa bene: ho accanto a me la persona che amo e mio figlio. Sono circondata da buoni amici e, sebbene abbia dovuto rinunciare a Gandalf e Frodo che sono partiti con gli elfi per le terre immortali quattro anni dopo l’incoronazione di Aragorn, continuo a volare con Turon fra i cieli.  Ogni tanto ho nostalgia di casa, di mia madre e mio padre, ma poi penso a quello che ho costruito qui e questa scompare.
Fanie invece, al contrario mio, ha deciso di partire e viaggiare per la Terra di Mezzo in cerca di nuove avventure, ma mi ha promesso che sarebbe tornata a Bosco Atro a trovarci un giorno o l’altro.
Non c’è più molto da sapere su di me, adesso. La guerra è finita, ma non passa giorno in cui io non ricordi il dolore e la gioia che ho provato durante il suo corso. Ogni tanto il petto mi brucia, a causa della cicatrice,  così come quella che ho sul braccio, inferitami da Sauron; ma non ho rimorsi. Non tornerei indietro per cambiare nulla: perché quello che è stato mi ha portato ha quello che è oggi.
La mia avventura è finita, ma la mia vita è appena iniziata. Ma, chissà, forse un giorno sarà pronta per un’altra avventura.

 

 

Hey peipe!
E così siamo giunti alla fine di questa trilogia. Dannazione, non ci posso ancora credere! Cristo, ho passato quasi 2 anni a scriverla ed è finita. Non posso crederci.
Ringrazio tutte le ragazze che l’anno seguita e recensita, lo apprezzo davvero molto.


Ringrazio soprattutto:
Viviana, Giulia, Chiara, Laura, Paola e Chiara.


Grazie di tutto. Grazie per avermi sostenuta.

 

Siete Fantastiche.

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