Il Momento giusto

di Ryta Holmes
(/viewuser.php?uid=107)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fammi dormire ***
Capitolo 2: *** Perché non ci sei? ***
Capitolo 3: *** Ho sbagliato tutto ***
Capitolo 4: *** Sono solo ricordi ***
Capitolo 5: *** Ho davvero sbagliato tutto ***
Capitolo 6: *** Dove sei? ***
Capitolo 7: *** Sei tu! ***
Capitolo 8: *** Ammettilo ***
Capitolo 9: *** Non è più questo il mio posto ***
Capitolo 10: *** Qual è il tuo perché? ***
Capitolo 11: *** A metà ***
Capitolo 12: *** Resta con me ***
Capitolo 13: *** Solo per te ***
Capitolo 14: *** Come un tempo ***
Capitolo 15: *** Niente ***
Capitolo 16: *** Il momento giusto ***



Capitolo 1
*** Fammi dormire ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!


 
IL MOMENTO GIUSTO


 
 
Capitolo  1
Fammi dormire
 
Il lago era lì davanti a lui. Si stagliava meschino davanti ai suoi occhi, senza dargli alcun segno. Anni di attesa, più di mille e niente era cambiato. Aveva viaggiato, aveva deciso di smettere di star lì a guardarlo e zaino in spalla, aveva ripreso a girare il mondo.

Aveva  vissuto epoche e avvenimenti sulla sua pelle. Aveva vissuto la storia, di quando in quando era tornato davanti a quel lago ma mentre il mondo continuava la sua strada, quel posto restava crudelmente immutato. Lì la storia non cambiava mai. Lì le epoche non si susseguivano.

Lì, il lago non restituiva nessuno.

Merlin il mago imprecò prima, poi sospirò. Un soffio triste e scoraggiato, di quelli che troppo spesso si concedeva lì davanti. Gli era stato detto che un giorno Re Arthur Pendragon, il Re del passato e del futuro sarebbe tornato. Quando i tempi lo avessero reso necessario quel grande Re che aveva dato vita al regno di Albion, allora sarebbe risorto. Sarebbe tornato tra i vivi per regnare ancora e lui, Merlin il mago, gli sarebbe stato accanto, per guidarlo e consigliarlo, per servirlo e fargli notare i suoi sbagli come un tempo.

Merlin bramava quel giorno da secoli, eppure quel giorno non arrivava mai.

Il lago pareva immutato, la nebbia che lo circondava non lasciava oltrepassare lo sguardo verso il centro, là dove sapeva che Arthur riposava in attesa del suo grande ritorno.

Tutto intorno vi era una striscia di verde, anch’essa statica e identica a quando mille anni prima, il mago aveva salutato le spoglie del suo Re che svanivano su una chiatta tra le acque di Avalon.

Solo oltrepassando il recinto, il tempo tornava a camminare. Una strada trafficata costeggiava il parco e poco più lontano sorgeva un gruppo di abitazioni della piccola cittadina di Glastonbury.

Merlin avrebbe voluto urlare ma tutto quello che gli riuscì di fare, fu accasciarsi a terra e sospirare ancora, affranto e deluso. Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare?

“Non ce la faccio più…” mormorò con un filo di voce. Non era disperato, sapeva che lui un giorno sarebbe tornato ma mille anni erano mille anni e lui li aveva tutti sulle spalle. Pesavano come non mai e una profonda stanchezza lo pervadeva fino alla punta dei capelli.

“Se solo…”

Poi si alzò in piedi e sollevate le mani verso il viso per rendere più forte la sua voce, gridò.

“Dama del Lago!!”

Si fece più vicino alla riva e chiamò ancora. “Dama del Lago! Ti prego, mostrati a me! Ho bisogno del tuo aiuto.”

Per alcuni istanti non accadde nulla. Il lago continuò a prendersi gioco di lui senza muoversi nemmeno al vento della brezza mattutina. Ma Merlin sapeva che la sua Dama, la donna che un tempo aveva amato e che poi era diventata lo Spirito del Lago, non sarebbe stata sorda alle sue richieste.

Fu con un sorriso fiducioso infatti, che accolse quell’improvviso incresparsi delle onde. Poco dopo, la Dama comparve davanti ai suoi occhi, avvolta da un bagliore luminoso. Per lui era sempre stata bellissima e ricordò con piacere i momenti trascorsi con lei, quando secoli prima aveva potuto conoscerla. Anche se poi ne aveva pianto la morte, anche se non aveva potuto amarla come aveva potuto. Per pochi momenti era stato felice ed era quello che serbava nel cuore.

“Dama del Lago, ti prego aiutami.”

“Merlin… perché mi chiami? Lo sai che non posso fare nulla per ciò che tu desideri.”

Il mago strinse i pugni. “Lo so…” ammise affranto. “Ma io non ce la faccio più. Sono passati più di mille anni e Arthur non è ancora tornato.”

“Non è ancora il suo momento, Merlin. E’ per questo che dorme ancora in questo lago.”

“E so anche questo, Freya e lo accetto.” Continuò lui, dimenticando le formalità e chiamandola col suo vecchio nome. “Ma io non posso aspettare altri mille anni… non così almeno. Ti prego, aiutami.”

La Dama restò in silenzio per alcuni istanti, osservandolo e probabilmente studiandolo. Poi schiuse le labbra. “Cosa vuoi che faccia?”

“Fammi dormire. Consenti anche a me di dormire finché non sarà quel tempo. Ho vissuto tanto a lungo e la mia immortalità è una maledizione se tutto ciò che posso fare è attendere l’altra faccia della mia medaglia. Allora fa dormire anche me, permettimi di svegliarmi quando sarà il momento giusto.”

“Merlin…” la Dama apparve titubante. “Sei sicuro di ciò che mi chiedi? Hai detto bene le tue parole?”

Il mago non capì. “Sì… non saprei in quale altra maniera formulare tale richiesta.”

“Le parole sono importanti, Merlin. Ciò che mi chiedi sarà esaudito ma ci saranno delle conseguenze.”

L’uomo serrò la mandibola e represse ogni paura. “Sono pronto alle conseguenze…”

La Dama sospirò, addolcendo la sua espressione e guardando il mago con compassione. “Mio caro Merlin, il tuo cuore è gonfio di affetto per il tuo Re ma pensa bene a ciò che mi chiedi. Il sonno che mi chiedi avrà delle conseguenze, quando ti risveglierai, potrai anche ritrovare il tuo Re ma non sono convinta che tu sarai più lo stesso.”

Merlin continuava a non capire. La Dama lo metteva in guardia ma da cosa? Cosa sarebbe potuto accadergli? Eppure…

“Ho forse altra scelta?”

“Sì, puoi continuare ad aspettare.”

“E quanto? Altri mille anni? Duemila?”

“Non sai quando Arthur tornerà, potrebbe anche essere domani.”

“No, non è vero.” La interruppe con amarezza. “Non tornerà domani, non prendiamoci in giro. Fammi dormire, Freya. Non ho paura di ciò che comporterà, mi basterà ritrovare il mio Re.”

La Dama lo guardò ancora in silenzio, poi socchiuse gli occhi. “E sia. Gli Spiriti del Lago ti concedono questa richiesta. Dormirai Merlin, fino al momento giusto, come desideri.”

Merlin finalmente, dopo anni, sorrise. Accolse la magia della Dama e socchiuse gli occhi lasciandosi andare. Verso un sonno ristoratore. Verso il suo Re.

 
Continua…
 
Ehilà! Della serie “A volte ritornano”, ogni tanto mi faccio viva quando ritorna qualche idea folle… come questa! Sono lontana dal fandom da un po’, per cui spero di non aver copiato qualche idea ma ho in mente una trama ben precisa per questa storia, che… beh. Starete a vedere!

Intanto invoco il vostro giudizio!

A presto!

Ryta

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Perché non ci sei? ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

 
IL MOMENTO GIUSTO


Capitolo 2
 
Perché non ci sei?
 
 
Spirava un vento forte quella mattina. Quell’aria malsana che ogni tanto arrivava da Nord, dove c’era il deserto e che avvolgeva tutto come in una cappa irrespirabile.

Arthur non si sarebbe mai abituato a quel vento, era la cosa che più odiava, perché gli ricordava che le cose erano cambiate nel mondo. Che il tempo del Medioevo, come la storia lo chiamava, era finito secoli e secoli prima. E che da allora molte epoche si erano susseguite senza sosta, molti cambiamenti, alcuni dei quali così radicali e potenti, che niente avrebbe più potuto riportare indietro le certezze che gli uomini avevano sempre avuto.

Epoche distanti e importanti in cui tutto era mutato. Ed era stato in una di queste epoche, che lui si era risvegliato. Aveva aperto gli occhi un giorno, sbadigliando come se avesse semplicemente dormito per ore. Pochi istanti per rendersi conto di essere disteso su una vecchia chiatta avvolta dalle acque e dalla nebbia, poi tutti i ricordi erano tornati alla memoria, con forza.

La sua ultima battaglia a Camlann, Mordred che lo feriva a morte, l’inseguimento di Morgana e poi… Merlin.

Mentre la barchetta lo riportava magicamente a riva, percorrendo silenziosa il lago, Arthur si era guardato intorno, convinto di essere atteso. Ma quando aveva toccato terra, non c’era nessuno.

“Perché non ci sei?”

Si era sentito particolarmente stupido nel porre quella domanda, perché in fondo doveva essere morto e per logica doveva essere improbabile che qualcuno lo stesse aspettando. Che lui lo stesse aspettando. Eppure non riusciva a scrollarsi quella sensazione di dosso, come una puntura al centro del petto, che gli ricordava i suoi ultimi istanti di vita. Era quasi incosciente allora – o era già morto? O addormentato? O qualunque cosa fosse? – eppure ricordava le parole rivolte a Merlin da qualcuno – una creatura? Forse… - che prospettavano il suo ritorno, un giorno.

Quindi Merlin lo doveva aspettare. E Arthur sapeva che lo avrebbe fatto.

Ma… quanti anni erano passati?

“Re Arthur.”

La voce di una donna lo aveva spaventato e lo sgomento era aumentato, quando voltandosi verso il lago, aveva scorto una sagoma iridescente dalle fattezze di una giovane che lo guardava sorridendo.

“Chi sei?” aveva chiesto, mettendo mano alla spada Excalibur che era stata lasciata con lui nella barca e che al risveglio aveva rimesso a posto nella cintola dell’armatura.

La donna non si era fatta intimidire dal gesto. “Io sono la Dama del Lago. Gli Spiriti di questo posto hanno protetto il tuo sonno, grande Re. Ora è giunto il tempo del tuo risveglio.”

“Io…” lo sgomento in Arthur non si era dissolto, non riusciva a capire ma forse quella donna, poteva dargli tutte le risposte. Aveva lasciato andare la spada e fatto qualche passo in avanti. “Io credevo di essere morto. Perché… perché sono qui?“

Aveva quasi paura a chiederle se fosse vivo o meno. Ricordava i racconti della balia sui fantasmi che infestavano il castello di Camelot e anche se crescendo aveva smesso di crederci, forse poteva essere diventato anche lui uno spirito…

“Tu sei vivo.” Lo aveva tranquillizzato la Dama, quasi leggendo nella sua mente. “Sei ritornato in vita, perché è giunto il tuo momento. Tu sei il Re del Passato e del Futuro e devi compiere il tuo destino.”

Arthur aveva rievocato nei ricordi, quella voce che diceva a Merlin la stessa cosa, mentre lo abbracciava ormai morente.

“Quando parli del futuro, intendi…”

“Sono passati molti secoli da quando sei stato portato qui, grande Re.” Lo aveva anticipato la Dama e Arthur aveva avuto un fremito nel comprendere quelle parole.

“Secoli…” improvvisamente si era sentito ancora più spaventato di prima.

“Il mondo ha di nuovo bisogno di te e della tua grandezza, per questo sei stato risvegliato. Molte cose sono cambiate in questo mondo, oltre questo lago dove il tempo si è fermato, ti renderai conto che niente sarà più lo stesso. Ma non aver paura, Arthur, tu sei destinato a grandi cose e la mano del destino è molto potente. Ti aiuterà in questa impresa.”

L’uomo non riusciva a crederci. Le parole di quella donna lo terrorizzavano e lo confondevano. Aveva allargato le braccia in un gesto esasperato. “Ma cosa dovrei fare?! Come posso io, da solo, inoltrarmi in un mondo che non conosco e tornare a fare il Re?”

La Dama del Lago gli aveva sorriso incoraggiante. “Te l’ho già detto, è nel tuo destino. Quando ti troverai in quel mondo, saprai cosa fare. Ora va’ e compi il tuo fato.”

Arthur non aveva più saputo cosa dire. Era vivo ma da solo e senza regno. Tutti quelli che conosceva ormai non erano che polvere. Per un attimo aveva pensato che avrebbe potuto accamparsi lì a vita; in quel posto la Dama aveva detto che il tempo si era fermato, no? Ma poi una sensazione di orgoglio prevalse su tutte le sue paure.

Insomma, se era stato dichiarato il Re del Passato e del Futuro un motivo c’era. E se fosse rimasto lì, non avrebbe mai potuto scoprire cosa era accaduto al mondo e quali opportunità avrebbe potuto vivere.

Aveva sollevato il capo con forza e guardato la Dama. “Andrò. Ma ho un’ultima cosa da chiederti.”

“Dimmi pure.”

“Quando sono morto… c’era Merlin con me. Lui era un mago e un mago non dovrebbe essere immortale?”

“Mi dispiace Arthur, ma Merlin non è tra noi.”

Arthur aveva chinato il capo, deluso. “Va bene.”

Erano passati cinque anni da quel giorno… e da allora molto altro era cambiato. Troppi avvenimenti racchiusi in un unico lustro che avevano nuovamente messo a soqquadro la sua vita e lo avevano cambiato al punto che Arthur sapeva di non essere più quel cavaliere senza regno, solo e ignorante del mondo che aveva aperto gli occhi sul lago di Avalon. Ora era quello che il destino lo aveva chiamato a diventare.

“Sire!”

Un richiamo alle sue spalle. Abbandonò lo sguardo che si era perso fino a quel momento oltre la finestra e si voltò a guardare la persona che lo attendeva sulla soglia della porta.

“Ti aspettiamo nella sala delle strategie, siamo già tutti lì.”

Arthur annuì sorridendo. “D’accordo, arrivo.”

Ora era davvero il Re del Passato e del Futuro.

 
Continua…

 
Buongiorno e buon lunedì! Ho deciso di pubblicare in questo giorno della settimana per addolcirvi l’inizio! Visto come sono buona? :D

Intanto voglio ringraziare chi ha già iniziato a leggere e a seguire questa storia e soprattutto chi ha già voluto commentarla! Un grazie speciale a Bimbaluna81 (o ti posso chiamare Lunaris? XD), Asfodelo, Pandora86 e Lucylu.

Rinnovo come sempre il mio invito a commentare! Detto questo, alla prossima!

Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo ;) “Ho sbagliato tutto”.
 
Baciii
Ryta

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ho sbagliato tutto ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 
IL MOMENTO GIUSTO



Capitolo 3
 
Ho sbagliato tutto
 
 
Coscienza. Merlin si sentì di nuovo vivo e pensante all’improvviso. Con gli occhi ancora chiusi, iniziò col percepire i rumori. Suoni ovattati dapprima, poi sempre più distinti di cespugli smossi. Qualcosa si avvicinava a lui.
 
Cosa sarà?
 
Quel primo pensiero non aveva lasciato spazio ad altro in principio ma poi qualcosa si era fatto strada nel dormiveglia, una domanda.
 
Da quant’è che dormiva?
 
E poi tutto tornò a galla. Spalancò gli occhi e si mise a sedere, ritrovandosi tra l’erbetta fresca che cresceva intorno al lago di Avalon. Aveva dormito, proprio come aveva desiderato. Aveva dormito fino al risveglio di Arthur, fino al momento giusto.
 
Fu con un sorriso quindi che cercò di alzarsi in piedi ma una forte debolezza gli aveva intorpidito gli arti e alla fine tutto quello che gli riuscì di fare fu guardarsi intorno in cerca di Arthur.
 
Il lago era come se lo ricordava, sempre immobile e mai soggetto al tempo. Le acque chete non si increspavano col vento e la nebbia da sempre al centro del lago… un momento. Dov’era finita la nebbia?
 
Merlin strizzò gli occhi e poté constatare che la nebbia era sparita. Al centro di Avalon non c’era più nulla.
 
“Arthur…” mormorò, la voce roca dopo chissà quanto tempo passato a dormire. Con molta fatica riuscì a rimettersi in piedi, si sentiva stanchissimo e già lo stomaco iniziava a brontolare dopo anni di digiuno. Oltre alla fame però, c’era qualcos’altro che premeva contro il suo stomaco: ansia.
 
Una strana paura si era impossessata di lui, perché il fatto che il lago non fosse più il lago che ricordava, lo preoccupava. C’era sempre stata la nebbia lì a nascondere la barca in cui giaceva Arthur. Perciò se non c’era più… dov’era il re?
 
“Arthuuuuuur!!” gridò il nome del sovrano più volte, accennando anche qualche passo ma la sua voce riecheggiò nel silenzio solitario del luogo senza alcun risultato.
 
Provò allora a chiamare la Dama del Lago ma anche con lei non ottenne risposta. Era come se tutto ciò che aveva reso speciale quel posto… non ci fosse più. O meglio, come se a non esserci più fosse la magia stessa.
 
Il terrore si confuse all’angoscia e Merlin gridò e gridò ancora, adesso riprendendo forza nelle gambe e muovendo altri passi intorno al lago, vicino agli alberi.
 
“Non è possibile… non ci credo… dove sei, Arthuuur!!”
 
Prima che potesse urlare altro, quel rumore di cespugli, catturò nuovamente la sua attenzione. Ebbe appena il tempo di voltarsi, quando qualcosa sbucò tra la macchia di verde con aria minacciosa. Era una creatura che non aveva mai visto: la testa era quella di un lupo ma aveva tre zampe in più e la coda si biforcava in due estremità sulle cui punte grondava del liquido.
 
Merlin non si chiese cosa potesse essere, quella bestia ringhiava e sbavava minacciosa verso di lui, pronta all’attacco e la prima cosa a cui pensò fu di difendersi.
 
Sollevò la mano, pronunciando il primo incantesimo di difesa che ricordava. E quando non accadde nulla, quella morsa allo stomaco aumentò.
 
“Ma che…” gridò altre volte l’incantesimo ma la magia non confluiva nelle sue mani, i suoi occhi non si doravano e quando la bestia infine attaccò, Merlin ebbe appena il tempo di schivarlo. Scartò di lato rotolando sul terreno ma il lupo fu velocissimo a riprendersi e con un balzo, tornò all’attacco.
 
Merlin urlò di paura e cercò di evitarlo ancora, ben sapendo che poco avrebbe potuto fare con l’agilità di quel mostro. Quando scorse un grosso ramo per terra, si lanciò verso l’unica arma disponibile e lo raccolse, ansimando. Si sentiva ancora stanchissimo ma il terrore gli aveva dato la forza necessaria e sperò con tutto il cuore che gliene desse anche per colpire la bestia.
 
Quando il lupo attaccò di nuovo, Merlin cercò di ricordare le lezioni di scherma fatte e Camelot – difficile, visto che ormai erano passati secoli! – ma gli riuscì di scartare leggermente da un lato e di colpire con la forza necessaria il lupo, sulla pancia.
 
La creatura uggiolò ma poi tornò a ringhiare e attaccò ancora. Merlin questa volta si piegò per terra e rotolò per schivare quella bocca dentata e famelica, e gemette di dolore, come se si fosse improvvisamente scottato, quando sfiorò con una spalla, la coda biforcuta. Nonostante tutto, riuscì a rialzarsi di scatto e a colpire con forza la testa del lupo. Il rumore sordo che ne seguì provocò la nausea a Merlin, che vide la bestia accasciarsi a terra priva di sensi e poi un rivolo di sangue sporcare il pelo.
 
Ansimò, mentre le forze lo abbandonavano nuovamente e dovette inginocchiarsi a terra per un momento. Si sentiva svuotato e quella brutta angoscia, su cosa gli fosse accaduto continuava a tormentarlo.
 
Improvvisamente, sentì i cespugli muoversi ancora e allora Merlin si rialzò in piedi e decise di scappare. Tenne con sé il bastone, mentre con uno sforzo riuscì ad intraprendere una corsetta per uscire dal bosco di Avalon, con la speranza che una volta fuori da lì, quelle bestie non lo seguissero oltre.
 
Superata la striscia di verde che circondava il lago, si fermò. E allora i lupi, la magia e Arthur per un attimo smisero di avere importanza.
 
Davanti a lui, per miglia e miglia, si estendeva il deserto.
 
*
 
Camminava ormai da ore. Trascinava i piedi sempre più stanchi tra le dune sabbiose, avvertendo il senso di spossatezza aumentare ad ogni passo. Sapeva che qualcosa non andava, perché il braccio che aveva sfiorato la coda di quella bestiaccia bruciava e col passare del tempo la pelle prendeva un colore violaceo e poco rassicurante.  Alternava un caldo soffocante a violenti brividi di freddo e quando si sentì annebbiare la vista fu sicuro che quella roba che fuoriusciva dalla coda del lupo, fosse veleno.
 
“Bene… ho dormito tutti questi anni per morire nel deserto?”
 
Non era convinto di morire per davvero, sulla storia dell’immortalità c’erano dei punti che non aveva ancora ben chiarito, però di certo quella situazione non era allettante. Quando si era ritrovato davanti il deserto, aveva poi scoperto con sgomento che dietro di lui il lago era sparito, come se una volta uscito da quel luogo, questo fosse scappato via, altrove.
 
La buona notizia era stata che con il lago erano svanite anche le bestiacce fameliche. La cattiva notizia era che si era ritrovato circondato da dune di sabbia e da un vento malsano e irrespirabile di cui non comprendeva la provenienza. Sembrava arrivare da nord – motivo per cui aveva iniziato a camminare verso sud – e la cosa non gli piaceva per niente, come non gli piaceva il fatto che ci fosse il deserto là dove sapeva c’era sempre stata la vita.
 
Cosa era accaduto al mondo? E quanti anni aveva dormito? Ma soprattutto dov’era Arthur?
 
Aveva chiesto di dormire fino al momento giusto, no? Ovvero fino al risveglio del re…
 
Un pensiero spaventoso si fece strada in lui, la mente ancora lucida nonostante il decadimento fisico: possibile che…
 
Una fitta di dolore lancinante al braccio lo riportò bruscamente alla realtà, al punto che inciampò nei suoi stessi piedi. Finì con la faccia sulla sabbia che fortunatamente attutì la caduta senza altre conseguenze. Ma d’altronde si sentiva così intorpidito che sospettava non avrebbe avvertito nulla nemmeno se fosse caduto sul granito.
 
Sbuffò stanchissimo, mentre il veleno si faceva ormai strada in tutto il suo corpo… e poi scoppiò a ridere. Una risata amara e disperata. Che ironia della sorte in fondo. Erano queste le conseguenze di cui parlava la Dama?
 
Perdere la magia, svegliarsi nel deserto e probabilmente in un tempo in cui Arthur non c’era?
 
“Ho… sbagliato tutto.”
 
Un mormorio abbattuto, prima di perdere i sensi.
 
Continua…
 
 
Ehilà!! Ancora una volta buon inizio di settimana a tutti!!
Allora, finalmente entriamo un po’ nel vivo della storia. Arthur si risveglia, Merlin si risveglia ma… ehhhh c’è’ un ma grande quanto un casa XD hahahaah Lo so, son sadica u_u
 
Lascio a voi le domande! E spero i commenti ^^ Visto che ci sono tante letture (e di questo vi ringrazio!) spero di poter avere anche qualche vostra recensione, vi assicuro che sarebbero infinitamente gradite!!
 
Ringrazio comunque Lunaris e Pandora86 perchè loro non mancano mai! ;)
 
Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo! “Sono solo ricordi”.
 
Baci
Ryta

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sono solo ricordi ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

 
IL MOMENTO GIUSTO


Capitolo 4
 
Sono solo ricordi

 
“Sire, dobbiamo radunare le forze qui sul confine se vogliamo avere la certezza di difenderlo.”
 
“No sire, io credo invece che dovremmo attaccare e spostare la linea oltre il confine. Ci garantirà più tempo per far evacuare i centri abitati se dovessimo arretrare in un secondo momento.”
 
Arthur ascoltava in silenzio le parole dei suoi compagni, amici e consiglieri, osservando una vecchia cartina dell’Europa. Gli sembrava strano definirla “vecchia”, perché ai suoi tempi non esisteva l’Europa così come era concepita in quell’epoca, eppure la cartina doveva avere almeno una cinquantina d’anni a guardare lo stato di degrado.
 
A dirla tutta nel tempo in cui si era risvegliato, i confini degli stati europei non erano nemmeno più tenuti tanto in considerazione. Da quando la guerra aveva invaso i continenti decimando gran parte della popolazione mondiale e cambiando per sempre il corso della storia, niente era più preso tanto in considerazione.
 
Gli stati europei così come erano concepiti in sostanza, non esistevano più. E su quella cartina erano stati tracciati con un pennarello i segni dei nuovi confini del regno che lui stesso aveva ricreato.
 
“Allora sire, qual è la tua posizione?”
 
Arthur stava ancora soppesando le varie opzioni. Nel frattempo con le dita giocherellava con il bordo della cartina, là dove il tempo l’aveva strappata.
 
“Voi ragionate come se avete la certezza che attaccheranno. Non abbiamo la conferma, quelle popolazioni sono allo sbando esattamente come tutte le altre.”
 
Popolazioni allo sbando. Ecco cosa aveva trovato Arthur quando si era risvegliato. Un mondo nel caos, distrutto da una guerra che alla fine non aveva avuto nessun vincitore ma solo un pianeta intero sconfitto e sanguinante. Una civiltà spazzata via, di cui rimaneva ben poco del progresso e della tecnologia acquisita negli anni.
 
In mezzo a quel caos lui si era risvegliato e aveva dato al mondo una speranza. Certo non che avesse conquistato il mondo intero – anche se un punto arrogante del suo cervello ogni tanto lo istigava a raggiungere obiettivi sempre più grandi – però era riuscito in quegli anni a riunire la gente del continente europeo che era sopravvissuta. Aveva assunto il ruolo di guida più che di re, portando a quelle persone distrutte una speranza… e tecniche di sopravvivenza.
 
Quello che più in effetti, lo aveva aiutato nel far carriera, era stato il fatto che la società civile prima della guerra si era evoluta a tal punto da aver dimenticato ogni nozione sulla sopravvivenza personale. Le genti del futuro non sapevano coltivare campi, non conoscevano le tecniche di allevamento, né tantomeno quelle per la costruzione di abitazioni, oggetti o altro.
 
Da quanto aveva appreso Arthur, prima della guerra gli esseri umani avevano consegnato tutte le fatiche alle macchine, stranissimi aggeggi che avevano vita propria – ma non si trattava di magia, di questo se ne era accertato – e che svolgevano qualsiasi funzione venisse loro richiesta.
 
Gli umani in cambio facevano altro, tipo… sì, insomma, tipo farsi la guerra a vicenda.
 
Il più grande e terribile conflitto della storia però, aveva distrutto ogni cosa e così all’improvviso i pochi superstiti si erano ritrovati a capire come fare a sopravvivere.
 
Il mondo era cambiato, le città erano quasi tutte distrutte, la natura si era ribellata crescendo e affondando radici là dove aveva potuto ma soprattutto il mondo aveva cambiato assetto, perché quasi ovunque a Nord adesso c’era il deserto.
 
Era là, quasi all’altezza del Polo artico, che era infuriata l’ultima battaglia. Lì la guerra era finita una volta per tutte, uccidendo tutti quelli che l’avevano causata e cambiando il mondo per sempre. Ora a Nord non c’era più la vita. Dall’Artide nessuno era più tornato e nessuno avrebbe mai pensato di andare a dare un’occhiata. Quel vento malsano che spirava a periodi puzzava di morte e di veleno e teneva alla larga anche i folli. Tutto intorno, quasi a protezione, si era creato un deserto che circondava la parte superiore dell’emisfero terrestre e che si estendeva per gran parte dei continenti a Nord.
 
La Britannia ad esempio, come Arthur la conosceva, non esisteva più. Ora si trovava in quello che una volta era il Sud della Francia e di strada ne aveva fatta quando cinque anni prima era uscito dalla zona del lago di Avalon e si era ritrovato improvvisamente nel deserto. Er a stato solo per miracolo se poi era sopravvissuto…
 
“Sire!”
 
La voce del suo consigliere lo distolse dai ricordi. Lo guardò tornando velocemente alla realtà e sollevando le sopracciglia per il tono di voce.
 
“Secondo me non capisci la gravità del problema. Cassandra ha sognato di una grande minaccia a est e sai benissimo che lei non sbaglia mai.”
 
Cassandra era una strega ovviamente ma questo lo sapeva solo lui. Gli altri compagni erano soltanto a conoscenza del fatto che i suoi sogni si avveravano sempre ma non parlavano mai di magia. In quel tempo la magia non esisteva.
 
“Lo so benissimo. Ma il punto è che Cassandra non ha sognato popoli in ribellione o gente che minaccia i confini. Lei ha parlato solo di un grande pericolo. Potrebbe essere qualsiasi cosa.”
 
I due uomini che Arthur aveva come consiglieri si zittirono, riflettendo sulle sue parole. Arthur li osservò, sapeva di poter contare su di loro, ormai li conosceva da cinque anni ed erano state le prime due persone che aveva incontrato dopo il risveglio.
 
“Pierre, Claude. Abbiate pazienza. Non voglio attaccare nessuno né prepararmi ad una guerra. Questo regno non si è fatto con le battaglie, lo sapete benissimo. La gente non vuole combattere mai più.”
 
I due compagni annuirono con gravità. Era vero, la guerra aveva esaurito ogni desiderio di violenza negli esseri umani e quando Arthur era arrivato, aveva riunito i popoli semplicemente con la promessa di conoscenza e benessere.
 
“Andremo sul confine senza farci notare e vedremo quali sono questi pericoli che tanto hanno spaventato la nostra Cassandra. A quel punto vedremo il da farsi.”
 
Claude e Pierre annuirono. “Va bene.”
 
La determinazione con cui lo ascoltavano lo fece sorridere. Quei due erano i suoi compagni più fidati, degli amici ormai su cui contare e a cui sostenersi nei momenti di difficoltà. Proprio come faceva con…
 
“Sire, stai bene? Prima sorridi, poi improvvisamente ti scurisci.”
 
Arthur scosse il capo, cancellando i brutti pensieri. “Sì sì, tranquillo. Sono solo ricordi.”
 
Uscì dalla sala delle strategie, quei ricordi che vorticavano in mente impossibili da scacciare.
 
Continua…
 
Buonaseraaaaa!! Innanzitutto buone feste a tutti quanti! Questa volta l’aggiornamento è stato slittato di una settimana e mi scuso ma il Natale mi ha inghiottito e mi sono vista costretta a saltare un lunedì. Cercherò di essere più sistematica! Certo che se ricevessi qualche commento, visto che le letture sono così tante, sarei anche più motivata u_u lo dico così, giusto per dire…
 
Ringrazio sempre con il cuore Lunaris e Pandora86 e questa volta anche la cara Emrys *-* vi adoro!
 
La trama prende sempre più consistenza, nel frattempo scopriamo cosa è accaduto al mondo… ve lo avevo detto che si trattava di uno scenario apocalittico u_u
Sono comunque curiosa di avere un vostro parere a riguardo!
 
Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo “Ho davvero sbagliato tutto!”
 
A presto!
Ryta

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Ho davvero sbagliato tutto ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!


 
IL MOMENTO GIUSTO


Capitolo 5
 
Ho davvero sbagliato tutto
 
 
Il caldo era soffocante. Fu questo il primo pensiero che Merlin ebbe, quando tornò la coscienza. Non aveva ancora aperto gli occhi, perché gli sembrava qualcosa di molto complicato al momento però la mente si era risvegliata e gli rimandava quella sgradevole sensazione di calore e quel desiderio di farsi una dormitina in una cella frigorifera.
 
Oltre al caldo, ben presto si rese conto di avere anche un gran mal di testa. Si sforzò di sollevare le palpebre stanche ma dovette metterci molto più impegno di quel che credeva. Quando finalmente si schiuse uno spiraglio, cercò di mettere a fuoco e tutto ciò che vide fu un volto.
 
Il volto più brutto che avesse mai visto. E insomma, lui era vissuto ai tempi del Medioevo, quando il sapone era un optional e il dentifricio non era stato inventato. Di volti brutti se ne intendeva ma quello li superava tutti.
 
Cercò di aprire la bocca ma non ne uscì alcun suono, vide però l’uomo brutto studiarlo con sorpresa.
 
“Ehi Mattew! Questo qui è ancora vivo!” la voce bassa e gracchiante era perfetta per quel volto orrendo, pensò Merlin.
 
“Sei sicuro? Non è qualche reazione radioattiva o che so io?” provenne una voce da lontano.
 
Merlin si vide studiato con più attenzione. Cercò di parlare ancora e sollevò anche le braccia pesanti per indicare che era vivo e che non stava… friggendo o chissà che altro per colpa delle… radiazioni? Che radiazioni?
 
Si rese intanto conto, che la ferita al braccio continuava a bruciare e che sicuramente la debolezza era dovuta al veleno che l’aveva causata.
 
“Macchè, questo si muove proprio. Non mi sembra radioattivo, è solo ferito! Quello è il segno di un cane bicoda!
 
“E che diavolo ci fa nel deserto un tizio colpito da un cane bicoda?!”
 
“Cosa vuoi che ne sappia io!”
 
Merlin si godette lo sveglio scambio di battute tra il volto brutto e la voce senza padrone, cercando nel frattempo di capire dove si trovasse. Sulla sua testa, oltre al faccione scorse il telo sporco e rattoppato di una tenda. Poco dopo, un’ombra tolse luce allo spazio in cui si trovava e Merlin capì che dall’ingresso era entrato il padrone della voce.
 
“Joan i cani bicoda vivono a est, non in questa parte di mondo.”
 
Il brutto di nome Joan – Merlin si chiese come facesse uno così ad avere un nome tanto dolce – assottigliò lo sguardo verso l’altro e assunse un’aria arrabbiata.
 
“Non sono un idiota. So riconoscere il segno di un cane bicoda.” Asserì imbronciato, incrociando due braccia enormi e pelose che facevano perfettamente pendant con la faccia e la voce.
 
Prego, chiacchierate pure, tanto potrei essere solo diventato mortale, pensò Merlin seccato.
 
L’uomo chiamato Mattew finalmente si avvicinò per guardarlo e Merlin vide che con il suo compare non aveva niente a che spartire. Per quanto Joan fosse brutto, Mattew era bello. In là con gli anni ma di una bellezza affascinante. Buffo.
 
“E va bene, hai ragione. Quello è un segno di bicoda. Ora che vuoi farne?”
 
Joan parve pensarci su. A Merlin non sembrò uno avvezzo a fare spesso cose come riflettere. “Che dici, lo curiamo?”
 
Mattew sbuffò. “Abbiamo trovato questo tizio nel deserto, Joan. Per quel che ne sappiamo potrebbe anche essere pericoloso e pieno di radiazioni. Lo sai bene che non c’è nessuno nel deserto.”
 
“A parte noi.”
 
“Sì ma noi difendiamo i confini dalle creature.”
 
“E chi ti dice che non sia un cacciatore anche lui? Magari viene da est, non da… da nord.”
 
Mattew osservò in silenzio Joan, poi sospirò. “Fanne che vuoi. Se ti ammazza nel sonno o domani mattina ti risvegli con tre braccia non è colpa mia!”
 
Merlin lo vide sparire dalla sua visuale e andarsene fuori dalla tenda borbottando tra sé, poi dedicò attenzione a Joan che gli sorrise bonario mostrando una chiostra di…. buchi inframmezzati da qualche dente annerito.
 
“Ci penso io a te.”
 
Per Merlin tutta quella scena fu troppo. Poco dopo, scivolò nuovamente nell’incoscienza, sperando che quel bruttone di Joan gli salvasse la vita.
 
*
 
Quando Merlin si risvegliò, riuscì a schiudere le palpebre con molta più naturalezza. Il caldo era sempre afoso ma non provava più quella terribile spossatezza dell’ultima volta. Con piacere si accorse anche che il bruciore al braccio era sparito.
 
Poco dopo il brutto faccione di Joan comparve nella sua visuale e per un attimo sobbalzò.
 
“Bene! Sei vivo!” constatò con soddisfazione.
 
Merlin abbozzò un sorriso e pur con la gola ancora secca, riuscì ad emettere qualche suono. “Grazie…” mormorò.
 
“Lo dicevo io che ti salvavo la vita! Quel cretino di Mattew non mi credeva e guarda un po’? Niente braccia in più! Secondo me non sei radioattivo.”
 
Il mago annuì sincero. “Non vengo da Nord…” spiegò con voce flebile, ricordando la conversazione dell’ultima volta. Tanto valeva reggere il gioco e approfittare della situazione per capire dove si trovasse e in che epoca. Aveva intanto notato che i due uomini nel nome e nell’accento, gli sembravano francesi.
 
“Lo sapevo io!” esclamò Joan con una risata burbera. Ora che lo vedeva meglio a Merlin parve un grosso orso ruba cestini da pic-nic. Un animale feroce che invece sotto sotto è un bonaccione insomma.
 
“Mattew ti credeva uno del Nord ma lo sanno tutti che lì non c’è più niente! Figurarsi gli umani!”
 
Merlin cercò di mettersi seduto e ci riuscì a fatica. “Cosa mi è successo?” chiese.
 
“Eri avvelenato ma io conosco bene l’antidoto per il veleno dei bicoda. Sei stato fortunato… come ti chiami?”
 
“Merlin. Piacere. E tu sei Joan.” Del sorriso con cui si presentò, Joan parve ancora più soddisfatto.
 
“Tu mi sembri uno a posto. Che ti è successo?”
 
Dapprima il mago ponderò se fosse il caso di dirgli o meno la verità. O meglio che vagava per il deserto senza sapere nulla. Poi optò per restare sul vago e cercare di capire senza scoprire troppo le carte. Dopotutto dire di essere un mago addormentato per secoli in cerca di un re non gli pareva il caso.
 
“Vengo da Est. E non sono un cacciatore. Sono partito in cerca di un amico... anche lui è sperduto nel deserto.”
 
Joan lo guardò con compassione. “Doveva essere davvero importante per te questo amico. Fratello, nel deserto non si sopravvive.”
 
Merlin si sentì un po’ stupido, poi però improvvisamente lo colpì la paura. E se Arthur si fosse svegliato prima di lui? Anche lui avrebbe incontrato il deserto. Solo e senza alcuna preparazione, sarebbe sopravvissuto?
 
Si portò una mano al petto cercando di razionalizzare. Arthur non poteva essere risorto per poi morire subito dopo. Quando c’era di mezzo il destino qualsiasi cosa poteva accadere, di questo Merlin ne era certo.
 
Joan intese quel silenzio come un momento di sconforto e posò una mano sulla spalla di Merlin. “Andiamo, fratello. Tu sei vivo, sii contento di questo. Negli ultimi tempi è già un miracolo!”
 
Il mago annuì lentamente. Voleva chiedere di che tempi si trattasse ma così avrebbe potuto scoprirsi. Doveva informarsi in un’altra maniera.
 
“Qui… a Ovest. Come vanno le cose?”
 
Joan scrollò le spalle con noncuranza. “Come vuoi che vadano, fratello. Male, come in tutto il mondo. La guerra ha eliminato tutto, si lotta per la sopravvivenza e chi non ha niente da perdere sta qui sui confini a controllare che dal deserto non arrivi nulla.”
 
“Cosa…” titubò per un momento ma era troppo curioso di sapere. “Cosa dovrebbe arrivare?”
 
“Creature. Bestie senza nome frutto della guerra. Come i cani bicoda per esempio ma tu quelli li conosci già.” Gli indicò il braccio ora fasciato e Merlin se lo sfiorò d’istinto.
 
“Ssssì… sì. Quelli provengono dalle mie parti. Ma qui… c’è altro?”
 
Joan sbuffò sarcastico. “Fratello, ma da dove arrivi? Certo che c’è dell’altro! Altrimenti perché noi saremmo qui?”
 
Merlin non seppe cosa rispondere. Chinò lo sguardo osservando i suoi abiti del ventunesimo secolo così ben tenuti rispetto a quelli scuri e sporchi del suo interlocutore. Gli sembrò quasi di essere tornato indietro nel Medioevo.
 
“Scusami. Da noi non ci sono soldati come voi.”
 
“E’ per questo che la gente sparisce? Che hai perso il tuo amico?”
 
“Sì, è per questo.” Mentì.
 
Joan rilasciò un sospiro triste e per un attimo lo sguardo si perse nel vuoto e in chissà quali ricordi. “Anche qui una volta era così. Prima che arrivasse il Re ad organizzare tutto.”
 
A Merlin per poco non mancò il respiro. Sgranò gli occhi e scattò in avanti, quasi che con quel gesto potesse sentire meglio.
 
“Un momento! Hai detto il Re?”
 
Joan gli ricambiò uno sguardo perplesso, poi annuì senza cambiare espressione. “Sì, il Re. Vieni proprio da lontano se sei fuori dai confini del regno di Albion. Come hai fatto ad arrivare fin qui con quella ferita?”
 
Merlin era troppo agitato per trovare una risposta convincente perciò lasciò perdere e si protese ancora più in avanti, fino a sfiorare il braccio dell’omaccione.
 
“Regno di Albion? Aspetta aspetta! Mi potresti dire come si chiama questo Re?”
 
