Second Life

di lucilla_bella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In the Past ***
Capitolo 2: *** Parole, Parole, Parole... ***
Capitolo 3: *** Rise To Fame ***
Capitolo 4: *** Give It To Me ***
Capitolo 5: *** In-God-We-Trust ***
Capitolo 6: *** Honey Honey ***



Capitolo 1
*** In the Past ***


ff sendoh

ALLORA!! Inizio con il dire che non dovrei pubblicare l’ennesima storia che la mia mente non ha ancora deciso come cazzo far finire, ma è più forte di me! Quindi....

Sono legatissima a qst ff perché è interamente e completamente autobiografica (ovviamente i personaggi non sono quelli di Inoue    -______________-. Per lo stesso motivo, ovvio che non è yaoi! E’ decisamente meno spinta di Red Rose ma è una parte della mia vita... quindi trattatemela bene ^__________^

Devo poi aggiungere che, in assoluto, le mie ff parlano sempre e solo di Rukawa, ma il personaggio della mia real life è la copia sputata di Sendoh, che non avevo mai usato. Quindi a malincuore ho ripiegato sul povero Akira.

 

Leggete e commentate! (critiche comprese, mi raccomando!)

 

PS- Se notate che alcuni verbi non concordano, è perché prima avevo pensato di scrivere i capitoli introduttivi al presente, poi ho optato per il passato. L’avrò riletta fino alla nausea, ma uno mi scappa sempre... scusate!

 

 

 

Prologo: In the past

 

 

 

Tutto ha un inizio. Nel ricordare quello della mia storia, ancora oggi, non riesco a trattenere un sorriso. I miei sedici anni...

 

 

Due anni prima.

 
 

“AAAAAHH!!” L’urlo da donna partoriente mi fece sobbalzare, e quasi mi lasciai sfuggire dalle mani la sigaretta appena accesa. Yukina, mia compagna di classe, stringeva tra le mani il cellulare mentre saltellava eccitata da una parte all’altra del piccolo campetto, rossa in viso e con le lacrime agli occhi.

 
“Ma che cazzo ha?” Chiesi lievemente infastidita alla sua migliore amica, Minako.

 
“Sendoh le ha risposto al messaggio...” Mi disse, continuando a fissare incredula l’amica, che dai salti era passata agli zompi veri e propri.

 
“Ah!” Sbottai solamente, riprendendo tranquilla a fumare.

 

Io, Yukina e Minako avevamo approfittato di due comodissime ore buche per farci un giro fuori scuola. Nello specifico, posavamo il regale sedere su una panchina in un campetto malconcio pieno di altalene altrettanto prese male.
Era strano che io mi trovassi con loro, in effetti.
Con Minako ero sempre andata d’accordo, mentre Yukina fino a pochi mesi prima mi odiava profondamente per ragioni a dir poco stupide. Le cose erano migliorate però, e parlavamo normalmente, anche se, comunque, ero molto reticente nei suoi confronti.
Era quasi Dicembre, eppure non faceva ancora così tanto freddo, tanto che i nostri giubbotti erano accatastati ai piedi di uno scivolo, buttati in un angolo senza decenza.

 
Yukina arrivò di corsa da noi, e in piena crisi isterica, ci abbracciò tutte e due, piangendo. “Porca miseria, ma cosa ti ha scritto?” Sibilai cercando di sottrarmi all’abbraccio.

 
Ancora agonizzante, passò il telefonino a Minako, mentre io mi avvicinavo per sbirciare. -Ciao! Anche io sto bene, grazie... la partita è andata bene, anche se ero stufo morto e sono arrivato in ritardo, e il capitano mi stava uccidendo... Stasera credo di uscire a bere qualcosa con la squadra, tu che fai?-

 
Rilessi il messaggio, cercando di non ridere. In effetti, capii anche perché Yukina fosse così emozionata... erano due anni oramai che lei gli andava dietro, e più di ciao non si erano mai detti. Tutto ciò comunque era molto triste, dato che non credevo minimamente che lui provasse interesse per lei.

 
Nella nostra scuola (e anche oltre) era a dir poco popolare. Era un bel ragazzo, dal sorriso micidiale, con un carattere cordiale che solare e riusciva ad accaparrarsi le simpatie di tutti, maschi e femmine, in meno di mezzo secondo.

 
Oltretutto, era fidanzato.
Da un paio di mesi o poco più

 
Io, sinceramente, non ci avevo mai parlato direttamente, ma mi sembra un bravo ragazzo, uno di quei tipi puliti e semplici che piacciono a ragazze meno complicate e contorte di me. Era stato bocciato quest’anno (scusate, esigenze di copione...NdLucilla) e quindi si ritrovava a fare di nuovo il primo anno insieme a noi, e le occasioni per vederlo in giro per i corridoi, in ricreazione e nelle gite erano tantissime, e tutte mettevano a dura prova Yukina, che rosicava nel vederlo chiacchierare tranquillamente con chiunque gli si parasse davanti.

 
“Allora gli rispondi?” Chiesi cercando di calmarla.

 
“Si, si, si!!” Si sedette nello schienale della panchina e cominciò a premere freneticamente i tasti.

 
Minako mi disse che le aveva confidato di essersi innamorata. Per me, questa era una grandissima cazzata. In fondo, non si erano mai parlati. Diceva che le piace il suo carattere aperto, ma non ne ha conferma. Le piaceva la sua simpatia ma non ci ha mai riso e scherzato insieme. Non sapevo proprio cosa pensare.

  

 

                                                                         ***

 

 

Mi fissai attentamente nello specchio del bagno, lindo ed immacolato. Nello zigomo destro, proprio sotto l’occhio, una vistosa chiazza nera spadroneggiava, ricordino nell’anta del frigo. Il destino voleva mettermi a dieta.
Nonostante i litri di fondotinta, ancora era perfettamente visibile, anzi, mi sembrava anche un po’ più violacea... bastarda, si stava prendendo gioco di me.
Mi rassegnai ed uscii dal bagno ciabattando, senza nessuna voglia di andare in classe. Pensai che avrei potuto andare a prendermi qualcosa alle macchinette, magari un tè. Poi, avrei finto un calo di zuccheri e mi sarei fatta una sana dormitina in infermeria, cercando di non pensare a niente.
Raggiunsi l’area ristoro (che nome di merda) e aspettai il mio turno pacificamente. Prima di me, intento a contare i centesimi, vi era un ragazzo altissimo, dalla pettinatura inconfondibile.

 
Akira Sendoh.

 
Però... da così vicino era veramente uno schianto. Aveva un fisico assurdo, e, cosa più importante, un culo da favola. E se avessi fatto finta di inciampare e gli avessi mollato una bella palpata? Che male ci sarebbe stato?

 
“Scusa...” Il ragazzo si girò, tendendomi la mano aperta ricoperta di spiccioli e grattandosi un po’ imbarazzato la nuca. “Non è che me li potresti cambiare in pezzi da 10 e da 20? Perché la macchinetta non accetta i 5 centesimi...”

 
“Come non accetta i 5 centesimi?” Chiesi sbigottita, più dal fatto che mi avesse parlato che altro. Oltretutto era impossibile, visto che io, praticamente, usavo quei distributori infernali come discarica di pezzi da 1 e da 2. “Fa un po’ vedere...” Raccolsi dalla sua mano una monetina a caso, e la fissai perplessa. “Ehm... questi non sono Yen...”

 
“Che?” Si affrettò a controllare meglio, prima di scoppiare a ridere. “Non ci posso credere, è vero! Sono i centesimi americani di mio papà!” Li rimise in tasca ancora sorridendo. “Che stupido che sono... “

 
Risi anche io, come contagiata. “Ma va, può succedere...” In realtà, non conoscevo nessuno a cui fosse capitata una cosa del genere.

 
“E vabbé, per oggi niente caffè. Grazie lo stesso... Ciao!” Prese e trotterellò allegramente via.

 
“Ehi!” Lo chiamai. “Ma non prendi niente?” Rimasi esterrefatta da quello che avevo appena detto.

 
Si bloccò e si voltò a guardarmi. “Sai, veramente...” Di nuovo imbarazzato si tormentò le mani “Io non ho altri soldi...”

 
Mi strinsi nelle spalle candidamente. “E che problemi ci sono? Te lo offro io, se vuoi...” Infilai rapida le monetine nella fessura e spinsi, a caso, il pulsante del caffè. -Vabbé, per oggi si berrà  l’espresso ristretto.-

 
“Cosa?! Ma no, non serve...”

 
“Guarda che ho già schiacciato...” Risposi semplicemente “E io non ho nessunissima voglia di bere caffè... quindi...” Sogghignai divertita.

 
Di nuovo rise, questa volta più profondamente. Tornò indietro e si posizionò accanto a me, dandomi una leggere pacca sulla spalla. “Grazie mille... Ti offrirò qualcosa io la prossima volta...”

 
“Non ci sono problemi, tranquillo” Estrassi il suo caffè e glielo porsi. Ero insolitamente gentile, quel giorno. Schiacciai ancora e selezionai un te caldo al limone.

 
“Allora...” Cominciò, soffiando leggero per raffreddare la bevanda. “Tu non sei Miyu?”

 
“Si, sono io...” Confermai, non chiedendo neanche come diavolo facesse a conoscermi. Come lui, anche io ero abbastanza popolare, ma per ben altri motivi.

Tutti, a scuola, in giro e alle volte perfino a casa, credevano che fossi una delinquente.
Una di quelle che va in giro a picchiare la gente per rubagli i soldi, che frega motorini, telefonini, portafogli, borse a chiunque, una che spaccia addirittura ai bambini pur di guadagnare e, soprattutto, una, per così dire, ‘facile’.

 
‘na zoccola.
 In realtà le cose non stavano proprio così. Ma a nessuno sembrava importare molto.

 
“E sei in classe con Yukina?” Domandò ancora.

 
“Si...” Ritirai anche il mio te bollente e mi ficcai in bocca il cucchiaino. “Senti... lo so che non sono cazzi miei ma...” Tentennai. Non sapevo neppure cosa stavo facendo, ma le parole mi uscirono di bocca prima che io potessi collegare il cervello alla lingua. “Non ti piace neanche un po’? Credo che sia addirittura innamorata di te...”

 
Lo sentii strozzarsi con il caffè appena bevuto, e si piegò in avanti per non sputare il tutto sulla camicia della divisa. “Vedi...” Cercò di dire con voce ancora impastata “Non credo proprio che sia innamorata di me. In fondo, non si siamo mai parlati. Ha detto che le piace il mio carattere aperto, ma non ne ha conferma. Le piace la mia simpatia ma non ci ho mai riso e scherzato insieme...”

