Il Momento giusto di Ryta Holmes (/viewuser.php?uid=107)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fammi dormire ***
Capitolo 2: *** Perché non ci sei? ***
Capitolo 3: *** Ho sbagliato tutto ***
Capitolo 4: *** Sono solo ricordi ***
Capitolo 5: *** Ho davvero sbagliato tutto ***
Capitolo 6: *** Dove sei? ***
Capitolo 7: *** Sei tu! ***
Capitolo 8: *** Ammettilo ***
Capitolo 9: *** Non è più questo il mio posto ***
Capitolo 10: *** Qual è il tuo perché? ***
Capitolo 11: *** A metà ***
Capitolo 12: *** Resta con me ***
Capitolo 13: *** Solo per te ***
Capitolo 14: *** Come un tempo ***
Capitolo 15: *** Niente ***
Capitolo 16: *** Il momento giusto ***
Capitolo 1 *** Fammi dormire ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 1
Fammi dormire
Il lago era lì davanti a lui. Si stagliava meschino davanti ai suoi occhi, senza dargli alcun segno. Anni di attesa, più di mille e niente era cambiato. Aveva viaggiato, aveva deciso di smettere di star lì a guardarlo e zaino in spalla, aveva ripreso a girare il mondo.
Aveva vissuto epoche e avvenimenti sulla sua pelle. Aveva vissuto la storia, di quando in quando era tornato davanti a quel lago ma mentre il mondo continuava la sua strada, quel posto restava crudelmente immutato. Lì la storia non cambiava mai. Lì le epoche non si susseguivano.
Lì, il lago non restituiva nessuno.
Merlin il mago imprecò prima, poi sospirò. Un soffio triste e scoraggiato, di quelli che troppo spesso si concedeva lì davanti. Gli era stato detto che un giorno Re Arthur Pendragon, il Re del passato e del futuro sarebbe tornato. Quando i tempi lo avessero reso necessario quel grande Re che aveva dato vita al regno di Albion, allora sarebbe risorto. Sarebbe tornato tra i vivi per regnare ancora e lui, Merlin il mago, gli sarebbe stato accanto, per guidarlo e consigliarlo, per servirlo e fargli notare i suoi sbagli come un tempo.
Merlin bramava quel giorno da secoli, eppure quel giorno non arrivava mai.
Il lago pareva immutato, la nebbia che lo circondava non lasciava oltrepassare lo sguardo verso il centro, là dove sapeva che Arthur riposava in attesa del suo grande ritorno.
Tutto intorno vi era una striscia di verde, anch’essa statica e identica a quando mille anni prima, il mago aveva salutato le spoglie del suo Re che svanivano su una chiatta tra le acque di Avalon.
Solo oltrepassando il recinto, il tempo tornava a camminare. Una strada trafficata costeggiava il parco e poco più lontano sorgeva un gruppo di abitazioni della piccola cittadina di Glastonbury.
Merlin avrebbe voluto urlare ma tutto quello che gli riuscì di fare, fu accasciarsi a terra e sospirare ancora, affranto e deluso. Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare?
“Non ce la faccio più…” mormorò con un filo di voce. Non era disperato, sapeva che lui un giorno sarebbe tornato ma mille anni erano mille anni e lui li aveva tutti sulle spalle. Pesavano come non mai e una profonda stanchezza lo pervadeva fino alla punta dei capelli.
“Se solo…”
Poi si alzò in piedi e sollevate le mani verso il viso per rendere più forte la sua voce, gridò.
“Dama del Lago!!”
Si fece più vicino alla riva e chiamò ancora. “Dama del Lago! Ti prego, mostrati a me! Ho bisogno del tuo aiuto.”
Per alcuni istanti non accadde nulla. Il lago continuò a prendersi gioco di lui senza muoversi nemmeno al vento della brezza mattutina. Ma Merlin sapeva che la sua Dama, la donna che un tempo aveva amato e che poi era diventata lo Spirito del Lago, non sarebbe stata sorda alle sue richieste.
Fu con un sorriso fiducioso infatti, che accolse quell’improvviso incresparsi delle onde. Poco dopo, la Dama comparve davanti ai suoi occhi, avvolta da un bagliore luminoso. Per lui era sempre stata bellissima e ricordò con piacere i momenti trascorsi con lei, quando secoli prima aveva potuto conoscerla. Anche se poi ne aveva pianto la morte, anche se non aveva potuto amarla come aveva potuto. Per pochi momenti era stato felice ed era quello che serbava nel cuore.
“Dama del Lago, ti prego aiutami.”
“Merlin… perché mi chiami? Lo sai che non posso fare nulla per ciò che tu desideri.”
Il mago strinse i pugni. “Lo so…” ammise affranto. “Ma io non ce la faccio più. Sono passati più di mille anni e Arthur non è ancora tornato.”
“Non è ancora il suo momento, Merlin. E’ per questo che dorme ancora in questo lago.”
“E so anche questo, Freya e lo accetto.” Continuò lui, dimenticando le formalità e chiamandola col suo vecchio nome. “Ma io non posso aspettare altri mille anni… non così almeno. Ti prego, aiutami.”
La Dama restò in silenzio per alcuni istanti, osservandolo e probabilmente studiandolo. Poi schiuse le labbra. “Cosa vuoi che faccia?”
“Fammi dormire. Consenti anche a me di dormire finché non sarà quel tempo. Ho vissuto tanto a lungo e la mia immortalità è una maledizione se tutto ciò che posso fare è attendere l’altra faccia della mia medaglia. Allora fa dormire anche me, permettimi di svegliarmi quando sarà il momento giusto.”
“Merlin…” la Dama apparve titubante. “Sei sicuro di ciò che mi chiedi? Hai detto bene le tue parole?”
Il mago non capì. “Sì… non saprei in quale altra maniera formulare tale richiesta.”
“Le parole sono importanti, Merlin. Ciò che mi chiedi sarà esaudito ma ci saranno delle conseguenze.”
L’uomo serrò la mandibola e represse ogni paura. “Sono pronto alle conseguenze…”
La Dama sospirò, addolcendo la sua espressione e guardando il mago con compassione. “Mio caro Merlin, il tuo cuore è gonfio di affetto per il tuo Re ma pensa bene a ciò che mi chiedi. Il sonno che mi chiedi avrà delle conseguenze, quando ti risveglierai, potrai anche ritrovare il tuo Re ma non sono convinta che tu sarai più lo stesso.”
Merlin continuava a non capire. La Dama lo metteva in guardia ma da cosa? Cosa sarebbe potuto accadergli? Eppure…
“Ho forse altra scelta?”
“Sì, puoi continuare ad aspettare.”
“E quanto? Altri mille anni? Duemila?”
“Non sai quando Arthur tornerà, potrebbe anche essere domani.”
“No, non è vero.” La interruppe con amarezza. “Non tornerà domani, non prendiamoci in giro. Fammi dormire, Freya. Non ho paura di ciò che comporterà, mi basterà ritrovare il mio Re.”
La Dama lo guardò ancora in silenzio, poi socchiuse gli occhi. “E sia. Gli Spiriti del Lago ti concedono questa richiesta. Dormirai Merlin, fino al momento giusto, come desideri.”
Merlin finalmente, dopo anni, sorrise. Accolse la magia della Dama e socchiuse gli occhi lasciandosi andare. Verso un sonno ristoratore. Verso il suo Re.
Continua…
Ehilà! Della serie “A volte ritornano”, ogni tanto mi faccio viva quando ritorna qualche idea folle… come questa! Sono lontana dal fandom da un po’, per cui spero di non aver copiato qualche idea ma ho in mente una trama ben precisa per questa storia, che… beh. Starete a vedere!
Intanto invoco il vostro giudizio!
A presto!
Ryta |
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Capitolo 2 *** Perché non ci sei? ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 2
Perché non ci sei?
Spirava un vento forte quella mattina. Quell’aria malsana che ogni tanto arrivava da Nord, dove c’era il deserto e che avvolgeva tutto come in una cappa irrespirabile.
Arthur non si sarebbe mai abituato a quel vento, era la cosa che più odiava, perché gli ricordava che le cose erano cambiate nel mondo. Che il tempo del Medioevo, come la storia lo chiamava, era finito secoli e secoli prima. E che da allora molte epoche si erano susseguite senza sosta, molti cambiamenti, alcuni dei quali così radicali e potenti, che niente avrebbe più potuto riportare indietro le certezze che gli uomini avevano sempre avuto.
Epoche distanti e importanti in cui tutto era mutato. Ed era stato in una di queste epoche, che lui si era risvegliato. Aveva aperto gli occhi un giorno, sbadigliando come se avesse semplicemente dormito per ore. Pochi istanti per rendersi conto di essere disteso su una vecchia chiatta avvolta dalle acque e dalla nebbia, poi tutti i ricordi erano tornati alla memoria, con forza.
La sua ultima battaglia a Camlann, Mordred che lo feriva a morte, l’inseguimento di Morgana e poi… Merlin.
Mentre la barchetta lo riportava magicamente a riva, percorrendo silenziosa il lago, Arthur si era guardato intorno, convinto di essere atteso. Ma quando aveva toccato terra, non c’era nessuno.
“Perché non ci sei?”
Si era sentito particolarmente stupido nel porre quella domanda, perché in fondo doveva essere morto e per logica doveva essere improbabile che qualcuno lo stesse aspettando. Che lui lo stesse aspettando. Eppure non riusciva a scrollarsi quella sensazione di dosso, come una puntura al centro del petto, che gli ricordava i suoi ultimi istanti di vita. Era quasi incosciente allora – o era già morto? O addormentato? O qualunque cosa fosse? – eppure ricordava le parole rivolte a Merlin da qualcuno – una creatura? Forse… - che prospettavano il suo ritorno, un giorno.
Quindi Merlin lo doveva aspettare. E Arthur sapeva che lo avrebbe fatto.
Ma… quanti anni erano passati?
“Re Arthur.”
La voce di una donna lo aveva spaventato e lo sgomento era aumentato, quando voltandosi verso il lago, aveva scorto una sagoma iridescente dalle fattezze di una giovane che lo guardava sorridendo.
“Chi sei?” aveva chiesto, mettendo mano alla spada Excalibur che era stata lasciata con lui nella barca e che al risveglio aveva rimesso a posto nella cintola dell’armatura.
La donna non si era fatta intimidire dal gesto. “Io sono la Dama del Lago. Gli Spiriti di questo posto hanno protetto il tuo sonno, grande Re. Ora è giunto il tempo del tuo risveglio.”
“Io…” lo sgomento in Arthur non si era dissolto, non riusciva a capire ma forse quella donna, poteva dargli tutte le risposte. Aveva lasciato andare la spada e fatto qualche passo in avanti. “Io credevo di essere morto. Perché… perché sono qui?“
Aveva quasi paura a chiederle se fosse vivo o meno. Ricordava i racconti della balia sui fantasmi che infestavano il castello di Camelot e anche se crescendo aveva smesso di crederci, forse poteva essere diventato anche lui uno spirito…
“Tu sei vivo.” Lo aveva tranquillizzato la Dama, quasi leggendo nella sua mente. “Sei ritornato in vita, perché è giunto il tuo momento. Tu sei il Re del Passato e del Futuro e devi compiere il tuo destino.”
Arthur aveva rievocato nei ricordi, quella voce che diceva a Merlin la stessa cosa, mentre lo abbracciava ormai morente.
“Quando parli del futuro, intendi…”
“Sono passati molti secoli da quando sei stato portato qui, grande Re.” Lo aveva anticipato la Dama e Arthur aveva avuto un fremito nel comprendere quelle parole.
“Secoli…” improvvisamente si era sentito ancora più spaventato di prima.
“Il mondo ha di nuovo bisogno di te e della tua grandezza, per questo sei stato risvegliato. Molte cose sono cambiate in questo mondo, oltre questo lago dove il tempo si è fermato, ti renderai conto che niente sarà più lo stesso. Ma non aver paura, Arthur, tu sei destinato a grandi cose e la mano del destino è molto potente. Ti aiuterà in questa impresa.”
L’uomo non riusciva a crederci. Le parole di quella donna lo terrorizzavano e lo confondevano. Aveva allargato le braccia in un gesto esasperato. “Ma cosa dovrei fare?! Come posso io, da solo, inoltrarmi in un mondo che non conosco e tornare a fare il Re?”
La Dama del Lago gli aveva sorriso incoraggiante. “Te l’ho già detto, è nel tuo destino. Quando ti troverai in quel mondo, saprai cosa fare. Ora va’ e compi il tuo fato.”
Arthur non aveva più saputo cosa dire. Era vivo ma da solo e senza regno. Tutti quelli che conosceva ormai non erano che polvere. Per un attimo aveva pensato che avrebbe potuto accamparsi lì a vita; in quel posto la Dama aveva detto che il tempo si era fermato, no? Ma poi una sensazione di orgoglio prevalse su tutte le sue paure.
Insomma, se era stato dichiarato il Re del Passato e del Futuro un motivo c’era. E se fosse rimasto lì, non avrebbe mai potuto scoprire cosa era accaduto al mondo e quali opportunità avrebbe potuto vivere.
Aveva sollevato il capo con forza e guardato la Dama. “Andrò. Ma ho un’ultima cosa da chiederti.”
“Dimmi pure.”
“Quando sono morto… c’era Merlin con me. Lui era un mago e un mago non dovrebbe essere immortale?”
“Mi dispiace Arthur, ma Merlin non è tra noi.”
Arthur aveva chinato il capo, deluso. “Va bene.”
Erano passati cinque anni da quel giorno… e da allora molto altro era cambiato. Troppi avvenimenti racchiusi in un unico lustro che avevano nuovamente messo a soqquadro la sua vita e lo avevano cambiato al punto che Arthur sapeva di non essere più quel cavaliere senza regno, solo e ignorante del mondo che aveva aperto gli occhi sul lago di Avalon. Ora era quello che il destino lo aveva chiamato a diventare.
“Sire!”
Un richiamo alle sue spalle. Abbandonò lo sguardo che si era perso fino a quel momento oltre la finestra e si voltò a guardare la persona che lo attendeva sulla soglia della porta.
“Ti aspettiamo nella sala delle strategie, siamo già tutti lì.”
Arthur annuì sorridendo. “D’accordo, arrivo.”
Ora era davvero il Re del Passato e del Futuro.
Continua…
Buongiorno e buon lunedì! Ho deciso di pubblicare in questo giorno della settimana per addolcirvi l’inizio! Visto come sono buona? :D
Intanto voglio ringraziare chi ha già iniziato a leggere e a seguire questa storia e soprattutto chi ha già voluto commentarla! Un grazie speciale a Bimbaluna81 (o ti posso chiamare Lunaris? XD), Asfodelo, Pandora86 e Lucylu.
Rinnovo come sempre il mio invito a commentare! Detto questo, alla prossima!
Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo ;) “Ho sbagliato tutto”.
Baciii
Ryta |
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Capitolo 3 *** Ho sbagliato tutto ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 3
Ho sbagliato tutto
Coscienza. Merlin si sentì di nuovo vivo e pensante all’improvviso. Con gli occhi ancora chiusi, iniziò col percepire i rumori. Suoni ovattati dapprima, poi sempre più distinti di cespugli smossi. Qualcosa si avvicinava a lui.
Cosa sarà?
Quel primo pensiero non aveva lasciato spazio ad altro in principio ma poi qualcosa si era fatto strada nel dormiveglia, una domanda.
Da quant’è che dormiva?
E poi tutto tornò a galla. Spalancò gli occhi e si mise a sedere, ritrovandosi tra l’erbetta fresca che cresceva intorno al lago di Avalon. Aveva dormito, proprio come aveva desiderato. Aveva dormito fino al risveglio di Arthur, fino al momento giusto.
Fu con un sorriso quindi che cercò di alzarsi in piedi ma una forte debolezza gli aveva intorpidito gli arti e alla fine tutto quello che gli riuscì di fare fu guardarsi intorno in cerca di Arthur.
Il lago era come se lo ricordava, sempre immobile e mai soggetto al tempo. Le acque chete non si increspavano col vento e la nebbia da sempre al centro del lago… un momento. Dov’era finita la nebbia?
Merlin strizzò gli occhi e poté constatare che la nebbia era sparita. Al centro di Avalon non c’era più nulla.
“Arthur…” mormorò, la voce roca dopo chissà quanto tempo passato a dormire. Con molta fatica riuscì a rimettersi in piedi, si sentiva stanchissimo e già lo stomaco iniziava a brontolare dopo anni di digiuno. Oltre alla fame però, c’era qualcos’altro che premeva contro il suo stomaco: ansia.
Una strana paura si era impossessata di lui, perché il fatto che il lago non fosse più il lago che ricordava, lo preoccupava. C’era sempre stata la nebbia lì a nascondere la barca in cui giaceva Arthur. Perciò se non c’era più… dov’era il re?
“Arthuuuuuur!!” gridò il nome del sovrano più volte, accennando anche qualche passo ma la sua voce riecheggiò nel silenzio solitario del luogo senza alcun risultato.
Provò allora a chiamare la Dama del Lago ma anche con lei non ottenne risposta. Era come se tutto ciò che aveva reso speciale quel posto… non ci fosse più. O meglio, come se a non esserci più fosse la magia stessa.
Il terrore si confuse all’angoscia e Merlin gridò e gridò ancora, adesso riprendendo forza nelle gambe e muovendo altri passi intorno al lago, vicino agli alberi.
“Non è possibile… non ci credo… dove sei, Arthuuur!!”
Prima che potesse urlare altro, quel rumore di cespugli, catturò nuovamente la sua attenzione. Ebbe appena il tempo di voltarsi, quando qualcosa sbucò tra la macchia di verde con aria minacciosa. Era una creatura che non aveva mai visto: la testa era quella di un lupo ma aveva tre zampe in più e la coda si biforcava in due estremità sulle cui punte grondava del liquido.
Merlin non si chiese cosa potesse essere, quella bestia ringhiava e sbavava minacciosa verso di lui, pronta all’attacco e la prima cosa a cui pensò fu di difendersi.
Sollevò la mano, pronunciando il primo incantesimo di difesa che ricordava. E quando non accadde nulla, quella morsa allo stomaco aumentò.
“Ma che…” gridò altre volte l’incantesimo ma la magia non confluiva nelle sue mani, i suoi occhi non si doravano e quando la bestia infine attaccò, Merlin ebbe appena il tempo di schivarlo. Scartò di lato rotolando sul terreno ma il lupo fu velocissimo a riprendersi e con un balzo, tornò all’attacco.
Merlin urlò di paura e cercò di evitarlo ancora, ben sapendo che poco avrebbe potuto fare con l’agilità di quel mostro. Quando scorse un grosso ramo per terra, si lanciò verso l’unica arma disponibile e lo raccolse, ansimando. Si sentiva ancora stanchissimo ma il terrore gli aveva dato la forza necessaria e sperò con tutto il cuore che gliene desse anche per colpire la bestia.
Quando il lupo attaccò di nuovo, Merlin cercò di ricordare le lezioni di scherma fatte e Camelot – difficile, visto che ormai erano passati secoli! – ma gli riuscì di scartare leggermente da un lato e di colpire con la forza necessaria il lupo, sulla pancia.
La creatura uggiolò ma poi tornò a ringhiare e attaccò ancora. Merlin questa volta si piegò per terra e rotolò per schivare quella bocca dentata e famelica, e gemette di dolore, come se si fosse improvvisamente scottato, quando sfiorò con una spalla, la coda biforcuta. Nonostante tutto, riuscì a rialzarsi di scatto e a colpire con forza la testa del lupo. Il rumore sordo che ne seguì provocò la nausea a Merlin, che vide la bestia accasciarsi a terra priva di sensi e poi un rivolo di sangue sporcare il pelo.
Ansimò, mentre le forze lo abbandonavano nuovamente e dovette inginocchiarsi a terra per un momento. Si sentiva svuotato e quella brutta angoscia, su cosa gli fosse accaduto continuava a tormentarlo.
Improvvisamente, sentì i cespugli muoversi ancora e allora Merlin si rialzò in piedi e decise di scappare. Tenne con sé il bastone, mentre con uno sforzo riuscì ad intraprendere una corsetta per uscire dal bosco di Avalon, con la speranza che una volta fuori da lì, quelle bestie non lo seguissero oltre.
Superata la striscia di verde che circondava il lago, si fermò. E allora i lupi, la magia e Arthur per un attimo smisero di avere importanza.
Davanti a lui, per miglia e miglia, si estendeva il deserto.
*
Camminava ormai da ore. Trascinava i piedi sempre più stanchi tra le dune sabbiose, avvertendo il senso di spossatezza aumentare ad ogni passo. Sapeva che qualcosa non andava, perché il braccio che aveva sfiorato la coda di quella bestiaccia bruciava e col passare del tempo la pelle prendeva un colore violaceo e poco rassicurante. Alternava un caldo soffocante a violenti brividi di freddo e quando si sentì annebbiare la vista fu sicuro che quella roba che fuoriusciva dalla coda del lupo, fosse veleno.
“Bene… ho dormito tutti questi anni per morire nel deserto?”
Non era convinto di morire per davvero, sulla storia dell’immortalità c’erano dei punti che non aveva ancora ben chiarito, però di certo quella situazione non era allettante. Quando si era ritrovato davanti il deserto, aveva poi scoperto con sgomento che dietro di lui il lago era sparito, come se una volta uscito da quel luogo, questo fosse scappato via, altrove.
La buona notizia era stata che con il lago erano svanite anche le bestiacce fameliche. La cattiva notizia era che si era ritrovato circondato da dune di sabbia e da un vento malsano e irrespirabile di cui non comprendeva la provenienza. Sembrava arrivare da nord – motivo per cui aveva iniziato a camminare verso sud – e la cosa non gli piaceva per niente, come non gli piaceva il fatto che ci fosse il deserto là dove sapeva c’era sempre stata la vita.
Cosa era accaduto al mondo? E quanti anni aveva dormito? Ma soprattutto dov’era Arthur?
Aveva chiesto di dormire fino al momento giusto, no? Ovvero fino al risveglio del re…
Un pensiero spaventoso si fece strada in lui, la mente ancora lucida nonostante il decadimento fisico: possibile che…
Una fitta di dolore lancinante al braccio lo riportò bruscamente alla realtà, al punto che inciampò nei suoi stessi piedi. Finì con la faccia sulla sabbia che fortunatamente attutì la caduta senza altre conseguenze. Ma d’altronde si sentiva così intorpidito che sospettava non avrebbe avvertito nulla nemmeno se fosse caduto sul granito.
Sbuffò stanchissimo, mentre il veleno si faceva ormai strada in tutto il suo corpo… e poi scoppiò a ridere. Una risata amara e disperata. Che ironia della sorte in fondo. Erano queste le conseguenze di cui parlava la Dama?
Perdere la magia, svegliarsi nel deserto e probabilmente in un tempo in cui Arthur non c’era?
“Ho… sbagliato tutto.”
Un mormorio abbattuto, prima di perdere i sensi.
Continua…
Ehilà!! Ancora una volta buon inizio di settimana a tutti!!
Allora, finalmente entriamo un po’ nel vivo della storia. Arthur si risveglia, Merlin si risveglia ma… ehhhh c’è’ un ma grande quanto un casa XD hahahaah Lo so, son sadica u_u
Lascio a voi le domande! E spero i commenti ^^ Visto che ci sono tante letture (e di questo vi ringrazio!) spero di poter avere anche qualche vostra recensione, vi assicuro che sarebbero infinitamente gradite!!
Ringrazio comunque Lunaris e Pandora86 perchè loro non mancano mai! ;)
Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo! “Sono solo ricordi”.
Baci
Ryta |
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Capitolo 4 *** Sono solo ricordi ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 4
Sono solo ricordi
“Sire, dobbiamo radunare le forze qui sul confine se vogliamo avere la certezza di difenderlo.”
“No sire, io credo invece che dovremmo attaccare e spostare la linea oltre il confine. Ci garantirà più tempo per far evacuare i centri abitati se dovessimo arretrare in un secondo momento.”
Arthur ascoltava in silenzio le parole dei suoi compagni, amici e consiglieri, osservando una vecchia cartina dell’Europa. Gli sembrava strano definirla “vecchia”, perché ai suoi tempi non esisteva l’Europa così come era concepita in quell’epoca, eppure la cartina doveva avere almeno una cinquantina d’anni a guardare lo stato di degrado.
A dirla tutta nel tempo in cui si era risvegliato, i confini degli stati europei non erano nemmeno più tenuti tanto in considerazione. Da quando la guerra aveva invaso i continenti decimando gran parte della popolazione mondiale e cambiando per sempre il corso della storia, niente era più preso tanto in considerazione.
Gli stati europei così come erano concepiti in sostanza, non esistevano più. E su quella cartina erano stati tracciati con un pennarello i segni dei nuovi confini del regno che lui stesso aveva ricreato.
“Allora sire, qual è la tua posizione?”
Arthur stava ancora soppesando le varie opzioni. Nel frattempo con le dita giocherellava con il bordo della cartina, là dove il tempo l’aveva strappata.
“Voi ragionate come se avete la certezza che attaccheranno. Non abbiamo la conferma, quelle popolazioni sono allo sbando esattamente come tutte le altre.”
Popolazioni allo sbando. Ecco cosa aveva trovato Arthur quando si era risvegliato. Un mondo nel caos, distrutto da una guerra che alla fine non aveva avuto nessun vincitore ma solo un pianeta intero sconfitto e sanguinante. Una civiltà spazzata via, di cui rimaneva ben poco del progresso e della tecnologia acquisita negli anni.
In mezzo a quel caos lui si era risvegliato e aveva dato al mondo una speranza. Certo non che avesse conquistato il mondo intero – anche se un punto arrogante del suo cervello ogni tanto lo istigava a raggiungere obiettivi sempre più grandi – però era riuscito in quegli anni a riunire la gente del continente europeo che era sopravvissuta. Aveva assunto il ruolo di guida più che di re, portando a quelle persone distrutte una speranza… e tecniche di sopravvivenza.
Quello che più in effetti, lo aveva aiutato nel far carriera, era stato il fatto che la società civile prima della guerra si era evoluta a tal punto da aver dimenticato ogni nozione sulla sopravvivenza personale. Le genti del futuro non sapevano coltivare campi, non conoscevano le tecniche di allevamento, né tantomeno quelle per la costruzione di abitazioni, oggetti o altro.
Da quanto aveva appreso Arthur, prima della guerra gli esseri umani avevano consegnato tutte le fatiche alle macchine, stranissimi aggeggi che avevano vita propria – ma non si trattava di magia, di questo se ne era accertato – e che svolgevano qualsiasi funzione venisse loro richiesta.
Gli umani in cambio facevano altro, tipo… sì, insomma, tipo farsi la guerra a vicenda.
Il più grande e terribile conflitto della storia però, aveva distrutto ogni cosa e così all’improvviso i pochi superstiti si erano ritrovati a capire come fare a sopravvivere.
Il mondo era cambiato, le città erano quasi tutte distrutte, la natura si era ribellata crescendo e affondando radici là dove aveva potuto ma soprattutto il mondo aveva cambiato assetto, perché quasi ovunque a Nord adesso c’era il deserto.
Era là, quasi all’altezza del Polo artico, che era infuriata l’ultima battaglia. Lì la guerra era finita una volta per tutte, uccidendo tutti quelli che l’avevano causata e cambiando il mondo per sempre. Ora a Nord non c’era più la vita. Dall’Artide nessuno era più tornato e nessuno avrebbe mai pensato di andare a dare un’occhiata. Quel vento malsano che spirava a periodi puzzava di morte e di veleno e teneva alla larga anche i folli. Tutto intorno, quasi a protezione, si era creato un deserto che circondava la parte superiore dell’emisfero terrestre e che si estendeva per gran parte dei continenti a Nord.
La Britannia ad esempio, come Arthur la conosceva, non esisteva più. Ora si trovava in quello che una volta era il Sud della Francia e di strada ne aveva fatta quando cinque anni prima era uscito dalla zona del lago di Avalon e si era ritrovato improvvisamente nel deserto. Er a stato solo per miracolo se poi era sopravvissuto…
“Sire!”
La voce del suo consigliere lo distolse dai ricordi. Lo guardò tornando velocemente alla realtà e sollevando le sopracciglia per il tono di voce.
“Secondo me non capisci la gravità del problema. Cassandra ha sognato di una grande minaccia a est e sai benissimo che lei non sbaglia mai.”
Cassandra era una strega ovviamente ma questo lo sapeva solo lui. Gli altri compagni erano soltanto a conoscenza del fatto che i suoi sogni si avveravano sempre ma non parlavano mai di magia. In quel tempo la magia non esisteva.
“Lo so benissimo. Ma il punto è che Cassandra non ha sognato popoli in ribellione o gente che minaccia i confini. Lei ha parlato solo di un grande pericolo. Potrebbe essere qualsiasi cosa.”
I due uomini che Arthur aveva come consiglieri si zittirono, riflettendo sulle sue parole. Arthur li osservò, sapeva di poter contare su di loro, ormai li conosceva da cinque anni ed erano state le prime due persone che aveva incontrato dopo il risveglio.
“Pierre, Claude. Abbiate pazienza. Non voglio attaccare nessuno né prepararmi ad una guerra. Questo regno non si è fatto con le battaglie, lo sapete benissimo. La gente non vuole combattere mai più.”
I due compagni annuirono con gravità. Era vero, la guerra aveva esaurito ogni desiderio di violenza negli esseri umani e quando Arthur era arrivato, aveva riunito i popoli semplicemente con la promessa di conoscenza e benessere.
“Andremo sul confine senza farci notare e vedremo quali sono questi pericoli che tanto hanno spaventato la nostra Cassandra. A quel punto vedremo il da farsi.”
Claude e Pierre annuirono. “Va bene.”
La determinazione con cui lo ascoltavano lo fece sorridere. Quei due erano i suoi compagni più fidati, degli amici ormai su cui contare e a cui sostenersi nei momenti di difficoltà. Proprio come faceva con…
“Sire, stai bene? Prima sorridi, poi improvvisamente ti scurisci.”
Arthur scosse il capo, cancellando i brutti pensieri. “Sì sì, tranquillo. Sono solo ricordi.”
Uscì dalla sala delle strategie, quei ricordi che vorticavano in mente impossibili da scacciare.
Continua…
Buonaseraaaaa!! Innanzitutto buone feste a tutti quanti! Questa volta l’aggiornamento è stato slittato di una settimana e mi scuso ma il Natale mi ha inghiottito e mi sono vista costretta a saltare un lunedì. Cercherò di essere più sistematica! Certo che se ricevessi qualche commento, visto che le letture sono così tante, sarei anche più motivata u_u lo dico così, giusto per dire…
Ringrazio sempre con il cuore Lunaris e Pandora86 e questa volta anche la cara Emrys *-* vi adoro!
La trama prende sempre più consistenza, nel frattempo scopriamo cosa è accaduto al mondo… ve lo avevo detto che si trattava di uno scenario apocalittico u_u
Sono comunque curiosa di avere un vostro parere a riguardo!
Vi lascio con il titolo del prossimo capitolo “Ho davvero sbagliato tutto!”
A presto!
Ryta |
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Capitolo 5 *** Ho davvero sbagliato tutto ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 5
Ho davvero sbagliato tutto
Il caldo era soffocante. Fu questo il primo pensiero che Merlin ebbe, quando tornò la coscienza. Non aveva ancora aperto gli occhi, perché gli sembrava qualcosa di molto complicato al momento però la mente si era risvegliata e gli rimandava quella sgradevole sensazione di calore e quel desiderio di farsi una dormitina in una cella frigorifera.
Oltre al caldo, ben presto si rese conto di avere anche un gran mal di testa. Si sforzò di sollevare le palpebre stanche ma dovette metterci molto più impegno di quel che credeva. Quando finalmente si schiuse uno spiraglio, cercò di mettere a fuoco e tutto ciò che vide fu un volto.
Il volto più brutto che avesse mai visto. E insomma, lui era vissuto ai tempi del Medioevo, quando il sapone era un optional e il dentifricio non era stato inventato. Di volti brutti se ne intendeva ma quello li superava tutti.
Cercò di aprire la bocca ma non ne uscì alcun suono, vide però l’uomo brutto studiarlo con sorpresa.
“Ehi Mattew! Questo qui è ancora vivo!” la voce bassa e gracchiante era perfetta per quel volto orrendo, pensò Merlin.
“Sei sicuro? Non è qualche reazione radioattiva o che so io?” provenne una voce da lontano.
Merlin si vide studiato con più attenzione. Cercò di parlare ancora e sollevò anche le braccia pesanti per indicare che era vivo e che non stava… friggendo o chissà che altro per colpa delle… radiazioni? Che radiazioni?
Si rese intanto conto, che la ferita al braccio continuava a bruciare e che sicuramente la debolezza era dovuta al veleno che l’aveva causata.
“Macchè, questo si muove proprio. Non mi sembra radioattivo, è solo ferito! Quello è il segno di un cane bicoda!
“E che diavolo ci fa nel deserto un tizio colpito da un cane bicoda?!”
“Cosa vuoi che ne sappia io!”
Merlin si godette lo sveglio scambio di battute tra il volto brutto e la voce senza padrone, cercando nel frattempo di capire dove si trovasse. Sulla sua testa, oltre al faccione scorse il telo sporco e rattoppato di una tenda. Poco dopo, un’ombra tolse luce allo spazio in cui si trovava e Merlin capì che dall’ingresso era entrato il padrone della voce.
“Joan i cani bicoda vivono a est, non in questa parte di mondo.”
Il brutto di nome Joan – Merlin si chiese come facesse uno così ad avere un nome tanto dolce – assottigliò lo sguardo verso l’altro e assunse un’aria arrabbiata.
“Non sono un idiota. So riconoscere il segno di un cane bicoda.” Asserì imbronciato, incrociando due braccia enormi e pelose che facevano perfettamente pendant con la faccia e la voce.
Prego, chiacchierate pure, tanto potrei essere solo diventato mortale, pensò Merlin seccato.
L’uomo chiamato Mattew finalmente si avvicinò per guardarlo e Merlin vide che con il suo compare non aveva niente a che spartire. Per quanto Joan fosse brutto, Mattew era bello. In là con gli anni ma di una bellezza affascinante. Buffo.
“E va bene, hai ragione. Quello è un segno di bicoda. Ora che vuoi farne?”
Joan parve pensarci su. A Merlin non sembrò uno avvezzo a fare spesso cose come riflettere. “Che dici, lo curiamo?”
Mattew sbuffò. “Abbiamo trovato questo tizio nel deserto, Joan. Per quel che ne sappiamo potrebbe anche essere pericoloso e pieno di radiazioni. Lo sai bene che non c’è nessuno nel deserto.”
“A parte noi.”
“Sì ma noi difendiamo i confini dalle creature.”
“E chi ti dice che non sia un cacciatore anche lui? Magari viene da est, non da… da nord.”
Mattew osservò in silenzio Joan, poi sospirò. “Fanne che vuoi. Se ti ammazza nel sonno o domani mattina ti risvegli con tre braccia non è colpa mia!”
Merlin lo vide sparire dalla sua visuale e andarsene fuori dalla tenda borbottando tra sé, poi dedicò attenzione a Joan che gli sorrise bonario mostrando una chiostra di…. buchi inframmezzati da qualche dente annerito.
“Ci penso io a te.”
Per Merlin tutta quella scena fu troppo. Poco dopo, scivolò nuovamente nell’incoscienza, sperando che quel bruttone di Joan gli salvasse la vita.
*
Quando Merlin si risvegliò, riuscì a schiudere le palpebre con molta più naturalezza. Il caldo era sempre afoso ma non provava più quella terribile spossatezza dell’ultima volta. Con piacere si accorse anche che il bruciore al braccio era sparito.
Poco dopo il brutto faccione di Joan comparve nella sua visuale e per un attimo sobbalzò.
“Bene! Sei vivo!” constatò con soddisfazione.
Merlin abbozzò un sorriso e pur con la gola ancora secca, riuscì ad emettere qualche suono. “Grazie…” mormorò.
“Lo dicevo io che ti salvavo la vita! Quel cretino di Mattew non mi credeva e guarda un po’? Niente braccia in più! Secondo me non sei radioattivo.”
Il mago annuì sincero. “Non vengo da Nord…” spiegò con voce flebile, ricordando la conversazione dell’ultima volta. Tanto valeva reggere il gioco e approfittare della situazione per capire dove si trovasse e in che epoca. Aveva intanto notato che i due uomini nel nome e nell’accento, gli sembravano francesi.
“Lo sapevo io!” esclamò Joan con una risata burbera. Ora che lo vedeva meglio a Merlin parve un grosso orso ruba cestini da pic-nic. Un animale feroce che invece sotto sotto è un bonaccione insomma.
“Mattew ti credeva uno del Nord ma lo sanno tutti che lì non c’è più niente! Figurarsi gli umani!”
Merlin cercò di mettersi seduto e ci riuscì a fatica. “Cosa mi è successo?” chiese.
“Eri avvelenato ma io conosco bene l’antidoto per il veleno dei bicoda. Sei stato fortunato… come ti chiami?”
“Merlin. Piacere. E tu sei Joan.” Del sorriso con cui si presentò, Joan parve ancora più soddisfatto.
“Tu mi sembri uno a posto. Che ti è successo?”
Dapprima il mago ponderò se fosse il caso di dirgli o meno la verità. O meglio che vagava per il deserto senza sapere nulla. Poi optò per restare sul vago e cercare di capire senza scoprire troppo le carte. Dopotutto dire di essere un mago addormentato per secoli in cerca di un re non gli pareva il caso.
“Vengo da Est. E non sono un cacciatore. Sono partito in cerca di un amico... anche lui è sperduto nel deserto.”
Joan lo guardò con compassione. “Doveva essere davvero importante per te questo amico. Fratello, nel deserto non si sopravvive.”
Merlin si sentì un po’ stupido, poi però improvvisamente lo colpì la paura. E se Arthur si fosse svegliato prima di lui? Anche lui avrebbe incontrato il deserto. Solo e senza alcuna preparazione, sarebbe sopravvissuto?
Si portò una mano al petto cercando di razionalizzare. Arthur non poteva essere risorto per poi morire subito dopo. Quando c’era di mezzo il destino qualsiasi cosa poteva accadere, di questo Merlin ne era certo.
Joan intese quel silenzio come un momento di sconforto e posò una mano sulla spalla di Merlin. “Andiamo, fratello. Tu sei vivo, sii contento di questo. Negli ultimi tempi è già un miracolo!”
Il mago annuì lentamente. Voleva chiedere di che tempi si trattasse ma così avrebbe potuto scoprirsi. Doveva informarsi in un’altra maniera.
“Qui… a Ovest. Come vanno le cose?”
Joan scrollò le spalle con noncuranza. “Come vuoi che vadano, fratello. Male, come in tutto il mondo. La guerra ha eliminato tutto, si lotta per la sopravvivenza e chi non ha niente da perdere sta qui sui confini a controllare che dal deserto non arrivi nulla.”
“Cosa…” titubò per un momento ma era troppo curioso di sapere. “Cosa dovrebbe arrivare?”
“Creature. Bestie senza nome frutto della guerra. Come i cani bicoda per esempio ma tu quelli li conosci già.” Gli indicò il braccio ora fasciato e Merlin se lo sfiorò d’istinto.
“Ssssì… sì. Quelli provengono dalle mie parti. Ma qui… c’è altro?”
Joan sbuffò sarcastico. “Fratello, ma da dove arrivi? Certo che c’è dell’altro! Altrimenti perché noi saremmo qui?”
Merlin non seppe cosa rispondere. Chinò lo sguardo osservando i suoi abiti del ventunesimo secolo così ben tenuti rispetto a quelli scuri e sporchi del suo interlocutore. Gli sembrò quasi di essere tornato indietro nel Medioevo.
“Scusami. Da noi non ci sono soldati come voi.”
“E’ per questo che la gente sparisce? Che hai perso il tuo amico?”
“Sì, è per questo.” Mentì.
Joan rilasciò un sospiro triste e per un attimo lo sguardo si perse nel vuoto e in chissà quali ricordi. “Anche qui una volta era così. Prima che arrivasse il Re ad organizzare tutto.”
A Merlin per poco non mancò il respiro. Sgranò gli occhi e scattò in avanti, quasi che con quel gesto potesse sentire meglio.
“Un momento! Hai detto il Re?”
Joan gli ricambiò uno sguardo perplesso, poi annuì senza cambiare espressione. “Sì, il Re. Vieni proprio da lontano se sei fuori dai confini del regno di Albion. Come hai fatto ad arrivare fin qui con quella ferita?”
Merlin era troppo agitato per trovare una risposta convincente perciò lasciò perdere e si protese ancora più in avanti, fino a sfiorare il braccio dell’omaccione.
“Regno di Albion? Aspetta aspetta! Mi potresti dire come si chiama questo Re?”
“Oh, quanto entusiasmo, fratello! Ecco… si chiama…”
“Avanti, dimmelo! Dimmelo ti prego!”
“…si chiama… ma sì! Sire! E’ così che tutti lo chiamano! Sire!”
Merlin fremette di impazienza. “Ma no! Non il suo appellativo! Qual è il suo nome!”
“E cosa vuoi che ne sappia io! Non si è mai presentato per nome!” replicò Joan improvvisamente sulla difensiva.
Merlin cercò di calmarsi. Era a tanto così dal sapere la verità ma al momento le sue sorti dipendevano totalmente da quelle persone che gli avevano salvato la vita. Non poteva insospettirle o perdere quel poco di fiducia che quel brutto omaccione gli aveva dato. Prese un forte respiro chiudendo gli occhi. Quando li riaprì si sentì più calmo.
“Scusami. E’ che… ecco… è che vorrei conoscere questo Re. Il fatto è che le mie terre non sono sotto il suo potere e sarebbe di aiuto alle nostre genti avere una guida.” La buttò lì, sperando di essere convincente. Si rese conto con orrore che non aveva la minima idea di cosa fosse accaduto al pianeta in quegli anni e forse tutto quello che stava dicendo erano solo idiozie che Joan dal un momento all’altro avrebbe scoperto.
Invece l’uomo annuì gravemente dimostrandosi comprensivo a quelle parole. “Ti capisco, fratello. Anche la mia gente è cambiata da quando è entrata nel regno di Albion. Il Re è la persona migliore che potessimo avere in questa situazione disperata.”
A quel punto Merlin tentò. Quella persona doveva per forza essere Arthur, non c’erano dubbi. Il sovrano doveva essersi risvegliato prima e il mago semplicemente aveva tardato di qualche anno. Ora sarebbe tornato da lui e si sarebbero ricongiunti. C’era voluto un po’ ma alla fine, ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto.
“Potreste… potreste portarmi da lui?”
Joan sorrise. “Sei un ragazzo impaziente, fratello. Ma mi piaci. Ti indicherò la strada ma dovrai avere pazienza.”
