A love worth fighting for

di nuvole_e_popcorn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontri ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** Incontri ***


1

Incontri

Aurora POV

11 Settembre 2012

Notai che mia madre aveva le lacrime agli occhi. La amai ancora di più per questo, lei sarebbe stata la persona che mi sarebbe mancata di più; ma sapeva che questa era la strada che mi ero scelta e ne era fiera.

«Oh, ma' -la apostrofai stringendola con il braccio libero -andrà tutto bene. Ci vedremo presto» l'altoparlante dell'aereporto di Caselle annunciò il check in dei passeggeri del volo diretto a Londra e sospirai. Abbracciai anche mio padre; sapevo che si sarebbero presi cura l'uno dell'altra, come avevano sempre fatto. Ogni tanto mi veniva da piangere guardandoli mentre si scambiavano occhiate innamorate quando pensavano che nessuno li stesse guardando. Mio padre passò un braccio attorno alle spalle di mia madre che coraggiosamente abbozzò un sorriso.

Ero la sua piccola, e già me ne andavo a studiare all'estero. Aveva paura per me, era ovvio, ma mi voleva abbastanza bene da non volermi tarpare le ali.

Mi diressi verso il check in con una strana sensazione addosso. Come quando hai mille inizi davanti e cominci con uno sperando che sia quello giusto.

 

 

Ben POV

24 Ottobre 2012

Passeggiavo tranquillo quel tardo pomeriggio uggioso per le strade della mia città. Amavo Londra, nonostante la nebbia, amavo Londra comunque. Indossavo un berretto e gli occhiali da sole per mascherare la mia presenza, per sembrare normale. Infatti le persone mi osservavano, ma non sicure di chi fossi non si fermavano e non mi infastidivano. Adoro i miei fan, però ogni tanto mi va di fuggire da tutto perché piacerebbe anche a me essere normale, non essere famoso, mettere radici in un posto, incontrare una donna che non ti voglia solo perché sei famoso e vuole il suo momento di gloria.

Sospirai ripensando che nonostante tutto, forse ero io che ero troppo esigente nel chiedere una donna così, una donna allegra, sensuale, dolce, raffinata... è vero forse ero io che chiedevo troppo.

Ero talmente immerso nei miei pensieri che non notai finché non l'ebbi davanti una persona che correva a piedi scalzi sul marciapiede.

La osservai. Aveva capelli color miele-oro arracciati e portati su un lato, indossava un abito da sera color panna di cui reggeva un estremità con una mano, nell'altra reggeva un paio di scarpe tacco a spillo spaventoso leopardate (ma non era quel leopardato volgare, era quello fine, o forse dipende dalle persona che lo indossa...?), le sue guance erano arrossate dalla corsa e aveva il fiato corto.

Notai il taglio dei suoi occhi pieni di vita e le labbra rosse incurvate in un sorriso.

Mi guardò e sorrise. Per un attimo rimasi fermo immobile davanti a quella ragazza, ma più la guardavo mentre si fissava alle spalle e prendeva fiato più mi sembrava una donna e con quei capelli un po' disordinati a causa della corsa mi ritrovai ad immaginarla stesa in un letto, con indosso una camicia mentre leggeva un libro; non so perché... ma non riuscii a spiccicare parola.

Lei mi sorrise ancora: «Benjamin, vero?» in genere non amavo farmi chiamare col mio nome intero, ma in quel momento non mi infastidì minimamente; lei lasciò andare il vestito e liberata la mano me la porse dicendo: «Aurora» aveva uno strano accento, che non riuscii, però, ad identificare subito.

«Perché corri?» le domandai lentamente immaginando che non fosse inglese, nonotante la pronuncia quasi perfetta.

«ECCOLA!» due tizi della security la indicarono e lei si voltò e guardatili riprese l'abito in mano imprecando: «Merda». Italiana.

«Che succede?» le domandai in un soffio, lei ghignò: «Imbucata alla festa sbagliata» mi disse in inglese.

«Pardon!» esclamò poi quando quelli si fecero vicini, le sorrisi e lei si alzò sulla punta dei piedi scoccandomi un bacio sulla guancia per poi correre via e voltare l'angolo.

