Amarti non era nei miei programmi, Jensen

di Diemmeci
(/viewuser.php?uid=195762)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo. ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo. ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo. ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo. ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo. ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo. ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo capitolo. ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo capitolo. ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo capitolo. ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo capitolo. ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo capitolo. ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo capitolo. ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo capitolo. ***
Capitolo 19: *** Diciannovesimo capitolo. ***
Capitolo 20: *** Ventesimo capitolo. ***
Capitolo 21: *** Ventunesimo capitolo. ***
Capitolo 22: *** Ventiduesimo capitolo. ***
Capitolo 23: *** Ventitreesimo capitolo. ***
Capitolo 24: *** Ventiquattresimo capitolo. ***
Capitolo 25: *** Venticinquesimo capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo. ***


Primo capitolo.

Sto correndo frettolosamente verso il Campo Sportivo e solo per guardare una stupida partita di Calcio. Ho promesso al mio migliore amico di andare a vederla, è la prima che gioca in serie C e ci tiene molto.
In lontananza riesco a scorgere l’entrata, quindi affretto il passo per poterla raggiungere. La partita sarebbe iniziata venti minuti più tardi, ma ci tengo a poterlo salutare prima di vederlo entrare in Campo.
«Dai, Rachel, ce la puoi fare», mi incoraggio, parlando a voce bassissima.
Continuo a tenere il passo veloce ma, senza sorprendermi, inciampo e si rompe un tacco. Sono sempre stata imbranata e questa ne è la prova.
Provo a rialzarmi, ma noto che una fitta di dolore si propaga per la caviglia e non riesco a muovermi.
«Hai bisogno di aiuto?», un ragazzo mi sta venendo incontro, ma non riesco a vedere il suo volto per via del sole che mi sta accecando.
«Sono caduta e temo di essermi slogata la caviglia», informo il ragazzo, il quale riconosco all’istante e sobbalzo per la sorpresa.
Jensen Ackles. Seguo Supernatural da una vita ed ho sempre avuto una cotta per lui. Sento le guance prendere fuoco ed abbasso lo sguardo.
«Sei una mia fan?», mi chiede divertito.
Annuisco e lo guardo, cercando di essere seria. «Si, ora puoi aiutarmi ad alzarmi?»
Sorride e sono certa che il mio cuore ha perso un battito.
Mi aiuta ad alzarmi, ma per poter restare in piedi devo poggiarmi sulla sua spalla e mi sento terribilmente a disagio.
Cosa ci fa un attore, questo attore, a Roma?
Mi torna in mente di aver letto che a Maggio sarebbero venuti qui, Jensen, Jared e Misha, ma è fine Giugno.
«Vuoi che ti porto in ospedale?», mi chiede, controllando il proprio cellulare.
Cosa devo fare? Ho promesso a Josè, il mio migliore amico, che sarei andata a vederlo giocare, ma il rompersi di una caviglia non era nei miei piani.
Dovrò scusarmi per non esserci andata, so che ci rimarrà male.
Annuisco. «Si, per favore».
«Non ho idea di dove si trovi, però», dice, ridendo.
Ha una risata contagiosa. «Be’, quando saremo in macchina ti indicherò io la strada».
«Giusto».
Continua a tenermi saldamente attacca al suo corpo e il mio disagio cresce a vista d’occhio. Avere una cotta per lui non facilita di certo le cose.
«Dobbiamo camminare un po’ per raggiungere la mia macchina, perciò facciamo così», dice, ma prima che io possa chiedere spiegazioni mi prende su una spalla, come un sacco di patate.
Invece di scalciare e cercare di convincerlo nel farmi mettere a terra, inizio a ridere. «Tu sei pazzo», urlo, continuando a ridere.
Posso capire, anche non vedendolo, che sta sorridendo. «Non sei la prima che me lo dice
«Cosa ci facevi lì dove ti ho trovata?», mi chiede, una volta che siamo in macchina.
Guardo fuori dal finestrino e mi sento in colpa per Josè. «Stavo andando a vedere la prima partita di calcio in serie C del mio migliore amico, ma purtroppo mi sono fatta male».
«Oh, mi dispiace», sussurra.
Senza farmi notare continuo a guardalo, è di una bellezza mozzafiato. Non riesco a credere che sono nella sua macchina e mi sta portando all’ospedale. Probabilmente dopo questo incontro si dimenticherà di me, ma per qualche ragione che non comprendo spero che non sia vero ciò che penso.
«Come mai invece tu sei qui in Italia?», chiedo, spostando lo sguardo sulle mie mani intrecciate.
«Resterò fino a Maggio, avevo voglia di fare una lunga vacanza», spiega, passandosi una mano fra i capelli.
E’ terribilmente sexy.
«Siamo arrivati», lo informo, indicando l’enorme edificio di fronte a noi.
Scendiamo dalla macchina e, fortunatamente, mette una mano sul mio fianco e mi aiuta a camminare fino a quando arriviamo al Pronto Soccorso.
«Non ho idea di come ti chiami», sussurra al mio orecchio.
«Rachel», dico, sorridendo.
Ci avviciniamo ad un’infermiera e Jensen spiega cos’è successo, così mi fanno entrare e mi medicano.
Fasciano la caviglia, la destra, e mi fanno andare subito via. «Ricorda che devi tornare fra quindici giorni», urla la dottoressa che mi ha medicata, prima di andarmene.
Mi hanno dato anche delle stampelle, ma non ho idea di come si usino. Non le ho mai provate, nemmeno per gioco. «Vieni, ti aiuto io», Jensen mi afferra di nuovo il fianco con una mano, facendo combaciare i nostri corpi e con l’altra prende le stampelle.
Una volta che siamo in macchina non ho idea di cosa dire. Non voglio che sia l’ultima volta che lo vedo. E’ strano, ma voglio vederlo di nuovo.
«Ti accompagno a casa o al Campo Sportivo?», chiede, mettendo in moto la macchina.
Ci penso su. La partita ormai è giunta quasi al termine, perciò preferisco andare a casa. Informo Jensen della mia decisione e quando siamo arrivati faccio una domanda che non avrei mai pensato di fare a lui. «Vuoi salire?»
Mi guarda sorridendo e scuote la testa. «No, è meglio che ti riposi».
Ci rimango male, ma cosa dovevo aspettarmi? Accenno un sorriso e scendo dall’auto.
Mi aiuta fino al porta e poi sospira. «Ci si vede», dice, stampandomi un bacio sulla guancia.
Annuisco e sorrido.
Una volta in casa tocco il punto in cui mi ha baciata ed una scarica elettrica attraversa il mio corpo.

Spazio autrice:
salve a tutti i lettori.
Questa è la prima fan fiction che posto in questa sezione, perciò spero che non faccia schifo.
Jensen è single, perciò don't worry.
Spero che vi piaccia e vi avverto che non aggiornerò regolarmente, non ho molto tempo.
Un bacio,
Diemmeci.

Su twitter sono : @Bertomio_

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


Secondo capitolo.

La mattina seguente decido di chiamare Josè e come sospettavo è arrabbiato.
«Ti sei ricordata di me, finalmente». Sbuffa, non dandomi il tempo di spiegargli cosa è accaduto.
Alzo gli occhi al cielo. «Josè, mi dispiace così tanto. Durante il tragitto sono caduta e mi sono slogata la caviglia».
Rimane in silenzio per qualche istante, probabilmente per elaborare il senso della mia frase.
«Capisco, allora non preoccuparti. Per la prossima partita verrò a prenderti io con la macchina, in modo tale da non farti fare di nuovo male». Mi prende in giro, ridendo.
Sbuffo, ma rido. «Non indovinerai mai chi mi ha soccorsa».
«Uhm», fa una pausa, «non ne ho la più pallida idea. Chi?»
Faccio un lungo sospiro. «Jensen Ackles».
Lo sento ridere. Ovviamente non mi crede, ma perché mai dovrebbe? Jensen Ackles non è la classica persona che incontri per strada. «Si, e ieri alla partita è venuto Jared Padalecki», mi prende in giro.
«Dico sul serio, Josè».
Resta un momento in silenzio. «Oh mio Dio», sussurra, «su Facebook dicono che è davvero a Roma». Urla.
Rido. «Te l’ho detto!»
«Devi assolutamente farmelo conoscere, ti prego». Mi supplica.
Come faccio? Jensen, molto probabilmente, mi ha già dimenticata.
«Certo», alzo gli occhi al cielo, «ora devo scappare, ci sentiamo più tardi».
«Va bene, ciao Rach!».
Quando ho attaccato mi guardo intorno e il mio sguardo si punta sull’orologio, che segna le dieci. Scatto in piedi e vado in camera per potermi preparare.
Devo andare a comprare un vestito per una festa organizzata da Josè, che si sarebbe tenuta la sera stesssa. Infilo un paio di jeans, una felpa e le converse.
I miei capelli, non essendo presentabili, decido di raccoglierli in una coda alta.
Il campanello di casa mi distrae dalla mia preparazione.
«Chi è?», urlo, correndo verso la porta di casa.
Non ricevo risposta, così guardo attraverso l’occhiolino e rimango a bocca aperta.

«Jensen, che ci fai qui?» Sono certa che il mio volto sia bordeaux.
Jensen si trova sull’uscio della porta e mi sorride. «Disturbo?»
Scuoto la testa e gli faccio cenno di entrare. Si guarda intorno e sorride nel vedere un enorme poster attaccato al muro, il quale ritrae Dean Winchester.
«Team Dean?» Chiede, sorridendo.
«Già».
Ci sediamo sul divano e mi sento terribilmente a disagio. Cosa ci fa qui?
«Sono passato per vedere come stavi», dice, rispondendo alla mia domanda non espressa.
Sorrido. «Sto molto bene», faccio una pausa, «però stavo uscendo».
«Oh, dove stavi andando?»
«Devo comprare un vestito per una festa che ha organizzato Josè, sai, il ragazzo della partita».
Annuisce. «Capisco. Posso accompagnarti?»
«Certo, ma sei sicuro di voler entrare nel tunnel dello shopping?», sorrido.
Sospira. Come fa ad essere così sexy anche quando sospira? «Farò questo sforzo».
Mi alzo e faccio un saltello. «Allora andiamo».
Annuisce e mi segue fino a fuori casa.
Ogni tanto ci capita di incrociare gli sguardi ed ogni volta che questo accade il mio cuore perde un battito. Jensen Ackles sta uscendo con me e non riesco ancora a crederci.
«Anche il tuo migliore amico vede Supernatural?», mi chiede, distraendomi dai miei pensieri.
«Si, ma è Team Sam, mi dispiace». Rido.
«Me ne farò una ragione».
Sorrido e ricordo cosa mi ha detto Josè. «Posso presentartelo? Stamattina, prima che tu arrivassi, ci stavo parlando al telefono e gli ho detto di averti incontrato». Alzo le spalle, cercando di non sembrare imbarazzata.
L’ombra di un sorriso sfiora le sue labbra. «Potrei stasera».
«Puoi venire alla festa, se vuoi. Sono certa che gli farebbe molto piacere».
Ci pensa un istante, ma finisce per annuire. «Posso».
Sospiro, sollevata di poterlo vedere anche questa sera. E’ strano quanto mi abbia preso con solo due giorni, ma spero mi passi presto. Non voglio entrare nel tunnel dell’amore, non ora.
I miei piani sono basati sul divertimento.
«Hai un abito adatto?»
Sorride, annuendo. «Ovvio», fa una pausa, «posso passarti a prendere?»
Mi coglie di sorpresa, tanto da farmi rimanere a bocca aperta. La cosa strana è che per la festa mi sarebbe servito un accompagnatore, ma mai avrei immaginato che sarebbe stato lui.
«Per me va bene». Acconsento, arrossendo.
Un istante dopo mi ritrovo a terra: sono inciampata su una lattina di Coca-Cola. Jensen inizia a ridere, fino ad accasciarsi accanto a me ed io, senza volerlo, lo imito. «Sei davvero goffa». Dice, mentre mi aiuta a rialzarmi.
Alzo le spalle e pulisco di pantaloni. «Facci l’abitudine, mi succede molto spesso».
Arriviamo al negozio di abiti e non appena entriamo tutte le ragazze si voltano a guardare Jensen. Non ci fa caso, ma io si.
Non sono gelosa, ma stando insieme a lui mi irrita che lo guardino tutte. Lui è con me, non con loro.
«Hai in mente qualcosa?» Mi chiede, guardando i vari tipi di vestiti.
Scuoto la testa. «No».
Mi sorride ed inizia a guardarsi intorno. Vuole scegliere un vestito per me? Lo osservo sorridendo, non posso farne a meno, e ad un certo punto torna verso di me con un vestito in mano.
E’ verde, semplice, ma con un enorme fiocco sotto il seno sinistro. Potrebbe arrivarmi appena sotto il sedere.. «Vorresti farmi indossare questo?» Chiedo, indicando il vestito.
«Provalo, credo di starebbe bene. Porti una S, giusto?»
Annuisco, a bocca aperta, e vado in camerino per cambiarmi.
Mi guardo allo specchio prima di uscire e noto che è davvero troppo corto per i miei gusti.
«Ti sta d’incanto», Jensen si avvicina e mi osserva.
Divento rossa in viso. «E’ troppo corto», piagnucolo.
«Ti prego, indossa questo. Sei favolosa».
Sgrano gli occhi per le parole che mi ha detto, ma lui non si scompone e continua sorridermi. Sbuffo ed acconsento. «Va bene, per le scarpe?»
Sembra uno stilista. «Un paio bianche con il tacco, molto alto».
«Le ho a casa». Mi  precipito a dire.
«Va bene, allora prendi questo e sotto metterai le scarpe bianche».
Scuoto la testa. Perché vuole farmi indossare un simile vestito? Non lo avrei mai scelto da sola, ma sono felice che lo abbia fatto lui. Cercherò di non provare vergognare. Dopotutto è solo un vestito.

Una volta fuori dal negozio andiamo al bar per fare colazione. Appena arriviamo ci sediamo ed attendiamo che arrivi il cameriere a chiedere le ordinazioni. «Jensen, perché hai deciso di fare una vacanza così lunga?» Gli chiedo, sperando di non essere invadente.
Alza le spalle. «Abbiamo appena finito di girare l’ottava stagione, perciò ho pensato che mi serviva pausa».
«Oh, capisco».
Una cameriera viene verso di noi, ma nota solo Jensen. Mentre chiede continua a fissarlo e cerca di sembrare sexy. Patetica.
«Per il signore, quindi, un cappuccino e una brioche. Per lei?», si volta a guardarmi e mi squadra.
«Lo stesso, grazie». Sbatto velocemente le ciglia, in modo da sembrare una stronza.
Annuisce e si allotana, sculettando.
Sbuffo sonoramente e Jensen sorride. «Cosa c’è?»
«Quella ti stava mangiando con lo sguardo e mi squadra perché sono qui con te. E’ patetica». Mi pento immediatamente di ciò che ho detto, sembro una fidanzata gelosa.
«Ci sono abituato, non preoccuparti». Mi rassicura.
Gli sorrido. «Stasera devi passare a prendermi alle sette». Gli dico, per cambiare discorso.
Annuisce. «Va bene. Sei sicura che a Josè non darà fastidio se vengo senza invito?»
«Scherzi? Non appena ti vedrà inizierà a saltellare ed urlare come una femminuccia». Rido, immaginando la scena.
Spalanca gli occhi. «Ho paura di Josè, allora».
Continuo a ridere, ma non appena vedo la cameriera tornare con le nostre ordinazioni mi faccio seria. Posa i cornetti al centro del tavolo e mi porge il cappuccino, lo stesso a Jensen.
«Cos’è?», nel piattino dove è poggiata la tazzina per il cappuccino c’è un foglio.
Glielo sfilo di mano e controllo: è un numero di telefono. Inizio a ridere e, alzandomi, lo strappo. Lo butto vicino al cestino dove si trova la cameriera e mi fulmina con lo sguardo.
«E’ stato divertente», mi fa notare Jensen, ridendo.
«Mi sento soddisfatta. Quella è solo una troia». Dico, fingendomi superiore.
Storce le labbra. «Non è che sei gelosa?»
Sbuffo. «Mai».
Non lo sono, vero?

Spazio autrice:
Salve lettori, colgo l'occasione per dirvi: BUON ANNO!
Anyway, vi ringrazio per le recensioni del primo capitolo e spero continuerete a seguire la storia.
Un bacio.

Diemmeci.

On twitter : @Bertomio_ 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terzo capitolo. ***


Terzo capitolo.
 

Come previsto, alle sette puntuale sono pronta.
Mi guardo allo specchio e faccio una smorfia. Avrei dovuto scegliere un vestito più lungo, ma Jensen mi ha praticamente costretta. Odio far vedere alle persone le mie gambe, non mi sento  a mio agio.
Il suono del campanello mi distrae dai miei pensieri e vado ad aprire.
Sull’uscio della porta c’è un Jensen sorridente ed elegante. «Buona sera». Prende la mia mano e bacia il dorso.
Rimango impalata a fissarlo. «Andiamo?» Chiede, continuando a sorridere.
Annuisco e lo seguo fino alla sua macchina. E’ una Mercedes, ultimo modello. Però, spende bene i soldi.
«Mi faranno entrare?» Chiede, mettendo in moto la macchina.
«Si, dirò che sei il mio accompagnatore, il che è vero».
Sorride. «L’indirizzo?»
Gli porgo l’invito e una volta che riusciamo a capire il luogo dove si tiene la festa partiamo. Il viaggio è silenzioso,ma nessuno di noi due accenna di voler proferire parola.
«Ecco, siamo arrivati!»
Spalanco gli occhi per la sorpresa. Fuori, all’entrata, ci sono due uomini , grandi quanto un armadio, che controllano gli inviti. Mettono paura, almeno a me. «Andiamo, dai».
Jensen mi afferra la mano e mi trascina dietro la coda, che è molto lunga.
Josè mi ha accennato al fatto che avrebbe invitato molte persone, ma non avrei mai immaginato che ce ne sarebbe state così state. Fiumi di gente si unisce alla fila per poter entrare e resto sempre più sorpresa.
«L’invito?» Chiede uno dei due uomini, una volta arrivati all’entrata.
Glielo porgo e ci lascia entrare, senza chiedere nulla su Jensen. Meno male.
«Vuoi qualcosa da bere?» Mi chiede.
«Si, nel frattempo vado a cercare Josè», rispondo.
Mi sorride e si allontana. Mi guardo intorno in cerca di Josè e finalmente riesco a vederlo, così lo raggiungo.
Mi viene incontro e mi abbraccia. «Sono felice di vederti. Sei una schianto Rach!», esclama, dandomi un bacio sulla guancia.
«Anche tu stai bene», rispondo, sorridendo. «Devo presentarti una persona».
Sgrana gli occhi, capendo di chi si tratta.
Una mano si posa sul  mio fianco e sapendo che è Jensen sorrido, aspettando la reazione idiota di Josè.
Come sospettavo, inizia a saltellare e urlare il suo nome. «E’ un piacere conoscerti».
Jensen gli porge la mano e sorride. «Il piacere è mio, Josè».
Si tappa la bocca con la mano. «Sai il mio nome», sussurra, sorridendo.
Soffoco una risata e continuo a gustarmi la scena, fino a quando altre persone si accerchiano intorno a noi e osservano Jensen.
Molte donne cercano di attirare la sua attenzione e, per reprimere la voglia di strozzarle, mi mordo il labbro.
«Andiamo a farci un giro», mi prende per mano, «con permesso».
Mi trascina lontano dalla folla e, trovando un divanetto libero, ci sediamo. Mi offre un drink, il quale aveva in mano da prima e lo sorseggio.
«Josè ti ama», dico, ridendo.
Si gratta la nuca. «L’ho notato. Aspetta, ma ha gusti diversi dai miei, per caso?»
Scuoto la testa, sorridendo per la sua incomprensione. «Ha una fidanzata, ma diciamo che ha delle reazioni esagerate».
«Capisco».
Restiamo in silenzio e un gruppo di ragazze viene verso di noi o è meglio dire verso Jensen, sorridendo. «Ciao Jensen, possiamo farci una foto con te, per favore?», chiede una bionda, sbattendo velocemente le ciglia.
Stai calma, Rachel.
«Certamente. Rachel, ci fai una foto?», mi porge la macchinetta fotografica.
Annuisco e mi alzo, posizionandomi di fronte a loro e scatto una foto.
«Se non è troppo ci fai un autografo?», chiede nuovamente la bionda.
Jensen prende un pennarello nero dalla tasca interna della giacca e firma su dei fogli di carta.
«Perfetto!», esclama la bionda, «grazie mille».
Sorridendo si voltano e camminano sculettando dalla parte opposta di dove ci troviamo noi.
«Cosa ti va di fare?», Jensen si passa una mano fra i capelli.
«Uhm», ci penso su, «ho voglia di andarmene, sinceramente».
Sorride e mi prende per mano, andiamo verso Josè e lo informiamo che dobbiamo andare via per un motivo inaspettato.
Jensen è un bravo attore.
Josè è deluso, ma cerca di mascherarlo, così ci abbraccia e ci lascia andare.

«Dove vuoi andare?», mi chiede, una volta in macchina.
«Sei mai stato alla Fontana di Trevi?»
Scuote la testa. «Sfortunatamente no, se mi spieghi la strada ci andiamo».
Sorrido e, prima che metta a moto, gli spiego la strada. Come sempre, il viaggio in macchina è silenzioso.
«Ecco, siamo arrivati».
Parcheggia la macchina e ci dirigiamo verso la Fontana, la quale è accerchiata da tantissime persone. Roma è sempre stata affollata la notte ed ormai non me ne sorprendo più.
Mi siedo sulla ringhiera che accerchia la Fontana e lo stesso fa Jensen.
«Lo sai che, se butti una monetina nella fontana, puoi esprimere un desiderio?», gli chiedo, guardando le centinaia di monetine nell’acqua.
Storce di lato la testa e sorride. «Non credo molto a queste cose».
«E’ divertente», sussurro.
«Cosa?»
«Pensare, almeno per qualche secondo, che tutto è possibile», termino la frase.
Si passa una mano fra i capelli ed infila una mano nella tasca dei pantaloni, estraendone una moneta di venti centesimi. «Ci provo, allora».
Sorrido. «Ah, però devi voltarti di spalle alla Fontana».
Fa come gli dico e chiude gli occhi. Non ho idea di cosa possa desiderare, ma non me ne importa. Tira la moneta e li riapre, sorridendomi.
«Spero funzioni», dice.
«Be’, io lo spero per te».
Decidiamo di allontanarci dalla Fontana e facciamo una passeggiata nella zona, ma improvvisamente esce fuori un giornalista e fa qualche domanda a Jensen.
Lui non sembra essere a disagio come me, probabilmente è abituato a tutte queste attenzioni, al mio contrario.
Non credo che sarei in grado di sopportare tale pressione.
«Lei chi è?», chiede il giornalista, distraendomi dai  miei pensieri, indicandomi.
Jensen mi guarda e sorride. «Una mia amica».
Il giornalista alza un sopracciglio ed annuisce. «E’ tutto, mi scuso per averle rubato tempo. Arrivederci».
Jensen fa un cenno con il capo e proseguiamo la passeggiata.
«Non ti da fastidio tutto questo?», gli chiedo senza pensarci.
«Tutte le attenzioni che ricevo, intendi?»
Annuisco, in attesa di una risposta. «Be’, sono abituato, ma non mento se dico che mi piacerebbe non essere riconosciuto a volte».
«Capisco», sbadiglio, ma non faccio in tempo a mettere la mano davanti alla bocca.
«Hai sonno?»
«Un po’».
«Ti accompagno a casa».
Andiamo verso la macchina e il viaggio di ritorno è come quello dell’andata: silenzioso.
Una volta arrivati insiste nel accompagnarmi davanti alla porta. Non siamo in uno stupido film, maledizione!
«Buona notte», mi stampa un bacio sulla guancia.
Arrossisco e sorrido. «’Notte».
Lo vedo entrare in macchina ed allontanarsi.
Entro in casa e sospiro.
 

Spazio autrice:
salve, chiedo scusa per il ritardo, ma ora ecco il nuovo capitolo!
Spero vi piaccia e grazie ancora per le recensioni.. un bacione!

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quarto capitolo. ***


Quarto capitolo.

Il tanto atteso Weekend arriva, ma non ho programmi.
«Anna?», chiamo una mia cara amica, che non sento da molto tempo.
Resta un istante in silenzio, ma poi parla: «Rachel, tesoro, come stai?»
«Molto bene, e tu?»
Sospira. «Potrei stare meglio. Jake mi ha lasciata, di nuovo».
Jake è stato il suo fidanzato per quattro anni, ma quest’ultimo anno lo hanno passato lasciandosi e rimettendosi insieme. Le cause sono a me sconosciute, ma molto probabilmente ci sono stati dei tradimenti. Li conosco bene e so che sarebbero capaci di una cosa simile.
«Mi dispiace, è definitiva?», mi fingo dispiaciuta, ma non lo sono realmente.
Non la rende felice, perché allora dovrebbero continuare a stare insieme?
«Penso di si. Ad ogni modo, volevi chiedermi qualcosa?»
Esito, ma alla fine cedo. «Volevo chiederti se vorresti passare la Domenica con me. Potremmo andare a fare una passeggiata in montagna o qualcos’altro».
«Mi piacerebbe molto. Ci vediamo domani allora, a che ora?»
«Facciamo verso le tre di pomeriggio?», propongo.
«Perfetto».
«A domani, ciao».
«Ciao tesoro».
Dopo aver attaccato decido di pulire la casa, che è un porcile, letteralmente.
Punto lo sguardo sul poster di Dean Winchester e penso automaticamente a Jensen. Perché non mi ha baciata?
Forse non prova i miei stessi sentimenti, ma se fosse così io mi sto solo illudendo.
Senza accorgermene mi ritrovo a terra, per colpa di un cartone di pizza che si trovava nascosto sotto una coperta. Mi sento una stupida.
Il citofono di casa mi distrae, così sono costretta ad alzarmi ed andare ad aprire. «Chi è?»
Apro la porta e mi trovo davanti Josè, che mi sorride. «Sono felice per te», dice, entrando e sedendosi sul divano.
Alzo un sopracciglio, non capendo di cosa stia parlando. «Cosa?»
«Ho detto che sono felice per te», ribadisce.
«Non ho idea del perché io dovrei essere felice».
Sgrana gli occhi e mi mostra il giornale che ha in mano. «Dai un’occhiata a pagina venti».
Faccio come mi dice e rimango a bocca aperta. C’è una foto enorme che ritrae me e Jensen in giro per Roma.

IL NUOVO AMORE DI JENSEN ACKLES.


Leggo il titolo e mi manca il fiato: hanno frainteso tutto, ma ora come faccio?
«Oh mio Dio», sussurro, «Josè, io e Jensen siamo solo amici».
«Ma è impossibile!», esclama. «Guarda queste foto, guarda in che modo vi scambiate questi sguardi».
Indica la foto e in particolar modo gli occhi. «Ok, stai sclerando».
«Rach, anche se siete amici ormai tutti pensano il contrario».
Mi sbatto la mano in fronte più volte e penso di quanto io sia stata stupida. E’ logico che avrebbero frainteso.
«Troverò una soluzione», dico, «domani vado con Hannah in montagna, vuoi venire anche tu?»
Siamo tre amici da una vita e ad Hannah non avrebbe dato fastidio Josè. «Certo, vengo qui, a che ora?»
«Alle tre».
«Perfetto», si dirige verso la porta e la apre, «ci vediamo alle tre».
Mi fa l’occhiolino e scompare dietro la porta.
Il mattino seguente mi sveglio di buon’ora e faccio tutte le faccende domestiche, per poi farmi una doccia.
Cucino la cena, così avrei dovuto solo riscaldarla e poi guardo la televisione.
Le tre arrivano in fretta ed io sono già pronta per fare una passeggiata in montagna. «Ciao Rach!», Anna è davanti il portone di casa e mi abbraccia.
Ricambio l’abbraccio e le sorrido. «Hey, viene anche Josè, ti ha avverito?»
Annuisce. «Si, è già nella mia macchina, ma c’è anche un’altra persona.»
«Jake?»
Scuote la testa. «Jensen».
Sgrano gli occhi e rimango così per qualche istante. «Avete invitato Jensen?»
«Non guardarmi così, lo ha chiamato Josè», alza le mani, in segno di difesa.
Mi dirigo verso la macchina ed entro, sorridendo. «Ciao a tutti».
Jensen sorride e Josè ha capito che sono arrabbiata. Come ha potuto invitarlo? Mi sento in imbarazzo per quello che ho letto su di noi nei giornali, ma il problema è se anche lui sa.
«Hai letto i giornali?», gli chiedo, senza pensarci due volte.
Annuisce. «Si, e volevo dirti che mi dispiace. Ora ti tormenteranno e non avrei mai voluto».
Gli sorrido. «Non ti preoccupare, davvero».
Hannah e Josè parlano tra di loro e sembrano aver dimenticato me e Jensen.
Sposto lo sguardo fuori dal finestrino e mi concentro per non strangolare Josè. E’ stato davvero uno stronzo.
Arriviamo al limite nel quale possiamo arrivare con la macchina e proseguiamo a piedi per la montagna.
Io e Hannah lo abbiamo fatto molte volte, solo per divertirci. «Ricordi la prima volta che abbiamo fatto una passeggiata da sole?», mi chiede, ridendo.
Io annuisco. «Be’, è stato imbarazzante».
Jensen e Josè ci guardano, non capendo di cosa stiamo parlando. «La prima volta che abbiamo deciso di fare una passeggiata in questo posto avevamo solo tredici anni. Rachel era già spaventata prima di iniziare la passeggiata, così quando abbiamo incontrato due ragazzi che passeggiavano per conto loro ha iniziato a correre e , senza volerlo, è inciampata su una radice ed è caduta. Ha rotolato per un buon pezzo, in discesa». Rachel ride ed io la imito.
Sono stata davvero un’imbranata. «Avevo paura», mi giustifico, ridendo.
Jensen mi guarda e sorride. «Attiravi disgrazie sin da ragazzina allora».
Annuii. «A quanto pare si».

Alle nove decidiamo di tornare a casa: siamo tutti stanchi.
Jensen, in macchina, parla al telefono in inglese e sembra davvero arrabbiato. Quando attacca gli chiedo cosa è successo. «Non ho idea del perché, ma la mia stanca in albergo è stata prenotata ad un’altra persona ed ora non ho un tetto sotto cui passare la notte». Mi spiega.
Non ci rifletto due volte che gli do il mio aiuto. «Se vuoi, potresti venire a stare da me», dico.
«Davvero?», sembra sorpreso.
Annuisco e guardo davanti, dove Josè e Hannah mi guardano con un’espressione maliziosa disegnata sul viso. Scuoto la testa e gli sorrido, mimando con le labbra la parola “stupidi”.
«Fino a quando non troverò un posto libero posso stare, quindi?», chiede Jensen, per ricevere una conferma.
«Si, non preoccuparti».
Arriviamo a casa e i bagagli di Jensen vengono portati da un impiegato dell’hotel. Jensen gli lascia una mancia molto alta: probabilmente è venuto perché sapeva che avrebbe ricevuto tutti quei soldi.
Dopo aver salutato Josè ed Hannah entriamo in casa e Jensen sistema in salotto le valigie. «Dormirò sul divano», dice, sorridendo.
«Sei un’ospite, perciò potrai dormire nel mio letto ed io dormirò sul divano», ribatto.
«Non se ne parla».
«Sei sicuro?»
Annuisce. «Più che sicuro».
Alzo le spalle in segno di resa e vado in camera mia per infilarmi il pigiama, per poi andare in bagno e togliere quel poco trucco che avevo messo.
Torno in sala e trovo Jensen disteso sul divano che fissa il poster di Dean. «Se vuoi lo tolgo».
Si alza di scatto. «Mi hai spaventato», ride, «non preoccuparti, non mi da fastidio avere me stesso qui davanti a me».
Arrossisco. Avrei dovuto togliere quel poster mesi fa, ma non ci sono mai riuscita: è più forte di me.
«Domani mattina io devo andare a lavoro», lo informo, «esco alle otto e mezzo. Cerco di non fare rumore, ma non ti assicuro nulla».
«Ok, io mi sveglio un po’ più tardi. E’ un problema?»
«Assolutamente no».
«Bene, io vado a letto», annuncio, sorridendo.
Ma, prima di fare un passo indietro, inciampo su Jensen e ci troviamo a pochi centimetri di distanza. Avverto le guance andare in fuoco, ma invece di togliermi da questa situazione imbarazzante rimango a guardarlo, incantata.
Quegli occhi verdi mi scrutano in fondo, fino all’anima. Mi sento nuda di fronte a lui. Il cuore accellera e la distanza che ci separa diminuisce, ma in uno scatto veloce mi alzo e vado in camera mia senza dire una parola.
Che cretina che sono!
Mi infilo sotto le coperte e mi addormento all’instante; quella notte sognai degli occhi verdi:i suoi.

