L'alfabeto dei soldati.

di Laylath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A come Alchimista di Stato ***
Capitolo 2: *** B come Bandiera ***
Capitolo 3: *** C come Contegno. ***
Capitolo 4: *** D come Dossier ***
Capitolo 5: *** E come Etica ***
Capitolo 6: *** F come Fedeltà. ***
Capitolo 7: *** G come Giuramento. ***
Capitolo 8: *** H come Headquarter. ***
Capitolo 9: *** I come Igiene ***
Capitolo 10: *** L come legalità. ***
Capitolo 11: *** M come Morte. ***
Capitolo 12: *** N come Nemico. ***
Capitolo 13: *** O come Ordine. ***
Capitolo 14: *** P come Puntualità. ***
Capitolo 15: *** Q come Qualifica. ***
Capitolo 16: *** R come Riserbo. ***
Capitolo 17: *** S come Saluto. ***
Capitolo 18: *** T come Tattica. ***
Capitolo 19: *** U come Unità. ***
Capitolo 20: *** V come Vittoria. ***
Capitolo 21: *** Z come Zona rossa. ***



Capitolo 1
*** A come Alchimista di Stato ***


A come “Alchimista di Stato”

 
Questo documento ufficiale certifica che la nazione di Amestris, prefettura del Generalissimo, concede il titolo di _______ a ___________ nel nome del Comandante Supremo King Bradley.
L’alchimista di Stato deve seguire tutti gli ordini e le politiche dell’esercito.
Ogni anno sarà tenuta una verifica. Nel caso dell’Alchimista di Stato non mostri segni di progresso, come risultato dell’esame, egli sarà privato del titolo.
L’Alchimista di Stato è autorizzato all’uso di fondi di ricerca, libero accesso alla documentazione classificata, accesso alle varie strutture governative, e un grado militare pari a quello di Maggiore.
King Bradley.
 



Come il treno sparì dai binari della stazione di East City, il colonnello Mustang abbandonò la sua espressione sarcastica e sicura e si concesse un sospiro di disappunto.
E così era fatta: adesso aveva l’onore di aver come subordinato il più giovane Alchimista di Stato della storia.
Dodici anni appena… devo esser stato proprio folle ad offrirgli di entrare nell’esercito.
 Non che dubitasse delle capacità del ragazzo, assolutamente, anzi Acciaio, al secolo Edward Elric, prometteva di essere uno dei più grandi esponenti della sua categoria. Del resto che poteva aspettarsi da uno che era riuscito a compiere una trasmutazione umana, sebbene imperfetta?
E in che fiume di fango l’hai appena trascinato, Roy? – si chiese amaramente, continuando a fissare i binari ormai vuoti – Non ti è bastata Ishval? Non ti è bastato essere usato come arma umana? Dovevi coinvolgere anche lui?
I ricordi della guerra tornarono nella sua memoria come schegge doloranti: la sola idea di quel ragazzino biondo intento ad usare la sua alchimia per uccidere persone innocenti gli fece venire un fastidioso senso di nausea.
Quella trasmutazione umana è stata uno sciocco, egoistico ed infantile gesto d’amore…
Ma non era una giustificazione, una garanzia che per Edward Elric il destino non sarebbe stato crudele. In fondo lui stesso aveva imparato l’alchimia del fuoco con i migliori propositi del mondo.
E cosa era successo?
“Signore?” lo richiamò il tenente Hawkeye.
Girandosi verso la sua assistente, l’Alchimista di Fuoco per un tremendo istante vide lo sguardo carico di disprezzo che il suo maestro, Berthold Hawkeye, gli aveva rivolto quando aveva scoperto che era diventato un cane dell’esercito.
E forse aveva ragione a fissarmi in quel modo: probabilmente sapeva che l’alchimia sarebbe stata usata solo per questa follia. E’ la guerra… è l’esercito.
Ma gli occhi tornarono subito ad essere quelli castani e tranquilli di Riza: non somigliavano per nulla a quelli del vecchio Hawkeye.
Non c’era disprezzo, ma solo fiducia e comprensione.
“Eccomi, tenente, - annuì – possiamo tornare al Quartier Generale.”
Mentre scendevano gli scalini della stazione di East City, il colonnello si fermò a guardare quella città dove aveva trovato un minimo di pace dopo gli anni tormentati della guerra. Aveva la netta impressione che presto tutto questo sarebbe finito e che qualcosa si sarebbe smosso… magari a suo favore.
“Tenente, tu mi disprezzi?” chiese all’improvviso, girandosi a guardarla, cercando una somiglianza con il vecchio Hawkeye che però non trovò.
“Non dica sciocchezze, colonnello. – rispose la donna, scuotendo il capo dai lunghi capelli raccolti… tutti in squadra si stavano ancora abituando alla sua scelta di farli crescere – Torniamo a lavoro che è meglio.”
L’Alchimista sorrise: anche un cane dell’esercito, tutto sommato, poteva avere delle persone che lo consideravano positivamente, al di fuori del potere e della guerra…
E se valeva per lui, sarebbe valso ancora di più per quel ragazzino biondo.
E questa stupida speranza mi aiuta a stare meglio.

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Capitolo 2
*** B come Bandiera ***


B come “Bandiera”

 
La bandiera è il simbolo del nostro glorioso ed amato paese: essa rappresenta tutto ciò a cui un soldato deve fedeltà ed obbedienza.
Ogni militare deve ad essa il massimo rispetto ed è tenuto ad onorarla per tutta la sua permanenza nelle forze armate, in ogni occasione, sia ufficiale che non.


 
 
I combattimenti a Pendleton, contro Creta, sembravano non finire mai.
Il sottotenente Breda durante la sua carriera militare ne aveva visto di guerre e anche molto violente: la realtà che stava vivendo nella zona Ovest di Amestris non gli era sconosciuta, tutt’altro.
Ma sapere che dietro a tutte quelle morti e quel dolore c’era la volontà degli homunculus di creare uno stemma di sangue, gli lasciava un forte senso d’amaro in bocca.
E’ dunque per loro che hai rischiato la vita in battaglia tutte quelle volte? La tua devozione per il paese non è stata altro che un’illusione?
Questi pensieri lo attanagliavano ogni volta che andava in missione in quelle campagne ricoperte dai crateri delle bombe esplose, dove spesso c’erano ancora cadaveri disseminati sul terreno che nessuno si era preso la briga di recuperare. Sono i vivi a necessitare di attenzioni, i morti possono attendere.
Quello era un pensiero tremendamente umano e razionale… forse uno dei pochi che non appartenesse agli homunculus, ma ai soldati.
 
Quel giorno era andato in avanscoperta rispetto alla squadra di soccorso: si stava ancora riprendendo da una ferita e dunque la prima linea gli era stata risparmiata almeno per quella settimana. Un pensiero incredibilmente gentile dato che gli uomini del colonnello Mustang venivano spediti senza esitazione dove c’era più pericolo: un decesso in campo di battaglia è perfettamente giustificabile.
Giustificabile ed onorevole… maledetti loro.
Ancora una volta scosse la testa fulva di fronte a quella storpiatura dei valori in cui aveva creduto e si concentrò sulla missione. Ma quando arrivò sul luogo indicato fu chiaro che per la squadra che dovevano soccorrere era troppo tardi: l’imboscata nemica era stata fatale
“Merda!” sibilò, avanzando con cautela in mezzo a quei cadaveri e a quelle lamiere, tenendo il fucile ben stretto nell’eventualità che il nemico fosse ancora nelle vicinanze. L’odore della polvere da sparo, della carne bruciata dalle granate gli punse le narici: si era tutto consumato nemmeno un’ora prima.
Dopo qualche secondo, gli occhi grigi colsero un movimento a sinistra, proprio sui resti di un veicolo dell’esercito ormai distrutto dalle esplosioni: vide un giovane soldato che si muoveva ancora, la schiena poggiata pesantemente alle lamiere.
“Ehi! Stai bene?” esclamò Breda, accostandosi a lui e levandogli l’elmetto.
Era molto giovane e in un tremendo modo gli ricordava Fury, se non fosse stato per la mancanza degli occhiali. Per un millesimo di secondo i suoi pensieri corsero al piccolo sergente che cercava di sopravvivere nel fronte sud del paese, ma poi la sua attenzione ritornò al ferito.
“La… la gamba” mormorò quel soldato senza nome, accennando all’arto.
Breda abbassò lo sguardo e vide che era ridotta a una massa rossastra e sanguinante: probabilmente i medici gliel’avrebbero dovuta amputare… sempre che arrivasse in tempo all’ospedale da campo.
“Bisogna fermare l’emorragia: – dichiarò il sottotenente, cercando qualcosa con cui bendarlo – cerca di restare cosciente.”
Si guardò attorno, cercando qualcosa con cui fasciare quella ferita che stava rapidamente uccidendo quel ragazzo, ma non c’era niente in quella radura sconvolta dalla morte.
Poi colse un bagliore verde sotto le lamiere dove stava appoggiato il soldato: scostando diversi pezzi del veicolo militare ormai distrutto, vide che si trattava della bandiera di Amestris.
Era piegata con cura e miracolosamente linda e pulita: evidentemente era trasportata assieme ai rifornimenti e in qualche modo si era salvata dalle esplosioni. Prendendola in mano e spiegandola, il sottotenente ripensò al momento in cui, anni prima, aveva giurato fedeltà all’esercito, tenendo tra le dita quella bandiera che per lui aveva significato tanto.
No… non è corretto: significa ancora tanto.
Serrò gli occhi con rabbia e strappò a metà la stoffa verde e argento che cedette immediatamente alla sua forza.
“Coraggio, - disse usando quella benda improvvisata per fasciare la gamba del giovane – ce la puoi fare, ragazzo.”
Il verde diventò subito scarlatto come entrò in contatto col sangue.
Non erano due colori che si abbinavano felicemente.

 

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Capitolo 3
*** C come Contegno. ***


C come “Contegno” 

 
Per riguardo nei confronti della divisa che indossa, un soldato deve mantenere un adeguato contegno in qualsiasi occasione, sia ufficiale che non.
Ogni soldato è rappresentante delle forze armate agli occhi della popolazione e, come tale, deve dimostrarsi degno della fiducia, rispetto e ammirazione da parte dei civili.


 
 
L’avevano detto che gliel’avrebbero fatta pagare, era solo questione di tempo.
Per questo non era rimasto troppo sorpreso quando quella mattina, mentre si dirigeva a lavoro, delle mani l’avevano afferrato da dietro e l’avevano trascinato in un’area del Quartier Generale che gli era pressoché sconosciuta.
Quando finalmente avevano mollato la presa, gettandolo a terra, aveva potuto vedere di chi si trattava e il suo cuore aveva smesso di battere per qualche tremendo secondo. Erano i suoi peggiori tormentatori sin dai tempi dell’Accademia e dalle loro facce capiva che questa volta sarebbe stata peggiore di tutte le altre.
“Ti avevamo avvisato di stare al tuo posto, ragazzino.” fu quella l’unica frase che disse il capo dei tre, prima che il suo castigo per essere arrivato in alto iniziasse.
Ma, in fondo, l’aveva quasi messo in conto ed era arrivato ad accettarlo.
Mentre un calcio allo stomaco lo faceva piegare in due dal dolore, mozzandogli il fiato, una piccola parte di lui si impose di non gridare o lamentarsi troppo: le dimostrazioni di angoscia fomentano ancora di più le belve.
Sperava solo che finisse presto.
 
Arrivò in ufficio con una decina di minuti di ritardo: in realtà i suoi aguzzini l’avevano lasciato andare in tempo per farlo arrivare in orario. Ma era così pesto e dolorante che la sua andatura era stata obbligatoriamente rallentata. Un lavoro professionale, non c’era che dire: mani e viso, le parti visibili dalla divisa, erano state risparmiate in modo che non ci fossero prove di quel pestaggio.
Sopportare in silenzio, anche questo era parte del gioco di tormenti di cui lui era la vittima.
Perché se saltava fuori la cosa la punizione poteva essere anche peggiore.
Ma soprattutto era lui stesso che non voleva cedere alle lacrime: aveva una perversa forma di contegno nel trattenere tutto dentro.
“Soldato, sei in ritardo. – disse il tenente Hawkeye, mentre lui prendeva posto nella sua scrivania con mosse esageratamente lente. Respirare faceva male: forse aveva qualche costola danneggiata – E’ successo qualcosa?”
“No, signora – mormorò Fury con voce flebile ma controllata – Mi scusi per il ritardo: non si ripeterà più.”
No, Kain Fury avrebbe tenuto l’adeguato contegno in quell’ufficio: non sarebbe apparso come un ragazzino debole e piagnucolante. Qualche mese prima l’Alchimista di Fuoco l’aveva voluto nella sua squadra e lui ne era profondamente felice ed orgoglioso. Anche se aveva solo diciotto anni doveva dimostrare di avere la giusta dignità e contegno: niente lamenti e lacrime davanti ai suoi colleghi.
Si buttò a capofitto nel riparare la radio, cercando di muoversi nella maniera più sciolta possibile, nonostante tutto il suo corpo si lamentasse per il dolore ed i lividi. Faceva malissimo trattenere quelle lacrime, quel fiato, ma non doveva cedere.
Non davanti a loro.
“Fury, vieni qui.” lo chiamò all’improvviso la sua voce.
E ne ebbe profondamente paura, perché lui non l’avrebbe chiamato mai senza un motivo.
Ignorando le proteste delle gambe si alzò in piedi e si portò davanti alla scrivania del colonnello. Stava dritto, sull’attenti com’era giusto che fosse, ma non poteva fare a meno di tenere lo sguardo basso: non voleva che leggesse nei suoi occhi quanto era successo.
“Signore?” mormorò.
“Va tutto bene?” la voce aveva un tono più gentile del solito e questo rendeva tutto più difficile.
L’ha capito… ovvio che non gli sarebbe sfuggito. Trattieni queste dannate lacrime, Kain. Sei un soldato, mantieni il contegno almeno davanti a lui.
“Certo, signore.” si costrinse a dire.
Ci fu un interminabile silenzio e Fury si accorse che anche l’attenzione di Havoc, Breda, Falman e del tenente era puntata su di lui: ma chi voleva ingannare? Probabilmente avevano capito tutto da quando era entrato.
“In genere quando lavori alla radio ti levi la giacca della divisa; – proseguì la voce del colonnello – perché oggi non l’hai fatto?”
“Oggi… oggi ho un po’ freddo, signore.”
… e devo nascondere i lividi sulle braccia… con la camicia a maniche corte si vedono.
“Fury…” Mustang si era alzato dalla scrivania e si era portato davanti a lui.
“Si?” fu costretto ad alzare lo sguardo sull’alchimista, non ne poteva fare a meno. Una lacrima iniziò a solleticargli l’occhio destro, ma lui la ricacciò indietro per mantenere il contegno che…
“… ti levi la giacca, per favore?”
Gli occhi scuri dietro le lenti si sgranarono e per qualche terribile secondo fu tentato di scappare via da quell’ufficio. Ma mentre restava paralizzato per la sorpresa, le mani del colonnello iniziarono a sbottonare la parte superiore della sua giacca… furono dieci, interminabili, orribili secondi. Perché Mustang gli levò l’indumento con lentezza e delicatezza, per evitare di provocare ulteriore dolore.
E che cosa gli restava da fare se non stare in piedi davanti al suo superiore, con le braccia piene di lividi, il viso pallido ed il respiro rotto da singhiozzi che stavano per uscire prepotentemente fuori?
“Cazzo, tappo, chi è stato a farti questo?” la voce di Havoc spezzò il ronzio che gli disturbava l’udito. Sentì le mani del sottotenente che gli serravano le braccia, cariche d’ira e fomento.
Perché quel ragazzo grande e grosso, all’apparenza così minaccioso, per quanto a volte lo trattasse con irruenza, non l’aveva mai picchiato.
“S… sottotenente, - mormorò con tutta la forza di volontà che gli restava - … per… per favore, signore, mi sta facendo male.”
“Smettila di stringergli le braccia in quel modo, scemo. – sbottò Breda, scostando l’amico – Ehi, ragazzino, da bravo, guardami… hai il fiato corto, fammi sentire. – e la mano incredibilmente gentile del rosso gli tastò il torace – Tu hai qualche costola incrinata… e chissà che altro.”
Mantieni… questo… maledetto… contegno!
“Vieni, soldatino, - la voce del tenente, una mano delicata che si posava sulle sue spalle – siediti e stai tranquillo… Falman, lo prendi un bicchiere d’acqua?”
“Certo, signora.”
Una prima lacrima rotolò sulla sua guancia…
In mezzo a tutto quello che successe dopo, mentre la sua squadra si prodigava attorno a lui, ricordò solo la voce di Havoc.
“Appena scopro chi sono gliela faccio pagare cara! Non oseranno mai più toccarlo.”
 
