If We Could Only Turn Back Time...

di MyImmortal_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo. 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Nuovo Personaggio
- Stan! E muoviti brutto scansafatiche!!-. Mugugnai, infastidito dall’urlo di uno dei miei compagni di navigazione.
–E dai Stan! Vieni qui, in fretta!!-.
–Un attimo Mike…-, borbottai, alzandomi dalla branda sotto coperta su cui mi ero sdraiato nel tentativo di sonnecchiare un pochino.
Scossi il capo, dandomi una svegliata e passandomi una mano tra i capelli,
quando qualcosa di freddo e decisamente bagnato mi innaffiò per bene.
–Ma sei matto?!-, urlai a Mike, che se la rideva con ancora in mano un secchio, l’arma del delitto.
–No, Mike, piacere!-, rispose, ancora ridacchiando. Lo fulminai con lo sguardo,
scrollando fortemente la testa, dando una parvenza d’asciutto ai miei poveri capelli.
–Che cosa c’è, si può sapere?! Sono 24 ore che non dormo!
Riposare un po’ non mi farebbe schifo!-, sbottai, facendolo tornare serio.
Si portò una mano al petto e piegò il busto, esclamando –Mi dispiace aver interrotto il sonnellino di bellezza della principessa…-.
Si interruppe a causa del cuscino che gli avevo lanciato sul muso. Lo prese in mano e mi guardò un attimo male,
concludendo –Vieni sul ponte, c’è una cosa che devi vedere!-. Sbuffai sonoramente e mi diressi fuori,
trovando gli altri miei compagni intenti a guardare fuori bordo.
–Ehi, Jack, che succede?-, domandai al mio migliore amico, affiancandolo.
Lui mi porse i binocoli del quale stava usufruendo, dicendo –Guarda tu stesso!-.
Li portai agli occhi e scrutai attentamente l’orizzonte, soffermandomi poi su una sagoma indefinita che galleggiava.
–Steve avvicinati!!-, urlai al mio timoniere, che annuì. Ci avvicinammo lentamente,
il tutto senza che perdessi di vista quella cosa. Una volta affiancata mi resi conto che fosse un ragazzo.
Galleggiava su un pezzo di legno, chissà da quanto era in acqua.
–Ragazzi una cima, presto!-, esclamai, lasciando i binocoli sul bordo della barca. Mike me ne passò subito una.
Dopo essermela legata in vita mi tuffai, raggiungendo in poco tempo il ragazzo.
Mi preoccupai subito di passarlo all’interno della corda e, dopo averla strattonata un po’,
i miei compagni tirarono, riportandoci a bordo, tutti e due. Lo sdraiai sul ponte, non preoccupandomi di asciugarci.
–Allora? È vivo?! Morto?!! Respira!!!-, chiese a raffica Matt, l’ultimo del mio equipaggio.
–E dagli il tempo di capirlo, genio!-, sbottò Jack, mollandogli uno scappellotto in testa.
Osservai attentamente il suo torace e solo dopo molto scorsi un piccolo, piccolissimo movimento.
Per essere certo fosse vivo adagiai l’orecchio sul petto, ascoltando attentamente,
ed avvertendo il lieve, lievissimo battito del suo cuore. –E’ vivo! Ma il polso è debole.
Portiamolo dentro, presto!-, esclamai tirandomi su. Matt e Mike lo sollevarono,
mentre io preparavo una branda sotto coperta. Lo adagiammo su essa, coprendolo poi con un lenzuolo.
Riempii delle borsa d’acqua calda e le misi sparpagliate per la piccola branda, sotto le lenzuola, scaldandolo un po’.
Il suo corpo era gelido e quasi cereo. Probabilmente lo avevamo salvato in tempo.
–Chissà chi è…-, mormorò piano Jack, al mio fianco. –Non ne ho idea. Ma ora facciamolo riprendere.
Ci spiegherà più avanti tutto…-, lo liquidai, facendolo uscire. Presi uno sgabello e mi sedetti al suo fianco,
tamponandogli la fronte con un panno imbevuto nell’acqua calda. Era proprio un bel ragazzo.
Magro, alto, i capelli castani che ricadevano perfetti in un ciuffo sulla fronte,
la mascella scolpita e i tratti del viso delicati. Americano, probabilmente. Mugugnò qualcosa,
muovendosi appena ed aprendo gli occhi poco dopo, rivelandomi essere di un colore azzurro cielo.
Si guardò un attimo attorno, lo sguardo debole, per poi posarsi su di me. –Dove mi trovo?
Chi…chi sei?-, sussurrò flebilmente, la voce un po’ roca. –Shh. Ora riposati.
Ti spiegherò tutto quando ti sveglierai…-, mormorai, carezzandogli dolcemente i capelli.
Lui mi guardò ancora un attimo, per poi chiudere gli occhi ed addormentarsi in poco tempo.
La pelle aveva assunto una tonalità ambrata quasi ed il respiro era più forte, regolare e profondo.
Rimasi lì ancora un po’, prima di lascarlo solo e raggiungere i miei amici,
desiderosi quanto me di spiegazioni.
 
 

 
Vecchia Conoscenza...


-Piccolo, tutto bene?-, chiese il mio ragazzo, sedendosi su di un divano del salotto accanto a me.
–Si amore, tutto bene!-, lo rassicurai, sorridendogli. Lui si sporse verso di me baciandomi appena.
–Mi sembri un po’ turbato. C’è qualcosa che ti preoccupa?-, domandò ancora, premurosamente.
Era sempre stato protettivo nei miei confronti e ciò mi rendeva felice. Decisi che era meglio dirglielo,
non ero in grado di nascondergli qualcosa al lungo. –Ok, ma non prendermi per matto,
d’accordo?-, lo ammonii prima di iniziare. Lui annuì, mettendosi comodo, prendendomi una mano e stringendola,
incitandomi a parlare. –Allora…oggi sono andato al parco, a passeggio, no?-, dissi, guardandolo annuire,
la confusione nel suo sguardo. –E…so che non mi crederai probabilmente, ma mentre ero seduto sul prato,
in lontananza, mano nella mano con un ragazzo che devo avere già conosciuto ho visto…-, e lì mi bloccai.
Era difficile da dire, dopo tutto quello che era successo. –Chi hai visto?-, mi incitò a continuare,
gli occhi scuri fissi nei miei. Presi un respiro e –Harry…-, soffiai fuori. Lui strabuzzò leggermente gli occhi.
–Ha…Harry? Quel Harry??! Ne sei sicuro?!-, balbettò, fissandomi perentorio.
–Sicuro al cento per cento! Vuoi che non lo riconosca, scusa?!-, sbottai, un po’ alterato.
Non mi aspettavo mi credesse, era ovvio. –Tesoro, sappiamo entrambi che è piuttosto improbabile.
Harry è morto. Ti ricordi? Non c’era nessun Harry Styles nella lista dei superstiti!-, disse con calma,
per farmi digerire la cosa. Annuii, sconsolato. –Lo so, ma io l’ho visto! Ne sono sicuro!
Aveva gli stessi ricci e gli occhi verdi! Inoltre camminava mano nella mano con un ragazzo…-.
–Vedi? Questo prova che non è lui. Sappiamo entrambi che Harry non starebbe mai con qualcun altro che non fosse Lou.
Era solo uno che gli somigliava, nient’altro.-, mi interruppe. In effetti era vero.
Non avrebbe mai tradito Louis e non l’avrebbe mai lasciato. –Già, probabilmente hai ragione…-, mormorai abbassando lo sguardo.
–Ehi, lo so che ti manca. Manca anche a me, come Lou del resto. Ma dobbiamo essere forti, eh?-, mi rassicurò abbracciandomi.
Annuii, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo e sospirando, lasciando che una lacrima mi rigasse il volto.

Qualche giorno dopo…
 
-Piccolo dove sei?!-. -In giardino amore! Sto potando le rose!-, risposi, continuando a tagliare la siepe.
Lasciai le cesoie per terra e mi voltai, asciugandomi la fronte. Lo vidi uscire dalla porta di casa e sorridermi,
raggiungendomi con calma a causa delle stampelle. Dopo tutto quel tempo la gamba non era ancora guarita.
La destra se l’era cavata con una storta alla caviglia, ma la sinistra si era rotta e da allora usava quelle per reggersi in piedi.
–Non vedo l’ora di riporre in soffitta queste cose…-, borbottò alludendo alle stampelle, una volta al mio fianco.
Ridacchiai, cingendogli la vita con una mano, baciandolo dolcemente.
–Vedrai, non ci vorrà più molto!-, lo rassicurai, riprendendo la mia occupazione.
–Stai facendo un ottimo lavoro qui, lo sai?-, mormorò suadente al mio orecchio, baciandomi il lobo.
-Se fai così non finirò più però…-, mugugnai, reclinando la testa all’indietro, appoggiandola sulla sua spalla.
–Allora finisci che poi ti ho tutto per me!-, esclamò, scoppiai a ridere,
riprendendo a tagliare i rami di rosa attentamente, per renderli pari. –Dai Will, sei una lumaca!-.
Quella voce… Alzai lo sguardo e sbiancai. Davanti a casa nostra, sul lato opposto della strada,
stava passando, correndo, Harry. Era proprio lui. Con i capelli ricci, le fossette ai lati della bocca e gli occhi smeraldini.
Non mi vide neanche, successe tutto troppo in fretta, e così come era apparso scomparve,
allontanandosi, in poco tempo, seguito da un ragazzo moro con gli occhi azzurri. Mi voltai verso il mio ragazzo,
che era come me, sconvolto, bocca ed occhi leggermente spalancati.
–Dimmi che lo hai visto anche tu…-, farfugliai piano, guardando la sagoma del riccio allontanarsi e farsi via a via più piccola.
–L’ho visto si…-, rispose piano. Allora era vivo.
Non mi ero sbagliato!



#angolo Kikka
Nuova storia nuovo colore! XD
Comunque, come è stato preannunciato è il seguito del Titanic.
Spero vi possa piacere e come l’altra volta, a 3 recensioni continuo. :)
Un bacione a tutti quanti, in particolare a
Niam_, GiuliHazza_,
spoonvscarrot, WithJustOneLook e RainbowTwittah,
sempre presenti nelle recensioni della precedente FF <3
Kikka :D



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Stan
Era passato tanto tempo. Cinque mesi, per l’esattezza, da quando avevo trovato Andrew.
Beh, almeno così credevo si chiamasse…
 
FLASHBACK
 
-Allora, che è successo?-, domandò Matt, una volta che li ebbi raggiunti.
-Deve aver preso i sensi ed essere rimasto per tanto tempo in acqua. Credo fosse preda dell’ipotermia oramai.
Ha aperto un attimo gli occhi, era tanto spaventato.
Gli ho detto di riposare e che al suo risveglio avremmo chiarito tutto.-, spiegai, sedendomi su di una cassa in legno.
–E come si chiama?-, domandò Steve, sceso in quel momento dalla postazione del timoniere.
–Non lo so, non me lo ha detto. Aveva lo sguardo smarrito…-, risposi, fissando un punto indefinito del ponte sotto di noi.
Era vero, era tanto spaventato e dall’aspetto sembrava un cucciolo indifeso. Cucciolo,
sarà stato di un anno o due più grande di me! Chissà come era finito in acqua…
E soprattutto com’era arrivato fino a lì, a galleggiare per miracolo nelle acque irlandesi.
Io e i ragazzi eravamo lì di passaggio. La pesca si diceva portasse ottimi risultati in quella zona.
–Ehi?? Stan, ci sei?-, mi riportò alla realtà Mike, schioccandomi le dita davanti agli occhi.
–Eh? Si scusa, stavo pensando…-, mi ridestai, scrollando appena il capo.
–Io e i ragazzi pensavamo che sarebbe meglio tornare a casa. Il ragazzo avrà bisogno di cure serie,
ed una barca non può di certo offrirgliele, che ne dici?-, spiegò, guardandomi con gli occhi verde prato.
Annuii da subito, convintissimo. –Perfetto. Lo terrò a casa mia, a Doncaster.
Non dovete preoccuparvi.-, li rassicurai. Steve riprese posto al timone ed invertì la rotta,
tornando verso l’Inghilterra. Mi sarei preso cura io di lui. Assolutamente sì.
C’era qualcosa in lui che mi aveva colpito profondamente. Gli occhi probabilmente.
Non avevo mai visto un azzurro così intenso prima d’ora. Certo, anche Jack aveva gli occhi chiari,
ma non si potevano paragonare le due tonalità di azzurro. Proprio per niente!!
Me ne tornai sotto coperta, a vedere come stesse. Era ancora lì, addormentato profondamente,
il colorito del volto era nuovamente brillante e le braccia fuori dal lenzuolo,
probabilmente a causa delle borse. Perfetto, voleva dire che si stava scaldando.
Sorrisi inconsapevolmente, andando a radunare le mie cose. Dopo qualche ora giungemmo al porto di Southampton.
Mike e Matt mi aiutarono a caricare il ragazzo, ancora addormentato, su di un auto.
Grazie ai soldi ricavati da un recente furtarello pagai l’autista che ci portò fino a Doncaster.
Una volta lì, aggiunsi una tassa per avergli chiesto di aiutarmi a portare il giovane nella mia camera da letto,
e lo lasciai andare via. Dopo che se ne fu andato mi diressi nella camera. Lui era come lo avevo lasciato,
sotto le coperte, a dormire beatamente, come un bambino. Sorrisi e chiusi la porta, scendendo al piano di sotto.
Era mezzogiorno passato ed avevo un certo languorino allo stomaco. Così misi a cuocere del bacon e delle uova,
da consumare come pasto. Mia madre era ancora al lavoro da quanto avevo potuto constatare. Chi sono io?
Già. Stanley, detto Stan, Evans. Diciotto anni, figlio unico, di Doncaster sin dalla nascita.
Mio padre è morto da tre anni e vivo da solo con mia madre. Non mi è mai importato molto della gente là fuori,
dei ricconi. Sono tutti spocchiosi a parer mio. L’odore di bruciato mi fece tornare alla realtà.
Mi affrettai a togliere il mio pasto, oramai mezzo bruciacchiato, dal fuoco e lo misi su di un piatto,
sedendomi al tavolo. Presi il giornale, lasciato lì vicino da mia madre probabilmente, masticando un boccone di uova.
Per poco non mi andò di traverso non appena vidi la prima pagina.
“Il transatlantico più grande del mondo, il Titanic, affondato alle 2:20 di questa notte, nel centro dell’Oceano Pacifico”.
Aprii di scatto il giornale, prendendo a leggere i diversi articoli sull’accaduto.
“Il transatlantico Titanic, comandato dal capitano Edward John Smith aveva intrapreso il viaggio,
che equivaleva alla sua prima traversata, verso New York City esattamente quattro giorni fa,
partendo dal porto di Southampton. La nave, costruita in Irlanda, ospitava 2.200 passeggeri,
divisi in prima, seconda e terza classe. Nel tragitto verso il porto di New York la nave è
entrata in rotta di collisione con un iceberg non avvistato per tempo. L’impatto è stato
inevitabile ed ha causato da subito gravi danni. L’allagamento dei locali caldaia e lo spegnimento dei motori.
Le operazione di soccorso sono iniziate subito, ma a causa della mancanza di sufficienti scialuppe,
la maggior parte delle persone è finita nelle gelide acque dell’Atlantico, morendo assiderata in poco tempo.
Solo sei persone sono state estratte vive dall’acqua. I commissariati di polizia apriranno un’inchiesta sull’accaduto,
facendo causa alla White Star Line sulla questione delle scialuppe. Intanto,
l’Inghilterra porge le più profonde condoglianze ai parenti di tutti i passeggeri deceduti,
sperando che venga fatta giustizia al più presto”.
Wow. L’avevo visto, il Titanic.
Ero nelle zone del porto quando è partito. Non riuscivo ancora a credere che fosse andato a fondo
come una barchettina da quattro soldi. Girai ancora pagina.
“I sei superstiti estratti dall’acqua. Si tratta di quattro donne, un uomo ed un ragazzo.
Le donne, sono rispettivamente Ellen Mary Phillips, Lillian Gertrud Asplund,
Madeleine Talmage e Mary Graham Carmichael. Le prime tre di prima mentre l’ultima di terza classe.
L’uomo è Joseph Laroce, un passeggero di colore, di terza classe. Infine, il ragazzo,
è Harry James Tomlinson, un giovane di terza classe anche lui.
Molti sostengono che assomigli al figlio della famiglia Styles, Harold Edward Milward Styles,
ma gli abiti trasandati con cui è stato ritrovato non lo rendono credibile.
Del giovane Styles non sono ancora state trovate tracce, né del cugino Niall James Horan,
mentre la madre di Harold, Anne Cox Styles, alberga in un piccolo Hotel di New York, disperata per le sorti del figlio.
I sei sono stati estratti dal marinaio William Lowe, l’unico che sua tornato indietro alla ricerca di superstiti”.
Sbattei più volte gli occhi, confuso. Che scandalo. Che schifo. La gente ricca se ne frega di quelli poveri.
Forse il ragazzo era un naufrago del Titanic… Ma avevano detto che erano tutti morti quelli in acqua.
Bah. Una volta sveglio glielo avrei chiesto. –Stan! Cosa ci fai già a casa?-, chiese una voce famigliare alle mie spalle,
facendomi sobbalzare dallo spavento. Mia madre venne di corsa ad abbracciarmi,
probabilmente felice che fossi tornato prima del previsto. –Mamma, così mi soffochi!-, borbottai,
picchiettandole su di una spalla con un dito. Lei mi lasciò andare, baciandomi la fronte.
–Scusa, è che è una sorpresa! Non ti aspettavo così presto! Hai mangiato vero? E i ragazzi?
Che ci fate già di ritorno? Racconta!-, esclamò, lasciando la borsa sul divano e sedendosi a tavola, accanto a me.
–Calmati mamma. Innanzitutto, lo hai letto?-, attaccai, porgendole il quotidiano.
Lei sgranò gli occhi e portò una mano alla bocca, trattenendo il respiro. –Ho sentito che ne parlavano sul lavoro,
ma non ne ero sicura fosse successo davvero! Tutte quelle povere persone…-, mormorò, gli occhi improvvisamente lucidi.
Mia madre era una brava donna, molto dolce ed altruista. –Già.
E questo credo c’entri con il motivo per cui sono tornato…-, iniziai piano. Mi guardò interrogativa.
–Vedi, nelle zone dell’Irlanda, abbiamo trovato un ragazzo in mare. Galleggiava su un pezzo di legno.
Lo abbiamo issato a bordo ed abbiamo fatto ritorno per farlo curare.-, spiegai con calma.
Lei portò una mano al cuore, esclamando
–Oh mio Dio! E pensi sia un superstite del Titanic?-. –Non ne sono sicuro,
ma a questo punto qualunque cosa è possibile…-, risposi. –Oh tesoro… E lui? Dove lo avete portato?
Sta bene?!-, domandò a raffica.
–Non sapevo dove portarlo così è su in camera mia. Ehi, mamma torna qui! Sta dormendo!-, risposi,
seguendo mia madre che era scattata su per le scale.
La raggiunsi trovandola sulla porta della mia stanza a guardare dentro, gli occhi di nuovo lucidi.
–Guardalo…se è vero che viene dal Titanic ti rendi conto che odissea ha passato? Povero caro…-, mormorò,
entrando lentamente in camera. Si sedette a bordo letto, di fianco al giovane e lo osservò.
–E’ proprio carino…-, sussurrò, accarezzandogli dolcemente i capelli. Come temevo, lui si svegliò,
aprendo lentamente gli occhi e rivelando così quelle due gemme azzurre incastonate al loro interno.
Si portò una mano alla testa, alzandosi a sedere, guardandosi intorno confuso. –Cosa è successo?-,
farfugliò più a se stesso che a noi. Spostò gli occhi su me e mamma, chiedendo –E voi chi siete?-.
–Io sono Marie e questo è mio figlio Stan…-, rispose prontamente mia madre, sorridendo dolcemente.
Mi avvicinai, chinandomi sul piccolo comodino a lato del letto.
-E dove siamo?-, domandò ancora. –Sei a casa nostra, nella città di Doncaster. Inghilterra.-, dissi io questa volta.
Mi guardò un attimo e sorrisi appena. –Cosa mi è successo?-, chiese poco dopo. –Non ti ricordi?
Mio figlio ti ha salvato con i suoi amici dall’acqua. Come ci sei finito lì, tesoro?-, fece mia madre,
adagiando una mano su quella del ragazzo. Lui sembrò rifletterci un attimo, per poi scuotere il capo.
–No, mi spiace. Non…non ricordo.-, rispose piano. –Tranquillo, non è importante ora. Qual è il tuo nome?-.
Mia madre lo stava tartassando di domande! Lui la guardò come fosse un marziano.
–Io…io non lo ricordo…-, farfugliò. Sgranai appena gli occhi. Questo cosa stava a significare?
Che aveva perso la memoria?? Oh, fantastico! –Non te lo ricordi proprio tesoro?
Neanche sforzandoti?-, provò ancora mamma. Lui scosse convulsamente il capo.
–No…no! non lo ricordo, no mi ricordo niente!-, esclamò prendendosi i capelli tra le mani, in un gesto di disperazione.
–Ehi, ehi, ehi, stai tranquillo…-, lo rassicurai, sedendomi al suo fianco e stringendolo in un abbraccio.
Non era normale che facessi così, ma quel ragazzo mi aveva colpito. Lui pianse sulla mia spalla,
probabilmente sconvolto dalla scoperta appena fatta. Beh, anche io non sarei stato molto felice
di scoprire che tutto ciò che rappresentava la mia vita era svanito nel nulla! Mia madre mi lanciò un’occhiata d’intesa,
per poi alzarsi ed andarsene. Io lasciai sfogare il giovane per un bel po’ di tempo, il cuore che si stringeva ad ogni singhiozzo.
Il volto perfetto rigato dalle lacrime era una cosa sconvolgente. Non doveva più piangere, me lo ripromisi mentalmente,
mentre si allontanava e si asciugava gli occhi. –Grazie…Stan…-, mormorò timido, abbassando lo sguardo.
Sorrisi. Era tenerissimo in quel momento. –Figurati! Allora, iniziamo trovandoti un nome. Mmm…John,
che ne pensi?-, proposi. Lui scosse il capo, leggermente schifato. –Ok, no. Jason? Jackson? Tom??-, tentai ancora,
ricevendo sempre e solo segni di diniego.
–Uff… che ne dici di…Andrew?-, tentai infine. Il suo sguardo si illuminò. –Si! mi piace!-, esclamò sorridendo,
divenendo ancora più bello ai miei occhi. –Allora benvenuto, Andrew!-, dissi, porgendogli la mano,
che prontamente strinse.
 