Merlin sentì una strana sensazione di disagio. “Che… intendi con un po’ di pazienza?”
“Un mese. Non appena finiamo il turno di ronda. Poi torneremo alla base e da lì potrai raggiungere il Re. Mi dispiace ma non hai altra scelta.”
Merlin mugolò. Un altro mese. Secoli di attesa e adesso un altro mese. Certo che il Destino era davvero infame.
*
“Arthur.”
Merlin sobbalzò nel sentire quel nome che lui tante volte aveva sussurrato a fior di labbra e tante altre urlato per la disperazione. Si voltò nella direzione in cui proveniva la voce e accolse con sorpresa Mattew che si avvicinava a lui.
“Il nostro Re si chiama Arthur.” Spiegò l’uomo, sedendosi accanto. Si trovavano poco più distanti dal falò dell’accampamento che ogni sera tiravano su come riparo notturno. C’erano altri tre uomini oltre a Mattew e Joan, una piccola compagine che percorreva il deserto a periodi alterni, inviata da una base al confine tra la parte viva del pianeta e quella morta.
Merlin non sapeva altro, come non sapeva il nome di quel Re. Fino a quel momento.
Fece spazio a Mattew e lo fissò in silenzio cercando di reprimere quel sorriso che premeva sulle labbra al solo constatare di essere finalmente sulla strada giusta. L’uomo cacciò un sospiro di scherno e arricciò le rughe che gli incorniciavano gli occhi azzurri, poi si passò una mano tra i capelli corti e brizzolati.
“Joan è troppo ignorante per chiedersi anche come si chiama il suo Re. Alla maggior parte della gente interessa sapere che quell’uomo ci ha portato benessere e salvezza; tutto il resto, cose come i nomi sono facezie ormai.”
“Ma non per te.” Replicò il mago con gentilezza. Erano tre giorni che era stato recuperato e salvato da quel gruppo di soldati; tre giorni di viaggio in cui avevano percorso dune e dune di sabbia senza – fortunatamente – incontrare nessuna bestia. La compagine si muoveva con due fuoristrada che Merlin aveva scoperto si muovevano ad energia solare. I residui di una civiltà ormai distrutta, da che aveva compreso.
In quei tre giorni, nessuno aveva parlato con lui, a parte Joan. Tutti gli altri erano troppo sospettosi del suo insolito ritrovamento e Merlin temeva lo pensassero ancora proveniente da Nord. D’altronde nessuno c’era più stato lì – come gli aveva detto Joan – per cui nessuno sapeva cosa ci fosse, se morte e distruzione o qualcosa di più terrificante.
“Già… non per me.” Continuò Mattew con un sospiro, sollevando il capo e fissando il cielo stellato. Gli occhi si persero in lontani ricordi, come – Merlin aveva notato – facevano tutti.
“Tu sei diverso dagli altri, non sembri neanche un soldato.” Aveva continuato Merlin. L’uomo cacciò un altro sospiro e il mago restò in silenzio, forse credendo di aver detto troppo. Era la prima volta che Mattew gli parlava e non voleva perdere subito quell’occasione.
Lo aveva osservato in quei giorni e aveva notato che rispetto agli altri guerrieri, oltre ad essere molto più anziano, usava meglio la testa, parlava in maniera forbita e quando si doveva prendere una decisione era a lui che spettava l’ultima parola. Tuttavia era molto più gentile e servile di un comune comandante.
“Qui i soldati sono tutti poveretti che hanno perso ogni cosa… Merlin? Ti chiami così?” il mago annuì e lasciò che Mattew continuasse. “Ci sono ex detenuti venuti a scontare la pena, spavaldi senza un briciolo di cervello e violenti che per poter sfogare la loro rabbia ormai possono farlo solo qui con le creature del deserto.”
“Nel Regno…”
“No” lo interruppe Mattew intuendo la sua domanda. “Nel Regno la violenza è bandita. Nessuno più vuole fare la guerra, non più.” Asserì con convinzione.
“Oltre a questa gente, però ce n’è anche altra. Ci siamo io e Joan, per esempio.” Merlin non fiatò, ascoltandolo con attenzione. “Joan era un fornaio, faceva il pane più buono di Parigi, perché lo faceva lui e non le macchine come negli altri forni della città. Io invece ero un professore di storia con una moglie splendida e una bambina che ne era la copia esatta. Quando trent’anni fa è scoppiata la guerra, abbiamo perso tutto. Non abbiamo avuto nemmeno il tempo di rendercene conto che ci siamo ritrovati senza più niente. Ed è per questo che siamo qui. Non abbiamo più niente.”
Merlin chinò lo sguardo tristemente. Sapeva benissimo come Mattew si sentisse. Quell’uomo dopo trent’anni soffriva ancora della morte della moglie e della figlia, lui dopo secoli aveva ancora nel cuore il dolore per la morte di Arthur e di tutti i suoi cari.
“Eppure qualcosa adesso c’è.” Mattew inaspettatamente, continuò e Merlin tornò a guardarlo. Notò che sorrideva. “Difendiamo il confine e la gente che sta a Sud e questo ci basta e ci rende sereni. Facciamo noi questo lavoro, perché non abbiamo più niente da perdere, eppure ci guadagniamo in gioia perché è grazie a noi che il Regno è al sicuro.”
“Quando il Re fondò la base io e Joan ci presentammo subito come volontari. Da allora sono quattro anni che siamo qui tra le dune.”
Merlin sbatté le palpebre. Piano piano i pezzi del puzzle andavano a posto e lui stava riuscendo a comporre tutta la storia. “Sono quattro anni che Arthur è Re?” domandò, dimentico di ogni accortezza.
Mattew infatti, lo guardò un po’ perplesso nel notare tanta confidenza ma poi scrollò le spalle, forse convinto di trovarsi davanti un altro stupido come Joan.
“Quattro anni da quando è stato proclamato il regno di Albion ma Re Arthur ha fatto la sua comparsa sei anni fa.”
Sei anni. Merlin deglutì scioccato. Era un arco di tempo abbastanza lungo se non sei immortale, per cui Arthur aveva fatto tutto da solo in quei sei anni.
“Tu non vieni da Est.” Quelle parole erano uscite così velocemente dalla bocca di Mattew che Merlin era sobbalzato e lo aveva guardato con un’aria tanto colpevole che il mago fu certo di essersi giocato ogni difesa.
“Non vengo da Nord.” Si era però subito difeso, con un tono di voce così deciso che Mattew parve convincersi.
“Senti, non so chi tu sia ma voglio credere almeno a questo. Quello che so per certo è che non vieni da Est. Potrai fregare Joan che è un po’ ignorante ma non me. Il tuo accento è insolito, ho sentito solo un’altra persona parlare con quel tono e io so per certo che chi parla così ora non esiste più: viveva qui quando una volta non c’era il deserto.”
“E l’altro è…”
“Sì. E’ il nostro Re Arthur.”
*
Non avevano più parlato di quello. Mattew aveva evitato l’argomento nei giorni successivi, anche se Merlin aveva notato di essere osservato di tanto in tanto, come se l’uomo lo studiasse con curiosità. Aveva dismesso l’aria sospettosa e Merlin immaginava che avesse capito se non la sua importanza, quanto meno un certo legame con Arthur.
Lui nel frattempo, aveva cercato ancora di usare la magia ma era come se il lungo sonno avesse completamente svuotato tutto il suo essere. Era come se Merlin non fosse più Merlin il Mago. Ma solo un uomo, solo e disperato e in cerca dell’unico legame con la sua vita passata. Ovviamente la situazione lo terrorizzava, eppure c’era in lui un barlume di speranza. In cuor suo sognava che una volta ricongiunto con Arthur, lui avrebbe riavuto i suoi poteri. La medaglia si sarebbe ricompattata, e quindi tutto sarebbe potuto tornare come prima.
Merlin si ripeteva questo mantra ogni giorno, in quel lunghissimo mese di vita nel deserto. Due volte incontrarono delle creature che Merlin non aveva mai visto prima e che non avevano niente a che vedere con quelle mitologiche incontrate nei suoi secoli di vagabondaggio. C’era qualcosa di estremamente malvagio in quello che incrociarono e che fortunatamente i soldati decimarono con solerzia andando a colpire i punti più deboli. Usavano armi mai viste, anch’esse raccolte da ciò che rimaneva della vecchia civiltà e che erano state tutte recuperate dal Re e spedite alla base. Nel Regno non c’erano altre armi, solo quelle per difendere i confini del deserto.
I trenta giorni furono probabilmente i più lunghi dell’attesa estenuante di Merlin ma passarono e alla fine di quel mese il mago si ritrovò ad osservare i picchi della base, mentre la compagine faceva ritorno dal suo lungo turno di pattugliamento.
La base pullulava di uomini, di ogni aspetto. La maggior parte parlava francese o quell’inglese francesizzato con cui si esprimevano Joan e Mattew. Da quanto aveva appreso quella era la lingua ufficiale del Regno di Albion, voluta dal Re in persona, che sapeva esprimersi solo in quella lingua. Ora capiva anche i sospetti di Mattew.
Ad ogni modo, Merlin – dopo aver salutato calorosamente Joan – riuscì a strappare un passaggio fino alla capitale, che ovviamente aveva scoperto chiamarsi Camelot. Buffo come Arthur avesse deliberatamente ricreato il suo regno secoli e secoli dopo e nessuno avesse obiettato. Ma d’altronde nessuno in quell’epoca ricordava alcunché delle leggende arturiane, della tavola rotonda e del Medioevo. Merlin si appuntò che avrebbe dovuto chiedere a Mattew se sapeva qualcosa a riguardo. In quel caso avrebbe trovato ancora più sospettosi il suo nome legato a quello di Arthur.
Meditava su queste faccende, mentre prendeva posto sul fuoristrada ad energia solare che lo avrebbe condotto alla capitale. E quasi gli prese un colpo, quando si ritrovò faccia a faccia con l’oggetto dei suoi pensieri.
“Vengo con te.”
Mattew lo aveva guardato ed era rimasto in attesa di una reazione da parte di Merlin che sulle prime non avvenne. Il mago era rimasto a guardarlo stupidamente, chiedendosi il perché. Poi aveva materializzato quella domanda anche sulle labbra.
“Perché mai?”
“Perché sono in licenza, come tutti i volontari dopo il pattugliamento mensile. E poi ho delle curiosità da chiarire…”
Merlin sollevò gli occhi al cielo e sospirò. Decisamente quell’uomo sapeva qualcosa.
*
Camelot. Merlin osservava i tetti della capitale che si scorgevano all’orizzonte tra gli alberi. C’erano voluti altri cinque giorni di viaggio per raggiungerla, perché il fuoristrada andava piano e si muoveva solo durante le ore in cui il sole era più alto. Purtroppo il dispositivo che accumulava energia per le ore di buio era danneggiato e in quell’epoca quando si rompeva qualcosa era chiaro che nessuno avrebbe più potuto aggiustarla.
Quei cinque giorni furono ancora più lunghi e sfiancanti per Merlin che si sentiva sempre più vicino alla meta e sempre più frustrato per ogni ora persa.
Mattew continuava ad osservarlo senza dirgli niente e la cosa ad un certo punto era diventata anche piuttosto fastidiosa. Perché diamine non si decideva a chiedergli cosa gli frullava in testa? A quel punto avrebbe potuto dirgli tutto, tanto che poteva fargli al massimo se non prenderlo per un pazzo visionario?
Fu difficile ma alla fine giunsero a Camelot. Un enorme ammasso di capanne fatte di pietra e legno e al centro una costruzione più grande, la residenza del Re. La guerra aveva distrutto tutto e gli esseri umani avevano reinventato le macerie, per creare delle abitazioni soddisfacenti con l’aggiunta di quello che – Merlin ne era sicuro – doveva essere lo zampino di Arthur. Molte costruzioni erano fatte come le vecchie abitazioni del Medioevo e la residenza del Re aveva l’aspetto del torrione di un castello. In qualche modo la nuova Camelot assomigliava a quella vecchia, anche se era più colorata e qua e là vi erano ancora i resti della civiltà distrutta dalla guerra.
Di auto ce n’erano pochissime e sembravano tutte adibite a trasporto pubblico. Tutti gli altri si muovevano a piedi o su tappeti semovibili come quelli che qualche volta Merlin aveva visto nei centri commerciali del ventunesimo secolo. Immaginò che anche quelli funzionassero ad energia solare. C’era molta gente per la città ma quello che colpì Merlin furono le espressioni della gente.
Mentre il fuoristrada percorreva le strade della città diretto verso il centro, Merlin notò che nessuno sembrava felice. Quasi tutti i volti esprimevano tristezza e serietà. Ad un angolo un bambino piangeva guardando il torrione e la mamma lo abbracciò sussurandogli qualcosa in francese.
“Che cosa sta succedendo qui?” domandò d’un tratto Mattew. Merlin lo guardò e si accorse che anche il professore sembrava sorpreso quanto lui.
“Di solito c’è questa accoglienza a Camelot?”
“Assolutamente no. La capitale è il simbolo del benessere del Regno. Non capisco cosa sia successo.”
Merlin deglutì avvertendo una strana tensione all’altezza dello stomaco. Qualcosa non andava e lui che aveva vissuto in un’epoca in cui la gente era molto più leale, sapeva perfettamente quando in una città tutti quanti reagivano in quel modo. Erano pochi i momenti ma tutti significativi… e preoccupanti.
Il fuoristrada arrivò nella piazza principale e si fermò davanti ad una fontana, dove le donne andavano a raccogliere l’acqua. Persino quello gli ricordò il Medioevo e persino lì le persone sembravano tristi.
Mattew e Merlin scesero insieme dalla gip e salutarono alcuni dei loro compagni di viaggio, poi si avvicinarono a quello che parve un bar… o una taverna… insomma, un luogo di ristoro.
Fu Mattew ad entrare per primo e a salutare con garbo. Merlin lo seguì in silenzio, sempre più teso. Nel locale nessuno rideva o conversava allegramente: un silenzio spettrale li aveva accolti aumentando la sua paura.
“Buon uomo, siamo soldati della base, potrebbe servirci un bicchiere di vino?” domandò Mattew al barista-oste che si trovava dietro al bancone. L’altro annuì con cortesia e si prodigò per accontentare i clienti.
“Gran brutto periodo per tornare dalla base.” Commentò il barista-oste, servendo il vino in due bicchieri di legno. Merlin posò una mano sulla superficie del bancone avvertendo improvvisamente un senso di nausea. Aveva capito ma non voleva sentire.
Mattew non notò il turbamento di Merlin e continuò a fissare il proprietario del locale con avida curiosità.
“Perchè?”
“Una cosa terribile… siamo tutti scossi.” Continuò l’uomo scrollando il capo.
Mattew picchiettò un dito sul bancone. Merlin intanto volevo solo vomitare, la testa prese a girare.
“E’ dire che lo abbiamo saputo solo ora! Ha nominato un successore ma senza di lui come faremo?”
“Ma chi? Insomma!” replicò esasperato Mattew. Poi sentì la mano di Merlin che gli afferrava un braccio e un mormorio disperato.
“Ho davvero sbagliato tutto.”
E mentre il mago crollava svenuto, il barista-oste pronunciò le uniche parole che mai Merlin avrebbe voluto ascoltare.
“Il nostro Re. E’ morto!”
Continua…
Ehilà! (Ryta evita le frecce in fiamme e l’olio bollente) Buon lunedì a tutti e buona Epifania! (cerchiamo di sviare il discorso u_u)
Ho deciso di diventare bastarda visto che non lo ero già abbastanza perciò vi lascio con questo bellissimo finale ^^ hahahaah (evita un’altra scarica di frecce e lance)
Dopo una serie di capitoli-prologo, entriamo oramai nel vivo di questa storia e lentamente il bandolo della matassa invece di sbrogliarsi si annoda sempre di più! Hahaahah
Oggi sto particolarmente allegra anche se con tutta sincerità sono un po’ delusa =_= noto da una parte che le letture di questa storia aumentano ad ogni aggiornamento ma non c’è nessuno (a parte le mie adorate fedelissime *-*) che lascia un commento.
Davvero, mi piacerebbe sapere le vostre congetture, i vostri pensieri a riguardo, le idee che avete su questa storia, di sicuro è un modo anche per me per capire se vi sto interessando o meno ed è anche una forma di rispetto per le autrici che scrivono ;)
Intanto ringrazio col cuore Lunaris, Pandora86 e Larry Is a Promis! A voi un bacione!
A tutti a presto. Il titolo del prossimo capitolo è “Dove sei?”
Ryta |
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Capitolo 6 *** Dove sei? ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 6
Dove sei?
“Sire… Arthur. Dobbiamo andare.”
Il re si voltò ad osservare il volto accondiscendente di Claude. Gli aveva posato una mano sulla spalla per richiamarlo dai suoi pensieri.
“Bene.” Replicò brevemente distogliendo lo sguardo dal torrione e dai tetti della città. Della sua città, la nuova Camelot. Salì sul fuoristrada e si accasciò sul sedile posteriore, osservando Pierre che salutava con un bacio una bellissima donna bionda.
Avanti vi erano l’altro amico e consigliere di Arthur, Claude e un soldato della guardia di Camelot, Francois. Arthur osservò distrattamente Pierre e la donna, mentre con la mente rivangava i ricordi di quando partiva nel suo passato per una missione. Guinevere che lo salutava con calore, suo padre che lo guardava con orgoglio e Merlin, che tra un borbottio e l’altro gli sistemava la cavalcatura e poi saliva anche lui in groppa, pronto a seguirlo ovunque.
Quanto gli mancava tutto quello. La vita nella nuova Camelot era bella e appagante e la compagnia di Pierre e Claude i suoi amici, rallegrava le sue giornate. Eppure niente di tutto quello avrebbe mai potuto eguagliare la sua vecchia vita o le persone che erano state con lui quando era ancora il re del passato.
Ora come re del futuro, non c’era più niente che lo legasse a quel tempo, nemmeno l’unica persona che credeva non lo avrebbe mai abbandonato.
Scosse il capo ricacciando quei tristi pensieri e ignorando quel senso di tradimento che lo attanagliava ogni volta che pensava a Merlin e poi sollevò un angolo della bocca in un sorriso di scherno.
“Pierre, ogni volta che devi lasciare Cassandra, fai una tragedia. Avanti, la rivedrai presto!” Canzonò l’amico, mentre il fuoristrada partiva e Claude davanti ridacchiava divertito.
Pierre fece una smorfia ma si capiva che stava al gioco. “E’ solo perché siete invidiosi. Io la ragazza ce l’ho.” Replicò serafico, guadagnandosi uno scappellotto del suo re.
“Devo ancora capire che ci trovi Cassandra in uno come te!” ribatté Arthur risentito, osservando il viso appuntito dell’amico che incorniciava due occhi grigi e a tratti un po’ freddi. Pierre era il classico tipo che ad un primo aspetto sembra la persona più antipatica del mondo ma poi appena la conosci sei costretto a ricrederti. Arthur lo aveva compreso a sue spese, quando lo aveva conosciuto cinque anni prima appena dopo “il risveglio”.
Al contrario di Claude, che aveva l’aria di un bonaccione con la sua zazzera scura, gli occhi nerissimi e il naso a patata, Pierre era biondissimo e dall’aspetto glaciale. Eppure assieme, avrebbero potuto far concorrenza ad un duo di giullari.
Arthur li trovava divertenti, erano un’ottima compagnia, oltre al fatto che entrambi si erano dimostrati di una lealtà assoluta nei momenti più difficili di quel lungo percorso che lo aveva visto diventare Re.
Erano state loro le prime due persone che aveva incontrato dopo essere uscito dal lago di Avalon ed essersi trovato nel bel mezzo del deserto. Dopo un’intera giornata di cammino – in cui aveva seriamente pensato di essere risorto solo per morire lì in mezzo come un deficiente – li aveva scorti a bordo di quello che la prima volta gli era sembrato un carro magico. Poi aveva scoperto che si trattava di un fuoristrada, un’invenzione degli umani che si muoveva con l’energia del sole e senza bisogno di muli o cavalli.
Pierre e Claude erano quel genere di persone che nella vita non avevano nulla e quindi niente da perdere. Per vivere cacciavano le bestie nel deserto che altrimenti sarebbero scese a Sud per cibarsi degli umani. In cambio i villaggi che proteggevano li ricompensavano di viveri e materiale per sopravvivere.
Lui, che di bestie non ne aveva incontrate sul suo cammino, all’inizio era stato un po’ titubante, ma quando due giorni dopo che lo avevano raccolto si era ritrovato a combattere contro uno strano vermone dai denti aguzzi, si era dovuto ricredere.
Il lavoro che facevano Pierre e Claude era pericoloso ma molto importante e fin da subito si era ripromesso che se fosse diventato Re, avrebbe istituito una guardia per pattugliare il deserto e proteggere la gente a Sud. Aveva infatti compreso, dai discorsi dei due uomini, che erano pochissimi i temerari che avevano deciso di fare quel lavoro, anche per via della penuria di mezzi e di armi.
Arthur tuttavia, non aveva sin da subito suscitato fiducia nei due combattenti. La prima domanda che gli avevano fatto era stata se per caso non provenisse dal Nord. Lui aveva risposto con molta sincerità che no, non veniva da lì, ma da un posto in cui gli era stata affidata una missione importante perché lui poteva aiutarli.
Probabilmente i due da principio lo avevano preso per pazzo. Ma quando poi col passare dei giorni, avevano visto la sua forza nel combattere le creature – che aveva scoperto essere frutto di una terribile guerra che aveva decimato la popolazione mondiale e che aveva creato la desolazione nella parte superiore del pianeta (poi aveva anche scoperto che la Terra era tonda e che addirittura esistevano altri continenti oltre all’Europa!!) – ma anche le sue conoscenze di tecniche di sopravvivenza e di costruzione, ne erano rimasti tanti sorpresi che avevano deciso di portarlo al villaggio più vicino.
Lì Arthur, aveva condiviso le proprie conoscenze e aveva aiutato quella gente, insegnando loro a coltivare e a costruire abitazioni e pozzi efficienti. Aveva insegnato agli uomini tecniche di combattimento e di scherma e anche alcune trappole in caso di attacco.
Da un villaggio era poi passato ad un altro e poi ad un altro ancora e piano piano la sua fama era aumentata, finché un giorno quelle popolazioni non decisero di eleggerlo come loro guida. Fu proclamato Re e lui decise di costruire una città, come simbolo del benessere di quel nuovo Regno che era nato non dalle guerre ma dalla pace e dalla condivisione. Al Regno aveva dato il nome di Albion, alla città, Camelot e nessuno aveva obiettato perché quei nomi erano ormai caduti nell’oblio.
Al suo fianco aveva avuto sempre Pierre e Claude che col tempo erano diventati i suoi più cari amici e anche i suoi consiglieri. Lo chiamavano “Sire” anche loro, solo che i due lo facevano in maniera scherzosa, perché erano le uniche persone con cui avesse davvero una certa confidenza. Per loro era Arthur il compagno di mille avventure, non Arthur il Re.
E anche lui avrebbe potuto dire altrettanto, se solo ogni volta che rifletteva su quello, una piccola puntura non rovinasse quell’idillio. Quella puntura lo infastidiva perché lo portava a porsi delle domande che già secoli prima aveva messo in discussione quando aveva appreso la verità.
Pierre e Claude erano per lui amici tanto quanto lo era stato Merlin? A giorni la sua risposta era affermativa e sicura, in altri non ne era tanto convinto. Quando la malinconia prendeva il sopravvento e lui si intristiva e poi si arrabbiava, i rapporti che aveva sviluppato nel futuro perdevano subito di importanza e la sua mente tornava dolorosamente al passato ma soprattutto a chi nel presenta non c’era.
Scacciò nuovamente quei pensieri seccato perché erano di nuovo tornati a galla. Scosse il capo anche, come se con quel gesto potesse eliminare tutti i suoi crucci dalla testa e poi lanciò un’occhiata a Pierre.
“Cassandra ha sognato altro prima della partenza?” domandò in qualche modo temendo la risposta. Ricordava ancora bene le conseguenze dei sogni di Morgana. All’epoca non capiva ma ora che sapeva della magia, aveva rimesso a posto tutti i pezzi e aveva compreso tanti punti di cui negli anni era sempre rimasto all’oscuro.
Da quando aveva conosciuto Cassandra e aveva individuato in lei la magia, teneva molto in considerazione i suoi sogni, perché sapeva che erano reali.
Gli altri non avevano mai parlato di magia vera e propria, fin da quando un giorno di appena due anni prima la donna si era presentata a corte asserendo di aver sognato il suo arrivo da un lago, Arthur aveva deciso di tenerla con sé e le aveva assegnato il ruolo di consigliera, donandole tutti i privilegi che quella posizione meritava.
Arthur aveva capito dalle sue esperienze passate che persone così potenti non dovevano essere osteggiate ma al contrario trattate coi dovuti onori, e così nel corso di quei mesi Cassandra aveva dimostrato altre volte di prevedere il futuro, dando dei vantaggi ad Arthur che prima non si sarebbe mai sognato.
Grazie a lei avevano potuto prevedere alcuni pericoli, come l’attacco di certe creature in una zona poco battuta dai soldati della base e anche la ribellione di un piccolo gruppo di violenti che volevano razziare i villaggi nell’estremo Ovest di Albion.
Dei sogni premonitori di Cassandra sapevano solo Pierre e Claude ma entrambi avevano accettato semplicemente che la donna avesse questo dono e niente più. Nessuno dei due aveva mai fatto cenno a poteri magici o sortilegi né lei aveva mostrato alcunché a parte le premonizioni.
Col tempo poi, Cassandra era diventata la compagna di Pierre e Arthur non aveva obiettato, anzi aveva considerato la cosa come un vantaggio all’unione di quel gruppo che da solo determinava le sorti di un regno.
“Mi dispiace Arthur. A parte il sogno per cui siamo partiti, non c’è stato altro. Il che forse da una parte è anche meglio.”
Arthur sbuffò sarcastico. “Beh, direi!” il Re ricordava ancora bene quando Morgana predisse la sua morte. Pur non sapendo niente della sua natura magica all’epoca lo trovò comunque molto inquietante.
“Ad ogni modo scopriremo quale sarà questa minaccia una volta giunti fin là. Per il momento rilassiamoci, il viaggio sarà lungo.”
*
Come aveva previsto il viaggio si era rivelato davvero molto lungo. Per raggiungere l’estremo Est del regno di Albion là dove una tempo c’era lo stato chiamato Bulgaria c’erano voluti dieci giorni. Certo i viaggi erano sempre più brevi di quando ci si muoveva ancora a cavallo, però una volta aveva beccato Pierre e Claude a parlare di quando prima della guerra i loro genitori potevano spostarsi da una parte all’altra del pianeta – ancora doveva abituarsi all’idea che fosse così… tondo! – a velocità incredibili.
Ora però, il fuoristrada su cui viaggiavano, uno dei pochi oggetti sopravvissuti alla distruzione, percorreva strade spesso non battute, in mezzo alla vegetazione con un dispositivo ad energia solare che non permetteva chissà quale potenza. Inoltre avevano deciso di non viaggiare la notte per non sovraccaricare il dispositivo di raccolta dell’energia che avrebbe potuto essere utilizzato in situazioni più critiche.
Arthur non era molto preoccupato dal sogno di Cassandra. La donna aveva parlato di una minaccia ma senza specificare cosa, perciò il suo animo semplice preferì non pensare subito al peggio ma sminuire la faccenda. Se tutto andava bene avrebbero trovato qualche rivolta che avrebbero sedato in poco tempo.
Quando giunsero quasi al limite del confine, Arthur si guardò istintivamente indietro, quasi come se con quel gesto potesse vedere quanto grande fosse diventato il suo regno.
Mai in vita sua avrebbe mai immaginato tanto. Albion andava a coprire quasi tutto il continente europeo, se non si considerava la zona a Nord del deserto, il che a momenti gli sembrava anche troppo per uno come lui.
Ok, era il re del destino ma era pur sempre un semplice uomo e poi non aveva fatto molta fatica a costruire quel reame. Aveva compreso che in fondo alla gente serviva un simbolo, non regole o leggi – cosa che aveva comunque istituito nei limiti della situazione – una guida insomma e un punto di riferimento su cui contare in mezzo a quella desolazione.
Arthur aveva condiviso nel mondo le proprie conoscenze, aiutandole a rialzarsi e loro in cambio lo avevano eletto a loro punto di riferimento. E a mano a mano le popolazioni che volevano quel sostegno diventarono sempre di più fino a che quel regno non si era fatto da solo.
Arthur aveva dato allora autonomia economica ai vari villaggi e aveva istituito alcune leggi fondamentali, tra cui l’abolizione della violenza in ogni forma in tutto il regno. Aveva requisito ogni arma e l’aveva consegnata ai soldati della base perché difendessero i confini dalle creature. Aveva poi istituito alcune basi più piccole situate in punti strategici perché potessero essere i suoi occhi e le sue orecchie in caso di problemi.
Di guai fortunatamente non ce n’erano stati. A parte qualche episodio sporadico di ribellione era la gente stessa, sopravvissuta ad una guerra logorante e distruttiva che non aveva più nell’animo la voglia di combattere. Ogni forma di violenza fu perciò bandita con il benestare di tutti e fortunatamente ogni cosa funzionò per quegli anni di regno.
Arthur raramente rimpiangeva quelle epiche battaglie in cui poteva mettere a frutto le sue doti di cavaliere ma sapeva che fosse più giusto che nel mondo ormai non si facesse più la guerra.
Persino oltre il suo regno aveva ricevuto messaggi di popolazioni che volevano essere ammesse ad Albion e che chiedevano al Re l’onore di averlo nei luoghi più disparati.
Ora che si trovavano all’estremo Est, Arthur si chiese se non fosse stato il caso di addentrarsi un poco oltre i confini e di allargarli con la sua sola presenza.
“C’è un villaggio più avanti. Ci fermiamo lì!” sentì Pierre che avvisava il resto della comitiva. Guidava lui quel giorno, dopo che a turno si erano alternati perché tutti potessero riposare.
Arthur che in quel momento sedeva accanto a lui sul sedile del passeggero, lanciò uno sguardo veloce e poi continuò a guardare fisso davanti a sé.
“No, continuiamo oltre il confine.”
“Ma Arthur, non sappiamo nemmeno cosa c’è oltre il confine.” Replicò subito Pierre, guardandolo sorpreso dalle sue parole. “Fermiamoci al primo villaggio, ci rifocilliamo facciamo qualche domanda e poi vediamo il da farsi!”
Arthur scosse il capo. “Non c’è bisogno di coinvolgere altre persone. Siamo qui in incognito, ricordi? Attraversiamo il confine e raggiungiamo il primo villaggio al di là. Sarà più facile.”
Pierre provò nuovamente a controbattere ma si aggiunse anche Claude da dietro a sostenere il Re. “Credo che Arth abbia ragione.” Spiegò chiamando il Re con confidenza, come facevano spesso quando erano soli. “Se c’è davvero una minaccia non è il caso di coinvolgere gente innocente. Vediamocela noi, abbiamo comunque dalla nostra l’effetto sorpresa.”
“Aspettiamo il tramonto. Ci muoveremo col buio.” Aggiunse Arthur come se non ci fosse bisogno ancora di altre spiegazioni. Pierre infatti tacque, l’espressione del viso un po’ risentita e le mani strette al volante con più foga.
Arthur lo guardò ma non gli diede altra attenzione. Sapeva quanto Pierre fosse orgoglio e odiasse quando le sue idee venivano bocciate. Quanto meno aveva imparato negli anni a non farne un dramma. Si concentrò sulla strada, il confine sempre più vicino.
*
Il fuoristrada percorreva molto lentamente il cammino. La strada era battuta ma per non destare allarmi avevano deciso di muoversi senza utilizzare i fari. Per fortuna quella notte c’era il plenilunio perciò fu facile evitare gli ostacoli e proseguire per la giusta direzione.
All’ultimo avamposto che avevano incontrato sul cammino, si erano procurati una cartina aggiornata dei villaggi prima e dopo il confine, così adesso sapevano di dirigersi verso il primo centro abitato che sorgeva fuori dal Regno di Albion.
Ci vollero altre tre ore di viaggio. Il fuoristrada viaggiava lentamente e loro non volevano attirare l’attenzione. Quella missione era iniziata come un controllo, poi avrebbero deciso il da farsi.
Quando giunsero a destinazione, lasciarono il fuoristrada nascosto tra gli alberi e si avvicinarono al villaggio a piedi. Per le strade non c’era nessuno. La differenza tra gli insediamenti dentro e fuori dal regno era evidente. Lì ogni cosa sembrava cadere a pezzi e intrisa di una disperazione che solo pochi chilometri prima era ormai un brutto ricordo.
Arthur si fece strada aprendo il gruppo, evitando di far rumore e di arrischiarsi a guardare indietro. Sapeva di avere le spalle coperte perciò si concentrò sulla strada davanti a sé e su quello che aveva intorno.
Ma proprio non poté non voltarsi quando sentì un colpo sordo provenire dietro di lui e poi un gemito. E quando vide che due dei suoi uomini erano già a terra, si rese conto che era ormai troppo tardi.
Sollevò lo sguardo sul terzo che gli puntava un’arma e trattenne il fiato con sgomento.
Poi fu colpito, un dolore assurdo si insinuò nelle sue carni mentre una scarica elettrica lo attraversava da parte a parte. Dolore intriso di tradimento e di delusione per chi ora lo aveva colpito. E mentre le ginocchia gli cedevano e il suo corpo cadeva al suolo, un ultimo pensiero volò a chi mai avrebbe potuto fare una cosa simile.
Dove sei?
E dopo fu solo buio.
Continua…
Ehilà!! Buon lunedì e buon inizio di settimana. Sono contenta di riuscire a mantenere il ritmo del mio aggiornamento settimanale ^^
Allora, se nel capitolo precedente abbiamo avuto la notizia sconvolgente, qui capiamo un attimo che succede. Ovviamente ci sono molti punti oscuri, che vi assicuro nel prossimo capitolo saranno sicuramente più chiari! ;)
Già che ci sono questa volta invece del titolo vi lascio una piccola anticipazione, visto che ho paura il morale sia basso dopo questa fine indegna u_u
“Dici che siete legati dal destino, per cui non avrebbe senso se vi foste risvegliati in un momento diverso.”
“Già ma lui è morto.”
“Questo è quello che dicono. Ma tu lo hai visto morto?”
Merlin ebbe tutta la sua attenzione. Sedette sul letto, osservandolo con avidità.
Mattew dal canto suo, incrociò le braccia con fare saputo. “Insomma, il suo consigliere è tornato solo, dicendo che il Re era morto e ora questo qui verrà nominato suo successore. E tu vieni a dirmi che ti sei svegliato solo ora e che il tuo compito è quello di proteggere il Re.”
“Cosa… stai cercando di dirmi?”
“Che forse il Re non ha avuto bisogno del tuo aiuto… fino ad ora.”
Sappiate che mi reputo davvero davvero buona u_u soprattutto perché non ve lo meritate! :P
Continuo ad avere tante letture ma pochissimi commenti ç_ç me tapina, mi sembra di parlare con un muro certi momenti! Guardate che se la storia non vi piace o credete che sia noiosa potete dirmelo, non mi offendo! u_u anzi magari posso fare qualche aggiustatina, anche se vi garantisco che presto arriverà il bello!
Rinnovo ancora e ancora la richiesta di una vostra voce. Una recensione a voi non costa nulla ma a me rende felice e mi ispira a scrivere e scrivere ;)
Ringrazio chi ha avuto il buon cuore di commentare. Pandora86 (cara, non mi abbandoni mai ç_ç) e grazie anche a chibisaru81 e One Day_Painless; a voi anche benvenute! E spero di risentirvi ancora!
Con questo un bacione a tutti!
A lunedì
Ryta |
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Capitolo 7 *** Sei tu! ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 7
Sei tu!
I rumori sulla strada giungevano ovattati alle sue orecchie. Merlin li ascoltava come se si trovasse ad anni luce di distanza. Invece erano solo ad un salto di finestra, oltre un vetro sbiadito su cui si affacciava Camelot.
Fissava il vuoto Merlin, seduto su quel lettino basso e duro, come quelli su cui per anni aveva dormito quando era solo un valletto. Invece ora si trovava in una stanza, forse sopra l’osteria in cui erano entrati prima e dove lui aveva perso stupidamente i sensi.
Fissava il vuoto Merlin. Le mani strette in unico pugno contro le labbra, i gomiti sulle ginocchia. Gli occhi persi in un angolo vuoto della stanza che lui nemmeno stava vedendo. In testa le immagini dell’oste che muoveva le labbra e pronunciava la sentenza.
“Il nostro Re. E’ morto”
Fissava il vuoto Merlin e si sentiva vuoto dentro. Aveva atteso secoli, aveva disperato e aspettato e poi aveva rinunciato e aveva chiesto alla Dama di dormire. Si era svegliato, privato dei poteri e di tutto ciò che lo rendeva quello che era sempre stato. Aveva atteso ancora, sfidando il deserto e rischiando la vita.
Tutto quello per cosa?
Arthur era morto. Morto. Forse per sempre o forse fin quando il mondo non avrebbe di nuovo avuto bisogno di lui?
Rabbrividì al pensiero. Perché no, stavolta non avrebbe aspettato più. Non ne sarebbe mai stato capace. Non di nuovo, non ancora.
La porta si aprì all’improvviso e dall’uscio comparve il volto di Mattew. La barba brizzolata nascondeva un volto preoccupato: Merlin avrebbe potuto leggere tutto in quegli occhi azzurri, più chiari dei suoi ma altrettanto brillanti di intelligenza.
“Sei sveglio.” Constatò Mattew, entrando del tutto nella stanza e portando con sé un vassoio con del cibo.
Merlin non rispose. Per quanto dovesse essere grato a quell’uomo, al momento lo infastidiva. Voleva stare da solo. Solo con il suo dolore.
“Ho chiesto una stanza all’oste. Per fortuna questa è anche una locanda. Si era preoccupato quando ti ha visto svenire.”
Il mago restò ancora in silenzio. Non voleva parlare e sperò che Mattew capisse e se ne andasse via. L’uomo tuttavia, lasciò il vassoio sul tavolo accanto alla porta e sedette sull’altro letto che fronteggiava Merlin. Sospirò osservandolo prima di riprendere a parlare.
“Senti, lo so che non dovrebbero essere fatti miei ma io un’idea me la sono fatta. Sono… ero uno studioso di storia e certi nomi non mi sfuggono.”
Merlin chiuse gli occhi, sapendo già dove volesse arrivare. Non mosse altro che le palpebre però, lasciando che l’altro continuasse a parlare. In fondo ormai, niente aveva più importanza.
“Avevo già trovato curioso che uno sconosciuto di nome Arthur arrivasse dal nulla e costruisse un regno chiamato Albion e una città chiamata Camelot. Ma lì per lì avevo pensato ad un gesto voluto, magari quell’Arthur sapeva la storia e aveva voluto dare di proposito al suo, il nome di un grande e prosperoso regno. Poi sei arrivato tu, hai detto di chiamarti Merlin e non mi è sembrata più una coincidenza.”
“Inoltre parli del Re come se lo conoscessi da una vita e sei rimasto sconvolto quando hai saputo della sua morte.”
“E quindi?” Merlin improvvisamente lo guardò negli occhi e lo interruppe. Sul volto, un’espressione di dolore e insofferenza. “Cosa vuoi sapere?”
Mattew sostenne il suo sguardo. “Niente. Volevo solo una conferma. In tal caso potrebbe dispiacermi di più per te.”
“Non ho bisogno della tua pietà.” Spiegò Merlin, duramente. Poi però se ne pentì. Quell’uomo avrebbe potuto abbandonarlo al suo dolore e andarsene per la sua strada invece lo aveva soccorso e gli aveva persino portato da mangiare.
Osservò il vassoio sentendosi in colpa e cacciò un altro lungo sospiro. “Senti, scusami ma davvero questo non è un buon momento.” Si passò una mano sulla faccia stancamente. Aveva già pianto la morte del suo Re secoli orsono, ora quello che sentiva era solo un forte abbattimento e la voglia di chiudere gli occhi e non svegliarsi più.
“L’oste mi ha detto che il Re è morto quattro mesi fa.” Disse Mattew ignorando quel suo sfogo. Merlin tornò a guardarlo, mentre nel petto si sentiva sprofondare.
“Era partito per una missione di controllo ma non è più tornato. Qui in città erano tutti tranquilli perché era solito allontanarsi per mesi, superava i confini e ampliava il suo regno raggiungendo nuovi centri abitati che avevano bisogno di lui. Ma a quanto pare questa volta non è andata bene. E’ rimasto vittima di un agguato e i suoi uomini sono stati fatti prigionieri. L’unico che si è salvato è riuscito a tornare qui solo qualche giorno fa.”
“Perché mi racconti questo?” replicò Merlin. Durante quella spiegazione aveva ascoltato ma lentamente l’insofferenza era aumentata fino a che non era esploso alzandosi in piedi e portandosi entrambe le mani tra i capelli scuri. Improvvisamente ebbe soltanto una gran voglia di piangere.
Quattro mesi. Se lui si fosse svegliato solo quattro mesi prima, Arthur sarebbe ancora vivo. E invece aveva aperto gli occhi solo un mese fa. Perché tutto quello? Era quello il momento giusto che tanto decantava la Dama del Lago?
Arthur aveva fatto tutto senza di lui, si era svegliato, aveva creato un nuovo regno, era tornato ad essere re ed era di nuovo morto. E lui in tutto quello, dov’era?
Lui dormiva. In attesa del momento giusto.
La sua rabbia crebbe e d’istinto, tirò un pugno contro il muro accanto al letto. La parete restò intonsa, mentre la sua mano prese a dolere in maniera indicibile. Sbuffò di collera e di dolore, tenendosi l’arto ferito e gridando contro Mattew.
“Non doveva succedere tutto questo! Io dovevo proteggere il Re, non farlo morire! Maledizione!!”
Si sfogò guardando l’uomo che gli stava di fronte, farsi lentamente più sbiadito. Quando capì che la colpa era delle lacrime, si accasciò di nuovo sul materasso e si coprì il volto con le mani, in un gesto disperato.
Mattew lasciò che si sfogasse in silenzio, decidendo di essergli di conforto con la sua sola presenza.
“Dovevo essere lì quando sarebbe tornato, dovevo essere con lui!! E invece… invece non c’ero. L’ho abbandonato…. Ancora… ancora una volta non sono stato in grado…”
Merlin non si chiese quanto quell’uomo capisse di ciò che lui diceva. Ma aveva bisogno di esternare tutto quel dolore e poteva farlo solo con le parole.
“Ho di nuovo sbagliato… ancora una volta, dannazione! Non sono stato capace… nemmeno di aspettarlo…”
Pianse calde lacrime rendendosi conto che non era vero niente. Non aveva smesso di piangerlo secoli fa. Avrebbe continuato a piangere la morte del suo Re per l’eternità.