E davvero nessuno osò più toccarlo.

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Capitolo 4
*** D come Dossier ***


D come “Dossier”

 
Al soldato è richiesta la capacità di saper redigere e consultare i dossier. Essi sono parte fondamentale della documentazione militare e, in quanto tali, deve essere dedicata loro la maggior cura possibile.
Il buon militare si vede sia nell’azione pratica che nell’attività amministrativa.
 


Mancava un dossier.
Falman impallidì quando si accorse che il suo timore si era rivelato fondato.
Aveva già avuto il vago sentore che qualcosa non andava quando aveva iniziato a rimettere a posto quello schedario: una rapida occhiata gli aveva indicato che c’era una lacuna, ma aveva aspettato di sistemare tutto quanto prima di disperarsi seriamente.
Quella mancanza era una cosa estremamente grave.
La sua mente iniziò a lavorare freneticamente cercando di capire cosa mancasse: ricostruì tutto il lavoro che aveva fatto la sua squadra nelle ultime due settimane. Per ogni suo compagno ricordò i fascicoli a cui aveva lavorato, controllando sistematicamente la loro presenza in quel cassetto dello schedario.
Non può mancarne uno! Non può! Ma perché non fanno attenzione quando consultano i dossier?
Già, perché i suoi compagni spesso e volentieri prendevano e mettevano i fascicoli come preferivano: ordine cronologico, alfabetico, di ufficio di competenza… ciascuno seguiva quello che voleva o non seguiva alcun metodo.
Certo, tanto poi c’era lui a rimettere a posto tutto quanto e a scervellarsi quando non si trovava qualcosa.
Erano questi i momenti in cui la personalità calma e tranquilla del maresciallo veniva messa duramente alla prova.  
E dai! Eppure gliel’ho chiesto almeno cento volte di prestare un minimo d’attenzione…
Con il viso che abbandonava la solita impassibilità per assumere un’espressione chiaramente contrariata, l’uomo si mise a controllare anche gli altri cassetti nel malaugurato, ma non improbabile, caso che qualcuno avesse fatto confusione.
Mentre spulciava tra le etichette delle cartelle, si irrigidì.
Non è che il cane del tenente ha di nuovo giocato con la carta?
Era successo una sola volta che Black Hayate fosse salito sulla sua scrivania e avesse praticamente distrutto un dossier: la disciplina del tenente aveva rimesso in riga la mascotte della squadra… tuttavia per Falman il trauma era stato tale che la distruzione dei documenti ad opera del cane era il suo incubo ricorrente.
Tuttavia si costrinse a calmarsi: non avevano visto residui di fogli in giro (quel crimine lasciava inevitabili tracce) e dunque era impossibile che il dossier mancante fosse finito tra le fauci del cane.
Va bene, nemmeno qui c’è. Calmati, Vato, e rifletti: manca il dossier 652, quello relativo al caso A12. E quel fascicolo per motivi burocratici doveva essere redatto dal responsabile in persona… quindi l’ha scritto il colonnello.
Domanda fondamentale ed ovvia: conoscendo la leggendaria pigrizia del suo superiore, Falman poteva essere davvero certo che il dossier fosse stato prodotto?
Risposta altrettanto ovvia: conoscendo l’altrettanto leggendaria tenacia del tenente nel far svolgere i… compiti… al colonnello, specie se c’erano scadenze come in quel caso, quel dossier era per forza stato redatto.
Ma sì, Vato, non perdere la lucidità. L’hai anche ricontrollato tu stesso per correggere eventuali errori, dato che il colonnello l’aveva scritto con particolare svogliatezza.
Dunque il dossier esisteva: doveva solo capire che fine avesse fatto; forse era meglio chiedere a…
 “Mio preziosissimo maresciallo! – esclamò Mustang entrando di corsa, portandosi accanto a Falman e dandogli un’amichevole pacca sulle spalle – Mio grandioso soldato dalla memoria prodigiosa.”
“Signore?” si sorprese il soldato arrossendo per quegli inaspettati e sospetti complimenti rivolti alla sua persona.
Ma almeno il colonnello era lì e avrebbe potuto chiedere a lui se sapeva dove…
“Tu che hai la meravigliosa capacità di ricordare perfettamente ogni cosa che leggi… ti ricordi per caso del dossier che il tenente mi ha obbligato a fare in questi giorni?”
“Sì, certo. - annuì lui, lieto che l’argomento fosse stato introdotto – Volevo giusto chiederle se sapeva dove è andato a fini…”
“… senti, saresti capace di riprodurlo entro… uhm… un quarto d’ora, ossia prima che arrivi il tenente e mi ammazzi?” chiese Mustang interrompendolo.
“Che? – sbiancò Falman, rendendosi conto della tragedia che gli era appena stata annunciata: se gli aveva chiesto di riprodurlo voleva dire che… – Ma signore! Che cosa è successo al dossier originale?”
L’alchimista esibì un sorriso colpevole e si gratto con lieve imbarazzo una guancia
“Ecco… credo di aver usato quei fogli per provare un nuovo modo di innescare l’alchimia del fuoco. Solo dopo mi sono accorto che si trattava del dossier…”
“Colonnello!” sospirò il maresciallo che considerava eresia allo stato puro trattare in simile modo dei preziosissimi dossier. Possibile che nessuno in quell’ufficio, eccetto lui, capisse l’importanza del materiale documentario?
“Allora, lo farai? Salvami la giornata, Falman, e ti concedo due giorni di ferie.”
“Sono cinquanta pagine…”
“Oh non ho dubbi che te la caverai!”
Falman scosse il capo con rassegnazione e si diresse alla sua scrivania.
Allungando una mano prese una risma di fogli puliti e iniziò a scrivere, aiutato dalla sua prodigiosa memoria.
A volte il pericolo maggiore per i dossier non era Black Hayate.

 

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Capitolo 5
*** E come Etica ***


E come “Etica”

 
Facendo parte di un’istituzione fondamentale come l’esercito, al soldato è richiesto di mantenere un atteggiamento eticamente corretto.
L’etica militare è fondamentale per garantire l’immagine ed il decoro delle forze armate.


 
 
 
A Fury non piaceva per niente l’incarico a cui era stata chiamata la sua squadra.
Ma erano ordini che venivano da Central, come gli aveva spiegato Breda, ed in quanto tali nemmeno il Generale Grumman aveva l’autorità di opporsi.
E’ inevitabile che a volte ti troverai a compiere incarichi sgraditi, sergente.
Sì, era vero ed era una realtà che Fury aveva imparato ad accettare. Ma in quello che stava vedendo c’era un’ingiustizia di fondo che proprio non riusciva ad andargli giù.
Perché quelle persone dovevano essere deportate in quel modo?
Era vero, lui era molto giovane e non aveva vissuto la guerra e dunque, forse, la visione di quei superstiti di Ishval non suscitava in lui sentimenti di rancore, come invece succedeva per i soldati che al fronte avevano perso amici e commilitoni o per la gente comune che considerava quel popolo come la causa scatenante della guerra civile che aveva martoriato per anni il paese.
Tuttavia, guardando a turno i membri della sua squadra che, sovrintendevano lo sgombero di quel campo profughi, si accorse che non c’era odio nelle loro persone, solo tanta efficienza. Come se volessero finire al più presto quel compito così sgradito e tornare nella tranquillità dell’ufficio. In particolare il colonnello ed il tenente sembravano essere più impassibili del previsto: Mustang stava seduto ad un tavolo da campo a controllare i documenti relativi a quei duecentoventisei profughi ed il tenente era in piedi accanto a lui. Non c’era la solita pigrizia nelle azioni dell’alchimista di fuoco, tutt’altro: non aveva bisogno dello sprone del tenente per compiere quel lavoro.
Dall’altra parte del tavolo stava il maresciallo Falman che prima di passare i documenti al colonnello li controllava a sua volta, i movimenti della mano rigidi e controllati.
Havoc e Breda comandavano il plotone di soldati che stava ai lati della strada che i profughi percorrevano con passo lento e stanco per arrivare al treno. Era un modo per tenerli separati dal resto della gente che in quel momento si trovava in stazione.
E lui, in tutto questo, stava proprio tra quei soldati: Havoc gli aveva detto di stare lì, con il fucile tra le mani e di stare tranquillo. E lui stava eseguendo l’ordine, com’era giusto.
L’operazione andava avanti da circa un’ora: era necessario controllare i documenti di ogni singola persona e spesso c’erano riscontri da fare con l’elenco, bambini piccoli privi di carte che ne garantissero l’identità… c’era tanta silenziosa pena in quello che stava succedendo.
“Mamma dove stiamo andando?” chiese una bimbetta dai grandi occhi rossi, aggrappandosi alla mano di una donna vestita poveramente. La sua voce spezzò il silenzio di quella processione e Fury sussultò.
“Andiamo in una nuova casa, tesoro" rispose sommessamente la donna, guardandosi intorno con preoccupazione, timorosa che l’aver spezzato quel silenzio provocasse qualche reazione.
E ci fu, ma non da parte dell’esercito o dei profughi, ma da parte di alcuni civili che stavano lì vicino.
“Mandateli via, questi maledetti!” urlò qualcuno.
“Sì, esatto! Basta tenerli vicino a noi! Che marciscano altrove!”
Fortunatamente si trattò solo di proteste vocali, senza nessun tentativo di sommossa.
Ma Fury vide quanta paura c’era negli occhi rossi di quelle donne, di quelle persone anziane, così numerose, di quei bambini… erano pochissimi gli uomini in forze: loro erano stati già trasferiti con un altro convoglio.
La bambina che prima aveva fatto la domanda alla madre si mise a piangere sommessamente e nascose il viso tra le vesti della donna.
“Da brava Shanti, cammina.” mormorò questa, incitandola a camminare per non rallentare la fila.
Fury scosse il capo: sentiva che lui, stando fermo con quel fucile in mano, non si stava comportando nel modo giusto.
Volgendo lo sguardo verso la fila che avanzava vide un’anziana donna che si sorreggeva appena con un bastone: sembrava non avere congiunti e le persone che le stavano vicino erano così cariche della loro povera roba che non potevano aiutarla. E piano piano stava venendo superata dagli altri… la cosa doveva spaventarla molto, perché il sergente vide il suo passo vacillante tentare di aumentare l’andatura.
Fu un attimo e Fury posò il fucile a terra, spinto dal suo animo e dalla consapevolezza che doveva seguire un’altra etica più importante. Si accostò con gentilezza alla donna che poteva essere tranquillamente una delle tante anziane e dolci signore del suo paese e la sorresse.
“Stia tranquilla, signora – le sorrise con fare rassicurante – la aiuto io ad arrivare al treno.”
La donna alzò lo sguardo su di lui, era così incurvata dagli anni e dal dolore che persino uno basso come il sergente la sovrastava. Gli occhi rossi, appannati dall’età, guardarono il viso gentile del giovane che le sorrideva. Fu  un confronto che durò solo pochi secondi e poi trovò la forza di sorridere a sua volta e mormorare.
“Grazie, figlio mio, grazie tante…”
E consapevole di avere addosso lo sguardo di tutti quanti, il giovane iniziò ad avanzare, sostenendo quella vecchina come se fosse una cara nonna a cui si è molto affezionati. Quando arrivarono davanti ad Havoc, Fury si accorse che gli occhi azzurri del sottotenente lo fissavano… ma ormai era giunto al vagone e se avesse ricevuto un rimprovero era disposto ad accettarlo.
“Venga, signora, - disse Havoc, accostandosi a sua volta alla vecchietta – ci sono alcuni gradini per salire sul treno e ha bisogno di un sostegno maggiore di quello che può darle il nostro piccolo sergente.”
“Grazie… grazie, caro…”
“Va bene, ragazzi, - disse Breda, che stava lì vicino, rivolgendosi agli altri soldati in fila – siamo rimasti fin troppo tempo a guardare: diamo una mano a queste persone, coraggio.”
E con somma sorpresa di tutti i civili presenti nella stazione, le fila del plotone si ruppero e i soldati si apprestarono a porgere il loro aiuto a quelle persone che, dopo qualche secondo d’esitazione, capirono che davanti a loro non c’erano nemici, ma solo uomini gentili che volevano aiutarli.
“Oggi hai fatto una bellissima azione, ragazzo. – mormorò Havoc, arruffando i capelli corvini di Fury, prima di andare ad aiutare altra gente – Sono veramente fiero di te.”
E anche dall’altra parte della fila, Mustang si rese conto di quanto era successo e si sentì incredibilmente orgoglioso del sergente.

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Capitolo 6
*** F come Fedeltà. ***


F come “Fedeltà”

 
Una delle caratteristiche che deve contraddistinguere il vero soldato è la fedeltà. Questo sentimento deve animare qualsiasi sua azione e decisione ed è fondamentale affinché ci possa essere fiducia all’interno dei ranghi durante le missioni che l’esercito è chiamato a svolgere.
Un soldato è innanzitutto fedele.
 


