Oh, Calamity!

di applestark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I

Sandy
 
“E’ il tuo diciottesimo compleanno, Sandy. E sai cosa significa questo? Significa che finalmente potrai gestirti da sola, che non hai più bisogno di me, che infondo puoi cavartela da sola.
Il tuo sogno era quello di andare via da questo posto, no? Allora vai, insegui il tuo sogno, acchiappalo tra le mani e non lasciarlo andare più.”
 
Le parole di mia madre continuavano a riecheggiarmi nella testa.
Era la notte del mio compleanno, il cielo fuori era buio, la mezza notte era scoccata da poco e finalmente il Primo Novembre era giunto. Che giorno curioso per nascere, no?
Non sapevo se il suo fosse stato un augurio oppure una bestemmia. Non riuscivo a capire se lei fosse contenta di abbandonarmi oppure felice del fatto che sua figlia fosse cresciuta.
Aveva sempre giocato ad essere la mia migliore amica, ma non aveva mai notato tutto il mio sgretolamento, le cattive compagnie, il disagio interiore che portavo dentro e che non mi aveva abbandonata proprio mai.
Mi permetteva tutto ciò che volessi, anche di saltare la scuola. Proprio per quel motivo le espulsioni erano per me all’ordine del giorno. Non mi piaceva andare in quel posto, odiavo il confronto ed avevo un serio problema di socializzazione. Ero una sociopatica, una… una ragazza diversa.

Era il due novembre, precisamente due giorni dopo che mia madre mi avesse concesso il suo apparentemente liberale e dolce “arrivederci”.
Mio padre non l’avevo mai più visto da quando avevo circa sei o sette anni, ma sapevo che viveva in America, nello stato del Maryland.
Non che mi interessasse tanto trovarlo, ma quello forse era il posto giusto da dove ricominciare.
 Edward Wate, questo è il nome di mio padre, l’uomo al quale non ho mai perdonato il fatto di avermi abbandonata.
Correva via dall’asfissiante modo di fare di mia madre, Terry Stewart, ma non avrebbe mai dovuto farlo tagliando tutti i rapporti con me, con sua figlia.
Eppure, era come se la bambina che avevo dentro non riuscisse ad odiare completamente suo padre, e il pensiero di poterlo ritrovare, anche solo per dirgli “Ti odio, fanculo”, mi faceva sentire… stranamente e vagamente… felice.
 
Il mio aereo atterrò a Baltimore con circa un’ora di ritardo.
Se ancora non l’ho detto, la sfiga mi perseguita  da quando sono nata. Secondo una mia vecchia amica, si trattava del mio giorni di nascita, stavo sulle scatole a un bel po’ di anime che ogni anno mi infliggevano la sfiga addosso come regalo di compleanno.
Io non badavo molto a queste cose, però mi arrabbiavo brutalmente.
L’ira era un’altra delle cose che non riuscivo a manovrare, tenere sotto controllo. Potevo sembrare acida a primo impatto ma ero certa che, nel profondo di me stessa, si celasse una brava, buona e dolce ragazza.
Io non l’avevo mai vista, ma sapevo che c’era.
Ovviamente non ero mai stata negli Stati Uniti prima di quel momento, a dirla tutta, non mi ero mai spostata dall’Irlanda, dal paesino nei pressi di Leitrim, contea nella quale avevo vissuto tutta una vita.
Non potevo permettermi un albergo, io e mia madre eravamo andate avanti a forza di sforzi, dunque avevo affittato una lurida stanza nella villetta di campagna di una signora, una certa Margareth. Doveva avere minimo sessant’anni, forse molto di più, e mi aveva affittato la stanza a poco prezzo, quindi avevo accettato sin da subito.
Non mi ero iscritta a nessun college, non ancora, quindi dovevo trovarmi un lavoro al più presto.
Mi erano rimasti pochi dollari nella tasca della giacca verde militare, che utilizzai per il taxi.
 
“Salve, mi porti a Lincoln Street, grazie.” Dissi al conducente, il quale mi rispose con un “Certo” che sapeva così tanto di america…o, per bacco, il loro accento era così dannatamente marcato!
Durante il viaggio rimasi in silenzio, osservavo la strada recentemente asfaltata con il suo colore grigio topo, il cielo era di uno strano azzurro, le nuvole in cielo erano gonfie come palloncini, quasi sul punto di scoppiare in una dirompente tempesta.
Avevo addosso una pesante giacca verde ma qualche brivido mi percorreva le braccia, non sapevo se si trattasse di paura o era una questione fisiologica.
Non avevo mai varcato i confini della mia contea in Irlanda, il mondo per me era solo quello che vedevo nelle scorrevoli immagini del telegiornale,  e in quel momento ero così…spiazzata.
Avevo un numero sul cellulare,  era di mio padre, ma ogni volta che provavo a chiamarlo mi veniva un groppo in gola  e lasciavo andare.
Avevo avuto mia madre per tutto quel tempo, che con i suoi alti e bassi era riuscita a farmi crescere più o meno bene, nonostante i miei gravi problemi di autostima, la completa assenza di vestiti della mia taglia nell’armadio.
C’era una fissa che mi perseguitava: quella di indossare abiti più larghi in modo da nascondere le curve. Purtroppo non ero fatta di un ammasso di ossa e un pancino piattissimo come il resto delle ragazze, e questo mi gravava sulle spalle.
Persa nei meandri della mia mente non mi ero nemmeno resa conto di essere arrivata a destinazione. Presi dalla tasca laterale della mia tracolla una mappa della zona –eravamo in periferia- e poi scesi dal taxi, pagai il conducente e la polvere che provocò il slittare dei pneumatici sul terreno fangoso mi sporcò i jeans.
Sbraitai, e poi mi trascinai  fino all’isolato 5.
Sul foglio che avevo tra le mani c’era scritto: Famiglia Gaskarth, isolato 5, prima villetta a destra. E poi il loro numero, che la signora mi aveva gentilmente dato.
Cercai di sistemarmi per avere un’aria più o meno presentabile e poi bussai al citofono, in attesa di qualche risposta.
-Chi è?- chiese una voce dopo una manciata di minuti.
-Sono Sandy Wate, la ragazza che ha preso in affitto una delle camere… quella irlandese-
-Ah, certo. Entra pure-
Dalla voce si capiva che l’età della donna poteva variare dai sessanta o settant’anni, e questo poteva considerarsi un vantaggio visto la vita tranquilla che la maggior parte dei nonnetti vive.
Posai la mano sulla maniglia e immediatamente la donna aprì la porta.
-Salve!- esclamai, pulendomi i piedi sul tappeto all’entrata, sul quale c’era scritto a caratteri cubitali “Welcome”.
-Ciao Sandy, benvenuta a Baltimore. Vieni dentro, scommetto che tra poco verrà a piovere-
L’età era quella che avevo ipotizzato, la signora era bassina ed aveva un caschetto rosso, gli occhi erano due cerchietti blu cobalto.
-Io sono Margareth come ben già sai, lui invece è mio marito-
Sorrise, e mi fece cenno di seguirla verso il salotto.
Io ero piuttosto imbarazzata visto che non sapevo cosa fare, cosa dire. Strinsi il trolley forte tra le mani e feci quello che mi disse.
Suo marito era un uomo con i capelli brizzolati e un sorriso raggiante.
-E così sei tu l’irlandese? Piacere di conoscerti, sono William, William Garkarth-
-Si, sono io. Il piacere è tutto mio, sono Sandy Wate-
Sorrisi appena e poi roteai lo sguardo, visto che non sapevo più cosa aggiungere.
Probabilmente la signora comprese il mio imbarazzo e mi si avvicinò.
-Vieni, ti faccio vedere la tua camera-
Annuii e la segui verso le scale, che salimmo piano piano una ad una.
 
-Eccoci- esclamò la signora, indicandomi una stanza, l’ultima del corridoio.
-Ti sembrerà strano il fatto che mettiamo in affitto le stanza della nostra casa a così basso prezzo. In realtà pensiamo che sia un gesto carino, molti studenti studiano all’Università di Baltimora, la nostra villetta è spaziosa e quindi…-
-E’ molto generoso da parte vostra, sul serio.-
Margareth sorrise compiaciuta. –Tu cosa studi?-
-Niente…ancora niente- balbettai in imbarazzo. –Ma mi troverò un lavoro subito, cercherò un’altra sistemazione, non si preoccupi!-
La signora posò una mano sul mio braccio e sorrise.
-non ti preoccupare, pagami l’affitto solo quando hai soldi abbastanza. Ti avverto…nella stanza c’è anche una piccola cucina, è una sorta di monolocale-
-Si, avevo visto la foto su internet!- risposi, ricredendomi di quanto carina fosse la stanza, molto meglio della foto sul sito.
-Giusto… adesso ci sono le tecnologie. A presto, Sandy.-
-Arrivederci!-
 
Chiuse la porta alle mie spalle e lasciai al centro della stanza la valigia e la tracolla.
La camera era molto spaziosa, un letto a due piazze si trovava attaccato al muro, le cui pareti erano di un azzurro chiaro, molto rilassante.
All’angolo della stanza c’era una cucina minuscola e un tavolo pieghevole, con un solo sgabello. Vicino alla finestra un piccolo incavo con una porticina celava il bagno, con un water e una doccia striminzita. Per fortuna c’era un balconcino che dava alle campagne adiacenti alla casa.
“Oh, qui posso fumare” mi consolai, poi andai a gettarmi sul letto.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

Sandy

“Sono grande ormai, e non ho bisogno di nessuno. Me l’ha detto anche mia madre.”
Era da circa mezz’ora che  non facevo altro che ripetermi mentalmente quella frase, come se fosse un mantra.
Avevo mandato a mia madre solo un sms quando ero atterrata a Baltimore, nient’altro.
La mia prima notte in un letto che non era mio era stata meno tragica di quanto mi aspettassi, ma la colpa era tutta del fuso orario che mi faceva sembrare uno zombie.
Avevo sonno e il viso  solcato da due profonde occhiaie violacee. Sarei andata avanti grazie al caffè e alle sigarette, me lo sentivo.
Quella mattina, appena sveglia, avevo provato a comporre il numero di mio padre, mi ero anche  preparata un magnificente discorso e poi… avevo amaramente scoperto che quel numero era fuori uso. Ora non aveva più nessun aggancio e nessuna possibilità lì a Baltimore. La voglia di tornarmene a Leitrim era ancora molta, ma cercavo di darmi forza con la frase sopra citata.
Dopo aver bevuto l’ennesimo caffè mi inoltrai nel traffico quotidiano della città, alla disperata ricerca di un lavoro, magari come cameriera visto che l’avevo già svolto e le mansioni erano comunque abbordabili, così come il salario.
Mi era sembrato di vedere un annuncio lungo la strada che aveva percorso in taxi, quindi quella mattina mi recai a piedi fino a quel posto.
In auto non le mi era sembrato così lontano, ma la stanchezza la percepivo proprio sulle sue ginocchia che non reggevano più.
“Cavolo” pensai, non sapevo nemmeno portare l’auto , se anche avessi voluto noleggiarne una.
Non avevo mai avuto tempo per una cosa del genere, visto che io e e mia madre eravamo sopraffatte dalle tasse, dalle spese per la scuola, i debiti e tutta la merda nella quale mio padre ci aveva rimaste.
 E per giunta non avevo portato con me nemmeno un ombrello, considerando  che il meteo quella mattina aveva detto che ci sarebbero state piogge frequenti.
La televisione che avevo nella mia stanza era minuscola ma funzionante, i signori Gaskarth avevano davvero pensato a tutto.
Rimasi qualche secondo appoggiata ad un semaforo a riprendere fiato e alzai lo sguardo verso il cielo, sbraitando.
Perché così tanta sfiga investiva la mia vita e la mia persona?
Dopo qualche secondo attraversò la strada e lesse con attenzione l’annuncio affisso alla porta della tavola calda/ birreria.
“Cercasi cameriera dai 18 ai 20 anni di bella presenza”
Sbuffai. Trovavo gli uomini estremamente affaristi e luridi… come si può giudicare un libro solo dalla copertina?
Speravo vivamente che qualcuno si sarebbe spinto oltre la sua semplice esteriorità, o sarebbe morta sola.
Desideravo che qualcuno girasse le sue pagine, leggesse, scrutasse con attenzione.
Bussò alla porta con le nocche della mano ed un uomo sulla quarantina andò ad aprirla.
-Ciao, cosa o chi cerchi? Io sono il signor Scott-
“Che tipo” pensai, e poi accennai un sorriso imbarazzato.
-ho letto l’annuncio, sto cercando disperatamente un lavoro-
Deglutii… non ero di bella presenza, mi avrebbe cacciata via a suon di offese… ebbi quasi voglia di chiudermi le orecchie per non sentire l’ennesima persona parlare male di male, chiamarmi grassa…
-Come ti chiami?-
-Sono Sandy Wate, mi sono trasferita qui dall’Irlanda-
L’uomò assottigliò lo sguardo e poi sorrise. –Abbiamo tutta l’Europa! La cameriere qui sono due, Flores, spagnola, e Claire, francese.-
Non capivo dove volesse arrivare, infatti lo guardai stupita.
-Significa che sei dentro anche tu! Ma la divisa te la diamo noi-
-Ok…okay, okay la ringrazio. A che ora inizio?- domandai, ancora incredula dalla sua risposta affermativa. Certo, quel tipo aveva un’aria da perverso incallito, ma almeno mi avrebbe pagata a fine mese.
-Anche oggi pomeriggio, sii puntuale-
Quella fu la risposta del signor Scott, il quale mi posò una mano sulla spalla e quasi mi gettò fuori dal suo pub.
Lo guardai in modo strano e quando la porta del locale si chiuse alle mie spalle rimasi qualche secondo con le spalle appoggiate al muro. Presi un respiro e poi iniziai a camminare senza una meta precisa.
Non ero mai stata in quella città, ma sapevo che mio padre ci aveva vissuto per lungo tempo, e magari stava da qualche parte vicino a me in quel momento.
Mi aveva fatto tanto male, ma nel mio cuore serbavo ancora la speranza di rincontrarlo.
 
Dopo circa dieci minuti di passeggiata senza meta pensai che forse era meglio tornare a casa, e non a piedi come avevo fatto all’andata. Dovevo informarmi riguardo agli autobus o ai treni che portavano in periferia, dove abitavo momentaneamente.
C’erano molti studenti lì a Baltimore, e probabilmente anche io avrei dovuto studiare qualcosa se non volevo rimanere una fallita per il resto della mia vita.
Ma cosa mi piaceva fare? Mi facevo quella domanda ogni giorno, e tutto ciò che adoravo erano i libri, le poesie, il mio block notes dove annotavo praticamente ogni cosa.
 Tutte cose che ai miei occhi erano solo blande, e non mi avrebbero portata da nessuna parte, considerando anche il fatto che nel mio curriculum c'erano frequenti espulsioni dovute alla mia costante paura di socializzare con i miei coetanei.
Bella merda, un altro giorno del genere e me ne sarei tornata a Leitrim.
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

Jack

-Alex, non voglio avere a che fare con quell’uomo! Ha un’aria così… d’affari… non mi va proprio di lavorare con lui.-
Sbraitai, entrando in fretta e furia nel salotto di casa Gaskarth.
-Jack, sii ragionevole. Non dobbiamo avere a che fare con lui, semplicemente la band di cui è produttore aprirà i nostri concerti. Niente di più, niente di meno.-
Inarcai un sopracciglio, poco convinto.
-Hai visto com’è arrogante? E’ produttore di una band di puttanelle e vorrebbe quasi paragonarci? Cazzo, Alex, apri quei tuoi occhi!-
Il mio migliore amico rise. Facendomi cenno di sedermi vicino a lui sul divano.
-Bassam, per favore, la smetti di sbraitare?-
Sbuffai.
-Il signor Wate è un tipo idiota, si vede già. Ma ha ottime conoscenze e per questo la band che gestisce, formata da tre RA GAZ ZE , non puttanelle, sta muovendo i primi passi nel mondo musicale… devono solo aprire i nostri concerti.-
Spiegò con calma , ed io mi arresi. Infondo incazzarmi non avrebbe cambiato le cose, quindi mi limitai ad annuire.
-Guarda il lato positivo: puoi far colpo su una di loro-
-Sono bone?- domandai, almeno un po’ sollevato.
-Sono carine-
-“carine”- lo presi in giro, dandogli una scherzosa gomitata.
Avremmo dovuto aprire il nostro mini tour per gli Stati Uniti a Dicembre, prima di Natale. Anche se avremmo suonato in due date a Baltimore la prossima settimana.
Quel Wate era arrivato tutto sparato alla casa discografica ed aveva convinto i tizi della Hopeless Records con l’ep delle canzoni delle Black Cats.
Che razza di nome è per una band?! Io lo trovavo assurdo, ed ero più che certo che quel riccona aveva pagato una cifra esorbitante, comprandosi i giudici.
-Sai, mia nonna ha fittato alcune stanze a degli studenti, sai, alla villa.-
Esordii Alex, facendomi tornare con i piedi per terra.
-Wow, sul serio?-
-Esatto, due studenti dall’Ohio nella dépendance e un a studentessa irlandese al piano di sopra, in quello che prima era il salotto-
Spalancai gli occhi. –Figo, e quando andiamo a trovarla?-
-Per fare cosa?-
Alex sembrò quasi stranito, ma poi si riprese subito. –Sei sempre il solito perverso, lo sai?-
-Eh già…-
Scoppiammo entrambi a ridere, un tempo anche Alex era sempre lì pronto a fare colpo su qualche ragazza, per poi portarsela a letto e scordarsene il nome il girono seguente.
Ma adesso che le cose con Lisa si erano stabilizzate, il mio amico era diventato piuttosto tranquillo.
Certo, all’inizio ero quasi geloso di quella ragazza… voleva portarmi via il mio migliore amico!
Poi avevo capito che infondo non faceva niente di male, e potevamo considerarci quasi amici.
Più volte le avevo chiesto di presentarmi qualche sua amica, ma lei si rifiutava sempre perché mi trovava poco affidabile.
Sapevo che in parte lo diceva solo per scherzare, ma se il parere delle ragazze riguardo a me era davvero quello… wow, andavo di bene in peggio!
Mi faceva male pensarlo, anche perché mi stavo avvicinando ai trenta, più o meno, e la mia fama da “ragazzo coglione” ancora non si era estinta.
-Ti vedo pensieroso, cosa ti affligge?-
Chiese Alex, voltandosi verso di me e scrutandomi negli occhi.
-Niente, Lex. Tutto apposto!-
-Non ci credo-
Mi diede una gomitata, ed io accennai un sorriso.
-Secondo te…le ragazze pensano tutte che io sia un… cretino?-
Gaskarth scosse la testa. –Le tue fan ti adorano, darebbero l’anima pur di uscire un venerdì sera con te. E non solo uscire.-
Risi, adoravo anche io le mie fan, erano dolci, carine, simpatiche. Ma… ma forse loro non mi conoscevano davvero… forse erano solo di parte.
-Dai, stasera per distrarci un po’ andiamo con gli altri al locale di Scottie, che ne dici?-
Scott, Scottie per i suoi clienti, era un uomo molto perverso che si circondava di cameriere bone e buon cibo. Molto spesso andavamo nel suo locale per passare del tempo fuori dalle “telecamere”.
Ma in quel momento sembrò quasi che Alex me l’avesse proposto per non farmi essere più depresso.
-Sembro un adolescente mestruata, vero?- gli chiesi con una smorfia
-Esattamente- risposte immediato, ed io gli diedi un sonoro pugno sulla spalla, che lo fece ululare per il dolore.
-Grazie, grazie per farmi impressionare ancora di più, caro Gaskarth.- esclamai, iniziando seriamente a pensare che stessi per diventare matto.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

Sandy

Avevo aspettato l’autobus per ore appoggiata ad un albero sul marciapiede, ed ovviamente non era arrivato.
“Sciopero” mi aveva detto un passante, peccato che io avessi già aspettato un’ora abbondante.
Armata di tutta la pazienza che a volte avevo, avevo iniziato a camminare e, passo dopo passo, alle due del pomeriggio, ero giunta a “casa”.
Ovviamente non potevo bussare ogni volta la signora Margareth, quindi avevo salito le venti scale dell’entrata secondaria ed ero arrivata proprio di fronte alla porta del mio monolocale.
“Casa…dolce…casa” avevo sussurrato a me stessa sull’uscio della porta, poi mi ero lanciata sul letto ed ero crollata in un sonno profondo e lunghissimo, senza precedenti.
Mi svegliai solo quando il mio Blackberry prese a vibrare insistentemente.
Aprii adagio gli occhi e cercai con la mano quel dannato, per vedere chi mi stesse cercando.
Ovviamente nessuno, si trattava semplicemente di un messaggio della compagnia telefonica, intanto, però, scoprii che erano le… quattro in punto.
A quell’ora sarei già dovuta essere a lavoro, in quel pub al centro. Ed ovviamente c’era lo sciopero degli autobus, ed ovviamente non avevo una macchina, ed ovviamente non avevo nemmeno pranzato, ed ovviamente stava andando tutto a rotoli come sempre!
Mi alzai in fretta e furia, presi la borsa e il cellulare e mi precipitai fuori dalla stanza, corsi lungo le scale ed imboccai la strada principale, che mi avrebbe portata –DOPO UN’ORA- a lavoro.
Quasi mi veniva da piangere per la strada, quasi mi veniva da bestemmiare.
Volevo incolpare qualcuno, forse mia madre che mi aveva lanciata  nel mondo con una catapulta senza tendermi la mano, o forse mio padre che non se n’era mai fregato molto di me…eppure alla fine… tutte le colpe mi piovevano addosso, e volevo solo sparire. Un mantello dell’invisibilità ed una poltrona, sulla quale mi sarei seduta ad osservare le vite degli altri scorrere, mentre io ero ferma immobile.
 
Erano le cinque e cinque minuti quando bussai alla porta della tavola calda.
Con tutta la furia del mondo il signor Scott mi fece entrare e a forza di spintoni mi catapultò nello spogliatoio delle cameriere.
-Venti dollari in meno al tuo stipendio. Chiedi a Flores della divisa-
Queste furono le sue parole, ed io, ingenuamente, iniziai a piangere.
Piangevo sommessamente, seduta su una panchina nello spogliatoio, e non mi accorsi nemmeno della ragazza che mi stava davanti, con un’espressione dispiaciuta in volto.
-Hola, sono Flores- mi disse, sedendosi accanto a me.
Avevo il volto rigato di lacrime, e molta vergogna nel presentarmi così a quella bella ragazza. Alta, un fisico snello e i capelli lunghi e scuri raccolti in una treccia. I suoi occhi erano piccoli e nocciola e un sorriso simpatico le alleggiava sul volto minuto.
-Io sono Sandy, piacere di conoscerti. Scusa… è una giornata no..-
-No te preocupas… cioè… non preoccuparti. Scott sa essere molto cattivo a veces-
Parlava metà inglese, metà spagnolo, ed io la trovavo già adorabile.
-Ho notato… ora vi aiuto, scusate ma… non si ripeterà più-
Flores sorrise e apparve sull’uscio dello spogliatoio un’altra ragazza, bionda e con gli occhi color ghiaccio.
-Bonjour, questa è la tua divisa-
Doveva essere la ragazza francese, e la sua voce non era docile e sottile come quella di Flores, bensì più marcata.
-Grazie, io sono Sandy, comunque-
-Piacere di conoscerti, io sono Claire-
Mi porse la divisa ed io la osservai qualche secondo.
Si trattava di una minigonna a vita alta verde con dei bottoncini nel lato, una canotta bianca con il logo del pub e una giacchetta verde come la gonna.
Guardai un attimo le ragazze e scoprii che avevano gli stessi identici vestiti, solo Flore rossi e Claire blu.
-Wow…- dissi, e le due scoppiarono a ridere, facendo tornare il sorriso anche a me.
Quello Scott doveva avere un fascino perverso per l’Europa, a quanto pareva.
 
Due ore più tardi il locale era PIENO di persone, quasi non si respirava.
Come previsto era scoppiato un temporale e un mucchio di giovani e non avevano ben pensato di accalcarsi in quella tavola calda, a mangiare e chiacchierare.
Per fortuna ai piedi indossavo le Converse e non un paio di ballerine come Claire e Flores, o i miei piedi avrebbero chiesto pietà.
Le ordinazioni erano continue, il cuoco, Sebastian, era un tipo dal nervoso facile, che  sbraitava tutto il tempo sull’inefficienza dei suoi collaboratori.
Le mia gambe, invece, erano a pezzi. Avevo camminato circa quattro ore a piedi quel giorno, sena mangiare, e non ne potevo più.
Inoltre, non sapevo davvero come tornare a casa al ritorno, ma cercavo di non affliggermi troppo o avrei avuto una crisi di nervi.
Mentre stavo per portare una cheesecake ai mirtilli al tavolo 7, Flores mi corse incontro ridacchiando.
“Ti vogliono al tavolo 11” mi disse, prendendo il piattino con la torta dalle mie mani.
Io presi il block notes e la penna dalla tasca della scomoda minigonna ed andai al tavolo dove  ero stata “richiesta”.
“Ma che razza di pervertiti” pensai.
Ed in effetti si trattava di quattro ragazzi le cui facce non mi erano per niente nuove.
-Salve- dissi, guardandoli uno ad uno.
Prese parola quello con i capelli castani , un po’ di barbetta e quell’irresistibile aria da leader.
-Ciao, chiedevamo di te perché sembri quella più gentile-
-Flores è un vero e proprio muffin, vi assicuro che io invece sono uno yogurt al limone oggi-
Dissi prontamente, sorridendo con una punta di acidità.
-E’ evidente, lo sai?- disse, ed io accennai un sorriso.
-Forza, cosa ordinate?-
-Non vuoi fermarti a chiacchierare nemmeno un po’?- chiese il ragazzo seduto vicino al “leader”, aveva i capelli metà neri metà biondi e un bel sorriso.
-E’ il mio primo giorno di lavoro, meglio non fare la nulla facente.-
-Hai ragione-
Questa volta prese la parola un ragazzo muscoloso, molto figo, al quale sorrisi.
-Allora?- li incitai
-Io prendo una bistecca!- esclamò il leader, e poi a seguire tutto il resto della ciurma.
Sembravano simpatici, quei tipi, e mangiavano come un esercito in guerra. Per non parlare di quanta birra chiesero.
Con la pagina del block notes completamente scritta tornai in cucina ed affissi il foglietto alle mattonelle di fronte al piano cottura.
-Ti rendi conto? Quelli sono gli All time low!- esclamò Claire venendomi incontro.
-All time low?-
-All time low.- fece ancora Flores.
Cercai di fare un resoconto nella mia mente… quel nome non mi era nuovo… All time low…
-La band!-
-Si! Ci metti così tanto ad intuirlo?- mi rimproverò Claire, con un sorriso.
-Scusate, è che non li seguo… -
Nella mia vita non avevo mai avuto molto tempo di interessarmi a qualche cantante, attore… ero sempre impegnata a controllare che mia madre non finisse in qualche brutto giro.
La mia era stata un’adolescenza un po’ “rubata”.
Per fortuna/sfortuna arrivò Scott a metterci all’ordine, ed io ricominciare a prendere ordinazioni e servire dessert ai clienti.
 