“Oh, quanto entusiasmo, fratello! Ecco… si chiama…”
 
“Avanti, dimmelo! Dimmelo ti prego!”
 
“…si chiama… ma sì! Sire! E’ così che tutti lo chiamano! Sire!”
 
Merlin fremette di impazienza. “Ma no! Non il suo appellativo! Qual è il suo nome!”
 
“E cosa vuoi che ne sappia io! Non si è mai presentato per nome!” replicò Joan improvvisamente sulla difensiva.
 
Merlin cercò di calmarsi. Era a tanto così dal sapere la verità ma al momento le sue sorti dipendevano totalmente da quelle persone che gli avevano salvato la vita. Non poteva insospettirle o perdere quel poco di fiducia che quel brutto omaccione gli aveva dato. Prese un forte respiro chiudendo gli occhi. Quando li riaprì si sentì più calmo.
 
“Scusami. E’ che… ecco… è che vorrei conoscere questo Re. Il fatto è che le mie terre non sono sotto il suo potere e sarebbe di aiuto alle nostre genti avere una guida.” La buttò lì, sperando di essere convincente. Si rese conto con orrore che non aveva la minima idea di cosa fosse accaduto al pianeta in quegli anni e forse tutto quello che stava dicendo erano solo idiozie che Joan dal un momento all’altro avrebbe scoperto.
 
Invece l’uomo annuì gravemente dimostrandosi comprensivo a quelle parole. “Ti capisco, fratello. Anche la mia gente è cambiata da quando è entrata nel regno di Albion. Il Re è la persona migliore che potessimo avere in questa situazione disperata.”
 
A quel punto Merlin tentò. Quella persona doveva per forza essere Arthur, non c’erano dubbi. Il sovrano doveva essersi risvegliato prima e il mago semplicemente aveva tardato di qualche anno. Ora sarebbe tornato da lui e si sarebbero ricongiunti. C’era voluto un po’ ma alla fine, ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto.
 
“Potreste… potreste portarmi da lui?”
 
Joan sorrise. “Sei un ragazzo impaziente, fratello. Ma mi piaci. Ti indicherò la strada ma dovrai avere pazienza.”
 
Merlin sentì una strana sensazione di disagio. “Che… intendi con un po’ di pazienza?”
 
“Un mese. Non appena finiamo il turno di ronda. Poi torneremo alla base e da lì potrai raggiungere il Re. Mi dispiace ma non hai altra scelta.”
 
Merlin mugolò. Un altro mese. Secoli di attesa e adesso un altro mese. Certo che il Destino era davvero infame.
 
*
 
“Arthur.”
 
Merlin sobbalzò nel sentire quel nome che lui tante volte aveva sussurrato a fior di labbra e tante altre urlato per la disperazione. Si voltò nella direzione in cui proveniva la voce e accolse con sorpresa Mattew che si avvicinava a lui.
 
“Il nostro Re si chiama Arthur.” Spiegò l’uomo, sedendosi accanto. Si trovavano poco più distanti dal falò  dell’accampamento che ogni sera tiravano su come riparo notturno. C’erano altri tre uomini oltre a Mattew e Joan, una piccola compagine che percorreva il deserto a periodi alterni, inviata da una base al confine tra la parte viva del pianeta e quella morta. 
 
Merlin non sapeva altro, come non sapeva il nome di quel Re. Fino a quel momento.
 
Fece spazio a Mattew e lo fissò in silenzio cercando di reprimere quel sorriso che premeva sulle labbra al solo constatare di essere finalmente sulla strada giusta. L’uomo cacciò un sospiro di scherno e arricciò le rughe che gli incorniciavano gli occhi azzurri, poi si passò una mano tra i capelli corti e brizzolati.
 
“Joan è troppo ignorante per chiedersi anche come si chiama il suo Re. Alla maggior parte della gente interessa sapere che quell’uomo ci ha portato benessere e salvezza; tutto il resto, cose come i nomi sono facezie ormai.”
 
“Ma non per te.” Replicò il mago con gentilezza. Erano tre giorni che era stato recuperato e salvato da quel gruppo di soldati; tre giorni di viaggio in cui avevano percorso dune e dune di sabbia senza – fortunatamente – incontrare nessuna bestia. La compagine si muoveva con due fuoristrada che Merlin aveva scoperto si muovevano ad energia solare. I residui di una civiltà ormai distrutta, da che aveva compreso.
 
In quei tre giorni, nessuno aveva parlato con lui, a parte Joan. Tutti gli altri erano troppo sospettosi del suo insolito ritrovamento e Merlin temeva lo pensassero ancora proveniente da Nord. D’altronde nessuno c’era più stato lì – come gli aveva detto Joan – per cui nessuno sapeva cosa ci fosse, se morte e distruzione o qualcosa di più terrificante.
 
“Già… non per me.” Continuò Mattew con un sospiro, sollevando il capo e fissando il cielo stellato. Gli occhi si persero in lontani ricordi, come – Merlin aveva notato –  facevano tutti.
 
“Tu sei diverso dagli altri, non sembri neanche un soldato.” Aveva continuato Merlin. L’uomo cacciò un altro sospiro e il mago restò in silenzio, forse credendo di aver detto troppo. Era la prima volta che Mattew gli parlava e non voleva perdere subito quell’occasione.
 
Lo aveva osservato in quei giorni e aveva notato che rispetto agli altri guerrieri, oltre ad essere molto più anziano, usava meglio la testa, parlava in maniera forbita e quando si doveva prendere una decisione era a lui che spettava l’ultima parola. Tuttavia era molto più gentile e servile di un comune comandante.
 
“Qui i soldati sono tutti poveretti che hanno perso ogni cosa… Merlin? Ti chiami così?” il mago annuì e lasciò che Mattew continuasse. “Ci sono ex detenuti venuti a scontare la pena, spavaldi senza un briciolo di cervello e violenti che per poter sfogare la loro rabbia ormai possono farlo solo qui con le creature del deserto.”
 
“Nel Regno…”
 
“No” lo interruppe Mattew intuendo la sua domanda. “Nel Regno la violenza è bandita. Nessuno più vuole fare la guerra, non più.” Asserì con convinzione.
 
“Oltre a questa gente, però ce n’è anche altra. Ci siamo io e Joan, per esempio.” Merlin non fiatò, ascoltandolo con attenzione. “Joan era un fornaio, faceva il pane più buono di Parigi, perché lo faceva lui e non le macchine come negli altri forni della città. Io invece ero un professore di storia con una moglie splendida e una bambina che ne era la copia esatta. Quando trent’anni fa è scoppiata la guerra, abbiamo perso tutto. Non abbiamo avuto nemmeno il tempo di rendercene conto che ci siamo ritrovati senza più niente. Ed è per questo che siamo qui. Non abbiamo più niente.”
 
Merlin chinò lo sguardo tristemente. Sapeva benissimo come Mattew si sentisse. Quell’uomo dopo trent’anni soffriva ancora della morte della moglie e della figlia, lui dopo secoli aveva ancora nel cuore il dolore per la morte di Arthur e di tutti i suoi cari.
 
“Eppure qualcosa adesso c’è.” Mattew inaspettatamente, continuò e Merlin tornò a guardarlo. Notò che sorrideva. “Difendiamo il confine e la gente che sta a Sud e questo ci basta e ci rende sereni. Facciamo noi questo lavoro, perché non abbiamo più niente da perdere, eppure ci guadagniamo in gioia perché è grazie a noi che il Regno è al sicuro.”
 
“Quando il Re fondò la base io e Joan ci presentammo subito come volontari. Da allora sono quattro anni che siamo qui tra le dune.”
 
Merlin sbatté le palpebre. Piano piano i pezzi del puzzle andavano a posto e lui stava riuscendo a comporre tutta la storia. “Sono quattro anni che Arthur è Re?” domandò, dimentico di ogni accortezza.
 
Mattew infatti, lo guardò un po’ perplesso nel notare tanta confidenza ma poi scrollò le spalle, forse convinto di trovarsi davanti un altro stupido come Joan.
 
“Quattro anni da quando è stato proclamato il regno di Albion ma Re Arthur ha fatto la sua comparsa sei anni fa.”
 
Sei anni. Merlin deglutì scioccato. Era un arco di tempo abbastanza lungo se non sei immortale, per cui Arthur aveva fatto tutto da solo in quei sei anni.
 
“Tu non vieni da Est.” Quelle parole erano uscite così velocemente dalla bocca di Mattew che Merlin era sobbalzato e lo aveva guardato con un’aria tanto colpevole che il mago fu certo di essersi giocato ogni difesa.
 
“Non vengo da Nord.” Si era però subito difeso, con un tono di voce così deciso che Mattew parve convincersi.
 
“Senti, non so chi tu sia ma voglio credere almeno a questo. Quello che so per certo è che non vieni da Est. Potrai fregare Joan che è un po’ ignorante ma non me. Il tuo accento è insolito, ho sentito solo un’altra persona parlare con quel tono e io so per certo che chi parla così ora non esiste più: viveva qui quando una volta non c’era il deserto.”
 
“E l’altro è…”
 
“Sì. E’ il nostro Re Arthur.”
 
*
 
Non avevano più parlato di quello. Mattew aveva evitato l’argomento nei giorni successivi, anche se Merlin aveva notato di essere osservato di tanto in tanto, come se l’uomo lo studiasse con curiosità. Aveva dismesso l’aria sospettosa e Merlin immaginava che avesse capito se non la sua importanza, quanto meno un certo legame con Arthur.
 
Lui nel frattempo, aveva cercato ancora di usare la magia ma era come se il lungo sonno avesse completamente svuotato tutto il suo essere. Era come se Merlin non fosse più Merlin il Mago. Ma solo un uomo, solo e disperato e in cerca dell’unico legame con la sua vita passata. Ovviamente la situazione lo terrorizzava, eppure c’era in lui un barlume di speranza. In cuor suo sognava che una volta ricongiunto con Arthur, lui avrebbe riavuto i suoi poteri. La medaglia si sarebbe ricompattata, e quindi tutto sarebbe potuto tornare come prima.
 
Merlin si ripeteva questo mantra ogni giorno, in quel lunghissimo mese di vita nel deserto. Due volte incontrarono delle creature che Merlin non aveva mai visto prima e che non avevano niente a che vedere con quelle mitologiche incontrate nei suoi secoli di vagabondaggio. C’era qualcosa di estremamente malvagio in quello che incrociarono e che fortunatamente i soldati decimarono con solerzia andando a colpire i punti più deboli. Usavano armi mai viste, anch’esse raccolte da ciò che rimaneva della vecchia civiltà e che erano state tutte recuperate dal Re e spedite alla base. Nel Regno non c’erano altre armi, solo quelle per difendere i confini del deserto.
 
I trenta giorni furono probabilmente i più lunghi dell’attesa estenuante di Merlin ma passarono e alla fine di quel mese il mago si ritrovò ad osservare i picchi della base, mentre la compagine faceva ritorno dal suo lungo turno di pattugliamento.
 
La base pullulava di uomini, di ogni aspetto. La maggior parte parlava francese o quell’inglese francesizzato con cui si esprimevano Joan e Mattew. Da quanto aveva appreso quella era la lingua ufficiale del Regno di Albion, voluta dal Re in persona, che sapeva esprimersi solo in quella lingua. Ora capiva anche i sospetti di Mattew.
 
Ad ogni modo, Merlin – dopo aver salutato calorosamente Joan – riuscì a strappare un passaggio fino alla capitale, che ovviamente aveva scoperto chiamarsi Camelot. Buffo come Arthur avesse deliberatamente ricreato il suo regno secoli e secoli dopo e nessuno avesse obiettato. Ma d’altronde nessuno in quell’epoca ricordava alcunché delle leggende arturiane, della tavola rotonda e del Medioevo. Merlin si appuntò che avrebbe dovuto chiedere a Mattew se sapeva qualcosa a riguardo. In quel caso avrebbe trovato ancora più sospettosi il suo nome legato a quello di Arthur.
 
Meditava su queste faccende, mentre prendeva posto sul fuoristrada ad energia solare che lo avrebbe condotto alla capitale. E quasi gli prese un colpo, quando si ritrovò faccia a faccia con l’oggetto dei suoi pensieri.
 
“Vengo con te.”
 
Mattew lo aveva guardato ed era rimasto in attesa di una reazione da parte di Merlin che sulle prime non avvenne. Il mago era rimasto a guardarlo stupidamente, chiedendosi il perché. Poi aveva materializzato quella domanda anche sulle labbra.
 
“Perché mai?”
 
“Perché sono in licenza, come tutti i volontari dopo il pattugliamento mensile. E poi ho delle curiosità da chiarire…”
 
Merlin sollevò gli occhi al cielo e sospirò. Decisamente quell’uomo sapeva qualcosa.
 
*
 
Camelot. Merlin osservava i tetti della capitale che si scorgevano all’orizzonte tra gli alberi. C’erano voluti altri cinque giorni di viaggio per raggiungerla, perché il fuoristrada andava piano e si muoveva solo durante le ore in cui il sole era più alto. Purtroppo il dispositivo che accumulava energia per le ore di buio era danneggiato e in quell’epoca quando si rompeva qualcosa era chiaro che nessuno avrebbe più potuto aggiustarla.
 
Quei cinque giorni furono ancora più lunghi e sfiancanti per Merlin che si sentiva sempre più vicino alla meta e sempre più frustrato per ogni ora persa.
 
Mattew continuava ad osservarlo senza dirgli niente e la cosa ad un certo punto era diventata anche piuttosto fastidiosa. Perché diamine non si decideva a chiedergli cosa gli frullava in testa? A quel punto avrebbe potuto dirgli tutto, tanto che poteva fargli al massimo se non prenderlo per un pazzo visionario?
 
Fu difficile ma alla fine giunsero a Camelot. Un enorme ammasso di capanne fatte di pietra e legno e al centro una costruzione più grande, la residenza del Re. La guerra aveva distrutto tutto e gli esseri umani avevano reinventato le macerie, per creare delle abitazioni soddisfacenti con l’aggiunta di quello che – Merlin ne era sicuro – doveva essere lo zampino di Arthur. Molte costruzioni erano fatte come le vecchie abitazioni del Medioevo e la residenza del Re aveva l’aspetto del torrione di un castello. In qualche modo la nuova Camelot assomigliava a quella vecchia, anche se era più colorata e qua e là vi erano ancora i resti della civiltà distrutta dalla guerra.
 
Di auto ce n’erano pochissime e sembravano tutte adibite a trasporto pubblico. Tutti gli altri si muovevano a piedi o su tappeti semovibili come quelli che qualche volta Merlin aveva visto nei centri commerciali del ventunesimo secolo. Immaginò che anche quelli funzionassero ad energia solare. C’era molta gente per la città ma quello che colpì Merlin furono le espressioni della gente.
 
Mentre il fuoristrada percorreva le strade della città diretto verso il centro, Merlin notò che nessuno sembrava felice. Quasi tutti i volti esprimevano tristezza e serietà. Ad un angolo un bambino piangeva guardando il torrione e la mamma lo abbracciò sussurandogli qualcosa in francese.
 
“Che cosa sta succedendo qui?” domandò d’un tratto Mattew. Merlin lo guardò e si accorse che anche il professore sembrava sorpreso quanto lui.
 
“Di solito c’è questa accoglienza a Camelot?”
 
“Assolutamente no. La capitale è il simbolo del benessere del Regno. Non capisco cosa sia successo.”
 
Merlin deglutì avvertendo una strana tensione all’altezza dello stomaco. Qualcosa non andava e lui che aveva vissuto in un’epoca in cui la gente era molto più leale, sapeva perfettamente quando in una città tutti quanti reagivano in quel modo. Erano pochi i momenti ma tutti significativi… e preoccupanti.
 
Il fuoristrada arrivò nella piazza principale e si fermò davanti ad una fontana, dove le donne andavano a raccogliere l’acqua. Persino quello gli ricordò il Medioevo e persino lì le persone sembravano tristi.
 
Mattew e Merlin scesero insieme dalla gip e salutarono alcuni dei loro compagni di viaggio, poi si avvicinarono a quello che parve un bar… o una taverna… insomma, un luogo di ristoro.
 
Fu Mattew ad entrare per primo e a salutare con garbo. Merlin lo seguì in silenzio, sempre più teso. Nel locale nessuno rideva o conversava allegramente: un silenzio spettrale li aveva accolti aumentando la sua paura.
 
“Buon uomo, siamo soldati della base, potrebbe servirci un bicchiere di vino?” domandò Mattew al barista-oste che si trovava dietro al bancone. L’altro annuì con cortesia e si prodigò per accontentare i clienti.
 
“Gran brutto periodo per tornare dalla base.” Commentò il barista-oste, servendo il vino in due bicchieri di legno. Merlin posò una mano sulla superficie del bancone avvertendo improvvisamente un senso di nausea. Aveva capito ma non voleva sentire.
 
Mattew non notò il turbamento di Merlin e continuò a fissare il proprietario del locale con avida curiosità.
 
“Perchè?”
 
“Una cosa terribile… siamo tutti scossi.” Continuò l’uomo scrollando il capo.
 
Mattew picchiettò un dito sul bancone. Merlin intanto volevo solo vomitare, la testa prese a girare.
 
“E’ dire che lo abbiamo saputo solo ora! Ha nominato un successore ma senza di lui come faremo?”
 
“Ma chi? Insomma!” replicò esasperato Mattew. Poi sentì la mano di Merlin che gli afferrava un braccio e un mormorio disperato.
 
“Ho davvero sbagliato tutto.”
 
E mentre il mago crollava svenuto, il barista-oste pronunciò le uniche parole che mai Merlin avrebbe voluto ascoltare.
 
“Il nostro Re. E’ morto!”
 
 
Continua…
 
 
Ehilà! (Ryta evita le frecce in fiamme e l’olio bollente) Buon lunedì a tutti e buona Epifania! (cerchiamo di sviare il discorso u_u)
 
Ho deciso di diventare bastarda visto che non lo ero già abbastanza perciò vi lascio con questo bellissimo finale ^^ hahahaah (evita un’altra scarica di frecce e lance)
 
Dopo una serie di capitoli-prologo, entriamo oramai nel vivo di questa storia e lentamente il bandolo della matassa invece di sbrogliarsi si annoda sempre di più! Hahaahah
 
Oggi sto particolarmente allegra anche se con tutta sincerità sono un po’ delusa =_= noto da una parte che le letture di questa storia aumentano ad ogni aggiornamento ma non c’è nessuno (a parte le mie adorate fedelissime *-*) che lascia un commento.
 
Davvero, mi piacerebbe sapere le vostre congetture, i vostri pensieri a riguardo, le idee che avete su questa storia, di sicuro è un modo anche per me per capire se vi sto interessando o meno ed è anche una forma di rispetto per le autrici che scrivono ;)
 
Intanto ringrazio col cuore Lunaris, Pandora86 e Larry Is a Promis! A voi un bacione!
 
A tutti a presto. Il titolo del prossimo capitolo è “Dove sei?
 
Ryta

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Dove sei? ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!


 
IL MOMENTO GIUSTO


Capitolo 6
 
Dove sei?
 
 
“Sire… Arthur. Dobbiamo andare.”
 
Il re si voltò ad osservare il volto accondiscendente di Claude. Gli aveva posato una mano sulla spalla per richiamarlo dai suoi pensieri.
 
“Bene.” Replicò brevemente distogliendo lo sguardo dal torrione e dai tetti della città. Della sua città, la nuova Camelot. Salì sul fuoristrada e si accasciò sul sedile posteriore, osservando Pierre che salutava con un bacio una bellissima donna bionda.
 
Avanti vi erano l’altro amico e consigliere di Arthur, Claude e un soldato della guardia di Camelot, Francois. Arthur osservò distrattamente Pierre e la donna, mentre con la mente rivangava i ricordi di quando partiva nel suo passato per una missione. Guinevere che lo salutava con calore, suo padre che lo guardava con orgoglio e Merlin, che tra un borbottio e l’altro gli sistemava la cavalcatura e poi saliva anche lui in groppa, pronto a seguirlo ovunque.
 
Quanto gli mancava tutto quello. La vita nella nuova Camelot era bella e appagante e la compagnia di Pierre e Claude i suoi amici, rallegrava le sue giornate. Eppure niente di tutto quello avrebbe mai potuto eguagliare la sua vecchia vita o le persone che erano state con lui quando era ancora il re del passato.
 
Ora come re del futuro, non c’era più niente che lo legasse a quel tempo, nemmeno l’unica persona che credeva non lo avrebbe mai abbandonato.
 
Scosse il capo ricacciando quei tristi pensieri e ignorando quel senso di tradimento che lo attanagliava ogni volta che pensava a Merlin e poi sollevò un angolo della bocca in un sorriso di scherno.
 
“Pierre, ogni volta che devi lasciare Cassandra, fai una tragedia. Avanti, la rivedrai presto!” Canzonò l’amico, mentre il fuoristrada partiva e Claude davanti ridacchiava divertito.
 
Pierre fece una smorfia ma si capiva che stava al gioco. “E’ solo perché siete invidiosi. Io la ragazza ce l’ho.” Replicò serafico, guadagnandosi uno scappellotto del suo re.
 
“Devo ancora capire che ci trovi Cassandra in uno come te!” ribatté Arthur risentito, osservando il viso appuntito dell’amico che incorniciava due occhi grigi e a tratti un po’ freddi. Pierre era il classico tipo che ad un primo aspetto sembra la persona più antipatica del mondo ma poi appena la conosci sei costretto a ricrederti. Arthur lo aveva compreso a sue spese, quando lo aveva conosciuto cinque anni prima appena dopo “il risveglio”.
 
Al contrario di Claude, che aveva l’aria di un bonaccione con la sua zazzera scura, gli occhi nerissimi e il naso a patata, Pierre era biondissimo e dall’aspetto glaciale. Eppure assieme, avrebbero potuto far concorrenza ad un duo di giullari.
 
Arthur li trovava divertenti, erano un’ottima compagnia, oltre al fatto che entrambi si erano dimostrati di una lealtà assoluta nei momenti più difficili di quel lungo percorso che lo aveva visto diventare Re.
 
Erano state loro le prime due persone che aveva incontrato dopo essere uscito dal lago di Avalon ed essersi trovato nel bel mezzo del deserto. Dopo un’intera giornata di cammino – in cui aveva seriamente pensato di essere risorto solo per morire lì in mezzo come un deficiente – li aveva scorti a bordo di quello che la prima volta gli era sembrato un carro magico. Poi aveva scoperto che si trattava di un fuoristrada, un’invenzione degli umani che si muoveva con l’energia del sole e senza bisogno di muli o cavalli.
 
Pierre e Claude erano quel genere di persone che nella vita non avevano nulla e quindi niente da perdere. Per vivere cacciavano le bestie nel deserto che altrimenti sarebbero scese a Sud per cibarsi degli umani. In cambio i villaggi che proteggevano li ricompensavano di viveri e materiale per sopravvivere.
 
 Lui, che di bestie non ne aveva incontrate sul suo cammino, all’inizio era stato un po’ titubante, ma quando due giorni dopo che lo avevano raccolto si era ritrovato a combattere contro uno strano vermone dai denti aguzzi, si era dovuto ricredere.
 
Il lavoro che facevano Pierre e Claude era pericoloso ma molto importante e fin da subito si era ripromesso che se fosse diventato Re, avrebbe istituito una guardia per pattugliare il deserto e proteggere la gente a Sud. Aveva infatti compreso, dai discorsi dei due uomini, che erano pochissimi i temerari che avevano deciso di fare quel lavoro, anche per via della penuria di mezzi e di armi.
 
Arthur tuttavia, non aveva sin da subito suscitato fiducia nei due combattenti. La prima domanda che gli avevano fatto era stata se per caso non provenisse dal Nord. Lui aveva risposto con molta sincerità che no, non veniva da lì, ma da un posto in cui gli era stata affidata una missione importante perché lui poteva aiutarli.
 
Probabilmente i due da principio lo avevano preso per pazzo. Ma quando poi col passare dei giorni, avevano visto la sua forza nel combattere le creature – che aveva scoperto essere frutto di una terribile guerra che aveva decimato la popolazione mondiale e che aveva creato la desolazione nella parte superiore del pianeta (poi aveva anche scoperto che la Terra era tonda e che addirittura esistevano altri continenti oltre all’Europa!!) – ma anche le sue conoscenze di tecniche di sopravvivenza e di costruzione, ne erano rimasti tanti sorpresi che avevano deciso di portarlo al villaggio più vicino.
 
Lì Arthur, aveva condiviso le proprie conoscenze e aveva aiutato quella gente, insegnando loro a coltivare e a costruire abitazioni e pozzi efficienti. Aveva insegnato agli uomini tecniche di combattimento e di scherma e anche alcune trappole in caso di attacco.
 
Da un villaggio era poi passato ad un altro e poi ad un altro ancora e piano piano la sua fama era aumentata, finché un giorno quelle popolazioni non decisero di eleggerlo come loro guida. Fu proclamato Re e lui decise di costruire una città, come simbolo del benessere di quel nuovo Regno che era nato non dalle guerre ma dalla pace e dalla condivisione. Al Regno aveva dato il nome di Albion, alla città, Camelot e nessuno aveva obiettato perché quei nomi erano ormai caduti nell’oblio.
 
Al suo fianco aveva avuto sempre Pierre e Claude che col tempo erano diventati i suoi più cari amici e anche i suoi consiglieri. Lo chiamavano “Sire” anche loro, solo che i due lo facevano in maniera scherzosa, perché erano le uniche persone con cui avesse davvero una certa confidenza. Per loro era Arthur il compagno di mille avventure, non Arthur il Re.
 
E anche lui avrebbe potuto dire altrettanto, se solo ogni volta che rifletteva su quello, una piccola puntura non rovinasse quell’idillio. Quella puntura lo infastidiva perché lo portava a porsi delle domande che già secoli prima aveva messo in discussione quando aveva appreso la verità.
 
Pierre e Claude erano per lui amici tanto quanto lo era stato Merlin? A giorni la sua risposta era affermativa e sicura, in altri non ne era tanto convinto. Quando la malinconia prendeva il sopravvento e lui si intristiva e poi si arrabbiava, i rapporti che aveva sviluppato nel futuro perdevano subito di importanza e la sua mente tornava dolorosamente al passato ma soprattutto a chi nel presenta non c’era.
 
Scacciò nuovamente quei pensieri seccato perché erano di nuovo tornati a galla. Scosse il capo anche, come se con quel gesto potesse eliminare tutti i suoi crucci dalla testa e poi lanciò un’occhiata a Pierre.
 
“Cassandra ha sognato altro prima della partenza?” domandò in qualche modo temendo la risposta. Ricordava ancora bene le conseguenze dei sogni di Morgana. All’epoca non capiva ma ora che sapeva della magia, aveva rimesso a posto tutti i pezzi e aveva compreso tanti punti di cui negli anni era sempre rimasto all’oscuro.
 
Da quando aveva conosciuto Cassandra e aveva individuato in lei la magia, teneva molto in considerazione i suoi sogni, perché sapeva che erano reali.
 
Gli altri non avevano mai parlato di magia vera e propria, fin da quando un giorno di appena due anni prima la donna si era presentata a corte asserendo di aver sognato il suo arrivo da un lago, Arthur aveva deciso di tenerla con sé e le aveva assegnato il ruolo di consigliera, donandole tutti i privilegi che quella posizione meritava.
 
Arthur aveva capito dalle sue esperienze passate che persone così potenti non dovevano essere osteggiate ma al contrario trattate coi dovuti onori, e così nel corso di quei mesi Cassandra aveva dimostrato altre volte di prevedere il futuro, dando dei vantaggi ad Arthur che prima non si sarebbe mai sognato.
 
Grazie a lei avevano potuto prevedere alcuni pericoli, come l’attacco di certe creature in una zona poco battuta dai soldati della base e anche la ribellione di un piccolo gruppo di violenti che volevano razziare i villaggi nell’estremo Ovest di Albion.
 
Dei sogni premonitori di Cassandra sapevano solo Pierre e Claude ma entrambi avevano accettato semplicemente che la donna avesse questo dono e niente più. Nessuno dei due aveva mai fatto cenno a poteri magici o sortilegi né lei aveva mostrato alcunché a parte le premonizioni.
 
Col tempo poi, Cassandra era diventata la compagna di Pierre e Arthur non aveva obiettato, anzi aveva considerato la cosa come un vantaggio all’unione di quel gruppo che da solo determinava le sorti di un regno.
 
“Mi dispiace Arthur. A parte il sogno per cui siamo partiti, non c’è stato altro. Il che forse da una parte è anche meglio.”
 
Arthur sbuffò sarcastico. “Beh, direi!” il Re ricordava ancora bene quando Morgana predisse la sua morte. Pur non sapendo niente della sua natura magica all’epoca lo trovò comunque molto inquietante.
 
“Ad ogni modo scopriremo quale sarà questa minaccia una volta giunti fin là. Per il momento rilassiamoci, il viaggio sarà lungo.”
 
*
 
Come aveva previsto il viaggio si era rivelato davvero molto lungo. Per raggiungere l’estremo Est del regno di Albion là dove una tempo c’era lo stato chiamato Bulgaria c’erano voluti dieci giorni. Certo i viaggi erano sempre più brevi di quando ci si muoveva ancora a cavallo, però  una volta aveva beccato Pierre e Claude a parlare di quando prima della guerra i loro genitori potevano spostarsi da una parte all’altra del pianeta – ancora doveva abituarsi all’idea che fosse così… tondo! – a velocità incredibili.
 
Ora però, il fuoristrada su cui viaggiavano, uno dei pochi oggetti sopravvissuti alla distruzione, percorreva strade spesso non battute, in mezzo alla vegetazione con un dispositivo ad energia solare che non permetteva chissà quale potenza. Inoltre avevano deciso di non viaggiare la notte per non sovraccaricare il dispositivo di raccolta dell’energia che avrebbe potuto essere utilizzato in situazioni più critiche.
 
Arthur non era molto preoccupato dal sogno di Cassandra. La donna aveva parlato di una minaccia ma senza specificare cosa, perciò il suo animo semplice preferì non pensare subito al peggio ma sminuire la faccenda. Se tutto andava bene avrebbero trovato qualche rivolta che avrebbero sedato in poco tempo.
 
Quando giunsero quasi al limite del confine, Arthur si guardò istintivamente indietro, quasi come se con quel gesto potesse vedere quanto grande fosse diventato il suo regno.
 
Mai in vita sua avrebbe mai immaginato tanto. Albion andava a coprire quasi tutto il continente europeo, se non si considerava la zona a Nord del deserto, il che a momenti gli sembrava anche troppo per uno come lui.
 
Ok, era il re del destino ma era pur sempre un semplice uomo e poi non aveva fatto molta fatica a costruire quel reame. Aveva compreso che in fondo alla gente serviva un simbolo, non regole o leggi – cosa che aveva comunque istituito nei limiti della situazione – una guida insomma e un punto di riferimento su cui contare in mezzo a quella desolazione.
 
Arthur aveva condiviso nel mondo le proprie conoscenze, aiutandole a rialzarsi e loro in cambio lo avevano eletto a loro punto di riferimento. E a mano a mano le popolazioni che volevano quel sostegno diventarono sempre di più fino a che quel regno non si era fatto da solo.
 
Arthur aveva dato allora autonomia economica ai vari villaggi e aveva istituito alcune leggi fondamentali, tra cui l’abolizione della violenza in ogni forma in tutto il regno. Aveva requisito ogni arma e l’aveva consegnata ai soldati della base perché difendessero i confini dalle creature. Aveva poi istituito alcune basi più piccole situate in punti strategici perché potessero essere i suoi occhi e le sue orecchie in caso di problemi.
 
Di guai fortunatamente non ce n’erano stati. A parte qualche episodio sporadico di ribellione era la gente stessa, sopravvissuta ad una guerra logorante e distruttiva che non aveva più nell’animo la voglia di combattere. Ogni forma di violenza fu perciò bandita con il benestare di tutti e fortunatamente ogni cosa funzionò per quegli anni di regno.
 
Arthur raramente rimpiangeva quelle epiche battaglie in cui poteva mettere a frutto le sue doti di cavaliere ma sapeva che fosse più giusto che nel mondo ormai non si facesse più la guerra.
 
Persino oltre il suo regno aveva ricevuto messaggi di popolazioni che volevano essere ammesse ad Albion e che chiedevano al Re l’onore di averlo nei luoghi più disparati.
 
Ora che si trovavano all’estremo Est, Arthur si chiese se non fosse stato il caso di addentrarsi un poco oltre i confini e di allargarli con la sua sola presenza.
 
“C’è un villaggio più avanti. Ci fermiamo lì!” sentì Pierre che avvisava il resto della comitiva. Guidava lui quel giorno, dopo che a turno si erano alternati perché tutti potessero riposare.
 
Arthur che in quel momento sedeva accanto a lui sul sedile del passeggero, lanciò uno sguardo veloce e poi continuò a guardare fisso davanti a sé.
 
“No, continuiamo oltre il confine.”
 
“Ma Arthur, non sappiamo nemmeno cosa c’è oltre il confine.” Replicò subito Pierre, guardandolo sorpreso dalle sue parole. “Fermiamoci al primo villaggio, ci rifocilliamo facciamo qualche domanda e poi vediamo il da farsi!”
 
Arthur scosse il capo. “Non c’è bisogno di coinvolgere altre persone. Siamo qui in incognito, ricordi? Attraversiamo il confine e raggiungiamo il primo villaggio al di là. Sarà più facile.”
 
Pierre provò nuovamente a controbattere ma si aggiunse anche Claude da dietro a sostenere il Re. “Credo che Arth abbia ragione.” Spiegò chiamando il Re con confidenza, come facevano spesso quando erano soli. “Se c’è davvero una minaccia non è il caso di coinvolgere gente innocente. Vediamocela noi, abbiamo comunque dalla nostra l’effetto sorpresa.”
 
“Aspettiamo il tramonto. Ci muoveremo col buio.” Aggiunse Arthur come se non ci fosse bisogno ancora di altre spiegazioni. Pierre infatti tacque, l’espressione del viso un po’ risentita e le mani strette al volante con più foga.
 
Arthur lo guardò ma non gli diede altra attenzione. Sapeva quanto Pierre fosse orgoglio e odiasse quando le sue idee venivano bocciate. Quanto meno aveva imparato negli anni a non farne un dramma. Si concentrò sulla strada, il confine sempre più vicino.
 
*
 
Il fuoristrada percorreva molto lentamente il cammino. La strada era battuta ma per non destare allarmi avevano deciso di muoversi senza utilizzare i fari. Per fortuna quella notte c’era il plenilunio perciò fu facile evitare gli ostacoli e proseguire per la giusta direzione.
 
All’ultimo avamposto che avevano incontrato sul cammino, si erano procurati una cartina aggiornata dei villaggi prima e dopo il confine, così adesso sapevano di dirigersi verso il primo centro abitato che sorgeva fuori dal Regno di Albion.
 
Ci vollero altre tre ore di viaggio. Il fuoristrada viaggiava lentamente e loro non volevano attirare l’attenzione. Quella missione era iniziata come un controllo, poi avrebbero deciso il da farsi.
 
Quando giunsero a destinazione, lasciarono il fuoristrada nascosto tra gli alberi e si avvicinarono al villaggio a piedi. Per le strade non c’era nessuno. La differenza tra gli insediamenti dentro e fuori dal regno era evidente. Lì ogni cosa sembrava cadere a pezzi e intrisa di una disperazione che solo pochi chilometri prima era ormai un brutto ricordo.
 
Arthur si fece strada aprendo il gruppo, evitando di far rumore e di arrischiarsi a guardare indietro. Sapeva di avere le spalle coperte perciò si concentrò sulla strada davanti a sé e su quello che aveva intorno.
 
Ma proprio non poté non voltarsi quando sentì un colpo sordo provenire dietro di lui e poi un gemito. E quando vide che due dei suoi uomini erano già a terra, si rese conto che era ormai troppo tardi.
Sollevò lo sguardo sul terzo che gli puntava un’arma e trattenne il fiato con sgomento.
 
Poi fu colpito, un dolore assurdo si insinuò nelle sue carni mentre una scarica elettrica lo attraversava da parte a parte. Dolore intriso di tradimento e di delusione per chi ora lo aveva colpito. E mentre le ginocchia gli cedevano e il suo corpo cadeva al suolo, un ultimo pensiero volò a chi mai avrebbe potuto fare una cosa simile.
 
Dove sei?
 
 E dopo fu solo buio.
 
Continua…
 
 
Ehilà!! Buon lunedì e buon inizio di settimana. Sono contenta di riuscire a mantenere il ritmo del mio aggiornamento settimanale ^^
 
Allora, se nel capitolo precedente abbiamo avuto la notizia sconvolgente, qui capiamo un attimo che succede. Ovviamente ci sono molti punti oscuri, che vi assicuro nel prossimo capitolo saranno sicuramente più chiari! ;)
 
Già che ci sono questa volta invece del titolo vi lascio una piccola anticipazione, visto che ho paura il morale sia basso dopo questa fine indegna u_u
 
 
“Dici che siete legati dal destino, per cui non avrebbe senso se vi foste risvegliati in un momento diverso.”
 
“Già ma lui è morto.”
 
“Questo è quello che dicono. Ma tu lo hai visto morto?”
 
Merlin ebbe tutta la sua attenzione. Sedette sul letto, osservandolo con avidità.
 
Mattew dal canto suo, incrociò le braccia con fare saputo. “Insomma, il suo consigliere è tornato solo, dicendo che il Re era morto e ora questo qui verrà nominato suo successore. E tu vieni a dirmi che ti sei svegliato solo ora e che il tuo compito è quello di proteggere il Re.”
 
“Cosa… stai cercando di dirmi?”
 
“Che forse il Re non ha avuto bisogno del tuo aiuto… fino ad ora.”
 
 
 
Sappiate che mi reputo davvero davvero buona u_u soprattutto perché non ve lo meritate! :P
 
Continuo ad avere tante letture ma pochissimi commenti ç_ç me tapina, mi sembra di parlare con un muro certi momenti! Guardate che se la storia non vi piace o credete che sia noiosa potete dirmelo, non mi offendo! u_u anzi magari posso fare qualche aggiustatina, anche se vi garantisco che presto arriverà il bello!
 
Rinnovo ancora e ancora la richiesta di una vostra voce. Una recensione a voi non costa nulla ma a me rende felice e mi ispira a scrivere e scrivere ;)
 
Ringrazio chi ha avuto il buon cuore di commentare. Pandora86 (cara, non mi abbandoni mai ç_ç) e grazie anche a chibisaru81 e One Day_Painless; a voi anche benvenute! E spero di risentirvi ancora!
 
Con questo un bacione a tutti!
A lunedì
Ryta

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sei tu! ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!


 
IL MOMENTO GIUSTO
 

Capitolo 7
 
Sei tu! 
 
I rumori sulla strada giungevano ovattati alle sue orecchie. Merlin li ascoltava come se si trovasse ad anni luce di distanza. Invece erano solo ad un salto di finestra, oltre un vetro sbiadito su cui si affacciava Camelot.
 
Fissava il vuoto Merlin, seduto su quel lettino basso e duro, come quelli su cui per anni aveva dormito quando era solo un valletto. Invece ora si trovava in una stanza, forse sopra l’osteria in cui erano entrati prima e dove lui aveva perso stupidamente i sensi.
 
Fissava il vuoto Merlin. Le mani strette in unico pugno contro le labbra, i gomiti sulle ginocchia. Gli occhi persi in un angolo vuoto della stanza che lui nemmeno stava vedendo. In testa le immagini dell’oste che muoveva le labbra e pronunciava la sentenza.
 
“Il nostro Re. E’ morto”
 
Fissava il vuoto Merlin e si sentiva vuoto dentro. Aveva atteso secoli, aveva disperato e aspettato e poi aveva rinunciato e aveva chiesto alla Dama di dormire. Si era svegliato, privato dei poteri e di tutto ciò che lo rendeva quello che era sempre stato. Aveva atteso ancora, sfidando il deserto e rischiando la vita.
Tutto quello per cosa?
 
Arthur era morto. Morto. Forse per sempre o forse fin quando il mondo non avrebbe di nuovo avuto bisogno di lui?
 
Rabbrividì al pensiero. Perché no, stavolta non avrebbe aspettato più. Non ne sarebbe mai stato capace. Non di nuovo, non ancora.
 
La porta si aprì all’improvviso e dall’uscio comparve il volto di Mattew. La barba brizzolata nascondeva un volto preoccupato: Merlin avrebbe potuto leggere tutto in quegli occhi azzurri, più chiari dei suoi ma altrettanto brillanti di intelligenza.
 
“Sei sveglio.” Constatò Mattew, entrando del tutto nella stanza e portando con sé un vassoio con del cibo.
 
Merlin non rispose. Per quanto dovesse essere grato a quell’uomo, al momento lo infastidiva. Voleva stare da solo. Solo con il suo dolore.
 
“Ho chiesto una stanza all’oste. Per fortuna questa è anche una locanda. Si era preoccupato quando ti ha visto svenire.”
 
Il mago restò ancora in silenzio. Non voleva parlare e sperò che Mattew capisse e se ne andasse via. L’uomo tuttavia, lasciò il vassoio sul tavolo accanto alla porta e sedette sull’altro letto che fronteggiava Merlin. Sospirò osservandolo prima di riprendere a parlare.
 
“Senti, lo so che non dovrebbero essere fatti miei ma io un’idea me la sono fatta. Sono… ero uno studioso di storia e certi nomi non mi sfuggono.”
 
Merlin chiuse gli occhi, sapendo già dove volesse arrivare. Non mosse altro che le palpebre però, lasciando che l’altro continuasse a parlare. In fondo ormai, niente aveva più importanza.
 