Rimasi immobile per un attimo mentre quelli della security mi passavano accanto proseguendo lungo la strada e senza svoltare. Li aveva seminati davvero.

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Capitolo 2
*** 2 ***


2

Aurora POV
11 Novembre 2012
Sbuffai aggiustandomi la postina sulla spalla e portandomi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Restando in equilibrio su una gamba, sollevai un ginocchio per farmi d'appoggio e vi poggiai sopra la cartellina plastificata, ero fuori dall'Università e tirava un ventaccio spaventoso, ma questo non mi spaventò, mentre estraevo i fogli da una bustina plastificata e cercavo di metterli nell'ordine giusto, sono una maniaca dell'ordine, tutto ha un suo posto. Punto. 
Sentii il mio stomaco brontolare, non avevo fatto colazione e le lezioni non iniziavano prima delle nove, ero in anticipo di una ventina di minuti, potevo permettermi almeno un caffettino veloce al bar, così mi diressi verso il bar di fronte all'università.
Dopo aver ordinato un caffé al bancone e aver sorriso al barista, un tipo molto carino: biondo, occhi scuri e sorriso gentile, mi guardai intorno alla ricerca di compagni di corso. Nessuno. 
«Eccoti il tuo caffé» mi disse il barista in inglese, lo ringraziai sorridendogli ancora. «Non sei inglese vero?» mi domandò, scossi la testa e pronunciai solo una parola: «Italia» lui annuì sorridendomi.
«Io sono Thomas» si presentò.
«Aurora» mi presentai, e lanciai uno sguardo all'orologio appeso alla parete: «Cazzo!» esclamai in italiano, pagai il caffé scusandomi per la fretta corsi fuori, senza neanche chiudere il giaccone, con la sciarpa e i capelli che volavano al vento. Fu allora che andai a sbattare contro qualcuno e il vento sparpagliò tutti i miei fogli per terra. Non alzai neanche lo sguardo verso lo sconosciuto che stava impalato di fianco a me, mentre cercavo disperatamente di raccogliere tutti i fogli in tempo, prima di perderli. 
Finalmente lo sconosciuto si accucciò di fianco a me e mi aiutò a recuperare i fogli. Acchiappò l'ultimo e mi alzai a fronteggiarlo, fu allora che mi venne un colpo al cuore.
«Dobbiamo smetterla di incontrarci così -mi disse sorridendomi -questo è molto bello, l'hai fatto tu?» domandò, annuì cercando di riprendere il controllo dei miei capelli. Ok, mi dissi, respira sì è Ben Barnes e già ci hai parlato, gli hai pure stampato un bacio sulla guancia! Sì, peccato che non sapessi dove avessi trovato il fegato di farlo... 
«L'ho fatto parecchio tempo fa -dissi -quando ero ancora in Italia» era il disegno a carboncino di una sirena che di schiena, abbarbicata su uno scoglio al chiaro di luna, si pettinava i capelli scuri mentre i raggi lunare le illuminavano le squame della coda.
Me lo porse sorridendomi: «Veramente stupendo».
«Oh non c'è problema -gli dissi -puoi tenerlo. Non mi serve per i corsi e comunque l'appartamento è già strapieno di disegni così, la mia coinquilina minaccia sempre di sbattermi fuori perché "ha dato una camera a me, non ai miei disegni"» rise. Aveva una bella risata.
«Aurora giusto? Potrei vederne qualcun altro? Sai mi sarebbe piaciuto saper disegnare, ma non potrei farlo nemmeno ne andasse della mia stessa vita -feci una smorfia, ero già in ritardo... -oh ma tu mi sembravi di fretta..»
«Oh va beh -dissi con voce tragica guardando l'orologio -ormai sono in ritardo; tanto vale. Vieni, al bar di mio cugino in centro te ne faccio vedere altri» lui annuì e mi regalò un sorriso.
Ben POV
11 Novembre 2012
La serranda del bar era semichiusa, ma Aurora aprì la porta e la serranda entrando. Era tutto buio, evidentemente oggi era giorno di chiusura, buttò la borsa in un angolo, vicino a un porta ombrelli e cominciò a togliersi la giacca: «Metti pure la giacca dove vuoi» mi disse con quella sua voce allegra, accese la luce e vidi che si stava togliendo le decolté nere di vernice che aveva indossato fino a quel momento; evidentemente qui era davvero a casa sua: «Posso offrirti qualcosa da bere?» mi domandò legandosi i capelli in una coda disordinata e voltandosi verso di me.