 
Sapeva che c’era molto pericolo in quel posto, anzi troppo.
Le sue orecchie si rizzarono, cogliendo tutti quei rumori, il suo naso captò l’odore di polvere da sparo e di bruciato e l’istinto lo fece indietreggiare di alcuni metri. Tutto il suo pelo era ritto e la cute sotto di esso gli prudeva per la cenere e la polvere che gli era andata addosso.
Scappa, scappa, scappa!
Era questo che gli gridava con tutte le sue forze l’istinto.
I suoi occhi neri erano dilatati dalla paura mentre vedeva quell’edificio in fiamme: sapeva che stava per crollare. Perché la sua padrona e gli altri non uscivano da lì? Possibile che non capissero che stavano rischiando seriamente di farsi male?
Black Hayate abbaiò disperatamente, cercando di chiamare la sua famiglia, ma una parte di lui sapeva benissimo che non potevano sentirlo da quella distanza e con il rombo di quelle fiamme.
Vide che attorno al palazzo altri umani avevano creato una sorta di cordone di protezione, ma nessuno di loro correva dentro per aiutare i suoi amici.
All’improvviso vide che dalla porta uscivano due figure, una che sosteneva l’altra e il suo piccolo cuore smise di battere per qualche secondo.
“Sottotenente Breda, – esclamò uno dei soldati facendosi avanti e aiutandolo a portare l’altro soldato che stava praticamente sollevando da terra – dove sono gli altri?”
“Sono ancora all’interno! – dichiarò il grosso soldato, cadendo in ginocchio e tossendo – Bisogna aiutarli subito!”
Gli altri militari si guardarono tra di loro, ma nessuno si fece avanti.
Intanto il cane corse verso la persona che era stata fatta sdraiare dietro il cordone dei militari. Uggiolando gli mordicchiò gli occhiali e procedette a leccargli le guance, levando con la sua lingua rasposa quella fastidiosa fuliggine.
Gli occhi del giovane si aprirono e dopo qualche attimo lo riconobbero.
“Hayate… - mormorò Fury con la voce rotta – Hayate… salvali… salvali… non possono trovare l’uscita da soli.”
Delle lacrime solcarono il viso del suo amico umano ed Hayate capì che la situazione era davvero grave.
“Non possiamo entrare… è troppo pericoloso, signore! – stava dicendo, nel frattempo, un soldato che tratteneva Breda – L’ha detto lei stesso che le vie sono quasi tutte impraticabili e anche se riuscissimo a penetrare, l’edificio è troppo grande e non sappiamo dove sono: non faremo mai in tempo a trovarli!”
“E fai andare me! Lasciami andare, stronzo!” sbottò Breda, mentre altri uomini si facevano avanti per trattenerlo.
“No, signore! Non posso lasciarla suicidare così… è già tanto che lei ed il sergente ne siete usciti vivi e…”
“Cazzo! C’è più di metà della mia squadra là dentro!”
Il cane impazzì a quelle parole: volevano abbandonarli?
Diede un lieve morso rassicurante all’indice destro del sergente che tossiva con disperazione.
Stai tranquillo, amico mio, li aiuto io ad uscire da lì. Non li abbandonerò.
E spiccò la corsa verso l’edificio in fiamme, superando anche il sottotenente Breda e gli altri soldati, inoltrandosi in quel posto così caldo dove c’era tutto quel fumo.
Iniziò ad annusare con fatica, cercando di discernere l’odore della sua padrona e degli altri da quello di bruciato: le narici gli davano tanto fastidio e sentì che il respiro diventava pesante, ma non poteva cedere. Erano il suo branco, si fidavano di lui… e lui li avrebbe aiutati perché era così che funzionava.
Certo, ci voleva tutto il coraggio del mondo per non dare retta all’istinto di scappare via, ma Black Hayate era prima di tutto un cane fedele e avrebbe fatto tutto quanto gli era concesso.
Più volte le sue zampe si scottarono in quel posto così caldo, più volte rischiò di finire sotto delle cose che cadevano dal soffitto, sprigionando montagne di scintille, ma non cedette fino a quando non sentì un odore familiare.
Il sottotenente dal pelo biondo… è l’odore delle cose che ha in bocca, non posso sbagliare!
Spiccò la corsa verso quella traccia familiare e dopo diverso tempo finalmente li vide.
“Hayate! Hayate! – esclamò Riza mentre il cane le balzava tra le braccia – Piccolo mio, che ci fai qui?”
Che ci faccio qui? Sono venuto a salvarti, padroncina, a salvare tutti voi… venite, fidatevi… l’uscita è da questa parte!
“Oh cazzo… il cane ci sta indicando di andare dalla parte dove ci sono le fiamme.”
“Ha ragione, sottotenente, ma forse dovremmo fidarci di lui.”  disse Falman.
“E’ anche vero che la via che stiamo seguendo va verso l’interno dell’edificio e non fuori – sospirò Mustang – va bene, forza Havoc, appoggiati a me e a Falman, vediamo di uscirne vivi. Andiamo, bello, mostraci la strada che hai seguito.”
Con alcuni latrati il cane iniziò a condurli fuori da quel posto, seguendo la pista che aveva trovato. Andava lentamente, aspettando che gli altri, rallentati dal biondo che era ferito, lo seguissero.
“Gli faccio un monumento a questo cane se ne usciamo vivi…”
“Risparmia il fiato, Havoc… - tossì Mustang – siamo già con un intossicazione in corso e parlare è anche peggio”
E Hayate continuò a guidarli, incurante della debolezza che iniziava ad attanagliarlo, del respiro difficoltoso, delle zampe doloranti: si stavano fidando di lui e non li avrebbe delusi.
Fu solo dopo un periodo interminabile, quando vide l’ingresso dell’edificio, che si concesse di esultare.
“Bravo, piccolo, bravo!” mormorò Riza, prendendolo in braccio.
Tutto poi si fece confuso e distante, sentiva le voci attorno a lui, mani gentili che gli accarezzavano il pelo e poi niente.
 
Si risvegliò dentro ad una cesta, le zampe fasciate con delle bende umide e fresche… finalmente non bruciavano più.
“Ciao, amico mio, ti sei svegliato… - la voce del suo compagno di giochi lo salutò e sentì il suo viso che affondava nel pelo del suo collo – ci hai fatto stare in pensiero.”
Hai visto che li ho salvati? Stanno tutti bene... vero?
Hayate uggiolò leccando debolmente la mano del giovane.
“Sono in ospedale, ma stanno tutti bene – rispose Fury. Hayate non aveva dubbi sul fatto che lui e quell’umano potessero comunicare anche senza parlare la stessa lingua – ed è solo grazie a te. Ma non avevo dubbi che ce l’avresti fatta: perché tu sei il cane più fedele e coraggioso del mondo.”
Oh, non ti preoccupare amico mio… - pensò Hayate prima di risprofondare nel sonno ristoratore, cullato da quelle carezze così gentili – Per voi che siete la mia famiglia questo ed altro.
 

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Capitolo 7
*** G come Giuramento. ***


G come “Giuramento”

 
Diventando un soldato la prima cosa che si deve fare è prestare giuramento all’esercito e alle istituzioni. La fedeltà della persona deve andare allo stato e alla bandiera e da quel momento ogni sua azione deve esser volta al bene comune e all’ordine costituito.
Col giuramento un soldato impegna la propria vita e la propria anima.


 
 
Merda!” sibilò Havoc mentre la sedia a rotelle sbatteva contro lo stipite della porta: era la millesima volta che succedeva ed era tornato a casa solo da qualche settimana. Proprio non riusciva a venire a patti con le manovre da fare con quel maledetto trabiccolo.
“E’ facilissimo, sottotenente – scimmiottò con ira, facendo il verso al medico che gli aveva spiegato come usarla – così si gira, così si frena… facile un cazzo! Ci vuole un corso per guidare questa trappola con le ruote!”
Finalmente con uno strattone riuscì a liberare la ruota dalla porta e a entrare nell’emporio.
Si mise nella sua postazione, accanto al telefono ed accese una sigaretta.
Tranquillità, tanta… troppa. Si era dimenticato di quanto potesse esser monotona la vita in campagna, specie se le tue gambe paralizzate ti impediscono di fare tutte le cose che richiedono un minimo di movimento.
E poi la sua vita non era più in quel posto: lì c’era la sua famiglia, dove tornare ogni tanto, dove chiamare per sapere come andavano le cose. Un luogo tranquillo dove poter riposare di tanto in tanto, assaporando i ricordi dell’infanzia.
Ma quel posto aveva cessato di essere suo nel momento in cui era entrato in Accademia.
Accademia… ecco l’ondata di nostalgia che si ripresentava: i medici l’avrebbero dovuto avvisare che uno degli effetti collaterali del congedo forzato sarebbero stati attacchi di ricordi uno più bello dell’altro e per questo fottutamente tristi. Ma non la tristezza di quando una storia d’amore finisce. No, una tristezza più vigliacca e profonda che ti attanaglia ogni fibra del tuo corpo, anche le gambe che in teoria non potresti sentire.
Jean Havoc, sei il mio miglior amico, il mio fratello di sangue acquisito. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre e so che anche per te sarà così.
Ecco… ecco il ricordo peggiore. Ogni volta si iniziava sempre da quello, da quella stretta di mano fatta l’ultima notte in accademia tra lui e Breda. Con un sospiro tremante il sottotenente guardò il palmo della mano sinistra e cercò una cicatrice che in realtà non c’era… ma il suo cuore la trovò: quel piccolo taglio con cui avevano suggellato il loro legame di sangue.
“Quando avrai bisogno di me io ci sarò… cazzo, Breda, non può più funzionare… non posso… così.”
Dire quelle parole gli fece malissimo: era un pensiero che aveva già da tempo, ma averlo detto per la prima volta a voce alta lo rese maledettamente reale.
Era in una dannata sedia a rotelle, non poteva più aiutarli… non poteva più difenderli.
Havoc, ascoltami bene, adesso che la questione di Scar si sta facendo più pericolosa del previsto e non so che sviluppi avrà ti chiedo un favore enorme: proteggili. Perché tu sei il leader di quei tre: si fidano completamente di te e anche io… giurami che qualunque cosa succeda, ti prenderai cura di loro.
Altro giuramento mancato: Breda ad Ovest, Falman a Nord, Fury a Sud… e lui bloccato in quella stanza ad Est. Bella protezione poteva offrire a tutti loro.
Merda… se penso che quel piccoletto è in trincea con le granate che gli piovono addosso.
Sì, perché lui non aveva avuto bisogno delle parole del colonnello per fare quel giuramento a se stesso: erano la sua squadra, i suoi compagni… si era sempre ripromesso di difenderli a qualunque costo. In questo momento avrebbe dovuto essere con Fury nella trincea a prenderlo in giro bonariamente per fargli ricacciare indietro le inevitabili lacrime di paura… avrebbe dovuto essere a Nord con Falman, per fargli raccontare qualche cosa…
Dovrei essere ad Ovest a proteggerti le spalle come ho sempre fatto… cazzo Heymans, perdonami. Sono l’amico peggiore che tu potessi avere.
La cenere della sigaretta stava per cadere e lui approfittò di quella distrazione per ricacciare indietro le lacrime. Mentre posava la sigaretta nel posacenere, il telefono squillò.
Oh, grazie al cielo… almeno la smetto di pensare a tutto questo.
“Qui emporio Havoc…” iniziò, prendendo la cornetta, sperando che la sua voce fosse tranquilla.
Ah, cazzo, pensavo fosse il ristorante… uhmpf, pessima abitudine quella di sapere il numero dell’emporio a memoria… sbaglio sempre
Ma come si può smettere di pensare, se proprio il tuo miglior amico ti chiama così spesso?
“Sei tutto scemo, Breda…”
Beh, in ogni caso cercherò di rendere utile questa chiamata: ho sentito gli altri al telefono e ho promesso loro di far avere anche notizie di te… siamo peggio di un centralino”
“Siamo una massa di coglioni.” rise sinceramente Havoc, dimenticandosi di essere in sedia a rotelle e illudendosi di avere la divisa addosso.
Ma la sua anima colse il sincero affetto nelle parole dell’amico e anche quello di Falman e Fury.
Era qualcosa di incredibile però… in fondo potevano proteggersi anche con una semplice telefonata.
Giuro… giuro che non mi arrenderò e tornerò da voi a qualsiasi costo!

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Capitolo 8
*** H come Headquarter. ***


H come “Headquarter”

 
Il Quartier Generale del settore di appartenenza è il punto di riferimento fondamentale per ogni soldato. Sono centri nevralgici dell’esercito dalla cui efficienza dipende il buon andamento di questa istituzione.
La collaborazione tra i vari Quartier Generali è fondamentale.
 
 

Il colonnello Mustang camminava avanti e indietro nell’ufficio, i suoi stivali che echeggiavano nel silenzio generale. I suoi uomini stavano sull’attenti davanti alla sua scrivania, i volti tesi e seri, attendendo che il loro superiore si decidesse a parlare.
Erano esausti e stravolti: gli ultimi due giorni erano stati davvero massacranti. Il colonnello era perfettamente consapevole delle loro condizioni: avevano fatto una stima dei danni proprio la sera precedente; garze e fasciature erano stati usati in gran quantità e persino il tenente Hawkeye presentava un grosso cerotto sulla guancia destra. Una notte di sonno aveva consentito di recuperare un minimo le forze, ma erano veramente provati.
Ma nei loro occhi bruciava una fortissima determinazione.
“Va bene! – dichiarò Mustang, tornando alla scrivania e battendo la mano destra sopra il piano di legno – Adesso mi hanno rotto veramente le scatole!”
Tutti gli altri annuirono, borbottando con rabbia.
E come potevano non essere adirati?
“Quei bastardi di Central! – scattò Havoc, prendendo quella dichiarazione del suo superiore come un invito a sfogarsi – Ogni volta è sempre la stessa storia: dovremmo essere noi i primi in classifica, seguiti dal nord… quegli stronzi dovrebbero essere solo terzi!”
“Hanno manomesso la classifica come nella scorsa edizione dei Giochi dell’Esercito – scosse il capo Falman, nel cui zigomo destro spiccava un grosso livido – Dannata corruzione.”
“Oggi è l’ultimo giorno – proseguì Mustang, alzando una mano per ottenere il silenzio – e c’è la prova della missione: ieri sono andato a parlare con i vertici e ho ottenuto che ci sia il percorso 21.”
Fu come se un fulmine fosse appena caduto nell’ufficio, lasciando tutti paralizzati.
Persino Breda ed il tenente che, fino a quel momento avevano tenuto la calma, sgranarono gli occhi.
Fury, dal canto suo, aveva perso qualsiasi traccia di colore nel viso già pallido.
“Oh cazzo, signore – sussurrò Havoc, tenendo a stento la sigaretta in bocca – il percorso 21 è praticamente letale.”
Così letale che da diversi anni era stato levato anche dall’addestramento: si trattava di una vera e propria missione di guerriglia da svolgere in una zona a circa trenta chilometri da East City, che quell’anno ospitava i giochi. Paludi, fango, boscaglia… un vero e proprio inferno in mezzo ad una zona in teoria con clima desertico. Era un terreno così difficile che, dopo diversi anni, l’esercito aveva deciso di dimenticarlo… almeno fino a quel momento.
Mustang, prese una carta che aveva tenuto piegata a lato della scrivania: i suoi trattennero il fiato quando videro apparire la fantomatica area del percorso.
“Dieci ore di missione, dieci obbiettivi da raggiungere, cento punti per ogni obbiettivo… se si arriva a prendere la fortezza A i punti sono duecento. Milleduecento punti ragazzi… non ci sarà margine di recupero per Central, anche con tutta la corruzione possibile.”
“Insomma si tratta di andare ad annientarci in quel posto per fare il culo a Central: – mormorò Breda, e poi un sorriso scaltro gli apparve nel viso – mi piace…”
“Fury lo sai qual è il bello di questo particolare percorso?” chiese il colonnello, rivolgendosi al più giovane della squadra che, chiaramente, ne aveva sentito parlare solo in termini di leggenda.
“No, signore.” scosse il capo.
“Si possono fare accordi con le altre squadre.”
“Eh?” sgranò gli occhi il ragazzo, incredulo.
“E guarda a caso mi sono procurato le formazioni.” ridacchiò Mustang, estraendo dalla tasca un foglio e passandolo ad Havoc. Subito il sottotenente biondo lo aprì, mentre Breda gli si accostava, e fece un sorriso furbo.
“Oh, ma guarda, nella squadra del Quartier Generale del Sud c’è Denis! Ti ricordi di lui, Breda?”
“E chi se lo dimentica! In trincea ci siamo fatti un sacco di risate… è il tuo corrispettivo, Fury: anche lui si occupa di comunicazioni radio. Beh, signore, leggendo questi nomi direi che il Sud è alleato con noi senza ombra di dubbio.”
“E non ho dubbi che l’ovest farà patto con il nord: è quasi tradizione.” scrollò le spalle Falman.
“E allora Central si troverà sola contro queste alleanze… oh, ma quanto mi dispiace!” sospirò con falsa tristezza Mustang.
“Ma signore, - mormorò perplesso Fury – se il sud si allea con noi, come sarà la spartizione dei punti?”
“Andranno a noi, sergente: - sorrise furbescamente il colonnello – per lo stesso motivo per cui l’ovest aiuterà il nord ma senza prendere punti.”
“E cioè?”
“Perché sud ed ovest sono troppo indietro in classifica e non possono sperare di superare noi tre: è matematicamente impossibile. Ma una cosa possono e vogliono fare.”
“Che cosa?” chiese il giovane fissando con curiosità tutta la sua squadra.
“Facile, ragazzo: - sorrise Havoc dandogli una pacca sulla spalla  - nessuno vuole che vinca Central!”
“Basta con le chiacchiere signori: - dichiarò Mustang, assumendo il tono del comando – passiamo all’azione: sono le otto e dieci, tra un’ora e cinquanta inizia la prova. Breda, Havoc, andate agli alloggiamenti del Quartier Generale del Sud e presentate la nostra proposta… quindi tornate qui con la squadra alleata!”
“Sissignore!”
“Falman, procurati immediatamente tutta la documentazione relativa alle ultime campagne nel percorso 21 e vedi se trovi qualcosa che ci può essere utile!”
“Sissignore!”
“Tenente, vai in armeria ed inizia a procurare tutto l’equipaggiamento necessario: si va in guerra! Perché questa è guerra.
“Vado, signore!”
“Io… io vado a procurare le radio adatte, allora.” dichiarò Fury quando rimase solo con il suo superiore.
“Vai pure… ah! Aspetta! Vieni un po’ qui, sergente.”
“Signore?” il ragazzo si avvicinò a Mustang che gli aveva fatto cenno di accostarsi a lui.
Il colonnello gli mise le mani sulle spalle e chinandosi gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
“Ma colonnello! Questo è bar…mphf!”
“Sergente, ti prego – sorrise Mustang, tappandogli la bocca – è solo restituire pan per focaccia, no?”
Fury osservò l’uomo con aria perplessa… beh, effettivamente, quella classifica non corrispondeva affatto a quello che si era visto nel campo. E arrivare dopo Central sarebbe stato davvero un peccato.
E così, con sua stessa sorpresa, il giovane annuì e corse fuori dall’ufficio.
 