Spazio autrice:

heilàà, ecco il nuovo capitolo.
Allora, per chiarire la questione "CHE LINGUA PARLANO?" vi spiego. Ho deciso che parlano italiano. Lo farò capire meglio nei prossimi capitolo. Si capisce anche perchè nel capitolo lui parla in inglese con qualcuno al telefono.
Ad ogni modo, GRAZIE A TUTTI PER LE BELLISSIME RECENSIONI.
Ricordate: sempre maggiori di DIECI PAROLE, per favore.

Un bacio.

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quinto capitolo. ***


Quinto capitolo.

«Èdomenica, finalmente», sospiro e mi lascio cadere sul divano, con tutto il peso.
E’ passata una settimana e Jensen si trova ancora a casa mia, perché non riesce a trovare un’altra sistemazione. Penso sia strana come cosa, come fa a non trovare un hotel che può ospitarlo?
«Buongiorno», Jensen si siede accanto a me, sorridendo.
Ricambio il sorriso per poi puntare lo sguardo sulla televisione spenta. Perché devo sempre sentirmi in imbarazzo davanti a lui? «Hey», mi limito a dire.
«Devo dirti una cosa molto importante».
Mi mordo il labbro. «Certo, dimmi».
«Fra poco ci sarà il compleanno di Jared e mi chiedevo se volessi venire anche tu. Lo festeggerà in un locale, a Los Angeles».
Spalanco gli occhi. Vuole davvero portarmi a Los Angeles con lui? «E lui è d’accordo?»
Annuisce. «Per lui va più che bene», afferma, sorridendo.
Come posso rifiutare un’offerta del genere? Andare insieme con lui, in più a Los Angeles, per il compleanno di uno dei miei attori preferiti è la cosa più straordinaria che mi fosse mai accaduta.
«C’è solo un piccolo problema», sussurra.
«Sarebbe?»
«Il compleanno è il diciannove Luglio ed oggi è quindici. Abbiamo poco tempo per organizzarci e in più devi andare al pronto soccorso a vedere se è tutto apposto con la caviglia».
«Posso andare oggi stesso al pronto soccorso, ormai è guarita», dico, accennando un sorriso.
«Perfetto!», esclama. «Vuoi che ti accompagni?»
Scuoto la testa. «Non preoccuparti. Mi preparo e poi vado».
Mi alzo dal divano e mi reco in bagno, ma il cellulare mi distrae, quindi devo tornare in sala per rispondere. «Pronto?»
«Rach, come stai?», è Josè.
Torno in bagno, chiudendo a chiave la porta. Devo assolutamente informare Josè! «Bene. Non sai cosa mi ha appena chiesto Jensen».
«Di sposarti?», chiede, ridendo.
«No», rispondo, secca. «Mi ha proposto di andare a Los Angeles per il compleanno di Jared!», esclamo.
Sento un urlo provenire dall’altra parte del telefono. «Ci andrai, vero?», urla.
Rido. «Certo».
«Rach, devo lasciarti, è tornata a casa Camilla».
Sbuffo. «Ok, ci sentiamo!», attacco, prima di dargli tempo di rispondere.
Camilla è la sua fidanzata, che purtroppo non mi è andata mai a genio. Ha l’aria di una persona superficiale, ed io odio le persone superficiali.
Termino di prepararmi, per poi andare al pronto soccorso.

«Sei pronta?», mi chiede Jensen, per la terza volta nell’arco di cinque minuti.
«Ora si», gli appaio davanti, facendolo sobbalzare.
Fra due ore abbiamo l’aereo per Los Angeles e siamo decisamente in ritardo. L’aereo porto non è molto distante, ma se incontriamo traffico siamo finiti.
«Sei nervosa?» Come ha fatto a notarlo?
Mi mordo il labbro, scuotendo la testa. «No, perché?»
«Ti stai mordendo il labbro, lo fai solo quando sei nervosa», risponde, lasciandomi a bocca aperta.
Gli faccio la linguaccia, per non peggiorare la situazione e poso lo sguardo fuori dal finestrino. Fortunatamente non incontriamo traffico e in venti minuti arriviamo.
«Vado a fare il check-in, tu aspettiamo qui», dice, allontanandosi.
Resto sola e per non sembrare un’imbranata mi siedo, ma prima di averlo fatto ho quasi fatto cadere una signora a terra. Mordo il labbro per reprimere la voglia di ridere ed attendo che Jensen torni.
Non sembra reale ciò che sta accadendo. Ho paura che potrei svegliarmi e capire che è tutto un sogno, ma è realtà. La realtà!
«Hanno anticipato il volo, dobbiamo imbarcarci ora», Jensen mi appare accanto.
Annuisco e lo seguo, fino all’aereo. Prima di questo momento non ho mai avuto l’occasione di viaggiare in aereo. Spero solo che non faccia paura.
Mi mordo il labbro, nervosa per l’attesa che parta. Accidenti! Jensen ha ragione che mordo il labbro quando sono nervosa.
«Allacciate le cinture di sicurezza, stiamo per partire», una voce meccanica mi distare dai miei pensieri.
Faccio come ha detto e, prima che l’aereo decolli, il sorriso di Jensen mi tranquillizza.

«Rachel, siamo arrivati», sento due mani scuotermi, così sobbalzo per lo spavento.
Jensen si trova a pochi centimetri da me e mi sorride. «Mi sono addormentata», rido.
«L’ho notato», mi fa l’occhiolino, alzandosi dal proprio posto.
Raccogliamo i nostri bagagli per poi uscire dall’aereo porto. Non riesco a credere che mi trovo a Los Angeles! Ho sempre desiderato visitarla, ma non avrei mai pensato che l’avrei fatto in questo modo.
Con lui.
«Fino a domani staremo in un albergo, per te va bene?», mi chiede, fermando un taxi.
Annuisco. «Si».
Entriamo nel taxi e Jensen informa il conducente su dove dobbiamo andare. «C’era solo una camera libera, è un problema dormire insieme?»
No, ti pare? «Va bene».
«Ecco, ci sarebbe un altro problema».
«Dimmi».
Sorride. «C’è solo un letto matrimoniale», sussurra.
«Per me non è un problema», gli dico, cercando di apparire calma, quando non è così.
«Lo stesso vale per me», mi sorride.

Spazio autrice:
ok.. vi chiedo scusa per l'enorme ritardo ma senza ispirazione non posso scrivere çç
spero vi piaccia questo capitolo.. ditemi voi.
RECENSIONE MAGGIORE DI DIECI PAROLE.

On twitter: @Bertomio_

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sesto capitolo. ***


Sesto capitolo.

Mezz’ora più tardi il taxi si ferma e, dopo aver recuperato i bagagli, entriamo nell’immenso hotel.
Jensen non ha badato a spese, a quanto vedono i miei occhi. «Vieni», mi sussurra all’orecchio, facendomi poi cenno di seguirlo.
Alla reception, una donna osserva Jensen con lo stesso sguardo delle altre. Ormai ci ho fatto l’abitudine. «Salve, ho prenotato una stanza matrimoniale», la informa, sorridendo cordialmente.
La donna annuisce. «Jensen Ackles, esatto?»
«Giusto», afferma, afferrando le chiavi della stanza.
Continuando  a trascinarci dietro i bagagli, entriamo in un ascensore e Jensen pigia il tasto trenta. Siamo al trentunesimo piano?
«Hai fame?», mi chiede, passandosi una mano fra i capelli.
Non mangio da quando siamo partiti, perciò annuisco, immaginando un buon panino da gustare.
La porta dell’ascensore si spalanca e, a passo veloce, raggiungiamo la nostra stanza. Non appena entriamo resto a bocca aperta, è la migliore stanza d’albergo nella quale sono mai stata. «Wow», sussurro, lasciando cadere la mia valigia a terra.
«Ti piace?», mi chiede, divertito.
«Decisamente», affermo, buttandomi sul letto ma, quando ricordo che avremmo dovuto dormirci entrambi, arrossisco per questo mio gesto.  
«Cosa ordino da mangiare?», chiede, sorridendo.
Sembra non essersi accorto del mio disagio. «Uhm, mi piacerebbe tanto mangiare un panino».
«Cosa ci vuoi dentro?»
«Cotoletta, salsa barbecue, insalata e pomodoro», rispondo, leccandomi le labbra.
Jensen ride. «Prendo lo stesso», mi fa l’occhiolino.
Prende il telefono e fa l’ordinazione, poi si allunga vicino a me sul letto e restiamo in silenzio. Cosa potrei dirgli?
È una situazione tremendamente imbarazzante, almeno per me. Lui è sempre così tranquillo,non riesco a capire quando è in imbarazzo o almeno nervoso. Dopo alcuni minuti di silenzio, sento una stretta alla mia mano, così volto la testa e trovo Jensen a pochi centimetri da me.
Deglutisco, ma non ho idea di cosa fare. «Posso confessarti una cosa?», sussurra, a fior di labbra.
Annuisco. «Certo».
«Da quando ci siamo conosciuti non faccio altro che non pensare a te», mi confida, avvicinandosi.
Le nostre labbra si sfiorano appena e, quando sto per baciarlo appassionatamente, bussano alla porta, facendomi sobbalzare.
Jensen si alza dal letto ed apre la porta, facendo entrare un cameriere con le nostre ordinazioni.
Quando esce, mi avvicino al carrello ed afferro il mio panino, cercando di rimanere più tranquilla possibile. Come posso dopo una situazione del genere?
«Si mangia!», esclama Jensen, addentando il panino.
Gli sorrido e lo imito. Lo gusto lentamente, lanciando occhiate a Jensen, che, fortunatamente, non se ne accorge.
«Domani c’è la festa, ma ti andrebbe di conoscere oggi Jared?», mi chiede.
Il panino mi va di traverso, ma mi ricompongo in pochi istanti. «Si!», esclamo, felice.
«Tanto, anche se non avresti voluto, saremmo dovuti andarci ugualmente. Ci hanno invitati a cena», sussurra, ridendo.
Mi mordo il labbro. «Non avrei mai rifiutato», gli dico, facendogli la linguaccia.

La sera, dopo esserci entrambi preparati, prendiamo un taxi per andare da Jared. Prima di oggi non ero a conoscenza del fatto che avesse una casa a Los Angeles.
«Ci sarà anche Genevie?», gli chiedo, spostando lo sguardo sulle mie mani intrecciate.
«Si».
Non sarò l’unica donna, sono felice di saperlo.
Non abbiamo più parlato di quello che è accaduto qualche ora fa. Io non ho il coraggio di prendere il discorso, perciò, se non lo fa lui, penso che non ne parleremo mai. 
«A proposito, prima, mentre ti prepari ha squillato il tuo cellulare», mi informa.
«Chi era?», chiedo, curiosa.
Sorride. «Josè. Appena ha capito che ero io ha urlato».
Rido. «Mi dispiace, è fatto così».
Si stringe nelle spalle.
Pochi istanti dopo siamo arrivati. Davanti a noi c’è un’enorme villa, ma non mi sorprendo, visto che Jared è molto ricco.
«Tu anche hai una villa?», chiedo a Jensen, ridacchiando.
Annuisce. «Si, ma ci vado qualche settimana durante l’estate, preferisco restare in un appartamento ed avere la mia privacy».
Jensen suona al campanello e, senza che nessuno risponda, aprono il cancelletto. Entriamo e da lontano noto Jared venire verso di noi. Sono così emozionata che inizierei a saltellare, come Josè, ma cerco di mantenere la calma. «Jen, che piacere!», esclama, una volta averci raggiunti.
Jensen gli da una pacca sulla spalla. «Anche per me. Lei è Rachel», mi presenta, sorridendo.
«Ciao», sussurro, sentendomi in imbarazzo.
Jared sorride e, prima che parli, mi abbraccia. Forse ha capito che sono una fan e sono davanti ad uno dei miei attori preferiti. «È un piacere conoscerti», dice, una volta sciolto l’abbraccio. «Ho sentito tanto parlare di te», sussurra appena, lanciando un’occhiata a Jensen.
Ha parlato a Jared di me?
«Andiamo dentro, sarà pieno di paparazzi nascosti», Jared ci fa strada fino all’entrata di casa.
«È bellissima, complimenti», gli dico, guardandomi intorno.
«È tutto merito mio!», Genevie appare da dietro la porta della sala, sorridendo.
Ci viene incontro e, prima di fare le presentazioni, saluta Dean con un caloroso abbraccio.  «Rachel, che piacere conoscerti!», esclama, dandomi un bacio per ogni guancia.
Sorrido. «Anche per me».
Ci sediamo sul divano e, in attesa che la cena sia pronta, Jared ci offre un bicchiere di champagne, che accetto volentieri.
«In che locale farai la festa?», chiedo a Jared, sorseggiando lo champagne.
«Nel Los Angeles’s pub».
«Non l’ho mai sentito nominare», riflette Jensen, passandosi una mano fra i capelli.
«Be’, questo perché è aperto da due settimane», Jared ride, contagiando me e Jensen.
«E il bambino?», chiedo nuovamente, sperando di non seccarlo.
Mi sorride, perciò penso non gli dia fastidio il mio terzo grado. «Tom è dalla nonna», risponde, sorridendo.
Annuisco. Genevie annuncia che la cena è pronta, così ci sediamo intorno al tavolo ed attendiamo che arrivi l’antipasto.
«Rachel, che lavoro fai?», mi chiede Genevie.
«Ho una mia attività, un negozio in centro», rispondo, accennando un sorriso.
Perché mi sento a disagio? Con Jensen non succede.
«Che bella cosa. Anche a me sarebbe piaciuto avere un negozio, ma da quando ho recitato in Supernatural la mia vita è cambiata», dice, ridendo.
«Ecco l’antipasto», annuncia il cameriere, posando un piatto di fronte a me.
Gli sorrido, per poi posare lo sguardo sul piatto, che per mia fortuna trabocca di cibo.
«Come vi siete conosciuti?», chiede Genevie.
Jensen mi sorride e lo stesso faccio io, ricordando il modo in cui ci siamo conosciuti. «Be’, è un po’ bizzarro», le dico, ridacchiando.
«Mi è caduta letteralmente ai piedi», dice Jensen, sorridendo.
Genevie sembra non capire, infatti aggrotta le sopracciglia. «Mi sono slogata la caviglia, quindi sono caduta a terra e me lo sono trovato davanti», le spiego, continuando a ridere.
Sembra la scena di un  film, ma non è così. «Che cosa romantica», sussurra Jared.
Sento le guance andare a fuoco. Cosa c’è di romantico nel nostro incontro? Jensen è rimasto, come sempre, indifferente al commento di Jared. Come fa?
«Noi sul set di Supernatural», Genevie lancia un’occhiata a Jared, per poi sorridergli.
«Ed avete capito subito che eravate fatti l’uno per l’altra?», chiede Jensen.
«Io si, ma penso che lui ci abbia messo più tempo a capirlo», scherza Genevie.
Sorrido. «I maschi sono lenti nel capirlo», sussurro, guardando Jensen, che al mio commento mi guarda di rimando.
Sostengo il suo sguardo, finché arriva il primo.

A mezzanotte siamo tornati in Hotel.
Senza spogliarmi, mi allungo sul letto e sospiro.
È stata una bellissima serata e mi sono divertita molto. Stranamente, dopo la cena, ho iniziato a sentirmi a mio agio e ne sono felice.
«Sei stanca?», Jensen si allunga accanto a me.
Ricordando ciò che è accaduto la prima volta che si siamo distesi su questo letto mi viene da ridere, ma non capisco il motivo. Per reprimere questa mia voglia mi mordo il labbro e mi volto su un fianco, opposto a Jensen.
«Si», sussurro, fingendo di sbadigliare.
Poco dopo , però, mi addormento veramente e per l’ennesima volta sogno due occhi verdi.

Spazio autrice:
Eccomi con un nuovo capitolo, spero sia di vostro gradimento! (:
Ho pubblicato prima del solito.. è strano, èh? 
RECENSIONE MAGGIORE DI DIECI PAROLE, PLEASE.

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Settimo capitolo. ***


Settimo capitolo. 

Il mattino dopo decido di chiamare Josè e, per non disturbare Jensen che sta ancora dormendo, mi chiudo in bagno. «Pronto?», Josè risponde dopo il primo squillo.
«Hey, come stai?», gli chiedo, felice di sentire la sua voce.
«Bene Rach. Ho una notizia sensazionale da darti!», esclama.
Sorrido. «Sarebbe?», chiedo, curiosa.
«Ho chiesto a Camilla di sposarmi ed ha risposto di si!», mi informa, sempre più entusiasta.
Ha davvero fatto quello che ho sentito? «Sono felice per voi», dico, sorpresa.
«Non te lo aspettavi, lo so. Mi dispiace di non avertene parlato prima, ma ho voluto decidere da solo».
«Non preoccuparti. Vi auguro tutta la felicità di questo mondo», lo rassicuro, con tono dolce.
«Grazie Rach. A proposito, come prosegue con Jensen?», mi chiede, con un pizzico di malizia.
«Prosegue», mi limito a dire, per poi ridere.
«C’è qualcosa che mi nascondi?»
Meglio tenerlo sulle spine. «No, sai che ti direi tutto».
Sento uno sbuffo provenire dall’altro capo del telefono. «Bene. Ti lascio, qui è tarda notte. Ci sentiamo presto, ciao Rach!», prima di darmi il tempo di rispondergli, attacca. 
Torno in stanza e trovo Jensen che guarda la televisione, ancora disteso sul letto. «Indovina? Josè si sposa», gli dico, buttandomi di peso accanto a lui.
Sgrana gli occhi. «Non me lo aspettavo», ride.
«Nemmeno io, sinceramente. Spero solo che la ragazza non lo faccia soffrire, non mi è mai piaciuta».
«Se gli ha detto di si è perché lo ama Rachel, non preoccuparti», mi sorride.
Mi stringo nelle spalle. «Mai dire mai».
«Ho dimenticato di dirti che ho fatto il regalo a Jared», dice, passandosi la lingua fra le labbra.
Deglutisco: non può leccarsi le labbra, in più di fronte a me, disteso su un letto. Potrei saltargli addosso, ma devo contenermi.
«Ma io non gliel’ho fatto», sussurro.
Sorride. «È anche da parte tua», dice.
«Devo darti la metà dei soldi, allora. Cosa gli hai comprato?»
«Un orologio», risponde, poggiandosi su un lato per guardarmi. «Non serve che mi ridai i soldi».
«Insisto», ribatto.
Ride. «Non se ne parla proprio».
Sbuffo sonoramente. «Almeno è costato poco?»
Annuisce. «Il giusto. A proposito, cosa hai intenzione di mettere stasera?»
Mi poggio su un lato, in modo da trovarmi di fronte a lui. «Ci penserò quando sarà il momento. Tu?»
«Uhm, avevo pensato di vestirmi casual. Che ne dici?», chiede, facendo una smorfia.
Rido. «Penso sia perfetto», affermo.
«Tu sei sicura di non sapere cosa indosserai?», mi chiede nuovamente.
Annuisco. «Si, perché?»
Senza degnarmi di una risposta, si alza e raggiunge lentamente l’armadio. Estrae un pacco enorme, per poi posarlo di fronte a me, sorridendo.«Èper te».
«Davvero?», chiedo, sorpresa.
«Si, dimmi cosa ne pensi».
Afferro il pacco e, prima di scartarlo, mi mordo il labbro. Estraggo un lungo vestito color panna, decisamente perfetto. «Questo vestito è favoloso. Grazie!», esclamo, abbracciandolo.
«Sono felice che ti piaccia. Ci speravo tanto», sussurra al mio orecchio.
Un brivido percorre la mia schiena. «Non dovevi, però», borbotto.
Non ho avuto mai trovato il tempo per comprargli un regalo solo perché passo la maggior parte del mio tempo con lui! Ammetto, però, che non mi è passato per la testa nemmeno per un nano secondo. Dettagli.
«Ti starà d’incanto, ne sono certo», dice, come se non avesse sentito ciò che gli ho detto.
Sbuffo, per poi sorridere. «Se lo dici te».

«Stasera non allontanarti mai da me, c’è gente che non conosci e potresti finire tra quella sbagliata».
Jensen e io siamo ancora distesi sul letto. Sono le quattro di pomeriggio, quindi abbiamo ancora tutto il tempo per prepararci. La festa si terrà alle otto, non c’è nessuna fretta.
«Uhm, va bene. Chi sarebbe questa gente “sbagliata”?», chiedo, imitando le virgolette sull’ultima parola.
Sorride, passandosi una mano fra i capelli. «Stai solo vicino a me, non ti importa davvero chi sono».
Alzo un sopracciglio, divertita. «Invece si», ribatto.
«No».
Sbuffo. «Jensen, non fare il bambino!», gli punto un dito contro.
Inizia a ridere ed io, che non so resistere, lo imito. «Sei insopportabile. Davvero».
«Non sono io quello che non sta in silenzio un istante», dice, facendomi l’occhiolino.
«Ah, è così?», mi alzo dal letto e mi siedo sulla poltrona, in silenzio.
Jensen sorride. «Scherzavo. Mi piace sentirti parlare», dice ma, capendo che ha appena detto qualcosa che potrebbe metterlo in imbarazzo, si zittisce.
Ci guardiamo negli occhi, continuando a rimanere in silenzio. C’è la mia vocina interiore che mi dice di andargli vicino e baciarlo, ma cerco con tutta la forza della mia volontà di resistere. Ho aspettato così tanto che vorrei farlo, ma se lui mi respingesse? Non credo che reagirei bene.
«Rachel, te l’ho già detto che stasera ci sarà Richard Speight?», mi chiede.
Spalanco gli occhi. Ci sarà davvero? «Quel Richard Speight?»
“Ti ha fatto parlare, idiota”.
Sto impazzendo. La mia coscienza ha preso parola.
Richard ha interpretato l’Angelo Gabriele in Supernatural e lo adoro. Il pensiero di poterlo incontrare stasera mi emoziona. «Non riesco a crederci».
«Credici invece».
«E se non gli piacessi?», chiedo, preoccupata. «Potrei non fare una bella figura. A quel punto dovrei sotterrarmi».
«Farai una bella figura, invece. E non preoccuparti, se piaci a me, piacerai anche a lui».
Ha davvero detto che gli piaccio? «Mi fido, allora», sussurro, felice per quello che ha appena detto.
Dopo quello, continuiamo a chiacchierare fino a quando è l’ora di prepararsi. 

Spazio autrice:
salve lettori, vi chiedo scusa per il ritardo ma ho avuto l'influenza e non riuscivo a stare al computer.
Il capitolo è corto, ma se continuo a scrivere sono certa che farebbe più schifo di quello che è.
Spero di riuscire ad aggiornare prima, ma non vi prometto nulla.
Lasciate una recensione.. mi farebbe piacere! (:

Diemmeci.

On twitter : @Bertomio_ 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ottavo capitolo. ***


Ottavo capitolo.

Finalmente la festa è arrivata e non sto più nella pelle per l’emozione. Sono emozionata perché non mi sembra reale ciò che sto vivendo. Sembra un sogno ed ho paura che possa svegliarmi e vederlo scivolare via.
«Non riesco a smettere di guardarti, sei bellissima». Jensen e io siamo nel taxi che ci condurrà al locale.
Sorrido, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Grazie».
Sposto lo sguardo fuori dal finestrino e sospiro. Ho preso una decisione: alla festa, quando troverò un momento, gli confesserò i miei sentimenti. Non riesco a tenerli dentro di me ancora, mi stanno logorando lentamente.
«Sei nervosa?», mi chiede, facendomi voltare per guardarlo.
Noto che mi mordendo il labbro, così rido. «Be’, forse un po’», ammetto, intrecciando le dita.
«È una festa come le altre, non devi preoccuparti Rachel», cerca di rassicurarmi.
«Per te è una festa come le altre. Io vengo da un altro mondo ed è tutto nuovo».
Sorride. «Hai ragione».
Mi stringo nelle spalle. Torno a guardare fuori dal finestrino, finché il conducente ci avvisa che siamo arrivati.
Scendiamo dal taxi. «Sei pronta?», Jensen mi prende a braccetto, sorridendo.
Mi mordo il labbro, annuendo. «Si».
Il locale è già affollato e Jensen saluta quasi tutti. Mi sento a disagio. Cosa centro io qui? «Andiamo a salutare Jared», sussurra al mio orecchio.
Annuisco. Lo seguo, finché ci fermiamo e lo noto che parla allegramente con Misha Collins. Spalco gli occhi, sorpresa. Non avevo idea che ci sarebbe stato anche lui, ma, dopotutto, chi avrebbe potuto dirmelo e perché mai avrebbe dovuto farlo?
«Rachel, Jensen, vi aspettavamo!», esclama Jared, sorridendoci.
«Auguri amico», Jensen gli da una pacca sulla spalla, continuando a sorridergli.
«Auguri Jared», sussurro, imbarazzata.
«Grazie ragazzi. Sono felice che siate venuti! Misha, lei è Rachel».
Misha mi sorride, allungando la propria mano verso di me. «Piacere».
Gliela stringo. «Piacere mio».
Fortunatamente, dopo le presentazioni con Misha, io e Jensen ci allontaniamo e ci sediamo su un divanetto a parte. Abbiamo preso due bicchieri di champagne e io lo sto sorseggiando lentamente. Dovrei confessarmi adesso?
«Dovrei dirti una cosa, ma non sono certa se dirtelo o no», gli dico, passandomi la lingua fra le labbra.
Jensen aggrotta le sopracciglia. «Sarebbe?»
Dillo, Rachel.
«Ti ho trovato finalmente!», Katie Cassidy si siede tra me e Jensen, girata verso di lui.
Jensen accenna un sorriso. «Katie, che sorpresa!», esclama, visibilmente infastidito.
Katie ha interpretato Ruby, nella terza stagione e non mi è mai piaciuta. Genevie, invece, si.
«Possiamo parlare in privato?», gli chiede, con voce maliziosa.
Cerco di non far vedere di essere gelosa, così mi alzo e dico: «Voi parlate, io mi faccio un giro».
Vado dall’altra parte della sala e mi siedo su un divanetto, da sola. Lui stesso mi ha detto di stargli sempre vicino. Forse per evitare Katie?
«Come mai da sola?»
Mi volto di scatto, trovandomi davanti Richard Speight. Mi mordo il labbro, sentendomi in imbarazzo. «Jensen sta con Katie», rispondo semplicemente, facendo una smorfia.
«Non mi sorprende la cosa», dice, sedendosi accanto a me. «Sono Richard, comunque».
Sorrido. «Lo sapevo. Io sono Rachel».
«Fan di Supernatural?»
«Esatto».
Richard sorride. «Jensen e Katie sono stati insieme, durante le riprese della terza stagione. Ora penso sia finita, anche perché ne è passato di tempo».
Sento una fitta al cuore. «Non me l’avevo detto», sussurro.
«Siete venuti insieme?»
Annuisco. Lancio un’occhiata nella loro direzione, notando che Katie ha un braccio intorno alle spalle di Jensen e ridacchia. Un’altra fitta.
«Non tornerà con lei», mi rassicura.
Alzo un sopracciglio. «Dici? Guarda come si comportano. Lei poi è bellissima».
«Lo sei anche te, Rachel. Comunque, vai lì e dì la verità a Jensen. Più rimanderai e più peggiorerai le cose», mi dice, alzandosi e scomparendo tra la folla.
Ha ragione, vai da lui.
Prima di cambiare idea, mi alzo e raggiungo l’altra parte della sala. Jensen mi guarda torvo, perché mi siedo in mezzo a lui e Katie.
«Dobbiamo parlare», mi limito a dire, prendendogli le mani fra le mie.
Mi lancia un’occhiata, per poi sorridere. «Dimmi tutto, capo».
Faccio un sospiro. «Spero che, dopo essere venuto a conoscenza della verità, tu non mi volterai le spalle», sussurro. «Jensen io provo dei sentimenti che vanno oltre l’amicizia verso di te. Ho aspettato tutto questo tempo perché avrei voluto la conferma anche da parte tua, ma non ho resistito».
Mi accorgo di aver chiuso gli occhi mentre ho parlato, ma li riapro in tempo per accorgermi che Jensen mi sta per baciare. Il contatto con le sue labbra mi da una scarica elettrica.
«Ora hai la conferma?», sussurra, a fior di labbra.
Annuisco, sorridendo. «Si, decisamente».
Riprende a baciarmi, facendomi provare sensazioni a me sconosciute.
 Non avrei mai pensato che mi sarei trovata qui, oggi. Se mi avessero detto che sarei andata alla festa di Jared Padalecki, con Jensen Ackles e lo avrei baciato, mi sarei messa a ridere.
Un’ora più tardi, siamo ancora seduti su un divanetto, ma si sono uniti a noi Jared, Misha, Genevie e Richard.
«Vi piace?», chiedono all’unisono Jensen, Jared e Misha.
Mi volto a guardarli e noto che hanno la stessa cravatta. Rossa, per l’esattezza. Ho notato che, ogni evento a cui partecipano insieme, portano un accessorio uguale.
«Originale», sussurro, sorridendo.
«Concordo con Rachel», Genevie mi appoggia, per poi sorridermi.
«Facciamo un brindisi», si intromette Jensen, offrendoci un bicchiere di champagne.
Lo guardiamo tutti, in attesa che ci dica su cosa brindare. «A Jared, tanti auguri amico».
Sorridiamo tutti. «A Jared», alziamo in alto il bicchiere, per poi bere il contenuto.
Katie a ore dodici.
La noto che ci sta venendo incontro, sfoggiando un sorriso e l’aria altezzosa. Ho sempre avuto ragione a farmela stare antipatica, allora.
«Jared, mi dispiace, ma devo lasciare la festa. Mi ha chiamata il mio ragazzo e devo raggiungerlo». Sorride a tutti noi, per poi voltarsi ed andare verso l’uscita.
Ha un ragazzo, imbecille.
Richard mi lancia un’occhiata, per poi sorridere. «Jensen», richiama la sua attenzione, «stasera mi ha detto Rachel che siete venuti insieme».
Jensen mi lancia un’occhiata, sorridendo. «Esatto», afferma.
«Ed è vero che avete una camera da letto? L’ho letto nelle news, stamattina».
Arrossisco. «Si, Richard».
«Be’, adesso che state insieme vedete di non consumare il letto».
Arrossisco più violentemente. Lo ha fatto apposta? Gli lancio un’occhiata di fuoco, ma Jensen rimane impassabile.
Oddio. Adesso cosa siamo? Guardo Jensen, ma noto che è impegnato a parlare con Misha.
Ho ancora il sapore delle sue labbra sulle mie. È il migliore che io abbia mai assaporato, decisamente.
Mi mordo il labbro, attendendo il momento di poterlo baciare di nuovo.

«Grazie per essere venuti. Ci sentiamo!», esclama Jared, sfoggiando un sorriso.
«Certo, ciao Jared», lo saluta Jensen, dandogli una pacca sulla.
Io mi limito a sorridere. Entriamo nel taxi e restiamo in silenzio. Non mi sono mai sentita così a disagio prima di questo momento.  Ho la consapevolezza di dovermi comportare come ho sempre fatto, ma mi sembra impossibile. Ogni volta che lo sfioro con  lo sguardo avvampo. Non è una cosa normale.
«L’orologio gli è piaciuto», sussurra, sorridendomi.
«Meno male. Ma il regalo di cui parlava Jared era la cravatta. Giusto?», sono curiosa di sapere, perciò glielo chiedo.
«Si. Penso che hai notato che abbiamo sempre un accessorio identico».
Annuisco. «Ovvio».
Mezz’ora più tardi siamo tornati in albergo e mi distendo sul letto senza spogliarmi. I piedi mi bruciano e non ho la forza per mettere il pigiama.
Jensen mi imita. «Quando hai capito che non importava sapere cosa provavo io per potermi baciare?»
A quella domanda mi giro di scatto e lo guardo sorpresa. «Be’, stasera». Quando avrei dovuto senno?
«Mi dispiace di non essere stato io a fare il primo passo».
Mi stringo nelle spalle. «A me no. Per una volta mi sono sentita potente», gli dico, sorridendo.
Ricambia il sorriso, facendomi sciogliere. Senza aggiungere altro, lo bacio per un tempo che sembra indeterminato.
«Hai un sapore di limoni», sussurra.
«Davvero? Io pensavo di odorare di cocco, visto che mi lavo con il sapone al sapore di cocco». Rido.
«Ti sbagliavi, Rachel».
Poggio la testa sul suo petto, felice come non mai. Sembra un sogno, ma è realtà e per una volta ne sono certa.
«Buona notte Rachel», sussurra.
«Buona notte Jensen».
Mi addormento tra le sue braccia, sperando di trovarlo lì il mattino seguente.

