How Kuroko Got Married

di mughetto nella neve
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Step One: La lista degli Invitati ***
Capitolo 2: *** Step Two: La Scelta del Menù ***
Capitolo 3: *** Step Three: La Questione delle Bomboniere ***



Capitolo 1
*** Step One: La lista degli Invitati ***


« Sarà come se non fossi mai partito »
Occorre ripeterlo di nuovo.
Forse sarà la quinta volta che si ritrova a balbettare quelle parole, ma Kagami quasi si sente in dovere di farglielo presente. Kuroko alza lo sguardo dal pavimento e gli rivolge un sorriso fintamente rasserenato; sta chiaramente pensando a qualcosa, ma come al solito preferisce tenerla per sé. Le loro mani continuano a stringersi, come da mezz’ora a questa parte, nonostante la voce dell’hostess ha appena annunciato l’inizio dell’imbarco; Kagami le osserva di nuovo e stringe leggermente la presa, sperando che questo possa un po’ rassicurare lo stato d’animo dell’altro; questo sembra funzionare visto che  Kuroko sposta il suo viso dalla piccola fila di uomini, che si appresta a convalidare il proprio biglietto, a quelle mani che continuano a stringersi.
« Ti chiamo non appena arrivo »
La voce continua a tremargli – così come il resto del suo corpo – eppure cerca di mostrarsi il più sicuro possibile. Questa è “un’opportunità”, come ha detto suo padre. Essere selezionati da una squadra americana per professionisti non è una cosa che capita tutti i giorni. E Kagami non può certo lasciarsela sfuggire da sotto gli occhi con così tanta facilità. Tornare in America è senza dubbio la scelta migliore che possa mai fare, non se ne pentirà di certo.
« Kagami-kun, non devi preoccuparti per me. Sei tu quello che è una frana in inglese » proferisce piano Kuroko chiudendo piano gli occhi, probabilmente divertito da tutto quell’imbarazzo che trapela dalla faccia dell’altro.
« Cosa – Aspetta un attimo! Cosa c’entra adesso? Non si stava parlando di questo! »
« Ma è vero »
Kuroko continua a tenere i propri occhi chiusi. Sembra quasi volersi godere al meglio quegli ultimi istanti passati assieme: momenti in cui la voce di Kagami non è filtrata da un apparecchio telefonico e il suo corpo non è distante anni luce del suo. È pienamente cosciente che, appena Kagami varcherà quella porta, qualcosa immediatamente si scheggerà; eppure è riuscito a trattenersi fino all’ultimo: lo ha appoggiato in tutto, anzi lo ha addirittura incoraggiato a prendere la “giusta decisione”. E allora perché sta così male? Forse avrebbe dovuto dirgli che non gli andava bene che tornasse in America e che lo voleva al suo fianco per tutto il liceo; perché ha il presentimento che quel misterioso stato lo tirerà a sé e non lo lascerà mai più andare.
E lui resterà da solo. Di nuovo.
Trovarsi quindi dentro un abbraccio, è quindi inaspettato. Kuroko spalanca velocemente gli occhi e si trova stretto fra le sue calde braccia. Gli abbracci di Kagami sono quasi divertenti ai suoi occhi: così goffi ed impacciati, perennemente in ritardo e a volte fin troppo veloci – eppure così caldi e confortanti da renderlo improvvisamente più sereno e tranquillo. Contraccambia l’abbraccio dolcemente e si sente quasi sciogliere non appena sente il cuore dell’altro battere a pochi centimetri da lui. Trattiene il respiro e si accosta allo sterno, cercando di cogliere meglio quel suono.
Sembra quasi volergli dire che “andrà tutto bene”. Che “non succederà nulla”. E che “lui tornerà a qualsiasi costo”.
« I love you »
Kagami serra gli occhi con forza e respira l’odore dolciastro che il ragazzo più piccolo emana. Quest’ultimo si stringe con maggiore forza a lui, nascondendo la propria testa nel suo petto – quasi a voler scomparire dentro di esso ed avere quindi la certezza di poter essere con lui anche questa volta.
« Ti amo anch’io, Kagami-kun »
 
Kuroko rivolge all’uomo un ultimo sorriso e alza la mano per salutarlo un’ultima volta; dovrebbe essere un movimento semplice ma, al ragazzo, costa le ultime energia. Non è un caso che, non appena Kagami scompare oltre la porta, l’abbassa immediatamente. I suoi occhi sono fissi su quella porta scorrevole; non riescono a schiodarsi da lì, convinti che rivedranno il ragazzo tornare; questo pensiero gli fa tremare leggermente le labbra, ma cerca di trattenersi per quanto possibile – non può crollare a soli cinque minuti dall’addio! – serrando i denti e girandosi per tornare alla fermata dell’autobus che lo riporterà a casa.
Ma è proprio nel voltarsi che prende a sentire un profondo dolore al petto. Il ragazzo lascia, infine, che il suo sguardo scenda lentamente fino al pavimento, riempiendosi di lacrime.
Non emette un suono o anche solo un singhiozzo.
Lascia semplicemente che entrambe le mani, ancora pregne del calore di Kagami, si imprimano sulla bocca – lasciandogli per un attimo sognare che il ragazzo non se ne sia andato, scegliendo lui al posto del basket.
 

 
 
 
Certi amori non finiscono.
Fanno dei giri immensi e poi ritornano.

 

1.
 
Erano circa le due di notte quando il cellulare di Aomine squillò, squarciando il sottile velo di silenzio che caratterizzava quel piccolo appartamento nella periferia di Tokyo. Ruggì con violenza e prese ad emettere una alquanto rumorosa vibrazione che fece grugnire indispettito il suo proprietario.
Aomine rantolò, emettendo qualche suono non ben definito, e si girò verso lo schienale del divano. Se avesse avuto abbastanza forza avrebbe sicuramente espresso il suo più totale dissenso verso quell’improvviso rumore; ma, in quel momento, gli risultò difficile perfino aprire gli occhi per capire cosa stesse succedendo. Non poteva essere già mattina. Aveva appena concluso il suo turno. Continuava a ripetersi irritato mentre cercava di mettersi seduto sperando con tutto sé stesso che non si trattasse della sveglia. Dopo un paio di tentativi rinunciò all’idea e si limitò a girare la testa verso l’origine di quel fastidioso rumore. Aprì lentamente gli occhi per prendere finalmente visione dell’ambiente circostante: si scoprì così sul divano del suo appartamento con ancora indosso la sua divisa. E il suo telefono stava squillando sul pavimento.
Sbuffò scocciato e si girò su un altro lato. Non poteva essere vero. Non potevano chiamarlo a quell’ora e sperare che rispondesse, era già tanto il non averli spediti malamente da qualche parte mentre scaraventava fuori dalla finestra il proprio cellulare. Levò per aria una mano e non faticò a prendere l’oggetto. Preferì non perder tempo nello studio della scritta luminosa che illustrava il sadico – o masochista – che aveva avuto il coraggio di chiamarlo a quell’ora, portandoselo direttamente all’orecchio pigiando un tasto.
« Cosa diamine c’è ora? » grugnì con rabbia massaggiandosi la fronte con movimenti lenti e precisi, riuscendo finalmente a mettersi seduto.
« Aominecchi! Aominecchi! È successo una cosa terribile! »
Kise.
In effetti, solo lui poteva chiamare ad un simile orario senza temere per la sua incolumità. I suoi occhi si spalancarono immediatamente e, anche se iniettati di sangue, dimostravano come l’uomo fosse definitivamente sveglio.
« Cosa?! Maledizione, Kise! Ma sei davvero tu? Cosa diavolo vuoi a quest’ora? Stavo dormendo, diamine! » ruggì fuori di sé Aomine stringendo con forza l’apparecchio telefonico, maledicendo mentalmente l’ex-compagno di squadra e sé stesso per avergli dato il suo nuovo numero di telefono.
Si passò una mano sulla faccia, cercando di farsi forza e di non riaddormentarsi di nuovo sul divano; ma si scoprì così esausto che dovette fare pressione su sé stesso per non lasciare che gli occhi si chiudessero di nuovo. Intanto Kise continuava a delirare per l’apparecchio telefonico costringendolo più volte ad allontanarlo dal proprio orecchio per evitare di perderci un timpano.
« Aominecchi, è successa una cosa terribile! »
«Non me ne frega nulla delle tue lagne d’amore! Stavo dormendo, diamine! » ripeté con maggiore foga l’altro, convinto che fosse quello il motivo della chiamata – anche se, in fondo, invidiava un po’ Kise per quella relazione così “splendidamente” avviata.
« Non c’entra il senpai questa volta »
La voce di Kise gli apparve improvvisamente seria – cosa strana, e sospetta.
Aomine alzò lievemente un sopracciglio ma preferì non aggiungere altro. Portò la testa sullo schienale del divano, prendendo ad osservare il soffitto della propria casa con improvvisa tranquillità.
« Kurokocchi … lui … lui  … » iniziò con voce tremante Kise, cercando di riprendere il controllo delle proprie emozioni « LUI SI SPOSA! »
 
I – I – I – I
 
A dir la verità, era stato per mera casualità che Kise era venuto a sapere delle nozze.
Era tornato a casa proprio quel pomeriggio – dopo un volo a Dubai, con scalo a Pechino – e dopo aver salutato affettuosamente Kasamatsu; si era ritrovato, senza un ben noto motivo, nel suo soggiorno, intento a canticchiare felicemente qualche strana canzoncina che aveva sentito risuonare nell’aeroporto mentre osservava qualche foto lasciata sulla piccola biblioteca.
Aveva preso fra le sue mani una vecchia fotografia risalente al periodo trascorso al Teiko e non era riuscito a trattenere un sorriso nel rivedersi così giovane e allegro. Il dolore alle gambe lo aveva costretto a mettersi seduto sul piccolo divano lì vicino e, continuando a tenere fra le sue mani quella vecchia fotografia, aveva preso a ragionare su come il tempo fosse passato più che velocemente. Aveva in mente di prendere anche quella del Liceo, dopo aver concluso quella lenta reminiscenza del passato; ma poi il suo sguardo era rimasto per pochi secondi in più su Kuroko, ed aveva  avuto la brillante idea di chiamarlo. Dopotutto era passato davvero molto tempo dall’ultima volta che si erano sentiti – probabilmente si andava a risalire ai rispettivi auguri di Buon Anno e di felici feste – e quasi era curioso di sapere cosa  gli stesse accadendo.
Non lo avesse mai fatto.
Kuroko non aveva risposto subito, ma sembrava star bene. Kise non sapeva come spiegarlo, ma quasi intuiva un qualcosa di diverso nella sua voce; forse dipendeva dal semplice utilizzo delle parole o da quel veloce respiro che sentiva vibrare ogni qual volta lo sentisse parlare. Non sapeva come poterlo dimostrare, ma Kuroko sembrava davvero felice di poterlo sentire di nuovo.
Kise gli aveva raccontato del suo lavoro, descrivendo i suoi ultimi viaggi e di come Kasamatsu avesse ottenuto una promozione; Kuroko aveva ascoltato tutto in silenzio e poi, dopo una sua domanda, gli aveva detto di essere un po’ stanco per via del lavoro. L’altro aveva riso un poco chiedendo come fosse stare in mezzo ai bambini per così tanto tempo e Kuroko, anche se per poco tempo, aveva descritto l’allegria dei bambini nel vedersi avvicinare sempre di più le vacanze invernali. Kise si era mostrato entusiasta di quelle notizie e non aveva esitato a proporre un possibile ricongiungimento per le feste dell’intera Generazione dei Miracoli. Era stato allora che aveva notato qualcosa di strano: Kuroko si era immediatamente dichiarato non disponibile, scusandosi per il disagio e proponendo di spostare il tutto per un’altra volta. Kise, allora, aveva insistito. Aveva proposto vari giorni, ma aveva sempre ricevuto il diniego di Kuroko; non si era reso nemmeno conto dell’arrivo di Kasamatsu nella stanza, leggermente incuriosito da tutto quell’improvviso baccano che veniva dal soggiorno, tanto era preso dal cercare di capire il perché l’altro lo tenesse così sulle spine. Alla fine si era innervosito e, con fare piccato, gli proposto di vedersi la settimana a venire.
“Kise-kun” lo aveva chiamato, allora, Kuroko con voce leggermente più incisiva – col chiaro intento di voler fermare l’imminente sproloquio dell’altro, “Non credo sia il caso di prendere impegni per la prossima settimana. Io fra cinque giorni mi sposo.”.
Panico. Puro panico.
In quel momento non aveva capito più nulla e si era ritrovato ad assecondare le frasi di chiusura della conversazione. Kuroko lo aveva salutato velocemente, dicendo che lo stavano chiamando, e non aveva approfondito oltre la questione del matrimonio.
 
« Kise! Questo è il quinto bicchiere! »
La voce irritata di Kasamatsu lo distrasse dai suoi pensieri. Non ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo che la bottiglia era già scivolata via dalla mano e finita in un luogo sicuro – a lui non meglio noto. Alzò la sua testa dal tavolo ed agitò il braccio con disperazione, quasi per dimostrare che non si era arreso ad una simile “angheria, ma questo non generò che un sonoro sbuffo rassegnato da parte dell’altro uomo. Kise avrebbe voluto pronunciare il suo dissenso, ma dalla sua bocca non uscirono che strani gorgoglii che convinsero il suo partner a lasciarsi andare ad un momento di tenerezza: sfiorò delicatamente i suoi capelli, osservandoli scivolare piano dalla sua mano, beandosi della loro morbidezza e del profumo che emanavano.
Kasamatsu si era sempre chiesto come fosse possibile per un uomo avere simili capelli, era convinto che Kise usasse un particolare prodotto – anche se non era mai riuscito ad individuare quale fosse – oppure fosse solito curarli molto. Col passare del tempo vissuto assieme, però, si era reso conto di come Kise curasse relativamente poco il suo aspetto, finendo per spendere i suoi risparmi in strani prodotti di dubbia utilità; quindi il dubbio continuava ad infestare la testa di Kasamatsu, rendendolo quasi geloso di una simile chioma fluente.
« Senpai, lascia annegare i miei problemi nell’alcool » riuscì finalmente a parlare Kise, continuando a tenere la sua testa appoggiare contro il tavolo. Se fosse stato in sé avrebbe di sicuro notato il profondo sforzo che l’uomo stava facendo nel mostrarsi così “dolce” nell’accarezzargli i capelli – era fin troppo ovvio che stesse cercando di consolarlo – ma, sfortunatamente, era già ubriaco.
«Stai scherzando, spero! Non voglio che vomiti di nuovo sul divano! » sbottò l’altro allontanando immediatamente la mano e tornando a sedersi composto sulla propria sedia. Emise un sospiro scocciato e prese a guardare davanti a sé, quasi stesse fingendosi offeso.
Nella cucina cadde un secondo silenzio – questa volta sprovvisto di quella punta di dolcezza e affettuosità che aveva avuto in precedenza. Kasamatsu prese a tambureggiare sul tavolo, ragionando su cosa gli fosse passato per la testa quando aveva accettato l’idea di condividere la casa con un individuo di tale risma: Kise era rimasto lo stesso ingenuo ragazzo del liceo, il suo sorriso non era mutato di una virgola e così anche quel lato di carattere così allegro e spensierato. Kasamatsu finiva sempre col chiedersi come fosse stato possibile per lui trovarsi un lavoro come pilota con così tanta facilità e riuscire a mantenerlo nel corso degli anni – forse era più per apprensione che per altro che iniziava a porsi tali quesiti.
Restava il fatto che Kasamatsu finiva sempre col preoccuparsi troppo per Kise; finendo col rimanervi accanto e ascoltarlo fino in fondo, sperando che risolvesse da solo i suoi problemi e non avesse mai bisogno di un suo ipotetico aiuto.
« Si può sapere che diavolo hai? » si azzardò finalmente a chiedere lanciando qualche veloce occhiata al corpo semi dormiente, accasciato malamente sul tavolo della cucina, dell’altro.
« Kurokocchi non può sposarsi con qualcuno che non conosco! » piagnucolò Kise, girando lentamente la testa verso il compagno per evitare che la testa riprendesse a girare con maggiore forza. In stato d’ebbrezza tendeva a confondere i colori: le pareti bianche della cucina cominciavano ad apparirgli magicamente grigie e così anche il volto di Kasamatsu cominciava ad assumere tratti diversi – improvvisamente la sua pelle gli appariva più scura, ricordandogli vagamente qualcun’altro. Serrò così gli occhi, cercando di scacciare quell’immagine dalla sua testa e tornare a ragionare su quello che era accaduto poco prima.
« Kise smettila di fare il bambino e, per una volta, prova ad usare il cervello! » lo rimproverò severamente l’altro incrociando le braccia al petto e serrando gli occhi in un’espressione concentrata, comprendendo finalmente la ragione di una così grande disperazione  « Non credo affatto che Kuroko sia tipo da intraprendere una relazione con un perfetto sconosciuto ed arrivare addirittura a sposarselo! Prova a ragionare! Ti sembra una cosa possibile? »
Dopo quello che è successo poi! avrebbe voluto aggiungere, ma riuscì a trattenersi; sapeva cosa significava toccare un simile argomento e francamente non voleva alzare inutilmente un gran polverone.
« Non mi importa se è una cosa possibile o meno! Kurokocchi non può sposarsi! » continuò a disperarsi Kise, passandosi una mano fra i capelli per togliersi da davanti gli occhi « Lui … Lui è Kurokocchi … Lui non si sposa … Non può …»
La telefonata di Aomine era stato un disastro. Dopo aver appreso anche lui la notizia, sembrava essere caduto in catalessi e non aveva più dato segno di voler seguire la conversazione che Kise stava cercando di iniziare. E, prima che quest’ultimo potesse dire qualcosa, l’altro aveva già riagganciato; lasciandolo solo con i suoi pensieri e la sua ansia. Come al solito. Oramai pensava di essersi abituato a quel modo di fare di Aomine; ma ogni volta finiva col starci male, ragionando con amarezza su come l’altro preferisse gestire da solo le sue emozioni senza confidarsi con qualcuno. Non che sperasse che tutto potesse tornare come un tempo ma, almeno, in una situazione simile, poteva mostrarsi più aperto ad un confronto.
« Voglio un altro bicchiere, senpai! » prese a lagnarsi con maggiore disperazione Kise, agitando di nuovo il braccio verso un punto non ben definito.
« Basta alcool! » sbraitò Kamasatsu dandogli un pugno sulla testa cercando quasi di farlo rinsavire. Il risultato fu però che Kise serrò le labbra dolorosamente e si trovò di nuovo ad appoggiare la testa contro il tavolo della cucina.
 
I – I – I – I
 
« E allora qual è il problema? Si sposa! Dovresti essere felice! »
Aomine alzò la testa dal bancone del bar e la spostò verso la figura che continuava a lavorare davanti ai suoi occhi con un sorriso placido sulle labbra; questa, notando immediatamente il suo sguardo, gli dedicò un breve sorriso divertito e tornò a pulire i piatti sporchi con una certa flemma. Natsumi Oda era una donna sui trent’anni, non particolarmente bella o prestante, che vantava un carattere veramente gentile e affidabile, famoso oramai in tutto il quartiere. La sua pelle era così bianca da essere facilmente associata a quella di un fantasma o qualche entità soprannaturale – e i capelli neri, così lisci e lunghi non avevano fatto altro che confermare il soprannome di “Barista Fantasma” che Aomine le aveva presto affibbiato.
« Natsumi, tu non puoi capire » borbottò con sufficienza, prendendo ad osservare i passanti fuori dal locale con noia. Aomine si passò il berretto di poliziotto fra le mani e si ritrovò a ragionare su come, quella fuga nel bar durante la notte, si fosse rivelata alquanto inutile ed errata. La notte non si era ancora conclusa a Tokyo: i lampioni mostravano una strada quasi del tutto deserta, scandita però dal ritorno di qualche coppietta alla propria casa e da un’aria così fredda a secca da farlo ancora rabbrividire. Questa volta, invece che riprendere a riposare sul suo amato divano, Aomine aveva preferito recarsi nel suo bar di fiducia per sfogare i suoi dolori – versione adottata dalla gestrice del locale, ma che lui non condivideva affatto.
Dopo la sconvolgente notizia di Kise, il poliziotto si era ritrovato guardare la parete davanti a sé per diversi minuti in evidente stato di shock. Tetsu si sposava. Gli ci era voluta mezz’ora per riuscire a rielaborare una simile informazione e, quando questo era avvenuto, non era più riuscito a rimanere dentro casa; animato da un’improvvisa rabbia e frustrazione, era così uscito e si era ritrovato a vagare senza meta per la strada, cercando di pensare a tutto fuorché al suo ex-compagno di squadra. L’idea di rifugiarsi in quel bar gli era sembrata la più ragionevole al momento e così, dopo essersi seduto davanti al bancone aveva ordinato qualcosa da bere – qualcosa di forte se vogliamo essere precisi. La proprietaria, tuttavia, notando subito che c’era qualcosa che non andava, gli aveva rifilato solo strani succhi di frutti; Aomine non aveva avuto la forza per ribattere. probabilmente troppo stanco ed amareggiato per mettersi a sindacare sulle strane bibite colorate.
« Aomine-san, sei ancora un ragazzino » parlò ancora la donna, senza dissimulare quel sorriso affabile e cordiale che era solita offrirgli ogni qual volta si presentasse nel suo locale. L’uomo sbuffò sconsolato, quasi si trovasse a che fare con qualche sciocco marmocchietto che cercava di fargli perdere le staffe, ma lei sembrò non farci caso « Provare gelosia per un simile evento dimostra che sei ancora lontano dall’essere un adulto maturo e ragionevole … »
« Figurati se sono geloso! »
« Non lo sei? »
« Ho solo detto che non mi garba che Tetsu si sposi senza dire niente a nessuno! » sbottò con indignazione Aomine, incrociando le braccia al petto e osservando con sfrontatezza la donna; questo perché, pur avendo ormai trent’anni, aveva conservato quell’atteggiamento aggressivo e provocatorio che lo aveva caratterizzato per tutto il liceo. Inutile dire che, i primi tempi in caserma erano stati difficili – anche se, a sentire i racconti di Momoi, non si poteva non considerarli esilaranti – e si era visto costretto a tirare fuori tutta la sua determinazione e compostezza. Il suo capo era un uomo molto severo e ligio al protocollo, non faceva che riprenderlo e lo obbligava a rimanere di pattuglia anche quando i turni terminavano; Aomine non lo poteva sopportare ma, lo sguardo truce che lo puntava non appena tentava di ribattere, lo convinceva a rimanere ogni volta in silenzio. Col tempo si era abituato a quel ritmo di vita e, anche se con qualche difficoltà, si era lentamente avvicinato ai suoi colleghi finendo con l’andarci d’accordo – questo lo diceva Momoi, a suo parere, lui li sopportava e basta.
« E allora, se non hai questo problema, chiama il tuo Tetsu e digli “Scusa Tetsu, perché non mi hai detto che ti sposi? Cos’è? Ti vergogni di me? Cosa c’è che non va? Ti prego, chiariamo! Tu sei importante per me!” » pronunciò con dolcezza Natsumi, chiudendo delicatamente gli occhi nel teorizzare una simile frase d’esordio. Pulì delicatamente l’ultimo piatto che aveva fra le mani e dedicò una rapida occhiata al giovane che continuava a sedere davanti a sé per poi ridacchiare: quanto era divertente parlare con lui!
« Non dirò mai una cosa del genere! »
« Mai dire “mai” nella vita, Aomine-san »
« Mi rifiuto di dire una cosa simile! Ho un onore da difendere, non sono mica come Kise io! »
« Kise-san, però, ha saputo del matrimonio prima di te »
Aomine si passò una mano fra i capelli e quasi si trovò ad urlare. Non sapeva come spiegarlo ma, appena Kise gli aveva riferito del “lieto progetto” di Kuroko si era sentito come svuotato: non poteva credere ad una simile notizia e quasi aveva valutato l’idea che l’uomo avesse potuto mentirgli, giusto che riderci su. Sbatté con violenza la testa sul tavolo del locale, dando immediatamente la colpa a Kuroko per il dolore che subito dopo prova: se si stava deprimendo davanti ad una donna, era tutta colpa sua. Tetsu non poteva sposarsi. Non così. Su due piedi. Non sapeva nemmeno avesse una relazione! Chi diavolo era questo tipo? Da quanto tempo si frequentavano? Dove avevano intenzione di sposarsi? E, soprattutto, perché Kuroko non gli aveva detto nulla? Cos’è? Non lo aveva invitato perché improvvisamente gli era tornato sulle palle? Non voleva un “Passato Imbarazzante” vicino all’altare? E allora perché lo aveva detto a Kise?
« E poi perché date tutti e due per scontato che non è una ragazza? »
La voce di Natsumi lo distrasse di nuovo dai suoi pensieri, fin troppo simili a quelli di Kise, e lo portò di nuovo ad osservarla.
« Perché non può essere. A Tetsu non fanno né caldo né freddo le donne » mormorò monocorde Aomine dondolandosi con la propria sedia, un po’ a destra e un po’ a sinistra, quasi fosse un bambino annoiato – e in effetti lo era, visto che non era la prima volta che si trovava a raccontare a qualcuno degli “appetiti sessuali” di Kuroko. « Lo ha detto chiaramente quando ha rifiutato Satsuki »
La donna annuì e prese ad asciugarsi le mani con il proprio grembiule; quasi invidiava Aomine per la facilità con cui aveva accettato l’orientamento sessuale del ragazzo, lei aveva avuto diversi problemi in passato. Certo, erano tempi diversi, ma ricordava con tristezza il volto amareggiato delle sue amiche quando affermava che “era un po’ strano” avere come fidanzato la propria migliore amica.
« Cos’è che ti preoccupa allora, Aomine-san? »
« Io credevo che, dopo quello che è successo, avesse smesso »
« … Con gli uomini? »
« Di amare. » Aomine chiuse gli occhi stanco, cercando di rimuovere le ultime immagini che il suo cervello gli aveva ripresentato davanti col parlare di quel periodo facendo forza su sé stesso. Il volto di Kuroko durante quei giorni era un qualcosa di terribile, il solo ricordarlo gli faceva contorcere lo stomaco dal dolore e francamente, l’idea di vomitare davanti al sorriso loquace di Natsumi, non l’intrigava affatto. « Ero convinto che ne avesse avuto abbastanza e che, prima di provarci ancora, avrebbe fatto passare un altro po’ di tempo »
 