“Avevo già trovato curioso che uno sconosciuto di nome Arthur arrivasse dal nulla e costruisse un regno chiamato Albion e una città chiamata Camelot. Ma lì per lì avevo pensato ad un gesto voluto, magari quell’Arthur sapeva la storia e aveva voluto dare di proposito al suo, il nome di un grande e prosperoso regno. Poi sei arrivato tu, hai detto di chiamarti Merlin e non mi è sembrata più una coincidenza.”
 
“Inoltre parli del Re come se lo conoscessi da una vita e sei rimasto sconvolto quando hai saputo della sua morte.”
 
“E quindi?” Merlin improvvisamente lo guardò negli occhi e lo interruppe. Sul volto, un’espressione di dolore e insofferenza. “Cosa vuoi sapere?”
 
Mattew sostenne il suo sguardo. “Niente. Volevo solo una conferma. In tal caso potrebbe dispiacermi di più per te.”
 
“Non ho bisogno della tua pietà.” Spiegò Merlin, duramente. Poi però se ne pentì. Quell’uomo avrebbe potuto abbandonarlo al suo dolore e andarsene per la sua strada invece lo aveva soccorso e gli aveva persino portato da mangiare.
 
Osservò il vassoio sentendosi in colpa e cacciò un altro lungo sospiro. “Senti, scusami ma davvero questo non è un buon momento.” Si passò una mano sulla faccia stancamente. Aveva già pianto la morte del suo Re secoli orsono, ora quello che sentiva era solo un forte abbattimento e la voglia di chiudere gli occhi e non svegliarsi più.
 
“L’oste mi ha detto che il Re è morto quattro mesi fa.” Disse Mattew ignorando quel suo sfogo. Merlin tornò a guardarlo, mentre nel petto si sentiva sprofondare.
 
“Era partito per una missione di controllo ma non è più tornato. Qui in città erano tutti tranquilli perché era solito allontanarsi per mesi, superava i confini e ampliava il suo regno raggiungendo nuovi centri abitati che avevano bisogno di lui. Ma a quanto pare questa volta non è andata bene. E’ rimasto vittima di un agguato e i suoi uomini sono stati fatti prigionieri. L’unico che si è salvato è riuscito a tornare qui solo qualche giorno fa.”
 
“Perché mi racconti questo?” replicò Merlin. Durante quella spiegazione aveva ascoltato ma lentamente l’insofferenza era aumentata fino a che non era esploso alzandosi in piedi e portandosi entrambe le mani tra i capelli scuri. Improvvisamente ebbe soltanto una gran voglia di piangere.
 
Quattro mesi. Se lui si fosse svegliato solo quattro mesi prima, Arthur sarebbe ancora vivo. E invece aveva aperto gli occhi solo un mese fa. Perché tutto quello? Era quello il momento giusto che tanto decantava la Dama del Lago?
 
Arthur aveva fatto tutto senza di lui, si era svegliato, aveva creato un nuovo regno, era tornato ad essere re ed era di nuovo morto. E lui in tutto quello, dov’era?
 
Lui dormiva. In attesa del momento giusto.
 
La sua rabbia crebbe e d’istinto, tirò un pugno contro il muro accanto al letto. La parete restò intonsa, mentre la sua mano prese a dolere in maniera indicibile. Sbuffò di collera e di dolore, tenendosi l’arto ferito e gridando contro Mattew.
 
“Non doveva succedere tutto questo! Io dovevo proteggere il Re, non farlo morire! Maledizione!!”
 
Si sfogò guardando l’uomo che gli stava di fronte, farsi lentamente più sbiadito. Quando capì che la colpa era delle lacrime, si accasciò di nuovo sul materasso e si coprì il volto con le mani, in un gesto disperato.
 
Mattew lasciò che si sfogasse in silenzio, decidendo di essergli di conforto con la sua sola presenza.
 
“Dovevo essere lì quando sarebbe tornato, dovevo essere con lui!! E invece… invece non c’ero. L’ho abbandonato…. Ancora… ancora una volta non sono stato in grado…”
 
Merlin non si chiese quanto quell’uomo capisse di ciò che lui diceva. Ma aveva bisogno di esternare tutto quel dolore e poteva farlo solo con le parole.
 
“Ho di nuovo sbagliato… ancora una volta, dannazione! Non sono stato capace… nemmeno di aspettarlo…”
 
Pianse calde lacrime rendendosi conto che non era vero niente. Non aveva smesso di piangerlo secoli fa. Avrebbe continuato a piangere la morte del suo Re per l’eternità.
 
*
 
Dopo che si fu calmato, Merlin si asciugò il viso e ringraziò Mattew.
 
“E di cosa?” gli aveva risposto lui.
 
“Di avermi ascoltato. Sono secoli che nessuno lo fa.”
 
Mattew si era passato una mano sulla barba, un gesto che Merlin gli aveva visto fare cento volte in quel mese di convivenza. “Ho paura a chiederti se le tue parole sono letterali oppure no. Forse sono impazzito a furia di stare nel deserto.”
 
Merlin si lasciò andare ad uno sbuffo dal sapore amaro. “Non sei impazzito, Mattew. Io sono il Merlin della leggenda e lo è… lo era anche Arthur.”
 
“Credevo che il Merlin della leggenda fosse un mago e che fosse anche un vecchio.”
 
“Ma io sono un mago, soltanto che ho perso i poteri.”
 
Mattew lo guardò per un attimo con compassione. Inclinò il capo e sorrise a Merlin. “Amico, ti rendi conto di quanto sia difficile credere alle tue parole?”
 
“Sei tu che hai insinuato tutto, ora ti tiri indietro?” replicò bruscamente il mago. “Io sono quel Merlin! La leggenda è sbagliata però, non sono un vecchio dalla barba bianca come molti mi hanno descritto. Ero giovane al tempo in cui ho conosciuto Arthur ed ero giovane quando lui è stato colpito a morte per mano di Mordred!”
 
Mentre spiegava si era alzato in piedi e aveva preso a misurare la stanza a grandi passi. “Sono io che ho portato il Re sul lago di Avalon, lì dove ha dormito per secoli e l’ho aspettato. L’ho aspettato perché la profezia ci vuole due facce di una stessa medaglia, perché il suo destino è legato al mio! E ho atteso per secoli, finché non ne ho potuto più e allora ho chiesto alla Dama del Lago di farmi dormire e di svegliarmi quando sarebbe giunto il momento!”
 
Fece una pausa, fermandosi e naufragando nuovamente nel dolore. “Arthur era destinato a tornare tra i vivi un giorno, quando ci sarebbe stato ancora bisogno di lui. Ed è successo, sei anni fa. E poi è morto…”
 
Strinse i pugni con foga reprimendo quelle lacrime che ancora pressavano per uscire. “Ho atteso per secoli inutilmente.”
 
Mattew lo fissò a lungo, incredulo forse a quelle parole che lui aveva sciorinato senza remore un po’ per rabbia e un po’ per sfogo. D’altronde da quant’era che non parlava con qualcuno di sé? Dopo la morte di Gaius  e di sua madre non c’era stato più nessuno con cui confidarsi. Era rimasto solo. Solo con il suo dolore.
 
“E’ difficile credere a una storia del genere… eppure hai tanti elementi insoliti che si spiegherebbero se questa storia fosse vera.”
 
“Mattew non ho le forze né la voglia di convincerti della verità. Se vuoi accettarla, fallo e basta, altrimenti prendimi pure per pazzo. Tanto ormai non cambia niente.”
 
Cosa avrebbe fatto ora? Dove sarebbe andato? Per tutta la sua vita, il suo unico scopo di vita era stato sempre Arthur. Ma adesso? Per cosa avrebbe dovuto vivere?
 
“Ma se tutto ciò è vero…” Mattew aveva continuato. “Non avrebbe senso quello che dici.”
 
Merlin lo aveva guardato con perplessità. “Che…”
 
“Dici che siete legati dal destino, per cui non avrebbe senso se vi foste risvegliati in un momento diverso.”
 
“Già ma lui è morto.”
 
“Questo è quello che dicono. Ma tu lo hai visto morto?”
 
Merlin ebbe tutta la sua attenzione. Sedette sul letto, osservandolo con avidità.
 
Mattew dal canto suo, incrociò le braccia con fare saputo. “Insomma, il suo consigliere è tornato solo, dicendo che il Re era morto e ora questo qui verrà nominato suo successore. E tu vieni a dirmi che ti sei svegliato solo ora e che il tuo compito è quello di proteggere il Re.”
 
“Cosa… stai cercando di dirmi?”
 
“Che forse il Re non ha avuto bisogno del tuo aiuto… fino ad ora.”
 
Merlin abbassò lo sguardo scioccato, mentre un insieme confuso di pensieri si faceva strada nella sua mente. Mattew non lo aveva detto apertamente ma il suo cervello aveva già formulato quella domanda carica di speranza. Una nuova luce brillò dentro di lui, una luce che lo terrorizzava e lo esaltava al tempo stesso, perché accettarla avrebbe significato un rischio enorme: quello di illudersi ancora. Ma come ignorarla?
 
“E se fosse… ancora vivo?”
 
*
 
L’entrata della dimora del re di Camelot sembrava minuscola in confronto a quella che lui aveva serbato nei ricordi. La struttura non era grandissima, forse proprio per volere dello stesso Arthur che in quei tempi di miseria non aveva voluto ostentare ricchezza.
 
Merlin lo conosceva fin troppo bene e sapeva che oltre la sua faccia da pomposo arrogante si celava un animo fin troppo buono. Era stata quella sua bontà a portarlo alla morte la prima volta… e probabilmente era stata la causa anche della seconda.
 
Mattew lo aveva convinto a dirigersi lì per parlare con il consigliere che Arthur aveva nominato suo successore.
 
“Digli che sei un suo compaesano, ti crederanno dal tuo accento.” Gli aveva consigliato l’uomo. Il piano era quello di parlare con questo “erede al trono” e cercare di avere notizie di Arthur. In base a quello che gli avrebbe detto, Merlin avrebbe saputo come muoversi.
 
Voleva anzitutto sapere dove era accaduto il fattaccio. La gente del popolo non conosceva dettagli che in fondo erano irrilevanti per cui il mago avrebbe dovuto chiedere all’unica fonte che avrebbe potuto aiutarlo.
 
Si era perciò presentato davanti alla torre e aveva chiesto alle guardie di poter conferire con il futuro Re. Si era presentato come un compaesano di Re Arthur e che la notizia della sua morte lo aveva portato lì per saperne di più.
 
Le guardie dapprima sospettose, avevano poi constatato che il suo accento era davvero simile a quello del defunto Re e si erano quindi prodigate per avvisare il nuovo sovrano.
 
Dopo poco tempo, era stato portato in una sala dove venivano ricevute le persone. Nella sala vi erano molte sedie e solo una era un po’ più alta delle altre. In altri tempi il sovrano sarebbe stato seduto mentre tutti gli altri dovevano rimanere in piedi ma in quell’epoca Arthur doveva aver eliminato quella formalità consentendo delle visite meno legate all’etichetta.
 
Ad accoglierlo c’era stato un uomo alto e magro, dal viso appuntito e a tratti freddo. Mentre incrociava gli occhi grigi, si chiese che rapporto avesse avuto Arthur con lui.
 
Merlin restò sorpreso, quando l’uomo improvvisamente sorrise e quel suo viso freddo si accese di un calore che non avrebbe mai creduto.
 
“E’ un piacere conoscere finalmente un compaesano del nostro Arthur! Lei è il signor…?”
 
“Merlin. Arthur era un mio grande amico.” Spiegò, stringendo la mano dell’altro e guardandolo con un’espressione grave.
 
“Il Re ha lasciato un grande vuoto in ognuno di noi. Anch’io ero un suo grande amico e posso immaginare come si sente.” Il volto dell’uomo si fece seriamente contrito e Merlin lesse dolore in quegli occhi. Improvvisamente voleva sapere ogni cosa di lui e che tipo di rapporto aveva avuto con Arthur.
 
“Il mio nome e Pierre… comunque. Gli amici di Arthur sono miei amici, quindi avrete tutta l’ospitalità di cui avete bisogno.”
 
Merlin sorrise. “Grazie. Ma sono qui soltanto per avere notizie… e conferme.” Socchiuse per un attimo gli occhi in un segno di stanchezza ma poi tornò a guardare Pierre. “Quando nel nostro villaggio è giunta voce della morte di Arthur, sono subito corso qui per saperne di più.”
 
Pierre gli tenne la mano e posò anche l’altra sulla sua. “Mi dispiace Merlin. Ma purtroppo è tutto vero. Arthur ci ha lasciato, io stesso sono stato testimone dell’agguato e solo dopo quattro mesi di prigionia sono riuscito a tornare qui.”
 
Quelle parole avevano avuto un effetto sconvolgente nel petto di Merlin. Era come se ogni sillaba fosse un proiettile di piombo che lo colpiva. Pierre si accorse della sua espressione addolorata e gli propose di sedersi.
 
Merlin fece come gli era stato detto ma poi scosse il capo. “Continui, la prego. Dove è successo? E… come?”
 
Pierre sedette accanto a lui e gli spiegò della missione nell’estremo Est del regno. Gli raccontò di come Arthur avesse voluto superare i confini e controllare in piena notte il primo centro abitato sul cammino. Spiegò che lì, però erano stati traditi e attaccati. Il Re era stato colpito a morte mentre lui e chi lo accompagnava erano stati fatti prigionieri.
 
“C’è gente che non apprezza la politica di non violenza del Regno e nessuno sospettava che il tradimento fiorisse in seno alla stessa corte. Il nostro compagno, che era anche il mio migliore amico ci ha traditi. Dopo aver colpito Arthur ha consegnato me e l’altro uomo che era con noi agli abitanti di quel villaggio fuori dai confini. Ci ha venduti come schiavi e sono stato costretto ai lavori più umili finché non sono riuscito a scappare.”
 
Pierre aveva parlato con amarezza nella voce. Merlin avrebbe potuto avvertirla anche con un solo sussurro. Quello era il racconto di un uomo provato da terribili esperienze e dalla perdita di non uno ma di ben due compagni di vita.
 
Aveva ascoltato tutto in silenzio, fissando un punto inesistente e deglutendo più volte fino a sentire la gola arida.
 
“Sei… sei quindi sicuro che Arthur sia morto? Non è possibile che anche lui abbia avuto la vostra stessa sorte?” quella domanda era sfuggita spontanea dalle sue labbra, ultima speranza in un racconto che non lasciava più spiragli di luce.
 
La fiamma della delusione si fece cocente dentro di lui, mentre Pierre scuoteva il capo con compassione.
 
“Mi dispiace Merlin. Ho visto con questi occhi morire Arthur. Non potrò mai dimenticarlo.”
 
Tutto quello fu troppo. Si alzò in piedi di scatto, stringendo i pugni e sentendosi improvvisamente soffocare. Voleva andare via da lì, voleva correre fuori e gridare. Gridare con quanto fiato aveva in gola e prendersela con quel destino crudele che per tutta la sua vita si era sempre preso gioco di lui.
 
“D-devo… devo andare.”
 
Fece qualche passo indietro, pronto alla fuga. Ma dovette fermarsi, quando una calda mano si posò sulla sua spalla. Si voltò di scatto, trovandosi davanti una bellissima donna bionda. Gli occhi verdi lo osservavano con un sorriso addolcito.
 
“Merlin.” Lo chiamò. “Calmati.”
 
Quell’improvviso calore che la donna gli trasmise in un semplice gesto, lo disorientò e per un attimo tutta quella foga addolorata si sfiorì, consentendogli di tornare a respirare.
 
“Chi sei?” chiese stupito, continuando ad osservare quegli occhi di un verde così chiaro che a tratti pareva irreale.
 
“Lei è Cassandra.” Gli venne incontro Pierre. “E’ la mia compagna ed è un’altra importante risorsa per il regno.”
 
Merlin lo sentiva a pelle. Anche se la sua magia non rispondeva più sentiva chiaramente l’aura di sortilegio di quella donna. Emanava una magia così intensa e per lui terribilmente rassicurante che per qualche istante, dimenticò tutto il suo dolore e si sentì pieno di calore.
 
Cassandra non aggiunse altro. Continuò a guardarlo con dolcezza e lui lentamente si calmò, fino a chinare il capo. “Grazie.” Soffiò lanciandole un ultimo sguardo. Poi si rivolse a Pierre. “Scusatemi per il disturbo. Avevo bisogno di conoscere la verità ma non immaginavo avesse fatto così male.”
 
“Se vuoi restare ti faremo preparare una stanza immediatamente.” Fece Pierre premuroso. Merlin scosse il capo.
 
“Grazie ma sono già alloggiato alla locanda giù nel piazzale. Credo… che domani ripartirò per il mio villaggio.”
 
Si congedò dai due con gentilezza e quando uscì dalla torre quasi si sentì in colpa per aver dubitato della bontà delle persone che circondavano Arthur. Quel macigno sul cuore però, tornò pressante non appena giunse in strada e l’influsso della magia di Cassandra si fu esaurito.
 
Arthur era morto davvero. E lui ormai aveva perso tutto.
 
*
 
Il russare di Mattew riempiva la stanza a quell’ora di notte. Merlin si era imposto di dormire ma era tutto inutile. Quando le luci si erano spente e Mattew si era addormentato, Merlin finalmente solo aveva dato libero sfogo al suo dolore e aveva pianto altre lacrime amare.
 
Non era soltanto l’effettiva morte di Arthur ad averlo sconvolto quanto proprio il fatto che lui ormai si sentiva perso. Aveva sprecato tutta la sua esistenza ad attenderlo e cosa ne aveva ricavato? Solo un pugno di mosche. Cosa avrebbe fatto adesso che non aveva più il suo scopo di vita e che non aveva più nessuno da aspettare o da proteggere?

Ma soprattutto aveva ancora davanti a sé un’esistenza infinita oppure adesso che aveva perso i poteri era diventato anche mortale? E se Arthur fosse destinato ancora a rinascere?
 
Quando aveva smesso di piangere, sentendosi anche piuttosto ridicolo a comportarsi ancora come ad una donnetta, aveva iniziato a porsi tutte queste domande a cui purtroppo non aveva ancora trovato risposta. Il suo cervello macinava e gli impediva di dormire ma non riusciva ad arrivare a niente di buono.
 
Fu quando alla fine sospirò stancamente e chiuse gli occhi, che si decise a dormire un poco e a riposare. Provò a scacciare tutti i pensieri dalla testa, cosa alquanto difficile, eppure per un momento sembrò quasi che il sonno stesse per coglierlo. Si rilassò sul cuscino e lentamente il torpore delle coperte lo trascinò in un leggero dormiveglia.
 
D’un tratto la porta si spalancò. Merlin sgranò gli occhi perdendo il respiro e prima che potesse rendersene conto, due energumeni accerchiarono il suo letto e gli piantarono un cappuccio sulla testa. Merlin provò a divincolarsi ma la presa ferrea dei due gli impedì ogni possibilità di fuga.
 
Sentì anche le imprecazioni di Mattew, a cui sicuramente stavano servendo lo stesso trattamento e lui sperò ardentemente che la sua magia rispondesse almeno quella volta: provò ma senza alcun risultato.
 
Avrebbe potuto gridare ma una mano poderosa gli tappò la bocca con un bavaglio maleodorante. Poi, senza capire come, perse i sensi.
 
*
 
Merlin aprì gli occhi immediatamente, quando tornò la coscienza. La prima cosa che vide fu Mattew legato come un salame che lo guardava accigliato. Poi si rese conto di essere sul retro di un mezzo di trasporto, un camion forse, nascosto da un telo di plastica. Provò a muoversi ma si accorse di essere bloccato esattamente come il compagno di sventure.
 
Sbuffò e guardò l’altro quasi in cerca di risposte.
 
“Ci portano a morire.” Fu la sentenza di Mattew.
 
Merlin strinse le labbra, cercando di reprimere quel senso di paura che gli aveva fatto sprofondare lo stomaco. “Ma questo non era il regno della non violenza?” domandò quasi con ironia, mentre con un altro gesto disperato cercava di muovere le braccia legate dietro la schiena. Inutile tentativo.
 
“E’ per questo che ci portano a morire lontano.” Replicò con ovvietà Mattew. “Non si sono nemmeno presi la briga di imbavagliarci, come minimo ci stanno portando da qualche parte nel deserto per farci sparire come hanno fatto con il Re!”
 
Merlin aggrottò la fronte. “Ancora con questa fissazione della congiura. Ho parlato con quel Pierre e non è stato lui ad uccidere Arthur. Sono stati molto gentili ed ospitali con me!”
 
“Oh sì, certo!” sbottò Mattew arrabbiato. “Si vede proprio come hanno accolto il tuo arrivo!” cercò di divincolarsi ma fu tutto inutile. Le corde che li tenevano immobili erano state legate davvero bene. “Vorrei solo capire cosa c’entro io con questa storia!”
 
Anche Merlin si arrabbiò. Troppo piccato dalle accuse di Mattew che non voleva credere fossero vere e troppo infastidito da quella situazione e dal fatto che non avesse più la sua dannata magia.
 
“Sei tu che mi hai seguito! Non posso credere che sia stato quel Pierre a portarci via, era così addolorato della morte di Arthur!”
 
“E chi diavolo vuoi che sia stato?”
 
Merlin non rispose. Tutta quella faccenda aveva un punto che a lui sfuggiva. Se anche c’entrasse davvero quel Pierre nella morte di Arthur, perché adesso sbarazzarsi anche di lui? Non si era forse presentato semplicemente come un amico in cerca di risposte? Quale pericolo avrebbe potuto rappresentare?
 
Mattew sbuffò ancora e poi imprecò tra i denti. “Ho la sensazione che possiamo metterci comodi.”
 
*
 
Mattew aveva avuto ragione. Il camion aveva viaggiato ininterrottamente per sette giorni. Tranne che per qualche breve pausa in cui i loro carcerieri si erano fermati per rifocillarsi e per concedere a loro due qualche sorso d’acqua e di risolvere ai problemi fisiologici, il viaggio non aveva avuto nessuna deviazione.
 
Mattew aveva fatto le sue ipotesi. Li portavano a morire nel deserto, sicuramente li avrebbero abbandonati tra le dune, senza prendersi la responsabilità della loro futura morte. In questo modo nessuno si sarebbe sporcato le mani, visto che la legge aborriva la violenza e soprattutto l’omicidio, e loro semplicemente sarebbero avvizziti… processo che già stava avvenendo visto il digiuno forzato a cui erano stati ridotti.
 
Gli uomini che li avevano sequestrati diedero loro da mangiare soltanto tre volte in quei sette giorni, “giusto per non farci morire qui sul camion ma neanche per sprecare cibo inutilmente”, aveva commentato aspramente Mattew.
 
Merlin non sapeva cosa pensare. Non soltanto si chiedeva se lui sarebbe avvizzito assieme a Mattew oppure la sua immortalità funzionasse ancora – e comunque non è che fosse così desideroso di testarla – ma in più si aggiungeva il fatto che non capiva perché dovessero morire così.
 
Aveva dato voce a Mattew dei suoi dubbi e anche lui non aveva saputo dirgli granché: “Devi esserti fatto dei grossi nemici in un solo pomeriggio!”
 
All’alba del settimo giorno, Merlin e Mattew avevano potuto bere e mangiare qualcosa. I sequestratori avevano ficcato loro in bocca dei datteri, dato che le loro mani erano sempre ben legate dietro la schiena e poi li avevano fatti bere alcuni sorsi di acqua.
 
Erano così fiaccati nel corpo e nello spirito che Merlin era convinto non sarebbero durati nemmeno un giorno nel deserto. Iniziò ad intravedere le dune attraverso uno spiraglio lasciato aperto del tendone e si sentì gelare il sangue per quanto quel caldo improvviso lo consentisse.
 
“Ci siamo.” Soffiò e Mattew che sonnecchiava intontito aprì gli occhi e annuì. Attraversavano ancora un ultimo tratto di foresta, dopo di che si sarebbe aperto il deserto sconfinato.
 
“Abbiamo solo una possibilità. Dobbiamo provare a colpirli non appena ci libereranno.”
 
Merlin annuì. Avevano pianificato in qualche modo una possibile via di fuga. I sequestratori erano in tre e loro erano stanchi e affamati ma avrebbero puntato sull’istinto di sopravvivenza, sperando desse loro le ultime forze per lottare.
 
Merlin cercò ancora disperatamente un barlume di magia dentro di sé ma ormai sapeva che era tutto inutile. Il mago non esisteva più. Forse era morto nel momento in cui era spirato il Re.
 
Pensava ancora a queste cose quando il camion ebbe un forte scossone ed entrambi cozzarono dolorosamente contro il metallo del mezzo. Alla botta si unì anche un improvviso sbandare del camion che ad un certo punto girò su se stesso andando in testacoda. Merlin ingoiò un’imprecazione ma altrettanto non fecero i sequestratori, che li sentì gridare improperi mentre cercavano di scendere dal furgone. Poco dopo, le parolacce divennero grida e poi gemiti: qualcuno li aveva colpiti.
 
Bastò solo un secondo perché Merlin e Mattew incrociassero i loro sguardi e capirono tutto. Poi iniziarono a gridare anche loro in cerca di aiuto.
 
“Siamo quiii! Aiutatecii”
 
“Siamo stati rapitiii!!”
 
Merlin quasi sobbalzò quando la tenda scattò colpita da una mano e un uomo sbucò brandendo un bastone di legno. Questi osservò i due ancora legati e immobili, poi Mattew gridò.
 
“Amico, aiutaci! Quei tizi ci avevano sequestrato per portarci nel deserto!”
 
L’uomo, che aveva folti capelli e barba scuri e occhi nerissimi dietro un naso a patata, li squadrò con occhio critico, poi fischiò.
 
“Ehi! Qui ci sono due legati come salami!” richiamò qualcuno da fuori. Da lontano – e Merlin ipotizzò si trovasse sul davanti del furgone – provenne una voce ovattata che disse all’uomo nerboruto di capire chi fossero.
 
“Chi siete?” chiese quindi quello.
 
Fu Merlin a parlare. “Siamo nemici di quelli che avete steso, questo dovrebbe bastarvi!”
 
L’uomo scoppiò a ridere e si inginocchiò per liberare il mago dalle corde. Merlin lo sentì armeggiare e gli sembrò che fosse un po’ in difficoltà con i nodi.
 
“Siete stati fortunati allora! Non è roba di tutti i giorni che la gente assalti furgoni in questo modo ma siete i primi umani che passano da queste parti da settimane e noi abbiamo urgenza di muoverci!”
 
“Vi siete trovati a puntino. Non è roba di tutti i giorni nemmeno che la gente mandi altra gente a morire nel deserto.” Replicò duramente Mattew. Merlin intanto si ritrovò improvvisamente sciolto dai nodi senza neanche capire quando lo sconosciuto avesse slegato le corde. Portò avanti le braccia e gemette per il dolore che la posizione prolungata aveva provocato.
 
Lo sconosciuto aveva sospirato tristemente alle parole di Mattew e intanto si era prodigato a liberare anche lui. “Avete toccato un tasto dolente. Anche noi siamo stati vittime di violenza…” mormorò con un tono intriso di amarezza che non sfuggì a Merlin.
 
Il mago intanto aveva cercato di sgranchirsi anche le gambe ma si sentiva debolissimo. Si mise in piedi nel furgone e barcollò. Lo sconosciuto, che aveva appena liberato Mattew – e anche lui con una velocità insolita visto il modo in cui i nodi erano intricati – fece appena in tempo a sostenerlo.
 
“Ehi tutto bene?”
 
Merlin annuì accennando un sorriso. “Sì sì… è solo che non ci hanno dato molto da mangiare in questi giorni. Veniamo da Camelot.”
 
Lo sconosciuto lo accompagnò verso l’uscita. “Non preoccuparti allora! Io e il mio amico siamo degli ottimi cacciatori! Potrai rifocillarti presto!” con un balzo era sceso dal furgone e poi aveva fatto spazio a Merlin perché uscisse, seguito a ruota da Mattew.
 
Poi, tutto era accaduto velocemente e nello stesso tempo Merlin avrebbe ricordato ogni cosa come se fosse al rallentatore.
 
Lo sconosciuto che si voltava verso il suo compare mentre sbucava da dietro il furgone, dicendogli “Dico bene?”; Mattew che sollevava lo sguardo sul nuovo arrivato e colpiva Merlin con forza perché guardasse in quella direzione. E l’uomo che prima sorrideva all’indirizzo del suo compare che elogiava le loro doti di caccia e poi finalmente guardava prima Mattew e poi Merlin e inghiottiva le sue parole.
 
E poi lui, Merlin, che perdeva il respiro riconoscendo quel volto che mai per un solo istante per tutti quei secoli si era sbiadito tra i ricordi.
 
Merlin guardò quell’uomo e riconobbe Arthur. E Arthur riconobbe Merlin.
 
“Sei tu!”
 
E poi Arthur gli tirò un pugno.

 
Continua…


 
Ehilààà!! Hahahaha giuro che adoro la fine di questo capitolo XD continuo ad immaginarmi la scena e continuo a ridere!
 
Buon lunedì a tutti, cmq e buon inizio di settimana =) capitolo bello lungo, finalmente e direi anche piuttosto succoso :P spero vi piaccia! Fatemelo sapere, perché adesso tengo davvero tanto ai vostri commenti! Scrivere questa storia sta diventando difficile, ve lo dico, perché questi dannati personaggi fanno che vogliono! Arthur soprattutto u_u ma poi… vedrete!
 
Intanto vi invito a COMMENTARE!! E a farmi conoscere le vostre teorie in merito u_u sono curiosa, anche per quanto riguarda la faccenda “cattivi” :P
 
Ringrazio con il cuore chi ha voluto lasciarmi una recensione: One Day_Painless, chibisaru81, Pandina99, Lunaris, Pandora86, paffy333 e brin leah! Davvero grazie, sono contenta che abbiate risposto al mio invito ^^ spero di continuare a sentirvi!!
 
A tutti un bacio! E stavolta vi lascio con il titolo del prossimo capitolo: “Ammettilo
Ryta

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ammettilo ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 
IL MOMENTO GIUSTO


Capitolo 8
 
Ammettilo
 

“Ahia! Ma che cavolo…”
 
“Ti sembra questo il momento di arrivare, Merlin?!”
 
Il mago osservava da sotto in su Arthur. Colui che aveva atteso per secoli, il re del passato e del futuro, il suo re, l’uomo che lo aveva portato alla disperazione… e che non appena lo aveva visto, invece di abbracciarlo, di stringerlo e di gioire per essersi finalmente ritrovati, gli aveva impietosamente tirato un pugno, scagliandolo a terra.
 
In barba anche alla sua debolezza fisica e allo sfinimento per tutte le traversie degli ultimi giorni.
 
Arthur lo guardava in cagnesco, il pugno con il quale lo aveva colpito, ancora sollevato e stretto con foga tanto che le nocche si erano sbiancate. Lo guardava e lo rimproverava con quegli occhi celesti, senza nemmeno pensare per un attimo a tutto quello che lui aveva passato.
 
Fu per questo che Merlin, dopo un istante di smarrimento nel quale aveva sostenuto il suo sguardo con sorpresa, aveva indurito l’espressione e si era massaggiato la guancia colpita.
 
“Fino a prova contraria voi eravate morto, Sire!” replicò chiamando l’altro con lo stesso tono usato prima per lui.
 
Arthur si indicò, spalancando la bocca in un’espressione di finta sorpresa e lo guardò come se fosse un idiota.
 
“Ma guarda un po’. Mi vedi morto?”
 
Merlin allora si alzò in piedi sempre più contrariato. Si sentiva così arrabbiato per quell’accoglienza che adesso il pugno voleva ricambiarlo lui. “Questo è quello che vanno dicendo in giro, stupido babbeo!”
 
Arthur sollevò l’indice di quel pugno sempre bene in mostra e lo avvicinò al petto di Merlin con fare minaccioso. “Vedo che i secoli non hanno spento la tua insolenza…” constatò in un sibilo.
 
Il mago non si fece intimorire, gonfiò il petto e posò le mani sui fianchi. “E a voi la vostra idiozia.”
 
Il re strinse le labbra ma a quel punto, intervenne il suo consigliere che assieme a Mattew aveva assistito attonito a quello scambio di battute. “Beh, direi che non c’è bisogno di fare le presentazioni… almeno tra voi due.” Poi si rivolse a Merlin incuriosito. “Si può sapere chi diavolo sei?”
 
“Lui è un mago, Claude.” Si intromise Arthur senza lasciare a Merlin il tempo di rispondere. Lo stregone lo guardò malissimo ma il re non si scompose. “Ed era anche il mio valletto personale.”
 
Se avesse potuto farlo, Merlin lo avrebbe incenerito seduta stante e al diavolo tutta la storia del destino e del re della leggenda. Solo quello era per lui? Un mago e un servo? E tutta la devozione che gli aveva dimostrato? Tutta l’amicizia? Dov’era finita?
 
Ma non poté scagliare altra rabbia contro Arthur, perché il re gli voltò le spalle per allontanarsi mentre Claude si voltava sorpreso. “Valletto? Un valletto?! Da quando in qua tu hai un valletto, Arth?!”
 
Merlin per un attimo rimase interdetto nel notare quel modo così intimo di chiamare il sovrano, poi scosse il capo e cacciò un lungo sospiro, mentre Arthur si faceva più lontano e con un gesto della mano, liquidava per il momento la faccenda.
 
“E’ una lunga storia… Claude.” Concluse ricordandosi di come Arthur lo aveva chiamato.
 
L’uomo allora sorrise e rilassò le spalle. “D’accordo, ce la racconterai non appena ci saremo sistemati.” Indicò il furgone e gli uomini apparentemente svenuti – Merlin notò che uno aveva preso a russare – che li avevano sequestrati e che al momento giacevano uno accanto all’altro sul limitare della strada, tra i cespugli.
 
“A me piacciono le lunghe storie… Merlin.”
 
*
 
Claude aveva messo su un accampamento degno di un… come li aveva chiamati ogni volta? Ah sì, di un boy scout. Non che sapesse cosa significasse, in quel tempo non esistevano i boy scout e neanche nel Medioevo. Però Claude ci teneva spesso a precisarlo e lui non poteva che annuire ogni volta facendo finta di sapere a cosa si riferisse.
 
Arthur nel frattempo, si era occupato dei tizi a cui avevano assalito il furgone, li aveva legati per bene e sistemati sul retro del mezzo, che prima aveva accolto Merlin e quell’altro tizio che lo seguiva. Erano addormentati grazie ad un incantesimo e avrebbero continuato a farlo fino a che Claude non avesse deciso di risvegliarli.
 
“Un mago? Anche tu?” il tizio che stava con Merlin – ma com’è che si chiamava? –  aveva esclamato e poi aveva cacciato un fischio. “Io qui ho le traveggole. Secondo me ho passato troppo tempo nel deserto.”
 
Claude aveva riso con forza, come faceva sempre quando era divertito. Anche il sovrano era rimasto sorpreso quando aveva scoperto che Claude utilizzava la magia. Era successo il giorno in cui gli aveva salvato la vita da morte certa, quando erano stati traditi dal loro stesso compagno che li aveva quasi ammazzati.
 
Arthur sentiva ancora bruciante il senso di tradimento, mentre con la mente ritornava a quella notte. Il volto di Pierre incolore mentre gli puntava addosso un’arma e lo colpiva. Se non fosse stato per Claude che prima di perdere i sensi, gli aveva imposto un incantesimo di protezione, sarebbe morto sul colpo. Invece era solo caduto in uno stato di morte apparente. Quando si era risvegliato, si era ritrovato nuovamente nel deserto.
 
Pierre li aveva caricati sul fuoristrada e aveva viaggiato senza sosta a Nord, fino al deserto, dove poi aveva abbandonato tutti i corpi e se n’era andato. Questo per lo meno era quello che avevano compreso quando avevano ripreso conoscenza lui e Claude. Per Francois, l’altro uomo che viaggiava con loro, non c’era stato nulla da fare. Claude aveva avuto il tempo di formulare un incantesimo solo per proteggere loro due. Avevano cercato di seppellirlo alla buona sotto la sabbia e poi avevano intrapreso la lunga marcia per poter tornare indietro.
 
Claude ipotizzava che si trovassero esattamente a Nord rispetto a dove Pierre li aveva attaccati, perciò per prima cosa si erano diretti a Sud, per poter uscire presto dal deserto. Erano sopravvissuti grazie alla magia di Claude, che aveva svelato ad Arthur di essere uno stregone. Il re aveva però accolto la cosa con positività rispetto a quello che credeva il suo consigliere, semplicemente perché c’era già passato.
 
Era già accaduto che il suo più grande amico gli svelasse di essere un mago. Allora si era sentito tradito e preso in giro ma poi nelle sue ultime ore di vita aveva compreso che il fatto di aver taciuto era stato dettato dalla paura e dalla ritrosia del resto del mondo verso la magia.
 
Claude aveva taciuto anche con Pierre, altrimenti l’ex-amico non si sarebbe sbarazzato di loro così facilmente. Essere un mago voleva dire essere diverso e Claude era cresciuto con la paura di essere respinto e costretto a vivere da solo per quel suo dono.
 
Arthur aveva accettato e anzi aveva ringraziato il destino che gli aveva messo accanto un uomo con quelle capacità in mancanza del suo fidato Merlin.
 
Fidato Merlin che ora ascoltava in silenzio quello stesso racconto che Claude esponeva a lui e a quell’altro davanti al fuoco.
 
Si erano rifocillati e avevano mangiato e Arthur non aveva potuto non notare come Merlin avesse preso colore in viso dopo quel pasto. Forse era stato troppo duro nel colpirlo, dopotutto erano giorni che quasi non mangiava…
 
Scosse il capo, sentendo di nuovo la rabbia montare. No. Lui era in collera con Merlin. Lo aveva lasciato solo a vedersela con la costruzione di un regno e con un attentato alla sua persona. Lui doveva essere al suo fianco in quegli anni, fin dal suo risveglio e invece non c’era stato.
 
Arrivava ora, che ormai era quasi tutto fatto. Ovviamente, una volta raggiunta Camelot, Arthur avrebbe fatto il suo ingresso trionfale e avrebbe cacciato Pierre spedendolo alla base a finire i suoi giorni come soldato tra le dune. Perciò Merlin arrivava completamente in ritardo.
 
“E questo è quanto. Abbiamo viaggiato a piedi per mesi lungo la linea di confine che separa il deserto dalle foreste con l’intento di raggiungere la base e poi da lì tornare a Camelot. Ma non è stato per niente facile. Ora siamo vicini alla meta, con questo furgone potremo arrivare direttamente in città per fermare la follia di Pierre.” Claude aveva concluso il suo discorso, proprio mentre il suo sguardo si perdeva tra le fiamme del falò che si trovava al centro del campo e con gli occhi probabilmente anche la mente volava lontano, verso quella persona che credeva amico e che poi lo aveva tradito.
 
Arthur si era sentito ingannato certo, ma sapeva che chi ne aveva sofferto di più era stato proprio Claude. Lui e Pierre erano amici da una vita, come fratelli. Avevano condiviso tutto fin da piccoli e mai avrebbe immaginato un tradimento simile.
 
Ecco, quello che Claude sentiva per Pierre, lui lo provava per Merlin. Mentre lanciò uno sguardo nella sua direzione e si accorse di essere osservato, sentì quella rabbia sfrigolare sotto pelle e mantenne gli occhi fissi nei suoi.
 
Non sopportava che anche il mago fosse arrabbiato. Lo poteva vedere benissimo dagli zigomi sporgenti e induriti, dagli occhi azzurri scintillanti di collera e dalle labbra serrate. Non che Merlin fosse sempre stato un libro aperto per lui, in fondo non aveva mai capito niente di cosa nascondesse quando era il suo servo né sapeva altri aspetti della sua vita che non contemplassero il lavoro che svolgeva presso di lui.
 
Perciò ora che lo aveva lì davanti gli sembrava da un lato di aver ritrovato una parte di sé ma dall’altro di avere davanti uno sconosciuto. E quell’insieme confuso di emozioni che gli causava gli faceva aumentare la rabbia.
 
“Allora anche tu sei un mago. Ecco perché Arthur era così tranquillo quando ha scoperto di me.” Avanzò Claude per continuare la conversazione.
 
Merlin sbuffò sarcastico. “Davvero? Beh con me non è stato così buono.” Replicò con amarezza, gli occhi si spostarono da lui per abbassarsi sulle fiamme e tingersi di malinconia. Arthur strinse le labbra desiderando di prenderlo nuovamente a pugni.
 
“Comunque sì, sono un mago. O almeno credo di esserlo ancora…”
 
“Che vuoi dire?” Arthur si intromise senza alcun riguardo per la conversazione. Merlin evitò di guardarlo ancora e incassò la testa nelle spalle.
 
“Non lo so... da quando sono qui… La mia magia non funziona.”
 
Il re si alzò in piedi di scatto, stringendo i pugni. “E allora si può sapere cosa sei venuto a fare?” era così in collera che voleva colpirlo in qualche modo. E anche se una piccola parte di lui gli stava dicendo che così avrebbe potuto ferirlo, non se ne curò.
 
“Potevi restartene dove stavi se sei venuto solo per essere un peso!”
 
“Via via, non mi sembra adesso il momento-“
 
“Sta’ zitto, Marcel.”
 
“Mattew.” Lo corresse quello prontamente senza lasciarsi intimorire. “Sire, siamo tutti un po’ scossi. Forse dovremmo riparlare di questa storia domani mattina a mente lucida e dopo che ci saremo tutti calmati.” Il suo tono conciliante spense in Arthur il desiderio di replicare. Era anche una persona focosa ma non era un bambino stupido.
 
