Il momento della verità

di Elinor92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il buon giorno si vede dal mattino ***
Capitolo 2: *** Equilibri infranti ***
Capitolo 3: *** Tardi, troppo tardi. ***
Capitolo 4: *** Scelte ***
Capitolo 5: *** Bestie ferite ***
Capitolo 6: *** Sotterfugi ***
Capitolo 7: *** Livietta's time ***
Capitolo 8: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 9: *** Tra sogno e realtà ***



Capitolo 1
*** Il buon giorno si vede dal mattino ***


“Mannaggia, parti! Parti!” disse Camilla girando la chiave d’accensione della macchina. Cinque minuti dopo, la macchina ancora non partiva.
“È tardissimo!” sbottò lei, uscendo da quella macchina infernale, urtando qualcuno che si ritrovava a passare quasi per caso.
“Hai bisogno di aiuto, prof?” chiese Gaetano. Si era divertito a vederla sbraitare contro la macchina ma alla fine aveva deciso di intervenire.
“Gaetano” disse lei sorpresa. Com’era possibile che quando avesse bisogno di aiuto, che si trattasse dello scaldabagno da cambiare o di una macchina che di partire non ne volesse proprio sapere, lui si trovasse sempre nei paraggi, pronto ad aiutarla?!
“È tardissimo, la mia lezione sta per” si ferma un attimo a osservare l’orologio, “è appena iniziata e io sono ancora qua!” disse lei al colmo di una crisi di nervi. Odiava essere in ritardo, anche se spesso le capitava.
“Se vuoi ti do un passaggio io” si offrì Gaetano.
“E Tommy, dov’è?” chiese Camilla notando l’assenza del bambino.
“È passata Eva a prenderlo. Lo porta lei a scuola” rispose Gaetano, facendo tintinnare le chiavi della sua macchina e facendole segno di seguirlo.
Camilla salì in auto, voleva chiedergli di Eva, di come stessero evolvendo le cose tra loro, ma non ne trovava il coraggio. Forse era meglio non sapere.
Una brusca frenata mise fine a questi pensieri.
“No!” esclamò Camilla, raccattando tutte le cose uscitele dalla borsa.
“Mi spiace ma quel teppista mi ha tagliato la strada. Tu stai bene?” le chiese Gaetano, preoccupato soltanto che Camilla non si fosse accidentalmente fatta del male.
“Si, si.” Rispose lei distrattamente.
“Il buon giorno si vede dal mattino” diceva un famoso detto. Cos’altro le sarebbe potuto succedere?
Arrivata davanti la scuola, salutò frettolosamente Gaetano e scese dall’auto a “razzo”, tanto per usare una di quelle espressioni demodè che alla nostra prof piacciono tanto.
“Camilla” la salutò Nanni, il preside della scuola. “Dove corri?”
“Sto andando in aula, sono in ritardissimo.” Spiegò lei come se non fosse ovvio ad entrambi.
“I tuoi ragazzi sono in aula magna.” Le disse il preside, non riuscendo a evitare che un sorriso facesse breccia sul suo viso.
“Oggi doveva esserci l’incontro tra un imprenditore di medio successo e le quinte.” Spiegò lui, osservando, maggiormente divertito, l’espressione sgomenta di lei.
“Giusto. Quindi aula magna.” Disse lei voltandosi e dalla parte opposta. Quando era ormai giunta alla fine del corridoio, si voltò “Ehm, Nanni, grazie!” e aprì la porta dell’aula Magna.
 
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Gaetano stava scendendo dall’auto, quando il luccichio di un oggetto, attrasse la sua attenzione. Un paio di occhiali da sole giacevano ai piedi del sedile del passeggero. Sicuramente erano di Camilla!
Compose il suo numero, da sempre lo sapeva a memoria.
“Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin, driiiiiiiiiiiiiiiiin” il suono di un telefono vecchio stile, risuonò all’interno dell’abitacolo dell’auto.
 
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Camilla Baudino non riusciva a credere ai propri occhi. Marco Visconti era al centro dell’aula e stava tenendo un discorso ai suoi allievi.
“Camilla!” esclamò sorpreso Marco, bloccandosi nel bel mezzo del discorso.
“Marco!” rispose lei, abbastanza in imbarazzo. Gli occhi dei suoi allievi puntati dritti su di loro.
“Professoressa Baudino!” esclamò una voce stizzita dall’altro lato della stanza.
“Commissario De Matteis!” rispose Camilla adesso completamente sbalordita.
“Cosa ci fa lei qui!?” chiese questi.
“Io ci insegno! Semmai dovrei essere io a chiederlo a voi.” Ribattè piccata Camilla.
“Si da il caso che io accompagni mio fratello…” mormorò lui, sbuffando visibilmente.
Dopo un primo momento di sorpresa generale, Marco riprese a parlare. Spiegò come era riuscito a creare la sua azienda vinicola, come aveva conciliato l’atto pratico, il controllare le vigne, le botti e tutto il necessario, all’atto strettamente economico.
 