La felicità delle mie colleghe nel servire al tavolo di quei ragazzi era davvero esorbitante, infatti mi occupai il del resto dei clienti per fare in modo che loro potessero chiacchierare un po’ con i loro adorati.
Cercavo sempre di coprirle dallo sguardo critico di Scott, occupandomi il più possibile del tutto.
Flores e Claire, certo, le conoscevo solo da qualche ora ma era così bello veder sorridere qualcuno.
Ogni tanto mi indicavano, beh probabilmente solo per dire “ehi, vedi quella lì? E’ la nostra collega”.
Ed io desideravo tanto che quella dannata divisa mi stesse bene quanto a loro, che avevano quel vitino sottile sottile e delle gambe magre.
Io odiavo come mi stava la gonna addosso! Ma già mi erano stati scalati venti dollari dallo stipendio… quindi mi adeguavo.
Era circa mezza notte quando finalmente gli “All time low” se ne andarono dal locale.
Erano stati gli ultimi ad andare via, visto che comunque non eravamo in settimana, e non c’era la stessa affluenza di clienti che nel week end.
-Oh querida, gracias!- esclamò Flores abbracciandomi forte, e Claire fece lo stesso.
Non ero abituata a ricevere delle stritolate affettuose, quindi rimasi immobile come un palo.
-Non preoccupatevi, anzi scusate se non vi ho fatto andare ad ordinare a voi…-
-No, loro hanno chiesto di te- replicò Flores, ed io scrollai le spalle… non avevo ancora capito perché.
-Dove abitate?- chiesi alle ragazze, per cambiare argomento.
-Qui vicino, al campus dell’università- mi risposero, io presi uno straccio e iniziai a pulire il bacone dove venivano serviti gli alcolici.
-Capisco, quindi vi conviene andare prima che sia troppo tardi-
-Si, anche perché piove a dirotto- disse Claire.
-Io abito qui vicino, andate con calma- mentii… cosa avrei dovuto dirle? Che non andavo al college, non sapevo guidare, non potevo permettermi nulla…
-Sei gentile, allora andiamo a cambiarci e ci vediamo domani-
-A domani, ragazze. Buonanotte-
-Notte!-
Le vidi sparire dietro la porta dello spogliatoio ed io mi appoggiai al bancone, con la testa tra le mani.
Avevo dolori dappertutto, e necessitavo un letto e un bicchiere d’acqua.
Di Scott non c’era nemmeno l’ombra, quindi mi tolsi quell’orribile divisa da dosso, indossai i miei jeans e la mia felpa ed uscii dal locale.
La pioggia batteva forte sul fondo stradale, c’erano pozzanghere dappertutto e un improvviso freddo umido mi penetrò nelle ossa, facendomi sentire come al polo nord.
“Cazzo!” sbottai, mi odiavo così tanto a volte!
Mi feci coraggio ed attraversai la strada, sotto la pioggia. Le auto che passavano mi bussavano perché probabilmente solo una cretina può affrontare la tempesta in quel modo.
Camminai lungo il marciapiede e poi girai a destra, per imboccare una stradina solitaria, che secondo la mappa avrebbe dovuto portarmi prima a casa.
Mi portai inutilmente le mani sulla testa, come a ripararmi dalla pioggia e un tuono mi fece sobbalzare.
Avevo sempre avuto paura delle tempeste, erano degli spettacoli da guardare solo sotto a un piumone.
Probabilmente anche il sonno e la stanchezza stavano giocando la sua parte, perché non mi accorsi che una macchina stava passando proprio mentre io ero al centro della strada.
Le luci dei fari quasi mi perforarono le pupille, sentii il suono del clacson e poi chiusi gli occhi.
Ero morta. Si, era arrivata la mia fine.
 



Volevo ringraziare tutti coloro che leggono e sopratutto chi mi ha lasciato delle recensioni! Grazie mille, vi adoro.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo  V

Jack
 
“MA NON VEDI DOVE CAZZO VAI?” urlai alla ragazza idiota che aveva attraversato la strada senza nemmeno vedermi.
“DAVVERO, POTEVO PASSARE UN GUAIO, CAZZO” continuavo a sbraitare, ma poi mi accorsi che la ragazza aveva il viso coperto dalle sue braccia e non si muoveva, sembrava immobile sotto la pioggia.
Spensi il motore ed uscii dal veicolo, non avevo manco un ombrello!
-Ohi, ma ti riprendi?-
Ferma. Immobile.
Allungai una mano verso il sua braccio e con un po’ di forza la costrinsi a farsi vedere.
-Stai bene?- domandai, seriamente preoccupato.
Nessuna risposta.
Dio, che stupide certe ragazze però…
-OH! Cazzo, vuoi dirmi che c’hai?-
Ero giusto un po’ nervoso, e quella ragazza era solo la prima trovata su cui versare la tensione.
Improvvisamente si mosse, e mi guardò con il volto rigato da lacrime… si riconoscevano, perché a differenza della pioggia erano scure come il suo mascara.
-Perché urli?-
Me lo chiese con la voce rotta dalle lacrime e mi si strinse il cuore.
Anche perché… quella era la ragazza del locale di Scottie!
Non era l’incomprensibile spagnola, ne la chiacchierona francese.
-Perché urlo… urlo… urlo perché credevo che ti fossi fatta qualcosa- dissi, cercando di superare il suono dei tuoni e della pioggia che batteva forte sull’asfalto.
-Sei proprio un coglione!-
Ecco… ecco… l’aveva detto anche lei.
-Hai ragione, ti…ti andrebbe di entrare in auto? Sei completamente zuppa-
La felpa che indossava le si appiccicava addosso, i jeans sembravano appena usciti dalla lavatrice.
E poi tossiva, tossiva tanto.
-Okay…-
Sospirò, ed io le aprii lo sportello, per farla entrare.
-Non ti conosco nemmeno, perché sono entrata nella tua auto?-
La guardai stranito, corrugando la fronte.
-Perché se stavi un altro po’ sotto il temporale potevi morire come Jack e Rose del Titanic…-
-E’ il mio film preferito-
Sorrise, poi mi guardò un po’ imbarazzata.
-Wow… a me annoia un po’, Titanic.-
-Si vede. Sei il tipo da film idioti.-
-Avevi ragione quando dicevi di non essere un muffin…-
“Colpita e affondata” pensai, infatti sospirò e poi sussurrò “touchè”.
Feci retromarcia ed uscii da quella stradina, forse era meglio andare per la strada principale.
-ASPETTA. Quindi tu eri da Scott prima…-
-Ti facevo una ragazza sveglia- le risposi. –Comunque sì. Tu devi essere Sandy…l’irlandese. -
-Chi ti ha detto il mio nome?- domandò spalancando gli occhi.
Alzai gli occhi al cielo, doveva essere proprio un vasetto di miele quella ragazza, ma quale yogurt a limone?!
-Il tuo nome è scritto sulla divisa sexy del locale-
La vidi arrossire e tremare allo stesso momento nel buio dell’abitacolo, quindi allungai una mano ed accesi l’aria calda.
-Grazie.. io mi sono trasferita qui da poco, non mi sono ancora ambientata-
-Capisco. Beh non ti preoccupare, non sono uno stupratore o cosa… -
-Si, lo so. Sei il chitarrista degli All time low, però!-
Mi guardò ed io sorrisi, non era la tipica ragazza irlandese occhi blu e capelli biondi.
I suoi capelli erano lunghissimi e castano-dorati, aveva la frangetta e gli occhi  grandi e verdi.
-Questo è un punto a favore o cosa?- domandai, fissando la strada davanti a me.
-Chi lo sa. Vivo a Lincoln Street, o almeno, provvisoriamente è così-
Annuii,  pensando un po’ su a quell’indirizzo.
-Aspetta… non dirmi che…-
-Cosa?- chiese sgranando gli occhi.
-Sei la studentessa che  vive dai Gaskarth?-
-Si,si, sono io. Che ne sai?-
-Sono i nonni del mio migliore amico, Alex-
La vidi aprire la bocca come per dire qualcosa, ma poi si zittì e sorrise. –Il mondo è piccolo-
-Già- acconsentii, poi rimasi per qualche minuto in silenzio.
Le avrei chiesto di venire a casa mia, dove le avrei dato una mia felpa e cose del genere… ma non eravamo in un film, quindi l’avrei semplicemente accompagnata a casa.
-Hai ancora freddo?- domandai con un pizzico di premura nella voce.
-Sinceramente sì, devo togliermi questi vestiti da dosso, sono bagnatissimi!- sbuffò, appoggiando la testa al finestrino.
-Sei anche piuttosto pallida- aggiunsi, e sperai che non la prendesse come un’offesa, perché non lo era.
-Sarà che non mi sento bene, poi mi sono spaventata…-
-Mi dispiace- le dissi, ma lei mi fece un cenno con la mano, come per dire che andava tutto bene.
Era davvero strano il modo in cui mi sentivo, come…responsabile… ma di cosa poi?
Alex l’aveva chiamata al nostro tavolo perché avevo fatto un apprezzamento al suo culo, e adesso mi sentivo quasi in colpa di aver sbavato per una cosa tanto blanda.
Rimasi in silenzio perché non sapevo cosa dire, perché nemmeno lei parlava, ma c’era un pensiero che mi tormentava: se una persona ti toglie la parole, significa che qualcosa si sta muovendo in te , oppure è un brutto segno?
-Quanti anni?- chiesi improvvisamente, ma non ricevetti risposta.
Aspettai qualche minuto, ma poi spostai la mano dal volante e le picchiettai sul braccio.
Niente.
Scrollai le spalle e guidai fino alla villa dei nonni di Alex, dove parcheggiai.
Sandy si era addormentata, chissà quanto la faceva lavorare quel coglione di Scottie.
Ad ogni modo le avrei dato non più di diciotto anni, il che significava che dovevo togliermela dalla mente ancora prima che riuscisse ad entrarvi.
-Sandy, sei arrivata a casa. Dovresti svegliarti- le dissi a bassa voce.
Si raggomitolò su un lato ma non rispose.
-Sandy, ehi, svegliati.- dissi ancora, scuotendole piano un braccio.
Mi tolsi la cintura di sicurezza e le accarezzai la testa, non che quello fosse un buon modo per farla svegliare…
-Sandy! Sandy, ehi… -
-C-cosa? Cosa?- balbettò improvvisamente, scaraventandosi fuori dalla macchina.
-Ehi, tranquilla! Non ti volevo mica stuprare!-
Si portò una mano sulla testa. –Scusami Jack… è che sono così stanca…-
Uscii dalla macchina, fortunatamente pioveva adagio, e la presi sottobraccio per salire le millemila scale che portavano all’entrata della sua stanza.
-Ok, ci siamo… non saprei come ringraziarti…-
 Mi disse con la voce impastata dal sonno.
-Io un modo lo avrei-
-Non siamo in un film, okay? Non prendermi in giro. Ci si vede, Jack-
Con quelle parole aprì la porta e mi lasciò lì fuori sotto la pioggia a bocca asciutta.
Davvero, non avrei mai capito le ragazze. Non avrei mai capito quelle difficili come Sandy.
Sul serio, andavano trattate una merda, così ritornavano strisciando da te!
“Fanculo” sbottai, e mi misi alla guida della mia auto, diretto verso casa.
 

 
 Grazie grazie grazie grazie a chi legge la storia e recensisce. <3

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

Sandy
 
Quella mattina mi svegliai molto tardi, riuscii ad aprire gli occhi solo quando dei raggi di sole mi accecarono.
Mi misi a pancia sotto e strinsi il cuscino, sbadigliando.
“Cosa era successo la sera scorsa? “ mi chiesi, mentre mi rotolavo tra le lenzuola. 
Avevo come bisogno di fare il punto della situazione, forse stavo perdendo il mio principale obiettivo: cercare mio padre, e capire come mai mia madre mi avesse lasciata andare così negli USA.
Rimproverai a me stessa di essermi lasciata andare a quella scena da film con Jack –per me uno sconosciuto- la sera prima, e mi venne voglia di battere la testa contro il muro ripetute volte.
Ebbi come un attacco di panico, uno di quelli che per anni mi avevano impedito di andare a scuola, di vivere una vita normale, di uscire con le amiche… amiche… ma che cosa significava, averne qualcuna?
Scesi dal letto in fretta e furia e mi resi conto di avere anche il capogiro. Mi appoggiai al muro e cercai di muovere qualche passo verso l’angolo cucina.
Ovviamente non avevo ancora fatto la spesa, di conseguenza non avevo  nulla. Nemmeno un po’ di Camomilla.
Sbuffai ed andai a sedermi di nuovo sul letto. Guardai l’orologio e mi resi conto che infondo erano solo le dieci, e non così tardi come avevo creduto.
Mi passai una mano tra i capelli, nervosa, e scoprii che la mia fronte era un po’ calda. Forse aver passato così tanto tempo sotto la pioggia mi aveva fatto alzare la temperatura, ma non avevo nemmeno le aspirine. “Che sciagurata” pensai tra me e me, poi decisi di alzarmi sul serio e correre in bagno a farmi una doccia fredda, in modo da svegliarmi completamente.
Non avrebbe giovato molto al mio pseudo malanno ma chissene frega.
Lavai anche i lunghi capelli castani e passai quasi mezz’ora ad asciugarli, tant’erano folti.
Andai verso l’armadio dove avevo sistemato i miei vestiti e indossai un paio di leggins e un maglioncino beige, abbinato alla borsa.
Non passai molto tempo a truccarmi, solo un po’ di mascara, non ero per niente in vena.
Uscii di casa e mi misi ad aspettai l’autobus, le gambe mi facevano ancora male e non era sciopero, per fortuna.
Dieci minuti d’attesa e finalmente vidi il mezzo blu arrivare davanti alla fermata. Vi salii e ringraziai il Cielo che quella giornata stesse iniziando un pochino meglio delle altre.
Mi fermai alla prima farmacia che trovai lungo la strada, era nei pressi del locale di Scott, dove lavoravo.
Vi entrai immediatamente e tra uno starnuto e l’altro la commessa capii immediatamente cosa necessitavo. Pagai le aspirine e poi uscii, iniziando a guardarmi intorno alla ricerca di una qualche caffetteria dove bere qualcosa di caldo.
La trovai poco distante di lì e immediatamente mi precipitai all’interno, visto il freddo che faceva quella mattina nonostante il sole fosse alto in cielo.
Appena misi piede nel bar una testa scura attirò la mia attenzione. No. Non poteva essere lui… cazzo mi seguiva?
Per fortuna stava parlando al telefono ed era seduto vicino alla vetrata, nell’angolo della stanza. L’avrei semplicemente ignorato, perché non avevo tempo per…conoscerlo per… per qualunque cosa.
Anche se era stato molto carino, ed aveva un bel sorriso, ed anche degli occhi scuri, una cosa che adoravo.
Camminai spedita verso il bancone ed ordinai una tazza di the verde, pagai e mi misi ad aspettare.
“Signorina, c’è un guasto… si accomodi pure, le porteremo il the tra poco” mi disse gentilmente una ragazza della mia età, più o meno.
“Va bene…” risposi, ma ovviamente dentro stavo sbottando! Ma tutte a me, che cavolo!
Andai a sedermi, l’unico tavolino libero era quello poco distante da Jack, ma io continuai a far finta che non ci fosse.
Tamburellavo le dita sul tavolino in legno di ciliegio, aspettando con ansia il mio the, quando qualcosa che disse Jack al telefonò mi colpì come una cannonata.
“Il signor Wate mi sta già rompendo le palle!”.
Il signor Wate. Wate. Wate. Wate. Wate.
Non facevo che pensare a mio padre. Lui è il signor Wate, certo, non è l’unico Wate la mondo ma non avevo zii nel Maryland.
Il fratello di mio padre viveva a New York con sua moglie, ed io non li avevo mai visti se non al mio secondo Natale. Fine.
Il signor Wate era mio padre, quindi?
“Ma no, sciocca! Ti stai solo impressionando” mi disse una voce nella testa, ed io cercai di ascoltarla, almeno per far calmare il battito veloce del mio cuore.
“Il suo the signorina”
Alzai lo sguardo verso la cameriera e le sorrisi, iniziando a girare il the con il cucchiaino in modo molto forte, tanto da provocare un vortice nella tazza.
-Non vorrei mai essere quel the- esordì Jack, sedendosi di fronte a me.
-C-ciao- lo salutai, imbarazzata.
Non sapevo cosa fare, cosa dire… ormai nella mia testa balenava solo quel pensiero  “il signor Wate”.
-Ciao Sandy, sei raffreddata  o cosa?- domandò, indicando i miei occhi.
Io mi portai un dito e mi grattai l’occhio, possibile che avessi iniziato a piangere senza… volerlo?
Oh almeno, inconsciamente non lo volevo, ma nel profondo forse sì…
-Sono raffreddata, non credere che io stia piangendo, okay?-
Sorrisi, ed estrassi dalla borsa un fazzoletto, con il quale mi asciugai gli occhi e mi soffiai il naso.
-Okay, okay.-
Pensava che io fossi pazza, lo sapevo! Era ciò che pensavano tutti… anche io, forse dovevo andare in cura da uno psichiatra o cose del genere.
-Con chi parlavi al telefono?-
Mi feci coraggio e glielo chiesi, poi bevvi un sorso di the.
-Un tizio che non sopporto, è un produttore.-
Un produttore?
-Oh, capisco… dev’essere difficile essere famosi… -
-Dipende dai punti di vista. Diciamo che “famoso” è una parola che non sopporto, è una brutta etichetta-
Sorrise convinto, ed io lo trovai adorabile. –Hai ragione e… è il vostro produttore?-
-No, lo è della band con la quale divideremo il palco per un po’, sai, apriranno i nostri concerti, sono le Black cats- spiegò, ed io sorrisi perché lo trovavo un nome orrendo per un gruppo.
Ma il mio obiettivo era un altro: capire se quel signor Wate fosse… mio padre.
-Come si chiama questo produttore?- domandai nervosa, bevendo il the tutto d’un sorso, tano che mi scottai la lingua.
Jack mi guardò stranito, e poi mi rispose.
Contai i secondi che mi separavano dall’ipotetica verità , il cuore iniziò ad andarmi veloce ed ebbi quasi un collasso quando disse…
-Edward. Edward Wate-
Millecinquecento emozioni mi esplosero dentro come un big bang e fui sul punto di svenire… la testa mi girava, non sentivo più nemmeno i suoni intorno a me…
-Ho. Bisogno. Di. Fumare- sibilai, poi mi alzai in fretta e fura e corsi fuori alla caffetteria.
-Ma cosa fai?-
Jack ovviamente mi seguì, stavo sfiorando il limite della pazzia e questo lo avrebbe allontanato da me. Fortuna/ sfortuna.
-Jack tu non puoi capire, ora penserai che io sia una matta sclerotica, d’altronde è ciò che pensano tutti!-
Farfugliai, rovistando nella mia borsa alla ricerca delle Camel e di un accendino, che trovai immediatamente.
-Non… non ti conosco ancora bene, non posso giudicare ma voglio sapere cosa ti succede…-
Accesi la mia sigaretta e ne presi subito una boccata, aspirando forte il tabacco e la nicotina.
-Non farò giri di parole: Edward Wate è mio padre.-
Mi faceva così strano dirlo, ma Jack si mise a ridere.
-Okay, scusa se l’ho chiamato stupido o boh.. cosa ho detto?-
Gli presi il braccio con la mano e lo strattonai.
-Non è questo il punto!-
Mi guardò con fare interrogativo, ed io continuai a fumare, mentre parlavo a bassa voce.
-Il punto è che… lui ha abbandonato me e mia madre quando avevo cinque anni più o meno. Capisci? Sono venuta qui a Baltimore spedita stranamente da mia madre perché vorrei tanto vederlo, anche solo per dirgli che è un bastardo!-
Parlavo velocemente, e Jack quasi non riusciva a seguirmi.
Raccontata con tanta rabbia e tanta facilità la mia storia sembrava una cazzata, ma le parole , d’altronde, non possono mai esprimere a pieno come ti senti, ti sentivi.
E perché stavo dicendo tutte quelle cose a Jack Barakat? Era uno sconosciuto, io non avevo mai avuto a che fare con lui… perché lo stavo facendo?
-Mi starai prendendo per una cogliona, lo so. E non te ne frega di queste cose! Ed io non so nemmeno perché te le sto dicendo… capisci?-
Parlavo in fretta, quasi balbettavo tra un tiro e l’altro alla mia sigaretta.
Poi scoppiai in lacrime, ovviamente. Un pianto isterico, terribile, infantile.


Un solito e dovuto ringraziamento a chiunque legge! :)
E un grazie speciale a @Layla e @_redsky_  per le vostre recensioni, mi date il coraggio di continuare a scrivere.

_stargirl

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

Jack
 
Una confusione simile a quella delle nebulose spaziali si era formata nella mia mente.
Sandy era una ragazza piuttosto particolare, il che poteva solo renderla interessante ai miei occhi.
Sospirai, e nel vederla piangere in quel modo allargai le braccia e le feci cenno di avvicinarsi. Lei esitò qualche attimo, ma poi gettò la sigaretta nel tombino e si fiondò nel mio abbraccio.
Capivo che forse era scoppiata come il big bang, perché non sembrava per niente il tipo che spiffera i suoi fatti al primo che incontra.
Posai il mento sulla sua testa e le diedi qualche colpetto sulla schiena, comprendevo benissimo che certe volte ciò di cui una persona più ha bisogno è proprio un banale abbraccio.
Ma dovevo pur dire qualcosa. Sospirai, in quel momento avrei voluto un po’ della parlantina di Alex. Lui scriveva canzoni, lui non era solo idiota come me… io…io ero davvero un Peter Pan senza la minima intenzione di crescere.
Sandy aveva smesso di singhiozzare ma le sue mani erano ancora avvinghiate alla mia t-shirt, così mi schiarii la voce e le posai un dito sulla guancia per fare in modo che mi guardasse negli occhi.
-Qui fuori fa freddo, tu già hai un bel raffreddore, quindi che ne dici di tornare dentro? Mi spieghi tutto con più calma se ti va, tanto non ho niente da fare questa mattina-
Avevo davvero detto io quelle parole?! Oh cavolo, cosa mi stava succedendo?
La ragazza si limitò ad annuire, probabilmente era ancora molto scossa. Io, dal mio canto, ero molto curioso di sapere qualcosa in più su di lei e sulla relazione Mr.Wate-Sandy la ragazza bona e tormentata che lavora da Scottie e alloggia dai Gaskarth.
Chiusi la porta alle mie spalle dopo che lei fu entrata e ci sedemmo praticamente agli stessi posti di poco prima. Sul tavolino c’era persino ancora la macchia della tazza di the che adesso però era stata tolta via.
-Perché dovrei parlartene? Sei uno sconosciuto-
“Bell’inizio” pensai, ma le rivolsi un semplice sorriso. –Non lo so, ma ricordati solo che poco prima chi ti ha consolato sono stato io, non certo le tue amichette multinazionali-
Mi guardò male, ma io trovai quella smorfia adorabile.
-Sai che sei proprio un indisponente? Avrei ovvi motivi per andarmene via ora, ordinare un sacco di cibo e farlo pagare a te-
-Ma non lo stai facendo!- la provocai, scrollando le spalle.
-E va bene, mi arrendo…hai vinto tu. Ok.-
Incrociai le braccia al petto e la osservai, facendole cenno di iniziare pure a parlare.
-Mio padre ha abbandonato me e mia madre quando avevo all’incirca 4 o 5 anni. Di lui ho solo vaghi ricordi, qualche foto al mio primo compleanno. 
Per tutto questo tempo io e mia madre abbiamo vissuto da sole a Leitrim, in Irlanda. Lei fa l’infermiera, io ho fatto la cameriera, la commessa, la dog-sitter, ovviamente andando anche saltuariamente a scuola.-
Corrugai la fronte in una smorfia di dispiacere, davvero quello che mi stava dicendo era toccante… così tanto che mi venne una morsa allo stomaco. Storie del genere sembravano appartenere solo alle produzioni cinematografiche.
-Ad ogni modo mi sono trasferita da due giorni a Baltimora, mi ci ha mandata mia madre e sto ancora cercando di capirne il motivo. Io voglio cercare mio padre, sarò stupida a volerlo fare, ma non capisco cosa centra mia mamma in tutto ciò. E poi… poi ti ho sentito parlare del signor Wate… ho pensato subito a mio padre, non ho potuto fare a meno di… di sperare, inconsciamente, che si tratti davvero lui-
Iniziò a parlare più veloce, la sua voce melodiosa si era alterata risultando ancora più squillante.
Io allora le presi una mano nella mia e lei si zittì.
-Ascolta, io ho il suo numero. Oppure, posso dirti di averlo visto sorseggiare un caffè in solitudine allo Starbucks di fronte alla casa discografica. Ora sta a te decidere.. io potrei descrivertelo ma… non so se lo ricordi.-
Parlai con calma e intelligenza, sembravo un altro Jack!
Sandy fece un cenno con la testa, e non mi accorsi che mi stava stringendo più forte la mano. I suoi occhi erano grandi e verdi, con delle pagliuzze nocciola e dorate nell’iride.
Non vedevo molta somiglianza tra lei ed Edward Wate, probabilmente solo il naso un po’ all’insù li accomunava.
-Credo che andrò allo Starbucks, io a telefono non saprei cosa proprio dire. E poi dopo l’altra sera il mio cellulare è fuori uso…-
Lasciò andare la mia mano, e tirò fuori dalla sua borsa un vecchissimo Nokia tutto smantellato.
-Oh Dio, ce ne sono ancora in circolazione?-
-E’ tutto quello che posso permettermi-
Sorrise timidamente, ed io non potei fare a meno di pensare che… cavolo, era proprio bella.
Non una di quelle bellezze stereotipate, piuttosto una bellezza che andava ricercata.
-Oh, adesso penserai che ti ho detto tutto pietà!- disse improvvisamente, nascondendosi il viso con le mani.
Io corrugai la fronte. –Non lo penso, si vede quando una persona ostenta i propri guai… tu avevi solo bisogno di sfogarti. Sei qui negli Stati Uniti da tre giorni, hai trovato lavoro da un pervertito, hai un raffreddore tremendo, sei alla ricerca di tuo padre, ti ho appena sconvolto la vita dicendoti di lui…
Cavolo, fatti benedire da un buon prete-
Feci quell’osservazione , e sperai che non se la prendesse.
Per fortuna scoppiò in una fragorosa risata, ed io tirai un sospiro di sollievo.
-Mi hai fatta sorridere, ti devo assolutamente una… una birra… qualcosa-
Un sorrisetto sornione si fece spazio sul mio viso ma lei prontamente saltò sulla difensiva.
-Non pensare male, Jack.-
-Non lo stavo facendo, infatti-
Scosse la testa. –Bugiardo!-
-E va bene, okay, mi hai scoperto! Scusa… scusa… Ad ogni modo anche io voglio vederti ancora. –
Il mio tono si addolcii sulle ultime parole, e lei mi sorrise contenta.
-O-okay… peccato che lavoro praticamente ogni sera!-
-Ci parlo io con Scottie, lo conosco-
Arricciò il naso. –Brutte conoscenze-
-Non giudicarmi! Sappi solo che una di queste sere verrò a portarti via da quell’inferno-
Le mie parole suonarono quasi come una promessa, e lei mi sorrise divertita.
-Il mio eroe!-
Ridemmo entrambi, ed io fui certo che qualcosa, un “click”, un “bum”… si era mosso dentro di me.
 

Ciao! Spero questo capitolo vi piaccia. Vi ringrazio di cuore per il fatto che leggete, e sopratutto mi regalate del tempo recensendo i capitoli!
E' stata una giornataccia per me... avete mai pianto disperatamente per la paura di un'interrogazione? E' quello che sto facendo dalle quattro a causa della verifica di matematica di domani... :'( mi sento un tantino stupida, ma ho troppa, troppa paura della mia prof.

A presto <3

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Sandy


Ero a letto con le coperte fin sotto il naso e il portatile sulle gambe, precisamente due giorni dopo da quando Jack mi aveva quasi investita.
Mi ero seriamente decisa a trovare un corso di studi da poter seguire all’Università di Baltimora, dovevo pur fare qualcosa della mia vita, no?
Tra uno starnuto e l’altro avevo controllato tutti i vari esami di letteratura, e ce n’era qualcuno davvero interessante, anche se il corso di laurea in giornalismo era quello che continuavo a prediligere.
Tutti quei pensieri mi tenevano un po’ distorta dalla questione “padre”.
Se Jack non mi aveva mentito avrei dovuto trovarlo allo Starbucks di fronte alla Hopeless records, quindi mi ero decisa a fare un giro di perlustrazione in zona il giorno seguente prima di andare a lavoro da Scott.
Quella sera per fortuna non c’erano stati molti clienti, quindi oltre a lavare un mucchio di pentole non avevo fatto molto.
Tanto meglio, visto che con i miei germi avrei potuto contaminare i piatti dei clienti! Non facevo che tossire, e sembrava quasi che l’aspirina non servisse a nulla.
Inoltre, c’era ancora un altro pensiero che mi tormentava: Jack.
Era spuntato all’improvviso nella mia vita come un fungo, ed io non sapevo come gestire le cose con lui.
Potevamo essere il tutto e il niente allo stesso momento. Lui era famoso, camminava sempre con dei Rayban appresso ma non aveva paura delle fans, questo lo rendeva simpatico, dolce, diverso ai miei occhi.
Ed eravamo amici. Avevo un amico famoso, un amico… un amico che è il chitarrista degli All time low.
Tutte quelle cose mi affollavano la già affollata mente, e mi sentivo come rinchiusa in un labirinto.
C’era qualcosa che non potevo negare, però: le farfalle nello stomaco quando mi aveva abbracciata.
Come potevo?
Non ero mai stata una ragazza sentimentale, ma solo perché mi mia madre mi aveva messo in testa che gli uomini erano tutti dei bastardi come mio padre.
Era vero? O la sua era solo una disperata autoconvinzione?
Chiusi il portatile e lo appoggiai sul comodino accanto al letto, poi mi sdraiai e mi misi a fissare il soffitto.
Non sapevo nemmeno più cosa pensare. Negli ultimi giorni avevo sempre la tachicardia, troppe emozioni contrastanti in poco tempo, che io non sapevo come gestire.
Alla fine mi arresi a tutto e spensi la luce dell’habat jour, decisamente intenzionata a dormire sogni tranquilli.
Ma ovviamente sarebbe stato impossibile, perché  la mia testa era una sala cinematografica.
Non ero mai stata molto credente, eppure se qualcuno davvero c’era nell’alto dei Cieli, allora speravo che mi desse qualche risposta. Perché, sinceramente, di domande, ne avevo già troppe.
 
