Momentary Things di Nona (/viewuser.php?uid=76267)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** School Time ***
Capitolo 3: *** Break Time ***
Capitolo 4: *** Lunch Time ***
Capitolo 5: *** Garage Time ***
Capitolo 1 *** prologo ***
Prologo
MOMENTARY THINGS
Sotto il Cielo c’è un
Tempo per ogni Cosa
“Stramaledettissima sveglia!”
Io
e quell’invenzione diabolica abbiamo da sempre un rapporto conflittuale. Ho
cambiato molti telefonini a causa di questa relazione violenta. Però, da quando
ho avuto l’intuizione geniale di mettere la sigla di Spongebob Squarepants come
suoneria, va un po’ meglio. Mi mette subito di buon umore. Per quanto io possa
essere di buon umore alle sei e trenta del mattino.
Il
menu del giorno consiglia: scuola, casa, noia, libro, noia, film. Siamo alla
normalità.
Oddio.
Il
menu è sbagliato! Porcaccia! Mi sono dimenticata! Ma come ho fatto? Che
imbecille!
Ieri
ci siamo trasferiti in città. Mioddio… Questo vuol dire che oggi è il primo
giorno nella scuola nuova... che disgrazia.
Nuova
città, nuova casa, nuova scuola. Dubito che riuscirò a resistere alla
devastazione psicologica che questi stravolgimenti scateneranno. Già non stavo
bene prima, figuriamoci adesso! Vengo da un paesetto più piccolo del quartiere
in cui vivo ora. La mia casa nuova però è come quella vecchia, e inizia a
diventare un problema, perchè adesso c’è una persona in più, quindi staremo un
po’ strettini. Io, mio fratello e nostra madre siamo venuti ad abitare con il
mio nuovo patrigno Biagio. A quanto pare sono insieme da due anni, anche se
affermano che si sono conosciuti sei mesi fa. Io non mi ero accorta di niente,
come al solito, ma mio fratello, che si è preso tutto il cervello che il nostro
papi ci ha lasciato in eredità, aveva sentito odore d’amore anche prima di
nostra madre. Così ci siamo trasferiti in questa metropoli, tutti assieme.
Spero di sopravvivere.
Nota dell'autrice:
Da
decadi leggo le vostre storie qui su efp. Non ho mai avuto il coraggio
di pubblicare la mia, ma finalmente mi sono decisa. Voglio capire
seriamente se devo darmi all'ippica o posso nutrire ancora speranze sul
mio futuro creativo. Se riuscirò a farvi ridere, anzi, se
riuscirò solo a farvela piacere un pochino, sarò contenta.
Sono anni che
porto avanti questa storia. L'ho iniziata alle superiori, e i miei
protagonisti sono rimasti lì. Spero comunque che piaccia anche a
chi ha qualche anno in più.
Vediamo intanto se qualcuno la trova! Posterò il primo capitolo, "School Time", domani sera. Saluti! Nona
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Capitolo 2 *** School Time ***
School Time
School
Time
Era
una merda nella vecchia scuola, sarà una merda in quella nuova. Garantito al
limone. Da casa a scuola c’è un bel po’ di strada. Magari mi capita qualcosa di
meglio da fare.
Accipicchia,
la metro è strapiena. E dire che sono quasi in ritardo. Oh! Un posto, viva! No,
mi correggo. C’è un vecchietto che non sembra tanto stabile su quelle gambine
rachitiche a parentesi. Gli cedo il posto. Mi sorride, sono contenta. Accidenti
alla mia mania per i vecchiettini!
Madò,
non respiro. Sono schiacciata tra un impiegato dall’ascella putrida e un gruppo
di ragazzine circondate da un alone di profumo micidiale.
Mi
piace la metro. Si va sottoterra, si corre veloce… e soprattutto annunciano la
fermata, quindi è difficile sbagliare. Però le porte restano aperte per tipo
dieci secondi, se va bene. Ti devi catapultare fuori spingendo e sgomitando.
Ho
sempre il terrore di saltare la fermata, o di prendere il treno sbagliato,
quindi sono costantemente all’erta. Sarebbe una paura irrazionale, come la
Barofobia e la Dextrophobia, se non fosse che mi è già successo più di una
volta. Ho persino preso il treno sbagliato!
Oh,
la fermata! Evviva. Salva.
La
scuola è a due isolati dall’uscita della metro. Oddio. Non voglio. Posso
tornare indietro? No, non posso. Come mi fa notare un ragazzo in vespa che mi
urla di scansarmi e muovermi ad entrare, mentre tira sotto uno per
parcheggiare. Cavolo. Dal cancello al portone sono 27 passi. Sono dentro.
