Punti di vista

di miseichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Complementari ***
Capitolo 2: *** Tè alle mosche ***



Capitolo 1
*** Complementari ***


 

Punti di vista

 

_Complementari

 

Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze.

 

 

Un tipo si stava sbracciando verso di lei. 
Sì, ne era abbastanza sicura: tre tavoli, dieci sedie e due divanetti più in là, un ragazzo le stava facendo segno di raggiungerlo. Con convinzione. 
Letizia assottigliò lo sguardo, guardandolo meglio: biondo, giacca e cravatta, decisamente attraente. Uno così se lo sarebbe ricordato, poco ma sicuro. 
Probabilmente non ce l’aveva con lei, ecco tutto. Forse...
“Letizia!”
Eh, no. Se la chiamava anche per nome le smontava il discorso. 
Avanzò decisa, raggiungendolo in pochi passi e fermandosi davanti al suo tavolino:
“Ci conosciamo?” 
Lui si alzò, un sorriso smagliante e una mano tesa nella sua direzione:
“Luca, molto piacere.”
“Come sai il mio nome?” incalzò lei, stringendogli frettolosamente la mano.
“La domanda giusta dovrebbe essere: perché tu non conoscevi il mio?
Letizia sbuffò, arretrando leggermente: 
“Non mi piacciono questi giochetti.” borbottò “E poi devo andare: sto aspettando un’amica che, spero vivamente, a momenti sarà qui.”
“No.”
“No, cosa?”
“Non arriverà.”
Prima ancora che lei potesse anche solo aprir bocca, Luca continuò:
“Le ho gentilmente chiesto di lasciare che fossi io a offrirti qualcosa da bere.”
“Hai... hai corrotto Camilla?”
“Non parlerei proprio di corruzione.” nicchiò lui “Persuasione?”
“Non è divertente.”
“Il tuo nome non ti si addice molto, sai?”
Letizia aggrottò le sopracciglia, guardandolo in cagnesco:
“Prego?”
“Mi stai rendendo le cose piuttosto difficili.”
“Non ti conosco!” s’infiammò lei, scostando bruscamente la sedia e prendendo posto di fronte a Luca “Cosa pretendi? Che ignori l’assenza della mia amica e resti qui con te, perfetto sconosciuto, a...”
“... bere qualcosa in questa fredda giornata di fine novembre?” sorrise ancora lui, tornando a sedersi con tranquillità “Sì, in effetti il piano era proprio quello.”
“E’ un piano che fa buchi da parecchie parti, ne sei consapevole?”
“Ti piace la cioccolata calda?”
Letizia sospirò, aprendo con un gesto stanco il cappotto e sciogliendo la sciarpa:
“Ignorare le mie domande e porne altre è controproducente.”
“Ti piace la cioccolata calda?”
“Anche ripetere la domanda non vedo a cosa possa portare.”
“Ti piace la cioccolata calda?”
“Sì!” sbottò alla fine lei, senza riuscire a trattenere un sorrisetto “Sì, mi piace.”
“Bene.” annuì Luca, sfregandosi le mani “Perché ne ho già ordinate due.”
“Eri talmente sicuro di te da non prendere neanche in considerazione un mio rifiuto?”
Luca scosse la testa, arricciando divertito le labbra.
“Cosa?” 
“E’ una domanda trabocchetto. Voi ragazze vi divertite un mondo a farne, vero?”
“Non è una domanda trabocchetto!”
“Oh, sì che lo è. E non ho minimamente intenzione di risponderti.”
Un cameriere si avvicinò al tavolo, vi poggiò due enormi tazze fumanti e se ne andò, silenzioso come era arrivato. 
“Se è per questo non hai ancora risposto nemmeno alla mia prima domanda.” mormorò Letizia, cominciando lentamente a girare la cioccolata con il cucchiaino. 
“Al momento non ricordo...”
“Ci conosciamo?” ripeté lei, interrompendolo sul nascere “C’è un motivo, un qualsiasi motivo, per cui sto bevendo con te una cioccolata?”
“Mi piaci.”
Letizia sollevò di scatto lo sguardo, fissandolo in quello di Luca. 
Aveva gli occhi neri, notò. Neri e inaspettatamente sinceri. 
“Ti piaccio?”
“Da due, tre settimane, sì.”
“Due o tre?” insisté lei, cercando disperatamente di prendere tempo per metabolizzare la situazione.
“Non ho contato i giorni.” sorrise, per la prima volta impacciato, lui. 