Ci sono certe notti nelle quali conte le ore che ti separano dall’alba, notti invece, che vorresti durassero per sempre.
Sistematemi pure nel primo caso.
Ogni volta che chiudevo gli occhi era un incubo diverso, le ombre che si formavano sul soffitto sembravano gli scheletri nell’armadio che tenevo ben nascosti, erano i rifiuti, le offese, gli sguardi indagatori di chi non mi capiva e credeva che io non fossi che una ragazzaccia.
Ad un certo punto avevo preso a contare i minuti che mi separavano alle sei del mattino, e solo quando la mia sveglia aveva suonato mi ero sentito come sollevata, superstite di un crudele attacco.
Mi ero praticamente lanciata via dal letto, ero completamente sudata quindi era meglio che mi facevo una doccia e mettevo un po’ di pace nei miei pensieri.
Quel pomeriggio mi ero decisa ad andare alla ricerca materiale di Edward Wate, ovvero mio padre, e successivamente avrei chiamato mia madre, domandandole una semplice cosa: Perché?
Avevo solo diciotto anni. Diciotto anni sono pochi, pochissimi… perché mi aveva mandata via?
Iniziavo a diventare paranoica e insopportabile anche a me stessa, le mura della casa sembravano essere sul punto di inghiottirmi e se qualcuno me ne avesse dato la possibilità mi sarei gettata giù da un burrone!
Chissà che bella sarebbe stata la mia morte! Mi sarei tolta via un bel po’ di pensieri…
Mi sedetti sull’angolo della vasca e iniziai a pensare come sarebbe potuta essere la mia fine.
Sicuramente sarebbe stato difficile anche morire, per me.
E il funerale?
Mi venne in mente una canzone, “If I die young” si chiamava… ecco, volevo proprio così la mia fine.
Ma perché pensavo quelle cose?
Solo una matta può pensarlo… ed io qualche ripercussione psicologica l’avevo. Seriamente.
Grazie al Cielo qualcuno bussò alla porta, quindi mi vestii in fretta con dei jeans e una t-shirt ed andai ad aprire.
-Ciao Sandy, come stai? L’altra sera ho sentito che sei tornata tardi sotto quel temporale-
Per fortuna si trattava della signora Margareth, la nonna del migliore amico di Jack.
-Signora, lei è gentilissima. Sto abbastanza bene…- dissi con la voce rauca a causa del mal di gola.
-Chiamami Margareth, e non darmi del lei! Comunque, sembra che tu abbia un po’ di influenza. Ti va di venire a prendere un the giù con me?- mi chiese, sorridente come sempre.
-Io… io… a me piacerebbe tanto ma io…-
“Non può che farti bene passare del tempo con qualcuno, muoviti stupida” mi suggerì una fastidiosa voce interiore, che ascoltai.
-Va bene, il tempo che mi infilo le scarpe-
-Sono felice che tu abbia accettato, ti aspetto in salotto-
La salutai e lei chiuse la porta.
Andai in bagno, presi le converse blu e le indossai, mi pettinai i capelli e poi andai a casa di Margareth, speranzosa di poter trovare un po’ di calma, una via d’uscita da quel casino di vita che avevo cominciato a Baltimore.
 
-Sandy, quanti anni hai? Sembri così piccola…-
Meggie, come aveva detto che le piaceva essere chiamata, mi porse una tazza in porcellana con dei ghirigori dorati sul manico, ed io l’afferrai.
-Ho diciotto anni, e ho finito il liceo prima dell’estate-
La donna annuii. –Frequenti il college qui?-
Scossi la testa, imbarazzata. –Non ancora, vorrei studiare giornalismo ma devo prima racimolare dei soldi per l’iscrizione-
-Capisco. Alla tua età volevo avere un negozio di libri tutto mio, sai?-
-Era il mio sogno da bambina! Ma la vedo un po’ difficile…-
Bevvi un sorso di the e Meggie accenno un sorriso.
-Non è detto, non…rinunciare così presto a un sogno, è quello che dicevo sempre a mio nipote.-
Rimasi qualche secondo in silenzio. Quella era una di quelle frasi che devi prendere e tenere con te come un gioiello prezioso.
-Alex deve aver fatto tesoro di queste parole, Meggie.-
Alex Gaskarth era quello che io avevo “chiamato” leader. Avevo fatto una ricerca sul web su di lui ed avevo scoperto che non aveva un passato super facile alle spalle. Anche lui aveva dovuto fare i conti con una perdita, però non aveva fatto la fine di merda che stavo facendo io.
-Fanne tesoro anche tu Sandy. –
Osservai il the nella mia tazza e ne bevvi ancora, poi fissai la signora di fronte a me nei suoi occhi chiari.
-Lo farò. –
-Sai, chi è venuto qui poco fa?-
Scossi la testa e le feci cenno di svelarmi il tutto.
-Jack, il migliore amico di mio nipote. E mi ha chiesto di te-
Meggie sorrise curiosa, mentre io divenni rossa come il cappello di Babbo Natale.
-Oh! Noi… ci siamo conosciuti per, per caso …qualche sera fa.-
-Lo so, me l’ha detto. E’ un ragazzo adorabile, non è vero?-
-Si, si è vero- dissi convinta, poi strinsi forte la tazza tra le mie mani e ripensai un attimo a quando mi aveva abbracciata.
Non mi ero mai sentita così bene, ma non potevo lasciare che lui mi distogliesse dal resto dei miei problemi.
La mattinata procedette avanti tra una chiacchiera e l’altra con la signora Gaskarth, la quale mi invitò persino a pranzare con lei.
Io però rifiutai, perché una chiamata di Scott mi avvisò che dovevo andare prima a lavoro.
Anche per quella sera, quindi, l’incontro con il mio ipotetico padre era saltato.

 
SONO TORNATAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Problemi su problemi...
ma finalmente ho aggiornato.
Chiedo scusa. <3

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX

Jack
 
 
Avevamo appena finito le prove, e quella sera , come mai prima d'ora, mi sentivo distrutto. Avevo dolori dappertutto e un sacco di pensieri per la testa, che mi avevano costretto a gettarmi sulla prima sedia che avevo trovato nella sala prove.
Ormai mancava poco al concerto che avremmo tenuto a Baltimore, e per me era sempre una gioia poter suonare nella mia città natale, soprattutto ora che avevamo raggiunto un certo successo e gli abitanti della città erano tutti orgogliosi di noi.
-Bassam, cosa pensi?-
La voce di Rian interruppe i miei pensieri, facendomi cadere a strapiombo dalle nuvole.
Aprii la bocca come per dire qualcosa ma Alex fece prima di me, e mi guardò ammiccando leggermente.
-Jack ha conosciuto una ragazza, quindi adesso ha il cervello in pappa-
Feci una smorfia scocciata, ma non riuscii a trattenere un sorriso.
-Non iniziate a farvi film mentali, non c’è nessuna ragazza-
-Secondo me si tratta della cameriera irlandese di Scottie, abbiamo visto tutti come la guardavi-
Si aggiunse anche Zack alla conversazione e si sedette vicino a me, dandomi un colpetto sulla spalla.
Okay, iniziavo a sentirmi seriamente circondato.
Ma perché dovevano iniziare a fare ipotesi  e scommesse sulla fanciulla che si contendeva il mio cuore e le mie attenzioni?! E poi, perché ci azzeccavano sempre, quegli idioti?
-Ragazzi, non iniziate a pensare male eh… Sandy è una ragazza bella ma fin troppo particolare- tagliai corto, speranzoso di poterli zittire.
-A mio parere è ciò che ci vuole per te, amico. Dovresti smetterla con quelle che te la danno dopo nemmeno venti minuti-
Guardai Alex e sbuffai, ormai non faceva che battere su quel fatto! Da quando gli avevo raccontato di quella specie di incontri con Sandy e da quando a casa di sua nonna non facevo che domandare di lei, si era già figurato nella sua mente che lei sarebbe diventata la mia unica e sola duratura fidanzata.
-Si, lo penso anche io! Sobria, attenta, silenziosa… wow- esclamò Rian, facendomi sorridere.
In effetti non avevo mai frequentato una ragazza alla quale potevo affibbiare quegli aggettivi, il che suonava un po’ strano.
Avevo venticinque anni. Venticinque anni nella merda!
-Ragazzi. Adesso potete lasciarmi un po’ in pace?-
Sbottai all’improvviso, tanto che le loro espressioni sembrarono quasi sorprese. Mi alzai e li congedai con un breve saluto. Gli volevo un bene dall’anima, erano i miei migliori amici, erano come fratelli per me! Però a volte avevo bisogno di starmene un po’ da solo.
-Stammi bene amico-
Sorrisi ad Alex e poi mi chiusi la porta della sala prove alle spalle, ed uscii dalla casa discografica.
Mi guardai intorno e sospirai. L’aria pungente della sera mi fece schiarire le idee.
Avevo un tonfo alla testa ed era strano e nuovo per me sentirmi in quel modo per una ragazza… una ragazza di diciotto anni.
“Jack, ma stai uscendo fuori di testa?!” mi suggeriva una voce nella mia mente, mentre d’altra parte cercavo di godermi quella sensazione nuova senza troppe ansie.
Prima di entrare in macchina diedi un’occhiata verso la caffetteria lì di fronte, e mi venne in mente il viso disperato e gli occhi gonfi di lacrime di Sandy.
Doveva essere stato proprio difficile per lei crescere senza nessuna figura maschile. Non volevo fare il sessista, per carità, ero convinto che le donne rappresentassero una vera e propria forza, però… però a volte una ragazzina ha bisogno di un padre, di un fratello, di un amico.
E se solo lei me ne avesse dato la possibilità io avrei potuto rappresentare per lei tutte quelle figure, senza alcun indugio, alcuna paura.
Non la conoscevo molto bene, ma sapevo che potevo fidarmi. Non la conoscevo, però farla sentire serena era come far del bene al mondo intero, era come curare un fiore o salvare un delfino la cui pinna si è impigliata nella rete dei pescatori.
Misi in moto l’automobile e sfrecciai veloce per le strade della città, diretto verso casa.
Pensai che potevo approfittarne della presenza di mia sorella May in città per parlare di Sandy, di come mi sentivo se il suo pensiero mi sfiorava la mente… ma poi cambiai subito idea; se i miei amici iniziavano a farsi tutti quei film mentali, figuriamoci mia sorella! Sarebbe stato solo un danno parlarle così in anticipo di una cosa che probabilmente non si sarebbe mai conclusa.
Un po’ di traffico mi costrinse a rallentare, e quando passai davanti al locale di Scottie rimasi qualche secondo fermo immobile lì davanti, fino a che il resto delle macchine della coda non mi bussarono.
Guardai l’orologio, erano le undici di sera, tra poco il turno delle cameriere sarebbe finito. Parcheggiai al termine della strada e, come un cretino, mi misi ad aspettare che Sandy uscisse da quel lugubre posto.
Dovevo trovarle un nuovo lavoro! Non sopportavo gli sguardi indiscreti degli altri su una ragazza fresca come l’aria e pulita come l’acqua come Sandy.
Ma cosa le piaceva fare? Quali erano le sue ambizioni… i suoi sogni. Doveva pur averne! Non poteva solo essere una ragazza combattuta e triste, oppure no?
Finalmente sentii dei passi in lontananza e mi sporsi leggermente dal finestrino, in modo da osservare la scena da spettatore passivo, senza che mi vedessero.
Le risate delle due colleghe di Sandy erano un suono lontano, e poi vidi lei.
Indossava una felpa rossa ed aveva i capelli legati in una treccia che le cadeva lungo la schiena. Da piccolo adoravo quell’acconciatura, e la disfacevo sempre a mia sorella solo per prenderla un po’ in giro.
La parte più incosciente di me mi diceva di uscire dall’automobile, andarle incontro e poi baciarla.
Senza spiegazioni, come se fossimo in un cartone animato, in un libro, in un film…
Le donne sono un po’ così, sognano il principe azzurro ma poi vogliono sempre un sacco di spiegazioni.
Come se Cenerentola se la fosse presa col principe di non averla avvisata prima della proposta di matrimonio.
Rimasi immobile ad osservarla dondolare su se stessa, con un’espressione stanca in visto e il cellulare stretto in mano che se aspettasse una chiamata.
Forse quella della madre, che l’aveva lasciata andare così, o forse quella di qualche vecchia amica.
Si guardava intorno spaventata e mi pentivo tanto di non avere le palle di non andarle a dire qualcosa.
Quando si voltò verso il mio lato mi nascosi anche, per non farmi vedere.
Alla fine arrivò il suo autobus, e lei sparì dietro le porte scorrevoli del messo di trasporto.
Poco dopo andai via anche io, sfrecciando veloce per le strade di Baltimore.
 

TADAAAAN, ecco un altro capitolo.
Come al solito, sono qui a RINGRAZIARVI DI CUORE. Davvero, se continuo a scrivere è perchè voi mi fate sentire "apprezzata", ecco.
Siete speciali, e le vostre recensioni preziose.
Con affetto,

_stargirl

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X

Sandy
 

-Dove vai così di fretta?- mi chiese Claire appoggiandosi alla porta dello spogliatoio del locale dove ormai lavoravo da quasi una settimana.
Quella sera mi ero decisa ad andare a vedere se davvero mio padre fosse dove Jack mi aveva detto di averlo visto giorni prima.
-Ho un incontro importante- risposi semplicemente, mentre chiudevo la zip dei jeans ed iniziavo ad abbottonarmi la camicetta azzurra.
-Si tratta di un ragazzo?- domandò con un sorriso.
-No, magari! Si…si tratta di mio padre. Non lo vedo da…-
Iniziai a parlare e poi mi bloccai un attimo per fare quel calcolo matematico. I numeri non erano mia stati il mio forte!
-Da circa tredici anni.-
Claire spalancò la bocca e mi si avvicinò con una strana espressione in volto.
-Sandy, non volevo. Cherì, scusami. Io…non ti rubo altro tempo, buona fortuna!-
Parlò velocemente, e la sua r moscia si accentuò ancora di più. Io le feci un cenno con la mano, come per dirle di stare tranquilla, ma lei mi diede un forte abbraccio.
Ricambiai la stretta con forza e poi la lasciai andare, se non tornava subito a lavoro veniva sgridata da quell’isterico del cuoco. Quando ebbe voltato l’angolo, io continuai a vestirmi.
Ultimamente iniziavo a capire che tenere tutto dentro lungo quel tempo aveva solo peggiorato le cose. Tra Jack, Flores e Claire stavo imparando a raccontare qualcosa di me, e stavo anche scoprendo che non tutti se ne infischiano, come avevo sempre e generalmente pensato.
Finii di abbottonarmi la camicia e poi passai ad infilare le ballerine blu.
Avevo chiesto a Scott un permesso di un’ora e lui stranamente me l’aveva concesso senza troppi giri di parole.
Andai allo specchio e mi sciolsi i lunghi capelli, li pettinai con la mia spazzola e poi piegai la mia divisa e la sistemai nell’armadietto.
Mi guardai allo specchio: la persona riflessa non mi piaceva così tanto, ma poteva andare.
Presi la borsa grigia e me la misi in spalla, poi salutai le mie colleghe nel pieno delle loro attività ed uscii dalla tavola calda.
Il sole era già sparito all’orizzonte per far spazio alla luna. Quella sera nel cielo non c’era nemmeno una stella, il che era presagio di un temporale il giorno seguente.
“Molto bene” pensai,  e mi strinsi nella mia giacca blu; avevo ancora il raffreddore, prendere altra umidità proprio sulla testa non mi faceva bene.
Per fortuna arrivò l’autobus, io vi salii e mi andai a sedere vicino al finestrino, il mio posto preferito in assoluto.
Socchiusi gli occhi e cercai di liberare la mia mente. Continuavo a pensare a mia madre, a tutte le lacrime che aveva versato per l’uomo che io stavo disperatamente cercando.
Ripensai ai compleanni, ai Natale, ai giorni del Ringraziamento passati a due, a mangiare poche cose, le meno costose.
Quei pensieri erano duri da affrontare, da sopportare. Ne avevo passate tante, e tutto il dolore si era trasformato in rabbia.
Se quell’uomo fosse stato davvero mio padre, allora doveva stare attento perché avrei potuto commettere un omicidio quella sera. Oppure un suicidio. Dipende dai punti di vista.
 
Quando l’autobus si fermò bruscamente proprio davanti alla Hopeless records sentii il cuore battere veloce dallo spavento. Le porte scorrevoli mi si aprirono davanti a  ed io respirai a fondo, cercando di non farmi prendere da una crisi d’ansia.
La casa discografica era davanti a me e per un attimo mi chiesi se Jack fosse lì dentro, o a casa sua, o con i suoi amici, oppure con una ragazza…
Davanti a me c’era la famosa caffetteria con il suo tipico logo ed i colori verdi. A Leitrim era situata proprio nei pressi dell’ultima scuola che avevo frequentato, e a quel posto erano legati diversi ricordi. La maggior parte orribili.
Attraversai lentamente la strada e quando mi trovai davanti all’entrata alzai gli occhi al cielo, come a domandare un po’ di pietà ad un ipotetico Onnipotente Dio che si trovava li su.
“Mandamela buona” gli chiesi mentalmente, poi misi piede in quel posto, socchiusi gli occhi e mi voltai in ogni angolo della caffetteria, alla ricerca degli occhi castani dell’uomo che mi aveva generata e poi se n’era andato, mandando tutto a puttane.
 
Mi ci volle un attimo per riconoscerlo.
Non avrei mai immaginato in quel modo il mio incontro con lui. L’avevo sognato per tempo, l’avevo sperato, e credevo di trovarlo felice a festeggiare con un’altra famiglia, un’altra donna, un’altra figlia.
Invece lui, Edward Wate, era nell’angolo seduto a un tavolino con davanti il suo caffè che ormai non fumava più.
Sembrava afflitto, i suoi occhi erano spenti, eppure erano gli stessi della foto del mio primo compleanno dove, con addosso una camicia a quadri anni ’90 ,  mi teneva tra le sue braccia.
Non mi accorsi che ero rimasta immobile al centro della stanza. Un groppo alla gola mi impediva di muovermi, di camminare, di respirare. Fui sul punto di svenire, ma quando lui alzò il suo sguardo ed incrociò i miei occhi sentii come un muro di Berlino crollarmi dentro. Le fondamenta caddero, e due mondi completamente differenti si scontrarono, famiglie si ricongiunsero, bambini ritrovarono i loro vecchi amici dell’asilo…
-Non dirmi che… tu… Sandy… Sandy Mary Wate.-
La sua voce… quella voce… che per anni avevo immaginato leggermi le favole della buonanotte come facevano i genitori delle mie compagne di classe alle elementari.
Non sapevo cosa dire, le lacrime spingevano sui miei occhi per potermi bagnare il viso, ma io non le avrei permesso di farmi vedere così distrutta, non davanti a lui.
-Papà…- sussurrai con voce rotta, incapace di aggiungere altro.
Dire quel nome era così strano, così diverso che quasi mi sembrava di stare sognando…
“papà”, ma quell’uomo meritava di essere chiamato così? Oppure no?
-Sandy, Sandy sono io… -
Si alzò in piedi, indossava la giacca e la cravatta, ed aveva i capelli ricci e castani perfettamente in colore, doveva essere ancora un po’ fissato per la sua capigliatura come mi raccontava mamma.
Mossi qualche passo verso di lui, il quale mi venne incontro e mi abbracciò.
Io non mi mossi, quello era un abbraccio ancora vuoto per me. Un gesto che però non celava nessun contenuto. Un gesto che quasi ignorai, e cercai di dimenarmi dalla sua possente stretta.
-Papà… - lo chiamai ancora, e poi mi sedetti di fronte a lui, cercando di evitare il rapporto visivo con lui mentre gli chiedevo ciò che da sempre mi domandavo.
-perché te ne sei andato?-
-Non voglio dirti bugie, non voglio crearmi scuse… me ne sono andato perché sentivo il bisogno di farlo.-
Attutii il colpo, strinsi forte il pugno nella mano e lo guardai in faccia. Questa volta i miei occhi erano pieni di lacrime e notai la sua mano tremare appena quando cercò la mia per stringerla flebilmente.
-Scusami Sandy, per anni ho cercato di preparare un discorso da dirti quando di avrei rincontrata, ma adesso tutto mi sembrerebbe troppo inutile…-
Scossi la testa, e mi presi subito un fazzoletto dalla borsa per soffiarmi il naso.
-Tutto questo tempo io e mamma siamo andate avanti senza di te, io ho cambiato tante scuole, porto dentro una ferita che non si rimargina…-
-Lo so, Sandy. E ti chiedo scusa, spero che un giorno potrai perdonarmi…-
Scossi appena la testa. –E’ troppo presto per il perdono…-
Rimase in silenzio. Infondo capiva, sapeva, non pretendeva. Grazie a Dio non era anche così stronzo da pretendere che io lo accettassi fin da subito…
-Sono contento che tua madre ti abbia mandato qui…-
-Gliel’hai chiesto tu?-
Spalancai gli occhi e appallottolai il fazzoletto tra le mie mani.
-Terry mi ha promesso che una volta che avresti raggiunto la maggiore età, ti avrebbe mandata qui a cercarmi…-
Mi portai una mano sulla fronte… ecco che un altro mistero veniva svelato. Mia madre aveva fatto una specie di patto con mio padre? Sul serio?
-Cos’hai Sandy?- mi chiese preoccupato. Io alzai lo sguardo verso di lui e scossi la testa.
-Mi odi se ti dico che voglio andare via? Che so dove trovarti, che so dove lavori e che quindi possiamo anche vederci domani?-
Parlai in fretta e mi passai una mano tra i capelli, visibilmente sconvolta.
-No. Dopo tutto quello che ti ho causato potresti anche mandarmi via, riempirmi di bestemmie . Ma non lo stai facendo…-
Mi limitai ad annuire, ero sull’orlo di una crisi di lacrime, una crisi isterica.
-Questo è il mio numero-
Sussurrai quasi a me stessa, poi estrassi una penna dalla borsa e scrissi con una calligrafia tremante ed elementare il mio numero di cellulare.
Guardai Edward Wate, mio padre, nei suoi occhi  color nocciola e gli passai quel biglietto.
-Ci sentiamo, papà…- dissi con la voce tremante e rotta dalle lacrime.
Poi uscii di corsa da quel posto, e iniziai a correre lungo la strada, mentre piangevo  disperatamente, come non avevo mai fatto prima e come volevo da tanto tempo fare.
Avevo trovato mio padre, proprio lui, e non ero riuscita a dirgli quasi niente.
La sua presenza mi faceva sentire strana, diversa… era come se un corpo estraneo fosse improvvisamente entrato nella mia via e la prima reazione era stata il rigetto.
Ma almeno l’avevo trovato, e lui mi aveva riconosciuta. Mi aveva stretto la mano…
Eppure il mio mondo stava cadendo piano piano a pezzi… e non riuscivo a tenerlo tutto sollevato sulle mie spalle.
 
-Sandy! Sandy, dove corri?-
Mi bloccai al centro della strada e salii sul marciapiede, non ci tenevo a venire investita.
Avevo il viso stravolto dalle lacrime, una tremenda paura di tornare a casa, di affrontare tutto quello che improvvisamente mi stava succedendo.
Mi voltai con il viso coperto dalle mani e la voce risultò essere quella che avevo fin da subito riconosciuto.
Era Jack, e il modo in cui mi chiamava era singolare, apparteneva solo a lui. E soprattutto mi piaceva, mi faceva sentire il cuore in gola, uno strano solletico alle ginocchia.
La mia reazione fu quella più inaspettata. Piuttosto che reprimere anche quel sentimento e crearmi un ennesimo problema, gli corsi incontro in lacrime  e lo abbracciai, stringendolo forte come avevo fatto quando l’avevo incontrato giorni prima, quando mi aveva detto dove trovare mio padre.
-Sandy, piccola, cosa succede?- mi chiese, parlandomi sottovoce all’orecchio.
Io non risposi, scossi solo la testa e affondai la testa nell’incavo del suo collo, respirando il suo profumo.
Con le mani mi accarezzò la schiena e mi strinse più forte a se.
Per la prima volta in tutta la mia vita mi sentii speciale e scelta. Non mi era mai successo prima.
Continuavo a singhiozzare come una bambina e non sapevo cosa dire, e forse anche lui si stava sentendo allo stesso modo, perché non parlava ma mi stringeva così forte che ebbi paura di spezzarmi sotto il suo tocco.
-Mio.. mio padre…- riuscii solo a dire, con la voce rotta dal pianto e il viso rigato dai lacrimoni.
-Va tutto bene. Ci sono io qua e non permetterò a niente e a nessuno di farti del male. Te lo prometto.-
Quelle parole mi rincuorarono, mi riscaldarono il cuore. Non me l’aveva mai detto nessuno… mai, e mai avrei creduto possibile che un giorno qualcuno mi avrebbe parlato in quel modo.
Mi alzai sulle punte dei piedi, posai una mano sulla nuca di Jack e poi lo baciai, senza pensarci due volte.
Se le parole non riuscivano ad esprimere quello che stavo provando, allora quel gesto avrebbe parlato al mio posto.
Ovviamente Jack non perse l’occasione di farmi capire cosa provava anche lui, ed io fui quasi presa alla sprovvista dal suo bacio.
D’altronde in tutta la mia vita avevo solo baciato a stampo un ragazzino il primo anno di superiori.
Quando la mia schiena andò a sbattere brutalmente contro il muro di un negozio ormai chiuso, pensai a quella poesia bellissima di Jacques Prevert
" Les enfants qui s’aiment s’embrassent debout contre les portes de la nuit…
"
Ricambiai il suo bacio con eguale intensità e poi sorrisi, pensando a quell’ultima strofa:
“Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l’éblouissante clarté de leur premier amour”

 


Eccomi qua con il decimo capitolo! Quante emozioni,eh?
Spero vi sia piaciuto, sempre muchas gracias per le recensioni. :)