Era di corporatura esile, ed era chiaro che era una patita di moda, visto che era vestita come se fosse appena uscita da una passerella, sorrideva gentile e si era portata le mani ai fianchi con aria decisa.
«Mmm... non so, un caffé magari?» annuì.
«Caffé in arrivo, siediti pure dove vuoi» obbedii sedendomi a uno dei tavolini rotondi lontano dalla vetrina, mi tolsi gli occhiali da sole e rimasi in silenzio a osservarla. Si muoveva con grazia ed eleganza, e c'era un che di sensuale nel modo in cui la coda le rimbalzava lasciando intravedere di tanto in tanto la pelle candida della nuca. Doveva essere parecchio giovane, insomma faceva ancora l'università, cosa cavolo mi era saltato in mente...? Proprio in quel momento si girò e con un vassoio in mano si diresse verso di me. Okay, magari ci penso dopo.
Sorseggiai lentamente il mio caffé e quando lei si abbassò a prendere la borsa per estrarne la cartellina rosa che avevo visto prima, quella da cui erano scappati tutti i fogli, notai che portava, all'anulare destro una fede. Probabilmente stavo fissando infatti sentii la sua voce:
«E' di mia madre» mi disse «E' tutto ciò che mi resta della mia famiglia biologica.» Ah, quindi era una figlia adottiva, le sorrisi e lei, che si era un po' intristita mi sorrise di rimando:
«Beh qua ne ho solo alcuni -mi disse aprendo la cartellina (che a mio modo di vedere era strapiena) -prego divertiti e chiedimi pure quello che vuoi» Cominciai a sfogliare, rimanendo sempre più colpito. Il disegno della sirena era stupendo, ma gli altri, erano stupefacenti. Mi fermai a osservare quello che sembrava un ritratto, era una donna che aveva il viso appoggiato a quello di una neonata; la donna aveva capelli ricci neri e grandi occhi scuri, mentre della bambina si vedeva solo un ciuffo di capelli biondi spuntare da sotto una cuffietta rosa pallido, e gli occhietti semiaperti erano ancora blu scuro, la bambina aveva una catenina al collo, decisamente troppo grande per lei, con lo stesso anello che ora Aurora portava al dito.
«Quella sono io con mia madre, Franca -mi disse -mi hanno adottata appena una settimana dopo la mia nascita. Non so perché i miei genitori biologici mi abbiano dato in adozione, ma so che non avrei potuto avere madre migliore della mia».
«E' un disegno bellissimo» le dissi, sorridendole. Passai oltre. Era un disegno stupefacente, era una rosa dei venti i cui aghi non erano semplici aghi bensì delle creature fatate che incarnavano ciascuna una stagione e al centro della rosa dei venti stava il disegno di una bambina molto piccola seduta, notai come le varie stagioni avessero anche età diverse e come ai quattro angoli del foglio fossero scritti dei numeri romani.
«Ah! -mi disse -quello l'ho portato alla mia maturità come tesina l'anno scorso». Era davvero giovane. Quasi dieci anni più piccola di me.  
«E' molto bello» concessi, senza altre parole per descriverlo. «Ma non hai ancora visto il meglio! -prese la cartellina e ne estrasse un foglio -è la storia d'amore dei miei genitori» Su uno sfondo del colore del tramonto con la sagoma di un albero sul lato destro stavano sette rappresentazione diverse come legate da un filo, che era in realtà semplicemente uno spartito:
«L'Inno alla Gioia?» domandai stupito riconoscendolo, lei annuì. 
Prima c'erano due bambini che si scambiavano una promessa, di quelle che non puoi non mantenere, quelle che suggelli con un abbraccio dei mignoli, poi due ragazzini: la bambina timida da un lato con le sue trecce e i libri e un ragazzo appena più grande con una sigaretta in mano, poi due ragazzi più grandi con lui che le porgeva un libro, poi una rosa e infine inginocchiato davanti a lei. Era bellissimo.


Che ne dite?? 

 

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