Spazio autrice:
saaaaaalve. Ho aggiornato prima, spero siete felice.
La scena del bacio è arrivato, finalmente èh? ahahhaa, spero vi piaccia! (:

Diemmeci.

on twitter: @Bertomio_

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nono capitolo. ***


Nono capitolo.

Come avevo sperato la sera precedente, Jensen è ancora qui. Sospiro, sollevata all’idea che non mi abbia abbandonata.
Mi alzo lentamente e prendo il cellulare, uscendo sul balcone per poter chiamare Josè. «Rachel, come stai?», come sempre, risponde immediatamente.
Sorrido nel sentire la sua voce, mi manca così tanto. «Me la cavo. E tu?»
«Bene. La festa com’è andata?», ha un tono curioso.
«Meglio del previsto», rispondo, aumentando la sua curiosità.
«Vi siete baciati?», il tono della sua voce si alza.
Rido. «Si, è stato fantastico».
Seguono degli istanti di silenzio. Sono sicura che Josè stia immaginando la scena e voglia sapere tutti i particolari. «Quando tornate? Dobbiamo vederci assolutamente».
«Prendiamo l’aereo stasera, purtroppo». L’idea di lasciare Los Angeles, prima di averla visitata, mi rattrista.
«Ce la fai a venire a pranzo da me, domani
«Facciamo a cena?»
«Perfetto, a cena. Saremo solo noi due, perché Camilla esce con delle amiche».
Sorrido. «Okay, a domani Josè». Questa volta attacco io per prima.
Torno in camera, sotto gli occhi vigili di Jensen. Gli sorrido imbarazzata e mi distendo accanto a lui, sul letto.
«Quindi, ti dispiace lasciare Los Angeles?», mi chiede, stringendo la mia mano nella sua.
Sorrido a quel contatto. «Si, mi sarebbe piaciuto visitarla».
«Ci torneremo e ci resteremo tutto il tempo che vuoi. Promesso».
Mi mordo il labbro. «Lo faresti davvero?», sono sorpresa.
Annuisce, attirandomi sulle sue ginocchia. «Davvero».
Mi bacia dolcemente. Mi sembra, però, che ogni volta che ci sia un contatto fra di noi i miei sentimenti si moltiplicano. «Non puoi fare così», lo rimprovero, sorridendo.
Alza un sopracciglio. «Così come?»
Gesticolo, provando a spiegare. «Ogni volta che mi baci rischio un infarto», rido, imbarazzata per quello che ho appena detto.
Mi stampa un altro bacio sulle labbra, per poi ridere. «Allora rischierò».
Ora che siamo diventati più intimi, mi sembra il momento ideale per porgli la domanda che mi passa per la mente da stanotte. «Da quanto ti piaccio?», me ne pento immediatamente, però.
Si passa una mano fra i capelli. «Uhm, direi da quando ti ho soccorsa per la caviglia».
Sbuffo. «Dico sul serio».
«Anche io», ribatte, serio.
Incrocio le braccia al petto. «Io ti batto, comunque».
«E sentiamo, da quant’è che io piaccio a te?», chiede, divertito.
Per un secondo rimango a guardarlo negli occhi, totalmente incantata. Come può un uomo del genere interessarsi a me? Sono solo una semplice ragazza, dopotutto. «Uhm, dalla terza stagione di Supernatural. Perciò, dal 2007».
«Mi batti, è vero», mi sorride. «Ma come fai ad aver visto la terza stagione del 2007, se qui in Italia è stata trasmessa solo nel 2009?», è sorpreso.
Scuoto la testa. «Esiste internet, caro». Lo prendo in giro, ridendo.
Sul suo viso compare un’espressione indecifrabile. «I tuoi genitori?»
Mi mordo il labbro, nervosa. Perché mi fa una domanda del genere adesso? «Sono separati», sussurro. «Mia madre abita a Roma, ma dall’altra parte di dove sono io. Mio padre, invece, si è trasferito in Germania per lavoro».
«Wow, è andato fino in Germania per lavoro?»
Accenno un sorriso.  Jensen è un attore sin da adolescente, perciò i soldi non gli sono mai mancati. Non ha idea di cosa vuol dire fare dei sacrifici pur di trovare un lavoro. «Si», mi limito a dire.
Prima che possa porgli la stessa domanda, mi fa scendere dalle sue ginocchia e si alza. «Ordiniamo qualcosa da mangiare?»
Sorrido, annuendo. «Assolutamente».
«Cosa vuoi?»
Ci penso su. «Ricordi il panino dell’altra volta?», gli chiedo.
Sul suo volto si dipinge un sorriso. «Lo ordinerò per due».

«Non disperarti, un giorno torneremo», mi ripete Jensen, stringendo la mia mano.
Gli sorrido, annuendo. Ci troviamo sull’aereo ed attendiamo che decolli. Mi dispiace lasciare Los Angeles, ma il giorno in cui sarei tornata alla mia solita vita sarebbe dovuto arrivare, prima o poi.
Oddio! Anche Jensen, quindi,dovrà tornare in America e continuare la propria vita. Non ora, ma accadrà. Mi si stringe il cuore al solo pensiero di averlo lontano da me.
«C’è qualcosa che non va?», mi chiede, notando il cambiamento del mio umore.
Accenno un sorriso, cercando di mascherare la mia tristezza. «No, va tutto bene».  La mia voce, però, mi tradisce.
«Rach, che succede?», ripete, con un tono allarmato.
«È una cosa stupida, davvero».
Mi sorride, accarezzandomi la guancia. «Per quanto possa essere stupida ti rende triste, perciò voglio saperla».
«Un giorno dovrai tornare alla tua vita e lascerai l’Italia», sussurro, lasciando che una lacrima righi lungo la mia guancia.
Jensen la ferma con il pollice. «È questo che ti preoccupa? Che ti dimenticherò una volta tornato alla mia vita in America?»
«Be’, si», ammetto, affondando il viso nel suo petto.
Mi sento ridicola a farmi vedere in queste condizioni da Jensen, ma ogni singola cellula del mio corpo mi spinge ad essere sincera con lui.
Due braccia mi avvolgono in un caloroso abbraccio. Le mie narici vengono invase dal suo profumo. «Non ti dimenticherò mai, qualunque cosa dovesse succedere», sussurra, accarezzandomi i capelli.
Resto in silenzio, ma un sorriso si dipinge sul mio volto.
Ha detto che non mi dimenticherà, qualsiasi cosa dovesse succedere! Alzo la testa, gli stampo un bacio sulle labbra e torno fra le sue braccia.
Mi addormento prima che l’aereo decolli.

«Hey, siamo arrivati», sussurra Jensen al mio orecchio.
Apro gli occhi e lo trovo a pochi centimetri dal mio viso, che sorride. Faccio una smorfia e mi stiracchio, per poi alzarmi.
Scendiamo dall’aereo e, dopo aver recuperato i bagagli, usciamo dall’aereoporto. «Hai chiamato un taxi?», gli chiedo, sbadigliando.
Sono ancora sotto l’effetto del sonno. Ormai però è mattina. «Si, dovrebbe arrivare a momenti».
Annuisco, sedendomi sulla panchina accanto a noi. «Tutto okay?», mi chiede Jensen.
«Si, va meglio», affermo. «Scusa per prima, ti sarò sembrata una cretina». Rido.
«No, eri solo sincera».
Gli sorrido e, quando vengo vedo un taxi fermarsi davanti a noi, mi brillano gli occhi. «Sei così felice di tornare a casa», mi fa notare.
«Voglio distendermi sul divano e guardare la televisione».
Mezz’ora dopo siamo arrivati davanti casa. Recuperiamo i nostri bagagli e Jensen paga l’autista.
Quando entriamo in casa sorrido; ammetto che un po’ mi è mancata.
Mi butto di peso sul divano, sospirando. «Senti», attiro l’attenzione di Jensen, «mi chiedevo se volessi dormire con me nel letto. Insomma, adesso è cambiata la situazione».
Annuisce, sorridendo. «Va bene».
Arrossisco al pensiero di noi due nello stesso letto. So che abbiamo già dormito insieme, ma adesso è diverso.
«Quindi, stasera vai a cena da Josè?»
«Si, è un problema?»
Scuote la testa. «Certo che no», afferma, sedendosi di fianco a me.
La voglia di baciarlo è tanta, ma resisto per non sembrare una pazza. Mi sorride, stampandomi un bacio sulla punta del naso. «Adesso cosa siamo noi?», mi chiede, abbracciandomi.
Non ci aveva pensato fino ad adesso. «Non lo so. Secondo te?»
«Pensi sia presto per reputarci una coppia?»
Sorrido. «Per me no».
Si passa una mano fra i capelli, sorridendo. «Allora siamo una coppia a tutti gli effetti».
Mi mordo il labbro, ma questa volta non c’è un velo di nervosismo in me. Solo pura felicità. «Perfetto».

«Rach, quanto mi sei mancata!», Josè mi abbraccia, accogliendomi in casa propria.
Sorrido: è da molto tempo che non vado più a trovarlo. «Anche tu Josè».
Mi siedo su uno sgabello, osservandolo mentre cucina la cena. «Allora, ci sono novità?», mi chiede, sapendo già la risposta.
«Ci credi che adesso siamo una vera coppia?»
Trattiene un urlo. «Che cosa romantica», sussurra.
Mi viene in mente che si sposerà, quindi voglio saperne di più. «Avete già deciso la data del matrimonio?»
Scuote la testa, assaggiando il sugo. «No, ma Camilla vorrebbe sposarsi il prima possibile».
«Penso sia normale per una donna. Il prima possibile, quando più precisamente?», la curiosità si è impossessata di me.
«Uhm, diciamo verso Gennaio. Ma non è niente di sicuro».
Annuisco. «Be’, spero che vi sposiate il prima possibile. Chi sarà il tuo testimone?»
«Ah! Ecco cosa dovevo chiederti», mi sorride. «Vuoi essere la mia damigella d’onore? Lo so che dovrebbe essere un maschio, ma sei la mia migliore amica».
Lo abbraccio istintivamente. «Non devi nemmeno chiederlo!»
«Allora è deciso! Credo che Camilla non ne sarà felice», borbotta, ridendo.
«Sei lo sposo, hai il diritto di decidere chi voglia che sia la tua damigella d’onore», scoppio in una sonora risata.
«Ti accompagnerò a comprare il vestito io stesso, Rach», dice, entusiasta.
Annuisco. «Ovvio».
Un quarto d’ora più tardi stiamo mangiando, seduti intorno al tavolo. Josè ha cucinato un piatto di pasta con il sugo da leccarsi i baffi. Ho sempre adorato il suo modo di cucinare.
«Ti dispiace se al matrimonio inviterò anche Jensen? Camilla vorrebbe conoscerlo», mi chiede.
«Certo che no, mi fa piacere». Affermo, sorridendo.
«Come farete quando tornerà in America?»
Una fitta mi arriva dritta al cuore. «Come abbiamo fatto fino ad adesso. Credo», sussurro, poco sicura.
«Rach, io ho paura che cambierà tutto», Josè parla a cuore aperto.
«Anche io, ma lui mi ha detto che non mi dimenticherà».
Mi sorride. «Allora non cambierà nulla».
Accenno un sorriso. La serata continua fra risate e chiacchiere.
Alle undici decido di tornare a casa e, prima di andarmene, Josè mi ricorda che ci sarà sempre per me.
Un solo pensiero mi passava per la testa mentre tornavo: Jensen non mi dimenticherà.

Spazio autrice:
salve lettori. 
Il nono capitolo è stato pubblicato, finalmente!
Spero vi piaccia :)

Diemmeci.

On twitter: @Bertomio_

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Decimo capitolo. ***


Decimo capitolo.

È passata una settimana e tutto sembra essere tornato alla normalità. Non abbiamo più parlato dell’argomento che temo al momento: la sua partenza per tornare in America.
Ho paura di sapere che potrebbe non essere qui fra qualche settimana, perciò mi limito a non pensarci. Anche se è difficile.
«Buongiorno!», Jensen mi raggiunge, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
Sorrido nel vederlo così felice. «’Giorno».
Mi cinge i fianchi con le sue mani, avvicinandomi a lui. Non è la prima volta che lo fa, ma il mio cuore non vuole ascoltare la ragione e continua a pulsare insistentemente contro il mio petto. Mi stampa un bacio sulle labbra, lasciando la presa.
«Che hai voglia di fare oggi?», gli chiedo, versando del caffè nella mia tazza.
Si passa una mano tra i capelli, per poi sbadigliare. «Ci facciamo una passeggiata?», propone.
Arriccio il naso, scuotendo la testa. «Ho un’idea migliore», sussurro, più a me stessa che a lui.
«Sarebbe?», si siede su una sedia, afferrando un cornetto.
«Potremmo andare a fare una passeggiata, si», faccio una pausa d’effetto, «ma sulla spiaggia». Concludo, entusiasta.
Jensen rotta, facendomi ridere. «Perfetto», tamburella le dita sulla pancia, per poi alzarsi dalla sedia e buttarsi di peso sul divano.
Lo seguo, sedendomi accanto a lui. «Josè ha intenzione di invitarti al suo matrimonio, sai».
Sorride. «Davvero? Verrò sicuramente, allora!»
«Be’, si. Però penso che tu sarai già tornato in America, come farai?», gli chiedo, avvertendo un’ennesima fitta al cuore.
«Prendo un aereo e vi raggiungo», risponde, mettendomi un braccio intorno alle spalle.
Poggio la testa sulla sua spalla, sospirando. «Sai già quando dovrai tornare?», è ora di affrontare l’argomento.
«Per ora non è niente di confermato, ma penso fra qualche settimana». La sua voce si incrina, facendomi intuire che si trova nella mia stessa situazione.
«Qualche settimana?», sono sorpresa. «Credevo di più».
«Anche io, ma vogliono iniziare le riprese», mi spiega, stringendo la mia mano.
Sospiro di nuovo. «L’importante è che non mi dimentichi», ribatto, alzando la testa e, prima di dargli il tempo di proteggersi, afferro un cuscino che ho accanto e glielo lancio in faccia.
«Sei davvero perfida!», esclama, iniziando a farmi il solletico.
Rido come una matta, ma senza rendermene conto mi ritrovo sotto di lui. Per non schiacciarmi con il suo peso, si regge sulle mani.
«Posso confessarti una cosa?», sussurro, tracciando con l’indice il contorno delle sue labbra.
«Certo», annuisce.
«Ho sempre avuto un debole per le tue labbra», ridacchio, baciandolo.
«Ora sono tue, non sei felice?», esclama, dandomi un altro bacio.
«Oh si!», sorrido.

Verso le quattro del pomeriggio decidiamo di raggiungere il mare, per fare una passeggiata sulla spiaggia.
«Pensi davvero che non cambierà niente tra di noi, quando te ne tornerai in America?», gli chiedo, alzando lo sguardo verso il sole.
Jensen sbuffa, quindi mi volto a guardarlo e noto che ha un’espressione scocciata sul viso. «Rachel, dobbiamo parlare sempre della mia partenza? Possiamo, per un momento, non pensarci?», il suo tono di voce si alza.
Abbasso lo sguardo, cercando di mantenere la calma. «Non è facile non pensarci», ribatto.
«Lo so, anche per me lo è. Però, provaci!», esclama, sedendosi sulla sabbia.
Lo imito, rimanendo in silenzio.
Sto divento un assillo. Ha ragione del fatto che non debba pensarci in continuazione. Ma è davvero difficile, tanto che è diventato il mio pensiero primario.
Butto la testa all’indietro e chiudo gli occhi, inspirando l’aria che profuma di sale. «Scusa, hai ragione», sussurro.
Il suono delle onde che sbattono sulla riva mi rilassa. Ho sempre amato andare al mare, anche solo fare una passeggiata. Sin da bambina mio padre mi portava , anche durante i mesi invernali. Il mare è ancora più affascinante.
«Sono io che devo chiederti scusa», mi sfiora la guancia con le dita ed istintivamente apro gli occhi e sorrido.
«Per cosa?»
Si stringe nelle spalle. «Be’, per prima cosa ti ho complicato la vita».
Rido, scuotendo la testa. «L’hai solo resa migliore, credimi», appena pronuncio quelle parole arrossisco.
Sorride. «Ah! Anche perché, quando me ne andrò, ti lascerò sola e non potremo vederci come facciamo adesso. Non voglio che tu senta la mia mancanza».
«È vero il fatto che sentirò la tua mancanza, ma ci sentiremo sempre e quando potrò ti raggiungerò o viceversa».
Annuisce, poco convinto. «Quel che è fatto è fatto».
«Già», sospiro.
Faccio scivolare il mio sguardo sul mare ed ammiro in silenzio la sua bellezza. Jensen mi abbraccia, quindi io poggio la testa sul suo petto ed ascolto i battiti del suo cuore.
Senza che me ne accorga, scendono delle lacrime lungo le mie guancie, ma prima che possa asciugarle lo fa Jensen. «Non piangere, piccola», sussurra, baciandomi.
Ricambio il bacio, provando sensazioni sempre più intense. Così intense che mi fanno paura.
«Dato che dobbiamo passare più tempo possibile insieme, stasera andremo al cinema», annuncia.
Alzo un sopracciglio. «E cosa andremo a vedere?»
«Non ne ho la più pallida idea, ma qualcosa vedremo!», mi fa l’occhiolino, alzandosi di stacco e porgendomi una mano.
La afferro, quindi mi alzo anche io e pulisco i miei pantaloni dalla sabbia. Camminiamo sulla riva del mare, mano nella mano, come se il momento di separarci sia davvero lontano come vorrei.

«Cosa vorresti vedere?», chiedo a Jensen.
Siamo arrivati al cinema e sono le otto, ma non riusciamo a decidere cosa vedere. Abbiamo gusti diversi, perciò non troviamo un compromesso. «C’è Non aprite quella porta 3D», sussurra, guardando un cartellone che ritrae un uomo con una motosega in mano.
Sbarro gli occhi. «Stai scherzando, vero? Non resisterò dieci minuti se andiamo a vedere quel film». Mi lamento, mettendo il broncio.
Sorride. «Altrimenti c’è anche Les Misérables».
«Deve essere bello», mi passo una mano tra i capelli. «Lascio la libera scelta a te, senno non riusciamo a vedere nessun film di questo passo».
I suoi occhi brillano. «Vado a prendere i biglietti, te invece prendi qualcosa da mangiare».
Annuisco, dirigendomi verso il bar del cinema. La donna che si trova dietro al bancone mi sorride. «Cosa posso darti?», mi chiede, sorridendomi.
Opto per la la soluzione più semplice. «Le pop corn più grandi che avete», le dico, posando lo sguardo su Jensen, che mi sta aspettando.
Gli sorrido, facendo cenno di aspettarmi. «Ecco a te, sono sei euro».
Prendo velocemente il portafogli dalla borsa e le porgo i soldi, afferrando i pop corn. La donna mi sorride ancora una volta, per poi servire altre persone.
«Eccomi». Jensen mi porge il mio biglietto e per un attimo resto immobile a guardare la scritta NON APRITE QUELLA PORTA 3D.
«Ce la posso fare», sussurro, a me stessa.
Jensen sorride. Ci dirigiamo verso la sala e, fortunatamente, riusciamo a sederci ai posti dietro. Solitamente sono già occupati, ma questa volta abbiamo avuto fortuna.
«Pensi di essere pronta?», sussurra, afferrando una pop corn e mangiandola.
Annuisco, sicura di me. Quanto potrà essere pauroso? Devo ricordare che è solo un film. «Se in caso, però, ho paura ti avverto che sono in grado di scappare dalla sala», ridacchio.
«Ah, davvero?»
«Già. Una volta sono venuta al cinema con il mio fidanzato», resto in silenzio, maledicendomi per quello che ho appena detto. «Cioè, il mio ex», mi correggo.
«Non parlarmi dei tuoi ex, potrei essere geloso», sorride.
«Come no. Dicevo, siamo venuti al cinema insieme e mi ha costretta a vedere un film horror, di cui non ricordo il nome, e al secondo tempo sono scappata fuori dalla sala». Termino la mia frase, ridendo.
«Spero non scapperai, così potrò tenerti stretta a me», sfiora la mia guancia, avvicinandosi a me per stamparmi un bacio sulle labbra.
Mi mordo il labbro. «Proverò a resistere, per te».
Le luci si spengono di colpo, facendomi sobbalzare.
 Jensen mette un braccio intorno alle mie spalle, così io appoggio la testa sulla sua spalla e sospiro, pronta a vedere il film.

«Non verrò mai più al cinema insieme a te!», continuo a lamentarmi, dandogli una pacca sulla spalla.
Sono stata tutto il tempo attaccata al suo braccio, pregando che finisse presto e lui rideva, prendendomi in giro. «Devi ammettere che è stato divertente».
Scuoto la testa, entrando in macchina. «No, per niente».
«Allora cosa dovrei dire io che ho recitato in un horror?», non credo sia una domanda la sua.
Mi stringo nelle spalle. «Sei più coraggioso».
Sorride, mettendo in moto e partendo. «Sono un attore, quindi devo accettare tutti i generi».
«Hai mai rifiutato un ruolo?», gli chiedo, raccogliendo i capelli in una coda di cavallo.
«Si, per il film Cinquanta Sfumature».
Sbarro gli occhi. Come ha potuto rifiutare di recitare in un film così bello? La storia è meravigliosa, anche se è erotica.
Ridacchio, immaginando Jensen nei panni del protagonista. «Hai fatto male a rifiutare», lo rimprovero, sorridendo.
«Non era per me».
«Sono un attore, quindi devo accettare tutti i generi», lo imito, ridendo.
Jensen sposta lo sguardo su di me e scuote la testa, per poi sorridere. «Sei incredibile».
Sospiro, lasciando che il silenzio cali nell’auto.
Mi sembra sempre più incredibile ciò che sto vivendo, perché fino a qualche mese fa se solo avessi pensato che mi sarei fidanzata con Jensen sarei scoppiata in una risata.
Sposto lo sguardo fuori dal finestrino, guardando le coppiette felici che camminano mano nella mano. «A cosa pensi?», mi chiede Jensen, distraendomi dai miei pensieri.
«Le solite cose», borbotto.
«E sarebbero?»
Faccio scrocchiare la lingua sul palato. «Che quello che sto vivendo non sembra reale», arrossisco immediatamente.
«Per me è lo stesso, Rach».
Mi sento sollevata. Ogni volta che dice qualcosa che conferma il fatto che io gli piaccia mi rilasso, perché ho sempre paura di perderlo.
«Domani ti porto a conoscere Camilla, la ragazza di Josè», annuncio.
Non ho idea del perché l’ho detto, forse solo per fare conversazione. Jensen sorride. «Va bene».
Accidenti! Se Camilla dovesse fare la civetta con Jensen potrei saltarle addosso e strapparle un capello alla volta, quindi credo che Josè debba avvertirla.
Prendo il cellulare dalla borsa e gli digito un messaggio.
Domani sera, io e Jensen veniamo a cena da voi.
Deve esserci anche Camilla, dovranno conoscersi prima o poi.
Buona notte.
Rach. Xx.

Dopo averglielo inviato sospiro, felice di come si sia svolta la serata.
Jensen è stato divertente ma protettivo alla stesso tempo. Prima di adesso non ho mai avuto un ragazzo così: perfetto.
Mi volto a guardarlo e sorrido automaticamente. Mi piace da impazzire. 



Spazio autrice:
salve, ho aggiornato un po' prima del previsto, perchè mi andava  c:
spero che vi piaccia questo capitolo.
Ho voluto renderlo un po' romantico.
Alla prossima! :)

Diemmeci.

On twitter: @Bertomio_

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo. ***


Undicesimo capitolo.

«Sei sicuro di stare bene?», chiedo a Jensen, mentre stiamo andando a casa di Josè e Camilla.
È strano da questa mattina, perciò inizio a preoccuparmi. Per quanto stringe le mani al volante le nocche diventano bianche. «Va tutto bene».
Dal suo tono capisco che non ha voglia di parlare, perciò lo assecondo rimanendo in silenzio per il resto del viaggio. Gli faccio domande a raffica, forse si è solo scocciato di starmi ad ascoltare e va davvero tutto bene.
«Ecco, siamo arrivati», la macchina si ferma davanti la loro casa, quindi scendiamo.
I suoi occhi rimangono puntati verso il basso, perciò non riesco a incontrare il suo sguardo. «Jen, se c’è qualcosa che non va dimmelo».
Gli afferro la mano e la stringe. «Parliamo quando torniamo a casa, okay?», riesco a scorgere i suoi bellissimi occhi sotto le ciglia lunghe.
«Okay», gli stampo un bacio sulle labbra.
Ci avviammo verso la porta, ma prima che posso suonare al campanello Jensen mi afferra per il polso e mi fa girare di scatto, facendo sbattere il mio petto contro il suo. «Cosa c’è?», chiedo, passando la lingua fra le labbra secche.
Posa un dito su di esse, sorridendomi. «Non ho ancora avuto l’occasione di dirti che stasera sei bellissima», sussurra. «Come sempre, d’altronde», aggiunge.
«Grazie», arrossisco.
Mi allontano, ricomponendomi e suono al campanello. Durante l’attesa che qualcuno venisse ad aprire, lanciai un’occhiata a Jensen, il quale sembrava più nervoso di prima.
«Ragazzi, che bello vedervi!», la voce di Josè mi fa sobbalzare. Per quanto ero in sovrappensiero non avevo notato che la porta era stata aperta.
«Ciao amico», Jensen gli batte  il pugno, entrando prima di me e andando chissà dove.
Abbraccio Josè. «Rach, non puoi nemmeno immaginare come sta Camilla. Sta impazzendo!»
Scoppio in una fragorosa risata. «Posso immaginarlo».
Entro in casa ed uno strano odore invade le mie narici. Josè ride, forse ha notato la mia espressione confusa. «Camilla ha insistito per cucinare e sai che lei non è in grado di fare nemmeno un uovo. Non oso immaginare come sarà la cena».
Questo spiega tutto. «Spero non sia tanto male, perché sto morendo di fame», borbotto.
Ci rechiamo in cucina e trovo Jensen che chiacchiera allegramente con Camilla. Con lei è tranquillo e con me no?
Alzo un sopracciglio, ma poi mi siedo accanto a lui, fingendo che la cosa non mi abbia dato fastidio. «Rachel, non ti avevo visto entrare!», Camilla mi sorride e, prima di venirmi ad abbracciare, si pulisce la mani con un canovaccio.
«Sono appena arrivata», le spiego, mordendomi un labbro.
Riprende a cucinare e a parlare con Jensen, come se non fossi presente. Il nostro non è stato mai un bel rapporto, a causa della gelosia che ho sempre nutrito per Josè. Essendo la sua migliore amica mi sono preoccupata per lui quando stavano cominciando ad uscire insieme, quindi mi sono messa in mezzo e credo che lei non me l’abbia mai perdonato.
Josè e io ci sediamo sul divano. Prendo il telecomando ed accendo la televisione, ma non trasmettono niente di interessante.
«Va tutto bene?», Josè nota che c’è qualcosa che mi turba. Mi conosce troppo bene.
«In realtà no», sussurro al suo orecchio, lanciando occhiate nella direzione di Josè e Camilla.
«Cos’è successo?», tiene il tono della voce. Deve aver capito che non deve ascoltare nessun altro.
«Jensen era strano con me, ma non riesco a capire cos’ha fatto. Ora sembra tutto normale, ma credimi che non lo è». Gli spiego, continuando a lanciare occhiate nella loro direzione.
Josè annuisce, sembra aver capito. «Ah, sei sicura?».
«Purtroppo si», sbuffo, buttando la testa all’indietro.
Qualcosa che non va c’è, ma Jensen me ne avrebbe parlato solo una volta tornati a casa. Non credo che riuscirò a resistere tanto a lungo. E se fosse una cosa orribile? Se volesse lasciarmi?
«Terra chiama Rachel!», Josè mi sventola una mano davanti agli occhi. «Non preoccuparti troppo», mi stringe in un abbraccio.
Scuoto la testa. «Come faccio? E se mi lascia?»
Mi da un colpetto sul braccio. «Basta, ho detto!»
Mi trascina vicino a Jensen e Camilla. Mi siedo dove mi trovavo poco fa e resto in silenzio. Ascolto le loro conversazioni, ma non mi interessano. Voglio solo sapere cosa sta succedendo!
«La cena è pronta», annuncia Camilla.
Ci sediamo a tavola e un piatto pieno di pasta – puzzolente – mi spunta davanti. Sorrido a Camilla, fingendo che non vedo l’ora di gustare ciò che ha cucinato. Ho le convulsioni al solo pensiero!
«Uhm, che buon odorino tesoro!», Josè mi fa l’occhiolino, quindi rido.
Jensen mi da una gomitata sulle costole, per farmi voltare nella sua direzione. «Cosa c’è?»
«Fa schifo», sussurra, facendomi ridere.
«Lo so, anche Josè lo pensa, ma fingi che tutto sia buono. Altrimenti ci resta male». Sorrido.
Jensen annuisce.
«Sono davvero felice che tu sia venuto a cena», Camilla si rivolge direttamente a Jensen e posso notare che i suoi occhi brillano.
«E io sono felice di essere qui». Jensen mastica la pasta e prova a non fare smorfie.
«Per quanto tempo resterai qui?», Camilla continua a fissarlo.
Jensen si irrigidisce. «Un altro po’», si limita a dire, passandosi una mano sul viso.
Gli lancio un’occhiata interrogativa, ma lui scuote il capo. Penso di aver capito cosa lo turba, ma resto in silenzio. Avremo modo di parlare stasera.
«Come farete però? Insomma, l’America e l’Italia non sono a due passi!», ribatte Camilla.
Sospiro. Sto tenendo a freno i miei nervi, ma se continua con queste domande penso che cederò. «Faremo in modo che funzioni». Le lancio un’occhiataccia, facendola zittire.
«Okay. Volete altra pasta?», chiede Josè, cambiando discorso.
Scuotiamo la testa. Non voglio mangiare ancora quella schifezza. «Con permesso». Mi alzo da tavola e mi congedo, andando in bagno. Chiudo la porta a chiave e scivolo a terra. Anche Camilla ha dovuto ricordarmi che io e Jensen saremo molto lontani. Stringo le ginocchia al petto, affondando il viso tra esse e lascio sfogo alle mie frustrazioni. Non c’è altra soluzione oltre al pianto.
«Amore, tutto bene?», Jensen sbatte il pugno sulla porta.
«Si, ora vengo», sussurro a malapena, rialzandomi da terra.
Quando apro la porta è ancora lì e prima che possa dire qualcosa mi abbraccia. Tutto ciò di cui ho bisogno è questo. Lui. «Non pensarci!»
«Okay».
Torniamo in cucina e trovo Camilla e Josè in un tenero momento. Sbuffo, ma per non interromperli mi siedo sul divano. Jensen mi imita e mi circonda le spalle con un braccio. «Hai gli occhi quasi neri», nota, facendomi sorridere.
«Te ne sei accorto ora?»
«No, me ne sono accorto la prima volta che ho incontrato te, ma lo dico ad alta voce solo ora». Sembra quasi in imbarazzo nel dire quelle cose.
«Allora, vi va di vedere un film?», Josè riappare davanti a voi, sorridendo.
Mi stringo nelle spalle. «Per me va bene».
«Anche per me», mi appoggia Jensen.
Dopo varie proteste, decidiamo di guardare American Pie – Ancora insieme. Ci accomodiamo sul divano e iniziamo a vedere il film in silenzio. Be’, almeno io e Jensen. Gli altri due si baciano, non dando peso che noi siamo accanto a loro.
«Ma se andiamo a casa?», propongo.
«Vuoi sapere cosa mi turba», non è una domanda.
Annuisco. «Andiamo, ti prego».

Tre quarti d’ora più tardi siamo tornati a casa. Mi siedo sul divano e Jensen fa lo stesso.
Voglio sapere cosa sta succedendo, anche se ho la certezza che mi turberà. «Allora?», lo incito a parlare.
Sospira. «Ho provato a ribattere, ma non mi hanno dato retta», dice.
La paura prende il possesso del mio corpo. «Dimmi cosa succede».
«Devo andarmene fra tre giorni».
Sbarro gli occhi e il primo impulso è quello di andare in camera mia e chiudermi a chiave. Lasciando tutto il mondo fuori.
Sola.

Spazio autrice:
ciao a tutti c:
ho aggiornato prima del previsto e spera che vi piaccia il capitolo.
Mi scuso per eventuali errori.
Alla prossima!

Diemmeci.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Dodicesimo capitolo. ***


Dodicesimo capitolo.   