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI
 
Jack
 
Era successo tutto in un attimo. Come al solito, i miei piani di fare le cose con calma andavano a farsi fregare, e non appena mi ero praticamente ritrovato Sandy addosso non avevo avuto le forze necessarie per dirle “ehi, cosa stai facendo?”.
Avevamo smesso di baciarci solo quando ero scoppiato un improvviso ma prevedibile temporale e quindi eravamo corsi verso la mia automobile, alla ricerca di un riparo.
Mi aveva fatto piacere quella sua improvvisa manifestazione d’affetto, ma non mi aveva spiegato ne detto nulla.
L’avevo semplicemente vista uscire dalla caffetteria con le lacrime agli occhi, e quindi avevo pensato di chiamarla per sapere il motivo della sua tristezza, e lei invece, stupendomi e meravigliandomi come nessun’altro prima, mi era praticamente saltata addosso.
Eravamo seduti in auto, il riscaldamento era al massimo ed io ripensai al nostro primo, casuale e strano incontro.
La stavo per mettere sotto, a causa della sua sbadataggine. E se fosse successo probabilmente non me lo sarei perdonato mai e poi mai.
Il risvolto di quella sera, però, era stato un tantino diverso. Non avevo ricevuto risposte acide oppure porte sbattute in faccia, bensì un bacio. Un bel bacio. Anzi, una serie di baci. Inspiegabili baci.
“Forse l’ha fatto solo perché era disperata” mi suggeriva una maligna voce interiore, che stava avendo la meglio sulla vocina gentile , che invece affermava poco convinta “Gli piaci. Gli piaci sul serio.”
Decisi di abbandonare le mie travagliate riflessioni interiori per passare al pratico e al reale.
Sospirai, e poi diedi un colpetto sul volante, per attirare la sua attenzione.
Dal mio canto, volevo che Lei mi desse spiegazioni. Era suo compito, no?! Non ero stato io a baciarla!
Ovviamente non l’avevo rifiutata, ma solo uno stupido l’avrebbe fatto, carina com’era.
-Jack, io…. Lo so forse non…-
Iniziò con queste parole, balbettate e dette senza nemmeno guardarmi negli occhi.
“Molto bene”, pensai. Quello era il solito proemio al “Jack è stato bello ma finisce qui”, che ormai in molte mi avevano trafilato come resoconto di un episodio.
Per evitare la mia ennesima disfatta sentimentale le feci un gesto con la mano, per farla tacere.
-Ho capito, ho capito. E’ successo ma non volevi, quindi ora non devo aspettarmi niente perché…-
Questa volta fu lei a fermarmi, posando la sua mano leggiadra sul mio braccio.
-Ma cosa dici?-
Sembrava sorpresa, quasi confusa.
Forse avevo tratto delle conclusioni affrettate? Forse, almeno quella volta, sarebbe andato tutto per il verso giusto?
-Jack, davvero… credi che io mi stia pentendo di quello che è successo poco fa?-
Domandò con un sorrisetto incredulo sulle labbra.
-Si- mi limitai a rispondere, in evidente imbarazzo.
-Credi che io ti abbia baciato perché ero disperata e triste a causa del poco soddisfacente incontro con mio padre?-
Questa volta nella sua voce c’era una linea di ironia ed umorismo, quasi come se quella situazione la stesse divertendo, come se evitasse di ridermi in faccia solo per educazione.
Io mi grattai la nuca, senza riuscire ad aggiungere altra parola, altro gesto.
Ero in evidente imbarazzo. Evidentissimo.
-E soprattutto, aspetta… sbaglio o hai detto che… ti aspettavi qualcosa?-
Questa volta stava sorridendo, e stava marciando sul fatto che io mi ero involontariamente buttato la zappa sui piedi da solo.
-Adesso non incominciare a fare… così-
-Così come?-
Accavallò le gambe e incrociò le braccia al petto, fissandomi negli occhi come se si aspettasse qualcosa da me. E forse dovevo pur dirla, qualcosa, io.
-Cioè… io… Oh, cazzo, mi sono messo in un pasticcio!-
Non riuscì più a trattenersi, e dalla sua bocca uscì una risata dal suono simile a quello di un mucchio di bicchieri di cristallo che si infrangono sul pavimento.
Era un bel suono, e quando rideva sembrava ancora più piccola di quanto già lo fosse.
-Sei tenero, Jack.-
-Grazie…- sospirai, passandomi una mano tra i capelli. Quello era un complimento, no?
-Ad ogni modo, Sandy, credo che sia inutile fare giri di parole, mi sono messo in questa strettoia e l’unico modo per uscirne è dirti la verità.-
Scrollò le spalle e mi fece cenno di proseguire. Il suo volto sembrava comunque rilassato, nonostante l’incontro con il padre andato male, nonostante la mia presenza, le mie parole.
Sandy era piena di vita, piena di speranze, anche se non sembrava. Ed aveva una bellezza ed un aurea fantastiche. Prima di essere bella fuori, aveva un’anima stupenda.
-E’ strano anche per me, visto che ci conosciamo da poco più di una settimana , qualcosa del genere, ma… credo proprio che tu mi piaci. Detta così, sembra la rivelazione di un amore da scuole elementari, ma non conosco altro modo per dirtelo… Mi hai colpito, probabilmente tutto ciò non andrà nemmeno avanti, però… mi hai colpito, ed io non posso ignorarlo! E’ da stupidi reprimere qualcosa di bello… prendimi per pazzo, per idiota… ma non posso fare a meno di dirti che… mi piaci, mi piaci tanto.
Sandy Wate, ora tocca a te dire qualcosa.-
Accennai un sorriso e appoggiai alla schiena al sedile della macchina, in attesa di una sua reazione, che tardava ad arrivare.
Mi fissava negli occhi con le sue iridi verdi , che all’oscurità sembravano nere, ed aveva le unghie conficcate nel dorso della sua mano.
Ebbi quasi paura di aver sbagliato tutto, ma improvvisamente Sandy iniziò a piangere.
Avevo fatto così schifo?
-Cosa, cosa fai? Perché piangi?- le domandai balbettando, e lei si gettò praticamente tra le mie braccia.
-Ho detto qualcosa di sbagliato?- chiesi ancora, stringendola un po’ incerto tra le mie braccia.
Era una ragazza adorabile, ma un po’ emotivamente instabile, dovevo ammetterlo.
-No! No, Jack! Quello che hai detto è… perfetto, nessuno mi si è mai rivolto con tanta dolcezza e tanto amore io… io sono tanto emozionata…-
Mi rilassai alle sue parole, ed agitai un pugno in aria in segno di vittoria.
-Questo significa che sei sempre stata circondata da coglioni, Sandy- risposi sorridendo, e lei mi strinse più forte, quasi come se volesse soffocarmi.
Mi piaceva abbracciarla, perché potevo realmente perdermi nella sua stretta. Non c’era vuoto, non c’erano ossa, c’era una ragazza. Una ragazza bellissima.
-Nessuno mi ha mai detto parole così dolci… ecco perché ho avuto un attacco di pianto isterico!
Credo che anche tu mi piaci…-
Sciolse l’abbraccio e mi scrutò negli occhi qualche attimo, poi aprii la bocca per dire qualcosa.
-Però ci sono tante cose che vorrei sapere di te… ad esempio, come hai fatto a diventare famoso? Quando è il tuo compleanno, il tuo colore preferito, la tua canzone preferita, il tuo cibo preferito, hai sorelle? Fratelli?-
Scoppiai a ridere, e annuii un paio di volte.
-Va bene, ovviamente anche io voglio sapere qualcosa di te. Inoltre lotterò a lungo affinchè tu smetta di lavorare da Scottie.-
Arricciai il naso in una smorfia, e lei mi sorrise rilassata.
-Sei geloso?-
Le presi la mano, giocherellando con le sue dita esili. –Un po’-
-SEI ADORABILE!-
Ridemmo entrambi, poi notai che era già tardi, e considerando che il giorno dopo avevo delle prove al mattino, era meglio accompagnare Sandy a casa e poi andarmene a dormire, ovviamente dopo aver chiamato il mio migliore amico per raccontarmi del mio piccolo successo.
Io e Sandy ci piacevamo a vicenda. Il che significava che una piccola scintilla era partita, ora stava a me e a lei trasformare il tutto in uno spettacolo di fuochi d’artificio.
 
Durante il tragitto non parlammo molto, per non rovinare il momento pensai di chiedere a Sandy dell’incontro con suo padre qualche altra volta, visto che era piuttosto serena, ed assonnata.
Quando finalmente giunsi a casa dei signori Gaskarth, ovviamente Sandy dormiva. Era come se la mia auto avesse su di lei un effetto da sonnifero.
“Alla faccia di Alex” pensai, il quale mi diceva che guidavo da schifo!
Strattonai con delicatezza il braccio di Sandy e lei aprì gli occhi con calma, guardandomi qualche secondo prima di uscire dall’abitacolo.
-Quando ci vediamo?-
La sua domanda , fatta con gli occhi mezzi chiusi dal sonno, mi rincuorò. Aspettavo proprio che me lo dicesse, ed io ne fui contenta.
-Domani lavori tutto il giorno da Scottie?-
Scosse la testa. –No, solo la mattina. Vado a pranzo con mio padre e la sera dovrei essere libera-
-Okay, allora ti passo a prendere qui. Buonanotte-
Le sorrisi e lei fece lo stesso, poi uscì dall’auto e mi soffiò un bacio, prima di salire le scale ed entrare in casa.
Io rimasi fermo immobile qualche secondo, poi sorrisi di nuovo e misi in moto, diretto verso casa.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII

 
Sandy  

 
Era la decima chiamata in quel giorno che facevo a mia madre. La decima. E lei non si era degnata di rispondermi nemmeno una volta. Mi rispondeva sempre la segreteria, e le avevo persino lasciato un messaggio implorandola di chiamarmi il prima possibile.
Sapevo che i suoi turni all’ospedale di Leitrim talvolta erano improponibili, ma almeno una telefonata a sua figlia…poteva farla.
Dovevo dirgliene quattro, anche perché Edward, ovvero mio padre, mi aveva detto che era stato Lui a chiederle di Mandarmi praticamente a calci in Maryland.
Qualcosa non quadrava in tutto quel teatrino, ed io dovevo scoprirlo il prima possibile.
Prima di iniziare ufficialmente a lavorare quella mattina mi ero connessa a Facebook dal cellulare ultra tecnologico di Claire, ed avevo scoperto che mio padre non solo aveva un profilo su quella dannata piattaforma (a)sociale, anzi, aveva piazzato lì sopra anche il suo numero di telefono.
“Povero idiota”, pensai, “crede di essere così famoso che spiattella anche il suo numero a tutto il mondo”.
Certo, sicuramente con il suo lavoro guadagnava molto più di me e mia madre messe insieme, però era il produttore di una squallidissima band formata da sgualdrine magre e con le tette enormi.
Comunque, scrissi a mio padre un breve sms , nel quale gli chiedevo di andare a pranzo insieme per parlare in modo più civile.
Grazie al cielo mi rispose un attimo dopo, annunciandomi che sarebbe passato a prendermi lui.
Non ero tanto felice di questa cosa, piuttosto un’agitazione assurda incombeva sul mio sistema nervoso, ma il pensiero che quella sera sarei uscita con Jack mi rincuorava e mi dava coraggio.
Quel ragazzo era adorabile.
 
Uscii dallo spogliatoio con addosso quella ridicola divisa verde smeraldo ed afferrai prontamente il primo straccio che trovai,  visto che Scottie era in agguato dietro l’uscio della porta delle cucine e se non mi avesse vista nel mezzo di pulire si sarebbe arrabbiato come il matto.
Ed io non potevo permettere che si arrabbiasse, visto che avevo assolutamente bisogno di un altro permesso quel giorno, che lui mi avrebbe concesso solo se avessi reso splendente quel posto.
-Come procede?- mi chiese con il suo solito tono comico/stupido/falsamente professionale.
-Tutto bene- risposi semplicemente, spostandomi il più lontano possibile da lui, verso i tavoli nell’angolo, che ancora non erano stati puliti.
Spruzzai del detersivo sul legno del tavolino e vi strofinai sopra lo straccio con tanta forza, dovevo pur sfogare un po’ del nervoso che avevo dentro, no?!
Se c’era un cosa positiva di tutto quel pasticcio nel quale i miei genitori mi avevano messa, era sicuramente Jack.
Il nostro “incontro-scontro” della sera precedente aveva continuato ad essere oggetto dei miei pensieri tutta la notte, e  nonostante i miei cento motivi per essere triste, o arrabbiata, se pensavo a lui mi era impossibile non sorridere. Meritava i miei sorrisi, e soprattutto ne era la causa.
-Hola, sbaglio o hai la testa tra le nuvole?-
Flores mi fece sobbalzare, tanto che mi cadde lo straccio bluastro dalle mani.
-Non ti avevo vista, che spavento! Ciao, e no…non proprio-
-Com’è andato l’incontro con tuo padre? Me n’ha parlato Claire ieri…-
 Mi appoggiai al tavolo e scrollai le spalle, ripensando al viso di mio padre, alla sua espressione non appena i nostri sguardi si erano incrociati.
-Se devo essere sincera è andato piuttosto male… tutto il bel discorso che mi ero preparata nel corso di questi anni non è servito a niente, sono solo scoppiata in lacrime come un’isterica e poi sono fuggita via…-
Flores scosse appena la testa, in una smorfia realmente dispiaciuta. Io mi limitai a scrollare le spalle, non sapevo cos’altro aggiungere e ricordare la sera precedente mi faceva male.
-Vi rivedrete, per chiarirvi?- mi chiese, ed io mi affrettai ad annuire.
-Andiamo a pranzo insieme oggi. Spero che tutto fili liscio…-
Mi portai una ciocca di capelli sfuggita alla coda di cavallo dietro l’orecchio, volevo davvero poter dire tutto a mio padre senza scoppiare in lacrime, volevo sapere tutto ciò che mi era stato nascosto in quegli anni, e soprattutto volevo che mia madre si degnasse di rispondermi a telefono.
-No te preocupas, Sandy. Tutto si risolverà-
Allargai le braccia in un gesto piuttosto inusuale per me, e lasciai che la mia amica mi stringesse.
Il mio soggiorno in America, però, stava anche avendo dei risvolti positivi. Stavo riscoprendo delle parti di me che credevo andate per sempre.
Era bello sapersi di nuovo lasciare andare ad un abbraccio, una stretta di mano, una parola di consolazione…erano bei gesti, quelli.
-Flo, devo…devo dirti anche un’altra cosa!- esclamai all’improvviso, stringendo lo straccio tra le mani con una smorfia coccolosa stampata sul volto.
-Cosa ti rende così feliz? Dimmi tutto-
-Staserà ho una specie di appuntamento…-
Inarcò le sue sopracciglia scure e mi fece un cenno con la mano per invitarmi a continuare.
-Ho un appuntamento con Jack Barakat. Proprio lui, il chitarrista degli All time low-
Se dovessi paragonare un personaggio a Flores in quel preciso istante, beh, questi sarebbe l’uomo dell’urlo di Munch, con le mani ai lati del volto e gli occhi sgranati.
“Non posso crederci!” iniziò ad esclamare di continuo, saltellando sul posto ed attirando l’attenzione di qualche passante che al di là della vetrina ci vedeva.
-NO PUEDE SER!-
-Flores, ti giuro che è così… ci siamo anche… anche baciati… io e lui… in questi giorni abbiamo intrapreso una specie di amicizia…-
Avevo il viso completamente rosso come un  peperone e balbettavo, non era proprio da me parlare del ragazzo che mi piace con delle amiche.
Che poi non sapevo nemmeno se Jack mi piaceva…
O meglio, lui mi piaceva ma io non sapevo se era giusto lasciare che mi piacesse… era una rockstar, io non sapevo per quanto tempo ancora sarei rimasta a Baltimore, che situazione complicata!
Ad ogni modo fui quasi costretta da Flores a fare un breve resoconto di quelli che erano stati gli incontri miei e di Jack in quei giorni, e scoprii che chiacchierare con un’amica di un accaduto non è poi così male come avevo creduto.
Purtroppo, però, ben presto arrivò Scottie e ci richiamò all’ordine, ed io passai tutta la mia mattinata a pulire pavimenti, spolverare mensole, sgrassare cucine sporche del cibo della notte precedente.
Lavorai così tanto che quando arrivai all’ora di pranzo ero praticamente sfinita. La mancanza delle due braccia di Claire si faceva sentire, ma purtroppo la poverina si era ammalata ed il lavoro mio e di Flo era doppio.
Praticamente distrutta da quella mattina già immaginavo che disfatta sarebbe stato il secondo incontro con mio padre…
Come l’orologio segnò l’una in punto, corsi negli spogliatoi ed indossai in fretta i miei jeans, la t-shirt bianca e un cardigan nero, poi uscii dal locale in fretta e furia, con ancora i capelli legati in un disordinatissimo chignon sulla nuca.
 
Mio padre fu puntuale come un orologio svizzero, all’una e cinque minuti mi stava aspettando all’incrocio. Gli avevo detto io di attendermi lì, in quanto non volevo che sapesse del mio provvisorio lavoro da Scottie. Se viveva a Baltimore da un po’ sapeva benissimo che razza di ristorante era quello, e magari mi avrebbe esposto una parentale.
La sua macchina era una Merced tirata a lucido, e lui abbassò il finestrino guardandomi con un eloquente sorriso, che ovviamente non ricambiai.
Mi limitai ad aprire lo sportello e ad entrare nell’abitacolo, salutandolo con un breve cenno della mano.
-Ciao Sandy, come stai?-
Non lo guardai, ma annuii come se potesse vedermi. –Bene. Tu, invece?-
-Anche io, sono felice di averti incontrata. Voglio dire, eri solo una bambina quando le nostre strade si sono divise…-
-Quando te ne sei andato- lo interruppi bruscamente per correggerlo, e lui attutii il colpo come una pecorella, per fortuna.
-Da quando me ne sono andato… e comunque, avevo pensato di andare a mangiare un boccone in un ristorante in zona, molto rinomato.-
-Okay-
Le mie risposte piuttosto gelide gli fecero comprendere in fretta che non mi andava di intrattenere una semplice conversazione; o meglio, non mi andava di intrattenerla la seconda volta che ci vedevamo dopo anni, era troppo presto.
-Posso solo sapere come facevi a sapere che mi avresti trovato proprio da Starbucks? Proprio di fronte alla Hopeless?-
Mi domandò poco prima di scendere dall’automobile, di fronte al ristorante dove eravamo giunti.
-Me l’ha detto un amico-
Sorrisi, mi era inevitabile farlo quando parlavo di Jack.
-Chi è questo amico?-
-Jack Barakat- risposi raggiante, e mio padre sospirò, senza aggiungere altro.
 
Il ristorante era un posto davvero bello, efficiente e poco affollato. Proprio l’ideale per intraprendere una chiacchierata spinosa come quella che dovevo avere con il mio adorato papà.
-Allora… volevo scusarmi se l’altra volta me ne sono andata via nel mezzo di una crisi isterica…-
Iniziai così il mio discorso, provocando in lui un mezzo sorriso.
-Tranquilla-
-Sono anni che penso ad un discorso organico da farti, ma ogni volta dimentico le parole…- aggiunsi, cercando di guardarlo negli occhi.
Mi era difficile farlo, anche perché leggevo in quello sguardo qualcosa come…pentimento… e mi faceva strano, molto strano, non riuscire a provare odio allo stato puro, per lui.
-Sono felice che non stai replicando già da ora. Il che significa che ti rendi conto di aver commesso un grande sbaglio… dunque vorrei iniziare dalla cosa che più mi fa destare sospetti… si può sapere perché ieri hai citato mamma?-
Il mio tonò risultò involontariamente alterato nell’ultima parte della frase, tanto che una donna si voltò a guardarmi, ed io la fulminai con lo sguardo.
-Sandy, ho parlato con tua madre proprio stamattina, e…è giusto che tu sappia che in questi anni io e lei siamo rimasti in contatto! E’ stato un contatto saltuario, ma è stato un contatto-
Spalancai gli occhi, portandomi una mano sulla fronte.
-Come? Cosa dici?-
-Dico, Sandy, che quando me ne sono andato era perché Terry mi faceva sentire soffocato. E, per evitare che tu soffrissi, che tu non ti preoccupassi per lei e passassi un’intera vita a cercarmi… ho preferito scomparire, ed informarmi dei tuoi progressi solo raramente…-
Mi ci volle qualche attimo per metabolizzare quello che stava dicendo. Annuii un paio di volte e poi aprii la bocca per parlare.
-Questa sarebbe una scusa?-
Edward si passò una mano tra i capelli ricci.
-No, non è una scusa. E’ stato un mio errore, al quale ho voluto rimediare. Ho chiamato Terry qualche Natale fa e l’ho implorata di mandarmi da me qui a Baltimora. Sapevo che alloggiavi dai Gaskarth, e sarei venuto a trovarti…ma tu purtroppo mi hai preceduto.-
Aprii di nuovo la bocca, e sentii come la mascella cadermi sul pavimento come il granchio nella Sirenetta.
-Avete architettato tutto ciò alle mie spalle? Alle mie spalle?-
-Non gridare, tesoro.-
Strinsi forte i pugni e diedi un colpetto sul tavolo, alzando poi gli occhi al cielo per cercare di tranquillizzarmi. Ovviamente sembrava impossibile.
-Non so se essere un po’ felice per il fatto che ti sei preoccupato per me in questi anni, oppure odiare te e mia madre per avermi nascosto tutto ciò nel corso degli anni.-
Papà mi stava per rispondere, ma arrivò una simpatica cameriera a prendere le ordinazioni. Entrambi optammo per della carne  e dell’insalata, e quando la donna ebbe voltato l’angolo, ritornai a fissare mio padre nelle orbite degli occhi.
-Io e Terry avevamo pensato di riunirci in Irlanda per Natale, e cercare di ricostruire qualcosa… chiarire…-
Sgranai di nuovo gli occhi…quante sorprese ancora mi avrebbero sconvolta, quella mattina?!
-Siete di nuovo.. di nuovo…-
-No, Sandy! Non vogliamo tornare insieme… lo faremmo per te, per noi…per… chiederti scusa.-
Lo guardai interdetta, sul serio non sapevo cosa dire.
Avrei avuto molti motivi per mettere in atto un’infinita polemica, ma in quel momento ero stanca anche di parlare, di battermi, alzare la voce.
Feci un gesto con la mano e mi limitai ad annuire, appoggiando i gomiti sul tavolo e la testa sul palmo della mano.
Passarono alcuni minuti di imbarazzante silenzio, ma poi mio padre si decise a prendere nuovamente parola.
-Qualcosa ti turba, Sandy?-
-No, va tutto bene. Devo solo metabolizzare questa nuova situazione… poi per piacere dire a mia madre di rispondere al telefono?-
Non volevo che fosse così, ma il mio tono risultò arrabbiato.
-Glielo dirò, a patto che non le rivolgerai parole cattive… lei è molto preoccupata da questo-
Mi venne voglia di strapparmi i capelli, ma perché dovevo essere sempre io a sacrificarmi?! Non ero mica una martire?!
-E va bene. Va bene.- risposi infastidita, immaginando che se gli sguardi potessero uccidere, sicuramente avrei fatto fuori mio padre.
A placare il secondo imbarazzante momento di silenzio tra me e mio padre fu la cameriera, che ci portò il pranzo.
Amen. Finalmente avremmo avuto le bocche occupate e non avremmo toccato più quel dannato, dannatissimo argomento.
 
Dopo aver mangiato e bevuto in grazia di Dio uscimmo dal ristorante per prendere una boccata d’aria.
Vidi mio padre fumare ed ebbi l’impeto di chiedergli una sigaretta, ma ovviamente potevo farne a meno.
Meno cose negative sapeva di me, meglio era.
-Che cosa fai qui a Baltimore? Studi, lavori…oppure sei qui in un breve soggiorno?-
Scrollai le spalle. –Non lo so. Per ora lavoro semplicemente come cameriera, sai, ho avuto molti problemi a scuola… ne ho cambiate così tante che essere presa in qualche college è un’impresa.-
Risposi con un po’ di freddezza, i miei problemi erano anche dovuti al suo non essere mai stato presente, non con me, durante la mia crescita.
-Mi dispiace, ma puoi sempre rifarti. Da bambina volevi avere una libreria tutta tua-
Sorrise, e non potei fare a meno di lasciarmi andare anche io.
-Ti ricordi ancora?-
-Certo. E se vuoi realizzare questo sogno ti darò una mano. Sai, ho un bel po’ di conoscenze qui…-
Annuii. –Vedremo, per adesso non so ancora niente…-
Mi mordicchiai il labbro nervosamente. Non potevo dire di rimpiangere la mia vita a Leitrim, paesino dell’Irlanda dimenticato dal mondo, ma era lì che c’erano le mie origini, era lì che viveva mia madre…
Ed io le volevo bene, non l’avrei mai delusa come aveva fatto mio padre, non l’avrei mai abbandonata.
Ma poi c’era Baltimore, c’era la possibilità di realizzare un sogno, c’era un ragazzo in grado di rendermi felice…
-CAZZO!- esclamai all’improvviso, ricordandomi dell’appuntamento con Jack di quella sera.
Dovevo tornare a casa, dovevo iniziare a prepararmi, farmi bella…
-Che succede?- rispose mio padre, quasi incredulo.
-Ho un appuntamento stasera, dovresti assolutamente accompagnarmi a casa.-
-A proposito della casa, volevo dirti una cosa…-
-Papà, non c’è tempo. Ho bisogno di andare a casa!-
Lo guardai quasi disperata, così lui scoppiò a ridere, spense la sigaretta e corse verso l’automobile.
Quella sarebbe stata la giornata più lunga della mia vita.
 


Grazie per le recensioni, è un momento schifo per me e voi mi sollevate :)

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII
 
Jack
 

-Non ci posso credere che stiamo andando al cinema, come due ragazzini di tredici anni!- esclamai sorridente, mentre camminavamo verso la sala A dell’enorme cinema di Baltimore.
Camminavo con Sandy sottobraccio e i popcorn nell’altra mano, attento a non farli rovesciare tutti per terra.
-Non è colpa mia, Barakat, se non avevi idee migliori!- mi rimproverò lei, guardandomi con i suoi grandi occhi verdi/nocciola, espressivi come quelli di un bambino.
-Touché, Wate.-
-Peccato che il film che andiamo a vedere è una demenziale stronzata, io adoro andare al cinema!- protestò imbronciata, ed io le diedi un colpetto sulla testa.
Era davvero carina quella sera, non che le altre volte non lo fosse!
Ma i jeans che indossava le facevano delle gambe davvero niente male, mentre il maglioncino bianco le addolciva i lineamenti. Non avevo mai incontrato lungo il corso della mia vita una ragazza come lei, in grado di ispirarmi coccole e –ahimè- cosacce, allo stesso tempo.
-Ovviamente ci sediamo in ultima fila- le dissi con un sorriso sornione, e me la trascinai con me, nonostante il suo sguardo interdetto.
-Non vorrai mica slinguazzarmi tutto il tempo, Jack?!-
Scoppiai a ridere, e risposi in modo ironico, per stare al suo gioco. –Non mi dispiacerebbe-
Mi mollò un insignificante pugno sul braccio e poi si sedette, facendomi cenno di mettermi accanto a lei, cosa che avrei fatto ugualmente.
-Invece non potrai farlo, non dopo avermi parlato un po’ di te. Ho visto quella ragazzina fuori al cinema  avere quasi un infarto dopo averti visto… -
Accennò una risata, ed io feci lo stesso. Quella ragazza era stata carina, non appena mi aveva visto aveva assunto l’espressione di un Santo al quale appare Dio improvvisamente.
-Sono adorabili, le fan, sul serio.-
-O forse sei tu, quello adorabile?-
Abbassai lo sguardo e mi grattai la nuca, Sandy riusciva a stupirmi con le cose che diceva, con il suo sorriso, la sua faccia pulita, cristallina.
Rimasi per un attimo in silenzio e poi le passai un braccio sulla spalla, per avvicinarla a me e stringerla.
-Hai davvero diciotto anni, oppure me l’hai detto solo per fare colpo?- scherzai, e provocai in lei una mezza risatina.
Purtroppo la sua giovane età mi preoccupava, certo, avevamo sette anni di differenza e forse non sono nemmeno moltissimi, ma io ero vicino ai trenta, lei non era nemmeno nella ventina.
Cosa avrebbero pensato, i suoi genitori? E i miei?
Alex e i ragazzi sembravano propensi a una mia relazione con Sandy, ma solo perché sapevano quanto bisogno avessi di una donna al mio fianco in grado di...aiutarmi a crescere.
Come cita la canzone della mia band preferita: “Nobody likes you when you’re 23…” ed io ne avevo venticinque, tra l’altro.
-Ne ho proprio diciotto Jack, e tu ne hai venticinque.-  fece una pausa, prese un pop corn e poi continuò a parlare, mentre masticava. –E so anche cosa stai pensando ora-
-Sul serio?- la provocai, appoggiando il mento sulla sua testa.
-Si, stai pensando che sono piccola, inesperta e cose del genere…-
-Non sono pensieri brutti, però. Mi preoccupo solo di quello che potrebbero dire le persone, capisci?-
Mi guardò torva, e poi posò di nuovo la testa sulla mia spalla.
-Non mi importa di ciò che pensa la gente.-
Mi zittii, e poi per fortuna iniziò il film,  che distrasse entrambi da quella conversazione poco leggera.
 
 
Non erano passati nemmeno quindici minuti che la sentii pizzicarmi il braccio. Quindi distolsi lo sguardo dal noioso film  e le sorrisi.
-Che c’è?-
-Qual è il tuo colore preferito?- mi chiese, con un sorriso sulle labbra simile a quello di una bambina piccola, al quale non avrei resistito mai e poi mai.
-Verde. Come i tuoi occhi- le risposi con semplicità, e notai le sue guance tingersi di rosso nonostante il buio della sala.
-Mi farai morire- balbettò, nascondendo la testa nell’incavo del mio collo, solleticandomi appena con i suoi capelli lunghi.
-Il tuo?- le domandai sottovoce.
-Rosa.-
-Chissà perché me lo aspettavo- cantilenai, afferrando anche io una manciata di pop corn che gettai in bocca con un sorriso.
-E… hai fratelli?- mi domandò lei, accavallando le gambe e dando quasi le spalle al film.
-Si, ho un fratello e una sorella, Joe e May.-
Annuii tutta felice, ma poi fece una strana smorfia. –Io sono figlia unica-
Le accarezzai la guancia. –Non ti perdi niente-
Rimase interdetta per qualche secondo e poi appoggiò di  nuovo la schiena alla poltroncina del cinema.
-Sandy- attirai la sua attenzione prendendole la mano.
-Cosa c’è?-
-Ti va se…usciamo? Andiamo a casa mia. Ti giuro, non è una proposta indecente!-
Improvvisamente divenne pensierosa, poì si spostò una ciocca di capelli castano chiaro dietro l’orecchio e mi osservò a lungo, prima di avvicinarsi a piantare le sue labbra sulle mie.
-Ok, credo di aver capito- dissi con un sorriso sornione  e ricambiando il suo bacio.
Dovevo darmi una mossa, era sempre prima lei quella a baciarmi! In altri casi non mi sarei comportato così…ma cosa mi succedeva?!
Mi staccai dalle sue labbra e mi alzai, porgendole la mia mano.
-Okay, okay, andiamo.-
-Continuiamo a casa, tranquilla- scherzai, e lei alzò gli occhi al cielo, senza però replicare o mostrarsi vagamente dispiaciuta.
 