 
FINE FLASHBACK
 
Sorrisi, ripensandoci. Era iniziato tutto così, lui era Andrew Evans, mio fratello,
ma poco dopo avevo iniziato a sentire qualcosa per lui, fino a che non capii fosse amore.
Mia madre l’ha preso bene il fatto che fossi gay ed anche Andrew non mi aveva respinto. Anzi, ora vivevamo assieme.
Certo, andavamo molto spesso da mamma, ma avevamo anche una casetta tutta per noi. –Stan che hai?
Perché sorridi come un ebete?-. La sua voce celestiale mi riportò alla realtà. Mi voltai e lo vidi avvicinarsi,
sorridendo. –Stavo ripensando a quando ti ho incontrato…-, mormorai, mentre mi cingeva il collo con
le braccia ed io adagiavo le mie mani sulla sua vita. Il suo sorriso divenne ancora più ampio.
–Ah sì? Ma che cosa tenera!-, mi sfotté. –Gne gne gne!-, gli feci il verso, prima di baciarlo dolcemente.
Amavo baciarlo, lo avevo capito dal nostro primo bacio! Non potevo fare a meno delle sue labbra.
–Com’è andata? Il mal di testa è passato?-, domandai poi, accarezzandogli i capelli. Lui annuì,
rispondendo –Dormire mi ha fatto bene. Ma in sogno, mi sono tornate in mente delle strane immagini…-.
–Che tipo di immagini?-, chiesi cautamente. –C’è tanta, tanta acqua. E le urla della gente.
Inoltre vedo una sagoma, non ben definita, che è sempre con me. Poi mi sono svegliato…-, spiegò assorto.
Doveva essere un bene, voleva dire che la memoria gli stava tornando. Ma io non volevo.
Il recupero della memoria avrebbe voluto dire portarmelo via, e io non volevo.
–Stan? Che hai oggi??-, domandò ancora, preoccupato. Scossi il capo. –Niente. Vado a farmi una doccia,
ok Andy? Ci vediamo dopo!-. Gli scoccai un bacio sulle labbra e mi chiusi in bagno,
lasciando che le lacrime scorressero lungo le mie guance.
 
 

 
#angolo Kikka
Ed ecco il primo capitolo!
E’ un po’ bruttino, ma serve a far capire le cose un pochino meglio ^^
Grazie a chi ha recensito, messo la storia tra le ricordate e preferite!
Un bacio
Kikka

P.S. L'immagine ho provato a metterla,
ma il mio computer è smonco e mi da il quadrato con la X -.-"












 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***




Niall
L’acqua entra dalle finestre, da sotto le porte. E non posso fare nulla per fermarla.
Sollevo la nuca di Zayn, per impedire che anneghi. Voglio salvarlo, voglio aiutarlo, ma non c’è nulla che possa fare.
L’acqua sale sempre di più, lo sommerge. Prendo grandi boccate d’aria, gliele passo baciandolo,
ma dopo poco è troppo alta anche per me, sono immerso anche io. Il fiato inizia a mancare, i polmoni bruciano.
Prendo a dimenarmi, in cerca dell’aria che però non c’è. Mi volto. Zayn galleggia sott’acqua, gli occhi chiusi, privo di vita.
No, non può morire. Provo a gridare il suo nome, ma l’acqua attutisce il suono,
mi impedisce di parlare, mi entra in gola, mi soffoca. Continuo a muovermi, le forze vengono a meno, inizio a vedere sfocato e…
-
NO!!-. Mi tirai a sedere di scatto, il lenzuolo stretto tra le mani, il respiro affannato,
il sudore che mi scivola lungo fronte, gli occhi sgranati… Mi guardai intorno, riconoscendo le pareti famigliari della nostra camera da letto.
Era mattina. Ero a casa mia. Era tutto asciutto. Era stato solo un incubo. L’ennesimo, dopo la notte dell’affondamento.
Mi ributtai di peso sul materasso, sospirando, lasciando andare le coperte che ancora stringevo forte.
Era sempre uguale. Io che non riuscivo ad impedire la morte di Zayn e poco dopo lo raggiungevo.
Sempre lì mi svegliavo. Portai una mano alla fronte, asciugandola, passandola successivamente tra i capelli.
Era stata una disavventura tra le più brutte che si possano vivere. Avevo perso Harry, Louis, la zia, il mio nome…
E tutto per una fottuta traversata. –Devo fare qualcosa per questi sogni…-, mormorai tra me e me, guardando il soffitto.
Subito dopo un forte frastuono, seguito da un –Cazzo!!-. Zayn. Solo allora mi resi conto che non era a letto.
Scostai il lenzuolo ed in tutta fretta scesi al piano di sotto. Lui era in cucina, una zuccheriera in ceramica a terra,
in frantumi, lo zucchero sparso per tutto il pavimento. –Zayn cosa è successo?-, domandai piano, entrando nella stanza.
Mi accorsi solo allora della sedia accostata alla credenza.
–Stavo per preparare il caffè e mi sono accorto che nello scaffale in basso non ce n’era più.
Così ho preso la sedia e mi sono arrampicato per prenderne un pacco, ma ho urtato la zuccheriera.
A causa di queste…cose, non ho potuto prenderla in tempo ed è caduta a terra!-, ringhiò in risposta.
–Aspetta, raccolgo lo zu…-. –No! Faccio io!-, esclamò arrabbiato. –Zayn, non fare il testone.
Lascia che ti dia una mano…-, lo rimbeccai, avvicinandomi a lui. –Ti ho detto di no! Non sono un andicappato,
Cristo! Faccio da solo!-, sbraitò furioso. Io mi fermai dov’ero, per non farlo arrabbiare di più.
Porto le stampelle in avanti e con un saltino si spostò al lato della zuccheriera rotta.
Rimase un po’ fermo, a studiare la situazione. Sapeva meglio di me che reggersi in piedi senza le stampelle era difficile.
Lasciò quella sinistra contro il bancone e si resse sulla destra, allontanandola un po’ dal corpo per abbassarsi.
Si chinò verso il pavimento e prese a radunare alcuni cocci di ceramica. La presa sulla stampella, però, era troppo forte.
Tanto che questa perse aderenza al suolo, staccandosi, facendo così cadere Zayn a terra.
–No! Cazzo no, no, no, no!!-, urlò furioso, prendendo l’altra stampella e lanciandola lontano.
Lo affiancai, chinandomi al suo fianco. –Calmati…-, gli intimai vedendolo scuotere il capo. –No! Maledette stampelle,
maledetta gamba rotta, maledetto Titanic!-, esplose, con le lacrime che presero a scorrere lungo il suo volto.
–Passerà presto, vedrai… Andrà tutto bene…-, mormorai per consolarlo, abbracciandolo, affondando il viso tra i suoi capelli.
Lui si strinse maggiormente a me, scoppiando in un vero e proprio pianto, sfogandosi. Odiava essere infortunato.
Aveva da subito odiato quelle stampelle, aveva da subito odiato il medico che gliele aveva consegnate,
aveva da subito odiato quella convalescenza forzata. Ma era per il suo bene, e per quanto mi facesse male vederlo in quello stato,
dovevo ogni volta riprenderlo e fargli seguire la cura. Per quanto potesse essere disperato, però, aveva ragione.
Di quella maledetta nave era tutta la colpa…
 
FLASHBACK

Alzai le gambe, tenendo il suo capo in grembo per farlo respirare. Non poteva finire così, no, no, no!
Nonostante tutti i miei sforzi, però, ben presto l’acqua lo immerse del tutto.
Senza pensarci due volte iniziai a prendere grandi boccate d’aria e passargliele tramite dei lunghi baci,
simulando una respirazione. Andai avanti per tanto, fino a che non mi divenne impossibile,
a causa dell’acqua che aveva completamente travolto anche a me. Presi a dimenarmi,
tirando calci al mobile che intrappolava il mio ragazzo. Secondo ciò che avevo studiato a scuola,
la pressione dell’acqua alleggeriva il peso degli oggetti. Infatti lo sentii spostarsi di un po’.
Spostai lo sguardo su Zayn, vedendo il suo farsi più vacuo, più debole. Scossi la testa,
cercando di fargli capire che doveva stare sveglio, che lo avrei salvato, ma il mio intento fallì.
Lo lasciai un attimo, spostandomi accanto all’armadio e prendendo a sollevarlo.
L’acqua mi aiutò di molto, in quanto riuscii a toglierlo in poco tempo, liberandolo.
L’ossigeno stava cominciando ad esaurirsi e sicuramente anche per Zayn.
Così lo presi dalle spalle e presi a nuotare più in fretta che potei verso una delle grandi finestre,
per poter uscire. Riuscimmo a passare e, con un ultimo sforzo delle mie gambe, tornammo in superficie.
Presi una grande boccata d’aria, voltando il viso del mio ragazzo fuori dall’acqua, per farlo respirare.
–Dai Zayn…resisti…-, dissi piano, nuotando fino ad una lastra in legno, caricandocelo sopra. Salii al suo fianco e,
dopo avergli tappato il naso, soffiai aria della sua bocca, premendo sul torace tre volte.
Ripetei quell’operazione quattro volte, avendo paura di non essere riuscito a salvarlo in tempo,
quando iniziò a tossire e sputò tantissima acqua dalla bocca, sollevandosi su di un braccio e respirando successivamente affannato.
–Zayn! Sei vivo!-, esclamai buttandomi su di lui ed abbracciandolo, facendomi sfuggire qualche lacrima di gioia.
–Si, ma se stringi ancora un po’ non durerà per molto!-, ridacchiò lui, accarezzandomi la schiena.
Portai il viso all’altezza del suo e lo baciai profondamente, felice come non mai di averlo ancora con me.
Quando mi allontanai vidi i suoi occhi sgranarsi leggermente e mi voltai. Dietro di me,
il Titanic si stava inclinando verso l’alto in una maniera disastrosa. Mi ributtai in acqua,
afferrando i bordi della tavola e prendendo a nuotare, spingendola. Dovevamo allontanarci,
o andando a fondo la nave ci avrebbe risucchiato e da lì si che non ne saremmo usciti vivi.
Zayn mi aiutava dando delle forti spinte nell’acqua con le mani. Le gambe erano ferme,
inermi e la cosa mi preoccupava. Una volta abbastanza distanti mi fermai ad osservare la scena.
La prua era andata giù, separandosi dalla poppa, e fin da lì si potevano udire le grida delle persone.
Poco dopo anche la parte restante della nave andò giù, sparendo nella distesa d’acqua che con la notte era
divenuta nera e spaventosa. Io e Zayn rimanemmo paralizzati a bocca aperta.
–C…credi che Harry e Louis se la siano cavata?-, farfugliai piano, guardando negli occhi il mio ragazzo.
–Non lo so…-, mormorò in risposta, la disperazione presente nel suo sguardo. Un singhiozzo sfuggì al mio controllo,
temendo per la sorte di mio cugino e del suo ragazzo. Ripresi a nuotare, deciso a portare Zayn in salvo,
deciso a portarlo a far curare. Dopo circa tre ore che sbattevo le gambe senza fermarmi, Zayn esclamò –Niall, fermati un attimo.
Sono ore che vai avanti senza sosta. Riposati un momento…-. –No! Se mi fermo ora non so quando riesco a ripartire.
Prima ti porto a New York, a farti curare, e poi mi fermo a riposare!-, risposi, continuando a nuotare.
–Non fare il bambino! Sarai stanco morto. Ascoltami. Io posso resistere, le gambe non fanno così male.
Se ti riposi un po’ non succede niente!-, tentò ancora di dissuadermi. –Ho detto che continuo,
discorso chiuso!-, lo zittii. La mia voce doveva suonare ferma, ma il fiatone non rese l’idea.
In effetti ero tanto stanco e mancava ancora molto alla costa, ma volevo ad ogni costo farlo visitare.
Doveva stare bene. Non mi sarei dato per vinto. Continuai per altre due ore fino a che non mi arrestai di colpo,
accasciandomi sulla tavola. –Niall! Che ti succede?! Parlami piccolo!-, esclamò lui preoccupato,
avvicinandosi a me a gattoni. Non avevo la forza di rispondere. Ero troppo stanco.
–Niall, per favore…-, mi chiamò ancora lui, stringendo le mani nelle mie.
–Sono solo…un po’ stanco…mi riposo…solo un minuto…-, lo rassicurai, la voce rotta dal mio respiro affannato.
Lo sentii sollevarmi da sotto le braccia e caricarmi sulla tavola, stringendomi forte al suo petto.
–Oh piccolo mio…-, mormorò baciandomi i capelli. Appoggiai la testa sulla sua spalla,
sentendomi al sicuro, come se fossi stato a casa mia e senza neanche rendermene conto crollai in un sonno profondo,
preda della stanchezza estenuante. Quando mi svegliai il sole stava tramontando. –Zayn dove…dove siamo?-, chiesi,
la voce impastata dal sonno. –Non lo so Niall. Ho provato a continuare a muoverci, ma con le mani è molto difficile.
Mi dispiace…-, rispose, il tono triste. Mi sollevai, per guardarlo negli occhi.
–Non è colpa tua. Ora torno in acqua e riprendo a nuotare. Vedrai che arriveremo a New York in poco tempo…-, dissi,
facendo per tuffarmi, ma la sua mano mi fermò. –No! Hai già fatto tanto, troppo!
Non voglio che ti stanchi ancora…-, spiegò, gli occhi imploranti. Scossi il capo, immergendomi nelle acque fredde.
–Zayn, ora l’importante è portarti a fare curare. Per cui non discutere! -, lo zittii, iniziando nuovamente a nuotare.
Lui sospirò senza ribattere. –Pensi di riuscire a camminare?-, domandai, poco dopo. –Non saprei dirti.
La sinistra mi fa malissimo, la destra molto meno. Ma non riesco a muoverle…-, spiegò triste.
Aumentai il ritmo, deciso ad arrivare in fretta a New York. Nessuno dei due sarebbe resistito più di tanto.
Finalmente, all’alba del giorno dopo, intravidi in lontananza le luci della città.
Un sorriso spontaneo mi si dipinse in volto dandomi la carica per compiere l’ultimo sforzo.
Una volta sulla riva di una delle spiagge corsi in strada, a chiedere aiuto ad alcuni passanti, per trasportare Zayn.
–Le gambe non lo reggono e non riesco a trasportarlo da solo. Vi prego aiutatemi!-, dissi,
conducendo due uomini verso il mio ragazzo. –Certo figliolo, ma tu calmati. Stai tranquillo!-, mi disse piano uno dei due,
adagiandomi una mano su una spalla. Annuii piano, spiegando –Mi scusi. Ma abbiamo avuto una terribile disavventura,
sono due giorni che nuoto come un pazzo per arrivare sino qui, sono stanchissimo ed ho i nervi a fior di pelle…-.
–Oh, poveri ragazzi… Ma aspetta un secondo, cosa ci facevate in acqua?-, chiese perplesso,
mentre tutti e tre sollevavamo la tavola con Zayn e prendevamo a camminare, probabilmente verso uno degli ospedali più vicini.
–Vede noi eravamo passeggeri del Titanic. È affondato due notti fa e…-. –Si, so cos’è successo.
Ralph, portiamoli al campo!-, mi interruppe, rivolgendosi all’altro. Giungemmo in un campo pieno di tende,
con gente che andava e veniva di corsa. –Ragazzo, recati alla tenda principale, quella bianca, e registra te e lui.
Noi lo portiamo nella tenda medica!-, mi disse Ralph. Annuii e partii alla ricerca della tenda che mi aveva nominato,
trovandola in poco tempo. All’interno c’erano varie persone, intente a leggere dei documenti.
Nel vedermi uno di loro mi raggiunse, prendendomi per le spalle e facendomi sedere.
–Non si preoccupi, sto bene!-, lo rassicurai alzandomi.
–Devo solo registrare me e un’altra persona.-, spiegai. –I nomi?-, domandò dolcemente.
–Zayn Malik e Niall Cardle.-, risposi. Non diedi il mio cognome, per evitare reazioni strani.
L’uomo, dal cassetto della scrivania, estrasse una lunga lista, piena di nomi, aggiungendo poi quelli da me detti.
Lì c’erano tutti i superstiti probabilmente. E se…
-Mi scusi, lì sono segnati tutti quelli che sono sopravvissuti?-, mi azzardai a chiedere. –Si perché?
Cerca qualche parente, qualche amico?-, rispose. –Si. Sono registrai Harry Styles e Louis Tomlinson?-, domandai piano.
Lui scrutò attentamente la lista.
–No mi spiace.-, rispose dopo un po’. Il mio cuore perse un battito. –Magari si è segnato con il nome intero.
Harold Styles? Non compare?! E Louis Tomlinson ne è proprio sicuro?!-, chiesi ancora, in panico. Lui scosse il capo.
–Qui è segnato un certo Harry James Tomlinson. Nessun Styles e nessun Louis. Sono desolato…-, ribadì ancora.
Allora si che mi sedetti, di botto, in quanto le gambe mi cedettero nell’apprendere la notizia. Non c’erano…
Non si erano salvati… Harry e Louis erano morti… -Ehi, ti senti bene?-, domandò l’uomo,
aggirando la scrivania e venendomi accanto. –S..si, sto bene.
Ora devo andare…-, mormorai alzandomi ed uscendo da lì a passo meccanico, come fossi un automa.
Raggiunsi la tenda medica e mi avvicinai ad un lettino, dove c’era Zayn. –Niall, che hai?-, domandò preoccupato,
vedendo i miei occhi colmi di lacrime. Alzai lo sguardo sul suo, farfugliando –Non ci sono più…-.
Lui mi guardò non capendo, mentre una lacrima mi rigava la guancia destra. –Harry e Louis…-, mi interruppi scoppiando a piangere.
Lo vidi spalancare la bocca e trattenere il fiato, per poi prendermi dalla vita ed attirarmi a sé, stringendomi forte.
–Non ce l’hanno fatta… Sono… Sono…-, singhiozzai contro la sua spalla, piangendo disperato.
–Non fare così piccolo. Loro non… Non vorrebbero…-, mormorò, piangendo anche lui.
Non erano sopravvissuti come avevo sperato fino all’ultimo. La distruzione del Titanic aveva strappato loro la vita.
Ed ora non c’erano più.
 
FINE FLASHBACK
 
Dopo allora Zayn era stato fatto operare alla gamba sinistra e portava il gesso oltre che le stampelle.
La ferita era stata molto grave, per quello era ancora convalescente dopo cinque mesi.
Una volta dimesso dall’ospedale avevamo deciso di rifarci una vita ed avevamo comprato casa vicino al Central Park.
Mi riscossi da quei pensieri sentendo i suoi singhiozzi e il suo tremore diminuire. –Va un po’ meglio?-, domandai piano,
accarezzandogli i capelli. Lui annuì, strofinando il naso contro il mio collo, facendomi venire i brividi lungo tutta la schiena.
–Scusami…-, sussurrò poi, stringendosi forte a me.
–Non preoccuparti. È normale sfogarsi ogni tanto…-, lo rassicurai, sorridendo dolcemente.
–Si, ma non è giusto che mi sfoghi con te. Tu non hai colpa…-, farfugliò ancora.
Sentii le sue ciglia solleticarmi il collo mentre rispondevo –Smettila. Puoi sfogarti tutte le volte che vuoi.-.
Sospirò. –E va bene. Grazie…-, concluse, lasciandomi un dolce ed umido bacio sul collo.
Lo allontanai lentamente e lo aiutai a tirarsi in piedi, recuperando le stampelle.
–Ora non fare lo zuccone e vai a sederti sul divano. Ci penso io qui.-, lo liquidai, iniziando a pulire sul pavimento.
Non ero arrabbiato con lui, per niente. Ero solo triste e preoccupato.
Dopo aver finito misi a preparare la colazione e dopo averla adagiata su un piccolo vassoio la portai in salotto.
Zayn, vedendomi, sorrise. La adagiai sul tavolino davanti al divano e mi sedetti accanto a lui.
–Ti amo tanto piccolo mio…-, mormorò, sporgendosi a baciarmi.
–Anche io amore. Non sai quanto…-, risposi. Lui sorrise, riprendendo a baciarmi dolcemente.
Gli cinsi il collo con le braccia, mentre le nostre lingue prendevano a sfiorarsi, rendendo il bacio più passionale.
Lui mi adagiò una mano su un fianco, spingendomi appena, facendomi sdraiare sotto di se. E lì mi bloccai.
–Zayn…no…-, lo fermai, allontanandolo appena. –Perché? Nialler, è tanto che non lo facciamo.
Io ti voglio…-, disse, scendendo a baciarmi languidamente il collo. –Zay…non possiamo…la tua gamba…non devi sforzarla,
rischi di…farti male…-, biascicai, ansimando. –Oh, tranquillo. Oggi farò il passivo, il lavoro lo farai tutto tu…-, mormorò malizioso,
guardandomi negli occhi, colmi di lussuria. Quelle parole scatenarono un brivido in me, così che dopo aver esclamato
–Allora è un altro discorso!-, lo afferrai per il collo e lo trascinai su di me, riprendendo a baciarlo.
 