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“Torre, potresti fermarti un attimo all’Istituto Nelson Mandela?” chiese Gaetano, al fidato ispettore.
“La scuola della prof?”
“Si, la scuola della prof” disse Gaetano senza aggiungere altro. Si vedeva che Torre moriva dalla voglia di sapere, cosa stesse accadendo fra quei due.
Era da dieci anni che andava avanti quella storia. Cosa aspettassero ancora, Torre non riusciva proprio a capirlo.
 
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Capitolo 2
*** Equilibri infranti ***


Il suono della campanella, che segnava l’inizio della ricreazione, riportò Camilla alla realtà.
Marco si stava già avvicinando a lei, e ora cosa avrebbe dovuto fare? Lui voleva una spiegazione per il comportamento vigliacco di lei? E lei era pronta a dargliela?
“Camilla!” disse Marco, apparentemente sereno. “Che piacere rivederti! Ti trovo in gran forma!” continuò lui, gettando un’occhiata di apprezzamento alla sua figura.
“Grazie.” Disse lei, recuperando un po’ di fiducia in se stessa. Marco non sembrava deciso a chiederle spiegazioni e a lei andava bene, molto bene, così.
“Anche tu stai molto bene.” Disse Camilla più per un riflesso che per altro. Questi due anni non avevano scalfito per niente la figura di Marco, ma il metro di paragone di lei era ben diverso.
Dopo aver incontrato nuovamente Gaetano, come poteva interessarsi nuovamente a lui?
“E Renzo…” Marco non riuscì nemmeno a finire la frase, il fratello si era affiancato ai due e stava “cortesemente”chiedendo a Marco di sbrigarsi.
“Che ne dici se ci vediamo in hotel?” disse congedando il fratello.
“Sempre molto amichevole, il commissario!” disse Camilla, piccata nuovamente dall’atteggiamento di lui. Che aveva fatto di tanto male per meritare la sua ostilità? Aveva solo ficcato il naso in alcune indagini, ma non aveva mica commesso un delitto!
“Non farci caso” rispose lui sorridendole, quando il fratello uscì dall’aula furioso.
“Camilla ti andrebbe di prendere un drink?” le chiese lui, avvicinandosi e poggiando una mano sul braccio di lei.
“Marco, io devo continuare le mie lezioni.” E si allontanò di un passo, quel tanto che bastava per terminare il contatto con la mano di lui.
“Potresti bigiare, proprio come facemmo qualche anno fa.” Disse lui, non proprio sottovoce, avvicinandosi nuovamente.
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“Stia attento!” disse Gaetano raccogliendo gli occhiali di Camilla da terra.
“Mi scusi” disse l’uomo che l’aveva spintonato per poi continuare per la sua strada. Abbastanza alto, corporatura nella media, occhi azzurri coperti da un paio di occhiali da vista, memorizzò Gaetano.
La porta dell’aula magna era socchiusa, sperando che Camilla si trovasse ancora là dentro. La bidella, venuta a sostituire Rosati, non aveva saputo dirgli di meglio.
“Mica mi faccio gli affari degli altri, io, neh!”
Gaetano entrò e per poco non gli venne un infarto.
Camilla, era al centro della stanza e…
“Potresti bigiare, proprio come facemmo qualche anno fa.”
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Una presenza dietro di sé. Qualcosa non andava, era come se un sottile equilibrio si fosse rotto proprio in quell’istante. Si voltò e lo vide.
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Soltanto pochi secondi per prendere la decisione più importante della sua vita: scatenare l’inferno o esserle indifferente? Optò per la seconda.
“Camilla, mi spiace disturbarvi, ma hai dimenticato questi in auto stamattina.” Disse Gaetano con voce atona,  porgendole occhiali e telefonino. Un sottile sorriso, il sorriso di una bestia ferita che prova una sorta di piacere nel vedere il proprio carnefice in difficoltà.
“Chissà dove ho la testa!” mormorò Camilla cercando di ridere. Un riso che non raggiungeva né gli occhi, né il cuore. Aveva una terribile voglia di piangere, ma lei era una donna forte, era riuscita a andare avanti nonostante le avversità e, quest’ultimo scherzo del destino, non sarebbe stato da meno.
“Marco, ti presento Gaetano. Gaetano, Marco.”
I due uomini si squadrarono da capo a piedi. Gaetano, seppur Marco fosse alto, lo “fissava dall’alto”, con superiorità. Marco dal canto suo, fissava il commissario, come si fissa un avversario.
Sembrava fosse in atto uno scontro fra titani, chi avesse abbassato per prima lo sguardo, sarebbe stato perduto.
Camilla stava dicendo qualcosa, peccato che entrambi fossero troppo impegnati a guardarsi in cagnesco per poter prestare attenzione a lei.
Lo squillo del telefono di Marco interruppe quel contatto visivo.
Gaetano si voltò solo allora verso Camilla e, dopo averle fatto un cenno di saluto, sparì oltre la porta.