E così fu, giungemmo a casa mia in un attimo, ovviamente eravamo soli e Sandy non faceva che guardarsi intorno, come intimidita. Probabilmente ero il primo pseudo-ragazzo che aveva, anche se dovevo ammettere che baciava davvero bene, ma i suoi atteggiamenti a volte erano così dolcemente timidi.
La portai con me in salotto e ci sedemmo entrambi sul divanetto color porpora, lei aveva le gambe incrociate ed iniziò a farmi tutte le domande possibili e immaginarie.
-Allora Jackie, qual è la tua band preferita?-
-Blink 182, assolutamente.-
Rise, ed io le porsi la medesima domanda.
-Green Day-
-Ci abbiamo fatto un tour, con loro- le dissi, sorridendo al ricordo di quell’estate.
-Lo so, ti invidio tanto… io ho una super cotta per Billie Joe!-
Arricciai il naso. –Ma è basso! Però hai ragione, è un gran figo.-
-Botte piccola, vino buono- disse caustica, guardandomi dall’alto verso il basso.
-Mi devo ritenere offeso?- sospirai, appoggiandole una mano sul ginocchio.
-Naaah… -
Spostò lo sguardo sulla mia mano e scrollò le spalle.
-Ora la faccio una domanda a te…uhm… cosa ti piace davvero fare? Io sono un chitarrista e lo sai, ma tu… tu sei troppo profonda , la tua ambizione non può essere Scottie!-
Abbassò immediatamente lo sguardo, ed io ebbi la folle paura di averla offesa, o ferita.
Non parlava,  e viste le sue carenze emotive credetti sul serio che stesse per piangere. Così allungai una mano a prenderle il mento nella mia stretta per costringerla a guardarmi negli occhi.
-La mia ambizione non è Scottie. A dirla tutta vorrei andare via da lì il prima possibile, ma… sono molto confusa, Jack. Baltimore mi piace, è tutto nuovo e piacevole per me. Ma poi c’è Leitrim! C’è mia madre, c’è il mio misero lavoro alla panetteria fuori casa… -
Feci cadere la mia mano, sbattendola sullo schienale del divano. Sandy pensava ancora all’Irlanda, e non se la sentiva di lasciare andare sua madre. Quello era chiaro e tondo, e la parte più egoistica di me era quasi arrabbiata con lei.
-Capisco, ma… un sogno… ce l’hai? Tutti ne hanno Sandy! Lo so che la tua vita è stata difficile, ma abbi il coraggio di avere qualcosa in cui credere- le dissi sottovoce.
-Mi piacerebbe avere una libreria, tutta mia. Ma ci vorrebbero un sacco di spese, e anche se mio padre mi ha offerto una possibilità di farlo, visto che ha un mucchio di conoscenze qui…io non lo so-
Rispose seria, ed io le feci cenno di avvicinarsi per abbracciarla.
-Mi stai dicendo che quindi non sai se rimanere qui o tornartene a Dublino, ora che hai rincontrato tuo padre?-  dissi con un sorriso forzato, riagganciandomi a ciò che mi aveva detto prima.
Sandy ricambiò la mia stretta accarezzandomi la schiena, poi annuì.
-Ho scoperto che mia madre in realtà in questi anni è stata in contatto con mio padre, e che per proteggermi… non me l’hanno detto. Io però non sono d’accordo, e ho bisogno di parlare con lei da vicino, quindi credo che a Dicembre tornerò  in Irlanda, e non solo per Natale.-
Spalancai gli occhi, e per fortuna lei non mi vide. Sentii improvvisamente il mondo che mi cadeva addosso e nessuno in grado di sollevarlo.
Rimasi in silenzio, ma ciò che avrei voluto dirle era: “Sandy, non puoi andare via. Non puoi farmi innamorare di te e poi lasciare andare tutto, non puoi…”
-Jackie?- attirò la mia attenzione, e poi alzò lo sguardo per incontrare i miei occhi.
-Va tutto bene Sandy. Sappi che qualunque scelta farai potrai sempre contare su di me.-
Quella sembrava davvero la frase di un film, suonava come una promessa, una consolazione…
-Okay-
Sussurrò appena, così le sfiorai la punta del naso con le dita e poi la baciai dolcemente, chiedendomi, per l’ennesima volta, cosa eravamo, noi due.
 


L'appuntamento non è stato quello tipico dei film romantici, insomma. E va beh, ma i SNACK (Sandy e Jack) sono particolari, quindi tutto è particolare u.u
Vi ringrazio per le recensioni e anche per l'incoraggiamento, siete adorabili. :)
Dite una preghierina per me che dopodomani ho l'interrogazione di filosofia e sono spaventata çwç
A presto tesori <3

Ah, se volete seguitemi su Twitter: https://twitter.com/MsMelRae

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV
 
Sandy
 
Fare colazione da soli è la cosa più triste del mondo. Il telegiornale racconta le solite tragiche notizie, le solite spaccature politiche ed economiche e tu porti svogliatamente alla bocca i tuoi cereali, senza nessuno che ti chiede:
“Allora, cosa farai oggi?”.
Era mercoledì, e il mercoledì  è un giorno brutto, almeno per me è sempre stato così.
Di solito il mercoledì succedono cose strane, ed io vivevo come in agguato di un possibile attacco.
Mi ero svegliata alle otto in punto, e stavo seduta su una sedia nei pressi del mio letto, con i gomiti appoggiati alla piccola tavola pieghevole.
Mio padre mi aveva proposto di andare a vivere con lui, ma io gli avevo risposto con un “forse”. Ero cresciuta con quella brutta concezione del separamento dei genitori, capace di farti sentire “vigliacca” se passi un po’ più di tempo con uno dei due.
Quindi io, per non ferire mia madre, avevo deciso di rimanere nel mio mini appartamento ammuffito.
Un po’ nervosa spensi la televisione e gettai sul divano il telecomando, poi andai verso i fornelli e presi il caffè, lo versai in una tazza e me lo portai a tavola.
Erano tre giorni che non vedevo Jack, e il nostro rapporto non aveva trovato un “nome”. Io optavo per “amici che si baciano”, ma non ero certa che lui sarebbe stato d’accordo.
Ad ogni modo era sempre impegnato con le prove, ed io avevo esplicitamente chiesto a mio padre di tenerlo d’occhio. Non mi andava che facesse lo stupido con quelle sgualdrine della band del mio babbo, non mi andava per niente!
Improvvisamente  bussarono alla porta ed io sobbalzai, chiedendomi di chi potesse trattarsi alle nove del mattino.
Mi specchiai un attimo nella maniglia della porta, o cavolo, avevo i capelli legati in una coda disordinata e il mio pigiama con gli unicorni rosa!
Speravo fermamente che  fosse solo qualche bambino che mi aveva fatto uno scherzo, anche se era piuttosto improbabile dato che i miei vicini di casa erano solo i nonni di Alex.
-Chi è?- chiesi, cercando in tutti i modi di sistemarmi tutti i ciuffi di capelli in disordine.
-Sono Jack, apri e non farti troppi problemi-
“Cavolo!” pensai, e rimasi qualche attimo con la mano sulla maniglia senza aprire ne dire niente.
-SANDY!- esclamò scocciato, ed io lo aprii per non peggiorare la situazione.
-Ciao Jackie, cosa ti porta qui?- dissi evidentemente imbarazzata.
Lui entrò nella mia “casa” e chiuse la porta alle sue spalle, agitandomi davanti al viso il sacchetto di Starbucks, nel quale si nascondeva chissà quale bontà.
-Oh Dio, ma sei gentilissimo!-
Annuì con un sorriso, poi mi squadrò dalla testa ai piedi ed io arrossii.
-Bel pigiama-
Mi coprii immediatamente il viso con le mani, e desiderai con tutto il cuore di sparire.
Jack ovviamente comprese il tutto e mi strinse tra le sue braccia.
-Guarda che adoro gli unicorni! –
Rise, ed io feci lo stesso. Un giorno quel ragazzo mi avrebbe fatta sciogliere con le sue paroline sempre tenere e carine nei miei confronti.
-Io adoro te, invece-
-Bene, però direi di rimandare a dopo le smancerie perché ora ho fame!- esclamò con l’espressione sul viso tipica dei bambini, capace di farmi sclerare per quanta dolcezza i suoi occhi mi suggerivano.
Gli feci cenno di sedersi accanto a me e poi estrassi da quel sacchetto i due muffin al cioccolato.
-Potrei abituarmici- sospirai, guardandolo di sottecchi.
-Io potrei abituarmi a questo invece…- disse in risposta, poi si sporse verso di me e mi lasciò un bacio sulla fronte.
-Vorrei sapere tutto questo romanticismo dove lo trovi-
Addentai il mio muffin e lui mi strizzò l’occhio in tutta risposta. Da ciò che avevo letto su internet, e da ciò che avevo visto su Twitter o Instagram, Jack sembrava proprio quel tipo di ragazzo spericolato da quale è meglio stare alla larga. Invece con me era spontaneo, simpatico, dolce.
Mentre io ero al secondo boccone lui aveva già mangiato il dolcetto e stava bevendo il mio caffè così gli diedi una scherzosa gomitata.
-Che c’è?- mi guardò con i suoi occhi grandi e color cioccolato ed io sorrisi.
-Mi piace passare del tempo con te-
-Anche a me piccola, però dovresti muoverti a mangiare quel muffin perché sono qui per una ragione precisa-
Deglutii e spalancai gli occhi. –Dimmi tutto-
Mi prese la mano e la strinse forte. –Ho parlato con tuo padre ieri, e lui mi ha incaricato di fare una cosa…-
-JACK MA COSA… COSA… ORA TI METTI DALLA PARTE DI MIO PADRE?-
Scattai come una molla, all’improvviso, e mi dimenai immediatamente dalla sua stretta.
-Sandy, cazzo, fammi finire di parlare!-
-Ti ascolto… procedi….- sbuffai, passandomi una mano tra i capelli.
-Conosce un tizio che sta cercando disperatamente qualcuno a cui vendere la propria proprietà, si tratta di un locale a scopo commerciale al centro, quindi mi ha chiesto di accompagnarti a vederlo stamattina.-
Focalizzai un attimo il tutto. Bene, mio padre aveva subito messo in atto il vago pensiero che gli avevo detto… ma che cavolo?! Senza dirmi nulla! Senza aspettare che prima tornassi in Irlanda, parlassi con mia madre…
-Jack, io non lo so… tu hai acconsentito? Ah, ecco perché mi hai portato il dolce, perché sei un ruffiano!- ringhiai, assumendo un broncio incancellabile.
Lui sbuffò, sbattendo un pugno sul tavolo.
-Volevo fare un piacere al Signor Wate, lo odio da morire e lo sai, ma credo che ha ragione. Adesso ha ragione. Ti sta dando una possibilità cara miss Tutto-mi-va-male e tu non la stai cogliendo!
Divenni rossa di rabbia, e dal nervoso una parte di me mi suggeriva di mollargli una sberla in pieno volto, ma cercai di contenermi.
-Come ti permetti di chiamarmi in quel modo? Davvero credi di essere mister mondo?-
-Sandy… mi hai fatto innervosire…-
Si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro con le mani piantate nelle tasche dei jeans scuri.
-Mi conosci da poco e già credi di potermi giudicare?-
-Non fare la paranoica, adesso.-
Ci guardammo negli occhi, eravamo entrambi un misto tra rabbia e nervosismo accumulato.
-Sii ragionevole- sussurrò in tono gentile, come se stesse cercando un modo per convincermi a cambiare idea.
-Jack, sono ancora molto scossa da ciò che ho scoperto, ho dei conti in sospeso con mia madre… non mi importa del mio sogno del cassetto-
Mi si avvicinò e posò la sua mano sulla mia spalla. Io lo guardai nei pozzi scuri che erano i suoi occhi e aspettai che dicesse qualcosa.
-E qui sbagli, Sandy. Hai diciotto anni, è arrivata l’ora di pensare un pochino a te stessa, non credi?-
La rabbia di un attimo prima sembrava essere sfumata, ed io stavo quasi per  replicare, ma lui ovviamente fece la sua mossa vincente, mi spinse verso la parete e posò le sue labbra sulle mie. Io opposi la mia minima resistenza, ma poi mi lasciai andare al bacio.
Aveva vinto lui, quella volta.
 
-Jack, giurami che non hai sbirciato mentre mi vestivo- gli dissi, mentre chiudevo la porta alle mie spalle e scendevamo le scale per uscire.
-No Sandy, non ti ho guardata nemmeno un po’!- sorrise, ed io non sapevo se credergli o meno.
-Beh, ad ogni modo non ti sei perso  nulla- dissi caustica, ormai la mia poca autostima e l’autoironia erano dei tratti portanti del mio carattere.
-Io non credo proprio invece…-
Mi sorrise sornione ed io scossi la testa, scendo in fretta le scale e allungando una mano verso la sua per stringergliela.
-Sul serio, Sandy. Credo davvero di perdermi molto-
Alzai gli occhi al cielo, ma in che razza di discorso mi ero messa? La perversione di Jack superava ogni limite, da quanto mi avevano detto delle voci fuori dal coro, quindi era meglio voltare pagina.
-Okay, ma di queste cose ne parli con i tuoi amici, va bene?-
Annuì e poi mi baciò sulle labbra in modo piuttosto dirompente, tanto che dovetti  fermarmi per non crollare, visto le ginocchia che volevano cedermi.
-Ciao Jack, come stai?-
La voce della signora Gaskarth ci fece sobbalzare entrambi, ed io mi nascosi immediatamente il viso con le mani. Che. Figuraccia!
-Signora, sto bene e lei?-
Anche il mio Barakat era imbarazzato, ma lo nascondeva molto bene.
-Sandy sei in ottima forma- mi rivolse la parola, ammiccando leggermente.
-Grazie, grazie mille. Ora però abbiamo da fare…ci… ci vediamo Margareth, arrivederci!-
Dissi in fretta e furia, poi presi Jack per il braccio e me lo trascinai dietro fino alla sua automobile.
-CAVOLO, JACK BASSAM BARAKAT, sono modi di baciarmi in un luogo pubblico, quelli?-
Esclamai a denti stretti, accertandomi che i finestrini fossero ben chiusi e che nessuno ci stesse sentendo.
-Sandy, rilassati! Ti ho dato un bacio, non ti ho mica stuprata!-
Gli lanciai un’occhiataccia. –Forza, andiamo.-
-Si capo!- mi rispose, e poi mise in moto.
 
 
Mio padre doveva essere davvero ricco e rinomato in città, e ciò non faceva che irritarmi ancora di più, visto che sapevo quante volte io e mia madre avevamo dovuto stringerci la cinghia in quegli anni.
Ad ogni modo cercai di sorridere  di essere carina con il tipo che PROBABILMENTE avrebbe venduto a mio padre l’immobile che poi sarebbe diventata la mia libreria.
Il posto doveva ricevere un completo stravolgimento perché era ammuffito e disordinato, ma se chiudevo gli occhi vi vedevo già ciò che avevo sempre sognato.
Quando l’acquirente se ne fu andato, lasciandomi il tempo di osservare il tutto, posai lo sguardo su Jack e sorrisi.
-Mi piace tanto,questo posto; e…se io avessi un po’ di coraggio chiamerei mio padre ora e gli direi “Ehi, compriamo quel posto”. E poi deciderei con te i colori da dare alle pareti, il nome da scrivere a caratteri cubitali sull’insegna…  e quindi deciderei di stabilirmi qui per sempre e riuscirei a dirti un dannato “ti amo, non abbandonarmi mai” e tu poi staresti via mesi interi per i tuoi tour ed io ti aspetterei qui, in questo posto… e tu torneresti da me ogni volta…-
Parlavo in fretta,  quasi balbettando, perché per una volta nella mia vita stavo esplicitando tutto quello che tenevo chiuso dentro con chiave e lucchetto.
Non mi resi nemmeno conto di stare piangendo… le lacrime rigavano le mie guance senza nemmeno che me ne accorgevo. Non ero triste, non ero arrabbiata… me la prendevo solo con me stessa. Perché sapevo che tutte le cose che avevo appena detto non si sarebbero realizzate mai.
Jack però comprese tutto e mi si avvicinò con calma, come si fa per un leone nella Savana.
Avrei voluto dirgli “vieni qui, non ti aggredisco”, ma sapevo che sarebbe stato inutile.
Mi prese per il polso e mi tirò a se, carezzandomi la testa e sussurrandomi “andrà tutto bene”.
Non sapevo se lui realmente ci credesse, a quella cosa, ma mentre parlavo di ciò che ci sarebbe potuto succedere, se io fossi stata coraggiosa, mi aveva guardato in un modo particolare.  Aveva avuto lo sguardo di un uomo innamorato.
Da bambina chiedevo a mia madre “ehi, come faccio a capire se un ragazzo mi ama?” e lei mi rispondeva “Lo riconoscerai da sola, quel modo di guardarti.”
E fu così. L’avevo riconosciuto.
Ed anche io ero innamorata di lui, speravo solo che lo capisse. Speravo solo che comprendesse che non ero una regina delle nevi come volevo far vedere.
-Non piangere più, vedrai che riuscirai, riusciremo ad uscire fuori da tutto questo e troveremo una soluzione.-
Mi asciugò le lacrime con il dorso della sua mano e poi posai le mie labbra sulle sue per sugellare quella specie di promessa con un bacio.
 
Passai tutto il pomeriggio a lavorare da Scottie, Flores e Claire erano state tutto il tempo impegnate in cucina, mentre io mi ero occupata dei tavoli.
Forse era stato meglio, visto che non avevo molta voglia di parlare. Mi sentivo solo un po’ fuori strada quel giorno. L’avevo detto, io, che il mercoledì bisogna stare sul piede di guerra!
Anche se quella volta la battaglia stava avvenendo tutta dentro di me.
Finii di lavorare a mezzanotte e dieci minuti, e ancora con la divisa addosso indossai solo una felpa, presi l’ombrello e senza salutare le ragazze uscii dal locale e mi misi ad aspettare l’ultimo autobus della sera sul ciglio della strada. Le sere iniziavano ad essere davvero fredde, tanto che mi tremavano i denti ed avevo le dita praticamente fuori uso a causa del gelo che faceva.
C’era qualcosa, però, che dovevo fare. Non potevo sempre rimandare, anche perché sulla mia pelle avevo capito che le cose brutte che la vita ci pone sul cammino, si affrontano a testa alta.
Estrassi il cellulare dalla borsa e guardai un paio di minuti lo schermo prima di comporre il numero di mia madre e chiamarla. Con il fuso orario dovevano essere le tre o quattro del pomeriggio.
Bip. Bip. Bip. Bip.
Quel suono mi era diventato fin troppo familiare. Era il suono di un rifiuto, di un abbandono. E se non mi avesse risposto l’avrei eliminata dalla mia vita… ero così stanca di essere triste, così stanca di trovare qualcosa e perderne un’altra…
 
 
Mi veniva quasi da piangere, ma poi sentii la sua voce, e tutto l’odio sembrò sfumare via, fuggire con le folate di vento che mi facevano rabbrividire.
-Mamma…-
-Ciao, Sandy. Come…come stai?- mi chiese, con la solita voce ferma, priva di qualsiasi emozione. O meglio, la voce di chi sa fingere molto bene.
-Sto. Tu invece? Ho provato a chiamarti così tante volte, mamma…-
Volevo sembrare forte, volevo essere come lei, ma non ci stavo riuscendo.
-Sandy, so di averti ferita tanto, per questo non avevo il coraggio di rispondere alle tue chiamate…-
Rimasi in silenzio, perché quella era la risposta che infondo dovevo aspettarmi, ma che invece mi stava lacerando dentro.
-Sapevi quanto ho sofferto a causa di mio padre, e tu stavi per commettere il suo stesso errore…-
-Non lo meriti. Non meriti ne me , ne mio padre… credevo che tu fossi felice lì in America, ma ti trovo in lacrime…-
-Sto piangendo perché è come se tu ti fossi liberata di me, mamma!- gridai, asciugandomi gli occhi con la manica della felpa.
-Non mi sono liberata di te, San. Mi machi, te lo giuro… tesoro, a Natale ci vedremo di nuovo , ti abbraccerò come facevo quando eri piccola e so già che tu mi perdonerai perché il tuo cuore è grande.-
Ancora silenzio, da parte mia. Conficcai le unghie nel dorso della mano che reggeva il cellulare, come per darmi un contegno, ma ormai le lacrime mi rigavano il volto ed io non potevo fare niente per fermarle…
-Dovrei portarti rancore, per avermi nascosto qualcosa di così importante, però non ci riesco, non ci riesco e non ci riesco…-
Mamma non disse nulla, ma provai ad immaginare la sua espressione segnata , sul volto pallido che aveva, incorniciato dai capelli ondulati e biondi.
Lei ne aveva passate tante quanto me, ed io…che finalmente avevo trovato Edward Wate, non ebbi il coraggio di essere arrabbiata per l’ennesima volta con uno dei miei genitori. O almeno, non lo ebbi in quel preciso momento.
-Ti voglio bene, nonostante tutto. E non vedo l’ora che sia Dicembre, per poterci vedere di nuovo.-
-Anche io te ne voglio, Sandy. Tu sei l’unico tesoro prezioso della mia vita. Manca un mese a Natale, precisamente un mese.-
Annuii, non mi ero nemmeno accorta che Novembre stava inesorabilmente passando.
-E’ arrivato il mio autobus, devo…devo andare…- biascicai, con la voce nasale di chi  si sforza di placare il pianto.
-Ti chiamerò ogni giorno, da oggi in poi. Buonanotte Sandy-
Sorrisi, un piccolo, minuscolo sorriso. Poi chiusi la chiamata e le porte dell’autobus mi si aprirono davanti.
Ne erano successe così tante, anche quel giorno.
Volevo solo tornare a casa, chiamare Jack e parlare con lui fino ad addormentarmi.
 E sperare che un giorno, tutto si sarebbe risolto.
 

 
CIAO RAGAZZE *tipico inizio dei video di Clio Makeup*
Tutte tristi/arrabbiate perchè Sandy ha questa malsana idea di tornare in Irlanda, vero? Hahahahaha, non vi dico come si evolverà il tutto ma state certe di una cosa: non c'è nulla di cui preoccuparsi, io vi riservo sempre tante sorprese! u.u
Vi ringrazio sempre di cuore per essere così carine a recensire, non so cosa farei senza di voi <3
Oggi sono stata interrogata in filosofia ed è andato tutto bene, quindi mi sento decisamente meglio!
Arrivederci e a presto, babes. ;)

_stargirl

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


 
Capitolo XV
 
Jack
 
Erano tre giorni che non vedevo Sandy, ormai tra le mie prove e i suoi improponibili orari da Scottie non riuscivamo più a vederci. Parlavamo a telefono ogni sera prima che lei crollasse nel sonno, nel bel mezzo di una conversazione.
Io ero un tantino frustrato, volevo sapere cos’eravamo, volevo capire cosa provava… non sapevo come interpretare ciò che mi aveva detto qualche giorno prima nell’immobile che eravamo andati a vedere. Quel suo “ti amo” era stato ipotetico senno di poi oppure come realtà oppure come una menzogna.
Avevamo suonato Return the favor, quella mattina, ed io mi ero ritrovato a pensare a lei, a noi, a come mi sentivo quando l’abbracciavo, quando sorrideva…quando mi baciava.
Era venerdì, e quella sera ci sarebbe stata una festa in una discoteca al centro, alla quale eravamo stati ovviamente invitati; magari potevo chiedere a Sandy di venire con me, le avrei presentato il resto della ciurma e così avrebbero smesso di rompermi le palle ogni volta che mi vedevano anche vagamente distratto.
 
-Jack, allora, come procede con la cameriera di Scottie?-
La voce di Alex, il mio migliore amico, mi riportò alla realtà.
“Come non detto”, pensai, e poi mi voltai alla mia destra, dov’era seduto lui.
-Procede bene, avevo pensato di invitarla alla festa di stasera…-
-Amen! Finalmente possiamo conoscerla!- intervenne Rian, facendo capolino dalla porta della sala prove.
Lo guardai facendo una smorfia.
-Farvela conoscere sarebbe come ufficializzare il tutto, vero?-
Alex annuì. –Sarebbe anche ora, non credi?-
Alzai gli occhi al cielo, certe volte sapevano davvero essere insopportabili, i miei cari amici.
-Lex, ti ho già detto che ci baciamo e cose del genere, ma lei non ha mai accennato qualcosa come “Oh Jack, sei il ragazzo migliore che io abbia mai avuto!”- dissi con un po’ di rabbia, e sbuffando sonoramente.
-Magari lei si aspetta che sia tu a dirlo…-
-Che palle. Che palle. Che palle. Che palle, Alex!- quasi gridai, alzandomi di scatto in piedi.
Le ragazze proprio non le capivo, forse era per quello che in venticinque anni di vita non avevo mai avuto storie anche lontanamente serie.
-Un po’ alla volta Jack, non ti spazientire! Vedrai che con Sandy andrà tutto andrà bene, alla fine-
Rian era sempre così dannatamente ottimista, lo invidiavo. Riusciva a trovare un lato positivo in tutto, mentre io mi incazzavo, iniziavo a dire parolacce a raffica ma non trovavo una soluzione razionale alle cose.
Mi domandavo dove fosse finito Zack, ci mancava solo lui, quel giorno, a farmi la parentale. Alex, Rian, mancava solo lui, sul serio!
Non che mi desse fastidio, ma mi facevano sentire come l’eterno bambino e coglione della situazione. E forse lo ero anche, ma mi sentivo frustrato ultimamente e loro inferivano.
Alex mi posò una mano sulla spalla per attirare la mia attenzione, quindi lo guardai negli occhi con fare interrogativo.
-Jack, ora che ci penso mi è venuta un’idea.  Tu sei da sempre stato accomodante con questa ragazza. Voglio dire, nonostante la sua incontrollabile emotività l’hai sempre trattata bene…-
Annuii, quello che diceva era esatto, ma io proprio non capivo dove voleva arrivare.
-Ricordi la nostra canzone, “Bad enough for you”? Credo proprio che dovresti fare un po’ stronzo con Sandy in modo che si decide a prendere una decisione.- affermò convinto, ma io lo guardai perplesso, senza dire nemmeno una parola.
In precedenza mi era quasi naturale fare lo stronzo o il cretino con le ragazze, ma con Sandy era tutto diverso! Probabilmente a causa del suo passato difficile del quale ero venuto a conoscenza, non riuscivo mai a dirle qualcosa di più diretto, di più tagliente.
-Non so, Alex.- mi limitai a dire, portandomi la testa tra le mani.
Ma perché l’amore doveva essere così complicato e difficile? Beati gli animali, che invece si accoppiano con una facilità estrema! Beati i leoni, che fanno delle leonesse ciò che vogliono e ne possono cambiare a volontà!
Quel pensiero era un po’ stupido e infantile, ma io ero comunque Jack il bambino di venticinque anni, no?!
 
Una  volta concluse le prove, fieri di noi, raccogliemmo tutte le nostre cose e dopo aver bevuto l’ennesima birra ci precipitammo ognuno nella propria auto diretti verso casa.
La festa di quella sera si prospettava piuttosto divertente, e se Sandy avesse risposto al mio messaggio probabilmente sarei stato ancora più felice. Con lei nei paraggi, non potevo sentirmi da meno.
Ero rimasto solo io chiuso lì dentro, così mi diedi una mossa ed uscii dalla casa discografica, leggermente esausto.
Sull’uscio della porta incontrai Edward Wate, quell’uomo patetico e sempre rampante, nonché padre della mia pseudo-fidanzata.
-Salve-
Lo salutai con un semplice gesto della mano, speranzoso di non dover intraprendere con lui una specie di conversazione, visto che non mi andava.
-Jack, come stai? Volevo domandarti una cosa- si affrettò a dire lui, sempre con quel  sorriso incancellabile sul volto. Era come se avesse una paralisi o qualcosa del genere… anzi, aveva anche una parrucca! Perché, com’è possibile che avesse una capigliatura folta quasi quanto la mia?!
-Dica- risposi semplicemente.
-Volevo sapere se Sandy è interessata a quella cosa della libreria… abbiamo parlato a telefono ma lei sembrava piuttosto scettica, io…-
Lo interruppi, alzando un sopracciglio.
-Perché non lo domanda a lei? Sandy sta considerando varie opzioni, ma non sono io a doverglielo dire, signor Wate.
-Senti, questa storia dell’astio tra di noi deve finire…-
-No. Non finirà fino a che lei non si deciderà a fare il padre con Sandy. La chiami, e cerchi di capire la sua posizione.- dissi freddo, sibilando bene ogni parola.
Ero innamorato di sua figlia, e volevo che lui attuasse un comportamento decente con lei. Non potevo sempre essere il suo mezzo per giungere a Sandy, assolutamente no.
-Tutto chiaro… a presto, Barakat.- concluse lui, facendomi un cenno e poi dandomi le spalle.
Ecco, se le cose tra me e Sandy si fossero evolse, dovevo fare un po’ di chiarezza con Edward.
Ma solo se lei me l’avesse chiesto, non ero un tipo da ritornare sui propri passi. Proprio per niente.
 