 
 

#angolo Kikka
SCUSATEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!! D:
Sono in clamoroso ritardo, lo so, ma è stata una settimana un po’ così!
Ho avuto da fare in casa, qui dove abito io sono arrivate le giostre come ogni estate
(il figlio del giostraio è un figo della Madonna *-*), sono entrata in modalità di stolking e
con questo caldo la voglia di scrivere era in vacanza.
Veramente, se potete perdonatemi :(
In questo capitolo, finalmente e per la gioia di molti di voi, si scopre come Zayn e Niall sono sopravvissuti :)
Spero vi piaccia e ci vediamo al prossimo, che spero di non pubblicare così tardi xD
Un bacione!
Kikka

P.S Vi chiedo un favore. Per voi sarebbe un problema se anzi che nel 1912 fosse ambientata nei nostri tempi?
Perchè non sono molto pratica! xD
Per carità se non vi va bene continuiamo con questa epoca.
Rispondete per favore!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***



Andrew
Canticchiavo un motivetto a caso, mentre lavavo i piatti. –Andy, cosa canti?-, domandò dolcemente il mio Stan,
adagiando il mento sulla mia spalla. Lo amavo infinitamente, era tutto il mio mondo.
Lo baciai piano, rispondendo –Non lo so neanche io. Un motivetto che credo di conoscere da sempre, ma non ne sono sicuro.
Credo che le parole siano ‘Tu Josephine sulla macchina vieni via con me, più su…’ e poi non ricordo altro.
Non saprei spiegarlo…-. Lui mi fissò negli occhi e mi sembrò di scorgere all’interno del suo sguardo un misto di paura, tristezza.
–Beh…forse te la cantava tua madre quando eri piccolo!-, esclamò con un sorriso in volto,
allontanandosi ed andandosi a sedere sul divano. Rimasi un attimo perplesso.
–La cantava solo a me e non anche a te?-, chiesi, voltandomi a guardarlo. Lo vidi mordersi la lingua, per poi dire –Certo!
È sicuro! Scusa, ma ora vado, devo fare la spesa. Ci vediamo quando torno amore!-, e si dileguò prima che potessi salutarlo.
Scossi un po’ il capo, tornando alla mia occupazione, sempre cantando quel motivetto.
Ricordavo di averlo già sentito da qualche parte. Nella mia mente ricordavo quelle parole,
le sentivo cantate da me e da una voce differente, roca e calda. Ma non era Stan, ne ero sicuro.
Era di timbro differente. Era come una sagoma nera, a volte leggermente a colori ma troppo
sfocata per poterne distinguere i particolari. Avevo capito da tempo oramai che era un ricordo,
ma non avevo idea del perché lo avessi rimosso dalla mia mente. Terminate di lavare le stoviglie,
dopo essermi asciugato le mani, mi diressi in salotto, sedendomi sul divano, pensieroso.
Erano rare le volte in cui ero così cupo, lo sapevo. Ero un burlone, amavo vedere il sorriso illuminare il volto di Stan.
Quando era serio, triste o preoccupato invece mi preoccupavo molto. Mi appoggiai meglio allo schienale,
sospirando e chiudendo gli occhi. Perché avevo quell’immagine in mente? E il motivetto?
Troppe domande a cui non sapevo dare una risposta. Mi massaggiai piano le tempie, avvertendo un forte fitta alla testa.
Più il tempo passava più il dolore aumentava e non capivo il perché. Mi misi con i gomiti sulle ginocchia,
aumentando la pressione delle dita in un tentativo di alleviare la sofferenza, ma non servì a niente.
Iniziai a gemere piano, senza neanche rendermene conto, vittima di quel forte dolore. Mi alzai di scatto,
salendo le scale verso il bagno per prendere qualcosa che lo diminuisse. Proprio a metà, però,
la testa prese anche a girare. Mi appoggiai al muro, avvertendo delle minuscole gocce di sudore lungo la fronte,
la vista riempita di puntini bianchi. Ma che stava succedendo? L’intera stanza ruotava pericolosamente,
non riuscivo a mantenere l’equilibrio. Urtai alcune foto con la mano, che caddero frantumandosi,
e mi appoggiai al corrimano. Il sudore mi colava senza freno lungo la fronte, le nocche erano bianche e tremavo vistosamente.
–Stan…-, mormorai come se fosse stato lì. –Aiutami…-, continuai, provando invano a reggermi in piedi.
–Stan… Stan…-, chiamai ancora il nome del mio ragazzo. –St…an…-, mormorai un’ultima volta,
prima di perdere la presa sulla ringhiera e cadere giù dalle scale.
Avvertii un forte dolore alla schiena una volta steso al suolo e anche alla testa.
La vista si annebbiò nuovamente e persi i sensi.
 
–Dammi la mano. -, mormoro, allungando la mia verso di lui.
Mi guarda con un cipiglio perplesso, ma dopo un po’ di tentennamento la prende.
Lo tiro lentamente verso di me, portandolo vicino al parapetto.
–Adesso chiudi gli occhi.-, continuo perentorio. Il suo sguardo è ancora più confuso.
–Se vuoi uccidermi dillo subito!-, dice ridacchiando, ma –Shh!-, lo zittisco.
Lui sospira e cala le palpebre su quei due bellissimi smeraldi. –Adesso vieni su…-, dico,
sentendo il suo corpo irrigidirsi per il nervoso. Lo porto davanti a me, avvicinandolo alle sbarre di ferro.
–Ora aggrappati alla ringhiera.-, mormoro al suo orecchio,
seguendo con lo sguardo i movimenti delle sue mani che vanno a stringere il ferro, saldamente.
Noto le palpebre tremolare, segno che le sta per aprire. –Tieni gli occhi chiusi. Non sbirciare!-, lo riprendo seriamente.
–Non sbircio…-, mi rassicura ridacchiando appena. –Adesso sali sulla ringhiera…-, sussurro piano,
notando i suoi piedi issarsi su di essa. Si sbilancia leggermente indietro, ma lo afferro saldamente, dicendo –Reggiti. -.
Aumenta la stretta sul ferro, tenendosi più saldamente. –Tieni gli occhi chiusi.-, mi preoccupo di ricordargli,
vedendolo annuire. Salgo dietro di lui, appoggiando le mani sulle sue.

–Ti fidi di me?-, mormoro ancora, lentamente. –Mi fido di te. -, risponde sicuro di sé.
Sorrido impercettibilmente felice della risposta. Stringo la presa sulle sue mani,
facendole staccare senza un po’ di fatica dalla sbarra e facendogli lentamente alzare le braccia in alto,
formando una linea retta ed intrecciando le dita alle sue. Non mi caccia via, anzi.
Ricambia la stretta, facendomi nuovamente sorridere e scaldare il cuore. –Va bene, apri gli occhi!-, dico infine.
Vedo lentamente i suoi smeraldi fare capolino ed illuminarsi, vedendo dov'è. Sorride radioso,
non riuscendo a proferire parola.

–Louis…sto volando!-, esclama, senza smettere di sorridere. Non riesco a trattenermi dal sorridere anche io,
vedendolo così felice per qualcosa che ho fatto io.
I suoi capelli smossi dal vento mi solleticano leggermente il viso ed emanano un buonissimo profumo di cocco.
Tu Josephine sulla macchina vieni con me, più su. Vola via con me…-, canticchio piano al suo orecchio così,
senza pensare, sorridendo e vedendo il suo sorriso, se possibile, allargarsi ancora di più,
mentre sento la stretta sulle mie mani aumentare, ma non a farmi male. È una stretta dolce, carica di amore.
Si volta lentamente verso di me, smettendo lentamente di sorridere e fissandomi con gli occhi verdi sempre più luminosi.
Si avvicina lentamente al mio viso. Adagia piano e dolcemente le labbra sulle mie, baciandole in modo delicato.
Ho il timore che il cuore mi esca a momenti dal petto per tutta la gioia che quel semplice contatto mi sta causando.
All'interno di me mille e più emozioni si stanno accalcando, tutte unicamente generate dalle sue labbra.
Lascia la mia mano destra e la intreccia al retro dei miei capelli, stringendoli e tirandoli leggermente,
facendomi rabbrividire. Mi stupisce non poco quando schiude le labbra e chiede accesso alla mia bocca,
timidamente, con la lingua, cosa che non nego. Prima ancora che possa rendermene conto le nostre lingue sono intrecciate,
ad assaporarsi, esplorarsi e danzare.
È  il bacio migliore che abbia mai dato…



-Si sta svegliando…-.
Quella voce ovattata mi riportò lentamente alla realtà, facendomi svegliare.
Aprii gli occhi e mi guardai intorno. Ero nella mia stanza, a letto, sentivo la testa fasciata.
Incontrai il dolce sguardo di Stan, che sorrise. –Ben svegliato amore mio…-, sussurrò accarezzandomi una guancia.
Portai una mano alla testa, domandando –Cosa è successo?-.
–Non saprei. Sono tornato a casa e ti ho trovato a terra, al bordo delle scale.
Ti sei fatto male alla testa ed hai perso un po’ di sangue, ma il dottor Higgins ha detto che non è nulla di grave,
devi solo stare un po’ a riposo…-, spiegò dolcemente, carezzandomi una guancia.
–Ho avuto uno dei miei attacchi di emicrania. Sono salito per andare in bagno,
a prendere la solita pillola che di solito me lo allevia, ma a metà scala ho avuto un forte capogiro e sono caduto.
Tutto qui, non ricordo altro.-, dissi. Stan mi spostò un po’ i capelli dalla fronte, sorridendo appena.
–Non ti lascerò mai più solo, te lo prometto…-, mormorò, chinandosi a baciarmela.
–Ora riposa un po’ tesoro. Io sono al piano di sotto, non esitare a chiamarmi.-, concluse, alzandosi dal materasso.
Lo presi per il polso, esclamando
–Aspetta un attimo. -. Lui mi guardò curioso. –Hai mai avuto i capelli ricci, per caso?-, domandai.
Mi guardò confuso. –No Lou, li ho sempre portati corti!-, rispose non capendo.
Questo stava a significare che la persona in sogno non era lui.
–Louis, che succede?-, chiese preoccupato. –Mentre ero privo di sensi, ho fatto come un sogno.
C’ero io, su una nave credo, ed assieme a me un ragazzo dai capelli ricci.
Ma questo vuol dire che non eri tu…-, riflettei a bassa voce. Sentii i suoi muscoli irrigidirsi.
–Stan… c’è qualcosa che devi dirmi?-, domandai allora. Il suo sguardo era allarmato, le mani gli tremavano.
Stava a significare che lui sapeva. –No, nulla. Tranquillo.-, rispose dopo un po’ di tentennamento, meccanico,
sforzando un sorriso e strattonando via il polso dalla mia presa, forse un po’ più rudemente del solito.
Poi raggiunse la porta, in fretta, uscendo e chiudendosela alle spalle, lasciandomi solo.
Sospirai, mettendomi più comodo sul letto, coprendomi con il lenzuolo fin sotto il mento.
Stan era a conoscenza di qualcosa che per qualche motivo a me ignoto non voleva dirmi.
Non capivo perché, in fondo ci eravamo sempre detti tutto, qualunque cosa. Chiusi gli occhi,
deciso a seguire il suo consiglio e dormire un po’.
Chissà che magari in sogno non mi sarebbe venuto in mente qualche strano particolare in più.
 
 
 

Harry
Mi spostai di lato in tempo per evitare di essere messo su da tre bambini che sfrecciavano allegri in bici.
Sorrisi appena, scuotendo il capo, facendo ondeggiare i ricci.
Ripresi a camminare, tenendo la busta con il pane stretta al petto, dirigendomi all’edicola.
–Buongiorno Mike!-, salutai l’edicolante, un uomo sulla settantina, intento ad impilare i quotidiani.
Lui si voltò e mi sorrise come sempre.
–Oh, buongiorno Harry. Come va?-, rispose cordiale come sempre. –Molto bene, la ringrazio.
Lei invece?-, chiesi educatamente. Lui si portò una mano sulla schiena, schiaffeggiandola appena, mormorando
–Eh, la vecchiaia si fa sentire. Goditi la gioventù finché puoi ragazzo mio!-. –Se vuole posso venirla ad aiutare ogni tanto.
Will è molto spesso fuori e io da solo a casa mi annoio a morte!-, proposi.
Era una brava persona a cui tutti volevano bene. Sorrise appena, tutto sdentato.
–Non preoccuparti, per ora me la cavo ancora. Il solito immagino, vero?-, concluse,
girandosi per prendere il “New York Times”. –Si grazie mille. -.
Me lo porse e subito un articolo in prima pagina mi colpì.
Anne Styles, madre dell’oramai ritenuto defunto Harold Styles,
ricoverata d’urgenza al Lenox Hill Hospital di New York.
La donna ha avuto un crollo di nervi a causa di tutta l’ansia del momento. Dettagli a pag. 15”.

Andai subito a quella pagina e vidi una mia vecchia foto, con tanto di didascalia sottostante.  

Il figlio della signora Styles, Harold Edward (1894-1912), in una foto scattata un mese prima della partenza del Titanic.
Dopo l’affondamento del transatlantico non sono state trovate più sue tracce.
Le ricerche sono andate avanti per mesi, senza dare risultati.
Aveva solo diciotto anni
.

Subito dopo lessi attentamente l’articolo che riguardava mamma,
le lacrime che mano a mano mi appannavano la vista. Da quanto riportato era molto grave.
Mi strofinai gli occhi con il dorso della mano, lasciandomi sfuggire un singhiozzo.
Non volevo perdere anche lei, no. Avevo già perso papà, non volevo che anche lei se ne andasse.
Certo, non si era comportata bene nei confronti di Louis, mi voleva obbligare a sposare Caroline,
ma nonostante tutto era pur sempre la mia adorata mamma, quella che quando ero bambino sorrideva sempre,
in modo radioso, abbagliandomi. -Figliolo, forse dovresti andare da lei…-, mi riportò alla realtà l’anziano uomo.
Lo guardai stupito. –Cosa?-. –Oh, andiamo Harry. Dalla prima volta che ti ho visto ho capito chi fossi.
Tu non sei Harry James Tomlinson. Tu sei Harold Edward Styles.
È inutile negarlo.-, spiegò con quella sua voce resa rauca dal tempo, un dolce sorriso ad incurvargli gli angoli della bocca.
Quell’uomo aveva sempre saputo tutto, fin dall’inizio.
E non aveva mai detto nulla a nessuno.
–Harry, vai da lei. Sta male. Se non dovesse farcela sono certo che le farebbe piacere avere il proprio figlio accanto.-,
mi spronò ancora il signor Mike. Annuii, lasciandogli i soldi sul banco.
–Ha ragione. Grazie Mike, ci vediamo domani!-, esclamai convinto, voltandomi e partendo a correre verso casa.
Dovevo lasciare lì la spesa per poi andare da mamma. Sentivo il forte bisogno di vederla, abbracciarla, sentirla parlare.
Sulla nave avevo fatto il duro con lei, ma solo in quel momento mi ero reso conto di quanto bisogno avessi di lei.
Una volta a casa ignorai perfino Malik che mi accolse facendo le feste come al suo solito.
Lo liquidai con un gesto della mano, entrando di corsa e lasciando la spesa sul tavolo in cucina,
per poi correre nel bagno al piano superiore. Mi feci una doccia, puzzavo in una maniera assurda,
lavandomi accuratamente. Volevo essere presentabile agli occhi di mamma. Una volta uscito filai velocemente in camera,
scivolando sul pavimento che avevo bagnato con i miei stessi piedi e cadendo a terra con un tonfo sordo.
Imprecai, rialzandomi in fretta ed andando in camera mia e di Will, aprendo poi l’armadio.
Estrassi il completo più elegante che avevo, stendendolo con cura sul grande letto matrimoniale,
per poi asciugarmi rapidamente ed indossarlo, controllando davanti allo specchio che fosse tutto perfetto,
senza una piega o un bottone fuori posto. Spazzolai i miei ricci ribelli,
che al loro posto proprio non volevano saperne di starci, per poi arrendermi con uno sbuffo.
Niente, non sarei mai riuscito a domarli. Dopo aver indossato delle scarpe eleganti in vernice
nera scesi nuovamente al piano inferiore. Scrissi a William un bigliettino, in cui lo informavo
che avevo da fare una cosa urgente, per poi uscire nuovamente di casa. Malik era sdraiato nel prato,
la testa sulle zampe, lo sguardo offeso. Permaloso. Sbuffai,
dicendo –Quando torno ti faccio tutte le coccole che vuoi…-, e chiudendo il cancelletto con il gancio,
avviandomi in strada. Dovevo pensare a cosa dirle.
Insomma, erano cinque mesi che non aveva mie notizie e così dal nulla io apparivo di nuovo.
Beh, le spiegazioni se le meritava eccome. Feci sosta ad un chiosco che vendeva fiori all’angolo della strada,
acquistando per mamma un mazzo di gigli da portarle in ospedale.
Ci misi un’oretta buona per arrivare alla struttura. Mi presentai all’accettazione,
per chiedere informazioni sulla stanza della mamma.
–La signora Anne Styles è ricoverata nella stanza 346.-, rispose l’infermiera presente dietro il bancone,
scrutando attentamente una cartella che aveva in mano, gli occhiali posti sulla punta del naso.
Dopo averla ringraziata mi diressi al terzo piano, dove si trovava la camera.
Una volta davanti alla porta mi bloccai. Sentivo il cuore martellarmi fortemente nel petto,
le mani prendere a sudare, la testa girare leggermente e le gambe tremare come non mai.
Respirai a fondo, provando a calmarmi, e dopo aver adagiato la mano sulla maniglia, entrai.



#angolo Kikka
E finalmente mi vien da dire torno ad aggiornare!
Sono in strasupermegaiperissimo ritardo, perdono D:
Ma con l’inizio della scuola (amo il liceo lol), il ricovero di mia sorella,
l’incidente con conseguente morte del mio ragazzo e tutto un susseguirsi di impegni
non ho più avuto tempo per scrivere. So che non ho scusanti per il mio clamoroso ritardo,
per altro torno con un capitolo corto, che fa schifo e che non verrà cagato.
Lo pubblico perché voglio far vedere che sono viva c:
Comunque, Louis si inizia a ricordare qualcosa, o meglio ha dei sospetti,
mentre Harry prova a riappacificarsi con la mamma. Nel prossimo si vedrà il discorso tra madre e figlio :)
Che dire?? E’ ucito Take Me Home *^*
È fhjsbfsjhefjkbr! Di questo passo rischio di consumarlo xD Iiiiiinoltre, a maggio, vado al concerto di Milano **
Sono felicissima :D
Spero che vi piaccia come gli altri e ancora perdono :)
Kikka