Ho passato la notte in camera, stretta tra le lenzuola del mio letto. Non ho fatto entrare Jensen, perché sapere che fra due giorni non sarà più qui con me fa male. Così tanto che preferisco tenerlo lontano da me. Adesso, però, è mattina e devo affrontarlo da persona matura. Non posso scappare.
Mi tiro a sedere sul letto, asciugando le lacrime che verso dalla sera prima. Mi faccio forza ed esco dalla camera, trovando Jensen disteso sul divano che guarda la televisione. «Ciao», sussurra, quando mi siedo sulla poltrona.
Devo avere un aspetto terribile. «Scusa se mi sono comportata così».
Si avvicina a me, avvolgendomi in un caloroso abbraccio. «Non scusarti. Non avrei dovuto dirtelo in quel modo brusco».
Scuoto la testa. «Hai fatto bene, invece. Prima o poi sarebbe arrivato questo momento, lo sappiamo entrambi».
«Già, solo che non pensavo che sarebbe arrivato così in fretta».
Gli sfioro la guancia, per poi prendere la sua testa fra le mie mani e lo bacio dolcemente. «Non dirlo a me».
Restiamo seduti un altro po’, poi il mio stomaco brontola. Mi alzo dalla poltrona e vado verso la cucina. Il problema, però, è che non ho fatto la spesa da quando siamo tornati, quindi non c’è nient’altro che formaggio.
Rido come una cretina, mentre elimino la parte malandata del formaggio. «Ho già controllato, c’è solo questo», Jensen entra in cucina, per poi indicare il formaggio che sto mangiando.
Sbuffo. «Dobbiamo andare a fare la spesa, credo», ridacchio.
«Stai meglio?», mi chiede con la sua voce profonda.
«Un po’», mento, accennando un sorriso.
Stritola le mie guance con le dita, sorridendomi. «Capisco quando menti, amore».
Amore. «Okay, è vero», ammetto. «Comunque, dopo aver fatto la spesa ti va di conoscere di mia madre?»
Sgrana gli occhi. «Dici davvero?»
«Si, ma se non vuoi ti capisco».
Scuote la testa, facendo intrecciare le nostre dita. Sposto lo sguardo sulle nostro mani e sorrido. «Sono felice di poterla conoscere, solo pensavo che volevi passare un po’ di tempo da soli».
«Abbiamo anche domani, no?»
«La sera parto», sussurra, provocandomi una fitta allo stomaco.
«Lo avevo dimenticato», mi do una manata in fronte, sentendomi una cretina per la seconda volta. «Hai preparato le valige?»
«Le preparo domani mattina».
«Okay».
Mi do una spinta, per poi mettermi a sedere sul tavolo. Jensen si posiziona davanti a me, tra le mie gambe, ed inizia a lasciare una scia di baci umidi lungo il mio collo. Gemo. «Ti ho già detto che profumi di limoni?», sussurra fra un bacio e l’altro.
Sorrido. «Si».
Quando, finalmente, torna a baciarmi sulle labbra posso ricambiare. Intreccio le gambe intorno al suo bacino. «Ti senti pronta a fare l’amore con me?»
Ridacchio, pensando che lo avesse capito. «Sissignore!»
Posa, delicatamente, le mani sul mio sedere e, tenendomi stretta a lui, cammina verso la camera da letto.
Chiude la porta e il resto del mondo rimane fuori.
Siamo solo io e lui.

«Per la terza volta: devi prendere la pasta De Cecco!», esclamo esasperata.
Stiamo facendo la spesa,ma a quanto pare Jensen non è in grado di trovare un pacco di pasta da solo. Sembra perso. «Ho capito, ma Barilla è buona lo stesso. O no?»
Mi do una manata in fronte. «Okay, lascia Barilla!»
Dopo un’ora e mezza riusciamo a raggiungere la cassa, e il nostro carrello trabocca di cose da mangiare. In casa non è rimasto più nulla.
Quando arriva in nostro turno, la cassiera ci guarda a bocca aperta e mi aspetto che urli , ma inizia a passare quello che abbiamo preso. Jensen si gratta la nuca in imbarazzo, forse perché la maggior parte delle persone è voltata verso di noi.  «Scusa, potresti farmi una autografo?», chiede la cassiera, porgendo a Jensen un pezzo di carta e una penna.
Lui annuisce, più che felice. «Ovviamente. Come ti chiami?», ma ci sta provando?
«Valentina», risponde, ridacchiando.
Quando ha finito di scrivere, do un’occhiata al foglio e riesco a leggere:
AValentina,
con tanto affetto
Jensen Ackles.
Ecco a cosa serviva il nome.
«Grazie, ciao!», esclama felice, prima che lasciamo il supermercato.
Una volta che siamo fuori, raggiungiamo la macchina e posiamo nel porta bagagli tutte le buste. «Tua madre sa che stiamo andando?», mi chiede, mentre mette in moto la macchina.
Annuisco. «Le ho mandato un messaggio prima».
«Non so nemmeno il suo nome. Come si chiama?», è curioso.
Abbasso lo sguardo sul cellulare, che segna l’arrivo di un messaggio. «Katia».
Apro il messaggio e lo leggo:

Rach, Camilla insiste nell’invitare te e Jensen domani a pranzo da noi.
Non siete obbligati, però fammi sapere al più presto.
Josè. Xx.


«Camilla ci ha invitati a pranzo a casa loro, domani», dico, attirando la sua attenzione.
Sul suo volto spunta un sorriso. «Mi sta simpatica quella ragazza. Josè è fortunato».
Per la prima volta sento una strana sensazione crescere dentro di me. Avverto la rabbia che bolle. «Davvero fortunato, si», fortunatamente non nota la mia ironia.
«Camilla è molto dolce, Josè la merita davvero», continua, facendomi arrabbiare ancora di più.
«Sei un cretino!», urlo, sbattendo i piedi sul cruscotto, come una bambina.
Jensen ride. «Ci sei cascata».
Sgrano gli occhi, non capendo. «Come?»
«Ti volevo fare ingelosire e ci sono riuscito!»
Gli do una pacca sulla spalla, sentendo la mia rabbia diminuire. «Fingevo», gli faccio la linguaccia.
«Si, fingevi proprio». Mi prende in giro, continuando a ridere.
Che cretino!
«Quindi», riprendo il discorso del pranzo, «andiamo o no?»
Storce le labbra. «A te va?»
«Da una parte si e l’altra no. Decidi tu, però».
«Allora andiamo. Ci farà bene stare tutti insieme», sorride.
Digito il messaggio a Josè e, dopo averlo inviato, sposto lo sguardo fuori dal finestrino. Sospiro.
«Rach, ma sei italiana perché hai un nome straniero?», mi chiede, cambiando argomento.
«Mia nonna era Americana e si chiamava Rachel, quindi mia madre ha voluto darmi questo nome», gli spiego.
«Hai fratelli o sorelle?», mi sta facendo il terzo grado.
Mi rattristo, annuendo. «Avevo un fratello».
«Avevi?»
«Se ne è andato cinque anni fa, purtroppo».
«Non lo sapevo, mi dispiace amore». Stringe la mia mano e un brivido percorre il mio braccio.
Ricambio la stretta. «Non potevi saperlo», accenno un sorriso. «Tu, invece,hai fratelli o sorelle?»
«Non eri una mia fan?», alza un sopracciglio.
«Ero, ora sono la tua ragazza e fingo di non sapere il tuo albero genealogico», ridacchio.
«Oh, davvero astuto. Comunque, ho un fratello e una sorella».
«E come si chiamano?», chiedo nuovamente, fingendo che non lo sappia, quando invece non è così.
«Joshua e Mackenzie», mi sorride, scuotendo la testa.
«Wow, non lo sapevo!», butto la testa all’indietro, ridendo.
«Come no!», Jensen si unisce alla mia risata.

«Rachel, che bello vederti!», mia madre avvolge le esili braccia intorno al mio corpo.
Vederla, dopo molto tempo, mi fa stare bene, perché lei ci sarà sempre per me. E sempre c’è stata. «Ciao mamma».
Jensen sfoggia il suo miglior sorriso e le porge la mano. «Salve, io sono Jensen».
Mia madre gli sorride e la stringe. «Katia, tanto piacere!»
Ci fa accomodare in salotto, ma prima di sedersi sul divano va in cucina a prendere qualcosa da mangiare. Quando ha ospiti, ad esempio come ora, offre sempre la stessa cosa: la crostata.
«Siete identiche», nota Jensen, disegnando cerchi immaginari sul dorso della mia mano.
Annuisco. «Lo so», ridacchio.
Mia madre torna in sala e porta un vassoio, su cui ci sono tre fette di crostata. Sorrido, perché lo avevo previsto. «La crostata di mia madre è la migliore!», faccio l’occhiolino a Jensen, prendendo un pezzo di crostata e assaggiandone un pezzo. Deliziosa.
«Hai ragione», dice, dopo averla assaggiata. «In America il cibo non è così buono, purtroppo».
«Già», mia madre lo appoggia. «Allora, Jensen, sei l’attore che interpreta Dean Winchester in Supernatural, esatto?»
Le ho sempre parlato di lui, perché è stato il mio primo amore platonico ed anche reale, a quanto pare. Lui annuisce. «Esatto».
Sul suo volto appare un sorriso. «Rachel mi parlava sempre di te, quando viveva ancora qui. Ti amava alla follia!»
Arrossisco violentemente. Come ha potuto dire una cosa del genere? Le lancio un’occhiata che, se avesse potuto, l’avrebbe incenerita. Sposto lo sguardo su Jensen, il quale mi sorride e capisce che stavo morendo di vergogna. «Rachel è meravigliosa», dice, guardandomi.
Mi sciolgo nel sentire quelle parole. Mia madre annuisce, dandogli ragione. «Già».
Sprofondo nel divano, appoggiando le ginocchia al petto. Il mio sguardo va a finire su un punto impreciso e per un secondo immagino che la nostra relazione sia come tutte le altre. Immagino che Jensen non deve andarsene e che resterà con me. Immagino io e lui sposati,magari con dei bambini. «Allora, cosa ne pensi Rachel?», Jensen mi scuote.
Torno alla realtà. «Cosa?»
«A che pensavi, tesoro?», mia madre mi sorride, posandomi una mano sul ginocchio.
«A nulla», mento, sentendomi a disagio al pensiero di dover dire a cosa pensavo davvero.
«Okay. Dicevo a tua madre che domani sera partirò e non appena posso torno e magari veniamo qui a cena».
Accenno un sorriso. «Va bene».
Mia madre si alza dal divano e sposta lo sguardo sull’orologio appeso alla parete. Segna le undici e mezza, quindi deve andare a messa. «Mi dispiace molto, ma devo andare a messa». Si rivolge direttamente a Jensen. «Mi ha fatto davvero tanto piacere conoscerti, bel ragazzo. Ci vediamo presto, mi raccomando!», gli da una pacca sulla spalla. «Tesoro», mi abbraccia, «torna a trovarmi quando vuoi».
«Certo, a presto mamma», le do un bacio sulla guancia.
Usciamo di casa e la prima cosa che faccio è baciare Jensen. Ho un bisogno tremendo di sentirlo mio, completamente. Lo stringo forte a me, come se potesse scivolare e andarsene per sempre. «Sono fottuta», sussurro, rendendomi conto che quello che sto per dire potrebbe complicare tutto.
«E perché?», mi sfiora la guancia.
«Io ti amo», confesso, abbassando lo sguardo ed aspetto chissà quale reazione.
Invece, due braccia mi avvolgono in un abbraccio. «Ti amo», sussurra, baciandomi dolcemente.

Non posso credere a quello che è accaduto poco fa.
Jensen ha confessato di amarmi e questo è decisamente la cosa migliore che potesse dirmi. Ora mi trovo in camera mia, distesa sul letto e attendo che Josè risponda alla mia chiamata. «Rach?», finalmente risponde.
«Ciao. Ti disturbo?», chiedo.
«Assolutamente no. Che fai di bello?»
Sorrido. «Sto sul letto. Devo dirti una cosa bellissima!»
«Non tenermi sulle spine e parla!», mi incita Josè.
«Poco fa, siamo andati a casa di mia madre e quando ce ne siamo andati non ce l’ho fatta più e ho confessato di amarlo. E indovina?», faccio una pausa. «Lui ricambia!»
Dall’altra parte della cornetta arriva un urlo. Rido. «È fantastico, Rach!»
«Già, ma c’è anche una cosa terribile che non sai», mi rattristo un po’.
«Sarebbe?»
«Jensen parte domani sera», ho un groppo alla gola, mentre pronuncio quelle parole.
«Di già?», Josè sembra esserci rimasto male. «E qual è il motivo di questa partenza anticipata?»
«Iniziamo le riprese della nuova stagione».
«Stai bene?», percepisco il terrore mentre parla. Ha paura che io stia male.
«Penso tu abbia capito come sto. Mi sento una merda».
«Ora dov’è Jensen?», chiede, cambiando discorso.
Accenno un sorriso. «Prepara il pranzo».
Dall’altra parte sento un urlo, ma non è proveniente da Josè. «Tesoro, devo lasciarti. Camilla vuole che la vada ad aiutare. A dopo!»
Raggiungo Jensen in cucina e, dato che non mi ha vista arrivare, lo abbraccio da dietro, facendolo sobbalzare. «Che cucini?», chiedo, sporgendomi oltre la sua spalla per sbirciare. Purtroppo sono troppo bassa e non riesco a vedere niente.
«La Carbonara».
Un buon profumo inebria le mie narici. «Uhm, sembra buona».
Mi stacco da lui, quindi si volta e cinge con le mani i miei fianchi. Appoggio la testa sul suo petto ed inspiro il suo profumo. «Saresti un ottimo marito», ridacchio.
«Ah, si?», accarezza i miei capelli, per poi lasciarci un bacio delicato.
Mi allontano da lui, sedendomi su uno sgabello. Lo guardo cucinare: sembra concentrato al massimo. «Se mi fissi mi metti in soggezione».
Alzo gli occhi al cielo, ridendo. «Scusami, amore».
«Oggi passiamo il resto della giornata insieme, nessuna scusa».
Mi metto a giocare con delle ciocche dei miei capelli. «Sissignore».
«Bene. Il pranzo è pronto», annuncia, applaudendo.
Rido, scuotendo la testa. «Spero non faccia schifo».
«Stai dubitando delle mie doti di grande cuoco?»
«Be’, devi ammettere che voi Americani cucinate da schifo», continuo a ridere, spingendo le mani sullo stomaco.
Mi stampa un bacio sulle labbra. «Quanto posso amarti?»

Spazio autrice:
ed ecco per voi il dodicesimo capitolo.
Spero vi piaccia khdfsfr attendo con ansia di sapere i vostri pareri.
Grazie per tutte le fantastiche recensioni che mi lasciate ogni volta, siete meravigliosi!♥♥

Diemmeci.



Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Tredicesimo capitolo. ***


Tredicesimo capitolo.

«Svegliati, Rach», Jensen mi scuote per la seconda volta, quindi mi volto dandogli le spalle.
«Non ho voglia di alzarmi ed iniziare una nuova giornata», borbotto con la voce ancora impastata dal sonno.
«Nemmeno se fosse l’ultimo che possiamo passare insieme prima che io parta?», sussurra, abbracciandomi da dietro.
Sospiro, aprendo gli occhi e poso le mie mani sulle sue, che si trovano sul mio ventre. «Forse».
«Fra un’ora dobbiamo stare da Josè e Camilla, quindi faresti meglio ad alzarti», si allontana da me.
Sbuffo e, come mi ha detto, mi alzo per andare in bagno.
Mi guardo allo specchio e ricordando che giorno è oggi mi incupisco. Non posso vivere in tranquillità almeno per qualche minuto? Il destino vuole che io soffra, ormai l’ho capito.
«Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare?», urla Jensen da fuori la porta.
«No, non ho fame», lo stomaco si è chiuso.
Esco dal bagno e cerco dei vestiti da indossare. Jensen è già pronto e sta disteso a pancia in sotto sul letto. «Che guardi?», chiedo curiosa, notando che guarda qualcosa sul computer.
«Lo sapevi che i Fan di Supernatural scrivono delle Fan Fiction sulla serie?», mi chiede divertito.
Alzo un sopracciglio. «Anche io le scrivevo», borbotto, infilandomi gli stivali.
«E ne hai ancora qualcuna?»
Scuoto la testa, amareggiata. «Purtroppo il computer è stato attaccato da un virus ed ha cancellato tutte le storie».
Sgrana gli occhi. «Dimmi che è uno scherzo».
«Cosa?», chiedo, raccogliendo i capelli in una coda alta.
«Scrivono di me e Castiel, insieme».Sembra scioccato.
«La Destiel, si», gli sorrido, per poi ridere.
«Che cosa terribile!»
Ridacchio. «Non essere ridicolo. Dean e Castiel insieme sono l’amore».
«Okay, basta parlarne. Vogliamo andare?», cambia discorso, alzandosi e spegnendo il computer.
Alzo gli occhi al cielo, esasperata. «Certo».

«Ciao ragazzi!», Camilla ci sorride sull’uscio della porta.
Jensen fa un passo avanti e la abbraccia. «Camilla, sono felice di vederti», sfodera uno dei suoi migliori sorrisi, per poi entrare in casa e scomparire in sala.
Mi schiarisco la voce, sfilandomi il cappotto ed appoggiandolo su una sedia, che si trova dietro la porta. «Rach, come stai?», due braccia ossute mi avvolgono in un abbraccio, stritolandomi.
«Ehm, bene», sciolgo l’abbraccio.
Camilla mi prende per mano e mi trascina in cucina, chiudendo la porta. «Ti va di aiutarmi a cucinare? Sono impedita», sussurra in evidente imbarazzo.
Annuisco. «Certo. Ti dispiace se vado a salutare Josè prima?»
«In realtà, sta parlando con Jensen di una cosa importante. Lui stesso mi ha detto di dirti che sarebbe venuto a salutarti fra un po’». Sembra essere a disagio.
Mi stringo nelle spalle. «Okay. Allora, che cosa avevi intenzione di cucinare?», cambio discorso, ma non riesco a capire come mai Camilla si comporti così.
«Non ne ho idea», ammette.
«Non fa niente. Che ne dici di preparare la pasta con i funghi?», è la prima cosa mi è venuta in mente, dato che ci sono dei funghi sul lavello.
«Dico che è perfetto», fa una pausa, ma noto che deve dire qualcos’altro. «Senti, Rach, io vorrei parlarti».
Sapevo che c’era qualcosa sotto! Mi siedo su una sedia. «Dimmi tutto».
Lei mi imita e sospira. «Volevo scusarmi per come mi sono comportata ultimamente. Lo so che non abbiamo mai avuto un buon rapporto noi due, ma adesso che sto per sposare il tuo migliore amico vorrei rimediare», un sorriso sincero si dipinge sul suo volto. «Puoi perdonarmi?»
Senza esitare, annuisco. «Certo, mi fa piacere di poter ricominciare da capo».
«Anche io. Mi dispiace davvero per il mio orrendo comportamento».
«Non pensiamoci più», la avvolgo in un abbraccio.
Decidiamo di iniziare a preparare il pranzo, quindi Camilla pulisce i funghi, mentre io peso la pasta e metto l’acqua a bollire.
Un’ora più tardi, è tutto pronto e finalmente Josè entra in cucina e mi abbraccia. «Rach, scusa se non sono venuto subito a salutarti».
Sorrido. «Non ti preoccupare».
Torniamo in sala, in cui c’è il tavolo già apparecchiato. Camilla porge ad ognuno una porzione di pasta e così iniziamo a mangiare. Decisamente migliore dell’altra volta. «Avete deciso la data del matrimonio?», chiedo curiosa.
Josè si gratta la nuca. «Diciamo».
«Diciamo?», Jensen aggrotta le sopracciglia.
«B’, vorremmo farlo a Dicembre, anche è presto», si intromette Camilla, sorridendo.
«Fantastico!», sono felice. «E in quale chiesa?»
«Questo dobbiamo ancora deciderlo», sussurra Josè, poi si rivolge direttamente a Jensen. «Quando tornerai, promettimi che farai una partita con me e i miei amici».
Jensen sorride. «Contaci».
Camilla stringe la mano di Josè, poi si lanciano uno sguardo d’intesa, che alla fine riportano su di me. «Abbiamo una sorpresa», sussurra.
Deglutisco rumorosamente. Una sorpresa? «Davvero?», esce un filo di voce, che sentono appena.
«Già», conferma Jensen, sfoderando un sorriso complice.
«Che avete combinato?», sussurro, sul punto di una crisi isterica. Loro ridono, facendomi preoccupare ancora di più. «Ditemelo».
Josè alza le mani in segno di resa. «Okay, calma Rach». Tira fuori dalla tasca dei jeans una busta bianca e me la porge.
La afferro, continuando ad essere preoccupata, e la apro velocemente. Rimango a bocca aperta nel vedere due biglietti aerei. «Non è molto, ma tu e Jensen potrete passare una settimana da soli, il prossimo mese». Camilla sorride.
«Non sto sognando, vero?», chiedo, sentendo gli occhi pizzicare.
«Assolutamente no. Il prossimo mese, sicuramente, sentiremo entrambi la mancanza dell’altro, perciò potremo passare un’intera settimana su un’isola che appartiene a mio padre». Jensen mi stampa un bacio sulla labbra, facendomi sorridere.
«Wow, avete un’isola?»
Annuisce. «Si, nella quale è presenta una bella casetta solo per noi».
Sospiro. «Non so come ringraziarti».
«Hanno fatto tutto loro», indica Josè e Camilla.
Corro ad abbracciarli, felice più che mai. «Grazie ragazzi, siete fantastici!»

«Non riesco ancora a credere che fra un’ora sarai su un aereo, lontano da me», continuo a ripetere queste parole, camminando avanti e indietro per l’aereoporto.
Jensen è seduto su una sedia e sembra calmo. «Rach, niente di tutto questo cambierà. L’importante è questo, o no?»
Annuisco, provando ad auto-convincermi. «Be’, in parte hai ragione», mi misi a sedere anche io. «Ma sarà un po’ diverso, non credi?»
«Si», stringe la mia mano, «ma noi riusciremo a farcela».
Mi faccio avvolgere in un abbraccio, assaporando ogni singolo istante che ci resta. «Ce la faremo», sussurro, convinta.
Mi accarezza i capelli. «Esatto, continua a crederci».
«Tornerai per il matrimonio di Josè e Camilla?»
«Come potrei perderlo?», sciolgo l’abbraccio e sorrido.
«Sono così felice di averti incontrato», ammetto, provando imbarazzo, tanto che penso di essere arrossita per l’ennesima volta in sua presenza.
Mi sfiora la guancia. «Anche io, Rach».
«Io avrei un piccolo regalo per te, ma non credo sia giusto dartelo. Insomma, non appartieni a me, quindi non vorrei sembrare appiccicosa», abbasso lo sguardo.
«Primo: io appartengo a te e tu appartieni a me», alzo lo sguardo, accennando un sorriso. «Secondo: dammi questo regalo», ridacchia.
Dalla borsa tiro fuori un braccialetto, con su scritto:

AMARTI NON ERA NEI MIEI PROGRAMMI.

Lo prende fra le proprie mani e sorride. «Nemmeno nei miei», sussurra. «Me lo metti?», me lo porge.
Tentenno un po’, ma alla fine riesco ad agganciarlo al suo polso. «Ti piace?»
«Tantissimo. Anche io, in realtà, ne avrei uno».
«Abbiamo pensato tutti e due alla stessa cosa», sorrido.
«A quanto pare, si», dalla tasca dei jeans estrae un anello d’argento. «Questo non significa che ci sposeremo», premette.
«L’avevo già capito da sola», mi mordo il labbro.
«C’è scritto qualcosa nella parte interna?», chiedo, prendendolo e leggendo l’unica parola incisa:

TUO.

«Grazie», sussurro, abbracciandolo.
«Ma figurati», lo infila nella mano destra, al dito medio. Ho sempre desiderato un anello!
«Ora sei mio», sorrido soddisfatta, portando una mano al cuore.
Jensen ride, annuendo. «Sempre».
«Ascolta! Stanno chiamando un volo», sporgo l’orecchio per ascoltare meglio, e la voce che si propaga per l’intero aereoporto ci informa della cosa che più temevo.
«Si, è il mio volo», Jensen risponde alla mia domanda non esplicitata.
Mi alzo e, senza dire niente, lo stringo a me. Sono degli attimi preziosi questi, e non voglio sprecarli. «Ti amo», gli stampo un bacio sulle labbra e sento gli occhi pizzicare. Le lacrime no!
«Non piangere, piccola», asciuga, con il pollice, una lacrima solitaria che stava scorrendo sulla mia guancia. «Ti amo anche io».
Afferra la valigia e, prima di vederlo andare via, lo abbraccio di nuovo. «Chiamami appena arrivi,  ti prego».
«Certo», un’espressione triste compare sul suo volto. «Mi manchi già».
Chiamano per la seconda volta il suo volo, quindi si allontana da me, mandandomi un bacio. Sospiro, vedendolo andare via per tornare nella propria Terra.
Come farò senza di lui?

Spazio autrice:
finalmente ho aggiornato!
Vi chiedo scusa per l'enorme ritardo, ma non avevo ispirazione.
Spero che vi piaccia :)
penso che avrete capito che Camilla è innocua lol.
Alla prossima!


GRAZIE DELLE SPLENDIDE RECENSIONI. SIETE MAGNIFICI. ♥

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Quattordicesimo capitolo. ***


Quattordicesimo capitolo.

La mattina successiva mi sveglio presto ed attendo ancora una chiamata da parte di Jensen. Mi alzo dal letto, andando in cucina e preparo un caffè per riuscire a svegliarmi del tutto. Mi guardo intorno e mi sento persa: senza lui la mia casa è vuota.
I miei pensieri vengono distratti da una suoneria, che proviene dal mio cellulare. Corro a prenderlo, ma rimango delusa nel leggere che è Josè. «Pronto?», lo sussurro appena, a causa della voce ancora impastata dal sonno.
«Come stai, Rach?», la sua voce è premurosa.
«Bene», mento, consapevole che non se berrà.
Sento uno sbuffo. «Non ti ha ancora chiamata?»
Sento una stretta allo stomaco. So che deve essere arrivato da poco, quindi ha bisogno di riposo, ma a me basta sapere che sta bene, anche con un misero messaggio. «No».
«Ti chiamerà a momenti».
«Lo spero, Josè. Mi manca già, è possibile o sono impazzita?», bevo un sorso di caffè, ricordando di quando io e Jensen facevamo colazione insieme. Sembra già un lontano ricordo e questo mi mette malinconia.
«Non sei impazzita. Lo ami ed è normale che ti manchi».
Scosto i capelli dagli occhi. «Hai novità?», cambio discorso, provando a non pensare a Jensen.
«Si, ti ho chiamata per chiederti una cosa», avverto dell’esitazione nella sua voce.
«Dimmi tutto», bevo un altro sorso di caffè.
«Dato che è Settembre dovrai ricominciare a gestire bene il negozio e mi chiedevo se per un po’ poteva farlo Camilla. Me lo ha chiesto lei stessa, ma mi ha detto anche di dirti che non vuole essere pagata».
Mi siedo su una sgabello, elaborando le sue parole. «E perché mai vorrebbe farlo?»
«Non ha un lavoro e le piacerebbe fare qualcosa. Prenderà il tuo posto per un po’ di tempo».
Sospiro. «Non lo so, Josè. Voglio ricominciare a lavorare anche io».
«Allora ti aiuta, ti prego Rach. Non ce la fa più a stare a casa senza fare niente».
«Okay», cedo, «dille di farsi trovare davanti al mio negozio alle cinque in punto».
«Hai intenzione di iniziare oggi?», la sua voce è gioiosa adesso.
«Si, almeno non penserò alla situazione in cui mi trovo».
«Grazie, sei un tesoro».
Termino il caffè. «Di nulla, ciao Josè». Attacco, lasciando il cellulare sul tavolo della cucina, per poi allungarmi sul divano ed accendere la televisione.

«Ciao Rachel, scusa per il ritardo!», Camilla mi abbraccia, per poi lasciarmi andare e sistemarsi i capelli.
Accenno un sorriso. Alzo, con tutta la mia forza, la serranda e poi apro la porta del negozio. «Entra pure», le faccio un cenno con la mano.
«Questo negozio è molto carino», si guarda intorno, poi posa lo sguardo su di me, continuando a sorridere.
«Grazie», rispondo. «Allora, tu vuoi aiutarmi per un po’, a come ho capito».
«Si, per te non è un problema», posa la borsa sul bancone. «Ultimamente passo troppo tempo a casa e non ne posso più», mi spiega.
Annuisco. «Okay, e sei sicura di non voler essere pagata?»
«Non preoccuparti, non voglio niente», mi rassicura.
Controllo il mio cellulare, per l’ennesima volta dalla mattina, ma non trovo nemmeno un messaggio da parte di Jensen. Si è già dimenticato di me?  «Non ti ha ancora chiamata?», Camilla capisce al volo.
«Già», mormoro, sentendo una stretta allo stomaco. «Pensi che non possa o che non voglia?»
«Rachel, se non ti ha chiamata significa che non può. Non appena gli si presenta l’occasione lo farà».
«Hai ragione, sono io che mi preoccupo troppo», ridacchio, iniziando a sistemare la marce arrivata poco fa negli scaffali.
Camilla si accosta a me e mi guarda attenta. «Posso farlo io?», chiede poi, accennando un sorriso.
Le porgo uno scatolone ed inizia così a sistemare la merce al posto mio. Io torno dietro il bancone e controllo di nuovo il cellulare. Appena dopo averlo messo da parte, la suoneria mi distrae. «Pronto?», rispondo senza leggere chi è.
«Rachel, sono io!», riconosco la sua voce all’istante e sembra che tutto sia tornato normale.
«Ero così preoccupata! Stai bene?», gli chiedo.
«Benissimo. Ti ho potuta chiamare solo adesso perché fino a poco fa ero ad un incontro con il nuovo regista».
«Com’è andata?»
Sento un sospiro. «Bene. Mi manchi già», il suo tono è malinconico.
Sento l’ennesima stretta allo stomaco. «Non immagini quanto mi manchi tu».
«Adesso sei a casa?»
Scuoto la testa, come se fosse ancora qui e potesse vedermi. «Sono nel negozio con Camilla». Le sorrido, dato che si è voltata verso di me.
«Siete amiche per la pelle, ora?», ride.
«Scemo», rido anche io.
«Rach, ho un’idea. Stasera, alle nove, connettiti su Skype, così possiamo vederci. Da me è ancora pomeriggio, quindi sono libero».
Sorrido. «Non vedo l’ora».
«Anche io. Ora vado, ti amo».
Sospiro. «Ti amo».
Dopo aver attaccato, continuo a sistemare la merce insieme a Camilla. Nel frattempo, parliamo del più e del meno, fino a quando non si fanno le otto e decidiamo di chiudere.

La sera, dopo aver cenato ed essermi lavata accendo il computer ed apro Skype. Sono appena le nove e subito mi arriva una richiesta, che accetto senza esitare. Poco dopo, appare Jensen che sorride. «Ciao amore», mi fa un cenno con la mano.
Mi sembra ancora un sogno quello di stare con lui. Gli sorrido, provando subito nostalgia. «Ciao», sussurro.
«Che stavi facendo?», mi chiede, passandosi la mano tra i capelli.
«Niente, e tu?»
«Imparavo le nuove battute», rise. «Non sai quante cose accadranno nella nona stagione!»
Sgrano gli occhi. «Oddio, davvero?», esclamo felice. «Dimmele, dimmele, dimmele!»
«Non posso, dopo non c’è gusto a vederlo», finge un’aria altezzosa, facendomi sorridere.
«Bene, allora non ti dico che novità ho». Sembra titubante ma non cede, perché in fondo sa che è una trappola. «Ho conosciuto un ragazzo», continuo, ridacchiando. «Si chiama Luca e mi ha invitata ad uscire».
La sua bocca si spalanca. «Se non è uno scherzo, giuro che svengo».
«Non lo è», incrocio le braccia al petto, sorridendo.
«Invece è uno scherzo!», batte le mani. «Tu non sai mentire».
Sbuffo, portando una mano sul cuore. «Non ti mentirei mai, mio adorato», sorrido.
«Ne sono onorato», il suo sorriso si spegne. «Devo dirti una cosa».
«Sono tutta orecchie», la paura prende il possesso del mio corpo. Vuole lasciarmi, lo so.
«C’è un problema per il prossimo mese. Non posso venire con te sull’isola».
«Davvero?»
Annuisce. «Mi dispiace così tanto. Io vorrei venire, ma quei giorni giriamo delle puntate e non posso mancare, lo sai».
«Non ti preoccupare, è il tuo lavoro», sussurro.
«Sapevo che avresti capito. Amore, devo lasciarti adesso», mi manda un bacio volante e chiude la comunicazione prima che io possa salutarlo.
Sarà sempre così?

spazio autrice:
ed ecco il capitolo, finalmentee!
spero vi piaccia, vi chiedo scusa se è corto ma non avevo molte idee.
alla prossima<3

Diemmeci.

on twitter: @stewartlover_

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Quindicesimo capitolo. ***


Quindicesimo capitolo.