Una volta arrivato a casa mi precipitai direttamente verso la dispensa, presi degli Oreo, i miei biscotti preferiti, mi piantai davanti alla televisione e iniziai a mangiarne a più non posso.
Avevo assunto proprio il comportamento dell’uomo single e depresso. Anche se, completamente libero, io non lo ero.
Proprio mentre pensavo quelle cose mi squillò il cellulare, così allungai una mano verso quest’ultimo e notai il nome che lampeggiava sullo schermo: Sandy.
Sospirai e abbassai il volume del televisore, poi risposi.
“San, dimmi tutto”
“Jackieeeeeeeeeeeee!” urlò lei, dall’altra parte del telefono, e immediatamente un sorriso ebete mi apparve in volto.
“Hai ricevuto il mio messaggio?”
“Certo, e credo proprio che ci verrò in discoteca. Ad una condizione, però.”
Spalancai gli occhi. “Dimmi pure”
“Flores viene con me” esordì lei, e sentii la risata dell’amica , che probabilmente stava proprio vicino a Sandy.
“Ma certo, Zack adora le spagnole” scherzai, accennando una risata.
“Perfetto! Allora ci passi a prendere tu, mi sembra ovvio. A stasera Jackie”
Non mi diede nemmeno il tempo di risponderle che  aveva chiuso la chiamata.
Sembrava fosse di buon’umore, per fortuna.
Quella sera ci saremmo chiariti, oppure no?
Chi lo sa.



Capitolo di passaggio, uno di quelli che si devono scrivere per forza e dei quali non si è mai mai convinti :c
Ad ogni modo è andata, adesso sono stanca e vado a dormire.
A presto tesori ;) <3


_stargirl

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI
 
Sandy

 
Io non ci ero mai andata, in una discoteca. Ovviamente non l’avrei detto mai e poi mai a nessuno, ma avevo sempre creduto che quei posti non facessero per me. E poi, senza degli amici, come ci sarei potuta andare?
Ma nella vita c’è sempre una prima volta! Peccato che io ero piuttosto “indietro” rispetto alle altre diciottenni, o forse ero io che vedevo solo chi invece aveva corso troppo in fretta?
Flores aveva solo due anni in più a me, però aveva già stata a New York, aveva già avuto rapporti sessuali, era già stata in diverse discoteche e la sue esperienze sentimentali non erano fatte solo di un ragazzo.
Purtroppo, riuscivo a spiegarmi tutte quelle cose solo in un modo: lei era molto bella, io invece no.
Le volevo bene, per carità, ma non appena andai ad aprirle la porta e me la trovai davanti in un tubino color ciliegia sentii la mia autostima ruzzolare giù per le scale, frantumarsi in mille piccoli pezzi e poi disintegrarsi.
Piacevo davvero, a Jack, oppure no?
Me l’ero chiesto molte volte, anche perché mi sembrava strano che il membro di una rock star, conoscente di donne realmente bellissime come Demi Lovato o altri mille nomi, potesse interessarsi proprio a me, Sandy Wate.
Cercai di non pensarci troppo, non quella sera. Volevo svagarmi un po’, e me lo meritavo anche dopo una settimana di intenso lavoro, dopo una serie di sconvolgenti eventi, e sopra tutto dopo che mia madre finalmente si era fatta viva.
 
-Questo vestito ti sta una meraviglia, querida- disse Flo, sorridendomi con i suoi denti bianchi e scintillanti, messi in risalto dalla carnagione olivastra.
Abbozzai un sorriso e mi guardai allo specchio, insicura.
Indossavo un semplice vestitino a maniche corte blu scuro, corto fin sopra il ginocchio. Sul retro aveva un fiocco proprio alla fine di una scollatura che lasciava scoperta gran parte della schiena. Avevo lasciato i lunghi capelli ricadermi in tanti boccoli castano-dorati, ed ovviamente indossavo dei tacchi non eccessivamente alti.
-Sei più bella tu, stasera farai faville, ne sono certa.-
La guardai e le strizzai l’occhio, poi mi avvicinai camminando piano sui tacchi ed allargai le braccia per stringerla.
-Somos ambos hermosas- disse con un sorriso e la sua voce squillante.
Era così carina, quando parlava spagnolo! Sul serio, quella lingua era interessante.
Aprii la bocca come per dire qualcosa ma squillò il mio cellulare, così andai a vedere di chi si trattava e trovai un sms di Jack, il quale mi avvisava che era giù e ci stava aspettando.
-C’è Jack che ci aspetta- le annunciai,  e Flo rise, dicendo “Ti illumini quando parli di lui”.  E non potevo darle torto, perché quel ragazzo mi faceva sentire proprio bene, era il mio Superman.
 
Per scendere le scale, ghingherlate com’eravamo io e la mia amica ci mettemmo più di dieci minuti, ma alla fine giungemmo da Jack, il quale ci salutò con un sorriso.
Flores si sedette nei sedili posteriori ed io invece vicino a Jack, il quale mi  salutò con un bacio sulla fronte.
Sapevo che aveva da dirmi qualcosa, perché aveva quell’espressione sul viso che conoscevo, quel mezzo sorrisetto in grado di incuriosirmi, ma magari non apriva bocca perché c’era Flo con noi.
Ogni tanto mi voltavo a guardarla, e lei mi sorrideva gioiosa. Non potevo che essere felicissima di aver trovato in lei un’amica fidata, ogni persona al mondo ha bisogno di qualcuno a cui fare affidamento, no?
 
Una volta arrivati a destinazione, presi Flo sottobraccio e sorrisi tesa, di lì a pochi minuti avrei conosciuto gli amici del mio pseudo-ragazzo, ed ero seriamente preoccupata di non piacergli. Voglio dire, si trattava comunque degli All time low, e in quel momento migliaia di ragazzine avrebbero venduto l’anima pur di essere al mio posto.
-Credi che gli piacerò?- sussurrai all’orecchio della mia amica, e lei annuì convinta.
Ad ogni modo, io lo speravo proprio tanto.
Jack fece capolino dietro di noi e mi scompigliò i capelli con la mano, poi ci fece cenno di seguirlo.
Quel posto era oggettivamente carino, ma già a priori sapevo che non faceva per me. Le pareti erano colorate di un rosso corallo, ma con il buio che c’era e i neon verdi e blu le luminosità era minima, fattore che mi infastidiva.
-JAAAAACK, FINALMENTE LA CONOSCIAMO.-
Una voce urlante mi fece sobbalzare, e non appena posai lo sguardo alla mia destra notai un ragazzo venirmi incontro con un sorriso smagliante e i capelli un po’ sparati in aria tipo quelli di Jack.
Vista l’espressione sul volto di Flo, quello doveva essere sicuramente Alex Gaskarth.
-Alex, lei è Sandy-
Allungai una mano verso di lui e sorrisi. –Piacere di conoscerti, devi essere Alex-
-Esatto, sono io. Mentre lei è la tua amica, lavora con te da Scottie.-
Indicò Flores e strinse anche la sua mano, poi tornò su di me e mi squadrò dalla testa ai piedi.
-Sei…sei davvero la ragazza che speravo il mio migliore amico potesse conoscere- esordì, facendomi diventare rossa come un papavero.
-D-davvero? Sono felice-
Gli sorrisi, era davvero un bel ragazzo, quell’Alex. I capelli castani, gli occhi nocciola e quell’aria da leader che avrebbe fatto impazzire chiunque.
Sospirai e poi cercai la mano di Jack, -che non aveva detto nemmeno una parola- e gliela strinsi.
-Oh, stanno arrivando gli altri- mi disse, e insieme a Flores e Alex ci avvicinammo a due ragazzi ben piazzati; uno aveva il sorriso più bello che avessi mai visto, l’altro invece doveva aver passato la sua intera vita in palestra, ma in compenso sembrava anche piuttosto timido.
-Io sono Rian, lui è Zack!- esclamò bel-sorriso ed io strinsi a entrambi la mano, constatando che gli All time low erano davvero dei fighi assurdi!
-Piacere di conoscervi- esclamai, poi indicai Flo. –Lei è una mia cara amica, conosce tutte le vostre canzoni a memoria-
Accennai una risata e Jackie mi tirò per il braccio, trascinandomi a qualche metro di distanza tra loro.
-Che c’è?- gli chiesi, ma lui scrollò le spalle.
-Nulla, mi assicuro solo che non passi troppo tempo con i miei amici-
Lo guardai con fare interrogativo, un po’ confusa. –E perché?-
-Perché sono quattro giorni che non ci vediamo, quindi mi sei mancata.-
Gli pizzicai una guancia, era così dannatamente tenero e carino!
-Anche tu mi sei mancato- bisbigliai, poi allargai le braccia e mi fiondai da lui, che mi strinse forte forte.
-Sei davvero bellissima stasera, ancora più del solito-
-Nemmeno tu scherzi…- constatai, e in effetti se non avessi avuto un minimo di pudore e logica avrei potuto benissimo saltargli addosso.
Certo, quelli erano pensieri piuttosto rudi da parte di una fanciulla, ma sfido tutte le maestre di bon-ton a resistere a un Jack Barakat col giubbotto di pelle addosso.
-Sandy, non puoi prestarmi Jack per un po’? Il tempo di una bevuta-
Ecco come Alex Gaskarth può mettere fine alle fantasie di una diciottenne alle prese con il suo primo pseudo-ragazzo.
-Certo, è tutto tuo- risposi, e lasciai gradualmente la mano di Jackie per lasciarlo andare con il suo migliore amico.
Sbuffai, e poi ritornai dove Flores, Rian e Zack stavano parlando, ma non li trovai. Così mi guardai attentamente intorno e notai che erano seduti su alcune poltroncine all’angolo della sala.
Mi feci spazio tra la folla e giunsi dalla mia amica, che trovai intenta a chiacchierare animatamente con Zack, il muscoloso per eccellenza.
-Ciao ragazzi- li salutai agitando la manina e poi mi accomodai anche io, e presi parte alla loro conversazione.
Circa dieci minuti più tardi ebbi la certezza che quei due avrebbero combinato qualcosa, e di lì a poco io sarei stata la terza incomoda.
 
Le mie teorie risultavano essere esatte. Zack e Flores, circa una o due ore più tardi stavano al centro della pista da ballo a ridere e divertirsi come matti, ed io non potevo che essere felice per la mia amica.
Quanto a me, stavo ancora seduta su quella poltroncina a bere the alla pesca. Ridicolo, realmente ridicolo.
Volevo passare del tempo con Jack, ma a quanto pare la “bevuta” si era trasformata in una lotta al “chi finisce prima la bottiglia”, e invece me ne stavo seduta a far niente.
Non ero il tipo da alzarsi e buttarsi nella mischia, quindi me ne stavo lì buona buona ad osservare la scena come uno spettatore.
“Tanto meglio” pensai per consolarmi “almeno a fine serata non avrò male ai piedi.”
Se solo Flor non si stesse divertendo così tanto la avrei chiamata e ce ne saremmo andate via a piedi, perché non avevo voglia di passare lì dentro un minuto di più.
-Qualcosa non va?-
La voce di Rian mi trasse via dai miei pensieri.
-Tutto bene, tranquillo.-
-Non sembra, ma dov’è finito Jack?-
Roteai lo sguardo e poi sbuffai. –Sparito-
Il ragazzo corrugò la fronte e poi mi porse la sua mano. –Vieni, andiamo a cercarlo-
Ci pensai su qualche secondo e poi mi alzai, afferrando la mano del ragazzo.
-Mi ha detto che sarebbe stato via con Alex solo qualche minuto, ma le ore passano…-
-Jack perde la concezione del tempo-
Scrollai le spalle, e seguii Rian in un giro panoramico dell’intera discoteca. Ad un certo punto inizia a credere persino che se ne fosse andato, lasciandomi lì da sola.
Ma poi…
-Eccovi! Vi stavamo cercando!- esclamò il batterista, ma tutto ciò che si presentava ai miei occhi era uno spettacolo non pessimo, di più.
Jack ed Alex erano evidentemente ubriachi. Ubriachi fradici. Blateravano su cose assurde, ridevano come matti e agitavano i loro bicchieri rossi come se niente fosse.
-C-cosa?- balbettai, facendo un’espressione inorridita.
Rian alzò gli occhi al cielo e poi cercò di ragionare con i due, che però non sembrava riuscissero a capire.
-Sandy, ti dispiace portare Jack a casa? Credo sia meglio così…di Alex mi occupo io-
Annuii a Rian, e prima che potesse sparire nella folla con Alex sotto il braccio gli dissi “Dici a Flores che sto andando, sono sicura che a Zack non darà fastidio accompagnarla a casa”.
Jack mosse qualche passo verso di me e mi si gettò tra le braccia. Io non dissi niente, ma non ebbi nemmeno il coraggio di mandarlo via, quindi rimasi immobile.
-Forza, andiamo!- gridai e me lo scollai di dosso; molto probabilmente saremmo morti entrambi, visto che alla guida io ero pessima.
Incrociai le dita e con Jack sottobraccio mi avviai fuori dal locale. Respirai un po’ di aria pulita e poi frugai nelle tasche del mio chitarrista fino a che non trovai le chiavi dell’automobile.
-Oh Sandy ti prego perdonami…- biascicò, ed io feci finta di nulla; poi lo aiutai a salire in auto, gli misi la cintura di sicurezza e andai a mettermi al volante.
Pregai un ipotetico Dio di far durare quel tragitto il prima possibile, accesi il motore e  guidai verso casa di Jack.
 
TO BE CONTINUED…


CIAO A TUTTI! eccoci qua con un nuovo capitolo u.u
Allora, probabilmente mi starete odiando perchè non è concluso, ma io volevo creare un pò di suspence! Ah, c'è un altro motivo per il quale vorrete uccidermi: I Snack non si sono ancora chiariti riguardo ai loro sentimenti... HAHAHAAH l'agonia durerà poco, però, ve lo giuro.

Come al solito DEVO ringraziare chi legge e chi recensisce e in particolar modo @_redsky_ e @Layla, perchè recensite sin dall'inizio, non mi abbandonate e mi rendete tanto felice. Vi adoro. <3


Alla prossima, *sending virtual hugs* ;)

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII
 
Sandy

 
 
Eravamo arrivati a casa sani e salvi. Quello era stato un miracolo, sul serio.
Sull’uscio della porta di casa sua, Jack mi passò le chiavi , balbettando qualcosa di incomprensibile.
Ancora non gli avevo rivolto la parola, infatti , una volta entrati in casa , mi si attaccò a un braccio, facendo un’espressione dolcissima.
-Cosa c’è, Jackie?-
-Sandy, ti hanno mai detto che negli occhi hai l’Irlanda?- esclamò, provocandomi una leggera risata.
-Ma cosa dici?- chiesi, muovendo qualche passo verso il salotto, dove giorni prima io e  lui avevamo messo in discussione per la prima volta sul serio i nostri sentimenti.
-Negli occhi hai l’Irlanda!- ripeté, questa volta quasi urlando.
Doveva essere ubriaco proprio fradicio, se continuava a ripetermi quella cosa alquanto divertente.
-NEGLI OCCHI HAI L’IRLANDA! Sono verdi! Come le praterie, i quadrifogli e i lepracauni…-
Mi fermai un attimo e lo guardai sorridendo. –Sei uno sciocchino! Ed io dovrei essere arrabbiata con te ma non ci riesco…-
Rise come un ebete. –Allora non esserlo-
-Di questo ne discutiamo domani, ora andiamo di sopra e tu fili a letto!- dissi in tono autoritario, come se fossi sua madre.
-Sandy, ti prego, dormi con me!-
Annuii.
-Sandy, dammi un bacino- mi pregò piegando le labbra in un’espressione triste.
Di nuovo nei suoi occhi scuri c’era la dolcezza di un cucciolo di panda, alla quale ovviamente non avrei resistito mai e poi mai.
-E va bene-
Lasciai che mi prendesse il viso tra le mani e lo baciai sulle labbra, sorridendo appena.
-Sandy, mi piaci così tanto…-
Gli sorrisi. –Anche tu Jack, e mi piace anche il modo in qui dici il mio nome-
Portò una mano sulla mia schiena e mi avvicinò di nuovo a lui, per baciarmi ancora. Io mi lasciai andare, anche se era ubriaco e l’indomani si sarebbe dimenticato di tutto.
Posai le mani sulle sue spalle e continuai a baciarlo per un bel po’, anche se ormai stavamo tralasciando tutte le fattezze dolci e caste per abbandonarci a qualcosa di un tantino diverso.
Socchiusi gli occhi, infondo era tutto così bello e nuovo per me che era una fatica fermarlo.
Ma quando la sua mano iniziò a giocherellare con la zip del mio vestito dovetti mettere un freno al tutto.
-Sei ubriaco, rimandiamo a un’altra volta, okay?- dissi a un passo dalle sue labbra, mentre il mio cuore batteva talmente forte da fare concorrenza a un treno ad alta velocità.
Mi portai una mano sul petto e Jackie mi accarezzò la guancia.
-Sei emozionata?-
Scossi la testa, poi passai un braccio intorno alla sua vita e lo aiutai a salire le scale;  quello non era proprio il momento adatto per inscenare un argomento talmente delicato, che con me andava discusso con calma e pazienza.
A piccoli passi arrivammo nella sua camera da letto, alla quale ovviamente mi guidò lui, perché io non l’avevo mai vista.
Sulla porta vi era scritto a caratteri cubitali “Jack’s room”, mentre all’interno le pareti erano blu cobalto, e sul letto a due piazze al centro della stanza c’erano numerosi peluches, tra i quali scorsi quello di Jake il cane giallo  di Adventure time.
-Ti piace?-  balbettò, gettandosi sul letto.
-Certo, sembra quella di un bambino. Ascolta Jack, devi vomitare?- gli domandai premurosa, poi mi tolsi le scarpe dai piedi e le sistemai vicino al comodino.
-No, no… voglio solo dormire perché sono stanco…-
Mi faceva così tenerezza, anche in quel pessimo stato.
-Va bene, allora ti tolgo le scarpe e poi ti metti sotto le coperte-
Mi avvicinai a lui e piano piano gli sfilai le Vans, lo coprii con il piumone e  gli misi una mano sugli occhi.
-Jack chiudi gli occhi, devo togliermi questo vestito-
Tolsi la mia mano e lui prontamente si portò le sue a coprirsi gli occhioni da Bambi. Ci misi un po’ ad abbassare la zip del vestito, ma poi riuscii a levarlo via.
Aprii a caso uno dei cassetti dell’armadio di Jackie e estrassi una t-shirt grigia che mi stava come un vestitino. La  indossai e poi andai a mettermi accanto a lui.
-Mi stringi?-  sussurrai, lievemente imbarazzata.
Non rispose, ma prontamente mi cinse i fianchi con le sue braccia ed io appoggiai la testa al suo petto. Sentivo il battito regolare del suo cuore scandire una specie di ritmo, e lui respirava tranquillo nonostante la sbornia.
-Sandy…- sussurrò appena, e quando alzai lo sguardo verso di lui lo trovai con gli occhi socchiusi e la bocca semi aperta. Si stava decisamente addormentando, perché faceva quei versetti tipici dei neonati che stanno per addentrarsi nel mondo dei sogni.
Ridacchiai, sapeva essere stupido e dolce come pochi…ma era il mio eroe, e non l’avrei cambiato con nessuno.
Allungai una mano ad accarezzargli i capelli scuri e pensai che, nonostante tutto, ero incapace di portargli rancore. Si era lasciato andare, e a volte tra amici capita, l’importante era non farlo succedere spesso.
Avrei voluto dirgli che mi ero innamorata di lui, quella sera. Gliel’avrei detto senza porre all’inizio della mia frase quel dannato “se”, che molto probabilmente aveva reso Jack insicuro quanto me nei riguardi di quel sentimento che ci univa.
Si mise a pancia in giù e blaterò qualcosa che non capii, così mi sdraiai al suo fianco e gli sfiorai la guancia con le dita.
Mi schiarii la voce e, consapevole del fatto che non mi avrebbe sentita, iniziai a parlare sottovoce.
-Jack,  sono proprio innamorata di te. Nessun “se”, nessun “ma”…solo ti amo. Ti amo, Jack. E molto probabilmente non ricorderai niente di tutto ciò, l’indomani. Quindi buonanotte.-
Parlai con dolcezza, in modo da non disturbare il suo sonno. Poi mi rannicchiai su di un lato e chiusi anche io gli occhi, cercando invano di dormire.
Quelle che avevo nello stomaco erano api assassine, non farfalle!
Però, se un amore ti fa sentire talmente pieno di adrenalina da  toglierti anche il sonno, beh, allora ne vale proprio la pena.
 
 
Jack
 
La parole di Sandy continuavano a riecheggiare nella mia testa come se fossero solo un lontano ricordo.
Le luci fioche del mattino illuminavano solo una parte del mio letto, lasciando me ancora nell’ombra. Non avevo molta voglia di svegliarmi, un po’ perché il dopo sbornia è sempre terribile, un po’ perché avevo una terribile paura di aver semplicemente sognato tutte quelle belle parole di Sandy.
La sveglia segnava le nove del mattino e dei fastidiosi rumori provenienti dal piano di sotto mi davano la certezza che San fosse ancora in casa, per fortuna.
Avevo combinato un bel casino ubriacandomi, e anche se Sandy quella notte era stata gentile con me, non significava che avesse completamente rimosso la mia cazzata dal cervello.
Mi rigirai tra le lenzuola, avevo tanta voglia di prendermi a cuscinate in faccia! Era fin troppo strano che non stavo combinando stronzate! Ed ecco che avevo subito rimediato.
“Jackie, devi svegliarti hai la prove stamattina!”
La voce squillante di Sandy mi fece sorridere, quella era davvero la ragazza di cui avevo bisogno. Sarebbe stato fin troppo bello poter svegliarmi ogni mattina con lei nei paraggi, ma se volevo che si realizzasse quella specie di desiderio, dovevo andare di sotto e dirle finalmente che DOVEVAMO necessariamente chiarire i nostri sentimenti.
Avrei detto che si trattava di uno “skinny love”, che per antonomasia significa “due persone che si amano ma che non hanno il coraggio di dirlo”, ma desideravo tanto togliere quello “skinny” di mezzo.
-Arrivo!- le risposi, poi misi i piedi sul tappeto, mi stiracchiai un po’, stropicciai gli occhi e come uno zombie mi avviai verso il corridoio.
-Jack, devo andare a lavoro, ti prego svegliati o me ne vado!-
La sentii gridare ancora, quindi mi affrettai a scendere le scale, anche se sembravo uno zombie che non è sopravvissuto a una sparatoria.
-Buongiorno Sandy- dissi con la voce ancora impastata dal sonno e lei mi rispose con un sorriso raggiante.
Ma dove la trovava tutta quella forza?!
Era bellissima, con indosso la mia t-shirt grigia e i capelli legati in uno chignon disordinato sulla nuca.
-Ho preparato i waffles con il miele-
Annusai l’aria, c’era un buon odore in ogni dove. Mi sedetti immediatamente a tavola e la guardai negli occhi come se fossi un bambino.
-Come ti senti? Non hai una bella cera-
Si sedette di fronte a me e iniziò a spalmare il miele sui waffles, guardandomi di sottecchi.
-In effetti ho mal di testa, i post sbornia sono sempre così… ad ogni modo, volevo chiederti scusa- sussurrai e le mostrai subito il più dolce degli sguardi, in modo da “comprarmela”.
-Con quegli occhioni scuri non possono essere arrabbiata con te- rispose, e allungò una mano ad accarezzarmi una guancia.
“Ye! Ho vinto!” pensai, e non appena mi porse il waffle lo addentai.
-Però. Però…che non capiti più, Jack.- aggiunse autoritaria.
-Okay, lo giuro! Comunque questo cofo è  buoniffimo!- parlai con la bocca piena, provocando in Sandy una fragorosa risata.
-Okay, okay, si vede che hai gradito-
Le feci una linguaccia e poi iniziai a pensare a un discorso mentale da farle, per integrare il discorso riguardo a noi due, a quella cosa che condividevamo insieme…
Cioè… io della notte precedente ricordavo tutto, solo come se fosse un film in bianco e nero!
Ricordavo persino che me la volevo sco..  “No Jack, non essere volgare” mi suggerii la voce della coscienza, quindi lasciai andare quella parola… e poi lei mi aveva detto “ti amo” ed io…
-Jack, a cosa pensi?-
Alzai lo sguardo dal cibo e la trovai con il mento appoggiato sul dorso della sua mano, a guardarmi fisso negli occhi.
Dovevo dire la verità. Altrimenti sarei stato ancora più male! Già avevo un mal di testa assurdo, quindi…
Ingoiai l’ultimo boccone di quella bontà, deglutii e…iniziai a parlare.
-Sandy, pensavo che… adoro passare il tempo con te. Cioè, sei una ragazza fantastica, un po’ lunatica, ma comunque piacevole e… ogni volta che ti sono vicino mi sento diverso, come se tutto ciò di cui avessi bisogno è soltanto il tuo sorriso. Stanotte poi, magari ho solo sognato, ma tu… tu mi hai detto delle cose bellissime…-
Parlai con calma, e notai subito che le sue guance erano diventate rossastre, aveva l’espressione di chi è talmente felice da non poter contenersi, ma allo stesso tempo sembrava imbarazzata e continuava a torturarsi le dita. Fatto sta che anche io  mi sentivo in quel modo.
-Jack allora…allora ti ricordi?-
Annuii. –Certo, ma credevo non fosse vero, d’altronde ieri ho bevuto un bel po’-
Scosse la testa ed allungò la sua mano per stringere la mia.
-Okay, allora è giusto che te lo ripeta ora che sei sobrio. Ti amo, Jack Barakat.-
Sorrisi come un ebete, non ero mai stato talmente felice come in quel momento, avevo voglia di stringerla, e tenerla tutta per me.
-Anche io ti amo, Sandy Wate-
Rimase in silenzio per un attimo, ma poi si alzò dalla sua sedia per venirmi ad abbracciare.
-Ehi…- le dissi dolcemente, e la presi per il polso per farla sedere sulle mie gambe.
-Jack non puoi credere quanto io sia felice ora! Finalmente!-
-Anche io Sandy, anche io. Alla fine ce l’abbiamo fatta- ammisi, e la strinsi forte forte tra le mie braccia.
-Per la prima volta nella mia vita sento che…non devo avere paura, andrà tutto bene!-
Le accarezzai la testa, ed annuii. –Te lo prometto che tutto andrà bene, non ti devi preoccupare-
Con il suo naso mi solleticò il collo e quindi risi, pensando che a volte la vita è così dannatamente bella!
In quel momento, non c’era niente che mi mancava! Avevo successo, amici e una ragazza fantastica al mio fianco.
 
