Ci possiamo solo nascondere

di mrxanne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo / Quanta acidità nanetta ***
Capitolo 2: *** 2. Non ti sto seguendo, forse. ***
Capitolo 3: *** 3. Mi prenderò cura di lei ***
Capitolo 4: *** 4. Resta con me ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo / Quanta acidità nanetta ***


Prologo.



Corro. Corro più veloce che posso. Le lacrime mi scendono imperterrite lungo le guance fino al collo. Gli occhi mi bruciano. Rossi e gonfi come non mai. Il mio respiro è corto e affannato. Non riesco a fermarmi nonostante le gambe siano pesanti e i polpacci mi stiano uccidendo.

Lo odio. Lo odio. Lo odio. Mi ripeto a me stessa, cercando di convincermi, ma lo amo.

“Ti amo nell’alto, nel vasto, nel profondo cui l’anima si tende…”

Quelle parole, le poesie che mi recitava ogni qualvolta non credessi a tutto ciò che ci stava succedendo, erano tutte balle.

“Ti amo nel più modesto uso quotidiano…”

Mi ripeto quelle parole che ero solita ascoltare da lui. Immaginandomi come mi accarezzava i capelli, il viso, le guance. Ma era tutto una finzione, no… No. Non è così. È impossibile. Lui mi ama. Io lo amo.

“Non ti amo, non l’ho mai fatto.”

Le sue parole di cinque minuti fa, mi arrivano come uno schiaffo facendomi ritornare alla realtà.

Perché sono così stupida? Perché sono così testarda? Perché è tutto così sbagliato? Perché la società fa schifo? Perché a me? Perché non posso essere felice?

Non me ne rendo conto e sono a terra inginocchiata, cercando di riprendere fiato. Le gambe sono d’acciaio e nell’aria si sentono solo i miei singhiozzi. Le strade sono deserte dato che sono le mezzanotte passate e il vento fresco di settembre mi fa accapponare la pelle. Vorrei solo distendermi e dormire. Forse mi ritroverò a casa, sul mio letto e tutto questo è solo un incubo. Nella realtà Justin mi ama, anche se andiamo contro le regole. Anche se siamo sbagliati. Anche se non ci accetterebbero mai. Perché siamo malati. E io sono solo un’egoista che non vuole aprire gli occhi e rendersi conto che tutto questo è finito. Non c’è più. Il per sempre se n’è andato a puttane.

Perché essere eteri non è normale.




Capitolo uno.



"Quanta acidità nanetta".




Mi sta fissando. Giuro che mi sta fissando e non sono paranoica. Mi mette ansia però, non capisco che ha da guardare. Cerco di specchiarmi nello schermo del mio cellulare e mi sorprende notare che non sia sporca oppure in disordine. Tutto questo mi dà i brividi.

Mi giro dalla parte opposta così da evitarlo, ma niente. Sento il suo sguardo bruciarmi sulla nuca, trafiggendomi, oltrepassandomi come se fossi trasparente. Mi muovo costantemente sulla panchina alla ricerca di una posizione comoda, tentativo inutile tuttavia. Se solo questi assi di ferro verdi non fossero così scomodi!

“Edith!” Mi sentii chiamare all’improvviso. Alzai lo sguardo e notai mio fratello maggiore Alex venirmi incontro.

È meglio precisare un dettaglio. Alex ed io siamo imparentati solo da parte di nostra madre, particolare scontato se vieni da una famiglia di donne. Se dall’altro canto vieni da una famiglia di uomini, sei imparentato con tuo fratello o sorella da tuo padre, oppure siete adottati entrambi. È difficile da spiegare, ma questo è quello che ci hanno sempre insegnato sin da bambini. Nelle famiglie di donne è obbligatorio, se vuoi avere un figlio, l’inseminazione artificiale. In quella di uomini, puoi scegliere tra mettere incinta una donna che fa quel ‘lavoro’ – ci sono anche le volontarie comunque – oppure adottare. Se invece vieni da una famiglia etero, sei sbagliato come i tuoi genitori.

Una volta alle elementari Summer Davies chiese alla maestra di religione perché non potevano stare insieme un uomo e una donna, così era più semplice – ci avevano spiegato con parole infantili il modo in cui ci si procreava – ma suor Katerina non le rispose e la mise in castigo; facendola inginocchiare sui ceci “Punizione antica ma efficace”si ripetevano sempre tra di loro le suore. Inoltre chiamarono pure i suoi genitori e sentii dire in giro che le avevano fatto una bella sgridata, infatti dopo quell’episodio non ne parlò più.

Come da legge (art. 1a del “Istruzione dei propri figli”) le ragazze dovevano frequentare un istituto femminile e i ragazzi uno maschile, così da non mischiare i generi differenti ed evitare qualsiasi rapporto non consentito – ovvero relazioni tra eteri. Certo era possibile avere parenti, amici del sesso opposto ma non di più. Nei miei diciassette anni, quasi diciotto per precisare, ho sempre frequentato l’istituto cattolico, con regole abbastanza rigide. Sono cresciuta seguendole tutte, infatti provo solo indifferenza per il sesso maschile. Sono normale, beh questo è quello che pensavo prima di conoscerlo. Ma andiamo per gradi.

Mi alzai da quella scomoda panchina e abbracciai mio fratello. Ogni tanto qualche abbraccio si poteva dare, soprattutto se non vedi tuo fratello da circa sei mesi per via del college.

“Mamma Grace – chiamavamo le nostre mamme anche per nome così da non confonderci – mi ha detto che ti avrei trovato qui.” Disse sciogliendo l’abbraccio.

“Da quanto sei arrivato?” Gli chiesi riponendo il libro che tenevo in mano nella borsa. Tanto ormai la mia lettura era stata interrotta già da quegli sguardi insistenti che sentivo ancora addosso, non osai nemmeno voltarmi per controllare, tanto mi metteva in soggezione.

“Mezz’ora fa. Comunque, ti voglio far conoscere una persona.” Mi mise il braccio attorno alle spalle, tutti qui sapevano che era mio fratello perciò non ci avrebbero guardato male, e mi condusse nella parte ovest del parco.

Ed eccolo lì.

Mi lasciò, andò verso il ragazzo e lo baciò, semplicemente a stampo e le loro mani s’intrecciarono. Il ragazzo mi sorrideva o sorrideva a mio fratello? Ma ero certa che mi fissava, come per tutto il tempo questo pomeriggio.

“Edith, questo è il mio ragazzo Justin.” Sentii qualcosa che mi strinse il petto a quelle parole. “Justin questa è la mia sorellina Edith.” Fece un cenno con la testa. Il ragazzo mi porse la mano e quando vide che ero immobile e assente, la ritrasse e il suo sorriso svanì.

“P-Piacere.” Riuscii a dire alla fine. Le sue labbra si curvarono all’insù di nuovo.

“Piacere mio.” Disse non smettendo di guardarmi negli occhi ed io nei suoi.

L’atmosfera si fece un tantino imbarazzante e credo che Alex lo avesse capito così riprese a parlare. Facendomi parlare per tutto il tempo. Chiedendomi come fosse andata la scuola in questi mesi, che cosa avessi fatto a Pasqua, come stessero le nostre mamme e se avessi trovato una ragazza. A quella domanda mi bloccai, non sapendo che rispondere. Non ne avevo mai avuto una. Non ci avevo mai pensato, si c’erano alcune ragazze che mi stavano carine e mi piacevano caratterialmente, ma non le consideravo più di un’amica.

“Che mi dici di Caroline Lewis? E’ carina e so che ti è stata dietro per tanto tempo, dalle una possibilità.” Eh no, la biondo platino della scuola proprio no. È vero che è bella, ma è troppo oca per me, senza offesa. È simpatica e quant’altro ma non mi attira. In verità nessuna ragazza mi ha mai attirato. Qualche bacio o pomiciata è scappato fuori con loro, ma solo perché giocavamo al gioco della bottiglia, niente di più.

“Non credo Alex …” Dissi titubante. “Credo che aspetterò quella giusta, non mettermi fretta dai.” Scherzai dandogli una gomitata sul braccio.

“Va bene sorellina, ma quando avrai una ragazza, devo essere il primo a saperlo. Così potrò interrogarla e sapere quali sono le sue intenzioni su di te.” Disse con tono minaccioso e non potei altro che ridere, si unì lui e il suo ragazzo.

È bellissimo quando ride.

Scacciai immediatamente quel pensiero su di lui, non potevo. Non dovevo. Era il ragazzo di mio fratello ed era un maschio! Mi limitai a ignorarlo e a concentrarmi su mio fratello.