 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***



Harry
 

Mamma era lì dentro, stesa su un letto, al braccio sinistro attaccata una flebo e
lo sguardo perso a rimirare il paesaggio fuori dalla finestra alla sua sinistra.
Sentendo la porta aprirsi e poi chiudersi girò svogliatamente il volto nella mia direzione, incredibilmente pallido e scavato.
Vidi i suoi occhi sgranarsi non appena mi vide, indicandomi poi con l’indice destro tremante.
–Tu… Harry… tu…-, balbettò incredula, portandosi poi una mano alla bocca non appena confermai –Sono io mamma.-.
Le lacrime presero a rigarle le guance magre, sciogliendole il trucco, mentre mi avvicinavo e le porgevo i fiori, mormorando
–Questi sono per te…-. Li prese, lasciandoli ai piedi del letto, e mi circondò le spalle con le braccia,
tirandomi giù per stringermi a sé. Ricambiai la stretta, rendendomi conto di quanto mi fosse mancata,
nascondendo il viso tra i suoi capelli corvini ed inspirando quel suo profumo che avevo sempre odiato,
ma che in quel momento ritenevo meraviglioso. –Sei qui… Sei qui…-, singhiozzò contro la mia spalla,
aumentando la forza presente ancora all’interno delle sue esili braccia. –Si mamma, sono qui.
Sono qui…-, confermai lasciandomi sfuggire qualche lacrima, inginocchiandomi a terra per arrivare meglio alla sua altezza.
Rimanemmo abbracciati per tanto, troppo tempo, a piangere di commozione.
–Sei proprio tu… non mi sembra vero…-, farfugliò ancora, per poi allontanarmi da sé quel poco che bastava per guardarmi in viso.
Mi accarezzò i capelli come quando ero bambino, facendomi chiudere appena gli occhi,
beandomi di quel contatto che mi era mancato. –Come ti sei fatto bello…-, sussurrò facendomi sorridere.
–Sono sempre uguale mamma, ho solo i capelli più lunghi e gli abiti differenti…-, mi giustificai facendola ridacchiare.
–Guardati. Dio quanto mi sei mancato. I tuoi occhi, oh i tuoi occhi.
Non sai che strazio non averli potuti più vedere per tutto questo tempo…-, continuò, persa nei suoi ricordi, persa ad ammirarmi.
–Ora ci sono mamma. Ora puoi vederli di nuovo.-, la rassicurai, asciugandole dolcemente le lacrime ancora presenti sulle guance.
–Oh Harry perdonami. Sono stata così stupida! Mi sono comportata malissimo con te, con Niall e con quel ragazzo, Louis.
A proposito dove sono? Non saranno rimasti a casa perché hanno paura di me vero?-, esclamò a raffica,
ridacchiando un po’ sulla fine del discorso, rendendosi conto solo dopo dei miei occhi lucidi.
–Piccolo mio che… che succede? Perché hai le lacrime agli occhi?-, chiese preoccupata, accarezzandomi una guancia.
Strinsi la sua mano tra le mie, premendomela maggiormente sul volto, tentando di controllarmi.
–Io… Ecco…-, balbettai, la voce rotta e inferma. –Loro non ci sono più mamma. Né Niall… né… né Louis…-, singhiozzai,
mentre le lacrime mi bagnavano il viso. La sentii trattenere il fiato, per poi stringermi di nuovo a sé,
molto più fortemente di prima. –Mi dispiace tanto Harry… Mi dispiace…-, sussurrò cullandomi,
mentre io scoppiavo in uno dei miei soliti pianti. –E’ morto per salvare me mamma!
Louis non c’è più perché mi ha salvato la vita!-, quasi urlai, la voce soffocata dalla bocca premuta contro la sua spalla.
–Oh, amore mio…-, mormorò, baciandomi il capo. –Niall ha voluto rimanere con Zayn…
Neanche lui ce l’ha fatta…-, continuai, il corpo che tremava e sobbalzava a causa dei violenti singhiozzi.
Continuò a cullarmi e coccolarmi sino a che non mi calmai, riuscendo così a raccontarle tutto ciò che era successo.
Rimase scioccata a fine racconto. –Oh mio Dio. Tesoro mio, non sai quanto mi dispiace…-, farfugliò poi,
accarezzandomi la schiena. –Mi manca tanto mamma…-, sussurrai piano, lo sguardo perso nel vuoto.
–Lo immagino caro. Ma mi hai detto di avere un nuovo ragazzo ora, no? Will, giusto? Vedrai che passerà caro.
So che è dura, ma passerà…-, concluse ancora, coccolandomi. Annuii piano. Per quanto amassi Will,
nel mio profondo, ero certo che non avrebbe mai potuto colmare il vuoto che aveva lasciato Louis.
–Un giorno me lo farai conoscere, vero?-, mi chiese mamma, con un sorriso in volto. Ricambiai il sorriso,
non riuscendo ad essere triste vedendo lei allegra, rispondendo –Ovviamente! La prossima volta che verrò a trovarti lo porterò!
Oggi era al lavoro, è molto impegnato. Ma giurò che lo conoscerai, promesso.-. Lei mi accarezzò una guancia, dolcemente.
–Vedrai che non resterò più qua dentro per molto tempo.
Ora che ho di nuovo il mio bambino mi sento già molto meglio…-, mormorò commossa.
–Meglio, così posso farti vedere casa nostra! E posso farti conoscere Malik, il nostro cagnone!-, esclamai entusiasta.
Mi guardò inarcando un sopracciglio. –Ma tu non hai sempre preferito i gatti?-. –Si, vero,
ma abbiamo deciso insieme di prenderci un cane. Per portarlo a spasso,
così per i primi tempi serviva  distrarmi dai ricordi del disastro che mi torturavano la mente.
Ora mi ci sono troppo affezionato e va bene così. -, spiegai alzando le spalle, facendola ridere.
Che bella risata era la sua. –E inoltre voglio farti vedere un posto molto speciale…-, aggiunsi stringendole le mani nelle mie.
Lei annuì. –Ok caro. Se te la senti io non ho nulla da obbiettare. -. Sorrisi, guardando l’orologio.
–Oh come è tardi! Scusa mamma, ma devo assolutamente andare a casa a preparare il pranzo.
Will sarà di ritorno a momenti. Domani torno, te lo prometto!-, esclamai alzandomi velocemente in piedi.
Lei rise sonoramente, dicendomi –Non ti preoccupare. Vai, svelto, e attento in strada,
mi raccomando!-, mi disse con quel tono apprensivo tipico delle mamme. Le schioccai un sonoro bacio sulla guancia,
per poi andare alla porta. –A domani mamma!-, la salutai, per poi uscire dalla stanza. Sospirai, felice.
Mi sentivo più libero, come privo di un peso. Era una sensazione bellissima, che non provavo da troppo tempo.
Mi incamminai verso casa allegro, leggero, guardando il cielo. Era limpido, il sole splendeva,
rifletteva a pieno il mio stato d’animo in quel momento. Raggiunta la periferia mi avvicinai al mare.
Non vi ero più entrato dopo quella notte. Mi ero sempre e solo fermato a guardarlo.
Come al solito passeggiai sul bagnasciuga, godendomi quella gentile brezza che mi scompigliava i ricci.
Sorrisi senza volere, rendendomi conto che forse quello era il primo passo per ricominciare a vivere.
Avevo riallacciato i rapporti con mamma, mi sembrava cambiata, e il ciò costituiva metà dell’opera.
La parte restante era dimenticare Louis, il che, ero sicuro, non sarebbe stato affatto facile.
Mentre osservavo l’immensa distesa blu che arrivava fino all’orizzonte,
la mia attenzione venne catturata da qualcosa che galleggiava poco lontano dalla riva.
Sembrava quasi una specie di quaderno, rivestito con una copertina in pelle marrone. Curioso,
mi chinai e smossi l’acqua con le mani, per farlo avvicinare. Una volta giunto a me lo presi in mano e mi rialzai in piedi,
riprendendo a camminare in direzione di casa. Per tutto il tragitto lo osservai, studiandolo e rigirandomelo tra le mani,
provando a capire cosa fosse. All’interno c’era qualcosa, ne ero certo. La copertina in pelle forse serviva a proteggerlo,
a renderlo una specie di impermeabile. Bah. Una volta a casa, con mio grande stupore, Will non era ancora arrivato.
Meglio, avrei avuto più tempo per cucinare in santa pace. Come gli avevo promesso prima di andarmene,
coccolai amorevolmente Malik, per poi entrare. Lasciai le chiavi nello stipetto appeso alla parete dell’ingresso,
per poi andarmi a sedere sul divano, il cane che passeggiava allegro per la stanza.
Rimirai ancora per un po’ quell’insolito oggetto portato dal mare. Chissà qual’era la sua storia,
chissà come era finito in acqua, chissà da dove veniva. C’erano tante domande a cui volevo dare una risposta.
–Forse posso trovare qualche informazione all’interno!-, riflettei ad alta voce. Non ero molto sicuro però.
Inoltre, mi sembrava di conoscerlo, aveva un qualcosa di familiare. Lo rigirai ancora,
notando in quel momento un particolare che prima mi era sfuggito. Nella parte posteriore,
sull’angolo inferiore destro, c’erano incise,  a fuoco probabilmente, due lettere: L. T.  
Ok, ora la curiosità aumentava di brutto. Deciso con non mai feci scattare il piccolo bottone che fungeva da chiusura,
aprendo così quell’insolita custodia. All’interno, per l’appunto, c’era un quaderno,
come avevo sospettato sin dall’inizio. O meglio, era un blocco. Lo studiai un momento, le sopracciglia corrugate.
Non era in buono stato, ma neanche in condizioni disastrose. La pelle doveva averlo un po’ protetto dall’acqua evidentemente.
Ero decisamente curioso di sapere cosa fosse racchiuso in quel blocco. Così lo aprii,
incontrando un foglio lasciato bianco. Lo rimossi, mettendolo accuratamente accanto a me sul divano,
e tornai con lo sguardo sull’oggetto che avevo tra le mani. Non appena posai gli occhi sul foglio successivo sbiancai.
Presi a sudare freddo, sentendo il respiro farsi affannato e le mani prendere a tremare.
Lo lanciai lontano, facendolo finire sul pavimento con un tonfo secco, per poi raggomitolarmi su me stesso,
le ginocchia strette al petto. Cercai di rendermi invisibile, di farmi piccolo contro l’angolo del divano,
mentre violenti singhiozzi prendevano a scuotere il mio corpo e nascondevo il capo tra le braccia,
scoppiando in un pianto isterico.



Zayn

-Niall, piccolo, puoi venire qui ad aiutarmi per favore?-. Subito il mio raggio di sole scese e scale, raggiungendomi.
–Che succede Zay?-, domandò allarmato. Risi della sua preoccupazione. –Nulla piccolo,
ma quel ragazzino ha come al solito lanciato il giornale che è atterrato davanti alla porta e sai bene che non posso accucciarmi.
Me lo prenderesti per favore?-, chiesi con gli occhi dolci. Lui sbuffò, borbottando qualcosa di simile ad un
–Mi hai fatto preoccupare!-, per poi aprire la porta e chinarsi a prendere il quotidiano, porgendomelo.
–Grazie mille tesoro!-, trillai allegro, baciandolo a schiocco sulla guancia e andando verso il divano.
Mi ci sedetti, accostando al mio fianco le stampelle, prendendo poi a sfogliarlo attentamente.
Mi cadde subito l’occhio su un titolo a caratteri cubitali. Deglutii, chiamando il mio ragazzo.
–Cosa c’è ancora?-, sbuffò, affacciandosi dalla cucina, credendo che lo stessi chiamando nuovamente per una cosa futile.
–C’è qualcosa che dovresti leggere…-, gli dissi piano, alludendo al giornale. Perplesso mi raggiunse,
sedendosi accanto a me, muovendo veloce gli occhi sull’articolo. Vidi dopo poco i suoi pezzi di mare inumidirsi,
mentre il respiro si faceva veloce. Gettò il giornale sul tavolino davanti a noi, nascondendo poi il viso tra le mani,
respirando profondamente. –Ehi, ehi, ehi, va tutto bene. Ci sono io. Va tutto bene…-, tentai di consolarlo,
mettendogli una mano sulla spalla. Lui rialzò il volto, asciugandosi velocemente una lacrima traditrice, sospirando.
–Si. Va tutto… tutto bene.-, concordò con voce inferma. –Vuoi per caso andarla a trovare?-, chiesi cauto.
–No!-, rispose subito, secco. –Niall, è tua zia…-. –Ti sbagli Zayn. Mi ha praticamente rinnegato come nipote.
Io non sono più niente per lei, come lei non è più niente per me. -, mi interruppe brusco.
–Mi sono solo fatto prendere un momento dallo sconforto perché un tempo le volevo bene,
perché mi ha accolto quando i miei sono morti, perché è stata come una madre…-, elencò, scoppiando poi in lacrime.
Lo abbraccia, più forte che potevo, per fargli sentire che io c’ero, che se aveva bisogno io ero lì per aiutarlo.
–Io non voglio che muoia, Zay. Nonostante tutto, non voglio perderla definitivamente…-, singhiozzò contro il mio petto,
stringendo tra le mani la mia camicia. –Lo so piccolo, lo so. Ma non morirà, vedrai.
È solo una cosa passeggera, finirà presto…-, tentai di rassicurarlo, cullandolo. Dopo poco si calmò,
non staccandosi però dal mio abbraccio. –Perché non la vai a trovare?-, proposi piano. –No. Mi odia Zayn.
Sicuramente non mi vorrà vedere…-, negò subito, scuotendo forte il capo, come un bambino.
–Nialler, non puoi saperlo senza tentare. Magari questa è l’occasione buona per recuperare i rapporti!-, tentai ancora,
facendogli nuovamente scuotere la testa. –No, non voglio. Magari più avanti, ma ora no.-, disse come un bambino.
Sospirai. –Va bene, più avanti…-, mormorai accarezzandogli i capelli.
Rimanemmo ancora un po’ di tempo in quella posizione, fino a che non si alzò e tornò in cucina, a preparare il pranzo.
Io sospirai. Era ovvio volesse andare da lei, ma la paura di essere cacciato lo bloccava. Faceva male vederlo così.
Era molto insicuro di sé stesso e quella situazione di certo non lo aiutava a migliorare.
Mi sporsi per riprendere il giornale, riprendendo a sfogliarlo. L’occhio, questa volta, mi cadde su una foto.
Ritraeva un ragazzino ricciolo, con gli occhi verde smeraldo, il sorriso splendente e le fossette agli angoli della bocca.
Deglutii a fatica osservando la foto di Harry. Lo avevo conosciuto poco, ci avevo litigato perché aveva fatto stare male Louis,
ma mi mancava molto. Già, Louis.  Chissà come si trovava in paradiso.
Non riuscivo a credere che una persona come lui fosse finita all’inferno, non riuscivo proprio a credere che fosse morto,
nonostante fossero passati cinque mesi. Qualche lacrima mi rigò le guance e le spalle vennero scosse da diversi singhiozzi,
mentre mi sbattevo una mano in viso e piangevo come un bambino, ricordando il mio migliore amico.
–Perché mi hai abbandonato, Lou?-, mormorai piano, la voce incrinata. –Avevi promesso che non te ne saresti mai andato.
Me lo avevi promesso quando ci siamo incontrati anni fa sotto quel ponte.
Mi manchi tanto…-, continuai massaggiandomi piano la fronte. Dio se sentivo la sua mancanza.
Avevo sempre cercato di mostrarmi forte per poter far da sostegno a Niall,
che era stato molto male per la perdita di Harry, ma anche io soffrivo come un cane. Pochi minuti dopo mi calmai,
asciugandomi gli occhi con una mano e prendendo un profondo respiro.
Non potevo permettere che il mio piccolino mi vedesse piangere. Ripresi a leggere il quotidiano,
per fortuna senza incontrare altre notizie spiacevoli, fino a che dopo mezz’oretta il mio ragazzo mi chiamò,
avvisandomi che era pronto. Così lo raggiunsi, con la mia solita calma forzata. Pranzammo tranquillamente,
come al solito, con la nostra solita atmosfera da piccioncini innamorati. Verso le due del pomeriggio,
il mio biondo fece una richiesta. –Ti andrebbe di andare un po’ a passeggio?-, domandò timidamente.
In effetti era da quando vivevamo lì che non ero mai andato in giro. Un po’ d’aria mi avrebbe fatto bene.
–Certo! Quando vuoi andiamo.-, risposi stupendolo. Un meraviglioso sorriso si fece strada sul suo volto,
avrei pagato oro per vedere almeno una volta al giorno quel sorriso, per poi farlo esclamare –Allora alzati che usciamo subito!-.
Ridacchiai, alzandomi dal divano dove ero sdraiato a riposare, per poi prendere le stampelle e raggiungere la porta.
Dopo che ebbe chiuso a chiave ci avviammo lungo il marciapiede. –Voglio farti vedere un po’ il quartiere amore.
È tranquillo e i vicini sono molto cordiali!-, fece tutto pimpante.
Era felice di avermi portato fuori da quell’edificio, si vedeva. Camminammo per qualche centinaio di metri,
arrivando all’angolo infondo alla strada, quando dovetti fermarmi un momento a prendere fiato.
Può non sembrare, ma andare in giro con quelle cose ed una gamba pesante come il piombo non è affatto facile!
Dopo che mi fui ripreso ripartimmo, chiacchierando serenamente. Era una bellissima giornata.
Il sole splendeva, c’era un dolce venticello, un ragazzo era appena andato addosso a Niall… Un momento.
Cosa? Mi resi conto solo in quel momento che il mio ragazzo era seduto per terra, con una mano alla nuca,
mentre un ragazzo dai corti capelli castani era a chinato davanti a lui, intento a raccogliere quella che dedussi fosse la sua spesa,
mente chiedeva ripetutamente scusa. –Scusa, scusa, scusa, perdonami davvero. Non so dove ho la testa,
perdonami!-, disse, dopo aver raccattato il tutto ed essersi tirato in piedi, aiutando anche il biondo ad alzarsi.
Quando anche Niall fu in piedi potei vedere in faccia l’altro ragazzo e per poco non schiattai lì.
–L…Liam?-, balbettai. Lui voltò lo sguardo verso di me, sgranando gli occhi e fissandomi incredulo.
–Zayn?-, chiese anche lui sconvolto. Niall ci guardò non capendo. –Voi due vi conoscete?-, domandò perplesso.
–Zayn! Oddio che sorpresa, non credevo di trovarti qui!-, esclamò subito dopo il castano, facendomi sorridere.
–A chi lo dici amico mio!-, gli diedi man forte, notando poi che il mio ragazzo ancora non seguiva il filo del discorso.
–Liam, lui è il mio ragazzo, Niall. Niall, lui è Liam, un amico che ho conosciuto in terza classe assieme a…Louis…-, spiegai
affievolendomi appena sull’ultima parte. –Molto piacere! A proposito, dov’è quell’altro?
Voglio sapere com’è andata a finire con il ricciolo, anche se credo bene a giudicare dal fatto che
l’ultima volta che gli ho visti si tenevano per mano!-, esclamò ancora il ragazzo, allegro.
Io e Niall abbassammo lo sguardo, notando il sorriso di Liam spegnersi. –Lou ed Harry… ecco loro…-, provai a spiegare,
ma Liam mi interruppe mettendomi una mano sulla spalla. –Non preoccuparti, ho capito. Mi dispiace,
mi dispiace davvero tanto per il mio atteggiamento e per entrambi.-, fece mortificato.
–Non potevi saperlo, tranquillo.-, lo rassicurai con un piccolo sorriso. –Dai, non restiamo qui!
Vi porto a casa mia, così possiamo prendere un caffè o un the, come preferite!-, disse subito dopo,
rompendo quella triste atmosfera, facendo annuire me e il mio ragazzo. Ci accompagnò ad una casetta poco distante,
di due piani, bianca, molto graziosa. –Danielle, vieni un attimo per favore!-, urlò non appena varcammo la soglia.
Dalle scale scese la ragazza ricci e mulatta, bella come la ricordavo. Era identica ad allora.
Sgranò gli occhi non appena mi vide, venendo poi ad abbracciarmi. –Oh Zay, quanto tempo. E Louis?
Come sta?-, chiese quando si fu staccata, guardando alle mie spalle. Scossi appena il capo,
guardandola con aria affranta negli occhi. Lei, capendo, si portò una mano a coprire la bocca spalancata,
iniziando piano a piangere. Liam la strinse a sé, accompagnandola a sedersi sul grande divano verde acqua,
facendoci cenno di accomodarci. –Quel povero ragazzo. Era così solare, era così buono…-, singhiozzò la ragazza,
con la nuca appoggiata alla spalla del suo compagno. –Almeno non è solo. Harry, il cugino di Niall, è con lui.
Crediamo che siano morti insieme.-, spiegai piano. Vidi i grandi occhioni castani di lei posarsi sulla figura del mio ragazzo,
che annuì appena. Lei pianse ancora più forte, riuscendo però a mormorare, in direzione del biondo –Mi dispiace tanto…-.
–Grazie...-, farfugliò lui, asciugandosi appena gli occhi. Dopo qualche minuto smise di piangere,
passandosi il dorso della mano tremante sulle gote. –Amore, devi stare calma. Non gli fa bene, lo sai…-, la riprese dolcemente Liam,
poggiandole una mano sul ventre. Sia io che Niall spalancammo la bocca.
–Sei incinta? E di quanto?!-, domandai sorpreso. Lei sorrise appena, adagiando la mano su quella del suo ragazzo.
–E’ il quarto mese questo.-, ci disse, fissando la pancia. In effetti, ora che ci facevo caso, si notava un pancino sospetto.
Niall si alzò dalla poltrona su cui era seduto, inginocchiandosi davanti a lei. –Posso?-, domandò piano, facendola annuire.
Posò delicatamente una mano sul suo ventre, accarezzandolo dolcemente, per poi sorridere radioso e voltarsi verso di me.
–E’ incinta Zayn! Capisci? Ha un bambino in grembo!-, esclamò estasiato, facendoci ridacchiare.
–Che cosa meravigliosa… E com’è? Fa male? Da fastidio?
Non rischi di schiacciarlo se dormi in posizioni strane?!-, prese a domandare a raffica.
Danielle rise di gusto, mentre Liam andava in cucina e tornava poco dopo con delle tazze di the fumante.
Per tutto il pomeriggio ascoltammo il resoconto della ragazza riguardo la sua gravidanza,
il mio sguardo perso ad ammirare Niall. Sembrava un bambino. Aveva gli occhi brillanti come non aveva da tanto tempo,
le guance rosse ed annuiva ad ogni spiegazione, non facendosi sfuggire qualche domanda di approfondimento.
Era felice, era solare, era il Niall che avevo conosciuto su quella maledetta nave.
Finita la questione della gravidanza parlammo del più e del meno, di come erano passati questi cinque mesi,
di come andava la mia gamba, di come era stata abilmente curata la ferita di Liam
e cosa avevamo intenzione di fare in quel momento. Quando stava iniziando a calare la sera decidemmo di avviarci verso casa,
con la promessa però di vederci più spesso. –Ah. Sono stato benissimo!-, esclamò Niall, sulla strada del ritorno.
Ridacchiai, fermandomi per poterlo attirare a me e dargli un bacetto a schiocco sulle labbra.
Decise di tagliare per un vicoletto che dava sul mare, così da goderci il panorama. Anche lì, l’isolato era abitato,
ma molto tranquillo. c’era qualche coppietta in riva al mare, le luci delle case accese, l’assoluta tranquillità.
Mi dovetti fermare per riposare come al solito, vedendo Niall più avanti tornare indietro.
–No, vai tranquillo. Ti raggiungo subito.-, lo rassicurai, vedendolo annuire. Impugnai meglio le stampelle,
pronto a ripartire, quando il mio udito catturò qualcosa. –Harry, muoviti a venire giù!-. Mi bloccai.
Harry? Harry?! Mi voltai verso la casa alla mia destra, quella da dove ero certo provenisse quell’esclamazione.
Mi avviai verso il cancelletto, piegandomi a leggere la casella postale. Lowe – Tomlinson. Mi sentii mancare. Tomlinson, Louis.
No, non poteva essere. I miei pensieri vennero interrotti dall’insistente abbaiare di un grosso cane all’interno del giardino,
oltre il cancello. Ce l’aveva con me, si. Indietreggiai di un poco, quando la porta si aprì e ne uscì un ragazzo dai capelli corti,
corvini e gli occhi azzurri. –Ehi, smettila!-, disse riverito al cane, che cessò di abbaiare ma non di puntarmi.
Subito dopo si rivolse a me. –Desideri qualcosa?-, mi chiese. –Eh? Ah, no. Anzi, mi spiace.
Ero fermo qui un momento per riposare, camminare con queste cose non è facile, e ho invaso la proprietà.
È colpa mia, scusami.-, spiegai. Lui sorrise gentile. –Non preoccuparti, è lui che è un cagnaccio esagerato!-, disse,
accarezzando amorevolmente la testa del cagnone. Decisi di azzardare. –Senti…ehm… per caso qui vive un certo Louis?-, domandai.
Mi guardò incerto. –No, direi proprio di no. Viviamo io, il cane e il mio ragazzo. Nessun Louis, mi spiace.-, sentenziò.
–Ah… Ok, scusa il disturbo. È che mi è caduto l’occhio sui cognomi ed io avevo un amico che faceva di cognome Tomlinson.
Questo amico non c’è più e appena ho visto il cognome ho pensato che…-, tentai di giustificarmi.
–Tranquillo, non c’è problema.-, mi rassicurò. –Allora me ne vado. Buona serata.-, salutai,
riprendendo a camminare verso Niall, mentre sentivo chiedere –Chi era Will?-. Quella voce…
Mi voltai di scatto verso la porta, trovandola però nuovamente chiusa. Riflettei un attimo, mezzo scosso.
Potevano esistere mille e più Tomlinson al mondo, così come mille e più Harry.
Inoltre forse quel ragazzo aveva la voce simile a quella del cugino di Niall, chi lo sa.
Scossi il capo, sorridendo amaramente.
–Sto proprio diventando pazzo…-, farfugliai, prima di raggiungere il mio ragazzo.
 