“Bene.” Rispose allora, scavalcando il tronco su cui prima era seduto e facendosi indietro verso il suo giaciglio di fortuna. In quei movimenti non staccò gli occhi da Merlin, che invece continuava a tenere lo sguardo basso. “Allora buonanotte. Claude fai tu il primo turno di guardia.”
 
Si coricò mentre l’amico sospirava scuotendo il capo e borbottava un “E’ incredibile… non l’ho mai visto così.”
 
Ignorò le sue parole. O avrebbe picchiato anche lui.
 
*
 
Il fuoco ardeva ancora nonostante la notte fosse inoltrata. Merlin aveva visto Arthur ravvivarlo quando era iniziato il suo turno di guardia. Si era dato il cambio con Claude che adesso già ronfava in un angolo del campo.
 
Il re si era seduto un po’ più distante, la schiena contro una ruota del furgone che costeggiava l’accampamento e guardava il cielo con aria corrucciata. Merlin poteva scorgere distintamente la sua fronte aggrottata e le guance contratte. Forse pensava a lui o a tutta quell’assurda situazione.
 
Anche Merlin pensava. Ancora non riusciva a credere di averlo lì davanti. Non era riuscito ad addormentarsi ovviamente, troppi avvenimenti, troppe emozioni si agitavano in lui e niente avrebbe potuto rilassarlo ora che aveva di nuovo accanto il suo re, il suo destino.
 
Era rimasto disteso ad osservarlo e a pensare. Era ancora arrabbiato, certo. Il comportamento di Arthur era stato infantile e burbero. Eppure in qualche modo poteva capirlo e poteva immaginare come si sentiva. In fondo lui avrebbe dovuto esserci al momento del risveglio. Doveva consigliarlo come aveva sempre fatto, stargli accanto e proteggerlo.
 
E invece era arrivato in ritardo e per giunta senza più poteri. Aveva sperato che una volta ricongiunto a lui, la sua magia fosse tornata ma così non era stato. Merlin non la avvertiva più fluire dentro di lui né percepiva più la natura come faceva un tempo.
 
Eppure lui era lì e Merlin sapeva che per Arthur prima che un mago era stato un amico. Almeno quello avrebbe potuto esserlo ancora. Per questo motivo si alzò in piedi e con molta calma si avvicinò al Re; sedette accanto a lui notando subito che lui gli aveva fatto spazio. Quel permesso e il fatto che Arthur fosse rimasto zitto senza aggredirlo come aveva fatto nelle ultime ore, sembrarono a Merlin come una piccola tregua.
 
“Perché siete così arrabbiato?” esordì con calma, gli occhi rivolti al suo profilo. Arthur non lo guardò, continuò a fissare il fuoco con insistenza, l’espressione sul viso sempre cupa.
 
“Lo sai bene perché.” Replicò il re, ostinato.
 
Merlin sospirò, socchiudendo per un attimo gli occhi. “Cambierebbe qualcosa se vi dicessi che non è dipeso da me?”
 
“Dove sei stato fino ad ora?”
 
“Arthur, che cosa cambierebbe?” ad una domanda, un’altra domanda e poi un’altra ancora. C’era così tanto da dire che alla fine non riuscivano a dirsi niente. Ma Merlin non voleva esporsi così e spiegargli cosa aveva deciso, per colpa della disperazione. Aveva paura a mostrarsi così debole nei suoi confronti, perché questo avrebbe aperto altri dubbi e interrogativi su questioni che aveva preferito nel tempo chiudere a chiave nel profondo del cuore.
 
Il re però lo guardò e l’espressione ferita che aveva in volto servì a Merlin a farlo tremare. Poteva sentire il calore del suo corpo accanto al suo e mai come in quel momento gli pareva strano che fossero realmente così vicini.
 
“Cambierebbe molte cose. Cambierebbe che non mi sentirei così…”
 
“Io non vi ho tradito!” esclamò Merlin precedendolo. Si era voltato completamente verso di lui ora e sosteneva lo sguardo di quegli occhi celesti così arrabbiati.
 
“E allora ammetti e dimmi dove sei stato.”
 
Merlin sospirò. “Ammettetelo voi, invece.” Lo provocò. “Ammettete che vi sono mancato… e che avevate bisogno di me.” C’era solo un modo perché il mago potesse aprirsi ed era sapere la verità. Perché aveva visto cosa da solo Arthur era riuscito a fare, si era accorto dei legami che in quegli anni aveva instaurato con altra gente e una piccola parte di sé temeva che lui fosse davvero di troppo in tutto quello.
 
Merlin aveva bisogno di sentirsi dire dal suo re che la sua assenza era stata un trauma e che come lui aveva sofferto per secoli il fatto di non averlo accanto, così il re avrebbe dovuto provare il medesimo dolore.
 
Arthur però, si alzò in piedi e lo guardò malissimo. “Un tempo forse. Quando mi sono risvegliato e tu non c’eri. Quando mi sono ritrovato da solo in un mondo che non conoscevo e l’unica persona che poteva aiutarmi era chissà dove a farsi i fatti suoi. Ma adesso non più.” Merlin perse il fiato. “Adesso non ho più bisogno di te.”
 
Non si allontanò stavolta, forse resto lì soltanto per sentire le scuse del mago o una qualche giustificazione. Ma Merlin non aveva nessuna intenzione di dargli alcunché. Non così, non con quegli occhi che lo fissavano e sprizzavano odio anche a distanza. Non con quello sguardo che lo faceva sentire così inutile e fuoriposto come non lo era mai stato accanto a lui.
 
Si alzò in piedi a sua volta e ricambiò l’occhiata severa con una altrettanto incollerita. Celeste che si perse per un attimo in quell’azzurro brillante di rabbia.
 
“Se è così che la mettete, saprò fare tesoro delle vostre parole.” Lo superò e se ne tornò sul suo giaciglio fatto di foglie, per chiudere gli occhi e non vederlo più.
 
*
 
Il mattino seguente si svegliarono tutti in silenzio e di malumore. Mattew era tutto indolenzito per aver dormito a terra: nonostante facesse le ronde nel deserto la sua età continuava inesorabilmente ad avanzare e lui ne risentiva. Merlin era ovviamente arrabbiato con Arthur e Arthur con Merlin. Soltanto Claude accennava ogni tanto un sorriso e fischiettava mentre si preparava alla partenza ma avendo notato l’aria di tensione, aveva preferito non aprire bocca.
 
Quando furono tutti svegli e pronti e si furono rifocillati, salirono sul furgone pronti a partire. Arthur alla guida, si sistemò sul sedile e con una mano afferrò il volante. Con l’altra premette il tasto di accensione.
 
Il motore fece rumore ma non partì. Arthur sollevò le sopracciglia sorpreso ma dopo essersi mosso sul sedile come per accomodarsi meglio, premette nuovamente il pulsante. Stesso rumore, nessun risultato.
 
“Che succede?” domandò Claude che gli stava accanto. Nel frattempo le teste di Merlin e Mattew erano sbucate dal retro del furgone, a cui avevano tolto il separé per poter viaggiare meglio e guardare la strada.
 
Arthur si mosse ancora incomodo sul sedile. “Non sta partendo.” Fu la ovvia risposta. Claude allora, scese dal mezzo e velocemente si spostò davanti al cofano per aprirlo. Dopo un istante si sentì la sua imprecazione perdersi nel vento.
 
Il re aggrottò la fronte – cosa che Merlin pensò facesse un po’ troppo spesso in quell’epoca –  e si sporse dal finestrino. “Non dirmi qualcosa che non voglio sentire.”
 
Claude sbuffò abbassando il cofano. “E invece ti tocca, Arth. Il motore è andato.”
 
“Come sarebbe a dire?! Ieri funzionava!” sbottò allora il re, sorpreso. Scese anche lui dal furgone e riaprì il cofano per vedere lui stesso. In realtà non ci capiva niente di tutta quella diavoleria e Merlin lo seppe per certo quando, sceso anche lui, vide i suoi occhi scattare da una parte all’altra senza sapere dove guardare.
 
Gli venne quasi da ridere nel constatare con quanta ottusità non accettasse mai le cose e si rifiutasse di lasciarle fare agli altri.
 
“Ieri sì… fino a che non lo abbiamo assalito. Vedi lì il meccanismo di raccolta di energia? Deve essersi rotto quando gli abbiamo lanciato il tronco sotto le ruote per farlo sbandare. Forse non è stata una buona idea…”
 
Arthur fece sbattere il cofano con violenza e poi andò a calciare un sasso che per la rabbia volò via a diversi metri di distanza. “Maledizione!” sbottò furioso.
 
Claude scosse il capo, anche lui molto seccato. Non ci volevano spiegazioni per capire che volessero raggiungere Camelot quanto prima ma ora quell’inconveniente li costringeva ad altri lunghi giorni di cammino. Se c’erano voluti sette giorni per giungere fin lì con un furgone, quanti ce ne volevano per tornare indietro a piedi?
 
Merlin e Mattew scesero dal mezzo, mentre Claude si avvicinava ad Arthur mormorando un “Non abbiamo altra scelta.” Poi posò una mano sulla spalla del re, sorridendogli. “Avanti, Sire! Ne abbiamo affrontate di peggiori di questa. Vorrà dire che sistemeremo le cose soltanto con qualche giorno di ritardo, tutto qui.”
 
Arthur lo guardò rilasciando il respiro arrabbiato ma poi annuì. “Hai ragione…” concordò, la collera che improvvisamente sfioriva dai suoi occhi al semplice gesto del consigliere.
 
Merlin vide tutto e sentì lo stomaco improvvisamente preda di una morsa. E mai come in quel momento realizzò una cosa: Claude era esattamente tutto ciò che lui era stato per Arthur un tempo. Il re aveva ragione, di lui non aveva più bisogno.
 
Continua…
 
Buongiorno!! E come sempre buon lunedì!
 
Allora, capitolo un po’ tristino questa volta. Ammettiamolo, Arthur  è un cretino, si lascia sopraffare dalla rabbia che pensa bene di scaricare tutta sul povero Merlin. Ma come si fa?? Credo che il re non si sia accorto che il mago ha aspettato secoli per vederlo, cosa solo sei miseri anni?
Ma lo capirà prima o poi… forse XD
 
Intanto la faccenda del cattivo prende chiarezza ma non pensate che sia tutto così facile ^^ sono una che si complica la vita! Hahaah
 
Voglio cmq ringraziare col cuore tutti coloro che seguono questa storia. I lettori silenziosi, chi l’ha inserita tra le preferite, le seguite e le ricordate e soprattutto le anime gentili che mi hanno voluto lasciare un commento! *-* One Day_Painless, pandina99, chibisaru81, brin leah, Lunaris e Pandora86 GRAZIE DI CUORE (e scusate se non vi ho risposto, lo farò presto!! >_<)
 
Vi invito sempre a COMMENTARE perché ora più che mai viene il bello =P e sono curiosa di leggere i vostri commenti e le vostre teorie!!
 
Ora vi lascio con il titolo del prossimo capitolo “Non è più questo il mio posto

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Non è più questo il mio posto ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO

Capitolo 9

 

Non è più questo il mio posto

 

Aveva le gambe tanto indolenzite che i muscoli bruciavano ad ogni passo. Merlin arrancava perdendo terreno dai suoi compagni di viaggio che sostenevano quella marcia senza alcun problema.

Lui non era più abituato a muoversi. Aveva dormito per decenni, chissà quanti. E poi quando si era risvegliato aveva affrontato i viaggi in quel nuovo mondo sempre su quattro ruote. L’ultimo poi, lo aveva costretto a sette giorni di totale immobilità, per cui era normale che le sue gambe non fossero pronte a quella lunga camminata.

Era quasi il tramonto ormai e loro avevano abbandonato il furgone nel primo mattino. Dopo aver inviato un messaggio attraverso un piccione viaggiatore – magicamente comparso tra le mani di Claude – al villaggio più vicino perché recuperassero i sequestratori addormentati, Arthur era partito dritto per Camelot e non aveva voluto fermarsi nemmeno per pranzare, rimandando il pasto ad una sostanziosa cena. Ma il sole stava calando e il Re continuava imperterrito la sua strada.

Non si era voltato indietro neppure una volta, eppure sapeva che Merlin era appena dietro di lui, zitto a lanciare di tanto in tanto, rapidi sguardi alle sue spalle larghe. Sguardi rapidi e intrisi di una tristezza che se solo quel testone di un re si fosse voltato appena una volta, si sarebbe accorto.

“Merlin, avanti, manca poco.” Ad esortarlo era stato Mattew. Il buon Mattew che ormai era diventato un amico. Si era accorto del suo rallentamento e lo aveva raggiunto, sincronizzando il passo con il suo.

Merlin gli aveva rivolto un sorriso grato e poi aveva sospirato. “Lo so. Resisterò.” Lo aveva tranquillizzato, senza smettere di fermarsi. Più avanti Arthur e Claude continuavano con il loro passo spedito e perciò si erano leggermente distanziati.

“Mi dispiace vederti così.” Continuò dopo un po’ Mattew.

Merlin scrollò le spalle, sforzandosi di sorridere ancora. “Non importa. E’ che non sono più abituato a camminare come una volta.”

“Non parlavo di quello.”

Il mago cacciò un altro sospiro e chinò il capo con aria colpevole. In realtà aveva sperato che si riferisse solo alla sua debolezza fisica.

“Lo so.” Replicò mesto.

“Capisco la rabbia per il tuo ritardo ma è un uomo adulto, per la miseria. Io sarei felice se le persone a me più care tornassero nella mia vita!” il tono innervosito fece intuire a Merlin a cosa si riferisse e si sentì stringere lo stomaco. “Neanche si rende conto di quanto è fortunato.”

“Beh, forse in realtà non mi considera più una persona così cara. Forse adesso i suoi nuovi amici sono molto più importanti di quelli vecchi.” Con il volto indicò Claude che ignaro di tutto camminava fischiettando al fianco del re.

Mattew fece una smorfia sarcastica. “Andiamo, la gente non dà pugni alle persone di cui non frega nulla. Il re è arrabbiato con te proprio per l’affetto che prova e che non ha ricevuto.”

Merlin lo guardò attentamente. Quell’uomo riusciva sempre a trovare le parole giuste. Da quando lo aveva conosciuto era riuscito a tranquillizzarlo in più di un’occasione e aveva sempre capito le cose ben prima di lui. Per certi aspetti, quasi gli ricordava la saggezza di Gaius su cui lui aveva sempre fatto affidamento.

“Ha detto che ormai non ha più bisogno di me.” Cercò tuttavia di avvalorare la sua tesi, anche se in cuor suo il desiderio di essersi sbagliato lo tormentava. “Ha detto che ora che ha fatto tutto, io non sono più necessario.”

“Sciocchezze!” replicò Mattew aspramente. “Vuole ferirti perché si è sentito tradito.”

“E allora ne convieni con me che è un idiota?” gli venne dietro il mago, inalberandosi. “Si è fermato per un attimo a pensare che io ho dovuto aspettare letteralmente secoli per rivederlo mentre lui sono solo sei anni che è qui?”

Mattew scosse il capo incredulo, lisciandosi la barba. “Devo ancora abituarmi a questi discorsi, Merlin; sul serio. Mi fa strano pensarti come ad un essere millenario, sembri appena un trentenne…”

“E’ tutta apparenza.” Gli assicurò il mago, il tono che si fece di nuovo triste e carico di una gravità che Mattew non gli aveva mai sentito. “Nessuno ha la minima idea di cosa significhi davvero vivere per secoli. Arrancare nelle epoche in perenne solitudine e con l’unica speranza che un giorno il motivo per il quale sei nato, possa tornare… e tu possa smettere di esistere soltanto per tornare a vivere. Arthur non sa che per la disperazione nel ventunesimo secolo ho chiesto ad Avalon di far dormire anche me, perché semplicemente non ce la facevo più ad aspettare e basta. Arthur questo non lo sa, perché lui si è svegliato solo sei anni fa e poi è stato così impegnato a costruirsi un regno che non ha avuto nemmeno il tempo di pensare a me.”

Dopo questo sfogo, cadde il silenzio per alcuni minuti. Solo quando Arthur e Claude si fermarono e loro due arrivarono quasi a raggiungerli, Mattew sussurrò. “Hai ragione comunque, il re è un idiota.”

*

La caccia aveva dato i suoi buoni frutti. Arthur stringeva tra le mani una corda a cui erano appesi ben cinque conigli carnivori. Erano creature di quel secolo, evolute negli anni ma a dispetto delle bestie del deserto che erano frutto delle radiazioni, quelle erano commestibili… oltre che particolarmente gustose.

Arthur aveva riscoperto il piacere della caccia da quando avevano intrapreso quel lungo viaggio di ritorno a Camelot. Camminavano al confine tra il deserto e la foresta, là dove la vegetazione era più bassa e accessibile, per cui quando dovevano mangiare, lui e Claude si inoltravano tra gli alberi e gli arbusti e cercavano prede da colpire. Arthur aveva anche costruito degli archi per permettere delle azioni più rapide e proficue.

Quella sera avevano fatto lo stesso. Quando il sole si volse al tramonto, il re aveva deciso di fermare quella lunga ed estenuante marcia e prima che arrivasse il buio, si era allontanato con Claude per procurare del cibo per lui e per i loro compagni di viaggio.

Aveva lasciato con un certo sollievo, Merlin e quel tizio di cui non ricordava mai il nome a sistemare l’accampamento e ad accendere il fuoco. La presenza del mago lo innervosiva anche se si rendeva conto di quanto fosse assurda quella rabbia che ancora lo agitava dentro.

Perché non riusciva a perdonare Merlin e a lasciarsi alle spalle quello che era successo? In fondo adesso era lì con lui, era tornato nonostante il ritardo. Avrebbe dovuto farsi passare la rabbia e riprendere un comportamento civile.

Invece continuava a tenerlo a distanza, al punto che quasi non riusciva a vederlo. Mai si era voltato indietro, durante quella giornata di marcia, eppure si era accorto che aveva rallentato ad un certo punto e che quel suo amico lo aveva dovuto raggiungere perché non rimanesse indietro da solo.

Avrebbe dovuto fermarsi e lasciarlo riposare, invece aveva continuato, quasi come a volerlo punire per tutta quella collera che gli aveva causato e per la sua assenza che in quegli anni gli era pesata come un macigno.

La notte prima aveva detto di non aver bisogno di lui. Gli aveva detto che non serviva e Merlin aveva accolto quelle parole dure in silenzio, forse accettandole come vere. Eppure sapeva di aver mentito, di avergli detto quelle cose soltanto per ferirlo.

Perciò non riusciva a capire come mai trovasse così insopportabile la sua presenza. Ce l’aveva con lui, diamine quanto era arrabbiato con quell’idiota. E cosa ancora più assurda – motivo per cui quella rabbia continuava a ribollire imperterrita – era che se ci fosse stata Gwen al suo posto, lui non avrebbe fatto tante storie. Anzi, avrebbe accolto con gioia il suo ritorno.

Perché invece con Merlin era così diverso? Perché voleva continuare a ferirlo e a fargli capire quanto era rimasto male per il suo comportamento?

“Arth, la smetti di pensare così tanto? Lo sai che ti fa male, non sei abituato.”

Claude aveva scosso tutto quel marasma della mente e lui era tornato velocemente alla realtà. Si era voltato a guardarlo, mentre si muovevano tra gli arbusti cercando di tornare all’accampamento. Il sole era del tutto tramontato e il crepuscolo anticipava ormai la sera.

“In un altro momento ti avrei picchiato ma stavolta devo darti ragione…” sospirò stancamente il re. Tutta quella rabbia in fondo, lo sfiancava.

Si fermarono nel bel mezzo di una radura, Arthur sedette su di un masso sporgente e si portò la testa tra le mani. Claude probabilmente era dispiaciuto per il dolore del suo amico, perché si posizionò davanti a lui e gli posò la sua di mano sulla spalla in un gesto rassicurante, costringendolo a sollevare lo sguardo per ascoltarlo.

“Si può sapere che succede? Non ti ho mai visto così tormentato come da quando hai rivisto quel tuo amico.”

“Non è più un mio amico.” Sentenziò deciso, sostenendo i suoi occhi scuri. “Lo abbiamo chiarito ieri notte. E poi non riesco a sopportare la sua presenza qui.” Chinò di nuovo il capo, sconfitto, mentre continuava a sfogarsi. “L’ho aspettato per anni, lo volevo con me. Ma ora che è qui non riesco nemmeno a guardarlo in faccia! Ha tradito la mia fiducia già una volta e quando avrebbe potuto recuperare ha preferito farsi i fatti suoi. Come sempre. Come ha sempre fatto in tutti i nostri anni di amicizia.”

Dopo quelle parole Arthur tacque rendendosi conto di cosa aveva appena ammesso. Ecco perché ce l’aveva così tanto con lui. Quella rabbia e quel senso di tradimento risalivano al giorno in cui Merlin gli aveva detto di essere un mago e lui ne era rimasto sconvolto. Perché aveva scoperto di non conoscerlo e aveva messo in dubbio il loro stesso profondo rapporto.

Arthur si era trovato davanti un perfetto sconosciuto che per anni gli aveva mentito la sua vera natura e chissà quante altre cose. Nelle sue ultime ore di vita però, quando Mordred lo aveva ferito a morte, aveva potuto conoscerlo per quello che era veramente e il mago stesso gli aveva garantito che lui era nato per servirlo e che il loro rapporto non sarebbe mai cambiato. Merlin gli aveva assicurato che per lui ci sarebbe sempre stato.

E invece aveva mentito. Di nuovo.

Quando Arthur era tornato dai morti per assolvere al suo destino, l’unica persona che avrebbe voluto accanto e che gli aveva promesso di esserci per sempre, non c’era stata.

“Merlin mi ha tradito non una ma ben due volte. Per questo adesso lo odio.”

Aveva socchiuso gli occhi in un gesto di stanchezza ma Claude non aveva abbandonato la sua mano sulla spalla del re. Aveva atteso alcuni istanti in silenzio, lasciandogli il tempo di riflettere sulle sue stesse parole, poi si era inginocchiato per poterlo guardare in viso.

“Ma no che non lo odi… Arthur lo sai che io non ti tradirò mai. Ma questo non toglie che potrei farlo senza rendermene conto.”

Il re aveva sollevato le sopracciglia, non riuscendo a capirlo e Claude aveva continuato. “Non siamo sempre padroni degli avvenimenti della vita. A volte ne siamo vittima. Hai provato a chiedere a Merlin almeno una volta dove fosse stato?”

“Certo che l’ho fatto!” replicò Arthur spazientito, rizzando la schiena e perdendo il contatto del consigliere. “Ma lui non ha voluto spiegarmi.”

Claude aveva allora incrociato le braccia e gli aveva rivolto un’espressione dubbiosa. “Conoscendoti lo avrai attaccato per avere le tue risposte. Posso immaginare perché non ti abbia detto nulla.”

“Claude, mi vieni a fare la paternale, quando anche tu sei stato tradito da Pierre.” Lo rimbrottò il re risentito. A quelle parole l’amico sbuffò tristemente e si fece indietro fino a toccare col sedere il terreno. Vi si appoggiò abbandonando le braccia sulle ginocchia piegate.

“Su Pierre devo ancora capirci qualcosa. Non ha mai avuto sete di potere e non è un uomo cattivo. Quando lo avrò davanti agli occhi, sarò io a chiedergli perché lo ha fatto.”

Arthur restò in silenzio, apprendendo quelle parole uscite dalla bocca di un uomo sicuramente molto più maturo di lui. Doveva riconoscerlo. O forse era stupido esattamente come lui.

“Non sarà invece, che siamo troppo buoni e che ci fidiamo delle persone sbagliate?” provò Arthur e Claude ridacchiò.

“Può darsi. Ma almeno abbiamo il coraggio di rischiare.”

*

I rami gli erano caduti dalle braccia senza neanche che se ne accorgesse. Merlin fissava tra gli alberi quella radura fatta di erba bassa e di massi.

Raccoglieva legna per il fuoco, quando aveva sentito la voce di Arthur e del suo consigliere. Avrebbe potuto palesarsi e invece era rimasto immobile, nascosto dalla vegetazione ad ascoltare. Perché sapeva che parlavano di lui nello stesso istante in cui aveva scorto la faccia tormentata di Arthur.

Aveva smesso di respirare e si era sentito prendere dalla nausea quando Claude si era avvicinato al non più suo re e gli aveva posato quella mano sulla spalla: un gesto così intimo e così profondo nel quale aveva capito, riusciva ad infondere forza e coraggio nell’animo di Arthur. Un segno però, che a lui faceva male, perché ormai quelle effusioni gli erano precluse.

Ma a ferirlo profondamente erano state le parole successive del re. Quelle frasi di sfogo scagliate senza volerlo contro di lui che lo colpirono come stiletti. Non seppe dire se avesse fatto più male scoprire qualche giorno prima che Arthur era morto o sapere ora che defunto era ormai lui per il re.

Perse però il fiato e lasciò cadere la legna nell’esatto momento in cui Arthur ammise di odiarlo. Un senso di nausea si fece prepotente in lui, che arretrò lentamente intenzionato a non farsi scoprire mentre prendeva la sua decisione.

Avrebbe vomitato, se la sua forza di volontà non si fosse imposta, costringendolo prima ad allontanarsi. A distogliere lo sguardo da quella scena così intima tra due amici e dalle verità sputate dalla bocca del re.

Volse le spalle e intraprese una corsa sempre più veloce, prendendo le distanze dalla radura ma anche dall’accampamento, che distava pochi metri di intricata foresta. Fuggì, ricacciando indietro le lacrime e quella stupida nausea e dando fondo a tutte le sue ultime forze per correre via e per accettare una pesante quanto dolorosa realtà

Non è più questo il mio posto.

*

“Dov’è?”

Arthur e Claude erano tornati all’accampamento. Nell’esatto momento in cui si era avvicinato al falò, il re aveva avvertito una sgradevole sensazione addosso, come se qualcosa fosse fuoriposto. Si guardò intorno e quando si accorse dell’assenza di Merlin, si fece sfuggire quella domanda, quasi dimenticando di avercela con lui.

Poi si ricordò della sua rabbia ma ormai il danno era fatto e lui voleva sapere dove si era cacciato il mago.

“Marcel! Dov’è Merlin?”

“Il mio nome è Mattew, sire.” Rispose con pazienza il professore, sollevandosi in piedi dopo aver sistemato i ceppi che sfrigolavano nel fuoco. “E’ andato a raccogliere legna ma non è ancora tornato.”

Arthur si sentì stranamente nervoso. “Da quanto è via?”

Mattew lo aveva guardato con sospetto, prima di rispondere con un tono altrettanto insicuro. “Da un po’… e l’ho visto allontanarsi nella direzione in cui siete venuti voi.”

“Avremmo dovuto incrociarlo.” Ponderò Claude, scambiandosi un’occhiata con Arthur. Il re a quelle parole strinse le labbra, avvertendo quella preoccupazione aumentare.

“O forse…” Claude diede voce ai dubbi di Arthur, provocandogli dentro un insieme incomprensibile di emozioni. “…forse ci ha incrociati.”

“Non… non è possibile… aspettiamo, di sicuro tornerà.” Borbottò titubante il re. Merlin non poteva averli sentiti, non si erano accorti di niente quando si erano fermati alla radura. Eppure quel senso di angoscia che improvvisamente gli opprimeva il petto, parlava molto più dei suoi pensieri.

Nel notare la reazione di Arthur, che si passò una mano tra i capelli e scosse il capo, Mattew assottigliò lo sguardo. “Sire, ha idea di in che anno siamo adesso?”

Arthur si voltò a guardarlo, stordito. Non capiva dove volesse arrivare e poi cosa c’entrava con Merlin?

Non rispose, aspettando che Mattew si spiegasse meglio. Non gli piaceva quel tipo o forse non si era ancora soffermato a studiarlo per bene, visto che Merlin gli aveva offuscato tutta la ragione negli ultimi due giorni.

“Merlin mi ha detto che nel ventunesimo secolo, stanco di attendere un re che non voleva tornare da lui, ha chiesto ad una certa dama del lago di farlo dormire, fino a che non fosse arrivato il momento giusto.”

“Dove vuoi arrivare…” aveva replicato Arthur sulla difensiva. Nel frattempo Claude aveva sgranato gli occhi incredulo.

“Che diamine vai blaterando, vecchio?”

Mattew non si scompose per quelle reazioni. Aveva notato il profondo turbamento di Merlin e trovava ingiusta tanta cattiveria nei suoi confronti.

“Merlin si è risvegliato soltanto alcune settimane fa, convinto di essere arrivato al momento giusto ma ha capito che per voi erano passati sei anni.” Fece una pausa, sondando lo sguardo cinereo di Arthur che era rimasto zitto ad ascoltarlo. Voleva sapere di più ma soprattutto voleva capire dove quel Mattew volesse andare a parare.

“Si è preso le colpe perché voi siete rimasto da solo per ben sei anni. Ora io le chiedo, sire. Ha idea di in che anno siamo?”

Arthur non lo sapeva. Nessuno si era preso mai la briga di dirglielo, un po’ perché molti avevano smesso di contare, un po’ perché gli altri lo davano per scontato. Perciò scosse il capo, incapace di parlare, perché un senso di ansia lo aveva colto nel momento in cui un barlume di comprensione gli aveva acceso la mente.

“Siamo nel 3019. Sono passati più di mille anni da quei giorni. Lei crede che Merlin avrebbe potuto aspettarla ancora per un altro millennio senza conseguenze?”

Arthur chinò il capo ma Mattew continuò imperterrito, convinto di fare la cosa giusta rivelando quelle cose al re. “Ha detto di aver arrancato nei secoli, mentre la aspettava. Merlin ha la faccia di un trentenne ma il cuore di un vecchio. Un cuore malandato per giunta che lei ha pensato bene di torturare invece di riaccoglierlo nella sua vita con gioia.”

“Perché mi dici questo? Cosa ne sai tu, di cosa è accaduto tra me e Merlin?”

“Non lo so.” Replicò Mattew e adesso il tono si fece duro come il granito tanto che Arthur avvertì un brivido dietro la schiena. “Ma so per certo che chiunque a questo mondo vorrebbe avere la fortuna che ha lei. Un altro non la sprecherebbe così.”

Il silenzio calò come una mannaia sul campo. Claude per quanto non comprendesse tutto quel discorso, sapeva benissimo di cosa adesso parlasse Mattew e Arthur non sapeva come rispondere a quella verità sbattuta in faccia con tanta veemenza.

Alla fine fu il suo corpo a fare tutto da solo. Arretrò dapprima, e poi prese la direzione da cui era venuto. Senza dire una parola, andò in cerca del suo Merlin. Nel cuore la paura faceva a gara a togliergli il fiato con il rimorso.

 

Continua…

 

 

Buongiorno e come sempre buon lunedì!! =) Beh, che dire, meno male che c’è il buon Mattew! Effettivamente ero indecisa se farlo parlare o fargli tirare un pugno ma vabbè u_u alla fine ho optato per la spiegazione, visto che quello scemo di Arthur non ci arrivava! Anche se come avrete notato ha anche un suo perché la rabbia del sovrano. Comunque anche Claude fa la sua parte, ho notato che alcune di voi lo odiano XD sì, il problema è che sembra  il sostituto di Merlin ma lui non lo sa! E poi Merlin è insostituibile u_u e come avete visto, non è neanche cattivo, anzi! ^^

 

Voglio ringraziare come sempre tutti i lettori di questa storia, quelli silenziosi (di cui io attendo sempre un COMMENTO!!) e tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite, le ricordate e le preferite.

Un grazie speciale lo mando a coloro che hanno voluto lasciare un commento! One Day_Painless, Pandina99, chibisaru81, brin leah, Lunaris, Catnip95 e Pandora86.

 

Come sempre, invito tutti a lasciarmi un commento, perchè davvero sono curiosa di conoscere I vostri pensieri su questa storia! =)

 

Un’ultima cosa! Per chi non lo sapesse, ho iniziato una nuova storia. Stavolta si tratta di una commedia moderna, con protagonisti sempre quelle due sagome di mago e re XD il titolo è Two Weeks Notice! Se volete farci un salto ne sarei felicissima! :D

 

Ora vi lascio e vi mando un bacione!

Alla prossima

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Qual è il tuo perché? ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO

Capitolo 10

Qual è il tuo perché?

 

Il passo di Arthur era veloce e silenzioso nella foresta. Nessuno avrebbe potuto sentirlo eppure Arthur sapeva di essere a portata di naso per qualunque creatura abitasse quei luoghi selvaggi.

Perché la sua paura era enorme e l’odore che essa emanava, avrebbe potuto attrarre chiunque.

Arthur aveva paura. Ma non per se stesso. Temeva per Merlin, per il suo Merlin. Perché era scappato, solo e senza poteri e se davvero aveva sentito lui e Claude, probabilmente, doveva essere anche provato dal dolore.

Lui stesso gli aveva chiesto cosa ci facesse lì, gli aveva dato del “peso”. E ora aveva paura. Perché quelle parole così dure non avevano più importanza, nella consapevolezza che avrebbe potuto davvero perdere di nuovo Merlin.

Non lo voleva. Per quanto fosse stato arrabbiato con lui, non poteva lasciarselo sfuggire ancora!

E allora corse a perdifiato e ricordò con maestria tutte le tecniche con cui in un altro tempo seguiva le piste dei nemici e le tracce degli animali. Si fermava di tanto in tanto, controllava la zona circostante, i rami spezzati, le impronte e poi continuava quell’inseguimento. Neanche il buio lo fermava. La luna era alta nel cielo e rischiarava quel che bastava della zona. Inoltre il sovrano aveva con sé una torcia elettrica, con la quale si illuminò la strada. Di quei tempi certi oggetti venivano conservati per situazioni particolari e quella per Arthur lo era a tutti gli effetti.

Corse e cercò per un tempo che a lui parve interminabile, finché non lo vide.

Un ammasso informe di abiti, carne e ossa abbandonato ai piedi di un albero. La paura di Arthur crebbe, assieme all’angoscia di essere arrivato troppo tardi.

Con uno scivolone si gettò a terra, accanto a lui e gli voltò le spalle, scoprendo il viso. Quel Merlin con gli occhi chiusi e il volto pallido gli mozzò il fiato e Arthur per un lungo momento non riuscì in nessun modo a far entrare aria nei polmoni.

“Merlin! Maledizione Merlin!” passò un braccio sotto le spalle magre di quel corpo e senza pensarci lo strinse a sé, serrando gli occhi che improvvisamente gli pizzicavano.

“Merlin!” chiamò ancora e scostatolo da lui, provò a scuoterlo, sempre più convinto di averlo perso per sempre. “No… no… Merlin…”

Un soffio addolorato, quell’angoscia che premeva forte contro la bocca dello stomaco e poi fino alla gola, serrandola in un groppo soffocante. Arthur non poteva credere di essere arrivato troppo tardi, strinse ancora quelle spalle ossute con foga e lo chiamò più volte, sempre più disperato.

Quelle che Arthur sapeva di essere lacrime, quasi gli riempirono gli occhi e presto sarebbero colate sul volto.

“Ohhhhh…. Arthur! Ma che vi prende…”

Un mormorio, flebile e soffocato dal tessuto della casacca contro cui gli premeva la bocca, gli giunse alle orecchie, nello stesso istante in cui si rese conto che quel corpo si muoveva.

Arthur sgranò gli occhi e si scostò da Merlin, incrociando uno sguardo che lo fissava arrabbiato e confuso assieme, gli occhi appesantiti da qualcosa che improvvisamente parve… sonno?

“Ma... ma…” balbettò. Merlin intanto si passò una mano sulla faccia, in un gesto infastidito sbuffando per giunta, cosa che Arthur trovò improvvisamente irrispettosa.

Davvero per un attimo aveva creduto che fosse… morto? Di colpo paura, angoscia e dolore svanirono e quella rabbia pulsante, tornò a tormentargli le viscere.

“Sei un idiota!” lo rimproverò incollerito lasciandolo andare di botto. Merlin barcollò cadendo quasi all’indietro ma poi fece perno su un braccio per sostenersi e infine mettersi seduto.

“Ma si può sapere cosa ho fatto adesso?!” cercò di difendersi piccato, ormai sveglio. Rispose a quello sguardo arrabbiato con uno altrettanto innervosito, occhi azzurri che saettavano fulmini in occhi celesti. Una guerra di sguardi che era iniziata da che si erano ritrovati e ancora continuava imperterrita.

Poi Merlin parve ricordare qualcosa e di colpo si fece triste. Chinò il capo, distogliendo lo sguardo da lui e cercando di rimettersi in piedi. “Io… devo andare.”

“E dove, di grazia?” replicò Arthur. A quelle parole, la paura di prima aveva fatto un saltello nel suo stomaco, per cui non aveva atteso un attimo per rispondere.

“Non lo so. Via di qui.” Merlin aveva replicato duramente, senza osare guardarlo più. Eppure non gli riuscì di alzarsi del tutto, perché il sovrano lo acchiappò per la casacca e lo tirò giù, di nuovo, per impedirgli qualsiasi fuga.

“Non essere più stupido di quanto non lo sia già. Non conosci questo modo ormai, non puoi andartene alla cieca.”

“E cosa vuoi che faccia?! Eh?!” Merlin si scagliò contro di lui, innervosito, dimenticando persino dell’etichetta. Arthur si accorse che il suo servo non aveva mai osato tanto, tranne che per una volta. Quella volta… quando stava esalando l’ultimo respiro. Quando gli aveva implorato di restare con lui.

Quel ricordo lo investì azzittendolo e Merlin ne approfittò per riversargli addosso tutto il dolore che gli aveva causato. “Hai detto di odiarmi, hai detto che non mi vuoi nella tua vita! Che ti dà fastidio persino la mia presenza! Cosa vuoi che faccia?! Che-“

“Mi dispiace!!”

Le scuse di Arthur riecheggiarono nella foresta desolata troncando la voce e il fervore del mago in un attimo. Merlin lo fissò con tanto d’occhi, la bocca dischiusa in un’espressione di sorpresa.

Il sovrano sostenne quello sguardo stupito cercando dentro di sé quel coraggio tanto introvabile quando si trattava del suo valletto. Quante volte aveva evitato discussioni con lui, per paure che aveva sempre reputato inspiegabili e senza senso? Quante volte aveva chiuso nel suo cuore delle domande che si era posto e a cui non aveva saputo da solo darsi una spiegazione?

Ma questa volta sarebbe stato diverso. Questa volta non c’era altra gente di mezzo, non c’erano padri, future mogli o responsabilità. Questa volta c’erano solo lui e Merlin. A chiarire e a trovare un punto di incontro.

Vedendo che Arthur tardava a parlare, Merlin si mosse incomodo e distolse per un attimo lo sguardo da lui. “Avete detto che vi dispiace.” Convenne cercando di mantenere vivo il discorso, quasi per paura che si chiudesse del tutto. Arthur notò che era tornato di nuovo a dargli del “Voi”.

“Sì.” Rispose il sovrano, cercando le parole giuste. Ma cosa c’era poi da dire? Mille altre cose eppure nessuna… al re sembrava tutto così difficile.

“Significa che non era vero quello che avete detto?” come sempre, da quando si conoscevano, ecco che arrivava Merlin ad aiutarlo. Come lo proteggeva con la magia e lo sosteneva nelle fatiche fisiche, così lo aiutava anche con le parole.

“Sì.” Rispose ancora lui.

“Allora significa che siete un idiota?” domandò ancora Merlin provocandolo.

“….sì.” fu costretto a dire il sovrano, pur tentennando.

Il mago cacciò un sospiro e rilassò le spalle, accennando un sorriso. Poi ridacchiò socchiudendo gli occhi, mentre scuoteva il capo: ad Arthur parve compiaciuto e anche sollevato nello stesso tempo e improvvisamente si sentì anche lui più leggero.

“Mi avete svegliato.” Gli fece notare Merlin dopo un po’, indicando con il capo, l’albero contro cui evidentemente si era addormentato prima per recuperare la stanchezza.

Arthur evitò di dirgli che in realtà l’aveva creduto morto e che si era sentito uccidere a sua volta. Avrebbe comportato mostrare una debolezza così sconvolgente che lui al momento non si sapeva spiegare. In fondo nella sua vita aveva visto morire tanti suoi amici e aveva sempre accettato la cosa con dolore sì, ma stoicamente e con forza si era imposto di non cedere alla tristezza, perché lui era un uomo, un cavaliere e il re di Camelot.

Quando invece, aveva visto Merlin abbandonato per terra e aveva temuto il peggio, per un attimo aveva visto solo il buio davanti a sé e si era sentito male.

Perciò evitò ogni possibile spiegazione e sviò il discorso con il tono più burbero che conoscesse. “Ho fatto bene! Credo che tu abbia dormito fin troppo, non trovi?”

Merlin gli diede una lunga e silenziosa occhiata che Arthur sentì su di sé per istanti che gli parvero eterni, poi però, cacciò uno sbuffo ironico e scosse ancora il capo. “Credo che abbiate ragione.”

“Non andartene più.” Gli sfuggì in un sussurro, quasi che lo sforzo di fargli quella richiesta fosse stato così grande da consumare persino la voce.

Merlin avrebbe potuto reagire in mille modi diversi a quelle parole. Avrebbe potuto ridere di lui o arrabbiarsi perché in fondo era come se fosse stato lui stesso a cacciarlo. Oppure avrebbe potuto semplicemente assentire e chiudere lì la questione.

Il mago, invece, si agitò inspiegabilmente e con voce malferma inizio a parlare a raffica, quasi senza prendere il respiro.

“Io… credevo non aveste più bisogno di me. Hai già un consigliere, che oltretutto è anche un mago e forse hai ragione nel dire che sono solo un peso. Inizio a pensare che il mio ritorno qui sia sbagliato e…”

Arthur decise di interrompere quel fiume di parole, quasi divertito da quella reazione così tipica da Merlin. Quanto gli era mancato quell’idiota? Sul serio, quanto?