“Non ti conosco.”
“Siamo tornati al punto di partenza?”
Letizia scosse la testa, sbriciolando nella tazza un biscotto secco a forma di stella:
“E’ un punto fondamentale che tu ti ostini ad ignorare.” spiegò, senza distogliere lo sguardo da quello del ragazzo “Ti ho già incontrato? Ti ho quasi investito? Frequentiamo qualche corso assieme? Conosci intimamente Camilla? Insomma, come diavolo è possibile che tu conosca me, quando io non ho la più pallida idea di chi tu sia?”
Luca bevve un minuscolo sorso di cioccolata, ustionandosi quasi sicuramente la lingua, prima di decidersi a rispondere:
“Ci siamo incrociati diverse volte. Martedì scorso stavi per ruzzolare giù dalle scale della biblioteca, quando ti ho afferrata per il lembo della giacca. Mi hai ringraziato, ti sei scusata e sei corsa via senza degnarmi di uno sguardo. No, non abbiamo corsi in comune perché io sono all’ultimo anno di giurisprudenza e tu, se non mi sbaglio, studi qualcosa che ha a che fare con le molecole, o con gli atomi...” s’interruppe, carezzandosi confuso una barbetta invisibile “Qualsiasi cosa sia, comunque, la studi nel palazzo adiacente alla mia facoltà.”
Letizia inclinò il capo, osservandolo mentre scioglieva il nodo della cravatta e sbottonava i primi due bottoni della camicia bianca. Lui prese un bel respiro prima di mormorare:
“Hai intenzione di dire qualcosa o...”
“Chimica molecolare.” 
“Oh.”
“Studio chimica molecolare.” sorrise incerta Letizia “E ancora grazie per avermi evitato quella brutta caduta, davvero.”
“Non c’è di che.”
“Così ti piaccio.”
“Già.”
Letizia annuì, portando la tazza alle labbra:
“Non mi piacciono gli avvocati.”
“Gli avvocati in generale o me in particolare?” ghignò incerto Luca, inumidendosi le labbra.
“Avrei dovuto capirlo.”
“Che mi piacevi?”
“Che sei un avvocato.” precisò lei, ignorandolo “Gli indizi c’erano, e anche parecchi. La tua parlantina sciolta. Il completo. Il modo in cui eviti le domande che non ti fanno comodo. Il completo. La semplicità con cui cambi discorso, rigirandolo come meglio ti conviene.”
“Cos’hai contro il mio completo?”
“Perché dovrei avere qualcosa contro il tuo completo?”
“Lo hai nominato due volte.” ridacchiò Luca “O non lo sopporti proprio, o ti piace davvero tanto.”
“Non mi piacciono i completi in generale.” borbottò Letizia, fulminandolo “Mi ricordano gente spocchiosa, sfrontata e...”
“Non sono spocchioso.”
“Sfrontato, invece, sì?” sorrise lei, inarcando un sopracciglio.
“Non c’è nulla di male a essere sfrontati. E in più il completo mi sta da favola.”
“Non capisco.”
Il sorriso svanì lentamente dalle labbra di Luca, un velo di incertezza a prenderne il posto:
“Cosa?” sussurrò, rubandole un biscottino “E’ vero che il completo mi sta da favola.”
“Perché io ti piaccio.” mugugnò Letizia “Non capisco perché io ti piaccio.”
“Sai,” sussurrò lui, tormentando un fazzoletto con le dita “la questione del piacere è molto particolare. Non è che si possa spiegare, controllare o altro. Non posso...”
“Lo sai che siamo diversi, vero?”
“No.” si adombrò Luca “Non lo so. Siamo diversi?”
“Oh, per l’amor del cielo! Cosa ti frulla per la testa?”
“Al momento? Cercavo di capire per quanto ancora riuscirò a trattenere la pipì.”
Letizia scoppiò a ridere, la cioccolata che rischiava di fuoriuscire dalla tazza:
“Ma vai in bagno, idiota che non sei altro!”
“No.”
“Luca! Vai in bagno. Prometto di essere ancora qui al tuo ritorno.” ridacchiò lei.
“No. Voglio prima capire perché siamo diversi.”
“Ed è più importante di fare la pipì?”
“Assolutamente.”
Letizia represse un sorriso, senza tuttavia decidersi a parlare.
“O almeno lo sarà per altri dieci minuti, più o meno. Se tu fossi così gentile da...”
“Ci esprimiamo in maniera diversa.”
“Scusa?”