È passato un mese dalla partenza di Jensen ed inizio a sentirmi sempre più sola, giorno dopo giorno. Avverto la sua mancanza e mi sento persa. Oggi, però, ho deciso di fare una pazzia perché non resisto più senza di lui: sono all’aereoporto con Josè e mi trovo nella fila per compare un biglietto per Los Angeles. «Sei sicuro che debba farlo?», chiedo per l’ennesima volta.
Josè si è stufato, lo si nota. Mi lancia un’occhiataccia, annuendo esasperato. «Se non ti decidi a compare quel dannato biglietto, lo prendo io per te».
«No!», protesto. «Lo prendo io».
Tira un sospiro di sollievo e noto che si rilassa nel sentirmi dire quelle cose. «Perfetto, è il tuo turno».
Una ragazza, la quale si trova dietro al bancone dove vendono i biglietti, mi sorride. «Salve, qual è la vostra destinazione?»
«Los Angeles, ma vorrei solo un biglietto», alzo l’angolo della bocca, incerta.
«C’è un volo domani mattina alle sei e c’è ancora qualche posto», mi informa, controllando al computer.
Sorrido. «Va bene quello, grazie».
Qualche minuto più tardi, mi porge il biglietto e, dopo averlo pagato, mi allontano dal bancone. «Sei felice, adesso?», Josè mi prende a braccetto, cominciando a camminare verso l’uscita dell’aereoporto.
Annuisco. «Tanto!»
Prendiamo un taxi che ci porterà in centro, perché devo fare alcune spese. Durante il viaggio non faccio altro che pensare a domani. Sono impaziente di poter abbracciare e baciare di nuovo Jensen. «Rach, mi stai ascoltando?», Josè mi sventola una mano davanti il viso.
Sbatto velocemente le ciglia, rendendomi conto che mi stava parlando ma non lo stavo ascoltando. «Ehm, no».
«Dicevo: Jensen sa che tu andrai?»
«No, voglio fargli una sorpresa», sorrido entusiasta. «Perché, è importante che lo sappia?»
«Lui lavora molto in questo periodo, e se non avesse tempo per stare con te?», ipotizza.
Mi mordo il labbro. «Quel che è fatto è fatto».
«Certo, spero solo che potrete stare insieme. Ma dove alloggerai? E il biglietto di ritorno?»
Mi diedi una manata in fronte, esasperata. «Josè, basta parlare! Alloggerò a casa sua, penso, e il biglietto di ritorno lo comprerò direttamente lì».
«Pensi?», inarca un sopracciglio.
Il taxi si ferma, perciò il conducente ci informa che siamo arrivati e scendiamo, dopo averlo pagato. Fortunatamente, Josè sembra aver dimenticato la nostra conversazione, quindi non parliamo più del viaggio. 

La sera, decido di chiamare Jensen per parlare un po’. Da lui è pomeriggio, quindi non credo che stiano registrando. «Rach?», sorrido non appena sento la sua voce dall’altra parte della cornetta.
«Hey», sussurro,  provando per l’ennesima volta nostalgia.
«Ti avrei chiamata fra poco, ma sono felice che l’abbia fatto tu», riesco a capire che sta sorridendo. «Mi manchi».
«Anche tu», mi lascio cadere sul divano. «Domani che fai?», chiedo, sperando che non debba registrare.
«Finalmente abbiamo un giorno libero!», esclama, ridendo.
«Davvero?», sorrido.
«Già, perché?», il suo tono è curioso, ma non sospetta niente.
Sorrido, provando a non ridere. «Per sapere, niente di più».
«Te invece? Hai qualche programma?»
Ridacchio. «Penso che starò a casa».
«Ma è sabato, esci un po’», mi incinta, ridendo. «A proposito, pensandoci bene domani credo che andrò a pranzo fuori con Misha. Ne avevamo parlato, quindi penso che lo chiamerò per organizzarci».
Faccio il conto delle ore che impiegherò per arrivare, poi arrivo alla conclusione che l’aereo atterrerà verso le quattro del pomeriggio. «Va bene», sussurro. «Jen, posso chiederti una cosa?»
«Certo».
Mi sento in imbarazzo. «Mi dai il numero di Jared? Devo chiedergli una cosa». Mi viene in mente solo adesso che non ho idea di dove abiti Jensen, quindi vorrei chiedere a Jared se potrebbe venire a prendermi all’aereoporto ed accompagnarmi.
«Okay», risponde titubante. Mi detta il numero, che segno su un post-it. «Sei sicura che vada tutto bene?»
«Tutto alla perfezione».
«Se lo dici tu», il suo tono è incerto. «Devo lasciarti, ciao sentiamo domani, cioè per me la sera, perché da te è mattina. Insomma, hai capito!»
Rido. «Credo di si», sospiro, «ti amo».
«Ti amo anche io, Rach».
Pochi istanti dopo, decido di chiamare a Jared, quindi compongo il suo numero. «Si?»
«Jared, sono Rachel», mi sento una stupida a chiamarlo, ma è l’unica soluzione.
«Rachel?», è titubante. «Ciao!»
«Sei con Jensen?»
«No».
Sospiro. «Mi dispiace di averti chiamato, ma volevo chiederti un favore», tentenno un po’.
«Dimmi tutto».
«Domani arriverò a Los Angeles alle quattro, perché voglio fare una sorpresa a Jensen, e vorrei sapere se potresti venirmi a prendere all’aereoporto per poi portarmi a casa di Jensen. Mi sono appena ricordata che non so dov’è».
«Certo!», esclama. «Alle quattro, quindi?»
«Parto alle sei da qui, fatti un po’ i conti», sorrido.
«Si, verso le quattro. Perfetto, allora ci vediamo domani».
Sospiro. «Okay, a domani. Grazie».
«Figurati, ciao Rachel!»

Spazio autrice:
salve, chiedo scusa per l'enorme ritardo ed anche perchè il capitolo è corto.
è solo di passaggio.
spero vi piaccia comunque.
un bacio<3

Diemmeci.

on twitter: @stewartlover_

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sedicesimo capitolo. ***


Sedicesimo capitolo.

Sono appena arrivata a Los Angeles e sto cercando di recuperare l’unica valigia che ho portato. L’ho avvistata, ma per allungarmi ed afferrarla ci cado sopra e, come sempre,  faccio la figura dell’imbecille agli occhi delle altre persone. «Rachel!», la voce di Jared attira la mia attenzione.
Prendo velocemente il mio bagaglio e mi allontano, raggiungendolo. «Ciao», lo abbraccio.
«Com’è andato il viaggio?», prende la mia valigia.
Non protesto perché non avrei la forza per ribattere. «Abbastanza bene».
«Jensen non ha propria idea che tu sei qui, quindi». Il suo sguardo si sposta altrove.
«Già, è una sorpresa!» mi sorride, poi, una volta arrivati fuori dall’aereoporto, entriamo in una macchina con i vetri oscurati. Sembra di essere in un film. «Jensen è a casa sua?», chiedo, osservando le persone passare accanto a noi.
Annuisce. «L’ho convinto a restarci, altrimenti sarebbe uscito».
«Cosa avrebbe dovuto fare?»
Si schiarisce la voce. «Mi aveva detto che doveva incontrare una persona, niente di più». Si muove nervosamente sul sedile.
«Una donna?», lo sussurro appena.
«Non ha specificato con chi», si stringe nelle spalle.
Il suo atteggiamento mi insospettisce, ma decido di rimanere in silenzio e fingere che la cosa non mi interessi. Ci sono, in un angolo della mia testa, dei pensieri che mi stanno tormentando e facendo impazzire. Mi ha tradita? Ha un’altra donna? Non mi ha mai amata? «Siamo arrivati», annuncia, facendomi tornare alla realtà.
Mi scrollo quei pensieri di dosso ed annuisco, uscendo poi dall’auto per trovarmi di fronte una bellissima casa. Non troppo grande. Jared controlla il proprio cellulare e improvvisamente la sua espressione cambia, poi punta lo sguardo su di me. «Senti, prima ti va di andare a fare un giro?»
«Perché?», inarco un sopracciglio. Cosa sta succedendo?
«Be’, potresti comprarti dei nuovi vestiti», improvvisa, visibilmente a disagio.
Metto una mano sul fianco. «Che cosa mi stai nascondendo, Jared?»
«Niente», la sua voce è striminzita. «Te lo giuro».
«Okay», sospiro. «Grazie per l’offerta, ma preferisco andare da Jensen. Non lo vedo da un mese e sto impazzendo!» senza aggiungere altro, inizio a camminare verso la porta dell’entrata. Il cancello era aperto, quindi non ho avuto nemmeno il bisogno di citofonare. Nervosa, suono al campanello ed attendo che qualcuno venga ad aprirmi. Quando la porta si spalanca, però, non trovo Jensen, ma appare una donna. «Ciao», accenna un sorriso.
«Dov’è Jensen?», chiedo, cercando di mantenere la rabbia.
«In camera sua. Ma tu chi sei?», alza un sopracciglio, facendomi scoppiare.
«Fatti i cazzi tuoi, troia». Le do una spinta, facendola spostare e inizio a cercare Jensen per la casa. Lo trovo poco dopo, disteso sul letto a torso nudo. «Rachel?», la sua espressione muta alla mia vista.
Sento gli occhi pizzicare. «Mi stai tradendo, quindi». Non è una domanda.
Si alza e si avvicina a me e, nell’attimo in cui prova a toccarmi, faccio un passo indietro. «Non ti tradisco».
«Ah, si? Allora chi è quella ragazza che è venuta ad aprirmi la porta?»
«Una collega di lavoro». La ragazza appare sulla soglia della stanza. «Mi chiamo Victoria».
Ritorno a guardare Jensen, attendendo che parli. «Stavamo provando una scena un po’ piccante della nona stagione, niente di più».
«E chi me lo dice che non state mentendo?», una lacrima riga il mio volto e, per una seconda volta, faccio un passo indietro quando Jensen ne fa uno verso di me.
«Io». Jared appare accanto a Victoria, con un’espressione indecifrabile sul volto.
«Davvero? Non è che li stai coprendo?», urlo in preda al panico. La mia più grande paura forse si è appena avverata.
Scuote la testa. «Te lo giuro, Rachel. Non stavano facendo niente di male».
«Rachel, te lo assicuro anche io». Victoria mi rivolge un sorriso.
Abbasso lo sguardo. «Mi dispiace per prima», le dico.
«Non preoccuparti», prende la propria borsa. «Ci vediamo, ciao ragazzi!», scompare dietro la porta, seguita da Jared.
Mi siedo sul letto ancora scossa. Quella che mi hanno raccontato è la verità? «Ma tu cosa ci fai qui?», Jensen si siede accanto a me.
«Volevo farti una sorpresa, credevo fosse una buona idea. Ma mi sbagliavo, credo».
Mi stringe in un caloroso abbraccio, facendomi sentire improvvisamente meglio. «Non ti sbagliavi, è stata un’idea meravigliosa», mi lascia un delicato bacio tra i capelli. «Mi sei mancata».

La sera, Jensen decide di portarmi in un ristorante e cenare insieme. Ho protestato, dicendogli che sarebbe bastato fare una passeggiata dopo aver cenato a casa, ma si era impuntato. «Che hai fatto di bello questo mese?», mi chiede una volta che siamo seduti nel ristorante.
«Niente di esilarante», mi mordo il labbro. «Camilla adesso lavora con me in negozio».
«Davvero? Quindi non era soltanto quel giorno», sorride.
«Allora, come si chiama il personaggio che interpreta Victoria?», gli chiedo, non essendo riuscita a trattenermi.
Stringe le mani a pugno. «Non è stato ancora deciso».
«Ah, va bene.  E voi due dovreste baciarvi e fingere di fare sesso, quindi?», ridacchio, improvvisamente infastidita all’idea.
Jensen batte un pugno sul tavolo, facendomi sobbalzare. «Possiamo evitare di parlare di lei?», deglutisco, spaventata dalla sua reazione. «Scusa», si affretta a dire. «Non voglio parlare di lei perché non starai qui per sempre e voglio godermi questi momenti al massimo».
«Hai ragione, scusami tu». Faccio intrecciare le nostre dita, avvertendo una scarica di brividi percorrere il mio corpo.
«Io pensavo ad una cosa, qualche giorno fa e vorrei tanto parlartene», riprende parola.
«Sarebbe?»
«Il fatto è che non riusciamo a stare lontani e questo lo abbiamo capito entrambi, quindi mi piacerebbe tanto che tu venissi ad abitare con me. Per sempre». La sua proposta mi fa rimanere a bocca aperta.
«Dici sul serio?»
Prima che possa rispondere, arrivano le nostre ordinazioni e quindi iniziamo a mangiare. «Si», si riferisce alla mia domanda, accennando un sorriso.
«Mi piacerebbe tanto, ma…»
Jensen termina la frase al posto mio. «Non puoi lasciar stare tutto per venire qui, lo so».
«Troveremo un modo», dico, convinta.
«Lo spero. Per quanto tempo rimani, allora?»
Mi mordo la guancia. «Non ho ancora deciso, a dire il vero».
«Puoi restare quanto tempo vuoi, quindi?», un sorriso sghembo appare sul suo volto.
«Non per sempre, ma un po’ si».
«Resterai da me», afferma, versando dello champagne nei nostri bicchieri.
Afferro il mio. «A noi», li facciamo sfiorare, poi ne beviamo entrambi un sorso.
«Domani hai le riprese?», cambio argomento.
 «Solo la mattina», mi sorride.
Annuisco. «Il pomeriggio mi porti a visitare qualche bel posto?»
«Non devi nemmeno chiederlo, è ovvio che andiamo in giro. Solo noi due».
«Ti amo», sorrido, avvicinando verso di lui per poi stampargli un bacio sulle labbra.
«Ti amo anche io».

Spazio autrice:
ciao a tutti, sono riuscita ad aggiornare prima del solito e ne vado fiera.
Spero vi piaccia questo capitolo.
Ditemi cosa ne pensate di Victoria :)
alla prossima<3<3

Diemmeci.

Twittah: @stewartlover_

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Diciassettesimo capitolo. ***


Diciassettesimo capitolo.

Il giorno dopo, al mio risveglio, non trovo Jensen nel letto e deduco che sta girando delle nuove scene, come mi aveva detto il giorno prima. Spero non con Victoria. Mi alzo da letto e raggiungo la cucina per preparare un caffè e, mentre aspetto che esca, prendo il mio cellulare e compongo il numero di Josè.  «Rachel!», esclama, rispondendo.
«Hey», sussurro, dopo aver sbadigliato. «Come va?»
«Diciamo, mi manchi già», sento un sospiro. «Come ha reagito Jensen quando ti ha vista?»
«È successa una cosa un po’ strana, a dire il vero».
«Cosa?»
Dato che il caffè è uscito, lo verso in una tazza ed inizio a sorseggiarlo.  «Quando sono arrivata a casa sua l’ho trovato con una ragazza e…»
Josè mi interrompe. «Cosa?», urla.
Rido. «Fammi finire», sospiro. «Io, ovviamente, mi sono arrabbiata e ho creduto che mi stesse tradendo, ma alla fine mi hanno spiegato che stavano provando una scena un po’ piccante per la nona stagione». Termino il discorso.
«Ah», sbuffa. «E la provano a casa sua?»
«Si, cosa c’è di strano?»
«C’è che non si provano queste tipo di scene a casa di uno dei due attori, in più da soli». Dove voleva arrivare?
«Credi che sia una bugia?»
«Rach, io sono molto aggiornato e ho letto che non ci saranno delle scene piccanti per Dean nella nona stagione».
Sento una fitta allo stomaco. «Oh mio Dio».
«Ma potrei anche aver letto male», si precipita a dire per riparare il danno che, però, ormai è fatto.
«Mi ha tradita», sussurro, sentendo gli occhi pizzicare. «Cosa devo fare adesso?»
«Se fossi in te, vorrei dei chiarimenti. Vai sul set e parlaci».
Annuisco, consapevole che non può vedermi. «Vado», senza aggiungere altro, attacco e corro a vestirmi.
Venti minuti più tardi, sto andando a piedi sul set e continuo a sperare che Josè abbia letto male. Sto trattenendo le lacrime perché se qualcuno mi vedesse piangere farei la figura dell’idiota, per l’ennesima volta. Quando raggiungo il set, cerco Jensen ma non riesco a trovarlo da nessuna parte. In lontananza, riesco a vedere Jared quindi vado verso di lui. «Hey», lo saluto.
Quando mi vede spalanca gli occhi. «Rachel, che ci fai qui?»
«Cerco Jensen, l’hai visto?»
«Oggi non deve girare nessuna scena, credevo lo sapessi».
«Sai dove abita la ragazza di ieri?», chiedo.
Noto che la sua agitazione cresce. «V-Victoria?», balbetta.
Annuisco. «Si, ho un brutto presentimento Jared».
«Ti scrivo la via su questo foglio», prende una penna e segna l’indirizzo di Victoria. «Ma perché  pensi sia da lei? Insomma, secondo me è uscito per farti un regalo».
Inarco un sopracciglio. «Come no. Ci si vede», gli faccio un cenno con la mano e, dopo aver chiesto indicazioni a qualsiasi persona, riesco a raggiungere la casa di Victoria. Prima di suonare al campanello, faccio un lungo respiro e spero di non trovare Jensen. «Cosa ci fai qui?», quando la porta si apre, sulla soglia appare Victoria che mi guarda con la fronte aggrottata. «Come hai fatto a sapere che abito qui?», ripete.
«Jensen è qui?», sussurro, sporgendomi in avanti per dare una sbirciata.
Scuote la testa, ma noto che accosta la porta. «Non c’è».
«Va bene», fingo di essermela bevuta. «Puoi offrirmi un bicchiere d’acqua? Aspetto qui», sfoggio un sorriso falso.
Annuisce e, senza dire nulla, scompare in cucina. Approfitto della situazione per salire una rampa di scale ed inizio a guarda ovunque. «Lo sapevo!», Victoria ha il bicchiere d’acqua in mano e mi guarda con un’espressione arrabbiata in volto. «Ti ho già detto che Jensen non è qui, adesso puoi andartene!»
«Voglio sapere la verità, quindi, finché non uscirà fuori, resterò qui». Incrocio le braccia al petto.
«Oh, davvero?», alza un sopracciglio. «Accomodati, perché non ti stiamo nascondendo niente».
«Allora non ti dispiace se controllo tutta la casa». Inizio a controllare ogni stanza, ma non c’è traccia di Jensen, poi, però, mi viene in mente un nascondiglio perfetto: il bagno. «Dov’è il bagno?», le chiedo.
La vedo irrigidirsi. Bingo. «L’ultima porta a sinistra», indica la porta.
La raggiungo e, come avevo fatto prima, faccio un lungo respiro e poi la apro. Anche lì, però, non trovo nessuno. «Non c’è davvero», sussurro, più a me stessa che a Victoria.
Lei annuisce. «Finalmente l’hai capito!»
Sbuffo. «Ti consiglio di stare comunque lontana da Jensen», le faccio l’occhiolino poi scendo velocemente le scale ed esco per tornare a casa di Jensen.

Quando torno a casa, trovo Jensen che guarda la televisione. «Non sei davvero andato sul set!», sbotto.
Sobbalza, probabilmente perché non mi ha sentita entrare. «Cosa?»
«Sono venuto sul set», faccio un pausa, «ma non c’eri».
«Alla fine non ho dovuto girare nessuna scena, quindi sono andato a fare colazione con altri colleghi».
«Sono troppo paranoica, scusa». Mi sento in colpa.
Mi abbraccia. «Non preoccuparti», mi lascia una scia di baci sul collo. «Che ti va di fare oggi pomeriggio?»
«Non lo so, tu cosa proponi?»
«Io direi di restare a casa e farci un po’ di coccole», ride, baciandomi dolcemente.
Mi lascio trasportare dal momento. «Però io voglio visitare la città», borbotto, spostandomi di lato per evitare che mi baci.
Finge di essere offeso, cosa che mi fa ridere. «Ti porto a cena fuori stasera».
«Voglio uscire!», ribatto, continuando a tenere un sorriso stampato sul volto.
Arriccia le labbra. «Ogni tuo desiderio è un ordine, madame».
Circondo il suo collo con le mie braccia, in modo tale da farlo avvicinare. «E dove hai intenzione di portarmi?»
«Su una stella?», ride.
Gli do un colpo sulla spalla, sorridendo. «Dico sul serio».
«Che ne dici di fare un giro in centro?», prende una ciocca dei miei capelli e inizia a giocherellarci.
«Devo assolutamente comprare qualcosa».
«Ora però possiamo rimanere un po’ sdraiati qui?», sbatte velocemente le ciglia.
Annuisco, prendendo il telecomando e inizio a cercare qualcosa di bello da vedere. Fortunatamente, su un canale becco Supernatural. «Quello sei tu», mi fingo sorpresa, indicando lo schermo della televisione.
«Oh mio Dio», Jensen ride.
«Io non ho mai capito se a Dean piacesse o no Jo», borbotto, rimanendo con gli occhi fissi sulla tv. Stanno trasmettendo una puntata della seconda stagione, nella quale c’è anche Jo.
«Be’, diciamo di si», risponde.
«Diciamo?», alzo un sopracciglio.
«Dean era attratto da Jo, ma la vedeva più come una sorella minore», mi spiega, passandosi poi una mano tra i capelli.
«Ah, lei ne era innamorata pazza», rido. «La maggior parte delle Fan Fiction che scrivevo erano su loro due». Mi lascio scappare.
«Davvero?», sorride.
«Già, ho sempre desiderato vederli insieme».
«Alla fine è morta».
Alzo gli occhi al cielo. «Ho pianto molto, mi è dispiaciuto».
Nasconde il viso nell’incavo del mio collo. Rimaniamo così per minuti interi, finché Jensen non riprende parola. «Senti, domani pomeriggio devo andare a casa di Victoria per provare alcune scene».
Le parole di Josè mi tornano in mente. Come ho fatto a non pensarci prima? «Josè mi ha detto che non ci sono scene piccanti per Dean», lo dico velocemente.
Inarca un sopracciglio. «Era stato stabilito così, ma hanno voluto inserirne alcune».
«Ah», annuisco. «Allora va bene».
«Ti da fastidio il fatto che vada a casa sua? Se vuoi puoi venire anche tu ad assistere», sussurra. «Non penso che ti piacerà, però».
«Perché?»
«Perché dobbiamo provare delle scene un po’…», lascia sottinteso ciò che avrebbe dovuto dire, ma l’ho capito anche senza averlo sentito.
«Per forza?»
Jensen sorride. «Non devi essere gelosa, ci sei solo tu per me». Mi da un bacio sulle labbra. «Sempre e solo tu».
«Tipica frase da film», sbuffo per poi ridere.
Alza un sopracciglio, cercando di rimanere serio, ma alla fine ride. «Che, al contrario dei film, sono vere».
«Forse si», mi mordo il labbro.
Jensen si avvicina a me, iniziando a baciarmi e, di nuovo, mi lascio trasportare. Non potrei essere più felice: sono con il ragazzo che amo nella città che avrei sempre voluto visitare.
Ma la cosa più importante è una: noi due, insieme.

Spazio autrice:
salve, sono riuscita ad aggiornare finalmente!
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento. Vi ringrazio per le meravigliose recensioni. Siete fantastici! Non merito tutti quei complimenti.
Alla prossima<3

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Diciottesimo capitolo. ***


Diciottesimo capitolo.

Un’ora più tardi decidiamo di andare a fare un giro in centro. Non ho mai visitato Los Angeles, quindi per me è davvero elettrizzante.
«Perché continui a sorridere?» Jensen mi distrae dai miei pensieri, tirandomi bruscamente la mano.
Sobbalzo. «Lo sai, ancora non riesco a credere a tutto questo.»
«Intendi per il fatto di noi due o anche perché sei a Los Angeles, la città dei tuoi sogni?» ridacchia, passandosi poi la lingua tra le labbra.
«Un po’ tutte e due», mordo il labbro inferiore. «Forse di più la seconda opzione.»
«Oh.»
Sorrido istintivamente. «Sei impossibile» scuoto la testa.
Sposto lo sguardo davanti a me e sospiro. Un po’ è vero che non mi sembra vero di essere qui, ma stare insieme a lui lo supera alla grande. A forza di pensarlo, ormai, credo che l’abbia capito ogni singola cellula del mio cervello. «Hai già parlato con Josè del fatto che resterai più a lungo del previsto qui?» mi chiese.
«Lo chiamo quando torniamo a casa.» Faccio una breve pausa per aggiungere: «Quando potrò conoscere i tuoi genitori?»
Stringe le labbra in una linea dritta e contrae la mascella. «Non lo so.» Il tono della sua voce e la sua espressione tradiscono la sua risposta.
«Non vuoi che io li conosca?» lascio la sua mano, un po’ ferita. «Ti vergogni di me, non è vero?»
«Non è questo, Rach» sospira, «ma le ultime ragazze che ho gli ho presentato è stato due anni dopo che ci frequentavamo. Capiscimi, mi sembra un po’ presto.» Mi spiega.
«Se è così» mi stringo nelle spalle. «Quindi non ti vergogni di me, giusto?» mi sembra di essere una bambina di cinque anni che supplica un adulto. Mi sento patetica.
«Come fai solo a pensarlo?» fa intrecciare di nuovo le nostre dita. «Se mi vergognassi di te, pensi che in questo momento staremmo camminando per le strade di Los Angeles?»
Scuoto la testa. «Probabilmente no.»
«All’incirca, quanto tempo resterai qui?» cambiò discorso, facendo spuntare un sorriso malizioso sul volto.
Senza volerlo, sorrido anch’io. «Non ci ho ancora pensato. Ricordati che ho tutte le mie cose a Roma e poi ho un negozio da dirigere.»
«Già» borbotta. «I vestiti li ricompri, se non ne hai abbastanza, e per il negozio…»
Lo interrompo. «Posso chiedere a Camilla. Però voglio che accetti uno stipendio in cambio.»
«Così sarebbe perfetto» fa schioccare la lingua sul palato. «Vuoi prendere qualcosa da mangiare?»
Mordo il labbro, spostando lo sguardo su un negozio che fa Kebab. Lui capisce al volo, infatti mi tira verso di esso ed entriamo. Come sempre, tutti gli occhi si rivolgono dalla nostra parte, fortunatamente solo su Jensen. «Che condimenti ci vuoi?» bisbiglia.
«Solo la salsa bianca e l’insalata» sorrido, sedendomi su uno sgabello vicino all’entrata.
In men che non si dica, i due Kebab sono pronti e quindi usciamo dal negozio – non prima che Jensen firmasse qualche autografo – e lo addento immediatamente. «È incredibile!» esclamo, «non lo mangio da almeno un anno.»
«Io invece lo mangio spesso.» Con un tovagliolo si pulisce la bocca, sporca ovunque. «Ed ogni volta mi sporco» ridacchia.
«Questo succede perché sei un cretino» rido, buttando la testa dietro. «Ma purtroppo ti amo, quindi devo sopportarti.» Lo dico senza rendermene conto, tanto che divento rossa come un pomodoro. Anche se stiamo insieme, non sono ancora abituata a dirgli certe cose.
«Ti amo anche io, Rach. Non c’è bisogno di sentirsi a disagio nel dirlo» mi sorride.
Gli do il mio Kebab tra le mani poi gli prendo il viso tra le mani e lo bacio. «Hai ragione.»

«Pronto?» quando Josè risponde alla chiamata, sono ormai esasperata. Ho provato a chiamarlo sette volte (le ho contate!) prima che la linea fosse libera.
«Hey.»
«Rachel, che sorpresa!» davvero? L’ho chiamato solo il giorno prima. «Ci sono novità?»
«In realtà si» sospiro. «Rimango qui più a lungo del previsto e volevo chiedere un favore a Camilla.»
«Scommetto per il negozio», tira ad indovinare.
Rido. «Già, però voglio che prenda i soldi che si merita questa volta.»
«Sarà fatto» ride anche lui. «Mi sa che abbiamo deciso la data per il matrimonio.»
«Quando, quando?»
«Lo so che è un po’ troppo vicino, ma io e lei non vogliamo aspettare» fa un sospiro. «Tra un mese esatto.»
Sgrano gli occhi. «Cosa? E come farete ad organizzare tutto?»
«Ci siamo già messi all’opera.»
Sorrido, felice per loro. «E sentiamo un po’: qual è il regalo che desiderato maggiormente?»
«Credo una televisione a schermo piatto» ridacchia. «Ma non sei costretta a comprarla tu, Rach!» quest’ultima parte risuona come un rimprovero, ma non ci do peso.
«Sai che la comprerò, anche se mi dici di non farlo.»
Sbuffa. «Lo so, infatti», ho la sensazione che sorrida. «Ma tua madre lo sa che sei a Los Angeles?» Mi do uno schiaffo in faccia mentalmente, sentendomi una cretina per aver dimenticarlo di dirglielo. «Oddio, lo hai dimenticato!»
«Già. Appena agganciamo, la chiamo.»
«Faresti meglio a farlo subito», stavolta il suo tono di rimprovero lo si avverte tanto. «Ci sentiamo domani noi, saluta Jensen!»
«E tu Camilla. Parlale del fatto del negozio e che voglio che accetti…» aggancia prima che possa terminare la frase. «…lo stipendio» sussurro tra me e me.
Compongo subito il numero di mia madre. Come ho fatto a dimenticarmi di dirglielo? «Tesoro!»
«Ciao mamma, come stai?» le chiedo dolcemente.
«Uhm, bene. Qui c’è Marina, stiamo prendendo un tè.»
Sorrido. Marina è mia zia, la sorella di mia madre, e con la quale sono molto legata. «Salutala da parte mia. Mamma, c’è una cosa che devo dirti.»
«C’è qualcosa che non va, tesoro?» il tono della sua voce si incrina.
«No!» mi precipito a dire. «Io adesso sono a Los Angeles» dico cautamente. «Con Jensen» aggiungo.
«Ah, davvero? E quando avevi intenzione di dirmelo?» alza la voce.
«Ho dimenticato di farlo, scusa!»
Sbuffa. «Ormai sei grande, ma vorrei almeno sapere se cambi stato! Va tutto bene con il tuo ragazzotto?»
Ragazzotto? «Si. L’ho raggiunto per aggiustare delle cose, ma ora va tutto alla grande.»
«Sono felice per te, amore mio. Per qualunque cosa, chiamami. Ah, e potresti qualche volta cercare tuo padre, non ti sembra il caso?»
«Domani lo chiamerò, promesso!»
«Adesso dobbiamo finire di prendere il tè, ciao cara!» anche lei attacca prima che io possa risponderle.

«Come sarebbe a dire che non puoi?» quando raggiungo Jensen in salotto, sta urlando al telefono e sembra parecchio arrabbiato. «Fa’ come ti pare!» attacca quando mi siedo accanto a lui.
«C’è qualcosa che non va?» chiedo, posando la testa sul suo petto.
Mi lascia un bacio delicato tra i capelli. «Niente di importante.»
«Meglio così. Ho parlato con Josè e mia madre. E indovina? Josè si sposa tra un mese esatto!»
«Un mese? E non è troppo presto?»
«Anch’io l’ho detto, ma lui dice che riusciranno a farcela. Sono sicura che sarà così.»
«Speriamo» mi stringe a se. «Tu, invece? Sogni di sposarti?»
Sospiro. «Non ci ho mai pensato tanto, però credo che quando troverò la persona giusta il matrimonio sarà inevitabile.» E credo che sia tu la persona giusta, avrei voluto aggiungere. «Tu?»
«La stessa cosa» sorride. «Ti piacerebbe avere dei figli?»
Perché proprio adesso tutte queste domande? «Assolutamente si, a te?»
«Mi piacciono i bambini, quindi penso di si.»
Sorrido. «Posso farti una domanda?»
«Certo.»
«Quando hai avuto la tua prima relazione seria?»
Storce la labbra e si fa pensieroso. «All’età di…uhm…credo i diciotto anni.»
«Io sedici, ti ho battuto!»  rido.
«E chi sarebbe costui?» assume un’aria altezzosa. «Non pensarlo nemmeno, Milady, ora sei mia.»
«Ai vostri ordini, sir» rido, baciandolo.

Spazio autrice:
FUCILATEMI, FATE TUTTO QUELLO CHE VOLETE PERCHE' NE AVETE TUTTO IL DIRITTO.
VI CHIEDO SCUSA PER IL TERRIBILE RITARDO, MA A PARTE IL FATTO CHE SONO STATA IN CAMPOSCUOLA NON HO AVUTO TANTO TEMPO. MALEDETTA SCUOLA!
SCUSATEMI DAVVERO. SPERO CONTINUERETE COMUNQUE A SEGUIRE LA MIA STORIA..
UN BACIO♥

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Diciannovesimo capitolo. ***


Diciannovesimo capitolo.  