Natsumi lasciò che un sospiro preoccupato solcasse le sue labbra, non appena la figura cupa di Aomine scomparve fuori dal suo locale. A volte non comprendeva affatto i comportamenti di quel giovane, tuttavia non poteva fare a meno di nutrire un certo affetto nei suoi confronti. Era chiaramente un bambino troppo cresciuto. Forse era un po’ troppo sgarbato e irrispettoso, alle volte; ma rimaneva pur sempre un caro ragazzo che finiva sempre col piangersi addosso un po’ troppo. Questa storia del matrimonio ne era un esempio lampante: era fin troppo chiaro che Aomine volesse sapere chi fosse la dolce metà del suo amico, ma uno strano imbarazzo gli impediva il primo passo. Probabilmente voleva che fosse questo “Tetsu” a chiamare per primo, ma Natsumi stava cominciando a nutrire il sospetto che questi non si sarebbe di certo fatto avanti.
« Che cosa aveva che non andava? »
« Il suo amico “Tetsu” si sposa e lui non riesce a -- Hm? Mayuzumi-san! Che ci fai qui? Non dovresti essere a casa? » chiese leggermente sorpresa la donna girandosi verso il giovane assistente, il quale si limitò ad alzare un sopracciglio e compiere qualche passo indietro per permettere alla donna di passare.
« Il mio turno finisce quando il locale chiude. » ci tenne a specificare l’altro alzando lievemente un sopracciglio, infilando le proprie mani nel giaccone. Il freddo cominciava lentamente ad insinuarsi fin dentro il locale, segno che ormai era venuto il momento di chiudere e tornare ognuno nelle proprie case.
« Ah, mi dispiace! Per parlare con Aomine-san ho finito col dimenticarmene! » si giustificò Natsumi portandosi una mano davanti alla bocca, come a mimare un certo imbarazzo; anche se, nel vedere il suo giovane assistente coperto da un fitto strato di sciarpa, ebbe quasi l’istinto di passargli delicatamente una mano fra i capelli, quasi fosse un bambino, e offrirgli un passaggio fino a casa.
Mayuzumi respirò profondamente e prese a guardare fuori dal locale, non particolarmente colpito dagli strani movimenti della donna più grande.
« “Aomine-san”, eh? »
 
I – I – I – I
 
From: Kise
Object: Scusa!  ( > w < ) /
Text:  Midorimacchi, scusa! Non credo che potrò venire oggi! Ho bevuto troppo ieri sera e ora non riesco ad alzarmi dal letto! Facciamo un’altra volta, ok? ( O w O ) /
 
From: Midorimacchi ~
Object: Scusa! ( > w < ) /
Text: Muori.
 
From: Kise
Object: Re; Scusa! ( > w < ) /
Text: Ma non è colpa mia se non reggo l’alcool! φ(.. )
E poi ieri sera ero davvero depresso, il senpai ha dovuto faticare un sacco per portarmi a letto! ( >3< )/
 
From: Midorimacchi ~
Object: Re; Scusa! ( > w < ) /
Text: Non mi interessa nulla delle tue scaramucce d’amore. Non puoi farmi disdire tutti gli appuntamenti dello studio per una tua visita, per poi avvisarmi la mattina successiva che non puoi venire. Voglio un risarcimento.
 
From: Kise
Object: Re; Re; Scusa! ( > w < ) /
Text: Ti dico che non è colpa mia! La colpa è di Kurokocchi! È lui quello che decide di sposarsi all’improvviso, senza dire niente a nessuno! (´)
 
Midorima alzò un sopracciglio nel rileggere quell’ultimo messaggio inviatogli. Aveva letto bene? No. Assolutamente no. Si sistemò gli occhiali sul viso e, abbandonando la propria scrivania, si spostò sotto la luce per rileggere il messaggio. Storse leggermente le labbra nel rendersi conto di come quelle parole fossero fin troppo chiare e prive di un possibile contenuto nascosto. Che storia era questa? Kuroko si sposava? Ma per favore! Kise doveva essere sicuramente ubriaco in quel momento, altro che smaltire la sbornia! Si ritrovò a sbuffare rassegnato – ragionando su come, a volte, l’infantilità di Kise lo lasciasse senza parole – e, dopo aver compiuti diversi passi ed essere giunto alla porta, tossì delicatamente per attirare l’attenzione del segretario. Questo sussultò, visibilmente turbato di vederlo in giro per il corridoio e si mosse velocemente verso di sé. Midorima si sistemò con eleganza gli occhiali e, non appena l’uomo gli fu vicino, gli chiese con discrezione di non far passare nessuno – Non era il caso che lo si disturbasse in un simile momento avrebbe voluto dirgli, ma preferì mantenersi vago. Questo si limitò ad annuire, leggermente sorpresa da una simile richiesta, e si precipitò a chiudere la porta dello studio non appena Midorima vi tornò dentro.
L’ospedale presso cui aveva trovato lavoro, era un posto molto tranquillo; lavorava lì da ormai quattro anni e non aveva avuto difficoltà ad adattarsi alla struttura e al personale, benché meno con le macchine messe a disposizione o con l’utenza. Amante della sobrietà e serietà, quale era, aveva davvero apprezzato l’ordine e la discrezione che vigeva lì dentro; inoltre, sebbene non lo desse a vedere, aveva finito per stringere una sottile affinità con il segretario del reparto. Quest’uomo, piccolo e pallido, si aggirava nervosamente per i corridoi per accertarsi che fosse tutto apposto e non esitava mai ad accorrere quando veniva chiamato; digitava velocemente al computer e sgusciava lentamente fra i pazienti affacciandosi ad ogni stanza per trasmettere novità o avvenimenti particolarmente importanti. All’inizio Midorima aveva stentato un po’ a porre fiducia nelle sue capacità – non che fosse una novità per un tipo come lui – ma, ben presto, difronte a quel prodigioso talento di riordinare appuntamenti e visite, aveva dovuto ricredersi. Per non parlare del fatto che, non si sapeva come, aveva scoperto la sua … ehm, relazione? Massì, chiamiamola pure così, visto che Midorima non sapeva proprio che altro nome dargli, con Takao; quando riceveva una telefonata da quest’ultimo, prendeva a guardarlo lietamente dedicandogli un sorriso sciocco e anche abbastanza irritante, per poi – a telefonata conclusa uscirsene con frasi come “bello l’amore, eh?”.
Midorima era convinto che, un giorno all’altro, quei due nani da giardino con cui si trovava a che fare, lo avrebbero portato alla follia.
Ma ora, tornando alla nostra storia, possiamo dire che Midorima era chiaramente impaziente di maggiori chiarimenti riguardo queste “nozze”; compose il numero velocemente e, portato il telefono all’orecchio, aspettò che l’altro interlocutore rispondesse.
Si avvicinò poi alla finestra dello studio e lanciò una veloce occhiata fuori. La giornata era appena iniziata: il sole, destreggiandosi abilmente fra qualche nuvola, brillava sereno sui tetti di Tokyo mostrando il suo profilo migliore. Tirava un vento freddo, segno ormai che l’inverno era arrivato e che si era concluso il tempo delle castagne – con grande dolore di Takao che più volte aveva cercato di potarlo fuori città per una giornata all’insegna di una qualche strana raccolta, fallendo ogni volta degli entrambi lavorativi di entrambi – e perfino i bambini avevano preso ad indossare giacche pesanti, munite di guanti e cappelli.
Midorima si distrasse dai quei pensieri non appena sentì che la chiamata era stata accettata dall’altro.
« Sì? »
« Si sposa? » domandò immediatamente non badando alla voce roca e chiaramente assonnata dell’altro.
« Midorimacchi! Non urlare così! Mi scoppia la testa! »
Il medico sbuffò, visibilmente disturbato da quel tono di voce stridulo e lagnoso, ed accostò il proprio petto contro la finestra del proprio studio. Sebbene Kise avesse trent’anni e lavorasse a ritmi serrati ben peggiori dei suoi, aveva mantenuto quel comportamento allegro e quella voce lagnosa che tanto lo disturbava; a volte si chiedeva come facesse Kasamatsu a sopportarlo ventiquattr’ore su ventiquattro.
« Idiota. Sei tu quello che sta urlando » gli fece notare con voce scocciata, contraendo il proprio volto in un’espressione irritata.
« Soffro, Midorimacchi! Kurokocchi si sposa! E io non so nemmeno con chi! »
« Kise, se sei ancora ubriaco o questo è uno scherzo … »
« Midorimacchi, non sto scherzando »
L’improvviso cambio di voce dell’altro gli fece capire quanto fosse vera – e disastrosa – la notizia appena ricevuta.
Midorima rimase in silenzio per un paio di secondi. Chinò la testa in avanti, prendendo a guardare il pavimento e cercando di trovare anche un solo pensiero che potesse sintetizzare quello che stava provando in quel momento. Si ricordò immediatamente dell’ultimo incontro avuto con … lo sposo? Massì, chiamiamo anche lui così!, avuto luogo alla stazione di Tokyo: Kuroko che si lascia abbracciare da Kise, Kuroko che ascolta gli ultimi commenti di Aomine ( questo misteriosamente più minaccioso e irritato del solito ), Kuroko che dedica un sorriso leggero ad Akashi, Kuroko che allontana la mano di Murasakibara dai suoi capelli, Kuroko che lo saluta con un “arrivederci”, Kuroko che si allontana con discrezione gli altri membri e che poi scompare lentamente dentro il treno.
Il medico chiuse piano i suoi occhi, ragionando su quanti anni fossero passati da allora; la sua vita era gradualmente cambiata in quei cinque anni: aveva trovato lavoro presso quell’ospedale, i suoi avevano accettato la sua omosessualità, sua sorella aveva trovato un fidanzato (che a lui non sarebbe mai piaciuto) e, soprattutto, Takao era tornato nella sua vita
Il respiro di Kise, così flebile e veloce, per un attimo gli apparì la cosa più rumorosa che avesse mai percepito. Strinse gli occhi e cercò di riprendere a parlare con l’altro uomo; quando in realtà, l’unica cosa che aveva voglia di fare era chiudere la conversazione e prendersi qualche minuto per pensare a cosa fare. Avrebbe dovuto mandargli dei fiori? Chiamarlo? Offendersi per non essere stato invitato? O, semplicemente, fare finta di non sapere niente? L’ultima opzione lo ispirava davvero molto; ma era convinto che, in qualche modo, Takao ne sarebbe venuto a conoscenza e avrebbe mandato tutto a schifio come al solito.
« Ha trent’anni, Kise. È abbastanza grande per fare quel che gli pare. Se si vuole sposare, libero di farlo. Non deve chiederti il permesso. » si decise a parlare, allontanandosi dalla finestra con passo veloce, studiando con attenzione il proprio ambiente circostante quasi avesse paura che qualcuno stesse ascoltando la sua conversazione.
« Ma Kurokocchi è nostro amico! »
« Kise, ti ho detto di non urlare »  lo rimproverò di nuovo l’uomo, spostando velocemente qualche ciocca dei propri capelli da davanti il volto. Nonostante il suo taglio di capelli fosse rimasto invariato nel corso degli anni, cominciava a mostrarsi leggermente insofferente nei confronti di quella frangetta – che tra l’altro Takao non faceva che toccargli con aria divertita, quasi fosse un gatto con un gomitolo di lana.
« Comunque sia, Aomine lo sa? »
« Certo che lo sa! È il primo a cui l’ho detto! »
« E che ha detto? » si informò, cercando tuttavia di celare quella curiosità che stava provando. Quella conversazione stava prendendo una strana piega; Midorima cominciava a rivedersi in sua madre mentre era intenta a spettegolare sui vicini. E la cosa non gli piaceva affatto.
« Ha detto che lui voleva dormire. E che io ero uno stupido »
« E poi? »
« Poi non ha detto più nulla »
Midorima sospirò spazientito. Non che si aspettasse una qualche reazione positiva da parte di Aomine – dopotutto lo conosceva abbastanza bene ormai – ma sperava almeno che si esprimesse in merito, rivelando i suoi pensieri e come aveva in mente di agire in merito. Perché, sì, Midorima cominciava a temere un possibile colpo di testa dell’altro e non riteneva il caso che fosse di nuovo Momoi ad occuparsene. Da parte sua, poi, non gli andava per niente di ascoltare i deliri telefonici di Kise – o peggio di Akashi (perché sicuramente questi l’avrebbe saputo delle nozze. Presto o tardi, lui veniva a sapere ogni cosa. Anche se Midorima non capiva né come né perché).
« Midorimacchi, cosa facciamo? »
« Ti dico e ti ripeto che questa faccenda non mi interessa. Kuroko è libero di far quel che gli pare, a mio modo di vedere »
« E allora perché mi hai chiamato? »
Ne seguì un rapido silenzio.
Midorima spalancò gli occhi e lasciò che lo stupore prendesse per un attimo il sopravvento.
« … Cosa? »
« Se non ti avesse interessato, non mi avresti chiamato. Ti conosco: se una cosa non ti garba, non dici nulla e ti allontani. Se hai deciso di chiamarti è perché, anche tu, come me, non puoi credere che sia vero che, dopo tutto quello che è successo con Kagamicchi, Kurokocchi abbia deciso di sposarsi all’improvviso. » lo sentì prendere un bel respiro, probabilmente il mal di testa dovuto la sbornia lo stava lentamente distruggendo « So anche che tieni a Kurokocchi, quante me e Aominecchi. Non devi per forza fare il distaccato, siamo tutti preoccupati. »
« Kise, smettila di dire stupidaggini »
« Non sono stupidaggini e tu lo sai, Midorimacchi. Non siamo più ragazzini, lo hai detto tu stesso: se vuoi essere onesto con te stesso, sai benissimo cosa stai provando in questo momento »
Quello era un bel guaio. Se Kise riusciva a metterlo così in difficoltà voleva dire che la sua reazione era stato fin troppo lenta e che nemmeno le sue risposte riuscivano a sembrare convincenti; Takao lo stava contagiando, non c’erano altre spiegazioni.
« Cosa conti di fare allora? »
« Lo chiamiamo, ovvio! »
 
 
 
~Il Mughetto dice~

Ebbene sì, questa è una long. La mia prima long in Kuroko No Basket. E la coppia principale sarà la KagaKuro (anche se da questo primo capitolo non sembrerebbe affatto).
È ambientata 14 anni dopo le vicende del manga abbiamo quindi una Generazione dei Miracoli che svolge serenamente la propria vita quotidiana con un Aomine che corre dietro ai teppistelli in divisa, un Kise che vola spensierato e Midorima che gioca a fare il dottore (non sono apparsi ancora Murasakibara e Akashi a anche loro non se la passano male). Di Kagami non abbiamo ancora saputo nulla, si sa solo che se ne è andato in America e che non è ancora tornato – trasformando in realtà il triste presagio di Kuroko.
Parlando di lui, Ta ta taaan, si sposa. E già. Ma con chi? Ma dove? E soprattutto perché?
La Generazione dei Miracoli questo non se lo sa spiegare. E forse solo Kise potrà infrangere il muro della discrezione e chiedere maggiori informazioni.
Non ho la minima idea di quel che ho appena fatto. Non posso fare a meno di essere leggermente spaventata da quello che ho appena finito di scrivere; non sono solita trattare una long, mi diletto in shot e le trovo fantastiche per il mio modo di scrivere.
Tuttavia questa storia mi balenava nel cervello già da un po’ e purtroppo non poteva ridursi in un solo capitolo. Comunque, non sarà molto lunga. Cinque capitoli al massimo.
In compenso saranno capitoli lunghi più o meno come questo e non ho la minima idea di come e quando aggiornerò. tutto dipenderà da come verrà trattata la storia. Se non riceverà consensi, non esiterò a cancellarla e rielaborarla in seguito ( oppure a cestinarla ); perciò, se siete intenzioni a saperne il continuo, vi propongo di farvi sentire tramite una recensione.
Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.
Grazie perciò per aver letto!
E lasciate una recensione!

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Capitolo 2
*** Step Two: La Scelta del Menù ***


« Aka-chin, io ho fame »
Murasakibara appoggia la testa sulla spalla del proprio amico, cercando disperatamente di attirare le sue attenzioni, e prende ad osservare imbronciato le numerose cameriere intente a servire i numerosi clienti. Ha fame. Ed il fatto che Akashi non abbia ancora risposto lo irrita molto. Si accartoccia sulla propria sedia e sbuffa spazientito.
Quella di incontrarsi alla fine di ogni anno scolastico in un locale del centro, è quasi una ricorrenza ormai – partita un po’ per gioco, un po’ per risaldare un legame che pareva essersi sciolto nel corso degli anni. Non mangiano molto, bevono qualche birra e discutono del basket. Ora che è arrivato marzo e anche il terzo anno di università si è consumato, si sono resi conto di quanto le loro strade si stiano separando sempre di più; così, nel massimo della discrezione, hanno deciso di incontrarsi ogni tanto per sapere come se la stessero cavando gli altri. A volte ascoltano i racconti allucinanti di Aomine sulla vita in caserma, altre si limitano ad annuire ai rimproveri di Midorima sul prendere sul serio il proprio corso di studio.
Parlano, insomma. E questo basta a renderli felici, anche se solo per una serata.
« Bakagami! » sbotta improvvisamente Aomine mostrando i denti con rabbia. Continua a giocare con il menù del locale, facendolo girare velocemente fra le dita e producendo una fastidiosa brezza che convince Midorima a spingersi leggermente più in là, lontano da lui « Lui e i suoi orari di merda per fare una telefonata! »
« Ma lo doveva chiamare proprio adesso? » sbuffa Kise sporgendosi verso la porta, cercando di scorgere la figura di Kuroko lì vicino. È un tentativo inutile: non riesce a capire cosa stia facendo o se stia ancora al telefono. Ritorna ad appoggiare la propria schiena sulla sedia, leggermente irritato da quella telefonata che aveva spinto l’amico ad allontanarsi dal loro tavolo. Da quanto tempo stanno parlando? Kise crede sia un’eternità. E questo non fa che irritarlo ancora di più. Kuroko non è certo il tipo di persona che si mostra particolarmente loquace al telefono; non può fare a meno di essere geloso, quindi, di quella conversazione che sta avendo luogo a pochi metri da lui.
« Aka-chin, io ho fame » continua a lamentarsi Murasakibara ondeggiando sul proprio posto come un bambino piccolo alla ricerca di attenzioni da parte del genitore; il non ricevere ancora una risposta, quindi, lo spinge ad aggrottare entrambe le sopracciglia e prende a dondolarsi avanti e indietro. Midorima alza di poco un sopracciglio e sposta il suo sguardo verso il suo ex-compagno di squadra, che però non da segno di aver recepito la sua richiesta di spiegazioni.
Gli occhi di Akashi sono fissi sulla figura di Kuroko. La studiano in silenzio. Indagano minuziosamente su ogni dettaglio. Vegliano silenziosamente su di lui per evitare che gli succeda qualcosa.
Midorima si limita semplicemente a seguire lo sguardo dell’altro e si direziona anche lui verso la porta alla ricerca dell’ombra. Impiega un po’ per trovarlo, come al solito; ma, non appena riesce a scovare la sua figura in quella semi-oscurità, non riesce a celare a sé stesso un leggero stupore. Nonostante l’espressione di per sé sia rimasta la stessa, Kuroko gli appare molto più sereno rispetto a prima. Lo vede stringere il telefono, sussurrando velocemente qualche parola; le dita dell’unica mano libera picchiettano velocemente sullo stipite della porta, tracciando una melodia veloce di cui non si riesce ad avvertire alcun suono. Non ha idea di cosa stia parlando – e forse non vuole nemmeno saperlo; nota, suo malgrado, quanto il viso del ragazzo sia illuminato da una luce tutta nuova.
« Credo che andrà avanti per le lunghe » rivela dopo un po’, tirando via la carta del menù ad Aomine e prendendo a consultarla in silenzio, attirando immediatamente l’attenzione della parte restante del gruppo « Cominciamo ad ordinare »
 
« Midorimacchi! Aspettami, dai! Torniamo assieme! »
« Sei lento, Kise» sbuffa questi, rallentando il proprio passo per permettere al ragazzo di raggiungerlo. Kise gli mostra un sorriso allegro nell’accostarsi a lui e subito prende ad osservare la strada davanti a lui; non ha idea di che ore siano – probabilmente anche la mezzanotte è passata ed è quindi inutile aspettare l’arrivo del prossimo autobus, meglio procedere assieme fino alla stazione.
Le stelle brillano silenziose in cielo, studiando con attenzione i movimenti della Terra e degli uomini. I loro occhi viaggiano velocemente lungo la superficie, cavalcano le onde dell’oceano e sguisciano abilmente per i palazzi troppo alti: non conoscono limiti e sono più curiosi dei bambini. Così come il vento che spira ogni tanto per la via, facendo rabbrividire per il freddo i due giovani uomini.
« È stato divertente oggi! » esclama divertito Kise sfoderando un bel sorriso verso l’amico: il quale, però, continua a percorrere la strada in religioso silenzio « Dovremmo incontrarci più spesso, magari una volta al mese! Lo so che per Akashicchi e per Murasakicchi potrebbe essere difficile – e anche abbastanza costoso – ma sarebbe divertente! Sono convinto che ci divertiremmo molto di più stando assieme più spesso! »
Ne sussegue un rapido silenzio. Midorima si sistema gli occhiali sul proprio volto e continua a guardare davanti a sé. Non ha ben capito il perché gli astri finiscano sempre col lasciarlo assieme a Kise quando si tratta di ritornare a casa – fin dalle medie si è visto costretto a condividere il tragitto con lui e le sue rumorose chiacchiere su quella che è stata la giornata.
«E poi Kurokocchi mi è apparso molto più allegro rispetto a prima! Secondo me si è completamente ripreso dalla partenza di Kagamicchi! Possiamo stare tranquilli per un po’! » continua ancora l’altro ragazzo lanciando veloci occhiate sia all’ex-compagno di squadra sia alla strada, quasi a voler celare quella curiosità che sente farsi sempre più forte. Non sa dire il perché, ma il passare del tempo con il resto della squadra lo fa stare bene: perde la cognizione del tempo e si dimentica dei problemi che, in quest’ultimo periodo, lo stanno assillando « Non lo credi anche tu, Midorimacchi? Quanto pensi che durerà ancora? »
« Gli do un paio di mesi »
Kise alza leggermente un sopracciglio e si volta immediatamente verso l’amico, alla ricerca di qualche spiegazione in più. È palese che sia sorpreso da una simile dichiarazione: non fa che sbattere velocemente le ciglia e quasi ondeggia su sé stesso nel tentativo di incrociare il suo sguardo. Questo, però, non fa che irritare Midorima che, sbuffando spazientito, aumenta di poco il suo passo.
« Lo pensi davvero, Midorimacchi? »
« Le storie a distanza non durano, Kise. E questa non farà eccezione »
 
 
 
Certe notti sei sveglio
O non sarai sveglio mai.