 
 

#angolo Kikka
Ecco qui quello nuovo c:
Spero proprio che vi piaccia :D
Dai, sono stata più veloce dell’altra volta LOL
Beh, in questo capitolo iniziamo ad avere qualche collegamento tra i personaggi.
Qualcuno mi aveva chiesto di Liam e Danielle, eccoli qui. Sani,
giovani e con un pargolo in arrivo XD Prima di evaporare, una domandina:

secondo voi, cosa ha trovato Harry che lo ha sconvolto tanto?
Si accettando scommesse!
Detto ciò Buon Natale, anche se in ritardo e Buon Anno,
sperando che sia meglio di quello appena trascorso!
Baci
Kikka C:

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***



*ATTENZIONE: PRESENTI SCENE DI VIOLENZA SU UN RAGAZZO.

Riassunto: Louis, Harry, Niall e Zayn sono vivi.
Louis ha perso la memoria, vive a Doncaster, ha una relazione con Stan e adesso si chiama Andrew.
Ha strane visioni, riguardanti scene che non ricorda, riguardanti Harry. Niall e Zayn vivono insieme a New York,
mentre Harry sta con il marinaio William Lowe, ma ricorda sempre Louis. Harry non sa che i tre sono vivi e viceversa.



Andrew
Quella mattina mi alzai con un fortissimo male alla testa, per cui il mio umore non era il massimo, anzi.
Peggiorò addirittura non appena mi resi conto che fuori diluviava. Fantastico.
–Iniziamo proprio bene…-, borbottai dopo aver scostato le tende, scendendo le scale.
Una volta in cucina trovai un post-it attaccato al frigorifero.
Ehi Andy. Se ti svegli e trovi questo allora non sono ancora tornato.
Sono uscito con Matt e gli altri perché in questo momento viene come Dio la manda e rischiamo che la barca si riempia d’acqua.
Aggiusto la situazione e torno, non ti preoccupare.

Non era la prima volta che mi svegliavo solo in casa. Già in precedenza capitava, ma dopo il mio ‘incidente’,
la situazione era notevolmente cambiata. In peggio, si intende. Il nostro rapporto stava subendo cambiamenti,
cambiamenti di cui non andavo affatto fiero. Era diventato più freddo nei miei confronti, era glaciale quasi.
Era più freddo di un iceberg. Si stava distaccando e la cosa non mi piaceva. Insomma, non mi sembrava di aver sbagliato in nulla e
se lo aveva fatto perché non me lo diceva? Potevamo chiarire e risolvere tutto insieme. Ci eravamo sempre detti tutto…
Sospirai, accartocciando il foglietto e gettandolo nell’immondizia. Misi su del caffè, appoggiandomi poi al piano cottura,
perso nei miei pensieri. Avevo tante, troppe domande in mente. Perché Stan si comportava in quel modo? Cosa mi nascondeva?
Perché facevo quei sogni strani? E, soprattutto, chi era il ragazzo che sognavo? Non avevo risposta a nessuna, forse possibili teorie solo ad alcune.
Senza accorgermene spostai la mano sulla caffettiera bollente e subito saltai, cacciando un urlo di dolore.
Sventolai in aria l’arto, esclamando –Cavolo, cavolo, cavolo! Brucia dannazione!-, per poi portarla alla bocca e soffiare sulla punta delle dita,
dove mi ero scottato, divenute tutte rosse. Le misi sotto l’acqua gelata, mormorando –Tomlinson sei un emerito idiota…-.
Mi bloccai un secondo. Tomlinson? E chi era questo? Perché avevo detto quel nome? Cosa c’entrava?
–Devo avere seri problemi a questo punto. Neanche il mio nome so più dire!-, commentai sarcastico.
Spensi sotto il caffè con la mano ‘sana’, per poi prendere del ghiaccio dal freezer.
–Cazzo se fa male…-, borbottai aprendo un cassetto ed estraendo un panno nel quale avvolsi il ghiaccio.
Nel tirarlo fuori, però, cadde a terra un giornale. Curioso lo presi e mi sedetti al tavolo,
la mano sinistra con sopra la sostanza fredda. Lo aprii per bene, notando il grande titolo in prima pagina.
“Il transatlantico più grande del mondo, il Titanic, affondato alle 2:20 di questa notte, nel centro dell’Oceano Pacifico”.
Le foto ritraevano un’imponente nave con migliaia e migliaia di persone sopra, attraccata in un porto.
Lessi con attenzione ogni articolo riguardante l’accaduto, rimanendo sconvolto dal numero di perdite.
Solo sei persone erano state estratte dall’acqua, delle millecinquecento. Era incredibile pensare che fosse realmente accaduto, insomma.
Tutte quelle povere persone, quelle povere anime che avevano sicuramente una famiglia o comunque qualcuno che attendesse il loro ritorno.
Mi dimenticai della caffettiera ancora sul fornello, troppo preso a studiare ogni singola parola scritta lì, nero su bianco.
Mi era quasi venuta l’ansia di tornare in barca con Stan e i ragazzi. Un tuono mi fece sobbalzare sulla sedia, spaventato.
Addirittura quelli, con tanto di fulmini? Non si vedeva un temporale del genere da qualche tempo oramai.
Mi alzai, riponendo il ghiaccio al suo posto e fasciandomi la mando con una piccola garza, per poi salire a vestirmi.
Dovevo andare in giardino per assicurarmi che l’orticello sul retro non fosse stato danneggiato dal temporale.
Ok, eravamo in estate, ma in Inghilterra cose del genere capitavano anche nei momenti più improbabili. Una volta pronto,
indossato anche un giaccone, aprii la porta. Venni investito da una folata d’aria fredda,
mista all’acqua e mi costrinse a chiudere gli occhi per qualche secondo. Una volta ripreso uscii, chiudendomi la porta alle spalle ovviamente,
e scendendo i gradini del portico, giungendo nel giardino. Quell’acquazzone aveva portato con sé tanto, troppo freddo.
Sembrava di essere a mollo nelle acque dell’Atlantico. Mi strinsi nella giacca, bagnato oramai da capo a piedi,
arrancando verso il retro. La terra era divenuta fango e le mie scarpe ne erano imbrattate. Che schifo.
Un’altra folata di aria fredda che mi penetrava fin dentro le ossa, facendomi bloccare sul posto. I muscoli non rispondevano,
erano come gelati. Non sentivo più il mio corpo. Ed era una sensazione che sentivo di avere già provato, anche se non ricordavo quando.
Come colpo di grazia arrivò una delle mie solite fitte alla testa, che mi fece piegare. Mi portai una mano, ringhiando
–Non adesso…-. Non potevo permettermi di crollare proprio in quel momento, avevo del lavoro da fare.
La vista si annebbiò, prendendo a oscillare, causandomi forti vertigini. Mi appoggiai un momento alla parete di casa,
proprio mentre nella mia mente si ripercorrevano delle immagini insolite…
Urla, persone che chiedono aiuto. È tutto buio, è notte. E fa freddo. Fa tanto, troppo freddo. Sono bagnato completamente,
sto gelando e tremando come una foglia. Sono a mollo nell’acqua, l’acqua più gelida che io abbia mai sentito.
È gremito di gente che si dimena, che piange, che vuole rimanere a galla. Non so come ci sono finito,
so solo che il corpo non risponde ai miei comandi. Sono appoggiato ad un’asse in legno, le mani strette in quelle di qualcun altro.
Alzo lo sguardo e scorgo di nuovo quella solita massa informe di ricci castani. Non lo vedo in viso, lo ha adagiato contro le nostre mani.
Ci respira per riscaldarle un poco. La visuale inizia a svanire lentamente e l’ultima cosa che sento è la solita voce calda, roca,
che sussurra flebilmente –Ti amo Lou…-.

Tornai alla realtà in quel momento, il respiro corto, gli occhi lucidi e la pioggia che continuava a bagnarmi.
Quelle ‘visioni’ avevano sempre uno strano riscontro su di me, ma non potevo fargli prendere il sopravvento.
Scossi un po’ il capo e mi riavviai verso l’orto. Una volta davanti ad esso fui felice nel constatare che non aveva subito danni.
In poche parole ero uscito per niente. Sbuffai, avviandomi nuovamente verso la porta di casa.
Il temporale sembrava quasi essere diminuito, ma non mi lasciai ingannare. Come già detto, il tempo in Inghilterra giocava brutti tiri.
Non bisognava mai fidarsi di cosa si vedeva. Una volta tornato in casa sospirai di sollievo,
togliendomi le scarpe sudice e mettendole nel lavandino della cucina. In qualche modo le avrei pulite,
ma in quel momento volevo solo filare a farmi un bagno caldo. Ne avevo assolutamente bisogno. Salii le scale,
andando ad aprire l’acqua nella vasca e mettendoci il tappo, per poi andare in camera a prendere dei vestiti puliti,
mettendo gli altri in una cesta che poi avrei lavato. Una volta spoglio, versato il bagnoschiuma nella vasca e regolata la temperatura dell’acqua,
mi ci immersi, sospirando di puro piacere. Era divino sentire il calore penetrarti nelle ossa al posto del freddo e sentirle sciogliere,
recuperando la sensibilità degli altri. Chiusi gli occhi, appoggiando la nuca su un asciugamano adagiato su uno dei bordi,
scivolando appena e lasciando che l’acqua mi arrivasse al mento, mettendomi a riflettere.
Cosa volevano dire quelle strane immagini che mi affollavano la mente? Chi era il giovane riccio che vedevo sempre?
Perché Stan non mi diceva nulla a riguardo, non mi aiutava a capire?
Iniziai a massaggiarmi prima uno poi l’altro braccio con la spugna imbevuta nel sapone, pensieroso.
Tutte quelle domande stavano iniziando a procurarmi un inizio di emicrania. Dopo essermi insaponato anche le gambe,
presi un profondo respiro e mi immersi completamente sotto il livello dell’acqua. Per quanto strano,
l’apnea riusciva a farmi schiarire le idee. Avevo una buona capacità nel tenere il fiato anche al lungo.
Lasciai che tutti i pensieri presenti nella mia mente (il ragazzo riccio, il rapporto con il mio ragazzo, le strane immagini,
il motivo che le provocava) scivolassero via, perdendosi in mezzo all’acqua e al sapone, lasciandomi finalmente la testa sgombra,
libera. Mi sentivo leggero come non ero più da qualche tempo.
Captai un suono ovattato per poi sentire due mani afferrarmi le spalle e tirarmi su, facendomi così uscire con il busto dall’acqua.
Ripresi a respirare, tossendo un poco e passandomi due dita sugli occhi, scostandomi poi i capelli dal viso,
mentre lentamente l’udito tornava nitido. Quando aprii le palpebre mi trovai davanti il mio ragazzo, che sbraitava guardandomi fisso.
–Sei completamente pazzo?! Eh?! Mi spieghi perché?! Perche volevi farlo?!-, urlò scrollandomi. –Che cosa?-, chiesi confuso.
Sgranò maggiormente gli occhi scuri, come a capire se lo stessi prendendo in giro o se fossi serio. –Che cosa Andrew?
Che cosa?! Perché ti volevi ammazzare?! Dimmelo perché non lo capisco proprio diavolo!-, sbottò. Oh no, aveva frainteso tutto.
–Stan, calmati. Non volevo suicidarmi.-, gli dissi piano, prendendogli il viso tra le mani per farlo calmare ed ascoltarmi.
–L’apnea mi aiuta a pensare. Prima sono uscito e ho preso freddo, così mi sono riscaldato per bene.
Non volevo uccidermi, stai tranquillo.-, spiegai con un piccolo sorriso, accarezzandogli piano i capelli.
I suoi occhi divennero lucidi, prima che si sporgesse oltre il bordo per abbracciarmi, appoggiando la fronte sulla mia spalla e
cercando di contenere il pianto che lo aveva travolto. –Dio, non farlo mai più… Ho avuto così tanta paura di averti perso…
Non sai che spavento. Dio io non voglio perderti! Non voglio, non voglio, non voglio…-, singhiozzò, stringendomi forte a sé.
Ricambiai l’abbraccio, coccolandolo piano. –E’ tutto ok. Sto bene. Non ti lascerò, te lo prometto.-, mormorai al suo orecchio per rassicurarlo.
–Non permetterò a nulla e nessuno di portarti via da me, capito?-, fece poi, con voce più ferma. Si allontanò da me,
per guardarmi negli occhi e precisare –Nessuno. -. Annuii, guardandolo dolcemente, accarezzandogli una guancia.
Si sporse nuovamente, questa volta per baciarmi sulle labbra. Subito dolcemente, accarezzando la mia bocca,
ma poi spostò una mano sul retro del mio capo, avvicinandomi maggiormente, stringendo i miei capelli e facendomi male.
Violò la mia bocca a forza con la sua lingua, infilandocela con rabbia quasi. Strizzai gli occhi, a disagio,
mentre mi mordeva con violenza il labbro inferiore, facendomi male. Gemetti di dolore, sentendo il sapore metallico del sangue in bocca.
Gli adagiai le mani sul petto, facendo forza per staccarlo da me. Nulla, era come incollato. Tentai nuovamente,
mettendoci tutta la forza che avevo in corpo, non prendendo però in considerazione il fatto che lui fosse parecchio, forse molto,
più grosso di me. Ancora una volta non si scollò di un millimetro e allora iniziai a preoccuparmi.
–Stan…Stan staccati…-, mugugnai contro le sue labbra, continuando a spingerlo.
–Stan…mi fai male, lasciami…-, provai ancora, tentando di schivare la sua bocca, inutilmente ovviamente.
–No che non ti lascio. Tu sei mio.-, ringhiò furioso, spaventandomi. Mi spinse disteso nella vasca, violentemente,
facendomi sbattere la testa sul bordo. Mi mancò il fiato per qualche momento a causa del dolore.
Boccheggiai, ma non riuscii a prendere aria. Quando tornai in me lo vidi intento a sfilarsi i boxer, unico indumento che gli era rimasto indosso.
Sgranai gli occhi, intuendo quelle azioni a cosa avrebbero portato. –No… Stan, fermo.-, tentai di bloccarlo,
mentre entrava anche lui in vasca, ignorando di far uscire fuori l’acqua.
–Zitto.-, sibilò, prendendomi dai fianchi e facendomi voltare con il petto premuto contro il fondo in ceramica.
Iniziai a dimenarmi nella sua presa, sentendolo bloccarmi i polsi con una mano e sollevarmi il bacino con l’altra.
Il respiro si fece irregolare, frenetico, mentre calde lacrime iniziavano a scorrermi sulle guance. –Ti prego…no. 
Ti prego, ti prego, ti prego, no…-, soffiai con un filo di voce, preda del terrore. Non mi ascoltò, anzi, con una spinta possente si spinse in me,
senza prepararmi. Urlai, urlai tanto. Di dolore, non di piacere. Mi lacerò, mi spaccò a metà, sia nel corpo che nell’anima.
Ogni spinta era un mio grido straziante che rimbombava ad eco tra le pareti del bagno. Dopo essere venuto in me,
mi tirò il capo indietro afferrandomi dai capelli e mi sibilò all’orecchio, il respiro ansante –Questo è per ricordarti…
che tu… sei solo mio. Sei mio, mio, mio, mio. -. detto ciò si alzò, raccolse i suoi vestiti e se ne andò chiudendo la porta,
lasciandomi singhiozzante. Mi mossi appena, provando a sollevarmi sulle mani, afferendo un dolore lancinante al fondoschiena.
Allora mi fermai, gemendo sommessamente. Le gambe tremavano, il cuore palpitava violento nel petto,
il pianto mi scuoteva e la mia apertura bruciava in un modo inimmaginabile. Lanciai uno sguardo all’acqua, vedendola sporca di rosso.
Allora piansi più forte, compiendo uno sforzo immane e stringendomi le gambe al petto, soffocando i singhiozzi contro le ginocchia.
Non era lui, non poteva esserlo. Non era mai stato così cattivo con me, diceva sempre di amarmi. Rimasi lì, nudo,
a piangere da solo, il mio sangue che macchiava di cremisi l’acqua e un unico pensiero che mi si ripeteva in mente:
Harry non mi avrebbe mai trattato così.
 