Quando mi sveglio la mattina, scendo dal letto cercando di non far rumore per poi recarmi in cucina e prepararmi una bella tazza di caffè fumante. È passata una settimana e mi capita spesso di non riuscire a dormire la notte, quindi senza caffeina non riesco ad aprire gli occhi. Il motivo credo sia perché sto rimandando la telefonata che devo fare a mio padre. È un tormento.
«Oh, al Diavolo» borbotto, prendendo il telefono e componendo il numero di mio padre che, fortunatamente, so a memoria.
Dopo tre squilli finalmente risponde. La sua voce, non avendola sentita per un bel po’ di tempo a causa del nostro litigio, è diventata più rauca.
«Pronto?»
La mia voce trema. E se mi attaccasse il telefono in faccia non appena capisce che sono io ad averlo chiamato? «Papà, sono Rachel».
«Oh» il suo tono è sorpreso. «Non ci sentiamo da parecchio tempo. Èper caso successo qualcosa?»
«Deve succede qualcosa per chiamare mio padre?» rispondo ma, senza volerlo, mi scappa un sorriso.
«No, hai ragione» sospira. «Tutto bene a Roma?»
«Sono successe parecchie cose da quando te ne sei andato» sussurro. «Per prima cosa, io adesso abito momentaneamente a Los Angeles con il mio ragazzo, Jensen».
«Ackles?» scherza,  ricordando sicuramente di tutte le volte in cui gliene parlavo.
Stringo le labbra in una linea dritta. «Qui viene il bello».
«Non dirmi che stai davvero con l’attore di Supernatural» sbotta sorpreso.
Alzo l’angolo della bocca pensando a Jensen. «Ehm, si».
«Sono felice per te. Credo sia un sogno che si realizza, no?»
«Già» continuo a sorridere.
«Poi devi raccontarmi come mai vi siete conosciuti, è tutto così strano. Mi sembra un film». Dice divertito. «Mi è mancato parlare con te, Rachel» sospira, «dobbiamo assolutamente vederci il prima possibile».
«Tra una settimana torno a Roma per un po’ perché si sposa Josè, tu non potresti raggiungerci?» chiedo.
«Penso sia possibile» concorda, «ma ad ogni modo ti farò sapere con certezza nei prossimi giorni. Adesso scusami, ma devo andare che tra poco inizio a lavorare, ti chiamo io. Ciao!»
Sorrido. «Ciao».
Sento finalmente di essermi tolta un peso e posso passare il resto della giornata senza fare niente.
Continuando a sorridere, torno in camera dove Jensen dorme beatamente . Mi distendo accanto a lui e decido di non dargli fastidio. Ha passato una settimana d’inferno a causa delle continue prove per la nona stagione e quindi merita un po’ di riposo. Io, al contrario suo, sono andata in cerca di un bel vestito da indossare al matrimonio di Josè e Camilla e, dopo vari tentativi, ne ho trovato uno meraviglioso.
«Rach, che stai facendo?» sussurra Jensen, iniziando ad aprire gli occhi.
Abbozzo l’ennesimo sorriso e mi stringo nelle spalle. «Ho parlato con mio padre poco fa, dopo almeno nove mesi che non lo sentivo».
«Davvero?» si poggiò sui gomiti per tirarsi su.
«Già, forse ci raggiunge a Roma quando andiamo per il matrimonio di Josè e Camilla. Ti andrebbe di conoscerlo? Se non vuoi ti capisco».
«Mi farebbe piacere» dice.
«Uhm, okay» gli sorrido e gli stampo un bacio sulla guancia. «Oggi hai da fare qualcosa o sei libero?»
«Oggi è martedì, quindi penso di essere libero e poi non devo provare nulla». Risponde alzandosi dal letto ed andando in bagno.
Lo seguo e poi mi poggio con la spalla sullo stipite della porta.
«Ti andrebbe di fare qualcosa insieme?» propone prima di sciacquarsi il viso.
«Certo» affermo. «Tu hai già il completo da indossare al matrimonio di Josè e Camilla?»
«Ne ho tanti» risponde. «Però potremmo andare a fare un giro e vedere se ne troviamo uno che abbina con il tuo vestito». Un sorriso sghembo appare sul suo volto.
Mi mordo il labbro inferiore. «Ci sto. Il mio vestito è corallo, quindi vediamo di trovare almeno una cravatta dello stesso colore». Ridacchio.
«Andiamo la mattina o il pomeriggio?»
«Mattina, così poi andiamo a pranzo fuori. Che ne dici?» sorrido.
«Penso che vada più che bene, ora, se permetti, devo farmi una doccia» mi fa la linguaccia. «Ci vediamo tra poco, Milady».

«Jensen, è la quarta cravatta che provi e non ti piace» borbotto mentre, Jensen, continua a provare cravatte che non lo convincono.
Ho perso la cognizione del tempo, ma credo sia almeno mezz’ora che stiamo chiusi nel camerino del negozio. Jensen mi fa ridere ogni volta che scarta una cravatta, probabilmente perché sfoggia un’espressione buffa.
«Non riesco a trovarne una che abbina con il tuo abito» dice esasperato, alzando gli occhi al cielo.
«Indossa quella che vuoi, non mi importa davvero se abbina o no» mi gratto la nuca. «Senti, è quasi l’una, che ne dici di iniziare ad incamminarci verso la pizzeria?»
«Andiamo» sussurra, uscendo dal camerino.
Davanti all’uscita del negozio, un gruppo di persone ci ferma per chiedere un autografo a Jensen. Io rimango in disparte per non disturbali e, quando lui torna, si scusa per avermi fatta aspettare.
«Lo sai che non mi da fastidio il fatto che dedichi del tempo ai tuoi fan» gli dico sorridendo.
«Già, però capita molto spesso» ribatte.
«Non pensarci, okay?» gli stampo un bacio sulla guancia, «come si chiama la pizzeria in cui dobbiamo andare?» chiedo, riprendendo a camminare.
«Non ricordo» ridacchia, «ma so che si trova a pochi minuti da qui sulla destra, quindi dobbiamo controllare».
Scuoto la testa. «Sei incredibile».
«A proposito, quand’è il matrimonio precisamente?» mi chiede, cambiando discorso.
«Tra venti giorni» rispondo, sospirando. «Come facciamo, quindi? Arriviamo lì il giorno prima oppure un po’ prima?»
«Che ne dici di andare tra una settimana? Almeno rimaniamo un po’ di più e tu potrai anche passare del tempo con la tua famiglia». Propone, facendo intrecciare le dita delle nostre mani.
«E le riprese?» alzo un sopracciglio.
«Be’, possono sempre girare le scene in cui non ci sono, non credo che sia un problema. Gliene parlerò domani e poi ti dico» sfoggia un sorriso radioso.
«Non mi deludi mai» alzo leggermente l’angolo della bocca.
«Sei tu la mia priorità ormai, non sono il lavoro o cazzate varie» mi guarda, «solo tu».
Mi mordo il labbro per poi sorridergli.
Non smette mai di avere uno strano effetto su di me e, sinceramente, non mi importa. Lo amo e credo sia giusto così. Mi volto a guardarlo, stando attenta a non farmi notare, e osservo i lineamenti perfetti del suo viso.
«Vedo che mi fissi» dice divertito. «Vedo tutto con la coda dell’occhio».
Distolgo velocemente lo sguardo e poi rido, dandomi mentalmente della cretina. «Non ti fissavo».
«Se lo dici tu» mi fa l’occhiolino e poi si ferma davanti ad una pizzeria. «Credo sia questa».
Quando entriamo, come normalmente succede, gli occhi della maggior parte delle persone si puntano contro di Jensen. Lui sembra non farci caso, forse perché è abituato, ma io lo noto sempre.
«Salve, possiamo avere un tavolo per due, per favore?» chiede gentilmente ad una cameriera.
«Certo» le sue guance si tingono di rosa e, imbarazzata, ci invita a seguirci all’esterno dove è libero un tavolo.
«Grazie» la ringrazio, accennando un sorriso.
Lei ricambia il sorriso e poi ci porge due menù per poi tornare all’interno del locale.
Apro il menu ed inizio a cercare la cosa che più desidero in questo momento finché, come sempre, scelgo una pizza margherita. Jensen, invece, opta per una quattro formaggi.
«Domani mattina se ti va vai a comprare due biglietti aerei per la prossima settimana» prende parola lui.
«Uhm, okay» sorrido, felice all’idea di rivedere i miei amici e la mia famiglia, specialmente mio padre.
Spero davvero di poterlo vedere dopo tutto questo tempo. La lontananza inizia a farsi sentire e desidero tanto poterlo abbracciare di nuovo.
«Qualcosa ti turba?» mi chiede dolcemente, notando la mia espressione pensierosa.
«Nulla» gli sorrido per raccomandarlo. «Stavo soltanto pensando a quanto sarà bello poter rivedere mio padre dopo tutto questo tempo».
«A proposito di questo» si schiarisce nervosamente la voce, «cos’è successo esattamente per portarvi a non parlarvi per tutto questo tempo?»
«A pensarci adesso, è una cavolata» sussurro, avvertendo una punta di nostalgia verso i vecchi tempi.
«Racconta» mi incinta, sorridendo.
«Èiniziato tutto quando sono partita per una settimana, senza preavviso, e sono andata a Miami con una mia amica. Abbiamo deciso tutto all’ultimo momento e, quando sono tornata, mio padre ha iniziato a tenermi sotto controllo, costantemente».
«Tutto qui?»
Sbuffo. «Dopo di che, ha iniziato ripetutamente a dirmi che lo avevo deluso e che avrebbe preferito avere un’altra come figlia e alla fine sono scoppiata e ho comprato una casa per me, troncando i rapporti con lui».
«In effetti, è una cavolata» mi appoggia una volta che ho terminato di parlare. «Ci sono passato anche io, sai. Durante l’adolescenza ho fatto cose che hanno fatto pentire i miei genitori» sorride, tornando indietro con i ricordi.
«L’importante è che poi si risolve tutto» sussurro. «Giusto?»
«Assolutamente».

Spazio autrice:
io non so come scusarmi, davvero.
Il fatto è che non ho avuto tempo e né ispirazione e poi sto passando un periodaccio. 
Scusatemi davvero.
Spero che vi piaccia il capitolo, pur essendo corto.
Alla prossima<3

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Ventesimo capitolo. ***


Ventesimo capitolo.

Una settimana dopo, come detto, esco di casa per andare a comprare due biglietti aerei per tornare a Roma. Sono eccitata all’idea di poter rivedere mio padre ed anche il pensiero di Josè che si sta per sposare mi rende felice.
«Rachel, dov’è Jensen?» una voce richiama la mia attenzione, quindi mi volto di scatto, trovando un paparazzo tutto eccitato che mi fissa.
Mi gratto la nuca, imbarazzata. «Non sono affari che ti riguardano» borbotto.
Il paparazzo, continuando a fissarmi, inizia a scattarmi una serie di foto e, infastidita dai continui flash, mi volto dalla parte opposta ed inizio a camminare verso l’entrata dell’aereoporto.
La suoneria del mio cellulare  parte, facendo voltare tutti i presenti nella mia direzione e mettendomi ancora di più in imbarazzo. Sul display noto che a chiamarmi è Josè quindi rispondo subito.
«Ciao!»
«Ciao?» sento uno sbuffo. «Non ti fai sentire per una settimana e questo è tutto ciò che hai da dire?»
Ridacchio, sedendomi su una sedia appartata. «Mi dispiace di non essermi fatta sentire, ma ho un buon motivo».
«E sarebbe?» la sua voce è divertita, tipico di Josè. Non riesce mai ad essere seriamente arrabbiato con me.
«Ho passato la maggior parte del tempo in giro con Jensen per cercare una cravatta adatta al suo abito e che si accordi col mio». Risi, sentendomi una cretina.
«Wow» sussurrò. «E non hai trovato tempo di chiamarmi neanche la sera? Sei davvero cattiva» rise.
«Mi dispiace» ripeto di nuovo. «Come procede lì? Sei eccitato?»
«Potrei non esserlo?» ironizzò. «Rach, sono al settimo cielo, dico sul serio. Non mi sembra ancora vero che sto per sposare la donna che amo». Il tono della sua voce è allegro e, di conseguenza, mi rende felice.
«Spero di non piangere» sussurro.
«Se lo farai, è sicuro che lo farò anche io» ride. «Mi manchi tanto, non vedo l’ora di poterti abbracciare di nuovo».
«Non dirlo a me» mi guardo intorno, notando gli occhi di tutti ancora puntati su di me.
Agitata, mi alzo e mi metto in fila per prendere i biglietti, cercando di sembrare il più indifferente possibile dalle occhiate delle persone.
«C’è qualcosa che non va?» chiede, notando che non parlo.
Sbuffo. «Sono all’aereoporto per prendere i biglietti e mi stanno fissando tutti» sussurro. «Non mi piace stare al centro dell’attenzione, lo sai».
«Lo so» afferma, sospirando. «Fai finta di niente».
«Pensi che non lo stia facendo?» ridacchio. «Siamo a Los Angeles, amico. Qui tutti si fanno gli affari degli altri».
«Specialmente gli affari della ragazza di un attore» il suo tono divertito riesce a farmi dimenticare di essere al centro dell’attenzione.
«Sopratutto» confermo malinconica. «È quasi il mio turno per prendere i biglietti, quindi devo andare. Ci sentiamo domani, promesso!»
«A domani, ciao!» riattacco appena in tempo che arriva il mio turno.
Qualche istante dopo, ho preso i biglietti e mi dirigo verso l’uscita felice. Ho tanti motivi per esserlo, dal matrimonio del mio migliore amico al fatto che rivedrò dopo tanto tempo mio padre. Non sono sicura di aver mai passato un momento del genere, sempre impegnata e mai un attimo libera. A volte mi capita di sentirmi soffocare, ma reprimo la sensazione per non farmi vedere scontenta da Jensen. Tengo al fatto che lui sia felice.
«Rachel, fai un sorriso!» il paparazzo di prima continua a scattare delle foto ed io, innervosita, lo mando a quel paese con un gesto della mano.
Soddisfatta, mi dirigo verso il taxi che mi sta aspettando e dico al conducente di farmi portare a casa. Ho bisogno di un po’ di riposo.

«Eccoti, finalmente» Jensen si trova sul divano e, non appena mi siedo accanto a lui esausta, mette un braccio intorno alle mie spalle.
Poggio la testa sul suo petto e sospiro. «Ho preso i biglietti, partiamo domani sera» annuncio.
«Non vedo l’ora di tornare a Roma» dice entusiasta. «C’è qualcosa che non va? Mi sembri nervosa».
«Un paparazzo fuori all’aereoporto continuava a darmi fastidio e alla fine l’ho mandato a quel paese con un gesto della mano» sussurro, innervosendomi al solo pensiero.
«Capisco, anche a me capita spesso. A volte i paparazzi sanno essere davvero fastidiosi e, quando non ne puoi più e scoppi, passi dalla parte del cattivo.» Jensen aumenta la stretta intorno alle mie spalle. «Credo sia colpa mia e mi dispiace.»
«Ti dispiace per cosa?» non riuscendo a capire, cerco il suo sguardo ed aggrotto le sopracciglia. «Non hai nessuna colpa.»
«Ne ho, invece, e parecchia» ribatte secco.
«E sentiamo, quale colpa avresti tu?» chiedo inclinando la testa di lato. «Ti ascolto, forza.»
«Innanzitutto, per colpa mia non puoi più uscire senza essere assalita dai miei fan o da qualche paparazzo» inizia ad elencare, sembrando sul punto di avere una crisi isterica. «Poi, sempre a causa mia sei lontana da casa tua, dalla tua famiglia e dai tuoi amici. Puoi ripetere quante volte vuoi che stai bene qui e che non ti manca niente e nessuno, ma non riesco a crederti.» Fa una pausa per sospirare. «Riesco a leggere nei tuoi occhi che qui non stai bene, anche se ti ostini a farmelo credere.»
«Invece hai torto» scuoto la testa. «Io amo stare qui con te, non mento quando te lo dico e non pensarlo più. A volte sento la mancanza di casa, è vero, ma preferisco essere qui con te che lontana da te.»
«E vogliamo parlare del tuo negozio?» alza improvvisamente il tono della voce, iniziando a farmi credere che gli sia successo qualcosa. «Per stare qui lo hai lasciato nelle mani di Camilla e so quanto ti è costato. Adoravi lavorare lì e, sempre a causa mia, hai dovuto rinunciare a farlo.»
«Questo perché preferisco stare qui che a Roma senza di te!» sbottai. «Inizia ad accettarlo perché mi sono rotta di sentirti dire queste cose. Quando ti ficcherai in quella testa vuota che ti amo e che non posso stare lontana da te?»
«Non riesco ad accettarlo» ribatte deciso.
Il tono della sua voce mi fa intendere che la conversazione è terminata, quindi raggiungo la nostra stanza e mi butto di peso sul letto, tentando di calmare i nervi. La giornata non fa altro che peggiorare, dal paparazzo pazzo a Jensen che mi dice queste cose. Sono fermamente convinta che adoro stare qui. Non potrei mai stare a Roma lontana da lui, non farei altro che piangere.
«Scusa» la voce calda di Jensen risuona nella stanza.
Mi poggio sui gomiti e lo guardo senza dire niente. Non riesco a capire perché abbia avuto quel comportamento poco fa e sospetto che sia accaduto qualcosa. Annuisco per fargli intendere che accetto le sue scuse e poi torno a fissare il soffitto, distogliendo la mia attenzione da lui.
«Non so cosa mi sia preso» prosegue, sedendosi poi alla fine del letto. «Oggi sono nervoso e poi non voglio che i paparazzi e i fan ti rendano la vita difficile.»
«Ma non è così» dico decisa, «qualche volta può essere scocciante ma alla fine ricordo perché succede e sorrido, pensando a te.» Mi metto a sedere e gli accarezzo dolcemente il viso, tracciando poi le sue linee perfette.
«Okay» sospira, poggiando la testa sulle mie gambe.
Inizio a giocherellare con i suoi capelli. Non potrei trovarmi in un posto migliore adesso. Accanto a Jensen tutto è migliore e lui ancora non capisce quanto amore io nutri per lui.
«Ti va di iniziare a preparare le valigie?» mi chiede, «oppure andiamo a trovare Jared e Genevieve?»
«Uhm» mi schiarisco la voce, «andiamo prima da Jared e Genevieve, mi sembra brutto andare in Italia senza averli salutati».
«Hai ragione. Io sono già pronto ed anche tu, quindi possiamo andare» annuncia sfoggiando un sorriso radioso.

Mezz’ora dopo ci troviamo davanti al cancello della casa di Jared e Genevieve. Jensen, invece di fare la persona educata e scendere dalla macchina per suonare al citofono, inizia a far risuonare il clacson.
«Sicuramente penserà che è uno psicopatico» ridacchia Jensen.
«Lo penso anche io» scuoto la testa ma non riesco a trattenere un sorriso. Mi fa piacere rivederlo felice dopo la scenata di prima.
Qualche secondo dopo Jared appare sulla soglia della porta e, quando capisce che è Jensen a fare quel baccano, ride ed apre il cancello.
«Chi altro poteva essere se non tu?» Jared ci viene incontro sorridendo e, dopo aver dato una pacca sulla spalla di Jensen, mi abbraccia. «Sono felice di rivederti, Rachel».
«Anch’io» sorrido raggiante, «c’è anche Genevieve, vero?» chiedo poi.
«Certo, è in sala che guarda un po’ di tv se vuoi raggiungerla» risponde.
Senza farmelo ripetere due volte raggiungo la casa e, essendoci già stata una volta, ricordo che la sala si trova dopo un lungo corridoio. Genevieve è sdraiata sul divano e guarda un film.
«Ciao» sussurro in imbarazzo.
Quando mi nota sorride e si alza per venirmi ad abbracciare. «Rachel, ma che bella sorpresa!» esclama, «come stai?»
«Bene e tu?» ci mettiamo a sedere sul divano.
«Più che bene, ho una notizia bellissima da darti e sono sicura che anche tu ne sarai entusiasta» i suoi occhi brillano. «C’è anche Jensen? Jared vuole dare la notizia quando c’è anche lui.»
«Si, adesso sono fuori insieme» affermo. «Sono così curiosa».
Genevieve mi sorride. «Come vanno le cose con Jensen?»
«Bene, almeno credo» mi lascio scappare una risatina nervosa. «Lui crede che io stando qui sto male e che mi manca casa, ma il fatto è che io adoro trovarmi qui».
«Capisco» sussurra. «Prova a capirlo, lui ti ama e non vuole che tu soffra. Non penseresti le stesse cose se fossi al suo posto?»
«Probabilmente si» borbotto, «ma glielo ripeto ogni giorno che sto bene qui e lui continua a credere il contrario».
«Dagli un po’ di tempo e lo capirà» mi rassicura sorridendo.
Prima di poterle rispondere, appaiono in sala anche Jared e Jensen che parlano allegramente. Si siedono entrambi sul divano che si trova davanti a quello su cui siamo sedute io e Genevieve.
«Quindi, diamogli la notizia!» esclama Jared all’improvviso.
Genevieve posa una mano sul ventre e sorride, facendoci intendere qualcosa. Capendo, io la abbraccio di slancio e sorrido. «Tanti auguri ragazzi!»
Mi alzo per abbracciare anche Jared e poi torno al mio posto. Quando mi volto verso Jensen, lo noto stranito e rido guardando la sua buffa espressione.
«Sei incinta, quindi?» chiede conferma.
«Si, scemo!» risponde Genevieve.
Anche Jensen abbraccia entrambi i futuri genitori, anche se per la seconda volta, e poi torna a sedersi al proprio posto. «Che bella notizia, ci voleva proprio un altro marmocchio!»
«Io stavo per svenire quando l’ho saputo» Jared ride. «Però hai ragione, ci voleva un altro marmocchio che corre per casa».
«Vi fa schifo dire bambino?» chiede Genevieve, scuotendo poi la testa. «Comunque, volete rimanere a pranzo o avere da fare?»
«Dobbiamo fare la valigie, ma possono aspettare» risponde Jensen. «A te va di rimanere?» si rivolge a me.
«Certo» confermo.
Io e Genevieve andiamo in cucina per iniziare a preparare qualcosa per pranzo, ma notiamo che non abbiamo nessuna idea. Prendo, quindi, un libro di cucina che trovo sul tavolo e inizio a sfogliarlo.
«Facciamo la Carbonara, che ne dici?» le chiedo. «Hai pancetta e uova, si?»
«Non mancano mai» ridacchia.
Dopo aver messo tutti gli ingredienti sul tavolo, iniziamo a preparare il tutto. Apparecchio velocemente la tavola e poi, mentre attendiamo che la pasta sia cotta, parliamo del più e del meno. Genevieve non è come l’avevo immaginata, è simpatica, sempre solare e poi mi ci trovo bene a parlare.
«Per quanto tempo rimarrete a Roma?» mi chiede.
«Uhm» mi passo una mano tra i capelli, «non lo abbiamo ancora deciso, ma non penso per molto. Il matrimonio è fra una settimana, quindi ci staremo già sette giorni di più e penso che torneremo subito dopo la cerimonia.»
«Ah, capito» annuisce. «La pasta è cotta, ci basta condirla ed è fatto. Puoi farlo tu? Non sono un genio ai fornelli».
«Certo» sorrido.
Dopo aver scolato la pasta, la butto in padella e ci verso sopra le uova. Ho fatto già abbrustolire la pancetta e quindi inizio a girarla per bene. Qualche minuto più tardi è pronta e spengo il fuoco sotto la padella.
«Faccio io i piatti, vai a chiamare Jared e Jensen» mi dice dolcemente Genevieve.
«Okay».
Torno in sala e trovo i due ragazzi sul divano che chiacchierano allegramente. Ho sempre adorato l’amicizia che è nata tra di loro, ma non ne ho mai fatto parola con Jensen per non sembrare una psicopatica.
«Non so se dirglielo, è questo il fatto» sento dire da Jensen e noto che il tono della sua voce è cambiato. «Ho paura di perderla se glielo dicessi».
«Se le dici la versione vera non si arrabbierà, non hai nessuna colpa» Jared gli risponde.
Non volendo ascoltare altro, sbatto i piedi a terra per fargli capire che sto arrivando e, quando mi vedono, entrambi sfoggiando un sorriso forzato. Li informo che il pranzo è pronto e mi seguono a ruota in cucina.
«Che avete cucinato di buono?» Jensen mi stampa un bacio sulla guancia e mi circonda i fianchi con un braccio.
Non so se dirglielo, è questo il fatto.
Quelle parole mi rimbombano in testa e ho paura che abbia fatto qualcosa che possa rovinare il nostro rapporto.
Ho paura di perderla se glielo dicessi.
«Carbonara» rispondo velocemente e mi stacco da Jensen per sedermi.
Lui si siede accanto a me ed inizia a mangiare come se non fosse niente. So che non è a conoscenza del fatto che ho ascoltato, ma se davvero ha paura di perdermi per qualcosa che ha fatto dovrebbe essere preoccupato. Invece è felice e fa l’indifferente.
«Rach, va tutto bene?» Jared deve aver notato il mio cambiamento di umore improvviso.
«Ho un po’ di mal di testa» mento, cercando di sembrare il più convincente possibile. «Mi succede spesso».
«Vuoi un aspirina?» Genevieve mi guarda comprensiva.
Scuoto la testa. Non avendo niente che non va fisicamente sarebbe un male prenderla. «No, mi passa da solo. Non preoccuparti».
«Uhm, va bene» annuisce e continua a mangiare tranquillamente.
Non voglio fare la fidanzata gelosa quindi non dirò niente a Jensen. Mi fido di lui e se pure fosse successo qualcosa me lo dirà quand’è pronto. La cosa che più mi turba è che ho pensato anche prima che c’è qualcosa di strano ed ho un brutto presentimento. Spero solo di sbagliarmi. 


Spazio autrice:
sono viva, se ve lo stavate chiedendo.
Chiedo scusa per l'enorme ritardo, ma non ho avuto ispirazione per tanto tempo ma adesso è tornata!
Grazie davvero per tutto le belle parole che mi avete detto, è anche grazie a voi che riesco a scrivere.
E per tutte le recensioni, siete fantastici! :)
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, a presto!

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Ventunesimo capitolo. ***


Ventunesimo capitolo.

Roma è la città in cui sono cresciuta e ad essa sono legati i più bei ricordi che conservo nel mio cuore. Quello che forse ritengo essenziale ricordare è il primo incontro avuto con Jensen. Io stavo andando ad una partita di calcio di Josè e, invece di arrivare sana e salva al Campo Sportivo, mi slogai una caviglia e Jensen mi trovò a terra. Lui è stato il mio salvatore e da subito iniziai a provare dei forti sentimenti che lui ha ricambiò, sorprendendomi. Ho sempre avuto la conferma che fosse innamorato di me, in qualche modo riusciva a farmelo capire, ma adesso non credo che lui provi le stesse cose che sento io nei suoi confronti.
Ieri sera l’ho beccato di nuovo a parlare di quell’argomento top secret con Jared, al telefono, facendomi aumentare il timore che possa lasciarmi da un momento all’altro. Alla fine sono andata a dormire con un groppo in gola e al risveglio ancora non era passata la paura.
«A che pensi? Sei silenziosa oggi e non è da te» la voce di Jensen mi riporta alla realtà, facendomi notare che mi sono persa nei miei pensieri.
«Sono solo stanca, stanotte non sono riuscita a chiudere occhio» sospiro.
Jensen mi stringe la mano e faccio fatica anche solo ad essere toccata da lui in questo momento. «Rach, non mi prendere per uno stupido. Pensi che io non abbiamo capito che ieri sera non avevi il mal di testa? Ho notato il tuo cambiamento di umore improvviso e ho fatto finta di niente ma, dato che continui a tenere il muso, vorrei sapere che ti succede».
«Sono preoccupata per l’incontro di domani con mio padre» mento.
Ah, si. Ieri mi sono messa d’accordo con mio padre per andare a cena fuori per stare un po’ insieme. Il pensiero di passare del tempo con lui mi eccita e di sicuro non mi rende ansiosa e spaventata.
«Ah, capisco» annuisce, aumentando la stretta della sua mano. «Che cosa ti preoccupare principalmente?» mi chiede dolcemente.
«Un po’ tutto» continuo a mentire, sentendomi quasi in colpa ma ricordo che anche lui lo sta facendo e credo per un motivo più serio.
«Andrà bene, vedrai» mi rassicura sorridendomi.
Mi stringo nelle spalle, passandomi poi la lingua tra le labbra secche, e mi volto verso il finestrino per guardare il panorama. Prima di conoscere Jensen non sono mai salita su un aereo mentre adesso mi ci ritrovo sopra molto spesso. La mia vita è cambiata radicalmente da quando è entrato nella mia vita.
«Ho una notizia da darti» prende parola dopo qualche minuto di silenzio.
Ritorno con lo sguardo su di lui e attendo che parli.
«Ho parlato di te ai miei genitori e sarebbero felici di conoscerti» mi informa sorridendo e, prendendomi alla sprovvista, resto scioccata dalla notizia.
«Dici sul serio?» riesco a dire dopo qualche istante.
Annuisce, continuando a sorridere. «Mi hanno anche rimproverato per non avergliene parlato prima» ridacchia.
«Uhm, e quando dovremmo incontrarli?» chiedo.
«Mia madre aveva proposto domani sera ma, dato che mi avevi già detto che dovevi vedere tuo padre, abbiamo deciso di pranzare dopodomani insieme» dice tutto d’un fiato. «Per te va bene, no?»
«Perfetto» mi rendo conto di essere stata troppo acida ma, fortunatamente, Jensen non se ne accorge e continua a sorridere.
Anche io lo sono. Poter incontrare finalmente i suoi genitori mi rende felice, ma ho il timore che da un momento all’altro possa accadere qualcosa di brutto. Mi sto rovinando questo viaggio e non ho voglia di stare male per qualcosa che ancora non è successo.

Molte ore dopo, nelle quali ho dormito beatamente, l’aereo atterra a Ciampino. Sorrido non appena poggio i piedi sul suolo Italiano, felice di essere tornata a casa mia. Èinevitabile ammettere che mi è mancata. Velocemente, recuperiamo i bagagli e dopo vari controlli usciamo dall’aereoporto.
«Rachel, Jensen!» una voce squillante, che riconosco subito, attira la mia attenzione. Mi volto di scatto e noto Josè che ci guarda sorridendo.
Gli vado incontro, quasi correndo, e lo abbraccio forte. «Quanto mi sei mancato!»
Lui ride. «Anche tu mi sei mancata, Rach!»
Jensen ci raggiunge e da una pacca amichevole sulla spala di Josè. «Ti trovo in forma, amico. Vai in palestra, non è vero?»
«Colpevole!» esclama Josè, alzando le braccia e sorridendo. «Voglio tenermi in forma per il mio matrimonio, manca poco ormai».
«Fai bene» dico. «Sono le due del pomeriggio» sgrano gli occhi quando leggo l’orario sull’orologio di Josè.
«Fuso orario, ne hai mai sentito parlare?» ridacchia Jensen.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. «Quanto sei scemo».
Dopo aver chiacchierato un po’, entriamo in macchina e Josè ci accompagna sotto casa mia. Voglio dare un’occhiata a come è messa e, se serve, dare una pulita.
«Casa dolce casa» mormoro felice, salendo le scale per poi aprire la porta della mia amata casa. «Ma è pulita» dico incredula.
Josè, che è salito insieme a noi, annuisce. «Sono venuto qualche volta io e qualche volta Camilla. Se non fosse stato per questo, questa casa sarebbe stata una topaia».
«Hai ragione, grazie mille».
Si stringe nelle spalle. «Figurati, è stato un piacere».
Mi guardo intorno e mi rendo conto di quanto mi sia mancata casa mia. Jensen aveva ragione quando mi disse che non lo ammettevo a me stessa, ma adesso gli do pienamente ragione. Ma questo non toglie il fatto che, se lui non c’è, non resto qui da sola. Preferisco andare anche in capo al mondo, l’importante è averlo al mio fianco.
«Adesso vi lascio da soli, ci sentiamo domani» si congeda Josè.
Dopo averlo salutato, ci lascia da soli e mi distendo sul divano per rilassarmi un po’. Jensen si accomoda accanto a me e, per riempire il silenzio che è calato nella stanza, accende la televisione.
«Rachel, devo dirti una cosa che non ti posso nascondere. La verrai sicuramente a sapere e preferisco essere io a dirtelo» Jensen prende parola.
Mi volto di scatto verso di lui e provo a non far trasparire nessuna emozione. «Cosa devi dirmi?» chiedo atona.
«Premetto che non sono stato io a compiere il gesto» gli trema la voce e questo non fa altro che preoccuparmi.
«Dimmi» ripeto.
Abbassa lo sguardo e, velocemente, dice: «Qualche tempo fa ero a casa di Victoria per provare delle scene e, mentre stavamo facendo una pausa, mi ha baciato».
Trattengo per un istante il respiro, scioccata da quello che mi ha appena detto. Quello che più temevo si è avverato e mi sento tradita. «Ah» mormoro.
«Non ce la facevo più a tenertelo nascosto» mi dice, abbassando poi il tono della voce. «Non immagini quanto mi dispiace. Capisco se adesso sei arrabbiata, non te l’ho detto subito ed è comprensibile».
«Quanto tempo fa è successo?» chiedo, cercando di mantenere la calma per non mollargli uno schiaffo.
«Un paio di mesi fa, credo» risponde incerto, storcendo le labbra.
Chiudo gli occhi e, lasciandomi andare, gli do uno schiaffo che cercavo di trattene. Mi schifa questo pensiero e mi sento tradita, anche se lui non ha compiuto il gesto. Me lo ha tenuto nascosto per due mesi e, quando si accorge che non può più tenermelo nascosto, me lo dice.
«Lasciami da sola, ti prego» lo supplico iniziando a piangere, «non ti voglio vedere».
Lui cerca di avvicinarsi ed io blocco. «Se non te ne vai tu, allora me ne vado io. Non mi cercare».
Mi alzo dal divano e, dopo aver indossato un giacchetto, esco di casa correndo. Non mi sono mai sentita così male in vita mia.
L’amore fa schifo.