 
2.
 
« Sei impazzito? Vuoi dirlo a Satsuki? Quella è capace di combinare il finimondo – come minimo, ci scappa il morto! Sta fermo! Me ne occupo io! Chiamo io Tetsu! Niente Satsuki! »
Ed era stato così che Aomine aveva firmato la sua condanna.
Quella mattina si era rivelata essere un autentico inferno per lui. Oltre che esser stato svegliato per la seconda volta dal proprio telefono cellulare – questa volta gettato per davvero fuori dalla finestra – aveva dovuto sorbirsi un alquanto stressante ramanzina al lavoro. Il suo capo, tale Yugo Ito, lo aveva tenuto attaccato ad una sedia per una buona mezz’ora, rimproverandolo per il ritardo e minacciandolo di lavoro d’ufficio per almeno un mese se questo suo atteggiamento “spocchioso e irriverente” sarebbe andato avanti. Inutile dire che Aomine si era limitato ad annuire scocciato, come al solito, senza dar retta alle parole del proprio superiore; che presto aveva cominciato a dare in escandescenze dandogli del “maleducato e irrispettoso” , creando in breve tempo il malcontento in caserma. Fortunatamente qualche collega era venuto in suo soccorso e, bene o male, era riuscito di nuovo a cavarsela. Si era quindi ritrovato su una pattuglia in giro per la città assieme a due suoi colleghi, che non facevano altro che parlare della vacanze natalizie ormai in arrivo, ed aveva passato il resto della mattinata in giro per la città, rincorrendo studenti che avevano rubato qualche rivista in negozio e recuperando un peloso quanto grasso gatto che – violando ogni legge della fisica – si era arrampicato su un albero, destando lo spavento e la preoccupazione della sua anziana padrona. Avrebbe quindi rifiutato immediatamente l’invito di Kise di recarsi a casa sua, se questi non avesse offerto che gli avrebbe volentieri il pranzo – o gli avanzi, visto che sia lui che Midorima avevano già iniziato a mangiare.
Ed era stato proprio mentre si apprestava a mangiare, che Aomine era venuto a sapere del “geniale” piano di Kise. Questi glielo aveva presentato con un sorriso leggiadro in volto, rivelando di essere davvero curioso di sapere chi fosse la dolce metà che Kuroko aveva scelto – proponendo nel frattempo di avvisare anche Momoi delle nozze. Inutile dire che, il solo pensiero di informare la propria amica di una simile novità, fece andare di traverso un boccone di carne al povero poliziotto che prese a tossire spasmodicamente; facendo immediatamente andare su di giri i propri compagni – Midorima soprattutto, che già si era messo i guanti senza un ben noto motivo.
Dopo aver ripreso a respirare normalmente, si era sbrigato a dissuadere Kise da un simile piano e minacciarlo di morte se avesse di nuovo tentato di riferirgli simili idee durante i pasti. Suo malgrado, nonostante Midorima continuasse a ripetere quanto quest’idea della telefonata fosse ridicola e approssimativa, aveva afferrato il telefonato e digitato con velocità il numero di Kuroko.
« Aomine-kun »
Ora, volendo essere sinceri, Aomine si aspettava tutto fuorché una così veloce risposta. Di solito, Kuroko si faceva attendere al telefono: si prendeva tutto il tempo possibile per cercarlo nella borsa o per la casa, leggeva con attenzione il numero che compariva sul display e poi se lo portava all’orecchio lentamente. Il poliziotto, insomma, sperava di avere qualche secondo a disposizione per mettere in ordine le idee, e invece … niente. Come al solito, Kuroko si era dimostrato imprevedibile.
« O-Ohi, Tetsu. Q-Quanto tempo! » rispose con voce roca avvicinandosi di poco all’apparecchio telefonico, come se potesse ridurre la distanza che lo separava dall’altro. Volendo essere sinceri, l’idea di Tetsu di recarsi in Hokkaido non lo aveva entusiasmato un granché. Non a caso, non aveva esitato di dargli dello stupido non appena lo aveva informato della partenza. Non gli piaceva saperlo così lontano, immerso in un ambiente così freddo e duro che solo quell’isola poco sviluppata continuava a mantenere nel corso dell’anno; tuttavia, nel sentirsi raccontare di un lavoro sicuro e di una sistemazione più che soddisfacente non aveva esitato a dargli ragione e augurargli buon viaggio.
« Sì, è vero. È passato davvero molto tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti »
Aomine trattenne il respiro voltandosi verso gli altri. Midorima lo fissava da lontano con fare truce. Non si capiva cosa effettivamente fosse venuto a fare visto che non faceva altro che bocciare ogni possibile piano che Kise proponeva. Quest’ultimo continuava a rimanere in silenzio, seduto sul divano; era abbastanza serio, chiaramente in attesa di maggiori chiarimenti – sembrava davvero preoccupato per Kuroko e, nonostante avesse camuffato il tutto sotto la parola “curiosità”, non era difficile capire il perché di una simile telefonata. Aomine si ritrovò a sbuffare scocciato.
« Tetsu » lo chiamò, quindi, a bassa voce senza aspettare che l’altro rispondesse « Come vanno le cose da te? »
« Bene. Tu, piuttosto. Kise-kun mi ha detto che stai lavorando molto »
« Ah … Beh, sì. Lavoriamo molto, ma non è nulla di ché. Infondo … » lanciò una rapida occhiata verso Kise che aveva preso a gesticolare, cercando di mandargli chissà quale messaggio; aggrottò le sopracciglia in sua direzione e poi tornò a fissare il muro davanti a sé, cercando di pronunciare una frase di senso completo « Infondo, non è ancora successo nulla di particolarmente importante da raccontare »
« Capisco »
« Stiamo tutti bene, comunque » si ritrovò a confermare passandogli svogliatamente una mano fra i capelli, quasi a volerli scompigliare un altro po’.
« Aomine-kun » La voce di Kuroko apparve improvvisamente molto più risoluta nel chiamarlo; ma, nonostante questo, continuò a sembrare abbastanza serena. Non poteva che dare ragione a Kise, Tetsu appariva davvero rilassato; le sue parole scorrevano velocemente dalla sua bocca e sapevano di tranquillità e di pace. Probabilmente la vita in Hokkaido si era rivelata più calma e posata di quel che si aspettava. « Con questo non intendo mancarti di rispetto, ma posso sapere perché hai chiamato? »
Aomine si ritrovò a schioccare la lingua più volte. Inutile nasconderlo, difficilmente si riusciva a farla franca con Tetsu: riusciva a scorgere il minimo cambiamento o un particolare stato d’animo in una persona anche solo tramite la voce. Non sapeva se definirlo un “orecchio fine” o “particolarmente perspicace”; semplicemente, la sua capacità di osservare e studiare le persone si andava sempre più raffinando negli anni, tanto che ormai era difficile anche solo mentirgli.
« Non intendo girarci intorno, Tetsu. Kise ha detto che hai intenzione di sposarti o di fare una stronzata simile » parlò con monotonia, alzando lievemente lo sguardo verso il soffitto in attesa di una fulminata o di un pallone vacante. Magari avrebbe fatto meno male della risposta. « È vero? »
« Sì, lo è »
Non c’era vergogna o imbarazzo nella sua voce. Non che Aomine si aspettasse una qualche nota di stupore nella sua voce, probabilmente Tetsu si aspettava una fuga di notizie, non che fosse una novità parlando di Kise! Il suo carattere lo portava spesso a non riuscire a mantenere i segreti o semplici confessioni. Kuroko non gliene faceva certo una colpa – solo, aveva quasi sperato, che avvisasse Aomine per ultimo o penultimo.
« Bene, suppongo. Almeno Kise non si è giocato del tutto il cervello viaggiando da un continente all’altro » brontolò piano il poliziotto, lanciando una veloce occhiata verso il proprio ex-compagno di squadra che però non sembrò gradire affatto il commento. « E quindi, lui chi è? »
« Anche se facessi il suo nome tu non lo conosci, Aomine-kun.»
« Non mi hai invitato per questo? »
« No, non è stato per questo »
Ne seguì un momento di silenzio.
Aomine poteva sentire il respiro di Kuroko soffiare dolcemente nel suo orecchio. Era un suono così basso e discreto da perdersi con estrema semplicità; tuttavia, gli apparì stranamente stabile e tranquillo, non particolarmente turbato dall’atmosfera sempre più crescente. Non si sentiva affatto minacciato da quelle domande, probabilmente se le aspettava e sapeva già quale risposta dargli.
« Non può nemmeno definirsi un matrimonio quello che abbiamo in mente di fare. Non ci saranno testimoni, sacerdoti, invitati, giuramenti … è solo un semplice scambio di fedi. Non avevo intenzione di dirlo a nessuno, nemmeno alla mia famiglia  »
« Perché? »
« Perché è una cosa che riguarda me, Aomine-kun. Me soltanto. »
Questo era stato troppo. Decisamente troppo per Aomine.
Lui, che era solito considerarsi ancora un qualcosa di “importante” nella vita di Kuroko, si sentì improvvisamente tirato fuori dalla vita dell’altro. Quello che era stato la sua ombra alle medie – un punto di riferimento, un amico, un fratello – ora lo trattava come una persona qualsiasi, preferendo celargli i particolari della propria esistenza e di possibili sviluppi all’interno di essa. Si sentì alla stregua di un perfetto sconosciuto, forse ritenuto troppo opprimente e curioso, a cui Tetsu aveva concesso qualche particolare in più. Per accontentarlo. Per farlo stare zitto.
Questo lo irritava. Lo irritava tantissimo.
« E tu credi veramente che io sia d’accordo?! » urlò contro la cornetta del telefono facendo sussultare visibilmente spaventato Kise; il quale non esitò ad alzarsi per cercare di calmarlo, venne però trattenuto di Midorima che gli appoggiò una mano sulla spalla e lo rimise a sedere.
« Aomine-kun, non alzare la voce »
« Dimmi chi diavolo è, Tetsu! Devi dirmelo! » sbraitò con maggiore intensità digrignando i denti con rabbia « Cos’è? Improvvisamente non ti vado più a genio? Come al liceo? »
« Non è questo »
« Cosa diamine è allora?! » gridò più forte Aomine facendo leggermente tremare i vetri delle finestre «Dopo tutto quello che è successo con Kagami me lo devi dire, diamine! »
Se Aomine fosse stato un poco più attento forse avrebbe udito quel piccolo sussurro proveniente dall’altro capo del telefono. Il respiro di Kuroko fu per qualche istante più veloce, come se qualche spiacevole ricordo gli fosse tornato alla mente; ma subito tornò normale, anche se più brusco e pesante. Sembrava quasi fare pressione su sé stesso. Come a volersi controllare. E trattenere. Perché, in fondo, comprendeva quell’improvviso moto d’ira dell’altro e pur essendo irritato dalle sue parole, preferì tenere per sé i suoi pensieri. Ne seguì, infatti, un momento di silenzio. Aomine respirava velocemente, vittima di quell’improvvisa rabbia che aveva preso il controllo del proprio corpo e di quella insana preoccupazione di essere tornato ad essere una figura indistinta nella vita di Kuroko.
« Ohi, Tetsu! Rispondimi! »
« Mi spiace, Aomine-kun, ma come ho detto è qualcosa che riguarda solo me. Ora devo andare, mi stanno chiamando i bambini. A presto. »
 
I – I – I – I
 
 
Ora, prima di continuare con la nostra storia, teniamo ad informarvi della situazione di Murasakibara Atsushi.
Stiamo parlando di un uomo alto ormai due metri, la cui età celebrare oscillava fra i dieci e gli undici anni mentre quella fisica sui trent’anni. Non particolarmente comunicativo o loquace, un po’ goffo nei movimenti e quasi timido nello stabilire un rapporto con gli altri. Quello che colpiva di più di lui, oltre che l’incredibile altezza e lo sproporzionato appetito, erano quei capelli viola che continuavano ad arrivargli alle spalle; nonostante non avesse più la giusta età per portarli in quel modo si era mostrato fortemente contrario all’idea di tagliarli, preferendo di gran lunga legarli in una coda bassa piuttosto che ritrovarsi “a collo scoperto”, come diceva lui. Amante dei dolci e, forse, anche del sorriso che gli rivolgeva Himuro quando lo vedeva rientrare a casa – anche se non lo avrebbe mai ammesso, visto che detestava quello sguardo intenerito che ogni tanto l’altro gli dedicava quando gli faceva un complimento.
Murasakibara non era quindi cambiato molto dopo il liceo: era rimasto lo stesso identico bambino di cui Himuro aveva deciso di prendersi cura.
Era proprio grazie a quest’ultimo se era riuscito a trovare lavoro presso una pasticceria del centro. A quanto pare, Tatsuya conosceva molto bene il proprietario e non aveva esitato a presentarglielo non appena lo aveva ritenuto abbastanza maturo per intraprendere una carriera lavorativa; anche se, a ben guardare, quello che Murasakibara frequentava, era un ambiente più che protetto. La sua vita, a detta di molti, era “immersa in un campo di rose e fiori, traboccante di dolci e balocchi”. Lavorava circondato da giovani collaboratrici che lo viziavano nei peggior modi – preparandogli continuamente pacchetti di cioccolata e caramelle – con un orario non particolarmente duro e che gli permetteva di chiamare Himuro ogni qual volta ne sentisse la necessità. Per non parlare del fatto che, il padrone del locale gli lasciava sempre ogni tipo di avanzo possibile e raramente era costretto a dedicarsi a qualche straordinario.
E magari, se tutto fosse andato come le precedenti volte, anche quella giornata si sarebbe consumata velocemente: Murasakibara si sarebbe recato a lavoro alle nove, avrebbe ricevuto la solita serie di buffetti sulle guance ( che erano solite dargli le colleghe ogni qual volta lo vedessero), e avrebbe lavorato fino alle diciotto di sera, con uno stacco di un’ora per poter consumare il pranzo e avere tempo di chiamare Himuro.
Sfortunatamente, quella mattina non andò affatto come da programma.
Hayato Yamashita – quarantenne, tarchiato ed disoccupato da ormai due mesi – era affamato. Aveva voglia di qualcosa di caldo o, semplicemente, di un posto in cui potersi accoccolare anche solo per alcuni istanti. Si può dire che passò per caso sotto la pasticceria e che, ammaliato un po’ dal profumo e un po’ dalle formose figure delle lavoratrici, si convinse ad entrare. Gran parte dei lavoratori si trovava nella cucina, intenta ad impastare e preparare il forno, e una minima parte sul retro presa a fumare la prima o la seconda sigaretta della giornata; Murasakibara era appena arrivato: si era tolto la giacca, infilato il grembiule e lasciato strapazzare dalle varie colleghe.
L’urlo che, quindi, cacciò la ragazza alla cassa non appena vide il coltello a serramanico colse tutti alla sprovvista; costringendo l’intero gruppo a dirigersi verso l’interno del locale, finendo così nella bocca del leone.
Proprio così. Mentre Midorima chiamava Kise per ulteriori chiarimenti riguardo alle nozze di Kuroko, la pasticceria “bon bons à tous divenne oggetto di un tentativo di rapina. 
A differenza delle altre sue colleghe che non facevano che agitarsi, dando vita ad un irritante susseguirsi di urla isteriche femminile, Murasakibara era rimasto in silenzio fino all’ultimo. Non che non avesse capito cosa stesse succedendo – semplicemente, non sapeva come comportarsi e cosa fare. Non aveva mai vissuto un momento del genere nel corso della sua vita. E, francamente, l’idea di urlare anch’egli come una gallina non lo attirava affatto.
Era accaduto tutto velocemente: il rapinatore che gli puntava il coltello contro, una ragazza che lo pregava di assecondarlo, un’altra che gli diceva di fare qualcosa ( chenonfossedargliisoldi ) e poi il resto del gruppetto che si limitava ad urlare spaventato … insomma, Murasakibara non ci aveva capito più nulla. Le grida lo avevano sempre mandato in confusione, gli ricordavano fin troppo il verso dei corvi e aveva cominciato a fissare con occhi spalancati il coltello. Così incapace di capire quello che stava realmente accadendo che si era limitato ad indietreggiare un poco, senza capire cosa l’uomo volesse da lui. Aveva aperto la bocca quasi a dire “smettila di urlare ordini. Non capisco nulla con queste urla”, ma era stato perfettamente inutile. L’uomo continuava a puntargli contro quel coltello, urlandogli qualcosa di non meglio noto.
Murasakibara voleva semplicemente fermare tutte quelle urla. Nulla di più. Gli davano così fastidio da ricordargli il disappunto di quando sua madre lo chiamava per chiedergli come si trovasse e se mangiasse abbastanza. Aveva quindi steso il braccio, a voler fermare quei movimenti sconnessi e nervosi del rapinatore, ma questo non aveva portato che caos in più. Con tutte le probabilità, l’uomo lesse questo gesto come un atto di ribellione e, nel tentativo di fargli paura, cominciò ad agitare il coltello davanti a sé. Se Murasakibara fosse stato abbastanza furbo, avrebbe ritratto il braccio e magari avrebbe anche indietreggiato, ma lui non lo fece e, in pochi secondi, vide comparire un gigantesco taglio all’altezza dell’avambraccio. Le grida disperate non fecero che aumentare, ma l’uomo sembrò quasi non sentirle più.
In quel momento, la sua attenzione era tutta per quel liquido scarlatto che vedeva fluire via dal proprio braccio destro.
E non ci vide più.
Il rovescio che gli dedicò fu così forte da togliere il fiato persino ai presenti – tanto che, per un attimo, il silenzio tornò sovrano nella sala. Le giovani donne si limitarono a seguire col capo il rapido volo del rapinatore dal bancone contro i tavoli del locale, lasciando che la bocca si spalancasse un poco; qualcuna si portò le mani sulla bocca, altre strinsero i pugni vittoriose (convintesempredipiùcheMurasakibarafossel’armavincente ). Inutile dire che il rapinatore perse i sensi e Murasakibara fu costretto a mettersi seduto per terra.
Il gestore della pasticceria lo pregava di rimanere fermo mentre urlava a qualche ragazza di chiamare un’ambulanza, qualcuna piangeva spaventata, altre gli si affollavano intorno chiedendole come stesse e se si sentisse mancare. A detta di molte stava perdendo davvero troppo sangue, necessitava di un’imminente soccorso – e magari di qualche dolce.
Era stata quindi chiamata un’ambulanza e, solo in seguito, la polizia. Murasakibara era stato trasportato in ospedale, accompagnato dal gestore del locale e dall’unica ragazza che sembrava aver mantenuto il sangue freddo, e rinchiuso dentro una stanzetta bianca con una strana flebo attaccata al braccio. I medici avevano detto che non c’era nulla di cui preoccuparsi: non aveva perso molto sangue e non sembrava essere nemmeno in stato di shock, poteva quindi rispondere alle domande della polizia senza problemi. Dopotutto il rapinatore lo aveva steso lui. Chi altri meglio di lui poteva spiegare la dinamica dei fatti?
L’uomo ondeggiò un poco sul posto, annoiato da tutto quel silenzio che lo attorniava. Non sapeva che ore fossero, ma il languorino allo stomaco gli fece intuire come l’ora di pranzo fosse ormai passata. Si guardò in giro, alla ricerca di qualche snack lasciato in giro, ma si scoprì presto completamente solo nella gigantesca camera bianca. Prese così a studiarla con falsa curiosità, dopotutto, doveva pur far qualcosa là dentro! Si rese perciò conto che, oltre il suo gigantesco letto, vi erano paio di armadi e comodini; in più scoprì che una gigantesca finestra, che si estendeva per tutta la parete destra, dava su un piccolo boschetto di sempreverdi. Spalancò leggermente gli occhi e, chinando il capo in avanti, tentò di scorgere le cime di quelle chiome. Si ritrovò presto a pensare, per un motivo o per un altro, ad Himuro e al fatto che non lo avesse ancora chiamato. Probabilmente si stava preoccupando. Ma cosa poteva mai fare lui? Il cellulare era rimasto in pasticceria e, probabilmente, ora le sue rumorose colleghe lo avevano già avvisato della rapina e del suo rapido ricovero in ospedale.
Tanto era preso da quei pensieri che non si rese subito conto dello scatto nella porta – segno che qualcuno stava per entrare in stanza – e continuò ad osservare quelle cime verdi, cercando di scorgere qualche scoiattolo o magari un nido per uccelli: ondeggiò un poco, piegandosi ancora di più in avanti. L’individuo che era appena entrato quasi sussultò nel vederlo preso da un simile studio: chiuse immediatamente il libretto che teneva fra le mani e lasciò che un respiro scocciato fuoriuscisse dalle sue labbra secche.
« Ah, bene. Prima Kise, ora tu. » sbottò dopo un po’, avvicinandosi al letto dell’altro con velocità. Murasakibara raddrizzò il busto, ma continuò ad osservare a sottecchi l’uomo; irritato dal fatto che lo avesse interrotto proprio nel momento topico della sua ricerca di uno scoiattolo – anche se, a ben guardare, era un po’ difficile che lo si riuscisse a trovare proprio nel centro di Tokyo. « Che cosa devi dirmi tu? Che Tetsu è incinto? »
L’uomo in divisa, che altri non era che Aomine in servizio, si tolse il berretto e prese a osservarlo con sufficienza. Dire che fosse sorpreso dal vedere Murasakibara era dire poco. Il loro ultimo incontro risaliva alla Vigilia di Natale dell’anno passato: Kise li aveva invitati a casa sua e avevano passato una tranquilla serata, mangiando e bevendo a volontà e scambiandosi stupidi regali inutili. Erano presenti un po’ tutti – eccetto Akashi e Kuroko; il primo perché aveva dovuto recarsi in Europa per lavoro proprio in quei giorni, il secondo perché … beh … Aomine non aveva ben capito quale fosse stato il motivo, aveva saputo da Kise solo che “non poteva venire”. Nulla di più.
« Mine-chin … Ma tu non dovresti lavorare? » domandò alzando leggermente un sopracciglio e inclinando la testa di lato nel vederlo così improvvisamente vicino al suo letto.
« Io STO lavorando, razza di idiota! » ribatté piccato l’altro digrignando i denti con rabbia. Osservò irritato Murasakibara, sbuffando scocciato, per poi concentrarsi su quei numerosi tubicini che, serpeggiando dalla flebo, si insinuavano nelle carni dell’amico; non faticò ad individuare il braccio ferito, una pesante fasciatura lo copriva. « E, contrariamente a te, non mi faccio infilzare dal primo che passa! »
 
Himuro percorse a passo veloce il corridoio, lanciando veloci occhiate dentro le stanze dell’ospedale sperando ogni volta di intravedere la chioma di Atsushi. Era quasi tentato di tornare alla reception e chiedere di nuovo quale fosse il numero della stanza che avevano assegnato al proprio compagno; tuttavia, la fretta e la convinzione che l’avrebbe trovata presto o tardi, lo convinse a non perdere ulteriore tempo. Non riusciva a sentirsi rassicurato dalle parole del personale e dei medici, voleva controllare personalmente che Murasakibara stesse bene e quale fosse l'entità della ferita al braccio.
Per un giocatore di basket, le gambe e le braccia sono un qualcosa di vitale importanza; durante il gioco e nella vita quotidiana, si cerca sempre di proteggerli da particolari urti o graffi – in particolar modo, si ha molta cura delle mani proprio perché è tramite esse che la palla prende una determinata direzione o meno. Himuro si trovò a mostrare un poco i denti, vittima di un crescente nervosismo. Se aveva capito bene ( eavevacapitobene ) Atsushi aveva riportato una ferita proprio all’altezza del braccio destro: proprio quello con cui Murasakibara era solito effettuare la maggior parte delle azioni difensive durante una partita.
Si mostrò, tuttavia, abbastanza accorto nel evitare di sbattere contro un altro individuo che proveniva dalla direzione opposta. Questi avanzava a passo lento, giocando un poco col blocchetto che teneva fra le mani; pur essendosi immediatamente reso conto della presenza di Himuro, aveva preferito non variare di un singolo centimetro il proprio percorso. Forse per pigrizia o forse per altri pensieri che ancora affollavano la sua mente.
Restava il fatto che Aomine Daiki era davanti a lui e sembrava più scocciato e irritato del solito. Questi, nel vederlo, si limitò ad alzare un sopracciglio e aprire leggermente la bocca. Probabilmente non si aspettava di vederlo in ospedale così presto – e nemmeno così in ansia – perciò si limitò ad un rapido cenno del capo come saluto.
 « Atsushi! Lui dove – » cominciò Himuro visibilmente preoccupato.
« Sta bene » tagliò corto Aomine, digrignando i denti difronte a tanto nervosismo – a suo parere, veramente ridicolo, visto che si stava parlando di Murasakibara. Indicò, con un cenno del capo, il corridoio da cui proveniva e si spostò di lato per permettere all’altro di passare « La stanza è in fondo a destra »
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma Himuro lo aveva già superato e correva velocemente verso il corridoio; si ritrovò così a sbuffare stanco, chiaramente irritato per l’ennesima perdita di tempo. Lui, i fatti, li sapeva già. Murasakibara si era limitato a confermare che la sventola che aveva regalato all’assalitore era per legittima difesa, per poi chiedere con una voce profonda e fastidiosa cosa avesse per essere così nervoso. Così, alla fine, fingendosi il più distaccato possibile, gli aveva raccontato di Kuroko e dell’ultima lieta notizia che aveva avuto di lui. Nulla di più. Aveva preferito glissare sulla sua brillante performance al telefono, che lo aveva portato a sorbirsi un secondo pesante rimprovero di Kise e pessime occhiate di Midorima; e poi, come era venuto, se ne era andato.
Ora, quello che doveva fare, era chiedere la perizia al medico e vedere quanto fossero gravi i danni riportati dal rapinatore e di Murasakibara. Diciamo pure, che provava un po’ di pena per il rapinatore. Un scontro con l'amico, anche senza giocare a basket, poteva portare più danni di un anno di radiazioni. In particolare, questo, era volato per quasi due metri, atterrando su un tavolo di metallo, spaccandosi due costole e un femore. Ridacchiò un poco nel ricordare l’espressione scioccata del rapinatore nel riportare la dinamica dei fatti, descrivendo l’amico come un gigante dalle possenti spalle e una forza erculea, che lo aveva scaraventato via con estrema facilità.
Aomine prese così a scompigliarsi i capelli e, pensando al lavoro, quasi si dimenticò di cosa era stata quella telefonata e del suo orgoglio ferito.
 