*
Dopo che si fu calmato, Merlin si asciugò il viso e ringraziò Mattew.
“E di cosa?” gli aveva risposto lui.
“Di avermi ascoltato. Sono secoli che nessuno lo fa.”
Mattew si era passato una mano sulla barba, un gesto che Merlin gli aveva visto fare cento volte in quel mese di convivenza. “Ho paura a chiederti se le tue parole sono letterali oppure no. Forse sono impazzito a furia di stare nel deserto.”
Merlin si lasciò andare ad uno sbuffo dal sapore amaro. “Non sei impazzito, Mattew. Io sono il Merlin della leggenda e lo è… lo era anche Arthur.”
“Credevo che il Merlin della leggenda fosse un mago e che fosse anche un vecchio.”
“Ma io sono un mago, soltanto che ho perso i poteri.”
Mattew lo guardò per un attimo con compassione. Inclinò il capo e sorrise a Merlin. “Amico, ti rendi conto di quanto sia difficile credere alle tue parole?”
“Sei tu che hai insinuato tutto, ora ti tiri indietro?” replicò bruscamente il mago. “Io sono quel Merlin! La leggenda è sbagliata però, non sono un vecchio dalla barba bianca come molti mi hanno descritto. Ero giovane al tempo in cui ho conosciuto Arthur ed ero giovane quando lui è stato colpito a morte per mano di Mordred!”
Mentre spiegava si era alzato in piedi e aveva preso a misurare la stanza a grandi passi. “Sono io che ho portato il Re sul lago di Avalon, lì dove ha dormito per secoli e l’ho aspettato. L’ho aspettato perché la profezia ci vuole due facce di una stessa medaglia, perché il suo destino è legato al mio! E ho atteso per secoli, finché non ne ho potuto più e allora ho chiesto alla Dama del Lago di farmi dormire e di svegliarmi quando sarebbe giunto il momento!”
Fece una pausa, fermandosi e naufragando nuovamente nel dolore. “Arthur era destinato a tornare tra i vivi un giorno, quando ci sarebbe stato ancora bisogno di lui. Ed è successo, sei anni fa. E poi è morto…”
Strinse i pugni con foga reprimendo quelle lacrime che ancora pressavano per uscire. “Ho atteso per secoli inutilmente.”
Mattew lo fissò a lungo, incredulo forse a quelle parole che lui aveva sciorinato senza remore un po’ per rabbia e un po’ per sfogo. D’altronde da quant’era che non parlava con qualcuno di sé? Dopo la morte di Gaius e di sua madre non c’era stato più nessuno con cui confidarsi. Era rimasto solo. Solo con il suo dolore.
“E’ difficile credere a una storia del genere… eppure hai tanti elementi insoliti che si spiegherebbero se questa storia fosse vera.”
“Mattew non ho le forze né la voglia di convincerti della verità. Se vuoi accettarla, fallo e basta, altrimenti prendimi pure per pazzo. Tanto ormai non cambia niente.”
Cosa avrebbe fatto ora? Dove sarebbe andato? Per tutta la sua vita, il suo unico scopo di vita era stato sempre Arthur. Ma adesso? Per cosa avrebbe dovuto vivere?
“Ma se tutto ciò è vero…” Mattew aveva continuato. “Non avrebbe senso quello che dici.”
Merlin lo aveva guardato con perplessità. “Che…”
“Dici che siete legati dal destino, per cui non avrebbe senso se vi foste risvegliati in un momento diverso.”
“Già ma lui è morto.”
“Questo è quello che dicono. Ma tu lo hai visto morto?”
Merlin ebbe tutta la sua attenzione. Sedette sul letto, osservandolo con avidità.
Mattew dal canto suo, incrociò le braccia con fare saputo. “Insomma, il suo consigliere è tornato solo, dicendo che il Re era morto e ora questo qui verrà nominato suo successore. E tu vieni a dirmi che ti sei svegliato solo ora e che il tuo compito è quello di proteggere il Re.”
“Cosa… stai cercando di dirmi?”
“Che forse il Re non ha avuto bisogno del tuo aiuto… fino ad ora.”
Merlin abbassò lo sguardo scioccato, mentre un insieme confuso di pensieri si faceva strada nella sua mente. Mattew non lo aveva detto apertamente ma il suo cervello aveva già formulato quella domanda carica di speranza. Una nuova luce brillò dentro di lui, una luce che lo terrorizzava e lo esaltava al tempo stesso, perché accettarla avrebbe significato un rischio enorme: quello di illudersi ancora. Ma come ignorarla?
“E se fosse… ancora vivo?”
*
L’entrata della dimora del re di Camelot sembrava minuscola in confronto a quella che lui aveva serbato nei ricordi. La struttura non era grandissima, forse proprio per volere dello stesso Arthur che in quei tempi di miseria non aveva voluto ostentare ricchezza.
Merlin lo conosceva fin troppo bene e sapeva che oltre la sua faccia da pomposo arrogante si celava un animo fin troppo buono. Era stata quella sua bontà a portarlo alla morte la prima volta… e probabilmente era stata la causa anche della seconda.
Mattew lo aveva convinto a dirigersi lì per parlare con il consigliere che Arthur aveva nominato suo successore.
“Digli che sei un suo compaesano, ti crederanno dal tuo accento.” Gli aveva consigliato l’uomo. Il piano era quello di parlare con questo “erede al trono” e cercare di avere notizie di Arthur. In base a quello che gli avrebbe detto, Merlin avrebbe saputo come muoversi.
Voleva anzitutto sapere dove era accaduto il fattaccio. La gente del popolo non conosceva dettagli che in fondo erano irrilevanti per cui il mago avrebbe dovuto chiedere all’unica fonte che avrebbe potuto aiutarlo.
Si era perciò presentato davanti alla torre e aveva chiesto alle guardie di poter conferire con il futuro Re. Si era presentato come un compaesano di Re Arthur e che la notizia della sua morte lo aveva portato lì per saperne di più.
Le guardie dapprima sospettose, avevano poi constatato che il suo accento era davvero simile a quello del defunto Re e si erano quindi prodigate per avvisare il nuovo sovrano.
Dopo poco tempo, era stato portato in una sala dove venivano ricevute le persone. Nella sala vi erano molte sedie e solo una era un po’ più alta delle altre. In altri tempi il sovrano sarebbe stato seduto mentre tutti gli altri dovevano rimanere in piedi ma in quell’epoca Arthur doveva aver eliminato quella formalità consentendo delle visite meno legate all’etichetta.
Ad accoglierlo c’era stato un uomo alto e magro, dal viso appuntito e a tratti freddo. Mentre incrociava gli occhi grigi, si chiese che rapporto avesse avuto Arthur con lui.
Merlin restò sorpreso, quando l’uomo improvvisamente sorrise e quel suo viso freddo si accese di un calore che non avrebbe mai creduto.
“E’ un piacere conoscere finalmente un compaesano del nostro Arthur! Lei è il signor…?”
“Merlin. Arthur era un mio grande amico.” Spiegò, stringendo la mano dell’altro e guardandolo con un’espressione grave.
“Il Re ha lasciato un grande vuoto in ognuno di noi. Anch’io ero un suo grande amico e posso immaginare come si sente.” Il volto dell’uomo si fece seriamente contrito e Merlin lesse dolore in quegli occhi. Improvvisamente voleva sapere ogni cosa di lui e che tipo di rapporto aveva avuto con Arthur.
“Il mio nome e Pierre… comunque. Gli amici di Arthur sono miei amici, quindi avrete tutta l’ospitalità di cui avete bisogno.”
Merlin sorrise. “Grazie. Ma sono qui soltanto per avere notizie… e conferme.” Socchiuse per un attimo gli occhi in un segno di stanchezza ma poi tornò a guardare Pierre. “Quando nel nostro villaggio è giunta voce della morte di Arthur, sono subito corso qui per saperne di più.”
Pierre gli tenne la mano e posò anche l’altra sulla sua. “Mi dispiace Merlin. Ma purtroppo è tutto vero. Arthur ci ha lasciato, io stesso sono stato testimone dell’agguato e solo dopo quattro mesi di prigionia sono riuscito a tornare qui.”
Quelle parole avevano avuto un effetto sconvolgente nel petto di Merlin. Era come se ogni sillaba fosse un proiettile di piombo che lo colpiva. Pierre si accorse della sua espressione addolorata e gli propose di sedersi.
Merlin fece come gli era stato detto ma poi scosse il capo. “Continui, la prego. Dove è successo? E… come?”
Pierre sedette accanto a lui e gli spiegò della missione nell’estremo Est del regno. Gli raccontò di come Arthur avesse voluto superare i confini e controllare in piena notte il primo centro abitato sul cammino. Spiegò che lì, però erano stati traditi e attaccati. Il Re era stato colpito a morte mentre lui e chi lo accompagnava erano stati fatti prigionieri.
“C’è gente che non apprezza la politica di non violenza del Regno e nessuno sospettava che il tradimento fiorisse in seno alla stessa corte. Il nostro compagno, che era anche il mio migliore amico ci ha traditi. Dopo aver colpito Arthur ha consegnato me e l’altro uomo che era con noi agli abitanti di quel villaggio fuori dai confini. Ci ha venduti come schiavi e sono stato costretto ai lavori più umili finché non sono riuscito a scappare.”
Pierre aveva parlato con amarezza nella voce. Merlin avrebbe potuto avvertirla anche con un solo sussurro. Quello era il racconto di un uomo provato da terribili esperienze e dalla perdita di non uno ma di ben due compagni di vita.
Aveva ascoltato tutto in silenzio, fissando un punto inesistente e deglutendo più volte fino a sentire la gola arida.
“Sei… sei quindi sicuro che Arthur sia morto? Non è possibile che anche lui abbia avuto la vostra stessa sorte?” quella domanda era sfuggita spontanea dalle sue labbra, ultima speranza in un racconto che non lasciava più spiragli di luce.
La fiamma della delusione si fece cocente dentro di lui, mentre Pierre scuoteva il capo con compassione.
“Mi dispiace Merlin. Ho visto con questi occhi morire Arthur. Non potrò mai dimenticarlo.”
Tutto quello fu troppo. Si alzò in piedi di scatto, stringendo i pugni e sentendosi improvvisamente soffocare. Voleva andare via da lì, voleva correre fuori e gridare. Gridare con quanto fiato aveva in gola e prendersela con quel destino crudele che per tutta la sua vita si era sempre preso gioco di lui.
“D-devo… devo andare.”
Fece qualche passo indietro, pronto alla fuga. Ma dovette fermarsi, quando una calda mano si posò sulla sua spalla. Si voltò di scatto, trovandosi davanti una bellissima donna bionda. Gli occhi verdi lo osservavano con un sorriso addolcito.
“Merlin.” Lo chiamò. “Calmati.”
Quell’improvviso calore che la donna gli trasmise in un semplice gesto, lo disorientò e per un attimo tutta quella foga addolorata si sfiorì, consentendogli di tornare a respirare.
“Chi sei?” chiese stupito, continuando ad osservare quegli occhi di un verde così chiaro che a tratti pareva irreale.
“Lei è Cassandra.” Gli venne incontro Pierre. “E’ la mia compagna ed è un’altra importante risorsa per il regno.”
Merlin lo sentiva a pelle. Anche se la sua magia non rispondeva più sentiva chiaramente l’aura di sortilegio di quella donna. Emanava una magia così intensa e per lui terribilmente rassicurante che per qualche istante, dimenticò tutto il suo dolore e si sentì pieno di calore.
Cassandra non aggiunse altro. Continuò a guardarlo con dolcezza e lui lentamente si calmò, fino a chinare il capo. “Grazie.” Soffiò lanciandole un ultimo sguardo. Poi si rivolse a Pierre. “Scusatemi per il disturbo. Avevo bisogno di conoscere la verità ma non immaginavo avesse fatto così male.”
“Se vuoi restare ti faremo preparare una stanza immediatamente.” Fece Pierre premuroso. Merlin scosse il capo.
“Grazie ma sono già alloggiato alla locanda giù nel piazzale. Credo… che domani ripartirò per il mio villaggio.”
Si congedò dai due con gentilezza e quando uscì dalla torre quasi si sentì in colpa per aver dubitato della bontà delle persone che circondavano Arthur. Quel macigno sul cuore però, tornò pressante non appena giunse in strada e l’influsso della magia di Cassandra si fu esaurito.
Arthur era morto davvero. E lui ormai aveva perso tutto.
*
Il russare di Mattew riempiva la stanza a quell’ora di notte. Merlin si era imposto di dormire ma era tutto inutile. Quando le luci si erano spente e Mattew si era addormentato, Merlin finalmente solo aveva dato libero sfogo al suo dolore e aveva pianto altre lacrime amare.
Non era soltanto l’effettiva morte di Arthur ad averlo sconvolto quanto proprio il fatto che lui ormai si sentiva perso. Aveva sprecato tutta la sua esistenza ad attenderlo e cosa ne aveva ricavato? Solo un pugno di mosche. Cosa avrebbe fatto adesso che non aveva più il suo scopo di vita e che non aveva più nessuno da aspettare o da proteggere?
Ma soprattutto aveva ancora davanti a sé un’esistenza infinita oppure adesso che aveva perso i poteri era diventato anche mortale? E se Arthur fosse destinato ancora a rinascere?
Quando aveva smesso di piangere, sentendosi anche piuttosto ridicolo a comportarsi ancora come ad una donnetta, aveva iniziato a porsi tutte queste domande a cui purtroppo non aveva ancora trovato risposta. Il suo cervello macinava e gli impediva di dormire ma non riusciva ad arrivare a niente di buono.
Fu quando alla fine sospirò stancamente e chiuse gli occhi, che si decise a dormire un poco e a riposare. Provò a scacciare tutti i pensieri dalla testa, cosa alquanto difficile, eppure per un momento sembrò quasi che il sonno stesse per coglierlo. Si rilassò sul cuscino e lentamente il torpore delle coperte lo trascinò in un leggero dormiveglia.
D’un tratto la porta si spalancò. Merlin sgranò gli occhi perdendo il respiro e prima che potesse rendersene conto, due energumeni accerchiarono il suo letto e gli piantarono un cappuccio sulla testa. Merlin provò a divincolarsi ma la presa ferrea dei due gli impedì ogni possibilità di fuga.
Sentì anche le imprecazioni di Mattew, a cui sicuramente stavano servendo lo stesso trattamento e lui sperò ardentemente che la sua magia rispondesse almeno quella volta: provò ma senza alcun risultato.
Avrebbe potuto gridare ma una mano poderosa gli tappò la bocca con un bavaglio maleodorante. Poi, senza capire come, perse i sensi.
*
Merlin aprì gli occhi immediatamente, quando tornò la coscienza. La prima cosa che vide fu Mattew legato come un salame che lo guardava accigliato. Poi si rese conto di essere sul retro di un mezzo di trasporto, un camion forse, nascosto da un telo di plastica. Provò a muoversi ma si accorse di essere bloccato esattamente come il compagno di sventure.
Sbuffò e guardò l’altro quasi in cerca di risposte.
“Ci portano a morire.” Fu la sentenza di Mattew.
Merlin strinse le labbra, cercando di reprimere quel senso di paura che gli aveva fatto sprofondare lo stomaco. “Ma questo non era il regno della non violenza?” domandò quasi con ironia, mentre con un altro gesto disperato cercava di muovere le braccia legate dietro la schiena. Inutile tentativo.
“E’ per questo che ci portano a morire lontano.” Replicò con ovvietà Mattew. “Non si sono nemmeno presi la briga di imbavagliarci, come minimo ci stanno portando da qualche parte nel deserto per farci sparire come hanno fatto con il Re!”
Merlin aggrottò la fronte. “Ancora con questa fissazione della congiura. Ho parlato con quel Pierre e non è stato lui ad uccidere Arthur. Sono stati molto gentili ed ospitali con me!”
“Oh sì, certo!” sbottò Mattew arrabbiato. “Si vede proprio come hanno accolto il tuo arrivo!” cercò di divincolarsi ma fu tutto inutile. Le corde che li tenevano immobili erano state legate davvero bene. “Vorrei solo capire cosa c’entro io con questa storia!”
Anche Merlin si arrabbiò. Troppo piccato dalle accuse di Mattew che non voleva credere fossero vere e troppo infastidito da quella situazione e dal fatto che non avesse più la sua dannata magia.
“Sei tu che mi hai seguito! Non posso credere che sia stato quel Pierre a portarci via, era così addolorato della morte di Arthur!”
“E chi diavolo vuoi che sia stato?”
Merlin non rispose. Tutta quella faccenda aveva un punto che a lui sfuggiva. Se anche c’entrasse davvero quel Pierre nella morte di Arthur, perché adesso sbarazzarsi anche di lui? Non si era forse presentato semplicemente come un amico in cerca di risposte? Quale pericolo avrebbe potuto rappresentare?
Mattew sbuffò ancora e poi imprecò tra i denti. “Ho la sensazione che possiamo metterci comodi.”
*
Mattew aveva avuto ragione. Il camion aveva viaggiato ininterrottamente per sette giorni. Tranne che per qualche breve pausa in cui i loro carcerieri si erano fermati per rifocillarsi e per concedere a loro due qualche sorso d’acqua e di risolvere ai problemi fisiologici, il viaggio non aveva avuto nessuna deviazione.
Mattew aveva fatto le sue ipotesi. Li portavano a morire nel deserto, sicuramente li avrebbero abbandonati tra le dune, senza prendersi la responsabilità della loro futura morte. In questo modo nessuno si sarebbe sporcato le mani, visto che la legge aborriva la violenza e soprattutto l’omicidio, e loro semplicemente sarebbero avvizziti… processo che già stava avvenendo visto il digiuno forzato a cui erano stati ridotti.
Gli uomini che li avevano sequestrati diedero loro da mangiare soltanto tre volte in quei sette giorni, “giusto per non farci morire qui sul camion ma neanche per sprecare cibo inutilmente”, aveva commentato aspramente Mattew.
Merlin non sapeva cosa pensare. Non soltanto si chiedeva se lui sarebbe avvizzito assieme a Mattew oppure la sua immortalità funzionasse ancora – e comunque non è che fosse così desideroso di testarla – ma in più si aggiungeva il fatto che non capiva perché dovessero morire così.
Aveva dato voce a Mattew dei suoi dubbi e anche lui non aveva saputo dirgli granché: “Devi esserti fatto dei grossi nemici in un solo pomeriggio!”
All’alba del settimo giorno, Merlin e Mattew avevano potuto bere e mangiare qualcosa. I sequestratori avevano ficcato loro in bocca dei datteri, dato che le loro mani erano sempre ben legate dietro la schiena e poi li avevano fatti bere alcuni sorsi di acqua.
Erano così fiaccati nel corpo e nello spirito che Merlin era convinto non sarebbero durati nemmeno un giorno nel deserto. Iniziò ad intravedere le dune attraverso uno spiraglio lasciato aperto del tendone e si sentì gelare il sangue per quanto quel caldo improvviso lo consentisse.
“Ci siamo.” Soffiò e Mattew che sonnecchiava intontito aprì gli occhi e annuì. Attraversavano ancora un ultimo tratto di foresta, dopo di che si sarebbe aperto il deserto sconfinato.
“Abbiamo solo una possibilità. Dobbiamo provare a colpirli non appena ci libereranno.”
Merlin annuì. Avevano pianificato in qualche modo una possibile via di fuga. I sequestratori erano in tre e loro erano stanchi e affamati ma avrebbero puntato sull’istinto di sopravvivenza, sperando desse loro le ultime forze per lottare.
Merlin cercò ancora disperatamente un barlume di magia dentro di sé ma ormai sapeva che era tutto inutile. Il mago non esisteva più. Forse era morto nel momento in cui era spirato il Re.
Pensava ancora a queste cose quando il camion ebbe un forte scossone ed entrambi cozzarono dolorosamente contro il metallo del mezzo. Alla botta si unì anche un improvviso sbandare del camion che ad un certo punto girò su se stesso andando in testacoda. Merlin ingoiò un’imprecazione ma altrettanto non fecero i sequestratori, che li sentì gridare improperi mentre cercavano di scendere dal furgone. Poco dopo, le parolacce divennero grida e poi gemiti: qualcuno li aveva colpiti.
Bastò solo un secondo perché Merlin e Mattew incrociassero i loro sguardi e capirono tutto. Poi iniziarono a gridare anche loro in cerca di aiuto.
“Siamo quiii! Aiutatecii”
“Siamo stati rapitiii!!”
Merlin quasi sobbalzò quando la tenda scattò colpita da una mano e un uomo sbucò brandendo un bastone di legno. Questi osservò i due ancora legati e immobili, poi Mattew gridò.
“Amico, aiutaci! Quei tizi ci avevano sequestrato per portarci nel deserto!”
L’uomo, che aveva folti capelli e barba scuri e occhi nerissimi dietro un naso a patata, li squadrò con occhio critico, poi fischiò.
“Ehi! Qui ci sono due legati come salami!” richiamò qualcuno da fuori. Da lontano – e Merlin ipotizzò si trovasse sul davanti del furgone – provenne una voce ovattata che disse all’uomo nerboruto di capire chi fossero.
“Chi siete?” chiese quindi quello.
Fu Merlin a parlare. “Siamo nemici di quelli che avete steso, questo dovrebbe bastarvi!”
L’uomo scoppiò a ridere e si inginocchiò per liberare il mago dalle corde. Merlin lo sentì armeggiare e gli sembrò che fosse un po’ in difficoltà con i nodi.
“Siete stati fortunati allora! Non è roba di tutti i giorni che la gente assalti furgoni in questo modo ma siete i primi umani che passano da queste parti da settimane e noi abbiamo urgenza di muoverci!”
“Vi siete trovati a puntino. Non è roba di tutti i giorni nemmeno che la gente mandi altra gente a morire nel deserto.” Replicò duramente Mattew. Merlin intanto si ritrovò improvvisamente sciolto dai nodi senza neanche capire quando lo sconosciuto avesse slegato le corde. Portò avanti le braccia e gemette per il dolore che la posizione prolungata aveva provocato.
Lo sconosciuto aveva sospirato tristemente alle parole di Mattew e intanto si era prodigato a liberare anche lui. “Avete toccato un tasto dolente. Anche noi siamo stati vittime di violenza…” mormorò con un tono intriso di amarezza che non sfuggì a Merlin.
Il mago intanto aveva cercato di sgranchirsi anche le gambe ma si sentiva debolissimo. Si mise in piedi nel furgone e barcollò. Lo sconosciuto, che aveva appena liberato Mattew – e anche lui con una velocità insolita visto il modo in cui i nodi erano intricati – fece appena in tempo a sostenerlo.
“Ehi tutto bene?”
Merlin annuì accennando un sorriso. “Sì sì… è solo che non ci hanno dato molto da mangiare in questi giorni. Veniamo da Camelot.”
Lo sconosciuto lo accompagnò verso l’uscita. “Non preoccuparti allora! Io e il mio amico siamo degli ottimi cacciatori! Potrai rifocillarti presto!” con un balzo era sceso dal furgone e poi aveva fatto spazio a Merlin perché uscisse, seguito a ruota da Mattew.
Poi, tutto era accaduto velocemente e nello stesso tempo Merlin avrebbe ricordato ogni cosa come se fosse al rallentatore.
Lo sconosciuto che si voltava verso il suo compare mentre sbucava da dietro il furgone, dicendogli “Dico bene?”; Mattew che sollevava lo sguardo sul nuovo arrivato e colpiva Merlin con forza perché guardasse in quella direzione. E l’uomo che prima sorrideva all’indirizzo del suo compare che elogiava le loro doti di caccia e poi finalmente guardava prima Mattew e poi Merlin e inghiottiva le sue parole.
E poi lui, Merlin, che perdeva il respiro riconoscendo quel volto che mai per un solo istante per tutti quei secoli si era sbiadito tra i ricordi.
Merlin guardò quell’uomo e riconobbe Arthur. E Arthur riconobbe Merlin.
“Sei tu!”
E poi Arthur gli tirò un pugno.
Continua…
Ehilààà!! Hahahaha giuro che adoro la fine di questo capitolo XD continuo ad immaginarmi la scena e continuo a ridere!
Buon lunedì a tutti, cmq e buon inizio di settimana =) capitolo bello lungo, finalmente e direi anche piuttosto succoso :P spero vi piaccia! Fatemelo sapere, perché adesso tengo davvero tanto ai vostri commenti! Scrivere questa storia sta diventando difficile, ve lo dico, perché questi dannati personaggi fanno che vogliono! Arthur soprattutto u_u ma poi… vedrete!
Intanto vi invito a COMMENTARE!! E a farmi conoscere le vostre teorie in merito u_u sono curiosa, anche per quanto riguarda la faccenda “cattivi” :P
Ringrazio con il cuore chi ha voluto lasciarmi una recensione: One Day_Painless, chibisaru81, Pandina99, Lunaris, Pandora86, paffy333 e brin leah! Davvero grazie, sono contenta che abbiate risposto al mio invito ^^ spero di continuare a sentirvi!!
A tutti un bacio! E stavolta vi lascio con il titolo del prossimo capitolo: “Ammettilo”
Ryta |
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Capitolo 8 *** Ammettilo ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza scopo di lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se lo fossero avrei un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo 8
Ammettilo
“Ahia! Ma che cavolo…”
“Ti sembra questo il momento di arrivare, Merlin?!”
Il mago osservava da sotto in su Arthur. Colui che aveva atteso per secoli, il re del passato e del futuro, il suo re, l’uomo che lo aveva portato alla disperazione… e che non appena lo aveva visto, invece di abbracciarlo, di stringerlo e di gioire per essersi finalmente ritrovati, gli aveva impietosamente tirato un pugno, scagliandolo a terra.
In barba anche alla sua debolezza fisica e allo sfinimento per tutte le traversie degli ultimi giorni.
Arthur lo guardava in cagnesco, il pugno con il quale lo aveva colpito, ancora sollevato e stretto con foga tanto che le nocche si erano sbiancate. Lo guardava e lo rimproverava con quegli occhi celesti, senza nemmeno pensare per un attimo a tutto quello che lui aveva passato.
Fu per questo che Merlin, dopo un istante di smarrimento nel quale aveva sostenuto il suo sguardo con sorpresa, aveva indurito l’espressione e si era massaggiato la guancia colpita.
“Fino a prova contraria voi eravate morto, Sire!” replicò chiamando l’altro con lo stesso tono usato prima per lui.
Arthur si indicò, spalancando la bocca in un’espressione di finta sorpresa e lo guardò come se fosse un idiota.
“Ma guarda un po’. Mi vedi morto?”
Merlin allora si alzò in piedi sempre più contrariato. Si sentiva così arrabbiato per quell’accoglienza che adesso il pugno voleva ricambiarlo lui. “Questo è quello che vanno dicendo in giro, stupido babbeo!”
Arthur sollevò l’indice di quel pugno sempre bene in mostra e lo avvicinò al petto di Merlin con fare minaccioso. “Vedo che i secoli non hanno spento la tua insolenza…” constatò in un sibilo.
Il mago non si fece intimorire, gonfiò il petto e posò le mani sui fianchi. “E a voi la vostra idiozia.”
Il re strinse le labbra ma a quel punto, intervenne il suo consigliere che assieme a Mattew aveva assistito attonito a quello scambio di battute. “Beh, direi che non c’è bisogno di fare le presentazioni… almeno tra voi due.” Poi si rivolse a Merlin incuriosito. “Si può sapere chi diavolo sei?”
“Lui è un mago, Claude.” Si intromise Arthur senza lasciare a Merlin il tempo di rispondere. Lo stregone lo guardò malissimo ma il re non si scompose. “Ed era anche il mio valletto personale.”
Se avesse potuto farlo, Merlin lo avrebbe incenerito seduta stante e al diavolo tutta la storia del destino e del re della leggenda. Solo quello era per lui? Un mago e un servo? E tutta la devozione che gli aveva dimostrato? Tutta l’amicizia? Dov’era finita?
Ma non poté scagliare altra rabbia contro Arthur, perché il re gli voltò le spalle per allontanarsi mentre Claude si voltava sorpreso. “Valletto? Un valletto?! Da quando in qua tu hai un valletto, Arth?!”
Merlin per un attimo rimase interdetto nel notare quel modo così intimo di chiamare il sovrano, poi scosse il capo e cacciò un lungo sospiro, mentre Arthur si faceva più lontano e con un gesto della mano, liquidava per il momento la faccenda.
“E’ una lunga storia… Claude.” Concluse ricordandosi di come Arthur lo aveva chiamato.
L’uomo allora sorrise e rilassò le spalle. “D’accordo, ce la racconterai non appena ci saremo sistemati.” Indicò il furgone e gli uomini apparentemente svenuti – Merlin notò che uno aveva preso a russare – che li avevano sequestrati e che al momento giacevano uno accanto all’altro sul limitare della strada, tra i cespugli.
“A me piacciono le lunghe storie… Merlin.”
*
Claude aveva messo su un accampamento degno di un… come li aveva chiamati ogni volta? Ah sì, di un boy scout. Non che sapesse cosa significasse, in quel tempo non esistevano i boy scout e neanche nel Medioevo. Però Claude ci teneva spesso a precisarlo e lui non poteva che annuire ogni volta facendo finta di sapere a cosa si riferisse.
Arthur nel frattempo, si era occupato dei tizi a cui avevano assalito il furgone, li aveva legati per bene e sistemati sul retro del mezzo, che prima aveva accolto Merlin e quell’altro tizio che lo seguiva. Erano addormentati grazie ad un incantesimo e avrebbero continuato a farlo fino a che Claude non avesse deciso di risvegliarli.
“Un mago? Anche tu?” il tizio che stava con Merlin – ma com’è che si chiamava? – aveva esclamato e poi aveva cacciato un fischio. “Io qui ho le traveggole. Secondo me ho passato troppo tempo nel deserto.”
Claude aveva riso con forza, come faceva sempre quando era divertito. Anche il sovrano era rimasto sorpreso quando aveva scoperto che Claude utilizzava la magia. Era successo il giorno in cui gli aveva salvato la vita da morte certa, quando erano stati traditi dal loro stesso compagno che li aveva quasi ammazzati.
Arthur sentiva ancora bruciante il senso di tradimento, mentre con la mente ritornava a quella notte. Il volto di Pierre incolore mentre gli puntava addosso un’arma e lo colpiva. Se non fosse stato per Claude che prima di perdere i sensi, gli aveva imposto un incantesimo di protezione, sarebbe morto sul colpo. Invece era solo caduto in uno stato di morte apparente. Quando si era risvegliato, si era ritrovato nuovamente nel deserto.
Pierre li aveva caricati sul fuoristrada e aveva viaggiato senza sosta a Nord, fino al deserto, dove poi aveva abbandonato tutti i corpi e se n’era andato. Questo per lo meno era quello che avevano compreso quando avevano ripreso conoscenza lui e Claude. Per Francois, l’altro uomo che viaggiava con loro, non c’era stato nulla da fare. Claude aveva avuto il tempo di formulare un incantesimo solo per proteggere loro due. Avevano cercato di seppellirlo alla buona sotto la sabbia e poi avevano intrapreso la lunga marcia per poter tornare indietro.
Claude ipotizzava che si trovassero esattamente a Nord rispetto a dove Pierre li aveva attaccati, perciò per prima cosa si erano diretti a Sud, per poter uscire presto dal deserto. Erano sopravvissuti grazie alla magia di Claude, che aveva svelato ad Arthur di essere uno stregone. Il re aveva però accolto la cosa con positività rispetto a quello che credeva il suo consigliere, semplicemente perché c’era già passato.
Era già accaduto che il suo più grande amico gli svelasse di essere un mago. Allora si era sentito tradito e preso in giro ma poi nelle sue ultime ore di vita aveva compreso che il fatto di aver taciuto era stato dettato dalla paura e dalla ritrosia del resto del mondo verso la magia.
Claude aveva taciuto anche con Pierre, altrimenti l’ex-amico non si sarebbe sbarazzato di loro così facilmente. Essere un mago voleva dire essere diverso e Claude era cresciuto con la paura di essere respinto e costretto a vivere da solo per quel suo dono.
Arthur aveva accettato e anzi aveva ringraziato il destino che gli aveva messo accanto un uomo con quelle capacità in mancanza del suo fidato Merlin.
Fidato Merlin che ora ascoltava in silenzio quello stesso racconto che Claude esponeva a lui e a quell’altro davanti al fuoco.
Si erano rifocillati e avevano mangiato e Arthur non aveva potuto non notare come Merlin avesse preso colore in viso dopo quel pasto. Forse era stato troppo duro nel colpirlo, dopotutto erano giorni che quasi non mangiava…
Scosse il capo, sentendo di nuovo la rabbia montare. No. Lui era in collera con Merlin. Lo aveva lasciato solo a vedersela con la costruzione di un regno e con un attentato alla sua persona. Lui doveva essere al suo fianco in quegli anni, fin dal suo risveglio e invece non c’era stato.
Arrivava ora, che ormai era quasi tutto fatto. Ovviamente, una volta raggiunta Camelot, Arthur avrebbe fatto il suo ingresso trionfale e avrebbe cacciato Pierre spedendolo alla base a finire i suoi giorni come soldato tra le dune. Perciò Merlin arrivava completamente in ritardo.
“E questo è quanto. Abbiamo viaggiato a piedi per mesi lungo la linea di confine che separa il deserto dalle foreste con l’intento di raggiungere la base e poi da lì tornare a Camelot. Ma non è stato per niente facile. Ora siamo vicini alla meta, con questo furgone potremo arrivare direttamente in città per fermare la follia di Pierre.” Claude aveva concluso il suo discorso, proprio mentre il suo sguardo si perdeva tra le fiamme del falò che si trovava al centro del campo e con gli occhi probabilmente anche la mente volava lontano, verso quella persona che credeva amico e che poi lo aveva tradito.
Arthur si era sentito ingannato certo, ma sapeva che chi ne aveva sofferto di più era stato proprio Claude. Lui e Pierre erano amici da una vita, come fratelli. Avevano condiviso tutto fin da piccoli e mai avrebbe immaginato un tradimento simile.
Ecco, quello che Claude sentiva per Pierre, lui lo provava per Merlin. Mentre lanciò uno sguardo nella sua direzione e si accorse di essere osservato, sentì quella rabbia sfrigolare sotto pelle e mantenne gli occhi fissi nei suoi.
Non sopportava che anche il mago fosse arrabbiato. Lo poteva vedere benissimo dagli zigomi sporgenti e induriti, dagli occhi azzurri scintillanti di collera e dalle labbra serrate. Non che Merlin fosse sempre stato un libro aperto per lui, in fondo non aveva mai capito niente di cosa nascondesse quando era il suo servo né sapeva altri aspetti della sua vita che non contemplassero il lavoro che svolgeva presso di lui.
Perciò ora che lo aveva lì davanti gli sembrava da un lato di aver ritrovato una parte di sé ma dall’altro di avere davanti uno sconosciuto. E quell’insieme confuso di emozioni che gli causava gli faceva aumentare la rabbia.
“Allora anche tu sei un mago. Ecco perché Arthur era così tranquillo quando ha scoperto di me.” Avanzò Claude per continuare la conversazione.
Merlin sbuffò sarcastico. “Davvero? Beh con me non è stato così buono.” Replicò con amarezza, gli occhi si spostarono da lui per abbassarsi sulle fiamme e tingersi di malinconia. Arthur strinse le labbra desiderando di prenderlo nuovamente a pugni.
“Comunque sì, sono un mago. O almeno credo di esserlo ancora…”
“Che vuoi dire?” Arthur si intromise senza alcun riguardo per la conversazione. Merlin evitò di guardarlo ancora e incassò la testa nelle spalle.
“Non lo so... da quando sono qui… La mia magia non funziona.”
Il re si alzò in piedi di scatto, stringendo i pugni. “E allora si può sapere cosa sei venuto a fare?” era così in collera che voleva colpirlo in qualche modo. E anche se una piccola parte di lui gli stava dicendo che così avrebbe potuto ferirlo, non se ne curò.
“Potevi restartene dove stavi se sei venuto solo per essere un peso!”
“Via via, non mi sembra adesso il momento-“
“Sta’ zitto, Marcel.”
“Mattew.” Lo corresse quello prontamente senza lasciarsi intimorire. “Sire, siamo tutti un po’ scossi. Forse dovremmo riparlare di questa storia domani mattina a mente lucida e dopo che ci saremo tutti calmati.” Il suo tono conciliante spense in Arthur il desiderio di replicare. Era anche una persona focosa ma non era un bambino stupido.
“Bene.” Rispose allora, scavalcando il tronco su cui prima era seduto e facendosi indietro verso il suo giaciglio di fortuna. In quei movimenti non staccò gli occhi da Merlin, che invece continuava a tenere lo sguardo basso. “Allora buonanotte. Claude fai tu il primo turno di guardia.”
Si coricò mentre l’amico sospirava scuotendo il capo e borbottava un “E’ incredibile… non l’ho mai visto così.”
Ignorò le sue parole. O avrebbe picchiato anche lui.
*
Il fuoco ardeva ancora nonostante la notte fosse inoltrata. Merlin aveva visto Arthur ravvivarlo quando era iniziato il suo turno di guardia. Si era dato il cambio con Claude che adesso già ronfava in un angolo del campo.
Il re si era seduto un po’ più distante, la schiena contro una ruota del furgone che costeggiava l’accampamento e guardava il cielo con aria corrucciata. Merlin poteva scorgere distintamente la sua fronte aggrottata e le guance contratte. Forse pensava a lui o a tutta quell’assurda situazione.
Anche Merlin pensava. Ancora non riusciva a credere di averlo lì davanti. Non era riuscito ad addormentarsi ovviamente, troppi avvenimenti, troppe emozioni si agitavano in lui e niente avrebbe potuto rilassarlo ora che aveva di nuovo accanto il suo re, il suo destino.
Era rimasto disteso ad osservarlo e a pensare. Era ancora arrabbiato, certo. Il comportamento di Arthur era stato infantile e burbero. Eppure in qualche modo poteva capirlo e poteva immaginare come si sentiva. In fondo lui avrebbe dovuto esserci al momento del risveglio. Doveva consigliarlo come aveva sempre fatto, stargli accanto e proteggerlo.
E invece era arrivato in ritardo e per giunta senza più poteri. Aveva sperato che una volta ricongiunto a lui, la sua magia fosse tornata ma così non era stato. Merlin non la avvertiva più fluire dentro di lui né percepiva più la natura come faceva un tempo.
Eppure lui era lì e Merlin sapeva che per Arthur prima che un mago era stato un amico. Almeno quello avrebbe potuto esserlo ancora. Per questo motivo si alzò in piedi e con molta calma si avvicinò al Re; sedette accanto a lui notando subito che lui gli aveva fatto spazio. Quel permesso e il fatto che Arthur fosse rimasto zitto senza aggredirlo come aveva fatto nelle ultime ore, sembrarono a Merlin come una piccola tregua.
“Perché siete così arrabbiato?” esordì con calma, gli occhi rivolti al suo profilo. Arthur non lo guardò, continuò a fissare il fuoco con insistenza, l’espressione sul viso sempre cupa.
“Lo sai bene perché.” Replicò il re, ostinato.
Merlin sospirò, socchiudendo per un attimo gli occhi. “Cambierebbe qualcosa se vi dicessi che non è dipeso da me?”
“Dove sei stato fino ad ora?”
“Arthur, che cosa cambierebbe?” ad una domanda, un’altra domanda e poi un’altra ancora. C’era così tanto da dire che alla fine non riuscivano a dirsi niente. Ma Merlin non voleva esporsi così e spiegargli cosa aveva deciso, per colpa della disperazione. Aveva paura a mostrarsi così debole nei suoi confronti, perché questo avrebbe aperto altri dubbi e interrogativi su questioni che aveva preferito nel tempo chiudere a chiave nel profondo del cuore.
Il re però lo guardò e l’espressione ferita che aveva in volto servì a Merlin a farlo tremare. Poteva sentire il calore del suo corpo accanto al suo e mai come in quel momento gli pareva strano che fossero realmente così vicini.
“Cambierebbe molte cose. Cambierebbe che non mi sentirei così…”
“Io non vi ho tradito!” esclamò Merlin precedendolo. Si era voltato completamente verso di lui ora e sosteneva lo sguardo di quegli occhi celesti così arrabbiati.
“E allora ammetti e dimmi dove sei stato.”
Merlin sospirò. “Ammettetelo voi, invece.” Lo provocò. “Ammettete che vi sono mancato… e che avevate bisogno di me.” C’era solo un modo perché il mago potesse aprirsi ed era sapere la verità. Perché aveva visto cosa da solo Arthur era riuscito a fare, si era accorto dei legami che in quegli anni aveva instaurato con altra gente e una piccola parte di sé temeva che lui fosse davvero di troppo in tutto quello.
Merlin aveva bisogno di sentirsi dire dal suo re che la sua assenza era stata un trauma e che come lui aveva sofferto per secoli il fatto di non averlo accanto, così il re avrebbe dovuto provare il medesimo dolore.
Arthur però, si alzò in piedi e lo guardò malissimo. “Un tempo forse. Quando mi sono risvegliato e tu non c’eri. Quando mi sono ritrovato da solo in un mondo che non conoscevo e l’unica persona che poteva aiutarmi era chissà dove a farsi i fatti suoi. Ma adesso non più.” Merlin perse il fiato. “Adesso non ho più bisogno di te.”
Non si allontanò stavolta, forse resto lì soltanto per sentire le scuse del mago o una qualche giustificazione. Ma Merlin non aveva nessuna intenzione di dargli alcunché. Non così, non con quegli occhi che lo fissavano e sprizzavano odio anche a distanza. Non con quello sguardo che lo faceva sentire così inutile e fuoriposto come non lo era mai stato accanto a lui.
Si alzò in piedi a sua volta e ricambiò l’occhiata severa con una altrettanto incollerita. Celeste che si perse per un attimo in quell’azzurro brillante di rabbia.
“Se è così che la mettete, saprò fare tesoro delle vostre parole.” Lo superò e se ne tornò sul suo giaciglio fatto di foglie, per chiudere gli occhi e non vederlo più.
*
Il mattino seguente si svegliarono tutti in silenzio e di malumore. Mattew era tutto indolenzito per aver dormito a terra: nonostante facesse le ronde nel deserto la sua età continuava inesorabilmente ad avanzare e lui ne risentiva. Merlin era ovviamente arrabbiato con Arthur e Arthur con Merlin. Soltanto Claude accennava ogni tanto un sorriso e fischiettava mentre si preparava alla partenza ma avendo notato l’aria di tensione, aveva preferito non aprire bocca.
Quando furono tutti svegli e pronti e si furono rifocillati, salirono sul furgone pronti a partire. Arthur alla guida, si sistemò sul sedile e con una mano afferrò il volante. Con l’altra premette il tasto di accensione.