Mentre corro verso casa di Josè, ripenso al comportamento che ho avuto poco fa con Jensen e mi rendo conto di essermi comportata come una ragazzina capricciosa invece che come un’adulta. Il problema è che la delusione è stata enorme: non avrei  mai pensato che Jensen mi avrebbe potuto tenere nascosto un segreto così a lungo. Soprattutto uno così.
«Rachel?» una voce femminile mi fa bloccare e voltare di scatto. Mi asciugo velocemente le lacrime che scorrono lungo le guance e noto Camilla che mi osserva preoccupata. «Che cosa succede?»
«Camilla» mormoro in imbarazzo. Sembro una scema in preda ad una crisi isterica, soprattutto perché ho iniziato a singhiozzare senza riuscire a fermarmi. «Jensen» proseguo, sentendo un nodo allo stomaco. «Mi ha tradita» concludo nascondendomi il viso tra le mani e sedendosi sul gradino del marciapiede.
«Stai calma» si accomoda accanto a me, abbracciandomi dolcemente. «Vuoi parlarne? Forse ti aiuterà, con me succede».
Prendo tutto il coraggio che ho in corpo ed inizio a parlare. «Jensen è strano da qualche tempo e ho iniziato a dubitare che mi nascondesse qualcosa e poco fa ne ho avuto la conferma. Mi ha raccontato che Victoria, una collega di lavoro con la quale faceva delle prove a casa sua, l’ha baciato all’incirca due mesi fa e lui me lo ha tenuto nascosto».
«Non ci credo» sussurra, visibilmente scioccata dal mio racconto. «E ora che cosa pensi di fare? Lo perdonerai?»
«Non posso vivere senza Jensen» sbuffo, «ma ho bisogno di capire cos’è meglio per me, per una volta non devo pensare agli altri ma solo a me stessa».
«Hai ragione» mi asseconda. «Nel frattempo vuoi restare da me e Josè?»
«Sicura?» mi mordo il labbro inferiore.
«Certo» mi sorride e mi aiuta ad alzarmi. «Domani torniamo insieme a casa tua e recuperi qualche vestito e accessorio che può tornarti utile, ma per oggi ti presto io qualcosa».
«Va bene» iniziamo a camminare verso casa sua. «Credi che verrà comunque al matrimonio?»
«Uhm» Camilla ci pensa su, «penso di si, soprattutto dopo il lungo viaggio che ha fatto».
«Gli parlerò al vostro matrimonio» dico, «una settimana di distacco mi sembra sufficiente per capire che cosa fare».
«Questo dipende da te» riflette.
«A proposito, non ho idea di cosa farvi per regalo di nozze. Avete una lista oppure dimmi tu, sono davvero impedita» cambio discorso.
«Un servizio di piatti» ridacchia Camilla. «Ci manca quello, ma solo se vuoi comprarlo o altrimenti non so cosa altro dirti».
«Perfetto!» abbozzo un sorriso.
Cala il silenzio e, tutti i pensieri che stavo cercando di non far emergere nella mia testa, iniziano ad affiorare. La mia più grande paura si è avverata e, anche se non è stato Jensen a baciarla ma lei, è sempre un tradimento. Sono sicura che avrei lasciato passare tutto se me lo avesse detto subito e non due mesi dopo l’accaduto.
«Anche io ci sono passata, sai?» Camilla sospira. «E, anche se non ti sembra il tipo, è con Josè che mi è accaduto».
«Josè ti ha tradita?» alzo un sopracciglio, «non ne sapevo nulla».
«Un anno fa gli ho presentato la mia migliore amica, Caterina, e sin da subito ho notato che era nata un’amicizia tra di loro» mormora. «Una sera, credo dopo un mese e mezzo, siamo usciti di nuovo assieme e lei, alla prima occasione, lo ha baciato».
«Ma tu non eri con loro?» sgrano gli occhi.
«Si, mi ero assentata solo qualche minuto per andare in bagno e quando sono tornata li ho trovati a baciarsi» dice schifata.
«Lui ha ricambiato?» chiedo di fretta, pensando a Jensen e Victoria.
Camilla storce le labbra. «No, ho fatto in tempo a vedere che la allontanava schifato e le ha urlato contro».
«Wow» mi passo una mano tra i capelli, sbigottita. «E lo hai perdonato subito?»
«Rachel, non è stato Josè a baciarla e di conseguenza non mi ha tradito secondo me. Lo stesso vale per te, Jensen è stato baciato quindi non ti ha tradita». Mi spiega velocemente.
 «Credi che ho esagerato a comportarmi così?» sussurro.
«Si» annuisce.


Spazio autrice:
salve, questo capitolo è abbastanza corto ma ho preferito così.
Spero vi piaccia :)
a presto!

Diemmeci.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Ventiduesimo capitolo. ***


Ventiduesimo capitolo.

Il mattino seguente mi sveglio in preda all’ansia, a causa di un incubo che mi ha perseguitata per tutto l’arco della nottata. Mi stiracchio e, una volta che avvenimenti della sera precedente iniziano a riaffiorare nella mia mente, il senso di colpa torna a farmi visita. Probabilmente perché non ho lasciato a Jensen del tempo di spiegarmi come sono andate realmente le cose, quindi mi sento io la ragione principale per quale ci troviamo in questa terribile situazione.
«Buongiorno» Camilla, la quale non avevo sentito entrare in camera, compare alla fine del letto, rivolgendomi un sorriso. «Sono stata io a svegliarti? Non sto molto attenta quando pulisco, mi cade sempre qualcosa dalle mani».
Scuoto la testa e ricambio il sorriso, poggiandomi con la schiena alla spalliera del letto. «Ho fatto un incubo» le spiego, «non ho sentito nessun rumore, stai tranquilla».
«Meglio così» borbotta. «A proposito, sono venuta qui per dirti che in salotto c’è Jensen che vorrebbe parlarti e…»
«Cosa?» la interrompo, sbalordita dalla notizia. «E adesso?»
«Se mi avessi lasciata finire, magari adesso sapresti cosa fare» mi rimprovera, cercando di mascherare un sorriso. «Dicevo, Jensen è in salotto e vorrebbe parlarti, ma io gli ho detto che stavi dormendo e lui mi risposto che avrebbe aspettato tutto il tempo necessario».
«Non ci credo» sussurro, gli occhi sbarrati per la sorpresa. «E secondo te dovrei andare a parlagli? Adesso?»
«Lo sai come la penso» si stringe nelle spalle. «Fa’ un po’ come ti pare, io sarei andata subito. Non so tu».
«Vado» mormoro tra me e me. «Altrimenti non usciremo più da questa situazione e, detta sinceramente, non ne posso più».
«E allora vai» mi incinta. «Josè è uscito e lo stesso stavo per fare io. Devo fare dei giri e avrete casa libera per un po’» spiega velocemente. «Avete tutto il tempo per chiarire».
Dopo qualche secondo di esitazione annuisco. «Okay» mi alzo dal letto e, guardando la mia immagine riflessa allo specchio, faccio una smorfia. «Forse è meglio che mi dia una sistemata. O no?» mi rivolgo a Camilla.
Mi lancia un’occhiata che, se avesse potuto, mi avrebbe incenerita all’istante. «Stai bene, e non credo che gli importi molto il tuo aspetto».
«Mmmh» brontolo.
«Non voglio sentire lamentele» sbuffa. «Sei grande, prenditi le tue responsabilità ed affronta questo problema» mi squadra, le mani sui fianchi e il piede che batte per terra a ritmo. «Ci siamo intese?»
«Si, mamma».
«Stai usando del sarcasmo con me?» alza un sopracciglio, ridacchiando. «Io vado di là e gli dico che stai arrivando. Esco subito, sono in ritardo».
«Allora ci vediamo dopo» alzo leggermente l’angolo della bocca.

Quando raggiungo la sala, scorgo Jensen seduto sul divano, intento a fissare la televisione spenta. Prendo tutto il coraggio che ho in corpo e mi avvicino silenziosamente.
«Ehi» dico, cercando di tenere la voce ferma, distaccata. Non devo far trasparire nessuna emozione o sarà la fine.
Jensen sobbalza al suono della mia voce e, velocemente, si alza dal divano e si volta verso di me. I suoi occhi sono spenti, privi di emozione. Probabilmente sta usando la mia stessa tattica. «Ciao» fa un cenno con la mano. «Mi dispiace di essere venuto senza avvertire, ma avevo bisogno di parlarti».
«Non preoccuparti» mordo il labbro inferiore, trattenendo l’irrefrenabile istinto di abbracciarlo e dirgli che andrà tutto bene. «Hai dormito a casa mia stanotte?» chiedo per allontanare quel pensiero.
«Veramente no» risponde. «Non ho dormito granché, forse due ore in tutto e in macchina. Ho girato per Roma e non ho fatto altro che pensare».
La sua sincerità mi lascia senza parole. L’istinto di abbracciarlo torna e per placarlo il più possibile mi avvio verso la cucina, allontanandomi da lui.
«Ho bisogno di un cappuccino» invento una scusa sul momento. «Vuoi qualcosa anche tu? Camilla e Josè hanno la dispensa piena di cibo».
«No» rifiuta, sedendosi poi sullo sgabello che si trova accanto la porta. «Ho mangiato un cornetto prima di salire, ma grazie comunque».
Mi stringo nelle spalle e bevo un sorso del liquido, tornando poi a pensare lucidamente da quando abbiamo iniziato a parlare.
 «Non possiamo evitare l’argomento per sempre» prende di nuovo parola Jensen, «quindi credo sia meglio parlane adesso e togliersi questo peso».  
«Io non ho niente da dire» mi affretto a dire. «Non sono stata io ad aver baciato qualcun altro mentre stavo con te».
«Hai ragione» ammette, «ma sono stato baciato, questa è una bella differenza. Non trovi?»
«Si» sussurro. «Ma quando lei ti ha baciato, quando hai capito la sua intenzione, l’hai scansata subito o prima hai ricambiato?»
Sembra esitare, facendomi intendere che la risposta è la seconda opzione. «Non so che cosa mi sia preso» prova a giustificarsi. «Anche allora amavo te, come ti amo adesso, ma forse l’ho dimenticato».
«L’hai dimenticato» mormoro schifata tra me e me. «Non puoi dimenticare una cosa del genere, cazzo!»
«Lo so» abbassa lo sguardo sul pavimento, sembrando pentito per ciò che ha fatto. «E mi dispiace da morire, non immagini nemmeno quanto».
«Anche a me dispiace» sento gli occhi pizzicare e mi volto di scatto, poggiando le mani sul bancone di marmo.
Nella cucina cala un silenzio carico di tensione, tristezza e chissà cos’altro che non riesco a identificare. Tutte emozioni che mi stavo tartassando. Il mio respiro si fa irregolare e delle calde lacrime rigano le mie guance.
«Non piangere» Jensen si è avvicinato a me. Mi stringe la vita con le mani e, probabilmente per farmi capire che è qui solo per me, fa aderire il suo corpo al mio e canticchia una melodia al mio orecchio.
Non riesco a trattenere una risata. «Smettila» sussurro.
«Perdonami» la melodia continua e un sorriso compare sulle mie labbra, il primo dalla sera precedente. «Ti prometto che non accadrà mai più una cosa del genere».
Mi volto a guardarlo e, slanciandomi, mi siedo sul bancone e asciugo il mio viso dalle lacrime. Jensen poggia le mani sulle mie cosce e si insinua tra esse, facendo aderire una seconda volta i nostri corpi.
«Non fare promesse» lo ammonisco. «Sono la prima a pensare che non servano a nulla, tutti possiamo sbagliare e dispiace a me per essermi comportata così».
«Tu non hai colpe».
«Si, invece» ribadisco. «Se ti avessi lasciato spiegare, probabilmente adesso non ci troveremmo in questa situazione».
«Mmmh» bacia la punta del mio naso. «Non è niente a confronto di ciò che ho fatto io, Rach. Mi sento un verme. Non avrei mai voluto che accadesse questo».
Dopo qualche secondo di silenzio, prendo parola e tutto quello che riesco a dire sono due parole che aspettava con ansia di sentire. «Ti perdono».

«Siamo a casa!» la voce di Josè risuona improvvisamente per l’appartamento e, agitata, guardo Jensen e capiamo entrambi di star per fare una figuraccia.
Dopo aver fatto pace ci siamo lasciati trasportare dalla passione e abbiamo fatto l’amore. E rifatto di nuovo. Velocemente, raccolgo da terra il pigiama che indossavo fino a un’ora prima e cerco di indossarlo ma, proprio mentre penso di essercela scampata, entra in stanza Josè e lancia un urlo dopo averci visti nudi.
«Josè!» esclamo indignata, finendo di vestirmi ed uscendo fuori dalla camera. Vado in salone e lo trovo a ridere insieme a Camilla, distesi entrambi sul divano. «Potevi almeno bussare!»
«E io che ne sapevo che stavate facendo sesso?» tenta di mascherare un sorriso, invano.
Alzo gli occhi al cielo e punto le mani sui fianchi. «Potevi immaginarlo» scoppio a ridere non riuscendo più a trattenermi. «Sei il solito cretino».
«Sempre» mi fa l’occhiolino, tornando tutt’un tratto serio e capisco che vuole sapere cosa è accaduto.  «Andiamo in terrazza? Vorrei parlarti».
Annuisco, seguendolo all’esterno e sorridendo mentre passo davanti Camilla. Se adesso tutto è risolto è anche grazie a lei.
«Cosa sai già?» sospiro, sedendomi sul dondolo.
Josè afferra una sedia di legno bianca e la posiziona davanti a me. «Vediamo un po’» fa schioccare la lingua sul palato e riprende parola solo dopo qualche istante. «Camilla ha tentato di spiegarmi cos’è successo, ma non ho capito granché».
«Victoria ha baciato Jensen» riassumo velocemente, accorgendomi che fa male pensarci anche se abbiamo risolto. «Io mi sono arrabbiata parecchio e, mentre camminavo senza una meta precisa, ho incontrato Camilla che mi ha portata qui».
«Mmmh» mugugna, il mento poggiato sul una mano chiusa a pugno e lo sguardo serio. «Non mento sul fatto che vorrei entrare e spaccargli la faccia» riprende parola, «ma non mento nemmeno se ti dico che non lo farò».
«E ne sono felice» sospiro, «abbiamo risolto adesso».
«A quanto pare si» appura. «Spero solo che sia l’ultima volta che debba sentire una cosa del genere, altrimenti non saprò trattenermi se dovesse accadere di nuovo».
«Lo spero, Josè» accenno un sorriso. «Adesso basta parlare di me, di Jensen e del nostro rapporto. Piuttosto, parliamo di te e del matrimonio!»
«Me la sto facendo sotto» dice terrorizzato. «Ho paura di non riuscire ad essere un buon marito per Camilla, mi spaventa parecchio questo pensiero».
«Credo sia normale, sai?» stringo la sua mano tra la mia. «Non riesco ancora a credere che ti sposerai, mi sembra un sogno».
«Già».
«Non sono sicura che riuscirò a trattenere le lacrime» mormoro, «sono così emozionata che piangerò anche prima della cerimonia».
Josè si siede accanto a me, stringendomi forte. Non ha bisogno di parlare per farmi capire ciò che vorrebbe dirmi. Questo abbraccio parla da solo.

Una volta tornati a casa mia, facciamo appena in tempo a fare una doccia che il campanello suona ripetutamente. Raggiungo frettolosamente la porta (indossando solo una vestaglia, precisiamo), e la apro senza nemmeno chiedere chi è, rimanendo a bocca aperta.
«Sorpresa!» mia madre è sulla soglia che mi sorride,visibilmente impaziente di entrare e stritolarmi in uno dei suoi abbracci. «Non mi fai entrare?»
La faccio passare e chiudo la porta. «Mamma, non mi aspettavo per niente una tua visita» dico.
«Se Josè non mi avesse avvertita che eri tornata, adesso non sarei qui» assume un tono di rimprovero, ma so che sotto è felice di vedermi. «Ma non fa niente, hai troppe cose da fare per pensare anche alla tua mamma».
Ridacchio, abbracciandola forte. «Non pensarlo nemmeno» sputacchio i capelli di mia madre che mi sono finiti in bocca, facendo smorfie alquanto ridicole. «Ci sarai anche tu al matrimonio di Josè?» le chiedo una volta sciolto l’abbraccio.
Annuisce, entusiasta. «Mi ha chiamata proprio per invitarmi. Sono così felice che si sposi, il piccolo Josè ormai sta diventando un uomo».
«Già» passo la lingua tra le labbra secche. «Jensen sta finendo di fare la doccia ed io devo ancora vestirmi, quindi ti dispiace se corro a mettere qualcosa addosso e ti raggiungo?»
«Mettici tutto il tempo che vuoi» strofina una mano sulla mia schiena e mi sorride dolcemente. «Avevo in programma di rimanere qui a cena, tra poco ci avrebbe raggiunte anche tuo padre, ma c’è anche Jensen e non so se sei d’accordo».
«Certo» il mio entusiasmo è evidente. «A patto che cuciniate tu e papà, stasera non sono proprio in vena di fare nulla».
«Affare fatto» mi fa l’occhiolino e si dirige in cucina.
In compenso, io vado in camera mia e indosso maglia piuttosto larga verde e dei pantacollant neri. Da sotto il letto scovo un paio di ballerine, sempre dello stesso colore della maglia, e le indosso velocemente. Lego i capelli in una coda di cavallo e metto un filo di mascara, giusto per dare un po’ di vita al mio viso.
«Sono tornata» qualche istante dopo torno in cucina e trovo mia madre intenta a cucinare e Jensen che ride alle sue battute. «Ehilà, mi sentite?» sventolo la mano davanti al volto di entrambi.
«Come sei vestita carina» mia madre tenta di farmi un complimenti, ma non è mai stato un asso in questo campo. Apprezzo comunque il suo enorme sforzo.
«Grazie» le sorrido. «Allora, che cosa stai preparando di buono? E papà tra quanto pensi che arriverà?»
«Sto facendo gli involtini ripieni di sedano e carota, poi pensavo di fare anche delle salsicce» mi informa. «Maurizio sta arrivando, dagli tempo».
«Va bene» le rubo da sotto gli occhi una carota sbucciata e la mordo, ridacchiando. «Sono felice che tu sia qui».
«Anche io, tesoro» mi rivolge un altro dei suoi dolci sorrisi e poi torna a cucinare.

 
Spazio autrice:
Non ho scuse per l'enorme ritardo che ho fatto.
Ho avuto problemi col pc e personali, troppi compiti e lo sport occupa molto tempo.
Scusatemi, mi sento in colpa e so che è una mancanza di rispetto verso di voi
perchè perdete del tempo  a leggere la mia storia.
Un bacione! ♥

Diemmeci.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Ventitreesimo capitolo. ***


Ventitreesimo capitolo

«Papà!» esclamo vedendolo entrare in casa, elegante come sempre.
Mi sorride. «Rachel, come sei bella stasera» il suo complimento mi fa arrossire. Lui, al contrario di mia madre, è sempre stato un asso nei complimenti.
Si accomoda in salotto, distendendo entrambe le gambe sul tavolino laccato di nero. Un’altra delle sue abitudini è questa. Sorrido ricordando le innumerevoli volte che l’ho visto in quella posizione, sin da quando ero bambina ad oggi. Non è cambiato di una virgola e ne sono felice.
«Rachel, puoi venire un attimo?» Jensen mi fa cenno di raggiungerlo.
«Che c’è?» gli chiedo, stranita dal suo comportamento. «Mio padre è arrivato, è in sala. Che ne dici di venire a conoscerlo invece di stare in cucina?»
«Certo» colgo una nota di incertezza nella sua voce.
Sbuffo, puntando le mani su entrambi i fianchi. «Forza, cosa c’è? Temi che mio padre ti possa mangiare vivo o darti in pasto ai cani infernali?» ridacchio.
«Non essere ridicola» fa roteare gli occhi, «i cani infernali non esistono davvero. E no, non temo di non piacere a tuo padre, ma non ho la più pallida idea di come presentarmi».
«Quindi hai paura di lui» riassumo il contenuto. «Senti, Jensen, non  c’è niente di cui preoccuparsi. Dico sul serio. Durante la cena dell’altra sera abbiamo parlato parecchio di te ed era entusiasta all’idea di conoscerti».
«Mi sembra un buono segno» constata.
«Appunto» sospiro, esasperata. «Quindi, adesso che ne dici se andiamo di là? Ti sembra una buona idea?»
Sorride. «Ottima».
Torniamo in sala e mio padre, vedendoci arrivare entrambi, si alza velocemente e porge una mano a Jensen. Lo noto vacillare ma, qualche istante dopo, gliela stringe. «È un piacere conoscerti, Jensen».
«Il piacere è mio, signore» Jensen alza leggermente l’angolo della bocca.
Ci rimettiamo comodi sul divano, io accanto a Jensen e mio padre sulla poltrona davanti a noi. Non è presente nell’atmosfera la tensione che mi ero aspettata, infatti dentro di me faccio i salti di gioia per questo.
«Quindi» mio padre prende parola, «come procedono le riprese della nona stagione? Sono anche io un fan di Supernatural».
Jensen ne sembra grato. «Le riprese vanno piuttosto bene, anche se a rallentatore» ammette. «Ci sono stati dei problemi con vari attori e adesso non facciamo altro che aspettare che si risolvano».
«Ovviamente» risponde prontamente mio padre. «Quali attori hanno avuto dei problemi? Se posso saperlo».
«Un’attrice» sembra indugiare parecchio prima di continuare a parlare, «ha avuto dei problemi in famiglia e un'altra che, purtroppo, si è rotta un braccio e dobbiamo aspettare che guarisca».
«Qual è l’attrice che ha problemi in famiglia?» inarco un sopracciglio.
«Victoria» sussurra, imbarazzato.
«Ah» mi limito a dire, annuendo. «Capisco».
Non pensarci, Rachel, stai calma. Ripeto a me stessa quelle parole per un lasso di tempo che non riesco a ricordare, prima di tornare ad ascoltare la conversazione.
«Segue la serie da tanto tempo?» chiede Jensen, stringendomi una mano tra la sua.
La ritraggo, infastidita.
«Diciamo da quando hanno trasmesso la seconda stagione» mio padre sorride. «Quindi è da parecchio direi».
«Già» borbotto, alzandomi improvvisamente. «Io vado in cucina a vedere a che punto è mia madre. Con permesso».
Mi reco velocemente in cucina, chiudendo la porta e lasciandomi cadere su una sedia. Aver sentito parlare di Victoria mi ha fatto ripensare a ciò che è accaduto e la rabbia, la paura, il timore, tutte sensazioni orribili, sono tornate a farmi visita.
«Tesoro» mia madre, la quale si trova davanti ai fornelli, si volta a guardarmi e sembra aver notato appena adesso che fossi lì. «Hai lasciato Jensen da solo con tuo padre?»
«Si» annuisco. «A che punto sei con la cena?» domando per distrarmi.
«Ci siamo quasi» l’entusiasmo nella voce di mia madre è così evidente che quasi mi sento in colpa a non averne quanto ne ha lei. «E adesso dimmi, cos’è successo di così grave da farti scappare dalla conversazione?»
«Niente» mento, schiaffeggiandomi mentalmente. Mia madre non saprà anche fare i complimenti, ma mi capisce più di qualsiasi altra persona.
Sospiro, arrendendomi al fatto che ormai avesse capito. Le riassumo tutto quello che è accaduto ultimamente, da quando Jensen mi ha raccontato del bacio con Victoria a quando sono rimasta a dormire da Josè e Camilla.
«Oh, tesoro» una volta terminato il racconto, mi abbraccia dolcemente. «Non immagini quanto mi dispiace che tu sia stata così male. Ma adesso è tutto risolto, no?»
Mi stacco dall’abbraccio. «Si» sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, «è tutto sistemato, ma ho ancora paura».
«Credo sia normale» mia madre mi accarezza la schiena, movimenti lenti e rilassanti. «Col tempo guariranno queste ferite che ti porti dentro».
«Lo spero».
«Vedrai» si allontanò da me per raggiungere nuovamente i fornelli. «Qui è tutto pronto!» esclama. «Forza, a tavola! Si mangia!»

Dopo aver cenato, non ho capito per quale motivo, i miei genitori se ne sono andati. Anche Jensen non ha compreso la causa per cui sono dovuti, letteralmente, scappare da casa mia.
«So io cosa devono fare» aveva detto Jensen, ridendo.
Adesso, mentre sparecchio la tavola e canticchio in sottofondo Just the way you are, sono sollevata per il fatto che durante la cena sia filato tutto liscio. Non che mi aspettassi che accadesse qualcosa di terribile ma, dato che la sfortuna è sempre dalla mia parte, un po’ di timore c’è sempre.
«Che stai facendo?» Jensen compare dietro di me, facendomi spaventare. Non l’ho sentito arrivare. «Scusa, piccola» mormora, poggiando le mani sui miei fianchi e facendo aderire i nostri corpi. «Che ne dici se guardiamo un bel film, sul divano?»
«Devo finire di sparecchiare» mi lamento. «Puoi aspettare mezz’ora?»
«No» risponde. «Tu adesso smetti immediatamente e ti vai a infilare qualcosa di comodo. Poi mi raggiungi e ci rilassiamo un po’».
«Ma…»
«Nessun ma» mi interrompe. «Ci penseremo domani, ti do una mano io e finiamo prima. Promesso».
Sorrido. «Va bene, allora».
Raggiungo la mia stanza e mi cambio velocemente, indossando un pigiama, di almeno due taglie più grandi della mia, e completamente rosso. Una sensazione di calore si cosparge su tutto il mio corpo, facendo rilassare i muscoli tesi. Un po’ di relax, finalmente!
«Che film proponi di vedere?» domando una volta tornata in sala, buttandomi di peso sul divano e coprendomi con il plaid, del medesimo colore del pigiama.
«Non hai un’ampia scelta» dice con tono di disapprovazione.
«Lo so» sbuffo, «non guardo molto spesso i film. Potremmo collegare il computer portatile alla televisione, col cavetto, in modo da vedere qualsiasi film vogliamo».
«Un’altra delle tue ottime idee» si complimenta, ridacchiando. «Vado a prendere il computer e il cavetto, quindi».
Annuisco, rimanendo stretta nel plaid rosso.
Un quarto d’ora più tardi, fortunatamente, abbiamo deciso il film da vedere e ci troviamo entrambi distesi sul divano, abbracciati. Sembra una tipica serata da innamorati, che purtroppo non ci capita di vivere spesso.
«Come ti è sembrato mio padre?» sussurro qualche istante più tardi. Guardo di lato, rendendomi poi conto che il viso di Jensen è più in alto del mio e quindi mi ritrovo a guardare il suo collo. Gli lascio un lascio appena sotto l’orecchio e lo sento rabbrividire sotto le mie labbra.
«Simpatico. Totalmente diverso da come lo avevo immaginato» mormora.
«Ah, si?» gli lascio altri baci lungo il collo. «E come lo avevi immaginato, precisamente? Un uomo cupo e sempre arrabbiato?»
«Mentirei se ti dicessi di noi» ridacchia, facendo poi aderire ancora di più i nostri corpi. Abbiamo le gambe intrecciate e la sua mano è ferma sulla mia coscia. Lo sento fremere sotto i miei baci. Per una volta sono io quella che ha il controllo e non lui.
«Per una volta sei stato sincero, almeno» mi pento all’istante di aver pronunciato quelle parole, infatti il suo corpo si tende e cerca subito i miei occhi. «Jensen, non mi riferivo alla storia che riguarda Victoria» mi precipito a dire.
«Invece si» il suo tono è fermo, non lascia trapelare nessuna emozione. «Tu non immagini come mi sento quando ripenso di averti mentito per tutto questo tempo. Ogni giorno è stato difficile e lo è ancora. Non avrei mai voluto farti soffrire».
«Lo so» lo tranquillizzo, prendendo il suo viso tra le mani. «Lo so» ripeto, «e, credimi, adesso va tutto bene. Sto bene».
«Ti amo». Poggia delicatamente le sue labbra sulle mie. Lentamente, il bacio diventa sempre più appassionato e, non ho idea di come, quando mi allontano mi ritrovo sulle sue gambe.
«Ti amo anche io» gli sorrido, intrecciando le mani dietro il suo collo. «Non ha avuto senso decidere di vedere un film, non lo stiamo guardando» sogghigno.
«Sei una distrazione». Velocemente, capovolge la situazione, facendomi ritrovare distesi sotto il suo corpo, che preme contro il mio. «Una piacevole distrazione».
«Se vuoi portami a letto» traccio il profilo delle sue labbra, «basta chiedere e il tuo desidero sarà avverato».
Rotea gli occhi, ridendo. «Ma falla finita».
«Chiedo scusa per aver frainteso le sue intenzioni, signor Ackles» mormoro dolcemente, rubandogli un bacio. «Non voleva offenderla» lo prendo in giro.
«Invece si, è proprio quello che volevi fare» continua a ridere, irradiando il mio mondo. Ogni volta che sorride il mio cuore scoppia di felicità.

Il mattino successivo, stranamente, alle sette sono fuori dal letto e sto già preparando il caffè. Indosso poi i primi panni che mi capitano sotto gli occhi e, sussurrandolo appena, informo Jensen che esco. Lui non sembra nemmeno avermi sentito, ma non mi preoccupo. Sono sicura che una volta tornata a casa, si troverà ancora sotto le coperte a dormire.
Non appena metto piede fuori casa un venticello mi punge in viso, facendomi rabbrividire e maledire mentalmente perché, come mio solito, vado sempre sul sicuro e indosso abiti leggeri. Mi incammino verso casa di Camilla e Josè, sperando di non disturbarli.
Quando la raggiungo, suono al campanello del portoncino ed attendo pazientemente. «Chi è?» la voce squillante di Camilla risuona dall’altra parte della porta.
«Rachel» alzo di qualche tono la mia voce per farmi udire.
Non c’è risposta per qualche istante poi la porta si spalanca improvvisamente, e Camilla compare sulla soglia, sorridente. «Non ti aspettavo così presto, ma sapevo che saresti passata».
«Ci scommettevo» sorrido, entrando in casa. «Josè?» domando.
«Dorme» brontola, «anche Jensen, non è vero?» prosegue, non aspettando una risposta dato che annuisco.
«Sono due pigri» mi lamento, lasciandomi cadere sul divano. «Ad ogni modo, non sono passata per lamentarmi del tuo futuro marito e il mio ragazzo» continuo, ridacchiando. «Tra due giorni ti sposi e volevo solo sapere come procedono i preparativi».
«Va tutto alla perfezione, come doveva andare. Forse anche meglio» i suoi occhi brillano al solo pensiero. «Ho solo un piccolo problema, ma non riguarda i preparativi».
«Cioè?» mi sporgo in avanti, poggiando il mento sulle mani.
«Non…» sembra in imbarazzo.
«Puoi dirmi tutto, stai tranquilla».
Annuisce. «Non riesco a scrivere il discorso» dice di getto, cominciando a riacquistare un colorito più chiaro, dal rosso che le aveva inondato il viso.
Sbotto a ridere, accorgendomi poi che lei è seria. «Ehm» mi ricompongo, «non c’è niente di male, Camilla. Se non riesci a scrivere niente, allora le parole usciranno da sole sul momento».
«Ma io preferirei leggere su un foglio di carta» blatera. «E se poi, ipotizziamo, mi blocco e non riesco più a parlare?»
«Le probabilità sono scarse» constato.
«So che hai ragione» sospira, «ma voglio scrivere un dannato discorso e leggerlo. Sarò troppo emozionata per ricordare tutte le cose che ho da dirgli».
«Capisco» schiarisco la gola. «Che ne dici, allora, se ti aiuto io a scrivere un bel discorso?» propongo improvvisamente.
Lei sembra pensarci e alla fine sorride. «Ottima idea. Mettiamoci a lavoro».
«Perfetto!» ricambio il sorriso.