I – I – I – I
 
Dire che la telefonata era stata un disastro era dire poco. Kuroko era andato immediatamente sulla difensiva non appena aveva sentito parlare di Kagami e non se ne era più cavato un ragno dal buco. Molto probabilmente se Aomine avesse avuto un poco di tatto in più, si sarebbe riuscito a ottenere qualcosa di più. Era questo che stava pensando Midorima mentre parcheggiava la propria macchina, prima di darsi di nuovo del pettegolo e negare con forza la testa.
La compagnia di Kise gli faceva male, perdeva quel poco autocontrollo che era scampato dalla convivenza con Takao. Il che non era un bene, per un medico non è mai un bene: si perde la facoltà e la cura nel trattare con il paziente, di visitare con calma e anche di riferire esami e assegnare medicine. Dopo quel pranzo e quella fantomatica telefonata, per un attimo, aveva davvero creduto che si stesse sfiorando una crisi isterica collettiva: Kise aveva cominciato a lamentarsi a gran voce dicendo che “non era così che ci si comportava” e che la colpa non era di Kuroko ma di Aomine che “non sapeva fare il poliziotto”; il che, oltre che sapere di paradossale, aveva irritato l’uomo chiamato in causa che aveva preso a sbottare strani commenti senza né capo né coda. Da parte sua, aveva preso anche lui a dare dello stupido ad Aomine: ma come non capirlo? Pur non avendo mai avuto un legame così intimo con Kuroko, riusciva ad intuire la rabbia e frustrazione di Aomine nel vedersi improvvisamente “cacciato via”.
Midorima girò la chiave nella serratura ed entrò nel proprio appartamento. Appoggiò il proprio ombrello nell'apposito contenitore e provò a massaggiarsi la testa; quella giornata non era andata minimamente come era stata programmata e ora si ritrovava con un pesante mal di testa che non gli permetteva di ragionare razionalmente. Si stupì nel notare un paio di scarpe lasciate sull’uscio furono la conferma. Midorima alzò velocemente un sopracciglio e poi lo riabbassò nell’udire strani rumori provenienti dalla cucina.
« Oh, Shin-chan! Sei tornato presto oggi! » esclamò una voce a lui ben nota. Non ci volle molto prima che Takao si sporgesse leggermente dalla cucina e dedicasse all’altro uomo un sorriso entusiasta. La sua frangetta era stata legata sopra la testa, donandogli un ché di ridicolo – e, in qualche modo, anche di divertente – agli occhi di Midorima.
« Cosa ci fai a casa? Non dovresti essere al giornale a consegnare le tue foto? »
« Già fatto, Shin-chan. È stata una cosa veloce! » rivelò con sorriso sulle labbra l’altro, per poi mostrargli con falsa solennità un ananas che troneggiava sul tavolo della cucina. Midorima alzò lievemente un sopracciglio e si domandò il perché Takao lo agitasse a destra e manca quasi fosse un trofeo ottenuto in guerra; scosse lievemente la testa e riprese ad osservarlo « Così, visto che ho finito prima, ho pensato di passare da Kimura e prendere qualcosa! E lui mi ha regalato un ananas! »
« … Perché un ananas? »
« In onore dei vecchi tempi, Shin-chan! » sorrise di nuovo l’altro continuando ad agitare quello strano frutto con una certa felicità. Midorima, questa volta, non lasciò trattenere il suo disagio: aggrottò le sopracciglia e lanciò un’occhiata leggermente disturbata a Takao, cercando di far capire quanto fosse difficile per lui parlare del passato a cuor leggero.
L'estate dell’ultimo anno di liceo si era consumata lentamente, senza che nessuno dei due rivelasse i propri sentimenti nei confronti dell’altro. Si erano visti un paio di volte, più per richiesta di Takao che per altro, e non avevano fatto altro che parlare dell’università e dei progetti per il futuro. Era stato proprio durante uno di quei giorni che l’altro ragazzo si era dichiarato. Non era stato qualcosa di particolarmente trionfale o romantica, semplicemente aveva sorriso un poco imbarazzato e aveva dichiarato quel profondo affetto che lo aveva legato al tiratore. Era stata una cosa abbastanza intima, detta davanti ad un caffè in un locale di periferia. Ma Midorima non l’aveva comunque presa bene. Si era alzato in piedi e, tempo di mettere in ordine le proprie cose, era scappato. Non ricordava il volto di Takao durante quel giorno; forse era una maschera di dolore o forse aveva celato fino all’ultimo quei sentimenti che lo stavano lentamente corrodendo.
Da lì in poi, era stato facile perdersi. Non aveva risposto più alle sue telefonate o alle sue email, si era buttato a capofitto negli studi di medicina e aveva conseguito con successo i propri progetti. Il basket era sempre più diventato un ricordo – qualcosa legato al passato e a Takao. E forse, chissà, se non si fosse confrontato con Kuroko non avrebbe più rivisto né l’uno né l’altro.
Gli era stato dato del codardo quel giorno.
L’ombra lo aveva guardato dritto negli occhi e gli aveva detto che non era questo il comportamento che un adulto doveva adottare. Che non era giusto. Per lui. Per Takao. E per tutte quello che avevano passato assieme. In quel momento aveva pensato che Kuroko lo avesse detto per invidia, perché ciò che amava era lontano e forse non sarebbe più lontano. E gli aveva dato dell’irrazionale e irresponsabile. Ma l’ombra aveva insistito. Aveva detto che doveva tentare di chiarire.
E poi un giorno, quando Kuroko era già lontano (sperduto nel freddo Hokkaido), aveva afferrato il telefono e semplicemente ci aveva parlato. Si aspettava un freddo rifiuto e, invece, Takao era stato gentile. Gli aveva chiesto come stava e se aveva trovato lavoro. Lui aveva risposto e domandato a sua volta come stesse. Sembrava una conversazione fra vecchi amici e Midorima, per un attimo, aveva creduto che lo fosse. Che non fosse cambiato nulla e che Takao continuasse a ritenerlo un semplice amico. Ma poi avevano cominciato a sentirsi più spesso. Giorno dopo giorno. Si chiamavano a pranzo, durante le pause e parlavano sempre di più. Midorima non era mai stato un gran conversatore, preferiva tenersi ogni cosa per sé; ma in breve tempo scoprì di voler rendere partecipe Takao di tutto quello avvenuto in quei anni. E, a sua volta, si sentì curioso di sapere cosa avesse fatto l’altro.
Era un fotografo. Lavorava per una rivista scientifica ed era solito viaggiare molto e fotografare quanto più raro e unico che ci fosse. Lo pagavano molto e lui era felice. Midorima aveva così finito per ascoltare i vari racconti dell’altro, perdendosi nelle accurate descrizioni di monti tibetani e delle acque oceaniche; credeva che tutto fosse tornato come prima, ma poi Takao lo aveva sorpreso ancora.
Si stava parlando della barriera corallina e l’uomo se ne era uscito con un commento a dir poco imbarazzante: “Nessun paesaggio sarà mai paragonabile alle colline e le pianure che ho visto sul tuo corpo” aveva sussurrato al telefono. Probabilmente stava sorridendo, o come minimo sghignazzando; ma Midorima, contrariamente a quello che avrebbe fatto pochi anni addietro, non riattaccò la conversazione. Rimase ad ascoltarlo.
Quello fu l’inizio del loro amore.
« A proposito, Shin-chan, ha telefonato quel tuo amico spaventoso! Akashi Seijuro. Te lo ricordi, no? » interruppe i suoi pensieri Takao affacciandosi nella camera da letto con espressione incuriosita sul volto; probabilmente in attesa di qualche spiegazione o possibile reazione da parte dell’altro « Ha detto che devi richiamarlo »
Non che credesse di poterla fare franca, Midorima. Non si poteva con Kuroko, figuriamoci con Akashi. Si ritrovò così a sospirare mentre toglieva la giacca di lavoro e l’appendeva con cura nel proprio armadio, mentre cominciava ad elaborare un possibile discorso da rifilare all’amico. Nulla sfuggiva Akashi – soprattutto se si parlava di qualcosa che riguardasse la Generazione di Miracoli e, in particolare, Kuroko.
« Devo essere geloso, Shin-chan? » domandò allora Takao entrando nella stanza con un sorriso divertito in volto, suscitando immediatamente l’irritazione di Midorima. Non che fosse una novità, per carità!, l’uomo lo prendeva spesso in giro per quella sua amicizia: sosteneva che avesse una specie di infatuazione nei suoi confronti. “Il fascino del potere” diceva con fare divertito, sperando sempre di di riuscire a punzecchiarlo a dovere.
« Non intendo rispondere ad una domanda così stupida » rispose acidamente l’altro continuando a sistemare la propria roba dentro gli appositi cassetti e contenitori.
« Shin-chan, è successo qualcosa? » La voce di Takao gli apparve improvvisamente seria, tanto che fu costretto a voltarsi di nuovo verso di lui. Lo scoprì, così, più vicino di quel che si aspettava: non sorrideva più ed aveva preso ad osservarlo con attenzione, alla ricerca di qualche possibile cambiamento a lui visibile. « Sembri parecchio turbato »
« Non è cosa che ti riguarda » berciò di nuovo, chiudendo gli occhi e tornando a sistemare il propri effetti personali.
Lo sguardo che gli rivolse Takao fu tutto fuorché cordiale. Sembrò quasi prenderla sul personale visto che, scuotendo leggermente le spalle, lasciò che il proprio sorriso sfumasse fino a diventare un lieve piegarsi di labbra.
« Come vuoi » mormorò rassegnato tornando in cucina.
 
Takao continuava a leggere il proprio opuscolo in religioso silenzio. Era chiaramente offeso, ma Midorima non valutò nemmeno per un secondo l’idea di chiedergli scusa per avergli risposto male.
Col passare degli anni Takao era leggermente cambiato. Si era fatto più serio e maturo. Guardava il mondo con occhi diversi, seppur mostrasse sempre lo stesso sorriso luminoso, e sempre più raramente si lasciava andare alla risata. Si intuiva la rivoluzione che si era appena compiuta dentro di sé, ma non si capiva cosa l’avesse generata. Forse lo si doveva alla scelta lavorativa intrapresa o, magari, al recente lutto familiare che sembrava averlo colpito profondamente. Fatto sta che la loro relazione si stava leggermente modificando, prendendo sempre di più una piega matura e adulta; e questo rendeva Midorima sempre più nervoso e scontroso. Probabilmente quest’ultimo non riusciva a spiegarsi un simile cambiamento e, sebbene facesse pressioni su di sé per accertarlo, finiva per allontanarlo e chiudersi ancora di più dentro di sé.
Takao vedeva ogni cosa – ogni luce, ogni ombra – ma, contrariamente a come era al liceo, era disposto a giudicare e far valere la sua opinione. Era un fotografo: doveva valutare se uno scatto fosse meritevole o meno; e, qualora non lo fosse, insinuarsi di nuovo nella vita e coglierne l’essenza.
« Kuroko si sposa » rivelò finalmente sedendosi accanto con la massima discrezione ed educazione. Non voleva sembrare avventato e nemmeno mostrarsi pentito per quello che era successo. in fondo, erano affari suoi, no?
« E non ti ha invitato? »
« A quanto pare »
« Questa cosa ti turba?»
A quest’ultima domanda, Midorima lo fulminò con lo sguardo e valutò l’idea di soffocarlo con uno dei cuscini posti sul divano; non fece caso al sorriso provocatorio dell’altro, dettato probabilmente da quell’imbarazzo che vedeva scorgere sempre di più su quelle guance. Midorima non era cambiato col tempo, aveva mantenuto la stessa discrezione compostezza che pian piano lo aveva conquistato; Takao si riteneva fortunato, questo lo spinse a chiudere la rivista e volarsi meglio verso l’altro.
« Takao, ti proibisco di farmi queste domande da psicologo squattrinato » gli ordinò con voce fredda il medico, sperando vivamente che quel sorriso irriverente scomparisse dal volto dell’altro.
« Shin-chan, non essere così cattivo! » rise divertito Takao, avvicinandosi un pochino alla sua figura. Sembrava essersi improvvisamente rasserenato e questo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, lo fece sentire un poco meglio « È normale fare una domanda simile, non c’entra niente la psicologia! »
« Non lo credo affatto » negò di nuovo con la testa Midorima lanciando veloci occhiate prima alla rivista e poi al televisore che continuava a rimanere spento. Di solito, quando veniva la sera e si ritrovavano entrambi a casa, finivano per seguire qualche strano programma o film; Takao lo coinvolgeva in strani commenti e scommesse, rideva divertito alle battute e cercava di sentire il suo parere. Era un buon modo per passare la serata e, sotto sotto, Midorima cominciava a ritenere necessaria la presenza di Takao accanto alla sua; probabilmente, se non ci fosse stato lui, non avrebbe mai saputo apprezzare un certo oggetto o momento se non l’avesse vissuto assieme all’altro.
« E allora ? » lo distrasse di nuovo l’altro, portandolo di nuovo sull’argomento che aveva finalmente deciso di affrontare. Midorima si voltò verso il proprio compagno, il quale continuava a sorridergli – questa volta più dolcemente, quasi fosse intenerito da quel sottile imbarazzo che cercava di nascondere. « Che farai? »
« Gli invierò un po' di soldi via posta » rispose incolore l’altro rifiutandosi di mantenere lo sguardo. Alla fine era la cosa migliore da fare, pensava. Se Kuroko non li voleva al matrimonio, tanto meglio – lui avrebbe fatto la persona educata, avrebbe mandato dei fiori e con questo ne sarebbe uscito vincente. La discrezione lo avrebbe tolto da questa situazione sgradevole e, magari, Takao gliel’avrebbe anche appoggiata.
« Un po' di soldi? Via posta? Che cosa triste! » obbiettò Takao aggrottando le sopracciglia e dondolandosi un pochino sui lati, con chiaro intento provocatorio; convinto che, presto o tardi, la cosa avrebbe preso la direzione da lui sperata. Midorima era quel tipo di persona che si riusciva facilmente a circuire – e, la maggior parte delle volte, nemmeno se ne rendeva conto. Takao si sistemò indietro i propri capelli, liberi da quel laccio che aveva usato quando era intento a cucinare, e gli sorrise con maggiore intensità. « Shin-chan sei davvero un tipo noioso! »
« Essere noiosi non c’entra »
« Sì che c'entra! »
« No, invece. Non vuol dire nulla. »
« Shin-chan! »
« Takao, per favore » lo riprese di nuovo Midorima, volgendo lo sguardo di nuovo verso di lui intriso di rabbia e rancore per tutte quelle scemenze che si stava ritrovando ad ascoltare « Non è una cosa su cui scherzare. Sii serio. »
« La stai prendendo sul personale »
« Non la sto prendendo sul personale! »
« Devo un favore a Kuroko. Ha fatto molto per noi – soprattutto, per te. È grazie a lui se ho potuto rivederti! » rivelò con un sorriso genuino Takao, stendendo le gambe e lasciando che il proprio sguardo vagasse sul soffitto bianco dell’appartamento. Se avesse guardato Midorima probabilmente lo avrebbe scoperto scosso, quasi intimorito dal toccare un simile argomento; si rendeva perfettamente conto dell’imbarazzo dell’altro, tuttavia credeva che fosse ora di fare un ulteriore passo in avanti « Credo sia il caso che tu vada a trovarlo, Shin-chan! Il matrimonio è una cosa importante e tu un po’ gli devi la tua presenza! Dopotutto, vi conoscete dalla medie, no? »
Midorima spalancò leggermente gli occhi nel sentirsi dire una cosa simile. Avrebbe voluto dargli dell’idiota e dire che, come al solito, non ragionava mai su quello che gli altri provavano e volevano. Avrebbe anche voluto aggiungere che era stato lo stesso Kuroko a dire che la loro presenza lì non era ritenuta necessaria; tuttavia, gli bastò sentir posare quelle labbra bollenti sulle proprie per lasciarsi di nuovo andare al silenzio e alla pace. Chiuse gli occhi e smise semplicemente di pensare. Si dimenticò del lavoro, di Kuroko e di Akashi. Strinse il corpo di Takao al suo e si lasciò andare.
 