 
Rimasi letteralmente paralizzata. Aveva detto parola per parola quello che stavo pensando giusto alcuni giorni prima, al parco. Più che stupita ero completamente scioccata, ma cercai di calmarmi. “Sono d’accordo ma...”

 
“E io non so che fare, sai? Io lo so che mi viene dietro, e cerco sempre di essere gentile, carino, per non ferirla. Ma se non ti piace una persona, che puoi fare? Oltre al fatto che sono fidanzato”. Riprese a bere con calma.

 
E io, allibita, non potei fare altro che rimanere immobile, con la bocca semi aperta, constatando che ragazzo d’oro fosse. Chi altro si preoccuperebbe così per una che non conosce? Nessuno, è la risposta. Nessuno tranne Akira Sendoh.
“Hai ragione” Ammisi infine. “Scusa, comunque non erano proprio cazzi miei.” In verità, adoravo ficcare il naso.

 
“Ma va, figurati, non hai fatto niente di male...” Buttò giù tutto in un sorso il rimanente caffè e con un tiro perfetto butta via il bicchierino di plastica marrone diarrea. Poi estrasse un telefonino di ultima generazione e in tre secondi me lo sbatté davanti alla faccia. “E’ questo il tuo numero?”

 
Lessi. “Si, è questo” Di nuovo non gli chiesi come facesse ad averlo. C’era scritto in tutti i bagni, nei banchi, nelle corriere, nei treni e perfino in stazione.

 
“Bene...” Si posò il cellulare all’orecchio per un attimo, poi lo ripose. Nello stesso istante, il mio telefonino vibrò. “Questo è il mio numero... Grazie per il caffè Miyu, veramente... Ciao!”

 
E corse via.

 

 

 

Più tardi, mentre mi stavo per addormentare sul lettino immacolato dell’infermeria, ripensai al tutto con un sorriso. Yukina non sapeva veramente cosa ci perdeva, nel non parlargli. Era un piacere scambiare anche solo poche parole con quel ragazzo.

Primo: faceva di tutto per farti sentire a tuo agio.

Secondo: chiacchierare con lui era la cosa più facile di questo mondo.

Terzo: era di sicuro un gran bel vedere.

 

 

Quarto: io il suo numero ce l’avevo già da un bel po’...

 

 

 

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Capitolo 2
*** Parole, Parole, Parole... ***


ff sendoh 2

E di nuovo sono quiiii!!

Devo dire che ho alcuni capitoli già scritti, così finché non ritorna l’ispirazione posso postare lo stesso.... -_____-‘ si spera...

Un grazie graaaande graaande graaaaaande a Gloglo (assurdo, commenti sempre! Prima o poi ti farò una statua, te lo giuro^^ E se ti piace Miyu ti piaccio io!!!)  e a Fairy88 x i commenti, che nn credevo di ricevere essendo solo un primo capitolo, che era anche un po’  misero...

 

Leggete e fatemi sapere ke ne pensate!!

 

PS. Il problema dei verbi c’è ancora ^^

 

 

 

Capitolo Uno: Parole, parole, parole...

 

 

“Da quant’è che vi scrivete, quindi?” Hisashi, mio migliore amico nonché mio animaletto da compagnia preferito, me lo chiese mentre si infilava i calzini.

 
“Tre settimane. E per fortuna c’è la promozione degli sms gratis, sotto Natale, sennò qui ci spendevo una follia...” Mi stiracchiai lentamente, buttata nel suo letto in una posa molto poco femminile ma molto comoda.

 
“Brava.” Sbottò ironico “E la sua ragazza non dice niente?” Si distese accanto a me, guardandomi sarcastico.

 
“Si vedono poco ultimamente.” Risposi, ignorando il tono e gli sguardi “Sai che ho chiesto pure a lui di farmi il regalo di Natale?” Lo sentii sorridere. Era un mio vizio chiedere regali a tutti quanti.

 
“Guarda che devi ricambiare...” Sogghignò, alludendo al mio essere tirchia.

 
“Certo che ricambio, ho deciso di comprargli i boxer della Calvin Klein...”

 
“CHE? GUARDA CHE STRONZA CHE SEI, A ME REGALI SOLO CAZZATE DA POCHI YEN E A LUI...” Sbraitò rosso in viso. “Sei veramente una stronza, Miyu...”

 
Chiusi gli occhi e non riuscii a fare a meno di assumere una posa da guru. “I regali si fanno con il cuore Hicchan...” Gli dissi con voce mistica. “E il mio cuore innocente suggerisce che regalargli un paio di boxer firmati sia la via giusta da seguire...”

 
“Innocente uno stra cazzo...” Irritato mi voltò la schiena. “Sta a vedere che lui ti regala dei perizoma...” Si rigirò verso di me e sbiancò “Oh Miyu ti prego, dimmi che non te li regala veramente...” Mi implorò.

 
“Hicchan!” Urlai senza motivo, dandogli una cuscinata sullo stomaco “Ma che cazzo dovevo chiedergli?” Tentai di giustificarmi.

 
“Ma ti sembra normale?! Tutti quanti chiedono pupazzi, porta foto, braccialetti, cazzate così... e tu gli domandi un perizoma?!”

 

 
Quella volta pensai che si fosse incazzato sul serio.
Era molto protettivo verso di me, mi aveva preso come sorellina minore da viziare e su cui vegliare pazientemente e, aggiungerei, manescamente, visto la fine che faceva fare a chiunque dei miei “pretendenti” non gli piacesse.

Ossia tutti.

 
Credo addirittura che non mi considerasse neppure una ragazza, quanto una specie di peluche.
Forse gli facevo pena... avevo moltissima gente contro, al primo sguardo era difficile che risultassi simpatica, avevo una reputazione da ladra, troia e drogata e la maggior parte delle ragazze della mia età mi evitava come la peste.
Da bravo avvocato delle cause perse veniva in mio soccorso sia quanto ne avevo davvero bisogno sia quando non gli chiedevo assolutamente nulla, come in quel momento.
“Che stupido che sei...” Sbottai, e per ripicca mi accessi una sigaretta. Solo per dargli fastidio. Lui era uno sportivo, certo. Come prima era un rissoso delinquente del cazzo.

 

Me la stavo prendendo troppo con Hisashi, ma era tutto un’insieme di cose.

 
 

Rei, la mia migliore amica, la mia anima gemella, la mia fedele compagna di bisboccia, era da 3 settimane che mi ripeteva le stesse cose... mi sembrava quasi di sentirla....   
"Miyu! E’ fi-dan-za-to!! Io ti conosco Miyu, lo sai come vanno a finire le cose con te!” Poi però, ricordandosi che piaceva anche a Yukina, che non sopportava da una vita “Però una ciavata e basta non fa male, sai Miyu?”

Per non parlare di Karin, la ragazza che completava il nostro micidiale trio. “Oh Miyu ma pinciatelo, che cazzo te ne sbatte! E’ stra figo!!” Poi scoppiava a ridere “Che stronzo però che è, quando volevo provarci io mi ha detto che era fidanzato e che non gli faceva le corna!!!”

Tutti sembravano ignorare che, semplicemente, potevamo essere amici. Nei nostri messaggi parlavamo di come ci andavano le cose durante il giorno, di quello che facevamo e non facevamo, dei nostri programmi per le serate successive e di amici comuni... niente di sconcio, di porcio, di hard o di spinto.

 

Ma era tutto così strano... mi trovavo così bene con quel ragazzo...
Non mi era mai successa in vita mia una cosa del genere.
Aprire la bocca e parlare, parlare e ancora parlare, senza un attimo di silenzio o di imbarazzo, senza mai esaurire gli argomenti, ridendo di gusto per ogni più piccola cazzata...
Lui era un ragazzo così buono... un sorriso caldo sempre stampato in viso e buonumore costante.
Non gli stava antipatico nessuno e a nessuno stava antipatico lui.
Non litigava, non era mai in mezzo a risse, non era un gasato né un idiota...

 
 

Dulcis in fundo... Yukina.
Certo.

Era inevitabile.

Ci vedeva mentre parliamo tra una lezione e l’altra, ci sentiva ridere e scherzare e, rubandomi il cellulare, aveva letto tutti i nostri sms. Ogni volta che, nel bel mezzo della lezione, Akira mi chiedeva di uscire in corridoio per chiacchierare, lei, con una scusa, mi seguiva e ci spiava.

Pazzesco.

Mi ero subito affrettata a spiegarle che eravamo solo amici, amici e niente più, e pareva aver capito.
Lo speravo almeno. Ci sarebbero mancate solo le piazzate di gelosia.

 

 

 

 

 

Camminavo sottobraccio ad Karin, mentre parlava al telefono insultando pesantemente il suo ragazzo, il malcapitato di turno. Era sempre così...

Un povero Cristo la vedeva, si innamorava della sua straordinaria bellezza, si conoscevano, lei lo sodomizzava, lo lasciava per un altro, lasciava anche l’altro e tornava con il poraccio di prima che, facendosi furbo, la trattava come lei prima trattava lui. E avanti così.

Ma ora eravamo in una delle fasi iniziali. E quel giorno sembrava particolarmente cattiva.

 

“Non me ne frega un cazzo, hai capito? Vammi a prendere la cintura della Richmond o non farti più vedere, sai? Te lo giuro, quando ti vedo ti sputo in faccia merda, che cazzo ci sto a fare io con uno come te, poi?” Buttò con rabbia la sigaretta a terra e riprese il suo sproloquio “Stasera vieni e me la porti, o cancella pure il mio numero, sfigato. E’ l’ultima possibilità”. Riattaccò.

 Ormai non le dicevo manco più niente. In fondo, almeno lei all’inizio si faceva valere. Io ero, e sono, profondamente masochista.

“Merda Karin, sotto Natale costa tutto il triplo del solito... E non sono neanche più così tanto sicura dei boxer...”

 
Ancora scocciata mi rispose con un grugnito. Adocchiò un dolcevita nero in una vetrina e me lo indicò incuriosita “Quello non è lo stesso che ha quella in classe tua che sbava dietro a Sendoh?”

 
Lo osservai e annuii, abituata a non essere ascoltata da quella tipa egocentrica e perfida “Sii, Yukina.”

 
“Quanto mi sta in culo quella... non la posso vedere...” Riprese a camminare spedita verso la nostra meta, un enorme negozio d’abbigliamento in cui vendevano di tutto e di più. “Non ci posso credere che sia la sorella di Hiroyuki... Lui è troppo fuori di testa...”