“Ok ragazzi, credo che vogliate stare un po’ da soli. Perciò vi lascio.” Feci per alzarmi e sistemarmi la borsa sulla spalla. “Ci vediamo stasera, ciao.” Con questo me ne andai a passo veloce verso casa.

Arrivata, notai che erano solo le cinque passate del pomeriggio e non c’era nessuno a casa. Buttai la mia borsa sopra il letto e andai nel mio bagno. Mi levai la maglietta, i pantaloncini e le converse restando in intimo. Mi levai anche questo e mi misi sotto la doccia. L’acqua tiepida mi bagnava tutta, alzai la testa per rinfrescarmi meglio. Rinfrescare la mente, mettendo i miei pensieri in ordine. Non mi piaceva essere confusa, non lo ero certo, ma c’era qualcosa che voleva uscire da me e non potevo permetterlo. Doveva restare lì.


***




“Come mai c’è un piatto in più?” Chiesi a mamma Grace mentre finivo di mettere le posate a tavola, lei era intenta invece a sistemare i bicchieri. Sistemò il centro tavola per l’ennesima volta e parlò senza guardarmi.

“Viene il ragazzo di tuo fratello a cena tesoro.” Quasi lasciai la forchetta cadere, perché mi doveva mettere agitazione quel ragazzo? Mi ricomposi e prima che potessi dire qualcosa, suonò il campanello.

“Edith vai tu.” Mi ordinò mamma Lara. “Tuo fratello credo che stia finendo di fare la doccia e noi siamo occupate.” A passi lenti e decisi mi avviai per il portone, cercando di non tremare. Che stupida, mi dissi mentalmente. Aprii la porta e lo trovai in piedi sulla soglia a sorridermi.

“Buonasera.” Mi salutò con un cenno di capo e ricambiai, feci un po’ di spazio e lo lasciai entrare. Salutò con un bacio sulla guancia i miei genitori e si presentò. Mentre aspettavamo mio fratello, ci mettemmo tutti e quattro seduti sul divano, io più lontano possibile da lui.

“Allora Justin, chi sono i tuoi genitori?” Chiese mamma Lara, aggiustandosi il cardigan che si era levato per cucinare. Guardai per una frazione di secondo Justin e lo notai fissarmi. Forse è solo paranoia.

“Sono Jeremy e Leonard Bieber, signore.” Disse cordialmente. I miei genitori annuirono, capendo subito chi fossero, tranne me. Cioè conoscevo solamente quelli del quartiere, a differenza di loro che conoscevano gran parte della città.

“Oh dacci del tu, caro.” Dissero all’unisono e il biondino annuì soltanto.

Poco tempo dopo, Alex scese e si scusò per il ritardo e andammo a cena. Per mala sorte mi capitò il posto di fronte al biondino, alla sua destra c’era mio fratello, opposto a mia madre Grace e a capotavola, c’era mamma Lara.

Per tutto il tempo non fiatai, mi limitai ad ascoltare assente e annuire di tanto in tanto. La conversazione era più che altro concentrata su mio fratello e il suo ragazzo, fatto comprensibile e non mi dispiacque starmene zitta. Sono sicura che sarei andata nel pallone dato tutto il mio nervosismo. Ogni tanto alzavo lo sguardo e trovavo il biondino fissare i miei genitori o Alex o il suo piatto, mai me, ma sentivo che mi stesse guardando. Sei solo paranoica. Sentii la mia stessa voce risuonare per la mia testa. Era vero però. Paranoica. Paranoica. Paranoica. Oppure stavo andando di matto.

“Scusate, dov’è il bagno?” Il biondino chiese mentre ci alzavamo tutti dal tavolo.

“Terza porta sulla destra, piano di sopra.” Gli spiegò mia madre Grace. “Edith, puoi accompagnarlo?” Mi domandò poi, mentre prendeva anche il mio piatto. “Non mi fido di Alex, sai com’è.” Disse soffocando una risata.

“Mamma!” Gridò Alex imbarazzato, cominciando a diventare tutto rosso. Ma che gli serviva pure il navigatore satellitare per trovare una dannata porta da questo qui? Non replicai e senza spicciare parola gli feci strada.

“Credo che la strada del ritorno te la ricordi, oppure se ti perderai, non sarà affare mio.” Dissi fredda e mi voltai per liquidarlo, ma appoggiò una sua mano sulla mia spalla. Non vi dico che cosa sentii.

“Mi odi?” Mi chiese inclinando di poco la testa. Mi girai e scossi il capo.

“Perché lo pensi?” Domandai confusa, incrociando le braccia.

“Non so, mi eviti, mi guardi male, non mi parli. Dimmi tu.” Rispose alzando il sopracciglio.

“Non è vero.” Ribattei facendo una smorfia.

“Quanta acidità nanetta.” Disse prendendomi in giro.

“Non chiamarmi nanetta! Per la cronaca, smettila di fissarmi. Lo so che lo fai.” Dissi assottigliando gli occhi, per tutta risposta s’irrigidii, ma poco tempo dopo ecco riaffiorare il suo ghigno.

“Nanetta io non ti fisso, forse sei tu che fissi me. Con tutta questa bellezza farei diventare tutte le ragazze etero.” Disse facendomi l’occhiolino. “Mi dispiace però, sono impegnato e sono omosessuale a vita.” Con questo entrò in bagno e si chiuse la porta. Lasciandomi a bocca aperta e più nervosa che mai.

Io non lo fisso. Non ho notato come s’inumidisce le labbra prima di rispondere, come i suoi occhi diventano più chiari alla luce, come piega il sopracciglio mentre si concentra, come si sistema i suoi capel – sono fottuta.



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Note autrice:
Precedentemente questi due capitoli erano in un altro account, ma li ho dovuti spostare qui. Avviserò per messaggio le persone che seguivano già questa storia, così possono ritrovarla e continuarla a leggere.
Ripeto alcune cose: Il tema della storia mi è venuto in mente guardando un video su youtube e leggendo un libro che mi è piaciuto molto. Premetto che non pubblicherò ogni giorno, massimo una volta alla settimana se ce la faccio. Inoltre, anche se mi piace il tema della storia e cose varie, scrivere richiede tempo, concentrazione e qualche visione d'immaginazione (?) perciò sarebbe inutile continuare la storia se non interessa a nessuno.
Perciò se vi piacerebbe sapere come continua: recensite.
Niente recensioni, niente capitolo
Alla prossima settimana :)

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Capitolo 2
*** 2. Non ti sto seguendo, forse. ***


Capitolo due.
 
 
“Non ti sto seguendo, forse.”
 
 
Mi ricordai di quella prima volta che passai davanti casa Scott. La loro porta del garage era piena di scritte e insulti vari come: “Esseri come voi non devono esistere”, “Andate all’inferno”, “Fate schifo”, “Malati di mente” e altri più forti che non sto a citare. Tutto questo solo perché credevano in un’altra specie di amore, quello tra uomo e donna. Non erano i soli tuttavia, c’erano i Thompson e i Morgan, ma non so dove siano finiti adesso. Avevo dieci anni quando se ne andarono, credo si siano trasferiti in un’altra città, dove il matrimonio tra eteri era legale, ma non seppi più di tanto. Ai miei genitori, alle suore o a qualsiasi altra persona di questo posto non piaceva parlare degli eteri. Li odiavano. Io, non li ho mai odiati. Pensavo che fosse strano essere in un rapporto con l’altro sesso, ma non mi ci sono mai soffermata a pensarci intensamente, fino ad ora.
 
Continuai a correre, sorpassando così l’ex casa Scott. Adesso la porta del garage è pulita, riverniciata di bianco, non c’è più traccia di loro.
 
Sono solita correre la mattina, verso le sette, quando è un po’ più fresco, con la mia migliore amica Dana Miller. La personificazione della parola “perfezione” – fa pure rima. Alta, gambe snelle, magra ma con giuste curve, da non farla sembrare sproporzionata. I suoi capelli marroni fanno da contrasto ai suoi occhi di azzurri e alla sua pelle candida. Mentirei se dicessi che non mi sia mai sentita ‘piccola’ vicino a lei. Di certo non sono brutta, potrei essere considerata solo carina. Non sono alta quanto Dana, lo ammetto, in effetti, supero a malapena un metro e sessanta, ma mi tengo in forma. Ho i capelli di un castano chiaro, gli occhi grigi e gli zigomi pronunciati. Non sarò Miss Mondo, ma non sono un cesso.
 
Svoltiamo a destra per Emerald Street e dopo una decina di minuti decidiamo di fare una pausa, fermandoci davanti alla fontana al centro della piazza. Salutiamo con un cenno di mano il cartolaio dell’edicola di fronte, che ci vede ogni giorno passare da quelle parti e ci sediamo ai bordi della fontana.
 