Harry
-Non può essere… non può essere…-, continuavo a ripetere come un mantra, la voce rotta in gola,
i singhiozzi che mi scuotevano e le lacrime salate che continuavano a scendermi imperterrite lungo le guance.
Mi stavo sforzando di dimenticarlo, o almeno di non farmi più condizionare dal suo riguardo,
e mi ritrovavo tra le mani quello? Il suo book dei disegni. Quel book che avevamo visto sulla nave quando avevamo
iniziato a conoscerci meglio, quel book in cui era racchiusa tutta la sua vita, quel book in cui vi era… il mio ritratto.
L’unico ricordo tangibile che avevo di lui. E il pianto aumentò, più forte e più disperato di prima.
–Perché…perché ora…-, singhiozzai, affondando maggiormente il viso tra le braccia.
Sentivo che di lì a poco avrei avuto una crisi di panico come quelle che avevo i primi tempi dopo l’incidente.
Sentii la porta aprirsi e la voce di Will esclamare –Tesoro sono a casa!-. Evidentemente sentì il mio pianto
perché corse in mia direzione e il tonfo sordo sul pavimento, segno che si era inginocchiato, per poi prendermi il viso tra le mani e alzarlo,
facendomi incontrare i suoi occhi terrorizzati. –Dio mio, cosa è successo Harry?-, domandò preoccupato, scostandomi i ricci dal viso.
Non riuscii a rispondere, riprendendo il mio pianto, stringendomi a lui. Will non esitò a circondarmi il busto con le braccia,
stringendomi forte e cullandomi, sussurrandomi di stare calmo. Ma non potevo, non ne ero in grado.
Non in quel momento almeno. Piansi tutte le lacrime che avevo e anche di più, bagnando completamente la casacca di William sulla spalla,
ovvero dove avevo appoggiato il mio viso. Quando, dopo una decina di minuti, riuscii a smettere di disperarmi,
allontanandomi dal mio ragazzo, il corpo ancora scosso dai singhiozzi post pianto.
–Allora, te la senti di dirmi cosa ti ha ridotto in questo stato?-, tentò nuovamente lui, guardandomi dolcemente.
Annuii piano, come un bambino, sfregandomi l’occhio sinistro con il pugno chiuso per asciugarmi le lacrime.
Subito dopo mi alzai, raggiungendo il book che avevo lasciato a terra, chinandomi a raccoglierlo. Di nuovo,
non appena lo ebbi tra le mani, un brivido mi percorse la schiena. Ma non erano i brividi piacevoli che provavo quando ero in sua compagnia, no.
Era un brivido diverso, freddo, di paura quasi. Avevo paura di cosa quei ricordi riaffiorati avrebbero potuto portare in futuro.
Tornai da William, sedendomi accanto a lui e porgendogli il book. Guardò perplesso prima me e poi l’oggetto,
non capendo come esso avesse potuto ridurmi in quello stato. Lo incoraggiai ad aprirlo con un cenno del capo,
volenteroso di fargli conoscere la verità. Almeno a lui. Glielo dovevo. Fece come gli ebbi suggerito,
aprendo la copertina in pelle e trovandosi subito faccia a faccia con il mio ritratto. Notai le sue gote diventare più rosa,
quasi rosse, mentre lo studiava attentamente, senza probabilmente comprendere molto.
Poco dopo spostò lo sguardo ad incontrare il mio, un gigantesco punto interrogativo sul volto.
Sospirai, sforzandomi di mantenere la voce ferma, iniziando a raccontare. Gli raccontai tutto dall’inizio,
del mio tentativo di suicidio, dell’incontro con Louis, delle sensazioni di benessere che mi aveva fatto provare,
del modo orribile in cui lo avevo trattato, di come mi aveva perdonato, di come ci eravamo innamorati l’un l’altro,
del ritratto, della prima volta in cui avevamo fatto l’amore, fino al momento in cui mi ero reso conto che era morto.
Will ascoltò attentamente, senza interrompermi, stringendomi la mano per farmi capire che lui c’era quando
la voce mi si rompeva in gola a causa di quei ricordi seppelliti per cinque lunghi mesi. –Da allora non riesco a dimenticarlo.
Ci ho provato, te lo giuro, ma ho un vuoto all’altezza del cuore, un buco nero,
che sembra non averne testa di volersi chiudere e lasciarmi in pace…-, conclusi, asciugandomi gli occhi con la manica.
–Mi dispiace di averti praticamente illuso fin ora. Perché per quanto ti ami, Lou è sempre nella mia testa.
Mi sento così viscido…-, mormorai poi. Se adesso mi avesse cacciato di casa o se ne fosse andato lui ne aveva tutte le ragioni.
Lui mi aveva dato così tanto amore ed io non lo avevo mai pienamente ricambiato. Mi prese il volto tra le mani,
accarezzandomi le guance con i pollici e asciugandomi così le lacrime salate che avevano lasciato i miei occhi.
–Harry, non devi preoccuparti. Io sono felicissimo che ti sei aperto con me, non puoi capire come mi senta.
Non mi importa se questo Louis è sempre nella tua mente. Anzi, forse gli sono grato per averti amato così tanto come mi hai detto,
anche se per poco tempo.-, mi rassicurò, sorridendo teneramente. Non riuscii a sostenere lo sguardo,
tanto che lo spostai sul pavimento. –Ehi, guardami.-, mi impose, cercando di nuovo il contatto con i miei occhi.
–Io sono qui, io ci sono. Anzi, voglio aiutarti. Voglio aiutarti a dimenticarlo, così che tu non debba più soffrire e
che tu possa riprendere ad amare con tutto il tuo cuore. Magari proprio me. -, disse, ridacchiando sull’ultima parte.
Notai un luccichio speranzoso nei suoi occhi. –Se vuoi farti aiutare, io ti aiuterò. E ti amerò come meriti, forse anche più di lui.
Ma solo se me lo permetterai.-, continuò convinto. –Ti prego Harry. Permettimi di amarti, venerarti,
renderti nuovamente felice.-, mi implorò, gli occhi lucidi. Era incredibile la dolcezza e la premurosità di quel ragazzo.
Anzi che odiarmi per ciò che gli avevo fatto mi voleva aiutare a stare bene. Voleva amarmi, aiutarmi a superarlo.
E questo era un punto da aggiungere alla mia lista della gratitudine nei suoi confronti. –Allora Harry?
Me lo permetti?-, chiese di nuovo, in attesa del mio verdetto. Per tutta risposta mi sporsi verso di lui a baciarlo dolcemente,
un semplice sfiorarsi di labbra, per poi guardarlo negli occhi ed annuire. –Si. Si Will, io voglio essere aiutato.-, dissi piano.
Lui sorrise, un sorriso radioso, per poi buttarsi nuovamente sulle mie labbra, baciandole più intensamente di prima.
La sua lingua aveva incontrato la mai in poco tempo, accarezzandola delicatamente, come se avesse paura di farmi del male.
Sentii poi le sue mani scendere dal mio viso al mio petto, tirando fuori i bordi della camicia dai pantaloni.
Avevo capito dove voleva arrivare, non ero stupido. Così lo assecondai, alzandomi e prendendolo per mano,
portandolo in camera da letto, senza lasciare che le nostre bocche si separassero. Mi ritrovai nudo in poco tempo,
le sue mani ovunque sul mio corpo, in posti che solo una persona conosceva. Si prese cura di me,
stando attento a non farmi sentire troppo dolore, muovendosi con spinte regolari e accarezzandomi delicatamente.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, riuscii a fare l’amore con il mio ragazzo senza che il ricordo di Louis fosse troppo insistente nella mia mente.
Riuscii a godermi le sensazioni di piacere che i suoi gesti mi donavano, sicuramente più sereno per il fatto di avergli raccontato tutta la verità.
Cercai la sua mano mentre continuava a spingersi in me, stringendola forte e gemendo, gettando il capo indietro.
A fine amplesso mi strinsi al suo corpo, raggomitolandomi contro il suo petto, sospirando sollevato.
–Ti amo tanto, piccolo Harry. Non puoi neanche immaginare quanto.-, mormorò al mio orecchio,
baciandomi la fronte ed accarezzandomi i capelli. Io sorrisi, il respiro ancora affannato, alzando il viso ed incontrando il suo sguardo,
baciandolo a stampo. –Anche io ti…-. –Shh!-, mi interruppe, mettendomi un indice sulle labbra.
–Non dirlo, non ora almeno. Me lo dirai quando sarà tutto finito e potremo vivere sereni come una coppia.
Prima di allora mi accontento dei ‘ti voglio bene’.-, spiegò sorridendo. Ricambiai, correggendomi.
–Allora ti voglio tanto bene.-, risposi, facendolo ridere e poi facendomi baciare di nuovo. Passammo minuti interi a baciarci,
fino a che il mio stomaco non brontolò rumorosamente. Mi allontanai da lui, le guance a fuoco,
nascondendomi sotto il lenzuolo leggero, sentendolo ridere forte. –Dai, non ti preoccupare. Anche io ho fame,
non abbiamo pranzato.-, mi rassicurò, facendo per scostarmi di dosso il lenzuolo, ma io vi rafforzai la presa, impedendoglielo.
–Harry, non fare così. Succede. Vieni fuori di lì. -, mi riprese, più autoritario di prima. –No…-, mugugnai come un bambino,
scuotendo energicamente il capo. –Harry, non farmi usare metodi di cui potresti pentirti…-, mi spronò ancora una volta.
Scossi di nuovo il capo, seppellendomi maggiormente sotto la coperta.
–Come vuoi…-, mormorò spostandosi. Avvertii il peso sul materasso spostarsi in vari punti fino a fermarsi accanto al mio bacino.
Subito dopo le sue mani attaccarono i miei fianchi, iniziando a farmi il solletico. Mi levai il lenzuolo dal viso,
scoppiando a ridere e prendendo a dimenarmi. –No! Will, il solletico no!-, lo implorai, tentando di proteggermi la pancia con le braccia.
–Se serve questo a farti sorridere credo che invece te lo farò eccome!-, esclamò in risposta, aumentando la dose.
Risi più forte, una di quelle risate mezze strozzate, continuando a pregarlo di smettere. –Daiiii, ti prego!
Basta, per favore! Rischio di soffocare!-, implorai dopo minuti in cui andava avanti a torturarmi, continuando a ridere come un forsennato.
Finalmente si fermò, allungandosi sopra di me e reggendosi sulle braccia per non pesarmi addosso.
–Adoro quando ridi…-, mormorò incantato, dandomi un bacetto sul naso. –Non farlo… mai più!-, lo minacciai con il fiato corto.
Lui rise alzandosi e vestendosi, porgendomi poi una mano. -Allora, scendiamo a mangiare?-, chiese con un sorriso.
Mi alzai e lo imitai rivestendomi, afferrando poi la sua mano e seguendolo al piano inferiore.


Niall
Mi svegliai a causa del sole che filtrava dalle tende, colpendomi in pieno il viso. Storsi la bocca, contrariato,
nascondendomi contro il petto di Zayn, che rise. –Buongiorno piccola talpa.-, mi salutò lasciandomi un buffetto sulla nuca.
–Buongiorno un cazzo…-, borbottai con la voce soffocata contro il suo torace. Lui rise più forte, accarezzandomi la schiena nuda.
–Oh, ma come siamo sboccati questa mattina.-, mi sfotté punzecchiandomi una guancia con un dito.
Lo scacciai con una manata secca, sollevandomi sui gomiti e lanciandogli un’occhiataccia.
–Se continui così entro mezzogiorno ti ritroverai senza il tuo caro Jawaad.-, sibilai minaccioso, assottigliando lo sguardo.
Lui si avvicinò, arrivando ad un palmo dal mio viso, soffiandomi contro –Se non lo avessi più non so quanto al lungo potresti resistere principessa…-.
–E non chiamarmi principessa!-, sbottai, facendo per alzarmi, venendo bloccato prima dalla sua presa sul mio polso e
poi dalle sue labbra contro le mie nel bacio del buongiorno. Sorrisi spontaneamente,
allacciando le braccia al suo collo e lasciando entrare la sua lingua, perso in un mondo magico.
Quando ci staccammo sussurrai –Questo migliora decisamente la giornata…-, facendolo ridere.
Subito dopo mi abbracciò stretto, come a togliermi il respiro.
Mentre io disegnavo cerchi immaginari sui suo petto nudo lui mi accarezzava i capelli. –Stanotte mi è piaciuto.
È stata una delle notti più belle della mia vita.-, se ne uscì qualche minuto dopo, riflettendo.
–Lo dici tutte le notti che facciamo sesso.-, gli feci notare ridendo, smettendo subito non appena vidi la sua espressione seria.
–Amore, Niall. Noi facciamo l’amore, chiaro?-, disse con tono che non ammetteva repliche. –Hai ragione Zayn.
Mi sono sbagliato, scusa.-, dissi, notando il suo broncio. Presi a lasciargli dolci baci lungo tutto il petto per farmi perdonare,
cosa che avvenne poco dopo, quando lo sentii sospirare. -Andiamo a fare colazione, piccolo?-, chiese poi, facendomi annuire.
Scesi dal letto e, dopo essermi vestito, lo aiutai a fare lo stesso, accompagnandolo poi nella discesa delle scale.
Facemmo colazione con calma, scherzando e chiacchierando, fino a quando non sparecchiai.
–Amore, senti, avevo pensato di uscire a fare una passeggiata al Central Park, che ne pensi?
Andiamo?-, proposi dopo aver riposto al suo posto l’ultimo piatto lavato. –Mi piacerebbe piccolo, ma ora non me la sento.
Tu vai pure se vuoi, io resterò qui a poltrire.-, rispose lui, sorridendomi dolcemente.
–Sicuro? Zayn, non me la sento di lasciarti da solo…-, ammisi preoccupato. –Vai tranquillo. Davvero, io sto bene.-, mi rassicurò.
Lo baciai dolcemente mormorando –Allora io vado.-, per poi infilare le scarpe ed uscire di casa. Misi le mani in tasca,
avviandomi a passo spedito verso il parco. Senza Zayn volevo stare fuori il minor tempo possibile per poi tornare da lui.
Una volta arrivato rallentai, passeggiando tranquillamente lungo il sentiero piastrellato,
osservando come i bambini giocavano allegri tra loro e come le giovani coppie se ne si scambiavano dolci parole e teneri gesti d’amore.
Mi sedetti sul prato, da solo, osservando il tutto da lontano, lasciando che un dolce venticello mi scompigliasse i capelli.
Abbozzai un sorriso, spostando lo sguardo da due bimbi che giocavano ad acchiapparella ad una coppia di ragazzi in lontananza.
Sorriso che si spense non appena li guardai meglio. Uno era moro, con gli occhi azzurri, e l’altro… no, non poteva essere.
Capelli ricci, castani, occhi color smeraldo, sorriso dolce, completo di fossette al alti della bocca…
Presi a sudare freddo, iniziando ad avere le vertigini. Teneva la mano a quel ragazzo che ero sicuro di aver già visto,
parlando con lui, ridendo e attaccandosi al suo braccio, abbracciandolo stretto. Rimasi immobile, troppo sconvolto.
Quello non poteva essere proprio lui. Quello non poteva essere mio cugino. Lui era morto sul Titanic.
Harry Edward Milward Styles non poteva essere ancora vivo.
 
 

#angolo Kikka
Buoooooooooooonasera popolo c:
Sono finalmente tornata con il nuovo capitolo c:
E’ stato un periodo un po’ così perché sono ricaduta in depressione,
sono stata giorni in ospedale e avevo litigato con mamma che mi aveva proibito il computer fino ad oggi.
Ne approfittò per ringraziare tutte le meravigliose persone che mi hanno dato il loro sostegno, davvero GRAZIE.
Prometto che d’ora in poi aggiornerò più in fretta, tra l’altro, perché ho notato che è stata pubblicata una nuova FF Larry a tematica AU!Titanic
e temo di poter perdere i miei ‘fan’ detta schiettamente. Inoltre, prendetelo come comportamento infantile,
ma mi da leggermente fastidio leggere commenti in cui dicono che ha avuto un’idea originale. Insomma, l’ho pensata prima io che cazzo!
Per cui voglio imporre la mia autorità e tenermi stretta le persone più importanti della mia vita, ovvero voi, che leggete e mi sopportate <3
Deeeeeeetto ciò: il capitolo è pieno di colpi di scena che spero vi piaceranno c: Tommo sta recuperando la memoria,
Harry ha detto tutto a Will e Niall ha visto suo cugino. Mi metterò subitissimo al lavoro con il prossimo capitolo. Che dire?
Devo convincere papà e poi posso farmi le punte dei capelli rosa **
Ma sono indecisa se lasciare il mio attuale colore (ramato/rosso) o ritingerli di nero però.
Consigli??? Un’ultima a cosa.
Se riuscissimo a tornare alle 76 recensioni totali che avevamo raggiunto con gli avvisi mi fareste felicissima.
Ci riuscite?? C: Fa niente altrimenti.
Un grazie al gruppo Facebook ‘Larry Stylinson Is The Way’ la mia famiglia bellissima.
Se volete passate perché è incredibile <3
Vi lascio il mio ask: SaraJamesHorab (si, la b è al posto della n lol).
E il mio Twitter: BooAndHazInLove @BullshitIsReal.
Per qualsiasi domanda, riguardante la storia e non, chiedete pure c:
Un mega bacio e alla prossima, che spero sarà molto più presto di ora.
Kikka <3 <3 <3

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Capitolo 7
*** Capitolo. 6 ***




Andrew
Dopo ciò che successe in bagno mi chiusi in me stesso. Avevo paura di fare arrabbiare Stan,
avevo il timore che potesse farmi nuovamente del male, che potesse nuovamente violentarmi.
Se avevo un problema lo tenevo per me, non osavo provare a parlargliene.
Erano giorni che non aprivo proprio bocca.
Quella violenza mi aveva distrutto il castello fatto di carte nel quale vivevo,
dove avevo un dolce ragazzo, degli amici, una vita normale. Ma se quell’episodio aveva turbato me,
per Stan era come se fosse rimasto tutto uguale. La mattina scendeva, trovandomi ovviamente già in cucina,
mi salutava con un sorriso ed un bacio a fior di labbra, (che non ricambiavo),
faceva colazione chiacchierando e ridendo per poi uscire serenamente, lasciandomi al mio tormento interiore,
alla mia solitudine. Non sapevo se faceva finta o proprio non si accorgeva di avermi “spezzato”.
Dopo che se ne andava, molte volte, mi rintanavo in camera, a piangere in un angolo,
nel buio più totale, come era la mia mente. E mi ripetevo che ero un debole.
Giusto, non dormivamo più nella stessa stanza, bensì in due differenti.
Avevo troppa paura, così tanta da chiudermi a chiave per la notte,
temendo che potesse arrivare da un momento all’altro ed abusare di me un’altra volta. Vivevo nel terrore oramai.
Il flusso dei miei pensieri venne interrotto dal rumore di passi lungo le scale.
Deglutii, sistemandomi meglio sulla sedia, quando Stan fece il suo ingresso, fresco e riposato.
–Buongiorno Andy!-, mi salutò pimpante, chinandosi a stamparmi un bacio sulla bocca, senza essere ricambiato.
–Allora, dormito bene?-, domandò, sedendosi e versandosi un po’ del caffè che avevo fatto appena sveglio.
O comunque, dato che non dormivo quasi più, che avevo fatto una volta in cucina.
Non risposi, stringendomi nelle spalle. –Sai, dovresti un po’ uscire. È una settimana che te ne stai sempre chiuso qui,
ai ragazzi mancano le tue battute. Li fai ridere!-. Ecco cos’ero, il pagliaccio di turno.
A nessuno importava di me, di come stessi? Non si erano chiesti se stessi bene?
No, a loro mancavo solo per quando facevo il coglione. Perfetto, davvero molto toccante.
Serrai impercettibilmente la mascella, arrabbiato.
–Beh, oggi dobbiamo caricare la barca che tra poco partiamo. Ci sarai?-, chiese, ingoiando l’ultimo sorso di caffè.
Ancora una volta non emisi suono, spostando lo sguardo sul pavimento alla mia destra.
–Allora? Rispondi!-, esclamò più duramente, sbattendo il pugno sul tavolo, facendomi sobbalzare.
–Cazzo, finiscila con questa stronzata del mutismo!
Se io ti faccio una domanda tu mi rispondi, chiaro?!-, urlò, alzandosi e dirigendosi verso di me.
Spaventato, sciolsi la posizione rigida in cui ero rimasto fino a quel momento, gli occhi sgranati dal terrore.
Mi prese per i capelli, facendomi piegare la nuca all’indietro e facendomi salire le lacrime agli occhi dal dolore.
–Rispondi cazzo!-, ordinò, dandomi uno schiaffo talmente forte che caddi dalla sedia.
Il mio respiro si spezzò mentre tentavo di contenere l’imminente pianto,
una mano sulla guancia colpita e lo sguardo lucido. Mi sentivo come un cucciolo indifeso che viene maltrattato.
–Allora?!-, urlò ancora, facendomi annuire freneticamente in risposta.
Il suo viso rabbioso si sciolse in un tenero sorriso, mentre mi si avvicinava nuovamente,
facendomi indietreggiare fino a che non sbattei con la schiena contro la credenza della cucina, senza via di fuga.
Si chinò a lasciarmi una carezza tra i capelli, mormorando –Bravo il mio ragazzo.-.
Subito dopo si diresse alla porta, dicendo ancora –Vieni per le tre al porto,
così carichiamo la barca e partiamo per l’America!-, per poi uscire.
Una volta rimasto solo lasciai che le lacrime mi solcassero il viso, facendomi scoppiare in un pianto silenzioso.
Mi sentivo un bambino, ma non potevo farci nulla. Ero terrorizzato dalla sua figura imponente e,
soprattutto, da ciò che avrebbe potuto farmi in qualunque momento. Tremolante mi alzai,
sparecchiando la tavola e lasciando il tutto nel lavandino, i singhiozzi che ancora mi scuotevano il corpo a scatti.
Subito dopo mi diressi in salotto, per raggomitolarmi sul divano, in posizione fetale,
intento a versare le ultime lacrime di terrore. Era più forte di me, non riuscivo a smettere.
Ero rimasto segnato, ne ero sicuro al cento per cento.
Chiusi gli occhi, come a voler cacciare via i demoni che aleggiavano nella mia mente,
spaventato dal mondo che mi circondava. Proprio come quando ero piccolo ed avevo perso i miei genitori.
Mi bloccai di scatto, realizzano ciò che avevo appena pensato. Io non ricordavo nulla dei miei genitori, vuoto totale.
Che finalmente mi stesse tornando la memoria? Se così fosse stato sarei potuto andarmene da Stan per sempre.
Mi alzai, allora, asciugando i residui di lacrime sulle guance e correndo in camera da letto,
sdraiandomi poi sul materasso. –Ok Andrew, concentrati.-, dissi a me stesso,
prendendo un profondo respiro e chiudendo gli occhi. Volevo riuscire ad ottenere indietro la mia vita,
i miei ricordi, il mio intero passato. Ero stanco di vivere nella menzogna, nell’oscurità totale e nell’amnesia.
Ero sicuro che Stan mi nascondesse qualcosa e volevo scoprire cosa fosse.
Mi rilassai completamente, distendendo le braccia lungo i fianchi e tornando con la mente ad alcuni dei ricordi avuti in precedenza.
Mi concentrai particolarmente al ricordo sulla prua della nave, sulla figura a me ancora ignota.
Strinsi forte gli occhi, sforzandomi di ricordare, ritrovandomi con la mente in un mare di immagini confuse.
Una nave, immensa, maestosa, con gente che saluta i propri cari saliti a bordo o rimasti a terra,
i vari ponti interni, divisi sicuramente per classi sociali, la gente dell’alta società che snobba i più poveri…
La tipica società di quei tempi. Improvvisamente eccomi a percorrere il ponte della prima classe,
la mia mano stretta in un una più grande e delicata. Lo scenario cambia di nuovo e sono seduto, sto disegnando.
O meglio, sto ritraendo una figura senza volto, per ora. Ha le gambe toniche, il torace scolpito,
gli occhi color smeraldo… E’ la stessa figura che mi tormenta da tempo, ma non riesco vedere altro se non i suoi occhi,
profondi, ipnotici, vivi. La visuale si offusca e dissolve come nebbia, catapultandomi in uno spazio nero.
Sento due diverse risate: la mia acuta ed una più roca, profonda, sensuale quasi.
Subito dopo eccoci in una macchina, i corpi accaldati oltre che sudati, i respiri corti,
le mani intrecciate tra loro e gli occhi persi gli uni negli altri. Ci stiamo amando come se non ci fosse un domani,
per la prima volta. Mi chino a lasciargli un bacio delicato sul collo, saggiando la pelle tenera e leggermente sudata,
salaticcia, per poi sorridergli dolcemente. Lui mi guarda con i suoi occhi straordinari,
con uno sguardo innamorato, ed è lì che ne ho la certezza. Non è Stan. Lui non mi ha mai guardato così.
Come una folata di vento e tutto scompare, mentre sento riecheggiare nella mia mente quella voce profonda.
Tornai alla realtà bruscamente, tirandomi a sedere di scatto.
Mi passai una mano sulla fronte, scostando i capelli leggermente sudati da essa, sospirando.
–Wow…-, mormorai, sconvolto da ciò che avevo visto.
Probabilmente era per quello che Stan mi aveva ritrovato in acqua.
La nave doveva essere affondata ed io ero sopravissuto. Scossi la testa, ridacchiando.
Nah, sarebbe stato impensabile. Dopo un trauma del genere non sarei mai risalito su una nave,
invece ci viaggiavo praticamente ogni settimana! Passai il resto della mattinata a compiere piccoli lavoretti casalinghi,
come rifare i letti, lavare i piatti e spazzare il pavimento,
per ripulirlo dalle tracce di fango che gli scarponi di Stan lasciavano al suo passaggio.
Alle tre meno un quarto, con una sacca contenente qualche vestito, uscii di casa,  diretto al porto.
Era meglio essere puntuali, non volevo far arrabbiare Stan maggiormente.
Camminai tra le persone che affollavano le strade, cercando di passare inosservato come il mio solito.
Non mi piaceva particolarmente apparire con la gente sconosciuta.
Facevo del mio meglio per camuffarmi con il paesaggio circostante e non essere notato da nessuno.
Arrivai al porto pochi prima che le campane suonassero le tre. Salutai tutti con un piccolo sorriso,
cercando Stan con lo sguardo, non vedendolo da nessuna parte.
–Allora Andy, inizia a caricare le casse del cibo, mentre io mi occupo di cambiare le funi,
d’accordo?-, mi spiegò Mike con un sorriso ed una pacca sulla spalla, allontanandosi poi per mettersi al lavoro.
Presi un profondo respiro, rimboccando le maniche della camicia e sollevando la prima cassa,
appoggiandomela sulla spalla destra e dirigendomi verso la barca. Era circa un mese che eravamo fermi a terra,
quindi il primo impatto appena ricominciato il lavoro di marinaio fu più faticoso del previsto.
Dopo la quarta cassa, però, ritrovai l’abitudine e riuscii a sopportare i pesi molto più facilmente.
Lasciata la quinta e penultima cassa nella stiva, mi riavviai a terra per prendere l’ultima,
quando captai la voce di Jack mormorare –Non dirmi che l’hai fatto di nuovo Stan!-.
Allora mi bloccai, nascondendomi dietro un miro e sbirciando la conversazione. Jack era davanti a Stan,
lo sguardo di fuoco, mentre attendeva una risposta. –Cosa intendi?-, fece vago il mio ragazzo,
mostrando poco interesse a ciò che Jack voleva dirgli. –Come cosa?!
Hai violentato e picchiato Andrew, ecco cosa!-, lo accusò, alzando appena la voce.
Trattenni il fiato. Lui sapeva? Stan gli rivolse uno sguardo vago.
–Come fai a dirlo?-, lo sfidò, sprezzante. Era sfacciato, sicuro di sé, troppo altezzoso.
Non era lo stesso Stan che avevo incontrato appena persa la memoria.
–Ho visto il segno rosso che Andy ha sulla guancia ed ho notato che non cammina perfettamente.
Ammettilo Stan. È inutile continuare a nasconderlo.-, si giustificò Jack, duro.
Il corpo era teso e sembrava potesse saltare al collo del mio ragazzo da un momento all’altro.
Istintivamente portai una mano ad accarezzare la guancia che aveva colpito quella mattina,
rendendomi conto che non avevo mai fatto caso al camminare in modo diverso dal solito.
–E ti sembrano prove? Se permetti è il mio ragazzo ed è normale che ogni tanto me lo scopi,
per questo cammina male. Mentre per quanto riguarda la guancia ha sbattuto contro lo spigolo della credenza,
sai che è uno sbadato.-, si difese l’altro, con fare ovvio. Al mio interno sentii qualcosa incrinarsi.
Negava ciò che mi aveva fatto e mi derideva anche. Jack lo prese per il colletto, sollevandolo appena.
–Sappiamo bene entrambi cosa hai fatto in passato, Stan. Non voglio che Andrew soffra come Tom.
Ricordati che ha una memoria da riacquistare. Vedi di non fare l’egoista e volerlo tutto per te,
perché probabilmente avrà qualcuno che lo aspetta ed appena lo ricorderà tornerà da lui.
Ricordatelo.-, gli sussurrò freddo all’orecchio, prima di lasciarlo andare e dirigersi verso Steve e Matt,
intenti a discutere come bambini. –Lui è mio Jack. Mio e di nessun’altro.-, mormorò al vento Stan,
per poi sistemarsi il collo della camicia ed andare dalla parte opposta rispetto all’amico.
Io trattenni il fiato, appoggiandomi con le spalle al muro. Non potevo crederci. Stan era un pazzo.
Aveva violentato e picchiato anche un altro ragazzo prima di me, non voleva che io riacquistassi la memoria,
voleva tenermi con sé per sempre. Magari io avevo una madre, un padre, dei fratelli,
un compagno o addirittura un figlio che mi aspettava, e lui? Non voleva aiutarmi a scoprirlo per raggiungerli.
Strizzai gli occhi, sentendoli pizzicare, e presi un profondo respiro, imponendomi di calmarmi.
Subito dopo ripresi a lavorare imperterrito, fingendo che non fosse successo niente,
facendo si che appena due ore dopo la nave salpasse. Direzione, America.
 