 
Si, fuori in tutti i sensi. Era un buon ragazzo in fin dei conti, ma era un drogato di prima categoria. Ogni sabato sera ci riforniva di tutto il ‘necessario’... e naturalmente la sorella non sapeva niente. “Già, sono gli opposti. Ma non è male come ragazza se la conosci un po’”.

 
“Non mi interessa conoscerla, solo a guardarla mi fa venire i nervi, pensa se mi tocca pure parlarle scusa...” Inchiodò di colpo, dandomi una gomitata tra le costole. “Ma non sono quelli?”

 
Mi massaggiai lo sterno mentre cercavo di capire di cosa stesse parlando; poi li vidi.
Addosso ad un manichino di plastica trasparente, i boxer bianchi e rossi marchiati cK facevano bella mostra di sé in una vetrina addobbata pesantemente. Mi illuminai d’immenso e appiccicai il naso al vetro, appannandolo.
“SI!” Urlai, spaventando una vecchietta e il suo insulso cagnetto da marsupio. “E non costano neanche così tanto!!”

 

 

 Distesa sul mio letto, sprofondata in mezzo ai cuscini, lessi il messaggio che Akira mi aveva appena mandato. Risi, come sempre felice di sentirlo.
- Ma ciao! Sul serio m hai comprato il regalo oggi? Te l’ho preso anke io, ma ho mandato mia sorella stamattina... Qnd te lo posso dare? Baci... -

 
Sospirai e raccolsi le idee, poi smanettai con la tastiera e in tre secondi gli risposi.
- Ciao! Ke scemo, t vergognavi a comprare tu un perizoma?! Nn ho parole... Beh, oggi è il 22, in teoria si danno il 25... ma io stasera nn ho 1 cazzo da fare! -

 

Poggiai il telefonino sul cuscino e sospirai.

Ero un po’ nervosa.

Non ci eravamo mai visti fuori da scuola se non per caso...

 

E... oddio ma ero agitata!

 

Afferrai al volo un’altra sigaretta e tremando leggermente me l’accesi.
Cristo...
Mi scoprii ad osservare il cellulare ogni tre secondi... perché ci metteva così tanto?

 

Magari non l’aveva ricevuto...

o non avevo campo io...

o non aveva campo lui...

 

Quando infine squillò, poco ci mancò che cedessi per terra.

 
-Beh si, mi vergognavo... stasera ho allenamento, se vuoi passo da te verso le 10 e mezza qnd finisco...-

 
Fissai lo schermo allucinata. “AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHH!!!” Riuscii solo ad urlare.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Rise To Fame ***


who knew sendoh

 

 

Stupidaggine totale.... qst capitolo è stato scritto con “Remember me” dei Placebo.... vi consiglio di fare altrettanto! La musica di questa canzone richiama in tutto e per tutto l’atmosfera di qst parte... Poi magari ditemi!!

Come ogni volta, ringrazio con occhioni luccicosi, mani giunte eccetera, chi ha commentato, in particolare

gloglo (lasciarli parlare , è banale ma è così... non so sinceramente com’è essere discriminati x il modo di vestire, ma lasciali parlare, devono pur far prendere aria al cervello),

  temarisan (OOOOPSSS!! “ciavare” è dialetto, e non me ne sono neanche resa contooooo!! Che gran figura di merda... Significa, in parole povere, trombare)

e il mio pezzo di anima mancante, ossia Re i (per fortuna che il mio nick fa schifo, bastarda!), che amo con tutto il mio fegato e con qualsiasi altra parte del corpo, anche la più schifosa... Ovvio che ho messo il tuo nome, cretina ^^’

 

 

 

P.S. più che ovvio, il problema dei verbi rimane, sono una capra e non li trovo tutti

 

 Capitolo Due: Rise to Fame

 

Mi accesi l’ennesima sigaretta, dolce rovina dei miei martoriati polmoni, mentre osservavo il mio fiato mischiarsi allo sbuffo di nicotina che si stagliava contro il buio della notte.
Seduta a gambe incrociate, in un precario equilibrio, sul muretto del battistrada, aspettavo Akira.
Erano le dieci e cinquanta, era in ritardo di venti minuti.

 Nonostante la canottiera, la maglia a mezze maniche, il maglioncino, il cappotto di montone, la sciarpa di lana fatta a mano dalla nonna, i due paia di calzini, i pantacollant e le calze stavo letteralmente congelando.

 
L’insegna della farmacia mi informò che la temperatura si era ulteriormente abbassata, raggiungendo i 3 gradi.
Mi grattai il naso, rosso, gelido e gocciolante, e pensai a tutta la fatica che avevo fatto per truccarmi. Che cogliona ero stata...
Io che mi truccavo!! Assurdo... Massimo massimo ero arrivata all’eyeliner...

 D’istinto, sollevai la testa seguendo un rumore di passi.

 E non riuscii a non sorridere.

 Ero ad un passo dall’ipotermia, ma vederlo correre verso di me, con il borsone a tracolla che gli ballava di lato, il sorriso onnipresente stampato nel bel viso, illuminato solo dalla fioca luce dei lampioni fu troppo.

  
“Scusa, scusa, scusa, scusa, scusa!!” Quasi mi investì, e la sfilza delle giustificazioni si allungò sempre più.

 Buttai a terra la sigaretta e gli posai un leggero bacio sulla guancia, trovandola inaspettatamente tiepida e liscia. “Ciao Akira...”

 Mi passò piano la mano tra i capelli, mentre il sorriso si allargava. “Andiamo da qualche parte?”

 
“Dipende da che vuoi fare...” Gli risposi pacifica, guardandolo dritto negli occhi, anche se non era facile data la differenza d’altezza.

 
“Beh...” Sfuggì al mio sguardo imbarazzato, grattandosi la nuca. “In un bar forse è meglio non andare, sai...”

 
“Perché?” Chiesi, prima di mordermi la lingua. Avevo un brutto presentimento.

 
Ebbi la conferma di tutti i miei più cupi pensieri ancora prima che aprisse bocca “La mia ragazza sai, non è tanto il caso di farci vedere in giro insieme.”

Ingoiai il magone in un attimo, tornando con un ghigno al mio apparente stato di tranquillità. “Allora più avanti c’è un campetto, per metà è coperto quindi più di tanto freddo non ce n’è, ti va?”

 
“Perfetto!”

 
Afferrai la mia borsa e gli scoccai un’eloquente occhiata. “C’è il tuo regalo qui, Akira...” Scherzai, sventolandogli il tutto sotto il naso.

 
Di rimando, lui batté la mano sulla sua sacca. “E qui c’è il tuo... anzi, i tuoi...” Strizzò un po’ gli occhi; avevo presto imparato che era il suo modo per manifestare un leggero imbarazzo. “Dopo mi fai vedere come ti stanno, vero?”

 
Risi, mentre pensai che non sarebbe stata neanche una cattiva idea. Camminammo lentamente, e lo sentii adeguarsi pian piano al mio passo. Lui era alto, uno sportivo nato, un’atleta, mentre io ero una scansafatiche... oltre ad essere considerevolmente più bassa di lui.

“E’ dietro l’angolo, laggiù... ci sei mai venuto?”

“No, non giro tanto per ‘ste zone...” Biascicò mentre cercava di trattenere uno sbadiglio “Taoka mi ha fatto correre come un disperato, ho le gambe distrutte...”

 
“Oh cazzo, scusa!” Esclamai sorpresa. Non ci avevo minimamente pensato, era appena uscito da 2 ore e mezza di allenamento.

 
“Ma va, non importa!” Ribatté, prima di darmi un leggero schiaffo sulla testa. “Però adesso mi butto su una panchina e ci faccio la muffa, mi riposo stasera...”

 Sbuffai mentre svoltavamo l’angolo, e si pararono dinnanzi a noi gli impianti sportivi del mio quartiere. Campetti da calcio, da basket, da tennis e addirittura una piscina coperta, forniti di spogliatoi, bar funzionante (solo la mattina), internet point e parco giochi per bambini: non osavo immaginare quanto fosse costato.

 
“Però!” Esclamò difatti il mio compagno, colpito. “Enorme sto posto!” Poi osservò l’alta recinzione. “Dobbiamo scavalcare, vero?”

 
Ghignai malefica. “Credevi forse che lo lasciassero aperto pure tutta la notte, Akira? Su su, muoviti.” Lanciai in avanscoperta la borsa, che atterrò aldilà della recinzione metallica, per poi cominciare ad arrampicarmi nell’inferriata.

Non ero agile, ma ero talmente abituata a saltarla che ormai mi riusciva naturale.

Atterrai con un tonfo ammortizzato dalle molle delle mie Shox e sentii atterrare accanto a me la sacca da allenamento di Akira, seguita dall’alta figura del ragazzo. Si guardò intorno per un secondo prima di rivolgermi una strana occhiata.

  

L’intero impianto, di giorno illuminato dal sole, era immerso in una pacifica oscurità, intramezzata qua e là dalla scarsa luce di qualche lampione, che rischiarava piccole aree creando auree rossastre nel cemento o nell’erba e scolorendo solo leggermente i contorni dei vari campi, le panchine e gli scivoli.
La notte era silenziosa, quieta e serena, la luna era quasi piena e delicatamente sfumava i profili di ogni cosa.

Nell’aria vi era il profumo dell’erba fresca, dei sempreverdi, dei pini... e dentro di me si stava scatenando l’inferno.

Ero dannatamente felice. Non mi sentivo né leggera né tranquilla, ma la sensazione che mi avviluppava il petto era contortamente appagante, un dolore struggente che ero contenta di provare, un misto di ansia, agitazione e euforia che mi faceva girare la testa.
Era l’atmosfera del posto, era l’avere Akira accanto, era il piacere perverso del duplice reato che sto commettendo, entrando di notte in una struttura pubblica uscendo con un ragazzo fidanzato. Incrociai il suo sguardo per un attimo, e la tensione che per tutte queste settimane aveva accompagnato i nostri discorsi si fece concreta.

 
Cosa eravamo venuti a fare qui? Perché ci eravamo scritti con tanto accanimento in questo mese? Perché ci eravamo dati appuntamento di notte, perché l’avevo portato qui, perché mi guardava in quel modo, perché ricambiavo i suoi sguardi con tanto sentimento, perché avevo la gola secca, perché ero così felice, perché sentivo questo legame inverosimile tra noi?

Sapevo come sarebbe finita la serata ma facevo finta di niente, così come lui, che come me simulava un indifferenza che il realtà non provava.