I – I – I – I

 
Kasamatsu sospirò piano e lasciò che il giovane lo stringesse a sé come se fosse un pupazzo, chiudendo un poco gli occhi nell’avvertire il profumo che il corpo di Kise emanava; blaterò qualcosa sul fatto che si stesse comportando come un bambino ma continuò a respirare piano quell’aroma così gradito al suo spirito e al suo corpo.
Aveva intuito che qualcosa era andato storto non appena era entrato in casa. Questa era, incredibilmente e inquietantemente, silenziosa. Non si sentiva né il rumore della televisione né si riusciva a scorgere qualche luce accesa. Ed erano solo le nove di sera. Non aveva trovato Kise né in cucina né nelle altre stanze e, dopo averlo chiamato al cellulare e non aver ottenuto alcuna risposta, aveva deciso di entrare in camera e utilizzare il telefono della casa per sapere dove e con chi fosse. Non che fosse geloso, per carità!, solo che non riusciva a digerire quella carenza di maturità che ogni tanto il proprio compagno mostrava. Ed era stato proprio nel letto che lo aveva trovato: Kise era immerso in uno strano ammasso di coperte invernali che rendevano il letto una specie di campo di battaglia. Si era rannicchiato nel suo lato, formando una specie di scogliera dalla forma circolare, e non si degnò nemmeno di salutarlo quando Kasamatsu pronunciò un sonoro “ehi”.
Probabilmente, in un altro momento, l’uomo avrebbe afferrato le coperte e gliele avrebbe tirate via, dandogli del cretino visto che non faceva così freddo per tutti quegli strati di lenzuola e che ora toccava lavare anche quello. Tuttavia, scoprendolo così silenzioso e remissivo, lasciò che tutta la sua rabbia si dileguasse con un sospiro; si tolse velocemente le scarpe e, ben presto, anche lui si ritrovò immerso in quel fitto nido di coperte colorare.
Non che fosse una novità, per carità!, con gli anni aveva imparato a lasciarsi trascinare dal proprio compagno. Il sorriso che gli dedicava Kise ogni qual volta che gli proponesse di fare qualcosa era più luminoso del sole stesso. In principio Kasamatsu tentava di allontanarlo, cercando di non mostrargli il suo disagio, ma poi finiva sempre col farsi coinvolgere in ogni suo progetto e col desiderare sempre di più di condividere con lui ogni momento della sua vita. Si ritrovava così in pieno centro di Tokyo a Natale o spersi in un’inquietante radura sul far della sera.
« Ne deduco che la telefonata non sia andata bene » aveva esordito questa volta scorgendo il volto dell’altro fra un lenzuolo e l’altro. Il chiamato in causa aveva, difatti, aperto gli occhi e, con rapidi movimenti, si era rifugiato fra le sue braccia come un bambino spaventato dal buio. Kasamatsu lo aveva accolto con dolcezza, quasi rassegnato da quella fragilità che l’altro gli mostrava. Non poteva certo cambiarlo e, in fondo, quel lato di lui gli piaceva. « Kise, non puoi pretendere che ogni cosa vada secondo i tuoi piani e rifugiarti qui dentro qualora qualcosa non vada come previsto ... »
« Ma non va mai nulla secondo i miei piani, senpai! Perché sono così sfortunato? Non è giusto! » si lamentò l’altro, quasi fosse un bambino a cui hanno appena rotto un giocattolo davanti agli occhi – il che, effettivamente, era vero.
« Tutti sono sfortunati. È inutile comportarsi come un bambino in questi casi » obbiettò Kasamatsu passando rapidamente una mano lungo la schiena dell’altro; se Kise ne fosse stato in grado, probabilmente in quel momento avrebbe preso a fare le fusa, beandosi di quelle attenzioni. Il corpo del compagno era dotato di avvolgente calore che, in breve tempo, gli fece perdere ogni possibile sentimento di rabbia e risentimento accumulato durante la giornata. Si strusciò piano contro il suo petto e si riscoprì più sereno, tanto che accennò un rapido sorriso.
La presenza dell’altro accanto a sé lo rassicurava a tal punto da non temere più nulla.
Kise non aveva faticato ad abbandonarsi a quel calore umano. Gli aveva raccontato di quella telefonata, di come Aomine avesse mandato tutto a scatafascio con una semplice frase di troppo, di come Kuroko li aveva semplicemente ritenuti “fuori luogo” e di come tutta la faccenda si fosse conclusa con un “A presto”. Inutile dire che Kise era a dir poco furioso. Non aveva gradito affatto il comportamento dell’amico: se doveva comportarsi così, tanto valeva lasciar fare a lui! Magari la cosa sarebbe andata meglio e lui non avrebbe subito una così brutale “umiliazione”. Perché, sì, Kise cominciava a credere che Aomine avesse preso male la faccenda solo perché non ne era stato messo al corrente e perché Kuroko lo riteneva alla stregua degli altri. E questo era inaccettabile per lui.
« Pensi che possa trattarsi di Kagami? » domandò allora Kasamatsu sistemandosi un po’ meglio nel suo giaciglio. Kise si ritrovò a sorridere difronte a quei movimenti così goffi e, alla stregua di un sacco, si lasciò sistemare.
« No, non è lui. Kurokocchi ha detto che non lo conosciamo! » rivelò con un piccolo sorriso sulle labbra Kise. Non arrivava un granché di ossigeno lì dentro, forse lo si doveva al fitto strato di coperte che li sormontava o al fatto che fossero in due; restava il fatto che aveva scoperto più volto il senpai ansimare nervosamente, e quasi si era commosso nel vederlo intestardirsi per rimanere al suo fianco. Kasamatsu sapeva essere davvero determinato alle volte, ma il tutto era condito da un discreto imbarazzo e compostezza che lo rendeva divertente agli occhi di Kise.
« Forse dovresti lasciarlo in pace » si espresse di nuovo l’uomo, allontanandosi un poco dal corpo dell’altro, quasi a voler riprendere il suo solito comportamento distaccato nei suoi confronti – anche se la cosa non gli riuscì un granché, visto che Kise continuava a trovarsi sul suo petto. « È giusto che percorra la strada che ha scelto. È un uomo, ormai. Come te e me. »
« Lo so, senpai » annuì piano l’altro chiudendo un poco gli occhi e lasciando che il battito cardiaco di Kasamatsu cominciasse a battere con forza nel suo orecchio. Kise scostò piano i suoi biondi capelli ed appoggiò meglio l’orecchio contro lo sterno dell’altro. « Ma io ho paura »
“Ho paura che stia di nuovo male e che non abbia detto niente a nessuno” avrebbe voluto aggiungere, ma preferì tenersi per sé quell’inconscia paura che aveva cominciato a prendere forma nell’anima di Kise durante le medie al Teiko. Non sarebbe stata la prima volta, comunque. Kuroko era solito celare i suoi pensieri e le sue emozioni alla maggior parte delle persone, non per modestia o per senso di superiorità. Semplicemente, amava la propria libertà e la propria autonomia; Kise era convinto che nemmeno durante la sua relazione con Kagami avesse perduto questo suo modo di fare. Si ritrovò a battere più volte le palpebre nel ricordare il volto di Kuroko accanto a quello di Kagami. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che li aveva visti assieme nello stesso luogo? Non poteva credere che fossero davvero passati quattordici anni! Era davvero troppo!
E forse era proprio quel “troppo” che aveva fatto finire tutto.
Kagami si trovava in America, Kuroko in Giappone. Li dividevano dieci ore di fuso orario, 10871 chilometri e la consapevolezza che quel loro amore si stava consumando sempre di più. In quei anni, nonostante lo sforzo di entrambi, non erano riusciti mai a incontrarsi fisicamente; cercavano di organizzarsi, ma poi Kagami fermava tutto dicendo che non poteva venire – perché aveva una partita o una cosa così. Si chiamavano, sì, ma sapevano entrambi che non era lo stesso. Nulla lo era più. Si stava lentamente formando una divisione fra di loro, a livello mentale e anche sentimentale: cominciavano a vedere il mondo in maniera completamente diversa e, probabilmente, neanche la loro relazione era più la stessa da molto tempo. Per questo si erano lasciati – o meglio, così gli aveva raccontato Akashi.
Strano a dirsi ma quest’ultimo sapeva sempre quello che succedeva Kuroko, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Otteneva facilmente ogni informazione che lo riguardava e, soprattutto, riusciva a ricavarle da Kuroko stesso. Kise non sapeva spiegare il perché, ma col passare degli anni, aveva cominciato a vedere il rapporto fra questi due sempre più ambiguo; più volte aveva avuto modo di valutare l’idea di definire tutto come una possibile ossessione di Akashi verso Kuroko. Perché, infondo, era stata l’ombra colui che lo aveva battuto. Era colui che aveva reso l’imperatore un semplice giocatore, non un Dio incontrastato. Ed era probabilmente questo che aveva attirato Akashi verso Kuroko.
« Se penso al fatto che ad ogni mio dolore e debolezza, Kurokocchi sia stato presente e mi abbia infuso coraggio, mentre io non sono riuscito mai a fare nulla per lui … » Kise serrò gli occhi e tornò a stringersi al corpo di Kasamatsu con forza. Ricordare il volto di Kuroko in quel momento gli faceva male al cuore: la sua mente lo collegava a quello che era successo alle medie, focalizzandosi in particolare sulle finale del loro terzo anno, facendolo stare ancora peggio. “Kise-kun, non devi preoccuparti per me” gli aveva detto durante l’ultimo anno di liceo dedicandogli un leggero sorriso, facendolo immediatamente arrossire; “è acqua passata” , aveva aggiunto per poi allontanarsi un po’. Eppure Kise aveva da sempre avuto la certezza che Kuroko non lo avesse ancora perdonato – e magari, chissà, il non invitarli al matrimonio era stato proprio per ripicca. « Anche con Kagamicchi è stato così. Ho saputo quello che era successo quando tutto si era già concluso. Non ho avuto neanche il tempo di parlarne con Kurokocchi che lui se ne stava già andando via … »
« Sei uno stupido! » lo fermò immediatamente Kasamatsu dandogli un veloce colpo sulle testa, quasi a voler farlo rinsavire e far tornare il solito immaturo « Non è certo colpa tua per quello che è successo! Smettila di fare la vittima anche quando non serve! »
« Ma mi sento lo stesso inutile, senpai! » cominciò Ryota con voce bassa. E, magari se non avesse scoperto che i movimenti dell’altro fossero stati controproducenti visto che lo ritrovò ben presto intrappolato in uno strano impacco di coperte, avrebbe aggiunto anche altro. Kise per poco non scoppio a ridere, divertito da quella serie di insulti che cominciarono a venir fuori dalla bocca di Kasamatsu non appena si scoprì catturato; lo vide agitarsi nervoso. Non fu un lavoro particolarmente difficile, ma l’imbarazzo che si generò non appena Kasamatsu vide Kise troneggiare sopra di lui nel tentativo di liberare il suo braccio destro per poco non sfociò in un ennesimo cazzotto contro lo sterno dell’altro. Il pilota si ritrovò a ridacchiare di nuovo, quasi felice di vedere quei due rossi sulle guance del compagno, e quasi avrebbe scherzato un po’ se non avesse sentito la mano dell’altro uomo sulla propria guancia.
Fu Kise ad arrossire questa volta, abbassò immediatamente lo sguardo e si scoprì osservato dallo stesso Kasamatsu. Cosa avesse spinto un simile gesto, non lo sapeva; l’unica cosa che riusciva a percepire era quella mano che continuava ad accarezzargli piano il viso, tracciando i contorni della sua guancia con delicatezza e poi scostandogli piano le ciocche bionde. Kise chiuse un poco gli occhi e si strusciò dolcemente contro la mano dell’altro cercando di godere per quanto possibile di quel calore che emanava. Era raro che il compagno si mostrasse propenso a momenti di simile intimità; di solito, nel sentire Kise così vicino a sé, prendeva ad agitarsi e riempire di pugni il braccio di quest’ultimo, dandogli dell’idiota – facendo immediatamente lagnare l’altro. Non poteva che essere felice della confidenza che, col passare degli anni, il compagno gli stava donando.
Kise era grato a Kasamatsu. Per essergli rimasto accanto. Per averlo sopportato. Per averlo sorretto e incoraggiato. Si sentiva profondamente in debito nei suoi confronti. La sua vicinanza lo faceva stare meglio, si sentiva rassicurato da quel calore umano e da quella stretta che lo avvolgeva ogni volta che ne avesse bisogno. La sicurezza che l’altro gli infondeva non gliela aveva data nessuno; era così sincera e certa che gli faceva dimenticare di tutti quei dolori e pensieri che accumulava durante la giornata.
Si piegò su di esso e gli diede un piccolo bacio sulle labbra.
« Andrà tutto bene, Kise » gli sussurrò l’altro all’orecchio stringendolo con maggiore forza a sé, come se volesse proteggere da tutto quel dolore e insoddisfazione di sé che stava provando in quel momento.
« Lo so, senpai » pigolò debolmente l’altro abbandonandosi totalmente all’uomo.
 
I – I – I – I

 
Doveva essere mezzanotte – o forse anche più tardi, vista lo scarso affluire di macchine per le strade.
Akashi Seijuro era comodamente seduto sulla sua poltrona di ufficio, intento a giocare con i pezzi della scacchiera che era solito tenere nella sua stanza privata. Aveva spento tutte le luci e lasciava che fosse il lampione posto lì vicino a fornire la brillantezza necessaria per quel suo strano gioco a cui si stava dedicando dall’inizio del pomeriggio. Con un movimento secco aveva allontanato i pedoni ed era immerso nello studio della Regina Nera: la teneva fra le mani e ne ammirava le forme, inebriato da quella luce opaca che trasmetteva, lasciando spesso che un sorriso si affacciasse sul suo volto. Nemmeno il suo segretario aveva mai compreso la sua passione per un simile gioco, finendo sempre col tenersi lontano da quella scacchiera che l’uomo era solito tenere al suo fianco. Durante il lavoro, Akashi era solito parlare veramente poco; analizzava i dati in silenzio, studiava i grafici e raramente chiedeva ulteriori chiarimenti riguardo l’andamento delle vendite. Era un uomo dalla concorrenza spietata: riusciva, con poche e giuste mosse, ad eliminare tutti i suoi possibili rivali affacciandosi vincente sul panorama internazionale.
Anche quella giornata lavorativa si era conclusa e lui, come al solito, si era appartato nel suo ufficio per studiare meglio la serie di dati ricevuti. Le vacanze invernali si stavano avvicinando e questo era forse il momento migliore per far fruttare la sua attività: ora più che mai, Akashi stava mostrando tutto il suo talento nel gestire gli affari, divenendo ora più flessibile ora più rigido, nel trattare con i propri fornitori e dipendenti.
In quel momento, però, la sua attenzione era su altro.
Aveva abbandonato i propri documenti in un angolo del tavolo e si stava dedicando all’osservazione, quasi maniacale, di quel tanto desiderato pezzo. La Regina era, forse, il pezzo che più apprezzava; amava quel suo dispiegarsi sulla scacchiera, volando velocemente su un lato e un altro combinando assieme le mosse della torre e dell’alfiere. Ella era rapida e mortale, un po’ come una persona di sua conoscenza. La stessa persona che continuava a non rispondere alle sue telefonate, chiudendosi in un freddo quanto insolente silenzio. Cos’è? Sperava che perdesse la voglia e lo lasciasse stare? Povero illuso. Akashi era un tipo paziente, non soleva abbattersi per un semplice ostacolo – anzi, più intricato era il rompicapo, è più desiderava risolverlo e scoprirsi vincitore.
Un leggero sorrisetto si dipinse delicatamente sulle sue labbra nel riappoggiare la Regina nella propria casa. La sua, di Regina, era scappata di nuovo, rifugiandosi in un’isola fredda e inospitale – sperando magari che anche quel dolore che la stava lentamente logorando si allievasse un po’. Non era particolarmente furba o bella, eppure l’attirava. Si perdeva in quei occhi azzurri e desiderava possederli e renderli suoi per sempre.
« Non vuoi rispondermi, Tetsuya? » chiese retoricamente alzando leggermente la testa, continuando però a tenerla attaccata sul proprio schienale « Molto bene. Prenderò i necessari provvedimenti »
E con questo anche il Re scese in campo.
 
 
~Il Mughetto dice~
E anche il secondo capitolo è andato.
Detto sinceramente non mi aspettavo che questa storia riscuotesse un simile successo! Ben 8 persone hanno lasciato una recensione, 6 hanno inserito la storia nelle preferite, 1 nelle ricordate e 19 nelle seguite … ve ne sono molto grata, grazie a tutti.
Spero che anche questo capitolo ottenga di nuovo il vostro consenso e vi invito ad esprimere o a continuare ad esprimere il vostro parere tramite una recensione. Come ho detto in precedenza, la continuazione si basa sul consenso dei lettori; perciò, se avete tempo e spazio, non dimenticatevi di lasciare un commento.
Passando alla storia, terrei a specificare che sia Murasakibara che Himuro si trovano a Tokyo – non più ad Akita, dove hanno frequentato le superiori; probabilmente la scelta di un simile spostamento lo si deve all’attività di Himuro che è diventato uno psicologo e un po’ perché mi piaceva scrivere di loro senza dovermi “muovere” qua e là per il Giappone. Spostare Kuroko in Hokkaido è stato, quindi, veramente duro. Doversi informarsi sul clima, stili di vita e caratteri generali che sono tutt’ora in corso in quest’isola è stato a dir poco stressante.
Quest’isola, infatti, segue una strada del tutto a parte rispetto al Giappone. È considerata quella meno sviluppata, caratterizzata da un clima rigidissimo e una natura che prospera; si vive soprattutto di allevamento e di agricoltura, le estati durano poco e gli inverni secchi. Ho pensato fosse il luogo perfetto in cui Kuroko potesse abitare e così l’ho spostato lì – sta bene, tranquilli. Continuando, mi è piaciuto molto scrivere di Murasakibara e del suo lavoro. Mi piace molto come personaggio e mi risulta facile muoverlo visto che abbia una personalità simile e lo stesso problema con i dolci. Se fossi portata in cucina, anch’io opterei per la pasticceria - e per Himuro. Mi sono divertita molto a scrivere di lui immerso in un universo femminile, vezzeggiato e coccolato come un bambino; se non fosse stato per il rapinatore, probabilmente nessuno si sarebbe preso la briga di avvisarlo – quindi, in fondo, è stato un bene trovarsi il braccio aperto in due.
Anche Akashi è sceso in campo. Lui è leggermente più “aggressivo” rispetto ad altri, ma questo motiva il perché abbia inserito come coppia l’AkaKuro. Mi piace molto come coppia, la ritengo una delle mie preferite e spero di esserla riuscita a rendere al meglio. Non vedo Akashi come un folle psicopatico, tuttavia credo che al momento fosse abbastanza irritato; mi sembra un tipetto abbastanza dispotico che, nel vedersi allontanato, è capace di tirare fuori il peggio di sé. Comincio però col dire che non farà fuori nessuno. È un bravo ragazzo, in fondo. Un po’ solo un po’ triste. Ha bisogno di amore e crede che Kuroko sappia darglielo – e, tanto per cambiare, lo credo anch’io.
Per quanto riguarda Kise, invece, posso dire che mi piace molto scrivere di lui; tuttavia, volendo essere sincera, credo che l’avviso OOC sia soprattutto per lui. Forse il Kise di cui scrivo è fin troppo emotivo e instabile rispetto all’originale. è un uomo che si preoccupa, che si lascia facilmente andare alle emozioni e che è felice della sua “allegra vita matrimoniale”. Il suo rapporto con Kasamatsu si è sviluppato durante gli anni, facendosi sempre più intimo e quotidiano; con lui, più di tutti, Kise riesce a mantenere quel lato allegro e spensierato. Probabilmente si sente al sicuro e mai giudicato.
Concludendo, grazie per aver letto questo capitolo. E lasciate una recensione.
 
PS:
Non ho idea di chi sia quella personcina che ha chiesto di me sulla pagina facebook “L’arcinota gazzarra di Aomine” (che tra l’altro ringrazio *saluta con la manina* ). Sappia solo che io ho perso trent’anni di vita nel vedere il mio nome lì. Per favore, non lo faccia più. Credo che aggiornerò sempre a fine mese quindi, non ha di ché preoccuparsi.

PS: (2)
Grazie a Milady Ophelia per avermi betato il capitolo. Se non fosse stato per lei, la storia sarebbe stata ancora più sconclusionata del solito.

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Capitolo 3
*** Step Three: La Questione delle Bomboniere ***


Kuroko osserva distrattamente le previsioni meteo alla televisione – il fatto che continuerà a piovere per il resto della settimana non lo colpisce affatto, è troppo preso dal digitare correttamente il numero telefonico di Kagami. Si è svegliato così presto quella mattina proprio per chiamarlo. Sa quanto sia faticoso, per lui, rispondergli quando decide di chiamarlo la sera: da loro, se non sbaglia, dovrebbero essere le quattro o le tre. Appoggia l’apparecchio telefonico all’orecchio ed aspetta che l’altro risponda.
Vuole parlare un po’ con lui, ormai è una settimana che non si sentono!
Col susseguirsi dei giorni, si è convinto che è stata colpa sua se hanno litigato. Non era stato in grado di comprendere la stanchezza di Kagami e la sua preoccupazione per il campionato e, accecato dai suoi desideri, aveva subito cominciato a parlare di quando si sarebbero potuti rivedere. Si era comportato da egoista. Non avrebbe dovuto nemmeno prendersela per la risposta, affatto tenera, che l’altro gli ha dato. Kagami voleva semplicemente riposare, l’avrebbe richiamato poi; non avrebbe dovuto insistere così tanto. Ora, infatti, Kuroko sta cominciando a credere che l’altro se la sia presa: Non risponde più ai suoi messaggi e alle sue email. Forse dovrebbe chiedergli scusa più apertamente, ma il suo orgoglio glielo impedisce. Infondo, non gli ha detto nulla di male. Tuttavia, vuole comunque seguire il consiglio di Mayuzumi e fare un passo indietro per permettere all’altro di rivelargli cosa c’è che non va. è convinto che Kagami non stia passando un buon momento: forse sta avendo dei problemi sul lavoro, forse qualcuno lo ha preso di mira per la sua nazionalità. Kuroko non lo sa. E si preoccupa.
Il telefono continua a squillare - invano.
Nella sua mente si susseguono varie ipotesi su cosa Kagami stia facendo in quel momento: sono immagini veloci che, per un attimo, lo mandano in confusione. Una parte di lui vorrebbe chiudere la chiamata e dirigersi immediatamente nel bagno per finire di prepararsi per il lavoro, l’altra lo supplica di aspettare un altro po’. Forse non sta sentendo la chiamata, forse ha perso il telefono, forse sta semplicemente dormendo.
« … da lei chiamato non è al momento raggiungibile … »
Kuroko sbatte un paio di volte le palpebre, osservando sconfitto il muro davanti a lui. non risponderà. Ora lo sa. Non sa spiegarsi da dove nasce una simile certezza e quasi vorrebbe contraddirsi, adducendo la mancata risposta ad una moltitudine di fattori; tuttavia si scopre presto senza parole e speranze.
« … richiamare più tardi … »
Lascia che un sospiro fuoriesca lentamente dalle proprie labbra. Sente un’incredibile stretta al cuore che, per un attimo, lo convince a smettere di respirare. Cosa poter anche solo pensare in un simile momento? Kuroko si sente improvvisamente svuotato di ogni voglia e speranza; nella sua testa scorrono velocemente gli ultimi momenti passati insieme al liceo. Si sente improvvisamente un’idiota e rimprovera sé stesso per averlo lasciato andare con così tanta facilità.
« … lasciare un messaggio … » No. Lui non lascerà alcun messaggio. Non lo pregherà di rispondergli, di fornirgli una spiegazione a quell’addio così prematuro o magari una giustificazione. Non gli dirà nulla, passerà oltre. Perché, probabilmente, è questo, quello che sta facendo Kagami ora. Lo sta dimenticando. « BIP! »
Kuroko respira lentamente e cerca di farsi forza.
Non piangerà - non questa volta. Ha già versato troppe lacrime per lui. Per la sua partenza. Per ogni sua mancanza.
Si sente improvvisamente uno stupido e si ritrova a ragionare su quanto tempo abbia speso ad aspettare il suo ritorno, su quanta fiducia gli abbia dato, su quanta pazienza ha bruciato per abbonargli tutte quelle assenze. La rabbia percorre velocemente il suo corpo, gli fa stringere con forza un pugno e quasi vorrebbe scatenarsi. Gli vien voglia di urlare tutto il suo dolore e rompere qualcosa – qualunque cosa. E invece resta in silenzio, immobile davanti al televisore che ora sta mandando la pubblicità, incapace di piangere e di provare odio per la persona che ha amato con tutto sé stesso. È finito tutto, ora lo sa.
«  Kagami-kun … » lo chiama un’ultima volta, osservando il proprio telefono ancora fra le mani. Non spera più che qualcosa possa cambiare e quasi vorrebbe cercare dentro di sé la forza necessaria per alzarsi. Non ce la fa – non riesce a muovere un solo muscolo senza sentire i propri occhi pungere. Tira su col naso, ma preso scopre inutili tutti i suoi tentativi di contenersi.
Maledice Kagami. Maledice l’America e il suo basket che lo hanno portato via. Maledice sé stesso.
E piange. Piange con tutto sé stesso, abbandonandosi sul tavolo che ancora ospita la sua colazione.


Non ha mai provato un piacere simile.
Stringe il lenzuolo sotto il suo corpo, cercando di trattenere i gemiti più forti che stanno sempre più sfuggendo al suo controllo. È restio a lasciarsi trascinare in quella voragine di sensazioni, contrastanti eppure incredibilmente intense, che stanno lentamente infiammando il suo viso – rendendolo una maschera rossastra, imbarazzata ed eccitata. Tenta di mantenere la sua mente quanto più lucida possibile, tuttavia una spinta più forte lo fa contrarre dal piacere.
Quella stanza, semi immersa nell’oscurità, sembra improvvisamente scomparire ai suoi occhi; il tocco approfondito ed esperto del suo compagno lo porta facilmente all’estasi, annullando ogni suo pensiero razionale o tentativo di parola.
« Non cercare di resistere, Tetsuya. Lasciati andare » sussurra la voce del giovane uomo, rafforzando la presa ai suoi fianchi che serve ad approfondire ancora di più il contatto fra i due corpi. Egli si china sul corpo di Kuroko, sfiorando con i propri capelli rossi la sua schiena perlacea; questi trema leggermente e torna a serrare con forza le labbra. Questi apre la bocca e prende a boccheggiare, nel disperato tentativo di prendere un po’ d’aria per i suoi polmoni, facendolo ridacchiare leggermente. Un’altra serie di spinte, lo porta a cedere e crollare sul letto stremato, continuando a tenere alzato il bacino.
« A-Akashi-kun … Ti prego … Io non … non … » geme impaziente, serrando i propri occhi in preda a quel piacere sempre più intenso e inebriante. Allarga maggiormente le gambe, cercando di facilitargli ancora di più quei movimenti; l’altro ne sembra entusiasta ed aumenta la velocità delle spinte dentro quel corpo così magro e stretto.
« Tu cosa, Tetsuya? » sussurra al suo orecchio con veemenza, baciandogli il collo con incredibile dolcezza, assaporando ogni suo gemito quasi fosse proprio. Gli scosta dal volto le ciocche di capelli, accarezzando le sue guance ancora bagnate di lacrime dovute alla penetrazione. « Non ti piace, forse? »
Kuroko chiude gli occhi di nuovo, ora improvvisamente più stanco Il suo corpo continua a reagire ai numerosi stimoli, lascia che la sua bocca produca tutti i suoni che ritiene servano a risvegliare il piacere anche del compagno; le spinte si fanno sempre più veloci e profonde, il suo corpo sembra bruciare sotto le mani di Akashi. Eppure, nonostante tutto, il dolore all’altezza del cuore che prova da ormai due mesi non è ancora scomparsi – anzi, sembra farsi ancora più intenso man mano che il tempo passa. La sua anima sta marcendo, ora ne è certo.
E non sarà certo l’amore di Akashi a poterla tornare al vigore passato.
 
 
Sei il mistero profondo, la Passione e l’Idea.
Sei l’immensa paura che tu non sia mia.
 

3.