Gli posò una mano sulla spalla, un gesto rassicurante e forse il primo vero gesto di affetto da quando si erano rincontrati. Poi gli sorrise e finalmente quello che pensava sul serio, uscì fuori con una facilità che non aveva mai provato.

“Merlin. Tu sei insostituibile.”

Il mago lo guardò sorpreso da quelle parole e Arthur lo vide deglutire ma la presa sulla sua spalla non si allentò. Il sovrano si scoprì quasi bisognoso di quel contatto fisico e il rendersene conto da una parte lo spaventò mentre dall’altra… lo rese felice.

“Ma Claude…” provò il mago, senza riuscirci.

“Claude è un mio amico. Ma non sei tu. E’ te che ho atteso in questi anni, così come tu… come tu hai aspettato me…” considerò, sentendosi improvvisamente in colpa, per quello che gli aveva rivelato Mattew. Era tanto il rimorso, che non riuscì più a guardarlo e chinò il capo sconfitto.

Ma stavolta fu Merlin ad andargli incontro. Con un gesto che sorprese il sovrano più del dovuto, posò la mano libera sulla sua che stringeva ancora la spalla.

“Non mi sono mai pentito di avervi aspettato così tanto, sapevo che sareste tornato. Mi dispiace solo… ecco… per aver chiesto alla Dama di far dormire anche me. Forse tutto questo non sarebbe successo se…”

“No, lascia perdere.” Lo interruppe il re, con convinzione. “Non prenderti colpe inutili, per favore. E poi sarò anche un nobile babbeo come mi hai sempre chiamato ma non sono un egoista. Non avrei mai voluto condannarti ad un’attesa così straziante.” Fece una pausa nella quale cercò un modo per dare voce a quella domanda che gli vorticava nel cervello ma alla fine non trovò altre parole che quelle più semplici.

“Mi chiedo solo… perché.”

“Perché ve lo avevo promesso e perché io e voi siamo legati dal destino, ecco perché.” Rispose prontamente il mago.

“Non parlo di questo.”

“Beh, poi c’è da aggiungere che io tecnicamente sarei immortale, per cui…”

“ Voglio sapere il tuo perché, Merlin.” Lo zittì Arthur con forza. “Perché ti sei condannato a tutto questo quando avresti potuto intraprendere altre strade e altre vite?”

Merlin lo guardò. Gli occhi azzurri fissi nei suoi che gli trasmettevano tutto lo sconcerto che aveva causato quella domanda. Aprì e chiuse la bocca, come in cerca di una risposta mentre Arthur aspettava e inspiegabilmente quell’attesa lo riempiva di ansia.

Perché gli era così devoto? Aspettare duemila anni una persona non è una cosa da tutti, sono troppo pochi i sentimenti che possono sostenere una simile tortura e anche questa era una cosa che lo terrorizzava.

“Merliiiiiiiiiin! Arthuuuuur!!”

Qualsiasi risposta stava per dargli il mago, venne interrotta da quei richiami. Entrambi si scostarono velocemente come se quel contatto avuto fino a quel momento, fosse troppo equivoco agli occhi degli altri. Ma poi equivoco di cosa?

Merlin in silenzio si alzò in piedi, spazzolandosi i calzoni e Arthur si accorse che evitò accuratamente il suo sguardo. Intanto Claude e Mattew comparvero tra gli arbusti, la torcia elettrica del primo che si agitava in cerca di loro. Quando li notarono, parvero tutti molto più sollevati.

“Bene.” Esordì Claude con un sogghigno divertito. “Sembra che stiamo tutti bene. Che ne dite di tornare al campo?”

 

Continua…

 

Ehilà!!! Vorrei dirvi buon lunedì visto che è passata la mezzanotte ma forse dovrei augurarvi la buonanotte XD purtroppo domani non avrei potuto pubblicare, perciò, lo faccio a sorpresa ora, così domani potrete godervi il solito aggiornamento settimanale!

Allora, tempo di chiarimenti, finalmente! =) dopo tanta tensione, un momento di pace. Breve, ovviamente u_u questa storia ahimè, sta tirando fuori tutto l’angst che è in me. Ma d’altronde i punti da chiarire sono ancora tanti. Arthur ha ritrovato un amico ma è davvero solo un amico? E Merlin ha dimenticato il fatto di non avere più la sua magia? In realtà questo capitolo doveva essere più lungo ma ho deciso di spezzarlo perché mi stava uscendo chilometrico e troppe cose sono in ballo.

Ma pazientate =) tanto sto riuscendo a mantenere la pubblicazione settimanale – e credetemi, sono fiera di me u_u – quindi avrete poco da pazientare.

Come sempre rinnovo la richiesta di un vostro COMMENTO. Le letture sono tantissime, così come aumentano ogni giorno anche coloro che inseriscono questa storia tra le seguite, le ricordate e addirittura le preferite!! Quanto sono curiosa di sapere cosa ne pensate!! *-*

In ogni caso vi ringrazio tutti, già solo perché la leggete! =)

E ringrazio col cuore gonfio chi non manca mai con le loro bellissime recensioni! One Day_Painless, Lunaris, Pandina99, Catnip95, chibisaru81, brin leah e Pandora86, vi adoro, sappiatelo! ^__^

Vi lascio stavolta con il titolo del prossimo capitolo: “A metà.”

Baciii

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** A metà ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO

Capitolo 11

A metà

Merlin lanciava sguardi di tanto in tanto, quando era certo di non essere visto. Non poteva farci niente, aveva tentato di trattenersi ma era stato tutto inutile. Da quando erano tornati al campo – e anche prima in realtà, durante il tragitto – non aveva potuto evitare di guardare di sfuggita il volto del suo re e di farsi delle domande quanto mai spaventose.

D’accordo, si erano chiariti. Arthur gli aveva addirittura chiesto scusa – episodio che probabilmente avrebbe causato presto o tardi una tempesta coi fiocchi – e lo aveva implorato di non andarsene. Avevano messo da parte la rabbia e ripreso i fili di un rapporto che era andato perso secoli prima.

Per l’appunto il problema adesso era proprio questo. Riprendere i fili. Cosa avrebbe comportato adesso?

Merlin era rimasto senza parole quando Arthur gli aveva fatto quella domanda. Gli aveva chiesto il perché, anzi il suo perché.

Perché mi hai aspettato per due millenni?

E per la prima volta in due millenni, Merlin era rimasto senza parole con cui rispondere. Perché per duemila anni si era sempre detto che quello era il suo destino e che doveva tener fede ad una promessa.

Ma Arthur aveva ragione. Qual era il suo perché?

Mentre sedeva in silenzio davanti al fuoco del campo ad osservare assorto le fiamme, Merlin si sondava dentro in cerca della risposta più giusta.

Perché era legato a lui. E non parlava di destino ma di un vero e proprio sentimento di affetto. Merlin voleva bene ad Arthur e lo aveva atteso per duemila anni.

Eppure razionalmente Merlin sapeva che qualcosa non tornava. Perché un amico a cui vuoi bene, puoi aspettare che si rifaccia vivo con la consapevolezza che prima o poi tornerà. Non lo aspetti spasmodicamente, rischiando la pazzia e arrivando addirittura di chiedere alla magia stessa di dormire nell’attesa.

Ripensandoci, Merlin avrebbe potuto vivere diversamente tutti quei secoli, viverli nel vero senso della parola e smetterla di pensare a quel re che prima o poi si sarebbe fatto vivo.

Perché lo aveva aspettato invece, in quel modo? E soprattutto quando si aspetta così una persona?

La risposta apriva una serie di dubbi e di folli paure che Merlin non credeva di poter sostenere. Temeva cosa avrebbe comportato accettare tutto quello.

Perché cambiava tutto.

“Come ti senti?”

Mattew aveva interrotto il flusso di tutti quei pensieri. Gli si era seduto accanto, abbandonandosi stancamente sul tronco di albero che faceva da seduta.

Il mago gli aveva fatto posto, concedendogli un sorriso colmo di gratitudine. Sospettava infatti, che ci fosse il suo zampino dietro il comportamento di Arthur.

“Meglio… grazie a te.” Rispose infatti, scatenando un leggero imbarazzo nell’uomo ben visibile anche oltre la barba grigia.

Mattew cercò di dissimulare sfregandosi il viso con una mano, come era solito fare e sollevò gli occhi al cielo con noncuranza. “Io? Non ho fatto niente…” cercò, rendendosi subito conto di non essere stato credibile quando Merlin ridacchiò.

“Oh sì, certo. Peccato che quel testone di Arthur di solito abbia bisogno dei disegni per poter capire certe cose in maniera così veloce… e c’era soltanto qualcuno ad avere la matita…” ironizzò il mago con lo stesso tono disinteressato dell’altro.

Mattew sorrise a sua volta, facendogli l’occhiolino, poi sospirò lanciando uno sguardo al re che riposava disteso su un giaciglio di fortuna.

“Sono contento che abbia capito quanto è fortunato.”

“Anch’io…” convenne Merlin. “E mi dispiace che questa storia ti abbia fatto pensare alla tua famiglia.”

“Oh, non sentirti in colpa anche per questo!” lo rimbrottò veloce il professore. “Alla mia famiglia ci penso sempre, Merlin. Non c’entra nulla tutta questa storia. Anzi, mi fa solo piacere, perché ho visto come hai sofferto in queste ultime settimane.”

Il mago gli dimostrò ancora con lo sguardo, la sua più totale gratitudine. “Grazie, davvero.”

Mattew annuì, poi distese la schiena, facendosi leggermente indietro per poter osservare meglio il cielo. “Piuttosto… ti avviso che ho spiegato grosso modo le cose anche a quel Claude. Mi è sembrato parecchio confuso a riguardo e mi dispiaceva che fosse l’unico all’oscuro di tutto.”

Merlin storse il naso a quelle parole. Sapeva di non dover temere nulla da quell’uomo eppure, non poteva non sentirsi profondamente infastidito dall’intimità che aveva con il sovrano. Tanto più che si prendeva certe libertà che lui per primo non si era mai permesso con Arthur.

Annuì tuttavia, non volendo esprimere liberamente quell’antipatia anche con Mattew. “Hai fatto bene.” Mormorò. Lo pensava veramente in fondo, perché forse così avrebbe capito quanto intenso fosse il loro rapporto.

O forse no… forse mai nessuno avrebbe potuto comprendere fino in fondo quante sfaccettature costituivano il legame che univa re e mago. Merlin lo sapeva e questo non diminuiva l’antipatia per Claude, perché al momento era lui in posizione di vantaggio.

Conosceva l’Arthur del futuro, si era guadagnato la sua fiducia senza mai metterla in discussione e per di più aveva la magia con sé.

E Merlin non sapeva quale delle tre cose lo facesse soffrire di più.

Perché in fondo l’affetto per il sovrano era per lui perfettamente paragonabile alla magia. Erano entrambi di vitale importanza al punto che non sapeva se sarebbe stato in grado di vivere senza.

Per questo, nonostante avesse chiarito con il sovrano, c’era ancora qualcosa che non andava e che non lo rasserenava. Si sentiva inquieto e temeva che la magia non sarebbe più ritornata.

Avrebbe continuato così per tutta la vita a sentirsi sempre a metà?

“Merlin… se posso darti un consiglio… smettila di tormentarti.”

Mattew lo riportò sulla terra, facendolo sobbalzare. Si voltò a guardarlo e poi si sforzò di sorridere.

“Ci proverò.” Mentì. Altro al momento non riusciva a fare.

*

Sapeva che sarebbe successo. Arthur si chiedeva come mai negli ultimi giorni fossero andati così spediti senza alcun intoppo… e soprattutto senza pericoli.

Il motivo era che al varco li aspettava qualcosa che avrebbe messo a dura prova il loro coraggio e la buona sorte.

Arthur non aveva mai creduto che esistessero creature così grandi e così brutte in natura. Ma d’altronde quella era una natura strana e il vermone dai mille denti che incontrarono sul cammino il pomeriggio successivo, era certamente frutto degli sbagli dell’uomo. Di quelle radiazioni che tanto avevano distrutto e martoriato il pianeta Terra.

Quando dopo una giornata di cammino, avevano sentito il terreno vibrare, avevano capito subito che qualcosa non andava. Arthur e Claude si erano scambiati uno sguardo e poi Mattew aveva imprecato sottovoce.

“Merda…  siamo entrati nel territorio di quei maledetti.”

Il professore sapeva. In fondo aveva detto loro che proveniva dalla base, per cui era abituato a combattere quelle creature. Bene, un uomo in più non avrebbe fatto male. Arthur però, era preoccupato per Merlin.

Non conosceva il nemico e soprattutto non aveva niente per difendersi. Né armi – che Arthur ricordava usare malissimo – né la sua magia.

“Non. Muovetevi.” Ordinò parlando piano. Merlin provò ad aprire bocca ma lui lo zittì sollevando una mano. “Questi vermi avvertono le vibrazioni del terreno. Non vi muovete.” Spiegò praticamente solo per lui, evitando di gridare perché le bestie non sentissero anche le oscillazioni della sua voce.

Tutti e quattro rimasero fermi per alcuni minuti che parvero loro eterni. Il tremore del terreno continuò fino a spegnersi poi del tutto e solo allora Arthur tornò a respirare. Bene, forse se n’era andato. Attese ancora qualche istante, poi provò a muovere un passo.

SI rese conto del grave errore soltanto quando una delle creatura sbucò dal suolo in un’esplosione di ciottoli e terriccio, agghiacciandolo. Lo aveva visto soltanto un’altra volta in vita sua, pochi giorni dopo il risveglio e si rese conto che non ricordava davvero quanto fosse orrendo e spaventoso.

Ritrovarselo lì davanti, con quelle fauci spalancate, i mille denti sovrapposti lungo la linea circolare della bocca e quel puzzo fetido di morte, gli fece accapponare la pelle.

Avrebbe tanto voluto avere ancora la spada Excalibur con sé ma la sua preziosa arma, era rimasta nella torre a Nuova Camelot, là dove la conservava come un cimelio prezioso. Avevano però con loro le armi, rubate ai tizi che avevano rapito Merlin e Mattew e con quelle sperò di riuscire a combattere la creatura.

Quando si rese conto di essere ormai stato avvistato, scartò di lato, gridando agli altri di allontanarsi e di disperdersi. Nel frattempo la bestia attaccò, quasi intuendo le sue mosse, voltò perciò la bocca verso di lui.

Arthur trattenne ancora il respiro scioccato, sentì gli altri urlare, Merlin soprattutto ma poi qualcosa lo colpì, come una potente ventata e il suo corpo fu catapultato lontano dai denti aguzzi della bestia un attimo prima che questa affondasse per mordere.

Si voltò velocemente per ringraziare Claude con uno sguardo di intesa e poi cercò di posizionarsi alle spalle della creatura, mentre questa veniva attirata da Mattew che prese a saltare sul terreno. Poi si accorse di Merlin che gli si era affiancato, con uno sguardo angosciato.

“State bene?” biascicò, imbracciando un fucile e caricandolo affinché fosse pronto a colpire.

“Merlin, vattene!” gridò Arthur, un ordine arrabbiato con il quale mascherò tutta la sua paura nel vederlo lì in prima linea. Il mago non aveva difese, doveva andarsene da lì!

“Non dite assurdità!” replicò duramente Merlin, puntando l’arma verso il corpo rosa e grinzoso della creatura.

Arthur ricordava una cosa di quelle bestie: ovvero che il loro unico punto debole era la bocca. Per il resto, il corpo era ricoperto da uno strato di pelle duro e coriaceo che difficilmente si faceva scalfire da un’arma. Anzi, al contrario i colpi lo incattivivano ancora di più, trasformando quella che era la caccia ad una preda per sfamarsi, in una vera e propria strage.

Fu per questo che gridò forte, quando Merlin sparò e il fucile lanciò il fascio di luce colpendo il dorso dell’animale.

“Merlin nooo!!”

Non fece in tempo a reagire, il verme tirò fuori la lunga coda e con un colpo secco andò a colpire il mago, scaraventandolo lontano. Atterrò contro un albero, gemendo e perdendo l’arma che scomparve tra la boscaglia.

Eppure nonostante tutto, il colpo servì a distrarre la bestia, che fu trafitta subito dopo da un incantesimo di Claude. L’uomo riuscì a centrare la bocca, prima che la creatura potesse vederlo e un attimo dopo iniziò a contorcersi gonfiandosi a poco a poco. L’esplosione di verme colpì tutti in pieno inzuppandoli di resti mollicci e sanguinolenti.

“Che schifo!” esclamò Claude agitando le braccia per scrollarsi la poltiglia di dosso. “Forse ci ho messo troppa potenza…”

Arthur non gli diede corda. Abbandonò la sua posizione, senza curarsi delle schifezze che grondavano un po’ ovunque e corse verso Merlin, accasciato ai piedi dell’albero.

Era sveglio, per fortuna, intontito ma con gli occhi aperti e quando il sovrano si inginocchiò preoccupato e gli posò una mano sulla spalla tossì prendendo il fiato.

“Come stai?”

Subito Merlin scostò quella mano con un colpo secco della sua e cercò di rialzarsi a fatica. “Sto bene.” Tagliò corto, bruscamente, aiutandosi con il tronco per potersi rialzare. Arthur voleva aiutarlo ma lui si scostò ancora.

“Non toccarmi.” Gli intimò severo, dandogli persino del tu. Quell’ordine così perentorio, lasciò interdetto il re, che lo fissò sbigottito, senza riuscire per un attimo a pensare a nulla.

Merlin tossì ancora e si tastò il busto, massaggiandosi poi in un punto in cui parve sentire un forte dolore. La faccia sofferente che gli deformò la faccia fece stringere lo stomaco di Arthur, che improvvisamente sentì il bisogno di farsi vicino a lui e di sostenerlo. Ma il mago glielo impedì, quasi intuendo cosa volesse fargli, sollevò un braccio e gli piantò il palmo davanti agli occhi.

“Non mi toccate, ho detto.”

Pareva arrabbiato e il sovrano non capiva perché. Nel frattempo Mattew e Claude si accostarono ai due e Mattew arrivò là dove ad Arthur gli era stato impedito. Senza trovare alcuna resistenza, acchiappò il braccio di Merlin e se lo portò dietro le spalle.

Merlin si mantenne in piedi e batté leggermente il petto dell’amico per rassicurarlo. “Non preoccuparti, non ho niente di rotto.” Biascicò.

“Sicuro? Posso guarirti con la magia se serve.” Provò Claude ma Merlin scosse il capo scostandosi anche dal professore e si sforzò di mettersi ritto sulla schiena.

“Ho detto che sto bene.” Replicò con un asprezza nella voce che lasciò tutti gli altri per un attimo in silenzio. Arthur si accorse che il mago evitava di guardarlo e dalle rughe sulla sua fronte, pareva parecchio arrabbiato.

“Non vi preoccupate. Sul serio.” Cercò poi di smorzare la tensione, forse rendendosi conto da solo della durezza della sua voce.

Il sovrano fece un cenno a Claude e decise di allontanarsi, per lasciare al mago un attimo di respiro. Pur non riuscendo a comprendere il perché di quella reazione così incollerita, evitò di fare ulteriori questioni, tanto più che dovevano ancora riprendersi dallo shock del combattimento con il vermone.

Mentre controllava il territorio circostante, facendosi ripulire dalla magia di Claude, si chiese perché mai Merlin lo aveva allontanato in quel modo. Quante volte nella vecchia Camelot, lo aveva sbeffeggiato dandogli dell’inetto e lui non se l’era mai presa? Perché invece adesso, che si era persino preoccupato per lui, Merlin aveva avuto quella brutta reazione?

Arthur un timore lo aveva e sospettava che c’entrasse la magia. Merlin era stato un mago molto potente, ricordava ancora bene le parole di Gaius, quando aveva difeso lo stregone il giorno in cui aveva scoperto il suo vero essere. Adesso però, non lo era più, come se non esistesse più tutto ciò che faceva di Merlin… Merlin stesso.

Il sovrano non era uno stupido. Per quanto a volte fosse ottuso e insensibile – e ammetterlo gli costava una gran fatica – ogni tanto arrivava a comprendere le cose. E che quelle cose riguardassero Merlin, un poco lo soddisfaceva: forse non era vero che per lui era un completo estraneo, forse in passato pur non sapendo i veri motivi, in qualche modo era sempre riuscito a leggerlo dentro e a capire quando qualcosa non andava in lui.

Ma per quanto fosse contento di quella scoperta, qualcosa dentro di lui improvvisamente lo agitò. Perché sapeva quanto importante per Merlin fosse la magia. E sapeva cosa fanno le persone quando tengono così tanto ad una cosa.

E Arthur temeva cosa Merlin prima o poi avrebbe fatto per riprendersela.

 

Continua…

 

Buon lunedì!! Bene, lo avevo detto nell’altro capitolo e lo ridico… questa storia tira fuori l’angst che è in me u_u un momento sono riuscita a farli chiarire e un momento dopo sono di nuovo in crisi!! Ahhhhh se la smettessero di far da soli!

Certo è che come vi accennavo i punti da risolvere sono tanti e non sarà certo facile. La posizione di Merlin è precaria e questo lo fa soffrire tantissimo, perché lui non è un debole per natura. E’ buono oltre il verosimile certo, ma non un vigliacco o uno che accetta passivamente ogni cosa. Da qui nasce il suo travaglio interiore, perché ora come ora si sente a metà, gli manca ciò che lo ha reso se stesso per tutta la sua lunghissima vita! E cosa fara? Ehhhhhhh :P

Intanto ci tengo a ringraziare di cuore tutti coloro che leggono questa storia, chi la inserisce tra le seguite, le ricordate e addirittura nelle preferite. Grazie, grazie!! E un abbraccio speciale anche a chi si prende un attimo del suo tempo per commentarla: Lunaris, Catnip95, One Day_Painless, Pandina99, chibisaru81, brin leah e Pandora86.

Per chiunque altro volesse lasciarmi un commento o un giudizio o che so… anche un’ipotesi, è sempre ben accetto! =)

Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo “Resta con me”.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Resta con me ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO

Capitolo 12

Resta con me

 

Luce. Scintille di luce a ferirgli gli occhi. Merlin cercò di schiuderli e si accorse di non potere. Come appesantite da una strana forza, le palpebre erano chiuse, immobili e incuranti del suo bisogno.

Perché d’improvviso Merlin fu convinto che fosse di vitale importanza aprire gli occhi e vedere… solo che nonostante gli sforzi, tutto sembrava inutile.

“Merlin…” un voce. Sottile, languida, lontana come il soffio di vento. Una voce che lo circondava, giungeva alle sue orecchie senza partire da un punto preciso.

“Merlin…” chi lo chiamava? E perché non poteva vedere? Lui doveva farlo! Quella voce voleva lui ed era così importante… vero che era importante?

Aprì la bocca per parlare e sentì la sua voce arrochita. “Chi sei? Cosa vuoi?”

“Ti aspetto… Merlin…”

Si agitò, sollevando le braccia per cercare la fonte di quella voce ma si accorse che la stessa forza misteriosa che non gli permetta di aprire gli occhi, gli impediva anche di muoversi dalla sua posizione. Era bloccato. Cercò di scuotersi e intanto gridava. “Chi sei? Dimmelo!”

E la voce imperterrita seguitava a chiamarlo. “Merlin… Sono qui! Io ti aspetto!”

L’ultimo gemito di Merlin gli risuonò nelle orecchie in maniera più distinta. Il mago aprì gli occhi di scatto, piantandoli sul cielo stellato sopra di lui.

Si accorse di avere il fiatone, perciò si mise a sedere di botto, con l’intenzione di riprendere fiato. Quando si azzardò furono due le reazioni diverse che lo colpirono: la prima fu di dolore. Merlin aveva mentito, lo scontro con l’albero, durante il combattimento col verme di quel giorno gli aveva sicuramente incrinato un paio di costole, perché faceva fatica a respirare e ogni movimento gli costava dolore.

La seconda reazione fu di sorpresa. Perché nel mettersi seduto, si era accorto che accanto c’era qualcuno, con i palmi delle mani rivolti a lui. Era Claude.

“Ehi! Tutto bene?” domandò l’uomo, sorpreso quanto lui di quella reazione. Probabilmente non si aspettava di svegliarlo.

“Che… che stai facendo?” gli chiese il mago contrariato, una mano sul petto per regolare il respiro che così agitato non faceva altro che provocargli ancora più male, e l’altra sulla fronte per asciugare la pellicola fredda di sudore che lo ricopriva.

“Scusami. Volevo guarirti mentre dormivi, non era mia intenzione spaventarti.” Claude era sempre gioviale quando parlava, aveva un modo di fare sereno e allegro, cosa che però a Merlin infastidiva. Sapeva benissimo che ce l’aveva con lui, perché dimostrarsi allora così gentile?

“Non ce n’era bisogno, sto bene.”

“Non sembra.” Aveva replicato Claude, asciutto, il sorriso sempre su quella faccia che Merlin avrebbe volentieri preso a pugni. Ma poi avrebbe dovuto giustificare il suo gesto e lui non poteva dire di essere geloso marcio. Perché era quello il problema no? Invidiava Claude ed era geloso di lui.

Merlin aveva dovuto ammetterlo a se stesso, nel momento in cui aveva rifiutato l’aiuto del re, dopo l’attacco del verme. Perché altrimenti, come altro giustificare tutta quella rabbia per quanto era accaduto?

Non era riuscito a salvare Arthur, anzi si era quasi fatto ammazzare e alla fine era stato Claude a disintegrare il verme, con un semplice incantesimo che lui aveva utilizzato tante volte in passato e che conosceva benissimo al punto che se ci fosse stato lui al suo posto, avrebbe potuto calibrare la potenza per evitare di far finire tutti inzuppati dai resti della creatura.

Lui avrebbe potuto. Certo, avrebbe. Perché ormai la magia non c’era più e Claude era il mago che difendeva Arthur. La situazione mandava in bestia Merlin tanto che avrebbe voluto realmente picchiare quello stramaledetto consigliere e prendere a pugni anche il sovrano, che era certo non lo capisse.

Ora Claude continua a guardarlo con quell’odiosa aria sorridente e visto che lui non aveva detto niente, aveva ripreso con il suo incantesimo di guarigione. Odiava doversi sottomettere così, ma le costole dolevano oltre l’immaginabile e se non guariva avrebbe rallentato il passo a tutti l’indomani. Arthur aveva fretta e sapeva che nonostante tutto non lo avrebbe lasciato indietro, perciò era importante che fosse in grado di camminare.

Lo faceva per Arthur. Perché se fosse stato per lui, avrebbe atteso la morte – se mai fosse potuto morire ma visti gli ultimi avvenimenti, ormai era propenso per il sì – e non avrebbe accettato mai il suo aiuto.

Quando Claude lo guarì, Merlin sentì un fitta al cuore. La magia dentro di lui, fluì calda e rassicurante e per un attimo si sentì se stesso. Ma quando la magia scomparve, un vuoto immenso fu l’unica cosa che gli rimase dentro e il rendersene conto lo agghiacciò.

Trattenne il fiato, avvertendo quasi il bisogno di piangere ma ignorò il pizzicore agli occhi e si concentrò sulle fiamme del fuoco che lambiva a pochi metri da lui. Evitò anche di guardare Claude, perché non potesse rendersi conto del suo turbamento.

“Perché non vai a cercarla?”

La domanda lo spiazzò. SI voltò a guardare Claude che gli rimandava lo sguardo da quegli occhi neri e lucenti. Non ci fu bisogno di chiedergli il soggetto.

Merlin chinò allora il capo, scuotendolo. Sulle labbra sempre la solita aria contrariata. “Non è il momento.”

Eppure era lei che lo chiamava, nel sogno, Merlin lo sapeva. Era la magia che lo stava reclamando, lo aveva capito quando Claude lo aveva guarito e l’aveva sentita guizzante dentro di lui. Nel sogno quel riverbero e quella voce avevano la stessa frizzante consistenza e la stessa potenza attrattiva.

E lui che era un essere magico, non poteva non esserne soggiogato. In questo probabilmente Claude poteva capirlo, ecco il perché di quella domanda.

“Senti, io non voglio farmi gli affari tuoi, oltretutto devo ancora capire bene tutta questa faccenda che lega te e Arthur ma davvero posso capire come ti senti. Io ci sono nato con la magia e non credo di poter vivere senza.”

Merlin non sapeva cosa dire. Odiava quell’uomo eppure Claude al contrario cercava di capirlo e forse giustificava anche quelle sue reazioni così intransigenti.

“Non credo che la magia se ne sia andata così, probabilmente devi solo andare a riprendertela o cercare di risvegliarla in qualche modo…”

“E’ così.” Merlin interruppe quel fiume di parole, il tono di voce tuttavia ancora imbronciato. “Ma non è il momento adesso.” Ripeté convinto.

“Arthur non può costringerti.”

Quella conversazione lo stava mettendo seriamente a disagio, soprattutto ora che aveva nominato il motivo per cui lui lo odiasse tanto. In fondo al cuore, sapeva benissimo che Claude aveva ragione ma al momento non era pronto ad accettarlo.

“Sono io che non voglio andarmene, Arthur non c’entra niente. E poi non saprei nemmeno dove andare a cercarla la magia!”

“A giudicare da quello che dicevi nel sonno, credo che tu sia sul punto di scoprirlo.”

Bene, probabilmente quel consigliere da strapazzo aveva voglia di farsi picchiare quella sera. Non c’era altra spiegazione. Perché altrimenti, cercare di convincerlo a fare qualcosa che avrebbe certamente fatto soffrire il re?

Sì, certo, aveva ragione. La magia era importante. Ma la situazione aveva troppe variabili e troppi punti di cui tener conto per poter prendere liberamente decisioni così rilevanti. E poi Merlin aveva fatto una promessa, non se ne sarebbe andato più. Avrebbe mai potuto deludere per una terza volta il suo re? Infrangere ancora una promessa così importante?

No. Non questa volta. Anche se quello avrebbe comportato sentirsi a metà ancora e ancora a tempo indeterminato, no.

Sarebbe rimasto con Arthur, costi quel che costi.

“Quando arriverà il momento…” Merlin si alzò in piedi e guardò Claude intensamente negli occhi, mostrandogli l’espressione più risoluta che conoscesse. “… allora, deciderò il da farsi. Grazie per avermi guarito.”

Gli voltò le spalle, allontanandosi dall’accampamento. Aveva bisogno di ossigeno… e di solitudine.

*

Qualcosa non andava. Arthur lo capì subito aprendo gli occhi e ridestandosi all’istante, come se in realtà non dormisse affatto. Era insolito rendersi conto di quanto percepisse sulla pelle e dentro di sé, che qualcosa riguardante Merlin, non andasse per il verso giusto.

Un po’ come se da quando si erano ritrovati, tutto l’universo del mago, tutta la sua essenza, gli si fosse d’improvviso aperta davanti ai suoi occhi.

E non gli sembrò quindi un caso che, schiudendo le palpebre e lanciando un’occhiata al giaciglio di Merlin, lo trovasse vuoto. Subito si mise a sedere, voltando il capo a destra  e a sinistra in cerca dello stregone. Il fuoco al centro dell’accampamento era ancora forte e illuminava tutta la zona circostante perciò fu facile rendersi conto che Merlin lì vicino non c’era.

Arthur ebbe paura. Claude e Mattew dormivano – il primo si era forse assopito mentre faceva il suo turno di guardia – e tutto intorno regnava una calma assoluta, cosa che spaventò il sovrano ancora di più.

Si alzò in piedi, dimenticando qualsiasi accortezza e con una smania ansiogena andò in cerca di Merlin.

Che fosse andato via? Che avesse deciso di andare in cerca della sua magia? E dove poi?

Arthur controllò la zona circostante ancora e ancora, sperando che si fosse spostato solo un attimo ma non lo scorse tra le prime file di alberi e l’inquietudine non fece che aumentare.

“Dove sei…?” mormorò preoccupato, andando a smuovere alcuni cespugli, il fiato che inspiegabilmente gli si era fatto agitato.

Quando scorse un passaggio tra le piante, lo seguì facendosi presto inghiottire dalla boscaglia ma non si curò del buio, continuò quella marcia veloce nella foresta, cercando con lo sguardo qualcosa che potesse assomigliare allo stregone.

E quando all’improvviso sbucò sul deserto e riconobbe la figura sottile del mago, fu come se di colpo l’aria gli entrasse nei polmoni, dopo un lunghissimo momento di apnea e ogni cosa nel mondo tornasse a vivere e a muoversi nel verso giusto.

“Merlin! Che diavolo ci fai qui?” esclamò subito inveendo contro di lui. La paura che quell’incosciente se ne fosse andato, lo aveva mandato in bestia. Eppure nonostante mentre parlasse si rendesse conto che lo stregone doveva essersi spostato semplicemente per stare un po’ da solo in quel punto in cui la foresta lasciava il posto al deserto, visto che se ne stava seduto sulla linea di confine a meditare, altri sentimenti gli agitavano l’animo.

Sentimenti che lui non comprendeva fino in fondo, perché non sapeva dare un motivo a quella paura così folle, all’idea di averlo perso un’altra volta. Perché quella che aveva vissuto era davvero una paura folle.

Il mago era sobbalzato quando aveva sentito la sua voce e poi gli aveva rivolto uno sguardo stralunato. Doveva essere immerso in profondi pensieri, se aveva quella faccia così provata. Non rispose subito e Arthur aveva ancora bisogno di sfogare tutta quella tensione, per cui si inginocchiò accanto a lui e lo acchiappò forte per una spalla, guardandolo male.

“Ti sembra il modo di allontanarti così? Non sai che è pericoloso?”

“Ma siamo a due passi dal campo e sono pure armato!” replicò lo stregone appena dopo essersi ripreso dal momento di sorpresa.

“Sei comunque in pericolo, hai dimenticato che non hai più i poteri? Poteva succederti qualsiasi cosa!”

“Non sono un imbranato, per quanto lo pensiate, so difendermi da solo!” Merlin adesso gli rimandava uno sguardo contrariato esattamente come il suo. Ma Arthur non aveva intenzione di cedere, quell’istinto di protezione che aveva nei confronti del mago, continuava a pulsare dentro di lui e a fomentare la sua visione della situazione.

“Sapevi farlo, ora non più! E se ti avesse attaccato qualche creatura mentre eri qui da solo?”

“Smettetela, vi prego…”

“No che non la smetto!” Arthur aveva alzato il tono di voce, al contrario di Merlin che invece aveva assunto un tono abbattuto. “E avanti, dimmi! Cosa avresti fatto se fosse tornato uno di quei vermi schifosi?”

“Per favore… smettetela…”

“Dimmi! Gli avresti sparato di nuovo? E fatto colpire ancora una volta? La verità è che senza magia, non puoi-“

“Basta! Smettila!!”

Il grido di Merlin, servì a fargli inghiottire le parole una volta per tutte. Stranamente riusciva sempre a zittirlo, quando annullava tutte le barriere che da sempre avevano schierato l’uno e l’altro in due status diversi e abbandonava ogni forma di riguardo.

Non che Merlin si fosse mai preso la briga di limitare la sua insolenza, però in qualche modo aveva sempre mantenuto le distanze con quel plurale maiestatis.

Per cui sentirlo parlare in quel modo diretto, lo spiazzava, come se Merlin in quel modo distruggesse tutti le sue difese e lo facesse sentire nudo e fragile.

Ora il mago lo fissava con astio, arrabbiato e infastidito e gli si era voltato completamente, per poterlo attaccare meglio. Di fatti lo colpì con una manata sul petto, che per poco non gli fece perdere l’equilibrio all’indietro.

“Io non sono debole! Non sono una donnetta indifesa da proteggere! Smettetela di trattarmi come tale o non risponderò di me!”

“Ma tu…”

“Ma io niente!!” Merlin ormai sembrava una furia e ad Arthur quasi spaventava quella versione di lui, che non aveva mai visto.

“Avrò anche perso la mia magia, non la mia dignità! Perciò smettetela di umiliarmi in questo modo! Nessuno lo fa a parte voi! Nessuno!”

C’era qualcosa che ad Arthur non piaceva di quel discorso. Ed era che quell’idiota non aveva capito niente. Fu per questo che a quel punto, anche lui tornò ad arrabbiarsi e gli ricambiò lo sguardo con uno altrettanto incollerito.

“Io non ho fatto nulla! Sei tu che pensi questo! E guarda un po’? Come al solito pensi male!”

Merlin a quel punto fece una cosa che non si aspettava. Sollevò le braccia e piegò le dita quasi come se volesse strozzarlo ma non lo sfiorò, si limitò a mugugnare qualche imprecazione, gemendo per il nervoso.

“Non vi rendete neanche conto, di come vi comportate, maledizione! Siete sempre il solito imbecille!”

“Chi ti autorizza a parlare in questo modo? Non dimenticare che sono il tuo re!”

“Beh mi dispiace deludervi ma non lo siete più, ormai!!”

Quelle parole ebbero l’effetto di zittire nuovamente Arthur. Non sapeva neanche il perché, ma gli fece male, come se un punteruolo gli fosse entrato nel petto, arrivando fino al cuore.

Merlin aveva ragione, lui non era più il suo re, come il mago non era più il suo servo personale. Merlin non era un cittadino del regno della nuova Albion e lui non era più il re della vecchia. Ma faceva male… perché?

Il mago parve notare quel momento di smarrimento, perché dismesse l’aria corrucciata e per un lungo istante fissò il sovrano senza dire una parola.

“Forse dovrei andarmene.”

Arthur sollevò il capo.

“Forse dovrei… andare a cercare la mia magia.”

“No!”

Arthur sapeva perfettamente che Merlin gli aveva letto negli occhi tutta la sua paura. Solo all’idea che il mago se ne andasse nuovamente da lui, il terrore gli era tornato forte e pulsante nel petto e lo aveva agghiacciato.

“Perché no?” chiese Merlin, stringendosi nelle spalle. “Vi sarei più di aiuto con la mia magia, che senza.”

“No. Ho detto di no!”

E quella paura era irrazionale e senza senso, perché gli ottenebrava la mente cancellandogli di colpo tutte le facoltà intellettive. Non c’era altra spiegazione altrimenti, ai gesti che seguirono quell’ordine.

Si rese conto che le braccia si muovevano sole, mentre ripeteva con convinzione quel “No” che gli sembrava tanto una supplica. Senza che neanche se fosse reso conto, lo aveva stretto per le spalle, in un abbraccio stretto e possessivo, che Merlin aveva ricambiato dapprima irrigidendosi.

“Resta con me…”

Un mormorio, sfuggito alle labbra. Era impazzito, non c’era altra spiegazione. La paura lo aveva reso completamente stupido. Eppure Merlin a quelle parole, si rilassò lentamente e poco dopo sentì le sue mani sulla schiena che rispondevano a quel gesto.

“Va bene. Non me ne andrò.”

“Smetterò di trattarti come una donnetta.”

Sentì Merlin sbuffare contro il suo orecchio e inspiegabilmente la cosa lo rilassò.

“Già che ci siete potete anche smetterla di darmi dell’idiota.”

“Non si può avere tutto, Merlin.”

*

“Aspetta aspetta fammi capire…”

“Hai capito benissimo, Claude…”

“Sì ma ho bisogno di ripeterlo a voce alta, altrimenti potrebbe sembrare frutto della mia testa. Potrei aver sentito male?”

“No, hai sentito benissimo.”

“Quindi voi due avete all’incirca… duemila anni?!”

“Decennio più, decennio meno.”

“Non ci credo.”

Merlin gemette. Da quanto tempo esattamente ne stavano parlando? Il sole era ormai alto nel cielo e loro erano in viaggio da poco dopo l’alba.

Claude aveva iniziato il discorso quando erano partiti, con una domanda diretta e indiscreta. “Bene, ora non sarebbe il caso di spiegare anche a me che è questa faccenda del re di Camelot e di mago Merlin?”

Dopo un primo momento di smarrimento, era stato Arthur a prendere la parola e a spiegare con molta calma e con dovizia di particolari, tutta la storia.

Persino Mattew, che camminava dietro di loro assieme a Merlin, aveva ascoltato interessato, perché molti dei dettagli che Arthur aveva chiarito, lo stregone li aveva omessi nel suo primo racconto, un po’ perché troppo dolorosi e un po’ perché trovava irrilevanti in quel momento.

Il sovrano aveva perciò raccontato del suo regno nel Medioevo, di come avesse conosciuto Merlin quando era solo un ragazzo – il mago notò che aveva evitato di raccontare di quanto fosse spocchioso quando era giovane – e di come assieme fossero cresciuti e avessero vissuto decine di avventure durante gli anni della giovinezza.

Arthur aveva chiarito che lui non sapeva della natura magica di Merlin e di come non si fosse accorto di tutte le volte che lui gli aveva salvato la vita – cosa che al mago fece piacere sentire e riempire di orgoglio –soprattutto a causa della malvagità di una strega, Morgana, che era stata anche la sua sorellastra.

Alla morte di suo padre, aveva sposato una donna di nome Guinevere e preso in mano le redini del regno e lì con lui c’era stato anche Merlin. Sempre Merlin.

Lo stregone ascoltava, non riuscendo a nascondere un sorriso mentre Arthur spiegava a Claude – in una maniera del tutto implicita e inconsapevole, visto che evitava di dirlo apertamente –  che quella alle sue spalle era stata la persona che più di tutte era stata presente nella sua vita.

Quando giunse al racconto della battaglia di Camlann, il tono di voce si fece grave eppure Arthur raccontò di come fosse stato tradito e colpito a morte da uno dei suoi cavalieri e di come Merlin avesse poi intrapreso un viaggio senza speranza per tentare di salvargli la vita.