Diamine! Cerco la segreteria. Prego che la mia iscrizione sia andata persa
nella posta. O nella pasta. E invece niente. Sono di fronte alla mia nuova
classe. Non voglio entrare. Voglio scappare. Ma la bidella mi tiene stretto il
braccio in una morsa di ferro. Dannata! Ecco, inizia la mia veglia funebre. La
bidella bussa e mi trascina dentro. Non voglio. Aiuto. Ma, miracolo. ll
professore non mi vede neanche. Non si accorge dell’interruzione, e continua a
leggere il libro. Di solito uno studente nuovo, entrato per di più ad anno già
iniziato, lo mettono alla gogna davanti alla classe. Questo prof sembra uno
zombie brillo che non ha la più pallida idea del perché si trovi in una classe.
Insegna - forse - matematica e fisica. Non credo che andremo d’accordo. Come
già detto, è mio fratello il cervello di casa. Però le materie scientifiche mi
affascinano. In quarta elementare ho fatto esplodere la rana Gina, e con lei il
laboratorio di scienze. Poverina…
Striscio
contro la parete fino ad un banco libero in quinta fila. I ragazzi hanno alzato
lo sguardo, e qualcuno commenta neanche tanto a bassa voce, ma nessuno mi
rivolge la parola. Magnifico. Il mio compagno di banco è semisvenuto sul libro
aperto, con la bava che ha formato un rivolo dal mento fino al capitolo sulle funzioni
Lagrangiane. Inizio quasi a pensare che
me la caverò.
La
prima ora passa veloce. Non ho neanche il tempo di mettere la mia roba sul
banco che già suona la campanella. Che qui in città ha un suono diverso. Anzi,
giusto. Proprio da campanella. “Driiiiiin!” Nella mia vecchia scuola invece era
una campan-ella. Una campana piccolina. Le bidelle, anzi La Bidella, una sola,
scampanettava a mano. “Diiiiin… Doooon…” terribile.
Adesso
ci dovrebbe essere storia. Anche se la insegnano così tanto nessuno si accorge
che l’umanità ripete gli stessi errori, e visto che questi sono documentati,
potremmo benissimo evitarli. Altro che homo sapiens.
Appena
il prof esce dall’aula, vengo assalita dalle mie nuove compagne. Sembrano le
Barbie. Io non ci ho mai giocato. Che infanzia triste.
Sono
circondata da Barbie-stampini, tutte uguali. E sono tutte così rosa… Una si fa
avanti, dev’essere la capo branco. In effetti è più bella delle altre. Borbotta
qualcosa, sembra una teiera, e mi squadra da capo a piedi. Poi si gira e si
mette a confabulare con le sue Barbie-adepte. Si rigira e mi scandisce bene
(credo tema che io sia cerebralmente inferiore a causa delle mie origini
contadine):
“Devi
cambiare vestiti, cambiare pettinatura, cambiare taglia. Ti possiamo aiutare,
non temere. Benvenuta.”
…
Quasi
mi ribalto dalle risate, dentro. Fuori mi scappa giusto uno sbuffo e mi si storce
la bocca. Riesco a biascicare qualcosa, ma le Barbie non capiscono. Allora
ripeto.
“Non
sento il bisogno di cambiare vestiti, pettinatura, taglia e cervello. Il mio mi
piace e me lo tengo. Grazie per l’offerta, ma devo declinare l’invito. Nella
mia vecchia scuola ero il presidente onorario del club dei perdenti, e ho tutta
l’intenzione di insidiarmi anche qua.”
“Ma…
ma…”
Qualche
Barbie protesta, o almeno tenta, agitata ed indignata.
La
Barbie-boss prende parola:
“E
così hai scelto. Attenta, hai finito ancora prima di incominciare.”
Eeeeeh,
che esagerata!
Oh,
la profe è arrivata. Le Barbie aspettano che la leader giri i tacchi, e si
posizionano ai loro posti.
E
vabbè. Speravo di passare l’ultimo anno senza essere vista, ma così è
sicuramente più divertente.
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Capitolo 3 *** Break Time ***
Break Time
Break
Time
“Driiiiiiiin!”
Accidenti,
è già finita storia. Ma mi sono appena seduta! Autrice scansafatiche.
Oh,
la mia prima ricreazione. Devo capire un po’ come funziona qui, e non c’è
momento migliore della pausa. Gli studenti si dividono in gruppi, delineano i
posti riservati e quelli di dominio pubblico, gli angoli dove gente come me può
sperare di restare incolume almeno fino all’ora di pranzo.