“Tu sei tutto affettato, preciso, con tutti i tuoi bei paroloni importanti e io... ti rendi conto che da quando siamo qui non hai detto neanche una parolaccia? Hai idea di quanto io mi sia sforzata per non imprecarti contro dall’inizio alla fine?”
“Obiezione.”
“A cosa?”
“Tesi inutile, non confacente al discorso.”
“Ovvero?” chiese Letizia, poggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi verso di lui.
“Sono tutte cazzate.” rispose placidamente Luca, sporgendosi a sua volta.
Letizia sussultò, facendo per allontanarsi, ma la mano dell’altro la bloccò, stringendole appena il polso. 
“Poi?” sussurrò Luca “Non dirmi che hai già esaurito le argomentazioni.”
“Indossi completi.”
“Abbiamo già vagliato questo punto, o sbaglio?”
“Sei elegante.” rincarò lei “Per me, la mattina, è già tanto ricordarmi di non indossare gli slip sopra i jeans.”
“Mmm.”
“Cosa?”
“Cercavo di immaginarti con gli slip in bella vista.” sorrise Luca, l’espressione concentrata mentre le sfiorava la mano con le dita “Saresti sexy comunque, temo. Anche di più.”
Letizia osservò quelle dita che si intrecciavano con le sue, chiedendosi in quale punto della conversazione avessero superato la linea del non ritorno. 
Era già troppo tardi?
“Prossima argomentazione?”
Letizia sorrise, godendo di quel calore inatteso.
“Non ci intoniamo.”
“Questa non l’ho capita.”
“Tu sei biondo, io rossa. Non ci intoniamo.”
“A me, però, piacciono le rosse. Significa che non mi intonerò mai?”
“No.” annuì Letizia “Dovresti scegliertene una bruna. Al massimo castana.”
“Preferisco non intonarmi.” 
Probabilmente sì, era già troppo tardi. 
“Non dovevi fare pipì?”
“Solo quando avrai finito di sparare cazzate per non uscire con me.”
“Ti stai sforzando, vero? Il  tuo corpo rigetta le parolacce, si vede.”
“Esci con me?”
“Quindi questo non era un appuntamento?”
“No. Era un pre-appuntamento.”
“Interessante.”
“Letizia.”
“E se non mi fossi seduta?”
“Letizia.”
“Se, molto più semplicemente, mi fossi girata dall’altra parte?”
“Non lo hai fatto.”
“Certo che no, c’era la cioccolata calda.”
Luca alzò gli occhi al cielo, attirandola un po’ più vicino:
“Ti sei seduta quando ancora non sapevi della cioccolata calda.”
“Certo.”
“Certo?”
“Certo, c’era un fustaccio biondo con un completo che gli sta da favola che mi faceva gli occhi dolci.”
“Uscirai con questo fustaccio?”
“Non ne sono sicura.” mormorò Letizia, come confidandogli un segreto “Siamo diversi, sai, e lui finge che non importi.”
“Perché non importa per davvero.”
“Ci sono buone, che dico, ottime possibilità di vederla diversamente su quasi ogni cosa.”
“Quindi?”
“Immagini le discussioni? I litigi?” sospirò lei “Sono un tipo che urla, io.”
“Mi piacciono le discussioni.”
“Disse il futuro avvocato.”
“Senza ci si annoierebbe, non trovi? Pensa se fossimo sempre d’accordo: di cosa potremmo mai parlare?”
“E la tua soluzione è chiedere di uscire al tipo di ragazza più diverso da te che trovi.”
“Non più diverso: complementare.”
Letizia s’imbronciò, abbassando lo sguardo sulle loro dita intrecciate. 
“Non puoi dire cose del genere.”
“Senti, potremo continuare a discuterne quanto vuoi, va bene? Sviscerare la questione e parlarne, e parlarne, finché...”
“Va bene.”
“Non interrompermi sempre, per la miseria. Rischio di perdere il filo e... va bene?”
“Va bene, esco con te.”
“Davvero?”
“Sì. Mi hai stordita con la tua parlantina.” sorrise Letizia, mentre lo stupore sul viso di lui si trasformava in gioia. 
“Ora puoi andare in bagno.” mormorò, facendo per lasciargli la mano.
“Non cambierai idea?” domandò a sua volta lui, senza lasciarla andare.
“Non nell’immediato.”
“Non nell’immediato.” ripeté soddisfatto Luca, allontanandosi dal tavolo in retromarcia. 
Prima di sparire nel corridoio le fece l’occhiolino, sillabando senza voce:
Complementari.