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Capitolo 3
*** Tardi, troppo tardi. ***


Torre non poteva credere ai suoi occhi! Ma quello era il commissario De Matteis?
Cosa ci faceva lui qui!? Era quasi tentato di nascondersi ma lo sguardo dell’uomo lo intercettò prima che il buon Torre potesse muoversi di un centimetro.
“Dovevo immaginarlo, dove si trova la professoressa Baudino, si trova anche lei Torre.” Disse De Matteis avvicinandosi.
“Buon giorno, dottò!” fu la semplice risposta di Torre. “Dottò, ma livati na curiosità?” chiese col suo solito fare buonista. “Ma chi ci fati a Torino?”
De Matteis stava per rispondere quando arrivò Gaetano.
“Torre andiamo!”
“Comandi, dottò!” Torre aveva visto l’espressione del vicequestore e aveva capito che non era giornata per stare a fare salotto.
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“Simpatico il tuo amico” disse Marco, facendo il verso a Camilla per il commento infelice rivolto poco prima al fratello di lui.
Camilla non rispose, uscì dall’aula e osservò Gaetano uscire dalla scuola senza voltarsi indietro. Era tardi, troppo tardi.
“Camilla!” urlò lui andandole dietro e bloccandola per un braccio.
“Lasciami in pace!” sbottò lei, liberandosi dalla sua stretta.
Riuscì a intercettare il preside e, inventando un fortissimo mal di testa, gli chiese un permesso, che gli fu prontamente concesso.
Camminava per le vie di Torino, senza una meta precisa.
Si ritrovò davanti al commissariato, proprio nello stesso punto in cui, mesi prima, aveva ritrovato Gaetano.
La tentazione di salire quei pochi gradini e trovarsi a faccia a faccia con lui era grande, ma sapeva di non poterselo permettere.
Cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe detto? Troppi dubbi, troppi quesiti per un solo giorno.
Si allontanò correndo, scappando da quel luogo che le riporta in mente molti ricordi.
Lei e Gaetano che si ritrovano, Tommy e lei che si abbracciano sotto lo sguardo amorevole di lui, loro che parlano di tutto e di nulla pur di passare un momento di più insieme.
Quei ricordi bruciano nell’animo confuso di Camilla, che corre, corre, corre fin quando non ha più fiato.
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Capitolo 4
*** Scelte ***