“Allora che hai fatto ieri sera che non hai risposto nemmeno alle mie telefonate?” Mi chiese Dana, mentre si sistemava la coda ormai sfasciata.
 
“Scusa, a cena c’era il ragazzo di Alex e sai la regola: ‘Niente cellulare a tavola’.” Dissi mimando le virgolette e cercando di riprendere fiato. Annuì comprensiva.
 
“E com’è?” Chiese curiosa voltandosi verso di me.
 
“Niente di che. Aspetto normale, non tanto alto, magro.” Con i pettorali che si vedevano attraverso la maglietta. “Biondo, occhi marroni credo. Non ci ho fatto tanto caso.” Ha gli occhi color nocciola e alla luce diventano color miele, non sai com’erano bellissimi.
 
“Questa descrizione non mi aiuta. Su, dimmi il nome e cognome che lo cerco su Facebook.” Glielo dissi con nonchalance mentre mi stringevo i lacci delle mie scarpe da ginnastica. “E questo per te è un niente di che!?” Sbottò all’improvviso, guardandomi con una faccia sorpresa.
 
“Se non sapessi che sei stata con una ragazza un anno fa, penserei che tu sia etero Dana.” Le dissi guardandola di sottecchi. Roteò gli occhi al cielo e cominciò a guardare tutte le foto del ragazzo.
 
“Solo perché trovo carino un ragazzo, non significa che mi debba piacere.” Giusto. Non aveva torto, perciò la stessa cosa valeva per me con Justin. Insomma, trovo carino Alex, il giardiniere dei miei vicini, il coach di mio fratello alle superiori – che avrò visto sì o no due volte – quell’attore di ‘Supernatural’ e solo adesso mi rendo conto che mi stavano carini più ragazzi che ragazze. Non va affatto bene. Per niente.
 
Dopo cinque minuti riprendemmo a correre, facendo qualche battuta su suor Brigilda – la più grassa suora in tutto il mondo – ricordando di come sparava dei ‘gas’ micidiali ogni volta che si abbassava. Oppure di come non riusciva mai ad alzarsi dalla sedia con i braccioli di legno, forse è per questo che ci ha rinunciato e alle sue lezioni se ne stava sempre in piedi. Per fortuna avevo finito le superiori e il prossimo anno sarei potuta andare in una scuola pubblica. Niente più suore. Niente più gonne a scacchi nere e verdi di plaid. Niente più code di cavallo obbligatorie. E niente più mocassini.
 
Sarei andata nel college accanto a quello del mio fratello. A causa della legge 1, com. a del ‘Istruzione dei propri figli’ non potevano far mischiare ragazzi e ragazze, ma c’è una nuova riforma che acconsente, dall’età dei diciotto anni, di poter frequentare un istituto misto. Durante l’età ‘infantile’, come lo chiamavano gli psichiatri era meglio tenere i due generi separati, perché avevano quella fissa che qualcuno potrebbe passare dall’altra sponda.
 
Poiché non è stata ancora confermata, hanno pensato di far costruire due college uguali affiancati (secondo me è stato pure uno spreco di denaro), così gli studenti si sarebbero potuti adattare alla vita mista. Lasciamo stare che è troppo complicato. Tanto valeva dividere la città in uomini e donne, cretini.
 
Se solo fossimo tutti eteri, non ci sarebbe questo problema. Mi maledii mentalmente per averlo pensato, sperai solo di non averlo detto ad alta voce e quando mi voltai verso la mia amica, mi accorsi che era così. Se mi avessero sentito i miei, oppure le suore, una bella mezz’ora – se non di più – inginocchiata sui ceci, era assicurata.
 
Il sole era già quasi alto, nonostante fossero le sette e mezza, alzai lo sguardo al cielo chiudendo gli occhi per assaporarmi i raggi del sole colpirmi il viso. Quando mi voltai verso una casa notai qualcuno fissarmi, sbattei le palpebre una volta per scacciare quel puntino verde che oscurava la mia vista, ma non c’era più nessuno.
 
“Ce ne andiamo a mangiare qualcosa? Mi è venuta fame.” Annuii sentendo il mio stomaco brontolare in risposta e deviammo per andare verso il bar più vicino.
 
Ordinammo un cappuccino con cioccolato per entrambi e dei waffles. Giusto per riprendere tutte le calorie bruciate, del resto come ogni mattina. Era inutile, ma ci piaceva. Abbiamo cominciato questa routine qualche anno fa, quando eravamo in fase: ‘Oddio sono grassa, andiamo in palestra’.
 
“Stasera vieni?” Mi chiese a un certo punto masticando uno dei nostri waffles. Ne presi anch’io uno e lo addentai.
 
“Stasera dove?” Domandai a mia volta mandando giù il boccone.
 
“Spiaggia, South coast*. C’è un falò, tutti i ragazzi e ragazze invitati, è tipo per inaugurare l’inizio delle vacanze estive. Musica, drink a volontà, bagno al mare nudi - ” Aprii la bocca per parlare ma mi precedette. “Tutto legale, tranquilla.” La richiusi senza dire niente.
 
L’idea non mi dispiaceva, non sono una tipa da feste ma per quella sera avrei potuto fare un’eccezione. Dopotutto, è estate, i mesi più belli prima che ricomincino le lezioni.
 
“Devo chiedere ai miei, ma credo che mi lasceranno.” Dissi sorridendo e finii la mia colazione.
 
Dopo aver finito, trascorremmo un altro po’ di tempo a fare una passeggiata per le strade già affollate di Fort Loderdale. Le macchine sfrecciavano accanto a noi, uomini in giacca e cravatta su delle bici o degli skateboard correvano per non fare tardi al lavoro e i turisti già giravano con i loro zaini e macchinette a scattare foto.
 
Controllai l’ora e notai che fossero già le otto e mezza. Dana mi dovette liquidare all’istante, se no avrebbe fatto tardi al suo primo giorno di lavoro come dog-sitter. Per precisare non era un lavoro vero e proprio, aiutava solo sua zia con i suoi cani mentre lei sbrigava gli affari e in cambio le dava qualche banconota.
 
Arrivata, aprii la porta di casa e mi fiondai sul divano, intenta a non muovermi fino all’ora di pranzo. Quello era il mio piano, ma mi dimenticai che mio fratello era ritornato a casa e in più aveva il ragazzo. Aggiungiamo pure il fatto che si comportano da ragazzini e giocano alla playstation come dei fanatici, inutile dire che, dopo circa quasi due ore, fui svegliata dalle loro imprecazioni e urla. Maschi.
 
“Ma che diavolo?” Dissi intontita. Mi stiracchiai e sentii qualcosa sotto le mie gambe. Spaventata, le mossi di scatto e quasi non colpii qualcuno, se non mi avesse afferrato la gamba in tempo.
 
Nanetta calmati.” Nanetta? Alzai il busto e per la velocità mi venne un giramento di testa e caddi all’indietro, pensai di schiantarmi ma delle braccia mi avvolsero la schiena in tempo.
 
Non aprire gli occhi. Non farlo. Mi dissi mentalmente sapendo già di chi fossero quelle braccia. Dopo un minuto il mio respiro era ancora affannato.
 
“Alex, tua sorella è andata.” Lo sentii dire mentre con qualcosa mi faceva aria. Calmati. Delle altre mani mi scostarono i capelli appiccicati alla fronte, ma da quando fa così caldo qui dentro? Calmati.
 
“Di nuovo corsa senza mangiare?” Colsi le parole di mio fratello ovattate, il pulsare della mia testa rendeva tutto più difficile. Calmati. Scossi la testa e dopo qualche secondo aprii gli occhi, ritrovandomi Alex vicino che mi massaggiava i capelli.
 
Due minuti dopo mi alzai, questa volta lentamente, e mio fratello mi porse l’acqua imponendomi di bere. Mi massaggiò la schiena come sempre e quasi vomitai l’acqua addosso al suo ragazzo che mi guardava preoccupato.
 
“Quante volte te lo devo ripetere Edith? Devi mangiare quando corri.” Mi disse con tono serio.
 
“Ho mangiato, mi sono solo alzata velocemente e ho avuto un giramento di testa.” Sospirò e si fece spazio, così mi ritrovai in mezzo a loro due. Alex mi continuava a massaggiare la schiena, mentre Justin era rigido al suo posto. Mi resi conto che ancora non mi ero cambiata e che sicuramente stavo puzzando, peggio di un pesce scaduto.
 
“Sai che mi preoccupo solo per te. Ti voglio bene.” Prima che mi potesse abbracciare, lo fermai con la mano.
 
“Puzzo. A dopo l’abbraccio ok?” Sorrise e mi lasciò andare. “Comunque, ti voglio bene anch’io.”
 