Di nuovo, una curiosa sensazione di empatia nei suoi confronti mi spinse a definire con sicurezza tutte le sue emozioni, chiare come se fossero le mie. Una sorta di aurea lo circondava, una nebbia di sensazioni che riuscivo a percepire con facilità, quasi fosse una cosa normale.

Astrattamente lo sapevo.

 

 
“Andiamo lì in fondo, ti va?” Gli indicai il parco giochi, nello specifico una panchina posta al di sotto di una simil-tettoia, riparata dal vento e in parte dal gran freddo della notte, ancora giovane.

 
Mi seguì mesto, guardandosi intorno con sguardo curioso. I lineamenti dolci e delicati ricordavano quelli di un bambino più che quelli di un quasi diciottenne, ma era la luce nei suoi occhi che suggeriva un’innocenza e una limpidezza disarmanti.

Eppure... eppure nonostante tutta la bontà di questo mondo lui era qui era qui con me, nonostante fosse fidanzato.
Cosa dovevo pensare?

Per un attimo mi paralizzò questo pensiero. Era la prima volta che mi ponevo questa domanda, che dubitavo del buon cuore di Akira. Ma questa riflessione non intaccò minimamente l’immagine che avevo di lui, non sfiorò il ritratto mentale che avevo stampato nel cervello a fuoco.

 

Mi precedette e si sedette, buttandosi quasi a peso morto, allargando le braccia e distendendole lungo lo schienale di legno lucido. Mi sorrise tranquillo, seguendo con gli occhi i miei movimenti. Mi accomodai di fianco a lui, girata dalla sua parte per poterlo guardare con facilità, con le gambe raccolte mentre mi abbracciavo le ginocchia, un po’ per riscaldarmi, un po’ per non dar troppo peso all’imbarazzo.

“Ah! Sono a pezzi!” Disse stiracchiandosi piano, mugolando.

 
“Povero..” Allungai una mano in direzione della borsa e mi accesi una sigaretta con rapidità.

 
“Basta fumare, stupida...” Mi rimproverò. Me l’aveva detto come minimo un milione di volte da quando avevamo cominciato a conoscerci. “Poi si lamenta che sta male...”

 
Ridacchiai sarcastica “Sei come mia mamma... Per lei la causa di tutti i miei dolori è il fumo...”

 
“Ha ragione!”

 
“Fuma anche lei, Akira” Spiegai aspirando distrattamente. “Quasi due pacchetti al giorno, oltretutto.”

 
“A casa mia tutti fumano, mia mamma, mio papà, le mie sorelle, i loro mariti...” Si massaggiò i muscoli delle gambe con vigore, mentre mi dava tanti piccoli dettagli sulla sua vita quotidiana, che pian piano stavo scoprendo. “Compresa la mia ragazza...”

 
Un piccolo moto di fastidio mi scosse lo stomaco. “Approposito... ma non ti dice niente del fatto che fai regali ad altre ragazze?”.

 
Si strinse nelle spalle, alzando la testa per guardare la luna. “Gli ho detto che sono per una mia amica, non fa storie.”

 
“Da quanto siete insieme?” Mi informai.

 
“Da, aspetta...” Contò sulle dita “Sette mesi circa.”

 
“E...” Respirai profondamente. “Le hai mai fatto le corna?”

 
Non so cosa mi aspettassi sinceramente, se un si o un no. Se mi avrebbe confortato più una risposta negativa o una affermativa, ma di sicuro non ero preparata a questo “Madonna! Si!”

 
Rimasi a guardarlo sgranando gli occhi. “C-come?”

 
Lui semplicemente alzò le spalle “Beh, si... In discoteca per esempio... Quattro o cinque volte...” Mi guardò dritto negli occhi “Ma cos’hai?”

 
Repressi un brivido e mi sforzai di sorridere con disinvoltura “Niente... sto solo morendo di freddo...”

 
Rispose con il solito calore al mio sorriso e si avvicinò impercettibilmente a me. Mi accostai a lui di qualche spanna, accorciando le distanze. Cristo, solo qualche centimetro... Ora avevo veramente voglia di baciarlo.

Una voglia assurda.

Stavo perdendo completamente la sensibilità delle mani, e ne approfittai per infilarle nel colletto del suo giubbotto. Per niente infastidito, mi lasciò fare. “Non hai freddo scusa?” Chiesi vedendo che non reagiva.

 
“A me piace il freddo... è il caldo che non sopporto...”

 
“Tzè!” Sbottai ironica “Guarda che anche a me non piace molto il caldo, ma non è che ci siano quaranta gradi stasera, sai Akira?” Ridemmo insieme ancora una volta. Feci scivolare le mie dita ancora più giù, sulla sua pelle bollente protetta dal pesante giubbotto firmato. Aveva la pelle liscia come quella di un bambino, e nella mia testa fantasticavo dando libero sfogo a tutte le mie perverse fantasie.

 
Che stupida che ero. In tutto quel tempo, ero pronta a giurarlo, non avevo mai pensato ad Akira in quel modo. Non ci volevo provare, non volevo farmelo, ed ero sicura fosse la stessa cosa per lui.
Ma quella sera era speciale. Nell’aria, nei nostri sguardi, nelle nostre parole c’era qualcosa di diverso, di speciale, di magico. L’alchimia naturale tra di noi si era moltiplicata all’infinito, e l’attrazione fisica aveva raggiunto livelli da panico, incontenibili.

 

Con le persone ho un intuito eccezionale, e non mi era mai capitato di sbagliarmi; capisco subito cosa prova qualcuno e cosa si aspetta da me.
Ad una persona normale, questo eviterebbe di prendersi cantonate, o inculate, che dir si voglia, ma io, essendo profondamente masochista, usavo questo mio “radar” per correre dietro a tutti quelli che sapevo mi avrebbero spezzato il cuore.

Con Akira questo mio intuito funzionava in maniera diversa. Come già detto, riuscivo a percepire distintamene i suoi stati d’animo, le sue intenzioni e i suoi umori, ma non riuscivo veramente a pensare ad altro. Quando c’era lui, semplicemente tutto il resto svaniva.

 

Puff.

 

Nonostante facessimo ancora finta di niente, il bacio era nell’aria. Il primo icnontro tra due persone è meraviglioso, ma la parte più bella è proprio l’attesa, la tensione che anticipano il contatto.
Non avrebbe mai preso l’iniziativa, ne ero certa. Semplicemente, non era nella sua natura. 

Dovevo farmi avanti io...

 

 

 

Commentate e vi manderò via etere un kit completo x la depilazione delle ascelle, che è sempre utile. Grazieeeee

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Capitolo 4
*** Give It To Me ***


give it

Si torna al presente! Mamma come sono felice!
Allora... non sono riuscita a tenere lontano Rukawa da qst ff... è dipendenza da volpino! Siccome però nella mia real life un personaggio così porca boia non c’è (dovrei accontentarmi di un Akira lo so....), lo terrò come comparsa, anche se è uno spreco bello e buono.
Diciamo che mi è tornata l’ispirazione, anche se non sono più in grado di scrivere come vorrei.... forse tenendomi di nuovo allenata.... mah.... chi lo sa. Se noterete miglioramenti, allora lo scrivere è come l’andare in bicicletta... un po’ di pratica...
Anticipo già che questo sarà un capitolo un pochino noioso, perché è una fase di transizione. Non preoccupatevi, sesso, droga e rock’n’roll torneranno nei prossimo a valanghe!
Questa settimana, il kit per la depilazione delle ascelle promesso nell’altro capitolo va a:

 
Rei: Tu amore hai la precedenza, anche i se i tuoi emo-commenti non sono emo-attinenti. XD. Questo capitolo è nuovo nuovo pure per te, voglio sapere che ne pensi, piattola mia... ich liebe dich (avrò anche finito le lingue x dirtelo)

Ammy: Ma grazieeeee! Fa buon uso del kit!!

Scorpy: Frase fatta “Gli uomini sono tutti bastardi” Alcuni più di altri, e in quel caso li ho tutti, o quasi, io.

Gloglo: Dio, la statua veramente non basta per te ç_ç Avrai un kit di depilazione personalizzato ^^

Fairy88: Sorry -_____-‘ Cercherò di essere un pochino più costante^^



Capitolo Tre: Touch me

 

 

Il sole tiepido.
La lieve brezza che si leva dal mare che porta con sé l’odore della salsedine.
Il tocco ruvido della sabbia, che infida si spinge oltre l’orlo della gonna, sotto unghie, tra le pieghe dei vestiti.
La luce, quasi accecante, di una mattina di primavera.

 

 
Io adoro la natura, Più di quanto ami le persone, a dire il vero.
Ogni scorcio di paesaggio mi fa esplodere il cuore di allegria, sia esso un tramonto, un fiore nel cemento, una nuvola colorata.
Ovvio anche che questo lato del mio carattere non lo conosce nessuno. Anzi, mi prodigo ben bene per non farlo trapelare in nessun modo... fossi matta.

  

 

 

“Mi sto rompendo altamente le palle”

 

 

 

Ecco l’unica frase che può rompere un idillio perfetto. Le uniche parole che possono cancellare i sentimenti di armonia e tranquillità che fino a tre nanosecondi fa albergavano in me.
Dette oltretutto, dall’unica persona che non ha neppure un briciolo di sentimentalismo nell’animo.

 

 
“Hisashi sei un coglione” Sbotto.

 

“E tu sei diventata di una noia mortale, Miyu.” Ribatte lui piccato. “No, davvero. Quando stamattina mi hai detto che bruciavi scuola e venivi con me in giro...” Mi lancia un occhiata di rimprovero “....ho pensato che forse ti stavi riprendendo dall’anno e mezzo di clausura. Invece sei peggio di prima! Mi hai portato in spiaggia, e va bene....” Lo sguardo si fa si fuoco “...e di nuovo credevo che, almeno, avessi qualcosa da fare, o almeno una schifosa caccola di fumo da rollare... E invece tu vuoi stare qui seduta a guardare il mare!” Strepita infine “Come i vecchi!”

 

 

Abbasso gli occhi. Checché ne dica, lui non mi ha perdonato.
D’altronde, non l’avrei fatto neanche io.

 

 
 

 

Un anno e otto mesi fa, conobbi un ragazzo, Hiro.
Un ragazzo con cui sono stata insieme per un diciotto mesi.

 
Diciotto mesi nei quali non sono uscita di casa.

 

 

Letteralmente.