"Camilla, Livietta,  c'è qualcuno in casa?" chiese Renzo, poggiando le chiavi sul mobiletto d'ingresso.  Accese le luci, l'intera casa si trovava al buio.
Entrò nella loro camera, sua e di Camilla. Anche quella era al buio. Accese la luce e la vide, seduta per terra, in un angolo, con il capo rivolto verso il basso e le gambe strette al petto.
"Camilla, Camilla" disse Renzo avvicinandosi velocemente a lei.
 "ti senti bene? Che succede?" le poggiò una mano sulla fronte per vedere se fosse accaldata.
Camilla continuava a stare in silenzio. 
"Io ti porto al pronto soccorso! " esplose lui.
"Non ti amo, Renzo." disse lei, senza ripensamento alcuno. Nella sua voce si sentiva dolore, sofferenza ma non incertezza.
"Che vuol dire?" Stanco, rassegnato,  si sedette all'angolo del loro letto, togliendosi gli occhiali e passando una mano sugli occhi.
"Lo sai. Io amo lui." rispose Camilla alzando lo sguardo.
"Poliziotto super più è tornato all'attacco? chiese Renzo sarcastico.
"Non è lui, sono io." iniziò a dire lei. "Sappiamo entrambi bene che, se due anni fa, Gaetano fosse stato a Roma, io non sarei mai tornata da te."
"Che c'entra adesso il passato? Adesso siamo noi, qui, insieme."
"Ho incontrato Marco oggi."
"Non bastava il poliziotto super più,  adesso anche il viticoltore da strapazzo."
"È stato un caso, un caso che mi ha aperto gli occhi."
"Non posso fare nulla per farti cambiare idea?"
"Non è che non puoi, Renzo. Tu non vuoi fare nulla. Siamo sinceri, hai smesso di amarmi tanto tempo fa. Non è me che vuoi, ma la donna che abita proprio al piano sotto il nostro."
"Non è vero." cercò di dire lui. La voce, però, non lo sostenne in quest'ultima bugia.
"Non puoi prenderti in giro. Disperato mi hai detto che "Ho bisogno di Carmen", devo ricordartelo!?"
"Camilla, smettila."
"Non posso. Ho deciso di essere sincera con me stessa e dovrai esserlo anche tu. Ti consiglio di correre giù da lei. Se non ti amasse non sarebbe mai tornata." disse lei alzandosi a avvicinandosi a lui.
"Ti voglio bene" gli disse infine, poggiando una mano su quelladi lui. "Vai."
"Grazie" disse lui, per poi precipitarsi per le scale.
"Carmen, Carmen" urlava lui, bussando alla porta di lei.
"Renzo, ma che succede?" chiese lei, con il suo accento spagnolo, mentre apriva la porta.
"Questo.." e Renzo la baciò, senza se e senza ma.
La porta dell'appartamento di Carmen si chiuse. Carmen e Renzo ancora abbracciati.
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Camilla aveva nuovamente spento le luci. Era in cucina, seduta su una sedia, fissava un determinato punto al di là della finestra.
Buio.
Aspettava il suo rientro, si rese conto di averlo aspettato una vita intera. Non fosse stata così stupida, così determinata a far funzionare un matrimonio che faceva acqua da tutte le parti, adesso le cose sarebbero diverse.
Il rumore delle chiavi nella serratura la fece rinvenire da questi pensieri.
“Mamma!?” chiese Livietta, osservando quella figura scura sullo sfondo delle luci della finestra.
L’aveva incontrata nel pomeriggio e, anche se non si erano dette nulla, Livietta aveva capito.
Non era stata lei la prima a gridarle “Almeno io so chi amo!”?
Si avvicinò alla madre e la strinse in un dolce abbraccio.
“Livietta devo dirti una cosa.” Iniziò Camilla.
“Lo so. Vedete soltanto di non tornare più insieme. D’accordo?” fu la risposta di Livietta.
Camilla scoppiò a piangere. Non pensava che sua figlia fosse matura abbastanza da capire l’intera situazione. E invece, era bastato uno sguardo per capire tutto.
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 “Eva, potresti pensare tu a Tommy? Un omicidio mi terrà impegnato fino a tardi.” Spiegò lui. I rapporti con l’ex moglie, da quando Gaetano aveva iniziato a prendersi realmente cura di Tommy erano migliorati. Eva si era persino trasferita a Torino e il bambino lo tenevano un po’ ciascuno. Così Tommy non avrebbe sentito la mancanza né dell’uno, né dell’altro. Non erano tutte rose e fiori ma se la cavavano.
Per la prima volta in vita sua, Gaetano era contento di dover lavorare sino a tardi: ciò gli impediva di pensare a quel guaio passato, o per meglio dire presente, che Camilla si era rivelata essere.
“Dopo l’autopsia potrò darvi ulteriori informazioni.” Disse Claudia, il medico legale.
Era una bella donna, alta, bionda, con tutte le curve al posto giusto. Se Gaetano non fosse stato perdutamente innamorato di Camilla, fra i due qualcosa sarebbe successo. Di certo le occasioni non erano mancate, e le battutine di lei erano sempre state molto chiare.
Prima che la donna se ne andasse, Gaetano la raggiunse.
“Ti andrebbe un caffè?” disse mandando al diavolo Camilla.
“Fammici pensare…” gli lanciò un sorriso inequivocabile.
“Si” disse per poi continuare a camminare.
“Ma solo se lo prendiamo da te.” Continuò voltandosi un attimo verso Gaetano per poi dirigersi alla sua auto.
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Mani. Mani che si cercano, che si scontrano, che si trovano. A fatica escono dall’ascensore e, continuando nel loro famelico abbraccio, Gaetano apre la porta di ingresso. Si ritrova pigiato su un muro e la luce si accende e spegne per pochi secondi. Sorridono nel buio e si spostano lungo la casa, perdendo un indumento ad ogni passo.
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Le era sembrato di vedere una luce, che sia stato un miraggio? Era tardi, molto tardi ma lei non poteva più aspettare. Nell’insicurezza scese le scale di corsa, non sarebbe riuscita ad aspettare l’arrivo del lento ascensore. Si diresse alla scala D. Il momento della verità era ormai giunto.
Salì le scale, ogni piano fatto sempre a maggiore velocità. Giunse davanti la sua porta. Esitava, sapeva di dover suonare quel dannato campanello, che la sua vita dipendeva da quello. Fece un respiro profondo e…
*************************************************************************************** Il suono del campanello portò Gaetano alla realtà.
“Che c***o sto facendo?” pensò lui, scostandosi dalla donna. Era disorientato. Per un attimo aveva ceduto, ceduto alla rabbia che lo consumava dentro. Voleva ferire se stesso e lei, Camilla. Che sciocco che era stato. Salvato da un campanello. Vorrebbe sorridere, peccato che la situazione fosse tragica.
“Claudia, scusami…” disse staccandosi da lei e cercando nell’oscurità i propri vestiti e quelli di lei.
“Gaetano ma che ti prende?” disse la donna offesa. Essere rifiutati in quella maniera era assolutamente assurdo. Due secondi prima erano abbracciati, stavano per amarsi e poi lui che fa? Si scosta?
“Ehi, mi hai sentito?” disse lei strattonandolo con un mano, mentre si copriva con l’altra.
 Gaetano continua a far finta di non sentirla, si libera dalla sua stretta.
Claudia infuriata inizia a mettere i jeans e la maglietta. Si butto addosso il trench beige, e saltellando di qua e di là riuscì a mettersi anche le decolleté del medesimo colore.
Dimentica del suono del campanello, aprì la porta.
“Sei uno stronzo, Gaetano Berardi.” Disse lei, col viso ancora rivolto verso l’appartamento.
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Capitolo 5
*** Bestie ferite ***