“Ti voglio bene Justin.” Io e mio fratello ci voltammo all’unisono verso il biondino e lo guardammo di sbieco. “Nessuno me l’ha detto, allora …” E prima che potesse continuare mio fratello gli saltò addosso e lo baciò appassionatamente. Sorrisi a loro due. Erano carini insieme. Li lasciai alle loro effusioni d’amore mentre il vuoto allo stomaco cresceva, forse era la fame. Forse.
 
 
South coast*: ammetto me lo sono inventato, non volevo fare ricerche perciò mi sono data alla fantasia – troppa direi. Questo luogo è puramente frutto della mia immaginazione. Fatti, posti e nomi realmente esistenti sono chiaramente casuali.
 
 
***
 
 
“Sei pronto?” Chiesi rigirandomi la busta contente il futuro – modo di dire – di mio fratello. Ero seduta sullo sgabello della penisola già da venti minuti e le mani mi cominciavano a sudare. Alex non faceva altro che fare avanti e indietro per la cucina, altro fattore che mi rendeva nervosa. Aspetta questa lettera da circa un anno, quando ha fatto la richiesta per studiare all’estero con borsa di studio e adesso che è davanti a noi ha paura di aprirla.
 
“Non ancora.” Disse mandando giù l’ennesimo bicchiere d’acqua. Va a finire male da questo.
 
“Se non te la smetti, ti piscerai sotto dall’emozione!” Lo sgridai, per tutta risposta mi guardò male e mi fece cenno di aspettarlo. Presumo che sia andato a farla ovviamente. “Fortuna che non c’è il tuo ragazzo, avresti fatto una bella figura di merda!” Gli urlai ridendo. Il biondino se n’era dovuto andare per questioni a me sconosciute, ma era meglio così. Più lontano gli stavo, più passava il mio nervosismo.
 
“Aprila prima che me lo rimangi!” Mi disse Alex appoggiandosi allo stipite della porta della cucina. Non me lo feci ripetere due volte e la aprii con cautela. Sentivo il sudore scendermi dalla fronte, ogni debole suono si faceva più nitido alle mie orecchie. Nah, scherzavo. Presi il foglio e lo lessi. Mio fratello che mi guardava speranzoso. Alzai lo sguardo verso il suo e non so che lesse attraverso i miei occhi, che subito assunse una faccia malinconica.
 
“Alex …” Dissi lentamente per metterlo sulle spine. “Ti dovrai scordare del Colosseo perché-”
 
“Ho capito, non mi hanno accettato. Grazie lo stesso.” Fece per girarsi e andarsene in camera sua, ma sbattei la mia mano sulla penisola con forza.
 
“Fammi finire che palle!” Si girò sconvolto dal mio gesto e stava per dirmene quattro ma lo precedetti. “Non andrai in Italia, perché te la spasserai in Spagna mio caro fratellino!”
 
Una frazione di secondo dopo mi ritrovai tra le sue braccia che mi stringeva e lanciava in aria. Mi dimenai e lui non fece altro che abbracciarmi più forte urlando frasi del tipo: “Vado in Spagna bitches!”
 
Quando il suo momento di euforia si fu calmato, diventò turbato e triste allo stesso tempo. Peggio di una ragazza quando ha il ciclo.
 
“Adesso che c’è? Non dirmi che non sei felice, perché se no ti castro.” Lo fulminai mentre riponeva il foglio che teneva tra le mani sul piano del tavolo.
 
“Certo che sono felice, è solo che dovrò lasciare Justin per sei mesi.”
 
“Non fare la femminuccia fratellone. Esistono Skype, Facebook, Facetime, Viber e chi più ne ha più ne metta.” Dissi cercando di sollevargli il morale e funzionò, perché mi sorrise come se avesse trovato l’acqua in mezzo al deserto.
 
“Quando dovresti partire?” Gli domandai curiosa. Prese di nuovo il foglio e lo lesse.
 
“Qui dice questo sabato mattina. Cioè fra quattro giorni.” Sospirò.
 
“Dai, in questi giorni passa molto tempo con il tuo amato no?” Dissi sorridendo, annuì soltanto. Poi mi venne un’idea. “Hey, stasera c’è un falò a South Coast. Dana mi ha invitato stamattina, che ne dici di venire?”
 
 
***
 
 
Forse non è stata una bella idea. Non sto nemmeno qui da due ore che mi sono persa Dana, un attimo prima era vicino a me e subito dopo era puff sparita. La folla è ammassata al centro della spiaggia a ballare, a divertirsi e a scatenarsi. Poi ci sono io, in angolo sperduto vicino al chiosco a cercare con lo sguardo la mia migliore amica.
 
Alex? Non credo nemmeno che sia venuto, cioè so che ci avrebbe pensato ma al diavolo. Sono sola, non so che fare e mi è passata pure la voglia di divertirmi. Perlopiù la sabbia che entra nei miei sandali mi da fastidio, tutto m’irrita in questi giorni. Sto per avere il ciclo, ho capito.
 
Mi sfilo i sandali e li tengo nella mano sinistra, mentre m’incammino verso est, dove si trova il molo. Non è poi così distante, solo cento metri più in là. Continuo a camminare, ma percepisco una strana sensazione. La stessa di ieri pomeriggio e di questa mattina, come se qualcuno mi stesse fissando. Adesso ho paura. Quella paura che senti quando è notte fonda e non vuoi andare in bagno o in cucina per uno spuntino di mezzanotte.
 
Velocizzo il passo, ma perché me ne sono andata dal falò? Certe volte sono proprio cretina e non è un buon segno se me lo dico da sola. Ancora pochi passi però e sono vicina al molo, che è deserto, che bello – da notare il sarcasmo.
 
Lentamente mi giro per controllare e noto qualcuno che passeggia nella mia stessa direzione. Perché mi sono girata?! Presa da un attacco di panico, comincio a correre fino a raggiungere il molo. Mi fermo e sento una mano poggiarsi sulla mia spalla. Senza pensarci mi scappa un urlo.
 
“Che ti urli nanetta?” Impressionante come tutta la paura di qualche secondo fa si possa convertire in rabbia.
 
“Tu!” Dico puntando l’indice contro il suo petto. “Perché mi segui?!” Domandai incrociando le braccia.
 
“Non ti sto seguendo, forse.” Rispose ridacchiando, facendomi irritare ancora di più.
 
“Perché non sei con mio fratello?” Domandai di nuovo. “Perché te ne sei andato dal falò? Perché-”
 
“Calma nanetta.” Disse alzando le mani. “Respira normalmente. Inspira ed espira. Inspira ed espira.” Disse gesticolando lentamente, come se stesse parlando a una ritardata.
                                                          
“Non prendermi per il culo e spiega.” Gli ordinai incrociando di nuovo le braccia al petto.
 
“Tuo fratello se n’è andato appena che siamo arrivati, perché si sentiva male. Non te l’ha detto perché non voleva farti preoccupare ed io sono ancora qui perché mi ha chiesto di farti la guardia.”
 
“Farmi la guardia? Che sono per caso un cane!?” Sbottai indignata. Per tutta risposta il ragazzo di fronte a me roteò gli occhi al cielo, sbuffando.
 
“E sentiamo, per quale motivo te ne stavi andando da sola, in piena notte, in giro per la spiaggia?” Colpita e affondata. Un punto per lui e zero per me.
 
“Io …” Cercai invano di dare una risposta in più fretta possibile. “Non sapevo che fare, perciò me ne sono andata.” Non è perfetta come scusa, ma un senso ce l’ha. No?
 
“Potevi chiedere alla tua amica di riportarti a casa, oppure chiamare i tuoi. Non è prudente camminare da soli in spiaggia di notte.”
 
“Ma cosa vuoi che mi succeda? Che un polipo gigante mi prenda di mira e mi lanci meduse a raffica?!” Quanto. Sono. Divertente.
 
“Non fare la spiritosa. Per esempio potrebbe esserci una marea improvvisa e tu verresti sommersa in meno di un minuto.” Ipotizzò il biondino. Poi insinua che le mie teorie fanno schifo, ma ha sentito le sue?
 
“Sola o in compagnia, se fosse successo, sarei crepata lo stesso.” Dissi ovvia, trafiggendolo con lo sguardo.
 
“Sei proprio una bambina!”
 
“Ha parlato il nano da giardino.” Ribattei considerando i suoi 170 centimetri scarsi.
 
“Qui la nanetta sei tu.” Disse avvicinandosi, facendomi notare i tanti centimetri che aveva in più.
 
“Almeno …” Indietreggiai per allontanarmi, stavo per ricominciare a diventare nervosa. “Io non sembro un pinguino mentre cammino.”
 
“Allora è vero che mi fissi.” Disse ammiccando.
 