Mi aveva chiamato Rian , annunciandomi che le prove sarebbero iniziate con mezz’ora di ritardo. Quella mattina le belle notizie erano all’ordine del giorno! Anche se avrei dovuto sopportarmi la presenza del signor Wate per tutta la mattina, il che non era molto piacevole.
Dopo essermi lavato e vestito per andare a quelle dannate prove, ritornai in salotto da Sandy, e la trovai con addosso il suo vestito della sera precedente e , soprattutto, in piedi davanti al calendario.
La guardai accigliato.
-San?-
Si voltò a guardarmi e accennò un sorriso. –I tuoi vestiti mi stanno troppo larghi, devi necessariamente accompagnarmi a casa, mi dispiace per te…-
Ridacchiai, ma poi ritornai serio. –Non mi riferivo a quello-
-Ah!- rispose lei. –Capito. Comunque stavo solo notando che…mancano due settimane a Natale!-
Feci una smorfia, spaventato dall’incombente discorso Irlanda.
“Oh Sandy, non rovinare questa mattina!” la pregai mentalmente, ma lei sembrò non essere telepatica.
-Tra due settimane rivedrò mia madre-
-Fantastico- dissi sarcastico, e andai a gettarmi sul divano.
-Non arrabbiarti Jack, sarà solo Natale.-
Venne a sedersi al mio fianco e mi posò una mano sul ginocchio, invitandomi a guardarla.
-Me lo prometti?-
-Vedremo…-
-No Sandy, promettimelo.- le dissi un po’ duro, ma poi addolcendo il tutto con una carezza sul suo braccio.
-Prometto Jack.-
Ci fu un attimo di silenzio, ma poi ripresi la parola.
-Volevo passarlo con te il Natale-
-Anche io, ma comprendimi. Ho parlato poco fa a telefono con mamma, e le ho detto che ho un ragazzo, quindi adesso abbiamo davvero bisogno di chiacchierare. E poi ci sono le questioni meno belle, quelle da fare in presenza di papà.-
Fu bello sentirla parlare del “suo ragazzo”, visto che si trattava di me.
Del resto non potevo darle torto. A me infastidiva sta cosa del suo ritorno in Irlanda, anche se solo per una o due settimane, però non potevo trattenerla con me.
-Dopodomani c’è il concerto, verrai?-  dissi per cambiare discorso, e sfociare in qualcosa di più leggero.
-Jack, non uccidermi. Non posso venire perché Claire e Flores verranno, non posso rimanere Scottie scoperto-
Presi un enorme respiro e poi sbuffai, alzando gli occhi al cielo.
-Senti Sand, dovresti non andare più a lavorare la’. Chiama tuo padre e digli che l’immobile che abbiamo visto ti piace, forza.-
Il mio tono era evidentemente infastidito e urtato, e  lei sembrò comprenderlo alla meglio.
-Jack, io non lo so se voglio trasferirmi a Baltimore…-
Inarcai un sopracciglio. –Allora perché stiamo insieme?-
-Non voglio litigare Jackie. Stiamo insieme da un ora e mezzo… -
Abbozzai un sorriso piuttosto falso, e poi le passai il braccio intorno alla vita, per avvicinarla a me.
-Nemmeno io voglio litigare, ma adesso che stai con me non ti sembra un po’ stupido tornare in Irlanda? Allora, se la tua mamma ti ha spedita qui c’è un motivo. Negli Stati Uniti ci sono più possibilità piccola, quindi rimani qui. Con me. Senza lavorare da Scottie. Nella tua libreria. E… convinci tua madre a seguirti. –
Mi guardò a lungo negli occhi, senza proferire parola. Il mio discorso era valido, filava liscio e non faceva pieghe.
-Hai ragione Jack.- disse semplicemente, ed io la invitai con un cenno della mano ad aggiungere qualcos’altro.
-Oggi vado a pranzo da mio padre, discutiamo del mio probabile trasferimento da lui e gli dico di parlare con mamma e convincerla a spostarsi in America. D’altronde i  nonni vivono con il fratello di  mia madre….e zio James sarebbe felice per le se si trasferisse qui.-
Sorrisi, ora si che iniziava a ragionare!
-Così ti voglio, Sandy- esclamai, poi le sfiorai la guancia con un dito e le schioccai un bacio sulle labbra.
-Ti amo Jack.-
Era così bello e nuovo sentire quelle due parole, sarei morto di gioia prima o poi, sul serio.
Quella giornata iniziava decisamente alla grande, com’è che si dice: tutto è bene quel finisce bene…


 
Hi guys! :)
Visto che ieri sono stata cattiva a bloccare il capitolo così e a farvi venire ansie ed agitazioni, ho aggiornato in fretta.
Non succederà più, sappiatelo u.u Ho un'imminente interrogazione di storia quindi il tempo per scrivere sarà davvero scarseggiante ç_ç
Comunque, tornando a noi, questo non è un capitolo è IL capitolo hahahahaha, finalmente la SNACK è una ship a tutti gli effetti *-* Spero che vi piace come ho strutturato il tutto, io sono più o meno soddisfatta, ma aspetto sempre le vostre opinioni :)

Come al solito devo ringraziare tutti coloro che leggono, che seguono la storia e chi l'ha messa persino tra le storie da ricordare! Che emozione *-*
Un ringraziamento super speciale alle mie predilette, @_redsky_ e @Layla <3
Alla prossima, _stargirl.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII
 
 Sandy
 
-Un appuntamento con Zack?!- urlai, stringendo il telefono tra le mani con tanta euforia, quasi si trattasse del braccio della mia interlocutrice: Flores.
-Un appuntamento con lui, esatto- ribadì la mia amica, dall’altra parte del telefono.
-Tesoro sono troppo felice per te! Zack a detta di Jack è un ragazzo apposto- annuii, anche se non sapevo quanto potevo fidarmi della parola del mio ragazzo, magari lo diceva solo perché era suo amico.
-Certo, non è tonto como tu novio Jack- *
Risi, quando faceva quegli intermezzi spagnoli era adorabile! Per fortuna alle superiori studiavo quella lingua, o non l’avrei mai compresa.
-Mi novio no ES tonto, ello ESTA’ TONTO….- *
Scoppiammo entrambe a ridere, mentre mio padre mi guardava dal divano della cucina della sua villa con aria perplessa.
-E’ spagnola- sussurrai, indicandogli il cellulare.
-Comunque, non smetterò mai di ringraziarti Sandy! Andrò al concerto stasera, tu rimarrai a lavorare…-
-Flo, non ti preoccupare! Lo faccio perché lo meriti e poi, come ti ho già detto, la mia militanza da Scottie è quasi finita- dissi con sollievo.
-Già, io resisto fino alla fine del trimestre, poi sarò laureata e addio!-
Annuii, ero tanto felice per lei, sarebbe diventata un medico pediatra, non c’era cosa più carina.
Improvvisamente avvertii  con il mio olfatto un odore di bruciato insopportabile, e immediatamente collegai il tutto al pollo nel forno in cucina.
-Flo devo assolutamente lasciarti, perché mio padre sta bruciando il pollo-
Guardai male papà seduto comodamente sul divano e gli feci cenno di correre nell’altra stanza.
-Oh, corri , corri, tranquilla. Ci sentiamo più tardi-
-Va bene, arrivederci-
Chiusi la chiamata, misi il cellulare nella tasca dei jeans e mi precipitai in cucina.
-Altri cinque minuti e rimanevamo senza pranzo grazie a te!- esclamai inginocchiandomi davanti al forno e controllando che fosse tutto apposto.
-Sandy, puoi anche cercare conferma negli aneddoti di tua madre…la cucina non fa per me-
Ridacchiai, al pensiero dei miei genitori giovani come me e Jack, alle prese con i fornelli; quel pensiero però sfumò via immediatamente, vista la situazione attuale tra i due.
-Non preoccuparti- gli dissi gentile, poi afferrai una presina dal piano cottura ed estrassi il pollo dal forno, tossendo appena per la vampata di fumo che si formò proprio di fronte alla mia faccia.
-San, hai riflettuto sulla mia proposta?-
Portai il pranzo a tavola e guardai mio padre confusa. –Quale proposta?-
-In primo luogo il trasferimento da me, questa casa è fin troppo grande per me. E poi il discorso libreria. –
Accennai una risata. –La prima proposta mi sta più che bene, d’altronde anche mamma ha acconsentito. Spenderei di meno e potrei mettere quei soldi da parte. Riguardo alla seconda proposta… credi che mandarmi a vedere quell’immobile con Jack mi abbia improvvisamente convinta a comprarlo?-
Il mio tono risultò piuttosto caustico, purtroppo con mio padre avevo sempre un po’ di ripensamenti e riserve, il male che una persona ti fa…non si dimentica in fretta, purtroppo.
-Tesoro, lo so che serbi ancora un po’ di rancore nei miei confronti, e ti capisco, ma siamo vicini al Natale. A Natale sono tutti più buoni-
Certe volte mio padre e l’ironia andavano proprio a braccetto! Gli misi le patate nel piatto e scossi la testa, invitandolo a sedersi di fronte a me.
-Papà. Hai ragione. Mi trasferisco da te entro il fine settimana e con i soldi che risparmio comprerò a rate quell’immobile-
Mi sedetti e  giocherellai qualche attimo con la forchetta, prima di iniziare portare in bocca un pezzo del pollo.
-Nessuna rata, nessun risparmio. Sandy, l’immobile lo compro tutto io. E’ il minimo che possa fare per te!-
Lo guardai negli occhi, e lui sostenne il mio sguardo, assunse persino un’espressione pregevole che mi fece ridere.
-E’ una spesa piuttosto alta…- sospirai, ma lui sembrava non voler demordere.
-Ne hai parlato con tua madre?-
Annuii. –Proprio ieri sera. Lei è…d’accordo, vuole che io mi costruisca un futuro qui. Io sono ancora molto indecisa, però.-
Mi versai l’acqua nel bicchiere e ne bevvi un sorso.
-Come mai Sand?- chiese mio padre, con la bocca piena.
-Beh, perché non me la sento di abbandonare mamma. Lei mi è stata vicina, in tutti questi anni siamo state solo io e lei… poi mi trasferisco qua e nel giro di un mese lei perde sua figlia!-
-Lei non sta perdendo sua figlia! Sua figlia sta crescendo… lei è felice di poterti dare la possibilità di cambiare tutto, in America.-
-Okay ma… a me manca casa! A me manca lei… è vero, qui ho Jack, Flores…anche te..ma dov’è lei?- sbottai, realmente dispiaciuta.
-Credi che Terry abbia mai preso in considerazione l’idea di trasferirsi qui con te?-
Ripensai alle parole di Jack, e poi scossi la testa. –No, ma pensavo di parlargliene quando torniamo in Irlanda-
-Si, ci stavo pensando anche io. L’ospedale qui cerca personale, lei è un’infermiera…-
-Allora le diremo tutto, e tu aiutami a convincerla. Ti prego.-
Papà sorrise, poi alzò la mano per battere il cinque ed io sorrisi, quella era una cosa che facevamo molto tempo indietro.
Per il resto del pranzo abbandonammo quegli argomenti un po’ pesanti, per parlare di cose più leggere. In primo luogo gli dissi che io e Jack stavamo ufficialmente insieme, e lui sembrò esserne felice. Diceva cose del tipo "Anche se non sembra è un ragazzo apposto, è molto bravo, durante il tour lo terrò d’occhio ecce cc”.
Insomma, per la prima volta nella mia vita mi sentivo più o meno sollevata. Il rapporto con mio padre si stava risanando, tra poche settimane avrei rivisto mia mamma, avevo una cara amica, avevo un ragazzo fantastico e presto avrei anche realizzato il mio sogno.
Dopo aver mangiato sparecchiai la tavola e sistemai tutti i piatti nella lavastoviglie, quella casa pullulava di tecnologia, ed era decisamente migliore della mia stanza a casa dei Gaskarth.
Ovviamente mi sarebbe dispiaciuto salutare la signora Margareth, chi mi avrebbe portato il the ora?!
Sembrava solo ieri il giorno in cui mi ero trasferita a Baltimore, ed erano già successe mille cose.
Ci sono persone la cui vita è una continua avventure, altre, invece, vivono in attesa di qualcosa che le smuova, e quando arriva, si ribalta tutto. In un attimo, tutto cambia.
Io appartenevo decisamente alla seconda categoria.
 
-Sandy, io vado a lavoro. Mi raccomando entro domani mattina DEVI licenziarti da quell’idiota di Scottie, okay? Confido in te.- disse papà sull’uscio della porta, poco prima di uscire di casa per andare alla Hopeless records.
Era in cantiere un tour non indifferente ed già avevo l’ansia al solo pensiero di non dover vedere Jack per così tanto tempo.
Decisi di non pensarci, presi il cellulare , mi gettai sul divano in salotto e poi composi il numero di mia madre, avevo voglia di sentirla, e annunciarle le ultime novità.
-Sandy, tesoro, come stai?-
Nel sentire la sua voce squillante sorrisi, oh cavolo, mi mancava così tanto!
-Mamma, ciao! Io sto bene, e tu invece?-
-Anche io, qui nevica.-
-Oh Dio, che bello!- esclamai felice, a mio parere, non era Dicembre senza neve!
-Si, non vedo l’ora di vederti, potremmo fare dei pupazzi di neve come quando eri piccola-
-Ovviamente, non aspetto altro che quel momento. –
Risi, al ricordo di una me piccola che armeggiava con la neve per metter su il Frosty migliore del quartiere.
-A proposito, quando parti?-
-Papà ha prenotato il viaggio stamattina, partiamo il 22 dicembre-
-Perfetto, mancano dieci giorni!-
-Esatto, sto facendo il conto alla rovescia-
Ridemmo entrambe, come ai vecchi tempi, ed io desiderai di poterla avere di fronte a me, a guardarla nei suoi occhi, verdi come i miei.
-E dimmi un po’…con Jack tutto bene?-
Proprio a quella domanda sentii dei rumori molesti provenire da fuori.  Al che mi alzai svogliatamente e, scalza, andai alla porta.
-Si, tutto benissimo. E’ un ragazzo adorabile, vorrei che tu lo conoscessi- risposi a mamma e poi spostai la tendina dalla porta per vedere chi c’era fuori.
-A dir la verità ho fatto una ricerca su Wikipedia, sicura che sia un ragazzo affidabile?-
Spalancai gli occhi e mi portai una mano sulla bocca. Incredibile chi stesse lì fuori a dare pugni alla porta: proprio lui, Jack.
-Aspetta un momento mamma…- le dissi, poi aprii la porta e iniziai a ridere senza nemmeno un motivo preciso.
-Tuo padre se n’è andato ed io sono venuto a farti compagnia, che c’è?- esordì lui con un viso pudico e tanto tenero.
Gli posai un dito sulle labbra per fargli cenno di stare zitto e poi lo invitai ad entrare in casa.
-Sandy, ci sei?- chiese mia mamma, preoccupata.
-Mamma , si! Ci sono, solo che è arrivato Jack quindi…-
-Capito, capito. Ci sentiamo più tardi, però fai la brava.-
-Scusa mamma, ti voglio bene-
-Tranquilla piccola, ti voglio bene anche io-
Le mandai un bacio, poi chiusi la chiamata e posai sul mobile delle cianfrusaglie all’entrata il cellulare.
-Se non sei contenta di vedermi me ne vado- disse Jack, facendo l’offeso.
-Sciocchino! Si che sono felice di vederti, solo sono…sorpresa!-
Mi alzai sulle punte e gli stampai un bacio sulle labbra, lui prontamente mi strinse tra le sue braccia, ridendo.
-Oggi fa freddissimo, Natale è proprio alle porte-
Annuii. –Hai ragione Jackie, e dimmi un po’…cosa chiederai a Santa Claus?-
-Ciò che volevo l’ho ricevuto un anticipo. Volevo una ragazza-
Gli sorrisi dolcemente, era capace di farmi sciogliere in un nano secondo.
Sospirai e lo trascinai con me in salotto, dove l’ambiente era decisamente più caldo.
-Hai parlato con tuo padre di quelle cose ?-
Mi sedetti al suo fianco e mi portai le ginocchia al petto. –Si, ne ho parlato. Mi trasferisco qua, abbandono Scottie e compriamo l’immobile.-
-Okay, e…riguardo a tua madre?-
-Cercheremo di convincerla- risposi cantilenando, come se fossi scocciata. E in effetti un po’ lo ero.
-Jack, possiamo non pensarci ora?-
Alzò gli occhi al cielo, così allungai una mano a scompigliargli i capelli.
-Cosa vuoi fare, Sandy Wate?-
Arricciai il naso in una smorfia buffa. –Questa domanda è piuttosto controversa, Jack-
-Guarda, per una volta non avevo secondi fini- affermò, ma io non sapevo quanto crederci.
-Povero piccolo Jackie- cantilenai, appoggiando la testa alla sua spalla.
-Non fare la stronza!- Corrugai la fronte, era così carino anche quando si arrabbiava, o fingeva di esserlo, come in quel caso.
-Dammi un bacino- sussurrai, poi arricciai le labbra e lui mi accontentò immediatamente, baciandomi in modo piuttosto avventato.
-Avevo detto bacino!- replicai, ovviamente riuscendo in modo piuttosto scarso a mostrarmi infastidita dal quel moto di passione.
-Non sai mentire, Sandy- disse con un sorriso sornione sulle labbra che mi causò un colpo al cuore. Cavolo, Jack mi faceva venir voglia di strapparmi i capelli, sul serio.
Gli accarezzai una guancia ma lui ovviamente prese a farmi il solletico, cosa che in un altro caso mi avrebbe infastidita, perché iniziavo a ridere come un’ossessa e quando ridevo sembravo una specie di iena!
-Jack, ti prego smettila!-  lo pregai, mentre cercavo in vano di calmare le mie risa.
-No Sandy, hai detto una bugia e adesso me la paghi!- replicò lui, iniziando a ridere come un cretino. Ma pur sempre adorabile!
-Ti odio!- gridai, iniziando a dimenarmi per farlo smettere, ma lui sembrava intenzionato a continuare con il solletico all’infinito.
-Jack ti prego!!!- urlai, dandogli un’insignificante pugno sul braccio.
-Chiedimi scusa subito!- disse offeso, ed io allora gli tenni le mani per non farmi solleticare e mi avvicinai al suo viso per dargli un bacetto sulle labbra.
Ma quel giorno la lingua di Jack non sapeva stare apposto, quindi ci ritrovammo poco dopo l’uno sopra l’altro a baciarci in modo enfatico e avventato.
Il mio adorato ragazzo mi carezzò la schiena con le sue mani e poi fece per alzarmi il maglioncino verde bottiglia che indossavo, io ovviamente fermai il tutto e lo guardai accigliata.
-Non sono ubriaco stavolta!- esclamò sulla difensiva, io allora mi sollevai dalla posizione supina e accennai un sorriso.
-Lo so, tesoro. Ma…-
-Ma?- mi incitò, con fare un po’ seccato.
Davvero non sapevo come dirglielo. Davvero non ci riuscivo. Erano  due paroline piuttosto semplici che però mi mettevano un imbarazzo assurdo.
Temporeggiai guardandomi intorno e poi mi portai le mani sul viso.
-Sono vergine.-
Aprii una fessura tra le mie dita per vedere la reazione di Jack, ma lui si mise a ridere.                                                                                                                                         Non una risata irrisoria, qualcosa di dolce.
-Immaginavo, Sandy.-
Alzai gli occhi al cielo e feci cadere le mani sulle mie gambe. –Bene.-
-Ehi- sussurrò dolcemente, prendendomi tra le sue braccia. –Non ho detto che è un problema!-
-Invece lo è- cantilenai, accoccolandomi nella sua stretta.
-Ma no! Smettila di farti tutti questi problemi! Va tutto bene.-
Socchiusi gli occhi e non dissi niente, stare tra le sue braccia mi faceva sentire così al sicuro… speravo davvero che per lui non contasse tanto, e mi volevo fidare perché era sempre stato sincero con me.
-E non ti costringerò mica! Cioè…me lo dici quando, quando te la senti. Non sono molto bravo con questi discorsi, sei la prima ragazza  che ho. La prima ragazza vera. –
Alzai lo sguardo per scrutarlo nei suoi occhi grandi e color cioccolato fondente, poi sorrisi.
-Grazie, Jack. Ti amo così tanto…-
Mi baciò la testa, stringendomi ancora più forte.
-Anche io, tantissimo.-
 






*Traduzione per chi non conosce lo spagnolo: “Certo, non è stupido come il tuo ragazzo Jack”
“Il mio ragazzo non è stupido, fa lo stupido”
 
Eccomi qui con un altro capitolo, mi dispiace per l’attesa ma tra scuola, ripetizioni di matematica e tutto sono davvero FUSA, e inoltre ho migliaia di ore di sonno da recuperare…che stress.
Vi adoro, grazie di tutto. <3

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX
 
Jack
 
Passeggiavo con Sandy lungo le strade di Baltimore, eravamo diretti verso il mercatino natalizio che avevano allestito nei pressi del porto, e lei non faceva che saltellare e strattonarmi il braccio come se fosse una bambina piccola.
Io la trovavo adorabile e, soprattutto, ero molto più rilassato da quando aveva ufficialmente abbandonato il suo lavoro da Scottie.
Per assicurarmi che tutto andasse bene, su consiglio del signor Wate, ero stato presente al momento del suo auto-licenziamento.
Avevo detto tre semplici parole: “Io. Mi. Licenzio. “ ed ovviamente il proprietario perverso del ristorante non aveva avuto obiezioni.
Dalle cucine Flores e la ragazza francese della quale non ricordavo mai il nome avevano assistito alla scena ridendo, e, per festeggiare il tutto , Sandy aveva deciso di passare il pomeriggio insieme a me.
Quel giorno niente prove, anche perché le vacanze di Natale erano vicinissime e anche l’inizio del nostro  tour, previsto per la prima settimana di Gennaio.
Ormai al Natale mancava solo una settimana, e la gioia che solitamente mi invadeva in quel periodo sembrava essersi spenta a causa  della mancanza della mia ragazza, che proprio nel periodo più bello dell’anno non ci sarebbe stata.
Molto probabilmente lei se n’era accorta, ero con la testa tra le nuvole, oppure le rifilavo gli occhioni dolci e il labbruccio, giusto per farla sentire un tantino in colpa.
-Jack, non credi che queste decorazioni siano bellissime?-
La voce di Sandy mi fece cadere dalle nuvole, così spostai lo sguardo su di lei e sulle campane dorate che aveva appena preso da una bancarella.
-Si, sono molto carine-
-Infatti, mi piacciono molto. Ma stai bene?-
Mi scrutò preoccupata, ed io scrollai le spalle con un sorriso. –Certo, penso solo che tu sia bellissima, più delle campane-
Sperai che  quel complimento avrebbe trascinato via le sue preoccupazioni, e così fu, visto che arrossì e sorrise.
Era davvero bella, indossava un capellino di lana beige perfettamente abbinato ai suoi capelli lunghi e castani, e un sorriso capace di illuminare l’intera città.
-Però, Jackie, non voglio che hai quel faccino triste!-
-Va bene piccola, ti prometto che cercherò di sorridere- annunciai, e le mostrai una faccina buffa, per non farla preoccupare.
Annuì convinta e mi prese la mano , trascinandomi a una bancarella con dei pupazzi. Vi erano renne, Babbo Natale di ogni genere e pupazzi di neve, e il sorriso di Sandy era praticamente estasiato.
-Non sono troppo carine queste cose?!-
-Certo, le adoro-
Presi un peluche di Frosty e me lo rigirai tra le mani, era davvero molto morbido.
Più avanti invece ci soffermammo a guardare gli alberi di Natale, ed io pensai che sarebbe stato bello poter addobbare un albero con Sandy, lei però non c’era e ciò mi rattristava, non c’era niente da fare.
-Jack, sei sempre così pensoso, ma che ti succede?-
Sbottò all’improvviso, ed io mi rammaricai molto. La mia Sandy non era per niente stupida, ed io non sapevo come prenderla.
-Niente, lo giuro-
Le accarezzai la testa e cercai invano di rassicurarla,  ma lei piantò le  mani nelle tasche della sua giacca a vento e iniziò a camminare verso la fine della strada, in silenzio.
-Okay okay, Sandy, fermati e ti dirò tutto!-
Mi aveva messo alle strette, certe volte le ragazze sapevano essere davvero insopportabili.
-Sono tutt’orecchi- disse fiera.
-Mi sento giù perché tra una settimana te ne andrai, e mi dispiace troppo! E non guardarmi in quel modo, dovete pur capire che oltre alla mia apparente costante stupidità e volgarità, ho dei sentimenti!- sbottai, facendo rimanere Sandy un po’ attonita.
-Jack io non ho mai pensato che tu sia un idiota, che tu non abbia sentimenti…-
-Lo so, lo so. E’ che… è difficile anche per me questa situazione. Cioè, non sono mai stato innamorato prima d’ora e…-
Mi interruppe , facendo un cenno con la mano. –Capisco, ti è difficile abituarti a questa nuova situazione. Ma non capisco, mi stai lasciando?-
Strinsi la mia mano in un pugno e la guardai con fare scocciato. –Cazzo, no! Non fraintendermi!-
-Tu non iniziare con la tua schiera di parolacce. E soprattutto non urlare che c’è gente che si gira a guardarci e mi da fastidio.- disse a denti stretti, allora io la afferrai per il polso e me la trascinai con la forza fino alla strada periferica antecedente al porto dove avevamo postato il mio abitacolo. Lei non disse nemmeno una parola, solo furono cinque minuti passati a suon di sbuffi e “Jack, ma cosa ti succede?”.
-San,  non ti voglio lasciare. Ti sto solo dicendo che questo fatto di averti, di amarti…mi fa sentire “Nuovo”, “diverso”. –
Sandy, dopo essere entrata nell’auto ed essersi tolta di dosso la giacca al vento, mi guardava ancora stupida, e anche un po’ irritata.
-E tutto ciò ha qualcosa di positivo, caro mio?-
-Certo! E’ tutto positivo…. –
Iniziavo a sentirmi confuso e stupido, avevo pregato tanto che quella ragazza mi facesse capire cos’eravamo e adesso che l’avevo ottenuto mi sentivo strano.
Ovviamente non volevo ritornare sui miei passi e lasciarla, però quel fatto che dovesse andarsene proprio per Natale, proprio dopo così poco tempo passato insieme da coppia… mi infastidiva troppo.
-Allora qual è il tuo problema, Barakat?-
-Il mio problema è questa tua immensa voglia di tornare in Irlanda!-
-Vado lì per vedere MIA madre, ho bisogno di stare un po’ con lei. Ti ho promesso che torno, cercherò di convincerla a venire a vivere in America… più di questo che posso fare?-
La sua  voce era stridula, e le punte dei suoi capelli castani sembravano volersi drizzare, mentre gli occhi da verde malachite sembravano essere quasi marrone scuro.
Era arrabbiata, e per giunta a causa mia.
-Tutto okay. Ma io ho una cazzo di paura che non torni più! Lì c’è qualche ragazzo a te interessato?-
Mi rivolse uno sguardo capace di fulminarmi.
-Mi hai preso per una sgualdrina? E poi fatti una ragione che nessuno mi caga a Leitrim, perché sono brutta-
-Brutta un cazzo, Sandy.-
-Oh Dio buono, mi stai facendo innervosire e pure un sacco-
-La cosa è reciproca allora. - risposi, con un po’ di noncuranza della quale mi sarei pentito da subito.
-Va bene, allora io torno a piedi a casa, va al diavolo Jack.- disse con rabbia Sandy, aprendo lo sportello della macchina.
-Fanculo Sandy, quando fai così mi irriti come pochi, ma dove cazzo vai?-
La presi per il polso e nonostante lei si dimenasse  le tenni le mani tra le mie e richiusi la porta, non avrei mai permesso che se ne andasse.
-Eccolo! Eccolo il ragazzo che mi stava per mettere sotto con l’auto, eccolo qua quell’idiota stronzo!-
Iniziava anche lei a degenerare e a urlare come una pazza, però io non potei fare a meno di notare che quando s’arrabbiava era ancora più sexy del solito.
-Grazie per tutti questi complimenti, miss tutto-mi-va-male!-
Sapevo che chiamarla in quel modo  la urtava in maniera esorbitante, però non riuscii a trattenermi dal affibbiarle quel nomignolo cattivo.
-Mi hai rotto, mi hai rotto Jack! Fammi uscire subito. Subito. Togli quella dannata chiusura di sicurezza oppure chiamo la polizia.-
-E cosa dici?- la provocai, lasciando andare la presa nella quale avevo imprigionato le sue mani.
-Dico che c’è una rockstar che vuole molestarmi-
Sandy rise, ed io compresi che la battaglia era quasi finita. Ridacchiai anche io, e prima che potesse dire qualcos’altro ancora con quella sua vocetta stridula la baciai sulle labbra, portando una mano sul suo fianco.
-Noi stavamo nel bel mezzo di una questione, Jack!-  provò a ribadire, ma il suo tono di voce era così poco convinto che mi venne da ridere, e quindi continuai a baciarla indisturbato e per giunta portai la mia mano sotto il suo maglioncino, e lei non disse nemmeno.una.parola.
Con lei ero sempre dolce e romantico, ma non potei fare a meno che pensare: “finalmente me la da”.
Ero pur sempre Jack Bassam Barakat, e dovevo assolutamente difendere la mia reputazione. Anche perché dovevo dimostrare al caro Alexander Gaskarth che non ero diventato un rammollito frigido come aveva osato chiamarmi qualche giorno prima alle prove.
Ritornai con i miei pensieri al bacio avventato che io e Sandy ci stavamo scambiando, e nonostante lei sembrasse così appagata si staccò dalle mie labbra e mi guardò negli occhi.
-Siamo in un automobile in mezzo alla strada.-
Sospirai. –Qual è il tuo problema, San?-
Addolcii il tono, sempre andare cauti su certe cose se non si vuole rimanere fregati.
-Non mi va.- rispose infastidita.
-Andiamo a casa…- azzardai, sperando vivamente che il suo “Non mi va” fosse riferito solamente alla squallida location della sua presunta prima volta.
-Molto meglio.-
“Dio esiste” pensai, ma poi le presi il mento con la mano e le stampai un bacio sulle labbra.
-E’ un “to be continued?”- le chiesi ironico.
-To be continued- ripetè lei, con un sorriso che era un misto tra panico-ansia-agitazione-paura.