“Sta crescendo davvero bene quel ragazzino, non c’è che dire – ridacchiò Grumman qualche secondo dopo, entrando dalla porta che era stata lasciata aperta – credo che oggi ci sarà uno spettacolo notevole, vero colonnello?”
“Certo signore – sorrise Mustang – è proprio ora di finirla con questa supremazia di Central nelle gare…”
“Già già già…”
“Quanto ha scommesso su di noi?”
“Ventimila… più quelli che scommetto da parte tua sono quarantamila. Forza e coraggio giovanotto, hai un incentivo in più per vincere, no?”
“Certamente, signore… e stia tranquillo che vinceremo.”

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Capitolo 9
*** I come Igiene ***


I come “Igiene”

 
Un soldato deve mostrare particolare attenzione per la propria igiene personale: è importante che la sua divisa sia sempre in ordine e la sua persona pulita.
Il rispetto per se stessi è la prima forma di rispetto per l’esercito di cui si fa parte.
 

 
 
Black Hayate si svegliò improvvisamente dal pisolino che stava facendo nell’angolo dell’ufficio: con uno sbadiglio irritato, allungò la zampa posteriore e si grattò con fastidio, facendo tintinnare il suo collare rosso.
Dall’altra parte della stanza, il sergente maggiore Fury, forse per una sorta di empatia, sentì uno strano prurito e si grattò la chioma corvina, cercando di infilare le dita anche sotto la struttura delle sue cuffie.
Ora che aveva iniziato sentiva che la fastidiosa sensazione si espandeva anche dietro la testa e allungò la mano per massaggiarsi la base del collo: le sue dita si infilarono appena sotto il colletto della divisa e incontrarono una strana escrescenza…
Ci passò l’indice sopra con cautela, credendo che fosse qualche detrito della divisa, ma sentì che non andava via. La sensazione che gli attraversò la spina dorsale fu molto sgradevole, ma lui decise di ignorarla.
“Sottotenente Havoc, – chiese con perplessità, chiamando il suo vicino di scrivania – potrebbe controllare cosa ho nella parte posteriore del collo?”
Havoc alzò gli occhi sul sergente e vide la sua strana posizione con la mano infilata nella parte posteriore del colletto. Come il ragazzo abbassò leggermente quella parte della divisa, gli occhi azzurri si dilatarono e si alzò dalla sedia, andando a controllare da più vicino
“Oh cazzo, è una zecca!” esclamò tirando ulteriormente il colletto del compagno.
“Eh?!” si spaventò il giovane riportando la mano verso la parte interessata.
“Fermo, cretino, non cercare di levarla! - lo bloccò il sottotenente – Breda controlla pure tu, ma non credo di sbagliarmi.”
Il rosso si alzò e fu immediatamente dall’altra parte rispetto a Fury.
“Ahi, sì che è una zecca… ed è anche bella grossa.”
“E’ da portare subito in infermeria! Se lo punge o si stacca senza che le zampe vengano via, può avere una reazione tale da morirne.” dichiarò Falman, alzandosi a sua volta, la faccia serissima e pericolosamente lugubre.
“Morire? – sbiancò Fury – Oddio! Non voglio morire!”
“Niente panico, sergente – gli consigliò Breda, levandogli le cuffie dalla testa – vedrai che la estraiamo senza problemi! Nel caso si provvede a cauterizzare la puntura con un ago rovente.”
“Mi manca l’aria!” annaspò il giovane, terrorizzato.
“Tranquillo vedrai che… oh cazzo! Ma queste tra i tuoi capelli… sono pulci!”
“Pulci? Pulci? – Havoc si scostò dal ragazzo – Ma che cazzo, Fury! Sei andato a giocare in un bidone della spazzatura?”
“Ma no! – esclamò il sergente – Oddio e le pulci che fanno? Uccidono?”
“Bisogna far disinfestare l’ufficio! - ordinò Mustang mollando i documenti che il tenente gli stava imponendo di firmare – Tutti fuori, ragazzi!”
“Ma signore!” protestò lei, cercando di bloccare la fuga del colonnello.
“La salute prima di tutto, tenente! – dichiarò Mustang – Fury! Subito in infermeria: non osare svenire qui! Se hai attaccato qualche parassita a tutti noi, giuro che ti faccio passare i peggiori dieci minuti della tua vita.”
“Ma colonnello!” singhiozzò il giovane, in preda al panico.
“Forse dovranno raparlo a zero…” ammise Falman
“No!” protestò l’interessato, portandosi le mani sulla chioma corvina e dritta.
“E tieni a posto quelle mani, cretino! – lo rimproverò Breda, afferrandogli le braccia e rimettendogliele lungo i fianchi – Sei un disastro, ragazzo… andiamo, forza!”
“Ma poi lo portiamo fuori in cortile e lo laviamo con la pompa? Giusto per non infestare le docce.”
“Non sarebbe una cattiva idea, Havoc – ammise il colonnello, dandogli una pacca sulla spalla e seguendo Breda, Falman e Fury fuori dall’ufficio – Magari lo leghiamo anche come si fa con i cani? Così non fugge quando gli passeremo l’antipulci.”
“Del resto sta piagnucolando in un modo davvero simile a quello dei cani! Ehi Fury, posso chiamarti cucciolotto da adesso?”
“Finiscila, Havoc… questo sta per avere una crisi di nervi! E voi spostatevi… abbiamo un caso di infestazione di pulci in corso!” esclamò Breda già nel corridoio.
 
La porta si chiuse alle spalle dell’alchimista, lasciando il tenente sola in ufficio incredula davanti alla pseudo tragedia che si era appena consumata.
“Come si fa con i cani, eh?” mormorò, facendo cadere lo sguardo su Hayate che continuava a grattarsi.
E si ricordò che proprio ieri Fury l’aveva portato a fare una passeggiata nei campi fuori città…
“Andiamo, Hayate, – dichiarò la donna – credo che pure tu abbia le pulci, e forse anche qualche zecca.”
Il cane uggiolò disperato: tutto pur di far passare quel fastidio.

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Capitolo 10
*** L come legalità. ***


L come "Legalità"

 
Un soldato è chiamato a dare l’esempio alla popolazione civile: dunque si richiede che esso viva e agisca sempre nella legalità.
Esso è garante delle leggi e le applica in primis alla sua persona.
 

 
Era stato altre volte nell’ospedale da campo, ma non gli era mai sembrato un inferno come quella volta.
Eppure i letti erano gli stessi, i feriti sempre uguali, eccetto le facce, il personale medico sempre vestito con quei camici che in teoria dovevano essere bianchi, ma che, dopo mesi e mesi erano ormai di un grigio spento.
Non era un momento di crisi, non c’era stata qualche squadra colpita in pieno dalle granate.
No, non è vero c’è stata nemmeno cinque ore fa… ma tutti sono morti.
O quasi.
Mentre pensava queste cose il sergente maggiore Havoc aiutava a portare la barella, incitando gli uomini della squadra di soccorso ad aumentare il passo. Li odiava, li odiava profondamente perché la loro deliberata lentezza stava compromettendo la vita del ferito.
Ma chi cazzo credete di essere per decidere se debba o meno morire, maledetti? Se c’è una persona che può decidere della sua vita sono solo io!
Continuò a guardare avanti, mentre si facevano largo in quella corsia di letti, dirigendosi verso il personale medico che stava in fondo a quel tunnel infinito. Si rifiutò di spostare l’attenzione al soldato che giaceva su quella barella: non voleva notare come il suo viso fosse sempre più pallido, il respiro sempre più debole, il fianco sempre più inzuppato di sangue.
“Maresciallo Heymans Breda, squadra 11 – dichiarò ansante, mentre con gli altri posava la barella sopra uno dei pochi letti liberi – una granata nel settore D della trincea. Tutti morti eccetto lui: deve avere schegge di granata su tutto il fianco, ma era cosciente quanto l’ho ritrovato, circa tre ore fa.”
Si fece da parte ed osservò i medici con aspettativa.
Non colse dietro di lui i membri della squadra di soccorso che scuotevano il capo con disappunto e facevano impercettibili segni al personale come a dire: ci ha praticamente costretto… non vuole arrendersi all’evidenza.
“Beh? – chiese con impazienza il biondo – volete fare qualcosa si o no?”
Un medico infine si accosto al paziente e levò con delicatezza la giacca di Havoc che fungeva da tampone improvvisato per la ferita al fianco. Come il tessuto fu tirato, molti detriti rimasero sul corpo del ferito.
Con un paio di forbici, l’uomo provvide ad aprire la divisa di Breda, mostrando le lacerazioni su tutto il fianco sinistro.
“Non posso fare niente per lui…” disse, facendosi indietro.
“Cosa?... Come sarebbe a dire? – chiese Havoc – Respira ancora, non lo vedi?”
“Da quanto ha perso conoscenza?”
“Due ore… qualcosa di più! Che cazzo ne so! Mica potevo contare i minuti in mezzo alle granate! Fai il tuo dovere, stronzo! E’ ancora vivo: curalo!”
Havoc era uno di quei soldati che facevano tremendamente paura quando erano arrabbiati: era alto, muscoloso ed il viso era capace di esprimere un furore fuori dal comune. Per questo nessuno dei presenti osò muoversi verso di lui per tirarlo via, come spesso si era costretti a fare in questi casi.
“Lascia parlare me, Winston, - si fece avanti un medico più anziano, il volto duro e segnato da anni d’esperienza nell’ospedale da campo – spiego io la situazione a questo soldato. Sergente maggiore, questo è un ospedale da campo, dove ogni cosa va meticolosamente soppesata. Il tuo compagno ha schegge di granata in tutto il fianco che, se non si sono infettate, lo stanno per fare. E’ una delle maggiori cause di decessi in questo posto.”
“E allora che cazzo aspetti a levargliele? Ogni secondo è prezioso!”
“Qui non abbiamo i mezzi per un intervento così delicato… dovrebbe esser fatto in un ospedale di città, attrezzato per operazioni simili. E’ stata una perdita di tempo portarlo qui… era incosciente quando sono arrivati i soccorsi: la cosa migliore era dargli il colpo di grazia. Nessuno vi avrebbe rimproverato per un simile gesto di pie…”
“Mi sono stancato delle tue stronzate, pagliaccio – sibilò Havoc, tirando fuori la pistola e puntandola contro l’uomo – non mi hai fatto ridere nemmeno un po’. Non puoi salvarlo tu con i tuoi amichetti, va bene… potevi dirlo subito. Ma allora fammi il piacere di trasferire il mio amico nella più vicina città… spero di essermi spiegato bene.
“Questa è un’infrazione gravissima, sergente! – disse un uomo della squadra di soccorso, mentre tutta la corsia assisteva incredula a quella rottura delle leggi rigide dell’ospedale da campo – Stai infrangendo le norme con le tue minacce.”
Non le mie norme, coglione. Vogliamo perdere ancora altro tempo? Trova una cazzo di ambulanza, una macchina, un carro armato… qualunque cosa: ma porta il mio amico in quella maledetta città attrezzata per operarlo!”
“Morirà durante il trasporto! Non capisci che stai violando…”
“No! Lui non muore, hai capito? Non muore! E adesso sbrigati… inizio a spazientirmi e ho il grilletto facile!”
 
Aveva infranto le rigide leggi dell’ospedale da campo: un gesto simile poteva portarlo davanti alla corte marziale. Ma Jean Havoc era un membro stimato di un grande corpo d’elite che durante la guerra civile aveva salvato la vita a tanti soldati, troppi.
Si poteva permettere questi strappi alla regola, specie per salvare il suo miglior amico.
 

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Capitolo 11
*** M come Morte. ***


M come “Morte”

 
Facendo parte dell’esercito, un soldato deve esser sempre consapevole della possibilità di perdere la vita durante lo svolgimento del proprio dovere.
Lo Stato onora chi compie questo estremo sacrificio per adempiere alla propria vocazione e dunque è previsto l’avanzamento di grado come ringraziamento per il servizio prestato con onore.