“No.”  Sbottai subito, mettendoci più enfasi di quanto volessi. Ripresi subito il mio autocontrollo. “Perciò non lo neghi eh?”
 
“Brava, cambia discorso.” Borbottai un insulto e sembrò capire. “Senti, non mi va di litigare ok? Ritorniamo al falò e ti porto a casa.” Fece per afferrarmi il braccio, ma lo scansai.
 
“E se non volessi?” Dissi assumendo un’espressione autorevole. Si passò la mano sulla faccia e si arrese alla mia ostilità.
 
“Me ne starò qui a sorvegliarti.” Lo ignorai e andai verso la fine del piccolo ponticello, dove mi ci sedetti. Appoggiai i sandali alla mia sinistra e fissai il mare davanti a me. L’oceano mi ha sempre tranquillizzato.
 
Chiusi gli occhi e assaporai il suono delle piccole onde e del vento che si scontrarono tra di loro. Passarono diversi minuti e sentii le palpebre farsi pesanti. Portai le ginocchia al petto e mi ci appoggiai con la testa. Una leggera brezza mi fece venire la pelle d’oca e non posso far a meno di accarezzarmi le braccia per tenermi caldo.
 
La tranquillità si è sempre trasformata in sonnolenza, ecco perché nelle ore di storia o storia dell’arte dovevo metterci tutta la mia volontà per non addormentarmi, salvo che non erano quei giorni in cui mi svegliavo e volevo subire la tortura dei ceci.
 
Ancora con gli occhi chiusi sentii dei passi e un fruscio di qualcosa. Mi sentii così in pace che non me la sentivo di battibeccare con il biondino. Mi picchiettò sulla spalla.
 
“Mhh?” Chiesi ancora nel mio stato di trance.
 
“Metti questa.” Aprii gli occhi e mi voltai. Trovai il viso del biondino vicino al mio che mi sorrideva. Era accovacciato mentre si teneva in equilibrio, con le punta dei piedi e mi porgeva la sua felpa rossa. Mi aiutò a infilarmela, non avevo più le forze per fare qualcosa.
 
“Che ore sono?” Chiesi debolmente.
 
“E’ tardi nanetta, dobbiamo andare a casa.” Mi sussurrò scatenando brividi lungo la mia schiena dorsale. “Ce la fai ad alzarti?” Mi domandò, la sua voce sembrava così lontana. Scossi la testa per rispondere e senza esitazione mi prese in braccio.
 
“I miei sandali” Farfugliai sistemandomi sul suo petto. Odorava di buono. Mi piaceva il suo profumo.
 
“Ce li ho tranquilla.” Rispose dolcemente. Ormai non ero più in me. La stanchezza mi faceva parlare a vanvera.
 
“Grazie.” Lo ringraziai alzando lo sguardo e notai chi mi stesse fissando. I suoi occhi chiari alla luce della luna. “Sei bellissimo.” Mi uscì dalla bocca non volendo, troppo assonnata perché me ne resi conto.
 
“Anche tu sei bellissima nanetta.” Sentii le sue labbra posarsi sulla mia fronte.
 
“E’ tutto così sbagliato però.” Dissi accoccolandomi di più.
 
“Lo so.” E giuro di averlo sentito sospirare, o se non altro me lo sarò immaginata. Infine mi addormentai sul serio, non c’era posto migliore che finire tra le sue braccia.



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Note autrice:
Grazie per tutte le 21 recensioni al capitolo precedente. Siete state tutte molto gentili e carine a commentare. :)
Grazie anche a tutte le persone che hanno messo questa storia tra le preferite, ricordate e seguite.
Vorrei fare pubblicità a One_Direction_Lisa, autrice della storia: Obsessed. E' una fanfiction a rating rosso, scritta da poco e interessante.
Potreste passare e dire la vostra opinione, se volete.
Grazie ancora per star seguendo questa storia e spero che vi piaccia il capitolo :) NB: Niente recensione, niente capitolo.
Fatemi sapere qualsiasi cosa, alla prossima settimana.-A :)

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Capitolo 3
*** 3. Mi prenderò cura di lei ***


Capitolo tre.
 
 
“Mi prenderò cura di lei.”
 
 
Quant’è soffice questa coperta e che buon profumo. Me ne potrei stare a letto per tutto il giorno. E’ il paradiso. Il sole che passa attraverso le fessure della tapparella mi riscalda le gambe scoperte. Potrei morire in questo istante se l’al di là fosse così. Se solo non fosse per tutti quei clacson delle auto che si sentono lontano un miglio. Di solito, di mattina, il quartiere non è mai così rumoroso, solo verso le dieci o undici. Oh merda.

Tasto sotto il cuscino alla ricerca del mio cellulare, ma niente. Non c’è. Merda – pt2.

Schiudo gli occhi lentamente per abituarmi alla fioca luce di camera mia e noto la mia borsetta di ieri sera sulla poltroncina.

Ieri sera, falò, festa, Dana scomparsa, oggi, letto, non capisco più una minchia.

Mi alzo e scendo dal letto velocemente, ma il mio piede si attorce sulle lenzuola e cado sul parquet di faccia. Merda –pt3. (Non c’è due senza tre.) Adesso mi ritroverò un bozzo in testa, complimenti al mio equilibrio.

Tirandomi su con fatica rovisto dentro la borsetta e prendo il cellulare. Dodici chiamate perse da Dana. Merda –pt4. Mannaggia a me che lo metto sempre sul silenzioso.

Controllo l’ora e capisco che sono fottuta. Dieci e tre quarti. Dovevo vedermi stamattina con Dana per la nostra solita corsa. Merda –pt5. Poi mi accorgo di un’altra cosa. Di chi cazzo è questa felpa rossa?

Non ricordo niente e non ho nemmeno bevuto ieri sera, se non acqua o coca cola. Poi mi viene in mente un lampo di genio. Alex! Sì, sarà sua. Forse mi ha accompagnato lui a casa. Senza pensarci due volte mi precipito in camera sua per farmi spiegare tutto ciò.

Che non lo abbia mai fatto.

Sono una cretina, è poco ma sicuro. Appena apro la porta di camera sua, rimango a bocca aperta e tiro un urlo così forte da farmi sentire da tutto il vicinato. Mi copro gli occhi e indietreggio quasi fino a cadere.

“Scusa Alex non sapevo che fossi occupato. Merda, vado, mi dileguo!” Dissi mentre lo sentii imprecare sottovoce e intuii che cercasse di coprirsi o vestirsi. Ma non potevo essere come le persone normali che bussano prima di entrare?! Tutto questo mi bloccò la crescita.

Me ne ritornai in camera e velocemente chiamai Dana per scusarmi con lei, sarà incazzata nera. Speriamo di no, Dio sa quanto può diventare scorbutica.

“Pronto?” La sento dire con voce assonnata.

“Sei sveglia?” Le domandai. Fortunatamente anche lei si era svegliata tardi. “Adesso, grazie a te sì.” Rispose sarcasticamente mentre sentivo fruscii di sottofondo.

“Ieri sera sei sparita.” La rimproverai. “Mi hai lasciata da sola.” Continuai. “E non mi ricordo niente.” Sbottai infastidita.

“Hai il ciclo? No perché non mi ricordavo che fossi così irritante la mattina.” Ribatté e la immaginai roteare gli occhi come sempre.

“Lo saresti anche tu, se scopristi tuo fratello in piena fase di accoppiamento con il suo ragazzo!” Urlai a denti stretti per non farmi sentire dai diretti interessati.

“No! Giuraaaaaaaaaaa!” E cominciò a ridere istericamente, già la vedevo rotolarsi per terra per le risate. Che migliore amica, proprio.

“Sono contenta che ti diverta che mi si sia bloccata la crescita. Non aggiungiamo pure il fatto che sia già bassa di mio!” Sbuffai incrociando le braccia al petto. Con ciò si mise a ridere ancora di più. “Smettila.” La ammonii.

“Dai è normale, non si rivedranno per mesi e hanno bisogno di sfogare le loro voglie.” Rabbrividii a quel pensiero. Era come immaginare le mie due mamme a farlo. Meglio non pensarci. “Cambiando discorso, sei tu quella che si è volatilizzata ieri sera! Io ero a ballare, poi non ti ho più visto.”

“Mi sono fatta un giro, credo. Non mi ricordo niente, che palle. Sicuramente avrò chiamato Alex e gli avrò chiesto di riportarmi a casa.” Affermai sicura. La sentii annuire, poi mi lasciò dicendomi di dover andare a prendere i cani di sua zia e chiusi la chiamata.