 

 

Era geloso.
Così geloso che, una volta, mi ero beccata una sonora sberla in faccia perché ero andata a fare la spesa con mia mamma senza prima chiedergli il permesso.
Così diffidente che non avevo il permesso di vedere i miei amici.
Così possessivo che mi aveva fatto bruciare tutti i vecchi diari, che quando mi portava in giro mi abbassava la testa per far si che non guardassi nessun altro, che mi aveva fatto cambiare numero di cellulare tre volte, che mi controllava ogni minuto, ogni secondo della mia vita.

 
 

Perché ero rimasta con lui?
La nostra relazione era partita in maniera a dir poco particolare. Lui vedeva in me una povera, piccola ragazzina semi-drogata da aiutare. Io in lui uno scoglio al quale appendersi. La mia vita, due anni fa, era un susseguirsi di cazzate una peggio dell’altra.
Lui mi aveva calmato. Mi aveva “dato una ripulita”, diceva sempre.

 

Ma non ero innamorata. Non lo ero affatto.
Non sono fatta per stare in gabbia. Ho sopportato fino a quando non sono esplosa.
Da un giorno all’altro, la situazione si era ribaltata. Ero io quella forte, quella che aveva in mano il gioco. Lui dipendeva da me come prima io dipendevo da lui.

 

Dopo un mese l’avevo lasciato.
Il giorno seguente eravamo di nuovo insieme.
Quello dopo no.
Quello dopo ancora si.

 

E così via, in un tira e molla estenuante finché, una sera, compresi appieno cosa significava “fare la cosa giusta”. Vivevo in una strana bolla di sapone, in cui non riuscivo ne a stare con lui, ne a stare senza di lui.

Nella sua macchina, in una fredda sera d’inverno, mentre ancora cercavo di abituarmi al mio radicale nuovo taglio di capelli (avevo scoperto che era vera la storia della donna che cambia pettinatura dopo una storia d’amore), ero scoppiata a piangere.

E gli avevo detto basta. Basta per sempre.

I suoi occhi delusi e tristi me li porterò nella tomba.

 

 
 

Ma ero libera!

 

 
 

Pian piano tornai dai miei amici. Che, tra una frecciatina sarcastica e una battutina bastarda, mi riaccolsero.

 

Con Rei non ebbi problemi. Lei mi perdonò di averla abbandonata il secondo dopo che le dissi che mi sentivo una merda.
Karin, con la sua proverbiale indifferenza, rimosse il tempo perduto e mi accettò di nuovo nel suo universo di sadismo e crudeltà.
Il resto della gente che per un anno e mezzo avevo fatto finta di non conoscere tornò ad essere il mio mondo.

 

 

Hisashi no.

Per quanto lui giuri e spergiuri di non avercela con me, di non portarmi rancore, so che non riesce a dimenticare il mio tradimento.

Avevo preferito un ragazzo a loro. Un ragazzo che neanche amavo. L’avevo fatto per cercare di tirarmi fuori da una vita di cui avevo cominciato ad avere paura. Ma non era un’attenuante valida.

In due mesi, ancora non riuscivo a trovare le parole, sempre se ce ne fossero, per scusarmi con lui.

 

 

 

“Hisashi ma...” Ghigno indicando la mia borsa, abbandonata qualche passo più in là. “... Chi è che ha detto che non ho niente da fumare, scusa?”

 

 

 

 

 

Ho diciott’anni.

 

 

 

Diciotto.
Sono comunque pochi. E io non mi sento affatto matura. Mai stata, a dire il vero.
Mature, mi dico ogni tanto, sono le pere. Io non sono un frutto.
E se lo fossi, al massimo sarei un kiwi.

 

 
Fisso il soffitto della mia camera da più di mezz’ora, totalmente persa nella contemplazione estatica di un imperfezione del muro. Ok, ho fumato tutta la mattina, ma non pensavo che mi avesse preso così tanto! Sarò io che, con gli anni, rincoglionisco.

 
 

Ho diciott’anni e sono buttata sul mio letto mentre fisso una cazzo di macchiolina.

Una volta, e per una volta intendo “prima-di-diventare-una-suora-di-clausura”, il fatto che fossi a casa era un evento più unico che raro. Capitava che non tornassi per svariati giorni, dormendo da chiunque capitasse.

Ora faccio fatica a stare troppo tempo lontana dal mio rifugio, lontana da mia madre.

Non va mica bene così.

 

 

Quali altri cambiamenti, in due anni?

 

La mia reputazione si è leggermente, e sottolineo leggermente, affievolita. Capita ogni tanto che qualcuno non mi conosca. Merito di due anni di anonimato.

Non che ora pensino che non sia una vacca, certo che no. Credo si siano convinti che mi sia fatta sbattere da un solo ragazzo per un anno e mezzo solo perché il tipo in questione ce l’aveva bello lungo.

Comunque, le voci di corridoio sono già in decollo. L’altro giorno, mentre cercavo di prendere sonno in infermeria, ho sentito due ragazze parlare della mia storia con Kaede Rukawa, un ragazzo che gioca nello Shohoku con Hisashi.

 

Quale, mi sono chiesta, storia con Kaede Rukawa?

 

Se veramente mi stessi vedendo con un ragazzo del genere, sarei io stessa a dirlo a tutti. E’ talmente bello che il concetto di “stupro istantaneo” ti si chiarisce immediatamente.

 
 

Sto cercando di riprendere il mano le redini della mia vita e sta massa di cretini già mi manda in paranoia! Incredibile, non c’è mai fine al peggio. Non c’è mai fine al mio, per lo meno.

 

 
Mi sistemo il cuscino dietro le spalle e getto un occhiata al mio cellulare. Hiro mi aveva fatto cambiare scheda, ma da alcuni giorni ero tornata al numero vecchio. Lo stesso scritto nei muri dei cessi. Ci sono affezionata, anche perché è tremendamente facile da memorizzare.

Lo prendo in mano ed entro nella casella dei messaggi, che non leggo più da due anni. Sms di un tempo che vorrei recuperare, ma che non è possibile. Scorro la lista e nomi conosciuti si susseguono l’un l’altro, scritte divertenti, frasi dolci, auguri di compleanni ormai passati.

 
Finché non mi blocco, di colpo.

 


- E’ stato bellissimo. Il più bel bacio della mia vita, credo. Brava, brava! Chi ti ha insegnato a fare quelle cose, eh? Devo essere geloso? -

 

 Deglutisco a vuoto, cercando di non tremare. Ma è inutile, un emozione incredibilmente forte si affaccia, penetra tra i miei pensieri e si libera nel mio stomaco. I messaggi di Akira.

  

- Mi fai venire caldo se mi dici così. Che belli i boxer oggi me li sono messi, ero tutto contento! -

 
- Ma va! Figurati non ti preoccupare... Lo sai che non sono un tipo che pensa male! Oggi sono andato a prendere il regalo per le mie sorelle, ho speso una barca di soldi... -

 
- Ci sentiamo dopo, ora ho allenamento... Poi andrò a bere qualcosa, vedremo... Una leccata dove vuoi
... -

  

Un’interminabile lista di stupidissimi messaggini, dal tono gioviale e allegro che sempre lo contraddistingue.

Il cuore mi batte così forte che lo sento rimbombare nelle orecchie, mentre il sangue mi affluisce alla testa. Sono arrossita.

Eccolo, l’ho trovato. Quello che cercavo.

 
 

- Si, hai ragione sono incazzato con te. Perché non ti sei più fatta sentire. Mi dici perché? -

 

 
La risposta che gli diedi ce l’ho ancora stampata in mente.

 
 

- Avevo paura di affezionarmi troppo, tu hai la ragazza -

 

  

Una scusa. Una banalissima scusa.
La verità era che le cose tra noi pian piano si erano calmate. Dallo scriversi tutto il giorno eravamo passati ad uno squillo ogni tanto. Poi neanche quello.
Tutto in modo molto naturale, senza troppi problemi o patemi d’animo.
Mi ricordo anche che percepivo da parte sua un po’ di rancore, che però non mi espose mai apertamente.
Un mese dopo, incontrai Hiro e cambiai numero.

 

 
Mentirei spudoratamente se dicessi che in quegli anni non avevo mai pensato a lui.

Lo vedevo a scuola ma raramente lo salutavo. Osservavo il codazzo delle sue spasimanti aumentare giorno per giorno, spiavo il suo fascino crescere incessantemente, trasformandolo da “bel ragazzo” a “splendore su due gambe”.

 
 

Il suo sorriso però era sempre lo stesso. Dolce, spontaneo, tenero, infantile. La sua risata argentina non era cambiata di una virgola.

Tutto questo faceva nascere in me uno struggente senso di nostalgia, di rimorso e di rimpianto.

 

  

Avevo voglia di vederlo.

Perché nonostante i ranghi del suo fan club trasbordassero letteralmente di ragazze, nessuna gli era così intima come lo ero stata io.

Esclusa, certamente, la sua ragazza.

E certo, ora erano quasi tre anni che stavano insieme. Ma questo non lo considero tanto.

 

Mi sentivo superiore a tutte le ragazzine che gli sbavavano dietro, mi sentivo superiore a loro perché il rapporto che avevamo era semplicemente ineguagliabile. Non sapevo in effetti se in quegli anni l’avesse tradita ancora, ma in quel preciso momento non mi importava.

Volevo solo poter osservare il suo sorriso nascere per me un’altra volta.

E un’altra.

E un’altra ancora.

 

 

  

 

 

 

“Ti sta cadendo fuori una tetta Miyu!” Strilla senza un vero motivo Rei, sporgendosi pericolosamente nel vuoto e finendo per aggrapparsi al mio collo. Non sono in grado di reggerla, quindi, come in un vecchio film comico, ondeggiamo qua e là nel vano tentativo di ritrovare l’equilibrio.

 
“Meglio!” Trillo io, con la voce di qualche armonica più alta del normale. “Oggi sono a caccia, sai?” Barcollo all’indietro e la spingo un po’ più lontana da me. “Oggi mi rimorchio il primo tizio figo che trovo e me lo porto in bagno, ho deciso!” Sorrido inebetita e mi appoggio al muro per non cadere.

 
 

La musica nel locale si è fatta più elettronica, e la gente comincia a ballare in maniera sempre più ridicola.

 
Non mi piace questo posto, è tutto tondo.
Le sale sono tonde, il bancone è tondo, i divanetti sono tondi, la pista è tonda, la consolle è tonda.... Sbotto a ridere improvvisamente, accorgendomi che anche i buttafuori sono tondi.

 
Non resisto, devo dirglielo.

 

 
“EHI!” Urlo, picchiettando la spalla del tizio enorme (e tondo) che ho raggiunto salterellando. “ma lo sai che sai che sei proprio tondo?!”