 
 
 
Promosso Generale di Brigata per essere morto durante il servizio…
Mustang fissò con disgusto quella frase incisa sulla lapide del suo miglior amico.
Proprio una bella pensata, Maes, sono fiero di te. Sei contento di avermi superato di grado? Eppure eri tu quello che mi doveva spingere verso l’alto.
Generale di Brigata… in realtà quel titolo bruciava nell’anima dell’alchimista di fuoco per un altro motivo.
Rappresentava il fallimento di quanto si era ripromesso: proteggere le persone a cui teneva.
E la cosa peggiore era che a morire era stato il suo miglior amico.
Con un sospiro l’uomo si passò una mano tra i capelli tirati indietro: perché quando si rende l’estremo saluto ad un Generale di Brigata bisogna essere in perfetto ordine.
C’era persino il Comandante Supremo… ed era così commosso. Ne valeva davvero la pena, eh? Signor Generale di Brigata!
C’era tanta rabbia in quello sfogo, anche se la sua figura restava impassibile davanti a quella lapide. Ma Mustang sapeva che si poteva concedere solo pochi minuti per quei pensieri, poi la sua mente si sarebbe obbligatoriamente rivolta al tunnel in cui si stava infilando insieme a tutti gli altri.
Ma in quei momenti… poteva permettersi di stare davanti alla tomba del suo miglior amico e sentirsi la persona più infelice del mondo.
A Ishval dicevi sempre che combattevi perché non volevi morire. Che senso ha avuto morire adesso? Ti prego, spiegamelo… così posso andare a dirlo a tua moglie e tua figlia! Così forse trovo una ragione pure io.
Ma Hughes non apparve davanti a lui a dargli quelle risposta: nella mente dell’alchimista sfilarono solo frammenti del passato… Maes sorridente, sempre e comunque: in Accademia, ad Ishval, al suo matrimonio, alla nascita di sua figlia.
Te lo chiedo come tuo migliore amico, raddoppia la tua scorta.
Dio, quanto bruciava quella frase che gli aveva detto quando era arrivato Scar ad East City: sembrava quasi una presa in giro ora che nella tomba c’era lui e non quello che in teoria andava protetto.
Credevi di non essere abbastanza importante? Che per te non fosse necessaria una scorta? Allora dovevi fare più attenzione, cretino! Mi hai rotto le scatole ogni santo giorno con tua figlia e tua moglie… eppure proprio tu hai causato loro un simile dolore.
Madre e figlia… già… non aveva avuto la forza di avvicinarsi loro dopo il funerale. Non aveva avuto il coraggio di andare e dire che, probabilmente, Maes era morto perché si era invischiato in qualcosa di troppo grosso che coinvolgeva anche lui.
Non ho avuto il coraggio di dire che in fondo è stata colpa mia.
In fondo era così, anche se l’apparenza poteva sembrare diversa: gli Elric, la pietra filosofale… tutto portava a quella storia. Ma chi era stato a convincere quel ragazzo a diventare alchimista di Stato? Chi gli aveva dato la possibilità di sperare di riavere il corpo suo e del fratello indietro?
Non ti porteranno a niente questi pensieri, idiota, dovresti saperlo…
Eppure c’era una strana forma di compiacimento nel potersi crogiolare nell’autocommiserazione.
A lei hai bruciato la schiena, al tuo migliore amico hai provocato la morte… guarda dove ti sta portando la tua ambizione, Roy. Il prossimo chi sarà? Havoc? Falman? Breda? Oppure Fury? O quei due ragazzi?
Nella percezione che aveva avuto del potere, chi stava in cima doveva proteggere tutti gli altri.
Quel Generale di Brigata gli dava enormemente fastidio: per colpa sua i ruoli si erano invertiti, i piani della costruzione saltati… a lui non restava che raccogliere i cocci e cercare di evitare il crollo totale.
Promosso per essere morto in servizio…
Parole che servono a calmare la coscienza dei vivi… ma non ridanno un padre e un marito, non restituiscono il tuo miglior amico.
Questi avanzamenti post mortem sono soltanto una grossissima e vigliacca presa in giro.
 
Ma non ebbe tempo di pensare ad altro, perché sentì i passi del tenente avvicinarsi.

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Capitolo 12
*** N come Nemico. ***


N come “Nemico”

 
Facendo parte dell’esercito il soldato ha tra i suoi primi doveri quello di combattere contri i nemici che minacciano il nostro paese.
Qualunque sia l’origine, il sesso, la nazionalità il nemico indicato dai propri superiori è l’obbiettivo che il soldato deve combattere con tutte le sue forze, allo scopo di preservare la pace della propria gente.


 
 
Quando a fine giornata sentiva la sirena che annunciava la fine del suo turno, Riza Hawkeye provava una sola cosa: infinita ed estrema stanchezza, sia fisica che mentale.
Le sue mani erano irrigidite per essere state ore ed ore tese sul grilletto, le braccia erano doloranti per aver tenuto la posizione dritta del fucile e anche le gambe, grazie alla posizione perennemente inginocchiata od accovacciata, protestavano vivacemente. Per non parlare degli occhi: li sentiva appannati e brucianti, nonostante non riuscisse a versare le lacrime che li avrebbero idratati un minimo… con il dolore che andava a concentrarsi nell’arcata nasale: meno male che non indossava occhiali, altrimenti sarebbe stata una vera e propria tortura.
Ma questi disagi fisici non erano nulla di fronte al torpore mentale che la invadeva.
Aveva diciotto anni da qualche settimana e si trovava ad Ishval da tre mesi: quel posto la stava logorando, impedendole di pensare ad altro che non fosse mirare e sparare. La prima settimana era stata così traumatica che se la sarebbe ricordata per sempre nei suoi incubi: era stato così traumatico uccidere le prime persone, con quella facilità disarmante, sentire i complimenti del soldato che la affiancava in quei suoi primi giorni di battaglia, ma contemporaneamente provare un enorme senso di vuoto allo stomaco.
Eppure quello che hai ucciso era un tuo nemico, e stava per uccidere un tuo commilitone.
Quella frase se l’era ripetuta per tante notti a venire, mentre quel fantomatico nemico ucciso aveva numerosi volti che di giorno in giorno aumentavano: perché lei era brava ad uccidere… ogni giorno ne faceva fuori tantissimi.
Era un soldato di valore, Riza Hawkeye: in quell’inferno, a dispetto della sua giovane età, mentre altri più esperti e grandi morivano, lei avrebbe fatto carriera. Lei sarebbe diventata l’Eroina di Ishval.
Ma per quanto le concerneva lei era solo una spietata assassina.
 
“Andiamo Riza! Dimmelo! Sono sicuro che in quel maledetto inferno che hai vissuto, almeno una fottutissima volta hai scelto volontariamente di non sparare a un bambino o a una donna!”
Anni dopo la voce di Havoc le gridava contro, la mano stretta attorno al suo polso, unica ancora di salvezza di fronte alla follia più mortale.
Il suo compagno di squadra si era fatto beffe dei gradi, del rispetto… l’aveva costretta a mettersi a confronto con quella parte di se stessa che lei preferiva colpevolizzare completamente. Ma se Riza era estrema per un verso, Havoc lo poteva essere per l’altro… e il sottotenente biondo era la sua controparte maschile, quello con la mira perfetta pari alla sua.
E ora la scrollava con forza, chiamandola per nome, trovando un maledetto compromesso con la sua anima da assassina.
E le parole che aveva appena detto la fecero tornare indietro nella memoria: il nemico dai mille volti delle persone che erano entrate nel suo mirino tornò con prepotenza. Nemico: persone dai capelli bianchi e gli occhi rossi… uomini che combattevano per salvare la propria gente. No, non era vero, perché c’erano anche volti di donne e bambini che…
Ma quelli li ho lasciati andare…
Il suo cuore smise di battere per qualche secondo: quei volti entravano nel suo mirino ma ne uscivano illesi. L’ostinazione di una ragazza appena diciottenne a non lasciarsi andare alla completa perdizione.
Lei cambiava deliberatamente obbiettivo… seguiva i propri compagni con la mira, difendendoli in caso di attacco. L’uomo che aveva attaccato il colonnello… quello era il suo nemico.
Ma ora l’anima del tenente, mentre singhiozzava addosso all’unica persona che forse poteva capire l’angoscia di un cecchino, poteva ricordare anche tutte le persone che lei aveva lasciato andare.
Non era una redenzione, ma semplicemente la scoperta che una parte di lei non era un mostro come aveva sempre creduto.
E Riza fu eternamente grata ad Havoc per quei folli momenti in cui le aveva salvato l’anima

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Capitolo 13
*** O come Ordine. ***


O come “Ordine”

Uno dei primissimi e fondamentali doveri del soldato è quello di obbedire agli ordini del proprio superiore. Esso deve dimostrare piena fiducia nei confronti di chi lo comanda.
Un soldato è prima di tutto obbediente.

 
 

Breda quella sera non tornò a casa come al solito.
Dopo aver preso congedo da Havoc si diresse verso i dormitori, fino alla stanza dove stava Fury.
Bussò discretamente ed entrò; il ragazzo era sdraiato di fianco nel letto, con ancora la maggior parte della divisa addosso: solo la giacca era posata sullo schienale della sedia e gli stivali giacevano sul pavimento.
“Ciao, piccoletto, come va?”
“Sottotenente – salutò il ragazzo, con sorpresa, iniziando ad alzarsi in piedi, ma venendo subito bloccato da un gesto del rosso – va tutto bene, grazie. Posso aiutarla?”
Breda si sedette nel letto, accanto al giovane che nel frattempo si era messo a gambe incrociate e lo fissava con curiosità. Gli accarezzò i capelli corvini come era solito fare; ma questa volta fu un gesto carico tenerezza e preoccupazione.
Non era passata nemmeno una settimana da quando quel ragazzo aveva ucciso per la prima volta: una brutta storia, un errore di calcolo che sarebbe potuto costargli la vita dato che si era trovato isolato dal resto della squadra, durante la sua prima missione, con un assassino da tenere a bada. Ne era uscito fisicamente indenne, ma con una ferita nell’anima che l’avrebbe turbato per sempre: una cosa praticamente inevitabile per un soldato… ma per Fury era successo troppo presto.
E se tutti se ne sentivano responsabili, Breda sentiva maggiormente questa colpa perché il ragazzo era in coppia con lui: le circostanze li avevano obbligati a separarsi.
“A dire il vero vorrei parlare con te… - iniziò l’uomo e subito vide gli occhi scuri del giovane incupirsi – stai tranquillo, non voglio discutere di quella cosa.
Fury si rilassò leggermente: l’uccisione la doveva elaborare da solo, come era giusto. Loro gli erano stati vicini la prima sera, quando era necessario che si sfogasse, quando non poteva essere lasciato solo. Ma per il resto era un percorso che ciascun soldato faceva come meglio riteneva e Fury sicuramente non sarebbe stato da meno.
“Vorrei discutere con te a proposito dell’obbedire ad un ordine.”
“Ordine…” mormorò il giovane.
Fury, spara! E’ un ordine!
La voce del colonnello sembrò rimbombare nella stanza: erano tutti in collegamento radio quando era successo il fatto e tutti avevano sentito il pianto del giovane soldato quando si era trovato a dover sparare a quell’uomo che altrimenti l’avrebbe ucciso. Aveva esitato, aveva singhiozzato che lui non poteva ed era stato solo l’ordine secco del colonnello che l’aveva scosso da quello stato di crisi facendogli sparare.
“Sì, obbedire ad un ordine come hai fatto tu la settimana scorsa.”
“Se si riferisce alla mia esitazione… io credo di aver già…”
“No, ragazzo, non mi riferisco al tuo caso: volevo farti un discorso più ampio, riguardo agli ordini che ti troverai ad eseguire nel corso degli anni.”
“Signore?”
“Ci saranno ordini che per quanto sgradevoli andranno fatti, lo capisci. E’ quello che ci insegnano in Accademia, no? Un bravo soldato deve prima di tutto obbedire.”
“Farò del mio meglio e…”
Le parole furono bloccate da Breda che gli passò alcuni fogli. Il ragazzo li prese in mano e si sistemò meglio gli occhiali, fissando il suo superiore per ricevere una spiegazione.
“E’ la mia scheda: dall’Accademia in poi… vorrei che tu dessi un’occhiata al dicembre 1907.”
Fury annuì e cercò quel particolare dettaglio: Breda lo vide sgranare gli occhi e sorrise.
“Signore – balbettò il giovane sconvolto – c’è scritto che lei si è reso colpevole di insubordinazione.”
“E’ un dettaglio che sanno in pochi: Havoc, i miei ex compagni di plotone, il colonnello… e ora lo sai tu.”
“Ma… ma che è successo?”
“Era piena guerra civile, - iniziò lui scrollando le spalle – ed ero di servizio nelle campagne dell’Est per combattere la guerriglia: tempi duri… fame, privazioni, un inverno particolarmente rigido. Sta di fatto che anche molti civili si erano uniti ad una banda di questi rivoltosi. Venni mandato insieme al mio plotone nel mio paese natale ed il mio capitano, per convincere la gente a denunciare chiunque facesse parte dei banditi, decise di fare rappresaglia: tre persone estratte a sorte ogni giorno e fucilate.”
“Ma… ma è terribile! Non è giusto!”
“Certo che non è giusto, ma in periodo di guerra una simile pratica è consentita.”
“E lei… lei ha preso parte a quelle fucilazioni?” Fury lo guardava incredulo.
“Non ci fu nessuna fucilazione: il giorno stesso in cui il capitano dava l’annuncio alla popolazione gli puntai la pistola alla testa e lo feci imprigionare.”
“Oh signore! – gli occhi del giovane erano sgranati per la sorpresa – Allora è questa la sua insubordinazione?”
“E’ questa. Sinceramente, Fury: un gesto come quello poteva costare a me e ai miei ragazzi la corte marziale e il plotone d’esecuzione. Non dimenticare che il capitano che servivo stava compiendo un’azione che aveva tutto il diritto di fare. Fu solo grazie al buon senso del capitano dei rinforzi che ci raggiunsero che il mio gesto fu considerato meritevole e non da condanna.”
“Scommetto che era il capitano della Squadra Falco! E’ vero che lei ed il sottotenente Havoc eravate le punte di diamante di quel corpo?”
“E’ vero, - annuì Breda, accarezzandogli i capelli – ma non è questo il punto di cui volevo parlarti. Fury, tu hai avuto una grande fortuna: stai sotto il comando di un uomo che merita fiducia e rispetto e che non ti darà mai un ordine come quello che avevo ricevuto io anni prima. Mi auguro con tutto il cuore che continuerà ad essere sempre così, ma ascoltami bene… non smettere mai di pensare con la tua testa: è vero che ci insegnano ad obbedire, ma non dev’essere obbedienza cieca, capito? Sei un cucciolo intelligente, pieno di buon senso e maturità: se capisci che in un ordine che ricevi c’è qualcosa di sbagliato valuta bene la situazione e agisci di conseguenza…. Puoi promettermelo?”
“Certo, signore: lo prometto.” annuì lui con serietà.
“Bravo… ma stai tranquillo. In fondo ci saremo sempre noi a darti una mano, no?” sogghignò Breda.
“Signore…”
“Sì?”
“Poi la banda di ribelli l’avete sgominata lo stesso, vero? Senza alcun bisogno della rappresaglia!”
La mano di Breda si irrigidì sui capelli dritti e neri.
“Sì, è stata sgominata…” sussurrò, scendendo con la mano sul collo del ragazzo ed inducendolo a poggiarsi sulla sua spalla.
Non disse altro e Fury intuì che era meglio non proseguire oltre.
Non poteva sapere che non c’era stata nessuna vittoria in quella battaglia contro la propria gente.
Contro il mio stesso fratello…

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Capitolo 14
*** P come Puntualità. ***


 

P come “Puntualità”

 
Un soldato dimostra la sua serietà e professionalità anche con l’essere sempre puntuale: in questo modo egli viene riconosciuto dai suoi superiori e compagni come elemento su cui poter fare affidamento.
 


 
A volte Riza Hawkeye si sentiva un mostro per essere arrivata a imporre quel ricatto, ma era anche vero che il colonnello, per determinate faccende, andava trattato in un determinato modo. La soldatessa, tuttavia, non era dispiaciuta tanto per il suo pigro superiore, tanto per il fatto che a rimetterci fossero gli altri membri della squadra che, al contrario dell’alchimista, svolgevano il loro lavoro con efficienza e puntualità.
Finché il colonnello non termina di sbrigare le sue pratiche nessuno esce da quest’ufficio.
Era una decisione effettivamente dura e lei tendeva ad applicarla solo nei momenti in cui Mustang era davvero indolente e si comportava come un bambino capriccioso: le dispiaceva sinceramente vedere gli altri seduti alle loro scrivanie, aspettando pazientemente che il loro superiore finisse.
 