Mi levai la felpa di mio fratello da sopra la testa e rimasi con il vestito di ieri sera. Mi sfilai anche quello e mi cambiai mettendomi dei pantaloncini di jeans chiari alti, una canotta leggera da mettere dentro, la cintura, insomma gli accessori e le solite converse. Raccolsi i capelli in una coda alta e andai in bagno per rinfrescarmi il viso. Dopodiché tornai in camera e feci il letto, lo ammetto stavo solo prendendo tempo.

Silenziosamente scesi le scale, pregando di non vederli. Ma si sa, le cose che vorresti che accadessero non succedono mai.

Andai in cucina per bere, ma li ritrovai lì – fortunatamente vestiti e non avvinghiati. L’imbarazzo tra me e Alex si poteva toccare con un dito nell’aria, invece il biondino era seduto comodo nella penisola della cucina a fischiettare.

Aprii il frigo ignorandoli e ne tirai fuori il succo d’arancia.

“Edith” Cominciò mio fratello, ma con un gesto di mano gli intimai di chiudere il becco.

“Quanto sei pudica nanetta. Non è la fine del mondo quello che hai visto, un giorno anche tu dovrai farlo con le ragazze.” Il biondino roteò gli occhi e lo fulminai.

“Non sono affari tuoi.” Sbottai mettendo il bicchiere di vetro nel lavandino. Sentii un cellulare suonare, poco dopo Alex rispose.

“Si sono io. Certo. Capisco. Fra cinque minuti sono subito da voi.” E riattaccò. Sia io che il biondino lo guardammo incuriositi. “Devo andare dall’agenzia di viaggi a prendere i biglietti e firmare qualche documento.” Disse rivolgendosi a noi. Poi il mio cellulare squillò.

“Ma tutti adesso?” Dissi mentre tiravo fuori il mio cellulare. “Che c’è Dana?” Risposi appoggiandomi al balcone della cucina. Sentii l’abbaiare di alcuni cani e il respiro affannoso della mia migliore amica.

“Rage. Scappata. Zia. Uccidermi. Aiuto.” Mi disse a scatti e non riuscivo a capire una beata minchia.

“Chi diavolo è Rage e calmati per favore!” Sbottai. Mi stava definitivamente per arrivare il ciclo.

“E’ il cane di mia zia, aiutami a cercarlo ti prego!” Cominciò a spiegarmi velocemente.

“Ok, ok. Aspettami lì, fra dieci minuti, se non di più, arrivo.” E riattaccai correndo verso l’ingresso e prendendo le chiavi di casa. Trovai lì mio fratello e il suo ragazzo intenti a uscire.

“Dove vai?” Mi chiese Alex.

“Da Dana. Ha bisogno d’aiuto, ha perso il cane di sua zia a Bark Park.”

“Ma sta dall’altra parte della città.” Disse il biondino sgranando gli occhi. Lo ignorai e uscii di corsa. Altro che dieci minuti, sarei arrivata dopo un’ora. Poi successe una cosa che non mi sarei aspettata. “Aspetta!” Mi voltai notando il biondino a venirmi incontro. “Ti accompagno.”


***




“E lui che ci fa qui?” Dana con i due guinzagli in mano, che erano collegati rispettivamente ai collari dei due bulldog, si precipitò davanti a me.

“Volevo aiutare.” Rispose il biondino aggiustandosi i capelli dopo la nostra corsa dal parcheggio al parco. La ragazza di fronte a noi annuì soltanto.

“Allora, di che razza è? Descrivicelo fisicamente.”

“E’ un border collie. E’ una femmina, ha un collare rosa con dei brillantini e una targhetta con la lettera R.” Merda, che è un border collie? Non sono mai stata un’amante dei cani e non so distinguere una razza dalle altre. Sono proprio d’aiuto hahah. Suppongo che i due abbiano notato la mia espressione spaesata perché scossero la testa entrambi. “Ok, io e la nanetta andiamo da questa parte. Ci ritroviamo qui fra mezz’ora.” Il biondino mi strattonò per il braccio e ci allontanammo.

Mi allontanai abbastanza da calmare il mio respiro. Ogni volta mi sentivo troppo nervosa attorno a lui.

Cominciai a perlustrare dietro ai cespugli, agli alberi, sotto le panchine e persino sopra gli alberi. Ma nessun segno di un cane con una targhetta in cui è incisa la R.

Quel giorno c’erano molti cani per il parco e questo non aiutava di certo, ma non potevano venire un’altra volta? Cani di qua, cani di là. Cani che saltano in aria per prendere i frisbee e altri che corrono per raccogliere i rami o le palle lanciate. Cani che se ne stanno seduti vicino ai loro padroni a leggere un libro, a giocare a scacchi, ma sul serio? Non credo di aver fumato una canna o preso stupefacenti, oppure era solo la fame.

Dovrei smettere di usare sempre questa scusa. Dovrei ammettere che una certa testolina bionda mi fa andare sempre su di giri e fare ragionamenti irrazionali. A proposito …

Mi voltai e notai che il biondino era sparito. Che bello, è la seconda volta in meno di ventiquattro ore che perdo di vista le persone. Mi girai per l’ennesima volta per cercarlo, non solo dovevo trovare un cane con un collare rosa con i brillantini, ma anche un ragazzo tremendamente – carino – rompi palle.

Ci rinunciai e andai a comprarmi un sacchetto di noccioline zuccherate.

“Sei d’aiuto nanetta.” Sentii dirmi dietro, sobbalzai dallo spavento.

“Dove diavolo te ne eri andato?” Gli domandai ignorando il suo sarcasmo.

“A cercare il cane forse?” Chiese retorico aprendo le braccia. Sbuffai e lo scostai per passare continuando a mangiare. Mi sono sempre piaciute queste noccioline, così dolci, soprattutto la crosta croccante e poi quelle - “Ma fai sul serio? Fra poco sono le una e il parco chiude!”

“Rage!” Gridai a bocca piena. Il biondino mi lanciò uno sguardo confuso. Mandai giù tutte le noccioline e puntai dietro di lui. Si girò e notò il border - quello che è - che cercavamo. Si mise a correre per raggiungerla, poi ritornò indietro e mi trascinò con lui. “Hei, le mie noccioline!” Dissi mentre il sacchetto mi scivolò tra le mani e cadde a terra.

“Te le ricompro dopo. Adesso aiutami a prenderla.” Con ciò lui se ne andò a destra ed io sinistra, cercando di circondarla. Ma lei capì e pensò che stessimo giocando perciò si mise a correre velocemente. Mannaggia alla loro intelligenza.

Continuai a rincorrerla, ma non notai che il biondino si fosse fermato proprio davanti a me. Ovviamente caddi a terra su di lui. Tutte e due sorpresi, a bocca aperta. Le sue mani erano ferme sui fianchi e mi sentii avvampare. Mi tenevo in equilibrio con i palmi poggiati sull’erba ai lati della sua testa, il suo respiro che si mescolava al mio. Il suo profumo così familiare. Sbagliato. Mi passò per la mente. Qualche secondo dopo il biondino si schiarì la gola e mi alzai di scatto dal suo corpo.

Ancora imbarazzata, non lo guardai più e andai verso Rage che ci stava fissando. Cercai di non spaventarla e così feci, la coccolai e le sussurrai nell’orecchio: “Tu non hai visto niente.” Come se mi avesse capito, abbaiò.

Chiamai Dana e le dissi di ritrovarci all’entrata del parco che stava per chiudere. Quando vide Rage con noi, ci ringraziò e se ne andò a riportare i cani da sua zia prima di combinare qualche altro guaio.

Prima che ce ne andassimo, il biondino mi fece cenno di aspettarlo vicino alla macchina e scomparve. Dopodiché tornò con qualcosa in mano.

“Ti avevo promesso che te le avrei ricomprate.” Mi disse sorridendo, per poi passarmi il sacchetto con le noccioline. Sorrisi, è stato un gesto, molto … carino.



***





“Prima che me ne dimentichi.” Dissi rientrando in camera e uscendo poco dopo con in mano la felpa rossa di qualche giorno fa. “Tieni, mi sono scordata di ridartela.” E gliela tesi.

“Non è mia.” Affermò mettendo la sua valigia nel porta bagagli della macchina di mamma Lara. “E’ di Justin, non ricordi?” Mi domandò.

“Justin?” Chiesi titubante. Non capivo.

“Uhm, sì? Te l’aveva fatta mettere l’altra sera al falò perché sentivi freddo. Poi ti ha accompagnata a casa.” Non è possibile. Allora non era stato lui … il profumo che la mattina avevo odorato, era il suo, così buono e a Bark Park quando sono caduta sopra di lui, era lo stesso. Strinsi la felpa tra le mani.