Ma
soprattutto devo studiare la mia classe. Il gruppo delle Barbie domina
incontrastato in numero e in potenza di fuoco. E non ha degni rivali. Oltre a
loro ci sono: un gruppetto di cinque ragazzi teppisti; uno, immancabile, di
sfigati; i Belli, che stanno lontani dagli altri per paura di insudiciarsi; e
qualche triste studente solitario che fa finta di studiare per non pensare a
quanto la vita sia ingiusta. Benvenuti in quinta J! Vado a fare un giretto
fuori, và.
Gli
studenti si radunano alle macchinette e fuori in giardino. Per prendere una
lattina ho dovuto spendere il doppio dei soldi, fare tre figuracce e mordere al
braccio un ragazzo. Accidenti. Nella mia scuola non c’era neanche un
distributore di lattine.
Passo
le ultime tre ore della mattinata a studiare la posizione più comoda sulla
sedia, a migliorare le mie scarpe ed a personalizzarmi il banco. C’erano delle
scritte precedenti “Le Plastiche Regnano”, “Laura Baldracca”, ma con molta cura
e precisione le ho cancellate, qualche volta scrostando direttamente il
rivestimento marrone chiaro – anzi beige con una punta di giallo – e le ho
sostituite con disegnini e atti di proprietà su quest’immobile. Che poi tanto
immobile non è, visto che al mio ritorno dalla pausa tra la lezione d’inglese e
quella di filosofia non c’è più. Ma dove l’avranno ficcato? Cacchio, è un
banco, mica una matita!
Maledette
Barbie. È sul terrazzino. Questa classe è molto grande, ed è dotata di un
terrazzino di un metro per due, che regge le aste delle bandiere. Difatti il
banco non ci sta, ed è mezzo fuori, pericolosamente dondolante. L’ho trovato
grazie alla scia a mò di Pollicino di penne e fogli caduti dal sottobanco. Il professore
di filosofia è a dir poco indignato, e minaccia una nota di demerito
collettiva. Si lancia in un monologo tragico da palcoscenico sull’amicizia e la
tolleranza, soprattutto per ragazzi nuovi e con evidenti (evidenti) problemi di
socializzazione e comprensione di altre culture. Ma che credono, che vengo dal
Burundi? Abitavo a 45 chilometri da qui, in periferia… madonna, ‘sti cittadini.
Il
docente di quella superpalla costruita su cazzate megagalattiche dette da annoiati
allucinati, ossia filosofia, viene identificato come Il Pera, dal colorito
giallognolo da ittero e la forma – appunto – a pera. Sembra un birillo, ecco.
Ondeggia invece di camminare. È il responsabile della quinta J, nota
all’interno dell’edificio scolastico per i suoi studenti strafatti che
controllano con ricatti e soprusi il giro di sostanze illegali della scuola.
Il
Pera cerca studenti impreparati per l’interrogazione a sorpresa, miete vittime
una dopo l’altra, distribuendo con gaudio e tripudio voti dall’uno al quattro.
Io, nuova arrivata, per questa volta sono salva.
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Capitolo 4 *** Lunch Time ***
Lunch Time
Lunch
Time
È
dura, ormai lo sappiamo. È sempre uno schifo il primo giorno, il primo pranzo.
Ma sopravviverò. E senza ulteriori indugi, vi conduco in mensa. Solita mensa,
sono tutte uguali. Tanti tavoli da sei, un lungo bancone con il buffet. Ho
scelto questa scuola solo per la mensa, è ottima. Per il resto, una scuola vale
l’altra, anche se la Mater voleva che andassi alla scuola privata San Giuliano,
perché hanno una divisa bellissimissima…
La
fatica è trovare posto a sedere. Grazie ai tavolini gli studenti sono tutti
divisi in gruppi, e quindi è facile riconoscere i luoghi neutrali da quelli
off-limits. Le Barbie della mia classe si uniscono a quelle delle altre e
occupano, solo loro, sedici tavoli. Sono quasi un terzo degli studenti della
scuola. Cioè, accidenti se siamo messi male. Trovo la Green Zone in fondo a
destra, e mi avvio. Anche se tanto neutra non è neppure quella, perché anche
tra i brutti, gli sfigati e gli emarginati c’è discriminazione e astio. Per
quelli messi un po’ meglio di loro.
Parlando
d’altro, non vedo l’ora di ingozzarmi di purè e cotoletta. E mentre penso a
questo, mentre sbavo con gli occhi sul piatto, sbatto contro una persona. Mi dò
dell’imbecille quando spalmo la mia maglia e la sua di purè, quando la
cotoletta va a finire sulle sue scarpe, e quando il dessert – addirittura due
palline di profiterole - si spiaccica in testa ad un tipo seduto al tavolo alla
mia sinistra. Mi scuso mille volte, cercando di riparare ai vari danni,
pensando che, oddio è un ragazzo, e anche se magrissimo, adesso mi beccherò una
randellata coi fiocchi. Invece il magnanimo ragazzo ride, senza cattiveria o
ironia, ride della situazione, come se per lui fosse solo un gran divertimento
alla faccia della giornata piatta e noiosa.