CIAAAAAAAAAAAO!
Me ha molta ispirazione in questi giorni, quindi tadaaaan...nuovo capitolo u.u
Vi adoro, a presto :3

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


Capitolo XX
 
Sandy
 
Non potevo crederci. Stava davvero per succedere. La mia prima volta. Non riuscivo a figurare il tutto, avevo una paura tremenda. Un’incredibile, brutta, spaventosa paura. Avrei potuto avere una crisi di pianto nervoso/isterico nel giro di tre minuti, eppure Jack sembrava così contento.
Ovvio, gli uomini sono sempre contenti! E poi lui aveva la bellezza di venticinque anni, io invece appena diciotto.
Ero una bimba confrontata a lui, e questo non faceva che aumentare la mia ansia.
Inoltre, ad aggravare il tutto c’era la mia terribile inesperienza e l’inesistente grado di autostima che mi caratterizzava.
Desideravo avere almeno un quarto di tutta l’euforia di Jack, che mi trascinò praticamente dal garage alla sua camera da letto nel giro di mezzo minuto.
Era successo tutto così in fretta! Lui era arrabbiato perché nei prossimi sette giorni sarei partita per l’Irlanda,  avevamo avuto una breve e stupida questione, ci eravamo saltati addosso nella sua automobile e adesso stavamo a casa sua, a un passo dal grande passo. Che gioco di parole.
Sentivo il cuore andare a mille e iniziavo a sudare freddo, per fortuna quel giorno non avevo addosso i mutandoni della nonna, altrimenti ci avrei fatto una figura davvero pessima.
Speravo solo che Jack  fosse quello giusto. Io lo pensavo sin da primo momento, ovvio, che lui fosse il ragazzo adatto a me, però in quel momento tutti i dubbi sembravano riaffiorare alla memoria.
Varcammo l’uscio della porta della camera da letto in silenzio e lui prese a baciarmi con dolcezza prima la fronte e poi le labbra, accarezzandomi i capelli.
Ovviamente a quel suo comportamento pacato e tenero non potevo che rilassarmi un tantino, anche se la paura rimaneva radicata dietro l’angolo.
Con poca convinzione gli accarezzai i capelli scuri e lui mi trascinò a piccoli passi verso il suo letto, dove io avevo portato lui giorni prima dopo la sua sbronza.
Mi sorrise, perché molto probabilmente stava ricordando la stessa cosa, ed io mi sentii felice, infondo non c’era niente di male in quello che andavamo a fare, no?
Purtroppo a causa dei problemi con i miei genitori ero sempre cresciuta come con il terrore che l’amore potesse ferirmi e farmi male, ed io avevo sofferto già così tanto…non ero pronta a un’altra delusione.
-Va tutto bene Sandy?-
Me lo dovevo aspettare che quella domanda sarebbe arrivata, Jack non mi aveva nemmeno ancora tolto il maglioncino di dosso ed io già avevo il viso pallido e gli occhi sgranati di paura.
-C-certo che s-si-
Accennò un dolce sorriso, e si spostò da sopra di me per guardarmi meglio negli occhi.
-Sei sicura? Se ti deve causare tutta questa agitazione possiamo anche rimandare, guarda che non devi sentirti obbligata.-
Ecco, quelle sembravano davvero le parole di un romanzo d’amore, però io volevo davvero lasciarmi andare con Jack!
-No, io voglio…solo che… cioè comprendimi… non sono bellissima come le altre ragazze, sono cresciuta con una strana idea dell’amore a causa dei miei e…-
La mia voce era spezzata, emotivamente instabile com’ero le lacrime lottavano per bagnarmi il volto, ma io avrei tenuto duro. Non potevo piangere, avrei rovinato tutto.
-Sandy, tu sei la ragazza più bella che io abbia mai visto. Il fatto che tu non sia un piatto ammasso di ossa non è punto a tuo sfavore, anzi. Almeno quando ti abbraccio posso sentire di stare davvero bracciando qualcuno!-
Le sue parole mi colpirono, e ovviamente il suo sorriso contagioso lo stesso.
-Quindi, se ti va di farlo lasciati andare. Ci sono io qua, ti amo e anche se prima ti ho detto cose brutte, dimenticale. Io ti amo, solo che a volte ho i miei momenti di rabbia, tipo ragazzina con il ciclo-
Scoppiai a ridere, e immediatamente lo baciai di nuovo.
-Va bene Jackie, adesso però shhhh-  sussurrai sulle sue labbra morbide , e lui mi sfilò prontamente il maglione, baciandomi il collo con tanta dolcezza da provocarmi il solletico.
Il mio battito cardiaco di certo non si era calmato, anzi, però iniziavo a sentirmi amata, nel vero senso della parola.
Con le mie manine esili sfilai via la t-shirt di Jack e notai che aveva un tatuaggio di Jack Skellington, cosa a cui non avevo mai fatto caso prima.
Adoravo quel cartone di Tim Burton, anche se il mio preferito sarebbe rimasto comunque La sposa cadavere.
Un giorno dovevamo assolutamente fare una maratona di Burton, io e lui.
Jack fu sopra di me, e non mi dava per niente fastidio, piuttosto stavo benissimo.
L’agitazione c’era, ma sapevo come tenerla freno.
Cercai di le labbra di Jack e lo baciai con un misto di foga e dolcezza, mentre armeggiava con la zip dei miei jeans scuri, ed io con quella dei suoi di pantaloni. 
Quel ragazzo era così adorabile, e dolce e euforico allo stesso tempo.
Potevo capire esattamente quanto davvero ci tenesse a me, quanto mi voleva, ed era quasi incredibile per me che qualcuno , qualcuno come lui, non desiderasse altro con me.
Il resto venne tutto da se, in un angolo della stanza vi era un ammasso di tutti i nostri indumenti invernali, ed io stavo appurando come Jack ci sapesse davvero fare.
Ovviamente la prima volta non è mai la migliore, ma lui era cauto nei movimenti, dolce nelle parole che mi sussurrava all’orecchio, mentre io ero piuttosto spaventata, ma allo stesso tempo felice perché quelle erano sensazioni completamente nuove per me.
Alla fine mi lasciai andare, e lui mi raggiunse qualche attimo dopo, accogliendomi subito tra le sue braccia  e stringendomi forte forte, come se non volesse farmi andare via mai più.
-Come…come stai?- mi chiese qualche attimo dopo, ed io mi rannicchiai tra le sue braccia.
-Sto…bene, bene. E’ stato bello.- gli sorrisi.-
-Sono felice di essere il tuo primo-
Gli solleticai il braccio con le dita. –Anche io sono contenta che sia successo proprio con te.-
Mi baciò la testa e rimanemmo ancora qualche attimo abbracciati e in silenzio, a volte le parole sono troppo banali per descrivere come ci si sente.
In quel preciso momento capii che cos’era lo “stato di grazia”, e io mi sentivo proprio in quel modo. Come se alla mia vita non si dovesse aggiungere più nulla, perché andava bene così. 
 
Mezz’ora più tardi io ero sotto la doccia a darmi una rinfrescata, quella sera sarei rimasta da Jack, perché in quel momento più che mai volevo passare del tempo con lui. Altri sette giorni e poi sarei andata via, e adesso che avevo scoperto un altro divertente lato dell’amore, ero certa che Jack mi sarebbe mancato il doppio. O il triplo.
Ad ogni modo, dopo essere uscita dalla doccia, mentre asciugavo i capelli , sentivo il cellulare del mio Barakat squillare ogni cinque minuti, come se stesse messaggiando con qualcuno.
Subito mi chiesi di chi si potesse trattare, ma cercai di non farmi venire l’ansia per niente.
Finito di asciugare la mia folta chioma color nocciola uscii dal bagno con addosso solo i jeans e trovai il mio ragazzo con la testa nel suo Iphone, tanto che per avere la sua attenzione dovetti fare dei colpi di tosse.
-Sweetheart- mi disse, lanciandomi subito una sua felpa per non farmi prendere freddo. –Copriti- mi rimproverò quasi e allora io mi sedetti al suo fianco e dopo aver infilato quella maglia che aveva il suo odore gli diedi uno scherzoso colpetto sul braccio.
-Non fare l’antipatico!-
-No no, scusa- disse ridacchiando e mi baciò inaspettatamente sulle labbra.
-Ecco, va meglio-
-Adesso vado anche io a fare la doccia, poi andiamo al McDonald’s- annunciò, felice come un bimbo piccolo.
-Okay, in effetti ho una certa fame-
Mi lanciò un’occhiata e sorrise sornione. –Scusa, non volevo sfiancarti piccola mia-
Spalancai gli occhi. A volte la sua perversione sapeva non avere limiti. –Vai via, subito, ora!- sbottai con un certo imbarazzo, e lui sgattaiolò in bagno in ridendo.
Oh, quel ragazzo mi avrebbe fatta morire un giorno, certamente.
Non appena il getto della doccia iniziò a produrre quel rumore simile alla pioggia che si infrange sull’asfalto, afferrai il cellulare di Jack. Sapevo che quella era una cosa che non si doveva fare, e molto probabilmente Jack si sarebbe anche arrabbiato se l’avesse scoperto, ma la curiosità era il mio punto debole!
Avevo bisogno di sapere chi era che gli aveva scritto quegli sms!
Mi misi seduta a indiano al centro del letto e aprii la cartella dei messaggi. Indovinate un po’ con chi è che si stava sentendo?
Con Alex, che domande!
Mi misi a leggere in fretta e furia i vari sms e spalancai gli occhi, quei due erano dei pazzi, sul serio.
Nel leggere le cazzate che scrivevano non riuscivo a trattenere le risate, ma dovevo riuscirci o Jackie si sarebbe accorto di tutto.
 
“Caro Alexander, io e la mia Sandy ci siamo appena dati da fare” aveva scritto il mio Barakat , e il suo migliore amico aveva risposto “Finalmente. E urlava?”
“Tantissimo, amico!”
E Gaskarth: “Vabbé, il solito buffone. Si sa che tra i due quello dotato sono io…”
Dopo aver letto cose del genere le risate erano a portata di mano, però pensai che fosse meglio chiudere tutto e lasciare stare.
Le amicizie maschili non le avrei mai capite, c’era davvero così bisogno di raccontare certi dettagli intimi?
Jack me l’avrebbe pagata per il suo “Tantissimo, amico”, non gliel’avrei fatta passare liscia.
Come la porta del bagnò si aprì posai il cellulare sul comodino dov’era prima e finsi di stare per appisolarmi con la testa sul cuscino.
-Sandy dormi?- domandò lui, venendomi incontro e sedendosi sul bordo del letto per infilarsi le scarpe.
-No! Stavo solo riposando- mentii.
-Sei sicura?-
-Sicurissima. Oh, sei così profumato-
Lo strinsi tra le mie braccia e gli annusai il collo che profumava di buono.
-Anche tu, i tuoi capelli sono bellissimi-
Ricambiò il mio braccio con dolcezza e mi baciò sulle labbra a stampo, provocandomi un sorriso.
Non potevo mentirgli! Le bugie, anche quelle piccole e stupide, hanno le gambe corte!
-Jackie, prima ho letto gli sms che ti ha inviato Alex- farfugliai e lui si irrigidì, sciolse l’abbraccio e mi guardò male.
-E perché?-
-Perché ero curiosa-
-Mh… okay, ti dirò solo una cosa…-
Spalancai gli occhi, ero pronta alla peggiore delle ramanzine, e invece…
-Ricorda bene che quello dotato sono io, non lui. Non lasciarti influenzare da nessuno eh!-
Gli diedi una pacca sulla spalla e scoppiammo entrambi a ridere, fiu, Jack l’aveva presa piuttosto bene.
 
 
Un’ora più  tardi eravamo seduti entrambi l’uno di fronte l’altro a mangiare cibo spazzatura da McDonald’s.
Jack aveva preso ben tre Crispy McBacon, e io ancora non riuscivo a capacitarmi dell’enormità del suo stomaco. Eppure era un ragazzo piuttosto snello, come cavolo faceva?!
Quanto a me, stavo mangiando il mio adorato McChicken, cercando di non ridere all’espressione buffa di Jackie mentre si ingozzava.
-Come va?- mi domandò con la bocca piena, forse notando che lo osservavo.
Io scrollai le spalle e risposi con un mesto sorriso. Certo, stavo bene! Ma mi sentivo un pochino “strana”, in senso neutro però!
L’avevo fatto con Jack, era successo, e non me ne pentivo per niente, però quell’atto aveva ufficialmente messo fine alla mia pudicizia, no?!
Non era niente di brutto o anomalo, ma per una ragazza complessata come me aveva una certa rilevanza.
-Sei felice Sandy?- chiese ancora, accarezzandomi una guancia con il dorso della mano.
-Si, lo sono. Dovevamo concludere in bellezza  prima che partissi, no?!-
-Infatti. Adesso però mi mancherai ancora di più-
-Anche a me- risposi a tempo record, e lui ridacchiò compiaciuto.
Finii di mangiare il mio panino e bevvi un sorso di Coca cola con la cannuccia dal mio bicchiere, poi attirai la sua attenzione posando una mano sulla sua.
-Questa settimana ci vedremo molto poco, vero?-
-Si, mi dispiace molto ma le prove si stanno intensificando, d’altronde a Gennaio inizia il tour-
Annuii, un pochino dispiaciuta. –Invece io sarò occupata con i lavori per l’immobile che diventerà la mia libreria-
-Tuo padre si è dato subito da fare, non posso che esserne felice-
Jack era piuttosto ostile  nei confronti di mio padre, mi chiedevo quando sarebbe finito quell’odio per lui, d’altronde  era mio padre!
Tenni quel pensiero per me, al fine di non rovinare il tutto.
-Hai pensato a come chiamare questa tua libreria? Non so, qualcosa di meno banale rispetto a “Sandy’s”-
Scossi la testa, non ne avevo proprio idea. –No, devo pensarci- mi limitai a rispondere.
Quando anche Jack ebbe finito di mangiare uscimmo dal McDonald’s , ormai stracolmo di bambini urlanti e fastidiosi.
Mi prese per mano e camminammo a lungo in silenzio, fino a che non lo fermai e lo guardai dritto negli occhi.  
-Ho trovato un nome per la libreria!-
Mi guardò con fare interrogativo. –Quale, piccola?-
-Somewhere in Neverland- risposi, con un sorriso soddisfatto.
Quello era il titolo di una delle canzoni degli All time low che più mi piaceva. Mi faceva pensare a Jack, a me, alle nostre mille peripezie prima di riuscire a trovare la nostra strada.
E io dovevo tutto a quel ragazzo, che con il suo carisma aveva portato un raggio di sole nella mia vita.




*Arriva saltellando* Me molto felice per Sandy e Jack!
Spero vi sia piaciuto il capitolo, vi ringrazio di cuore per le vostre recensioni senza di voi non starei qui a continuare a scrivere! Vi adoro tanto tanto tanto *O*
Adesso me ne vado a studiare storia che domani ho l'interrogazione, buona serata <3
A presto ;)

_stargirl

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


 
Capitolo XXI
 
Jack
 
Dormivo beatamente con la mia splendida ragazza accanto, i suoi capelli profumati mi solleticavano il viso e con il braccio stretto intorno alla sua vita la tenevo vicino a me.
Quello era il mio concetto di perfezione, visto che personalmente ero un bradipo e adoravo dormire.
Il suono incessante e fastidioso della sveglia, però, interruppe il bel momento.
Mi portai istintivamente il cuscino sul volto, e finsi di non udire nessun suono.
Ma ad un certo punto divenne così irritante che persino Sandy iniziò a mugolare qualcosa come “Jack, la sveglia”.
Fui costretto ad allungare il braccio e spegnere quell’oggetto infernale, che segnava le otto in punto.
Chi aveva messo la sveglia a quell’ora? Che cavolo!
-Sandy dimmi che non sei stata tu- dissi con la voce impastata dal sonno, stringendo la mia ragazza a me.
-Devo andare a decidere i colori per le pareti della libreria- rispose con gli occhi ancora serrati e intrecciò le sue gambe alle mie. Aveva i piedini freddi, nonostante fosse completamente coperta con il piumone.
-Alle otto del mattino?-
-Alle nove mi aspetta l’ingegnere-
-E com’è quest’ingegnere?- chiesi sulla difensiva.
Lei aprì solo un occhio e mi guardo ridendo. –Dove trovi la forza per essere geloso di prima mattina?-
Non risposi, anche perché per la gelosia non c’è di certo un orario prestabilito!
-Tra cinque minuti dobbiamo rotolare via da questo letto- aggiunse, con quella solita fiscalità che non l’abbandonava mai.
-Che palle Sandy, l’ingegnere aspetta cinque minuti, non fa niente!-
Si mise a sedere e mi guardò a lungo; aveva i capelli castani tutti scompigliati e riusciva ad essere bellissima anche appena sveglia e senza trucco.
-Odio far aspettare le persone!-
-Non odi di più privare il sonno al tuo povero ragazzo?- replicai, e lei rise.
La presi per il polso e la feci scivolare sotto di me. Lei non oppose resistenza, ormai non la opponeva quasi mai. Dato di fatto che sicuramente mi consolava, significava chiaramente che ero stato talmente bravo che ad ogni proposta sconcia non sapeva dirmi di no.
Risi sommessamente al mio stesso pensiero pervertito e le baciai il collo, quello era decisamente il suo punto debole.
-Jackie… dobbiamo alzarci…- esclamò con così poca convinzione che un attimo dopo già aveva provveduto a sfilarmi via la t-shirt, ed io feci lo stesso con lei, ovviamente.
 
-Non ti senti piena di energie, ora?- esclamai mentre bevevo il caffè dalla mia tazza di Jack Skellington.
Sandy annuì poco convinta, probabilmente farlo con me l’aveva solamente stancata ancora di più.
-Dolcezza, la tua faccia è desolata-
Aveva i gomiti appoggiati al tavolo e mi sorrise dolcemente. –Sono appagata Jack, è diverso-
-Molto bene- asserii, e le sfiorai il naso con l’indice.
-Cosa farai tu stamattina?-
-Mi deprimerò alle prove, pensando che tra cinque giorni te ne andrai-
-Povero dolce cucciolo- disse lei con una vocina stridula che mi fece sorridere, ci riusciva sempre.
-E poi sto ancora pensando che secondo me l’ingegnere ci prova eh-
-Sei proprio uno sciocchino. Se pure ci prova io non me ne accorgo perché ho occhi solo per te, Barakat-
Era talmente bello sentirselo dire, che per una sorta di egoismo personale gliel’avrei fatto ripetere continuamente.
-Jackie, basta guardarci come Romeo e Giulietta, ci aspetta una giornata di duro lavoro! E devo anche sistemare le mie cose nell’armadio qui nella mia nuova casa e fare la valigia per l’Irlanda-
Sbuffai, feci una smorfia e mi avvicinai a lei per lasciarle un bacio sulle labbra.
-Va bene, capo! A lavoro-
Ridacchiammo entrambi e poi lei andò a prepararsi, un’ennesima giornataccia ci aspettava.
 
 
Eravamo tutti seduti a cerchio, sembravamo i cavalieri della tavola rotonda.
Da un lato il nostro manager, dall’altro il padre di Sandy con le sue “stelle prodigio”.
Io ero più che certo che quelle lì ci avrebbero fatto fare una pessima figura, ma Alex voleva darle una possibilità visto che gli sembrava avessero certe qualità canore, che io però non vedevo ne sentivo.
Stavamo discutendo ormai da più di mezz’ora circa la scaletta, quelle ragazze non avevano un minimo di organizzazione. Erano tre ed erano stupide, bellissime ma stupide.
Per non parlare del nome assurdo della loro band! Ma è possibile?! L’originalità proprio non la conoscevano.
Un’altra cosa assurda era che stavamo a casa di Edward Wate, il padre della mia ragazza. Ed io avevo passato la notte, con sua figlia, in quella casa.
Quel pensiero mi faceva venire un ridere incredibile, ma cercavo di trattenermi.
-Jack, presta attenzione!- mi diceva Gaskarth, dandomi continue gomitate.
Io annuivo e poi continuavo a giocare a Candy crush con il mio Iphone, era molto più interessante, sul serio!
Il padre di Sandy, il caro Mr Wate, mi guardava in modo strano, allora ogni tanto gli sorridevo.
Ero certo che né a lui né alla signora Terry andassi bene.
Ovviamente, come la maggior parte delle persone viventi, credevano che io fossi un idiota, un cretino, un senza cervello.
Un tempo forse lo ero anche stato, e di cretinate ne facevo ancora, però a venticinque anni un minimo di serietà iniziavo ad averlo.
Poi, come si dice, quando si incontra la ragazza quella stabile, uno abbassa la testa e diventa un bravo giovane!
Ad esempio Alex, da quando la sua relazione con Lisa si era stabilizzata, era molto meno idiota di un tempo.
Lo stesso processo stava accadendo su di me.
-Okay, allora il sette Gennaio inizia il nostro mini tour negli Stati Uniti, abbiate fiducia di me, le mie ragazze sono delle stelle! Adesso noi andiamo a fare altre prove, non create casini sta arrivando mia figlia. -
La voce di Edward e i finali saluti dei miei colleghi mi fecero comprendere che la riunione era finita, ed io non me n’ero nemmeno accorto.
L’uomo mi lanciò un occhiata capace di uccidermi, poi uscì di casa seguito dalle tre ragazzine.
-Barakat, hai sempre la testa tra le nuvole- mi rimproverò Rian, e io feci una smorfia.
-Ragazzi, abbiate pietà di me, pochi giorni e Sandy se ne va-
-Jack sei una palla, Sandy non va in guerra!- intervenne Alex, scocciato.
-Avete ragione, sono diventato così paranoico… anche lei me l’ha detto-
-Stai attento altrimenti ti lascia eh-
Liquidai  Zack con un’occhiataccia, e tenni per me qualche cattiva battuta sui facili costumi delle spagnole.
Senza offesa a Flores, ma si sa in Spagna com’è pazza la vita.
-E chi ti prende più, se non Sandy?!- esclamò Alex, sedendosi su uno dei divanetti del salotto di casa Wate.
Proprio mentre stavo per aprire la porta e ribattere, una voce a me familiare mi provocò un sorriso.
-Tranquilli ragazzi, non lo lascio-
Era Sandy, e non appena la vidi uno stupido sorriso mi comparve in volto.
-San, meglio per noi. Comunque, come stai?-
Gaskarth le si avvicinò e i due si scambiarono un abbraccio, era strano vedere il mio migliore amico e la mia ragazza comportarsi da amici, credevo che Sandy odiasse Lex dopo la sbronza, e invece no.
-Sto bene, anche se sono un po’ incasinata con la libreria. E voi?-
-Bene – rispose Rian, e Sand andò ad abbracciare anche lui.
Ero certo che fosse il suo preferito, non faceva che dire “Oh povero Rian, ma come vi sopporta?!”, ed io ero un tantino geloso.
Passò in rassegna anche a salutare Zack, lo pseudo-ragazzo della sua nuova migliore amica e si dimenticò completamente di me, quella me l’avrebbe pagata.
-Che ci fate a casa mia?-
-Tuo padre ci ha invitati qui per una riunione- rispose Alex.
-Spero non siete andati di sopra, c’è un disordine assurdo-
-Voi ragazze vi preoccupate solo di quello…comunque no, siamo rimasti in salotto-
Sandy tirò un sospirò di sollievo, io allora feci un colpo di tosse per attirare la sua attenzione.
-Sand, non ti sarai mica dimenticata del tuo adorabile fidanzato?-
Scherzò Rian, ed io cercai di ignorarlo. Allungai una mano verso il braccio di Sandy e l’attirai a me, così si sedette finalmente al mio fianco.
-Ciao!- la salutai, fingendomi offeso.
-Ciao Jack, sono secoli che non ci vediamo- rispose ironica,  ed io sbuffai.
Oh cavolo, stavo diventando paranoico più che una donna con il ciclo.
Il resto della mattinata procedette così, fino a quando i miei amici non se ne andarono ed io e Sandy rimanemmo finalmente soli.
Volevo passare più tempo possibile con lei, perché poi se ne sarebbe andata ed io avrei passato il Natale peggiore della mia vita.
 
-Sandy, puoi smettere un attimo di preparare questa dannata valigia e guardarmi in faccia?-
Sbottai all’improvviso, tanto che lei lasciò cadere un maglioncino turchese e mi guardò attonita.
-Jack, si può sapere cosa ti prende?-
Mi guardò confusa.
-Non guardarmi in quel modo Sandy. Sembra che questa cosa che parti fa male solo a me!-
-Ne stai facendo un melodramma!  Non voglio di nuovo litigare con te di questa cosa-
Ricominciò a prendere dei pantaloni dall’armadio e a sistemarli nella valigia, ed io sbuffai.
-Devi preparare il tutto per il viaggio proprio quando ci sono io?-
-Oggi pomeriggio non ho tempo, caro.-
-Che cazzo!-
Mi fulminò con lo sguardo. –Nessuno ti ha chiesto di restare-
A questa spalancai gli occhi. –Bene, molto bene. Allora me ne vado Sandy, va all’inferno-
Dissi con rabbia, mi alzai dal suo letto e iniziai a camminare verso le scale. Lei rimase quasi sconvolta dal mio comportamento, ma poi mi seguì, implorandomi di ascoltarla.
“Amen” pensai, e rimasi fermo a guardarla negli occhi.
-Non volevo risponderti male, ma tu mi tratti come se dovessi andare in guerra-
Il suo tono era talmente dolce che tutte le mie pretese di nervosismo e rabbia crollarono, e mi limitai a rubarle un bacio che non si aspettava.
Posai una mano sulla sua guancia e lei mi cinse con le sue braccia, è così difficile a volte comprendere che anche i ragazzi hanno bisogno di coccole, a volte?!
-Jackie, ora possiamo tornare nella mia stanza?-
Annuii. –Va beh-
Sorrise, e la seguii di nuovo nella sua camera, solo che lei si sedette sul letto e mi fece cenno di avvicinarmi a lei; così feci, e mi abbracciò fortissimo.
-Oh, ecco la mia Sandy- le sussurrai all’orecchio, provocandole una risatina.
-Hai venticinque anni ma è come se fossi ancora imprigionato nei sei, non è vero?-
Arricciai il naso. –Non offendermi-
-Non ti sto offendendo infatti…Voglio dire, tu… - ribadì, ed io la baciai per zittirla, a volte sapeva essere così logorroica.
-Non mi piace che mi baci mentre parlo!-
Sciolse l’abbraccio e mi guardò imbronciata.
-A me si invece-
Mi fulminò con lo sguardo e con una leggere spinta mi fece finire con la schiena sul materasso.
-Ohi ohi, cosa stai cercando di fare?-
Rise. –Niente di quello che tu pensi, Jack. Oggi ho già dato-
Scoppiai anche io a ridere e la tirai verso di me, nonostante cercasse di dimenarsi. 
-Guarda che non c’è un limite di volte, eh…-
Mi sferrò un pugno nello stomaco. –Sei sempre il solito!-
-Ahi, sei una stronza- mi lamentai
-Tu invece un pervertito!-
-E dai amore, non fare così-
-Ora stai cercando di comprarmi con quell’espressione dolce! Non farlo Jack, non farlo!-
Si portò le mani davanti al viso e io mi misi a sedere, e iniziai a solleticarle la pancia.
-No! Sai quanto odio il solletico! No!-
-E’ la mia arma, Sandy Wate- replicai.
-Non ti prego! Ti prego!-
Quando rideva era davvero bellissima, aveva quel sorriso ampio e contagioso, e le si formava una simpatica fossetta sulla guancia.
-Chiedi perdono- le dissi sottovoce, fermandomi solo per un attimo.
-Per-per…perdono- balbettò, tra le risate.
Sorrisi, e le baciai il collo, lei allora scosse la testa.
-No Jack, ti ho detto no!-
-Adesso sei tu che pensi male, piccola Sandy!- mi difesi, e lei allora si arrese, mi guardò con un sorriso malizioso e passammo a qualcosa di molto più interessante, del preparare una valigia.
 
 
 

 
 
Finalmente posso aggiornare! Internet a causa delle numerose piogge, allerte meteo, vento e tempeste non funzionava più :c grazie al cielo tutto si è risolto! E…come ben sapete,  i nostri cari ragazzi verranno in Italia per BEN TRE DATE! Voi ci andate? Io si, il mio papà è disposto ad accompagnarmi e non me l’aspettavo proprio. Sono felicissima *-* è il mio primo concerto in assoluto.
A presto, comunque! :3
 
_stargirl

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