 
L’omo vestito di nero mi guarda e sorride sarcastico “Ah si? Sono tondo?”
 

“SI!!” Rispondo, estasiata che lui mi capisca. “Ti hanno preso per quello?”

 
“Certamente!” Ribatte senza scomporsi più di tanto. “Bevi di meno, mi raccomando...”

 
“COSA? SEI FUORI?!” Faccio un ampio gesto con la mano, e mi sbilancio ancora una volta “Una volta che mi diverto come una volta!!” Gli do una pacca piuttosto violenta sulla spalla prima di caracollare da qualche altra parte.

  

Non vedo Mitchy-Picci e mi dispiace, perché avrei taaanta voglia di dirgli che gli voglio bene. Tanta proprio. Pazienza, meglio berci su.

Raggiungo il bancone e porgo al nulla la drink card che qualcuno ha perso per terra e che io, a inizio serata, ho raccolto raggiante. Bere gratis per tutta la sera, questo è culo. Questi sono gli Dei che mi dicono che anche per loro ero diventata noiosa. Questo è il karma che mi dice di buttarmi al alcol, si si.

 
 

“Ancora tu?” Il barista mi sorride sornione, appoggiando i gomiti sul ripiano. “Questa mi sa che te la offre la casa!”

 “Bene!” Sbotto io. Tanto non avrei pagato lo stesso. “Fammi qualcosa... Quello che vuoi. Ma che sia dolce.”

 “Ok”

 “Ma forte”

 “Ok”
 
“E senza Gin!”

 “Basta?”

 Ci penso un poco. “E mi devi mettere l’ombrellino da cocktail giallo e verdino.”

 

Scoppia a ridere scuotendo la testa “D’accordo...” Si mette a smanettare spensierato e io attendo canticchiando una canzone di Miyavi, perdendo continuamente il ritmo, distratta dal tunz-tunz di sottofondo. Mi porge infine un bicchierone  stra colmo, adornato con una fetta d’arancio e un mini ombrellino stile villaggio turistico. Lo accolgo con un gridolino e scompaio tra la folla.

 

Bevo grandi sorsi del miscuglio strano, di cui non riesco a capire la composizione. E manco ci provo, visto che quello che mi serve, ora, è solo altro alcol.

Mi guardo in giro stralunata. Quello è carino, quello pure. Cazzo quello anche. Anche il buttafuori tondo non era male. Merda, trovo tutti belli quando sono ubriaca.

 

Trotterello allegramente insicura nei mie tacchi fino al primo divano libero, e mi ci butto a peso morto.

 “Non ci credo...”

 
“Che?”

 
“Fuku-chan torno subito...”

 
“Ah... ok...”

 
 

Accanto a me, sento qualcuno sedersi. Apro di scatto gli occhi. Che sia bello?

 “Ma ciao!”

 Sobbalzo, rovesciando a terra le ultime gocce del mio drink. Per la sorpresa, mi cade anche il bicchiere, che rotola metri più avanti. “Oddio... Oddio... AKIRA!” Mi tiro a sedere di scatto, ritta come un fuso, mentre tutto in me sta esplodendo di felicità. “Oh Akiraaa!!” 

 “Miyu, tutto apposto?” Chiede.

 

 La mia mente filtra gli eventi attraverso tutti i liquori ingurgitati, e vedo il suo volto attraverso una patina sfocata, illuminato dai led verdi e rossi del locale. A pochi centimetri da me, sorride.

 
Per me.

 

 

E li mi sciolgo.

 

 “Oddio Akira ti pensavo proprio ieriii!!” Batto le mani entusiasta. “Te lo giuro!”

 “Ah si?” Domanda curioso. “E che pensavi?”

 Cervello-Lingua, scollegamento On. “Che sei bellissimo e che ho troppa voglia di baciarti!”

 Amplia il suo sorriso e mi accarezza i capelli. “Ma dai!” Si sofferma a rimirare la ciocca che stringe in mano. “Che colore strano... Così stai meglio però.”

 “Non ti piacevo con la crestina verdina?” Mugolo io, arricciando il labbro come una bambina.

 “Stavi bene, si...” 

“Ma non ti piacevo!” Insisto.
 
“Mi piaci così.” Si stringe nelle spalle e io non riesco a frenare una risata. 

“Akiraaaa!” Lo guardo assorta “Ma sai che ispiri sesso a manetta?” 

“Addirittura!” Si finge scandalizzato. 

“Si! Te lo giuro ti porterei a casa mia e ti legherei al letto!!”
 

Prima che possa ribattere, un ragazzo con degli strani rasta-vermi che gli spuntano dalla testa lo prende per un braccio e comincia a trascinarlo via.

 
“NOOO!” Grido scandalizzata.

 
Sendoh si libera dalla presa e corre da me. Si abbassa fino a incrociare il mio sguardo perso e sorride, per l’ennesima volta, dolcemente. “Ne parliamo a scuola lunedì...” MI stampa un bacio sulla fronte e scappa via.

 
 

 

Rimango immobile a fissare il vuoto cosmico.
Poi, un campanello nella testa.

E un urlo.

 

 

Un urlo lancinante mi scuote.

 

 
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!!!!!!!!!!!!” E comincio  ridere.

 

 

  

 

Commmentiiiii pleeeeasssseeee!

 

 

 


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Capitolo 5
*** In-God-We-Trust ***


in god

Ma ciao bambiniiiii!! *___*
Guardate qui chi è tornata? Sisi!
Qui per salvarvi, anime pure, dall’orda di ff che si è abbattuta su di noi XD.
Inizio con il dire che ho fatto un casino con i tempi. Tra il cap 2 e il 3 (cioè da passato a presente), passano 2 anni!
Quando li ho scritti pensavo si capisse di più, scusate scusate scusate ^^ Mea culpa.
Poi ho notato una cosa... Quando vi prometto regalini via etere, commentate molto di più, sanguisughe!!!

Ecco, cosa mi invento adesso? Volete un barattolo di Nutella da 20 kili?
FATTA!
Per chi commenta una fornitura a vita di Nutella (quella tarocca, che costa meno) direttamente dall’autrice più figa del mondo (io)^^

Allora... Comincio con il ringraziare la parte mancante del mio cuore, che è con me tutti i giorni, che mi sopporta/supporta in qualunque cosa io faccia, che con il semplice fatto di essere viva mi rende la persona più felice del mondo... Gemy (o R ei, fa tu) non so più neppure come cazzo dirtelo, IO TI AMO!!! E grazie x la foto in intimo <3

Continuo poi con Bella07, dicendo che è sicuro come la merda che ci metterò lemon a volontà, basta solo entrare un po’ di più nel vivo della storia XD. Grazie, grazie e grazie ancora per tutti i complimenti, che ricambio in pieno, amo il tuo modo di scrivere e soprattutto quello che scrivi. Tanto love anche per te ^^

E, immancabile, gloglo, che mi ha fatto notare il madornale errore di tempi, che è la miglior commentatrice che possa esistere *___*, che riceverà cioccolato tarocco a casa anche se non dovesse più commentarmi e che usa la parola “morosa”, e che quindi, viene dalle mie stesse parti +_____+ (forse XD)

 

Grazie x l’appoggio ç_______________ç sigh

 

E ora passiamo al capitolo; in verità mi piace parecchio, e mi sono così divertita a scriverlo che mi è anche ritornata la vergogna che provai vivendolo... Buona lettura micini!!

 

 

 

 

 

Capitolo Quattro: In-God-We-Trust

 

  

“Miyu...”

 “Nhmhmhn....”

 “Miyu, alzati...”

 “Mhmhghghg...”

 “Miyu ma quanto cazzo hai bevuto ieri sera? Senti che puzza che c’è qui dentro!”

  Mia madre, la delicatezza personificata. Con un rapido gesto spalanca le finestre della mia camera, lasciando entrare una dolce brezza che, invece che darmi sollievo, mi fa salire alla gola una nausea terribile. La vista stessa di tutta quella luce mi uccide lentamente, perforandomi la testa.
Sono coperta di botte dalla testa ai piedi, visto che, salendo le scale di casa, sono rotolata più e più volte per terra, ritrovandomi poi, non so come, a raccontare al muro la storia della mia vita.

È stato un ascoltatore molto  discreto.

  

“Mmmmmmmh...” Mugugno infine, seppellendomi sotto le coperte. Ho la bocca impastata, anche se volessi non potrei parlare.

 “Kami sama quanto sei deficiente! Ho una figlia deficiente che non regge neanche bene l’alcol.”

 Oddio adesso parte.... No ti prego mamy, ho mal di testa... 

 “Quando bevevo io, il giorno dopo mica mi facevo tutti sti problemi!” La sento sedersi sul mio letto, precisamente sopra il mio polpaccio. “Questa generazione è un fallimento... fate tanto i fighi a bere il sabato sera e poi il giorno dopo siete delle mummie! Cosa fate festa a fare, se non sapere reggere? Datevi alle bocce, con i vecchi...”.

 

 Mia mamma: ex hippy, ex figlia dei fiori, ex festaiola, ex ragazza madre.

 

“Bah... quando torni umana, vieni in cucina, che mi devi aiutare a pulire... E lavati i denti.”

 

  

 

Cosa c’è di meglio per smaltire una sbornia che passare un pomeriggio a pulire casa, allietata da vostra madre che vi prende per il culo perché non reggete l’alcol e cullate dal dolce suono della voce del suo compagno che predica pace e amore?
Esausta, con la testa dolorante, crampi allo stomaco e attacchi di nausee, getto un occhiata ai due adulti che dovrebbero guidarmi attraverso “il sentiero della vita”.

 

Uno peggio dell’altro.

  

Hiroshi e mia madre stanno insieme oramai da 12 anni, ma non sono una coppia fissa. Come lei, anche lui ha avuto un passato da figlio-dei-fiori-mettete-i-fiori-nei-cannoni, anche se credo che più che fiori , nei suoi cannoni ci fosse ben altro.

Sinceramente, io li adoro tutti e due.

 

 

Parte della mia pessima reputazione, proviene dal fatto che ho sempre avuto tutta la libertà che volevo.
Nessuno mi ha mai fatto problemi con orari, regole o divieti; trovare però ragazze della mia età con la mia stessa possibilità di uscire è sempre stato un problema, così, fin da piccola, mi sono trovata amici maschi, notoriamente più liberi.
 

Da qui credo sia partito tutto.

 

 

 

“Vuoi che facciamo un po’ di pratica con la chitarra? Ho portato l’acustica oggi...”

 “No Hiroshi... Vado a ficcarmi due dita in gola...” Rispondo caracollando verso il bagno stile ‘La notte dei morti viventi’.