Il motore fece rumore ma non partì. Arthur sollevò le sopracciglia sorpreso ma dopo essersi mosso sul sedile come per accomodarsi meglio, premette nuovamente il pulsante. Stesso rumore, nessun risultato.
“Che succede?” domandò Claude che gli stava accanto. Nel frattempo le teste di Merlin e Mattew erano sbucate dal retro del furgone, a cui avevano tolto il separé per poter viaggiare meglio e guardare la strada.
Arthur si mosse ancora incomodo sul sedile. “Non sta partendo.” Fu la ovvia risposta. Claude allora, scese dal mezzo e velocemente si spostò davanti al cofano per aprirlo. Dopo un istante si sentì la sua imprecazione perdersi nel vento.
Il re aggrottò la fronte – cosa che Merlin pensò facesse un po’ troppo spesso in quell’epoca – e si sporse dal finestrino. “Non dirmi qualcosa che non voglio sentire.”
Claude sbuffò abbassando il cofano. “E invece ti tocca, Arth. Il motore è andato.”
“Come sarebbe a dire?! Ieri funzionava!” sbottò allora il re, sorpreso. Scese anche lui dal furgone e riaprì il cofano per vedere lui stesso. In realtà non ci capiva niente di tutta quella diavoleria e Merlin lo seppe per certo quando, sceso anche lui, vide i suoi occhi scattare da una parte all’altra senza sapere dove guardare.
Gli venne quasi da ridere nel constatare con quanta ottusità non accettasse mai le cose e si rifiutasse di lasciarle fare agli altri.
“Ieri sì… fino a che non lo abbiamo assalito. Vedi lì il meccanismo di raccolta di energia? Deve essersi rotto quando gli abbiamo lanciato il tronco sotto le ruote per farlo sbandare. Forse non è stata una buona idea…”
Arthur fece sbattere il cofano con violenza e poi andò a calciare un sasso che per la rabbia volò via a diversi metri di distanza. “Maledizione!” sbottò furioso.
Claude scosse il capo, anche lui molto seccato. Non ci volevano spiegazioni per capire che volessero raggiungere Camelot quanto prima ma ora quell’inconveniente li costringeva ad altri lunghi giorni di cammino. Se c’erano voluti sette giorni per giungere fin lì con un furgone, quanti ce ne volevano per tornare indietro a piedi?
Merlin e Mattew scesero dal mezzo, mentre Claude si avvicinava ad Arthur mormorando un “Non abbiamo altra scelta.” Poi posò una mano sulla spalla del re, sorridendogli. “Avanti, Sire! Ne abbiamo affrontate di peggiori di questa. Vorrà dire che sistemeremo le cose soltanto con qualche giorno di ritardo, tutto qui.”
Arthur lo guardò rilasciando il respiro arrabbiato ma poi annuì. “Hai ragione…” concordò, la collera che improvvisamente sfioriva dai suoi occhi al semplice gesto del consigliere.
Merlin vide tutto e sentì lo stomaco improvvisamente preda di una morsa. E mai come in quel momento realizzò una cosa: Claude era esattamente tutto ciò che lui era stato per Arthur un tempo. Il re aveva ragione, di lui non aveva più bisogno.
Continua…
Buongiorno!! E come sempre buon lunedì!
Allora, capitolo un po’ tristino questa volta. Ammettiamolo, Arthur è un cretino, si lascia sopraffare dalla rabbia che pensa bene di scaricare tutta sul povero Merlin. Ma come si fa?? Credo che il re non si sia accorto che il mago ha aspettato secoli per vederlo, cosa solo sei miseri anni?
Ma lo capirà prima o poi… forse XD
Intanto la faccenda del cattivo prende chiarezza ma non pensate che sia tutto così facile ^^ sono una che si complica la vita! Hahaah
Voglio cmq ringraziare col cuore tutti coloro che seguono questa storia. I lettori silenziosi, chi l’ha inserita tra le preferite, le seguite e le ricordate e soprattutto le anime gentili che mi hanno voluto lasciare un commento! *-* One Day_Painless, pandina99, chibisaru81, brin leah, Lunaris e Pandora86 GRAZIE DI CUORE (e scusate se non vi ho risposto, lo farò presto!! >_<)
Vi invito sempre a COMMENTARE perché ora più che mai viene il bello =P e sono curiosa di leggere i vostri commenti e le vostre teorie!!
Ora vi lascio con il titolo del prossimo capitolo “Non è più questo il mio posto”
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Capitolo 9 *** Non è più questo il mio posto ***
Desclaimer: come sempre
scrivo senza scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo
9
Non è
più questo il mio posto
Aveva le
gambe tanto indolenzite che i muscoli bruciavano ad ogni passo. Merlin
arrancava perdendo terreno dai suoi compagni di viaggio che sostenevano
quella
marcia senza alcun problema.
Lui non era
più abituato a muoversi. Aveva dormito per decenni,
chissà quanti. E poi quando
si era risvegliato aveva affrontato i viaggi in quel nuovo mondo sempre
su
quattro ruote. L’ultimo poi, lo aveva costretto a sette
giorni di totale
immobilità, per cui era normale che le sue gambe non fossero
pronte a quella
lunga camminata.
Era quasi
il tramonto ormai e loro avevano abbandonato il furgone nel primo
mattino. Dopo
aver inviato un messaggio attraverso un piccione viaggiatore
– magicamente
comparso tra le mani di Claude – al villaggio più
vicino perché recuperassero i
sequestratori addormentati, Arthur era partito dritto per Camelot e non
aveva
voluto fermarsi nemmeno per pranzare, rimandando il pasto ad una
sostanziosa
cena. Ma il sole stava calando e il Re continuava imperterrito la sua
strada.
Non si era
voltato indietro neppure una volta, eppure sapeva che Merlin era appena
dietro
di lui, zitto a lanciare di tanto in tanto, rapidi sguardi alle sue
spalle
larghe. Sguardi rapidi e intrisi di una tristezza che se solo quel
testone di
un re si fosse voltato appena una volta, si sarebbe accorto.
“Merlin,
avanti, manca poco.” Ad esortarlo era stato Mattew. Il buon
Mattew che ormai era
diventato un amico. Si era accorto del suo rallentamento e lo aveva
raggiunto,
sincronizzando il passo con il suo.
Merlin gli
aveva rivolto un sorriso grato e poi aveva sospirato. “Lo so.
Resisterò.” Lo
aveva tranquillizzato, senza smettere di fermarsi. Più
avanti Arthur e Claude
continuavano con il loro passo spedito e perciò si erano
leggermente
distanziati.
“Mi
dispiace vederti così.” Continuò dopo
un po’ Mattew.
Merlin
scrollò le spalle, sforzandosi di sorridere ancora.
“Non importa. E’ che non
sono più abituato a camminare come una volta.”
“Non
parlavo di quello.”
Il mago
cacciò un altro sospiro e chinò il capo con aria
colpevole. In realtà aveva
sperato che si riferisse solo alla sua debolezza fisica.
“Lo so.”
Replicò mesto.
“Capisco la
rabbia per il tuo ritardo ma è un uomo adulto, per la
miseria. Io sarei felice
se le persone a me più care tornassero nella mia
vita!” il tono innervosito
fece intuire a Merlin a cosa si riferisse e si sentì
stringere lo stomaco.
“Neanche si rende conto di quanto è
fortunato.”
“Beh, forse
in realtà non mi considera più una persona
così cara. Forse adesso i suoi nuovi
amici sono molto più importanti di quelli vecchi.”
Con il volto indicò Claude
che ignaro di tutto camminava fischiettando al fianco del re.
Mattew fece
una smorfia sarcastica. “Andiamo, la gente non dà
pugni alle persone di cui non
frega nulla. Il re è arrabbiato con te proprio per
l’affetto che prova e che
non ha ricevuto.”
Merlin lo
guardò attentamente. Quell’uomo riusciva sempre a
trovare le parole giuste. Da
quando lo aveva conosciuto era riuscito a tranquillizzarlo in
più di
un’occasione e aveva sempre capito le cose ben prima di lui.
Per certi aspetti,
quasi gli ricordava la saggezza di Gaius su cui lui aveva sempre fatto
affidamento.
“Ha detto
che ormai non ha più bisogno di me.”
Cercò tuttavia di avvalorare la sua tesi,
anche se in cuor suo il desiderio di essersi sbagliato lo tormentava.
“Ha detto
che ora che ha fatto tutto, io non sono più
necessario.”
“Sciocchezze!”
replicò Mattew aspramente. “Vuole ferirti
perché si è sentito tradito.”
“E allora
ne convieni con me che è un idiota?” gli venne
dietro il mago, inalberandosi.
“Si è fermato per un attimo a pensare che io ho
dovuto aspettare letteralmente
secoli per rivederlo mentre lui sono solo sei anni che è
qui?”
Mattew
scosse il capo incredulo, lisciandosi la barba. “Devo ancora
abituarmi a questi
discorsi, Merlin; sul serio. Mi fa strano pensarti come ad un essere
millenario, sembri appena un trentenne…”
“E’ tutta
apparenza.” Gli assicurò il mago, il tono che si
fece di nuovo triste e carico
di una gravità che Mattew non gli aveva mai sentito.
“Nessuno ha la minima idea
di cosa significhi davvero vivere per secoli. Arrancare nelle epoche in
perenne
solitudine e con l’unica speranza che un giorno il motivo per
il quale sei
nato, possa tornare… e tu possa smettere di esistere
soltanto per tornare a
vivere. Arthur non sa che per la disperazione nel ventunesimo secolo ho
chiesto
ad Avalon di far dormire anche me, perché semplicemente non
ce la facevo più ad
aspettare e basta. Arthur questo non lo sa, perché lui si
è svegliato solo sei
anni fa e poi è stato così impegnato a costruirsi
un regno che non ha avuto
nemmeno il tempo di pensare a me.”
Dopo questo
sfogo, cadde il silenzio per alcuni minuti. Solo quando Arthur e Claude
si
fermarono e loro due arrivarono quasi a raggiungerli, Mattew
sussurrò. “Hai
ragione comunque, il re è un idiota.”
*
La caccia
aveva dato i suoi buoni frutti. Arthur stringeva tra le mani una corda
a cui
erano appesi ben cinque conigli carnivori. Erano creature di quel
secolo,
evolute negli anni ma a dispetto delle bestie del deserto che erano
frutto
delle radiazioni, quelle erano commestibili… oltre che
particolarmente gustose.
Arthur
aveva riscoperto il piacere della caccia da quando avevano intrapreso
quel
lungo viaggio di ritorno a Camelot. Camminavano al confine tra il
deserto e la
foresta, là dove la vegetazione era più bassa e
accessibile, per cui quando
dovevano mangiare, lui e Claude si inoltravano tra gli alberi e gli
arbusti e
cercavano prede da colpire. Arthur aveva anche costruito degli archi
per
permettere delle azioni più rapide e proficue.
Quella sera
avevano fatto lo stesso. Quando il sole si volse al tramonto, il re
aveva
deciso di fermare quella lunga ed estenuante marcia e prima che
arrivasse il
buio, si era allontanato con Claude per procurare del cibo per lui e
per i loro
compagni di viaggio.
Aveva lasciato
con un certo sollievo, Merlin e quel tizio di cui non ricordava mai il
nome a
sistemare l’accampamento e ad accendere il fuoco. La presenza
del mago lo
innervosiva anche se si rendeva conto di quanto fosse assurda quella
rabbia che
ancora lo agitava dentro.
Perché non
riusciva a perdonare Merlin e a lasciarsi alle spalle quello che era
successo? In
fondo adesso era lì con lui, era tornato nonostante il
ritardo. Avrebbe dovuto
farsi passare la rabbia e riprendere un comportamento civile.
Invece
continuava a tenerlo a distanza, al punto che quasi non riusciva a
vederlo. Mai
si era voltato indietro, durante quella giornata di marcia, eppure si
era
accorto che aveva rallentato ad un certo punto e che quel suo amico lo
aveva
dovuto raggiungere perché non rimanesse indietro da solo.
Avrebbe
dovuto fermarsi e lasciarlo riposare, invece aveva continuato, quasi
come a
volerlo punire per tutta quella collera che gli aveva causato e per la
sua
assenza che in quegli anni gli era pesata come un macigno.
La notte
prima aveva detto di non aver bisogno di lui. Gli aveva detto che non
serviva e
Merlin aveva accolto quelle parole dure in silenzio, forse accettandole
come
vere. Eppure sapeva di aver mentito, di avergli detto quelle cose
soltanto per
ferirlo.
Perciò non
riusciva a capire come mai trovasse così insopportabile la
sua presenza. Ce
l’aveva con lui, diamine quanto era arrabbiato con
quell’idiota. E cosa ancora
più assurda – motivo per cui quella rabbia
continuava a ribollire imperterrita
– era che se ci fosse stata Gwen al suo posto, lui non
avrebbe fatto tante
storie. Anzi, avrebbe accolto con gioia il suo ritorno.
Perché
invece con Merlin era così diverso? Perché voleva
continuare a ferirlo e a
fargli capire quanto era rimasto male per il suo comportamento?
“Arth, la
smetti di pensare così tanto? Lo sai che ti fa male, non sei
abituato.”
Claude
aveva scosso tutto quel marasma della mente e lui era tornato
velocemente alla
realtà. Si era voltato a guardarlo, mentre si muovevano tra
gli arbusti
cercando di tornare all’accampamento. Il sole era del tutto
tramontato e il
crepuscolo anticipava ormai la sera.
“In un
altro momento ti avrei picchiato ma stavolta devo darti
ragione…” sospirò
stancamente il re. Tutta quella rabbia in fondo, lo sfiancava.
Si fermarono
nel bel mezzo di una radura, Arthur sedette su di un masso sporgente e
si portò
la testa tra le mani. Claude probabilmente era dispiaciuto per il
dolore del
suo amico, perché si posizionò davanti a lui e
gli posò la sua di mano sulla
spalla in un gesto rassicurante, costringendolo a sollevare lo sguardo
per
ascoltarlo.
“Si può
sapere che succede? Non ti ho mai visto così tormentato come
da quando hai
rivisto quel tuo amico.”
“Non è più
un mio amico.” Sentenziò deciso, sostenendo i suoi
occhi scuri. “Lo abbiamo
chiarito ieri notte. E poi non riesco a sopportare la sua presenza
qui.” Chinò
di nuovo il capo, sconfitto, mentre continuava a sfogarsi.
“L’ho aspettato per
anni, lo volevo con me. Ma ora che è qui non riesco nemmeno
a guardarlo in
faccia! Ha tradito la mia fiducia già una volta e quando
avrebbe potuto
recuperare ha preferito farsi i fatti suoi. Come sempre. Come ha sempre
fatto
in tutti i nostri anni di amicizia.”
Dopo quelle
parole Arthur tacque rendendosi conto di cosa aveva appena ammesso.
Ecco perché
ce l’aveva così tanto con lui. Quella rabbia e
quel senso di tradimento
risalivano al giorno in cui Merlin gli aveva detto di essere un mago e
lui ne
era rimasto sconvolto. Perché aveva scoperto di non
conoscerlo e aveva messo in
dubbio il loro stesso profondo rapporto.
Arthur si
era trovato davanti un perfetto sconosciuto che per anni gli aveva
mentito la
sua vera natura e chissà quante altre cose. Nelle sue ultime
ore di vita però,
quando Mordred lo aveva ferito a morte, aveva potuto conoscerlo per
quello che
era veramente e il mago stesso gli aveva garantito che lui era nato per
servirlo e che il loro rapporto non sarebbe mai cambiato. Merlin gli
aveva
assicurato che per lui ci sarebbe sempre stato.
E invece
aveva mentito. Di nuovo.
Quando
Arthur era tornato dai morti per assolvere al suo destino,
l’unica persona che
avrebbe voluto accanto e che gli aveva promesso di esserci per sempre,
non
c’era stata.
“Merlin mi
ha tradito non una ma ben due volte. Per questo adesso lo
odio.”
Aveva
socchiuso gli occhi in un gesto di stanchezza ma Claude non aveva
abbandonato
la sua mano sulla spalla del re. Aveva atteso alcuni istanti in
silenzio,
lasciandogli il tempo di riflettere sulle sue stesse parole, poi si era
inginocchiato per poterlo guardare in viso.
“Ma no che
non lo odi… Arthur lo sai che io non ti tradirò
mai. Ma questo non toglie che
potrei farlo senza rendermene conto.”
Il re aveva
sollevato le sopracciglia, non riuscendo a capirlo e Claude aveva
continuato.
“Non siamo sempre padroni degli avvenimenti della vita. A
volte ne siamo
vittima. Hai provato a chiedere a Merlin almeno una volta dove fosse
stato?”
“Certo che
l’ho fatto!” replicò Arthur spazientito,
rizzando la schiena e perdendo il
contatto del consigliere. “Ma lui non ha voluto
spiegarmi.”
Claude
aveva allora incrociato le braccia e gli aveva rivolto
un’espressione dubbiosa.
“Conoscendoti lo avrai attaccato per avere le tue risposte.
Posso immaginare
perché non ti abbia detto nulla.”
“Claude, mi
vieni a fare la paternale, quando anche tu sei stato tradito da
Pierre.” Lo
rimbrottò il re risentito. A quelle parole l’amico
sbuffò tristemente e si fece
indietro fino a toccare col sedere il terreno. Vi si
appoggiò abbandonando le
braccia sulle ginocchia piegate.
“Su Pierre
devo ancora capirci qualcosa. Non ha mai avuto sete di potere e non
è un uomo
cattivo. Quando lo avrò davanti agli occhi, sarò
io a chiedergli perché lo ha
fatto.”
Arthur
restò in silenzio, apprendendo quelle parole uscite dalla
bocca di un uomo
sicuramente molto più maturo di lui. Doveva riconoscerlo. O
forse era stupido
esattamente come lui.
“Non sarà
invece, che siamo troppo buoni e che ci fidiamo delle persone
sbagliate?” provò
Arthur e Claude ridacchiò.
“Può darsi.
Ma almeno abbiamo il coraggio di rischiare.”
*
I rami gli
erano caduti dalle braccia senza neanche che se ne accorgesse. Merlin
fissava
tra gli alberi quella radura fatta di erba bassa e di massi.
Raccoglieva
legna per il fuoco, quando aveva sentito la voce di Arthur e del suo
consigliere. Avrebbe potuto palesarsi e invece era rimasto immobile,
nascosto
dalla vegetazione ad ascoltare. Perché sapeva che parlavano
di lui nello stesso
istante in cui aveva scorto la faccia tormentata di Arthur.
Aveva
smesso di respirare e si era sentito prendere dalla nausea quando
Claude si era
avvicinato al non più suo re e gli aveva posato quella mano
sulla spalla: un
gesto così intimo e così profondo nel quale aveva
capito, riusciva ad infondere
forza e coraggio nell’animo di Arthur. Un segno
però, che a lui faceva male,
perché ormai quelle effusioni gli erano precluse.
Ma a
ferirlo profondamente erano state le parole successive del re. Quelle
frasi di
sfogo scagliate senza volerlo contro di lui che lo colpirono come
stiletti. Non
seppe dire se avesse fatto più male scoprire qualche giorno
prima che Arthur
era morto o sapere ora che defunto era ormai lui per il re.
Perse però
il fiato e lasciò cadere la legna nell’esatto
momento in cui Arthur ammise di
odiarlo. Un senso di nausea si fece prepotente in lui, che
arretrò lentamente
intenzionato a non farsi scoprire mentre prendeva la sua decisione.
Avrebbe vomitato,
se la sua forza di volontà non si fosse imposta,
costringendolo prima ad
allontanarsi. A distogliere lo sguardo da quella scena così
intima tra due
amici e dalle verità sputate dalla bocca del re.
Volse le
spalle e intraprese una corsa sempre più veloce, prendendo
le distanze dalla
radura ma anche dall’accampamento, che distava pochi metri di
intricata
foresta. Fuggì, ricacciando indietro le lacrime e quella
stupida nausea e dando
fondo a tutte le sue ultime forze per correre via e per accettare una
pesante
quanto dolorosa realtà
Non è
più questo il mio posto.
*
“Dov’è?”
Arthur e
Claude erano tornati all’accampamento. Nell’esatto
momento in cui si era
avvicinato al falò, il re aveva avvertito una sgradevole
sensazione addosso,
come se qualcosa fosse fuoriposto. Si guardò intorno e
quando si accorse
dell’assenza di Merlin, si fece sfuggire quella domanda,
quasi dimenticando di
avercela con lui.
Poi si
ricordò della sua rabbia ma ormai il danno era fatto e lui
voleva sapere dove
si era cacciato il mago.
“Marcel!
Dov’è Merlin?”
“Il mio
nome è Mattew, sire.” Rispose con pazienza il
professore, sollevandosi in piedi
dopo aver sistemato i ceppi che sfrigolavano nel fuoco.
“E’ andato a
raccogliere legna ma non è ancora tornato.”
Arthur si
sentì stranamente nervoso. “Da quanto è
via?”
Mattew lo
aveva guardato con sospetto, prima di rispondere con un tono
altrettanto
insicuro. “Da un po’… e l’ho
visto allontanarsi nella direzione in cui siete
venuti voi.”
“Avremmo
dovuto incrociarlo.” Ponderò Claude, scambiandosi
un’occhiata con Arthur. Il re
a quelle parole strinse le labbra, avvertendo quella preoccupazione
aumentare.
“O forse…” Claude diede voce ai dubbi di
Arthur, provocandogli dentro un
insieme incomprensibile di emozioni. “…forse ci ha
incrociati.”
“Non… non è
possibile… aspettiamo, di sicuro
tornerà.” Borbottò titubante il re.
Merlin non
poteva averli sentiti, non si erano accorti di niente quando si erano
fermati
alla radura. Eppure quel senso di angoscia che improvvisamente gli
opprimeva il
petto, parlava molto più dei suoi pensieri.
Nel notare
la reazione di Arthur, che si passò una mano tra i capelli e
scosse il capo,
Mattew assottigliò lo sguardo. “Sire, ha idea di
in che anno siamo adesso?”
Arthur si
voltò a guardarlo, stordito. Non capiva dove volesse
arrivare e poi cosa
c’entrava con Merlin?
Non
rispose, aspettando che Mattew si spiegasse meglio. Non gli piaceva
quel tipo o
forse non si era ancora soffermato a studiarlo per bene, visto che
Merlin gli
aveva offuscato tutta la ragione negli ultimi due giorni.
“Merlin mi
ha detto che nel ventunesimo secolo, stanco di attendere un re che non
voleva
tornare da lui, ha chiesto ad una certa dama del lago di farlo dormire,
fino a
che non fosse arrivato il momento giusto.”
“Dove vuoi
arrivare…” aveva replicato Arthur sulla difensiva.
Nel frattempo Claude aveva
sgranato gli occhi incredulo.
“Che
diamine vai blaterando, vecchio?”
Mattew non
si scompose per quelle reazioni. Aveva notato il profondo turbamento di
Merlin
e trovava ingiusta tanta cattiveria nei suoi confronti.
“Merlin si
è risvegliato soltanto alcune settimane fa, convinto di
essere arrivato al
momento giusto ma ha capito che per voi erano passati sei
anni.” Fece una
pausa, sondando lo sguardo cinereo di Arthur che era rimasto zitto ad
ascoltarlo. Voleva sapere di più ma soprattutto voleva
capire dove quel Mattew
volesse andare a parare.
“Si è preso
le colpe perché voi siete rimasto da solo per ben sei anni.
Ora io le chiedo,
sire. Ha idea di in che anno siamo?”
Arthur non lo
sapeva. Nessuno si era preso mai la briga di dirglielo, un
po’ perché molti
avevano smesso di contare, un po’ perché gli altri
lo davano per scontato. Perciò
scosse il capo, incapace di parlare, perché un senso di
ansia lo aveva colto
nel momento in cui un barlume di comprensione gli aveva acceso la
mente.
“Siamo nel
3019. Sono passati più di mille anni da quei giorni. Lei
crede che Merlin avrebbe
potuto aspettarla ancora per un altro millennio senza
conseguenze?”
Arthur
chinò il capo ma Mattew continuò imperterrito,
convinto di fare la cosa giusta
rivelando quelle cose al re. “Ha detto di aver arrancato nei
secoli, mentre la
aspettava. Merlin ha la faccia di un trentenne ma il cuore di un
vecchio. Un
cuore malandato per giunta che lei ha pensato bene di torturare invece
di
riaccoglierlo nella sua vita con gioia.”
“Perché mi
dici questo? Cosa ne sai tu, di cosa è accaduto tra me e
Merlin?”
“Non lo
so.” Replicò Mattew e adesso il tono si fece duro
come il granito tanto che
Arthur avvertì un brivido dietro la schiena. “Ma
so per certo che chiunque a
questo mondo vorrebbe avere la fortuna che ha lei. Un altro non la
sprecherebbe
così.”
Il silenzio
calò come una mannaia sul campo. Claude per quanto non
comprendesse tutto quel
discorso, sapeva benissimo di cosa adesso parlasse Mattew e Arthur non
sapeva
come rispondere a quella verità sbattuta in faccia con tanta
veemenza.
Alla fine
fu il suo corpo a fare tutto da solo. Arretrò dapprima, e
poi prese la
direzione da cui era venuto. Senza dire una parola, andò in
cerca del suo
Merlin. Nel cuore la paura faceva a gara a togliergli il fiato con il
rimorso.
Continua…
Buongiorno
e come sempre buon lunedì!! =) Beh, che dire, meno male che
c’è il buon Mattew!
Effettivamente ero indecisa se farlo parlare o fargli tirare un pugno
ma vabbè
u_u alla fine ho optato per la spiegazione, visto che quello scemo di
Arthur
non ci arrivava! Anche se come avrete notato ha anche un suo
perché la rabbia del sovrano. Comunque anche Claude fa la
sua parte, ho notato che alcune di voi lo
odiano XD sì, il problema è che sembra
il sostituto di Merlin ma lui non lo sa! E poi Merlin
è insostituibile
u_u e come avete visto, non è neanche cattivo, anzi! ^^
Voglio
ringraziare come sempre tutti i lettori di questa storia, quelli
silenziosi (di
cui io attendo sempre un COMMENTO!!) e tutti coloro che hanno inserito
questa
storia tra le seguite, le ricordate e le preferite.
Un grazie
speciale lo mando a coloro che hanno voluto lasciare un commento! One
Day_Painless, Pandina99, chibisaru81, brin leah, Lunaris, Catnip95 e
Pandora86.
Come
sempre, invito tutti a lasciarmi un commento, perchè davvero
sono curiosa di
conoscere I vostri pensieri su questa storia! =)
Un’ultima
cosa! Per chi non lo sapesse, ho iniziato una nuova storia. Stavolta si
tratta
di una commedia moderna, con protagonisti sempre quelle due sagome di
mago e re
XD il titolo è Two
Weeks
Notice! Se
volete farci un salto ne sarei felicissima! :D
Ora vi
lascio e vi mando un bacione!
Alla
prossima
|
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Capitolo 10 *** Qual è il tuo perché? ***
Desclaimer: come sempre
scrivo senza scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL
MOMENTO GIUSTO
Capitolo
10
Qual è il tuo perché?
Il passo di
Arthur era veloce e silenzioso nella foresta. Nessuno avrebbe potuto
sentirlo
eppure Arthur sapeva di essere a portata di naso per qualunque creatura
abitasse quei luoghi selvaggi.
Perché la
sua paura era enorme e l’odore che essa emanava, avrebbe
potuto attrarre
chiunque.
Arthur
aveva paura. Ma non per se stesso. Temeva per Merlin, per il suo
Merlin. Perché
era scappato, solo e senza poteri e se davvero aveva sentito lui e
Claude,
probabilmente, doveva essere anche provato dal dolore.
Lui stesso
gli aveva chiesto cosa ci facesse lì, gli aveva dato del
“peso”. E ora aveva
paura. Perché quelle parole così dure non avevano
più importanza, nella
consapevolezza che avrebbe potuto davvero perdere di nuovo Merlin.
Non lo
voleva. Per quanto fosse stato arrabbiato con lui, non poteva
lasciarselo
sfuggire ancora!
E allora
corse a perdifiato e ricordò con maestria tutte le tecniche
con cui in un altro
tempo seguiva le piste dei nemici e le tracce degli animali. Si fermava
di
tanto in tanto, controllava la zona circostante, i rami spezzati, le
impronte e
poi continuava quell’inseguimento. Neanche il buio lo
fermava. La luna era alta
nel cielo e rischiarava quel che bastava della zona. Inoltre il sovrano
aveva
con sé una torcia elettrica, con la quale si
illuminò la strada. Di quei tempi
certi oggetti venivano conservati per situazioni particolari e quella
per
Arthur lo era a tutti gli effetti.
Corse e
cercò per un tempo che a lui parve interminabile,
finché non lo vide.
Un ammasso
informe di abiti, carne e ossa abbandonato ai piedi di un albero. La
paura di
Arthur crebbe, assieme all’angoscia di essere arrivato troppo
tardi.
Con uno
scivolone si gettò a terra, accanto a lui e gli
voltò le spalle, scoprendo il
viso. Quel Merlin con gli occhi chiusi e il volto pallido gli
mozzò il fiato e
Arthur per un lungo momento non riuscì in nessun modo a far
entrare aria nei
polmoni.
“Merlin!
Maledizione Merlin!” passò un braccio sotto le
spalle magre di quel corpo e
senza pensarci lo strinse a sé, serrando gli occhi che
improvvisamente gli
pizzicavano.
“Merlin!”
chiamò ancora e scostatolo da lui, provò a
scuoterlo, sempre più convinto di averlo
perso per sempre. “No… no…
Merlin…”
Un soffio
addolorato, quell’angoscia che premeva forte contro la bocca
dello stomaco e
poi fino alla gola, serrandola in un groppo soffocante. Arthur non
poteva
credere di essere arrivato troppo tardi, strinse ancora quelle spalle
ossute
con foga e lo chiamò più volte, sempre
più disperato.
Quelle che
Arthur sapeva di essere lacrime, quasi gli riempirono gli occhi e
presto
sarebbero colate sul volto.
“Ohhhhh….
Arthur! Ma che vi prende…”
Un
mormorio, flebile e soffocato dal tessuto della casacca contro cui gli
premeva
la bocca, gli giunse alle orecchie, nello stesso istante in cui si rese
conto
che quel corpo si muoveva.
Arthur
sgranò gli occhi e si scostò da Merlin,
incrociando uno sguardo che lo fissava
arrabbiato e confuso assieme, gli occhi appesantiti da qualcosa che
improvvisamente parve… sonno?
“Ma... ma…”
balbettò. Merlin intanto si passò una mano sulla
faccia, in un gesto
infastidito sbuffando per giunta, cosa che Arthur trovò
improvvisamente
irrispettosa.
Davvero per
un attimo aveva creduto che fosse… morto? Di colpo paura,
angoscia e dolore
svanirono e quella rabbia pulsante, tornò a tormentargli le
viscere.
“Sei un
idiota!” lo rimproverò incollerito lasciandolo
andare di botto. Merlin barcollò
cadendo quasi all’indietro ma poi fece perno su un braccio
per sostenersi e
infine mettersi seduto.
“Ma si può
sapere cosa ho fatto adesso?!” cercò di difendersi
piccato, ormai sveglio.
Rispose a quello sguardo arrabbiato con uno altrettanto innervosito,
occhi
azzurri che saettavano fulmini in occhi celesti. Una guerra di sguardi
che era
iniziata da che si erano ritrovati e ancora continuava imperterrita.
Poi Merlin
parve ricordare qualcosa e di colpo si fece triste. Chinò il
capo, distogliendo
lo sguardo da lui e cercando di rimettersi in piedi.
“Io… devo andare.”
“E dove, di
grazia?” replicò Arthur. A quelle parole, la paura
di prima aveva fatto un saltello
nel suo stomaco, per cui non aveva atteso un attimo per rispondere.
“Non lo so.
Via di qui.” Merlin aveva replicato duramente, senza osare
guardarlo più.
Eppure non gli riuscì di alzarsi del tutto,
perché il sovrano lo acchiappò per
la casacca e lo tirò giù, di nuovo, per
impedirgli qualsiasi fuga.
“Non essere
più stupido di quanto non lo sia già. Non conosci
questo modo ormai, non puoi
andartene alla cieca.”
“E cosa
vuoi che faccia?! Eh?!” Merlin si scagliò contro
di lui, innervosito,
dimenticando persino dell’etichetta. Arthur si accorse che il
suo servo non
aveva mai osato tanto, tranne che per una volta. Quella
volta… quando stava
esalando l’ultimo respiro. Quando gli aveva implorato di
restare con lui.
Quel
ricordo lo investì azzittendolo e Merlin ne
approfittò per riversargli addosso
tutto il dolore che gli aveva causato. “Hai detto di odiarmi,
hai detto che non
mi vuoi nella tua vita! Che ti dà fastidio persino la mia
presenza! Cosa vuoi
che faccia?! Che-“
“Mi
dispiace!!”
Le scuse di
Arthur riecheggiarono nella foresta desolata troncando la voce e il
fervore del
mago in un attimo. Merlin lo fissò con tanto
d’occhi, la bocca dischiusa in
un’espressione di sorpresa.
Il sovrano
sostenne quello sguardo stupito cercando dentro di sé quel
coraggio tanto
introvabile quando si trattava del suo valletto. Quante volte aveva
evitato
discussioni con lui, per paure che aveva sempre reputato inspiegabili e
senza
senso? Quante volte aveva chiuso nel suo cuore delle domande che si era
posto e
a cui non aveva saputo da solo darsi una spiegazione?
Ma questa
volta sarebbe stato diverso. Questa volta non c’era altra
gente di mezzo, non
c’erano padri, future mogli o responsabilità.
Questa volta c’erano solo lui e
Merlin. A chiarire e a trovare un punto di incontro.
Vedendo che
Arthur tardava a parlare, Merlin si mosse incomodo e distolse per un
attimo lo
sguardo da lui. “Avete detto che vi dispiace.”
Convenne cercando di mantenere
vivo il discorso, quasi per paura che si chiudesse del tutto. Arthur
notò che
era tornato di nuovo a dargli del “Voi”.
“Sì.”
Rispose il sovrano, cercando le parole giuste. Ma cosa c’era
poi da dire? Mille
altre cose eppure nessuna… al re sembrava tutto
così difficile.
“Significa
che non era vero quello che avete detto?” come sempre, da
quando si
conoscevano, ecco che arrivava Merlin ad aiutarlo. Come lo proteggeva
con la
magia e lo sosteneva nelle fatiche fisiche, così lo aiutava
anche con le
parole.
“Sì.”
Rispose ancora lui.
“Allora
significa che siete un idiota?” domandò ancora
Merlin provocandolo.
“….sì.”
fu
costretto a dire il sovrano, pur tentennando.
Il mago
cacciò un sospiro e rilassò le spalle, accennando
un sorriso. Poi ridacchiò
socchiudendo gli occhi, mentre scuoteva il capo: ad Arthur parve
compiaciuto e
anche sollevato nello stesso tempo e improvvisamente si
sentì anche lui più
leggero.
“Mi avete
svegliato.” Gli fece notare Merlin dopo un po’,
indicando con il capo, l’albero
contro cui evidentemente si era addormentato prima per recuperare la
stanchezza.
Arthur
evitò di dirgli che in realtà l’aveva
creduto morto e che si era sentito
uccidere a sua volta. Avrebbe comportato mostrare una debolezza
così
sconvolgente che lui al momento non si sapeva spiegare. In fondo nella
sua vita
aveva visto morire tanti suoi amici e aveva sempre accettato la cosa
con dolore
sì, ma stoicamente e con forza si era imposto di non cedere
alla tristezza,
perché lui era un uomo, un cavaliere e il re di Camelot.
Quando
invece, aveva visto Merlin abbandonato per terra e aveva temuto il
peggio, per
un attimo aveva visto solo il buio davanti a sé e si era
sentito male.
Perciò
evitò ogni possibile spiegazione e sviò il
discorso con il tono più burbero che
conoscesse. “Ho fatto bene! Credo che tu abbia dormito fin
troppo, non trovi?”
Merlin gli
diede una lunga e silenziosa occhiata che Arthur sentì su di
sé per istanti che
gli parvero eterni, poi però, cacciò uno sbuffo
ironico e scosse ancora il
capo. “Credo che abbiate ragione.”
“Non
andartene più.” Gli sfuggì in un
sussurro, quasi che lo sforzo di fargli quella
richiesta fosse stato così grande da consumare persino la
voce.
Merlin
avrebbe potuto reagire in mille modi diversi a quelle parole. Avrebbe
potuto
ridere di lui o arrabbiarsi perché in fondo era come se
fosse stato lui stesso
a cacciarlo. Oppure avrebbe potuto semplicemente assentire e chiudere
lì la
questione.
Il mago,
invece, si agitò inspiegabilmente e con voce malferma inizio
a parlare a
raffica, quasi senza prendere il respiro.
“Io…
credevo non aveste più bisogno di me. Hai già un
consigliere, che oltretutto è
anche un mago e forse hai ragione nel dire che sono solo un peso.
Inizio a
pensare che il mio ritorno qui sia sbagliato e…”
Arthur
decise di interrompere quel fiume di parole, quasi divertito da quella
reazione
così tipica da Merlin. Quanto gli era mancato
quell’idiota? Sul serio, quanto?
Gli posò
una mano sulla spalla, un gesto rassicurante e forse il primo vero
gesto di
affetto da quando si erano rincontrati. Poi gli sorrise e finalmente
quello che
pensava sul serio, uscì fuori con una facilità
che non aveva mai provato.
“Merlin. Tu
sei insostituibile.”
Il mago lo
guardò sorpreso da quelle parole e Arthur lo vide deglutire
ma la presa sulla
sua spalla non si allentò. Il sovrano si scoprì
quasi bisognoso di quel
contatto fisico e il rendersene conto da una parte lo
spaventò mentre
dall’altra… lo rese felice.
“Ma
Claude…” provò il mago, senza
riuscirci.
“Claude è
un mio amico. Ma non sei tu. E’ te che ho atteso in questi
anni, così come tu…
come tu hai aspettato me…” considerò,
sentendosi improvvisamente in colpa, per
quello che gli aveva rivelato Mattew. Era tanto il rimorso, che non
riuscì più
a guardarlo e chinò il capo sconfitto.
Ma stavolta
fu Merlin ad andargli incontro. Con un gesto che sorprese il sovrano
più del
dovuto, posò la mano libera sulla sua che stringeva ancora
la spalla.
“Non mi
sono mai pentito di avervi aspettato così tanto, sapevo che
sareste tornato. Mi
dispiace solo… ecco… per aver chiesto alla Dama
di far dormire anche me. Forse
tutto questo non sarebbe successo se…”
“No, lascia
perdere.” Lo interruppe il re, con convinzione.
“Non prenderti colpe inutili,
per favore. E poi sarò anche un nobile babbeo come mi hai
sempre chiamato ma
non sono un egoista. Non avrei mai voluto condannarti ad
un’attesa così
straziante.” Fece una pausa nella quale cercò un
modo per dare voce a quella
domanda che gli vorticava nel cervello ma alla fine non
trovò altre parole che
quelle più semplici.
“Mi chiedo
solo… perché.”
“Perché ve
lo avevo promesso e perché io e voi siamo legati dal
destino, ecco perché.”
Rispose prontamente il mago.
“Non parlo
di questo.”
“Beh, poi
c’è da aggiungere che io tecnicamente sarei
immortale, per cui…”
“ Voglio
sapere il tuo perché,
Merlin.” Lo
zittì Arthur con forza. “Perché ti sei
condannato a tutto questo quando avresti
potuto intraprendere altre strade e altre vite?”
Merlin lo
guardò. Gli occhi azzurri fissi nei suoi che gli
trasmettevano tutto lo
sconcerto che aveva causato quella domanda. Aprì e chiuse la
bocca, come in
cerca di una risposta mentre Arthur aspettava e inspiegabilmente
quell’attesa
lo riempiva di ansia.
Perché gli
era così devoto? Aspettare duemila anni una persona non
è una cosa da tutti,
sono troppo pochi i sentimenti che possono sostenere una simile tortura
e anche
questa era una cosa che lo terrorizzava.
“Merliiiiiiiiiin!
Arthuuuuur!!”
Qualsiasi
risposta stava per dargli il mago, venne interrotta da quei richiami.
Entrambi
si scostarono velocemente come se quel contatto avuto fino a quel
momento,
fosse troppo equivoco agli occhi degli altri. Ma poi equivoco di cosa?
Merlin in
silenzio si alzò in piedi, spazzolandosi i calzoni e Arthur
si accorse che
evitò accuratamente il suo sguardo. Intanto Claude e Mattew
comparvero tra gli
arbusti, la torcia elettrica del primo che si agitava in cerca di loro.
Quando
li notarono, parvero tutti molto più sollevati.
“Bene.”
Esordì Claude con un sogghigno divertito. “Sembra
che stiamo tutti bene. Che ne
dite di tornare al campo?”
Continua…
Ehilà!!!
Vorrei dirvi buon lunedì visto che è passata la
mezzanotte ma forse dovrei
augurarvi la buonanotte XD purtroppo domani non avrei potuto
pubblicare,
perciò, lo faccio a sorpresa ora, così domani
potrete godervi il solito
aggiornamento settimanale!
Allora,
tempo di chiarimenti, finalmente! =) dopo tanta tensione, un momento
di pace. Breve, ovviamente u_u questa storia ahimè, sta
tirando fuori tutto l’angst
che è in me. Ma d’altronde i punti da chiarire
sono ancora tanti. Arthur ha
ritrovato un amico ma è davvero solo un amico? E Merlin ha
dimenticato il fatto
di non avere più la sua magia? In realtà questo
capitolo doveva essere più
lungo ma ho deciso di spezzarlo perché mi stava uscendo
chilometrico e troppe
cose sono in ballo.
Ma
pazientate =) tanto sto riuscendo a mantenere la pubblicazione
settimanale – e credetemi,
sono fiera di me u_u – quindi avrete poco da pazientare.
Come sempre
rinnovo la richiesta di un vostro COMMENTO. Le letture sono tantissime,
così
come aumentano ogni giorno anche coloro che inseriscono questa storia
tra le
seguite, le ricordate e addirittura le preferite!! Quanto sono curiosa
di
sapere cosa ne pensate!! *-*
In ogni
caso vi ringrazio tutti, già solo perché la
leggete! =)
E ringrazio
col cuore gonfio chi non manca mai con le loro bellissime recensioni! One Day_Painless, Lunaris, Pandina99,
Catnip95, chibisaru81, brin leah e Pandora86, vi adoro,
sappiatelo! ^__^
Vi lascio
stavolta con il titolo del prossimo capitolo: “A
metà.”