Di solito, Kise, non sognava.
Tornava dal proprio lavoro così stanco e affaticato che finiva coll’assopirsi non appena toccava il letto. Non c’era mai stata alcuna attività notturna del suo cervello che avesse avuto al forza e la voglia di ricordare. Perfino Kasamatsu si sorprendeva della cosa, anche se preferiva non dare giudizi di valori in merito: a suo dire, Kise lavorava troppo e quei giri intorno al mondo stavano lentamente spappolando quel poco che aveva di cervello. Quella notte, però, fu diverso. Probabilmente lo si doveva a quello che era successo durante quella giornata: la telefonata a Kuroko, la sua lite con Aomine e le guance arrossate di Kasamatsu e la sua voce che lo chiamava per nome. Si può dire che si ebbe un mix fra piacere e dolore, causando una miscela letale che prese a torture il subconscio del povero pilota.
Quel sogno, nel bene o nel male, Kise lo avrebbe ricordato per tutta la vita.
In un primo momento non si rese conto di quello che stava accadendo, sembrava quasi fosse immerso in una luce accecante che gli impediva di distinguere forme e corpi. Si passò una mano fra i capelli e prese a guardarsi attorno confuso. Dove era finito? Che fine aveva il senpai? Ricordava il suo pallido corpo e le sue guance arrossate così distintamente che, probabilmente, avrebbe anche cominciato a chiamarlo se non avesse sentito una voce chiamarlo proprio dietro alle sue spalle.
« Kise-kun »
Kuroko. Quello era Kuroko.
Kise aveva riconosciuto immediatamente quella voce e voltandosi aveva ritrovato immediatamente quei suoi capelli turchesi e quel viso gentile. Non passò molto tempo prima di scoprire qualcosa di strano in lui: era basso, incredibilmente basso. Molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Se si fosse avvicinato ancora di più avrebbe potuto constatare, senza difficoltà, quanto fosse magro ed agile – praticamente la sua metà. Sembrava un bambino. E, forse lo era. Kise strabuzzava gli occhi nel notare quel taglio corto di capelli che mostrava orgoglioso i lineamenti gentili del viso dell’altro, così incredibilmente leggeri e delicati.
Quello non poteva essere un adulto, ora lo sapeva.
« Kise-kun » lo chiamava lentamente Kuroko con espressione seria in volto, eppure incredibilmente serena. Kise sentiva il respiro fermarsi nella sua gola non appena lo vide fare un passo in sua direzione, quasi per assicurarsi che stesse bene. « Quanto tempo è passato, Kise-kun. Eppure sei rimasto lo stesso di quei giorni ». Kise batteva più volte le ciglia cercando di capire cosa stesse effettivamente dicendo. Quella luce gli impediva di comprendere perfino le parole che l’altro gli pronunciava; si portò un mano sulla fronte e cercò di superare quel fitto strato di raggi che non gli permetteva di scorgere meglio il volto di Kuroko. Lentamente, però, il paesaggio parve prendere forma e lui si ritrovò in una struttura adibita per il basket. Era al Teiko? Probabilmente sì. Riconosceva il campo da basket, lo striscione posto sugli spalti e perfino le panchine su cui erano appoggiate bottiglie d’acqua ed asciugamani. Ora poteva vedere chiaramente il volto dell’altro. Quei grandissimi occhi azzurri che sembravano contenere il riflesso perfetto del mondo dentro di essi, quella pelle color perla così morbida e liscia, quelle labbra rosate piccole e delicate. Quello che aveva difronte agli occhi altri non era che Kuroko Tetsuya a tredici anni.
Kise non riusciva a trattenere il proprio sorriso difronte ad un simile spettacolo.
« Anche tu, Kurokocchi » sussurrò finalmente facendo un passo verso di lui, quasi a voler confermare la sua reale presenza al suo fianco. Gli sembrava così strano e assurdo trovarsi lì con lui, tuttavia non riusciva a non trovarlo piacevole. Quel volto gli ricordava uno dei periodi più felici della sua vita: la scoperta del basket, la squadra, il campionato, Aomine. Quel pensiero sembrò colpirlo come un dardo, costringendolo ad aprire la bocca quasi a voler dire qualcosa. « Io invece mi sento diverso, Kise-kun. » rivelava improvvisamente Kuroko portandosi una mano al petto con improvvisa teatralità; facendo immediatamente voltare l’altro verso di lui, curioso di sapere cosa mai avesse per essere così diretto. « Mi sento così sporco. Così lurido. Così marcio. Tu non ti senti così? »Lui lo aveva chiamato non capente, inclinando la testa di lato, e gli si era avvicinato di qualche passo per capire cosa gli stesse succedendo; lo vedeva continuare ad aggiustarsi quei suoi polsini, preso da chissà quali ragionamenti.  
« Non avremmo mai dovuto incontrarci » continuava Kuroko voltandogli le spalle, quasi improvvisamente fosse disgustato dalla sua vista, facendogli immediatamente chinare la testa di lato non capente. Lo vide stringersi le spalle, infreddolito, e infine toccare di nuovo quei polsini che sembravano stargli tanto a cuore. « È solo colpa vostra se mi sento così male. Se mi sento così morto. Lasciatemi andare via. Non fatemi morire così ». Il volto di Kise si era quindi contratto in espressione spaventata e nervosa. Non riusciva a capire di cosa stesse aspettando accadendo e perché il viso dell’amico improvvisamente gli venisse negato in quella maniera; cos’era? Era arrabbiato? Ma per quale motivo? Fece un passo nella sua direzione, nel tentativo di fermarlo, ma lo scoprì incredibilmente lontano; non ebbe il coraggio di chiedersi come avesse fatto a muoversi così velocemente. Quell’atmosfera gli aveva ricordato molto quella di un film dell’orrore e lo stesso viso giovane di Kuroko lo faceva dubitare della veridicità di quella conversazione.
« Kurokocchi, aspetta! Non andare! Ti prego, non andare! » urlò cercando di afferrare le sue spalle e tirarlo a sé; ma nonostante i suoi passi si facessero sempre più veloci e affannosi, Kuroko continuava a mantenere sempre la stessa distanza. Sembrava quasi far parte dello sfondo della palestra, improvvisamente così scura e tetra. Kise si sentì percorrere da un violento brivido ma cercò comunque di non arrendersi; dentro di sé, era convinto che se l’avesse lasciato andare via in quella maniera non l’avrebbe mai più rivisto. « Ma io non voglio, Kise-kun. Non voglio restare qui con voi » continuava a ripetere l’altro. Kise lo vide portarsi le mani fra i capelli, quasi cercasse di far tacere una voce che continuava a risuonargli per la testa; il suo corpo tremava vistosamente, minacciato da quell’ambiente sportivo che li aveva cullati per tre anni. Sembrava spaventato. Ma da cosa, lui non riusciva proprio a capirlo. Un’atroce dubbio si stava lentamente insinuando nella coscienza del giovane. Kise spalancò gli occhi improvvisamente conscio del sentimento che stava lentamente attanagliando l’animo dell’amico.
« Ti prego, Kurokocchi! Non volevamo! Non volevamo farti del male, era solo uno scherzo! Noi non sapevamo che – » Si sorprese delle sue stesse parole. Per un attimo fu come se non le avesse pronunciate di sua spontanea volontà, ma fossero più un copione a cui doveva adattarsi. L’improvviso contatto di Kuroko lo ridestò da quell’improvvisa consapevolezza che qualcosa non quadrasse in quella “realtà” che si stava trovando a vivere; non riusciva a capire come, ma finalmente era riuscito ad afferrarlo per le spalle e costringerlo a guardarlo. Lo spettacolo che gli si presentava davanti era orribile. Il volto dell’amico era scavato, segnato da pesanti occhiaie e da grosse lacrime che continuavano a scendere dai suoi occhi cadendo sul pavimento e macchiando i suoi vestiti. Non credeva stesse piangendo: era convinto che si fosse limitato a mantenere quella sua espressione neutra e seria. Lasciò immediatamente la presa, quasi si ritenesse colpevole di aver dato il via ad una simile reazione; lo osservò portarsi le mani sugli occhi, celando gran parte del suo volto agli occhi dell’altro.
« È colpa tua, Kise-kun. Tu hai visto. Tu sapevi. Tu sapevi tutto. E non hai fatto nulla per me. Hai lasciato che accadesse. » cominciò ad accusarlo Kuroko osservandolo con quei occhi terrorizzati. Sembrava trovarsi di fronte ad un mostro dall’aspetto orribile e, da questi, sembrava proprio volersi allontanare. Oramai era chiaro a Kise di cosa stesse parlando l’amico, di cosa lo stesse rimproverando; tuttavia un pesante al cuore gli impediva anche solo di incamerare l’aria nei polmoni. « Cos’hai fatto, Kise-kun? Perché? Perché hai dovuto farlo proprio a me? ». « I-Io non ho fatto nulla! È stato Akashicchi! È stato lui a dire di farlo! » urlò disperato stringendo i pugni, cercando di difendersi da quel viso vinto dalla disperazione che gli riportava alla mente un periodo così poco chiaro e giusto della sua vita. Immagini lontane cominciavano ad affollarsi nella sua mente: partite, volti, parole, sorrisi. Tutto si mescolava nel cervello rendendolo improvvisamente nervoso e spaventato. Non sapeva cosa volesse Kuroko da lui, perché tirasse fuori quell’argomento proprio ora e perché se la stesse prendendo con lui; tuttavia un improvviso senso di colpa prese a stringergli le viscere!
« Non è vero. Sei stato tu. Io lo so. Lo so. Non potresti che essere stato tu a fare una cosa del genere. » sussurrò sofferente Kuroko, si sforzò di sorridergli come se volesse aiutarlo ad ammettere quel crimine che sembrava averlo segnato a vita.
« N-No! N-Non è vero! »
« Kise-kun, tu non ti senti in colpa? Non provi neanche un po’ di ribrezzo per te stesso? »
« Non sono stato io! Non sono stato io! » urlò con maggiore convinzione stingendo i pugni e battendo i piedi a terra quasi fosse un bambino che si ritrova a negare il suo stesso crimine. Kise sentiva le lacrime pungergli sull’orlo delle ciglia, disperate e spaventate, al pari di quelle delle stesso Kuroko che ancora lo osservava. Lo vide chiudere gli occhi, improvvisamente più calmo, e far scorrere le mani sulle guance. Sconfitto. Ebbe improvvisamente un modo di compassione nei suoi confrontò ed appoggiò le sue mani lentamente sulle guance dell’altro, cacciando via le lacrime che ancora scendevano. Improvvisamente il tempo sembrò fermarsi e la palestra del Teiko sparire in quei occhi turchesi dell’amico. « Kurokocchi? Perché? ».
La luce tornò a regnare sovrano in quel misterioso scenario. Si vede costretto ad assottigliare lo sguardo
« Io non riesco a dimenticare, Kise-kun » sussurrò piano Kuroko appoggiando la propria mano, così fredda e piccola, su quella dell’altro. « Non potrò mai »
Il cellulare che stava vibrando sul comodino lo svegliò immediatamente.
Per lui fu come riprendere a respirare da un’apnea. Si portò una mano sul cuore e ascoltò i suoi battiti in silenzio, cercando di capire cosa fosse stato sogno e cosa fosse accaduto dentro di esso. Il suo respiro era veloce, affannato, ed incredibilmente pesante; Kise si sentiva di ritorno da una maratona che gli aveva straziato carne e anima. Cos’era stato? Che fine aveva fatto Kuroko? Stava bene o continuava a piangere così disperatamente?
Il rumore continuo del cellulare sembrò di nuovo portarlo alla realtà: era stato un sogno. Un strano e delirante sogno. Ne seguì un rantolio proveniente dall’altra parte del letto e, successivamente, un’imprecazione. Kasamatsu tuffò con maggiore forza la propria testa dentro il proprio cuscino e si grattò la testa, disturbato da un simile ronzio; la leggera risata che proruppe dalla bocca di Kise lo infastidì ancora di più – non c’erano voluti anni di convivenza per fargli capire quanto odiasse essere svegliato da suoni assordanti e fastidiosi come quelli di una sveglia.
« Non c’è niente da ridere, Kise. È il tuo telefono quello … »
« Lo so, senpai »
La sua mano destra prese a tastare il comodino alla ricerca dell’apparecchio telefonico che continuava a squillare incessantemente. Nonostante i numerosi tentativi, Kise si ritrovò presto a dover abbandonare il calore del letto per riuscire ad individuare la causa di tanto rumore. Gli risultò comunque difficile visto che la camera da letto era ancora avvolta dalle tenebre – il buonsenso aveva spinto Kasamatsu ad abbassare le serrande prima di abbandonarsi al piacere e alla compagnia di Kise, proprio per evitare di essere svegliati dal sole alla prime luci dell’alba.
Quest’ultimo sbadigliò stanco e, sfregandosi gli occhi, si mise a sedere sul proprio letto. Non aveva idea di chi fosse; quasi lo malediceva per aver interrotto il suo sonno. Gli bastò, tuttavia, leggere il numero per riconoscere immediatamente il mittente.
«Pronto? Ah, Akashicchi! Sei davvero tu! Come mai questa chiamata? » Kise si sfregò gli occhi per prendere a dondolarsi da destra e sinistra, non badando alle pessime occhiate che Kasamatsu gli rivolgeva dal fitto strato di coperte. La sua mente non si pose nemmeno il quesito su che ore fossero e se qualcun altro lo avesse cercato prima di allora, parte del suo corpo e cervello ancora erano immersi nella fase rem del sonno. « No, no. Tutto apposto. Non stavo dormendo … Eh? Vuoi andare da Kurokocchi? »
Kise si sistemò meglio sulla sua postazione, toccandosi le ciocche bionde che continuavano a cadergli disordinatamente sul viso. Sentire la voce di Akashi, in quel momento, lo confondeva: la sua mente tornava velocemente al sogno che aveva appena fatto. Il viso arrossato e sofferente di Kuroko, la sua voce che lo accusava di aver rovinato tutto e quelle lacrime che continuavano a rigargli il volto. Immagini veloci e confuse che scorrevano velocemente davanti ai suoi occhi facendolo lentamente cadere in uno stato di catalessi quasi voluto. La domanda improvvisa di Akashi lo fece immediatamente tornare in sé.
« No, non ho programmi per questo fine settimana … sì, il biglietto non è un problema! Posso chiedere ai miei colleghi! » rispose velocemente ai suoi quesiti, dondolando leggermente sulla destra e sulla sinistra quasi fosse un bambino annoiato. In realtà, si stava domandando quale fosse il piano di Akashi e come fosse riuscito ad ottenere l’indirizzo di Kuroko con così tanta facilità, visto che questi si era sempre mostrato reticente a darglielo – una vocina nella sua testa continuava a ripetere che l’aveva ottenuta in modo non propriamente legale. Annuì all’ ennesima informazione sulla loro permanenza in Hokkaido, inclinando il capo sul lato destro. « Sì, ho capito ma … Akashicci, ma può venire anche il senpai? »
« Kise, non cominciare. Non ci voglio avere nulla a che fare con questa storia! » rantolò Kasamatsu fra le coperte, cercando di colpirlo nonostante gran parte della visuale gli fosse celata dalla coperta. La risatina divertita di Kise risuonò nella sua mente, delicata come quella di tanti campanellini, rasserenando immediatamente il suo animo. Questi intanto continuava a conversare col suo amico con incredibile serenità in volto.
«Ah, capisco. » continuò a parlare raddrizzando la propria schiena con l’intento di farla scrocchiare, segnando perciò il risveglio ufficiale; buttò una rapida occhiata verso la finestra e, dopo pochi secondi, si alzò per andare ad alzare la serranda. La luce mattutina si fiondò immediatamente nella stanza svelando il corpo nudo di Kasamatsu che ancora giaceva svogliatamente sul letto e le forme sgualcite dei vestiti lasciati a terra. « No, non fa nulla. Tanto non voleva venire! »
« Aspetta un attimo! Non avrà mica detto che non posso venire, vero? » sbottò scandalizzato l’altro balzando al sedere e guardandolo malissimo come se fosse colpa sua. Kise ridacchiò divertito da una simile reazione e, allontanando il proprio apparecchio telefonico dal suo volto, schioccò un bacio sulla schiena scoperta di Kasamatsu quasi volesse consolarlo da quell’ennesima delusione. Avrebbe voluto stringerlo fra le sue braccia e tuffarsi con lui nelle coperte ancora calde, baciando di nuovo quelle guance morbide e perfettamente lisce; tuttavia la consapevolezza di avere Akashi dall’altro capo del telefono lo convinse a rimandare a dopo quelle coccole mattutine.
 
L’imbarco si era rilevato ben presto un’autentica impresa. Non tanto per Aomine che si era rifiutato di essere perquisito dopo che il metal detector aveva suonato o per Murasakibara che non si decideva a mollare la propria busta di dolci nonostante i divieti, ma per Midorima. Kise non poteva credere a quello che era saltato fuori controllando la valigia del proprio amico – c’era di tutto là dentro: pupazzi di varia forma e grandezza, un servizio di porcellona, un mattarello, un coltellino svizzero (che per poco non li aveva fatto arrestare) e persino un kit di pronto soccorso.
L’addetto al controllo era sull’orlo di una crisi isterica, passava lo sguardo dalla valigia a Midorima con una velocità che rasentava l’impossibile; probabilmente stava cominciando a prestare attenzione a quella vocina nella testa che gli diceva di portare quell’uomo al manicomio più vicino, tanto che Kise si vide costretto ad intervenire e intraprendere un veloce lavoro di adattamento alla valigia per il viaggio. Il coltellino svizzero fu buttato e, sorte simile, ebbe il kit di pronto soccorso – nonostante le iniziali proteste di Midorima che continuava a sostenere che, se mai fosse successo qualcosa sull’aereo, lui non avrebbe potuto fare nulla senza una garza o un disinfestante.
Era stato allora che la Generazione dei Miracoli aveva visto lo sguardo peggiore di Kise.
Questi era chiaramente alterato da una simile scelleratezza. Nonostante non manifestasse apertamente il suo profondo dissenso non faceva che farfugliare sottovoce che lui, di casi disperati ne aveva visti, ma questa era la prima che vedeva qualcuno portarsi appresso un intero set di porcellana. Midorima gli lanciava occhiate non capenti, stringendo a sé la propria valigia: il tono serio dell’amico non lo rassicurava per niente.
Terminato il check-in, trovato il gate e controllato l’orario di partenza, si erano trovati seduti su delle comode poltroncine. Il silenzio prolungato di Kise spinse Midorima a sedersi quanto più lontano possibile da lui, sperando che questo riuscisse a farlo sbollire quanto bastava per fargli tornare il sorriso. Fra lui e il pilota vi erano, rispettivamente, Murasakibara, Akashi e Aomine; quest’ultimo non faceva che lamentarsi su quanto non gli piacessero gli aerei e l’idea di volare ad alta quota. A suo dire era preferibile usare il treno e, successivamente il traghetto, non sperperare così tanti soldi in un simile viaggio. Se qualche passante si fosse soffermato a fissarli avrebbe notato partendo, da sinistra: un uomo sulla trentina che teneva fra le sue mani la sua valigia ( come se all’interno vi fosse il tesoro più prezioso ), un gigante di due metri che continuava a toccarsi le fasciature al proprio braccio, un rispettabile individuo dai capelli rossi che sedeva composto con una gamba sopra l’altro, un altro accanto che aveva allungato le gambe e infilato le mani in tasta e, infine, un biondo che continuava a guardarsi attorno pensieroso.
« Ma cosa ci facevano tutti questi pupazzi nella tua valigia, Mido-chin? » domandò improvvisamente Murasakibara voltandosi verso l’amico, mentre continuava a masticare una strana caramella dagli inquietanti colori.
« Non ce li ho messi io » sbottò immediatamente il medico, distogliendo lo sguardo e chiudendo immediatamente il telefono sul quale stava digitando – con tutte le probabilità stava avvisando il proprio compagno che avevano terminato l’imbarco. Era chiaro che stesse mentendo; tuttavia l’altro preferì non aggiungere qualche altro commento: un po’ per pigrizia e un po’ perché non voleva nemmeno immaginare come avrebbe reagito Kise al riguardo. « È stato sicuramente Takao. »
« Midorima, questa è la più grande cazzata che ti ho mai sentito dire » aveva allora commentato Aomine guardandolo sprezzante per poi passare la sa attenzione sul soffitto grigiastro dell’aeroporto. « Ma come si fa a portarsi appresso un set di ceramica? Seriamente, Midorima! Io, dopo un po’, lo manderò a quel paese quello stramaledetto oroscopo! »
« Non pretendo che tu possa capire, ma preferirei comunque che non esponessi i tuoi giudizi al riguardo » protestò educatamente il chiamato in causa aggiustandosi gli occhiali sul volo, generando immediatamente un pesante silenzio all’interno del piccolo gruppo. Kise, interrompendo il suo studio dell’ambiente circostante, si girò verso di loro e sospirò visibilmente stanco: si chiese se con Kuroko presente il discorso sarebbe continuato o sarebbe caduto in quel modo, di solito era bravo a gestire le dinamiche fra di loro senza che la tensione salisse in quel modo. Probabilmente, se fosse stato lì con loro in quel momento, avrebbe immediatamente appoggiato Aomine uscendosi con qualcosa di simile ad un “se si fossero scontrati con un asteroide vacante durante il volo, i suoi lucky-item non avrebbero certamente aiutato, anzi, avrebbero fatto cadere l’aereo più velocemente”; il pilota sorrise leggermente immaginando il volto impassibile dell’amico mentre pronunciava simili parole. Non c’era che dire, Kuroko gli mancava davvero troppo in quelle occasioni.
Una situazione analoga si presentò una volta a bordo.
Murasakibara voleva stare vicino al finestrino perché era il suo primo viaggio in aero e “Muro-chin ha detto che le nuvole da sopra sembrano fatte di zucchero filato”; ma lì, voleva starci anche Kise visto che “non faceva il passeggero da quasi due anni”. Inutile dire che in breve tempo si era creata una vera e propria discussione riguardo a chi spettasse un simile posto: Murasakibara aveva tirato fuori la questione del braccio fasciato e Kise il fatto che gli avevano impedito di portare con sé Kasamatsu. Insomma avevano cominciato a bisticciare e, contrariamente a quanto si aspettava Aomine, gran parte dell’equipaggio aveva preso a cuore la questione e si era schierata a favore di uno o dell’altro. Alla fine era dovuto intervenire Akashi che, con grande disappunto dei litiganti, aveva ordinato ad Aomine di sedersi sul tanto desiderato posto; per poi tornarsene alla sua postazione in prima classe, con aria superiore e divertita. Midorima era stato più furbo: si era scelto il posto più lontano dai suoi ex-compagni di squadra e si era abbandonato dolcemente alla lettura di una rivista di medicina.
E magari, se la cosa si fosse limitata ad un simile battibecco, avrebbero potuto condurre un viaggio piacevole; ma non avevano pensato ad Aomine. Lui, in aereo, non c’era mai stato. Mai. La sola idea di sedersi e di lasciarsi trasportare da un apparecchio di dubbia sicurezza guidato da chissà chi lo irritava davvero tantissimo; a volte, durante le pause di lavoro, immaginava Kise vestito di tutto punto che salutava allegramente dalla cabina del pilota con un sorriso ebete in volto. Era una visione che lo terrorizzava a morte: non avrebbe mai preso un aereo sapendo che c’era l’amico a guidarlo. Insomma, non appena l’hostess gli si avvicinò per chiedergli in inglese (probabilmente tratta in inganno dal colore della pelle) di allacciarsi la cintura, schizzò sulla difensiva e gli ordinò malamente di non provare a toccarlo.
« Stia tranquillo, Signore. Volevo solo dirle di allacciarsi la cintura di sicurezza. »
« E perché? »
« … Come? »
« Perché devo allacciarmi la cintura? »
« Per la sua sicurezza »
Ne seguì un silenzio carico di improvvisa tensione. Murasakibara, seduto accanto ad Aomine, gli lanciò un’occhiata veloce e tornò a giocare con le proprie fasciature.
« Con questo vuole dirmi che senza cintura sono in pericolo? » parlò con improvvisa gravità l’uomo osservandosi intorno con improvvisa ansia, come se si fosse ritrovato in una misteriosa quanto temuta gabbia per animali. Inoltre i movimenti lenti e inesorabili di quel veicolo, finalmente pronto per le operazioni di volo, gli causarono il batticuore. « Intende dirmi che siamo tutti a rischio di morte su questo aereo? »
« Ma io, veramente – »
« Voglio scendere » ringhiò con rabbia, cercando immediatamente di alzarsi e di avviarsi verso la portiera di sicurezza che la stessa hostess gli aveva segnalato durante le procedure di emergenza. A suo dire, il fatto di dover comunicare ai passeggeri le misure da dover adottare in caso di pericolo era chiaro segno che quello fosse un macchinario che poteva facilmente portare alla morte – erano gli aerei a scomparire, non i treni; erano gli aerei oggetti di mira terroristiche, non i treni; ed erano sempre gli aerei a finire in mare e affondare teatralmente, non i treni. Lui avrebbe preso il treno, Akashi per una volta lo avrebbe dovuto lasciar perdere e permettergli di andare da Tetsu con i suoi mezzi.
L’hostess si portò le mani sul petto, confusa e spaventata da quei modi così bruschi e quelle parole prive di senso. Non era certo la prima volta che si ritrovava ad avere a che fare con soggetti che non avevano mai sperimentato il volo, tuttavia non le era mai capitato qualcuno così determinato a voler scendere da quel “veicolo infernale”, come lo stava appunto ignorando. Cercò perciò di fermarlo e, sebbene questi stesse già trovando delle difficoltà a superare il gigante dai capelli viola che aveva accanto, gli appoggiò le mani sulle spalle e lo pregò di tornare al suo posto.
Midorima, dal ventre dell’aereo, alzò gli occhi dalla sua rivista, osservò la scena e tornò a leggere sbuffando scocciato. E poi dicevano a lui …
« Aominecchi! Cosa c’è? Torna a sederti, stiamo decollando! » lo chiamò Kise dalla propria postazione, perfettamente a suo agio accanto a quella vecchietta chiacchierona. I suoi capelli biondi spuntarono fra i numerosi sedili quasi fosse un coccodrillo che si risvegliava nella tiepida acqua equatoriale e successivamente, dopo un paio di occhiate buttate in giro, si concentrò sulla strana scena in corso. C’era Aomine che tentava di liberarsi dalla ferrea presa dell’hostess alle sue spalle e che intanto cercava di farsi strada fra le gambe lunghissime di Murasakibara che però non voleva saperne di alzarsi e lasciarlo passare; il tutto osservato, da lontano, da un Akashi sinceramente divertito. « Aominecchi, smettila! Va a sederti! Non corriamo alcun rischio! L’aereo è perfettamente sicuro! »
« Se fossimo al sicuro non avremmo bisogno delle cinture di sicurezza! Questi qui ci stanno fregando! Vogliono farci ammazzare tutti! » profetizzò rabbiosamente Aomine agitandosi come poche volte nella sua vita, scatenando immediatamente la sua ilarità. Poche volte lo aveva visto in quello stato: quella che ricordava meglio era quando si trovavano in ritiro, durante il secondo anno delle medie, e un’ape era accidentalmente entrata dentro la loro stanza. Le urla che aveva udito dal suo amico quel giorno ancora lo facevano ridacchiare; si era praticamente nascosto dietro di lui, minacciandolo di morte se non avesse immediatamente ucciso quel maledetto insetto.
« La prego, Signore, si segga! Ascolti il suo amico e – hm? Ryo-Tan? » domandò incuriosita l’hostess abbandonando immediatamente la presa al corpo di Aomine e girando il proprio corpo verso il punto in cui era apparsa la testa bionda di Kise; questi sussultò, visibilmente stupito di sentirsi chiamare in quel modo – probabilmente solo sua madre si era presa una simile confidenza nei suoi confronti. « Sì, sei proprio tu! Sei Ryo-Tan! »
O forse no.
Kise alzò un sopracciglio e si sforzò di sorridere in direzione di quella misteriosa sconosciuta che, dimenticandosi completamente di Aomine, si diresse immediatamente verso di lui sfoderando un sorriso leggero ed incredibilmente allegro. L’attenzione di Akashi verso quella scena andò immediatamente scemando e tornò ad osservare in silenzio la rivista che aveva portato con sé.
« Tu sei … » Kise indugiò un poco a pronunciare quel nome. Certamente quel volto e quella voce non gli erano sconosciuti, tuttavia faceva fatica a ricordare il preciso periodo della sua vita in cui l’aveva incontrata. Con tutte le probabilità era stata una sua compagna di corso, ma gli ci vollero un paio di minuti per riuscire a ricordare anche il suo nome. « …Sakuranbou-san? »
L’hostess batté le mani compiaciuta, emettendo un versetto acuto che la rese ancora più fastidiosa alle orecchie di Aomine. Questi ringhiò innervosito e tornò a sedersi al proprio posto blaterando qualcosa di simile al fatto che, se fossero morti, la colpa sarebbe stata di Kise e del suo rimorchiare gente qua e là pur essendo gay; Murasakibara ne approfittò per aprire l’ennesimo pacchetto di patatine e cominciare silenziosamente a mangiare.
« Che bello! Ryo-tan si ricorda di me! » gioì ancora l’hostess inclinando la testa leggermente su un lato e portandosi una ciocca di capelli neri, sfuggita alla sua treccia, dietro l’orecchio. Sembrava improvvisamente molto più serena, come se la confusione avuta con Aomine non si fosse mai generata. « Ma che ci fai qui? Non dirmi che ti trasferisci a Sapporo! »
« Veramente sto andando ad un matrimonio » sorrise educatamente Kise cercando disperatamente di ricordarsi quale fosse il suo nome e dove l’avesse esattamente incontrata. Durante i corsi per diventare pilota aveva conosciuto davvero molta gente – ragazze comprese – e faticava davvero molto a ricordarsele tutte.
« Un matrimonio? » domandò incuriosita questa piegandosi leggermente su un fianco per osservare meglio l’uomo. Non sembrava un granché sveglia, eppure era dotata di un’espressione e di un volto veramente gentile: riusciva a far sentire a suo agio la gente con un semplice sorriso. « Non sarà mica il tuo senpai a sposarsi, vero? Perché non è con te? »
La risata nervosa di Kise fu il chiaro segno di come quelle domande lo stessero infastidendo. Non ricordava di aver parlato con qualcuno, oltre alla Generazione dei Miracoli, della sua relazione con Kasamatsu; era una cosa di cui andava incredibilmente geloso – in molti avrebbero potuto dire che fosse un suo tentativo di tenere “quanto più al sicuro possibile” il suo compagno dalla sua vita di ex-modello. La giovane, intanto, dondolava la testa divertita come se stesse attendendo con impazienza qualche particolare informazione o parola.
« Il senpai è rimasto a Tokyo. È un altro mio amico a sposarsi » spiegò sinteticamente Kise dedicandole un sorriso di circostanza, sperando caldamente che non chiedesse altro.
« Meno male. Se fosse stato il tuo senpai sarebbe stato davvero troppo triste, non credi, Ryo-Tan? Ai matrimoni ci si va solo quando si può gioire con gli sposi, altrimenti è come morire trafitti da mille coltelli! » commentò rinfrancata la donna lasciando che un secondo sorriso, questa volta ancora più luminoso, popolasse il suo pallido volto. Kise sbatté le palpebre un paio di volte, improvvisamente senza parole per un simile commento; per un attimo le sue labbra si dischiusero, andando a dipingere sul suo bel viso, un’espressione del tutto stupefatta. Ma durò solo alcuni secondi.
« Lo penso anch’io » commentò con improvvisa serietà in volto « Ma non sempre è possibile».
 