 “Il vomito non è mai un buon segno, Miyu-chan... Simboleggia il rigetto verso le situazioni esterne, e questo non è salutare”. Filosofeggia, preoccupato.

 “No, simboleggia che devo buttare fuori l’anima, non ho niente da rigett...” Mi blocco inorridita, sbarrando gli occhi.

 “Miyu?” Mi chiama mia madre. “Tutto apposto?”

 “Oddio...” Mi porto le mani alla testa, terrorizzata. “Oddio no... Oddio no”

 “Miyu, non vorrai vomitarmi nel tappeto, vero?”

 “Oh cazzo NOOOO!”

 

 

 
Un flash.

  

Led verdi e rossi.

 

 Un volto.

 

 Un sorriso stupendo.

 

 Un bicchiere che rotola a terra.

 

  

E la mia idiozia.

 

 

 

“Che sei bellissimo e che ho troppa voglia di baciarti!!”

 “Ma sai che ispiri sesso a manetta?”

 “Si! Te lo giuro, ti porterei a casa mia e ti legherei al letto!!”

 

 Cosa ho fattooooooooooooooooooooooooooooooooooo?!?!?!

 

 
 

Cos’ho in testa?

C’è l’ho la testa?

 
La mia lingua va per i cavoli suoi? Io non ho controllo su quello che dico?

Oddiooddiooddio

 

Oddiooddiooddiooddiooddiooddiooddio!

 

Come, e voglio sapere come, faccio a fare tante figure di merda in così poco tempo?
Come, e ditemi vi prego, come, si può aprire la bocca solo per dare aria al cervello?

 

Dov’era la mia decenza in quel momento?

Affogava appesa ad un ombrellino da cocktail giallo e verdino, imbecille’  Mi risponde la mia testa, stufa probabilmente del mio addossarle tutta la colpa.

 

 

 

Ok, ora stiamo calmi. Basta respirare, non è successo nulla di grave.
Cosa sarà mai? Miyu, sta calma... Basta solo seguire alcuni facili passaggi e ritroverai la pace, ok?

 
Conta fino a 3 miliardi e poi corri all’aeroporto, imbarcati nel primo aereo per il Burundi, affitta una jeep da safari e fatti sbranare viva dai leoni.

 

  

“Miyu ma cos’hai? Stai male?” La voce di mia madre mi arriva al cervello, distorta dalla sua preoccupazione.

 “Sta avendo un’esperienza mistica!!” Il tono di voce di Hiroshi non lascia dubbi, è eccitato come un bambino.

 “Ma che esperienza mistica! Miyu dai, che cos’hai?”

 “Senti l’energia cosmica intorno a te? Cerca di mettere a fuoco le figure che vedi!”

 “Hiroshi finiscila, sta male, non sta avendo un’esperienza extracorporea!”

 “Cerca di stabilire un contatto! Interagisci!”

 “Hiroshi ti prendo a calci se non la smetti!”

 “Parla con loro, non aver paura, sono anime pure!”

 “HIROSHI!!!”

 

  

Cauta, riapro gli occhi. Vedo mia madre stringere le mani intorno al collo del suo compagno, che imperterrito continua a blaterale di visioni mistiche e apparizioni sacre. Appena si accorge nuovamente di me, mi corre incontro abbracciandomi.

“Amore mio!”

 “M-mamma...” Tossisco, cercando di farle allentare la presa. “M-mi fai male...”

 “Miyu-chan, allora? Cosa ti hanno rivelato le anime elette?”

 Riesco a liberarmi dalla stretta micidiale e faccio un passo indietro. “Non ho avuto nessun’esperienza paranormale, Hiro...” Mia madre riesce a lanciagli uno sguardo altezzoso prima che io aggiunga “...e non stavo neanche male.”

 Tutti e due contrariati dal non aver avuto ragione, mi fissano accigliati “E allora cosa ti è saltato in mente di fare, idiota?” Dopo l’aver appurato che sua figlia non stava né per morire né per vomitarle sul tappeto, il tono e i modi di fare di mia mamma tornano entro i consueti standard.

 Sbuffo esasperata “Ma niente, mi sono solo ricordata una cosa!” Giro e tacchi e li abbandono lì, mentre percepisco i loro sguardi indagatori trafiggermi la nuca.

 
 

 
Evidentemente, i lunghi sproloqui sulla pace dei sensi di Hiroshi avevano fatto una certa presa su di me, perché sono riuscita a comportarmi più o meno normalmente per tutto il giorno, cercando di ignorare la crescente sensazione di panico che mi si era annidata nel petto.
Così, quando oggi mi sono svegliata, sono riuscita a lavarmi, vestirmi e caracollare fino a scuola, mentre mi ripetevo come un mantra “andrà tutto bene, andrà tutto bene...”

 

 

Attraverso spedita il cortile del Ryonan, e mi lascio cadere sfinita accanto a Minako, seduta nei gradini metallici di una delle tante scale antincendio

 Yukina, la sua ex migliore amica, continua a sostenere di non sbavare più dietro a Sendoh, ma i suoi sguardi lasci lasciano intendere ben altro.
Con mia somma gioia, Yukina e Minako si erano molto allontanate in quegli anni, cosa che avevo già previsto da un secolo. Minako era troppo intelligente, troppo simpatica e spigliata per trascinarsi dietro una ragazza che fino qualche anno fa andava blaterando in giro che il suo primo bacio lo avrebbe dato quando si sarebbe sposata, salvo poi accorgersi che tanto nessuno l’avrebbe mai baciata, neppure sotto tortura.

Era così passata alla fase voglio-scopare-non-mi-importa-con-chi, ma a differenza delle sue aspettative, neanche questo l’aveva aiutata a trovare uno straccio di maschione.

 
“Che bella faccia che hai Miyu”

 “Lascia perdere...” Sbotto, aggrappandomi all’ennesima sigaretta. “Sono un’idiota...” Comincio a battere ripetutamente la testa contro uno dei pilastri metallici, producendo sinistri tonfi.

 Minako scoppia a ridere, mentre cerca di afferrarmi le spalle per impedirmi di farmi ulteriormente male. “Guarda che livido che ti stai facendo in fronte!”

 “Meglio, così la gente non mi riconoscerà più,” Sfuggo alla sua presa e ricomincio a sbattere la testa con più vigore.

 “Smettila!” Mi grida contro tra le risate. “Che è successo?”

 Interrompendomi solo per aspirare nuove boccate di nicotina, le racconto tutto il mio sabato sera, a metà tra una crisi di pianto e un esaurimento nervoso.

 Minako rimane qualche secondo a osservarmi, poi scoppia in una feroce risata.

 “Ma che ridi, stronza!” Seccata, le mollo un pugno sul braccio.

 Quando, dopo diverso minuti e una moltitudine di pugni, ritrova la sua compostezza, asciugandosi le lacrime mi guarda fisso. “Ecco perché ti guardava così!”

 “Eh? Chi mi guarda? Quando? Dove? Perché?”

 “Sendoh! Quando stavi sbattendo la testa contro il palo, è passato e si ti ha lanciato un occhiata assurda”

 “Dimmi... Dimmi che stai scherzato...” Chiedo in un soffio. “Ti prego dimmelo”

 Un nuovo accesso di risa la scuote, mentre scuote la testa. “No, no, è vero!”

 

 
 

 

BUDDHA, CE L’HAI CON ME PER CASO?!?

 

 

 

 

 

 

Commentiiiii (ricordatevi la Nutella)

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Capitolo 6
*** Honey Honey ***


honeyhoney

Prima di leggere il capitolo, vi consiglio di andare qui (http://pharm1.pharmazie.uni-greifswald.de/systematik/7_bilder/yamasaki/yamas355.jpg ), perché

Non credo capireste di cosa sto parlando ^^

 

PS dal prossimo capitolo si inizia a trombareeeeeeeee

 

 

 

Capitolo Cinque: Honey, Honey

 

 

 

Uno dei simboli universalmente riconosciuti del Giappone, è senz’altro l’albero ginko biloba.
Le sue deliziose foglie, simili ad ombrellini, fanno sempre da contorno, insieme a quelle dei ciliegi, agli scenari tipici del mio paese.
La foto di una geisha di Kyoto immortalata tra un ciliegio e un ginko è l’immagine mentale che praticamente chiunque ha del Giappone romantico, quello da cartolina, il Paese Del Sol Levante, dove tecnologia e tradizione si fondono in un unico grande abbraccio.

 

 

Quello che nessuno si preoccupa mai di dire, è che il ginko biloba, oltre ad avere graziosissime foglioline, è un albero da frutta.

 

E i frutti in questione puzzano di vomito.

  

 

Così, un meraviglioso giorno di primavera, con il sole alto nel cielo e l’odore dell’estate ormai alle porte, camminando nel cortile del tuo Liceo immersa nei più rosei pensieri, mentre una pioggia rosata di petali di ciliegio pare segnarti la via da percorrere... ZACK!

 

Ne pesti uno e sai da vomito per tutto il giorno.

 

 

 

 

Stavo pensando proprio a questo mentre osservo distrattamente l’azzurro intenso del cielo. Notare quanta poesia mi suggerisce un paesaggio di cotanta bellezza.

 “... e insomma è per questo che è da lunedì che non vieni più a scuola?!”

 Annuisco svogliatamente, evitando con cura di guardare negli occhi la mia attuale vicina di banco.
 Fino all’anno scorso, Ruka aveva per così dire “rimpiazzato” il posto di piccola delinquente che io per due anni avevo lasciato incustodito. Finché l’anno prima non era stata bocciata, ed aveva deciso di mettere la testa apposto.
Questo più di tutto ci accomuna, credo.

L’aver in parte rinunciato ad una vita che ci stava sfuggendo di mano per cercare di riprendere le redini del nostro futuro.

 Solo che ora il suo obbiettivo pareva quello di trasformarmi in studentessa modello.

 

 “ Si, e mi pare proprio un motivo sufficiente...”

 “Stare quattro giorni a casa nell’anno degli esami solo perché Akira Sendoh ti ha visto mentre prendevi a testate un palo dopo che gli hai detto che volevi scopartelo?”

 Per un attimo ci guardiamo negli occhi, in assoluto silenzio.

  “BHWAHAHAHAHAHA!” 

“Ruka, cazzo!” Sbotto seccata, battendo il pugno sul soffice tappeto d’erba sul quale siamo sedute. “Perché ridono tutti quando lo racconto?” 