Baciii
|
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Capitolo 11 *** A metà ***
Desclaimer: come sempre
scrivo senza scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL
MOMENTO GIUSTO
Capitolo
11
A metà
Merlin
lanciava sguardi di tanto in tanto, quando era certo di non essere
visto. Non
poteva farci niente, aveva tentato di trattenersi ma era stato tutto
inutile.
Da quando erano tornati al campo – e anche prima in
realtà, durante il tragitto
– non aveva potuto evitare di guardare di sfuggita il volto
del suo re e di
farsi delle domande quanto mai spaventose.
D’accordo,
si erano chiariti. Arthur gli aveva addirittura chiesto scusa
– episodio che
probabilmente avrebbe causato presto o tardi una tempesta coi fiocchi
– e lo
aveva implorato di non andarsene. Avevano messo da parte la rabbia e
ripreso i
fili di un rapporto che era andato perso secoli prima.
Per
l’appunto il problema adesso era proprio questo. Riprendere i
fili. Cosa
avrebbe comportato adesso?
Merlin era
rimasto senza parole quando Arthur gli aveva fatto quella domanda. Gli
aveva
chiesto il perché, anzi il suo perché.
Perché mi
hai aspettato per due millenni?
E per la
prima volta in due millenni, Merlin era rimasto senza parole con cui
rispondere. Perché per duemila anni si era sempre detto che
quello era il suo
destino e che doveva tener fede ad una promessa.
Ma Arthur
aveva ragione. Qual era il suo
perché?
Mentre
sedeva in silenzio davanti al fuoco del campo ad osservare assorto le
fiamme,
Merlin si sondava dentro in cerca della risposta più giusta.
Perché era
legato a lui. E non parlava di destino ma di un vero e proprio
sentimento di
affetto. Merlin voleva bene ad Arthur e lo aveva atteso per duemila
anni.
Eppure
razionalmente Merlin sapeva che qualcosa non tornava. Perché
un amico a cui
vuoi bene, puoi aspettare che si rifaccia vivo con la consapevolezza
che prima
o poi tornerà. Non lo aspetti spasmodicamente, rischiando la
pazzia e arrivando
addirittura di chiedere alla magia stessa di dormire
nell’attesa.
Ripensandoci,
Merlin avrebbe potuto vivere diversamente tutti quei secoli, viverli
nel vero
senso della parola e smetterla di pensare a quel re che prima o poi si
sarebbe
fatto vivo.
Perché lo
aveva aspettato invece, in quel modo? E soprattutto quando si aspetta
così una
persona?
La risposta
apriva una serie di dubbi e di folli paure che Merlin non credeva di
poter
sostenere. Temeva cosa avrebbe comportato accettare tutto quello.
Perché
cambiava tutto.
“Come ti
senti?”
Mattew
aveva interrotto il flusso di tutti quei pensieri. Gli si era seduto
accanto,
abbandonandosi stancamente sul tronco di albero che faceva da seduta.
Il mago gli
aveva fatto posto, concedendogli un sorriso colmo di gratitudine.
Sospettava
infatti, che ci fosse il suo zampino dietro il comportamento di Arthur.
“Meglio…
grazie a te.” Rispose infatti, scatenando un leggero
imbarazzo nell’uomo ben
visibile anche oltre la barba grigia.
Mattew
cercò di dissimulare sfregandosi il viso con una mano, come
era solito fare e
sollevò gli occhi al cielo con noncuranza. “Io?
Non ho fatto niente…” cercò,
rendendosi subito conto di non essere stato credibile quando Merlin
ridacchiò.
“Oh sì,
certo. Peccato che quel testone di Arthur di solito abbia bisogno dei
disegni
per poter capire certe cose in maniera così
veloce… e c’era soltanto qualcuno ad
avere la matita…” ironizzò il mago con
lo stesso tono disinteressato
dell’altro.
Mattew
sorrise a sua volta, facendogli l’occhiolino, poi
sospirò lanciando uno sguardo
al re che riposava disteso su un giaciglio di fortuna.
“Sono
contento che abbia capito quanto è fortunato.”
“Anch’io…”
convenne Merlin. “E mi dispiace che questa storia ti abbia
fatto pensare alla
tua famiglia.”
“Oh, non
sentirti in colpa anche per questo!” lo rimbrottò
veloce il professore. “Alla
mia famiglia ci penso sempre, Merlin. Non c’entra nulla tutta
questa storia.
Anzi, mi fa solo piacere, perché ho visto come hai sofferto
in queste ultime
settimane.”
Il mago gli
dimostrò ancora con lo sguardo, la sua più totale
gratitudine. “Grazie,
davvero.”
Mattew
annuì, poi distese la schiena, facendosi leggermente
indietro per poter
osservare meglio il cielo. “Piuttosto… ti avviso
che ho spiegato grosso modo le
cose anche a quel Claude. Mi è sembrato parecchio confuso a
riguardo e mi
dispiaceva che fosse l’unico all’oscuro di
tutto.”
Merlin storse
il naso a quelle parole. Sapeva di non dover temere nulla da
quell’uomo eppure,
non poteva non sentirsi profondamente infastidito
dall’intimità che aveva con
il sovrano. Tanto più che si prendeva certe
libertà che lui per primo non si
era mai permesso con Arthur.
Annuì
tuttavia, non volendo esprimere liberamente quell’antipatia
anche con Mattew.
“Hai fatto bene.” Mormorò. Lo pensava
veramente in fondo, perché forse così avrebbe
capito quanto intenso fosse il loro rapporto.
O forse no…
forse mai nessuno avrebbe potuto comprendere fino in fondo quante
sfaccettature
costituivano il legame che univa re e mago. Merlin lo sapeva e questo
non
diminuiva l’antipatia per Claude, perché al
momento era lui in posizione di
vantaggio.
Conosceva
l’Arthur del futuro, si era guadagnato la sua fiducia senza
mai metterla in
discussione e per di più aveva la magia con sé.
E Merlin
non sapeva quale delle tre cose lo facesse soffrire di più.
Perché in
fondo l’affetto per il sovrano era per lui perfettamente
paragonabile alla
magia. Erano entrambi di vitale importanza al punto che non sapeva se
sarebbe
stato in grado di vivere senza.
Per questo,
nonostante avesse chiarito con il sovrano, c’era ancora
qualcosa che non andava
e che non lo rasserenava. Si sentiva inquieto e temeva che la magia non
sarebbe
più ritornata.
Avrebbe
continuato così per tutta la vita a sentirsi sempre a
metà?
“Merlin… se
posso darti un consiglio… smettila di tormentarti.”
Mattew lo
riportò sulla terra, facendolo sobbalzare. Si
voltò a guardarlo e poi si sforzò
di sorridere.
“Ci
proverò.” Mentì. Altro al momento non
riusciva a fare.
*
Sapeva che
sarebbe successo. Arthur si chiedeva come mai negli ultimi giorni
fossero
andati così spediti senza alcun intoppo… e
soprattutto senza pericoli.
Il motivo
era che al varco li aspettava qualcosa che avrebbe messo a dura prova
il loro
coraggio e la buona sorte.
Arthur non aveva
mai creduto che esistessero creature così grandi e
così brutte in natura. Ma
d’altronde quella era una natura strana e il vermone dai
mille denti che
incontrarono sul cammino il pomeriggio successivo, era certamente
frutto degli
sbagli dell’uomo. Di quelle radiazioni che tanto avevano
distrutto e martoriato
il pianeta Terra.
Quando dopo
una giornata di cammino, avevano sentito il terreno vibrare, avevano
capito
subito che qualcosa non andava. Arthur e Claude si erano scambiati uno
sguardo
e poi Mattew aveva imprecato sottovoce.
“Merda…
siamo entrati nel territorio di quei
maledetti.”
Il
professore sapeva. In fondo aveva detto loro che proveniva dalla base,
per cui
era abituato a combattere quelle creature. Bene, un uomo in
più non avrebbe
fatto male. Arthur però, era preoccupato per Merlin.
Non
conosceva il nemico e soprattutto non aveva niente per difendersi.
Né armi –
che Arthur ricordava usare malissimo – né la sua
magia.
“Non.
Muovetevi.” Ordinò parlando piano. Merlin
provò ad aprire bocca ma lui lo zittì
sollevando una mano. “Questi vermi avvertono le vibrazioni
del terreno. Non vi
muovete.” Spiegò praticamente solo per lui,
evitando di gridare perché le
bestie non sentissero anche le oscillazioni della sua voce.
Tutti e
quattro rimasero fermi per alcuni minuti che parvero loro eterni. Il
tremore
del terreno continuò fino a spegnersi poi del tutto e solo
allora Arthur tornò
a respirare. Bene, forse se n’era andato. Attese ancora
qualche istante, poi
provò a muovere un passo.
SI rese
conto del grave errore soltanto quando una delle creatura
sbucò dal suolo in
un’esplosione di ciottoli e terriccio, agghiacciandolo. Lo
aveva visto soltanto
un’altra volta in vita sua, pochi giorni dopo il risveglio e
si rese conto che
non ricordava davvero quanto fosse orrendo e spaventoso.
Ritrovarselo
lì davanti, con quelle fauci spalancate, i mille denti
sovrapposti lungo la
linea circolare della bocca e quel puzzo fetido di morte, gli fece
accapponare
la pelle.
Avrebbe
tanto voluto avere ancora la spada Excalibur con sé ma la
sua preziosa arma,
era rimasta nella torre a Nuova Camelot, là dove la
conservava come un cimelio
prezioso. Avevano però con loro le armi, rubate ai tizi che
avevano rapito
Merlin e Mattew e con quelle sperò di riuscire a combattere
la creatura.
Quando si
rese conto di essere ormai stato avvistato, scartò di lato,
gridando agli altri
di allontanarsi e di disperdersi. Nel frattempo la bestia
attaccò, quasi
intuendo le sue mosse, voltò perciò la bocca
verso di lui.
Arthur
trattenne ancora il respiro scioccato, sentì gli altri
urlare, Merlin
soprattutto ma poi qualcosa lo colpì, come una potente
ventata e il suo corpo
fu catapultato lontano dai denti aguzzi della bestia un attimo prima
che questa
affondasse per mordere.
Si voltò
velocemente per ringraziare Claude con uno sguardo di intesa e poi
cercò di
posizionarsi alle spalle della creatura, mentre questa veniva attirata
da
Mattew che prese a saltare sul terreno. Poi si accorse di Merlin che
gli si era
affiancato, con uno sguardo angosciato.
“State
bene?” biascicò, imbracciando un fucile e
caricandolo affinché fosse pronto a
colpire.
“Merlin,
vattene!” gridò Arthur, un ordine arrabbiato con
il quale mascherò tutta la sua
paura nel vederlo lì in prima linea. Il mago non aveva
difese, doveva andarsene
da lì!
“Non dite
assurdità!” replicò duramente Merlin,
puntando l’arma verso il corpo rosa e grinzoso
della creatura.
Arthur
ricordava una cosa di quelle bestie: ovvero che il loro unico punto
debole era
la bocca. Per il resto, il corpo era ricoperto da uno strato di pelle
duro e
coriaceo che difficilmente si faceva scalfire da un’arma.
Anzi, al contrario i
colpi lo incattivivano ancora di più, trasformando quella
che era la caccia ad
una preda per sfamarsi, in una vera e propria strage.
Fu per
questo che gridò forte, quando Merlin sparò e il
fucile lanciò il fascio di
luce colpendo il dorso dell’animale.
“Merlin
nooo!!”
Non fece in
tempo a reagire, il verme tirò fuori la lunga coda e con un
colpo secco andò a
colpire il mago, scaraventandolo lontano. Atterrò contro un
albero, gemendo e
perdendo l’arma che scomparve tra la boscaglia.
Eppure
nonostante tutto, il colpo servì a distrarre la bestia, che
fu trafitta subito
dopo da un incantesimo di Claude. L’uomo riuscì a
centrare la bocca, prima che
la creatura potesse vederlo e un attimo dopo iniziò a
contorcersi gonfiandosi a
poco a poco. L’esplosione di verme colpì tutti in
pieno inzuppandoli di resti
mollicci e sanguinolenti.
“Che
schifo!” esclamò Claude agitando le braccia per
scrollarsi la poltiglia di
dosso. “Forse ci ho messo troppa
potenza…”
Arthur non
gli diede corda. Abbandonò la sua posizione, senza curarsi
delle schifezze che
grondavano un po’ ovunque e corse verso Merlin, accasciato ai
piedi
dell’albero.
Era
sveglio, per fortuna, intontito ma con gli occhi aperti e quando il
sovrano si
inginocchiò preoccupato e gli posò una mano sulla
spalla tossì prendendo il
fiato.
“Come
stai?”
Subito
Merlin scostò quella mano con un colpo secco della sua e
cercò di rialzarsi a
fatica. “Sto bene.” Tagliò corto,
bruscamente, aiutandosi con il tronco per
potersi rialzare. Arthur voleva aiutarlo ma lui si scostò
ancora.
“Non
toccarmi.” Gli intimò severo, dandogli persino del
tu. Quell’ordine così
perentorio, lasciò interdetto il re, che lo fissò
sbigottito, senza riuscire
per un attimo a pensare a nulla.
Merlin
tossì ancora e si tastò il busto, massaggiandosi
poi in un punto in cui parve
sentire un forte dolore. La faccia sofferente che gli
deformò la faccia fece
stringere lo stomaco di Arthur, che improvvisamente sentì il
bisogno di farsi
vicino a lui e di sostenerlo. Ma il mago glielo impedì,
quasi intuendo cosa
volesse fargli, sollevò un braccio e gli piantò
il palmo davanti agli occhi.
“Non mi
toccate, ho detto.”
Pareva
arrabbiato e il sovrano non capiva perché. Nel frattempo
Mattew e Claude si
accostarono ai due e Mattew arrivò là dove ad
Arthur gli era stato impedito.
Senza trovare alcuna resistenza, acchiappò il braccio di
Merlin e se lo portò
dietro le spalle.
Merlin si
mantenne in piedi e batté leggermente il petto
dell’amico per rassicurarlo.
“Non preoccuparti, non ho niente di rotto.”
Biascicò.
“Sicuro?
Posso guarirti con la magia se serve.” Provò
Claude ma Merlin scosse il capo
scostandosi anche dal professore e si sforzò di mettersi
ritto sulla schiena.
“Ho detto
che sto bene.” Replicò con un asprezza nella voce
che lasciò tutti gli altri
per un attimo in silenzio. Arthur si accorse che il mago evitava di
guardarlo e
dalle rughe sulla sua fronte, pareva parecchio arrabbiato.
“Non vi
preoccupate. Sul serio.” Cercò poi di smorzare la
tensione, forse rendendosi
conto da solo della durezza della sua voce.
Il sovrano
fece un cenno a Claude e decise di allontanarsi, per lasciare al mago
un attimo
di respiro. Pur non riuscendo a comprendere il perché di
quella reazione così
incollerita, evitò di fare ulteriori questioni, tanto
più che dovevano ancora
riprendersi dallo shock del combattimento con il vermone.
Mentre
controllava il territorio circostante, facendosi ripulire dalla magia
di
Claude, si chiese perché mai Merlin lo aveva allontanato in
quel modo. Quante
volte nella vecchia Camelot, lo aveva sbeffeggiato dandogli
dell’inetto e lui
non se l’era mai presa? Perché invece adesso, che
si era persino preoccupato
per lui, Merlin aveva avuto quella brutta reazione?
Arthur un
timore lo aveva e sospettava che c’entrasse la magia. Merlin
era stato un mago
molto potente, ricordava ancora bene le parole di Gaius, quando aveva
difeso lo
stregone il giorno in cui aveva scoperto il suo vero essere. Adesso
però, non
lo era più, come se non esistesse più tutto
ciò che faceva di Merlin… Merlin
stesso.
Il sovrano
non era uno stupido. Per quanto a volte fosse ottuso e insensibile
– e
ammetterlo gli costava una gran fatica – ogni tanto arrivava
a comprendere le
cose. E che quelle cose riguardassero Merlin, un poco lo soddisfaceva:
forse
non era vero che per lui era un completo estraneo, forse in passato pur
non sapendo
i veri motivi, in qualche modo era sempre riuscito a leggerlo dentro e
a capire
quando qualcosa non andava in lui.
Ma per
quanto fosse contento di quella scoperta, qualcosa dentro di lui
improvvisamente
lo agitò. Perché sapeva quanto importante per
Merlin fosse la magia. E sapeva
cosa fanno le persone quando tengono così tanto ad una cosa.
E Arthur
temeva cosa Merlin prima o poi avrebbe fatto per riprendersela.
Continua…
Buon
lunedì!! Bene, lo avevo detto nell’altro capitolo
e lo ridico… questa storia
tira fuori l’angst che è in me u_u un momento sono
riuscita a farli chiarire e
un momento dopo sono di nuovo in crisi!! Ahhhhh se la smettessero di
far da
soli!
Certo è che
come vi accennavo i punti da risolvere sono tanti e non sarà
certo facile. La posizione
di Merlin è precaria e questo lo fa soffrire tantissimo,
perché lui non è un
debole per natura. E’ buono oltre il verosimile certo, ma non
un vigliacco o
uno che accetta passivamente ogni cosa. Da qui nasce il suo travaglio
interiore, perché ora come ora si sente a metà,
gli manca ciò che lo ha reso se
stesso per tutta la sua lunghissima vita! E cosa fara? Ehhhhhhh :P
Intanto ci
tengo a ringraziare di cuore tutti coloro che leggono questa storia,
chi la
inserisce tra le seguite, le ricordate e addirittura nelle preferite.
Grazie,
grazie!! E un abbraccio speciale anche a chi si prende un attimo del
suo tempo
per commentarla: Lunaris, Catnip95, One
Day_Painless, Pandina99, chibisaru81, brin leah e Pandora86.
Per
chiunque altro volesse lasciarmi un commento o un giudizio o che
so… anche un’ipotesi,
è sempre ben accetto! =)
Vi lascio con
il titolo del prossimo capitolo “Resta
con me”.
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Capitolo 12 *** Resta con me ***
Desclaimer: come sempre
scrivo senza scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL
MOMENTO GIUSTO
Capitolo
12
Resta con me
Luce. Scintille di luce
a ferirgli gli occhi.
Merlin cercò di schiuderli e si accorse di non potere. Come
appesantite da una
strana forza, le palpebre erano chiuse, immobili e incuranti del suo
bisogno.
Perché
d’improvviso Merlin fu convinto che fosse
di vitale importanza aprire gli occhi e vedere… solo che
nonostante gli sforzi,
tutto sembrava inutile.
“Merlin…”
un voce. Sottile, languida, lontana come
il soffio di vento. Una voce che lo circondava, giungeva alle sue
orecchie
senza partire da un punto preciso.
“Merlin…”
chi lo chiamava? E perché non poteva
vedere? Lui doveva farlo! Quella voce voleva lui ed era così
importante… vero
che era importante?
Aprì la
bocca per parlare e sentì la sua voce
arrochita. “Chi sei? Cosa vuoi?”
“Ti
aspetto… Merlin…”
Si agitò,
sollevando le braccia per cercare la
fonte di quella voce ma si accorse che la stessa forza misteriosa che
non gli
permetta di aprire gli occhi, gli impediva anche di muoversi dalla sua
posizione. Era bloccato. Cercò di scuotersi e intanto
gridava. “Chi sei?
Dimmelo!”
E la voce imperterrita
seguitava a chiamarlo.
“Merlin… Sono qui! Io ti aspetto!”
L’ultimo
gemito di Merlin gli risuonò nelle orecchie in maniera
più distinta. Il mago
aprì gli occhi di scatto, piantandoli sul cielo stellato
sopra di lui.
Si accorse
di avere il fiatone, perciò si mise a sedere di botto, con
l’intenzione di
riprendere fiato. Quando si azzardò furono due le reazioni
diverse che lo
colpirono: la prima fu di dolore. Merlin aveva mentito, lo scontro con
l’albero, durante il combattimento col verme di quel giorno
gli aveva
sicuramente incrinato un paio di costole, perché faceva
fatica a respirare e
ogni movimento gli costava dolore.
La seconda
reazione fu di sorpresa. Perché nel mettersi seduto, si era
accorto che accanto
c’era qualcuno, con i palmi delle mani rivolti a lui. Era
Claude.
“Ehi! Tutto
bene?” domandò l’uomo, sorpreso quanto
lui di quella reazione. Probabilmente
non si aspettava di svegliarlo.
“Che… che
stai facendo?” gli chiese il mago contrariato, una mano sul
petto per regolare
il respiro che così agitato non faceva altro che provocargli
ancora più male, e
l’altra sulla fronte per asciugare la pellicola fredda di
sudore che lo
ricopriva.
“Scusami.
Volevo guarirti mentre dormivi, non era mia intenzione
spaventarti.” Claude era
sempre gioviale quando parlava, aveva un modo di fare sereno e allegro,
cosa
che però a Merlin infastidiva. Sapeva benissimo che ce
l’aveva con lui, perché
dimostrarsi allora così gentile?
“Non ce
n’era bisogno, sto bene.”
“Non
sembra.” Aveva replicato Claude, asciutto, il sorriso sempre
su quella faccia
che Merlin avrebbe volentieri preso a pugni. Ma poi avrebbe dovuto
giustificare
il suo gesto e lui non poteva dire di essere geloso marcio.
Perché era quello
il problema no? Invidiava Claude ed era geloso di lui.
Merlin
aveva dovuto ammetterlo a se stesso, nel momento in cui aveva rifiutato
l’aiuto
del re, dopo l’attacco del verme. Perché
altrimenti, come altro giustificare
tutta quella rabbia per quanto era accaduto?
Non era
riuscito a salvare Arthur, anzi si era quasi fatto ammazzare e alla
fine era
stato Claude a disintegrare il verme, con un semplice incantesimo che
lui aveva
utilizzato tante volte in passato e che conosceva benissimo al punto
che se ci
fosse stato lui al suo posto, avrebbe potuto calibrare la potenza per
evitare
di far finire tutti inzuppati dai resti della creatura.
Lui avrebbe
potuto. Certo, avrebbe. Perché ormai la magia non
c’era più e Claude era il
mago che difendeva Arthur. La situazione mandava in bestia Merlin tanto
che
avrebbe voluto realmente picchiare quello stramaledetto consigliere e
prendere
a pugni anche il sovrano, che era certo non lo capisse.
Ora Claude
continua a guardarlo con quell’odiosa aria sorridente e visto
che lui non aveva
detto niente, aveva ripreso con il suo incantesimo di guarigione.
Odiava
doversi sottomettere così, ma le costole dolevano oltre
l’immaginabile e se non
guariva avrebbe rallentato il passo a tutti l’indomani.
Arthur aveva fretta e
sapeva che nonostante tutto non lo avrebbe lasciato indietro,
perciò era
importante che fosse in grado di camminare.
Lo faceva
per Arthur. Perché se fosse stato per lui, avrebbe atteso la
morte – se mai
fosse potuto morire ma visti gli ultimi avvenimenti, ormai era propenso
per il
sì – e non avrebbe accettato mai il suo aiuto.
Quando
Claude lo guarì, Merlin sentì un fitta al cuore.
La magia dentro di lui, fluì
calda e rassicurante e per un attimo si sentì se stesso. Ma
quando la magia
scomparve, un vuoto immenso fu l’unica cosa che gli rimase
dentro e il
rendersene conto lo agghiacciò.
Trattenne
il fiato, avvertendo quasi il bisogno di piangere ma ignorò
il pizzicore agli
occhi e si concentrò sulle fiamme del fuoco che lambiva a
pochi metri da lui.
Evitò anche di guardare Claude, perché non
potesse rendersi conto del suo
turbamento.
“Perché non
vai a cercarla?”
La domanda
lo spiazzò. SI voltò a guardare Claude che gli
rimandava lo sguardo da quegli
occhi neri e lucenti. Non ci fu bisogno di chiedergli il soggetto.
Merlin
chinò allora il capo, scuotendolo. Sulle labbra sempre la
solita aria
contrariata. “Non è il momento.”
Eppure era
lei che lo chiamava, nel sogno, Merlin lo sapeva. Era la magia che lo
stava reclamando,
lo aveva capito quando Claude lo aveva guarito e l’aveva
sentita guizzante
dentro di lui. Nel sogno quel riverbero e quella voce avevano la stessa
frizzante consistenza e la stessa potenza attrattiva.
E lui che
era un essere magico, non poteva non esserne soggiogato. In questo
probabilmente Claude poteva capirlo, ecco il perché di
quella domanda.
“Senti, io
non voglio farmi gli affari tuoi, oltretutto devo ancora capire bene
tutta
questa faccenda che lega te e Arthur ma davvero posso capire come ti
senti. Io
ci sono nato con la magia e non credo di poter vivere senza.”
Merlin non
sapeva cosa dire. Odiava quell’uomo eppure Claude al
contrario cercava di
capirlo e forse giustificava anche quelle sue reazioni così
intransigenti.
“Non credo
che la magia se ne sia andata così, probabilmente devi solo
andare a
riprendertela o cercare di risvegliarla in qualche
modo…”
“E’ così.”
Merlin interruppe quel fiume di parole, il tono di voce tuttavia ancora
imbronciato. “Ma non è il momento
adesso.” Ripeté convinto.
“Arthur non
può costringerti.”
Quella
conversazione lo stava mettendo seriamente a disagio, soprattutto ora
che aveva
nominato il motivo per cui lui lo odiasse tanto. In fondo al cuore,
sapeva
benissimo che Claude aveva ragione ma al momento non era pronto ad
accettarlo.
“Sono io
che non voglio andarmene, Arthur non c’entra niente. E poi
non saprei nemmeno
dove andare a cercarla la magia!”
“A
giudicare da quello che dicevi nel sonno, credo che tu sia sul punto di
scoprirlo.”
Bene, probabilmente
quel consigliere da strapazzo aveva voglia di farsi picchiare quella
sera. Non
c’era altra spiegazione. Perché altrimenti,
cercare di convincerlo a fare
qualcosa che avrebbe certamente fatto soffrire il re?
Sì, certo,
aveva ragione. La magia era importante. Ma la situazione aveva troppe
variabili
e troppi punti di cui tener conto per poter prendere liberamente
decisioni così
rilevanti. E poi Merlin aveva fatto una promessa, non se ne sarebbe
andato più.
Avrebbe mai potuto deludere per una terza volta il suo re? Infrangere
ancora
una promessa così importante?
No. Non
questa volta. Anche se quello avrebbe comportato sentirsi a
metà ancora e
ancora a tempo indeterminato, no.
Sarebbe
rimasto con Arthur, costi quel che costi.
“Quando
arriverà il momento…” Merlin si
alzò in piedi e guardò Claude intensamente
negli occhi, mostrandogli l’espressione più
risoluta che conoscesse. “… allora,
deciderò il da farsi. Grazie per avermi guarito.”
Gli voltò
le spalle, allontanandosi dall’accampamento. Aveva bisogno di
ossigeno… e di
solitudine.
*
Qualcosa
non andava. Arthur lo capì subito aprendo gli occhi e
ridestandosi all’istante,
come se in realtà non dormisse affatto. Era insolito
rendersi conto di quanto
percepisse sulla pelle e dentro di sé, che qualcosa
riguardante Merlin, non
andasse per il verso giusto.
Un po’ come
se da quando si erano ritrovati, tutto l’universo del mago,
tutta la sua
essenza, gli si fosse d’improvviso aperta davanti ai suoi
occhi.
E non gli
sembrò quindi un caso che, schiudendo le palpebre e
lanciando un’occhiata al
giaciglio di Merlin, lo trovasse vuoto. Subito si mise a sedere,
voltando il
capo a destra e a
sinistra in cerca
dello stregone. Il fuoco al centro dell’accampamento era
ancora forte e
illuminava tutta la zona circostante perciò fu facile
rendersi conto che Merlin
lì vicino non c’era.
Arthur ebbe
paura. Claude e Mattew dormivano – il primo si era forse
assopito mentre faceva
il suo turno di guardia – e tutto intorno regnava una calma
assoluta, cosa che
spaventò il sovrano ancora di più.
Si alzò in
piedi, dimenticando qualsiasi accortezza e con una smania ansiogena
andò in
cerca di Merlin.
Che fosse
andato via? Che avesse deciso di andare in cerca della sua magia? E
dove poi?
Arthur
controllò la zona circostante ancora e ancora, sperando che
si fosse spostato
solo un attimo ma non lo scorse tra le prime file di alberi e
l’inquietudine
non fece che aumentare.
“Dove
sei…?” mormorò preoccupato, andando a
smuovere alcuni cespugli, il fiato che
inspiegabilmente gli si era fatto agitato.
Quando
scorse un passaggio tra le piante, lo seguì facendosi presto
inghiottire dalla
boscaglia ma non si curò del buio, continuò
quella marcia veloce nella foresta,
cercando con lo sguardo qualcosa che potesse assomigliare allo
stregone.
E quando
all’improvviso sbucò sul deserto e riconobbe la
figura sottile del mago, fu
come se di colpo l’aria gli entrasse nei polmoni, dopo un
lunghissimo momento
di apnea e ogni cosa nel mondo tornasse a vivere e a muoversi nel verso
giusto.
“Merlin!
Che diavolo ci fai qui?” esclamò subito inveendo
contro di lui. La paura che
quell’incosciente se ne fosse andato, lo aveva mandato in
bestia. Eppure
nonostante mentre parlasse si rendesse conto che lo stregone doveva
essersi
spostato semplicemente per stare un po’ da solo in quel punto
in cui la foresta
lasciava il posto al deserto, visto che se ne stava seduto sulla linea
di
confine a meditare, altri sentimenti gli agitavano l’animo.
Sentimenti
che lui non comprendeva fino in fondo, perché non sapeva
dare un motivo a
quella paura così folle, all’idea di averlo perso
un’altra volta. Perché quella
che aveva vissuto era davvero una paura folle.
Il mago era
sobbalzato quando aveva sentito la sua voce e poi gli aveva rivolto uno
sguardo
stralunato. Doveva essere immerso in profondi pensieri, se aveva quella
faccia
così provata. Non rispose subito e Arthur aveva ancora
bisogno di sfogare tutta
quella tensione, per cui si inginocchiò accanto a lui e lo
acchiappò forte per
una spalla, guardandolo male.
“Ti sembra
il modo di allontanarti così? Non sai che è
pericoloso?”
“Ma siamo a
due passi dal campo e sono pure armato!” replicò
lo stregone appena dopo
essersi ripreso dal momento di sorpresa.
“Sei
comunque in pericolo, hai dimenticato che non hai più i
poteri? Poteva
succederti qualsiasi cosa!”
“Non sono
un imbranato, per quanto lo pensiate, so difendermi da solo!”
Merlin adesso gli
rimandava uno sguardo contrariato esattamente come il suo. Ma Arthur
non aveva
intenzione di cedere, quell’istinto di protezione che aveva
nei confronti del
mago, continuava a pulsare dentro di lui e a fomentare la sua visione
della
situazione.
“Sapevi
farlo, ora non più! E se ti avesse attaccato qualche
creatura mentre eri qui da
solo?”
“Smettetela,
vi prego…”
“No che non
la smetto!” Arthur aveva alzato il tono di voce, al contrario
di Merlin che
invece aveva assunto un tono abbattuto. “E avanti, dimmi!
Cosa avresti fatto se
fosse tornato uno di quei vermi schifosi?”
“Per
favore… smettetela…”
“Dimmi! Gli
avresti sparato di nuovo? E fatto colpire ancora una volta? La
verità è che
senza magia, non puoi-“
“Basta!
Smettila!!”
Il grido di
Merlin, servì a fargli inghiottire le parole una volta per
tutte. Stranamente
riusciva sempre a zittirlo, quando annullava tutte le barriere che da
sempre
avevano schierato l’uno e l’altro in due status
diversi e abbandonava ogni
forma di riguardo.
Non che
Merlin si fosse mai preso la briga di limitare la sua insolenza,
però in
qualche modo aveva sempre mantenuto le distanze con quel plurale
maiestatis.
Per cui
sentirlo parlare in quel modo diretto, lo spiazzava, come se Merlin in
quel
modo distruggesse tutti le sue difese e lo facesse sentire nudo e
fragile.
Ora il mago
lo fissava con astio, arrabbiato e infastidito e gli si era voltato
completamente, per poterlo attaccare meglio. Di fatti lo
colpì con una manata
sul petto, che per poco non gli fece perdere l’equilibrio
all’indietro.
“Io non
sono debole! Non sono una donnetta indifesa da proteggere! Smettetela
di
trattarmi come tale o non risponderò di me!”
“Ma tu…”
“Ma io
niente!!” Merlin ormai sembrava una furia e ad Arthur quasi
spaventava quella
versione di lui, che non aveva mai visto.
“Avrò anche
perso la mia magia, non la mia dignità! Perciò
smettetela di umiliarmi in
questo modo! Nessuno lo fa a parte voi! Nessuno!”
C’era
qualcosa che ad Arthur non piaceva di quel discorso. Ed era che
quell’idiota
non aveva capito niente. Fu per questo che a quel punto, anche lui
tornò ad
arrabbiarsi e gli ricambiò lo sguardo con uno altrettanto
incollerito.
“Io non ho
fatto nulla! Sei tu che pensi questo! E guarda un po’? Come
al solito pensi
male!”
Merlin a
quel punto fece una cosa che non si aspettava. Sollevò le
braccia e piegò le
dita quasi come se volesse strozzarlo ma non lo sfiorò, si
limitò a mugugnare
qualche imprecazione, gemendo per il nervoso.
“Non vi
rendete neanche conto, di come vi comportate, maledizione! Siete sempre
il
solito imbecille!”
“Chi ti
autorizza a parlare in questo modo? Non dimenticare che sono il tuo
re!”
“Beh mi
dispiace deludervi ma non lo siete più, ormai!!”
Quelle
parole ebbero l’effetto di zittire nuovamente Arthur. Non
sapeva neanche il
perché, ma gli fece male, come se un punteruolo gli fosse
entrato nel petto, arrivando
fino al cuore.
Merlin
aveva ragione, lui non era più il suo re, come il mago non
era più il suo servo
personale. Merlin non era un cittadino del regno della nuova Albion e
lui non
era più il re della vecchia. Ma faceva male…
perché?
Il mago
parve notare quel momento di smarrimento, perché dismesse
l’aria corrucciata e
per un lungo istante fissò il sovrano senza dire una parola.
“Forse
dovrei andarmene.”
Arthur
sollevò il capo.
“Forse
dovrei… andare a cercare la mia magia.”
“No!”
Arthur
sapeva perfettamente che Merlin gli aveva letto negli occhi tutta la
sua paura.
Solo all’idea che il mago se ne andasse nuovamente da lui, il
terrore gli era
tornato forte e pulsante nel petto e lo aveva agghiacciato.
“Perché
no?” chiese Merlin, stringendosi nelle spalle. “Vi
sarei più di aiuto con la
mia magia, che senza.”
“No. Ho
detto di no!”
E quella
paura era irrazionale e senza senso, perché gli ottenebrava
la mente
cancellandogli di colpo tutte le facoltà intellettive. Non
c’era altra spiegazione
altrimenti, ai gesti che seguirono quell’ordine.
Si rese
conto che le braccia si muovevano sole, mentre ripeteva con convinzione
quel
“No” che gli sembrava tanto una supplica. Senza che
neanche se fosse reso
conto, lo aveva stretto per le spalle, in un abbraccio stretto e
possessivo,
che Merlin aveva ricambiato dapprima irrigidendosi.
“Resta con
me…”
Un
mormorio, sfuggito alle labbra. Era impazzito, non c’era
altra spiegazione. La
paura lo aveva reso completamente stupido. Eppure Merlin a quelle
parole, si
rilassò lentamente e poco dopo sentì le sue mani
sulla schiena che rispondevano
a quel gesto.
“Va bene.
Non me ne andrò.”
“Smetterò
di trattarti come una donnetta.”
Sentì
Merlin sbuffare contro il suo orecchio e inspiegabilmente la cosa lo
rilassò.
“Già che ci
siete potete anche smetterla di darmi dell’idiota.”
“Non si può
avere tutto, Merlin.”
*
“Aspetta
aspetta fammi capire…”
“Hai capito
benissimo, Claude…”
“Sì ma ho
bisogno di ripeterlo a voce alta, altrimenti potrebbe sembrare frutto
della mia
testa. Potrei aver sentito male?”
“No, hai
sentito benissimo.”
“Quindi voi
due avete all’incirca… duemila anni?!”
“Decennio
più, decennio meno.”
“Non ci
credo.”
Merlin
gemette. Da quanto tempo esattamente ne stavano parlando? Il sole era
ormai
alto nel cielo e loro erano in viaggio da poco dopo l’alba.
Claude
aveva iniziato il discorso quando erano partiti, con una domanda
diretta e
indiscreta. “Bene, ora non sarebbe il caso di spiegare anche
a me che è questa
faccenda del re di Camelot e di mago Merlin?”
Dopo un
primo momento di smarrimento, era stato Arthur a prendere la parola e a
spiegare con molta calma e con dovizia di particolari, tutta la storia.
Persino
Mattew, che camminava dietro di loro assieme a Merlin, aveva ascoltato
interessato, perché molti dei dettagli che Arthur aveva
chiarito, lo stregone
li aveva omessi nel suo primo racconto, un po’
perché troppo dolorosi e un po’
perché trovava irrilevanti in quel momento.
Il sovrano
aveva perciò raccontato del suo regno nel Medioevo, di come
avesse conosciuto
Merlin quando era solo un ragazzo – il mago notò
che aveva evitato di
raccontare di quanto fosse spocchioso quando era giovane – e
di come assieme
fossero cresciuti e avessero vissuto decine di avventure durante gli
anni della
giovinezza.
Arthur
aveva chiarito che lui non sapeva della natura magica di Merlin e di
come non
si fosse accorto di tutte le volte che lui gli aveva salvato la vita
– cosa che
al mago fece piacere sentire e riempire di orgoglio
–soprattutto a causa della
malvagità di una strega, Morgana, che era stata anche la sua
sorellastra.
Alla morte
di suo padre, aveva sposato una donna di nome Guinevere e preso in mano
le
redini del regno e lì con lui c’era stato anche
Merlin. Sempre Merlin.
Lo stregone
ascoltava, non riuscendo a nascondere un sorriso mentre Arthur spiegava
a
Claude – in una maniera del tutto implicita e inconsapevole,
visto che evitava
di dirlo apertamente – che
quella alle
sue spalle era stata la persona che più di tutte era stata
presente nella sua
vita.
Quando
giunse al racconto della battaglia di Camlann, il tono di voce si fece
grave
eppure Arthur raccontò di come fosse stato tradito e colpito
a morte da uno dei
suoi cavalieri e di come Merlin avesse poi intrapreso un viaggio senza
speranza
per tentare di salvargli la vita.
Non parlò
di quegli ultimi momenti e Merlin gliene fu grato. Erano troppo intimi
e troppo
speciali per renderli così pubblici agli occhi degli altri e
soprattutto ad una
persona che Merlin voleva chiaramente tenere a distanza. Il mago non si
era mai
nemmeno confidato con Mattew che al momento rappresentava la figura
più vicina
ad un amico e consigliere, come lo era stato un tempo il suo vecchio
amato Gaius.
Arthur si
limitò a spiegare che era morto, nonostante tutto e che era
stato sistemato su
una chiatta sul lago di Avalon e là era rimasto a riposare
per duemila anni.
Quando si era risvegliato, aveva trovato una strana Dama luminescente
ad
accoglierlo che gli aveva spiegato di avere una missione da compiere:
lui era
il Re del passato e del futuro ed era stato risvegliato
perché in quel futuro
il mondo aveva bisogno di lui.
Ecco perché
Claude e Pierre lo avevano trovato vivo che vagava nel deserto ed ecco
perché
era riuscito a dare vita al regno di Albion in così poco
tempo: il destino era
dalla sua parte, era quello il compito per cui era nato e poi rinato
ancora.
Qui il
racconto si interruppe. Arthur avrebbe potuto dire che al suo risveglio
Merlin non
c’era e che invece si aspettava ci fosse, ma restò
in silenzio. Neanche Merlin
continuò a spiegare: c’era la faccenda del sonno
di mille anni chiesto alla
Dama ma al mago pensò fosse inutile aggiungere particolari
in un discorso che
già non desiderava fare e in più vi si era
già accennato nei giorni scorsi.
Claude dopo
aver ascoltato tutto in silenzio, cacciò un lungo fischio
simulando sorpresa.
“I miei complimenti. A conti fatti sembra la storia
più inverosimile che abbia
mai sentito… se non tornassero alcuni elementi che
finalmente troverebbero una
spiegazione.”
“E’ quello
che ho detto anch’io.” Convenne Mattew annuendo
convinto. “Sono sicuramente due
personalità parecchio insolite di questi tempi.”
Claude era
scoppiato a ridere senza ritegno, quell’aria gioviale sempre
sulla faccia, che
nonostante Merlin si fosse un poco rassicurato, voleva ancora prendere
selvaggiamente a pugni.
Ma perché
diamine era ancora così geloso di lui? Perché non
accettava con razionalità che
per Arthur era lui quello più importante?
“Personalità
insolite è un eufemismo! Questi due sono strambi
proprio!”
“Ti ricordo
Claude, che è col tuo re che stai parlando.”
L’altro
imitò un inchino con fare ironico e sbuffò.
“Scusatemi, vostra altezza.”
No.
Decisamente la razionalità non sarebbe servita a niente.
Merlin continuava a
detestare che quell’uomo si comportasse esattamente come per
anni aveva sempre
fatto lui con il sovrano. Non avrebbe mai accettato questa
verità. Mai.
Non disse
nulla, si limitò a sollevare gli occhi al cielo ingoiando
improperi. Notò però
che Arthur gli aveva lanciato una rapida occhiata, uno sguardo
fuggevole che
ancor prima potesse essere incrociato, già era volato via
altrove.
Dopo quella
notte non avevano più parlato, Merlin avvertiva un certo
imbarazzo, perché il
ricordo di quell’abbraccio maldestro e anche inaspettato,
restava sospeso tra
di loro. Non si erano mai lasciati andare a gesti di affetto
così impliciti o
quanto meno così intensi. Soltanto quando Arthur ormai alla
fine della sua vita
era spirato tra le sue braccia, lui distrutto dal dolore lo aveva
stretto forte
quasi sperando che con quel gesto potesse tenerlo con sé.
Quello era
stato un abbraccio dettato dalla sua disperazione, mentre quello
dell’altra
notte che significato aveva? Che avesse provato Arthur a fare
altrettanto,
tenerlo stretto a sé, come aveva fatto lui?
Gli aveva
detto le stesse identiche parole di quel giorno maledetto.
Resta con
me.
E lui non
aveva potuto non rispondere a quel richiamo, perché aveva
potuto scegliere, era
rimasto. Sarebbe rimasto.
“Merlin….”
Sobbalzò
quando sentì quel richiamo.