I – I – I – I

 
Himuro si era scoperto innamorato di Atsushi alla fine del secondo anno di liceo.
L’inverno volgeva al termine e loro si trovavano all’interno della metropolitana di Akita, intenti a prendere un treno che li conducesse quanto più vicino possibile alla loro scuola. Era stato un pomeriggio tranquillo, scandito da un distruttivo riscaldamento e una serie di piccole partite che avevano reso Himuro leggermente spossato. Nel disordine generale della stazione era riuscito a perdere il resto del gruppo e si era ritrovato da solo con Atsushi davanti ad una sconosciuta carreggiata. Non si era minimamente spaventato e, appena trovato un luogo tranquillo, era riuscito a contattare i propri senpai: questi erano riusciti miracolosamente a prendere il treno e stavano facendo ritorno alla scuola. Okamura gli urlava di raggiungerli immediatamente e di correre alla fermata giusta prima che passasse la corsa successiva.
Avevano quindi tentato di seguire gli ordini del proprio capitano ma, una volta giunti al binario corretto, si erano trovati di fronte una moltitudine di gente malamente appostata sulla banchina. Himuro fu ben presto inghiottito in quella specie di buco nero e solo il braccio possente di Murasakibara riuscì ad estrarlo e portarlo “al sicuro”; a detta di quest’ultimo quel luogo era veramente fastidioso e rumoroso. Era fin troppo chiaro che non volesse tornare a scuola, probabilmente temeva che avrebbero ricominciato ad allenarsi finché non si fosse fatto giorno.
Himuro gli aveva sorriso dolcemente e, passandogli una mano sulla guancia, come si fa con i bambini piccoli quando li si vuole rassicurare, gli aveva sussurrato di rimanere tranquillo al suo fianco.
Quello che era successo in seguito non gli era mai stato molto chiaro. Lui voleva entrare dentro il treno ma finiva sempre con rimanere al punto di partenza: le spinte e i corpi possenti degli altri uomini lo spostavano via con fin troppa facilità e, lui era troppo preso dallo stringere la mano del compagno di squadra, per tentare di protestare e farsi strada malamente. Dopo ben tre treni persi, Murasakibara si era inginocchiato accanto a lui osservandolo incuriosito. Non sembrava capire il motivo di così tanta disperazione, tanto che inclinò leggermente la testa di lato per cercare di capire cosa realmente stesse pensando il ragazzo. A suo parere, non c’era niente di male a tardare un poco: la scuola non correva mica via. Tuttavia, oltre che trovare divertente vedere Himuro puntualmente fuori dal treno nonostante il suo impegno nel farsi strada, si convinse che solo il suo intervento avrebbe potuto sistemare quella situazione persa in partenza.
Si era, così, fatto largo fra la folla chiedendo educatamente permesso – un po’ come fanno i bambini quando devono andare a pagare qualcosa alla cassa e non si fanno problemi a superare la fila – e poi, dopo aver trovato la giusta postazione, si era voltato verso di lui. Non aveva sorriso. Non aveva detto alcuna frase particolarmente smielata e sensata. Semplicemente, aveva aperto le braccia, come a volerlo accogliere, e gli aveva sussurrato “vieni qui”.
Ed era stato allora che Himuro si era scoperto innamorato di Murasakibara.
L’uomo si ritrovò a sorridere nel ripensare ad un simile momento. All’epoca sapeva poco e nulla del suo compagno: era appena terminata la Winter Cup e lui era troppo preso dalla gioia di vedere Murasakibara allenarsi con loro, per notare i cambiamenti seppur minimi nel suo comportamento. A pensarci adesso, era davvero ovvio che questi nutrisse un certo interesse nei suoi confronti: lo aspettava quando terminavano di allenarsi, lo guardava durante la lezione, gli offriva addirittura una caramella – il che era tutto dire! E non sembrava nemmeno sorpreso quando gli aveva chiesto di uscire con lui. Certo, il loro primo appuntamento era stato tutto meno che qualcosa di romantico; si erano ritrovati a vagare senza meta in un parco divertimenti con Murasakibara che continuava a ripetergli nell’orecchio che voleva lo zucchero filato; ma la loro relazione era davvero stata tranquilla e felice. Himuro si reputava spesso fortunato ad aver incontrato qualcuno come il compagno, accanto a lui si sentiva protetto ed amato; ben presto la sua mente volò d Kagami, ancora oltreoceano in quel favoloso quanto pericoloso stato quali erano gli Stati Uniti.
Si era davvero stupito quando aveva saputo della sua partenza. Era convinto che questi avrebbe atteso la fine del liceo prima di imbarcarsi in una simile impresa e magari che avrebbe portato Kuroko con lui perché, sì, credeva fortemente che senza quest’ultimo sarebbe quasi certamente incappato in qualche guaio; ed invece era sparito nel nulla. O meglio, era sparito dalla sua vita. Non era stato certamente un cambiamento rapido e indolore ma più una lenta corrosione che li aveva portati a sentirsi sempre meno spesso e per semplice formalità. Quando si sentivano per telefono finivano sempre col parlare di basket o dei tempi andati e Himuro non era mai riuscito a capire cosa stesse accadendo nella sua vita privata: non sapeva se avesse trovato una ragazza, se si fosse sposato, se avesse trovato qualcun altro o avesse qualcuno di cui occuparsi. L’unica cosa di cui era certo è che la sua carriera sportiva procedeva splendidamente e che stava conseguendo un successo dopo l’altro, ma questo poteva tranquillamente intuirlo dalla lettura delle riviste sul basket professionistico.
Probabilmente tutto quell’improvvisa curiosità derivava dalla notizia dell’inaspettato matrimonio di Kuroko con chissà quale sconosciuto. Dire che ci fosse rimasto di sasso era dire poco. Una parte di lui era convinta che avrebbe continuato ad attendere invano Kagami fino alla fine dei suoi giorni, facendo lentamente marcire il suo cuore e la sua rabbia; non augurava a nessuno una simile vita, sospesa fra una chiamata e un incontro rinviato, nemmeno al suo peggior nemico. Himuro si passò una mano fra i capelli e, adocchiando il telefono, si domandò se l’amico fosse a conoscenza di una simile decisione o ne fosse del tutto d’accordo; insomma, da qualcuno doveva averlo certamente saputo! Magari da Kise o da qualche suo ex-compagno di squadra liceale, anche se dubitava che avesse mantenuto i rapporti con qualcun altro connazionale.
L’uomo osservò in silenzio l’apparecchio telefonico e infine si decise ad afferrarlo. Massì, avrebbe fatto passare tutto come un’innocente telefonata e glielo avrebbe detto! Ormai Kagami era un adulto e non avrebbe certo agito di testa nell’apprendere una simile notizia – anche perché non ne aveva certo motivo. Compose velocemente il numero e, appoggiandolo all’orecchio, aspettò in silenzio che l’altro rispondesse alla telefonata.
«Chi è? »
Ad Himuro gli ci vollero meno di dieci secondi per realizzare che il suo interlocutore non fosse l’amico ma un perfetto sconosciuto con in mano il suo telefono. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma preferì prendere l’argomento nella maniera più larga e tranquilla possibile. Dopotutto quella doveva sembrare una telefonata puramente di circostanza, non voleva certo passare per una comare impicciona che si divertiva a diffondere notizie appena apprese.
« Taiga? » domandò infatti inclinando la testa di lato, fingendo completamente di apparire sorpreso da un simile tono di voce. Appoggiò la propria schiena contro il muro della propria casa e si soffermò, per un veloce istante, ad osservare i bambini che continuavano a giocare in mezzo alla strada con un pallone da calcio.
« Ah, mi dispiace! Taiga non è qui, al momento! » parlò ancora in giapponese l’uomo dall’altro capo del telefono, chiaramente in imbarazzo per via del rapido susseguirsi di parole e il respiro veloce quanto si sentisse in imbarazzo a spiegare le ragioni; doveva avere la loro età e, dal suo modo di pronunciare i fonemi, Himuro capì subito che parlava inglese più quotidianamente del giapponese. « Ha sfortunatamente lasciato il telefono qui, a casa; è tutto il giorno che non fa che squillare! Sono davvero disperato! »
« È sempre stato molto distratto … » mormorò più a sé stesso che ad altri lasciando che un sorriso sfiorasse delicatamente il suo volto, la risata proveniente dal telefono sembrò essere completamente d’accordo con lui. Probabilmente era sera in quel momento in America, tuttavia vista la velocità con cui aveva risposto non doveva aver disturbato il suo sonno o cose simili; buttò l’occhio sull’orologio che segnava mezzogiorno e venti e ragionò su cosa avrebbe potuto mangiare in quei giorni che Murasakibara non sarebbe stato a casa assieme a lui. Probabilmente avrebbe comprato un po’ di verdura e carne all’alimentari lì vicino e avrebbe preparato velocemente il proprio pranzo, tenendo gli scarti per la cena di quella sera stessa.
« Se mi dici il tuo numero, appena torna, ti faccio richiamare »
Sorrise, sinceramente stupito da quella gentilezza che lo sconosciuto gli stava mostrando. Non ricordava che gli americani fossero così accondiscendenti ed educati con gli altri, di soliti erano dotati di una allegria contagiosa che spingeva ad assecondarli seppur la maggior parte delle cose che si trovavano a dire fossero prive di senso. Alex ne era il massimo esempio. La sua vivacità nel parlare e nel comportarsi li aveva convinti, da bambini, a seguirla in ogni dove e ascoltare con acuta attenzione ogni suo più minuscolo insegnamento.
« Himuro. Himuro Tatsuya » scandì con cura l’uomo accavallando le gambe e aspettando serenamente che il giovane scrivesse da qualche parte il suo numero; con tutte le probabilità lo avrebbe riportate in lettere dell’alfabeto, preferendole ai kanji – con cui sicuramente non sapeva scriverci. Si domandò perciò se fosse di madrelingua o se fosse semplicemente un uomo dotato di una conoscenza giapponese più che sufficiente.
« Ok. L’ho scritto. Appena sarà a casa, gli dirò subito di te! Così potrà richiamarti prima che sia troppo tardi! »
« No, tranquillo. Non ho molta fretta »
« Taiga non fa che ripetermi che, se mai dovessi ricevere telefonate proveniente dal Giappone, devo immediatamente riferirglielo. Questa è la prima volta che qualcuno chiama quindi per me è un piacere adempiere alla mia promessa! »
« Grazie, sei gentile » ed era vero. Quel ragazzo gli sembrava davvero molto gentile, quanto ingenuo. In poco tempo gli aveva svelato molti più particolari di quanti Kagami gliene avesse mai dati; una parte gliene fu grata, l’altra si limitò a domandarsi se fosse sicuro o meno avere un tipo del genere in casa. Probabilmente era così cortese da aprire ai ladri e offrire a loro un tè caldo, ascoltando la storia della loro vita spargendo consigli e frasi d’effetto. « Parli veramente bene giapponese. Non sei americano, vero? »
Un risata leggera proveniente dall’altro capo del telefono gli fece immediatamente capire di aver fatto centro, tuttavia preferì rimanere in silenzio ed ascoltare cosa l’altro avesse da dire. Era sicuramente il modo migliore per capire di più sulla vita che stava conducendo l’amico in quel paese; non gli passò minimamente per la testa il fatto che fosse leggermente invadente. Dopotutto era di suo “fratello” che si stava parlando!
« Mia madre è giapponese. Ah, che maleducato! Non mi sono presentato! Mi chiamo Hiroto e abito assieme a Taiga da circa sei anni ormai! »
Ne seguì un improvviso silenzio nella testa di Himuro. Sbatté un paio di volte le palpebre ma, prima che potesse dire qualcosa, nella sua mente scattò una specie di scintilla che lo spinse a spalancare gli occhi come se fosse arrivato alla verità finale. Dai pochi dati che era riuscito ad ottenere gli sembrò di capire di star parlando con quello che era l’attuale compagno di Kagami. Che erano conviventi. Da sei anni. E che Kagami si scordasse spesso e volentieri oggetti e che toccasse ad Hiroto custodirli in sua assenza.
La sua bocca si piegò in un’espressione stupefatta, per non dire scioccata. Che dire adesso? Chiedere conferma oppure preferiva andare ad intuito? In fondo, se Kagami aveva preferito non avvisarlo di una simile scelta, doveva esserci un motivo – magari era semplicemente imbarazzato e non voleva che si sapesse in giro che aveva piacevolmente rimpiazzato Kuroko con un innocente quanto gentile americano. Le sue labbra si piegarono lentamente in un sorriso divertito, era stato certamente un bene fare quella telefonata.
« Allora, Hiroto-kun, suppongo di poter dire a te quello che volevo dire a Taiga »
 
Hiroto Tsukishima aveva trent’anni e lavorava nel Museo di Boston come guida turistica. Si era trasferito con sua madre in America quando aveva circa due anni e parlava abbastanza speditamente sia la lingua materna che quella del posto; i suoi capelli bianchi e gli occhi scuri avevano spesso indotto la gente a pensare che fosse di sangue misto, ma lui non aveva mai rivelato maggiori dettagli al riguardo. Non avendo mai conosciuto suo padre, preferiva non sbilanciarsi troppo riguardo le sue origini; tuttavia spesso e volentieri si perdeva in sciocche fantasticherie su da chi avesse ripreso quell’albinismo. Come Kagami, anche lui nutriva un certo amore nei confronti del basket: lo aveva praticato fin da bambino e, pur non essendo certo talentuoso giocatore, poteva vantare di aver avuto come compagni di squadra futuri professionisti famosi in tutta l’America.
Contrariamente a quello che aveva intuito Himuro, lui e Kagami non avevano affatto una relazione. Erano semplicemente amici che condividevano la casa per risparmiare sulle spese e sulle pulizie, si vedevano una volta al giorno e di solito non avevano nemmeno la forza di scambiarsi qualche parola su come fosse andata la giornata. Nonostante Kagami fosse un affermato giocatore di basket si era mostrato contrario al dover vivere da solo; a suo dire, non era affatto un’esperienza piacevole e preferiva trovare almeno qualcuno in casa quando tornava. Anche se questi era Hiroto addormentato sulla sedia mentre ripassava il programma di storia.
Ora, questi, era comodamente seduto vicino al tavolo della cucina intento a rileggere il proprio discorso sulla Guerra di Secessione Americana; buttò l’ennesima occhiata sul libro di storia e successivamente si passò la matita fra i capelli, cercando di riordinare le idee. Quella telefonata lo aveva completamente stordita e non riusciva a ragionare come suo solito. Probabilmente era stato troppo invadente nei confronti di quell’uomo, Himuro Tatsuya aveva detto di chiamarsi, e con i suoi commenti aveva certamente rivelato troppe cose.
« Comunque, lasciatelo dire, voi giapponesi siete davvero pettegoli! » commentò in inglese un individuo seduto comodamente sulla poltrona a guardare una partita di football americano. Hiroto alzò immediatamente lo sguardo sui libri e si voltò verso di lui, curioso di sapere cosa avesse avuto da dire anche quella volta. « Possibile che qualcuno non possa fare una confidenza che, in meno di un giorno, è già arrivata oltremare? Ma che razza di rete di contatti avete? Fate invidia alla CIA! »
Il giapponese alzò immediatamente un sopracciglio, leggermente sorpreso di un simile commento, ma preferì non cedere alla sua provocazione. Sapeva che quell’uomo non avrebbe mai potuto e voluto offenderlo, le sue battute – per quanto goffe e contorte – cercavano sempre di risollevargli il morale o, come minimo, farlo confidare con lui.
« Finché si parla di piacevoli notizie come questa non vedo dove sia il problema, Andreis » gli sorrise serenamente continuando a giocare con la propria matita. Il numero di Himuro Tatsuya era stato scritto su un foglietto di carta ed appoggiato sul tavolo in attesa che Kagami tornasse; Hiroto aveva fretta di parlargli e di chiarire i numerosi dubbi che man mano lo stavano assalendo, tuttavia preferì non mostrare questo suo nervosismo all’altro uomo e continuò il proprio lavoro.
« Sarà » commentò languidamente l’altro, torcendo il busto e prendendo ad osservarlo con un’espressione neutra. Come Hiroto, anche lui aveva dei capelli molto chiari che si avvicinavano molto ad un biondo slavo; tuttavia i suoi lineamenti marcati e il corpo massiccio e austero chiarivano immediatamente la sua nazionalità. Il suo nome era Andreis Dayton e lavorava, assieme al giapponese, al Gardner Museum nella sessione restauri. « E tu hai intenzione di continuare la catena e dirlo anche a lui? »
« Intendi Taiga? » domandò confuso Hiroto piegando leggermente il volto su un lato, smettendo definitivamente di rivisitare il suo programma. Quella mattina avrebbe dovuto splendidamente improvvisare di fronte al nuovo quadro impressionista che era finalmente giunto ospite al museo.
Ma prima che l’americano potesse aggiungere altro, un rumore proveniente dalla porta fece rizzare sull’attenti entrambi e li fece sporgere verso l’ingresso dalla casa. Questo, immerso completamente nella penombra, sembrava ricordare uno degli ultimi film dell’orrore che avevano avuto il coraggio di vedere nonostante le proteste di Hiroto che aveva ammesso di provare non poca paura durante la loro visione.
« Sono tornato » 
Kagami.
Il giapponese rilassò immediatamente le spalle e si lasciò andare ad un sorriso imbarazzato. In effetti, solo lui aveva le chiavi di casa ed era solito a tornare a simili orari; si passò una mano fra i capelli e tornò alle sue scartoffie aspettando che l’altro amico li raggiungesse in soggiorno. Il rumore della borsa che veniva appoggiata a terra e così anche quello della giacca fece capire ad entrambi che era di ritorno da una partita e ne era uscito di nuovo vincente.
Dopo pochi minuti, infatti, la sua figura comparve sulla porta intenta a trattenere uno sbadiglio. Kagami si stiracchiò leggermente e buttò delle rapide occhiate per la stanza cercando di capire cosa stesse succedendo: vicino all’angolo cucina, Hiroto, stava di nuovo lavorando a quello strano quadro impressionista arrivato dalla Francia mentre a guardare la televisione c’era Andreis. Sospirò sollevato e si passò una mano sul collo, prendendo a massaggiarselo stancamente.
« Ma allora ci siete! Perché non avete risposto? Stavate di nuovo lasciandovi andare a strane effusioni da fidanzatini? » domandò irritato per poi avviarsi verso il frigorifero sperando che fosse avanzato del riso della precedente giornata – anche se, tanto per cambiare, era di nuovo pieno zeppo di gelati alla menta: il prodotto alimentare preferito di Hiroto. Kagami si ripromise di andare a fare personalmente la spesa la prossima volta. Non potevano continuare a campare con del semplice gelato da mattina e sera – certo, quel giapponese poteva eccome visto che ne ingurgitava quantità industriali, ma lui non aveva alcuna intenzione di vivere ( e morire ) in quella maniera.
« Se non conoscessi bene Taiga Kagami potrei dire che è geloso » parlò Andreis allargando un sorriso nella sua direzione prima di togliersi gli occhiali da lettura ed appoggiarli al tavolino difronte al televisore « Dopotutto sei ancora single! Mi sbaglio, Hiroto? »
Questi ridacchiò divertito, incassando la testa fra le spalle, e si sporse lentamente verso l’enorme porta-finestra che dava sulla metropoli americana. Ormai era notte profonda, tuttavia in Giappone doveva essere ancora giorno; sapeva che, orientativamente, l’America e quell’isola Nipponica si passavano sulle dieci ore di fuso orario. Se avesse immediatamente avvisato Kagami della telefonata di Himuro, magari avrebbe potuto contattarlo senza problemi e potuto parlare tranquillamente; lui si sarebbe occupato di Andreis e lo avrebbe portato in un’altra stanza.
« Dalla tua allegria ne deduco che la partita sia andata bene. Quanto avete vinto? » continuò il restauratore portandosi la frangetta bionda su un lato del volto, abbandonando completamente la visione del programma sportivo.
« 123 a 37 » sorrise trionfante Kagami passando lo sguardo da Andreis all’altro ragazzo, dedicandogli un’espressione perplessa nel vederlo perso fra i suoi pensieri. Di solito era molto più loquace nei suoi confronti. « Ma, oltre al gelato, non c’è nient’altro in frigo? Sto morendo di fame! »
« Possiamo ordinare una pizza »
« Di nuovo? Ma non abbiamo un po’ di carne? »
« Non è in freezer? »
« Ora guardo »
« Ma che ci devi fare? »
« Se è rimasto il riso posso preparare un po’ di stufato e – »
« Kuroko si sposa » esplose finalmente Hiroto alzandosi in piedi con un gesto secco e deciso, continuando a guardare il pavimento con gravità. Si sentiva quasi in imbarazzo a dover trasmettere un simile messaggio – era come dare ragione ad Andreis sulla faccenda dell’essere pettegoli; ma, in fondo, lui sapeva fin troppo bene chi fosse l’individuo che portava un simile nome e cosa rappresentasse per Kagami e non poteva celare a sé stesso una sottile curiosità nel vedere come quest’ultimo avrebbe reagito difronte ad una simile notizia.
 