Non parlò di quegli ultimi momenti e Merlin gliene fu grato. Erano troppo intimi e troppo speciali per renderli così pubblici agli occhi degli altri e soprattutto ad una persona che Merlin voleva chiaramente tenere a distanza. Il mago non si era mai nemmeno confidato con Mattew che al momento rappresentava la figura più vicina ad un amico e consigliere, come lo era stato un tempo il suo vecchio amato Gaius.

Arthur si limitò a spiegare che era morto, nonostante tutto e che era stato sistemato su una chiatta sul lago di Avalon e là era rimasto a riposare per duemila anni. Quando si era risvegliato, aveva trovato una strana Dama luminescente ad accoglierlo che gli aveva spiegato di avere una missione da compiere: lui era il Re del passato e del futuro ed era stato risvegliato perché in quel futuro il mondo aveva bisogno di lui.

Ecco perché Claude e Pierre lo avevano trovato vivo che vagava nel deserto ed ecco perché era riuscito a dare vita al regno di Albion in così poco tempo: il destino era dalla sua parte, era quello il compito per cui era nato e poi rinato ancora.

Qui il racconto si interruppe. Arthur avrebbe potuto dire che al suo risveglio Merlin non c’era e che invece si aspettava ci fosse, ma restò in silenzio. Neanche Merlin continuò a spiegare: c’era la faccenda del sonno di mille anni chiesto alla Dama ma al mago pensò fosse inutile aggiungere particolari in un discorso che già non desiderava fare e in più vi si era già accennato nei giorni scorsi.

Claude dopo aver ascoltato tutto in silenzio, cacciò un lungo fischio simulando sorpresa. “I miei complimenti. A conti fatti sembra la storia più inverosimile che abbia mai sentito… se non tornassero alcuni elementi che finalmente troverebbero una spiegazione.”

“E’ quello che ho detto anch’io.” Convenne Mattew annuendo convinto. “Sono sicuramente due personalità parecchio insolite di questi tempi.”

Claude era scoppiato a ridere senza ritegno, quell’aria gioviale sempre sulla faccia, che nonostante Merlin si fosse un poco rassicurato, voleva ancora prendere selvaggiamente a pugni.

Ma perché diamine era ancora così geloso di lui? Perché non accettava con razionalità che per Arthur era lui quello più importante?

“Personalità insolite è un eufemismo! Questi due sono strambi proprio!”

“Ti ricordo Claude, che è col tuo re che stai parlando.”

L’altro imitò un inchino con fare ironico e sbuffò. “Scusatemi, vostra altezza.”

No. Decisamente la razionalità non sarebbe servita a niente. Merlin continuava a detestare che quell’uomo si comportasse esattamente come per anni aveva sempre fatto lui con il sovrano. Non avrebbe mai accettato questa verità. Mai.

Non disse nulla, si limitò a sollevare gli occhi al cielo ingoiando improperi. Notò però che Arthur gli aveva lanciato una rapida occhiata, uno sguardo fuggevole che ancor prima potesse essere incrociato, già era volato via altrove.

Dopo quella notte non avevano più parlato, Merlin avvertiva un certo imbarazzo, perché il ricordo di quell’abbraccio maldestro e anche inaspettato, restava sospeso tra di loro. Non si erano mai lasciati andare a gesti di affetto così impliciti o quanto meno così intensi. Soltanto quando Arthur ormai alla fine della sua vita era spirato tra le sue braccia, lui distrutto dal dolore lo aveva stretto forte quasi sperando che con quel gesto potesse tenerlo con sé.

Quello era stato un abbraccio dettato dalla sua disperazione, mentre quello dell’altra notte che significato aveva? Che avesse provato Arthur a fare altrettanto, tenerlo stretto a sé, come aveva fatto lui?

Gli aveva detto le stesse identiche parole di quel giorno maledetto.

Resta con me.

E lui non aveva potuto non rispondere a quel richiamo, perché aveva potuto scegliere, era rimasto. Sarebbe rimasto.

“Merlin….”

Sobbalzò quando sentì quel richiamo.

“Merlin…”

“Cos’è?”

“Vieni da me… Merlin…”

Mattew gli rivolse uno sguardo confuso, mentre il suo si era rivolto di colpo verso il punto in cui credeva provenisse la voce. Il deserto, arido e sconfinato si apriva davanti a lui, mentre quella voce tornava a richiamarlo.

“Di cosa parli?” domandò l’amico. Più avanti Arthur e Claude non si erano accorti di nulla.

 “Dove siamo? Tu hai idea di qual è la nostra posizione?”

Il professore annuì. “Siamo ad un giorno di cammino dalla base ormai.”

“Questo… questo vuol dire che lì c’è l’Inghilterra?”

“Quello che ne resta, sì.”

Le labbra di Merlin si strinsero, pensierose. Non disse più nulla né fornì a Mattew alcuna spiegazione; l’amico dal canto suo, non chiese nulla e rispettò il silenzio turbato del mago, senza sapere cosa aveva appena scatenato nel suo animo.

Perché Merlin aveva capito. Era la magia a chiamarlo. Là nel deserto era nascosta da qualche parte la metà della sua anima… e aveva una mezza intenzione di dove potesse essere.

Avrebbe potuto andare a cercarla ma d’un tratto scosse il capo e con una forza di volontà sovraumana, scostò gli occhi dalla linea del deserto e li piantò sulla schiena di Arthur.

Non se ne sarebbe andato, non ora. Ignorò i richiami della magia e continuò il suo cammino.

Un giorno, forse, sarebbe andato a cercare lei.

Continua…

 

Buon lunedì a tutti! =) come sempre iniziamo la settimana con un nuovo aggiornamento che… beh, spero vi piaccia u_u ho stemperato un poco la tensione che c’era con qualche momentino un po’ fluff ma è inutile, l’angst in questa storia rimane XD

Merlin ha preso la sua decisione ma sarà quella giusta per lui? Oltretutto non sappiamo ancora cosa li attenderà a Camelot, perché quando rientreranno che accoglienza troveranno?

Le domande invece di diminuire aumentano, ovviamente u_u lo so, sono sadica. Ma vi assicuro che prima o poi tutti i nodi arriveranno al pettine!

Per il momento ringrazio con il cuore tutti coloro che seguono questa storia e anche i lettori silenziosi. Un abbraccio speciale però, lo mando a chi non manca mai di lasciarmi un proprio commento: chibisaru81, Lunaris, Pandina99, One Day_Painless, Catnip95, Pandora86 e brin leah.

A tutti gli altri, come sempre, esorto per un COMMENTO! Chiunque voglia lasciarmi la propria opinione è ben accetto =)

A lunedì prossimo miei cari!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Solo per te ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO

Capitolo 13

Solo per te

La base pullulava come sempre di soldati. Come un formicaio gigante in cui ogni creatura sapeva perfettamente quale fosse il suo ruolo e come districarsi in mezzo al brulicare di gente.

Ognuno eseguiva il suo compito, incrociando più e più volte compagni e superiori e continuando per la propria strada.

Arthur aveva sempre trovato molto suggestiva l’aria della base. Era stato lui quattro anni prima a fondare l’arma che proteggeva le popolazioni dal deserto e da tutte le bestie che lo vivevano ed era sempre stato fiero di quella scelta che aveva garantito al suo nuovo popolo una vita più serena e duratura.

Negli anni aveva più volte visitato la base, conoscendo i superiori che lui stesso aveva scelto per il comando e constatando il buon funzionamento dell’arma di difesa.

Ora era lì, a pochi passi dall’entrata e di colpo gli sembrò di rimettere piede nel suo regno, come se nei giorni scorsi avesse viaggiato in un limbo che lui non era riuscito a riconoscere. Si sentì di nuovo a casa e l’orgoglio dell’essere sovrano di un regno, si riaccese nell’animo tormentato degli ultimi mesi.

“Mi era mancata…” mormorò Claude, dando voce ai suoi stessi pensieri. Arthur gli rispose con un sorriso e poi riprese il suo cammino, non prima però, di aver lanciato un’occhiata anche a Merlin.

La prospettiva del suo ritorno nel regno, con il mago nonché compagno di una vita accanto, lo entusiasmava ancora di più, accendendo di gioia il suo animo. Il problema di Pierre che sedeva sul trono al posto suo, quasi gli sembrava irrilevante adesso, perché sapeva che sarebbe tornato da vincitore.

Non appena infatti, varcò la soglia della base e le sentinelle si fermarono per il “chi va là”, Arthur si impettì, chiedendo di poter parlare immediatamente con il Generale Dumas. Le guardie però, non lo riconobbero subito, osservarono prima lui e poi gli altri che lo accompagnavano e parvero titubare.

“Chi siete?”

“Martin, ti sei già dimenticato del tuo capitano?” fu a quel punto che Mattew si fece avanti con aria autoritaria, prima che Arthur potesse parlare. In un primo momento la cosa lo infastidì ma poi le sue meningi si mossero un po’ di più ed effettivamente pensò che se si fosse presentato come il sovrano dato per morto a due guardie che non lo conoscevano, avrebbe potuto scatenare un putiferio.

La guardia chiamata Martin infatti, non appena riconobbe Mattew, scattò sull’attenti e sollevò il fucile in segno di saluto. “Capitano! Mi scusi, non l’avevo riconosciuta!”

Mattew fece un cenno perché il giovane Martin tornasse a riposo, poi posò una mano sulla spalla di Arthur in un gesto rassicurante.

“Dobbiamo parlare immediatamente con il Generale Dumas, abbiamo notizie importanti. Lui conosce tutti molto bene.” Spiegò, mentre la sentinella si prodigava per farli entrare di colpo tutta un salamelecchi.

Arthur si trattenne dal ridere, immaginando che Mattew tra i soldati della base fosse una figura rispettabile e si chiese come mai non lo avesse mai visto durante le sue visite.

Mentre percorrevano la strada che li avrebbe condotti al corpo principale, gli si accostò incuriosito.

“Sono una persona schiva, sire. Durante le sue visite ho sempre evitato l’adunata.”

“E non ti hanno mai punito per questo?”

Mattew si fece serio, molto serio. “Qui nessuno mi punisce.”

Arthur preferì tacere. Si era scambiato per un momento uno sguardo con Merlin che con gli occhi gli aveva fatto capire di non continuare oltre quella conversazione. Nonostante il lungo tempo passato insieme negli ultimi giorni, si rese conto di non aver mai saputo nulla sul passato di quell’uomo che appariva così serio e integerrimo. Stranamente si vergognò della cosa: era stato così impegnato a pensare a se stesso e a Merlin che non si era nemmeno preso la briga di chiedergli se fosse contento di averlo come re. Che idiota.

“Si può sapere che fine avete fatto?!” il grido, più alto del normale, si propagò nelle sue orecchie facendolo sobbalzare. Proveniva da un omaccione grande quanto un armadio e terribilmente brutto. Madre natura non era stata molto clemente con quel tipo che adesso stritolava in un abbraccio Mattew e poi accoglieva tra le braccia nerborute anche Merlin.

Strinse tanto forte che Arthur credette di sentire qualche costola del mago incrinarsi.

“Meno male che noi non lo conosciamo…” fece notare Claude, preoccupato da quel saluto così affettuoso. Di fatti sia Mattew che Merlin, si massaggiarono le braccia, quando furono finalmente liberi dalla morsa erculea ma nessuno di loro parve scontento di quel gesto.

“Arthur, questo è Joan. Fa parte della squadra di controllo di cui Mattew è capitano.” Merlin si affrettò a spiegare, poi come ricordandosi di qualcosa, continuò: “Ah, lui invece è Claude.”

L’uomo brutto strinse con forza la mano dei due e Arthur capì che dolore avevano fatto le costole di Merlin nell’esatto momento in cui si accartocciarono le sue ossa. Sentì Claude accanto a lui gemere e fu difficile non fare altrettanto. 

“Joan, lui è il re. Finalmente puoi conoscerlo.”

Le parole di Merlin ebbero un effetto strano su quell’uomo, che prima guardò sorpreso il mago e poi Mattew e al loro assenso, si concentrò su di lui.

“Ma non era morto?”

“Macchè morto. E’ lui, vivo e vegeto.”

A quella spiegazione, Joan spalancò un sorriso che se avesse avuto tutti i denti, sarebbe stato perfetto. Purtroppo gliene mancavano parecchi ma Arthur poté leggere ugualmente la gioia di quell’uomo nel conoscere il sovrano che aveva salvato quel mondo martoriato.

“Lo sapevo che non poteva essere morto!! Ma cosa ci fa qui? Che è successo?” chiese ancora ai suoi amici, come se Arthur non fosse lì presente – eppure continuava a sbatacchiare la sua mano, ora contentissimo di averla tra le sue.

“Ti spieghiamo dopo, Joan.” Propose paziente Mattew, prendendo le loro dita affinché il gigante mollasse la presa con gentilezza. “Adesso dobbiamo parlare con il Generale Dumas, è urgente.”

“Oh sì sì! Va bene, vi accompagno allora. Vengo proprio da lì, gli chiedevo al comandante se potevo andare in missione visto che tu non tornavi, mi annoiavo qui alla base.”

Mentre Joan spiegava, ripresero il cammino e si inoltrarono nel corpo centrale, sede del comando. Salirono un piano di scale e finalmente furono davanti la porta del Generale.

Arthur prese un grosso respiro. Stava per tornare ufficialmente ad essere il sovrano di Albion.

*

La gip aveva aumentato la velocità in quelle ultime ore che precedevano l’alba. Dopo aver parlato con il Generale della base che aveva immediatamente riconosciuto Arthur come il sovrano, avevano subito organizzato la spedizione per tornare a Camelot.

Il Generale aveva messo a disposizione un’intera squadra armata fino ai denti e due fuoristrada, anche se Arthur aveva specificato di voler tornare nella capitale senza troppo chiasso. Era convinto che non corressero grandi pericoli, perché il traditore era solo uno. Inoltre la cittadinanza lo amava e lo onorava al punto che nel vederlo non avrebbero opposto alcuna resistenza al suo ritorno.

Di fatto erano i suoi stessi sudditi ad aver scelto lui come Re, quindi avrebbero anche deciso di ignorare qualsiasi ordine di Pierre, l’usurpatore, nel momento in cui avrebbero rivisto Arthur.

Il sovrano era convinto di questo. O almeno secondo quanto Merlin aveva intuito.

Arthur non vedeva alcun pericolo in quella missione di recupero, né sembrava preoccupato da alcunché. Sperava soltanto di arrivare presto, così da potersi risedere tranquillamente sul suo regale trono e cacciare via il traditore spedendolo magari a finire i suoi giorni a fare il soldato nel deserto.

Merlin, ovviamente, non era dello stesso avviso.

La verità era che la scelta di ignorare la magia che lo richiamava si era col passare dei giorni rivelata forse, lo sbaglio più grosso. C’era qualcosa che preoccupava il mago, una strana sensazione di inquietudine che non lo lasciava dormire durante quelle ultime notti all’addiaccio e che gli aveva oscurato l’umore per tutto il viaggio dalla base alla città di Camelot.

Ora che mancavano poche ore all’arrivo, quella preoccupazione sembrò quasi aumentare e una strana ansia alla bocca dello stomaco gli strozzava il respiro rendendolo più scontroso del solito.

“Merlin…?”

Mattew come al solito era quello che si accorgeva per primo quando qualcosa non andava. Forse anche Arthur lo aveva fatto solo che quest’ultimo aveva fatto finta di niente per tutto il tempo, ignorando i suoi borbottii scontrosi ed evitando di parlargli più del necessario.

Mattew invece era l’amico che gli era sempre mancato, il punto di riferimento a cui chiedere aiuto e consiglio e come sempre, in quegli ultimi mesi, gli fu semplice confidarsi con lui.

“Sto bene.” Rispose prontamente. Lanciò un veloce sguardo ad Arthur e Claude che sonnecchiavano di fronte a loro sull’altro lato del fuoristrada in movimento.

“Non me la dai a bere.”

Merlin sollevò gli occhi al cielo e gli venne spontaneo sorridere. “Non ti si può nascondere niente, eh?”

“Hai la faccia come uno dei miei libri, Merlin. E’ facile leggerti.”

“Notavo…” il mago soppesò le parole e rifletté se era il caso di coinvolgerlo o meno nelle sue apprensioni.

“Non sei convinto di questa storia.” L’affermazione del professore non lasciava dubbi. Mattew era troppo intelligente per non capire cosa preoccupasse tanto Merlin.

“Mi chiedo se non ci stia sfuggendo qualcosa. Arthur è troppo sicuro, persino Claude non dice nulla. Loro dicono che è colpa di Pierre, che è lui il traditore e che ora che arriveranno a Camelot basterà farsi vedere e tutto tornerà come prima.”

“Ma… secondo te non sarà così.”

“Sì… no… cioè, non lo so. E’ solo che mi sento inquieto. Ho paura che ci sia qualcosa sotto.”

Merlin vide Mattew chinare il capo e cacciare un lungo sospiro. “Non lo so… potresti aver ragione come potresti avere torto. In fondo non ci sono elementi che lascino pensare il contrario di quello che dice Arthur.”

“Sì ma…”

“Avanti, cerchiamo di essere positivi.” Lo interruppe il professore sorridendogli. “Siamo troppo abituati a vedere il marcio, magari questa volta non sarà così.”

Merlin lo fissò per alcuni istanti, in silenzio. Nella testa aveva la tempesta e mille cose da dire, tante ipotesi da fare. Non credeva alle parole di Mattew, non riusciva a tranquillizzarsi e ad essere positivo, come diceva lui. Mattew non comprendeva i suoi dubbi, era chiaro.

Perciò alla fine decise di lasciar perdere. Sospirò e così rilassò anche le spalle in tensione.

“D’accordo. Vedremo cosa succederà.”

Poco dopo anche Mattew scivolò nel sonno e Merlin restò da solo con i suoi pensieri. Nelle orecchie solo il rumore delle ruote sul terreno e del vento che sferzava il fuoristrada.

Trascorsero alcune altre ore di viaggio e poco prima dell’alba, quando ormai il cielo aveva iniziato a schiarirsi, le due gip si fermarono ad una manciata di chilometri da Camelot. La riserva di energia raccolta dal sole e utilizzata durante la notte per continuare il cammino era ormai agli sgoccioli, inoltre i soldati che avevano guidato avevano bisogno di risposare un poco.

Si fermarono perciò in una radura, chi per sgranchirsi le gambe e chi per sonnecchiare sul tappeto erboso per recuperare le forze.

Arthur, Claude e Mattew vennero svegliati dai soldati e si stiracchiarono dopo la lunga dormita. Merlin invece, non aveva chiuso occhio ma non lo diede a vedere e fece finta di destarsi anche lui come gli altri.

Solo quando scesero dal fuoristrada, Arthur fece andare avanti Mattew e Claude e trattenne Merlin per un braccio.

Il mago lo guardò con aria interrogativa e restò sorpreso nel notare l’aria sera che gli dipingeva il volto. “Arthur, cosa è successo?”

“Tu non vieni a Camelot.”

L’ordine perentorio – perché il tono fu proprio quello da sovrano – provocò perplessità e stupore nell’animo del mago, che per un attimo cercò di capire cosa gli fosse preso. Poi il pensiero che riguardasse quella stupida paura che così fosse in pericolo, tramutò lo smarrimento in rabbia.

“Vi ho già detto che so difendermi.”

“Non è per quello. Ma tu non hai fiducia in me né in quello che rappresento. E non voglio che gli altri pensino che stiamo andando a fare una stupidaggine.”

“Io non penso questo.”

“Sì, invece. Ti ho sentito prima, con Mattew.”

“Ma io-“

“Non voglio sentire ragioni, Merlin, ormai ho deciso. Tu resti qui. Una volta risolta la questione ti farò venire a prendere.”

Lo stregone sentì la rabbia montargli e quella sensazione di ansia si acuì maggiormente, assieme alla paura. “Sono solo dei dubbi i miei, avrò il diritto di nutrire delle preoccupazioni, no?!” riuscì finalmente a dire. La presa del sovrano ancora sul suo braccio bruciava e si fece anche più stretta dopo quelle parole.

Arthur gli si accostò parlando con un tono risentito che gli ricordò tanto quello stesso che tanti secoli prima gli rivolse quando scoprì dei suoi poteri.

“Potevi rivolgerli a me, i tuoi dubbi. Ma tu non ti fidi mai di me.”

Le parole del re, ebbero l’effetto di zittirlo. Che avesse ragione? No… no! Lui si fidava ciecamente di Arthur! Però…

“Questo non è vero…” tentennò sulla difensiva. Sentiva il fiato di Arthur sulla faccia e la cosa lo innervosiva ancora di più, perché quel respiro era veloce, segno di una rabbia e un risentimento che lo infiammavano.

“Tu non ti fidi di me.” Ripeté il sovrano convinto.

“Non è vero!” esclamò allora Merlin, cercando di divincolarsi da quella presa ferrea. Inutile tentativo, perché Arthur strinse ancora di più e adesso gli stava davvero facendo male.

“Non mentirmi!” gridò e Merlin seppe per certo che tutti là fuori li ascoltavano. “Ogni volta, hai sempre fatto tutto da solo, vero? Quando dovevi salvarmi la vita, facevi l’eroe. Non hai mai condiviso le tue preoccupazioni con me, decidevi sempre per fatti tuoi.”

“Questo non è vero!” cercò di difendersi ancora il mago. In parte Arthur aveva ragione ma non per tutto. “Io vi ho sempre esposto i miei dubbi e lo sapete benissimo! Solo quelli che riguardavano la magia, li tenevo per me, per ragioni che mi sembra avessimo già chiarito!”

Invece no. Non avevano ancora chiarito nulla, forse non ci sarebbero mai riusciti. Perché in un modo o nell’altro, si tornava sempre a quel maledetto punto. Arthur avrebbe continuato a sentirsi tradito per altri secoli ancora e avrebbero potuto discuterne all’infinito senza mai venirne a capo.

Testone come un mulo, ovvio.

“E allora perché continui a farlo ancora?” la domanda era provocatoria e in Merlin ebbe l’effetto sperato, perché il mago strinse le labbra senza sapere cosa rispondere.

Già, perché? Perché invece di parlare con Mattew non aveva espresso direttamente a lui cosa lo preoccupava?

“Siete voi che mi avete ignorato in questi giorni. Non volevate sentire ragioni.” Replicò aspro Merlin e Arthur si incupì maggiormente, segno che stavolta era stato il mago ad aver colpito nel segno. Dopotutto era vero, il sovrano si era accorto del suo cambiamento di umore, poteva anche chiedergli il motivo.

Perché a momenti era così difficile comprendersi?

“O forse non mi ritenete più idoneo come consigliere? Sono giorni che mi vedete turbato, potevate chiedermi il perché ma voi siete troppo testardo per accettare qualcosa di diverso dal vostro pensiero!”

“Non mi offendere Merlin, non ne hai il diritto.”

“Sì che ce l’ho invece! Sono l’unico qui in mezzo che può dirvi le cose come stanno!”

“Ma non lo hai fatto!”

“Lo sto facendo adesso. Vi sto dicendo che non mi fido del vostro piano.”

“E io non mi fido di te! Sei senza magia e non credi nelle mie azioni, è inutile che vieni con noi-“

“Io non sono inutile!”

“E invece sì!”

Silenzio. Le parole più brutte che Arthur avrebbe mai potuto pronunciare nei suoi confronti, seguirono un lungo e tesissimo silenzio. Merlin davvero non poteva credere di aver appena assistito all’aver dato voce alla sua paura più grande.

“No… Merlin, ascolta-“ il sovrano che aveva mollato la presa sul suo braccio durante quello scambio agitato, aveva subito cercato di riacchiapparlo ma il mago si ritrasse e con un gesto secco del gomito, lo scacciò.

“Non voglio ascoltare. Siete stato abbastanza chiaro.”

Ignorò ogni altro tentativo dell’altro e con scatti veloci, fu fuori dai teloni del fuoristrada. Nella radura trovò tutti a guardarlo, immobili nelle loro posizioni. Merlin li ignorò, puntando insistentemente lo sguardo per terra e filò dritto verso gli alberi della foresta.

Voleva andarsene. Forse avrebbe fatto meglio ad andare a cercare la sua magia.

*

Non lo aveva visto più. Erano rimasti per altre due ore nella radura ma Merlin non si era fatto vedere. Mattew e Claude, spinti dalla preoccupazione erano andati a cercarlo nelle vicinanze ma poi erano tornati da soli e con l’aria abbattuta.

Arthur aveva fatto finta di niente. Dentro fremeva di rabbia certo, e un poco – ma giusto un poco… no ok, forse era anche un po’ di più – era dispiaciuto per quelle parole terribili che si erano detti. Soprattutto per quelle che lui, aveva detto. Solo pochi giorni prima, lo aveva rassicurato di essere indispensabile e ora gli diceva che era inutile?

Che idiota. Che grandissimo, stupidissimo idiota.

La verità era che nel sentire il discorso di Merlin e Mattew, mentre tutti credevano che dormisse, si era sentito ancora una volta preso in giro dalla persona che credeva la più importante sulla faccia di quella Terra martoriata.

Merlin era dubbioso su di lui e sui suoi piani ma invece di darne voce e di chiarire le preoccupazioni, aveva preferito tacere e anzi, persino confidarsi con estranei. Perché era innegabile, ma anche Mattew pur essendo diventato un buon amico del mago, non aveva la stessa importanza di lui.

Certo, questo era quello che credeva. Forse il mago – e un po’ troppo spesso ormai lo aveva pensato – non lo riteneva poi così importante e indispensabile come lo era Merlin per lui. Forse aveva sbagliato tutto.

La rabbia poi aveva fatto il resto e alla fine aveva dato aria alla bocca sparando le prime stupidaggini che non avevano fatto in tempo a passare dal filtro del cervello.

Al momento tuttavia, non avrebbe potuto fare altro. La spedizione doveva arrivare a Camelot e Merlin se n’era andato chissà dove. Lo avrebbe fatto cercare, una volta risolta la faccenda Pierre e poi avrebbero chiarito. Sì, non c’era altra soluzione.

Mentre Claude e Mattew ancora si voltavano indietro per controllare di non essersi sbagliati, la spedizione ripartì e poco più tardi, le due gip vennero inghiottite dagli alberi della foresta, tagliando qualsiasi possibilità di vedere ancora il mago.

Arthur si sentiva inquieto e con rabbia si rese conto che quelle preoccupazioni gliele aveva trasmesse Merlin, circa l’impresa che stavano per compiere. Sbuffò sonoramente e cercò di non pensare né a lui né a quello che si erano detti. Doveva rimanere concentrato sulla meta, quello era un momento importante, dannazione!

Trascorse neanche mezzora infatti, quando Camelot comparve sulla loro visuale in tutto il suo splendore. Arthur per un momento restò incantato a guardarla, dimentico di tutto, dei problemi e delle responsabilità.

Era così bella nella sua appariscente particolarità che ne era sempre andato fiero. In fondo non era stato grazie a lui che si erano potute costruire tutte quelle abitazioni? E che si erano recuperate le tecniche di irrigazione e di artigianato?

Arthur era diventato il Re perché aveva messo la sua stessa anima in quella città e in tutto il Regno e grazie a quell’impegno era stato ripagato. Per questo motivo non temeva nulla circa ciò che stava per fare.

Alla sua vista anche i soldati della Torre, la sua abitazione, avrebbero smesso di colpo di dare retta a Pierre e si sarebbero alleati con lui.

Quando giunsero all’entrata della città, le gip della base sfrecciarono senza problemi. Arthur non si mostrò subito in pubblico: il piano era quello di entrare nella Torre presentandosi come una comune squadra della base e poi una volta dentro, scoprire la sua vera identità.

Un piano semplice, efficace e sicuramente di effetto. Se solo quella preoccupazione all’altezza dello stomaco lo avesse lasciato andare… accidenti a Merlin!

I fuoristrada posteggiarono davanti l’entrata della Torre e lentamente scesero tutti, senza far notare il loro vero intento. Mattew quindi, che vestiva la tenuta della base, si presentò alle guardie poste all’entrata e con gentilezza indicò il gruppetto che lo seguiva.

“Proveniamo dalla Base, ci manda il Generale Dumas. Abbiamo importanti informazioni da dare al Re.” Spiegò. Arthur dietro di lui e con il capo coperto, fremette al pensiero che qualcun altro che non fosse lui potesse essere definito Re. Se in più si aggiungeva il fatto che si trattava di un vero traditore, la cosa lo infastidiva ancora di più.

“Avanti, sta per finire tutto.” Lo redarguì Claude sottovoce da sotto il cappuccio, intercettando i suoi pensieri. Arthur si chiese perché quell’uomo e tutti gli altri riuscivano a capirlo e invece Merlin era capace con la stessa facilità di fraintenderlo ogni volta.

Scosse il capo per non pensare per l’ennesima volta al mago e seguì il gruppetto che aveva avuto il benestare delle guardie e aveva fatto spazio affinché entrassero tutti nella Torre.

Arthur si guardò intorno, sentendosi finalmente a casa. Quella dimora era stata costruita interamente da lui e con l’aiuto dei suoi cittadini, aveva davvero lavorato sui mattoni e sulla calce, per poterla erigere. Un lavoro di cui era sempre stato pienamente soddisfatto, assieme a tutto il resto.

Senza neanche rendersene conto si ritrovò nella sala delle udienze e là, ad attenderli ecco il traditore: Pierre, colui che si faceva chiamare il nuovo Re. Claude accanto a lui trattenne il respiro e Arthur poté solo immaginare quali sentimenti agitassero l’animo dell’amico.

Prima che Pierre potesse dire nulla, si fece avanti e scoprì il capo. Subito anche Claude fece altrettanto e le guardie imbracciarono i fucili a fotoni.

Negli attimi che seguirono nessuno disse nulla. Arthur fissò con forza gli occhi stupefatti di Pierre e solo dopo diverso tempo, fu Claude a rompere il silenzio.

“Non sei stato molto bravo, Pierre.”

Il sovrano si fece più vicino al traditore, l’espressione del viso sempre più severa man mano che gli si accostava e poi si fermò, a pochi centimetri da lui, furioso e imponente, pronto a riprendersi ciò che gli spettava di diritto.

Quello però, che nessuno si attendeva, fu che Pierre di colpo mostrò un sorriso e gli occhi gli si fecero lucidi.

“Siete vivi…” mormorò con un tono che ad Arthur parve così… sollevato?

“Siete vivi…” ripeté e prima che qualcuno se ne rendesse conto, aveva abbracciato Arthur con foga e lo aveva stretto a sé.

Le guardie si erano mosse incerte e così Claude. Nessuno si aspettava quella reazione, perché tutti erano convinti di trovarsi davanti un traditore scontento del loro arrivo, certo non uno felice al punto da commuoversi.

Claude raggiunse i due e Pierre, notandolo, abbracciò anche lui, mentre Arthur lo fissava interdetto, non sapendo più cosa dire.

“Pierre, tu…” ma non poté aggiungere altro. Vide l’altro spalancare gli occhi scostandosi di colpo da Claude e dare una spinta a lui.

“Attento!” gridò e un attimo dopo era stato colpito da una delle guardie. Claude lo afferrò per le spalle, quando si accasciò gemendo e intanto anche Arthur urlava e guardava i soldati della base che gli puntavano le armi contro. Anche Mattew gridava e quando cercò di togliere il fucile ad una delle guardie, venne duramente colpito alla spalla.

“Ma che diav-“

“Scappa!!” Claude gli urlò contro, mentre si trascinava un Pierre ferito e sanguinante verso un lato della sala. “E’ a te che mirano, Arthur! Scappa via!!”

Non se lo fece ripetere un’altra volta, scartò di lato, evitando una scarica di colpi di luce che lo avrebbero sicuramente ucciso e mentre Claude lanciava alcuni incantesimi per disarmarli, il sovrano poté sgusciare via dalla porta d’ingresso.

Successe tutto in maniera così concitata che Arthur non si rese conto di cosa stesse accadendo, fino a che non si ritrovò a correre le scale della Torre a ritroso. Alle spalle si era lasciato i suoi compagni e metà di questi che avevano improvvisamente cercato di ucciderlo. Si sentì un verme a fuggire così ma al momento gli sembrò la scelta più giusta, inoltre non voleva sprecare nel modo più stupido il sacrificio dei suoi amici.

Era ancora immerso in quei pensieri, quando incrociò altre due guardie che senza neanche guardarlo in faccia, gli puntarono addosso due fucili a fotoni. Da quando nella Torre si trovavano tutte quelle armi? E la politica della non violenza dove era finita?!

Cercò di muoversi prima da un lato, poi dall’altro ma si rese conto con sgomento di non riuscire a fuggire. L’unica alternativa era tornare indietro ma in quel caso avrebbe trovato sicuramente ad attenderlo il plotone di prima.

Gemette di disperazione, pronto già ad essere impietosamente colpito, quando la situazione di nuovo cambiò. Un oggetto piuttosto familiare comparve sulle teste dei due soldati e l’attimo dopo le colpì con forza. I due si accasciarono al suolo e sulla sua visuale si ritrovò Merlin.

Merlin con la sua Excalibur in mano.

“Come…”

“Muoviamoci!” lo incitò il mago, che aveva il fiatone ma ancora abbastanza forza per arpionarlo e trascinarselo appresso. Arthur era ancora un poco scioccato ma si riebbe presto, ritrovando il suo proverbiale autocontrollo mentre percorrevano altre due rampe di scale.

Quando infatti, si orientò sulla loro posizione, trattenne la mano di Merlin che lo tirava e lo costrinse a fermarsi.

“Per di qua!” spiegò alla faccia interrogativa dell’altro, che poi lo seguì senza opporsi. “Ho fatto costruire delle vie di fuga dalla Torre.” Continuò Arthur e intanto correvano adesso per un corridoio  pieno di porte chiuse.

“Come diavolo hai fatto ad entrare?”

Merlin fece schioccare la lingua. “Ho usato quello che manca voi… il cervello!” sentenziò brusco, precedendolo nel passo e continuando ad impugnare la spada, che d’un tratto gli sembrò un peso complicato da portarsi appresso. Dopo averle lanciato uno sguardo infatti, la passò con un gesto secco al sovrano. “Dimenticavo, questa è vostra.”

Arthur la prese al volo e la impugnò sentendo l’antica forza invadergli la pelle della mano e risalire fino al braccio. Quando aveva con sé quella spada si era sempre sentito invincibile e nel tempo aveva anche accettato che fosse stata forgiata dalla magia e proprio grazie a Merlin.

Si tenne il commento maligno senza obiettare, conscio di essere stato molto più cattivo lui, poche ore prima e che non si meritava l’aiuto che lo stregone gli stava offrendo per salvargli la vita.

“Di qua!” indicò poi, seguito a ruota dal mago. Mancavano solo pochi metri, poi avrebbero imboccato un corridoio che apparentemente sembrava un vicolo cieco ma che invece nascondeva un passaggio sotto al tappeto.

“Eccoli!” il richiamo proveniva dall’inizio del corridoio in cui camminavano. Si voltarono di scatto e fecero appena in tempo ad evitare una scarica di fotoni, continuarono a correre per qualche altro metro e di nuovo vennero caricati di colpi. L’ultimo non riuscì a vederlo. Sentì solo Merlin che lo prendeva per le spalle e gli si piazzava davanti. Poi i suoi gemiti e gli occhi azzurri sofferenti fu tutto ciò che riempì il suo cervello.

Forse gridò, o forse l’urlo risuonò nella sua testa, non seppe dirlo. Tutto ciò che gli riuscì di fare, fu di trascinare il corpo di Merlin verso quell’unica disperata via di fuga, prima che i soldati potessero raggiungerli. Approfittò del polverone che i colpi mancati avevano creato, per girare l’angolo e imboccare il vicolo cieco.

Merlin gemeva sommessamente, mentre lui si sentiva morire dentro, come se uno dei colpi gli fosse penetrato nel profondo per bruciarlo e consumarlo.

“Perché l’hai fatto…? Perché…?” ripeté scioccato, mentre con fatica si liberava un braccio e apriva la botola. Si sistemò con un ultimo scatto il corpo di Merlin su una spalla e poi iniziò la discesa.

“Perché… maledizione… perché?” continuava, preoccupato dalle condizioni dell’amico che sapeva ferito gravemente. Sapeva solo che i suoi gemiti significavano soltanto che era ancora in vita e questo gli dava la forza di respirare e di continuare quella fuga disperata.

Quando si chiuse la botola dietro, seppe con certezza che dall’altra parte non avrebbero potuto accorgersi di nulla.

“Perché lo hai fatto?”

“Solo… per te.”

 

Continua…

 

Buonasera a tutti!! E’ ancora lunedì vero? Hahaha Scusate il ritardo con cui aggiorno ma davvero ho avuto un sacco di impegni nelle ultime settimane… però come promesso ecco il nuovo capitolo! ;) per chi non se ne fosse accorto ho anche aggiornato l’altra storia Two Weeks Notice, andate a farci un salto! :P

Tornando a noi. A chi vuole sapere che fine farà Merlo, non dirò nulla u_u

Spero piuttosto che continui ad appassionarvi ancora e ancora!

Vorrei chiarirvi giusto un punto, che ho notato avete chiesto in molte nelle recensioni (e mi scuso se non sono riuscita a rispondervi ma mi rifarò con le prossime! ;D). Molte mi hanno chiesto: ma non era meglio andare a recuperare la magia di Merlin e poi tornare a palazzo?

Bene, secondo Arthur no. Come per l’appunto si evince da questo capitolo, lui era convinto di trovare Pierre il traditore e di cacciarlo via, stop. Non c’era bisogno della potente magia di Merlin, perché quella avrebbe comportato un viaggio chissà dove senza mezzi né provviste e che al momento sarebbe stato inutile.

L’idea di Arthur era quella di recuperare il regno e poi di aiutare Merlin a fare altrettanto con la magia.

Ovviamente non hanno tenuto conto della mente diabolica dell’autrice che come al solito ha incasinato tutto,

Quindi che è successo?

A voi le ipotesi! :P

Intanto ringrazio tutti i lettori di questa storia e soprattutto chi prende un po’ del proprio tempo per lasciarmi un commento! Grazie quindi a Pandora86, brin leah, Catnip95, One Day_Painless, Lunaris e chibisaru81! A voi dedico il capitolo ;)

Un bacione a tutte e a prestissimooooo

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Come un tempo ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO

Capitolo 14

Come un tempo

Il crepitare del fuoco. Fu questo il rumore che Merlin avvertì quando la coscienza turbinò uscendo dall’oblio. Un rumore tranquillo, piacevole, che in qualche modo rasserenava il suo animo e gli consentì un risveglio senza traumi.

Sulle prime non ricordò dove si trovasse né cosa fosse accaduto, come se si fosse soltanto svegliato da un sonno notturno, uno dei tanti. Poi però, aprì gli occhi, perché i pensieri tornarono tutti assieme e con violenza. Nel mettere a fuoco le immagini, si accorse di trovarsi davanti un volto.

Il volto di Arthur per la precisione. Sollevato e… possibile che fosse commosso?

Sbatté le palpebre un paio di volte e quando fu finalmente in grado di vedere bene, il sovrano si era già scostato e no… probabilmente si era sbagliato: i suoi occhi erano asciutti e del solito colore celeste chiaro.

“Era ora che ti svegliassi.” Constatò burbero. Eppure il tono di voce per un attimo aveva vibrato di qualcosa che a Merlin parve… emozione.

Il mago cercò di mettersi seduto, una mano a reggersi la testa e l’altra che sosteneva il suo stesso peso. Cercò di guardarsi intorno e di fare mente locale su dove fossero ma non ne aveva idea. L’ultima cosa che ricordava prima di perdere i sensi era la schiena di Arthur che lo sorreggeva mentre portava via entrambi dall’attacco alla Torre.

“Dove…siamo?” chiese allora, notando solo in quel momento i muri fatti di pietra e la penombra.

“In un’area sotterranea della Torre. L’avevo fatta costruire per le emergenze ma non immaginavo mi sarebbe mai potuta servire.”

Merlin cercò di non dare peso a quel commento amaro. Spostò i piedi dalla brandina su cui era coricato, poggiandoli a terra e lanciò un’occhiata al sovrano che a braccia conserte, sedeva su una sedia di legno e lo fissava con aria contrariata.

 “Non credete che possano trovarci qui?” la domanda era legittima ma Arthur scosse con vigore il capo.

“Gli unici a conoscenza di questo posto sono Claude e Pierre… e a quanto pare nessuno dei due mi ha tradito… ammesso che siano ancora vivi.”

“Mi ricordavo male, Pierre era il traditore.”

Arthur sbuffò, alzandosi in piedi e solo allora Merlin capì che aveva atteso a lungo il momento per sfogare tutto il tumulto che aveva dentro e che adesso sarebbe esploso senza che lui potesse far nulla. Anzi, una cosa l’avrebbe fatta: ascoltarlo, come sempre.

“E’ che… non lo so!” esclamò infatti. “Anch’io credevo che fosse il traditore ma così non è stato! Mi ha salvato la vita nella sala delle udienze e quando mi ha visto… Merlin, quello non mi è sembrata la reazione di un traditore. E poi le guardie… hanno viaggiato con noi per tre giorni! Perché non ci hanno uccisi prima? Perché adesso?!”

Merlin restò in silenzio mentre il re continuava a parlare e a camminare su e giù per la stanzetta sotterranea. Distolse lo sguardo da lui tuttavia, spostandolo sulla mobilia spartana e sui suppellettili di necessità con cui era arredato il luogo e inghiottì quel senso di delusione che per un momento gli aveva chiuso la gola.

Anche lui gli aveva salvato la vita, no? Perché non diceva nulla?