 Camilla smise di respirare. Lo aveva perso. Lo aveva perso davvero.
Fissò Gaetano, che la fissava a sua volta incredulo. Non disse nulla, solo una lacrima le scese lungo il viso.
Claudia, in imbarazzo, si affrettò a scendere le scale, lasciando i due da soli.
“Camilla” provò a dire Gaetano, ma dalle sue labbra non usciva parola alcuna.
“Ero solo venuta a vedere come stavi.” Tentò di abbozzare lei, voce flebile. Non avrebbe pianto, non  avrebbe versato nemmeno un’altra lacrima. Strinse i pugni.
“è ovvio che la mia preoccupazione fosse vana.”
Gaetano era rimasto bloccato. I muscoli non attendevano ai suoi comandi. Avrebbe voluto andare da lei, dirgli che era in errore, che non era successo nulla o quasi, ma le sue gambe, non ne volevano sapere di muoversi, così come le sue labbra di aprirsi.
La tensione era palpabile nell’aria. Si fissavano. Entrambe bestie ferite che non riuscivano a trovare una cura. L’una il carnefice dell’altro.
Potrebbero essere passate delle ore, come soltanto pochi minuti, ma né Gaetano né Camilla sarebbero riusciti a dirlo.
“È  tardi. Renzo mi aspetta.” Disse infine lei, una bugia che avrebbe ferito ancora di più entrambi, l’unica cosa che era in grado di fare.
Andò via, lasciando quella porta aperta, con Gaetano ancora bloccato a osservare quell’ingresso vuoto, ancora più vuoto senza di lei.
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“Camilla sei certa di quello che stai facendo?”                                           
“Si, Renzo, ne sono assolutamente sicura. Mai stata più sicura in vita mia.” Rispose la donna, gettando due vestiti a casaccio in un borsone per poi chiuderlo.
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Erano passati alcuni giorni, di Camilla neppure l’ombra. Gaetano era stato più volte lì, lì per chiamarla ma, preso da un senso di colpa assurdo, aveva terminato la chiamata prima ancora che questa venisse inoltrata.
Spiava l’appartamento accanto dalle proprie finestre: non che ci fosse molto da spiare, tende nuove, ancora più pesanti delle precedenti e quasi sempre chiuse. Non aveva incontrato Camilla nemmeno giù, nel cortile.
“Papà, papà!” urlò Tommy con la sua vocetta acuta.
“Andiamo a giocare con Camilla e Potty!?” chiese il bambino. Osservava il padre chiedendo di essere preso in braccio. I grandi occhi nocciola sorridevano alla prospettiva di rivedere Camilla.
“Tesoro, è tardi. Camilla sarà stanca.” Rispose Gaetano, tentato comunque dalla proposta del ragazzo.
“Ma papà! Camilla non si arrabbia!” disse il bambino sorridendo. Sapeva che la donna non gli avrebbe mai detto di no.
Gaetano sorrise incerto ma alla fine Tommy la ebbe vinta.
In fondo, quale migliore scusa per poterla rivedere e magari parlare di ciò che era successo.
E così, con un magone sullo stomaco, si avviò verso una delusione cocente.
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“Dlin, dlon. Dlin, dlon”. Era da circa cinque minuti che Tommy suonava insistentemente alla porta.
“Tesoro, saranno usciti.” Disse Gaetano deluso quanto il figlio se non di più.
“Buonasera dottore” disse Gustavo, il portiere, quando Tommy e Gaetano furono in cortile.
“Buonasera” rispose Gaetano.
“Ciao” disse Tommy con una vocetta triste, triste.
“Ehi, ma che cos’hai piccin?” chiese Gustavo, osservando il faccino deluso di Tommy.
“Ti manca la mamma, neh?” cercò di interpretare lui.
“No, voglio Camilla e Potty.” Fu la replica del bambino.
“Ma non lo sapete?” iniziò a dire Gustavo in modalità vecchia pettegola.
“La professoressa Baudino si è trasferita, neh! Il marito si è messo con la spagnola, quella al piano di sotto. Altro che fidanzato newyorkese! Io lo sapevo, lo sapevo che finiva così.” disse facendo un sorrisino. Peccato che le parole di Gustavo avessero mandato ancor più in confusione Gaetano.
“Quando?” fu l’unica cosa che Gaetano riuscì a chiedere. Con il cervello a mille, stava ricollegando gli avvenimenti svoltisi qualche giorno prima.
“Martedì mattina.” Rispose quello, un po’ offeso per la mancata partecipazione di Gaetano al pettegolezzo.
“E l’architetto Ferrero?” chiese subito lui.
“Fa la spola tra l’appartamento che divideva con la moglie e l’appartamento dell’amante.” Riuscì a malapena a dire Gustavo. Gaetano aveva ripreso in braccio Tommy e saliva le scale due gradini per volta.
Si fermò davanti l’appartamento di Carmen e iniziò a suonare il campanello. Aveva bisogno di sapere.
Ad aprire la porta venne Livietta. La ragazza non sembrava contenta di vederlo, infatti, se non fosse stato per la prontezza di Gaetano, gli avrebbe chiuso la porta in faccia.
“Livietta chi è?” chiese Renzo, affacciandosi anche lui. Il sorriso dipinto sulle sue labbra, si modificò ben presto in una smorfia.
“E tu che ci fai qui?”
“Dov’è lei?” chiese Gaetano.
“Ciao Livietta!” disse Tommy, ignaro di quello che stava accadendo nel mondo dei grandi.
“Dai, vieni con me” disse Livietta, facendo cenno a Gaetano di lasciarle il bambino. Non erano discorsi da fare in sua presenza.
Quando la ragazza e il bambino si furono allontanati abbastanza, Gaetano tornò a chiedere:
“Dove si trova Camilla?” le parole scandite lentamente, con una aggressività latente, quasi fosse una minaccia.