 
 

Niall
Decisamente scosso da ciò che avevo appena visto, mi riavviai come un automa verso casa.
Non poteva essere. Harry era morto da cinque mesi, credevo di averla superata.
Possibile che iniziassi a vedere suoi cloni in giro per la città? Mi resi conto di tremare,
mentre lungo la schiena sentivo la spiacevole sensazione del sudore freddo.
O era un fantasma o stavo diventando matto, i casi erano questi due.
Quasi inciampai lungo il vialetto di ghiaia davanti a casa, perso com’ero nei miei pensieri.
Aprii lentamente la porta d’ingresso ed entrai, buttandomi a peso morto sul divano, prendendomi la testa tra le mani.
–Non può essere… No…-, mormorai con un filo di voce, gli occhi lucidi fissi sulle punte delle mie scarpe.
Sentendo i passi pesanti di Zayn lungo le scale, mi sfregai il volto, deciso a non farmi vedere turbato da lui.
Comparve poco dopo sulla soglia, sorridendomi e salutandomi allegro.
Sforzai un sorriso per camuffare lo stato tempestoso in cui mi trovavo,
ma notai dal suo sguardo di non averlo convinto affatto. Con l’ausilio delle stampelle mi si avvicinò.
-Piccolo, tutto bene?-, chiese il mio ragazzo, sedendosi sul divano accanto a me.
–Si amore, tutto bene!-, lo rassicurai, sorridendogli ancora. Lui si sporse verso di me baciandomi appena.
–Mi sembri un po’ turbato. C’è qualcosa che ti preoccupa?-, domandò ancora, premurosamente.
Era sempre stato protettivo nei miei confronti e ciò mi rendeva felice.
Decisi che era meglio dirglielo, non ero in grado di nascondergli qualcosa al lungo.
–Ok, ma non prendermi per matto, d’accordo?-, lo ammonii prima di iniziare. Lui annuì,
mettendosi comodo, prendendomi una mano e stringendola, incitandomi a parlare.
–Allora…oggi sono andato al parco, a passeggio, no?-, dissi, guardandolo annuire, la confusione nel suo sguardo.
–E…so che non mi crederai probabilmente, ma mentre ero seduto sul prato, in lontananza,
mano nella mano con un ragazzo che devo avere già conosciuto ho visto…-, e lì mi bloccai.
Era difficile da dire, dopo tutto quello che era successo. –Chi hai visto?-, mi incitò a continuare,
gli occhi scuri fissi nei miei. Presi un respiro e –Harry…-, soffiai fuori. Lui strabuzzò leggermente gli occhi.
–Ha…Harry? Quel Harry??! Ne sei sicuro?!-, balbettò, fissandomi perentorio.
–Sicuro al cento per cento! Vuoi che non lo riconosca, scusa?!-, sbottai, un po’ alterato.
Non mi aspettavo mi credesse, era ovvio. –Tesoro, sappiamo entrambi che è piuttosto improbabile.
Harry è morto. Ti ricordi? Non c’era nessun Harry Styles nella lista dei superstiti.-, disse con calma,
per farmi digerire la cosa. Annuii, sconsolato. –Lo so, ma io l’ho visto! Ne sono sicuro!
Aveva gli stessi ricci e gli occhi verdi! Inoltre camminava mano nella mano con un ragazzo…-.
–Vedi? Questo prova che non è lui. Sappiamo entrambi che Harry non starebbe mai con qualcun altro che non sia Lou.
Era solo uno che gli somigliava, nient’altro.-, mi interruppe. In effetti era vero.
Non avrebbe mai tradito Louis e non l’avrebbe mai lasciato.
–Già, probabilmente hai ragione…-, mormorai abbassando lo sguardo. –Ehi, lo so che ti manca.
Manca anche a me, come Lou del resto. Ma dobbiamo essere forti, eh?-, mi rassicurò abbracciandomi.
Annuii, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo e sospirando, lasciando che una lacrima mi rigasse il volto.
–Ne usciremo Niall. Te lo prometto. Torneremo a stare bene.-, mi sussurrò all’orecchio,
cullandomi piano tra le sue braccia, come si fa con i bambini. Io mi lasciai stringere,
stringendo le braccia attorno al suo collo ed accarezzandogli delicatamente la base del cranio.
Rimanemmo in quella posizione per parecchi minuti, lui che aveva iniziato a canticchiare una melodia a labbra chiuse,
rilassandomi maggiormente. –Su piccolo, non rimaniamo qui a deprimerci inutilmente.
Perché non andiamo in camera a leggere un libro e rilassarci un po’?-, suggerì poi, un sorriso meraviglioso.
Non ero in grado di resistervi, lui lo sapeva bene, così annuii e lo aiutati a tirarsi su,
accompagnandolo successivamente lungo le scale. Una volta che si fu steso,
recuperai il primo libro che mi capitò sott’occhio e mi misi accanto a lui, iniziando a leggerlo ad alta voce.
Quello era il nostro momento di relax: uno dei due prendeva un libro e lo leggeva ad alta voce,
cosicché entrambi venissimo catapultati nell’universo creato dall’autore.
Certo, saremmo potuti tranquillamente andare a fare una passeggiata,
ma la gamba di Zayn era meglio non sforzarla, così ci adattavamo.
Giunto all’inizio del terzo capitolo, lanciai un’occhiata al mio ragazzo,
trovandolo completamente addormentato sulla mia spalla. Sorrisi teneramente, non potevo impedirmelo.
Zay era un ragazzo dolcissimo ed assolutamente fantastico, impossibile da odiare.
Scivolai lentamente sul materasso, mettendomi comodo e stando attento a non svegliarlo,
posando il libro sul comodino per poi stringermelo al petto, deciso a dormire un po’ anche io.
Forse era quello un buon modo per scacciare l’ansia che ancora mi tormentava...
Passarono diversi giorni, in cui io e Zayn non ripensammo più all’accaduto, anzi.
Era come se entrambi lo avessimo rimosso dalla mente. Le giornate erano calde, forse troppo,
e fortunatamente la gamba del mio ragazzo non dava problemi. Lui insisteva addirittura sul fatto di stare bene,
che non gli facesse poi così male, ma a precauzione lo obbligavo a stare a riposo.
Per quel motivo era io fuori a potare il roseto quel pomeriggio.
-Piccolo dove sei?!-, mi chiamò dall’interno, abbastanza preoccupato a giudicare dal tono di voce.
-In giardino amore! Sto potando le rose!-, risposi, continuando a tagliare la siepe, rassicurandolo sulla mia presenza.
Tagliato un altro ramo prossimo alla morte, lasciai le cesoie per terra e mi voltai,
asciugandomi la fronte dal sudore che quella giornata afosa aveva causato.
Lo vidi uscire dalla porta di casa e sorridermi, raggiungendomi con calma a causa delle stampelle.
–Non vedo l’ora di riporre in soffitta queste cose…-, borbottò alludendo alle stampelle, una volta al mio fianco.
Ridacchiai, cingendogli la vita con una mano, baciandolo dolcemente.
–Vedrai, non ci vorrà più molto!-, lo rassicurai, riprendendo la mia occupazione.
–Stai facendo un ottimo lavoro qui, lo sai?-, mormorò suadente al mio orecchio, baciandomi il lobo.
-Se fai così non finirò più però…-, mugugnai, reclinando la testa all’indietro, appoggiandola sulla sua spalla.
–Allora finisci che poi ti ho tutto per me!-, esclamò contento come un bambino.
Scoppiai a ridere sonoramente, guardandolo innamorato, riprendendo poi a tagliare i rami di rosa attentamente,
deciso a renderli pari, quando avvertii dei passi veloci e qualcuno urlare –Dai Will, sei una lumaca!-.
Mi immobilizzai di botto, sgranando gli occhi e iniziando a respirare affannosamente. Quella voce…
-Niall cosa succede?-, domandò Zayn, spaventato dal mio stato. Puntai lo sguardo oltre il cancelletto e sbiancai.
Davanti a casa nostra, sul lato opposto della strada, stava  correndo Harry. Harry. Mio cugino.
Quello che doveva essere morto su quella maledetta nave. Mi presi qualche secondo per osservarlo,
rendendomi conto che era proprio lui. Con i capelli ricci, le fossette ai lati della bocca e gli occhi smeraldini.
Non mi vide, mezzo nascosto com’ero dal roseto, e così come era apparso scomparve,
allontanandosi in poco tempo, seguito da un ragazzo moro con gli occhi azzurri. Mi voltai verso il mio ragazzo,
che era sconvolto esattamente come lo ero io, bocca ed occhi leggermente spalancati.
–Dimmi che lo hai visto anche tu…-, farfugliai piano, ritornando con lo sguardo sulla sagoma del riccio,
osservandola allontanarsi e farsi via a via più piccola. –L’ho visto eccome…-, rispose piano,
il tono di voce simile ad un alito di vento. Allora era vivo. Non mi ero sbagliato…
Le lacrime mi inumidirono la vista, mentre mi sfilavo dalla presa di Zayn e correvo all’interno della casa,
ignorando i suoi richiami. Afferrai velocemente le chiavi della porta d’ingresso e tornai in giardino,
scontrandomi con il mio ragazzo. –Niall dove stai andando?-, domandò serio, massaggiandosi leggermente una spalla.
–Vado a raggiungerlo, mi sembra ovvio.-, spiegai velocemente, provando ad oltrepassarlo,
venendo però fermato dalla presa salda della sua mano sul mio polso.
Anche se aveva una gamba fuori uso era comunque più forte di me, non ci avevo pensato.
–Ascoltami Ni. Sei ancora troppo sconvolto da ciò che hai appena visto, come lo sono io del resto.
Non riusciresti ad affrontare la cosa lucidamente in questo momento. Magari non era neanche lui,
come ti ho detto l’altra volta, poteva essere un sosia che a noi, presi dalla disperazione,
sembrava Harry.-, disse con calma, ignorando i miei iniziali tentativi di liberarmi dalla sua presa.
Fermandomi un momento, mi resi conto che tutti i torti non li aveva affatto.
–Ora, che ne dici se entriamo, ci facciamo una tazza di the e ce lo gustiamo sul divano,
riprendendoci dallo shock?-, propose ancora, guardandomi con i suoi profondi occhi scuri.
Mi lasciò lentamente andare ed io annuii convulsamente, stringendomi contro il suo corpo.
Necessitavo assolutamente di un abbraccio in quel momento. Dopo avermi stretto forte rientrammo,
dirigendoci in cucina. Mentre riempivo la teiera di acqua calda, lui si occupò di preparare le tazze e lo zucchero.
Quando stavo per mettere l’acqua sul fuoco, però, mi interruppe.
–Niall, siamo senza zucchero.-, constatò leggermente scioccato.
–Come è possibile scusa? Nessuno dei due se ne è accorto prima?!-, domandai esterrefatto,
mollando tutto sul tavolo e controllando di persona in ogni stipetto. No, neanche l’ombra.
–Non ci resta che andarlo a comprare.-, sentenziò Zayn alla fine,
imbracciando meglio le stampelle e dirigendosi verso la porta principale. Sorrisi appena,
scuotendo la testa e seguendolo. Arrivammo alla drogheria in quindici minuti circa,
comprando tre pacchi di zucchero e dirigendoci nuovamente a casa.
–Ni, vuoi che uno lo porti io?-, domandò Zayn, a metà strada,
dato che facevo parecchia fatica a vedere dove mettere i piedi.
–Zayn, amore, apprezzo da morire il pensiero, ma come pensi di riuscirci con le stampelle?-, commentai sarcastico,
rivolgendogli uno sguardo di sfuggita. –Giusto, perdono.-, commentò tirando fuori la lingua in una smorfia adorabile.
Subito dopo venni urtato violentemente e fatto finire seduto a terra.
Alzai lo sguardo confuso, massaggiandomi il fondoschiena,
trovandomi davanti un ragazzo che si scusava ripetutamente.
–Oddio perdonatemi, davvero. Ero di fretta e non vi ho visto e…
Miseriaccia, sono desolato.-, continuava a ripetere, aiutandomi a tirarmi in piedi e spolverandomi i vestiti.
–Non è niente, davvero, non c’è di che preoccuparsi.-, lo rassicurai con un piccolo sorriso,
lanciando uno sguardo allo zucchero a terra e rendendomi conto che tutte le buste si erano aperte,
creando una strage di glucosio.
–Maledizione. No che non è niente! Vi ho distrutto anche la spesa.-, si lamentò con sé stesso, 
mettendosi le mani tra i capelli. Ed ora? Il droghiere era lontano due isolati. –Posso darvi il mio!
Casa mia è proprio dietro l’angolo, sarei felice se accettaste il mio modo di scusarmi.
Magari potrei anche offrirvi qualcosa.-, se ne uscì all’improvviso lo sconosciuto, illuminato da quell’improvviso lampo di genio.
–Aspetta. Ma tu non sei il ragazzo del cane che mi abbaiava quella sera?-, domandò all’improvviso Zayn, insospettito.
Il giovane sembrò ricordarsi in quel momento ciò che il mio ragazzo aveva nominato.
–Si! E tu sei il giovane che ha perso l’amico! Questo è un motivo in più per accettare e sdebitarmi!-, esclamò raggiante.
–A questo punto non possiamo proprio rifiutare.-, commentai divertito dal suo carattere.
–Perfetto! Comunque mi chiamò Will.-, si presentò, incamminandosi verso casa con me e Zayn al seguito.
 
 

Harry
Ero seduto comodamente sul divano del salotto a leggere un libro,
una tazza di the nella mia mano destra e i piedi nudi adagiati sul tavolino in vetro davanti al sofà.
Se lo fosse venuto a sapere, Will, si sarebbe arrabbiato parecchio,
ma per fortuna era uscito giusto pochi minuti prima per andare alla panetteria di suo fratello,
dall’altra parte della via, per farsi regalare qualche bignè.
Certo, era una cosa incoerente dopo aver fatto jogging quella mattina, ma ehi! possiamo anche viziarci ogni tanto.
Io avevo preferito restare a casa a farmi una doccia e riposarmi un po’,
in quanto sudato come un cavallo e con ogni muscolo dolorante.
Con la coda dell’occhio notai Malik avvicinarsi al tavolino, trotterellando allegramente.
Subito dopo avvertii la sua lingua ruvida contro la mia pianta destra nuda,
che mi fece sobbalzare sul divano e ritirare le gambe, ma il cane non sembrava contento.
Si avvicinò al sofà e, dopo essersi messo su due zampe, riprese a leccarmi entrambi i piedi.
Scoppiai a ridere, dimenandomi come un forsennato, urlando –Malik smettila! Mi fai il solletico così!-.
Soddisfatto di avere la mia attenzione, il cagnone chiaro tornò a terra, abbaiando e scodinzolando felice.
Con il respiro leggermente affannato gli accarezzai la testa, mormorando –Ora hai la mia attenzione, contento?-.
In risposta abbaiò nuovamente, facendomi sorridere. Fu così che,
dopo aver portato la tazza in cucina ed aver messo al suo posto il libro,
ci ritrovammo a giocare per il salotto, entrambi tirando il vecchio maglione verde di Will,
divenuto suo gioco da subito. Dopo una decina di minuti sentii le chiavi girare nella toppa della porta d’ingresso.
Così lasciai il maglione nella cuccia di Malik, mentre questo partiva correndo verso la porta, abbaiando felice.
–Buono bello, a cuccia.-, sentii la voce di Will esclamare. –Amore? Abbiamo degli ospiti!-, mi chiamò subito dopo.
Mi precipitai in ingresso con il mio solito sorriso radioso,
che si spense non appena mi trovai davanti due paia di occhi sconvolti quanto me:
due blu come il mare e due scuri come il cioccolato. –Harry?-, domandò balbettando il proprietario degli occhi chiari.
Mandai giù un groppo enorme di saliva, prima di balbettare –Niall? Zayn?!-.
 