Spazio autrice:
Ciao a tutti, finalmente ho aggiornato e posso tirare un bel sospiro di sollievo!
Mi dispiace di avervi fatte aspettare, ma il tempo manca e ho avuto dei problemini. Ho appena scoperto di essere Miope e ho comprato gli occhi che, detta sinceramente, non mi donano parecchio.
Okay, la smetto di blaterale! Avevo intenzione di dirvi che, non è ancora sicuro ma allo stesso tempo si (capitemi), siamo quasi alla fine della storia. Non ho voglia di allungarla troppo, le idee sono poche e temo di rovinare tutta la trama. Avevo pensato di scrivere un ultimo capitolo, un epilogo, e terminare in bellezza. E penso farò così. 
Lo scoprirete voi quando aggiornerò, comunque.
A presto, e mi scuso per tutto questo giro di parole per dire una cosa. Un bacione e grazie della vostra attenzione!


Diemmeci
 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Ventiquattresimo capitolo. ***


Ventiquattresimo capitolo

Appena dopo aver messo piede fuori casa di Camilla, il mio cellulare inizia a squillare. Non ci bado più di tanto, infatti perdo la chiamata e decido di richiamare più tardi. Sto camminando a passo decisamente equiparabile di quello di una lumaca, ma a anche a questo dettaglio non do peso. Ho dato una mano a Camilla per il discorso e nell’insieme non è niente male, anzi. Abbiamo inizialmente buttato giù le solite frasi, i soliti ti amo e le solite smancerie e non andava bene, troppo prevedibile. Alla fine, quando stavamo entrambe per cedere, Camilla ha scritto di getto alcune frasi che sono risultate giuste, romantiche non troppo e che facevano capire quanto amasse Josè. Quest’ultimo, poi, è sbucato improvvisamente dietro di noi e abbiamo fatto in tempo a nascondere tutti i fogli sparsi sul tavolino prima che li vedesse.
L’insistente suoneria del cellulare riprende, quindi lo cerco frettolosamente nella borsa e lo porto all’orecchio.  «Chi è?»
«Jensen» riconosco subito la voce. «Dove sei? Mi sono svegliato e non ti ho trovata. Potevi almeno lasciare un biglietto».
Roteo gli occhi. «Io te l’ho detto che stavo andando da Camilla, sei tu che non hai badato alle mie parole» lo accuso. Anche prima di uscire di casa ero certa che non mi avesse realmente ascoltato e, a quanto pare, non mi sono sbagliata.
«E perché sei andata da Camilla?» il tono della voce è più moderato, probabilmente ha capito di essere in torto. «C’è qualcosa che non va con Josè?»
«No, tutto bene» faccio appena in tempo a schivare un palo che non avevo visto. «Ho aiutato Camilla con il discorso. Sai, le promesse che devono farsi due promessi sposi, hai presente?» ridacchio.
«Certo» lo sento sbuffare. «Tra quanto torni?»
«Cinque minuti, se tutto va bene».
«Attenta a non inciampare» si raccomanda, trattenendo una risata.
«Ho quasi sbattuto ad un palo della luce» comunico ridendo.
«Come?» il suo tono si alza.
«Se sto parlando a telefono con te, vorrà dire che l’ho evitato, no?»
«Mmh».
Sospiro. «Mi sembra un buon inizio» chiudo la chiamata e ripongo, senza molta attenzione, il cellulare nella borsa.
Per quanto possa sembrare ridicolo, è veramente un ottimo inizio aver schivato un palo della luce. Ho sempre attirato i guai, al liceo mi hanno persino soprannominata “Calamita di disgrazie”.
Raggiungo velocemente casa mia, salendo le scale altrettanto velocemente ed aprendo la porta per poi trovare Jensen disteso sul divano, immerso nella lettura di un libro. Lo sguardo ammirata, non sapevo che leggesse. «Bentornata» distoglie gli occhi dal libro e li posa su di me.
«Da quand’è che leggi?» gli chiedo, inarcando un sopracciglio per poi sfilare la giacca e buttare le ballerine in un angolo.
«Da…» lancia un’occhiata all’orologio appeso al muro, «da circa mezz’ora, direi».
Roteo gli occhi. Sono certa di non aver mai roteato tante volte gli occhi in vita mia da quando sto con Jensen. «Non intendevo adesso, stupido».
«Potevi specificarlo, allora» ribatte, poggiando il libro sul tavolino di fronte sé. «A proposito, ho una notizia da darti».
«Spara» lo incito, sedendomi accanto a lui e distendendo le gambe sulle sue. «Basta che non sia una cattiva, sono felice oggi».
«I miei genitori vogliono conoscerti» annuncia qualche istante più tardi. «Ho parlato loro di te e sono più che entusiasti di fare la tua conoscenza».
«Dici sul serio?» sono sorpresa da questa notizia.
«Si. C’è qualcosa che non va?»
Scuoto la testa. «No, è che sono sorpresa. Non credevo che avrei mai fatto la loro conoscenza».
«E perché?»
Mi stringo nelle spalle. «Non sono la solita ragazza che un attore della tua fama porta a far conoscere alla famiglia» spiego in parole semplici.
«Solita ragazza?» sembra schifato nel pronunciare quelle parole. «Quando capirai che non sei una delle tante e che ti amo così come sei? Preferisco avere una ragazza come te, semplice e senza troppe pretese, invece che una schizzinosa che pensa solo a farsi la manicure».
Rido, sollevata. «Una pretesa bella grande ce l’ho» ci penso su. «Desiderare te, ogni parte di te, è parecchio. Non credi?»
«La mia stessa pretesa» sorride. «Tu sei parte di me, puoi avere tutto di me».
«E tu sei parte di me» concludo, prima di baciarlo.

I genitori di Jensen hanno chiamato di nuovo e hanno informato che sarebbero arrivati verso le cinque del pomeriggio. Sono arrivati ieri sera proprio per conoscermi. Adesso, mentre li attendiamo, dentro di me l’ansia sta iniziando a prendere il sopravvento e Jensen lo nota immediatamente. Mordo il labbro insistentemente, il primo sintomo che manifesto in queste circostante.
«Stai calma» sussurra, poggiando entrambe le mani sulle mie spalle. «Respira, molto lentamente» continua.
Faccio come mi dice. Inspiro ed espiro. Inspiro ed espiro. «Va meglio» ammetto infine, provando un senso di beatitudine. «Molto meglio».
«Devi stare calma» prosegue, «non c’è niente di cui preoccuparsi. A loro piaci già e sono sicura che non cambieranno opinione».
«Ora capisco cosa provavi l’altro giorno». Inspiro ed espiro. «Ho persino pensato che fossi uno sciocco ad essere nervoso. Ora capisco» ripeto.
«Tranquilla» sorride, stringendomi in un tenero abbraccio. Continuo a respirare regolarmente per non farmi prendere dal panico.
Il campanello della porta suona, quindi, continuando a respirare, mi stacco da Jensen che va ad aprire. Sulla soglia, un uomo e una donna gli sorridono e, senza dire una parola, lo abbracciano forte. Che bel quadretto familiare.
«How are you, mom?» Jensen si rivolge in inglese alla madre. Come stai, mamma?
La madre continua a sorridergli. «I’m fine, honey». Sto bene, tesoro.
Il padre si rivolge in italiano. «Jensen, che bello vederti!»
«Anche per me, papà».
La madre di Jensen si avvicina a me, porgendomi una mano, la quale stringo. «Nice to meet you, dear. I’m Donna». Piacere di conoscerti, cara. Sono Donna.
«Nice to meet you too» le sorrido, «i’m Rachel». Il piacere è mio, sono Rachel. Mi rendo conto che il mio inglese è arrugginito, non parlandolo quasi mai, e me ne vergogno profondamente.
«Io sono Roger, cara» il padre di Jensen mi abbraccia affettuosamente. «Fortunatamente io parlo bene l’italiano, avendo passato parecchi anni».
«Infatti lo parla davvero bene» mi complimento. «E sua moglie, invece? Mi dispiace che le dovrete fare la traduzione in continuazione».
«Non sarà un problema» mi fa l’occhiolino, facendomi ridacchiare.
Ci andiamo a sedere sul divano e passiamo un bel po’ a parlare (e a tradurre per Donna), e noto con piacere che l’ansia e la paura sono andate via. Passiamo dei bei momenti, colmi di risate e allegria, e questo non fa altro che farmi piacere di più i genitori di Jensen. Sono davvero simpatici.
Purtroppo, un paio d’ore più tardi, ci informano che hanno l’aereo alle dieci di sera e quindi devono andare. Sono proprio venuti qui per me, per conoscermi, e questo mi lusinga molto.
«Non immagini quanto piacere mi ha fatto conoscerti» Roger mi abbraccia nuovamente. «Spero verrai a farci visita a Vancouver, prima o poi».
«Ci conti» affermo.
«Ferma!» esclama, ridendo. «Potrai entrare in casa mia solo se mi darai del tu. Dandomi del lei mi fai sentire più vecchio di quanto lo sia già».
«Okay, Roger, ti darò del tu» ridacchio. «E verrò il prima possibile, non preoccuparti».
«Lo spero».
«Goodbye, honey» Donna mi abbraccia. «You’re beautiful, damn». Arrivederci, tesoro. Sei bellissima, dannazione.
«Thank you» le sorrido.  «Goodbye». Grazie. Arrivederci.

Sono ancora immersa nel sonno quando mi sento scuotere. Borbottando qualcosa di incomprensibile, mi giro bruscamente sull’altro lato e immergo il viso nel cuscino. Mi sento di nuovo scuotere. «Rachel, svegliati!» una voce maschile, non di Jensen, mi urla nell’orecchio. «Forza, sono le dieci!» continua.
Indignata, mi tiro a sedere. «Ma che diamine succede?» mi stropiccio lentamente gli occhi, mettendo poi a fuoco la figura di Josè, il quale è seduto sul letto e mi fissa con aria scocciata. «Che ci fai qui?»
«Anche a me fa piacere vederti, Rachel» mantiene un’espressione seria, ma i suoi grandi occhi nocciola lo tradiscono.
«Sei terribile» scuoto la testa. «Ovviamente sono felice di vederti, ma sai che adoro dormire e avermi svegliato in quel modo è un punto a tuo svantaggio».
«Lo so» si stringe nelle spalle, fregandosene. «Posso permettermelo dopo dieci anni di amicizia, non credi?» un radioso sorriso si fa spazio sul suo viso.
«Credo tu abbia ragione» affermo, ridacchiando. «Non mi aspettavo di vederti oggi, tutto qui. Hai bisogno anche tu che ti aiuti con le promesse?»
«No» inarca un sopracciglio. «Aspetta, Camilla ti ha chiesto di aiutarla con le promesse?» trattiene una risata.
«Già» annuisco. «Non dirle che lo sai, ti prego».
«Sospettavo che avrebbe chiesto aiuto. Non è mai stata bravissima ad esprimere i propri sentimenti» sorride. «Starò zitto, comunque».
«Okay» sorrido. «Ti ha aperto Jensen? Credevo che stesse ancora dormendo».
«Si, è andato a fare un giro in centro» riferisce. «Ad ogni modo, non sono venuto qui per parlare di Camilla, di Jensen o qualsiasi altra persona. Sono venuto qui a solo scopo egoistico».
«Uhm» incrocio le gambe, ancora immersa sotto le coperte. «E quale sarebbe questo scopo così grandiosamente egoistico?»
«Passare del tempo con la mia migliore amica» dice, come se fosse la cosa più normale del mondo. «Quale, altrimenti? Non stiamo insieme da un’eternità, mi sembra di ricordare. Mi manchi, Rach e non voglio che il nostro rapporto cambi».
«Anche tu mi manchi» ammetto, slanciandomi in avanti e attirandolo a me per abbracciarlo. Solo adesso mi rendo conto di averlo trascurato e mi dispiace, lui è il mio migliore amico e voglio averlo accanto sempre. C’è stato in ogni tappa della mia vita e così continuerà ad essere, per sempre.
«A quanto pare sei dolce solo appena sveglia» ridacchia tra i miei capelli. «Dopo aver preso il caffè torni ad essere acida».
«La vita» canticchio, alzandomi dal letto per infilarmi le ciabatte e un vecchio cardigan bianco che uso per casa da parecchio tempo. «Ho voglia di caffè, quindi preparati ad accogliere la Rachel acida di sempre».
Ci rechiamo in cucina e metto sul fuoco la macchinetta del caffè. Mi siedo poi su una sedia e poggio il mento sulle mani, tentando di rimanere lucida.
«Hai dormito poco stanotte?» il suo tono prende una piega maliziosa e, infatti, sul suo viso spunta un sorriso altrettanto malvagio.
«Non sono affari tuoi» avverto le guance bruciare, quindi nascondo il viso tra le mani e sbotto a ridere. «Non prendere questi argomenti, ti prego».
«Era solo una domanda, tranquilla» stringe leggermente la mia mano, allontanandola dal viso. «Sta uscendo il caffè» mi avvisa.
Verso il liquido caldo in una tazza ed aggiungo del latte. Appena sveglia necessito di un buon cappuccino, altrimenti avrei le sembianze di uno zombie per tutto l’arco della giornata. E non posso permettermelo. Non oggi.
«Cosa avevi intenzione di fare, comunque?» chiedo.
«Non saprei» sospira. «Avevo pensato di andare a pranzo fuori, ne ho parlato già con Jensen e lui ha detto che non ha problemi nel restare a casa per un giorno».
«Andiamo a La parolaccia?» domando improvvisamente, ricordando le innumerevoli volte in cui abbiamo mangiato in quel ristorante.
Noto una scintilla nei suoi occhi. «Mi hai letto nel pensiero».
Finisco di vedere il cappuccino velocemente. «Perfetto, corro a prepararmi e usciamo, poi andiamo al ristornate. Sarà una bella giornata».
«Già» afferma. «E stasera avrò il mio Addio al celibato».
«Sarà una giornata indimenticabile, insomma» riassumo, sorridendogli per poi scomparire in bagno e fare una doccia veloce.


Spazio autrice:
Rieccomi appena dopo quattro giorni.
Questo non è l'ultimo capitolo, bensì il penultimo.
L'ultimo (quante volte lo sto scrivendo?) è in fase di scrittura e sarà terminato a breve.
Spero vi piaccia, a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Venticinquesimo capitolo. ***


Venticinquesimo capitolo

Il giorno tanto atteso è alle porte.
Non riesco ancora a concepire il fatto che tra poco il mio Josè, il mio migliore amico da sempre, sarà sposato con Camilla ed inizierà un nuovo capitolo della propria vita. Dentro di me la felicità e la malinconia si prendono a pugni, ma cosa potrei fare se non accettare che Josè sia un uomo adulto e pronto per il matrimonio?
Jensen, seduto accanto a me sulla panca laccata di marrone della chiesa di S. Alessio All’Aventino, ha dipinta sul volto un’espressione tranquilla. Lo invidio, perché al suo contrario io sono agitata e di conseguenza non faccio altro che mordere il labbro. «Il matrimonio non inizierà prima di mezz’ora, ti va di uscire un po’?» sussurra al mio orecchio.
Annuisco. Lo prendo per mano e lo porto in un bellissimo giardino, affiancato da un grazioso balcone che da sulla vista della cupola di San Pietro e, sporgendosi in avanti, si può scorgere il Tevere. «Va meglio?» mi domanda.
«Un po’ meglio» avverto la tensione lasciare lentamente il mio corpo. «Per me è difficile affrontare tutto questo».
«Lo immagino».
«Ne dubito» una risata amara esce dalla mia bocca. «Mi sembra appena ieri che io e Josè andavamo a scuola e passavamo le giornate intere sul divano di casa ma a guardare un film dopo l’altro. Solo adesso noto come sia passato in fretta il tempo».
Jensen sospira, circondami poi con le sue braccia e trasmettendomi tutto l’amore necessario. Prima di lui, mi sembrava stupido il detto “A volte gli abbracci valgono più di mille parole”, probabilmente perché non avevo mai ricevuto questo tipo di abbracci. Solo con lui ho provato alcune emozioni che, mai e poi mai, avrei pensato di provare.
«Che hai intenzione di fare dopo il matrimonio?» prende parola dopo pochi minuti, che a me sembrano ore.    
«Non lo so» rispondo sinceramente. «Voglio stare con te, questo è tutto quello che so. Ma non so che fare».
«Vieni con me» mormora al mio orecchio. «Ti prego. Torneremo ogni volta che vorrai, te lo prometto».
«Io…»
Jensen mi interrompe. «So che è un enorme sacrificio questo, me ne rendo conto. So anche che sembra che io mi comporti da egoista, e probabilmente è così, ma non posso vivere senza di te. Non più». Prende un bel respiro. «Da quando ti ho conosciuta è cambiato tutto, hai messo sottosopra la mia vita e, credimi, tutto questo mi piace. Prima di te non avevo mai provato alcune delle sensazioni che provo con te».
Lo stesso vale per me, vorrei dirgli, ma le parole mi muoiono in gola.
«Perciò, ti prego, vieni con me. Ti renderò felice sempre e ammetterò sempre i miei sbagli, sai quanto mi costa ma, per te, lo farei. Sempre e per sempre». Sottolinea le ultime parole, facendomi rabbrividire.
«Per sempre?» mormoro.
«Per sempre» ripete, alzando gli angoli della bocca. «Finché mi vorrai, sarò tuo».
«Ti vorrò sempre, J» accarezzo dolcemente la sua guancia, contornando il profilo della sua perfetta mascella per poi finire a poggiare un dito sulle sue labbra. Lo bacia appena, facendomi ridere. «E per sempre» aggiungo.
Mi sorride dolcemente. Le campane della chiesa iniziano a suonare, quindi ci precipitiamo entrambi nella chiesa e prendiamo di nuovo posto. Facciamo appena in tempo, che Camilla fa il suo ingresso sulla lunga navata, gli occhi lucidi e la solita bellezza. L’abito è favoloso, il corpetto stretto le valorizza le curve e la gonna più gonfia crea un magnifico effetto. La semplice acconciatura e il semplice trucco rendono il tutto perfetto. Mentre cammina posso notare la sua felicità e quella di Josè, il quale è accanto all’altare in un semplice smoking nero, e sembra l’uomo più contento del pianeta.
Il mio cuore scoppia di felicità. «Lei è favolosa» sussurro a Jensen.
«Concordo con te» appoggia il mio parere, stringendomi con una mano il fianco.
Camilla raggiunge l’altare e prende posto accanto a Josè. Il prete inizia la cerimonia, facendoci accomodare tutti.

Non appena la cerimonia giunge al termine, iniziamo tutti ad uscire dalla chiesa. La parte delle promesse è stata favolosa e piena di sincerità. Camilla ha letto le sue parole senza tanti problemi (a parte il fatto che piangeva come una fontana), e si scorgeva lontano un chilometro di quanto fosse felice nel pronunciarle. Non nego, però, che ho passato la maggior parte ad asciugare lacrime solitarie dalle mie guance.
«Quindi» Jensen mi sorride dolcemente «è fatta».
«Già» sorrido.
Una ragazza, la sorella di Josè, ci viene incontro e ci porge due coni di carta con all’interno del riso da tirare agli sposi. «Rachel, come stai?» mi chiede, gli occhi ancora lucidi e lo stesso sorriso di Josè stampato sulle labbra.
Le sorrido. «Sto bene, Ambra» la stringo in un abbraccio. «Non ci vediamo da parecchio tempo ormai» constato.
«Da troppo tempo» sottolinea malinconicamente. «Dovremmo vederci più spesso, sai? Un giorno di questi, se ne hai voglia, potremmo andare a fare shopping».
«Con piacere» accetto il suo invito. «Lui è il mio ragazzo, comunque. Jensen lei è Ambra, la sorella maggiore di Josè».
Jensen le porge la mano e noto Ambra sbiancare. «Quel Jensen?»
Annuisce, ridendo. «Esatto. Fammi indovinare, anche tu segui Supernatural come tuo fratello?»
«Da prima anche!» esclama, sorridendo per poi stringergli la mano.
«Ci avrei scommesso».
Rido. «Be’, chiunque abbia mai frequentato me e Josè ormai guarda Supernatural» mi rivolgo a Jensen. «Diciamo che abbiamo influenzato chiunque ci abbia mai rivolto parola».
«Non mente» Ambra ride insieme a me. «Adesso scusatemi, ma devo finire di consegnare questi coni. Ci vediamo più tardi».
Entrambi annuiamo e la vediamo allontanarsi.
«Non sapevo che Josè avesse una sorella» dice qualche istante più tardi.
«Credo sia tornata da poco» mormoro. «Abita in Francia con il marito e i figli. Probabilmente rimarrà qualche giorno e poi se ne andrà di nuovo».
«Wow» sussurra Jensen. «Deve essere bello abitare in Francia».
«Già» sorrido. «Una volta sono andata a trovarli, siamo rimasti con Josè almeno per due settimane, ed è stato fantastico».
«Io ci sono stato solo una volta».
«Dovremmo riandarci» ridacchio.
Jensen sfoggia un sorrisetto furbo. «Ovviamente».
Qualcuno tra la folla a me sconosciuto, urla che gli sposi stanno per uscire dalla chiesa, quindi ci posizioniamo tutti ai lati dell’uscita ed attendiamo. Non appena mettono piede fuori, vengono ricoperti di chicchi di riso.
«Credo che a Josè sia entrato negli occhi un chicco» rido quasi allo sfinimento nel vedere l’espressione buffa del mio amico. «Guardalo».
Jensen mi segue. «Poverino».
Ovviamente, arriva la parte della fotografia. L’ho sempre reputata una noia mortale, dover attendere persino ore per fare una foto. Stranamente, io e Jensen siamo tra i primi a farla e, non appena mi avvino a loro, li abbraccio entrambi.
«Sono felicissima per voi» sorrido. «E siete bellissimi. Specialmente Camilla».
Josè alza gli occhi al cielo. «Come sei gentile, Rach».
«Stai zitto e sorridi» gli do uno schiaffo sul dietro della testa e ci mettiamo in posizione. Un sorriso spontaneo e sincero compare sulle mie labbra e, per la prima volta, sono convinta che la foto sia venuta bene. Che io sia venuta  bene.
«Mi dispiace, ma adesso dovete allontanarvi» Josè tira fuori la lingua. «Ci vediamo più tardi, okay?»
Annuisco, sorridendo. «A dopo».
Mentre attendiamo che il resto degli invitati faccia la foto insieme agli sposi, io e Jensen andiamo a sederci su un muretto vicino la chiesa. Non ci allontaniamo troppo perché, con la fortuna che abbiamo entrambi, non ci accorgeremmo neanche quando iniziano ad andarsene tutti per raggiungere il ristorante.
«Ultimamente stavo pensando ad una cosa» Jensen prende le mie mani tra le sue. «In parte l’abbiamo già decisa insieme senza accorgercene, in realtà».
«Di cosa si tratta?» curiosa, aspetto con ansia che me ne parli.
«Noi due è come se vivessimo insieme, giusto?»
Annuisco, non capendo dove voglia arrivare. «Be’, tecnicamente si».
«Ecco. Stavo pensando che, se verrai insieme a me in America, potremmo comprare una casa tutta nostra. Inizialmente avevo pensato di trasferirci nella mia villa, però credo che ti farebbe più piacere scegliere una casa e arredarla come vuoi». Quando termina di parlare, io resto a bocca aperta.
Ha davvero proposto di andare a vivere ufficialmente insieme? «Dici sul serio?» mormoro, incredula.
«Si».
«Oddio».
«Questo è un si?»
Mi siedo sulle sue gambe e gli circondo il collo con le mie braccia. Non potrei essere più felice. «Mi avevi convinta a “ultimamente stavo pensando ad una cosa”».
Jensen ridacchia. «Ho già visto delle case molte belle, su internet. Ce ne sono di tutti i tipi, appartamenti, ville…»
Lo interrompo, mettendogli una mano sulla bocca. «Non farmi cambiare idea, ti prego. Non appena torniamo in America sceglieremo, te lo prometto».
«Hai ragione» mi sorride dolcemente, scostandomi poi dal viso una ciocca di capelli. «Sono felice che tu abbia accettato».
«Ed io che tu me l’abbia proposto».
«Pensavo che non avresti approvato perché non ci conosciamo da molto. Le persone normali vanno a vivere insieme almeno dopo due anni o persino dopo il matrimonio» mormora malinconicamente.
«Noi siamo dei folli, lo sai questo, vero?» gli accarezzo il viso. «Ci saranno litigi su litigi, lo so già, ma il nostro amore è più forte di tutti i problemi che ci si presenteranno davanti».
«Già» conferma le mie parole. «E dove ti piacerebbe vivere? A Vancouver?»
«Io avevo pensato a Los Angeles» ammetto, «ma Vancouver non è male, anzi. Per me va bene ovunque, scegli tu».
«No» scuote la testa, deciso. «Voglio che sia tu a scegliere, Rach. Mi sembra già tanto che verrai con me in America. Il minimo è che scegli la città».
«Vada per Vancouver».
«Sei sicura?»
«Si» annuisco e sono sincera. «E poi adoro il Canada, quindi sono più che sicura di voler andare a vivere lì».

«Quindi andranno a Miami in viaggio di nozze?» la nonna di Josè, che siede accanto a me e Jensen, sembra non approvare la scelta del luogo. «Io avrei optato per Parigi, la città dell’amore. Tu cosa ne pensi, cara?»
Non credo che si ricordi di me, ma ci non bado molto. «Miami è okay, credo. Parigi è Parigi, è perfetta per un viaggio di nozze».
«Voi dove siete andati per festeggiare il matrimonio?» mi chiede qualche istante più tardi, facendomi strozzare col vino che stavo bevendo.
Jensen mi da dei colpetti sulla schiena, ridacchiando. «Non siamo sposati, non ancora almeno» risponde per me.
Non ancora? «Come dice lui» rido per la mia reazione alla domanda.
Continuiamo a conversare con la nonna di Josè per un bel po’, finché non notiamo che la maggior parte degli invitati inizia a salutare gli sposi. Io e Jensen, dopo aver salutata la nonna, decidiamo di avvicinarsi per dirgli che stiamo per andarcene anche noi.
«Hey, ragazzi, state andando via?» Camilla sembra delusa.
Annuiamo. «Sono stanchissima e questi tacchi mi stanno massacrando i piedi» rido.
Josè e Jensen si allontanano da noi.
Camilla comprende. «Non dirlo a me. Non vedo l’ora di poterle togliere» ride anche lei. «Comunque, devo darti la bomboniera».
Sorrido. «Uh, l’avevo quasi dimenticato! Cosa hai scelto?»
Mi porge una cornice, ornata in modo grazioso, sul tono del beige. All’interno, è presente la foto che ritrae me, lei, Josè e Jensen. È quella che abbiamo fatto appena dopo la cerimonia. Non mi sbagliavo, è venuta veramente bene.
«Ti piace?»
«Da morire. Ora capisco perché siamo stati tra i primi a fare la foto» le sorrido, abbracciandola forte. «Grazie di tutto, è stato fantastico».
«Grazie a voi» sciogliamo l’abbraccio. «Specialmente per l’enorme televisione che ci avete regalato».
«Non è niente» mi stringo nelle spalle, ricordando i continui litigi avuti con Jensen sul fatto di chi dovesse pagare la televisione. Alla fine, abbiamo fatto a metà.
«Non appena torniamo dal viaggio di nozze organizziamo una cena» afferma. «Ci stai, Rachel?»
«Non direi mai di no» sorrido dolcemente.
Josè mi appare accanto e, senza dire nulla, mi abbraccia. Trattengo delle lacrime che minacciano di scendere. «Il mio Josè» sussurro.
«Non piangere» scoglie l’abbraccio, ma tiene comunque le mani sulle mie spalle. «Mi prometti di fare la brava mentre non ci siamo? E chiamami per qualunque cosa. Non esitare, sai che ci sono sempre».
«Certo» alcune lacrime scendono sulle mie guance, ma le elimino subito. «E voi state attenti, ma divertitevi» mi rivolgo anche a Camilla.
Li abbraccio di nuovo e lo stesso Jensen poi usciamo dal ristorante. Quello che ci vuole dopo una giornata del genere è un bagno caldo, preferibilmente con il mio ragazzo e coccole, tante coccole.

«Come ti senti?» Jensen avvolge il mio corpo tra il suo ed io, rilassandomi, poggio la testa sul suo petto. Come avevo programmato, abbiamo riempito la vasca da bagno fino all’orlo e ci siamo immersi.
«In pace» mormoro, soffiando verso la schiuma che minaccia di entrambi in bocca. «Sono stata tutta la giornata tesa e un bel bagno ci vuole proprio» sospiro. «Tu come ti senti?»
«Non potrei stare meglio» sussurra al mio orecchio. «Stanotte ho sognato il nostro primo incontro, a proposito».
«Davvero?» sorpresa, mi volto verso di lui, facendo incastonare i nostri fianchi come nei diamanti. Combaciano alla perfezione. «Com’ero imbranata» mi derido. «Ti ho anche chiesto di salire qui, ricordi?»
«Certo» ride. «Ho dovuto rifiutare per non sembrare un maniaco, ma sarei salito volentieri. Ti ho pensata tutta la notte, sembravi così dolce e innocente, non una ragazza che si approfitta delle persone».
Gli lascio un bacio delicato sulle labbra. «Mi approfitterei volentieri di te, adesso» ridacchio,facendo pressione col bacino.
«Ora sembri tu la maniaca» ridacchia, attirandomi a sé per baciarmi. Non è un bacio passionale, lento, ma pieno di desiderio.
Quando ci stacchiamo, sembrano passate ore. Con lui un attimo sembra un’eternità, è questo che adoro di più: il fatto che il tempo sembri fermarsi quando stiamo insieme. «Ti piace l’idea del matrimonio?» chiede tutt’un tratto.
Boccheggio per qualche istante. «Cosa?»
«Sei pro il matrimonio?» chiede di nuovo, ridendo per il mio improvviso cambio d’umore. Cosa pretende?
«Be’» mi schiarisco la voce «si, credo di si. Perché?»
«Questa è un’altra cosa a cui stavo pensando insieme al fatto del vivere insieme» dice, l’espressione seria. «Tu sposeresti mai qualcuno che conosci da così poco? Faresti questa pazzia? Coglieresti l’attimo?»
Mi sento quasi svenire. Sta davvero arrivando a quello che penso io? «Mi stai chiedendo di sposarti, Jensen?»
«Non so che cosa sto facendo» mormora. «Voglio passare il resto dei miei giorni con te, averti sempre accanto e avere la certezza di essere legato a te per sempre. Quindi, si, credo di si».
Resto in silenzio, non sapendo che cosa dire.
«Mi vuoi sposare, Rachel? Mi faresti questo straordinario onore di diventare mia moglie e vivere il resto della tua vita con me?» i suoi occhi lampeggiano di speranza.
In un attimo mi passano davanti tutti i momenti che abbiamo passato insieme. Dal nostro primo incontro a oggi, i nostri litigi, i pianti, le risate e la felicità. Se non fosse stato per lui non avrei mai provato tutto questo, non mi sarei mai innamorata così follemente di una persona fino a reputarla la mia vita. Lo osservo e vedo la mia felicità, il mio presente e il futuro. Sorrido, baciandolo dolcemente per poi tornare a guardarlo. «Si».

 
Spazio autrice
Questa storia, la mia adorata storia, è davvero giunta al termine?
Non riesco a capacitarmene, davvero. Sembra ieri che io l'abbia iniziata a scrivere e guardate qua, è terminata.
Senza di voi, senza ognuno di voi, che mi è stato "accanto" durante lo svolgimento della storia non sarebbe stato possibile. Quindi,
GRAZIE, GRAZIE DI TUTTE LE BELLISSIME PAROLE E IL TEMPO SPESO PER LEGGERE LA MIA STORIA.
Spero che qualcuno di voi continui a seguirmi e, se volete che venga a leggere le vostre di storie, basta chiedere e passerò.
Un bacio a tutti e grazie ancora!
VI ADORO! ♥

In particolare, devo un GRAZIE immenso a GabrielleWinchester.
Grazie di cuore per tutte le meravigliosi recensioni e l'appoggio. Mi sei stata di grande aiuto e spero che continuerai a seguire le mie storie. Io, di sicuro, continuerò a farlo. Stanne certa.
Quindi, grazie ancora.


Diemmeci



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1492036