“Merlin…”
“Cos’è?”
“Vieni da
me… Merlin…”
Mattew gli
rivolse uno sguardo confuso, mentre il suo si era rivolto di colpo
verso il
punto in cui credeva provenisse la voce. Il deserto, arido e sconfinato
si
apriva davanti a lui, mentre quella voce tornava a richiamarlo.
“Di cosa
parli?” domandò l’amico. Più
avanti Arthur e Claude non si erano accorti di
nulla.
“Dove
siamo? Tu hai idea di qual è la nostra
posizione?”
Il
professore annuì. “Siamo ad un giorno di cammino
dalla base ormai.”
“Questo…
questo vuol dire che lì c’è
l’Inghilterra?”
“Quello che
ne resta, sì.”
Le labbra
di Merlin si strinsero, pensierose. Non disse più nulla
né fornì a Mattew
alcuna spiegazione; l’amico dal canto suo, non chiese nulla e
rispettò il
silenzio turbato del mago, senza sapere cosa aveva appena scatenato nel
suo
animo.
Perché
Merlin aveva capito. Era la magia a chiamarlo. Là nel
deserto era nascosta da
qualche parte la metà della sua anima… e aveva
una mezza intenzione di dove
potesse essere.
Avrebbe
potuto andare a cercarla ma d’un tratto scosse il capo e con
una forza di volontà
sovraumana, scostò gli occhi dalla linea del deserto e li
piantò sulla schiena
di Arthur.
Non se ne
sarebbe andato, non ora. Ignorò i richiami della magia e
continuò il suo
cammino.
Un giorno,
forse, sarebbe andato a cercare lei.
Continua…
Buon lunedì
a tutti! =) come sempre iniziamo la settimana con un nuovo
aggiornamento che…
beh, spero vi piaccia u_u ho stemperato un poco la tensione che
c’era con
qualche momentino un po’ fluff ma è inutile,
l’angst in questa storia rimane XD
Merlin ha
preso la sua decisione ma sarà quella giusta per lui?
Oltretutto non sappiamo
ancora cosa li attenderà a Camelot, perché quando
rientreranno che accoglienza
troveranno?
Le domande
invece di diminuire aumentano, ovviamente u_u lo so, sono sadica. Ma vi
assicuro che prima o poi tutti i nodi arriveranno al pettine!
Per il
momento ringrazio con il cuore tutti coloro che seguono questa storia e
anche i
lettori silenziosi. Un abbraccio speciale però, lo mando a
chi non manca mai di
lasciarmi un proprio commento: chibisaru81,
Lunaris, Pandina99, One Day_Painless, Catnip95, Pandora86 e brin leah.
A tutti gli
altri, come sempre, esorto per un COMMENTO! Chiunque voglia lasciarmi
la
propria opinione è ben accetto =)
A lunedì
prossimo miei cari!
|
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Capitolo 13 *** Solo per te ***
Desclaimer: come sempre
scrivo senza scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL
MOMENTO GIUSTO
Capitolo
13
Solo
per te
La base
pullulava come sempre di soldati. Come un formicaio gigante in cui ogni
creatura sapeva perfettamente quale fosse il suo ruolo e come
districarsi in
mezzo al brulicare di gente.
Ognuno eseguiva
il suo compito, incrociando più e più volte
compagni e superiori e continuando
per la propria strada.
Arthur
aveva sempre trovato molto suggestiva l’aria della base. Era
stato lui quattro
anni prima a fondare l’arma che proteggeva le popolazioni dal
deserto e da
tutte le bestie che lo vivevano ed era sempre stato fiero di quella
scelta che
aveva garantito al suo nuovo popolo una vita più serena e
duratura.
Negli anni
aveva più volte visitato la base, conoscendo i superiori che
lui stesso aveva
scelto per il comando e constatando il buon funzionamento
dell’arma di difesa.
Ora era lì,
a pochi passi dall’entrata e di colpo gli sembrò
di rimettere piede nel suo
regno, come se nei giorni scorsi avesse viaggiato in un limbo che lui
non era
riuscito a riconoscere. Si sentì di nuovo a casa e
l’orgoglio dell’essere
sovrano di un regno, si riaccese nell’animo tormentato degli
ultimi mesi.
“Mi era
mancata…” mormorò Claude, dando voce ai
suoi stessi pensieri. Arthur gli
rispose con un sorriso e poi riprese il suo cammino, non prima
però, di aver
lanciato un’occhiata anche a Merlin.
La prospettiva
del suo ritorno nel regno, con il mago nonché compagno di
una vita accanto, lo
entusiasmava ancora di più, accendendo di gioia il suo
animo. Il problema di
Pierre che sedeva sul trono al posto suo, quasi gli sembrava
irrilevante
adesso, perché sapeva che sarebbe tornato da vincitore.
Non appena
infatti, varcò la soglia della base e le sentinelle si
fermarono per il “chi va
là”, Arthur si impettì, chiedendo di
poter parlare immediatamente con il
Generale Dumas. Le guardie però, non lo riconobbero subito,
osservarono prima
lui e poi gli altri che lo accompagnavano e parvero titubare.
“Chi
siete?”
“Martin, ti
sei già dimenticato del tuo capitano?” fu a quel
punto che Mattew si fece
avanti con aria autoritaria, prima che Arthur potesse parlare. In un
primo
momento la cosa lo infastidì ma poi le sue meningi si
mossero un po’ di più ed
effettivamente pensò che se si fosse presentato come il
sovrano dato per morto
a due guardie che non lo conoscevano, avrebbe potuto scatenare un
putiferio.
La guardia
chiamata Martin infatti, non appena riconobbe Mattew, scattò
sull’attenti e
sollevò il fucile in segno di saluto. “Capitano!
Mi scusi, non l’avevo
riconosciuta!”
Mattew fece
un cenno perché il giovane Martin tornasse a riposo, poi
posò una mano sulla
spalla di Arthur in un gesto rassicurante.
“Dobbiamo
parlare immediatamente con il Generale Dumas, abbiamo notizie
importanti. Lui
conosce tutti molto bene.” Spiegò, mentre la
sentinella si prodigava per farli
entrare di colpo tutta un salamelecchi.
Arthur si trattenne
dal ridere, immaginando che Mattew tra i soldati della base fosse una
figura
rispettabile e si chiese come mai non lo avesse mai visto durante le
sue
visite.
Mentre
percorrevano la strada che li avrebbe condotti al corpo principale, gli
si
accostò incuriosito.
“Sono una
persona schiva, sire. Durante le sue visite ho sempre evitato
l’adunata.”
“E non ti
hanno mai punito per questo?”
Mattew si
fece serio, molto serio. “Qui nessuno mi punisce.”
Arthur
preferì tacere. Si era scambiato per un momento uno sguardo
con Merlin che con
gli occhi gli aveva fatto capire di non continuare oltre quella
conversazione.
Nonostante il lungo tempo passato insieme negli ultimi giorni, si rese
conto di
non aver mai saputo nulla sul passato di quell’uomo che
appariva così serio e
integerrimo. Stranamente si vergognò della cosa: era stato
così impegnato a
pensare a se stesso e a Merlin che non si era nemmeno preso la briga di
chiedergli se fosse contento di averlo come re. Che idiota.
“Si può
sapere che fine avete fatto?!” il grido, più alto
del normale, si propagò nelle
sue orecchie facendolo sobbalzare. Proveniva da un omaccione grande
quanto un
armadio e terribilmente brutto. Madre natura non era stata molto
clemente con
quel tipo che adesso stritolava in un abbraccio Mattew e poi accoglieva
tra le
braccia nerborute anche Merlin.
Strinse
tanto forte che Arthur credette di sentire qualche costola del mago
incrinarsi.
“Meno male
che noi non lo conosciamo…” fece notare Claude,
preoccupato da quel saluto così
affettuoso. Di fatti sia Mattew che Merlin, si massaggiarono le
braccia, quando
furono finalmente liberi dalla morsa erculea ma nessuno di loro parve
scontento
di quel gesto.
“Arthur,
questo è Joan. Fa parte della squadra di controllo di cui
Mattew è capitano.”
Merlin si affrettò a spiegare, poi come ricordandosi di
qualcosa, continuò:
“Ah, lui invece è Claude.”
L’uomo
brutto strinse con forza la mano dei due e Arthur capì che
dolore avevano fatto
le costole di Merlin nell’esatto momento in cui si
accartocciarono le sue ossa.
Sentì Claude accanto a lui gemere e fu difficile non fare
altrettanto.
“Joan, lui
è il re. Finalmente puoi conoscerlo.”
Le parole
di Merlin ebbero un effetto strano su quell’uomo, che prima
guardò sorpreso il
mago e poi Mattew e al loro assenso, si concentrò su di lui.
“Ma non era
morto?”
“Macchè
morto. E’ lui, vivo e vegeto.”
A quella
spiegazione, Joan spalancò un sorriso che se avesse avuto
tutti i denti,
sarebbe stato perfetto. Purtroppo gliene mancavano parecchi ma Arthur
poté
leggere ugualmente la gioia di quell’uomo nel conoscere il
sovrano che aveva
salvato quel mondo martoriato.
“Lo sapevo
che non poteva essere morto!! Ma cosa ci fa qui? Che è
successo?” chiese ancora
ai suoi amici, come se Arthur non fosse lì presente
– eppure continuava a
sbatacchiare la sua mano, ora contentissimo di averla tra le sue.
“Ti
spieghiamo dopo, Joan.” Propose paziente Mattew, prendendo le
loro dita
affinché il gigante mollasse la presa con gentilezza.
“Adesso dobbiamo parlare
con il Generale Dumas, è urgente.”
“Oh sì sì!
Va bene, vi accompagno allora. Vengo proprio da lì, gli
chiedevo al comandante
se potevo andare in missione visto che tu non tornavi, mi annoiavo qui
alla
base.”
Mentre Joan
spiegava, ripresero il cammino e si inoltrarono nel corpo centrale,
sede del
comando. Salirono un piano di scale e finalmente furono davanti la
porta del
Generale.
Arthur
prese un grosso respiro. Stava per tornare ufficialmente ad essere il
sovrano
di Albion.
*
La gip
aveva aumentato la velocità in quelle ultime ore che
precedevano l’alba. Dopo
aver parlato con il Generale della base che aveva immediatamente
riconosciuto
Arthur come il sovrano, avevano subito organizzato la spedizione per
tornare a
Camelot.
Il Generale
aveva messo a disposizione un’intera squadra armata fino ai
denti e due fuoristrada,
anche se Arthur aveva specificato di voler tornare nella capitale senza
troppo
chiasso. Era convinto che non corressero grandi pericoli,
perché il traditore
era solo uno. Inoltre la cittadinanza lo amava e lo onorava al punto
che nel
vederlo non avrebbero opposto alcuna resistenza al suo ritorno.
Di fatto
erano i suoi stessi sudditi ad aver scelto lui come Re, quindi
avrebbero anche
deciso di ignorare qualsiasi ordine di Pierre, l’usurpatore,
nel momento in cui
avrebbero rivisto Arthur.
Il sovrano era
convinto di questo. O almeno secondo quanto Merlin aveva intuito.
Arthur non
vedeva alcun pericolo in quella missione di recupero, né
sembrava preoccupato
da alcunché. Sperava soltanto di arrivare presto,
così da potersi risedere
tranquillamente sul suo regale trono e cacciare via il traditore
spedendolo
magari a finire i suoi giorni a fare il soldato nel deserto.
Merlin,
ovviamente, non era dello stesso avviso.
La verità
era che la scelta di ignorare la magia che lo richiamava si era col
passare dei
giorni rivelata forse, lo sbaglio più grosso.
C’era qualcosa che preoccupava il
mago, una strana sensazione di inquietudine che non lo lasciava dormire
durante
quelle ultime notti all’addiaccio e che gli aveva oscurato
l’umore per tutto il
viaggio dalla base alla città di Camelot.
Ora che
mancavano poche ore all’arrivo, quella preoccupazione
sembrò quasi aumentare e
una strana ansia alla bocca dello stomaco gli strozzava il respiro
rendendolo
più scontroso del solito.
“Merlin…?”
Mattew come
al solito era quello che si accorgeva per primo quando qualcosa non
andava. Forse
anche Arthur lo aveva fatto solo che quest’ultimo aveva fatto
finta di niente
per tutto il tempo, ignorando i suoi borbottii scontrosi ed evitando di
parlargli più del necessario.
Mattew
invece era l’amico che gli era sempre mancato, il punto di
riferimento a cui
chiedere aiuto e consiglio e come sempre, in quegli ultimi mesi, gli fu
semplice confidarsi con lui.
“Sto bene.”
Rispose prontamente. Lanciò un veloce sguardo ad Arthur e
Claude che
sonnecchiavano di fronte a loro sull’altro lato del
fuoristrada in movimento.
“Non me la
dai a bere.”
Merlin
sollevò gli occhi al cielo e gli venne spontaneo sorridere.
“Non ti si può
nascondere niente, eh?”
“Hai la
faccia come uno dei miei libri, Merlin. E’ facile
leggerti.”
“Notavo…”
il mago soppesò le parole e rifletté se era il
caso di coinvolgerlo o meno nelle
sue apprensioni.
“Non sei
convinto di questa storia.” L’affermazione del
professore non lasciava dubbi.
Mattew era troppo intelligente per non capire cosa preoccupasse tanto
Merlin.
“Mi chiedo
se non ci stia sfuggendo qualcosa. Arthur è troppo sicuro,
persino Claude non
dice nulla. Loro dicono che è colpa di Pierre, che
è lui il traditore e che ora
che arriveranno a Camelot basterà farsi vedere e tutto
tornerà come prima.”
“Ma…
secondo te non sarà così.”
“Sì… no…
cioè, non lo so. E’ solo che mi sento inquieto. Ho
paura che ci sia qualcosa
sotto.”
Merlin vide
Mattew chinare il capo e cacciare un lungo sospiro. “Non lo
so… potresti aver
ragione come potresti avere torto. In fondo non ci sono elementi che
lascino
pensare il contrario di quello che dice Arthur.”
“Sì ma…”
“Avanti,
cerchiamo di essere positivi.” Lo interruppe il professore
sorridendogli.
“Siamo troppo abituati a vedere il marcio, magari questa
volta non sarà così.”
Merlin lo
fissò per alcuni istanti, in silenzio. Nella testa aveva la
tempesta e mille
cose da dire, tante ipotesi da fare. Non credeva alle parole di Mattew,
non
riusciva a tranquillizzarsi e ad essere positivo, come diceva lui.
Mattew non
comprendeva i suoi dubbi, era chiaro.
Perciò alla
fine decise di lasciar perdere. Sospirò e così
rilassò anche le spalle in
tensione.
“D’accordo.
Vedremo cosa succederà.”
Poco dopo
anche Mattew scivolò nel sonno e Merlin restò da
solo con i suoi pensieri.
Nelle orecchie solo il rumore delle ruote sul terreno e del vento che
sferzava
il fuoristrada.
Trascorsero
alcune altre ore di viaggio e poco prima dell’alba, quando
ormai il cielo aveva
iniziato a schiarirsi, le due gip si fermarono ad una manciata di
chilometri da
Camelot. La riserva di energia raccolta dal sole e utilizzata durante
la notte
per continuare il cammino era ormai agli sgoccioli, inoltre i soldati
che
avevano guidato avevano bisogno di risposare un poco.
Si
fermarono perciò in una radura, chi per sgranchirsi le gambe
e chi per
sonnecchiare sul tappeto erboso per recuperare le forze.
Arthur,
Claude e Mattew vennero svegliati dai soldati e si stiracchiarono dopo
la lunga
dormita. Merlin invece, non aveva chiuso occhio ma non lo diede a
vedere e fece
finta di destarsi anche lui come gli altri.
Solo quando
scesero dal fuoristrada, Arthur fece andare avanti Mattew e Claude e
trattenne
Merlin per un braccio.
Il mago lo
guardò con aria interrogativa e restò sorpreso
nel notare l’aria sera che gli
dipingeva il volto. “Arthur, cosa è
successo?”
“Tu non
vieni a Camelot.”
L’ordine
perentorio – perché il tono fu proprio quello da
sovrano – provocò perplessità
e stupore nell’animo del mago, che per un attimo
cercò di capire cosa gli fosse
preso. Poi il pensiero che riguardasse quella stupida paura che
così fosse in
pericolo, tramutò lo smarrimento in rabbia.
“Vi ho già
detto che so difendermi.”
“Non è per
quello. Ma tu non hai fiducia in me né in quello che
rappresento. E non voglio
che gli altri pensino che stiamo andando a fare una
stupidaggine.”
“Io non
penso questo.”
“Sì,
invece. Ti ho sentito prima, con Mattew.”
“Ma io-“
“Non voglio
sentire ragioni, Merlin, ormai ho deciso. Tu resti qui. Una volta
risolta la
questione ti farò venire a prendere.”
Lo stregone
sentì la rabbia montargli e quella sensazione di ansia si
acuì maggiormente,
assieme alla paura. “Sono solo dei dubbi i miei,
avrò il diritto di nutrire
delle preoccupazioni, no?!” riuscì finalmente a
dire. La presa del sovrano ancora
sul suo braccio bruciava e si fece anche più stretta dopo
quelle parole.
Arthur gli
si accostò parlando con un tono risentito che gli
ricordò tanto quello stesso che
tanti secoli prima gli rivolse quando scoprì dei suoi
poteri.
“Potevi
rivolgerli a me, i tuoi dubbi. Ma tu non ti fidi mai di me.”
Le parole
del re, ebbero l’effetto di zittirlo. Che avesse ragione?
No… no! Lui si fidava
ciecamente di Arthur! Però…
“Questo non
è vero…” tentennò sulla
difensiva. Sentiva il fiato di Arthur sulla faccia e la
cosa lo innervosiva ancora di più, perché quel
respiro era veloce, segno di una
rabbia e un risentimento che lo infiammavano.
“Tu non ti
fidi di me.” Ripeté il sovrano convinto.
“Non è
vero!” esclamò allora Merlin, cercando di
divincolarsi da quella presa ferrea.
Inutile tentativo, perché Arthur strinse ancora di
più e adesso gli stava
davvero facendo male.
“Non
mentirmi!” gridò e Merlin seppe per certo che
tutti là fuori li ascoltavano. “Ogni
volta, hai sempre fatto tutto da solo, vero? Quando dovevi salvarmi la
vita,
facevi l’eroe. Non hai mai condiviso le tue preoccupazioni
con me, decidevi
sempre per fatti tuoi.”
“Questo non
è vero!” cercò di difendersi ancora il
mago. In parte Arthur aveva ragione ma non
per tutto. “Io vi ho sempre esposto i miei dubbi e lo sapete
benissimo! Solo
quelli che riguardavano la magia, li tenevo per me, per ragioni che mi
sembra avessimo
già chiarito!”
Invece no.
Non avevano ancora chiarito nulla, forse non ci sarebbero mai riusciti.
Perché in
un modo o nell’altro, si tornava sempre a quel maledetto
punto. Arthur avrebbe
continuato a sentirsi tradito per altri secoli ancora e avrebbero
potuto discuterne
all’infinito senza mai venirne a capo.
Testone
come un mulo, ovvio.
“E allora perché
continui a farlo ancora?” la domanda era provocatoria e in
Merlin ebbe l’effetto
sperato, perché il mago strinse le labbra senza sapere cosa
rispondere.
Già, perché?
Perché invece di parlare con Mattew non aveva espresso
direttamente a lui cosa
lo preoccupava?
“Siete voi
che mi avete ignorato in questi giorni. Non volevate sentire
ragioni.” Replicò aspro
Merlin e Arthur si incupì maggiormente, segno che stavolta
era stato il mago ad
aver colpito nel segno. Dopotutto era vero, il sovrano si era accorto
del suo
cambiamento di umore, poteva anche chiedergli il motivo.
Perché a
momenti era così difficile comprendersi?
“O forse
non mi ritenete più idoneo come consigliere? Sono giorni che
mi vedete turbato,
potevate chiedermi il perché ma voi siete troppo testardo
per accettare
qualcosa di diverso dal vostro pensiero!”
“Non mi
offendere Merlin, non ne hai il diritto.”
“Sì che ce
l’ho invece! Sono l’unico qui in mezzo che
può dirvi le cose come stanno!”
“Ma non lo
hai fatto!”
“Lo sto
facendo adesso. Vi sto dicendo che non mi fido del vostro
piano.”
“E io non
mi fido di te! Sei senza magia e non credi nelle mie azioni,
è inutile che
vieni con noi-“
“Io non
sono inutile!”
“E invece
sì!”
Silenzio.
Le parole più brutte che Arthur avrebbe mai potuto
pronunciare nei suoi
confronti, seguirono un lungo e tesissimo silenzio. Merlin davvero non
poteva
credere di aver appena assistito all’aver dato voce alla sua
paura più grande.
“No…
Merlin, ascolta-“ il sovrano che aveva mollato la presa sul
suo braccio durante
quello scambio agitato, aveva subito cercato di riacchiapparlo ma il
mago si
ritrasse e con un gesto secco del gomito, lo scacciò.
“Non voglio
ascoltare. Siete stato abbastanza chiaro.”
Ignorò ogni
altro tentativo dell’altro e con scatti veloci, fu fuori dai
teloni del
fuoristrada. Nella radura trovò tutti a guardarlo, immobili
nelle loro
posizioni. Merlin li ignorò, puntando insistentemente lo
sguardo per terra e filò
dritto verso gli alberi della foresta.
Voleva
andarsene. Forse avrebbe fatto meglio ad andare a cercare la sua magia.
*
Non lo
aveva visto più. Erano rimasti per altre due ore nella
radura ma Merlin non si
era fatto vedere. Mattew e Claude, spinti dalla preoccupazione erano
andati a
cercarlo nelle vicinanze ma poi erano tornati da soli e con
l’aria abbattuta.
Arthur
aveva fatto finta di niente. Dentro fremeva di rabbia certo, e un poco
– ma giusto
un poco… no ok, forse era anche un po’ di
più – era dispiaciuto per quelle
parole terribili che si erano detti. Soprattutto per quelle che lui,
aveva
detto. Solo pochi giorni prima, lo aveva rassicurato di essere
indispensabile e
ora gli diceva che era inutile?
Che idiota.
Che grandissimo, stupidissimo idiota.
La verità era
che nel sentire il discorso di Merlin e Mattew, mentre tutti credevano
che
dormisse, si era sentito ancora una volta preso in giro dalla persona
che
credeva la più importante sulla faccia di quella Terra
martoriata.
Merlin era
dubbioso su di lui e sui suoi piani ma invece di darne voce e di
chiarire le
preoccupazioni, aveva preferito tacere e anzi, persino confidarsi con
estranei.
Perché era innegabile, ma anche Mattew pur essendo diventato
un buon amico del
mago, non aveva la stessa importanza di lui.
Certo,
questo era quello che credeva. Forse il mago – e un
po’ troppo spesso ormai lo
aveva pensato – non lo riteneva poi così
importante e indispensabile come lo
era Merlin per lui. Forse aveva sbagliato tutto.
La rabbia
poi aveva fatto il resto e alla fine aveva dato aria alla bocca
sparando le
prime stupidaggini che non avevano fatto in tempo a passare dal filtro
del cervello.
Al momento
tuttavia, non avrebbe potuto fare altro. La spedizione doveva arrivare
a
Camelot e Merlin se n’era andato chissà dove. Lo
avrebbe fatto cercare, una
volta risolta la faccenda Pierre e poi avrebbero chiarito.
Sì, non c’era altra
soluzione.
Mentre
Claude e Mattew ancora si voltavano indietro per controllare di non
essersi
sbagliati, la spedizione ripartì e poco più
tardi, le due gip vennero inghiottite
dagli alberi della foresta, tagliando qualsiasi possibilità
di vedere ancora il
mago.
Arthur si
sentiva inquieto e con rabbia si rese conto che quelle preoccupazioni
gliele
aveva trasmesse Merlin, circa l’impresa che stavano per
compiere. Sbuffò
sonoramente e cercò di non pensare né a lui
né a quello che si erano detti.
Doveva rimanere concentrato sulla meta, quello era un momento
importante,
dannazione!
Trascorse neanche
mezzora infatti, quando Camelot comparve sulla loro visuale in tutto il
suo
splendore. Arthur per un momento restò incantato a
guardarla, dimentico di
tutto, dei problemi e delle responsabilità.
Era così
bella nella sua appariscente particolarità che ne era sempre
andato fiero. In
fondo non era stato grazie a lui che si erano potute costruire tutte
quelle
abitazioni? E che si erano recuperate le tecniche di irrigazione e di
artigianato?
Arthur era
diventato il Re perché aveva messo la sua stessa anima in
quella città e in
tutto il Regno e grazie a quell’impegno era stato ripagato.
Per questo motivo
non temeva nulla circa ciò che stava per fare.
Alla sua
vista anche i soldati della Torre, la sua abitazione, avrebbero smesso
di colpo
di dare retta a Pierre e si sarebbero alleati con lui.
Quando
giunsero all’entrata della città, le gip della
base sfrecciarono senza
problemi. Arthur non si mostrò subito in pubblico: il piano
era quello di
entrare nella Torre presentandosi come una comune squadra della base e
poi una
volta dentro, scoprire la sua vera identità.
Un piano
semplice, efficace e sicuramente di effetto. Se solo quella
preoccupazione all’altezza
dello stomaco lo avesse lasciato andare… accidenti a Merlin!
I
fuoristrada posteggiarono davanti l’entrata della Torre e
lentamente scesero
tutti, senza far notare il loro vero intento. Mattew quindi, che
vestiva la
tenuta della base, si presentò alle guardie poste
all’entrata e con gentilezza
indicò il gruppetto che lo seguiva.
“Proveniamo
dalla Base, ci manda il Generale Dumas. Abbiamo importanti informazioni
da dare
al Re.” Spiegò. Arthur dietro di lui e con il capo
coperto, fremette al
pensiero che qualcun altro che non fosse lui potesse essere definito
Re. Se in
più si aggiungeva il fatto che si trattava di un vero
traditore, la cosa lo infastidiva
ancora di più.
“Avanti,
sta per finire tutto.” Lo redarguì Claude
sottovoce da sotto il cappuccio,
intercettando i suoi pensieri. Arthur si chiese perché
quell’uomo e tutti gli
altri riuscivano a capirlo e invece Merlin era capace con la stessa
facilità di
fraintenderlo ogni volta.
Scosse il
capo per non pensare per l’ennesima volta al mago e
seguì il gruppetto che
aveva avuto il benestare delle guardie e aveva fatto spazio
affinché entrassero
tutti nella Torre.
Arthur si
guardò intorno, sentendosi finalmente a casa. Quella dimora
era stata costruita
interamente da lui e con l’aiuto dei suoi cittadini, aveva
davvero lavorato sui
mattoni e sulla calce, per poterla erigere. Un lavoro di cui era sempre
stato
pienamente soddisfatto, assieme a tutto il resto.
Senza
neanche rendersene conto si ritrovò nella sala delle udienze
e là, ad
attenderli ecco il traditore: Pierre, colui che si faceva chiamare il
nuovo Re.
Claude accanto a lui trattenne il respiro e Arthur poté solo
immaginare quali sentimenti
agitassero l’animo dell’amico.
Prima che
Pierre potesse dire nulla, si fece avanti e scoprì il capo.
Subito anche Claude
fece altrettanto e le guardie imbracciarono i fucili a fotoni.
Negli
attimi che seguirono nessuno disse nulla. Arthur fissò con
forza gli occhi
stupefatti di Pierre e solo dopo diverso tempo, fu Claude a rompere il
silenzio.
“Non sei
stato molto bravo, Pierre.”
Il sovrano
si fece più vicino al traditore, l’espressione del
viso sempre più severa man
mano che gli si accostava e poi si fermò, a pochi centimetri
da lui, furioso e
imponente, pronto a riprendersi ciò che gli spettava di
diritto.
Quello
però, che nessuno si attendeva, fu che Pierre di colpo
mostrò un sorriso e gli
occhi gli si fecero lucidi.
“Siete vivi…”
mormorò con un tono che ad Arthur parve
così… sollevato?
“Siete vivi…”
ripeté e prima che qualcuno se ne rendesse conto, aveva
abbracciato Arthur con
foga e lo aveva stretto a sé.
Le guardie
si erano mosse incerte e così Claude. Nessuno si aspettava
quella reazione, perché
tutti erano convinti di trovarsi davanti un traditore scontento del
loro
arrivo, certo non uno felice al punto da commuoversi.
Claude
raggiunse i due e Pierre, notandolo, abbracciò anche lui,
mentre Arthur lo
fissava interdetto, non sapendo più cosa dire.
“Pierre, tu…”
ma non poté aggiungere altro. Vide l’altro
spalancare gli occhi scostandosi di
colpo da Claude e dare una spinta a lui.
“Attento!”
gridò e un attimo dopo era stato colpito da una delle
guardie. Claude lo
afferrò per le spalle, quando si accasciò gemendo
e intanto anche Arthur urlava
e guardava i soldati della base che gli puntavano le armi contro. Anche
Mattew
gridava e quando cercò di togliere il fucile ad una delle
guardie, venne
duramente colpito alla spalla.
“Ma che
diav-“
“Scappa!!”
Claude gli urlò contro, mentre si trascinava un Pierre
ferito e sanguinante
verso un lato della sala. “E’ a te che mirano,
Arthur! Scappa via!!”
Non se lo
fece ripetere un’altra volta, scartò di lato,
evitando una scarica di colpi di
luce che lo avrebbero sicuramente ucciso e mentre Claude lanciava
alcuni
incantesimi per disarmarli, il sovrano poté sgusciare via
dalla porta d’ingresso.
Successe
tutto in maniera così concitata che Arthur non si rese conto
di cosa stesse
accadendo, fino a che non si ritrovò a correre le scale
della Torre a ritroso.
Alle spalle si era lasciato i suoi compagni e metà di questi
che avevano
improvvisamente cercato di ucciderlo. Si sentì un verme a
fuggire così ma al
momento gli sembrò la scelta più giusta, inoltre
non voleva sprecare nel modo
più stupido il sacrificio dei suoi amici.
Era ancora
immerso in quei pensieri, quando incrociò altre due guardie
che senza neanche
guardarlo in faccia, gli puntarono addosso due fucili a fotoni. Da
quando nella
Torre si trovavano tutte quelle armi? E la politica della non violenza
dove era
finita?!
Cercò di
muoversi prima da un lato, poi dall’altro ma si rese conto
con sgomento di non
riuscire a fuggire. L’unica alternativa era tornare indietro
ma in quel caso
avrebbe trovato sicuramente ad attenderlo il plotone di prima.
Gemette di
disperazione, pronto già ad essere impietosamente colpito,
quando la situazione
di nuovo cambiò. Un oggetto piuttosto familiare comparve
sulle teste dei due
soldati e l’attimo dopo le colpì con forza. I due
si accasciarono al suolo e
sulla sua visuale si ritrovò Merlin.
Merlin con
la sua Excalibur in mano.
“Come…”
“Muoviamoci!”
lo incitò il mago, che aveva il fiatone ma ancora abbastanza
forza per
arpionarlo e trascinarselo appresso. Arthur era ancora un poco
scioccato ma si
riebbe presto, ritrovando il suo proverbiale autocontrollo mentre
percorrevano
altre due rampe di scale.
Quando
infatti, si orientò sulla loro posizione, trattenne la mano
di Merlin che lo
tirava e lo costrinse a fermarsi.
“Per di
qua!” spiegò alla faccia interrogativa
dell’altro, che poi lo seguì senza
opporsi. “Ho fatto costruire delle vie di fuga dalla
Torre.” Continuò Arthur e
intanto correvano adesso per un corridoio
pieno di porte chiuse.
“Come
diavolo hai fatto ad entrare?”
Merlin fece
schioccare la lingua. “Ho usato quello che manca
voi… il cervello!” sentenziò brusco,
precedendolo nel passo e continuando ad impugnare la spada, che
d’un tratto gli
sembrò un peso complicato da portarsi appresso. Dopo averle
lanciato uno
sguardo infatti, la passò con un gesto secco al sovrano.
“Dimenticavo, questa è
vostra.”
Arthur la
prese al volo e la impugnò sentendo l’antica forza
invadergli la pelle della
mano e risalire fino al braccio. Quando aveva con sé quella
spada si era sempre
sentito invincibile e nel tempo aveva anche accettato che fosse stata
forgiata
dalla magia e proprio grazie a Merlin.
Si tenne il
commento maligno senza obiettare, conscio di essere stato molto
più cattivo
lui, poche ore prima e che non si meritava l’aiuto che lo
stregone gli stava
offrendo per salvargli la vita.
“Di qua!”
indicò poi, seguito a ruota dal mago. Mancavano solo pochi
metri, poi avrebbero
imboccato un corridoio che apparentemente sembrava un vicolo cieco ma
che
invece nascondeva un passaggio sotto al tappeto.
“Eccoli!”
il richiamo proveniva dall’inizio del corridoio in cui
camminavano. Si
voltarono di scatto e fecero appena in tempo ad evitare una scarica di
fotoni,
continuarono a correre per qualche altro metro e di nuovo vennero
caricati di
colpi. L’ultimo non riuscì a vederlo.
Sentì solo Merlin che lo prendeva per le
spalle e gli si piazzava davanti. Poi i suoi gemiti e gli occhi azzurri
sofferenti fu tutto ciò che riempì il suo
cervello.
Forse
gridò, o forse l’urlo risuonò nella sua
testa, non seppe dirlo. Tutto ciò che
gli riuscì di fare, fu di trascinare il corpo di Merlin
verso quell’unica
disperata via di fuga, prima che i soldati potessero raggiungerli.
Approfittò
del polverone che i colpi mancati avevano creato, per girare
l’angolo e
imboccare il vicolo cieco.
Merlin
gemeva sommessamente, mentre lui si sentiva morire dentro, come se uno
dei
colpi gli fosse penetrato nel profondo per bruciarlo e consumarlo.
“Perché l’hai
fatto…? Perché…?”
ripeté scioccato, mentre con fatica si liberava un braccio e
apriva
la botola. Si sistemò con un ultimo scatto il corpo di
Merlin su una spalla e
poi iniziò la discesa.
“Perché…
maledizione… perché?” continuava,
preoccupato dalle condizioni dell’amico che
sapeva ferito gravemente. Sapeva solo che i suoi gemiti significavano
soltanto
che era ancora in vita e questo gli dava la forza di respirare e di
continuare
quella fuga disperata.
Quando si
chiuse la botola dietro, seppe con certezza che dall’altra
parte non avrebbero
potuto accorgersi di nulla.
“Perché lo
hai fatto?”
“Solo… per
te.”
Continua…
Buonasera a
tutti!! E’ ancora lunedì vero? Hahaha Scusate il
ritardo con cui aggiorno ma
davvero ho avuto un sacco di impegni nelle ultime settimane…
però come promesso
ecco il nuovo capitolo! ;) per chi non se ne fosse accorto ho anche
aggiornato
l’altra storia Two
Weeks Notice,
andate a farci un salto! :P
Tornando a
noi. A chi vuole sapere che fine farà Merlo, non
dirò nulla u_u
Spero
piuttosto che continui ad appassionarvi ancora e ancora!
Vorrei
chiarirvi giusto un punto, che ho notato avete chiesto in molte nelle
recensioni (e mi scuso se non sono riuscita a rispondervi ma mi
rifarò con le
prossime! ;D). Molte mi hanno chiesto: ma non era meglio andare a
recuperare la
magia di Merlin e poi tornare a palazzo?
Bene,
secondo Arthur no. Come per l’appunto si evince da questo
capitolo, lui era
convinto di trovare Pierre il traditore e di cacciarlo via, stop. Non
c’era
bisogno della potente magia di Merlin, perché quella avrebbe
comportato un
viaggio chissà dove senza mezzi né provviste e
che al momento sarebbe stato
inutile.
L’idea di
Arthur era quella di recuperare il regno e poi di aiutare Merlin a fare
altrettanto con la magia.
Ovviamente
non hanno tenuto conto della mente diabolica dell’autrice che
come al solito ha
incasinato tutto,
Quindi che
è successo?
A voi le
ipotesi! :P
Intanto
ringrazio tutti i lettori di questa storia e soprattutto chi prende un
po’ del
proprio tempo per lasciarmi un commento! Grazie quindi a Pandora86, brin leah, Catnip95,
One Day_Painless, Lunaris e chibisaru81!
A voi dedico il capitolo ;)
Un bacione
a tutte e a prestissimooooo
|
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Capitolo 14 *** Come un tempo ***
Desclaimer: come sempre
scrivo senza scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo
14
Come un tempo
Il
crepitare del fuoco. Fu questo il rumore che Merlin avvertì
quando la coscienza
turbinò uscendo dall’oblio. Un rumore tranquillo,
piacevole, che in qualche
modo rasserenava il suo animo e gli consentì un risveglio
senza traumi.
Sulle prime
non ricordò dove si trovasse né cosa fosse
accaduto, come se si fosse soltanto
svegliato da un sonno notturno, uno dei tanti. Poi però,
aprì gli occhi, perché
i pensieri tornarono tutti assieme e con violenza. Nel mettere a fuoco
le
immagini, si accorse di trovarsi davanti un volto.
Il volto di
Arthur per la precisione. Sollevato e… possibile che fosse
commosso?
Sbatté le
palpebre un paio di volte e quando fu finalmente in grado di vedere
bene, il
sovrano si era già scostato e no… probabilmente
si era sbagliato: i suoi occhi
erano asciutti e del solito colore celeste chiaro.
“Era ora
che ti svegliassi.” Constatò burbero. Eppure il
tono di voce per un attimo
aveva vibrato di qualcosa che a Merlin parve… emozione.
Il mago
cercò di mettersi seduto, una mano a reggersi la testa e
l’altra che sosteneva
il suo stesso peso. Cercò di guardarsi intorno e di fare
mente locale su dove
fossero ma non ne aveva idea. L’ultima cosa che ricordava
prima di perdere i
sensi era la schiena di Arthur che lo sorreggeva mentre portava via
entrambi
dall’attacco alla Torre.
“Dove…siamo?”
chiese allora, notando solo in quel momento i muri fatti di pietra e la
penombra.
“In un’area
sotterranea della Torre. L’avevo fatta costruire per le
emergenze ma non
immaginavo mi sarebbe mai potuta servire.”
Merlin
cercò di non dare peso a quel commento amaro.
Spostò i piedi dalla brandina su
cui era coricato, poggiandoli a terra e lanciò
un’occhiata al sovrano che a
braccia conserte, sedeva su una sedia di legno e lo fissava con aria
contrariata.
“Non
credete che possano trovarci qui?” la
domanda era legittima ma Arthur scosse con vigore il capo.
“Gli unici
a conoscenza di questo posto sono Claude e Pierre… e a
quanto pare nessuno dei
due mi ha tradito… ammesso che siano ancora vivi.”
“Mi
ricordavo male, Pierre era il traditore.”
Arthur
sbuffò, alzandosi in piedi e solo allora Merlin
capì che aveva atteso a lungo
il momento per sfogare tutto il tumulto che aveva dentro e che adesso
sarebbe
esploso senza che lui potesse far nulla. Anzi, una cosa
l’avrebbe fatta:
ascoltarlo, come sempre.
“E’ che…
non lo so!” esclamò infatti.
“Anch’io credevo che fosse il traditore ma
così
non è stato! Mi ha salvato la vita nella sala delle udienze
e quando mi ha
visto… Merlin, quello non mi è sembrata la
reazione di un traditore. E poi le
guardie… hanno viaggiato con noi per tre giorni!
Perché non ci hanno uccisi
prima? Perché adesso?!”
Merlin
restò in silenzio mentre il re continuava a parlare e a
camminare su e giù per
la stanzetta sotterranea. Distolse lo sguardo da lui tuttavia,
spostandolo
sulla mobilia spartana e sui suppellettili di necessità con
cui era arredato il
luogo e inghiottì quel senso di delusione che per un momento
gli aveva chiuso
la gola.
Anche lui
gli aveva salvato la vita, no? Perché non diceva nulla?
Poi, di
colpo si tastò il fianco, dove sapeva di essere stato
colpito, si accorse di
non avere alcuna ferita e spalancò gli occhi con sorpresa.
“Come-come
sono guarito?” domandò di getto, interrompendo lo
sciorinare agitato
dell’altro, che per un momento si fermò a
guardarlo seccato e poi allargò le
braccia in segno di inconsapevolezza.
“Da solo.
Non lo so… hai fatto tutto solo.” Il tono si
calmò e Merlin poté di nuovo
notare nei suoi occhi un lampo di paura, come se Arthur avesse appena
ricordato
un momento terribile.
Ricacciò
qualsiasi ipotesi al riguardo, perché la sua mente adesso
era tutta rivolta a
quel mistero. Se era guarito da solo, allora era stata la sua magia a
farlo… la
stessa magia che credeva non avesse più. Insomma, quando
mesi prima era stato
colpito da quel cane bicoda sul lago di Avalon ci aveva quasi lasciato
le penne
e poi era stato Joan a curarlo.
Perché
stavolta la sua magia aveva funzionato?
Mosso
dall’entusiasmo si concentrò e cercò di
scagliare un incantesimo ma senza
risultato. Provò ancora e ancora ma la magia non fluiva in
lui, esattamente
come da quando si era risvegliato.
Arthur si
era zittito e per tutto il tempo lo aveva guardato come in attesa.
“La tua
magia… è tornata?”
“No.” Il
tono amareggiato fu difficile da nascondere. “Però
è strano che la ferita si
sia curata da sola.”
“Ho visto
un lampo di luce e poi non avevi più niente. Però
non ti sei risvegliato e… sì,
insomma, ho temuto che fosse troppo tardi.”
La voce
vibrò ancora, Merlin stavolta non poteva essersi sbagliato.
Ricambiò lo sguardo
del sovrano per alcuni lunghi istanti e incrociando quel celeste si
rese conto
di tutto ciò che voleva trasmettere.
Non c’era
bisogno delle parole, Arthur a modo suo lo stava già
ringraziando.
“Forse la
tua magia adesso ci farebbe comodo.” Sentenziò
quando i loro occhi tornarono a
volgersi altrove perché uno strano quanto inspiegabile
imbarazzo si era
insinuato con insistenza.
“Penso sia
giunto il momento andare a riprenderla.” Merlin si
alzò in piedi, rendendosi
conto di essere abbastanza saldo sulle gambe. “Ho rimandato
per troppo tempo.”
Arthur per
un momento chiuse gli occhi ma poi non mostrò altre
reazioni, per cui Merlin
continuò. “C’è qualcosa che
ci sfugge di tutta questa storia e penso di sapere
di cosa si tratta.”
Il sovrano
tornò a guardarlo avido di sapere e Merlin quasi
trovò da ridere, perché
cambiava il secolo ma lui restava sempre lo stesso sovrano che dava
fiducia a
chi poi finiva per tradirlo.