E almeno funzionasse… a volte pare che non gli importi niente dei suoi uomini.
Riza fissò con disappunto il colonnello che leggeva svogliatamente l’ultimo rapporto sulla scrivania.
Controllando l’orologio alla parete la donna vide che era ormai mezzanotte meno cinque: non credeva che avessero fatto così tardi.
Con un sospiro si girò verso le altre scrivanie a guardare i suoi compagni, sperando che non la stessero odiando troppo per la sua severità. Falman leggeva tranquillamente un libro, Fury giochicchiava con i soliti pezzetti elettronici, Breda stava a braccia conserte, mentre Havoc era col busto sdraiato sulla scrivania e sembrava dormisse.
Lo stomaco di qualcuno di loro brontolò ed il senso di colpa del tenente aumentò a dismisura: aveva fatto saltare loro anche la cena.
Andiamo! Quanto ci vuole per finire questo rapporto!?
Lanciò uno sguardo irato verso il colonnello che, beffandosi ampiamente della fame e della noia dei suoi uomini, giochicchiava con la penna invece di compilare quell’ultima parte del foglio.
“Colonnello, - lo richiamò all’ordine – è quasi mezzanotte: vuole farci il santissimo piacere di finire quel rapporto e lasciarci andare a casa?”
“Eh? – si girò a guardarla Mustang, con aria sorpresa – quasi mezzanotte? Oh, già, mancano solo pochi minuti, non me ne ero assolutamente reso conto… si vede che il lavoro d’ufficio è proprio intrigante, non ti accorgi nemmeno del tempo che passa, vero?”
Quella battuta ironica fu troppo e Riza sbatté pesantemente la mano sulla scrivania.
Era stanca, irritata per alcuni litigi con le sue colleghe al poligono di tiro e altri guai che l’amministrazione aveva fatto ed era toccato a lei sbrogliare… insomma gli ultimi giorni erano stati veramente irritanti e aveva sperato con tutto il cuore che quel dannato venerdì finisse in fretta per poter tornare a casa, mettersi in pigiama, rifugiarsi sotto le coperte con una tazza di camomilla ed Hayate accoccolato a lei, e dimenticarsi del mondo per due giorni filati.
Ed invece, per colpa di quell’uomo…
“Finisca questo dannato rapporto!” esclamò con voce alterata.
“Va bene, va bene – ridacchiò l’uomo, mettendo la sua fatidica firma alla fine del foglio – mamma mia, tenente, non ti scaldare così: non vedi che bastava solo un secondo. Ecco fatto… la tua preziosa pila di noiosissimi documenti è stata compilata: ho fatto tutti i compiti, adesso posso alzarmi, maestra?”
“Colonnello…” sospirò Riza, prendendo il foglio e mettendosi una mano sulla tempia, dove sentiva una vena pulsarle in maniera dolorosa.
“Lo prendo come un sì… ehi, Havoc, che ore sono?”
Con sorpresa Riza si girò a guarda il sottotenente biondo che in teoria doveva essere appisolato; con uno scatto, invece, Havoc si risollevò in posizione eretta e annunciò.
“Quindici secondi a mezzanotte…”
“Complimenti, signore – sghignazzò Breda, alzandosi insieme agli altri e raggiungendo la scrivania dell’alchimista – la sua puntualità rasenta la perfezione.”
“Ma che…?” balbettò Riza perplessa, vedendo che la circondavano.
“Mezzanotte!” annunciò Havoc
“Tanti auguri di buon compleanno, tenente Hawkeye!” esclamarono in coro tutti quanti.
La rabbia e la stanchezza di Riza si sciolsero come neve al sole: era stato tutto architettato così bene che non si era resa conto di nulla.
E la sua squadra aveva fatto un gesto così bello…
“Ha visto, signora? – sorrise Fury – Abbiamo pensato di farle una sorpresa: il colonnello ha notato che negli ultimi giorni era un po’ giù di morale e così ha organizzato tutto quanto.”
“Organizzato…” annuì Riza, sbattendo le palpebre per ricacciare indietro una lacrima.
“Certamente! – dichiarò Mustang – Signori, è mezzanotte ed un minuto e L’operazione compleanno è iniziata puntualmente: tenente Riza Hawkeye, considerati sequestrata per tutto il finesettimana. E dimentica completamente la tua divisa… abbiamo stabilito che per due giorni filati tu sarai una principessa servita da cinque adoranti cavalieri… ed un cane che il sergente si preoccuperà di recuperare non appena usciamo di qui.”
“Che? – esclamò Riza, sorpresa, mentre il colonnello ed Havoc la spingevano verso la porta – Ma che volete fare per due giorni… signore, non potremmo…”
“Forza, tenente – la avvisò Breda – dobbiamo sbrigarci: il treno parte tra tre quarti d’ora esatti: i nostri bagagli sono pronti, ma lei deve passare a casa. Tanto basta uno zaino, sono solo due giorni.”
“Ma dove andiamo?”
“Mexos, signora, - spiegò Falman mentre avanzavano nei corridoi silenziosi – rinomata per i suoi centri termali. Due ore di viaggio in treno… non si preoccupi: i proprietari dell’albergo sanno già che arriveremo tardi.”
“Centro termale…”
“Con tutti i confort offerti gentilmente dalla tua squadra preferita, tenente, – sghignazzò Roy – terme, riposo, cibo buono, tranquillità… e cinque soldati che esaudiranno qualsiasi tuo desiderio.”
“Siete folli, tutti quanti!” balbettò Riza, trattenendosi dall’abbracciarli uno per uno.
“Mi piace come definizione – sghignazzò Havoc – forza, andiamo a festeggiare!”

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Capitolo 15
*** Q come Qualifica. ***


Q come “Qualifica”

 
Durante la sua permanenza nell’esercito, un soldato è chiamato a migliorarsi e ad raggiungere nuove qualifiche e competenze. La carriera nell’esercito non è statica ma in continuo divenire: la crescita è sia dell’uomo che del soldato.

 
 
“E’ proprio necessario?” chiese Fury, sedendosi al posto di guida nella macchina.
“Non è tollerabile che tu non sappia guidare, soldato, - sbuffò Havoc – potrebbe presentarsi la necessità in ogni momento e tu devi essere preparato. Ecco il risultato di terminare l’Accademia in un anno: non hai nessuna pratica di guida.”
Fury non fece caso al rimprovero, impanicato com’era a trovarsi con le mani sul volante e cercando di ricordare come fosse la questione dei pedali a cui arrivava appena. Ma perché il colonnello aveva insistito tanto a fargli fare queste lezioni di scuola guida? Capiva saper usare bene la pistola ed il fucile… ma una macchina! Senza contare che lui non aveva ancora diciannove anni.
“Tappo, mi stai ascoltando? – chiese Havoc con aria annoiata, dato che era stato, come sempre, offerto volontario per fare da insegnante al piccolo della squadra – Ti ricordi come funziona?”
“Sì… credo di sì.” annuì il giovane, in realtà per niente sicuro di quello che faceva.
“Allora parti!”
Fury mise da parte i dubbi, girò la chiave, e premette acceleratore e frizione…
La macchina in dotazione all’esercito fece un poderoso salto in avanti per poi spegnersi di colpo con una brusca frenata che mandò Havoc a sbattere violentemente contro il parabrezza.
 
Considerata la botta presa dal sottotenente, fu Breda ad assumersi l’incarico di istruttore di scuola guida del soldato. Assieme al tenente Hawkeye, ogni pomeriggio, prendeva il ragazzo e lo portava a fare pratica in uno dei tanti terreni usati per le esercitazioni, in modo da evitare il rischio di mettere sotto qualcuno (Havoc aveva infatti bollato Fury come una persona totalmente incapace di guidare), o di distruggere la macchina contro qualcosa.
A dire il vero nessuno dei tre coinvolti parlò dei risultati durante le tre settimane di esercitazione pratica. Mustang, Havoc e Falman non sapevano se essere incoraggiati o preoccupati da un simile silenzio: insomma, sapevano che Breda ed il tenente sapevano guidare bene ed il fatto che non si lamentassero del ragazzo voleva dire che i risultati stavano arrivando… però qualcosa non tornava.
In ogni caso, dopo tre settimane di esercitazione quotidiana, i due istruttori annunciarono con fierezza che il ragazzo era perfettamente in grado di guidare una macchina.
E Mustang decise di metterlo alla prova.
 
“Va bene, soldato, – disse sedendosi dietro, accanto a Breda, mentre il tenente prendeva posto davanti con Fury – devo fare alcuni giri in città e oggi farai tu d’autista. Non c’è alcuna fretta: vai pure tranquillo.”
“Va bene, colonnello.” annuì Fury, mettendo in moto e partendo con tranquillità.
Col passare del tempo l’alchimista iniziò a rilassarsi e a godersi la giornata fuori dall’ufficio: sembrava che Fury se la cavasse egregiamente al volante. Era sicuro e disinvolto nel cambiare le marce, nel destreggiarsi nelle strade, nel fare attenzione ai pedoni… decisamente Breda ed il tenente avevano fatto un ottimo lavoro.
Guardando il viso placido del giovane riflesso nello specchietto retrovisore, Mustang annuì soddisfatto quando il tenente esclamò:
“Ma quelli nella macchina gialla sono i criminali che stiamo cercando da tempo!”
“Che?”
“Fury! Insegui quei maledetti!” scattò Breda, alzandosi in piedi nel posto di dietro e mettendo una mano nella spalla di Fury.
Mustang che aveva ancora lo sguardo sullo specchietto, vide una luce di follia accendersi negli occhi scuri del soldato. Fu come se Breda avesse appena fatto scattare un interruttore nella personalità di Fury: una malata e psicopatica esaltazione si impossessò di lui… l’accelerata fu incredibile.
Breda ed il tenente erano ottimi guidatori, certamente, ma a dispetto della loro calma in ufficio e della loro guida tranquilla in occasioni normali, si trasformavano in veri e propri demoni della strada quando si trattava di inseguimenti o simili. Provavano un perverso gusto a sgommare e correre in inseguimenti all’ultima accelerata… e sembrava avessero contaminato anche l’insospettabile e tranquillo Fury in quelle tre misteriose e segrete settimane di scuola guida.
A Mustang non restò che rimanere aggrappato disperatamente al proprio sedile, praticamente sequestrato da quel trio di folli: Breda sorrideva compiaciuto, incoraggiando Fury a compiere manovre degne di un pirata della strada; il tenente si sporgeva dal finestrino con la pistola puntata verso la macchina inseguita e rispondeva al fuoco, ordinando a Fury dove andare.
E Fury… beh, Fury era letteralmente posseduto dal demone della guida spericolata. Sorrideva malvagiamente, suonava il clacson per farsi largo tra i pedoni. In quella folle ora d’inseguimento Mustang fu sicuro di averlo sentito lanciare almeno tre bestemmie, sicuramente insegnamento del sottotenente rosso.
“Levatevi di mezzo, inutili pedoni!” sbraitò ad un certo punto, evitando per un pelo un paio di vecchiette.
“Così, ragazzo! Fatti rispettare!”
Come se non bastasse i banditi che stavano inseguendo sembravano essere piloti d’eccezione e fu una vera e propria gara a chi faceva le acrobazie più spericolate. E più questa gara proseguiva, più Fury si esaltava.
Mustang, ridotto a silenzio da quelle pazze belve che erano diventati i suoi uomini, restava aggrappato al sedile e pregava con tutto se stesso che ne uscissero vivi, senza schianti.
Alla fine con un testacoda completo, Fury tagliò la strada ai loro avversari che, per evitare l’impatto furono costretti a sterzare e così facendo finirono nel fiume.
“Li abbiamo presi quei maledetti – sogghignò Breda, arruffando i capelli di Fury prima di scendere dalla macchina per andare ad arrestare quei banditi – bel lavoro ragazzo! Adesso puoi aggiungere anche la guida al tuo curriculum.”
Rimasero in macchina solo Fury ed il colonnello. Il ragazzo si girò verso il suo superiore, il viso di nuovo tranquillo e timido.
“Sono stato bravo, signore?”
“Tu… tu non guiderai mai più in mia presenza!” riuscì a dire Mustang, ai limiti dell’infarto.
Proprio in quel momento il motore della macchina, provato fino allo stremo da quell’inseguimento, cedette e con uno strano fischio iniziò a far uscire fumo dal radiatore.
 
Almeno una ventina di civili che avevano rischiato di essere investiti, un’auto dell’esercito completamente fuori uso, un’altra nel fondale del fiume, tre criminali arrestati… e l’alchimista di fuoco che necessitò di tre tazze di camomilla per riprendersi.
Quanto può costare aggiungere delle nuove competenze al proprio curriculum.

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Capitolo 16
*** R come Riserbo. ***


R come “Riserbo”

 
Perché un buon soldato dev’essere in grado di capire quali sono le occasioni in cui è necessaria riservatezza e riserbo. Un soldato sa quando agire, quando parlare e quando mantenere il silenzio.

 
 
Nonostante non fosse il maggiore di grado nella sua squadra, Falman sapeva di godere in qualche modo di una posizione privilegiata. Non perché ricevesse qualche trattamento speciale da parte del colonnello, assolutamente, ma perché grazie alla sua memoria perfetta era a conoscenza di informazioni e dettagli che avrebbero sicuramente messo nei guai molte persone.
Ma un’altra grande qualità di Falman era il riserbo: non si sarebbe mai permesso di usare queste informazioni per tornaconto personale e sapeva bene che il colonnello non l’avrebbe mai usato la sua persona a questo scopo, nonostante l’ambizione. Perché Roy Mustang voleva salire in alto, certamente, ma nonostante qualche volta andasse leggermente al di fuori della legalità, voleva farlo in modo pulito: quando gli chiedeva di cercare informazioni su qualcosa o su qualcuno, Falman era moralmente convinto di essere nel giusto e questo certamente era un grande sollievo.
La sua memoria era il suo più grande punto di forza: non voleva avere nessuna remore ad usarla con tutto il suo potenziale.
Ogni documento, ogni dossier che passava sotto le sue mani veniva accuratamente letto ed impresso indelebilmente nel grande archivio che aveva nella mente, pronto ad essere ritirato fuori al momento giusto.
Ci fu solo una volta in cui Vato Falman decise di non usare questa sua grande qualità e di mantenere un tipo di riserbo ancora maggiore di quello che in genere metteva in atto.
 