Poi, di colpo si tastò il fianco, dove sapeva di essere stato colpito, si accorse di non avere alcuna ferita e spalancò gli occhi con sorpresa.

“Come-come sono guarito?” domandò di getto, interrompendo lo sciorinare agitato dell’altro, che per un momento si fermò a guardarlo seccato e poi allargò le braccia in segno di inconsapevolezza.

“Da solo. Non lo so… hai fatto tutto solo.” Il tono si calmò e Merlin poté di nuovo notare nei suoi occhi un lampo di paura, come se Arthur avesse appena ricordato un momento terribile.

Ricacciò qualsiasi ipotesi al riguardo, perché la sua mente adesso era tutta rivolta a quel mistero. Se era guarito da solo, allora era stata la sua magia a farlo… la stessa magia che credeva non avesse più. Insomma, quando mesi prima era stato colpito da quel cane bicoda sul lago di Avalon ci aveva quasi lasciato le penne e poi era stato Joan a curarlo.

Perché stavolta la sua magia aveva funzionato?

Mosso dall’entusiasmo si concentrò e cercò di scagliare un incantesimo ma senza risultato. Provò ancora e ancora ma la magia non fluiva in lui, esattamente come da quando si era risvegliato.

Arthur si era zittito e per tutto il tempo lo aveva guardato come in attesa. “La tua magia… è tornata?”

“No.” Il tono amareggiato fu difficile da nascondere. “Però è strano che la ferita si sia curata da sola.”

“Ho visto un lampo di luce e poi non avevi più niente. Però non ti sei risvegliato e… sì, insomma, ho temuto che fosse troppo tardi.”

La voce vibrò ancora, Merlin stavolta non poteva essersi sbagliato. Ricambiò lo sguardo del sovrano per alcuni lunghi istanti e incrociando quel celeste si rese conto di tutto ciò che voleva trasmettere.

Non c’era bisogno delle parole, Arthur a modo suo lo stava già ringraziando.

“Forse la tua magia adesso ci farebbe comodo.” Sentenziò quando i loro occhi tornarono a volgersi altrove perché uno strano quanto inspiegabile imbarazzo si era insinuato con insistenza.

“Penso sia giunto il momento andare a riprenderla.” Merlin si alzò in piedi, rendendosi conto di essere abbastanza saldo sulle gambe. “Ho rimandato per troppo tempo.”

Arthur per un momento chiuse gli occhi ma poi non mostrò altre reazioni, per cui Merlin continuò. “C’è qualcosa che ci sfugge di tutta questa storia e penso di sapere di cosa si tratta.”

Il sovrano tornò a guardarlo avido di sapere e Merlin quasi trovò da ridere, perché cambiava il secolo ma lui restava sempre lo stesso sovrano che dava fiducia a chi poi finiva per tradirlo.

“Se c’è di mezzo la magia, allora c’è solo un’altra persona che potrebbe essere implicata nella presa del regno.”

E finalmente Arthur capì. “Cassandra.”

*

Uscire da Camelot non fu difficile. Quando Arthur aveva progettato la Torre, non aveva tralasciato niente al caso, per cui aveva pensato anche a delle possibili vie di fuga per ogni evenienza. Sapeva benissimo quali pericoli potesse correre un sovrano: pur essendosi ritrovato in una società che ripudiava la violenza, dopo averne subita fin troppa, non si era scordato quanto instabile potesse essere l’animo umano.

Per quel motivo aveva scelto di costruire – d’accordo con i suoi amici e consiglieri di cui si fidava ciecamente – alcuni passaggi per proteggersi da eventuali attacchi e anche per muoversi attraverso e fuori Camelot senza difficoltà.

Una volta tanto, ci aveva visto giusto. Già, una.

Perché erano tutte le altre, il problema. Era sempre stato così in fondo, lui che si fidava delle persone sbagliate, lui che prendeva le decisioni sbagliate, lui che faceva le cose sbagliate.

Ogni dannata volta, da che aveva ricordo. Persino nella sua vita precedente, quante volte si era ritrovato nei guai per i suoi errori?

Morgana, Agravaine, Mordred… e questi erano solo la punta dell’iceberg. Il suo passato era costellato di sbagli e di intoppi… l’ultimo dei quali lo aveva persino portato alla morte.

E adesso, nel futuro? Non era cambiato nulla. Prima Pierre, adesso Cassandra. A quanta altra gente ancora avrebbe permesso di approfittarsi della sua fiducia?

Erano questi i pensieri foschi che annebbiavano la mente di Arthur, mentre il fuoristrada correva tra la boscaglia nella notte. Il mezzo lo avevano trovato nascosto appena fuori l’uscita del cunicolo sotterraneo che li aveva portati fuori da Camelot. Anche quella era stata una preoccupazione del Re, forse inconsciamente aveva imparato a non fidarsi ciecamente degli altri e quelle attenzioni che aveva avuto nella costruzione della Torre e che gli avevano permesso la fuga, ne erano la prova.

Che avesse imparato la lezione?

No. Se l’avesse fatto, sarebbe stato più attento a chi si circondava.

Dannazione, Cassandra aveva sogni premonitori, quasi sicuramente faceva pratica di magia, perché diamine non aveva mai pensato che potesse rappresentare un pericolo?

L’aveva lasciata da sola alle redini del Regno, accidenti! Come aveva potuto essere così stupido?

“Pensare troppo vi fa male.”

“Non sei il primo che lo dice.”

“Forse perché abbiamo ragione.”

Merlin lo stava guardando insistentemente grazie alla luce di una lampada elettrica lasciata accesa sui sedili posteriori. Lui fissava la strada che sfrecciava davanti al fuoristrada in corsa tra i boschi, le mani sul volante strette con foga tanto che le nocche si erano sbiancate. Arthur fu certo che per un istante lo sguardo del mago era caduto su quel particolare e poi era tornato a guardarlo.

Arthur non rispose alla provocazione, eppure si sentiva combattuto: da un lato percepiva quel bisogno impellente di buttare fuori ogni cosa che lo tormentava dentro; non sapeva come, parlando, gridando o anche dando semplicemente colpi ben assestati a quel volante.

Dall’altro l’orgoglio gli impediva di lasciarsi andare, perché ammettere i suoi sbagli a se stesso era un conto, ma darne voce e mostrarsi così debole, era un altro.

“Non è colpa vostra.”

Arthur si lasciò sfuggire una risatina amara. Che stupido, aveva dimenticato di tener conto del “fattore Merlin”. Eccolo lì, che come sempre arrivava subito al punto, travolgendo qualsiasi difesa che Arthur erigeva con il mutismo e la rabbia silenziosa e leggendo la sua mente come un libro aperto.

Merlin sapeva sempre con una precisione svizzera, quando Arthur stava male e il perché. Era in momenti come quello che si sentiva meno solo.

“Non potevate sapere che Cassandra tramava contro di voi, aveva studiato un ottimo piano in fondo. Se voi e Claude non foste tornati indietro, il traditore sarebbe sempre rimasto Pierre.”

Arthur ancora non disse nulla. Merlin poteva anche avere ragione ma non cambiava il fatto che se lui fosse stato più accorto tutto quello non sarebbe successo. E non si riferiva soltanto alla perdita del suo trono, poteva essere in pericolo tutto il regno. Tutte quelle armi alla Torre… non gli erano piaciute.

“Arthur…” lo richiamò. “Non è colpa tua.”

Il sovrano fermò l’auto, inchiodando. Il contraccolpo li fece sobbalzare un poco in avanti ma le cinture di sicurezza frenarono i movimenti, tranne per la lampada dietro di loro, che rotolò sul fondo della gip, lanciando un bagliore inquietante nell’abitacolo. Si voltò a guardarlo, arrabbiato e deluso, le sopracciglia corrucciate tanto da sembrare un’unica linea e quel celeste illuminato dalla collera.

“Non cercare di addolcirmi la piccola, Merlin.” Il suo tono vibrò instabile e pronto al collasso, lo sapeva, tanto che il suono del suo nome sulla labbra si tinse di un’antica inflessione minacciosa, che non usava più da tempo immemore.

Il mago lo notò, perché sgranò gli occhi e fece per aprire la bocca pronto a dire qualcosa. Arthur però, sollevò un dito in segno di ammonimento così che Merlin fu costretto a tacere… per circa cinque secondi. Eccolo lì di nuovo, il “fattore Merlin”: quando mai quell’idiota aveva accettato di star zitto?

“Dovreste darmi ascolto una buona volta, invece di fare la solita testa di legno!”

“Merlin!”

“No, dico sul serio!” lo stregone ignorò bellamente il suo indice minatorio e si slacciò la cintura di sicurezza per poterlo fronteggiare meglio. Nello sguardo il sovrano poté leggere la solita determinazione che lo infiammava ogni volta che voleva far valere le sue ragioni. Praticamente sempre.

“Ora non voglio infierire, né ho intenzione di iniziare l’ennesima discussione con voi.” Puntualizzò e la cosa, dovette ammettere Arthur, gli spense un po’ di quella rabbia.

“Però credo che dobbiate smetterla di fidarvi di tutti tranne che di me.”

C’era tanta forza nei suoi occhi blu che Arthur ne rimase incantato. O forse era rimasto gelato da quella verità sbattuta in faccia con tanta veemenza.

Merlin aveva ragione. Si era fidato tante volte di gentaglia… quando poi alla fine l’unica persona che allontanava era lui. Il servo fedele. Colui che lo aveva atteso per duemila anni, sfidando le conseguenze, i pericoli e non per ultima la pazzia.

Qualcun altro avrebbe mai potuto tanto?

Arthur si bevve quelle parole abbassando definitivamente lo sguardo e sentendo sfiorire tutta la collera, come se la verità di Merlin fosse stato un secchio di acqua su un fuoco.

“Perché è così complicato?” gli sfuggì dalle labbra, un pensiero che aveva appena sfiorato la sua coscienza.

Sentì Merlin sbuffare una risatina ma preferì continuare a guardare con interesse il volante del fuoristrada.

“Cosa, fidarvi di me o non fidarsi degli altri?” c’era una nota stonata nella domanda dello stregone, come se fosse risentito e Arthur non poté biasimarlo. Era lui quello che sbagliava sempre in fondo, no? Rimase zitto, perché il senso di colpa che gli premeva in petto non gli consentiva di aggiungere parole su parole che avrebbero soltanto potuto affossarlo maggiormente.

“Arthur, volete o no fidarvi di me?”

“Merlin sono parecchie le persone che ho incontrato nella mia vita e che mi hanno tradito…” Merlin lo acchiappò d’istinto per una spalla e si sporse un po’ in avanti, pronto a far valere il contrario ma Arthur lo prevenne. “… ma tu non sei tra queste.”

Vide il mago richiudere la bocca e addolcire lo sguardo nel giro di un attimo. Gli occhi blu brillavano di una luce insolita colpiti dalla luce della lampada, sembravano quasi lucidi e il notare questo particolare, scaldò il cuore del sovrano alleggerendo un poco il peso che sentiva opprimergli il cuore.

“Non avrei dovuto farti credere il contrario…” constatò, reclinando il capo quando quell’incontro di sguardi divenne difficile da sostenere. La mano di Merlin ancora sulla spalla però, era calda e per qualche spiegazione a lui sconosciuta, lo rassicurava

“Ve l’ho detto, siete una testa di legno!” scherzò il mago. Un altro poco di calore e quel peso si fece ancora meno intenso. “Ma siete anche il migliore sovrano che questo mondo abbia mai avuto.” Ancora e ancora… da quando la voce del mago era diventata così rassicurante?

“E’ il vostro buon cuore che ogni volta vi ha fatto sbagliare ma non pentitevi di questo. Se non foste così non sareste il re del passato e del futuro.”

Ecco lì, il Merlin che ricordava lui. L’amico sincero e leale, quello a cui chiedeva consiglio e di cui si fidava un tempo. Le circostanze gli avevano fatto credere che fosse stato tradito anche da lui ma così non era stato. Ora lo aveva capito: Merlin non aveva mai pensato nemmeno per un istante di ingannarlo, ogni sua azione, ogni sua parola, persino ogni sua omissione nel corso degli anni, si era poi rivelata a suo favore.

Merlin non lo aveva tradito mai, in duemila anni. Chi altri avrebbe mai potuto fare altrettanto?

Gli venne spontaneo sorridere, il peso sul cuore svanito e al suo posto quel piacevole calore rasserenante. Sollevò gli occhi su di lui e si godette l’immagine del mago che ricambiava il sorriso con uno dei suoi più ampi, di quelli che andavano da parte a parte delle sue enormi orecchie.

Aveva sempre trovato buffi quei sorrisi e anche un po’ idioti ma mai come in quel momento si sentì affezionato a quel movimento di labbra sincero che Merlin rivolgeva a tanta gente ma solo a pochi illuminati da una luce che il re avrebbe detto… magica.

Sì, Merlin aveva il sorriso magico.

“Muoviamoci… dobbiamo farti ritornare un mago decente.” Esordì, riprendendo in mano il volante con un gesto secco e premendo il pulsante di accensione.

“Correggetevi, il più grande mago di tutti i tempi.” Ribadì piccato lo stregone, lasciando andare la sua spalla. Arthur per un lungo momento sentì freddo, come quando nelle mattine d’inverno, esci fuori dalle coperte del letto perdendo tutto il tepore della notte.

“Fino ad ora sei stato il più grande idiota di tutti i tempi, mi pare. Hai mancato il mio risveglio e ti sei pure perso per strada i tuoi poteri.” Lo rimbeccò con un tono che Arthur non usava da diverso tempo. Era quello che rivolgeva solo a lui, quando ancora non sapeva nulla della sua magia e lo considerava l’unica persona su cui contare, però non mancava mai di rimproverarlo, protagonista di un gioco che lo divertiva e lo rasserenava. Come adesso.

E Merlin lo capì… o lo ricordò, forse, perché rise di quella sua risata un po’ ebete e si rilassò sul sedile, tornando a guardare la strada.

*

“Merlin, che stai facendo?”

“Raccolgo margherite.”

“Mi prendi per stupido?”

“Se fate queste domande, direi di sì.”

Arthur lo stava guardando male. Ma non di quel male che ultimamente tanto lo aveva tormentato. Era quel male che non era male, quell’occhiata storta che sapeva di finto rimprovero e che sotto sotto celava semplicemente un desiderio di stuzzicarsi a vicenda, giusto così per passare il tempo.

O per celare in realtà parole più affettuose che diversamente non avrebbero mai visto la luce.

Merlin aveva ritrovato con piacere, quel gioco di risposte che tanto gli era mancato. Da quando si erano ritrovati ne erano successe di ogni e il loro rapporto aveva avuto degli alti e dei bassi colossali con picchi paragonabili ad una montagna russa.

Sì, la metafora calzante era proprio quella. Merlin si era sentito per tutto quel tempo come quando secoli prima aveva sperimentato l’ottovolante per la prima volta in vita sua. Nemmeno sul dorso di Kilgarrah era stato così… spiacevole. Tutto quel su e giù e poi le curve paraboliche e i giri della morte, quando era sceso aveva avuto la nausea per un sacco di tempo e poi si era ripromesso di non salirci mai più.

Ecco, avere a che fare con Arthur negli ultimi mesi, era stato un po’ come salire di nuovo sulle montagne russe. Inutile dire che ne era uscito stravolto.

Eppure come quella volta si era a poco a poco sentito meglio fino a che non era passato tutto, anche con Arthur era successa la stessa cosa.

Certo, c’era stato bisogno che lui rischiasse la vita un paio di volte e che se ne dicessero di tutti i colori. Ma alla fine tutto era tornato a posto.

E quegli ultimi giorni di viaggio ne erano stati la prova. Merlin si era accorto fino a che punto il rapporto con il sovrano si fosse rinsaldato da quel gioco di botta e risposta che avevano ricominciato a fare. Una danza senza sosta che li divertiva e li rasserenava e celava dietro tante cose.

C’erano voluti tre giorni di viaggio per tornare alla base, tanti quanti quelli all’andata. Non fu facile, alternandosi alla guida – Merlin alla fine aveva imparato a maneggiare la gip, dopo essere stato riempito da innumerevoli frecciatine di Arthur a riguardo –, riposando poco e fortunatamente senza rompere il dispositivo di accumulo di energia solare.

Una volta raggiunta la meta però, avevano deciso di non allarmare il generale ma soprattutto di non avvisare nessuno del rientro del re. Merlin temeva infatti, che qualche incantesimo fosse stato lanciato anche lì da Cassandra e visto che probabilmente erano ricercati, sarebbe stato meglio evitare di mettere i manifesti sul loro ritorno.

Con un po’ di astuzia però, Merlin riuscì a presentarsi alle guardie poste all’entrata dicendo di essere un lontano parente di Joan Devereux e di essere stato mandato lì per trovarlo.

Le sentinelle, che non conoscevano Merlin e che non trovarono niente di pericoloso nella richiesta, chiamarono Joan e gli consentirono un incontro privato. Il vecchio e brutto soldato accolse con sorpresa lo stregone che prima di rischiare la sua copertura, lo abbracciò e gli sussurrò in un orecchio di stare al gioco.

Una volta soli, Merlin poté spiegargli tutta la storia e chiedergli aiuto. L’uomo dalla faccia più brutta che il mago avesse mai visto, si dimostrò molto disponibile, soprattutto considerato che anche il suo migliore amico Mattew era in pericolo assieme a tutti gli altri.

“Ti fornirò provviste e armi, non preoccuparti.”

Joan chiese loro un giorno per poter radunare il necessario senza farsi scoprire e poi concordò con Merlin un appuntamento. Di fatto, avrebbero dovuto rincontrarsi al di fuori della base, là dove si erano nascosti, alle prime luci dell’alba.

Erano lì, in attesa del soldato, mentre Arthur faceva domande stupide, probabilmente per celare un certo nervosismo. Joan infatti, era in ritardo.

Merlin per non pensare, aveva iniziato un gioco con dei sassolini. Ne prendeva in mano un paio, li faceva volare in aria e prima che questi gli ricadessero sul palmo, doveva raccogliere un altro sassolino. Quando questi diventavano tre, ripeteva il gioco, finché i sassi non cadevano a terra.

Era un gioco di velocità e di riflessi e che in quel momento lo distraeva dall’attesa. Peccato per il re… aveva scordato quanto fosse irritante quando voleva attenzione.

“Stai giocando.”

“Grazie, non me n’ero accorto.”

Arthur si era seduto accanto a lui su una roccia e lo fissava tutto impettito, con le braccia incrociate. Merlin intanto, era riuscito a far volare quattro sassolini e a prendere il quinto. Bene! Non era mai arrivato a tanto.

“Il tuo amico è in ritardo.”

“Lo so.” Merlin si chiese se rispondere con quel tono apatico avrebbe fatto desistere il re dal dargli fastidio. Speranza vana.

“E tu stai giocando.”

Ora doveva soltanto fare un lancio deciso, se ce l’avesse fatta, avrebbe battuto ogni record. Ignorò il sovrano e caricò il pugno…

“Merlin!”

I sassolini volarono da tutte le parti, troncando ogni possibilità vincente. Merlin si morse le labbra infastidito e sollevò sbuffando il busto per andare ad incrociare lo sguardo del re.

“Sì, sire?” biascicò a denti stretti. Non lo chiamava mai Sire, tranne quando doveva usare il suo tono di scherno, quello preferito che usciva fuori solo con lui.

“Ho detto che il tuo amico è in ritardo.”

“E cosa vuole che faccia, sua regalità?”

Arthur ci pensò su. “Intanto smetterla di prenderti gioco di me.” Asserì con una serietà che per Merlin non era mai stata definibile realmente tale.

“Mhmmm qualcos’altro?” domandò il mago senza tralasciare il tono pungente e quindi ignorando totalmente il comando.

“Dirmi dove stiamo andando, direi che è un’alternativa accettabile.”

Merlin rilassò le spalle e smise di fare l’idiota, come era solito far notare Arthur. Fu il suo turno di fare il serio e stavolta per davvero.

“A riprendermi la magia, ve l’ho già detto.”

“Sì ma non mi hai detto esattamente dove. Dobbiamo affrontare un viaggio nel deserto, Merlin, vorrei soltanto sapere qual è la nostra meta.”

Il mago sospirò. D’accordo, glielo doveva dopotutto… e poi adesso non avevano ripreso a fidarsi l’uno dell’altro?

“La verità è che non lo so nemmeno io di preciso.” Arthur sollevò entrambe le sopracciglia e Merlin si affrettò a rispondere prima che male interpretasse. “Nel senso che, una mezza idea ce l’ho. Quando giorni fa ci siamo avvicinati alla base, ho sentito qualcuno che mi chiamava.”

Fece una pausa. Arthur non mosse un muscolo, né disse niente, ascoltava attento e il modo concentrato con cui lo guardava lo fece sorridere impercettibilmente.

“Sospettavo fosse la magia ma dopo quello che è successo quando sono stato ferito… beh, credo che non sia stata propriamente la mia a chiamarmi. Quella credo sia ancora in me dopotutto, forse addormentata… altrimenti non potrei spiegare perché sono guarito così di colpo.”

“Va’ avanti…” lo esortò il sovrano e intanto annuiva. All’accenno della ferita Merlin aveva notato che si era un attimo rabbuiato ma poi quell’ombra era svanita e sulla faccia era rimasto quel broncio attento che di solito Arthur assumeva quando doveva pensare.

“Credo che chiunque mi stia chiamando, sappia la risposta a tutte queste domande… e beh, a questo punto penso anche di sapere di chi si tratta.”

Scoppiò in una mezza risata, mentre lo sguardo si perdeva tra le pieghe dei ricordi sopiti dal tempo. Ricordi di un’altra vita e di un’altra epoca. Eppure per la prima volta in due secoli, la memoria non si era tinta di malinconia e Merlin sapeva il perché.

“Ho la sensazione che non ne sarete contento.”

“Per quale motivo?”

“Perché andiamo dalle Disir.”

Continua…

 

Buonasera! ^^ Come sempre buon lunedì! Allora, capitolo di passaggio ma secondo me anche uno dei più importanti. Questo capitolo segna definitivamente il riavvicinamento tra Arthur e Merlin. Basta litigi, posso affermare che se mai nel futuro litigheranno, non sarà mai più per questioni di fiducia!

Cosa ne pensate voi?

Sul serio, sono molto curiosa di conoscere i vostri pareri, riguardo un po’ tutta la faccenda e le situazioni in sospeso che ci sono! Perciò vi rinnovo sempre il mio invito a COMMENTARE! Sul serio, ci tengo molto =)

Intanto ringrazio col cuore tutti i lettori silenziosi, chi ha inserito questa storia tra le seguite e le preferite e soprattutto chi la commenta! A voi grazie davvero, perché mi spronate tantissimo, soprattutto a mantenere fisso questo aggiornamento (salvo qualche strappo alla regola ma concedetemelo ^o^)

Un grazie quindi a Pandora86, brin leah, chibisaru81 e One Day_Painless!

Al prossimo capitolo mie care, che se tutto va bene si intitolerà “Io vorrei… non vorrei.” ^^

Baciiii

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Niente ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO


Capitolo 15

Niente

 

Merlin era esausto. Sul serio, da quanto stavano lottando contro quella creatura?

Aveva l’aspetto terrificante di una tarantola… il che già implicava un certo orrore. Ma se poi si aggiungeva che la bestia superava l’altezza di quattro metri… beh.

E poi quando voleva decidersi a morire?

“Merlin, attento!” il richiamo di Arthur lo scosse dalle sue lamentele. Pur essendo stanco, scartò di lato per evitare uno spruzzo di dubbia origine proveniente dalla bocca della creatura. Scivolò sulla sabbia del deserto e premette il grilletto del fucile a fotoni, mirando ad una delle otto zampe che ancora sembrava in buone condizioni. Il colpo andò a segno a la tarantola cedette su un fianco, perché tutte le altre tre zampe erano già abbastanza compromesse.

A quel punto fu facile per Arthur, puntare la sua arma contro il ventre della creatura, il suo punto debole.

Un istante dopo stavano osservando il ragnone contorcersi in maniera inquietante a pancia in su tra stridii che a Merlin fecero accapponare la pelle.

Solo quando smise di muoversi, il mago tornò a respirare. Fino a quel momento non si era reso conto di star trattenendo il respiro. La verità è che quell’assalto lo aveva spaventato, la bestia era davvero orrida ed era comparsa all’improvviso tra le dune di sabbia, quasi rovesciando il loro fuoristrada.

Ora il mezzo giaceva a qualche metro da loro con una ruota forata e chissà cosa fuori posto. Merlin se ne preoccupò subito dopo, quando abbandonando l’attenzione dalla creatura, venne catturato dal brillio dello specchietto che rifletteva il sole.

“Sono esausto…” mormorò Arthur sbuffando e avvicinandosi a lui.

Merlin ricambiò il suo sguardo stanco con un’espressione altrettanto distrutta e annuì brevemente. “L’auto… speriamo sia tutto ok.”

Arthur serrò la mandibola constatando da lontano lo stato della gip. “Accidenti!” probabilmente si era accorto della ruota a terra. Intraprese una corsa e in un attimo fu vicino al fuoristrada che almeno non cacciava fumo da nessuna parte. Merlin osservò il re girare intorno al mezzo per controllarlo, poi si sedette al posto di guida e provò ad accenderlo.

Funzionava. E Merlin di nuovo si era accorto che tratteneva il respiro.

Aveva viaggiato a piedi al confine col deserto per giorni e non era stata un’esperienza piacevole. Di certo rivivere quell’esperienza nel bel mezzo del nulla e senza magia, proprio non era tra i suoi desideri.

Quello che voleva invece era trovare quelle dannate Disir… sempre ammesso che fossero state loro a chiamarlo. La verità è che non ne era più tanto sicuro, nei due giorni in cui avevano viaggiato nel deserto, aveva sentito pochissime volte ancora quel richiamo e in base a quello aveva scelto la sua direzione, guidato da un istinto che lui avrebbe definito “primordiale”.

Ma a momenti quell’istinto non gli sembrava poi tanto certo, a volte aveva temuto si fosse trattato solo di un alito di vento, altre volte della sua immaginazione. E se si fosse sbagliato? Se non erano le Disir a chiamarlo? In cosa si stavano cacciando?

Arthur lo aveva seguito senza altre domande. Si era fidato lui, finalmente e questo aveva reso molto contento Merlin, perché anche quella era stata una dimostrazione che ogni cosa era tornata come era un tempo.

E anche se in quei due giorni avevano viaggiato quasi alla cieca, guidati da qualche vocina che Merlin sentiva nella testa, Arthur non aveva opposto obiezioni particolari. Si era limitato a prenderlo un po’ in giro ma poi lo aveva seguito e basta e si era prodigato per sopravvivere a quel viaggio.

Erano già stati attaccati per ben tre volte in soli due giorni e Arthur aveva sempre combattuto al suo fianco e con coraggio, senza pentirsi mai della scelta di seguirlo. SI era lamentato, certo e anche piuttosto spesso.

Ma d’altronde Arthur era pur sempre Arthur e Merlin sapeva benissimo quando il re si lamentava solo per il gusto di farlo e quando invece era coscienzioso. In quei giorni il suo unico scopo era stato quello di punzecchiarlo e sfotterlo e nient’altro. Per cui il mago aveva sopportato tutte quelle lamentele, rispondendo a tono e senza prenderlo sul serio.

Era soltanto lui che non si prendeva sul serio.

“Funziona!” il sovrano aveva un sorriso contento e soddisfatto, nonostante la fatica fosse ben visibile sul suo viso imperlato di sudore e sporco di sabbia. Gli occhi brillavano sempre, come se in tutto quel caos, lui riuscisse a trovare l’unico fattore positivo e ad esserne felice.

Merlin invidiava quel lato di Arthur, quello che lui diceva fosse dovuto alla sua asineria ma che poi in fondo gli dava una gran carica.

“Ora dobbiamo solo cambiare la ruota. Voi sapete come si fa vero?” domandò e Arthur per un attimo perse il sorriso. No, decisamente non lo sapeva.

“L’ho visto fare a Claude una volta. Non è difficile.” Sentenziò con forza, incrociando le braccia come era solito fare quando voleva apparire sicuro di sé. In realtà Merlin sapeva perfettamente che quell’idiota di un re non aveva la minima idea di dove mettere le mani.

“Figuriamoci, con la vostra attenzione non vi sarete nemmeno accorto che avrà usato la magia. Faremmo prima a cercare un libretto di istruzioni nel bagagliaio.”

Arthur fece schioccare la lingua indispettito. “Io so benissimo come si fa.” Replicò imperterrito e Merlin sollevò le sopracciglia per rivolgergli un’occhiata molto significativa. Davvero sperava che lui ci credesse?

Fece quindi per aprire la bocca per l’ennesima risposta a tono, quando si interruppe di colpo.

“Merlin!”

Le parole si bloccarono in gola senza più uscire e Merlin le inghiottì voltandosi di spalle e lasciando vagare lo sguardo tra le dune.

“Cos’è stato?”

“Le ho sentite.”

“Merlin!”

“Dove?”

Si voltò del tutto e fece qualche passo in avanti. “Sono vicine! Lo sento!” ed era vero (“Dove?!”). Qualcosa di diverso stava succedendo in lui, era come se fremesse, come se qualcosa di primordiale – come l’istinto – e profondamente antico, si fosse attivato in lui e nell’aria che respirava.

Tutto intorno, poteva sentirla. La magia.

“Vieni da noi, Merlin!”

“Sono qui.” Bisbigliò. Arthur dietro di lui continuava a ripetere “Dove?” e Merlin sollevò un braccio per zittirlo. Non era il momento quello per una replica, anche se dovette ammettere che le domande stupide avrebbero potuto scatenare tutta la sua fantasia.

Scosse il capo per non distrarsi e si fece più avanti, finché non poté vederla. Una piccola insenatura, una fessura nera che squarciava insolitamente una duna di sabbia. Da lontano e senza farci caso non avrebbero potuto notarla ma nel momento in cui si era sprigionata la magia, Merlin non si sarebbe potuto sbagliare.

Si voltò a sorridere al sovrano, mentre sentiva la magia pizzicargli la pelle e stuzzicarlo e la cosa lo eccitava. “Le abbiamo trovate.”

Arthur lo stava fissando, serissimo in volto e vagamente preoccupato. Merlin poté notare una gocciolina di sudore scivolargli dalla fronte lungo tutta la guancia e poi ciondolare per alcuni istanti sul mento. Non ebbe il tempo di chiedersi perché si fosse incantato in quel modo a vederla, scosse la testa mentre Arthur parlava con voce non del tutto ferma.

“Dobbiamo… entrare?”

“Non necessariamente.” Il tono del mago era inspiegabilmente calmo, la magia lo rassicurava al punto che non sentiva più la fatica né l’agitazione per l’attacco di prima. Eppure la tarantola era ancora lì vicino, anche se ormai esanime.

“Posso andare soltanto io. Voi restate qui a cambiare la ruota.”

Arthur lo studiò aggrottando la fronte e annuì lentamente. Doveva aver notato quel cambiamento in lui, perché continuò a fissarlo stranito per lungo tempo, anche quando lui gli diede le spalle e cominciò ad avviarsi verso la fenditura.

Con quel gesto si buttò alle spalle anche tutti i pensieri. Adesso aveva solo una domanda da porre alle Disir e voleva tutta la verità.

*

Ce l’aveva fatta… aveva mai avuto dei dubbi?

Arthur osservò compiaciuto il suo perfetto lavoro di cambio di ruota. C’erano voluti una buona dose di imprecazioni e diversi lividi sulle braccia, però alla fine ce l’aveva fatta. Ok, forse c’era anche voluta un’ora e ad un certo punto s’era pure perso un bullone ed era stato un quarto d’ora a cercarlo… però, diamine! Ce l’aveva fatta!

In barba a tutte le battutacce di Merlin che non si fidava del suo istinto di sopravvivenza. Lui, dopotutto era enormemente bravo quando doveva fare qualcosa che non aveva mai fatto, tipo cambiare una gomma del fuoristrada. Di fatti ora la gip era perfettamente funzionante e con una ruota nuova di zecca al suo posto.

“Bene… ora manca solo…”

Arthur fece vagare lo sguardo verso la duna in cui era svanito Merlin diverso tempo prima. Fino a quel momento le fatiche con la ruota di scorta lo avevano tenuto impegnato ma adesso che si era fermato, un pensiero preoccupato lo aveva assalito.

Merlin dov’era finito?

Era da un bel pezzo che era entrato dalle Disir e poi non ne era più uscito. Che fosse stato in pericolo?

Di colpo si sentì un profondo idiota: e se fosse stato tutta una trappola?! Se a chiamare Merlin non fossero state le Disir ma qualcuno che voleva fargli del male?

“Accidenti!” imprecò a denti stretti, affrettando il passo verso la duna e scorgendo quella piccola linea scura che pareva un passaggio. Stava quasi per addentrarsi, quando lo vide.

Una macchia allampanata che usciva all’aria aperta, i capelli neri e scarmigliati, lo sguardo basso e impensierito. Bastò una rapida occhiata per accorgersi che non aveva ferite addosso e la cosa lo tranquillizzò.

“Merlin!” gli andò incontro gridando. L’altro dapprima non reagì, continuò a camminare lentamente con l’aria assorta in chissà quali pensieri. Quando però fu a pochi metri da lui, all’ennesimo richiamo, il mago parve riscuotersi.

“Merlin! Stai bene?!”

Lo stregone gli rivolse uno sguardo stralunato, cosa che preoccupò un altro poco Arthur che si chiese cosa fosse accaduto in quella grotta.

“Hai incontrato le Disir?” provò allora, sperando che Merlin rispondesse una buona volta. Il mago finalmente annuì e Arthur cacciò un sospiro sollevato. “E… cosa ti hanno detto?”

Alla domanda seguì una reazione che Arthur non si sarebbe mai aspettato: vide gli occhi di Merlin sgranarsi al punto che tutta la fronte si riempì di pieghe; sollevò anche le spalle e le braccia che scosse con vigore, per potersi allontanarsi da lui.

“Niente! Non mi hanno detto niente!!” esclamò di getto, la voce che risultava più stridula di quanto Arthur ricordasse.

“Come sarebbe a dire niente, scusa? Non ti hanno detto come riavere la tua magia?” replicò il sovrano sorpreso, andando incontro a Merlin che faceva altri passi indietro. Le parole risuonarono nel cervello – probabilmente vuoto – del suo interlocutore per alcuni istanti e lui parve ponderarvi sopra, prima di riprendere il controllo e di cacciare un lungo sospiro.

Arthur poté osservare le spalle chiuse in se stesse e l’aria affranta che sfuggiva dal volto di Merlin.

“No.” Ammise infine il mago. “Non me lo hanno detto.”

Il silenzio fu tutto ciò che seguì quell’ammissione. Arthur fissò con insistenza ogni suo movimento ma Merlin non fece nulla, tranne sospirare ancora e ad un certo punto, scostarsi di lato per poter tornare al fuoristrada.

“Torniamo indietro.”

Il re non fiatò, si limitò a seguirlo e a rimettersi alla guida. Eppure dentro di lui qualcosa non quadrava. Era convinto che Merlin gli stesse mentendo.

Perché ormai lo conosceva fin troppo bene e aveva capito che il mago era il tipo di persona da anteporre a se stesso gli altri e soprattutto lui, ogni volta che c’era un pericolo. E poi quelle reazioni… una volta lo avrebbe dato per stupido e avrebbe fatto spallucce, ora invece era diverso. Ora sapeva che dietro i suoi comportamenti strambi c’era sempre qualcosa.

E sarebbe riuscito a cavare quel dannato ragno dal buco, di questo era certo.

 

 

Il fuoristrada camminava spedito già da diverse ore. Arthur alla guida aveva fatto finta di niente per tutto il tempo e aveva anche evitato di parlare con Merlin, nonostante quel silenzio quasi gli opprimeva le orecchie tanto era pressante.

Eppure se n’era accorto: Merlin di tanto in tanto lo guardava di sottecchi. Era come se lo stesse studiando, puntava gli occhi blu sul suo profilo per un po’ e poi di nuovo tornava a guardare la strada.

Arthur si chiese il perché, quando queste azioni si erano ripetute per la quindicesima volta. Che cosa passava per la testa di quell’idiota, era invece la domanda che frullava nella sua di capoccia.

All’ennesima occhiata, Arthur decise di torcere il collo verso di lui e di intercettare quello sguardo. Merlin se ne accorse e sgranò gli occhi, poi distolse subito l’attenzione lasciandosi sfuggire un’espressione imbarazzata.

Arthur si trattenne dall’arricciare le labbra e tornò anche lui a seguire la strada, non sapendo cosa pensare.

Che diamine gli avevano detto le dannate Disir?

“Merlin…”

“Torniamo a Camelot.” Il mago lo interruppe prima che potesse dirgli qualsiasi cosa. Non che Arthur avesse idea su come intavolare il discorso, visto che il mago era schivo e taciturno ma trovò comunque irritante quella presa di posizione.

“Che fai, li dai tu ora gli ordini?” chiese pungente, lanciandogli un’occhiata di sbieco. Lo vide stringere le labbra ed evitare accuratamente il suo sguardo.

“Sto solo proponendo di andare a Camelot.” Si corresse ma Arthur non poté non accorgersi dell’inflessione particolare con cui iniziò la frase. Era come se volesse replicare con il suo solito modo irriverente ma quello che ne uscì fuori fu solo una pallida copia.

“Ma senza la tua magia, come faremo?”

“Troveremo un modo.” Merlin adesso era risoluto. A quel punto però, Arthur già era arrabbiato ma cercò di trattenersi, perché sapeva che se gli avesse urlato contro, il mago non avrebbe scucito una parola.

“Cosa ti hanno detto le Disir?” provò allora, incalzante, i respiri erano lunghi per cercare di calmarsi.

“Niente.”

“Non è vero.”

La risposta fu così secca che Arthur poté vedere facilmente Merlin vacillare e tentennare nella risposta. “Niente di utile comunque.”

“Non posso crederci! Se ti stavano chiamando e ti hanno fatto fare un viaggio così lungo nel deserto non sarà stato certo per un saluto di cortesia!” esclamò Arthur, sentendosi profondamente intuitivo in tutta quella faccenda. “Avanti, cosa ti hanno detto… veramente?”

Merlin non rispose. Continuava a guardare ostinatamente fuori dal finestrino, le braccia incrociate e l’aria contrariata come di chi è costretto a fare qualcosa che non si vuole in nessun modo.

Merlin…” il suo tono, quello minaccioso. Ancora nessuna risposta.

Merlin…

Avrebbe continuato a chiamarlo per tutto il giorno se fosse stato necessario. Lo avrebbe convinto per sfinimento! Stava per pronunciare ancora una volta il suo nome, quando il mago adocchiò la strada davanti a loro – che lui al momento non vedeva – e sgranò gli occhi.

“Attento!”

Un grido, le mani del mago sul volante sopra le sue e poi un’ombra nera a coprire la visuale. Poi tutto divenne un turbine di lamiere e di immagini capovolte e furono rumori strani e dolore. Tanto dolore.

*

Merlin tossì con forza, avvertendo nuovamente l’aria prepotente dentro i polmoni. Per un lungo terribile momento era stato persino incapace di respirare ma poi tutto era tornato alla vita e il respiro, il battito del cuore, i pensieri. Tutto era tornato. E nell’abitacolo era solo.

Tossì ancora e ancora, cercando di muoversi e rendendosi conto di essere bloccato soltanto dalla cintura di sicurezza. Tutto il mondo era capovolto ma quando riuscì a staccare la cinghia, la forza di gravità fece il suo dovere e il corpo cadde di peso al suolo.

Non sentiva dolore da nessuna parte ma era ancora troppo scosso anche per emettere suoni dalla bocca. Con uno sforzo strisciò fuori dal fuoristrada e subito cercò di guardarsi intorno.

Aveva visto in un attimo cosa li aveva attaccati. Era stato uno di quei vermi giganti che già aveva avuto la fortuna di incontrare tempo addietro e che lo avevano lanciato contro il tronco di un albero. E in quel momento poteva avvertire di nuovo la stessa paura di quel giorno, i suoi sensi all’erta e nel naso quel puzzo terribile di rancido che ricordava provenire dalle fauci della bestia.

Prima di allontanarsi dalla gip, agguantò un fucile a fotoni riverso sul tettuccio ormai capovolto del mezzo e poi cercò a fatica di alzarsi in piedi. Il suo primo pensiero ovviamente, era stato individuare Arthur e con una muta preghiera a tutti gli dei dell’Antica Religione sperò che fosse ancora vivo e che l’incidente non lo avesse ucciso.

La sola idea lo fece tremare per cui strinse i denti e cercò con lo sguardo sia il verme che Arthur. Fu sconcertato nel constatare che non gli riuscì di vedere né l’uno né l’altro e per un momento il feroce pensiero che quella bestia avesse potuto mangiarselo, aumentò con un’impennata il suo terrore.

Non si azzardò a gridare, perché sapeva bene che quelle bestie venivano attirate dalle onde sonore che si propagavano nel terreno. Provò tuttavia a fare qualche passo in avanti, il cuore in gola e la bocca secca al punto da non riuscire nemmeno a deglutire.

Ancora alcuni passi in avanti, prima di scorgerlo. Arthur era riverso al suolo, immobile e con gli occhi chiusi, esattamente dall’altro lato del fuoristrada. Probabilmente quando il mezzo si era ribaltato, lui era stato sbalzato fuori e aveva perso conoscenza.

“Ti prego, fa che sia così… fa che sia così…” la sua flebile preghiera continuò, mentre con passi lenti e misurati cercava di raggiungerlo. Raggiunse il muso della gip a fatica, perché avrebbe voluto correre ma sapeva che il pericolo non poteva essere cessato.