 

§








 

 

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Capitolo 2
*** Tè alle mosche ***





Punti di vista

 

      _Tè alle mosche

 

E’ difficile avere una convinzione precisa 
se si parla delle ragioni del cuore.

 

 

“Diventi insopportabile durante le feste.”
Mauro sbuffò, lanciando un’occhiata esasperata alla collega:
“Siamo appena agli inizi di dicembre.” mugugnò “Non si può ancora parlare di feste.”
“In questo caso è peggio.”
“Cosa?”
“Il tuo essere insopportabile.” spiegò Serena, sorridendogli “E’ immotivato, quindi peggiore.”
“Io non sono insopportabile.” sillabò Mauro, sperando così di riuscire a mettere un punto all’assurda discussione; ma aveva dimenticato con chi aveva a che fare. 
Serena scosse il capo, togliendogli il vassoio vuoto dalle mani e poggiandolo su un ripiano alle sue spalle: 
“Non hai detto una parola a quei due.”
“A chi?” sospirò affranto Mauro, seguendo il dito della ragazza puntato su un tavolo poco lontano. 
“Quei due.” ripeté Serena “E’ carino interagire con i clienti, sai?”
“Sono stato discreto.” spiegò lui, incrociando le braccia al petto “Si stanno facendo gli occhi dolci da mezz’ora, vedi? Ho preferito non disturbare.”
Il sorriso di Serena sbiadì appena, le dita che nervose correvano a spostare una ciocca castana sfuggita al fermaglio colorato.
“Sono carini.” mormorò, perdendo parte della vivacità precedente. 
Mauro scosse il capo continuando a guardare la coppietta: 
“Lui biondo e lei rossa?” soffiò insofferente “No. Non si intonano, dai. E poi, non so perché, ho come l’impressione che lui stia per farsela sotto.”
Serena ridacchiò assestandogli uno schiaffo sulla spalla:
“Insopportabile.” sussurrò “Sei insopportabile.”
“Realista.” le fece il verso lui “Sono realista.”
“Questione di punti di vista.” sentenziò la ragazza afferrando una tazza dal ripiano sotto il bancone. 
“Che fai?” la bloccò Mauro “Non è la tua.”
“Lo so.” sorrise lei, prendendone anche un’altra “Questa è la mia.”
Mauro la osservò versare il contenuto della prima nella seconda e non riuscì a trattenere un’espressione oltraggiata: 
“Credevo non lo facessi più.” mugugnò schifato.
“Non c’è niente di male.” si strinse nelle spalle Serena, mescolando il liquido ambrato “Il cliente l’ha lasciato, no? Dov’è il problema?”
“E’ immorale, disonesto, indecente e assolutamente obbrobrioso.”
“Obbrobrioso.” ripeté lei “Che bella parola.”
“E’ schifoso.”
“Obbrobrioso mi piaceva di più.” ridacchiò portando la tazza alle labbra. 
“Era il mio tè, quello?” 
La voce, palesemente divertita, li colse terribilmente di sorpresa. 
Serena sobbalzò, voltandosi di scatto verso la ragazza che li fissava esilarata.
“No, certo che no.” rispose subito, mantenendo un’espressione seria. 
“Strano.” sogghignò l’altra avvicinandosi al bancone “Ero sicura di aver visto...”
“Non berrei mai gli scarti dei clienti, suvvia.” la interruppe Serena, ignorando bellamente le occhiate sarcastiche del collega. 
“Oh, bene.” annuì con sollievo la ragazza “Perché nel mio tè, sfortunatamente, ci era caduta una mosca.”
Mauro sussultò avvicinandosi di soppiatto alle spalle di Serena.