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Capitolo 6
*** Sotterfugi ***


“Ma perché sei qui? Questa non è casa tua!” disse Tommy a Livietta, col tipico fare da bambino.
“Perché la mia mamma e il mio papà hanno deciso di abitare in case diverse.” Replicò Livietta, scompigliando i capelli all’ “impiastro”.
“Allora sono come la mia mamma e il mio papà? Anche loro abitano in case diverse.” Gli occhioni nocciola fissi in quelli azzurri di lei.
“Si, come la tua mamma e il tuo papà.” Disse Livietta passandogli il telecomando della wii.
Iniziarono a giocare e, il suono del videogioco, sovrastava la conversazione che stava avvenendo fra i grandi.
“Dove stai andando?” chiese Tommy.
“è una sorpresa…” disse la ragazza, raggiungendo la sua stanza. Nel tragitto aveva avuto modo di sentire parte della conversazione e, a quanto pareva, il padre non aveva ceduto di una virgola. Che Renzo provasse un sottile piacere nel negare a Gaetano un’informazione talmente importante era cosa indubbia.
Al ritorno Livietta teneva in mano un pupazzo, Pluto, ricordo di un infanzia abbastanza felice.
“Ma è per me?” chiese Tommy, gli occhi luccicanti.
“Certo che è per te. Però devi averne massima cura!” disse Livietta abbracciando Tommy.
“Tommy andiamo” la voce di Gaetano, nervosa, risuonò per l’intero appartamento.
Tommy si voltò verso Livietta per scoccarle un sonoro bacio e, con il peluche in mano, corse verso suo padre.
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Gaetano osservava Tommy dormire. Il respiro tranquillo del bambino era qualcosa di rilassante, calmava in parte il nervosismo che lo aveva preso. Se non ci fosse stato lui, avrebbe spaccato ogni cosa.
"Io domani vado alla sua scuola! Non può evitare di parlarmi!" pensava frenetico lui. "Sempre che non si sia messa in malattia o altro." riflettè poi tristemente.
"Camilla, perché?  Perché mi fai questo?"
Passò l'intera nottata così,  tormentandosi, torturando la sua povera anima con una serie di se e di ma.
Il nuovo giorno fece capolino dalla finestra, illuminando il volto tranquillo di Tommy. Gaetano si avvicinò al figlio e gli fece una lieve carezza sul viso. Il bambino aprì gli occhi e gettando le braccia al collo del padre, gli disse: "Ti voglio bene, papà!"
Quattro semplici parole, un balsamo per il cuore martoriato di Gaetano.
Strinse Tommy a se, il caldo corpicino di lui che lo riscalda sin nel profondo.
Dopo questo toccante momento, Tommy si alza, Pluto e draghetto sotto braccio.
"Facciamo colazione papà?," Un sorriso dolcissimo sulle sue labbra.
"Andiamo ometto." e prendendolo in braccio lo porta in cucina.
"Papà è tardi!" disse Tommy davanti la porta di casa, pronto a mettere lo zainetto sulle spalle.
"Arrivo" gridò Gaetano, gettando l'asciugamo bagnato sul proprio letto.
Indossa un paio di jeans, una camicia e una giacca di tweed ed eccolo che arriva.
"Tommy! Ma che hai fatto?" chiese osservando il bambino, il giubbottino messo al contrario. "
"Bhoo!" fu la sua risposta.
"Dai vieni qua!" disse Gaetano, iniziando a togliergli il giubbottino per sistemarglielo.  Una manciata di caramelle cadde dalle tasche.
"Tommy.." fu il suo semplice commento, tono di voce e sguardo che dicevano "Non si fa..."
"Sono buone, papà!"
"Solo una..." disse Gaetano,  iniziando a raccoglierle da terra. Un foglietto ben piegato attrasse la sua attenzione.
"E questo cos'è?" chiese a se stesso piuttosto che al bambino.
Lo aprì. Due righe che spalancavano le porte di un intero mondo.
"Corso Inghilterra 33.
Non deluderci."