Fury era da poco arrivato in squadra, nemmeno due settimane, e si stava facendo delicatamente spazio tra di loro. Falman aveva imparato ad apprezzare quel ragazzino così timido, ma volenteroso ed in gamba e sembrava che anche con Havoc le cose iniziassero a migliorare, dopo un inizio non proprio incoraggiante.
Una sera stava rimettendo a posto la documentazione assieme al colonnello… era un rituale che facevano ogni quindici giorni, in modo da non accumulare pratiche da dover consegnare in archivio. Il tenente Hawkeye sapeva di potersi fidare di Falman ed anche il colonnello in quelle occasioni sembrava meno reticente del solito.
Si accorse che sotto una pila di documenti c’era ancora la cartelletta con la scheda personale di Fury che, lui stesso, aveva provveduto a reperire su ordine del colonnello. Prendendola in mano Falman ricordò tutte le informazioni in essa contenute… poche considerato che quel piccolo soldato era fresco d’Accademia.
Caratterialmente è una persona molto disponibile e pronta ad aiutare, ma ha dimostrato diverse difficoltà di integrazione sin dal primo anno d’Accademia…
Già, la parte sulle doti caratteriali… Falman si chiese per l’ennesima volta se la sua simpatia per Fury fosse in parte dettata da quanto aveva letto.
“Oh, quella… - commentò Mustang, vedendola – ecco dov’era finita. E’ così sottile che si era infilata tra gli altri documenti.”
Falman passò quella cartelletta così sottile al colonnello che aprì un cassetto della scrivania con una chiavetta. Il maresciallo si incuriosì: non l’aveva mai visto aprire quel particolare scomparto e più volte si era chiesto che cosa potesse contenere.
Vedendo il suo sguardo, Mustang sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi.
Era un normalissimo cassetto, molto in ordine considerato che c’erano soltanto cinque cartelle, sei se si contava quella che il colonnello aveva appena messo sopra le altre.
“Sono le nostre schede personali, Falman – spiegò Mustang con una scollata di spalle – certo, quella del piccolino è ancora sottile, ma sono sicuro che presto inizierà a diventare spessa come le altre. Forse conviene che la lasci in cima.”
Ma Falman non lo ascoltava: la sua mente aveva appena individuato cose che non aveva ancora letto e memorizzato. Per un suo particolare automatismo si stava già predisponendo a memorizzare ogni cosa e Mustang dovette accorgersene.
“Sono cose in teoria estremamente personali, a cui posso accedere solo io in quanto vostro superiore – iniziò, però poi ammise – Tuttavia forse è un bene che anche tu sappia queste cose… sei la memoria del gruppo e potrebbe tornare utile.”
Prese la scheda sotto quella di Fury e gliela passò. La scritta sul frontespizio diceva:
Colonnello Roy Mustang, Alchimista di Stato.
Falman la prese in mano, sentendo quanto era pesante e spessa e per una frazione di secondo fu tentato di aprirla: sapeva che dentro ci avrebbe trovato tanta guerra e tante morti… una carriera in fondo costruita sullo sterminio di Ishval. Meriti, avanzamenti di grado, eventuali insubordinazioni: c’era tutto il colonnello là dentro, eppure…
“Mi dispiace, signore… - si ritrovò a dire, porgendogli la cartella – ma sono cose che preferisco non sapere.”
“Perché?” gli chiese l’alchimista con un sorriso sincero riprendendola.
“Perché queste cartelle, per quanto contengano la nostra carriera, non parlano davvero di noi… lo so che è un discorso stupido, ma per lei e gli altri preferisco confrontarmi solo di persona e non con quanto leggo.”
Mustang gli posò una mano sulla spalla.
“E la scheda del ragazzo?”
“Quella è stata una sua richiesta, ma ora che Fury è parte della squadra so benissimo che in lui c’è molto di più di quelle due paginette che parlano dei suoi bei voti in Accademia e delle sue difficoltà relazionali. Sembra quasi un insulto ridurlo a quelle poche righe. E poi, se per il ragazzo possiamo fare questo discorso, considerato che è entrato in squadra da poco… per gli altri…”
“Sì?”
“Ecco… se e quando vorranno raccontarmi qualcosa sulle loro vicende passate, io ci sarò. E so che per loro è altrettanto. Ma non violerei mai la loro fiducia in questo modo... è una stupida forma di riserbo, lo so – ammise Falman arrossendo – ma per voi la ritengo giusta.”
Mustang sorrise:
“No, non è per niente stupida… a dire il vero la vostra carriera precedente al vostro arrivo da me preferisco dimenticarla. Non perché non sia importante, ma perché prima o poi la voglio sentire da voi stessi.”
E Falman ebbe un’ulteriore conferma della stima che provava per quell’uomo.

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Capitolo 17
*** S come Saluto. ***


S come “Saluto”

 
Perché la prima cosa che deve imparare un soldato è mostrare rispetto per i propri superiori: il saluto è un riflesso incondizionato per qualsiasi buon militare.
Le regole di comportamento prevedono che, come entra il proprio superiore, i soldati si alzino in piedi e gli rivolgano il saluto.


 
 
Pioveva e lui detestava le giornate di pioggia… in quei giorni poi, quel clima così brutto sembrava accostarsi benissimo al suo umore cupo e a tutti i tormenti che gli attanagliavano l’anima.
Si sentiva particolarmente inutile, non perché la sua alchimia del fuoco era inutilizzabile, ma anche perché si stava piano piano rendendo conto che davvero il suo migliore amico era morto.
Non l’avrei mai pensato… ma sento la mancanza delle sue continue chiamate per vantarsi della moglie e della figlia.
La figlia… il pianto di quella bambina ancora non lo lasciava in pace.
Anche ora che era tornato ad East City gli sembrava di sentirla dietro ogni angolo, invocare il padre, supplicandolo di tornare da lei.
No, decisamente non era una giornata positiva… sperava solo che il tenente mostrasse un briciolo di compassione e non lo tartassasse troppo con documenti e scartoffie.
Anche se forse tornare a quella normalità gli avrebbe fatto bene… l’avrebbe aiutato a riprendersi.
Ma è giusto tornare alla normalità?
Che pensiero improduttivo. Lui che era tornato alla normalità dopo la guerra, ora si faceva scrupoli dopo la morte di una singola persona: era proprio stanco.
Con un sospiro aprì la porta dell’ufficio e vide che c’era solo Breda.
Guardando l’orologio alla parete si accorse effettivamente che era ancora presto: stava perdendo anche la cognizione del tempo… mai si sarebbe sognato di venire in anticipo in ufficio.
“Buongiorno, Breda” salutò con aria annoiata il sottotenente rosso, seduto comodamente alla propria scrivania.
“Salve, signore – rispose il sottotenente, senza nemmeno alzare lo sguardo dai documenti a cui stava lavorando. Tuttavia la mano robusta si allungò verso un sacchetto di carta che porse verso il colonnello – Una ciambella?”
Mustang non era nemmeno arrivato alla propria scrivania e si girò a fissare il suo sottoposto, con quella busta tesa da cui proveniva un odore intenso di glassa. Era quasi incredulo davanti a quel saluto così quotidiano e tranquillo che il sottotenente gli aveva rivolto: una confidenza maturata negli anni, un privilegio che il selettivo rosso concedeva a pochissimi.
Che c’è colonnello? La vita va avanti e noi siamo sempre al suo fianco…
In realtà Breda non disse niente, ma all’alchimista sembrò di sentire la sua voce sarcastica rimproverarlo lievemente per questo suo lasciarsi andare… da solo.
“Sì, grazie, – annuì infine con un sorriso tirato ma sincero, andando a scegliere una ciambella dal pacchetto – oggi proprio ne ho davvero bisogno.”
Il semplice gesto di Breda gli avrebbe addolcito i pensieri almeno per i due minuti successivi.
Ed era già un inizio.

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Capitolo 18
*** T come Tattica. ***


T come “Tattica”

Fondamentale della formazione del soldato, tratta dei metodi d’impiego delle forze nel combattimento.
Sono due i principi fondamentali:
chi attacca deve disporre di un’adeguata massa di manovra (forze 3 contro 1);
l’attaccante sarà quanto più favorito quanto più coglie impreparato chi si difende, eseguendo l’azione nel modo più rapido e risolutivo possibile.

 
 
 
Non era ancora tutto perduto, lo sapeva.
Se la stava giocando sul filo del rasoio, andando contro tutti i principi di tattica militare che aveva imparato in Accademia: tuttavia, era ben consapevole che in determinate occasioni doveva dar retta al suo istinto piuttosto che alle normali regole.
Certo, la situazione era nettamente a suo sfavore: cercare di prendere Central City quando era protetta da così tante forze armate che sapevano benissimo delle sue intenzioni era quasi da suicidio.
Persino Havoc, in genere propenso a simili azioni spericolate, aveva commentato che era una mossa così folle che l’avrebbe sicuramente portato a perdere. Ma, nonostante tutto, dopo aver scosso la testa ed essersi acceso una sigaretta, il biondo non aveva detto altro.
Pensa a quello che devi fare tu, sottotenente… a Central ci penso io.
Sentiva su di lui anche gli sguardi di Falman e Breda: certamente anche loro stavano pensando che stava rischiando davvero il tutto per tutto con quella mossa. Il maresciallo era impassibile come sempre, mentre il rosso aveva un sorriso sarcastico, ma carico d’ammirazione per quella mossa spudoratamente rischiosa che stava per determinare le sorti della sua personale partita.
“Va bene, ci siamo – dichiarò, impassibile, incrociando le mani sul petto – Central ha ventuno truppe, io solo sette: un rapporto di tre a uno. Mi gioco tutto a questo giro… avanti, signor comandante supremo, vediamo come ti difendi.”
E con sguardo determinato, allungo la mano…
“Cazzo lo fa davvero!” commentò Havoc, sgranando gli occhi azzurri.
“Follia!” sospirò Falman.
“Se ci riesce è la botta di fortuna più allucinante della storia!” dichiarò Breda.
“C… colonnello, mi sta facendo paura.” mormorò Fury.
“Zitto sergente e prendi i dadi in mano; sei avvantaggiato, certo… ma vediamo se la tua difesa di Central tiene!”
Con un sospiro Fury prese in mano la sua coppia di dadi e così fece il colonnello: li tirarono all’unisono sul tavolo ed il primo punteggio vide la netta vittoria di Mustang.
“Venti contro sette – sorrise – forza e coraggio, ragazzo. Fatti massacrare dalle mie truppe!”
Furono i due minuti più devastanti nella storia della tattica militare: le regole imparate in Accademia vennero messe a tacere da quei tiri di dadi nettamente a favore del colonnello. I suoi uomini trattenevano il fiato vedendo la sfacciata fortuna di quella giocata che stava piano piano demolendo la corazzatissima e blindatissima Central City in mano ad un sempre più disperato Fury.
“Central City presa dal colonnello… - scoppiò a ridere Breda – risultato finale: quattro truppe rimaste contro le zero di Fury. Diamine ragazzo, ai dadi sei stato davvero sfortunato.”
“E prendendo Central – dichiarò Mustang – ottengo sei nuove truppe; inoltre ora che i miei territori sono collegati ne ho altre quattro extra per ogni zona. Direi che ora gli equilibri sono di nuovo fatti, vero signori? Non pensavate davvero che mi sarei fatto eliminare così facilmente da questa partita.”
“Effettivamente mi sembrava strano che lei uscisse per primo, signore” ammise Falman, con un sorriso.
“Nah… io non ci gioco più con voi – sospirò Fury abbattuto, mettendo i suoi piccoli soldatini azzurri nella scatola, dato che era stato completamente eliminato, avendo perso la capitale – venite sempre addosso a me… e anche quando gioco secondo tattica mi battete lo stesso.”
“Invece di lamentarti dammi le carte che hai in mano, sergente. Passano al vincitore del duello.”
“Eccole…”
“Uh! Caspita, eri messo benino, ragazzo… che peccato, le avresti potute usare solo al prossimo giro. In quel caso dubito che ti avrei battuto.”
“Mh…” mise il broncio il sergente, posandosi nello schienale.
“E dai, non fare l’offeso – sospirò Mustang, rendendosi conto che effettivamente il sergente era sempre il primo a venire fatto fuori in questi giochi a cui lo obbligavano a partecipare – forza, siediti accanto a me: ti nomino mio assistente personale per questa partita.”
“Sul serio? Grazie, signore!” esclamò il ragazzo andando a sedersi accanto al colonnello.
“E così restiamo in quattro a giocarcela, - dichiarò Breda con un sorriso furbo – rosso, nero, giallo e verde… qui ne abbiamo ancora per un bel po’ ragazzi. Vediamo se la tattica vince contro la fortuna.”
I quattro contendenti rimasti si guardarono in cagnesco, pronti a combattere fino all’ultimo soldatino.
La tensione nell’aria fu smorzata dall’arrivo del tenente Hawkeye.
“Non ci posso credere – sospirò la donna – state giocando ancora a Risiko?”
“Questo non è un gioco, tenente – dichiarò Mustang – sono esercitazioni di tattica militare.”
“Il lavoro è stato tutto fatto, signora – aggiunse Breda, iniziando a disporre le sue pedine per l’attacco – è tutto in perfetto ordine… e dato che mancano ancora due ore alle otto, abbiamo tutto il tempo di finire la partita.”
“Fury, fai un favore? Ci vai a prendere qualcosa da mangiare?”
“Ma certo, signore.”
E Riza, guardando quegli uomini grandi e grossi chini su quel gioco da tavolo come dei bambini, capì che era stato un grosso errore regalare a Breda il Risiko per il suo compleanno…
“Comunque potremmo fare un torneo – propose Falman – ogni venerdì, fino a quando uno non arriva a dieci vittorie.”
“Ottima idea, maresciallo… io ci sto!”
“Grandioso, pure io”
“Contate anche me… e Fury, beh, ormai lui è dentro i giochi.”
… appunto, dei bambini.

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Capitolo 19
*** U come Unità. ***


U come “Unità”

 
Un soldato è parte di un gruppo: l’unità della sua squadra è quella che determina le sue vittorie. Ogni squadra è forte quanto il suo anello più debole ad indicare che la cooperazione è fondamentale.
 



Fu il rumore del treno che procedeva spedito a svegliarlo.
Abituato com’era al calmo silenzio dell’ospedale, quel costante cigolio gli sembrava davvero forte e continuava a rimbombargli nella testa. Capendo che la sua mente aveva deciso di restare sveglia, Mustang rinunciò a qualsiasi idea di dormire, per quanto il buon senso gli dicesse che era meglio riposare finché poteva, in previsione di tutto il lavoro che lo attendeva già dal giorno dopo ad East City.
Rimase ad occhi chiusi per qualche secondo, ma poi si diede dello stupido: era già da una decina di giorni che aveva recuperato la vista grazie alla pietra filosofale del dottor Marcoh. Poteva aprire gli occhi come e quando voleva, senza più timore di restare profondamente deluso dal percepire solo tenebre intorno a lui.
Adesso le voci ed i suoni erano accompagnati dalla visione di coloro che li producevano.
Tuttavia aprì le palpebre con deliberata lentezza, portando lo sguardo verso il pavimento dello scompartimento del vagone: era una gesto che gli piaceva… includere nella sua visuale le persone piano piano, quasi assaporando il fatto di vederli di nuovo accanto a se.
Il primo che vide, proprio davanti a lui, fu Falman, occhi chiusi e braccia sul grembo: quasi automaticamente il suo cervello prese a ricordare la voce che durante i giorni della sua cecità continuava a ripetergli milioni di informazioni su Ishval e la sua economia. Una voce calma, metodica, ma capace di attirare l’attenzione: più di una volta si era ritrovato a pensare che Falman sarebbe stato un ottimo insegnante.
Ad interrogarlo invece era quello grasso e rosso che ora dormiva a braccia conserte, eppure pronto a svegliarsi al minimo lamento o movimento del biondo alto e atletico che gli stava accanto. Havoc e Breda: di nuovo insieme, di nuovo a spalleggiarsi… senza nessuna sedia a rotelle a dividerli: questa era una delle più grandi soddisfazioni e gioie che Roy aveva avuto nella sua vita. Aveva mantenuto fede alla sua parola e l’aveva aspettato in cima… non aveva distrutto la vita di quel pazzo scatenato che l’aveva seguito in quei folli sotterranei.
“Tenente… – bisbigliò una voce a sinistra e Mustang quasi d’istinto richiuse gli occhi – tenente, è sveglio?”
“Sì, Fury, – sussurrò la donna – non riesci a dormire?”
“Mh, è difficile in treno… e lei signora?”
“Oh, ho riposato così tanto in questi giorni in ospedale che ho sonno in eccesso e non in difetto.”
Roy sentì dei movimenti tra cui degli uggiolii e capì che uno dei due doveva aver preso in braccio il cane.
“Allacciati bene la divisa: non prendere freddo al collo.”
“Va bene: ma dovrebbe pensare al suo di collo, signora – ecco la nota di preoccupazione: finché Riza avrebbe portato quella lieve fasciatura, Fury sarebbe stato sempre all’erta – se vuole mi sposto così si può sdraiare.”
“Ma no, stai tranquillo… te l’ho già detto: è guarito. La fasciatura la devo portare ancora per una settimana, ma solo per precauzione.”
“Mh…”
“Ehi, sonno difficile, ragazzi?” chiese un’altra voce. Quella di Havoc: doveva essersi svegliato anche lui.
“Scusi, signore, abbiamo usato un tono troppo alto?”
“No, tappo, ma questo treno rende difficile dormire.”
“A chi lo dici” gli fece eco Breda con uno sbadiglio.
“Eppure dovremmo riposare – commentò Falman – da domani ci aspetta un lavoraccio. Il colonnello ha intenzione di partire subito con i lavori per Ishval.”
“Beh, almeno lui si sta riposando.”
E a queste parole Mustang dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non sorridere.
Avrebbe dovuto aprire gli occhi pure lui… eppure era estremamente curioso di sentirli parlare.
“Ehi, - mormorò la voce di Fury – è così bello essere di nuovo tutti insieme… vi giuro che è un miracolo a cui a volte avevo paura di credere. Specie quando ero in trincea.”
“Oh no! Il momento tenerezza evitalo, sergente! Non ho ripreso l’uso delle gambe per vederti con quel faccino commosso.”
“Per una volta tanto, anche se non condivido il suo faccino, sono d’accordo con lui – disse Breda, sicuramente con uno dei suoi soliti sorrisi… anche se privo di sarcasmo – Siamo su questo scomodissimo scompartimento tutti assieme e ci aspettano compiti difficilissimi… ma, diamine, non credo di essere stato così felice negli ultimi tempi. La verità è che mi siete mancati, tutti voi… e se qualcuno ritirerà fuori questa frase se la vedrà con me! Chiaro?”
“Mi siete mancati tutti voi… - mormorò Riza – e non me ne vergogno.”
“Mi siete mancati tutti voi” disse la voce pacata di Falman.
“E va bene, lo ammetto… mi siete mancati tutti voi.” borbottò Havoc.
“Mi è mancato essere così uniti, così vicini – dichiarò Fury con una dolcezza infinita – mi è mancato sentire la mia squadra accanto a me. Ho lottato in trincea per non morire… per poter tornare da voi.”
“Essere una squadra – commentò Breda – questo non ce lo potranno mai levare: né Briggs, né gli homunculus, l’alchimia… nessuno.”
“Chissà se il colonnello ammetterebbe che gli siamo mancati…” ridacchiò Havoc.
“Mh, no. Non si addice al futuro Generale dell’Est e prossimo Comandante Supremo… accontentiamoci di sapere che forse lo direbbe” commentò Breda.
Mi siete mancati tutti voi… - pensò Mustang, sentendosi bene come non gli accadeva da tempo – mi siete maledettamente mancati. Nessuno può separarmi dalla mia squadra, dalla mia famiglia. Nessuno potrà mai distruggere la nostra unità.  