Eppure si spaventò ugualmente quando il vermone comparve dal suolo all’improvviso, sbucando proprio davanti a lui. Cacciò un gemito strozzato e istintivamente strinse l’arma a sé e colpì in direzione della testa dell’animale.

Fu un colpo di fortuna certamente. Altrimenti come avrebbe potuto centrare in quel modo la sua bocca? La creatura colpita nel suo punto debole, venne sbalzata all’indietro e poco dopo morì contorcendosi sulla sabbia.

Merlin ebbe appena il tempo per riprendere il fiato, poi tornò a dedicare attenzione al suo re, che giaceva inerme sulla sabbia. Si inginocchiò accanto a lui, preoccupatissimo e con delicatezza lo voltò supino e gli prese il volto tra le mani.

“Arthur! Arthur!” la voce finalmente gli era tornata ma fuoriuscì bassa e gracchiante e dovette schiarirla prima di poter richiamare il sovrano.

Provò a scuoterlo ancora, prendendolo per le spalle per sollevarlo e con l’altra mano lo schiaffeggiò delicatamente. Per un attimo il ricordo indelebile di Arthur senza vita gli attraversò il cervello ma lui lo scacciò con forza e si tirò indietro anche quelle stupide lacrime che volevano uscire.

“Arthur, ti prego, svegliati!”

Il suo cuore batteva ancora, lo sentiva! Non doveva disperare. Il sovrano infatti, a poco a poco aprì gli occhi e per un lungo momento, si guardarono silenziosi: Merlin con il suo sorriso ebete e felice e Arthur semplicemente grato e sereno.

“Siete un idiota! Mi avete fatto prendere un colpo…” gli fece notare il mago, le braccia ancora intorno a lui e per niente intenzionate a mollarlo. Arthur si portò una mano alla testa che evidentemente girava fin troppo.

“Sono già morto, Merlin, non poteva succedere di nuovo così…”

“Resta che siete un asino testa dura! Potevate mettere la cintura di sicurezza!”

“Mi stai di nuovo dando ordini?”

“Certo che sì!” esclamò risoluto il mago e Arthur ridacchiò brevemente. Così come Merlin non si muoveva, nemmeno lui diede cenno di volersi sollevare da quella posizione.

Dopo un istante di silenzio, Arthur parlò ancora e il tono si fece grave. “Merlin… cosa ti hanno detto le Disir?”

E il mago si adombrò, ormai troppo stanco e provato per poter sollevare ancora le sua difese. Perciò non poté fare altro che dirgli i suoi pensieri. Non tutto ovviamente… perché Arthur non avrebbe potuto comprendere la verità senza compromettere ogni cosa. Di questo Merlin ne era convinto e poi le Disir erano state chiare a riguardo.

“Hanno detto…” tentennò leggermente. Arthur lo fissava in attesa e lui infine si decise.

“…che non sarà possibile. La mia magia non si risveglierà mai.”

 

Continua….

 

Ehilàààà!! Faccio ancora in tempo a pubblicare, tecnicamente è ancora lunedì per qualche minuto u_u

Allora! Ovviamente avevo tutta l’intenzione di tenervi sul filo del rasoio e non farvi sapere cosa hanno detto le Disir… secondo voi che cosa è successo là dentro? ^__^ hahaha

Avanti con le teorie! =P sappiate che son curiosa! Perciò COMMENTATEEEE!! Su su che lo so che ci siete u_u siete un sacco che leggete silenziosamente e di questo vi ringrazio ma se ogni tanto mi lasciate anche un commentino sarei più contenta :P

Detto ciò ringrazio anche tutti quelli che continuano ad inserire la storie tra le seguite e le preferite (e pure le ricordate ma ancora devo capire a che serve quella raccolta -.-) e soprattutto a chi prende un po’ del suo tempo per commentare!!

Un grazie sincero a Lucylu, Lunaris, brin leah, chibisaru81, Pandora86 e Pandina99! Vi adoro! *-*

Al prossimo capitolo! Che promesso stavolta si intitolerà sul serio “Io vorrei non vorrei” XD

Baci!


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Il momento giusto ***


Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!

 

IL MOMENTO GIUSTO

Capitolo 16

Il momento giusto

 

Qualcosa  non  andava, Arthur ne era certo. C’era un alone violaceo quasi all’altezza del fianco, lì dove la finiva la cassa toracica. Se n’era accorto fin da subito, perché faceva davvero male e ogni volta che tentava un respiro quel dolore si acuiva.

Dapprima Arthur non vi aveva dato molto peso, immaginò che nel momento in cui era stato sbalzato fuori dal veicolo, il suo fianco avesse cozzato contro lo sportello della gip oppure l’urto poteva essere avvenuto quando era atterrato sul terreno.

Aveva pensato si trattasse solo di un livido e seppur con cautela, si era rimesso in piedi e assieme a Merlin si era prodigato per allestire un campo di fortuna. Non che il mago gli avesse dato molto spazio, in realtà. Era più esatto dire che Arthur aveva tentato di aiutare Merlin.

Lo stregone si era imposto e gli aveva letteralmente ordinato di riposare, per cui gran parte del lavoro, dal costruire il falò alla realizzazione di trappole per la protezione del perimetro, lo aveva fatto Merlin, mentre lui borbottava seccato.

Ovviamente non aveva detto al mago di quel livido: lo aveva già visto abbastanza preoccupato, ammettere che forse si era pure ferito, lo avrebbe fatto agitare ancora di più. Quando però l’alone violaceo sul suo fianco si era allargato e con quello anche il dolore, Arthur aveva iniziato a preoccuparsi seriamente.

Ora era lì, sul suo giaciglio di fortuna a fare finta di dormire, mentre il fianco gli toglieva il respiro. Merlin si era offerto di fare l’intero turno di guardia, perché era così scosso che non sarebbe riuscito a dormire, aveva detto.

In realtà Arthur sospettava che fossero anche ben altri pensieri che lo tenevano così sveglio e lo agitavano.

Non si era del tutto convinto dell’ammissione del mago. “La mia magia non si risveglierà mai.” Gli aveva detto, eppure Arthur sospettava che ci fosse ben altro sotto e che quelle parole fossero frutto di una lunga riflessione dello stregone.

Probabilmente le Disir gli avevano detto altro e lui era arrivato a quella conclusione.

E mentre lo osservava da lontano, il suo profilo preoccupato fisso sulle fiamme del falò, si convinse sempre di più che doveva sapere. Almeno prima che…

Diamine, quanto doleva quel fianco. Mentre Merlin era impegnato a sistemare le trappole, aveva cercato la cassetta del pronto soccorso nel fuoristrada capovolto e l’unica cosa che aveva trovato era stata una di quelle medicine che Claude una volta gli aveva spiegato, servivano per gli infiammi.

L’aveva ingurgitata speranzoso ma l’unico effetto che aveva avuto era stato quello di un grande bruciore di stomaco che si era aggiunto al dolore.

Arthur era seriamente preoccupato, eppure aveva deciso di tacere a Merlin il suo stato. Cosa avrebbe potuto fare lui? Sì, un tempo era stato allievo del vecchio medico Gaius, ma allora si usavano piante e impacchi e poi la magia. Arthur era certo che spesso, le sue miracolose guarigioni fossero state opera del dono con cui era nato Merlin.

Ora invece, cosa avevano? Nel deserto, abbandonati, con un mezzo ribaltato che non ne aveva voluto saperne di smuoversi – e dire che Merlin ci aveva provato ma era così mingherlino, come avrebbe potuto da solo rivoltare un fuoristrada? –

Erano abbandonati a loro stessi e se Merlin avesse saputo della sua ferita, probabilmente sarebbe impazzito, perché la sua magia ancora non c’era.

Arthur non poteva dirglielo, non poteva. Eppure sapeva che qualcosa non andava. Le forze lo abbandonavano, lentamente, inesorabilmente. Come un lento stillicidio, sentiva che il suo corpo perdeva la vita, goccia a goccia.

Gli era già successo una volta… e poi era morto. Per cui sapeva benissimo a cosa andasse incontro.

E come allora, mentre tutto perdeva di importanza – il suo regno, i suoi affetti lontani, i suoi sogni – soltanto una cosa rimaneva lì, fissa nella sua mente. Solo quel volto appuntito e squadrato, quegli occhi blu che poche volte aveva visto tingersi d’oro, quelle orecchie assurdamente enormi.

Merlin era sempre lì, fisso e immobile nella sua mente provata. Neanche per un istante, perdeva la sua luce né i suoi contorni si sfocavano nell’immagine del suo pensiero.

E anche in quel momento come allora, accadde qualcosa che lo turbò. Arthur sentì la stessa identica sensazione, con la stessa intensità e lo stesso ardore: dispiacere.

Il re di colpo si rese conto di essere triste, perché se fosse morto, non avrebbe più potuto vedere Merlin.

Che pensiero assurdo! In fondo era lui che avrebbe perso coscienza, di cosa si dispiaceva? Per Merlin sarebbe stato molto peggio, perderlo ancora, dopo tanta attesa e tante peripezie.

Perché lui era così dispiaciuto del fatto di non poterlo rivedere più?

Ma soprattutto era così certo che sarebbe di nuovo finita in quel modo? Il destino che fine aveva fatto?

Arthur sospirò e chiuse gli occhi, avvertendo quella stanchezza aumentare.

Un ultimo pensiero prima di lasciarsi prendere dal sonno, qualcosa di profondo a cui non seppe dare un nome ma che sapeva solo di occhi blu e di casa.

*

La chiave per risvegliare la Magia è il Re.

Quante volte Merlin si era ripetuto quella frase, nelle ultime ore? Ormai era diventato un mantra, una cantilena che nella mente era risuonata ancora e ancora, senza dargli tregua.

La chiave per risvegliare la Magia è il Re.

Tante grazie. Le Disir avevano scoperto l’acqua calda. Merlin un poco sospettava che in tutta quella faccenda c’entrasse Arthur, perché altrimenti non si sarebbe mai potuto spiegare il fatto che quando era stato ferito per salvarlo, la sua magia si era per un momento risvegliata.

Un atto di affetto sincero, quello era stato il frapporsi tra lui e l’incantesimo. E quando Arthur lo aveva portato in salvo, terrorizzato di averlo potuto perdere e manifestando quindi a sua volta l’affetto per lui, ecco che la magia si era risvegliata.

Solo un momento, ovviamente. Perché poi era tornato l’imbarazzo tra loro, quel muro fatto di sfiducia e di frasi non dette e lei, la magia, se n’era tornata nel suo antro nascosto.

La Magia ritorna.

Le due facce della medaglia riporteranno la magia.

Ed ecco un po’, guarda caso il chiarimento con Arthur era avvenuto subito dopo. Finalmente niente più litigi, niente più imbarazzi. Solo Merlin e Arthur, come un tempo. Una e l’altra faccia di quella strana moneta che aveva attraversato i secoli e tutto ciò che era avvenuto nel mezzo.

A quel punto, non aveva di nuovo sentito la magia? Non era riuscito a trovare forse le Disir? C’era voluto un po’ certo, ma chi altri avrebbe potuto?

Certo non Claude. Insomma, era un mago, se le Disir avessero potuto, avrebbero usato lui per arrivare a Merlin. Ma là nella grotta erano state chiare, Merlin doveva raggiungerle, perché il destino si compisse. Ma senza il suo dono, non ce l’avrebbe mai fatta.

Allora la medaglia era tornata come prima.

Sbagli.

Una seguace delle Dea Triplice lo aveva quasi fatto sobbalzare, quando lo aveva inchiodato con quella replica decisa.

La medaglia non è mai stata una vera medaglia.

Ma come? Lui ed Arthur non avevano forse creato il regno di Albion? Non erano riusciti nell’intento tracciato dal loro destino? Non era forse stato Arthur un grande re per il suo popolo? E lì accanto a lui non c’era forse stato sempre il suo fidato Merlin?

Ti sei mai chiesto, sommo Emrys, perché il Destino ha condotto il Re alla morte?

Avevano parlato assieme, le Disir, quando gli avevano posto quella domanda. E Merlin aveva sbuffato ironico.

Oh, certo che se l’era chiesto! Non aveva fatto altro per un millennio, perdiana! Quante volte si era domandato, il motivo per cui Arthur fosse morto, proprio quando il suo percorso era giunto al momento più cruciale? Certo, dopo c’era stata Guineviere, che aveva portato avanti il Regno per lungo tempo, mantenendolo prospero e in pace, grazie anche alla presenza dei cavalieri sopravvissuti. Ma perché non era stato Arthur la guida per Albion?

La medaglia era imperfetta.

Fu un fallimento voluto dal Destino.

Merlin non ricordava le Disir così ovvie, sul serio. Non erano loro che dovevano dargli le risposte? Certo che fu un fallimento! Merlin lo aveva sempre saputo.

Non aveva senso tutto quello che era accaduto. Metterci anni e anni, per raggiungere un obiettivo che poi era sfumato in un battito di ciglia.

Allora perché lui era nato? E perché Arthur doveva ritornare?

Hai posto le giuste domande.

Ecco.

Non era il momento giusto.

Quelle parole avevano scosso profondamente l’animo dello stregone, perché era stato lui stesso a pronunciarle appena un millennio prima ad una certa Dama del Lago. Svegliami al momento giusto, le aveva chiesto.

E lui non si era risvegliato assieme ad Arthur ma ben sei anni dopo, in un altro momento che per lui era sempre sembrato sbagliato. Invece le Disir gli avevano detto tutt’altro.

Il Re doveva rinascere ancora.

Ora che quel momento è giunto, la medaglia potrà saldarsi.

Il Re è la chiave.

La Magia ritorna.

E senza più gli ostacoli del passato.

Il Destino farà il suo corso.

Ostacoli… quali ostacoli? Si era chiesto allora il mago, sopraffatto da quelle rivelazioni. Le Disir avevano taciuto e lui si era sentito molto stupido. Perché le sacerdotesse della Dea Triplice sapevano. Merlin aveva già capito quali erano stati gli ostacoli che avevano impedito la perfetta unione della medaglia.

A quel punto, lo stregone non aveva avuto alcun dubbio. E come se si fosse trovato davanti un puzzle fino a quel momento insolubile, tutti i pezzi erano andati al proprio posto, sbrogliandogli la mente.

Perché il re era la chiave e la sua magia poteva risvegliarsi soltanto grazie al profondo affetto che nutriva per lui.

Perché non ne era stato così scioccato? Perché nonostante le parole delle Disir lo avessero scosso, non si era dimostrato tanto sorpreso?

Possibile che in cuor suo Merlin sapesse già le risposte?

Eppure…

“Merlin!”

Un richiamo che lo riportò bruscamente alla realtà. Era tanto immerso in quelle considerazioni che aveva perso il respiro, quando Arthur aveva esclamato il suo nome.

E come riemergendo da un tunnel buio, il mago si era accorto all’improvviso del cielo azzurro e del sole appena sorto a est. Aveva rimuginato tutta la notte.

Si passò una mano appesantita sugli occhi e li stropicciò sperando di poter riavere potere sul proprio corpo in tempi brevi e di non crollare a terra per la troppa stanchezza. Perché si sentiva così esausto…

“Merlin, insomma!”

Arthur era in piedi, il corpo appoggiato pesantemente contro la gip ribaltata.

Il mago osservò per un lungo momento il fulcro di tutti i suoi pensieri e avvertì quell’insolita ondata di calore che lo coglieva ormai ogni volta che lo fissava, da quando era uscito dalla caverna delle Disir.

Fino a che punto, arrivava il suo affetto per il re?

Quella era stata un’altra delle domande che si era posto, durante la conversazione con le sacerdotesse. Eppure non aveva potuto darsi una risposta, non avrebbe dovuto pensarci, ancora, non dopo aver vissuto il resto della conversazione con le Sacerdotesse.

“Scusatemi, ero sovrappensiero. Come vi sentite?” domandò distrattamente, distogliendo lo sguardo e prendendo a raccogliere il bivacco. Ora dovevano decidere cosa fare e come muoversi, eppure la sua testa era ancora così piena della parole delle Disir che non riusciva a ragionare lucidamente.

“Sto… bene. Sto meglio.” Spiegò il sovrano e Merlin era troppo distratto per accorgersi del suo tentennamento. Continuò a raccogliere oggetti, lo sguardo fisso sulla sabbia e la mente altrove.

Se anche avesse dato una giusta definizione a quel gesto di affetto, le Disir erano state chiare.

Stai attento, sommo Emrys.

Ciò di cui parliamo avrà delle conseguenze.

Merlin non aveva esitato. Era sempre stato pronto alle conseguenze. Anche quel giorno di mille anni prima, quando la Dama del Lago lo aveva ammonito, che dormire con il re avrebbe comportato degli esiti imprevisti.

E di nuovo si era sentito uno sciocco. Perché ciò che rivelarono le Disir, lo avevano ugualmente colto impreparato.

La Magia ritorna ma ciò, avrà un prezzo.

La Magia è legata al futuro del re.

E’ stato il Destino a volere il Re del Passato.

Ma sarà la Magia a cancellare il Re del Futuro

Ricorda, sommo Emrys.

Ciò che il Destino ha fatto del Re, la Magia lo toglierà.

Stump. Fu un rumore sordo a catturare la sua attenzione. Poi la sua mente smise di macinare come un orologio e fu tutta per Arthur.

Il re giaceva a terra, con la faccia nella sabbia.

*

“Arthur… Arthur!”

Sentiva la sua voce. Così forte nelle sue orecchie, così piena. Così spaventata.

Il re schiuse le palpebre e tra il velo della febbre, intravide lo sguardo teso del suo compagno di una vita. Merlin… caro e stupido Merlin. Perché si preoccupava così tanto per lui? Perché lo aveva sempre servito con tanta dedizione? Perché aveva aspettato tanto il suo ritorno? Perché?

“Arthur!”

Lo richiamava ancora, sconvolto. Il re poteva sentire le sue mani sul volto, quelle dita lunghe e affusolate, i polpastrelli contro la sua pelle accaldata. Quelle mani erano fresche e accomodanti per lui, per un attimo pensò di volerle sul suo viso per sempre.

“Mi dispiace…” quelle scuse non le aveva previste, eppure erano sfuggite così dalle sue labbra secche, come se le parole fossero liquide e lui non riuscisse a contenerle.

Merlin lo accarezzò piano, le dita fresche gli percorsero la fronte e la guancia. Quanto trovava piacevoli quelle premure. “Di cosa vi dispiacete?”

“Non… non ti ho detto… niente…”

Il mago capì cosa intendesse, quando Arthur gli indicò il fianco ferito. Quelle dita rassicuranti si scostarono brevemente per sollevare la magia e constatare le sue condizioni e il re se ne dispiacque. Voleva ancora le mani di Merlin sul suo viso.

“Siete un imbecille… ma questo devo avervelo già detto.”

Caro Merlin, buono e coraggioso fino alla fine. Stentava un sorriso in quel momento, provava a fare del sarcasmo. Eppure i suoi occhi erano velati di lacrime, Arthur poteva vederle appannargli la vista e riempirgli l’incavo degli occhi.

Voleva continuare a guardarli ma Merlin li strinse forte, serrando la mandibola e d’un tratto intorno a loro si alzò un vento. La sabbia si sollevò da terra e le raffiche presero a fischiare con forza.

Merlin si fece avanti, coprendo con il proprio corpo quello del re e lo strinse forte abbracciandolo.

“Non tornare… ti prego… non tornare…” lo sentiva mormorare e il re non capiva. Chi non doveva tornare?

“Non ora… non se… ti prego, non tornare…”

Il vento continuò a turbinare forte, al sovrano parve di essere nel bel mezzo di una tempesta di sabbia, eppure neanche un granello colpiva lui o il mago, come se loro fossero al centro del ciclone… o forse più precisamente fossero il centro del ciclone.

La tempesta durò ancora alcuni minuti, poi così come era venuta, se n’era andata, riportando la quiete nel deserto intorno a loro due. E Arthur potè finalmente vedere: il fuoristrada era in piedi, magicamente rivoltato nel verso giusto.

Il sovrano lo rimirò, assieme a Merlin, che adesso si era sollevato da lui e fissava la gip turbato.

“Merlin… la tua magia…”

Lo stregone tornò a guardarlo, gli occhi azzurri ancora umidi, le labbra schiuse per un respiro veloce e troppo irregolare per poterlo trattenere.

Arthur in quei momenti si chiese se per caso Merlin non si riferisse alla sua magia. Era lei che non doveva tornare?

“Andiamo.” Fu sollevato di peso e lui strinse i denti, mugolando per il dolore. Merlin cercò di fare quanta più attenzione possibile ma doveva agire in fretta, per cui lo trascinò fino alla gip e, con una forza che Arthur sapeva, tirava fuori sempre nei momenti decisivi, lo caricò sul lato del passeggero. Poi si mise alla guida e acceso il motore, partì a tavoletta tra le dune.

“Dove andiamo?”

“A salvarti la vita. Andiamo ad Avalon.”

Chissà come mai sapeva già la risposta. Gli venne spontaneo lasciarsi andare ad una breve risata. Scostò la faccia spalmata contro il finestrino e si soffermò ad osservare Merlin. Il suo volto tirato, fisso sulla strada, le mani strette al volante con foga, la postura eretta di chi sta all’erta ad ogni minimo cambiamento.

Lo osservava Arthur e sorrideva. E mai come in quel momento, mentre capovolgeva il suo mondo ancora una volta e lo terrorizzava con le sue sorti, provò una forte emozione dentro.

Affetto. Profondo affetto per quell’idiota dalle orecchie enormi. Per quello che era diventato negli anni, anzi nei millenni un amico e forse anche di più.

Perché definire Merlin amico in quel momento, gli sembrava troppo poco. Veramente troppo poco. Neanche se accanto ci avesse aggiunto qualche aggettivo, come grande, buono o migliore. No, non sarebbe stato mai abbastanza.

“Non funzionerà…” lo aveva detto convinto, ridacchiando ancora. Se avesse potuto guardarsi in uno specchio, di certo avrebbe visto sulla sua faccia quel mezzo sorriso irriverente. Ora si sentiva così, ora che tutto perdeva di importanza.

Merlin non lo guardò. “Sì, invece.”

“Potresti provare… a guarirmi tu.” Tentò e vide il mago scuotere il capo.

“Non posso, accidenti non posso!” quegli occhi di nuovo velati di lacrime a cui veniva impedito di scendere. “La magia non è ancora tornata.”

“Ma la gip…”

“Sono solo momenti! Non è tornata ancora del tutto…. Per fortuna.”

Ad Arthur venne di nuovo da ridere. Cosa ci trovasse di così divertente non lo sapeva, forse era la morte che si avvicinava per la seconda volta e lui era così abituato a guardarla in faccia che lo trovava quasi divertente.

“Mi pare che la volessi questa magia… e poi potresti guarirmi. Non… non sarebbe tutto… più semplice?” quell’intera frase lo aveva spompato. Accidenti, quanto grave si era ridotto se non riusciva nemmeno a parlare?

“Tu non capisci….” Merlin strinse i denti. “Non capisci! La magia cancellerà il re del futuro… credevo… credevo avresti soltanto perso il regno ma non… non questo!” finalmente le scie umide gli rigarono il volto e Arthur smise di trovare tutto divertente. Si sentì profondamente triste e il pensiero che non avrebbe più rivisto Merlin gli fece più male della sua ferita al fianco.

“Cosa… cos’è che non capisco, Merlin? Cosa vuoi dirmi?” replicò allora, seccato. Riuscì persino ad alzare un po’ la voce, tanto si sentì frustrato.

“Tu morirai!” gridò alla fine il mago, altre lacrime riempirono i suoi occhi, che ora gli rimandavano uno sguardo disperato. “Quando io avrò la magia, tu morirai!”

Tornò a guardare la strada, lasciando Arthur a digerire quella pesante rivelazione. Dopo istanti che gli parvero eterni, volle parlare. Voleva a tutti i costi sentire la sua voce, che aveva chiuso dietro le labbra strette in una linea sottile e impegnate a trattenere un pianto che non voleva cessare.

“Per questo non volevi…”

“Lei sta tornando Arthur, sta tornando! E io non posso fermarla da solo.”

“Che… ahia… che vuoi fare ad Avalon?” chiese, il fianco per un momento gli aveva mozzato il respiro ma lui doveva sapere tutto. E soprattutto voleva ancora che Merlin lo toccasse.

“Baratterò la mia magia con la tua vita.”

“Ma…”

“No! Dobbiamo fare un tentativo. Non posso lasciarti morire, il passato non si deve ripetere.”

“Che ne sarà di te senza la tua magia?”

La domanda rimase senza risposta. Merlin strinse di nuovo le labbra e non parlò più. Continuò a zigzagare tra le dune, in cerca del passaggio per il lago di Avalon. Forse poteva sentirlo adesso, come aveva fatto con le Disir, ad Arthur non importava molto.

Era troppo impegnato a riflettere su quella faccenda che da qualunque parte la si guardasse, finiva con il sacrificare qualcosa di importante. La sua vita o la magia di Merlin. Ma perché? Che senso aveva?

“E’ questo che ti hanno detto le Disir?” chiese, la voce gli usciva così debole, però il tono era sempre lo stesso di quando pretendeva una risposta sincera.

Vide Merlin annuire lentamente, lo sguardo ancora alla strada.

“Il ritorno della magia avrà un prezzo. Ciò che il destino ha fatto del re, la magia lo toglierà.”

Arthur si prese del tempo per assaporare quelle parole. Sapevano di condanna… e di fregatura.

“Un bel problema.” Sentenziò dopo un lungo minuto di silenzio. E inaspettatamente Merlin accennò un sorriso, sbuffò scuotendo la testa e Arthur fu contento. Vederlo sorridere era una cosa a cui teneva tanto.

“Vi salverò questa volta.” Gli disse, tornando velocemente serio.

Arthur annuì ma non ne era convinto. Le forze erano ancora più risicate della sera prima e tutto stava perdendo di consistenza. Stranamente non sentiva nemmeno più la pressione del corpo contro il sedile su cui era adagiato. Non sentiva niente. Persino il dolore al fianco stava diminuendo. E Arthur sapeva che non era per una miracolosa guarigione. Il suo corpo se ne stava andando.

Un’ondata di paura lo colse senza preavviso e lui boccheggiò. Non era la morte a terrorizzarlo ma ben altro. Aveva pensato che andarsene avrebbe significato lasciare di nuovo solo Merlin per l’eternità.

*

L’aveva trovato. Nonostante la magia non si fosse ancora risvegliata, poteva finalmente sentirla quando era vicina a lui. Aveva seguito quella traccia debole fino a che non si era sentito formicolare tutto e allora aveva rallentato, nella speranza di trovare presto il passaggio per entrare ad Avalon.

Lo percepiva. Così come la sua magia si destava da un lungo sonno, anche quel regno sovrannaturale tornava al potere di un tempo.

Probabilmente era lui stesso che ne aveva consentito la rinascita. Lui che era la personificazione della magia, si risvegliava e così faceva anche nel mondo.

Eppure tutto questo non lo rallegrava, né gli dava serenità. Al contrario. Perché se davvero aveva compreso le parole delle Disir, allora per riavere la sua magia, avrebbe dovuto perdere Arthur.

Il ritorno della magia avrebbe cambiato il destino del re e il passato sarebbe tornato, imperterrito. La sua morte, ancora una volta, terribile, implacabile… no. No! Non lo avrebbe permesso, non questa volta.

Due millenni prima aveva raggiunto il lago troppo in ritardo e Arthur gli era spirato tra le braccia quando ormai era a pochi passi dalla meta. Ma questa volta le cose sarebbero andate diversamente, questa volta, lui avrebbe salvato Arthur.

E se per farlo avrebbe dovuto donare una parte di sé, allora lo avrebbe fatto senza esitare.

Il ritorno della magia avrà un prezzo. Beh, se doveva essere Arthur, allora il prezzo sarebbe diventato la magia stessa.

Quando avvertì forte la presenza di Avalon, Merlin inchiodò e per un momento ebbe paura che Arthur si ritrovasse spalmato sul cruscotto. Per fortuna ebbe la prontezza di riflessi di acchiappargli una spalla appena in tempo.

Senza prendersi nemmeno un respiro di troppo, scese dal fuoristrada e tirò fuori il sovrano, cercando di non provocargli ulteriore dolore. Difficile, perché lo sentì gemere più volte, nonostante in quel momento sembrasse anche poco lucido.

“Avanti, resistete… manca poco ormai.”

“Sono… stanco…” mormorò Arthur e Merlin deglutì a vuoto la paura.

“No!” esclamò. “Non fatevi venire strane idee… per favore… resta con me Arthur.”

Quelle parole accorate ebbero l’effetto desiderato. Merlin aveva notato che tutte le volte in cui gli era sfuggito un poco di confidenza in più e gli aveva dato del tu, Arthur ne era sempre rimasto colpito. Non lo aveva mai rimproverato ma al contrario sembrava aver fatto tesoro di quei momenti.

Ora Merlin voleva trasmettergli tutta la sua preoccupazione con quel tono confidenziale, che anche lui aveva sempre considerato speciale. Perché erano i momenti giusti, quelli in cui crollavano tutte le barriere ed entrambi sembravano toccare quel punto più profondo dell’altro che mai nessuno era riuscito anche solo a sfiorare.

Merlin non voleva più barriere tra lui e Arthur, non più. E non perché si trovavano nel terzo millennio e i tempi erano cambiati, era molto più profondo il motivo per cui il mago voleva appropriarsi dell’anima di Arthur.

C’era quell’affetto a cui lui non aveva dato ancora un nome o a cui più semplicemente aveva paura a darne uno, che spingeva e premeva affinché il muro restasse giù.

“Non mollare, Arthur, non questa volta, ti prego…”

Il sovrano aveva stretto con un poco più di forza il braccio di Merlin su cui si sorreggeva, mentre veniva trascinato tra due alte dune di sabbia. Non aveva parlato, forse per poter concentrare quel poco di energia che gli rimaneva, nel muovere i piedi verso la loro meta e forse unica salvezza.

Merlin tirò dritto tra le due dune e come attraversando un velo, di colpo la loro visuale cambiò. Il lago di Avalon comparve davanti ai loro occhi in tutto il suo mistico splendore.

“Ci siamo…” Merlin continuava a parlare, un po’ con l’intento di tenere sveglio Arthur, un po’ per impedirsi di pensare a quanto precaria fosse tutta la loro situazione. E anche un po’ per non piangere, perché per quanto fosse deciso nelle sue azioni, tutti quei momenti gli riportavano alla mente ricordi troppo dolorosi che non credeva avrebbe mai potuto rivivere. Invece eccoli lì, più intensi e più crudeli di prima, che ritornavano meschini a turbarlo ancora una volta e a gettarlo nella disperazione.

Lasciò andare Arthur, adagiandolo con dolcezza sul prato erboso e gli regalò una veloce carezza sul viso e un sorriso, che il re accolse con piacere, perché lo vide ricambiare con un’espressione simile, seppur mescolata alla sofferenza.

“Dama del Lago!” gridò poi a gran voce, sollevandosi in piedi e rivolgendosi allo specchio d’acqua. “Dama del Lago, ti prego! Vieni da me!!”

Merlin dovette richiamarla altre due volte, prima che dal lago l’acqua iniziasse ad incresparsi. Quando Freya comparve in tutta la sua luminescenza fatata, Merlin dimenticò persino di rimirarla, come faceva sempre ogni volta che l’aveva rivista.

Ma stavolta non c’era tempo, questa volta era più importante salvare il suo re, tutto il resto non contava.

“Dama, ti prego!! Arthur non può morire di nuovo!”

“Merlin…” iniziò la donna, ma il mago la interruppe, continuando a perorare la sua causa con passione.

“Ti scongiuro, prendetevi la mia magia! In cambio della vita di Arthur, prendete la magia!”

“Merlin la tua magia è legata all’affetto che tu provi per il re. Lei torna perché la medaglia è salda.” Spiegò la Dama, paziente. Merlin la vide però corrugare la fronte con preoccupazione e lui per un attimo si sentì rincuorato perché sapeva che la vecchia Freya teneva ancora a lui e alla sua felicità.

“Sì ma non servirà a niente la mia magia, senza il re!” continuò lui accorato. “Perciò volete o no accettare questo scambio?”

Seguì un lungo silenzio nel quale, Merlin temette di morire soffocato tanto aveva trattenuto il respiro. Poi la Dama pronunciò la sua sentenza.

“Non è possibile. Mi dispiace, Merlin.”

Il mago fece alcuni passi in avanti scioccato, l’acqua alle caviglie che nemmeno avvertiva.

“Come sarebbe a dire?! Perché?! Il re sta morendo, per la miseria!! Ho bisogno di aiuto!”

La Dama parve ancora più dispiaciuta ma non accennò un movimento. “Non puoi fermare la magia o abbandonarla, Merlin. Lei fa parte di te, tu sei la Magia. Quello che tu chiedi è impossibile.”

“Ma Arthur… morirà…”

“Devi lasciare che il destino si compia Merlin, devi accogliere la magia e accettare le conseguenze. E’ così che cambierai il futuro.”

Abbandonò le braccia lungo i fianchi, lo scoraggiamento lo colse tutto e perse ancora il respiro per colpa dei singhiozzi che premevano per uno sfogo. Ma ora di morire soffocato o meno, non gli importava più.

*

Arthur osservava dispiaciuto le spalle ricurve del mago. Poteva sentirne i singulti, Merlin cercava di soffocarli ma lui poteva percepirli benissimo, perché anche se non faceva rumore, la sua schiena sobbalzava ritmicamente e non si accennava a voltarsi.

Lasciò che si prendesse quel tempo per calmarsi e non fiatò, anche perché non aveva molto da dire. In fondo lui se lo aspettava, fin dall’inizio era convinto che anche quella volta sarebbe finita così.

D’altronde lui non era il re del passato e del futuro? Probabilmente funzionava che arrivava, tirava su un regno coi fiocchi e quando ormai gli altri potevano far soli, lui moriva, finiva sulle acque del lago di Avalon, fino al prossimo risveglio.

Forse era quello il suo destino.

E il destino di Merlin qual era? Anche lui avrebbe di nuovo dovuto aspettarlo per secoli e millenni come aveva già fatto? Dei del cielo, no! Non lo avrebbe permesso! Non poteva condannare il suo Merlin a quella tortura.

Si lasciò sfuggire una breve risata, stupita. Aveva davvero detto, il suo Merlin?

Fino a che punto teneva a quell’idiota?

Si era ripetuto così tante volte quella domanda e altrettante volte non si era mai dato una risposta ben precisa. Un po’ perché non lo sapeva sul serio, un po’ perché aveva paura.

Ma adesso che la paura non c’era più, adesso che la morte era vicina e ogni sciocco timore aveva perso di importanza di fronte alla sua tragica situazione, ora le cose gli sembravano un po’ più chiare.

Merlin finalmente si voltò e sorrideva. Anzi, a dirla tutta faceva una smorfia. Perché chiamare sorriso quell’espressione sarebbe risultato ridicolo. Il mago aveva rivolti gli angoli della bocca all’insù ma i suoi occhi erano disperati e il volto era rigato dalle lacrime.

Si avvicinò, inginocchiandosi accanto a lui e gli posò una mano sul braccio.

“Merlin, abbracciami.” Nelle orecchie e sulle labbra, l’eco di ricordi lontani e sbiaditi. Eppure questa volta non era così tardi. Questa volta poteva ancora guardarlo lucidamente negli occhi e fissare nella memoria quel blu così intenso, che in tante occasioni aveva sfidato apertamente.

Il mago non se lo fece ripetere un’altra volta, lo prese per le spalle e lo strinse tra le braccia, sul volto ancora quell’espressione ridicola.

“Non sei credibile…” gli fece notare e Merlin sbuffò tra le lacrime, poi decise di asciugarsele passandosi una manica sul viso.

“Va bene la smetto… non vorrei pensassi che ci tengo così tanto a te.”

Arthur ridacchiò ancora, rasserenato nell’abbraccio di Merlin che al momento gli sembrava il posto migliore al mondo in cui stare.

“Vedila dal lato positivo… che ne sarebbe stato di te senza la magia…”

Vide lo stregone scuotere con vigore il capo e guardarlo con convinzione mentre gli replicava a tono. Arthur lo fissò, il blu dei suoi occhi era tutto ciò che vedeva adesso, nient’altro aveva importanza.

 “E cosa ne sarà di me, senza di te?”

 Il re chiuse gli occhi. Lasciò che quelle parole risuonassero per un po’ nella sua mente, per poterle assaporare dentro di sé, per capire quali corde del suo cuore avevano vibrato e cosa avessero provocato nel tumulto della sua anima.

E quando aveva riaperto gli occhi, aveva capito. Ogni cosa.

“E’ per me… che si è risvegliata la tua magia?”

Merlin aveva annuito e Arthur non aveva più avuto bisogno di altre conferme. Non più domande, non più risposte. Arthur adesso sapeva e basta.

Sollevò una mano per incontrare il volto di Merlin in una carezza leggera. Saggiò la spigolosità dei suoi zigomi, che tante volte avrebbe voluto toccare, solo per sapere come dovevano essere al contatto con le sue dita. Sfiorò la fronte con un pollice, lasciandosi solleticare il palmo dalle ciglia irrequiete e inumidite che incontrò lungo il cammino. E poi scese sulle labbra, tracciandone con le dita i contorni.

Studiò e toccò il suo viso a lungo, incantato dai suoi stessi gesti, come se dovesse imprimere nella memoria ogni più piccolo particolare di lui. Quasi come se nel lungo sonno che lo aspettava, lui volesse portarsi dietro quell’unico ricordo, da poter sognare per i secoli avvenire.

Merlin si lasciò accarezzare, in silenzio, trattenendo il fiato al punto che dopo un tempo che al re parve infinito, fu costretto ad un lungo sospiro per riprendere ossigeno.

“Perché mi hai aspettato… per duemila anni?”

La domanda che si era posto così tante volte da aver perso il conto, aveva bisogno adesso di una risposta. E Arthur sapeva che Merlin era pronto a dargliela.

“Lo sai già, il perché.” Era vero.

“Lo… lo faresti ancora? Se io…”

“Sempre.”

E Arthur non seppe più cosa dirgli. Un turbine di emozioni si era scatenato in lui nella pronuncia di una sola parola. Il terrore di condannarlo ad una nuova attesa infinita, l’orgoglio per quella devozione senza eguali, la consapevolezza di quanto quelle parole comportavano. E anche un’altra cosa, anche un altro sentimento che ormai premeva per uscire ed era troppo intenso per poterlo ignorare o per costringerlo a rinchiudersi dietro un muro di false sicurezze.

Ora quel sentimento inondava ogni cosa, rompendo gli argini dei pregiudizi, scavalcando gli ostacoli della mente e le paure del cuore. C’era solo lui e nient’altro a riempire tutto.

Arthur si stupì di come Merlin divenne così docile quando premette leggermente contro il suo collo perché si facesse più vicino a lui. O forse attendeva soltanto un permesso per poter fare ciò che aveva sempre voluto.

La consistenza delle labbra sulle sue, diede finalmente forma a tutto ciò che provava e che dirompeva con prepotenza in ogni parte dentro di lui.

Assaporò quel contatto, lento e addolcito dai movimenti impauriti del mago che gli sconvolsero ogni pensiero razionale. Anche lui aveva paura, là tra le pieghe di quel sentimento si annidava l’insicurezza di ciò che non aveva mai osato ma che ormai era diventato inevitabile. Ma fu solo un momento.

Quando Merlin strinse forte la sua spalla e decise di rendere più profondo quel bacio, Arthur rispose con altrettanto coraggio e abbandonò ogni remora, godendo fino in fondo dell’odore di Merlin, del suo sapore. E del suo rassicurante calore.

E d’un tratto capì cosa significasse per la prima volta nella sua vita, sentirsi completo.

“Resta con me…” ripeté Merlin, ancora una volta, quando il contatto si sciolse e la fronte fu pressata contro la sua. “Ti prego, resta con me…”

Ma forse era troppo tardi. La voce di Merlin gli sembrò sempre più lontana e la stanchezza si fece ancora più pressante, al punto che respirare era diventato un lavoro troppo impegnativo.

Quando capì che stava per farlo un’ultima volta, era già troppo tardi.

 

Continua…

 

Salve mie care =) Come sempre vi auguro un buon inizio di settimana (svioliniamo prima del linciaggio =P). Mi scuso se la pubblicazione di questo capitolo ha preso una settimana in più ma come ho già detto a chi ha avuto il buon cuore di commentare questa storia, questo era una capitolo molto importante… beh, lo avrete notato.

Allora prima del linciaggio ci tengo a precisare che la storia continua u_u Chiaramente però, non posso dirvi altro, né posso al momento fornirvi risposte specifiche per tutti i dubbi che sicuramente ho sollevato circa le parole delle Disir. Ci tengo cmq tantissimo a conoscere i vostri pareri e le vostre teorie!! =)

Vi rinnovo quindi la proposta di COMMENTARE questa storia, anche se ormai siamo agli sgoccioli, è una richiesta che vi faccio col cuore. Spero cmq di avervi emozionato.

Una precisazione riguardo al titolo. Sono almeno tre capitoli che rimandavo il titolo, ma in fase di scrittura le cose sono cambiate, per cui ho via via cambiato. Ancora non so se lo utilizzerò più ma nel frattempo la smetto di fare promesse che poi non mantengo XD

Intanto ringrazio di cuore tutti i lettori silenziosi, tutti coloro che aggiungono ancora la storia nelle varie sezioni e soprattutto le mie adorate che commentano sempre! *-*

Pandora86, brin leah, Lunaris, Giulia194, One Day_Painless e chibisaru81, a voi dedico il bacio tra Merlin e Arthur! ;)

Alla prossima miei cari!! Tanti baci a tutti!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2314499