In questi tre giorni cercai sempre di stargli alla larga, di non avere nessun contatto con lui, se non qualche saluto di convenienza. Da quando Alex tornò a casa, il biondino non faceva altro che stare qui da noi. Mangiava, beveva, guardava la tv e dormiva da noi. Era stata la settimana più difficile che avessi mai passato. Con tutti questi pensieri sbagliati. Con tutte queste sensazioni sbagliate. Mi sento sbagliata. Sì, me ne ero resa conto in pochissimo tempo di non essere come gli altri, forse lo sapevo già, ma non lo volevo ammettere.

“Edith, ti senti bene?” Alex poggiò le sue mani sulle mie spalle. “Sei pallida.” Scossi la testa.

“Tutto apposto.” Dissi sorridendo. In lontananza sentimmo una macchina arrivare.

“Alex, dobbiamo andare.” Lo avvertì nostra madre Lara.

“Saluto un attimo Justin e andiamo.” Disse, mamma annuì e salì in macchina. Pochi secondi dopo ecco il biondino scendere dalla sua auto e andare da mio fratello. Me ne restai in disparte a fissarli assente, mentre si abbracciavano e baciavano.

Le mie gambe cominciarono a tremolare e la testa girare. Momenti dopo sentii delle braccia afferrarmi.

“Edith!” Alex mi rialzò tenendomi saldamente. La sua mano si posò sulla mia fronte e fece una smorfia. “Hai la febbre. Non ti possiamo lasciare sola, mamma Grace ritorna stasera ed io non posso fare tardi.” Mi disse preoccupato.

“Non ti preoccupare, vado a letto e prenderò la medicina. Ce la posso fare.” Lo rassicurai. Lo abbracciai un’ultima volta e mi voltai per ritornarmene a casa. Ma vidi solo nero.



Justin Bieber.



“Mi prenderò cura di lei.” Dissi tranquillizzando sia Alex che la madre. “So quanto sia importante per te questo viaggio, vai. Starò con lei finché non arriva Grace.” Annuirono esitanti e portai dentro Edith in braccio, ancora svenuta.

Non dovresti essere così premuroso con lei. Non è solo amicizia la tua.

Ignorai me stesso mentre la poggiavo sul divano. Notai la mia felpa rossa tra le sue braccia e non potei che sorridere.

Quella sera avevo oltrepassato il limite. Perché le avevo dato un bacio sulla fronte? Che schifo.

Non mi sono mai piaciute le ragazze, solo come amiche, ma mai in quell’altro senso. Non potrei mai perdonarmi se mi cominciasse a piacere Edith. Specialmente perché era una ragazza e in più era la sorella del mio attuale ragazzo. Farei un torto sia a me che a lui.

E’ inimmaginabile una coppia fatta da uomo e donna. E’ contro la natura. Donne con le donne. Uomini con gli uomini. Siamo troppo differenti dall’uno all’altro per stare insieme.

Mi piace Alex, è un ragazzo bellissimo, gentile e spiritoso, ma forse non era abbastanza per me. Ma non voglio farlo soffrire. Perché è tutto così complicato?

Presi una coperta lì vicino, poi dell’acqua e la compressa per la febbre.

“Nanetta.” La chiamai mentre le scuotevo leggermente la spalla. Aprì lentamente gli occhi e mi fissò con i suoi occhi grigi per un tempo indeterminato.

“Dove sono? Mi scoppia la testa.” Disse e la aiutai a sedersi.

“A casa. Adesso manda giù questa compressa così ti sentirai meglio.” Non ribatté e fece come le dissi. Si mise le mani tra i capelli per calmarsi, perciò mi sedetti accanto a lei e lo feci al posto suo, come avevo visto fare da Alex qualche giorno fa. La feci distendere sulle mie gambe mentre la accarezzavo la fronte e la coprivo per bene con la coperta.

“Perché lo fai?” Borbottò mentre il suo respiro si faceva più pesante.

“Perché ho promesso di prendermi cura di te.” Le dissi sorridendo, anche se sapevo che non mi potesse vedere.

Non disse più nulla, segno che si era addormentata di nuovo. La seconda volta questa settimana tra le mie braccia.

Era così sbagliato, ma così giusto allo stesso tempo.



____________________________





Note autrice:
Ciao a tutte! Come promesso ho aggiornato questa settimana, però non so se la prossima riuscirò ad aggiornare.
Il capitolo ancora non è stato scritto e in questi giorni la voglia di scrivere è poca, mi dispiace. Ma cercherò di aggiornare il più presto.
Volevo ringraziare tutte e quelle 21 persone che hanno recensito il secondo capitolo e chi ha recensito il primo in questi giorni.
Grazie a tutte le persone che hanno messo la storia tra le preferite, ricordate e seguite. Siete in molti e mi fa piacere!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, non è molto lungo come il secondo ma era per rendere la storia un po' più divertente. :)
Grazie anche a quelle 5 persone che hanno lasciato un breve commento alla storia.
Volevo dirvi anche che faccio pubblicità se la storia è almeno un po' interessante, scritta bene e se il titolo e l'introduzione catturano l'attenzione. Inoltre se chiesto educatamente.
Ho ritenuto precisarlo perché mi hanno mandato un messaggio dove c'era scritto: "Senti fammi anche un po' di pubblicità".
Mi è sembrato che me lo stesse obbligando invede di chiedermelo, perciò se volete pubblicità siate educate perlomeno e poi deciderò su.
Con questo vado, grazie ancora. Niente recensioni, niente capitolo. Lo sapete.
Fatemi sapere qualsiasi cosa. Alla prossima. -A.

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Capitolo 4
*** 4. Resta con me ***


Capitolo quattro.
 
 
“Resta con me.”
 
 
Quanto tempo sarà passato? Dieci, oppure venti minuti? Non posso fare a meno di fissarlo, è carino. Dobbiamo apprezzare la bellezza della natura no?

Certo, inventati un’altra scusa.

“Hai finito di fissarmi nanetta?” Sentii le mie guance avvampare. Allora non stava dormendo. Era sveglio, conscio che lo stavo ammirando.

Aprì gli occhi e mi guardò dall’alto e solo ora mi resi conto che ero ancora sdraiata sulle sue gambe, la sua mano nei miei capelli, fermi e rigidi tutto d un tratto.

Il suo sguardo era duro, non traspariva nessuna emozione positiva e mi fissava intensamente. Non ero uno di quegli sguardi che ti trasmettono calore e ti fanno sentire bene, questo ti raggelava il sangue, ti faceva sentire piccola e indifesa.

Mi spaventava.

Sentivo rabbia e tristezza colmarmi il petto. Rabbia perché sono stata una stupida a cadere facilmente dall’altra parte della linea sottile che divide due mondi così diversi. Invece, tristezza perché ero consapevole che i miei pensieri erano proibiti, sbagliati e perfino pensarli lo era, ma non riuscivo ad accettarlo.

“Allora?” Ripeté ancora freddo.

La sua voce ferma mi feriva. Non lo avevo mai visto così. Ero abituata a vederlo ridere, scherzare e a prendermi in giro ogni volta. Forse aveva finto per far contento Alex, sapeva quanto mio fratello ci tenesse a me.

Ma nonostante tutto ancora non capivo il perché si trovasse lì, vicino a me e che fino a poco fa, mi stava accarezzando i capelli. Era tutto troppo confuso.

“Niente, stavo cercando di capire il perché mio fratello fosse attratto da te.” Risposi alzandomi dalle sue gambe.

Dovevo sembrare indifferente, fargli capire che non mi faceva nessun effetto, che ero come tutti gli altri e non diversa. Essere come prima di incontrarlo. Ma dovevo ammetterlo, non era semplice, tutto ormai sembrava essere scombussolato nella mia mente. Tutto a causa di sguardi insistenti in un pomeriggio, un nomignolo, un inseguimento a un cane e una felpa.

Non era nemmeno passata una settimana ed ero ridotta in queste condizioni. Cosa mi stava facendo?

“Sei una ragazza e non puoi concepire il senso di bellezza maschile. E’ per questo che non possiamo stare insieme. ” I suoi occhi mi scrutavano intensamente, come se volesse leggermi nell’anima. “Intendo ragazzo e ragazza.” Aggiunse frettolosamente. “L’uomo e la donna, sono troppo diversi.” E poi finì di parlare.

Il suo sguardo mostrava troppe cose: ammonimento, freddezza, indifferenza eppure scorgevo anche la tristezza attraversargli gli occhi. Dal ragazzo solare e capriccioso era diventato un enigma da scoprire.

“Giusto. Non m’immaginerei mai una coppia tra eteri. Sarebbe troppo.” Cercai di suonare convincente e credo ci sia riuscita. Annuì con il capo, ma la sua espressione mostrava sempre quello: tristezza. Speravo che nemmeno la mia sembrasse distrutta, sorrisi di poco e mi alzai.