“Posa quella tazza.” mormorò al suo orecchio.
“No.”
“Posa quella fottutissima tazza.” ringhiò quasi il ragazzo mentre Serena rafforzava la presa sull’oggetto.
“Non posso.” sibilò in risposta lei con le labbra serrate “Se lo facessi gliela darei vinta.”
“Certo, preferisci bere un mosca.”
“Ci sono problemi?” intervenne la cliente sorridendo candidamente. 
“Per niente.” Serena sollevò il mento portando la tazza alla bocca, ma un istante prima che cominciasse a bere, Mauro gliela strappò dalle mani.
“Sono circondato da pazzi.” mugugnò “Pazzi furiosi.”
Serena dischiuse le labbra guardandolo allontanarsi, quindi, rivolse uno sguardo incerto alla cliente.
“Non so cosa gli sia preso.” si scusò, stringendosi nelle spalle. 
“Capisco.”
“E’ sempre stato un po’ strano.” 
“Certo.”
“Io non...”
“Posso offrirti qualcosa?”
“Come? A me, intendi?” balbettò Serena, l’impressione di essersi persa un passaggio.
“Sì, a te.” annuì sorridendo la cliente “Qualcosa da bere, o da mangiare; quello che vuoi, purché sia fuori da qui.”
“Io non... non sono in pausa.”
“Puoi esserlo.” giunse la voce di Mauro da poco lontano “E’ un momento fiacco.”
“Oh, magnifico!” gioì la cliente “Andiamo?”
“Io non... non saprei.” tentennò Serena, lanciando uno sguardo implorante aiuto al collega. Lui ghignò esilarato, lanciandole il cappotto:
“Vai e divertiti!”
Serena fece appena in tempo a infilarsi la giacca, che l’altra ragazza l’afferrò per il braccio, trascinandola all’esterno del locale. 
Un silenzio quasi irreale le avvolse, una brezza gelida che le colpiva in pieno. 
“Uh, che sbalzo di temperatura.” soffiò Serena, il fiato che si condensava in una pallida nuvoletta. 
“Non ci siamo ancora presentate.” 
“Vero. Io sono Serena, cameriera con orribili e deprecabili abitudini.”
“Anita.” mormorò in risposta la brunetta stringendole la mano “Cliente affezionata.”
“Mi dispiace per la scenetta di poco fa.”
“Quindi era proprio il mio tè?”
“Temo di sì.”
Anita ridacchiò prendendola a braccetto e trascinandola per il marciapiede.
“Lo avresti davvero bevuto?” chiese dopo un po’, aggiustandosi il cappellino rosso. 
“Credo di sì.” sospirò Serena, guardandola di sottecchi “Sono pazza, Mauro non ha tutti i torti.”
“Forse.” concesse Anita, guidandola in direzione del parco “Una pazza adorabile, però.”
“Non sono lesbica.”
“Una pazza adorabile e senza peli sulla lingua.” rise l’altra, rallentando “Perché me lo dici?”
“Cavoli, perdonami. Temo di non avere una qualsivoglia barriera fra cervello e lingua.”
“Sei arrossita o è il freddo?”
“Imbarazzo, tutto imbarazzo.” scosse il capo mortificata.
“Confermo: non c’è alcuna barriera.”
“Non volevo essere brutale. E’ solo che...”
“Non sei lesbica.”
“No, in effetti no.”
“E me lo dici a puro titolo informativo o per un qualche motivo preciso?”
Serena le lanciò un’occhiata veloce, cercando di capire se e quanto sarcasmo vi fosse nella domanda dell’altra. Non riuscendovi, optò per un nuovo quesito:
“Tu lo sei?”
“Lesbica, intendi?” sorrise Anita, arricciando divertita le labbra “Sì, preferisco le donne.”
“E non... non ci stavi provando con me? Voglio dire, volevi offrirmi qualcosa e...”