Ho
finito di ripulire come meglio ho potuto la testa dell’altro tipo, che comunque
mi ha già detto che mi aspetta fuori dopo le lezioni per farmela pagare. Il
mingherlino, registrato all’anagrafe come Stefan Stein, di mamma tedesca, mi ha
fatto sedere al suo tavolo (L come Loser, ovvio) e mi ha dato metà del suo
pranzo, perfino un profiterole! Santo ragazzo. E così ho concluso la mia prima
pausa pranzo non proprio incolume ma con il posto assicurato ed un nuovo
amichetto.
Manca
tutto il pomeriggio, ma sono quasi di buon umore.
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Capitolo 5 *** Garage Time ***
Garage Time
Garage
Time
Tutto
il buonumore accumulato è svanito in un soffio. In questo momento sono in piena
crisi di nervi. Ma come si fa, dico io? Come si fa a sopportare questo strazio?
Occorre sapere che mio fratello, Sam, visto che ha tutto lo spazio possibile
dal collo in su occupato dal cervello, manca di altre parti anatomiche
fondamentali, come i vari elementi di un orecchio, e il buongusto, la decenza…
Fa
parte di una band amatoriale da più di due anni, i Papa Boyz. Cioè. I Papa
Boyz. Vi rendete conto? A parte il nome, questo gruppo di sfigati fa proprio
schifo. Ma schifo schifo. Non lo schifo che fanno i Jonas Brothers o Justin
Bieber ad un metallaro. Fanno schifissimo. E suonano ogni santo pomeriggio
sotto la mia stanza.
Dio,
perché, Dio, perché mi fai questo?
Quel
rimbecillito di mio fratello suona il flauto. Il flauto! Non ho altro da
aggiungere.
Con
lui ci sono altri quattro cerebrolesi; il vocalist, un tappo di quattordici anni
che canta come Britney Spears; il tastierista, che sembra un maiale e con
quelle dita porcelline schiaccia tre tasti al posto di uno; il chitarrista, che
avrà sì e no undici anni e la chitarra pesa più di lui (però è bravino) e il
batterista, che ha l’età di mio fratello (quindici anni) ma sembra averne
almeno il doppio, ed è un pusher pluribocciato. Che cacchio di gruppo di malati
mentali. E suonassero rock! Suonano robaccia commerciale, canzoncine pop...
porca pupazza. Preferisco andare a lavorare, piuttosto che ascoltare ancora un
minuto di questo strazio.
La
Mater e il suo uomo hanno aperto un ristorante. “La Mucca Rosa”.
Si capisce
infine da dove arrivi la creatività di Sam.
È
due isolati più a nord, quindi vado a piedi. Mi piace camminare. Sia con la
musica, e potrei andare avanti per ore, ma anche senza niente, ascoltando i
suoni che mi circondano. Certo, qui si sente solo il traffico e l’isteria
collettiva, a differenza del mio vecchio paese. Cazzo, mi manca tantissimo. Ovviamente
quando stavo là mi lamentavo in continuazione. Sia per la totale mancanza di
qualsivoglia forma di intrattenimento, sia perché gli esseri viventi presenti
erano pressoché inutili al mio svago, visto che i bipedi avevano tutti superato
abbondantemente i cent’anni, e i quadrupedi non potevano intrattenere un
discorso coerente. Alla fin fine però, il paragone non esiste. Le passeggiate in mezzo alla natura e i suoi suoni qui
non si trovano.
“Biagioooooo,
ciaoooo!”
“Ciao
Principessa! Qual buon vento! Non dirmi che hai voglia di lavorare!”
“Ha!
Spiritoso!”
“Ciao
tesoro! Sei venuta a darci una mano?”
“Ciao, mamma… penso di sì. O meglio, a casa ci sono i Papa Boyz e sono senza un
soldo, quindi questo è il mio unico rifugio…”
“Buahahaha
lo sapevo che era per i Papaz!”
“Vado
di là allora”
“Lucerto,
Principessa!”
Il
mio grembiule è rosa. A parte questo, lavorare qui non mi dispiace, è quasi divertente.
Che poi un vero lavoro non è. È solo sfruttamento bello e buono. Non mi danno
un centesimo! Biagio, quel sadico, dice che ho vitto e alloggio gratis, e
meglio di così… Mi sembra d’essere un’estranea e non una figlia! Che cattivi!
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