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Capitolo 7
*** Livietta's time ***


"Livietta che hai?" chiese Greg abbracciandola da dietro. 
"Nulla, solo che... Niente lascia perdere." rispose lei tornando in silenzio.
Greg fece finta di nulla, non voleva costringerla a confidarsi per forza. Depose un bacio fra i capelli di lei per poi continuare ad abbracciarla. 
Passarono alcuni minuti, il silenzio rimbombava nella stanza.
"Ho tradito mia madre, l'ho fatto per lei, per noi." iniziò a dire Livietta.
Greg continuò a stare in silenzio, aspettando i tempi della sua ragazza.
"Dovevo farlo. Non ho nulla contro Carmen, anzi con lei ho sempre avuto un buon rapporto e mia madre non mi ha mai fatto pesare questo atteggiamento,  anzi. Solo che io non voglio abitare con loro, mi sento un'intrusa."  Ormai Livietta aveva iniziato a parlare, era un vero fiume in piena.
"Io voglio stare con mia madre. Nonostante tutti i litigi, nonostante tutti i miei sbagli, lei c'è sempre stata per me, sono sempre stata io il suo primo pensiero. Mio padre, sì,  mi vuole bene, ma al primo posto ha sempre messo il lavoro. Magari non inizialmente, quand'ero più piccola, almeno fino ai sei anni, ero io la prima cosa a cui pensare. Poi, non è stato più così. Veniva a prendermi da scuola di danza solo per la mia insegnante. Ero piccola ma capivo tutto.
Poi c'è stata la parentesi Passarelli, era un suo socio in affari." si affrettò a spiegare lei. "In quel periodo non si poteva mai contare su di lui, se c'era da scegliere tra il lavoro e la famiglia,  lui, immancabilmente, sceglieva il lavoro. Poi c'è stata Barcellona e con lei Carmen. Nuovamente Roma e, se non fosse stato per gelosia, sai mia madre si stava ricostruendo una vita, aveva un altro uomo, sarebbe andato a New York, fregandosene della figlia quasi adolescente che stava mollando.
Ecco perché l'ho fatto." concluse lei.
Greg non aveva detto parola alcuna, si era limitato ad abbracciarla dolcemente.
"Cosa hai fatto?" le chiese.
"Ho dato l'indirizzo di mia madre a Gaetano. "  Lo aveva detto, adesso era diventato tutto reale.
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Capitolo 8
*** Ritrovarsi ***


"Torre, se non è della massima importanza, non chiamarmi più. " disse Gaetano chiudendo la chiamata. Scese dall'auto, le gambe malferme.
"Dovrei incontrare una persona." disse rivolto alla receptionist.
"Nome e Cognome."
"Camilla Baudino"
"Un attimo che avverto la signora." disse la ragazza. Gaetano però la bloccò e, facendole un sorriso da mille e una notte, le disse:
"In realtà vorrei farle una sorpresa." nel suo tono mille sottintesi.
"Mi spiace ma non posso" replicò quella dopo aver ripreso a respirare.
"Suvvia di me si può fidare." disse Gaetano mostrando il proprio distintivo.
E poi eccolo. Lì,  davanti una porta. Stanza 98.
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Camilla aveva appena spento il phon, i riccioli ribelli, ancora umidi, scendevano a incorniciarle il viso.
Si osserva allo specchio, quasi non riconosce la donna che vi è riflessa. Il suo sguardo è spento, le occhiaie profonde. Gli avvenimenti di quell'ultima settimana avevano influito non poco sul suo aspetto. Ripensa a quella sera, dovrebbe dire maledetta sera, ma non ne ha la forza, in cui accompagnando Sammy, una sua allieva, aveva avuto modo di conoscere Gaetano. Era tutto cominciato da lì, dal momento in cui i loro sguardi si erano incrociati.
Un insistente bussare alla porta la fece rinvenire da quei tristi pensieri. Sicuramente era la cameriera che veniva a vedere se poteva sistemare la stanza adesso, dal momento che, quella mattina, l'aveva scacciata bruscamente. 
Così apre la porta senza guardare dallo spioncino.
"Aria, ho bisogno di aria." fu il primo pensiero Camilla. I polmoni si rifiutano di collaborare, non uno spiffero d'aria attraversa le sue vie respiratorie. E' in apnea.
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Il mondo di Gaetano si ferma, si ritrova anche lui in apnea, la sua fonte di aria, acqua, sole, tutto, è lì,  davanti a lui.
Si ritrova all'interno della stanza senza sapere come, la porta si chiude dietro di lui.
La osserva, vede il suo sguardo, vede le occhiaie, e si odia per tutto quello che è accaduto.
Ma questo non è il momento delle recriminazioni. 
Si ritrova ad abbracciarla,  a stringerla fra le sue braccia. E finalmente respira, i suoi polmoni sono pieni, il suo cuore riprende a battere.
Le loro labbra si incontrano, un bacio urgente, furioso,  che cancelli il dolore provato da entrambi.
Lacrime salate bagnano le sue labbra, non saprebbe dire chi dei due abbia iniziato a piangere per primo. Entrambi hanno gli occhi gonfi.
Staccarsi da lei è un dolore enorme, ma sa che devono parlare, hanno bisogno di spiegarsi.
Tuttavia poggia la testa sull'incavo della spalla di lei, assapora il suo profumo. Sa cosa dovrebbe fare, ma non è ancora pronto per farlo. Ha paura, paura di quello che succederà quando si separerà completamente da lei.
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Camilla non riesce a  capire, non vuole capire. Sa solo che le labbra di lui la stanno divorando e lei non ha nessuna voglia di scappare. Lacrime iniziano a scorrere, ma non le importa. Non le importa di farsi vedere debole, debole come non mai. Lei ha bisogno di lui, questa è una verità innegabile.
Si ritrova a scompigliargli i capelli, a depositare dolci baci sulla nuca di lui.
I loro occhi si incontrano, lei chiede di essere nuovamente baciata.
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"Al diavolo le spiegazioni" fu tutto ciò che riuscì a pensare Gaetano. Si fiondò sulle labbra di lei. Un bacio che esprime l'immenso bisogno che l'uno ha dell'altro.
Continuano a baciarsi, si ritrovarono sul letto. Sono stretti in un abbraccio da togliere il fiato.
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Sono ancora sul letto, entrambi vestiti, ancora abbracciati.  Camilla ha la testa poggiata sul braccio di lui, il viso premuto sul suo petto. Chiude gli occhi, il calore dei loro corpi abbracciati la culla.
Un sospiro da parte di Gaetano,  un sussurro.
"Ti amo" le dice lui, continuando ad abbracciarla, credendola addormentata. 
"Ti amo" risponde lei quando il respiro di lui si fa più pesante.