I – I – I – I

 
« Grandioso! Siamo finiti in mezzo al nulla! » sbottò Aomine posando a terra il proprio borsone. Si grattò la testa arrabbiato e prese a lanciare occhiate qua e là, sperando di trovare un qualche punto di riferimento. L’aria era incredibilmente fredda, pregna di un’umidità a cui non era per niente preparato. Si strinse nel suo giubbotto, tremando leggermente quando il vento prese a soffiare più forte e si voltò verso il proprio gruppo. « Dove diavolo andiamo ora? »
« Mine-chin, non essere scortese! » lo rimproverò con veemenza Murasakibara avanzando di qualche passo in sua direzione, cercando anche lui di mettere a fuoco la situazione. Davanti alla fermata del bus dove erano scesi si estendeva una sconfinata campagna trapuntata con piccole e graziose fattorie. Ogni ettaro di terreno era sapientemente separato dall’altro tramite filo spinato o graziose staccionate; Kise ricordò di aver visto addirittura un allevamento di cavalli da tiro pochi minuti prima di scendere, voltò lo sguardo dietro le spalle e cercò di ritrovarlo in mezzo a quella vallata sconfinata; se si faceva silenzio potevano sentirsi i muggiti delle mucche provenienti dal gigantesco edificio posto circa venti chilometri da lì.
« Ma Aominecchi ha ragione! Qui non c’è nulla: non una casa, un palazzo, un negozio! È tutta compagna! » brontolò infine infilandosi le mani in tasca nel disperato tentativo di riscaldarsi. Rimpianse sé stesso per non aver dato retta al consiglio del senpai di indossare abiti più pesanti per la partenza; nonostante il sole brillasse vittoriosamente nello sconfinato cielo azzurro, la temperatura oscillava fra i dieci e i dodici gradi – e dire che era da poco passato mezzogiorno!
Volendo essere sinceri, sia Kise sia Aomine avevano proprio ragione ad affermare di essere capitati nel bel mezzo del nulla;  Midorima analizzò l’ambiente circostante e si scoprì completamente immerso in una natura sconosciuta. Non era mai stato in campagna fino ad allora. Lui e gli animali non erano mai andati un granché d’accordo ed aveva sempre preferito la grigia tranquillità della metropoli ad una vita di avventure in mezzo al verde.
« Non c’è campo » fece inoltre notare chiudendo il proprio telefono e spostandosi verso Akashi, il quale alzò un sopracciglio leggermente – o minimamente – sorpreso. Contrariamente a loro, non sembrava vivere quel momento con ansia o nervosismo; era perfettamente attrezzato per il freddo e sembrava anche sapere quale direzione dover intraprendere per raggiungere la casa di Kuroko. Questo irritò non poco il medico che, sospirando, ragionò su come fosse di nuovo caduto nella rete progettata dall’amico; con tutte le probabilità aveva deciso di coinvolgerli in quell’assurdo piano solo per mascherare le sue reali nei confronti di Kuroko e far passare tutto come una semplice rimpatriata di amici.
« Aka-chin io ho fame ~ » si lagnò a bassa voce Murasakibara dondolandosi svogliatamente sulla destra e sulla sinistra, sperando di attirare le attenzioni dell’altro uomo. Questi, però, sembrava troppo preso dall’osservazione di un misterioso puntino nero in movimento per fare caso alle sue lamentale. Lo vide portarsi una mano sotto il mento e infine il suo sguardo aguzzarsi, sembrava star pensando qualcosa di alquanto importante e serio.
« Atsushi » lo chiamò finalmente Akashi senza allontanare il proprio sguardo da quel puntino nero sempre più vicino; sembrava parecchio concentrato, tanto che non badò allo sguardo non capente che gli rivolsero Aomine e Kise. « Ferma quel veicolo. Ora. »
 
« Turisti come voi se ne vedono pochi! Siete venuti per pregare al tempio? Quando vi siete piantati in mezzo alla strada, ho pensato foste dei pazzi suicida! Soprattutto il gigante! »
L’autista del furgone era un agricoltore di circa cinquant’anni, portava sulle proprie spalle un asciugamano sporco di sudore e stava fortunatamente andando in paese. Midorima tentò di regolarizzare il suo respiro ma gli riuscì difficile soprattutto quando gli ritornò in mente l’immagine di Murasakibara in mezzo alla strada che tentava di fermare un veicolo in corsa. Da solo. Sapeva che Akashi non lo avrebbe certo fatto morire in quel modo, ma era stato comunque fonte di profonda ansia sentire quella frenata così forte che aveva fatta strusciare rumorosamente le gomme sull’asfalto. Ricordava perfettamente le urla di Kise durante quell’esatto momento e le successive imprecazioni di Aomine che gli aveva dato dei matti e degli scemi, ricordando loro che esiste l’auto-stop e che era assolutamente sbagliato camminare in mezzo alla strada senza cognizione di casa.
« Dove state andando? » si informò l’uomo passandosi l’asciugamano sulla guancia sudata per poi passare lo sguardo velocemente da un volto all’altro. Voleva certamente assicurarsi di non aver a che fare con qualche ladro o poco di nuovo, tuttavia la sua domanda fece immediatamente capire che era ben disposto ad aiutarli ad orientarsi e trovare rifugio. Poco prima aveva parlato di un templio, quindi sicuramente ce ne era uno disperso in quell’immensa campagna – o magari in quella magnifica foresta che avevano notato mezz’ora prima.
« Veramente staremmo cercando questa strada » rispose educatamente Midorima per poi porgergli l’indirizzo che aveva accuratamente scritto sul foglietto di carta. Era stato Takao a procurarglielo, ma non seppe dire come questi avesse fatto ad ottenerlo. Con tutte le probabilità era stato Kuroko a darglielo, tuttavia Midorima non aveva scartato l’idea che il suo “occhio di falco” fosse riuscito a scovarlo ancora. « Potreste darci un passaggio fino al paese? »
Ne seguì un momento di silenzio, in cui Kise soffiò sulle proprie mani nel tentativo di riscaldarle e tornò ad osservare ammirato il paesaggio.
« Ve lo do molto volentieri, ma questa strada non è mica in paese » rivelò franco l’uomo per poi ridare il foglietto al medico, con incredibile gentilezza; la sua espressione divenne improvvisamente seria tanto che perfino Aomine smise di dondolarsi sul posto che capire cosa volesse sapere. « Siete parenti di Kuroko-sensei? »
« Amici »
Era stato Kise a parlare, dal fondo della strada con un sorriso ottimista in volto. In quel momento era la prima ed unica cosa che gli era riuscita a venire in mente e che gli era sembrata più vicina alla verità; in fondo, lui non aveva mai smesso di considerare Kuroko un suo caro amico nonché compagno di squadra. Era molto legato a quella sua figura gracile e bassa, lo considerava un punto di riferimento nella sua vita e non avrebbe mai smesso di crederlo.
« Oh, ma allora va bene! Allora, montate su! Vi ci porto io dal sensei! Casa sua è mezz’ora di cammino dal paese, non vi conviene farvela a piedi! » li informò l’uomo entusiasta mostrandogli un grandioso quanto rude sorriso. Gli aveva immediatamente creduto, confidando in quello appena detto dal giovane. Picchiettò la mano sulla portiera del furgone e si voltò verso il retro del furgone « Tora, vieni fuori! Dagli una mano a salire! »
C’era un bambino sul furgone – avvolto da un gigantesco cappotto e da una lunghissima sciarpa rossa – che, nel sentirsi chiamare dal padre, scattò immediatamente in piedi. I suoi capelli erano bruni e brizzolati, non seguivano la piega che gli si cercava di dare e gli conferivano l’aria del tipico monello. Midorima lo vide pulirsi velocemente gli occhi con la manica della maglietta e precipitarsi ad aprire la sponda dell’autocarro. Sembrava perfettamente a suo agio in quei vestiti e persino i suoi movimenti apparivano rapidi e decisi.
« Dammi la valigia » ordinò con una vocetta autoritaria porgendo la sua mano nel vedere Aomine farsi vicino al veicolo. Questi, seppur a mala voglia, affidò il proprio carico a quelle manine ruvide che, con passo svelto e preciso, andarono ad appoggiarli verso la parte più interna. In breve tempo, furono tutti e cinque sul carro; il bambino era molto bravo a guidarli nella salita, gli offriva sostegno ed aggiustava ordinatamente le valigie una accanto all’altro.
Tutto si aspettavano fuorché una partenza così repentina. Midorima si aggrappò alla sponda destra del veicolo a cui appoggiava la sua schiena ed osservò Kise fare lo stesso con il braccio di Aomine, trattenendo un urletto isterico; questi, dopo il viaggio in aereo, sembrava essersi totalmente calmato. L’incontro con quella giovane donna gli aveva riportato immediatamente il buon umore. « Ryo-Tan! », lo aveva chiamato con un sorriso sulle labbra la giovane hostess agitandosi sulla passerella, una volta che erano atterrati, muovendo con forza il braccio sinistro per poterlo salutare al meglio, « Fai gli auguri al tuo amico anche da parte mia! ». E Kise aveva giurato a sé stesso che li avrebbe fatto sia da parte sua che di Sakuranbou.
Prima che Midorima potesse anche solo informarsi su chi fosse quella donna, le ripetute occhiate di Murasakibara verso delle scatole di legno fecero drizzare le orecchie del bambino e farlo voltare orgogliosamente verso di lui.
« È formaggio » si affrettò ad informarlo sorridendogli con superiorità, come se dovesse dar prova della propria esperienza e padronanza della materia. Si aggiustò con cura la sciarpa e vi si immerse dentro metà del proprio busto, sperando di riuscire a sconfiggere quel fastidioso vento che continuava ad insinuarsi nelle proprie orecchie. « Per la fiera del paese »
« Una fiera? Quando ci sarà? » domandò interessato Kise spostando gli occhi dal formaggio al bambino che gli dedicò immediatamente un sorriso raggiante che fece leggermente arrossire il piccolo Tora.
« Sabato sera! » urlò dall’interno del veicolo l’uomo continuando ad osservare la strada con tranquillità.
« Il sensei ha detto che questa volta verrà! Ha detto anche che comprerà il nostro formaggio e lo mangerà fino a scoppiare – o meglio, ha detto che lo mangerà. Non voglio che scoppi. Non sarebbe giusto, il sensei è tanto buono con me! » spiegò ancora il bambino sorridendo allegramente nel citare ciò che il proprio maestro di scuola gli aveva promesso di fare quel fine settimana. Oramai lo conosceva da molti anni, ma mai lo aveva visto girovagare per le bancarelle della fiera con l’intento di acquistare o gustare qualcosa. « Ma voi siete davvero amici di Kuroko-sensei? Perché andate da lui? Guardate che il suo compleanno è ancora lontano! Avete sbagliato mese! »
« Non siamo qui per il suo compleanno » si limitò a parlare Akashi, elegantemente seduto vicino alle valigie. Non sembrava un granché colpito da quella conversazione e nemmeno da come il bambino parlasse tranquillamente di Kuroko; la sua mente era già proiettata al loro ormai prossimo incontro e non voleva fermarsi in chiacchiere inutili. Incrociò le braccia al petto e prese ad osservare distrattamente il paesaggio che scorreva veloce attorno a lui come se fosse una pellicola di un qualche vecchio film.
« Vi fermate allungo? Le vostre valigie sono pesanti. Dove alloggerete? » si informò incuriosito il bambino chinando la testa di lato e continuando ad osservare Kise che, fra tutti, gli sembrava quello più simpatico.
« Non credo che siano affari che ti riguardano » brontolò piccato Aomine  di fronte a così tanta curiosità. I bambini non gli sarebbero mai stati simpatici, mai. Non avrebbe mai compreso il desiderio di Satsuki di averne uno e tanto meno quello di Kuroko di vivere attorniato da essi ogni santissimo giorno.
 
Gli occhi di Kuroko non gli erano mai apparsi così chiari. Erano così limpidi e azzurri da ricordare il cielo di quella giornata.
Lo stupore era tanto che si lasciò persino abbracciare da Kise senza nemmeno avere il coraggio di protestare. Non badò nemmeno al saluto del suo allievo che, dal fondo del camioncino, gli ricordò della fiera di quel fine settimana, tanto era preso dal riconoscere quei volti a lui così noti. Kuroko sembrò cadere in uno stato di catalessi, in cui ricordi ed emozioni si confondevano l’uno con l’altro formando un misterioso ed intenso acquerello. Le braccia calde di Kise ebbero su di lui un effetto inibitorio che gli fece dischiudere la bocca in un’espressione decisamente sorpresa.
Si riprese solo grazie al rombo del motore che, facendolo sussultare, gli ricordò della Generazione dei Miracoli e di Kise, in particolare. Questi non faceva che ripetere che lo trovava benissimo e più in carne e poi lo abbracciò ancora. Questa volta, però, Kuroko sembrò riprendersi e cercò di allontanarlo – nonostante fosse che una flebile spinta che si perse ben presto dentro il calore corporeo.
« Kurokocchi, mi sei mancato così tanto! » sorrise l’uomo continuando a tenerlo stretto a sé nonostante i crescenti richiami di Aomine che gli urlava di starlo a stritolare. Questi notò sui suoi abiti sporchi, numerose chiazze di una strana pittura colorata; in un primo momento dimenticò del suo lavoro di insegnante e si domandò se avesse un figlio e se lo stesse aiutando a dipingere prima che loro si intrufolassero rumorosamente nella sua vita.
Aomine chiuse delicatamente gli occhi e non pronunciò parola. Avrebbe voluto chiedergli molte cose - cominciando dal “sei uno scemo, Tetsu” – ma le parole gli morirono in gola non appena riuscì a mettere in ordine i pensieri nella sua testa. Kuroko sembrava così sorpreso di vederli ma non appariva né imbarazzato né irritato dall’ultima discussione che aveva avuto proprio con lui il giorno prima. Quei occhi azzurri riflettevano una serenità d’animo che mai gli aveva visto in volto.
« Mi sei mancato anche tu, Kise-kun » gli sentì sussurrare all’orecchio di Kise ricambiando, anche se di poco, quella stretta. Questo sembrò quasi intenerirlo e, con un leggero sorriso in volto, si apprestò per andare anch’egli a riabbracciarlo; ma venne preceduto da Murasakibara che, con passi lenti e inesorabili, si avvicinò all’amico e prese ad accarezzargli la testa con dolcezza.
« Kuro-chin è rimasto piccolo » commentò atono continuando a scompigliargli i capelli quasi avesse a che fare con un qualche animale. Kuroko, da parte sua, non protestò e si lasciò continuare a far coccolare in quella strana maniera – nonostante il suo viso non lasciasse intravedere alcuna particolare emozione, si riusciva ad avvertire, anche solo guardandolo, una certa felicità nel vederlo.
« Kuroko! Chi era alla porta? »
Il chiamato in causa sussultò leggermente nel sentirsi chiamare. Nonostante il suo corpo fosse ancora avvolto dalla stretta, Aomine percepì il suo corpo quasi farsi più leggero e sollevarsi; non sembrava turbato da quel richiamo, anzi, gli sembrò quasi fare piacere. Tutto ciò non passò inosservato agli occhi di Akashi che, lasciato in disparte, continuava a tenere fissi i propri occhi su quella scena così allegra e affettuosa; sembrava che avesse appena ricongiunto una famiglia divisa da qualche guerra o conflitto. Quella voce, però, sembrò risvegliare in lui una chiamata alle armi.
« Se è il ragazzo delle consegne, digli che deve andare nel retro! » parlò di nuovo l’uomo all’interno dell’edificio. Il rumore di scatoloni e di oggetti che venivano momentaneamente appoggiati a terra gli fece immediatamente capire come si stesse avvicinando all’ingresso dell’abitazione. « Oggi è avanzato un po’ di zuppa di miso, gli va bene? »
Prima che Kise potesse anche solo realizzare che quell’uomo a parlare era il tanto chiacchierato “sposo”, avvertì le mani di Kuroko allontanarlo dal suo corpo e spostarlo di qualche centimetro indietro; lo vide torcere il proprio busto verso l’interno della casa e assumere un’espressione che gli aveva mai visto in volto. Sembrava felice, ma allo stesso tempo preoccupato; i suoi occhi brillavano di una strana luce, completamente dipendente da quella misteriosa voce che sapeva ammaliarlo con poche e semplici parole.
« Ogiwara-kun »
 
 
 
~Il Mughetto dice~
Dan dan daaaaaan!
Ebbene sì. La storia viene finalmente aggiornata e si viene finalmente a scoprire l’identità del fantasmagorico sposo su cui la GdM si era letteralmente scervellata. Mi scuso per il ritardo ma questo, per me, è un anno decisivo e non sempre trovo il tempo per dedicarmi a questa long a me molto cara. Cercherò comunque di concluderla senza prolungarla troppo, anche se continuo fortemente a desiderare di conoscere il vostro parere al riguardo attraverso una recensione. Vi posso assicurare che essi mi aiutano molto per caricarmi durante la scrittura; mi capita molto spesso di rileggerli e di sentirmi particolarmente ispirate.
Approfitto di questo momento per dedicarmi ai ringraziamenti, in particolare a Milady Ophelia ed Elsa Maria per il loro supporto. Ben 8 persone hanno lasciato una recensione nel precedente capitolo, 16 hanno inserito la storia nelle preferite, 1 nelle ricordate e ben 31 nelle seguite. A queste vorrei dedicare i miei ringraziamenti più sinceri ed affettuosi, spero che continuerete a leggere la storia ed esprimere il vostro parere al riguardo.
Tornando alla storia, posso definirmi davvero compiaciuta di aver scelto di aver scelto Ogiwara Shigehiro come “sposo” di Kuroko. Per chi non avesse letto il Teiko Ark, è il suo amico di infanzia che gli insegnato a giocare a basket e da cui è stato legato molto allungo per una promessa fatta. Questo giovane è nato il 10 agosto ed è del Leone ( casualità che sia Aomine sia Kagami abbiano lo stesso segno e siano nati sempre in agosto?). Il suo cibo preferito è il Noritama, la sua specialità è il Kendo ed il suo motto è “seriamente e sinceramente”. I suoi capelli sono di un colore che oscilla fra l’arancione e il castani, mentre i suoi occhi sono definitivamente marroni. Posso tranquillamente definirmi dalla sua parte quando parlo di lui, mi piace moltissimo come personaggio e lo definisco un eccellente “avversario” per Kagami.
Parlando di lui, ho deciso di affiancarlo a degli OC che mi sono davvero molto a cuore ovvero Hiroto Tsukishima e Andreis Dayton; purtroppo in questa storia non sono che delle figure marginali e per nulla curate, tuttavia spero che in futuro potrò svilupparle al meglio e, assieme a loro, anche le All Star americane. Vi invito, inoltre, a dare un’occhiata ad "Matryoshka", un mio secondo progetto di long che dovrebbe essere aggiornato a breve. Analogamente a questo racconto, anche quello parte in un futuro ipotetico ma posso garantire che le dinamiche saranno sviluppate in maniera completamente diverse.
Non mi definisco un granché soddisfatta da questo capitolo: è veramente pieno di OC che, anche se non influenzano sulla storia, la rendono anche piuttosto complessa. Il mio dubbio più grande continuava ad affollare la personalità che ho voluto donare a Kise, spero di non aver preso una cantonata madornale ed essere riuscita a gestire al meglio questa sua complessità caratteriale. Dopotutto, lui non è affatto uno sciocco è solo molto sensibile. Il sogno che ho descritto ha destato molte volte le mie perplessità, spero di non aver reso tutto troppo surreale: alla fine, ciò che volevo trasmettere, non era altri che il senso di colpa che continua ad affollare l’animo di Kise. Le vicende avvenute al Teiko ancora non lo hanno abbandonato ed ha associato l’allontanamento di Kuroko da loro come una sua possibile vendetta per ciò che è successo.
La paura di Aomine per il volo è assolutamente inventata da me (la ritenevo una cosa abbastanza divertente), mentre quella delle api è chiaramente citata nella Character Bible. Questo povero personaggio è soggetto al mio affetto nei suoi confronti: mi piace vederlo come un falso duro, abbastanza impacciato con le donne e dalla mente contorta. Spero di non averlo mandato in OOC, qualora così fosse stato siete pregati di avvisarmelo.
Mi dispiace che Murasakibara, Midorima e Akashi non abbiano avuto un ruolo rilevante in questo capitolo – quest’ultimo si rifarà senza alcun dubbio nel prossimo a venire. È già tutto deciso e posso assicurare che Kuroko sarà costretto molto presto a scontrarsi contro di lui. Sarà una discussione molto amichevole anche se l’atmosfera continuerà a mantenersi molto tesa. Ci tengo a precisare che Midorima ha sempre il telefono in mano perché riceve continui messaggi di Takao con domande riguardanti l’aggiornamento del loro viaggio e lui, naturalmente, è ben propenso a rispondergli – non è adorabile?
Vi ringrazio per aver letto questo capitolo e così anche tutta la storia.
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