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Capitolo 20
*** V come Vittoria. ***


V come “Vittoria”

La vittoria è il fine ultimo del soldato, l’obbiettivo a cui deve tendere in tutta la sua carriera. Che sia contro un nemico o in altre situazioni, la vittoria è il suo principale scopo.

 
 
Riza e Roy camminavano tranquillamente per le vie della città.
Per quanto la donna fosse eternamente vigile, era più rilassata del previsto: i visi che incontravano erano felici e sorridenti e carichi di buona volontà. Diverse persone li avevano salutati e loro non avevano esitato a rispondere a quei sorrisi: pareva davvero incredibile, ma le loro divise non ispiravano più terrore e paura.
Nessuno di loro due parlava, mentre camminavano senza una meta precisa: osservavano quelle case di pietra, quelle strade di acciottolato così cariche di vita ed energia.
Era quasi incredibile pensare che tredici anni prima quel posto era ridotto ad un cumulo di macerie fumanti.
Adesso centinaia di persone dalla pelle scura e dagli occhi rossi continuavano a lavorare alacremente per terminare la ricostruzione della loro terra natia.
Ma era cambiato molto anche in loro stessi.
Signore, la sua richiesta di riaprire l’esercito ai nativi di Ishval è stata appena approvata dal Comandante Supremo Grumman.
Quelle parole che gli aveva detto Falman qualche settimana prima erano la ciliegina sulla torta: esercito ed Ishval non erano più due fronti opposti. Ora chiunque voleva poteva entrare in Accademia con la sicurezza di diventare un soldato che avrebbe lavorato per Amestris… perché Ishval era parte di Amestris.
Domani sarebbe potuto rientrare ad East City senza problemi, insieme a tutti gli altri… ora che aveva fatto risorgere Ishval dalle sue ceneri poteva pensare anche a qualcosa di più ambizioso. Ed i suoi occhi neri scintillarono leggermente, mentre un sorrisetto gli appariva nei bei lineamenti.
Tuttavia venne distratto dal vedere che il Tenente Colonnello Hawkeye esitava leggermente.
A dire il vero nessuno si sarebbe accorto di quell’indecisione, ma per una coppia affiatata come loro era inevitabile essere arrivati a conoscersi così bene. Così, Roy assecondò la direzione che la donna voleva prendere, ma a tutti sembrò che fosse stato lui a decidere di cambiare strada.
Proseguirono lentamente per le vie più tranquille, lontane da quelle del mercato dove erano soliti passeggiare. Le strette stradine si aprirono all’improvviso in una piazzetta chiusa da dei muretti.
Era un luogo tranquillo, fresco e riposante: una sorta di giardinetto dove alcuni uccellini zampettavano tranquilli.
Roy lanciò uno sguardo interrogativo alla sua assistente come a chiederle se era lì che voleva andare.
Riza sorrise con un briciolo di malinconia e avanzò al centro di quel piccolo angolo di mondo, dove stava un delicato cespuglio di rose bianche. Si inginocchiò davanti ad esso, dando le spalle al suo superiore.
E agli occhi di Roy quel piccolo paradiso sparì… tornarono le macerie, la polvere e la sabbia: Riza ora aveva un cappotto bianco e sporco, le spalle abbassate come se sostenesse tutto il peso del mondo da sola… e finiva di seppellire un bambino senza nome che era stato abbandonato nel ciglio della strada.
La donna sfiorò dolcemente una delle rose, proprio mentre Roy le si inginocchiava accanto.
“Secondo me queste rose erano i fiori preferiti di quel bambino…” mormorò.
“Non so chi sia stato a piantare questo cespuglio proprio sulla sua tomba, ma ne sono felice… ha fatto un lavoro migliore di quello che ho potuto fare io anni fa.”
“Un altro piccolo frammento di rinascita, tenente – perché Roy la chiamava sempre così, senza aggiungere quel “colonnello” – c’è un po’ di lui in questi bellissimi fiori…” e così dicendo raccolse un petalo delicato che era caduto a terra e lo porse a Riza.
Lei lo prese con un sorriso e se lo mise nel taschino della divisa.
“Generale! Generale Mustang – chiamò una voce sempre più vicina e quasi subito comparve il sottotenente Fury, con le cuffie attorno al collo ed il filo a penzoloni sulla camicia a maniche corte – Eccola, signore! Allora, sono arrivate le risposte che lei aveva richiesto ad East City e…”
Mustang lo zittì con un cenno e gli segnalò di accostarsi a loro: il ragazzo, anzi l’uomo dato che ora aveva ventotto anni, si inginocchiò tra lui e Riza e guardò con aria interrogativa il cespuglio di rose, chiedendosi cosa ci potesse essere di così speciale. Però poi si accorse che quei fiori erano davvero belli e, per la sua natura sensibile a queste piccole meraviglie del mondo, sorrise e si mise ad osservarli.
L’anno in cui Riza seppelliva quel bambino, Fury aveva circa quindici anni… non doveva essere molto più grande del piccolo Ishvaliano… Roy si chiese se anche Riza aveva simili pensieri per la testa in questo momento.
Perché Kain non aveva vissuto la guerra come gli altri, l’avevano cresciuto loro cercando di indirizzarlo verso i giusti valori, le cose a cui credere veramente e combattere: un soldato appena diciottenne, ancora puro, senza la macchia della morte, che aveva riposto la massima fiducia in tutti loro.
Vederlo inginocchiato davanti a quella tomba così particolare in fondo era una strana forma di ammenda.
“Fury… - mormorò Riza, prendendo un altro petalo che stava a terra – lo sai qual è una delle cose più belle di questo posto?”
“No, signora, mi dica pure.”
Lei gli mise il petalo tra le mani e le strinse tra le sue, mentre Roy, istintivamente, metteva una mano sulle spalle del soldato.
“E’ che nonostante tutto i fiori riescono a crescere…”
Fury sorrise: fiori nel deserto… gli piaceva tanto quell’idea.
Anche quella in fondo poteva essere considerata una piccola vittoria della vita.

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Capitolo 21
*** Z come Zona rossa. ***


 Z come “Zona rossa”

Questo termine in gergo militare indica una zona il cui accesso è strettamente consentito alle persone autorizzate. Il soldato deve imparare a conoscere questi confini e a rispettarli.

 
 

“Falman, adesso ti spiego una cosa – disse Havoc, posando le mani sulle spalle del compagno – adesso che ci sediamo su questi divani, è come se entrassimo in una maledettissima Zona Rossa dove non è permesso parlare di lavoro, va bene? Quindi fammi il santo favore di dimenticare tutti quei dossier per almeno venti minuti.”
“Come preferisce, signore.” si arrese Falman, sperando che i venti minuti non diventassero mezz’ora, tre quarti d’ora e di più. Anche se Havoc che si accendeva la sigaretta, Breda che posava sul tavolo una busta piena di cibo e Fury che collassava su un divano sdraiandosi beatamente, facevano intendere che c’era la deliberata intenzione di prolungare la pausa più del dovuto.
“Ragazzi… siamo la squadra del Comandante Supremo – mormorò sedendosi – forse dovremmo tenere atteggiamenti più consoni e…”
“Fury, alzati immediatamente a sedere in quel divano – disse secca la voce dell’appunto Comandante Supremo Roy Mustang – ti pare il caso di sdraiarti manco fosse il letto di casa tua?”
“Nhg…” mormorò Fury, reduce da un paio di giornate (e notti) fitte di lavoro con le sue radio. Comunque eseguì l’ordine e si sedette, proprio mentre Mustang li raggiungeva. Falman pensò ad una sgridata in arrivo per il ragazzo, ma Mustang si limitò a sedersi accanto a lui.
“Va bene che questi divani sono grandi, ma questo non ti autorizza a rubarmi un posto a sedere… ehi, Breda, hai un dannato panino con tonno e pomodoro? Se non mangio qualcosa di decente impazzisco.”
“Tonno e pomodoro… ecco qua, signore!” sghignazzò Breda, sempre previdente nel portarsi cibo a lavoro, dato che il menù previsto per chi lavorava ai vertici era veramente pietoso. Meno male che pensava lui ad alimentare adeguatamente la sua squadra.
“Signore…” iniziò Falman
“Prova anche solo a dire qualcosa di lavoro e giuro che ti incenerisco, Falman… tanto lo so che tra poco arriverà l’aguzzina e mi ricorderà quante cose devo ancora fare in questa giornata. L’avessi saputo avrei lasciato il posto alla Armstrong… essere Comandante Supremo è snervante.”
“E’ una delle sue migliori battute, signore!” rise Havoc: l’idea di Mustang che rinunciava alla carica suprema di Amestris in favore della fredda generalessa del nord era veramente ridicola.
“Quella donna mi ispira sempre – sghignazzò Mustang, arruffandosi i capelli per liberarli dalla pettinatura all’indietro. Le ciocche ribelli caddero sulla fronte, dandogli almeno dieci anni di meno, non che fosse privo di fascino – prima o poi la devo invitare a cena.”
“Pensi a quella che sta arrivando di donna, signore – consigliò Breda, con un’occhiata divertita negli occhi grigi – mi pare in pieno assetto da guerra.”
“Ahi…” mormorò Fury che aveva assunto un’aria decisamente più sveglia.
“Signore! – sbottò il Generale di Brigata Hawkeye, fissando Mustang con gelidi occhi castani – Lei la deve smettere di scappare dall’ufficio in questo modo! Ci sono milioni di cose da fare: le voglio ricordare che come Comandante Supremo lei ha molte più responsabilità di quando era…”
“Havoc, ripetimi la definizione di Zona Rossa, per favore.”
“Accesso strettamente consentito alle persone autorizzare, signore.” recitò il biondo, pronto a godersi la scena assieme agli altri.
“Ecco, vedi Generale, questa è una zona rossa… consiglio di guerra, sai cose da uomini.” disse Roy con aria di scusa, manco fossero dei bambini che non vogliono far entrare una femmina nel loro rifugio segreto.
“Consiglio di guerra per cosa?” chiese lei, mettendosi le mani sui fianchi.
“Per mangiare decentemente – propose Breda, offrendole un panino – se non erro i suoi gusti preferiti sono insalata e prosciutto. Andiamo, signora, si faccia tentare… o vuole mangiare uno di quei biscottini grandi come la sua unghia?”
Riza guardò il Maggiore Breda con rimprovero, ma poi si fece avanti e con un sospiro accettò quel panino; ma mentre lo scartava mantenne un’aria di estrema disapprovazione che rivolse a tutta la sua squadra di scansafatiche.
“E tu che hai da canticchiare Fury?”
“Eh, nulla, mi scusi signora! – arrossì lui, tappandosi la bocca con le mani e dunque storpiando la sua voce – E’ stato un riflesso incondizionato.” Lavorare alla radio con un’altra radio accesa forse non era una grande idea.
“Comunque! – interruppe Mustang, facendo cenno alla donna di sedersi – Visto che siamo tutti qui direi che davvero possiamo considerare questo salottino una zona rossa per un consiglio di guerra.”
“Eh?” fece Falman.
“Pare che ci sia una banda di spie di Creta in città e penso che stanotte…”
“Signore! Lei ora è Comandante Supremo – disse Riza con rabbia, poi incluse gli altri – e anche voi, in quanto sua squadra dovreste fargli capire che oramai non facciamo più questo tipo di…”
“Beh, per quanto mi riguarda io ci sto – disse Havoc, lanciando una maliziosa occhiata di scusa a Riza – avevo giusto voglia di sgranchirmi le gambe: anche perché non mi fido di questi imbecilli di Central.”
“Abbondi di dettagli, signore – gli fece eco Breda – che li mettiamo a tappeto solo come noi possiamo fare.”
“Creta, eh? – disse Falman, pensoso – forse hanno a che fare con quella storia di qualche anno fa che…”
“Va bene – sospirò Fury, alzandosi – io vado a ritirare fuori i nostri auricolari…”
“Vuoi giocare ancora con noi, Generale di Brigata?” sorrise malizioso Mustang.
“Non posso lasciarla senza protezione, signore.” sbottò Riza, messa in minoranza.
 
Mentre sentiva quelle battute fin troppo conosciute, Fury ridacchio. Queste persone non sarebbero cambiate mai: anche se ora erano Comandante Supremo con personale squadra annessa, certe cose erano destinate a durare in eterno. Ed era bello avere questa certezza, una zona rossa che la sua squadra avrebbe sempre ritagliato per se.
La canzone gli tornò di nuovo in mente e non poté fare a meno di canticchiare un pezzo.
 
Even if time goes by, there are bonds that will never be change
The heart that shares the same suffering and the same happiness
Even if I collapse, even if I get lost,
Somewhere, the eyes are watching.
Nobody is alone*




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* Non ho potuto fare a meno di metterla, scusate, ma mi piace troppo questa canzone.
E' una strofa di Eternal Fellows, opening di Fairy Tail (anime che non conosco), ovviamente nella sua versione inglese e non giapponese.
E a cantarla è Tetsuya Kakihara, ossia la voce di Fury in Brotherhood ^__^
In fondo trovo che queste parole rispecchino bene la realtà dei nostri soldati :D

 

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