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Capitolo 9
*** Tra sogno e realtà ***


Caldo, cos'è tutto questo caldo?
Camilla tenta di spostarsi, di uscire fuori dalle coperte, ma non vi riesce. Qualcosa la tiene ancorata a se.
Apre gli occhi, ancora non riesce a capire cosa sta succedendo.
Due braccia la stringono, il suo viso è premuto sul petto di qualcuno, non si trova sotto le coperte.
E' bastato l'abbraccio dell'uomo che ha accanto per riscaldarla.
"Gaetano" sussurra piano stringendosi maggiormente a lui. Forse sta ancora sognando, quindi perché non approfittare di questo bellissimo sogno?
Si addormenta nuovamente. Sembra che sia uno di quei sogni in cui si sogna di sognare.
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"Camilla" sussurra lui al proprio risveglio. Ha paura, la stessa paura che la sera passata gli ha impedito di staccarsi da lei.
La donna, ancora addormentata, si stringe maggiormente a lui.
Gaetano apre gli occhi, la vede e inizia a baciarla, pigramente,  sui capelli, sulla fronte, sugli zigomi, sulle labbra.
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Fuoco, puro e semplice fuoco.
Il sogno di Camilla si fa più vivido, sogna di lui, di lei, di loro. Un attimo prima si abbracciano semplicemente, l'attimo dopo, lei è, lui sta già, solo sussurri e gemiti.
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"Gaetano" un sussurro roco, Camilla ancora addormentata. Il suo nome viene ripetuto, più e più volte. La voce che chiede, che supplica.
Camilla si muove, si ritrova prigioniero della sua stretta. Non smette mai di baciarla.
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È troppo, troppo persino per un sogno. Si risveglia di scatto, col cuore che le batte all'impazzata.
La scena che gli si presenta è surreale. Gaetano è realmente accanto a lei, le sta baciando il collo, quel collo su cui sarebbe morto dieci anni prima.
Gli avvenimenti della sera prima fanno breccia nel suo cervello obnubilato.
Le sue braccia vanno sulle spalle di lui, fanno pressione affinché si scosti.
Non riesce a pensare, non riesce a parlare, numerose scosse attraversano la sua pelle.
Gaetano si ferma subito, come sempre cavaliere dalla scintillante armatura.
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Si rifiugia nell'incavo della spalla di lei, non ha il coraggio di guardarla in faccia. Ha paura di leggere disprezzo. La stringe più forte, si nasconde ancora di più.
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Scossa, elettricità,  farfalle. Come poteva il semplice contatto della barba di lui causarle tutto questo?
Alza a forza il viso di Gaetano, fissa il proprio sguardo in quello di lui. Si perde nel suo azzurro, nelle striature grigie che si perdono nel resto di quel mare.
Un peso enorme la abbandona. Gaetano è lì, l'uomo che l'ha ascoltata, aiutata, protetta, amata, è lì accanto a lei.
Sorride, sorride, continua a sorridere.
Si avvicina al suo viso, naso contro naso, come molte volte, nel corso degli anni, si sono ritrovati. Le labbra si sfiorano. È un bacio leggero, dolce, carico di tutte le parole non dette.
Le loro labbra si separano, i respiri si spezzano.
"Camilla, io "inizia a dire lui, ma Camilla poggia un dito sulle sue labbra.
"Ssh... Non devi dire nulla. Abbracciami soltanto."

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