“A proposito! Hai deciso cosa vuoi?”
Serena sospirò, cominciando ad abituarsi alla compagnia dell’altra:
“Sì.” rispose dopo qualche momento “Un gelato.”
Anita si fermò, assottigliando lo sguardo e fissandolo in quello di Serena:
“Un gelato?”
“Già.”
“Ci saranno sì e no otto gradi.”
“Lo so.”
“Hai le labbra quasi viola, per la miseria.”
“Colpa del freddo, sai com’è.” fece spallucce Serena.
“Un gelato.” ripeté Anita annuendo piano prima di scoppiare fragorosamente a ridere.
Era una bella risata, pensò Serena. Dolce e travolgente. 
“C’è un chiosco dietro il monumento.” continuò, una volta ripreso fiato “Possiamo tentare: può essere che abbiano ancora qualche gelato.”
Ripresero a camminare, il passo tranquillo. 
“Quindi ho frainteso tutto, prima?” 
“Hai dei begli occhi, sai?” commentò Anita con nonchalance “Proprio un bel colore.”
“Sono castani.” mormorò piano Serena “Un classico, noiosissimo, castano.”
“No. Un caldo, morbidissimo, castano.”
“Dici?”
“Con sfumature di verde.”
“I tuoi sono azzurri.” borbottò in risposta “Azzurro vince contro castano.”
“Non ho le sfumature, io.”
“Azzurro vince sempre. Anche contro le sfumature.”
“Non ti piacciono i complimenti?”
“Non sono abituata a riceverne.” sorrise imbarazzata Serena “E tu non hai ancora risposto alla mia domanda.”
“Guarda.” indicò con la mano libera Anita “Il chiosco!”
La piccola piazza era quasi vuota: la popolazione ridotta a un paio di spazzini e pochi altri coraggiosi. Si avvicinarono alla piccola struttura in legno e una testa mora spuntò rapida da sotto il bancone:
“Delle clienti?” ridacchiò incredulo il ragazzo, sfoderando un sorriso smagliante “Pietro!” chiamò a gran voce “Clienti!”
Un’altra testa, mora anch’essa, si materializzò con tanto di sorriso.
“Ero a meno di tre passi da te.” rispose in direzione del primo ragazzo “Non c’è bisogno di gridare, Teo.”
“Ci sono due clienti!” 
“Le vedo. E loro possono sentirti.”
“Due clienti!”
L’ultimo arrivato sospirò, rivolgendo un cenno di scuse alle ragazze.
“Cosa possiamo fare per voi?” chiese, il tono servizievole “Crepes, caldarroste, bignè...”
“Due gelati.”
All’interno del chiosco scese un silenzio interdetto, rotto dal moro più entusiasta:
“Gelati? Sicure che...”
“Una mosca è caduta nel mio tè e lei stava per berlo.” spiegò accuratamente Anita “Mi sento in dovere, adesso, di offrirle un gelato.”
“Mi sembra giusto.” convenne il ragazzo “Pietro, concordi anche tu?”
“Vado a vedere se ne abbiamo ancora qualcuno.”
Serena ridacchiò, dando di gomito all’altra: 
“Li hai sconvolti.”
“Sei tu quella che voleva bersi una mosca.”
“Non potevo certo darti ragione.”
“Ne sono rimasti solo tre tipi.” giunse la voce attutita del ragazzo “Cremino, sorbetto o cornetto. Quale preferite?”
“Cremino!” rispose subito Serena, quasi strappandogli la confezione dalle mani.
“Io prenderò il sorbetto.” commentò invece Anita, prendendo il gelato e lasciando cadere una banconota sul banco “Grazie!”
“Grazie a voi.” sorrise contento Teo, per poi lanciare un’occhiata ammiccante verso l’altro ragazzo “Venite quando volete.”
Anita annuì distratta, trascinando via Serena:
“Panchina?”