 
 

#Angolo Kikka
Ok, ehm…
Innanzitutto salve a tutti. È quasi un anno che non aggiorno questa storia e non userò scusanti che non ho,
vi dirò semplicemente le cose come stanno. Per prima cosa vi chiedo scusa umilmente, in ginocchio,
davanti alla piazza del paese. Sono veramente imperdonabile, ma partiamo dall’inizio.
L’ultima volta che ho aggiornato è stato nel periodo in cui sono ricaduta in una profonda depressione
a causa di una discussione con una mia compagna di classe. Allora ho saltato per un po’ la scuola,
impaurita dal doverla affrontare, ed il mese successivo sono stata in ospedale per una ciste ovarica.
In quel periodo la voglia di scrivere era decisamente nulla.
Poi, sono tornata a scuola negli ultimi due mesi ed ho dovuto recuperare tutto,
ovviamente con intensive ore di studio ed un compito in classe praticamente ogni giorno.
Lì era il tempo a mancare. A fine maggio, il pc si è rotto e l’ho portato in un negozio di elettronica,
dove lo avrebbero dato al tecnico. E’ successo che se lo sono completamente scordati
(cosa che devo ancora capire come sia potuta succedere) e questo povero oggetto è rimasto per un mese
ad impolverarsi in un angolo del negozio. Ad inizio giugno ho subito un intervento ed anche volendo non potevo scrivere.
Il computer lo ho riavuto a luglio ma indovinate? Non leggeva più la chiavetta.
Così sono rimasta senza connessione fino a metà settembre. Infine, poco tempo fa,
ho preso un anno sabatico dalla scuola per mettermi a posto le idee e per lavorare,
aiutando i miei con le spese. Morale della favola, sono libera dai pomeriggi di studio e quindi più presente.
Spiegatovi l’accaduto, spero davvero che continuerete a seguire la storia.
Vi prometto che questa volta aggiornerò veramente con più frequenza
(attenzione, ovviamente vi lascerò crogiolare nella suspense per un pochino lol) ed anche che da questo
capitolo inizierò a rispondere ad ogni recensione, è il minimo che possa fare.
Ora, vi lascio:
Twitter: Dark Paradise
Ask: SaraJamesHorab
E un grandissimissimissimo bacio, a tutti.
Ah, chiedo scusa per eventuali errori di grammatica,
ma lo ho appena finito e non ho il tempo di rileggerlo perché mia sorella pretende il computer.
Kikka <3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


Harry
Sbattei più volte le palpebre, pizzicandomi lievemente un braccio. Non poteva essere.
Diamine, li avevo praticamente visti morire entrambi. Non riuscivo a crederci.
–Harry… sei davvero tu?-, domandò sconcertato Niall, facendo un passo avanti, i grandi occhi blu velati dalle lacrime.
Senza aspettare oltre, lo raggiunsi velocemente, buttandogli le braccia al collo e stringendomelo al petto,
scoppiando a piangere sulla sua spalla. Lui fece lo stesso,
circondandomi le spalle ed affondando il viso nell’incavo della mia spalla,
lasciando che le lacrime bagnassero le sue guance e la mia guancia. Avevo assoluto di quell’abbraccio,
di sentire il calore famigliare che solo mio cugino sapeva darmi.
–Oh Niall… Sei proprio tu, se qui…-, singhiozzai senza trattenermi, rafforzando la presa sul suo corpo.
Annuì convulsamente, tirando su con il naso e non staccandosi da me neanche un secondo.
Quanto mi era mancato… Quanto tempo avevo passato a piangere, ricordando i bei momenti passati insieme,
ricordando le sue ultime parole e ripensando al fatto che lui non ci fosse più?
Ed ora ero lì, ad abbracciarlo come se non ci fosse un domani,
desideroso di donargli tutto l’affetto che ci eravamo negati per ben cinque mesi.
Lo allontanai da me lentamente, studiando il suo corpo da capo a piedi, tastandolo con mani incredule.
Era leggermente più alto ed aveva cambiato taglio di capelli. Per il resto era completamente uguale.
Stessa pelle diafana, guance rosate, occhi luminosi e brillanti.
–Non riesco a credere che tu sai qui, con me… è impensabile…-, mormorai,
accarezzandogli il volto e sistemandogli i capelli, facendo spuntare sul mio viso un sorriso tra le lacrime.
–Neanche io Hazza, neanche io. Ti credevo morto, insomma… Non eri sulla lista e…-, si interruppe,
scoppiando nuovamente in lacrime e abbracciandomi ancora più stretto.
–E’ tutto finito Nialler. Tutto ok…-, lo rassicurai, accarezzandogli la schiena. –Ma non restiamo qui.
Andiamo a sederci sul divano, devi raccontarmi tutto quello che è successo,
perché ti giuro che non mi spiego come sia possibile!-, aggiunsi poi, ridacchiando e facendolo sorridere.
Gli feci strada verso il salotto, quando un colpo di tosse alle mie spalle mi fece voltare.
Zayn. Mi ero completamente dimenticato di lui. –Scusa tanto, eh, ma ci terrei anche io a salutarti,
se me lo permetti!-, sbuffò ironico, esibendosi nel suo solito sorriso sghembo.
Ricambiai il sorriso e mi buttai addosso a lui, stringendomelo contro il più possessivamente possibile.
–Ehi, ehi, ehi, piano ricciolo! Ti vorrei far notare che sono un invalido!-, scherzò,
un velo di commozione a rompergli la voce. –Smettila di fare l’uomo tutto d’un pezzo una volta tanto e abbracciami,
brutto idiota.-, lo ripresi, senza cattiveria, stringendolo maggiormente. Lui ridacchiò appena,
lasciando a terra le stampelle e stringendo le sue braccia dietro la mia schiena.
–Mi sei mancato Zayn.-, sussurrai contro il suo orecchio, lasciandomi sfuggire una lacrima. –Anche tu Harry. Anche tu.-, rispose lui,
tirando appena su con il naso. Subito dopo lo aiutai a raggiungere il salotto, facendolo sedere accanto a Niall,
mentre Will si offriva di andarci a preparare una tazza di the.
–Allora avevo ragione!-, esclamò d’un tratto il moro, saltellando appena sul sofà.
–Riguardo a cosa?-, lo interrogai, porgendo dei fazzoletti a Niall. Ne avevamo entrambi bisogno.
–Una sera di qualche settimana fa, siamo passati davanti a questa casa e mi era sembrato di sentire la tua voce.
Il cane aveva iniziato ad abbaiarmi ed è uscito Will per farlo stare zitto.-, spiegò brevemente,
accarezzando la testa del cagnone. –E’ un suo brutto vizio. In teoria i Labrador non dovrebbero abbaiare molto,
ma Malik è un eccezione.-, esclamai ridacchiando, asciugandomi le guance e soffiandomi il naso.
–Scusa, come lo hai chiamato?!-, se ne uscì Zayn, uno sguardo scandalizzato a decorargli il volto.
Solo in quel momento mi resi conto del fatto che fosse il suo cognome. –Beh, ecco… Insomma,
volevo ricordarvi in qualche modo, quando vi credevo morti. Così, quando con Will abbiamo preso il cane,
ho pensato di chiamarlo Malik, dato che arrivando a New York mi sono presentato come Harry James Tomlinson,
ricordando Niall e…-, lì mi bloccai, smettendo di gesticolare. –Louis…-, mormorai a me stesso.
–Louis è con voi? Magari ferito o ammalato, ma è con voi?!-, chiesi subito dopo, con enfasi, forse troppa.
Sobbalzarono appena sul posto, spaventati dalla mia improvvisa uscita, per poi scambiarsi un’occhiata confusa e tornare a fissarmi.
–Non è con te, Haz?-, domandò cautamente Niall, scuotendo appena il capo, non capendo.
Il sorriso speranzoso che avevo messo su si spense, lasciandomi un profondo vuoto al centro del petto.
Vedendo loro, avevo creduto anche per un misero istante che pure Louis si fosse salvato.
Certo, avevo assistito alla sua morte, ma pensavo di aver visto anche quella di Zayn e Niall.
Invece erano lì, sul divano di casa mia, che chiacchieravano amabilmente con il sottoscritto. Di Louis nessuna traccia.
Raccontai ad entrambi tutto quello che era successo, come eravamo corsi sul ponte e
di come la nave era colata a picco con noi oltre il parapetto, con Will che, dopo averci porto tre the tazze di the,
si era seduto dietro di me, abbracciandomi per farmi stare tranquillo mentre parlavo.
–Quando sono tornato alla realtà dal mio stato di trans, intravedendo una scialuppa in lontananza,
mi sono voltato a guardarlo. Era… Pallido, la pelle di un insolito colore livido, la brina che gli ricopriva le labbra,
i capelli e le palpebre chiuse…-, lo descrissi, rivivendo nella mente quell’immagine che per tre mesi mi aveva tormentato nel sonno.
–L’ho chiamato tante volte, l’ho scosso, ma niente. Lui non si è mai svegliato…
Per non rendere vana la sua morte, ho staccato le sue mani dalle mie e l’ho lasciato andare.
La corrente se lo è portato via in poco tempo, mentre Will mi caricava sulla scialuppa…-, conclusi,
coprendomi il viso con le mani e piegandomi su me stesso, iniziando a piangere. –Io non volevo lasciarlo andare…
Non volevo…-, mormorai tra i singulti, avvertendo le mani forti e grandi del mio ragazzo tirarmi su e stringermi a sé cullandomi.
Erano davvero troppo differenti da quelle di Louis, piccole e delicate. Piansi per qualche minuto,
sfogando il dolore provocato dai ricordi, per poi ricompormi con un respiro profondo.
Notai solo allora che anche i due ragazzi davanti a me stavano piangendo, uno stretto nell’abbraccio dell’altro.
Finii definitivamente il racconto aggiornandoli sulla mia attuale relazione con Will e
mostrandogli l’album dei disegni che avevo ritrovato poco prima. Zayn lo sfogliò con un sorriso commosso in viso,
gli occhi lucidi non più di lacrime, ma di emozione.
Subito dopo toccò a loro raccontarmi come erano riusciti a scampare a quella tragedia,
perché francamente mi sembrava una cosa impossibile. Come me, descrissero tutto con cura,
ed io li ascoltai rapito, stringendo la mano di Will nella mia ed accarezzandogli il dorso con il pollice.
–E quando abbiamo scoperto che non c’era nessun Harry Styles o nessun Louis Tomlinson nella lista dei superstiti
ci è crollato il mondo addosso. In quel momento non abbiamo collegato che Harry Tomlinson potessi essere tu,
eravamo troppo distrutti dall’idea che non vi avremmo più rivisto, capisci?
Con voi avevamo passato tutta la nostra vita, eravamo disperati.-, spiegò Niall,
gesticolando furiosamente e massaggiandosi il ponte del naso. Sorrisi dolcemente,
avvicinandomi a loro e stringendoli in un abbraccio fraterno. –Non importa più Nialler.
L’importante è che siamo tutti insieme.-, lo rassicurai, accarezzandogli la schiena.
–Non tutti…-, soffiò sconsolato Zayn. Non gli diedi peso, scuotendo appena la testa.
–Non dobbiamo rattristarci per questo. Lou non vorrebbe vederci così tristi. Era sempre allegro e vivace.
Facciamolo per lui, nonostante faccia male.-, mormorai rivolto a lui, guardandolo intensamente negli occhi scuri.
–Vero che vi fermate a cena?-, cambiai subito argomento, alzandomi in piedi e sfregandomi le guance con le mani.
Il sole stava iniziando a calare e me ne ero reso conto solo in quel momento.
Il tempo volava quando stavi con le persone che amavi. –Farebbe molto piacere ad entrambi.-, diede manforte Will,
alzandosi e rivolgendogli un sorriso sincero. I due si guardarono, per poi sorridere ed annuire.
–Non potremmo mai rifiutare!-, decretò Niall, facendoci ridere tutti.
–Ragazzi, volete vedere una cosa?-, domandai poco dopo, mentre io e Niall apparecchiavamo la tavola,
Will girava il sugo e Zayn giocava in salotto con Malik. Mi fissarono curiosi, per poi dichiararsi d’accordo.
Lasciai un veloce bacio al mio ragazzo, avvisandolo che ci avremmo messo poco e afferrai un sacchettino dalla credenza sotto il lavello,
per poi condurli fuori casa, sulla spiaggia. Lentamente salimmo lungo la scogliera,
aspettando Zayn ed aiutandolo con le stampelle, arrivando finalmente in cima. Lì trovammo il mio piccolo santuario,
che li lasciò senza parole. –L’ho fatto per ricordarvi. In qualche modo riuscivo a sentirvi più vicini.-, mormorai in spiegazione,
per niente in imbarazzo. Loro si avvicinarono, leggendo le incisioni sulle loro croci.
–E così io ti avrei dato conforto e Zayn la forza?-, mi sfotté leggermente mio cugino, sbuffando una risata.
Lo imitai, annuendo, per poi guardare il suo ragazzo. Era in piedi davanti alla croce di Louis, lo sguardo fisso sull’incisione.
Subito dopo lasciò le stampelle, cadendo in ginocchio sulla morbida distesa di sabbia,
mentre io e Niall lo raggiungevamo in fretta, credendolo preda di un malore. Una folta affiancato,
scoprimmo con orrore che stava piangendo, singhiozzando violentemente.
–Perché…-, sussurrò disperato, stringendo la sabbia tra le mani e chinandosi in avanti.
–Perché te ne sei andato? Eh?! Dovevi restare qui con me, lo avevi promesso!
Non mi avresti mai lasciato solo ed invece lo hai fatto! Ti odio, cazzo, ti odio Louis!
Ti odio, ti odio, ti odio!-, urlò fra le lacrime, prendendo a pungi il terreno sotto di sé,
forti singhiozzi che gli uscivano dalla bocca. Immediatamente mio cugino si buttò accanto a lui,
afferrandolo dalle spalle e stringendoselo contro, accarezzandogli la nuca.
–Mi manca così tanto…-, soffiò contro la spalla del biondo, stringendogli la casacca tra le mani.
Era una visione devastante vederlo così distrutto. Si era sempre dimostrato forte e temerario, sulla nave,
ne avevo un ricordo nitido quando mi aveva sbattuto al muro della sua cabina, minacciandomi.
Pochi minuti dopo si ricompose, scusandosi con entrambi. Niall scosse il capo,
sorridendogli dolcemente e lasciandogli un tenero bacio sulle labbra, rassicurandolo,
mentre io iniziavo ad estrarre la croce dedicata a mio cugino dal terreno, facendolo successivamente anche con quella del mulatto.
Erano vivi, davanti a me. A cosa mi servivano? Richiuse per bene le buche, con l’aiuto degli altri due,
aprii il sacchetto, tirandone fuori una candela ed una scatola di fiammiferi. –Aspetta.-, mi fermò Zayn,
prima che potessi accenderla. Subito dopo lo vidi estrarre qualcosa fuori dalla tasca dei pantaloni,
attaccandola alla collana che si era sfilato poco prima ed appendendola alla croce. –La portavo sempre con me.
È un po’ rovinata a causa dell’acqua e del tempo, ma penso che andrà bene lo stesso.-, spiegò brevemente,
l’ombra di un sorriso ad illuminargli il volto. Osservandola meglio mi resi conto fosse una foto di Louis.
Era sorridente, i capelli folti e acconciati in uno strambo ciuffo riccio, una giacca dal taglio elegante,
ma chiaramente di seconda mano, gli occhi azzurri luminosi e un leggero strato di barbetta. Bellissimo.
Assolutamente meraviglioso. Annuii, ricacciando indietro le lacrime e sforzando un sorriso,
accendendo poi la candela. La posizionai ai piedi della croce e lasciai una carezza sulla foto.
Rimanemmo lì ancora qualche minuto, in silenzio, per poi alzarci e tornare a casa,
scoprendo la tavola giù imbandita con pasta al sugo, arrosto e alcuni biscotti che avevamo preparato il giorno prima,
decorati con qualche filo di cioccolato per renderli più eleganti. Feci accomodare i nostri ospiti,
dando poi un bacio a Will e sedendomi accanto a lui. Cenammo serenamente, chiacchierando,
ridendo e dando qualche bocconcino anche a Malik, che girava tra le sedie,
arruffianandosi tutti per ricevere qualche cosa da mangiare. Tra i vari discorsi affrontati,
venni a conoscenza che anche Liam e Danielle erano sopravvissuti a quella strage,
che stavano a tre isolati da noi e che lei era incinta. Mi annotai mentalmente di andare a fargli visita il prima possibile.
Fu bello essere riuniti e dimenticare le cose tristi, dimenticare quell’orribile tragedia e pensare solo a cose positive per una sera.
Passammo davvero una serata meravigliosa, peccato che ad un certo punto tutte le cose belle devono finire.
Verso le dieci di sera, Niall e Zayn decisero che era meglio avviarsi a casa.
Abitavano dall’altra parte dell’isolato e il moro aveva bisogno di riposo. Così li accompagnammo alla porta,
assieme a Malik che scodinzolava felice. Dopo averla aperta ed averli scortati fino al cancelletto,
Will li salutò con una stretta di mano, una pacca amichevole sulla spalla ed un sorriso rassicurante,
per lasciare poi spazio al cane, che li salutò con salti ed abbai entusiasti. Quando finalmente toccò a me,
strinsi Niall fortissimo contro il mio petto, sentendolo ricambiare allo stesso modo.
Rimanemmo così per due minuti circa, prima che passassi a stringere Zayn. Dopo aver lasciato anche lui,
mi premurai di raccomandarmi –Tornerete a trovarci vero?-. Entrambi annuirono sorridenti ed entusiasti,
facendo sorridere automaticamente anche me. –Ovviamente è sottointeso che verrete da noi qualche volta, si?-, fece poi Zayn,
fissandomi perentorio. –Ed intendo anche Malik eh!-, specificò, accucciandosi leggermente per coccolare il cagnone,
che contento di essere stato preso in considerazione gli lecco tutta la mano. –Assolutamente.
Ci farebbe molto piacere.-, rispose per entrambi Will, appoggiandomi una mano sul fianco.
–Ottimo!-, esclamò il moro, sorridente. Prima che se ne andassero definitivamente presi momento Niall da parte,
per parlargli in privato. –Non so se hai letto i giornali Nì, ma mamma è in ospedale.
Ha avuto una crisi di nervi sapendo della mia presunta morte e…-. –Tranquillo Haz, so tutto.
Ho letto l’articolo.-, mi interruppe dolcemente, notando il magone che avevo in gola a raccontare ciò.
Era pur sempre mia madre, era normale avere quella reazione parlando delle sue condizioni delicate.
–Bene. Sono andato a trovarla appena saputo ed è cambiata Niall. È pentita per come ci ha trattati.
Mi ha chiesto scusa, l’ha chiesto anche a te e… A Lou…-, la mia voce si affievolì leggermente sull’ultima parte della frase,
per poi riprendere vigore quando continuai.
–Quando le ho detto che non ce l’avevate fatta, ho visto la desolazione nei suoi occhi ed era vero.
Non stava fingendo, era veramente pentita ed addolorata. Per cui, mi chiedevo, ti andrebbe di venire con me a trovarla in ospedale?
Credo che le farebbe davvero piacere sapere che sei vivo…-, conclusi con un sorriso speranzoso,
stringendogli le mani in modo incoraggiante. Mi squadrò con un cipiglio serio, indeciso sul da farsi e soppesando le mie parole.
Era naturale che non volesse averci più a che fare, infondo lo aveva rinnegato mentre eravamo sulla nave,
ma tentar non nuoce. Dopo attimi di silenzio sospirò pesantemente, mormorando –Va bene.
Solo una visita, nulla di più.-. Lanciai uno squittio decisamente poco maschile e lo abbracciai di slancio,
mormorandogli nell’orecchio una litania di “grazie” infinita. Lui rise leggermente accarezzandomi i ricci.
Tornammo al cancelletto, dove Will e Zayn chiacchieravano tranquillamente. Una volta accanto a loro,
Zayn accarezzò leggermente la mano di Niall, mentre Will mi abbracciò da dietro, lasciandomi un bacio sulla guancia.
Gli augurammo la buonanotte e li osservammo allontanarsi, fino a che il buio non li inghiottì del tutto.
Solo allora rientrammo in casa, entrambi parecchio felici.
–E’ stata una bella sorpresa vero?-, domandò mentre davo due giri di chiave alla porta d’ingresso.
La notte, a New York, non si era mai troppo sicuri.
–Assolutamente. Non so spiegare cosa ho provato quando li ho visti lì, alla porta.-, mormorai,
appendendo la chiave al suo gancio nello stipetto.
–Merda! Ho dimenticato di dargli lo zucchero!-, esclamò Will, battendosi una mano sulla fronte.
–Lo zucchero?-, chiesi, trattenendo a stento una risata.
–Eh sì! Li ho invitati ad entrare proprio perché li ho urtati e le buste che avevano appena comprato li sono rovesciate completamente.
A proposito, dovrò pulire il marciapiede.-, spiegò, riducendo la voce ad un borbottio verso la fine della frase.
Mi avvicinai a lui, ridacchiando. –Come sei maldestro.-, lo scimmiottai teneramente, baciandogli la punta del naso.
–Ma grazie a te ho scoperto che sono ancora vivi. Grazie mille Will.-, aggiunsi poi, circondandogli il collo con le braccia.
–Davvero?-, chiese lui, adagiando le sue mani sui miei fianchi, stringendoli possessivamente. –Davvero.
Mi hai reso così felice… E’ stato meraviglioso parlare con loro dopo aver creduto per mesi di non poterlo più fare.-, confermai, sorridendo.
–Mi fa piacere.-, commentò lui, abbassandosi e lasciandomi un bacio a stampo.
Fui io ad approfondirlo, affondando le dita tra i suoi capelli e baciandolo con passione, stringendolo a me.
Portò le mani sotto le mie cosce, prendendomi in braccio, lasciandomi intrecciare le gambe alla sua vita,
per poi salire in camera da letto, il tutto senza smettere di ricambiare il mio bacio. Facemmo l’amore quella notte,
con più fretta e con passione. Una passione bruciante ed una frenesia incontrollata,
forse dovuta al ricordo vivido di Louis nella mia mente. Quella foto che aveva con sé Zayn mi aveva scombussolato la mente,
riportando il suo volto nella mia testa, come marchiato a fuoco. Proprio a lui pensai,
quando venni contro lo stomaco mio e di Will. Successivamente coprì entrambi con il lenzuolo,
sdraiandosi dietro di me e abbracciandomi, baciandomi la nuca. Rimasi qualche minuto ad osservare,
nel buio, la parete davanti al letto, per poi decidere di dormire. Era stata una giornata piena e stancante,
troppe emozioni si erano accalcate dentro di me e sentivo il bisogno di riposare. Prima di addormentai,
l’ultima cosa che vidi, furono due occhi azzurri ed un sorriso abbagliante.
 
 
 

#Angolo Kikka
Buonasera :3
Sono stata o no veloce questa volta???
Era il minimo per farmi perdonare lol
Il capitolo è più corto del solito perché troviamo solo un Point Of View.
“Come mai ne ha fatto solo uno?” domanderete voi. Beh, semplice.
L’incontro tra Harry e Niall aveva bisogno di un capitolo tutto suo. Non per togliere nulla a Zayn,
ma capite che sono cugini quei due ed è normale che Haz sia più felice di vedere Nello rispetto a Zayn,
che non conosce bene e da cui è anche stato minacciato sul Titanic eh u.u
Scopriamo che Louis non è né da una parte né dall’altra e la speranza che aleggiava nei cuori dei tre si è completamente spenta.
Oltre a ciò Zayn ha anche una sua foto e per Harry è un colpo.
Ovviamente non avrebbe mai potuto dimenticarsi di Louis, ma con il tempo il ricordo aveva iniziato a sbiadire.
Rivedendo il suo viso in quella foto, il suo volto si è impresso nuovamente nella sua mente
e gli ha completamente scombussolato il cuore. Però, c’è sempre un però, prova anche un forte sentimento per Will,
ricordiamoci che c’è sempre questo ragazzo che si prende cura di lui.
Vi avviso che alla fine della fan fiction stravolgerò una data storica, d’accordo?
Premetto già perché non ho voglia di ricevere moralisti che diranno “Ma questo non è successo in quell’anno!”.
Tutto qui.
Giusto, dedico il capitolo a Barbara Maccario, persona dolcissima che su ask mi ha sempre chiesto della storia.
È per te dolcezza, spero lo stia leggendo :3
Come al solito vi lascio
Ask:
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Twitter: https://twitter.com/28_6_14
E vi auguro una buonanotte.
Kikka 

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