“Se c’è di
mezzo la magia, allora c’è solo un’altra
persona che potrebbe essere implicata
nella presa del regno.”
E
finalmente Arthur capì. “Cassandra.”
*
Uscire da
Camelot non fu difficile. Quando Arthur aveva progettato la Torre, non
aveva
tralasciato niente al caso, per cui aveva pensato anche a delle
possibili vie
di fuga per ogni evenienza. Sapeva benissimo quali pericoli potesse
correre un
sovrano: pur essendosi ritrovato in una società che
ripudiava la violenza, dopo
averne subita fin troppa, non si era scordato quanto instabile potesse
essere
l’animo umano.
Per quel
motivo aveva scelto di costruire – d’accordo con i
suoi amici e consiglieri di
cui si fidava ciecamente – alcuni passaggi per proteggersi da
eventuali
attacchi e anche per muoversi attraverso e fuori Camelot senza
difficoltà.
Una volta
tanto, ci aveva visto giusto. Già, una.
Perché
erano tutte le altre, il problema. Era sempre stato così in
fondo, lui che si
fidava delle persone sbagliate, lui che prendeva le decisioni
sbagliate, lui
che faceva le cose sbagliate.
Ogni
dannata volta, da che aveva ricordo. Persino nella sua vita precedente,
quante
volte si era ritrovato nei guai per i suoi errori?
Morgana,
Agravaine, Mordred… e questi erano solo la punta
dell’iceberg. Il suo passato
era costellato di sbagli e di intoppi… l’ultimo
dei quali lo aveva persino
portato alla morte.
E adesso,
nel futuro? Non era cambiato nulla. Prima Pierre, adesso Cassandra. A
quanta
altra gente ancora avrebbe permesso di approfittarsi della sua fiducia?
Erano
questi i pensieri foschi che annebbiavano la mente di Arthur, mentre il
fuoristrada correva tra la boscaglia nella notte. Il mezzo lo avevano
trovato nascosto
appena fuori l’uscita del cunicolo sotterraneo che li aveva
portati fuori da
Camelot. Anche quella era stata una preoccupazione del Re, forse
inconsciamente
aveva imparato a non fidarsi ciecamente degli altri e quelle attenzioni
che
aveva avuto nella costruzione della Torre e che gli avevano permesso la
fuga,
ne erano la prova.
Che avesse
imparato la lezione?
No. Se l’avesse
fatto, sarebbe stato più attento a chi si circondava.
Dannazione,
Cassandra aveva sogni premonitori, quasi sicuramente faceva pratica di
magia, perché
diamine non aveva mai pensato che potesse rappresentare un pericolo?
L’aveva
lasciata da sola alle redini del Regno, accidenti! Come aveva potuto
essere
così stupido?
“Pensare
troppo vi fa male.”
“Non sei il
primo che lo dice.”
“Forse perché
abbiamo ragione.”
Merlin lo
stava guardando insistentemente grazie alla luce di una lampada
elettrica
lasciata accesa sui sedili posteriori. Lui fissava la strada che
sfrecciava
davanti al fuoristrada in corsa tra i boschi, le mani sul volante
strette con
foga tanto che le nocche si erano sbiancate. Arthur fu certo che per un
istante
lo sguardo del mago era caduto su quel particolare e poi era tornato a
guardarlo.
Arthur non
rispose alla provocazione, eppure si sentiva combattuto: da un lato
percepiva
quel bisogno impellente di buttare fuori ogni cosa che lo tormentava
dentro;
non sapeva come, parlando, gridando o anche dando semplicemente colpi
ben assestati
a quel volante.
Dall’altro
l’orgoglio gli impediva di lasciarsi andare,
perché ammettere i suoi sbagli a
se stesso era un conto, ma darne voce e mostrarsi così
debole, era un altro.
“Non è
colpa vostra.”
Arthur si
lasciò sfuggire una risatina amara. Che stupido, aveva
dimenticato di tener
conto del “fattore Merlin”. Eccolo lì,
che come sempre arrivava subito al
punto, travolgendo qualsiasi difesa che Arthur erigeva con il mutismo e
la
rabbia silenziosa e leggendo la sua mente come un libro aperto.
Merlin
sapeva sempre con una precisione svizzera, quando Arthur stava male e
il perché.
Era in momenti come quello che si sentiva meno solo.
“Non
potevate sapere che Cassandra tramava contro di voi, aveva studiato un
ottimo
piano in fondo. Se voi e Claude non foste tornati indietro, il
traditore
sarebbe sempre rimasto Pierre.”
Arthur
ancora non disse nulla. Merlin poteva anche avere ragione ma non
cambiava il
fatto che se lui fosse stato più accorto tutto quello non
sarebbe successo. E
non si riferiva soltanto alla perdita del suo trono, poteva essere in
pericolo
tutto il regno. Tutte quelle armi alla Torre… non gli erano
piaciute.
“Arthur…”
lo richiamò. “Non è colpa
tua.”
Il sovrano
fermò l’auto, inchiodando. Il contraccolpo li fece
sobbalzare un poco in avanti
ma le cinture di sicurezza frenarono i movimenti, tranne per la lampada
dietro
di loro, che rotolò sul fondo della gip, lanciando un
bagliore inquietante nell’abitacolo.
Si voltò a guardarlo, arrabbiato e deluso, le sopracciglia
corrucciate tanto da
sembrare un’unica linea e quel celeste illuminato dalla
collera.
“Non
cercare di addolcirmi la piccola, Merlin.”
Il suo tono vibrò instabile e pronto al collasso, lo sapeva,
tanto che il suono
del suo nome sulla labbra si tinse di un’antica inflessione
minacciosa, che non
usava più da tempo immemore.
Il mago lo
notò, perché sgranò gli occhi e fece
per aprire la bocca pronto a dire qualcosa.
Arthur però, sollevò un dito in segno di
ammonimento così che Merlin fu
costretto a tacere… per circa cinque secondi. Eccolo
lì di nuovo, il “fattore
Merlin”: quando mai quell’idiota aveva accettato di
star zitto?
“Dovreste
darmi ascolto una buona volta, invece di fare la solita testa di
legno!”
“Merlin!”
“No, dico
sul serio!” lo stregone ignorò bellamente il suo
indice minatorio e si slacciò
la cintura di sicurezza per poterlo fronteggiare meglio. Nello sguardo
il
sovrano poté leggere la solita determinazione che lo
infiammava ogni volta che
voleva far valere le sue ragioni. Praticamente sempre.
“Ora non voglio
infierire, né ho intenzione di iniziare l’ennesima
discussione con voi.” Puntualizzò
e la cosa, dovette ammettere Arthur, gli spense un po’ di
quella rabbia.
“Però credo
che dobbiate smetterla di fidarvi di tutti tranne che di me.”
C’era tanta
forza nei suoi occhi blu che Arthur ne rimase incantato. O forse era
rimasto
gelato da quella verità sbattuta in faccia con tanta
veemenza.
Merlin
aveva ragione. Si era fidato tante volte di gentaglia…
quando poi alla fine l’unica
persona che allontanava era lui. Il servo fedele. Colui che lo aveva
atteso per
duemila anni, sfidando le conseguenze, i pericoli e non per ultima la
pazzia.
Qualcun
altro avrebbe mai potuto tanto?
Arthur si
bevve quelle parole abbassando definitivamente lo sguardo e sentendo
sfiorire
tutta la collera, come se la verità di Merlin fosse stato un
secchio di acqua
su un fuoco.
“Perché è
così complicato?” gli sfuggì dalle
labbra, un pensiero che aveva appena
sfiorato la sua coscienza.
Sentì
Merlin sbuffare una risatina ma preferì continuare a
guardare con interesse il
volante del fuoristrada.
“Cosa,
fidarvi di me o non fidarsi degli altri?” c’era una
nota stonata nella domanda
dello stregone, come se fosse risentito e Arthur non poté
biasimarlo. Era
lui quello che sbagliava sempre in fondo, no? Rimase zitto,
perché il senso di
colpa che gli premeva in petto non gli consentiva di aggiungere parole
su
parole che avrebbero soltanto potuto affossarlo maggiormente.
“Arthur,
volete o no fidarvi di me?”
“Merlin sono
parecchie le persone che ho incontrato nella mia vita e che mi hanno
tradito…”
Merlin lo acchiappò d’istinto per una spalla e si
sporse un po’ in avanti,
pronto a far valere il contrario ma Arthur lo prevenne.
“… ma tu non sei tra
queste.”
Vide il
mago richiudere la bocca e addolcire lo sguardo nel giro di un attimo.
Gli
occhi blu brillavano di una luce insolita colpiti dalla luce della
lampada,
sembravano quasi lucidi e il notare questo particolare,
scaldò il cuore del
sovrano alleggerendo un poco il peso che sentiva opprimergli il cuore.
“Non avrei
dovuto farti credere il contrario…”
constatò, reclinando il capo quando quell’incontro
di sguardi divenne difficile da sostenere. La mano di Merlin ancora
sulla
spalla però, era calda e per qualche spiegazione a lui
sconosciuta, lo
rassicurava
“Ve l’ho
detto, siete una testa di legno!” scherzò il mago.
Un altro poco di calore e
quel peso si fece ancora meno intenso. “Ma siete anche il
migliore sovrano che
questo mondo abbia mai avuto.” Ancora e ancora… da
quando la voce del mago era
diventata così rassicurante?
“E’ il
vostro buon cuore che ogni volta vi ha fatto sbagliare ma non pentitevi
di
questo. Se non foste così non sareste il re del passato e
del futuro.”
Ecco lì, il
Merlin che ricordava lui. L’amico sincero e leale, quello a
cui chiedeva
consiglio e di cui si fidava un tempo. Le circostanze gli avevano fatto
credere
che fosse stato tradito anche da lui ma così non era stato.
Ora lo aveva
capito: Merlin non aveva mai pensato nemmeno per un istante di
ingannarlo, ogni
sua azione, ogni sua parola, persino ogni sua omissione nel corso degli
anni,
si era poi rivelata a suo favore.
Merlin non
lo aveva tradito mai, in duemila anni. Chi altri avrebbe mai potuto
fare
altrettanto?
Gli venne
spontaneo sorridere, il peso sul cuore svanito e al suo posto quel
piacevole
calore rasserenante. Sollevò gli occhi su di lui e si
godette l’immagine del
mago che ricambiava il sorriso con uno dei suoi più ampi, di
quelli che
andavano da parte a parte delle sue enormi orecchie.
Aveva
sempre trovato buffi quei sorrisi e anche un po’ idioti ma
mai come in quel
momento si sentì affezionato a quel movimento di labbra
sincero che Merlin
rivolgeva a tanta gente ma solo a pochi illuminati da una luce che il
re
avrebbe detto… magica.
Sì, Merlin
aveva il sorriso magico.
“Muoviamoci…
dobbiamo farti ritornare un mago decente.” Esordì,
riprendendo in mano il
volante con un gesto secco e premendo il pulsante di accensione.
“Correggetevi,
il più grande mago di tutti i tempi.”
Ribadì piccato lo stregone, lasciando
andare la sua spalla. Arthur per un lungo momento sentì
freddo, come quando nelle
mattine d’inverno, esci fuori dalle coperte del letto
perdendo tutto il tepore
della notte.
“Fino ad
ora sei stato il più grande idiota di tutti i tempi, mi
pare. Hai mancato il
mio risveglio e ti sei pure perso per strada i tuoi poteri.”
Lo rimbeccò con un
tono che Arthur non usava da diverso tempo. Era quello che rivolgeva
solo a
lui, quando ancora non sapeva nulla della sua magia e lo considerava
l’unica
persona su cui contare, però non mancava mai di
rimproverarlo, protagonista di
un gioco che lo divertiva e lo rasserenava. Come adesso.
E Merlin lo
capì… o lo ricordò, forse,
perché rise di quella sua risata un po’ ebete e si
rilassò sul sedile, tornando a guardare la strada.
*
“Merlin,
che stai facendo?”
“Raccolgo
margherite.”
“Mi prendi
per stupido?”
“Se fate
queste domande, direi di sì.”
Arthur lo
stava guardando male. Ma non di quel male che ultimamente tanto lo
aveva
tormentato. Era quel male che non era male, quell’occhiata
storta che sapeva di
finto rimprovero e che sotto sotto celava semplicemente un desiderio di
stuzzicarsi a vicenda, giusto così per passare il tempo.
O per
celare in realtà parole più affettuose che
diversamente non avrebbero mai visto
la luce.
Merlin
aveva ritrovato con piacere, quel gioco di risposte che tanto gli era
mancato.
Da quando si erano ritrovati ne erano successe di ogni e il loro
rapporto aveva
avuto degli alti e dei bassi colossali con picchi paragonabili ad una
montagna russa.
Sì, la
metafora calzante era proprio quella. Merlin si era sentito per tutto
quel
tempo come quando secoli prima aveva sperimentato
l’ottovolante per la prima
volta in vita sua. Nemmeno sul dorso di Kilgarrah era stato
così… spiacevole.
Tutto quel su e giù e poi le curve paraboliche e i giri
della morte, quando era
sceso aveva avuto la nausea per un sacco di tempo e poi si era
ripromesso di
non salirci mai più.
Ecco, avere
a che fare con Arthur negli ultimi mesi, era stato un po’
come salire di nuovo
sulle montagne russe. Inutile dire che ne era uscito stravolto.
Eppure come
quella volta si era a poco a poco sentito meglio fino a che non era
passato
tutto, anche con Arthur era successa la stessa cosa.
Certo, c’era
stato bisogno che lui rischiasse la vita un paio di volte e che se ne
dicessero
di tutti i colori. Ma alla fine tutto era tornato a posto.
E quegli
ultimi giorni di viaggio ne erano stati la prova. Merlin si era accorto
fino a
che punto il rapporto con il sovrano si fosse rinsaldato da quel gioco
di botta
e risposta che avevano ricominciato a fare. Una danza senza sosta che
li
divertiva e li rasserenava e celava dietro tante cose.
C’erano
voluti tre giorni di viaggio per tornare alla base, tanti quanti quelli
all’andata.
Non fu facile, alternandosi alla guida – Merlin alla fine
aveva imparato a
maneggiare la gip, dopo essere stato riempito da innumerevoli
frecciatine di
Arthur a riguardo –, riposando poco e fortunatamente senza
rompere il
dispositivo di accumulo di energia solare.
Una volta
raggiunta la meta però, avevano deciso di non allarmare il
generale ma
soprattutto di non avvisare nessuno del rientro del re. Merlin temeva
infatti,
che qualche incantesimo fosse stato lanciato anche lì da
Cassandra e visto che
probabilmente erano ricercati, sarebbe stato meglio evitare di mettere
i
manifesti sul loro ritorno.
Con un po’
di astuzia però, Merlin riuscì a presentarsi alle
guardie poste all’entrata
dicendo di essere un lontano parente di Joan Devereux e di essere stato
mandato
lì per trovarlo.
Le
sentinelle, che non conoscevano Merlin e che non trovarono niente di
pericoloso
nella richiesta, chiamarono Joan e gli consentirono un incontro
privato. Il
vecchio e brutto soldato accolse con sorpresa lo stregone che prima di
rischiare la sua copertura, lo abbracciò e gli
sussurrò in un orecchio di stare
al gioco.
Una volta
soli, Merlin poté spiegargli tutta la storia e chiedergli
aiuto. L’uomo dalla
faccia più brutta che il mago avesse mai visto, si
dimostrò molto disponibile,
soprattutto considerato che anche il suo migliore amico Mattew era in
pericolo
assieme a tutti gli altri.
“Ti fornirò
provviste e armi, non preoccuparti.”
Joan chiese
loro un giorno per poter radunare il necessario senza farsi scoprire e
poi
concordò con Merlin un appuntamento. Di fatto, avrebbero
dovuto rincontrarsi al
di fuori della base, là dove si erano nascosti, alle prime
luci dell’alba.
Erano lì,
in attesa del soldato, mentre Arthur faceva domande stupide,
probabilmente per
celare un certo nervosismo. Joan infatti, era in ritardo.
Merlin per
non pensare, aveva iniziato un gioco con dei sassolini. Ne prendeva in
mano un
paio, li faceva volare in aria e prima che questi gli ricadessero sul
palmo,
doveva raccogliere un altro sassolino. Quando questi diventavano tre,
ripeteva
il gioco, finché i sassi non cadevano a terra.
Era un
gioco di velocità e di riflessi e che in quel momento lo
distraeva dall’attesa.
Peccato per il re… aveva scordato quanto fosse irritante
quando voleva
attenzione.
“Stai
giocando.”
“Grazie,
non me n’ero accorto.”
Arthur si
era seduto accanto a lui su una roccia e lo fissava tutto impettito,
con le
braccia incrociate. Merlin intanto, era riuscito a far volare quattro
sassolini
e a prendere il quinto. Bene! Non era mai arrivato a tanto.
“Il tuo
amico è in ritardo.”
“Lo so.”
Merlin si chiese se rispondere con quel tono apatico avrebbe fatto
desistere il
re dal dargli fastidio. Speranza vana.
“E tu stai
giocando.”
Ora doveva
soltanto fare un lancio deciso, se ce l’avesse fatta, avrebbe
battuto ogni
record. Ignorò il sovrano e caricò il
pugno…
“Merlin!”
I sassolini
volarono da tutte le parti, troncando ogni possibilità
vincente. Merlin si
morse le labbra infastidito e sollevò sbuffando il busto per
andare ad
incrociare lo sguardo del re.
“Sì, sire?”
biascicò a denti stretti. Non lo
chiamava mai Sire, tranne quando doveva usare il suo tono di scherno,
quello
preferito che usciva fuori solo con lui.
“Ho detto
che il tuo amico è in ritardo.”
“E cosa
vuole che faccia, sua regalità?”
Arthur ci
pensò su. “Intanto smetterla di prenderti gioco di
me.” Asserì con una serietà
che per Merlin non era mai stata definibile realmente tale.
“Mhmmm
qualcos’altro?” domandò il mago senza
tralasciare il tono pungente e quindi
ignorando totalmente il comando.
“Dirmi dove
stiamo andando, direi che è un’alternativa
accettabile.”
Merlin
rilassò le spalle e smise di fare l’idiota, come
era solito far notare Arthur. Fu
il suo turno di fare il serio e stavolta per davvero.
“A
riprendermi la magia, ve l’ho già detto.”
“Sì ma non
mi hai detto esattamente dove. Dobbiamo affrontare un viaggio nel
deserto,
Merlin, vorrei soltanto sapere qual è la nostra
meta.”
Il mago
sospirò. D’accordo, glielo doveva
dopotutto… e poi adesso non avevano ripreso a
fidarsi l’uno dell’altro?
“La verità
è che non lo so nemmeno io di preciso.” Arthur
sollevò entrambe le sopracciglia
e Merlin si affrettò a rispondere prima che male
interpretasse. “Nel senso che,
una mezza idea ce l’ho. Quando giorni fa ci siamo avvicinati
alla base, ho
sentito qualcuno che mi chiamava.”
Fece una
pausa. Arthur non mosse un muscolo, né disse niente,
ascoltava attento e il
modo concentrato con cui lo guardava lo fece sorridere
impercettibilmente.
“Sospettavo
fosse la magia ma dopo quello che è successo quando sono
stato ferito… beh,
credo che non sia stata propriamente la mia a chiamarmi. Quella credo
sia
ancora in me dopotutto, forse addormentata… altrimenti non
potrei spiegare perché
sono guarito così di colpo.”
“Va’
avanti…”
lo esortò il sovrano e intanto annuiva.
All’accenno della ferita Merlin aveva
notato che si era un attimo rabbuiato ma poi quell’ombra era
svanita e sulla
faccia era rimasto quel broncio attento che di solito Arthur assumeva
quando
doveva pensare.
“Credo che
chiunque mi stia chiamando, sappia la risposta a tutte queste
domande… e beh, a
questo punto penso anche di sapere di chi si tratta.”
Scoppiò in
una mezza risata, mentre lo sguardo si perdeva tra le pieghe dei
ricordi sopiti
dal tempo. Ricordi di un’altra vita e di un’altra
epoca. Eppure per la prima
volta in due secoli, la memoria non si era tinta di malinconia e Merlin
sapeva
il perché.
“Ho la
sensazione che non ne sarete contento.”
“Per quale
motivo?”
“Perché andiamo
dalle Disir.”
Continua…
Buonasera! ^^
Come sempre buon lunedì! Allora, capitolo di passaggio ma
secondo me anche uno
dei più importanti. Questo capitolo segna definitivamente il
riavvicinamento
tra Arthur e Merlin. Basta litigi, posso affermare che se mai nel
futuro
litigheranno, non sarà mai più per questioni di
fiducia!
Cosa ne
pensate voi?
Sul serio,
sono molto curiosa di conoscere i vostri pareri, riguardo un
po’ tutta la
faccenda e le situazioni in sospeso che ci sono! Perciò vi
rinnovo sempre il
mio invito a COMMENTARE! Sul serio,
ci tengo molto =)
Intanto
ringrazio col cuore tutti i lettori silenziosi, chi ha inserito questa
storia
tra le seguite e le preferite e soprattutto chi la commenta! A voi
grazie
davvero, perché mi spronate tantissimo, soprattutto a
mantenere fisso questo
aggiornamento (salvo qualche strappo alla regola ma concedetemelo ^o^)
Un grazie
quindi a Pandora86, brin leah,
chibisaru81 e One Day_Painless!
Al prossimo
capitolo mie care, che se tutto va bene si intitolerà
“Io vorrei… non vorrei.”
^^
Baciiii
|
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Capitolo 15 *** Niente ***
Desclaimer: come sempre scrivo senza
scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL MOMENTO GIUSTO
Capitolo
15
Niente
Merlin era
esausto. Sul serio, da quanto stavano lottando contro quella creatura?
Aveva
l’aspetto terrificante di una tarantola… il che
già implicava un certo orrore.
Ma se poi si aggiungeva che la bestia superava l’altezza di
quattro metri… beh.
E poi
quando voleva decidersi a morire?
“Merlin,
attento!” il richiamo di Arthur lo scosse dalle sue
lamentele. Pur essendo
stanco, scartò di lato per evitare uno spruzzo di dubbia
origine proveniente
dalla bocca della creatura. Scivolò sulla sabbia del deserto
e premette il
grilletto del fucile a fotoni, mirando ad una delle otto zampe che
ancora
sembrava in buone condizioni. Il colpo andò a segno a la
tarantola cedette su
un fianco, perché tutte le altre tre zampe erano
già abbastanza compromesse.
A quel
punto fu facile per Arthur, puntare la sua arma contro il ventre della
creatura, il suo punto debole.
Un istante
dopo stavano osservando il ragnone contorcersi in maniera inquietante a
pancia
in su tra stridii che a Merlin fecero accapponare la pelle.
Solo quando
smise di muoversi, il mago tornò a respirare. Fino a quel
momento non si era
reso conto di star trattenendo il respiro. La verità
è che quell’assalto lo
aveva spaventato, la bestia era davvero orrida ed era comparsa
all’improvviso
tra le dune di sabbia, quasi rovesciando il loro fuoristrada.
Ora il
mezzo giaceva a qualche metro da loro con una ruota forata e
chissà cosa fuori
posto. Merlin se ne preoccupò subito dopo, quando
abbandonando l’attenzione dalla
creatura, venne catturato dal brillio dello specchietto che rifletteva
il sole.
“Sono
esausto…” mormorò Arthur sbuffando e
avvicinandosi a lui.
Merlin
ricambiò il suo sguardo stanco con un’espressione
altrettanto distrutta e annuì
brevemente. “L’auto… speriamo sia tutto
ok.”
Arthur
serrò la mandibola constatando da lontano lo stato della
gip. “Accidenti!”
probabilmente si era accorto della ruota a terra. Intraprese una corsa
e in un
attimo fu vicino al fuoristrada che almeno non cacciava fumo da nessuna
parte.
Merlin osservò il re girare intorno al mezzo per
controllarlo, poi si sedette
al posto di guida e provò ad accenderlo.
Funzionava.
E Merlin di nuovo si era accorto che tratteneva il respiro.
Aveva
viaggiato a piedi al confine col deserto per giorni e non era stata
un’esperienza piacevole. Di certo rivivere
quell’esperienza nel bel mezzo del
nulla e senza magia, proprio non era tra i suoi desideri.
Quello che
voleva invece era trovare quelle dannate Disir… sempre
ammesso che fossero
state loro a chiamarlo. La verità è che non ne
era più tanto sicuro, nei due
giorni in cui avevano viaggiato nel deserto, aveva sentito pochissime
volte
ancora quel richiamo e in base a quello aveva scelto la sua direzione,
guidato
da un istinto che lui avrebbe definito
“primordiale”.
Ma a
momenti quell’istinto non gli sembrava poi tanto certo, a
volte aveva temuto si
fosse trattato solo di un alito di vento, altre volte della sua
immaginazione.
E se si fosse sbagliato? Se non erano le Disir a chiamarlo? In cosa si
stavano
cacciando?
Arthur lo
aveva seguito senza altre domande. Si era fidato lui, finalmente e
questo aveva
reso molto contento Merlin, perché anche quella era stata
una dimostrazione che
ogni cosa era tornata come era un tempo.
E anche se
in quei due giorni avevano viaggiato quasi alla cieca, guidati da
qualche
vocina che Merlin sentiva nella testa, Arthur non aveva opposto
obiezioni
particolari. Si era limitato a prenderlo un po’ in giro ma
poi lo aveva seguito
e basta e si era prodigato per sopravvivere a quel viaggio.
Erano già
stati attaccati per ben tre volte in soli due giorni e Arthur aveva
sempre
combattuto al suo fianco e con coraggio, senza pentirsi mai della
scelta di
seguirlo. SI era lamentato, certo e anche piuttosto spesso.
Ma
d’altronde Arthur era pur sempre Arthur e Merlin sapeva
benissimo quando il re
si lamentava solo per il gusto di farlo e quando invece era
coscienzioso. In
quei giorni il suo unico scopo era stato quello di punzecchiarlo e
sfotterlo e
nient’altro. Per cui il mago aveva sopportato tutte quelle
lamentele,
rispondendo a tono e senza prenderlo sul serio.
Era
soltanto lui che non si prendeva sul serio.
“Funziona!”
il sovrano aveva un sorriso contento e soddisfatto, nonostante la
fatica fosse
ben visibile sul suo viso imperlato di sudore e sporco di sabbia. Gli
occhi
brillavano sempre, come se in tutto quel caos, lui riuscisse a trovare
l’unico
fattore positivo e ad esserne felice.
Merlin
invidiava quel lato di Arthur, quello che lui diceva fosse dovuto alla
sua
asineria ma che poi in fondo gli dava una gran carica.
“Ora
dobbiamo solo cambiare la ruota. Voi sapete come si fa vero?”
domandò e Arthur per
un attimo perse il sorriso. No, decisamente non lo sapeva.
“L’ho visto
fare a Claude una volta. Non è difficile.”
Sentenziò con forza, incrociando le
braccia come era solito fare quando voleva apparire sicuro di
sé. In realtà
Merlin sapeva perfettamente che quell’idiota di un re non
aveva la minima idea
di dove mettere le mani.
“Figuriamoci,
con la vostra attenzione non vi sarete nemmeno accorto che
avrà usato la magia.
Faremmo prima a cercare un libretto di istruzioni nel
bagagliaio.”
Arthur fece
schioccare la lingua indispettito. “Io so benissimo come si
fa.” Replicò
imperterrito e Merlin sollevò le sopracciglia per
rivolgergli un’occhiata molto
significativa. Davvero sperava che lui ci credesse?
Fece quindi
per aprire la bocca per l’ennesima risposta a tono, quando si
interruppe di
colpo.
“Merlin!”
Le parole
si bloccarono in gola senza più uscire e Merlin le
inghiottì voltandosi di
spalle e lasciando vagare lo sguardo tra le dune.
“Cos’è
stato?”
“Le ho
sentite.”
“Merlin!”
“Dove?”
Si voltò
del tutto e fece qualche passo in avanti. “Sono vicine! Lo
sento!” ed era vero
(“Dove?!”). Qualcosa di diverso stava succedendo in
lui, era come se fremesse,
come se qualcosa di primordiale – come l’istinto
– e profondamente antico, si
fosse attivato in lui e nell’aria che respirava.
Tutto
intorno, poteva sentirla. La magia.
“Vieni da
noi, Merlin!”
“Sono qui.”
Bisbigliò. Arthur dietro di lui continuava a ripetere
“Dove?” e Merlin sollevò
un braccio per zittirlo. Non era il momento quello per una replica,
anche se dovette
ammettere che le domande stupide avrebbero potuto scatenare tutta la
sua
fantasia.
Scosse il
capo per non distrarsi e si fece più avanti,
finché non poté vederla. Una
piccola insenatura, una fessura nera che squarciava insolitamente una
duna di
sabbia. Da lontano e senza farci caso non avrebbero potuto notarla ma
nel
momento in cui si era sprigionata la magia, Merlin non si sarebbe
potuto
sbagliare.
Si voltò a
sorridere al sovrano, mentre sentiva la magia pizzicargli la pelle e
stuzzicarlo e la cosa lo eccitava. “Le abbiamo
trovate.”
Arthur lo
stava fissando, serissimo in volto e vagamente preoccupato. Merlin
poté notare
una gocciolina di sudore scivolargli dalla fronte lungo tutta la
guancia e poi
ciondolare per alcuni istanti sul mento. Non ebbe il tempo di chiedersi
perché
si fosse incantato in quel modo a vederla, scosse la testa mentre
Arthur
parlava con voce non del tutto ferma.
“Dobbiamo…
entrare?”
“Non
necessariamente.” Il tono del mago era inspiegabilmente
calmo, la magia lo
rassicurava al punto che non sentiva più la fatica
né l’agitazione per
l’attacco di prima. Eppure la tarantola era ancora
lì vicino, anche se ormai
esanime.
“Posso
andare soltanto io. Voi restate qui a cambiare la ruota.”
Arthur lo
studiò aggrottando la fronte e annuì lentamente.
Doveva aver notato quel
cambiamento in lui, perché continuò a fissarlo
stranito per lungo tempo, anche
quando lui gli diede le spalle e cominciò ad avviarsi verso
la fenditura.
Con quel
gesto si buttò alle spalle anche tutti i pensieri. Adesso
aveva solo una
domanda da porre alle Disir e voleva tutta la verità.
*
Ce l’aveva
fatta… aveva mai avuto dei dubbi?
Arthur
osservò compiaciuto il suo perfetto lavoro di cambio di
ruota. C’erano voluti
una buona dose di imprecazioni e diversi lividi sulle braccia,
però alla fine
ce l’aveva fatta. Ok, forse c’era anche voluta
un’ora e ad un certo punto s’era
pure perso un bullone ed era stato un quarto d’ora a
cercarlo… però, diamine!
Ce l’aveva fatta!
In barba a
tutte le battutacce di Merlin che non si fidava del suo istinto di
sopravvivenza. Lui, dopotutto era enormemente bravo quando doveva fare
qualcosa
che non aveva mai fatto, tipo cambiare una gomma del fuoristrada. Di
fatti ora
la gip era perfettamente funzionante e con una ruota nuova di zecca al
suo
posto.
“Bene… ora
manca solo…”
Arthur fece
vagare lo sguardo verso la duna in cui era svanito Merlin diverso tempo
prima.
Fino a quel momento le fatiche con la ruota di scorta lo avevano tenuto
impegnato ma adesso che si era fermato, un pensiero preoccupato lo
aveva
assalito.
Merlin
dov’era finito?
Era da un
bel pezzo che era entrato dalle Disir e poi non ne era più
uscito. Che fosse
stato in pericolo?
Di colpo si
sentì un profondo idiota: e se fosse stato tutta una
trappola?! Se a chiamare
Merlin non fossero state le Disir ma qualcuno che voleva fargli del
male?
“Accidenti!”
imprecò a denti stretti, affrettando il passo verso la duna
e scorgendo quella
piccola linea scura che pareva un passaggio. Stava quasi per
addentrarsi,
quando lo vide.
Una macchia
allampanata che usciva all’aria aperta, i capelli neri e
scarmigliati, lo
sguardo basso e impensierito. Bastò una rapida occhiata per
accorgersi che non
aveva ferite addosso e la cosa lo tranquillizzò.
“Merlin!”
gli andò incontro gridando. L’altro dapprima non
reagì, continuò a camminare
lentamente con l’aria assorta in chissà quali
pensieri. Quando però fu a pochi
metri da lui, all’ennesimo richiamo, il mago parve
riscuotersi.
“Merlin!
Stai bene?!”
Lo stregone
gli rivolse uno sguardo stralunato, cosa che preoccupò un
altro poco Arthur che
si chiese cosa fosse accaduto in quella grotta.
“Hai
incontrato le Disir?” provò allora, sperando che
Merlin rispondesse una buona
volta. Il mago finalmente annuì e Arthur cacciò
un sospiro sollevato. “E… cosa
ti hanno detto?”
Alla
domanda seguì una reazione che Arthur non si sarebbe mai
aspettato: vide gli
occhi di Merlin sgranarsi al punto che tutta la fronte si
riempì di pieghe;
sollevò anche le spalle e le braccia che scosse con vigore,
per potersi
allontanarsi da lui.
“Niente!
Non mi hanno detto niente!!” esclamò di getto, la
voce che risultava più
stridula di quanto Arthur ricordasse.
“Come
sarebbe a dire niente, scusa? Non ti hanno detto come riavere la tua
magia?”
replicò il sovrano sorpreso, andando incontro a Merlin che
faceva altri passi
indietro. Le parole risuonarono nel cervello – probabilmente
vuoto – del suo
interlocutore per alcuni istanti e lui parve ponderarvi sopra, prima di
riprendere il controllo e di cacciare un lungo sospiro.
Arthur poté
osservare le spalle chiuse in se stesse e l’aria affranta che
sfuggiva dal
volto di Merlin.
“No.” Ammise
infine il mago. “Non me lo hanno detto.”
Il silenzio
fu tutto ciò che seguì
quell’ammissione. Arthur fissò con insistenza ogni
suo movimento
ma Merlin non fece nulla, tranne sospirare ancora e ad un certo punto,
scostarsi di lato per poter tornare al fuoristrada.
“Torniamo
indietro.”
Il re non
fiatò, si limitò a seguirlo e a rimettersi alla
guida. Eppure dentro di lui
qualcosa non quadrava. Era convinto che Merlin gli stesse mentendo.
Perché ormai
lo conosceva fin troppo bene e aveva capito che il mago era il tipo di
persona
da anteporre a se stesso gli altri e soprattutto lui, ogni volta che
c’era un
pericolo. E poi quelle reazioni… una volta lo avrebbe dato
per stupido e
avrebbe fatto spallucce, ora invece era diverso. Ora sapeva che dietro
i suoi
comportamenti strambi c’era sempre qualcosa.
E sarebbe
riuscito a cavare quel dannato ragno dal buco, di questo era certo.
Il
fuoristrada camminava spedito già da diverse ore. Arthur
alla guida aveva fatto
finta di niente per tutto il tempo e aveva anche evitato di parlare con
Merlin,
nonostante quel silenzio quasi gli opprimeva le orecchie tanto era
pressante.
Eppure se n’era
accorto: Merlin di tanto in tanto lo guardava di sottecchi. Era come se
lo
stesse studiando, puntava gli occhi blu sul suo profilo per un
po’ e poi di
nuovo tornava a guardare la strada.
Arthur si
chiese il perché, quando queste azioni si erano ripetute per
la quindicesima
volta. Che cosa passava per la testa di quell’idiota, era
invece la domanda che
frullava nella sua di capoccia.
All’ennesima
occhiata, Arthur decise di torcere il collo verso di lui e di
intercettare
quello sguardo. Merlin se ne accorse e sgranò gli occhi, poi
distolse subito l’attenzione
lasciandosi sfuggire un’espressione imbarazzata.
Arthur si
trattenne dall’arricciare le labbra e tornò anche
lui a seguire la strada, non
sapendo cosa pensare.
Che diamine
gli avevano detto le dannate Disir?
“Merlin…”
“Torniamo a
Camelot.” Il mago lo interruppe prima che potesse dirgli
qualsiasi cosa. Non
che Arthur avesse idea su come intavolare il discorso, visto che il
mago era
schivo e taciturno ma trovò comunque irritante quella presa
di posizione.
“Che fai,
li dai tu ora gli ordini?” chiese pungente, lanciandogli
un’occhiata di sbieco.
Lo vide stringere le labbra ed evitare accuratamente il suo sguardo.
“Sto solo
proponendo di andare a Camelot.” Si corresse ma Arthur non
poté non accorgersi
dell’inflessione particolare con cui iniziò la
frase. Era come se volesse
replicare con il suo solito modo irriverente ma quello che ne
uscì fuori fu solo
una pallida copia.
“Ma senza
la tua magia, come faremo?”
“Troveremo
un modo.” Merlin adesso era risoluto. A quel punto
però, Arthur già era
arrabbiato ma cercò di trattenersi, perché sapeva
che se gli avesse urlato
contro, il mago non avrebbe scucito una parola.
“Cosa ti
hanno detto le Disir?” provò allora, incalzante, i
respiri erano lunghi per
cercare di calmarsi.
“Niente.”
“Non è
vero.”
La risposta
fu così secca che Arthur poté vedere facilmente
Merlin vacillare e tentennare
nella risposta. “Niente di utile comunque.”
“Non posso
crederci! Se ti stavano chiamando e ti hanno fatto fare un viaggio
così lungo
nel deserto non sarà stato certo per un saluto di
cortesia!” esclamò Arthur,
sentendosi profondamente intuitivo in tutta quella faccenda.
“Avanti, cosa ti
hanno detto… veramente?”
Merlin non
rispose. Continuava a guardare ostinatamente fuori dal finestrino, le
braccia
incrociate e l’aria contrariata come di chi è
costretto a fare qualcosa che non
si vuole in nessun modo.
“Merlin…”
il suo tono, quello minaccioso.
Ancora nessuna risposta.
“Merlin…”
Avrebbe
continuato a chiamarlo per tutto il giorno se fosse stato necessario.
Lo
avrebbe convinto per sfinimento! Stava per pronunciare ancora una volta
il suo
nome, quando il mago adocchiò la strada davanti a loro
– che lui al momento non
vedeva – e sgranò gli occhi.
“Attento!”
Un grido,
le mani del mago sul volante sopra le sue e poi un’ombra nera
a coprire la
visuale. Poi tutto divenne un turbine di lamiere e di immagini
capovolte e
furono rumori strani e dolore. Tanto dolore.
*
Merlin
tossì con forza, avvertendo nuovamente l’aria
prepotente dentro i polmoni. Per
un lungo terribile momento era stato persino incapace di respirare ma
poi tutto
era tornato alla vita e il respiro, il battito del cuore, i pensieri.
Tutto era
tornato. E nell’abitacolo era solo.
Tossì
ancora e ancora, cercando di muoversi e rendendosi conto di essere
bloccato
soltanto dalla cintura di sicurezza. Tutto il mondo era capovolto ma
quando
riuscì a staccare la cinghia, la forza di gravità
fece il suo dovere e il corpo
cadde di peso al suolo.
Non sentiva
dolore da nessuna parte ma era ancora troppo scosso anche per emettere
suoni
dalla bocca. Con uno sforzo strisciò fuori dal fuoristrada e
subito cercò di
guardarsi intorno.
Aveva visto
in un attimo cosa li aveva attaccati. Era stato uno di quei vermi
giganti che
già aveva avuto la fortuna di incontrare tempo addietro e
che lo avevano
lanciato contro il tronco di un albero. E in quel momento poteva
avvertire di
nuovo la stessa paura di quel giorno, i suoi sensi all’erta e
nel naso quel
puzzo terribile di rancido che ricordava provenire dalle fauci della
bestia.
Prima di
allontanarsi dalla gip, agguantò un fucile a fotoni riverso
sul tettuccio ormai
capovolto del mezzo e poi cercò a fatica di alzarsi in
piedi. Il suo primo
pensiero ovviamente, era stato individuare Arthur e con una muta
preghiera a
tutti gli dei dell’Antica Religione sperò che
fosse ancora vivo e che l’incidente
non lo avesse ucciso.
La sola idea
lo fece tremare per cui strinse i denti e cercò con lo
sguardo sia il verme che
Arthur. Fu sconcertato nel constatare che non gli riuscì di
vedere né l’uno né
l’altro e per un momento il feroce pensiero che quella bestia
avesse potuto
mangiarselo, aumentò con un’impennata il suo
terrore.
Non si
azzardò a gridare, perché sapeva bene che quelle
bestie venivano attirate dalle
onde sonore che si propagavano nel terreno. Provò tuttavia a
fare qualche passo
in avanti, il cuore in gola e la bocca secca al punto da non riuscire
nemmeno a
deglutire.
Ancora
alcuni passi in avanti, prima di scorgerlo. Arthur era riverso al
suolo,
immobile e con gli occhi chiusi, esattamente dall’altro lato
del fuoristrada.
Probabilmente quando il mezzo si era ribaltato, lui era stato sbalzato
fuori e
aveva perso conoscenza.
“Ti prego,
fa che sia così… fa che sia
così…” la sua flebile preghiera
continuò, mentre
con passi lenti e misurati cercava di raggiungerlo. Raggiunse il muso
della gip
a fatica, perché avrebbe voluto correre ma sapeva che il
pericolo non poteva
essere cessato.
Eppure si
spaventò ugualmente quando il vermone comparve dal suolo
all’improvviso,
sbucando proprio davanti a lui. Cacciò un gemito strozzato e
istintivamente
strinse l’arma a sé e colpì in
direzione della testa dell’animale.
Fu un colpo
di fortuna certamente. Altrimenti come avrebbe potuto centrare in quel
modo la
sua bocca? La creatura colpita nel suo punto debole, venne sbalzata
all’indietro
e poco dopo morì contorcendosi sulla sabbia.
Merlin ebbe
appena il tempo per riprendere il fiato, poi tornò a
dedicare attenzione al suo
re, che giaceva inerme sulla sabbia. Si inginocchiò accanto
a lui,
preoccupatissimo e con delicatezza lo voltò supino e gli
prese il volto tra le
mani.
“Arthur!
Arthur!” la voce finalmente gli era tornata ma
fuoriuscì bassa e gracchiante e
dovette schiarirla prima di poter richiamare il sovrano.
Provò a
scuoterlo ancora, prendendolo per le spalle per sollevarlo e con
l’altra mano
lo schiaffeggiò delicatamente. Per un attimo il ricordo
indelebile di Arthur
senza vita gli attraversò il cervello ma lui lo
scacciò con forza e si tirò
indietro anche quelle stupide lacrime che volevano uscire.
“Arthur, ti
prego, svegliati!”