“Dovrò tornare a lavoro prima o poi, sai?”
“C’è il tuo collega pazzo.”
“Mi ucciderà, sì, poco ma sicuro.”
“Era simpatico.”
“E’ folle.”
“Quindi non è il tuo ragazzo?”
“Mauro?” rise incredula Serena, dando il primo morso al gelato “No, certo che no! Lui...” si bloccò, sedendosi con cautela e osservando attenta Anita “... ho già accennato alla mia eterosessualità, vero?”
“Sì, proprio all’inizio.”
“Non dovreste avere un radar, o qualcosa così?” domandò curiosa “Voi lesbiche, intendo.”
“Un radar?”
“Come ce l’hanno i gay, dico.”
“I gay hanno un radar?”
“Certo che sì, per riconoscersi subito.” 
Anita non riuscì a trattenere una risata, le dita che scostavano piano una ciocca castana dalla guancia di Serena:
“Sei arrossita.” mormorò, carezzandola appena. 
“Perché tu stai ridendo.”
“Colpa tua e del tuo radar.”
“Esiste!” sbottò Serena, inumidendosi le labbra congelate “E... no, aspetta. A meno che tu non lo abbia e... il tuo radar ti ha detto che sono lesbica?”
La risata di Anita, questa volta, durò ben più di un minuto. 
“Sono seria! Secondo il tuo radar sono lesbica?”
“Se anche fosse?” si asciugò gli occhi Anita, il sorriso irrefrenabile. 
“Non lo sono.”
“Dovresti dirlo con maggiore convinzione.”
“Ho avuto dei ragazzi.”
“Anche io.” fece spallucce Anita “Con le ragazze è più divertente, posso assicurartelo.”
“Non sono lesbica.”
“Dove sarebbe il problema?”
Serena aprì la bocca per rispondere, ma le parole non uscirono. 
Dove sarebbe stato il problema? Non avrebbe saputo dirlo. 
Probabilmente perché non esisteva una risposta. 
“Sai una cosa?”
“Cosa?” ripeté Serena, poggiando piano le spalle alla panchina, i pensieri che purtroppo si aggrovigliavano, confondendola sempre di più. 
“Le mosche d’inverno diminuiscono drasticamente.”
“Come?”
“Per via del freddo.”
“Diminuiscono?”
“Drasticamente.” annuì Anita, il solito sorriso a piegarle le labbra sottili “Tendono quasi a scomparire.”
“Oh.”
Serena sbatté le palpebre, alzandosi in piedi.
Oh.
“Devo tornare a lavoro.” mormorò, aggiustandosi il cappotto. 
“Sabato sei di turno?”
“Io... perché?”
Anita diede un morso al sorbetto, fissandola con un paio di occhioni azzurro chiaro:
“Non si sa mai, un’altra mosca potrebbe finirmi nel tè.”
Serena arretrò di qualche passo, il cremino dimezzato e quasi dimenticato ancora stretto fra le dita. Diede le spalle ad Anita e si fermò, prendendo un bel respiro:
“Ho il turno delle sei.”

 

§

 

 

 

Seconda one-shot.
Come avete visto, l’idea è semplice: ogni storia è legata a quella precedente da un sottilissimo filo conduttore; nella prima i protagonisti sono stati Luca e Letizia, mentre in questa (grazie al loro cameriere) abbiamo conosciuto Serena e Anita.
Nella prossima, come qualcuno avrà sicuramente intuito, ci saranno Teo e Pietro.
In quella successiva... eh, no, non ve lo dico. 
Spero davvero di non aver annoiato nessuno, 
grazie a tutti, e un grazie speciale a chi mi ha supportato (oltre che sopportato),
alla prossima,
Sara

P.s. un grazie ancora più speciale all’adorabile MaryCullen che ha avuto la pazienza di leggere il tutto in anteprima *-*

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