“Perché sei una demente!” Qualche fremito di riso ancora la scuote mentre si asciuga le lacrime con la manica della divisa, ben attenta a non sbavarsi la matita. “Così impari e non tenere la bocca chiusa”. 

“Ma ero ubriaca, Ruka! Era già un miracolo che riuscissi ancora a capire chi avevo davanti!” Cerco di giustificarmi. 

“Ah, lasciamo perdere...” Reclina la schiena, appoggiandosi al tronco dell’enorme ciliegio che ci sovrasta. Silenziosamente, estrae due sigarette dal suo pacchetto, e me ne lancia una. 

“Grazie...” 

“La avanzavi...” Con un rapido gesto, sfila un accendino dal pacchetto e accende la mia e la sua. “Comunque... Te l’ho detto che anche a me piaceva Sendoh?” 

Abbandono la schiena contro l’albero sconsolata. “Anche a te?!” 

“Perché? A chi altri piaceva?” 

“A chi?” Domando piuttosto risentita “Faccio prima a dirti a chi non piaceva, te lo assicuro...” 

“Beh, immagino...” Si limita a rispondere pacifica stringendosi nelle spalle “Sai che ci siamo anche sentiti per un pochino?” 

Alzo gli occhi al cielo completamente esasperata. Sembra proprio che, quando ancora era alle medie, Akira Sendoh si sia sentito con qualunque essere femminile minuto di cellulare.
In questi tre giorni, infatti, Minako aveva cominciato ad indagare approposito, riferendomi qualunque pettegolezzo fosse girato su di lui dai 4 anni in su.

 “Comunque faresti meglio a parlargli almeno, così ti togli il pensiero...” 

“Fossi scema!” Ruggisco sbalordita, sbarrando gli occhi. “Non gli ho parlato per un anno e mezzo, penso che sopravviva lo stesso anche senza me!” 

“Bah, fa come vuoi...” Non degnandomi di ulteriori spiegazioni, Ruka si issa in piedi e mi volta le spalle, incamminandosi verso l’entrata. scocciata

 

 

Sbuffo irritata, tornando a rivolgere la mia attenzione al colore del cielo. La pausa pranzo ormai sta per finire, e se non mi fossi decisa ad alzare le chiappe da lì non mi sarei più mossa per tutto il pomeriggio.
E l’ultima delle cose che mi servivano era quella di perdere altre ore.

 A fatica mi tiro a sedere, gettando il mozzicone di sigaretta aldilà della recinzione della scuola, memore delle ripetute minacce ricevute da tutto il corpo docenti per la mia “acuta maleducazione” (inglese), “totale noncuranza verso la struttura scolastica” (matematica), “sorprendente villania” (giapponese), “ estrema riluttanza verso ogni qualsiasi forma di disciplina” (economia domestica) ed infine, la mia preferita, per la mia “insopportabile sfrontatezza, unita ad una deplorevole mancanza di umiltà ed ad un completo disinteresse per le regole base di convivenza civile” (chimica).

 
Tutto questo perché butto le cicche a terra, notare bene.

 

 

Muovo qualche passo nella direzione verso la quale si è allontanata Ruka, facendo ciondolare meccanicamente la testa da destra a sinistra, completamente persa nei miei patetici filmini mentali.
Senza averne pienamente coscienza, afferro il cellulare e scorro la rubrica, fino a che i kanji di un nome ben preciso, del nome per eccellenza, non mi saltano agli occhi.
 Interrompo il mio pseudo balletto (che noto solo ora mi ha fatto guadagnare un discreto pubblico) per mettermi a fissare intensamente lo schermo del telefono, come se mi aspettassi di vederci comparire qualche strano alieno verde.

  

....Comunque faresti meglio a parlargli almeno, così ti togli il pensiero... ha detto Ruka.

 
Scandisco bene ogni singola cifra del suo numero, mormorandola piano. Vabbé, in fondo che cos’ho da perdere?

 La dignità?

 Naaaah, quella dev’essere rimasta incastrata tra un “ti scoperei” e un “ti legherei al letto

 

 Come a rallentatore, mi porto il telefono all’orecchio, ascolto il breve squillo per poi allontanarlo quasi terrorizzata. Ecco, l’ho fatto.
Vai Miyu, tu si che hai il coraggio di un vero Grifondoro (=__________________= Scusate non ho resistito NdLucilla).

 

 Sollevo la testa, e per un attimo credo seriamente che il mio subconscio si sia improvvisamente materializzato davanti a me, fornendomi una chiara e vivida immagina di un Akira Sendoh con il cellulare in mano, tutto intento a fissare interessato lo schermo.

 Sbatto gli occhi un paio di volte, realizzando che, Come Salvador Dalì, potrei diventare una promettente pittrice surrealista, o (cosa decisamente più realistica) dovrei proprio smetterla con gli allucinogeni il sabato sera.

Ma niente.

L’alta figura rimane lì dov’è, mentre sul suo viso sboccia un sorriso allegro e gioviale, dolcemente più malizioso del solito.
 Lo osservo basita alzare gli occhi da terra e incontrare finalmente il mio sguardo.

 “Ma che coincidenza!!” Esclama estasiato, camminando spedito verso di me. “Ciao Miyu!”

 Passo dall’incredulità alla gioia in una frazione di secondo, mentre mi si dipinge in viso un sorriso a dir poco ebete. “Akira!”

 “Ma dov’eri finita?” Mi chiede, mentre si ferma a meno di mezzo metro da me. Vicino. Troppo vicino. “Sono giorni che non ti vedo!”

 Alché sbianco. “Ehm... sai...”

 Il suo sguardo, limpido e solare, si incupisce per un attimo, pensieroso. “Non mi dire che è per la faccenda di sabato, eh?”

 La mia espressione credo parli per me.

 “Non ci credo!” Sbotta grave. “Ti stai facendo problemi per una cosa simile?”

 “Ma veramente...”

 “Non anzi, ti stai facendo problemi per una cosa del genere con me?!?”

 

 

Un secondo.

Un battito di ciglia.

 

L’ istante che mi ci vuole per sgombrare del tutto la mente, nel tempo in cui mi sento sommergere da una sensazioni di tenerezza infinità, totalmente estranea alla mia personalità.

Vedo i suoi lineamenti così puliti, quasi infantili, e il cuore mi si riempie di felicità, così pura e intensa che quasi stento a riconoscerla come tale.

Cancello in un baleno i due anni divisi, i giorni passati a cercare di nascondermi al suo sguardo e mi lascio andare alla naturalezza, la stessa che provavo nel parlargli agli inizi, quella che ci unisce così strettamente.

 

 “Sono una deficiente...” Ammetto, alzando finalmente gli occhi su di lui.

 Come da copione, scoppia a ridere, posandomi una mano sulla testa. Un gesto una volta così normale che ora vivo come un esperienza straordinaria. Sento il suo tocco leggero, il calore del suo palmo, l’aurea di tranquillità che emana. “Parliamo di sabato?”

 Presa in contropiede, sussulto “Adesso?”

 Lo vedo lanciare preoccupato un’occhiata all’orologio, sospirando tragicamente “No, hai ragione, adesso devo scappare...”

 Mi sfugge un sospiro di sollievo, che lui non manca di notare.

 “Una sera magari ti vengo a trovare e ne parliamo, ok?” Lancia al vento con noncuranza.

 Ehhhh?” Strillo prima di portarmi la mano alla bocca. Devo fare qualcosa per la mia incapacità di bloccare le parole.

 Intimorito dal mio urletto isterico, Akira muove alcuni passi indietro. “Ah già scusa... il tuo ragazzo...”

 Ci metto qualche istante a collegare “Ragazzo?”

 “Beh, si... ragazzo, fidanzato, come lo vuoi chiamare!”

 “Ma quale?”

 “Come quale?”

 “Akira...” Sbotto frustrata “Ci siamo lasciati mesi fa!”

 Come risposta, ricevo un sorriso dolce come il miele, combinato ad un’espressione così infantile che per un attimo mi fa venire voglia di gettargli le braccia al collo. “Ah si?”

 “Si” confermo, radiosa.

 “Allora posso passare una sera di queste?”

 Stavolta riesco a impedirmi di sgolarmi, camuffando il tutto con un ghigno non propriamente innocente. “Ti aspetto. Fammi sapere”

 “Ci sentiamo per messaggio, ok?”

 Accenno un si, trattenendo il classico sorriso ottuso che mi sorprende ogni volta mi senta eccitata per qualcosa. “Ciao Akira”.

 Il cortile, ormai svuotato, fa da silenziosa cornice al nostro saluto. Lentamente, sempre con il sorriso sulle labbra, Akira si fa avanti, portando il suo corpo contro il mio. “Posso?”

 Deglutisco a vuoto, con la bocca secca e le labbra dischiuse dalla sorpresa. Mi allungo verso il suo petto, colmando la distanza tra di noi. Piano, attenta a non rovinare l’attimo, gli poggio le mani sul torace, stringendo appena la stoffa della sua camicia tra le dita. “Lo sai...”

 “Lo so?” Domanda artificiosamente ingenuo, mentre sento la sua presa sui miei fianchi. A rilento si intrufola sotto la divisa, sfiorando la mia pelle, bollente.

 In un gesto quasi automatico, porto le spalle all’indietro, spingendo il suo tocco verso l’alto. “Sai che puoi farlo...” Poggio le mie mani sulle sue e lo guido verso il mio seno, senza smettere per un solo attimo di sostenere il suo sguardo. “Se lo vuoi...”

 Akira sospira, lasciando la sua presa su di me con reticenza. “Devo andare...”

 “Lo so...” Mi scosto da lui, non riuscendo a non sembrare contrariata. “Vai”

 “Ciao porcellina” mugugna allegro.

 “Ehhhh?”

 Sbotta a ridere divertito. “Porcellina” Ripete.

 “Idiota” Replico, incapace di rimanere seria. “Vai”

 “Porcellina” dice prima di andare “Ricordati. Una sera di queste vengo.”

 Vaiiiiiii” Lo mando via con un gesto della mano. “Suuuu!”


 

Lo guardo allontanarsi, camminando all’indietro per prolungare il nostro saluto, le mani allacciate dietro la schiena e il passo cadenzato, quasi salterellante, di chi è spensierato e sereno da una vita.
All’ultimo, mi volta le spalle e corre in direzione della palestra, offrendomi la completa visuale di un fondoschiena da competizione.

 

 “Che scemo...” Mormoro compiaciuta, arricciando il naso. “Proprio uno scemo”

 

E prima che ne abbia la piena consapevolezza, la sua immagine mi si stampa indelebilmente nella retina.

 

 

 

...do you still remember,

how we used to be?.

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