Il suo
cuore batteva ancora, lo sentiva! Non doveva disperare. Il sovrano
infatti, a
poco a poco aprì gli occhi e per un lungo momento, si
guardarono silenziosi:
Merlin con il suo sorriso ebete e felice e Arthur semplicemente grato e
sereno.
“Siete un
idiota! Mi avete fatto prendere un colpo…” gli
fece notare il mago, le braccia
ancora intorno a lui e per niente intenzionate a mollarlo. Arthur si
portò una
mano alla testa che evidentemente girava fin troppo.
“Sono già
morto, Merlin, non poteva succedere di nuovo
così…”
“Resta che
siete un asino testa dura! Potevate mettere la cintura di
sicurezza!”
“Mi stai di
nuovo dando ordini?”
“Certo che
sì!” esclamò risoluto il mago e Arthur
ridacchiò brevemente. Così come Merlin
non si muoveva, nemmeno lui diede cenno di volersi sollevare da quella
posizione.
Dopo un
istante di silenzio, Arthur parlò ancora e il tono si fece
grave. “Merlin… cosa
ti hanno detto le Disir?”
E il mago
si adombrò, ormai troppo stanco e provato per poter
sollevare ancora le sua
difese. Perciò non poté fare altro che dirgli i
suoi pensieri. Non tutto
ovviamente… perché Arthur non avrebbe potuto
comprendere la verità senza
compromettere ogni cosa. Di questo Merlin ne era convinto e poi le
Disir erano
state chiare a riguardo.
“Hanno
detto…” tentennò leggermente. Arthur lo
fissava in attesa e lui infine si
decise.
“…che non
sarà possibile. La mia magia non si risveglierà
mai.”
Continua….
Ehilàààà!!
Faccio ancora in tempo a pubblicare, tecnicamente è ancora
lunedì per qualche
minuto u_u
Allora!
Ovviamente avevo tutta l’intenzione di tenervi sul filo del
rasoio e non farvi
sapere cosa hanno detto le Disir… secondo voi che cosa
è successo là dentro?
^__^ hahaha
Avanti con
le teorie! =P sappiate che son curiosa! Perciò
COMMENTATEEEE!! Su su che lo so
che ci siete u_u siete un sacco che leggete silenziosamente e di questo
vi
ringrazio ma se ogni tanto mi lasciate anche un commentino sarei
più contenta
:P
Detto ciò
ringrazio anche tutti quelli che continuano ad inserire la storie tra
le
seguite e le preferite (e pure le ricordate ma ancora devo capire a che
serve
quella raccolta -.-) e soprattutto a chi prende un po’ del
suo tempo per
commentare!!
Un grazie
sincero a Lucylu, Lunaris, brin leah,
chibisaru81, Pandora86 e Pandina99! Vi adoro! *-*
Al prossimo
capitolo! Che promesso stavolta si intitolerà sul serio
“Io vorrei non vorrei”
XD
Baci!
|
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Capitolo 16 *** Il momento giusto ***
Desclaimer: come sempre
scrivo senza scopo di
lucro, i personaggi di Merlin non mi appartengono, perché se
lo fossero avrei
un lavoro!
IL
MOMENTO GIUSTO
Capitolo
16
Il
momento giusto
Qualcosa non
andava, Arthur ne era certo. C’era un alone
violaceo quasi all’altezza
del fianco, lì dove la finiva la cassa toracica. Se
n’era accorto fin da
subito, perché faceva davvero male e ogni volta che tentava
un respiro quel
dolore si acuiva.
Dapprima
Arthur non vi aveva dato molto peso, immaginò che nel
momento in cui era stato
sbalzato fuori dal veicolo, il suo fianco avesse cozzato contro lo
sportello
della gip oppure l’urto poteva essere avvenuto quando era
atterrato sul
terreno.
Aveva
pensato si trattasse solo di un livido e seppur con cautela, si era
rimesso in
piedi e assieme a Merlin si era prodigato per allestire un campo di
fortuna.
Non che il mago gli avesse dato molto spazio, in realtà. Era
più esatto dire
che Arthur aveva tentato di aiutare Merlin.
Lo stregone
si era imposto e gli aveva letteralmente ordinato di riposare, per cui
gran
parte del lavoro, dal costruire il falò alla realizzazione
di trappole per la
protezione del perimetro, lo aveva fatto Merlin, mentre lui borbottava
seccato.
Ovviamente
non aveva detto al mago di quel livido: lo aveva già visto
abbastanza
preoccupato, ammettere che forse si era pure ferito, lo avrebbe fatto
agitare
ancora di più. Quando però l’alone
violaceo sul suo fianco si era allargato e
con quello anche il dolore, Arthur aveva iniziato a preoccuparsi
seriamente.
Ora era lì,
sul suo giaciglio di fortuna a fare finta di dormire, mentre il fianco
gli
toglieva il respiro. Merlin si era offerto di fare l’intero
turno di guardia,
perché era così scosso che non sarebbe riuscito a
dormire, aveva detto.
In realtà
Arthur sospettava che fossero anche ben altri pensieri che lo tenevano
così
sveglio e lo agitavano.
Non si era
del tutto convinto dell’ammissione del mago. “La
mia magia non si risveglierà
mai.” Gli aveva detto, eppure Arthur sospettava che ci fosse
ben altro sotto e
che quelle parole fossero frutto di una lunga riflessione dello
stregone.
Probabilmente
le Disir gli avevano detto altro e lui era arrivato a quella
conclusione.
E mentre lo
osservava da lontano, il suo profilo preoccupato fisso sulle fiamme del
falò,
si convinse sempre di più che doveva sapere. Almeno prima
che…
Diamine,
quanto doleva quel fianco. Mentre Merlin era impegnato a sistemare le
trappole,
aveva cercato la cassetta del pronto soccorso nel fuoristrada capovolto
e
l’unica cosa che aveva trovato era stata una di quelle
medicine che Claude una
volta gli aveva spiegato, servivano per gli infiammi.
L’aveva
ingurgitata speranzoso ma l’unico effetto che aveva avuto era
stato quello di
un grande bruciore di stomaco che si era aggiunto al dolore.
Arthur era
seriamente preoccupato, eppure aveva deciso di tacere a Merlin il suo
stato.
Cosa avrebbe potuto fare lui? Sì, un tempo era stato allievo
del vecchio medico
Gaius, ma allora si usavano piante e impacchi e poi la magia. Arthur
era certo
che spesso, le sue miracolose guarigioni fossero state opera del dono
con cui
era nato Merlin.
Ora invece,
cosa avevano? Nel deserto, abbandonati, con un mezzo ribaltato che non
ne aveva
voluto saperne di smuoversi – e dire che Merlin ci aveva
provato ma era così
mingherlino, come avrebbe potuto da solo rivoltare un fuoristrada?
–
Erano
abbandonati a loro stessi e se Merlin avesse saputo della sua ferita,
probabilmente sarebbe impazzito, perché la sua magia ancora
non c’era.
Arthur non
poteva dirglielo, non poteva. Eppure sapeva che qualcosa non andava. Le
forze lo
abbandonavano, lentamente, inesorabilmente. Come un lento stillicidio,
sentiva
che il suo corpo perdeva la vita, goccia a goccia.
Gli era già
successo una volta… e poi era morto. Per cui sapeva
benissimo a cosa andasse
incontro.
E come allora,
mentre tutto perdeva di importanza – il suo regno, i suoi
affetti lontani, i
suoi sogni – soltanto una cosa rimaneva lì, fissa
nella sua mente. Solo quel
volto appuntito e squadrato, quegli occhi blu che poche volte aveva
visto
tingersi d’oro, quelle orecchie assurdamente enormi.
Merlin era
sempre lì, fisso e immobile nella sua mente provata. Neanche
per un istante,
perdeva la sua luce né i suoi contorni si sfocavano
nell’immagine del suo
pensiero.
E anche in
quel momento come allora, accadde qualcosa che lo turbò.
Arthur sentì la stessa
identica sensazione, con la stessa intensità e lo stesso
ardore: dispiacere.
Il re di
colpo si rese conto di essere triste, perché se fosse morto,
non avrebbe più
potuto vedere Merlin.
Che
pensiero assurdo! In fondo era lui che avrebbe perso coscienza, di cosa
si
dispiaceva? Per Merlin sarebbe stato molto peggio, perderlo ancora,
dopo tanta
attesa e tante peripezie.
Perché lui
era così dispiaciuto del fatto di non poterlo rivedere
più?
Ma
soprattutto era così certo che sarebbe di nuovo finita in
quel modo? Il destino
che fine aveva fatto?
Arthur
sospirò e chiuse gli occhi, avvertendo quella stanchezza
aumentare.
Un ultimo
pensiero prima di lasciarsi prendere dal sonno, qualcosa di profondo a
cui non
seppe dare un nome ma che sapeva solo di occhi blu e di casa.
*
La chiave per
risvegliare la Magia è il Re.
Quante
volte Merlin si era ripetuto quella frase, nelle ultime ore? Ormai era
diventato un mantra, una cantilena che nella mente era risuonata ancora
e
ancora, senza dargli tregua.
La chiave per
risvegliare la Magia è il Re.
Tante
grazie. Le Disir avevano scoperto l’acqua calda. Merlin un
poco sospettava che
in tutta quella faccenda c’entrasse Arthur, perché
altrimenti non si sarebbe
mai potuto spiegare il fatto che quando era stato ferito per salvarlo,
la sua
magia si era per un momento risvegliata.
Un atto di
affetto sincero, quello era stato il frapporsi tra lui e
l’incantesimo. E
quando Arthur lo aveva portato in salvo, terrorizzato di averlo potuto
perdere
e manifestando quindi a sua volta l’affetto per lui, ecco che
la magia si era
risvegliata.
Solo un
momento, ovviamente. Perché poi era tornato
l’imbarazzo tra loro, quel muro
fatto di sfiducia e di frasi non dette e lei, la magia, se
n’era tornata nel
suo antro nascosto.
La Magia ritorna.
Le due facce della
medaglia riporteranno la
magia.
Ed ecco un
po’, guarda caso il chiarimento con Arthur era avvenuto
subito dopo. Finalmente
niente più litigi, niente più imbarazzi. Solo
Merlin e Arthur, come un tempo.
Una e l’altra faccia di quella strana moneta che aveva
attraversato i secoli e
tutto ciò che era avvenuto nel mezzo.
A quel
punto, non aveva di nuovo sentito la magia? Non era riuscito a trovare
forse le
Disir? C’era voluto un po’ certo, ma chi altri
avrebbe potuto?
Certo non
Claude. Insomma, era un mago, se le Disir avessero potuto, avrebbero
usato lui
per arrivare a Merlin. Ma là nella grotta erano state
chiare, Merlin doveva
raggiungerle, perché il destino si compisse. Ma senza il suo
dono, non ce
l’avrebbe mai fatta.
Allora la
medaglia era tornata come prima.
Sbagli.
Una seguace
delle Dea Triplice lo aveva quasi fatto sobbalzare, quando lo aveva
inchiodato
con quella replica decisa.
La medaglia non
è mai stata una vera medaglia.
Ma come?
Lui ed Arthur non avevano forse creato il regno di Albion? Non erano
riusciti
nell’intento tracciato dal loro destino? Non era forse stato
Arthur un grande
re per il suo popolo? E lì accanto a lui non c’era
forse stato sempre il suo
fidato Merlin?
Ti sei mai chiesto,
sommo Emrys, perché il
Destino ha condotto il Re alla morte?
Avevano
parlato assieme, le Disir, quando gli avevano posto quella domanda. E
Merlin
aveva sbuffato ironico.
Oh, certo
che se l’era chiesto! Non aveva fatto altro per un millennio,
perdiana! Quante
volte si era domandato, il motivo per cui Arthur fosse morto, proprio
quando il
suo percorso era giunto al momento più cruciale? Certo, dopo
c’era stata
Guineviere, che aveva portato avanti il Regno per lungo tempo,
mantenendolo
prospero e in pace, grazie anche alla presenza dei cavalieri
sopravvissuti. Ma
perché non era stato Arthur la guida per Albion?
La medaglia era
imperfetta.
Fu un fallimento voluto
dal Destino.
Merlin non
ricordava le Disir così ovvie, sul serio. Non erano loro che
dovevano dargli le
risposte? Certo che fu un fallimento! Merlin lo aveva sempre saputo.
Non aveva
senso tutto quello che era accaduto. Metterci anni e anni, per
raggiungere un
obiettivo che poi era sfumato in un battito di ciglia.
Allora
perché lui era nato? E perché Arthur doveva
ritornare?
Hai posto le giuste
domande.
Ecco.
Non era il momento
giusto.
Quelle
parole avevano scosso profondamente l’animo dello stregone,
perché era stato
lui stesso a pronunciarle appena un millennio prima ad una certa Dama
del Lago.
Svegliami al momento giusto, le aveva chiesto.
E lui non
si era risvegliato assieme ad Arthur ma ben sei anni dopo, in un altro
momento
che per lui era sempre sembrato sbagliato. Invece le Disir gli avevano
detto
tutt’altro.
Il Re doveva rinascere
ancora.
Ora che quel momento
è giunto, la medaglia potrà
saldarsi.
Il Re è la
chiave.
La Magia ritorna.
E senza più
gli ostacoli del passato.
Il Destino
farà il suo corso.
Ostacoli…
quali ostacoli? Si era chiesto allora il mago, sopraffatto da quelle
rivelazioni. Le Disir avevano taciuto e lui si era sentito molto
stupido.
Perché le sacerdotesse della Dea Triplice sapevano. Merlin
aveva già capito
quali erano stati gli ostacoli che avevano impedito la perfetta unione
della
medaglia.
A quel
punto, lo stregone non aveva avuto alcun dubbio. E come se si fosse
trovato
davanti un puzzle fino a quel momento insolubile, tutti i pezzi erano
andati al
proprio posto, sbrogliandogli la mente.
Perché il
re era la chiave e la sua magia poteva risvegliarsi soltanto grazie al
profondo
affetto che nutriva per lui.
Perché non
ne era stato così scioccato? Perché nonostante le
parole delle Disir lo
avessero scosso, non si era dimostrato tanto sorpreso?
Possibile
che in cuor suo Merlin sapesse già le risposte?
Eppure…
“Merlin!”
Un richiamo
che lo riportò bruscamente alla realtà. Era tanto
immerso in quelle
considerazioni che aveva perso il respiro, quando Arthur aveva
esclamato il suo
nome.
E come
riemergendo da un tunnel buio, il mago si era accorto
all’improvviso del cielo
azzurro e del sole appena sorto a est. Aveva rimuginato tutta la notte.
Si passò
una mano appesantita sugli occhi e li stropicciò sperando di
poter riavere
potere sul proprio corpo in tempi brevi e di non crollare a terra per
la troppa
stanchezza. Perché si sentiva così
esausto…
“Merlin,
insomma!”
Arthur era
in piedi, il corpo appoggiato pesantemente contro la gip ribaltata.
Il mago
osservò per un lungo momento il fulcro di tutti i suoi
pensieri e avvertì
quell’insolita ondata di calore che lo coglieva ormai ogni
volta che lo
fissava, da quando era uscito dalla caverna delle Disir.
Fino a che
punto, arrivava il suo affetto per il re?
Quella era
stata un’altra delle domande che si era posto, durante la
conversazione con le
sacerdotesse. Eppure non aveva potuto darsi una risposta, non avrebbe
dovuto
pensarci, ancora, non dopo aver vissuto il resto della conversazione
con le
Sacerdotesse.
“Scusatemi,
ero sovrappensiero. Come vi sentite?” domandò
distrattamente, distogliendo lo
sguardo e prendendo a raccogliere il bivacco. Ora dovevano decidere
cosa fare e
come muoversi, eppure la sua testa era ancora così piena
della parole delle
Disir che non riusciva a ragionare lucidamente.
“Sto… bene.
Sto meglio.” Spiegò il sovrano e Merlin era troppo
distratto per accorgersi del
suo tentennamento. Continuò a raccogliere oggetti, lo
sguardo fisso sulla
sabbia e la mente altrove.
Se anche
avesse dato una giusta definizione a quel gesto di affetto, le Disir
erano
state chiare.
Stai attento, sommo
Emrys.
Ciò di cui
parliamo avrà delle conseguenze.
Merlin non
aveva esitato. Era sempre stato pronto alle conseguenze. Anche quel
giorno di
mille anni prima, quando la Dama del Lago lo aveva ammonito, che
dormire con il
re avrebbe comportato degli esiti imprevisti.
E di nuovo
si era sentito uno sciocco. Perché ciò che
rivelarono le Disir, lo avevano
ugualmente colto impreparato.
La Magia ritorna ma
ciò, avrà un prezzo.
La Magia è
legata al futuro del re.
E’ stato il
Destino a volere il Re del Passato.
Ma sarà la
Magia a cancellare il Re del Futuro
Ricorda, sommo Emrys.
Ciò che il
Destino ha fatto del Re, la Magia lo
toglierà.
Stump. Fu
un rumore sordo a catturare la sua attenzione. Poi la sua mente smise
di
macinare come un orologio e fu tutta per Arthur.
Il re
giaceva a terra, con la faccia nella sabbia.
*
“Arthur…
Arthur!”
Sentiva la
sua voce. Così forte nelle sue orecchie, così
piena. Così spaventata.
Il re
schiuse le palpebre e tra il velo della febbre, intravide lo sguardo
teso del
suo compagno di una vita. Merlin… caro e stupido Merlin.
Perché si preoccupava
così tanto per lui? Perché lo aveva sempre
servito con tanta dedizione? Perché
aveva aspettato tanto il suo ritorno? Perché?
“Arthur!”
Lo
richiamava ancora, sconvolto. Il re poteva sentire le sue mani sul
volto,
quelle dita lunghe e affusolate, i polpastrelli contro la sua pelle
accaldata.
Quelle mani erano fresche e accomodanti per lui, per un attimo
pensò di volerle
sul suo viso per sempre.
“Mi
dispiace…” quelle scuse non le aveva previste,
eppure erano sfuggite così dalle
sue labbra secche, come se le parole fossero liquide e lui non
riuscisse a
contenerle.
Merlin lo
accarezzò piano, le dita fresche gli percorsero la fronte e
la guancia. Quanto
trovava piacevoli quelle premure. “Di cosa vi
dispiacete?”
“Non… non
ti ho detto… niente…”
Il mago
capì cosa intendesse, quando Arthur gli indicò il
fianco ferito. Quelle dita
rassicuranti si scostarono brevemente per sollevare la magia e
constatare le
sue condizioni e il re se ne dispiacque. Voleva ancora le mani di
Merlin sul
suo viso.
“Siete un
imbecille… ma questo devo avervelo già
detto.”
Caro
Merlin, buono e coraggioso fino alla fine. Stentava un sorriso in quel
momento,
provava a fare del sarcasmo. Eppure i suoi occhi erano velati di
lacrime,
Arthur poteva vederle appannargli la vista e riempirgli
l’incavo degli occhi.
Voleva
continuare a guardarli ma Merlin li strinse forte, serrando la
mandibola e d’un
tratto intorno a loro si alzò un vento. La sabbia si
sollevò da terra e le
raffiche presero a fischiare con forza.
Merlin si fece
avanti, coprendo con il proprio corpo quello del re e lo strinse forte
abbracciandolo.
“Non
tornare… ti prego… non
tornare…” lo sentiva mormorare e il re non capiva.
Chi
non doveva tornare?
“Non ora…
non se… ti prego, non tornare…”
Il vento
continuò a turbinare forte, al sovrano parve di essere nel
bel mezzo di una
tempesta di sabbia, eppure neanche un granello colpiva lui o il mago,
come se
loro fossero al centro del ciclone… o forse più
precisamente fossero il centro
del ciclone.
La tempesta
durò ancora alcuni minuti, poi così come era
venuta, se n’era andata,
riportando la quiete nel deserto intorno a loro due. E Arthur
potè finalmente
vedere: il fuoristrada era in piedi, magicamente rivoltato nel verso
giusto.
Il sovrano
lo rimirò, assieme a Merlin, che adesso si era sollevato da
lui e fissava la
gip turbato.
“Merlin… la
tua magia…”
Lo stregone
tornò a guardarlo, gli occhi azzurri ancora umidi, le labbra
schiuse per un
respiro veloce e troppo irregolare per poterlo trattenere.
Arthur in
quei momenti si chiese se per caso Merlin non si riferisse alla sua
magia. Era
lei che non doveva tornare?
“Andiamo.”
Fu sollevato di peso e lui strinse i denti, mugolando per il dolore.
Merlin
cercò di fare quanta più attenzione possibile ma
doveva agire in fretta, per cui
lo trascinò fino alla gip e, con una forza che Arthur
sapeva, tirava fuori
sempre nei momenti decisivi, lo caricò sul lato del
passeggero. Poi si mise
alla guida e acceso il motore, partì a tavoletta tra le dune.
“Dove
andiamo?”
“A salvarti
la vita. Andiamo ad Avalon.”
Chissà come
mai sapeva già la risposta. Gli venne spontaneo lasciarsi
andare ad una breve
risata. Scostò la faccia spalmata contro il finestrino e si
soffermò ad
osservare Merlin. Il suo volto tirato, fisso sulla strada, le mani
strette al
volante con foga, la postura eretta di chi sta all’erta ad
ogni minimo
cambiamento.
Lo
osservava Arthur e sorrideva. E mai come in quel momento, mentre
capovolgeva il
suo mondo ancora una volta e lo terrorizzava con le sue sorti,
provò una forte
emozione dentro.
Affetto.
Profondo affetto per quell’idiota dalle orecchie enormi. Per
quello che era
diventato negli anni, anzi nei millenni un amico e forse anche di
più.
Perché
definire Merlin amico in quel momento, gli sembrava troppo poco.
Veramente troppo
poco. Neanche se accanto ci avesse aggiunto qualche aggettivo, come
grande,
buono o migliore. No, non sarebbe stato mai abbastanza.
“Non
funzionerà…” lo aveva detto convinto,
ridacchiando ancora. Se avesse potuto
guardarsi in uno specchio, di certo avrebbe visto sulla sua faccia quel
mezzo
sorriso irriverente. Ora si sentiva così, ora che tutto
perdeva di importanza.
Merlin non
lo guardò. “Sì, invece.”
“Potresti
provare… a guarirmi tu.” Tentò e vide
il mago scuotere il capo.
“Non posso,
accidenti non posso!” quegli occhi di nuovo velati di lacrime
a cui veniva
impedito di scendere. “La magia non è ancora
tornata.”
“Ma la
gip…”
“Sono solo
momenti! Non è tornata ancora del tutto…. Per
fortuna.”
Ad Arthur
venne di nuovo da ridere. Cosa ci trovasse di così
divertente non lo sapeva,
forse era la morte che si avvicinava per la seconda volta e lui era
così
abituato a guardarla in faccia che lo trovava quasi divertente.
“Mi pare
che la volessi questa magia… e poi potresti guarirmi.
Non… non sarebbe tutto…
più semplice?” quell’intera frase lo
aveva spompato. Accidenti, quanto grave si
era ridotto se non riusciva nemmeno a parlare?
“Tu non
capisci….” Merlin strinse i denti. “Non
capisci! La magia cancellerà il re del
futuro… credevo… credevo avresti soltanto perso
il regno ma non… non questo!” finalmente
le scie umide gli rigarono il volto e Arthur smise di trovare tutto
divertente.
Si sentì profondamente triste e il pensiero che non avrebbe
più rivisto Merlin
gli fece più male della sua ferita al fianco.
“Cosa…
cos’è
che non capisco, Merlin? Cosa vuoi dirmi?” replicò
allora, seccato. Riuscì
persino ad alzare un po’ la voce, tanto si sentì
frustrato.
“Tu
morirai!” gridò alla fine il mago, altre lacrime
riempirono i suoi occhi, che
ora gli rimandavano uno sguardo disperato. “Quando io
avrò la magia, tu
morirai!”
Tornò a
guardare la strada, lasciando Arthur a digerire quella pesante
rivelazione.
Dopo istanti che gli parvero eterni, volle parlare. Voleva a tutti i
costi
sentire la sua voce, che aveva chiuso dietro le labbra strette in una
linea
sottile e impegnate a trattenere un pianto che non voleva cessare.
“Per questo
non volevi…”
“Lei sta
tornando Arthur, sta tornando! E io non posso fermarla da
solo.”
“Che… ahia…
che vuoi fare ad Avalon?” chiese, il fianco per un momento
gli aveva mozzato il
respiro ma lui doveva sapere tutto. E soprattutto voleva ancora che
Merlin lo
toccasse.
“Baratterò
la mia magia con la tua vita.”
“Ma…”
“No!
Dobbiamo fare un tentativo. Non posso lasciarti morire, il passato non
si deve
ripetere.”
“Che ne
sarà di te senza la tua magia?”
La domanda
rimase senza risposta. Merlin strinse di nuovo le labbra e non
parlò più.
Continuò a zigzagare tra le dune, in cerca del passaggio per
il lago di Avalon.
Forse poteva sentirlo adesso, come aveva fatto con le Disir, ad Arthur
non
importava molto.
Era troppo
impegnato a riflettere su quella faccenda che da qualunque parte la si
guardasse, finiva con il sacrificare qualcosa di importante. La sua
vita o la
magia di Merlin. Ma perché? Che senso aveva?
“E’ questo
che ti hanno detto le Disir?” chiese, la voce gli usciva
così debole, però il
tono era sempre lo stesso di quando pretendeva una risposta sincera.
Vide Merlin
annuire lentamente, lo sguardo ancora alla strada.
“Il ritorno
della magia avrà un prezzo. Ciò che il destino ha
fatto del re, la magia lo
toglierà.”
Arthur si
prese del tempo per assaporare quelle parole. Sapevano di
condanna… e di
fregatura.
“Un bel
problema.” Sentenziò dopo un lungo minuto di
silenzio. E inaspettatamente
Merlin accennò un sorriso, sbuffò scuotendo la
testa e Arthur fu contento.
Vederlo sorridere era una cosa a cui teneva tanto.
“Vi salverò
questa volta.” Gli disse, tornando velocemente serio.
Arthur
annuì ma non ne era convinto. Le forze erano ancora
più risicate della sera
prima e tutto stava perdendo di consistenza. Stranamente non sentiva
nemmeno
più la pressione del corpo contro il sedile su cui era
adagiato. Non sentiva
niente. Persino il dolore al fianco stava diminuendo. E Arthur sapeva
che non
era per una miracolosa guarigione. Il suo corpo se ne stava andando.
Un’ondata
di paura lo colse senza preavviso e lui boccheggiò. Non era
la morte a
terrorizzarlo ma ben altro. Aveva pensato che andarsene avrebbe
significato
lasciare di nuovo solo Merlin per l’eternità.
*
L’aveva
trovato. Nonostante la magia non si fosse ancora risvegliata, poteva
finalmente
sentirla quando era vicina a lui. Aveva seguito quella traccia debole
fino a
che non si era sentito formicolare tutto e allora aveva rallentato,
nella
speranza di trovare presto il passaggio per entrare ad Avalon.
Lo
percepiva. Così come la sua magia si destava da un lungo
sonno, anche quel
regno sovrannaturale tornava al potere di un tempo.
Probabilmente
era lui stesso che ne aveva consentito la rinascita. Lui che era la
personificazione della magia, si risvegliava e così faceva
anche nel mondo.
Eppure
tutto questo non lo rallegrava, né gli dava
serenità. Al contrario. Perché se
davvero aveva compreso le parole delle Disir, allora per riavere la sua
magia,
avrebbe dovuto perdere Arthur.
Il ritorno
della magia avrebbe cambiato il destino del re e il passato sarebbe
tornato,
imperterrito. La sua morte, ancora una volta, terribile,
implacabile… no. No!
Non lo avrebbe permesso, non questa volta.
Due
millenni prima aveva raggiunto il lago troppo in ritardo e Arthur gli
era
spirato tra le braccia quando ormai era a pochi passi dalla meta. Ma
questa
volta le cose sarebbero andate diversamente, questa volta, lui avrebbe
salvato
Arthur.
E se per
farlo avrebbe dovuto donare una parte di sé, allora lo
avrebbe fatto senza
esitare.
Il ritorno
della magia avrà un prezzo. Beh, se doveva essere Arthur,
allora il prezzo sarebbe
diventato la magia stessa.
Quando
avvertì forte la presenza di Avalon, Merlin
inchiodò e per un momento ebbe
paura che Arthur si ritrovasse spalmato sul cruscotto. Per fortuna ebbe
la
prontezza di riflessi di acchiappargli una spalla appena in tempo.
Senza
prendersi nemmeno un respiro di troppo, scese dal fuoristrada e
tirò fuori il
sovrano, cercando di non provocargli ulteriore dolore. Difficile,
perché lo
sentì gemere più volte, nonostante in quel
momento sembrasse anche poco lucido.
“Avanti,
resistete… manca poco ormai.”
“Sono…
stanco…” mormorò Arthur e Merlin
deglutì a vuoto la paura.
“No!”
esclamò. “Non fatevi venire strane
idee… per favore… resta con me Arthur.”
Quelle
parole accorate ebbero l’effetto desiderato. Merlin aveva
notato che tutte le
volte in cui gli era sfuggito un poco di confidenza in più e
gli aveva dato del
tu, Arthur ne era sempre rimasto colpito. Non lo aveva mai rimproverato
ma al
contrario sembrava aver fatto tesoro di quei momenti.
Ora Merlin
voleva trasmettergli tutta la sua preoccupazione con quel tono
confidenziale,
che anche lui aveva sempre considerato speciale. Perché
erano i momenti giusti,
quelli in cui crollavano tutte le barriere ed entrambi sembravano
toccare quel
punto più profondo dell’altro che mai nessuno era
riuscito anche solo a
sfiorare.
Merlin non
voleva più barriere tra lui e Arthur, non più. E
non perché si trovavano nel
terzo millennio e i tempi erano cambiati, era molto più
profondo il motivo per
cui il mago voleva appropriarsi dell’anima di Arthur.
C’era
quell’affetto a cui lui non aveva dato ancora un nome o a cui
più semplicemente
aveva paura a darne uno, che spingeva e premeva affinché il
muro restasse giù.
“Non
mollare, Arthur, non questa volta, ti prego…”
Il sovrano
aveva stretto con un poco più di forza il braccio di Merlin
su cui si
sorreggeva, mentre veniva trascinato tra due alte dune di sabbia. Non
aveva parlato,
forse per poter concentrare quel poco di energia che gli rimaneva, nel
muovere
i piedi verso la loro meta e forse unica salvezza.
Merlin tirò
dritto tra le due dune e come attraversando un velo, di colpo la loro
visuale
cambiò. Il lago di Avalon comparve davanti ai loro occhi in
tutto il suo
mistico splendore.
“Ci siamo…”
Merlin continuava a parlare, un po’ con l’intento
di tenere sveglio Arthur, un
po’ per impedirsi di pensare a quanto precaria fosse tutta la
loro situazione.
E anche un po’ per non piangere, perché per quanto
fosse deciso nelle sue
azioni, tutti quei momenti gli riportavano alla mente ricordi troppo
dolorosi
che non credeva avrebbe mai potuto rivivere. Invece eccoli
lì, più intensi e
più crudeli di prima, che ritornavano meschini a turbarlo
ancora una volta e a
gettarlo nella disperazione.
Lasciò
andare Arthur, adagiandolo con dolcezza sul prato erboso e gli
regalò una
veloce carezza sul viso e un sorriso, che il re accolse con piacere,
perché lo
vide ricambiare con un’espressione simile, seppur mescolata
alla sofferenza.
“Dama del
Lago!” gridò poi a gran voce, sollevandosi in
piedi e rivolgendosi allo
specchio d’acqua. “Dama del Lago, ti prego! Vieni
da me!!”
Merlin
dovette richiamarla altre due volte, prima che dal lago
l’acqua iniziasse ad
incresparsi. Quando Freya comparve in tutta la sua luminescenza fatata,
Merlin
dimenticò persino di rimirarla, come faceva sempre ogni
volta che l’aveva
rivista.
Ma stavolta
non c’era tempo, questa volta era più importante
salvare il suo re, tutto il
resto non contava.
“Dama, ti
prego!! Arthur non può morire di nuovo!”
“Merlin…”
iniziò la donna, ma il mago la interruppe, continuando a
perorare la sua causa
con passione.
“Ti
scongiuro, prendetevi la mia magia! In cambio della vita di Arthur,
prendete la
magia!”
“Merlin la
tua magia è legata all’affetto che tu provi per il
re. Lei torna perché la
medaglia è salda.” Spiegò la Dama,
paziente. Merlin la vide però corrugare la
fronte con preoccupazione e lui per un attimo si sentì
rincuorato perché sapeva
che la vecchia Freya teneva ancora a lui e alla sua felicità.
“Sì ma non
servirà a niente la mia magia, senza il re!”
continuò lui accorato. “Perciò
volete o no accettare questo scambio?”
Seguì un
lungo silenzio nel quale, Merlin temette di morire soffocato tanto
aveva
trattenuto il respiro. Poi la Dama pronunciò la sua sentenza.
“Non è
possibile. Mi dispiace, Merlin.”
Il mago
fece alcuni passi in avanti scioccato, l’acqua alle caviglie
che nemmeno
avvertiva.
“Come
sarebbe a dire?! Perché?! Il re sta morendo, per la
miseria!! Ho bisogno di
aiuto!”
La Dama
parve ancora più dispiaciuta ma non accennò un
movimento. “Non puoi fermare la
magia o abbandonarla, Merlin. Lei fa parte di te, tu sei la Magia.
Quello che
tu chiedi è impossibile.”
“Ma Arthur…
morirà…”
“Devi
lasciare che il destino si compia Merlin, devi accogliere la magia e
accettare
le conseguenze. E’ così che cambierai il
futuro.”
Abbandonò
le braccia lungo i fianchi, lo scoraggiamento lo colse tutto e perse
ancora il
respiro per colpa dei singhiozzi che premevano per uno sfogo. Ma ora di
morire
soffocato o meno, non gli importava più.
*
Arthur
osservava dispiaciuto le spalle ricurve del mago. Poteva sentirne i
singulti,
Merlin cercava di soffocarli ma lui poteva percepirli benissimo,
perché anche
se non faceva rumore, la sua schiena sobbalzava ritmicamente e non si
accennava
a voltarsi.
Lasciò che
si prendesse quel tempo per calmarsi e non fiatò, anche
perché non aveva molto
da dire. In fondo lui se lo aspettava, fin dall’inizio era
convinto che anche
quella volta sarebbe finita così.
D’altronde
lui non era il re del passato e del futuro? Probabilmente funzionava
che arrivava,
tirava su un regno coi fiocchi e quando ormai gli altri potevano far
soli, lui
moriva, finiva sulle acque del lago di Avalon, fino al prossimo
risveglio.
Forse era
quello il suo destino.
E il
destino di Merlin qual era? Anche lui avrebbe di nuovo dovuto
aspettarlo per
secoli e millenni come aveva già fatto? Dei del cielo, no!
Non lo avrebbe
permesso! Non poteva condannare il suo Merlin a quella tortura.
Si lasciò
sfuggire una breve risata, stupita. Aveva davvero detto, il suo Merlin?
Fino a che
punto teneva a quell’idiota?
Si era
ripetuto così tante volte quella domanda e altrettante volte
non si era mai
dato una risposta ben precisa. Un po’ perché non
lo sapeva sul serio, un po’
perché aveva paura.
Ma adesso
che la paura non c’era più, adesso che la morte
era vicina e ogni sciocco
timore aveva perso di importanza di fronte alla sua tragica situazione,
ora le
cose gli sembravano un po’ più chiare.
Merlin
finalmente si voltò e sorrideva. Anzi, a dirla tutta faceva
una smorfia. Perché
chiamare sorriso quell’espressione sarebbe risultato
ridicolo. Il mago aveva
rivolti gli angoli della bocca all’insù ma i suoi
occhi erano disperati e il
volto era rigato dalle lacrime.
Si
avvicinò, inginocchiandosi accanto a lui e gli
posò una mano sul braccio.
“Merlin,
abbracciami.” Nelle orecchie e sulle labbra, l’eco
di ricordi lontani e
sbiaditi. Eppure questa volta non era così tardi. Questa
volta poteva ancora
guardarlo lucidamente negli occhi e fissare nella memoria quel blu
così
intenso, che in tante occasioni aveva sfidato apertamente.
Il mago non
se lo fece ripetere un’altra volta, lo prese per le spalle e
lo strinse tra le
braccia, sul volto ancora quell’espressione ridicola.
“Non sei
credibile…” gli fece notare e Merlin
sbuffò tra le lacrime, poi decise di
asciugarsele passandosi una manica sul viso.
“Va bene la
smetto… non vorrei pensassi che ci tengo così
tanto a te.”
Arthur
ridacchiò ancora, rasserenato nell’abbraccio di
Merlin che al momento gli
sembrava il posto migliore al mondo in cui stare.
“Vedila dal
lato positivo… che ne sarebbe stato di te senza la
magia…”
Vide lo
stregone scuotere con vigore il capo e guardarlo con convinzione mentre
gli
replicava a tono. Arthur lo fissò, il blu dei suoi occhi era
tutto ciò che
vedeva adesso, nient’altro aveva importanza.
“E
cosa ne sarà di me, senza di te?”
Il
re chiuse gli occhi. Lasciò che quelle
parole risuonassero per un po’ nella sua mente, per poterle
assaporare dentro
di sé, per capire quali corde del suo cuore avevano vibrato
e cosa avessero
provocato nel tumulto della sua anima.
E quando
aveva riaperto gli occhi, aveva capito. Ogni cosa.
“E’ per me…
che si è risvegliata la tua magia?”
Merlin
aveva annuito e Arthur non aveva più avuto bisogno di altre
conferme. Non più
domande, non più risposte. Arthur adesso sapeva e basta.
Sollevò una
mano per incontrare il volto di Merlin in una carezza leggera.
Saggiò la
spigolosità dei suoi zigomi, che tante volte avrebbe voluto
toccare, solo per
sapere come dovevano essere al contatto con le sue dita.
Sfiorò la fronte con
un pollice, lasciandosi solleticare il palmo dalle ciglia irrequiete e
inumidite che incontrò lungo il cammino. E poi scese sulle
labbra, tracciandone
con le dita i contorni.
Studiò e
toccò il suo viso a lungo, incantato dai suoi stessi gesti,
come se dovesse
imprimere nella memoria ogni più piccolo particolare di lui.
Quasi come se nel
lungo sonno che lo aspettava, lui volesse portarsi dietro
quell’unico ricordo,
da poter sognare per i secoli avvenire.
Merlin si
lasciò accarezzare, in silenzio, trattenendo il fiato al
punto che dopo un
tempo che al re parve infinito, fu costretto ad un lungo sospiro per
riprendere
ossigeno.
“Perché mi
hai aspettato… per duemila anni?”
La domanda
che si era posto così tante volte da aver perso il conto,
aveva bisogno adesso
di una risposta. E Arthur sapeva che Merlin era pronto a dargliela.
“Lo sai
già, il perché.” Era vero.
“Lo… lo
faresti ancora? Se io…”
“Sempre.”
E Arthur
non seppe più cosa dirgli. Un turbine di emozioni si era
scatenato in lui nella
pronuncia di una sola parola. Il terrore di condannarlo ad una nuova
attesa
infinita, l’orgoglio per quella devozione senza eguali, la
consapevolezza di
quanto quelle parole comportavano. E anche un’altra cosa,
anche un altro
sentimento che ormai premeva per uscire ed era troppo intenso per
poterlo
ignorare o per costringerlo a rinchiudersi dietro un muro di false
sicurezze.
Ora quel
sentimento inondava ogni cosa, rompendo gli argini dei pregiudizi,
scavalcando
gli ostacoli della mente e le paure del cuore. C’era solo lui
e nient’altro a
riempire tutto.
Arthur si
stupì di come Merlin divenne così docile quando
premette leggermente contro il
suo collo perché si facesse più vicino a lui. O
forse attendeva soltanto un
permesso per poter fare ciò che aveva sempre voluto.
La
consistenza delle labbra sulle sue, diede finalmente forma a tutto
ciò che
provava e che dirompeva con prepotenza in ogni parte dentro di lui.
Assaporò
quel contatto, lento e addolcito dai movimenti impauriti del mago che
gli
sconvolsero ogni pensiero razionale. Anche lui aveva paura,
là tra le pieghe di
quel sentimento si annidava l’insicurezza di ciò
che non aveva mai osato ma che
ormai era diventato inevitabile. Ma fu solo un momento.
Quando
Merlin strinse forte la sua spalla e decise di rendere più
profondo quel bacio,
Arthur rispose con altrettanto coraggio e abbandonò ogni
remora, godendo fino
in fondo dell’odore di Merlin, del suo sapore. E del suo
rassicurante calore.
E d’un
tratto capì cosa significasse per la prima volta nella sua
vita, sentirsi
completo.
“Resta con
me…” ripeté Merlin, ancora una volta,
quando il contatto si sciolse e la fronte
fu pressata contro la sua. “Ti prego, resta con
me…”
Ma forse
era troppo tardi. La voce di Merlin gli sembrò sempre
più lontana e la
stanchezza si fece ancora più pressante, al punto che
respirare era diventato
un lavoro troppo impegnativo.
Quando capì
che stava per farlo un’ultima volta, era già
troppo tardi.
Continua…
Salve mie
care =) Come sempre vi auguro un buon inizio di settimana (svioliniamo
prima
del linciaggio =P). Mi scuso se la pubblicazione di questo capitolo ha
preso
una settimana in più ma come ho già detto a chi
ha avuto il buon cuore di
commentare questa storia, questo era una capitolo molto
importante… beh, lo
avrete notato.
Allora
prima del linciaggio ci tengo a precisare che la storia continua u_u
Chiaramente però, non posso dirvi altro, né posso
al momento fornirvi risposte
specifiche per tutti i dubbi che sicuramente ho sollevato circa le
parole delle
Disir. Ci tengo cmq tantissimo a conoscere i vostri pareri e le vostre
teorie!!
=)
Vi rinnovo
quindi la proposta di COMMENTARE
questa storia, anche se ormai siamo agli sgoccioli, è una
richiesta che vi
faccio col cuore. Spero cmq di avervi emozionato.
Una
precisazione riguardo al titolo. Sono almeno tre capitoli che rimandavo
il
titolo, ma in fase di scrittura le cose sono cambiate, per cui ho via
via
cambiato. Ancora non so se lo utilizzerò più ma
nel frattempo la smetto di fare
promesse che poi non mantengo XD
Intanto
ringrazio di cuore tutti i lettori silenziosi, tutti coloro che
aggiungono
ancora la storia nelle varie sezioni e soprattutto le mie adorate che
commentano sempre! *-*
Pandora86, brin leah,
Lunaris, Giulia194, One
Day_Painless e chibisaru81, a voi dedico il bacio tra Merlin e Arthur!
;)
Alla
prossima miei cari!! Tanti baci a tutti!
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