Lui rimase immobile lì, continuando a fissarmi mentre mi muovevo per la stanza alla ricerca di qualcosa che mi facesse dimenticare il dolore nascosto che provavo. Non potevo fargli vedere che ero a disagio per le sue parole.

“Hai fame?” Disse a un tratto rompendo il silenzio. Scossi la testa, ma sentii il mio stomaco stringersi all’istante e sembrò notarlo. “Se vuoi c’è un po’ di pizza sul tavolo, prima non ti volevo svegliare. Pensavo avessi bisogno di riposo.” Sembrò addolcirsi un po’, ma il suo tono era sempre così fermo e mi dava sui nervi. Non lo volevo vedere distaccato, lo volevo sorridente come sempre. Odiavo che mi stesse ignorando così su due piedi.

“Grazie. Anche per esserti preso cura di me, adesso sto abbastanza bene, puoi anche andare a casa.” Dissi grata, ma nel profondo desideravo che non se ne andasse, che restasse con me, anche con questo comportamento. Mi piaceva stare attorno a lui, anche se mi faceva innervosire terribilmente.

“Resto fino a quando non arriva Grace, l’ho promesso a tuo fratello e a Lara.” Nella mia testa sorridevo come un’ebete, ma fuori cercavo di fare un cenno con la testa e non dire niente. Almeno lo avrei avuto intorno per altre paio di ore.

“Uh, ok. Fai come se fossi a casa tua, come nell’ultima settimana.” Cercai di provocarlo, ma non ricambiò. O almeno, si limitò a fare un mezzo sorriso. Feci nulla di niente e me ne andai a mangiare.



***



Un tuono rimbombò per tutto il salotto, mentre il cielo cominciava a oscurarsi sempre di più. Solo pochi minuti fa c’è stato un black out e mi stavo letteralmente pisciando sotto dalla paura. Non era tanto per il buio stesso, ma era per i rumori che sentivo. Ad esempio: il ticchettio dell’orologio, il vento e la pioggia che sbattevano ostinati sui vetri e quello strano cigolio delle imposte delle finestre.

“Ma è normale che a Giugno ci sia un temporale del genere?” Borbottai mentre mi stringevo nella coperta azzurra.

“Evidentemente qui in California sì.” Mi girai verso il biondino che giocava con il suo cellulare, sorpresa dal suo tono di voce. Non freddo come prima, ma sempre indifferente.

Nelle tre ore precedenti avevamo solo guardato la tv, senza spicciare parola, salvo per qualche piccolo commento su una donna barbuta ma niente d’importante. Inoltre avevo dormito per un po’ senza accorgermene e lui dovette svegliarmi di nuovo per la compressa.

Dovevo ammettere che in quel momento, quando mi si era avvicinato così tanto di nuovo, mi ero sentita felice. Solo perché non mi guardava più con una faccia da ‘stammi lontana, se no ti ammazzo.’ Volevo solo capire cosa gli passasse per la testa, il perché del suo tale comportamento.

Sospirai, rendendomi conto che non ci sarebbe stato modo di capire e in quel momento il mio di cellulare squillò.

“Pronto?” Risposi senza guardare chi fosse il mittente.

“Tesoro.” Mi salutò mia madre Lara. “Stasera rimarrò in hotel. Non ce la posso fare a ritornare con questa pioggia, dillo anche a tua madre Grace quando arriva, ancora non riesco a contattarla. Non azzardarti a uscire con questo tempo, il vento è troppo forte e non si vede niente. Ok?” M’impose blaterando di tutto e di più e non feci altro che dire di sì come sempre.

“Justin è ancora lì con te? Se sì passamelo.” Mi disse a un certo punto, mi girai verso il biondino che mi fissava e gli passai il telefono. Mi guardò confuso, ma scrollai solo le spalle in risposta.

“Sì? Certo non ti preoccupare. Oh, grazie non dovevi. Capito. Va bene, adesso te la passo.” Rispose annuendo, poi si alzò mi porse di nuovo il cellulare e sparì nel buio della cucina.

“Tesoro adesso vado, ci sentiamo domani. Se il tempo me lo consente arriverò in tarda mattinata. Rimettiti mi raccomando.”

“Ok mamma.” E riattaccai ritrovandomi sola nella stanza.

Mi guardai in giro, tutte le più semplici figure che riuscivo a distinguere sembravano trasformarsi in cose orribili. Riuscii a sentire il biondino che trafficava con le ante delle credenze, buste che si aprivano e chiudevano. Mi chiedevo come riuscisse a vedere nel buio. Ah, giusto aveva il cellulare, che cretina.

Mi raggomitolai ancora di più nella coperta per sentirmi al sicuro, non sia mai che esca un serial killer da dietro la tenda pronto a uccidermi e a farmi a pezzettini. Poi ecco il miracolo.

Le luci di casa si riaccesero e dovetti sforzare i miei occhi per abituarmi al cambiamento. Fissai l’orologio appeso sopra l’arco della sala da pranzo e notai che erano già le sette e mezza.

Dopo alcuni secondi il biondino ritornò in salotto con in mano una ciotola di pop corn e due lattine di non so cosa e a mia sorpresa si sedette accanto a me con un lieve sorriso. Rimasi lì a fissarlo dubbiosa quando il mio cellulare vibrò. Aggrottai la fronte.

Da: Sconosciuto.

“Tesoro, sono mamma Grace. Il mio cellulare è morto, c’è stato un black out in ufficio e tutti stanno dando di matto perché si sono cancellati dei file importanti. Credo che dovrò restare qui fino a tardi come tutti gli altri e non è finita qui. C’è stato un incidente e le strade circostanti sono bloccate. Non c’è giorno peggiore di questo! Ho già avvisato tua madre Lara e so che sei in buone mani, perciò mi raccomando non uscite, state a casa e so pure che stai male. Rimettiti che ci vedremo domani mattina verso le sette. Ti voglio bene.”


Continuai a fissare il messaggio per un po’ di tempo e non mi resi nemmeno conto di star trattenendo il fiato. Questa era una notizia bella o brutta? Cioè una notte senza genitori – non è che mi cambia la vita – è sempre ben accetta, ma non so cosa aspettarmi dal restare sola con lui.

“Chi è?” Mi chiese a un certo punto.

“Mia madre Grace, dice che ritornerà domani mattina.” Risposi cercando di non guardarlo negli occhi, solo lassù sanno che cosa sono in grado di farmi.

“Ah, suppongo che dovrò restare qui per tutta la notte.” E sorrise. Bipolare. Questo ragazzo era sicuramente bipolare. Come si fa a cambiare atteggiamento in meno di venti minuti? Mi evita per tutto il giorno e poi puff mi parla.

“Ho qualcosa in faccia?” Mi chiese preoccupato toccandosi il viso. “E’ che mi stai guardando strano.” E’ solo che non sai quanto voglia toccarti il viso. Ecco, avrei avuto sicuramente bisogno di molto autocontrollo. Molto.




Justin Bieber.





Justin, Justin, Justin. Che stai facendo?

La mia coscienza rimbombava nella mia testa alla ricerca di un motivo, di una ragione perché a un tratto mi ero lasciato andare ai miei istinti.

Lo sapevo, ma non lo volevo ammettere che avevo ceduto, mollato quell’intenzione di evitarla perché era più forte di me. Per tutto il giorno, stavo solo cercando di tenere a freno quella voglia di abbracciarla, scherzare e parlare con lei. Il mio era solo una sorta di difesa, di autocontrollo. Alla fine però non ce l’avevo fatta e mi ero ritrovato accanto a lei su un divano a sorriderle come un cretino.

Perché avevo uno sfrenato bisogno di toccarla, ma non in quel senso sporco.

Il mio era un bisogno completamente diverso. Volevo poterla stringere al petto quando tremava per la febbre e anche in tutte le volte che mi andasse, senza dovermi preoccuparmi di chi ci stesse attorno. Avevo l’esigenza fisica e mentale di sfiorarla anche solo un minimo, anche solo per un attimo per sapere che fosse reale. E avevo bisogno di poterle accarezzare i capelli, come prima mentre dormiva, perché era solo in quel modo che la potevo sfiorare. Quando non era in sé. Così da evitare tutte domande o sguardi dubbiosi. Volevo poterglieli accarezzare anche mentre era seduta nella solita panchina del parco a leggere il suo libro. E di sfiorarle la schiena con le dita ogni volta che mi passasse accanto e di sentirla fremere sotto il mio tocco. Volevo poterla baciare e lasciare dolci baci sulle labbra tutte le volte che diventasse acida perché mi faceva troppa tenerezza. Volevo poterle accarezzare la guancia e dirle che è bellissima e che non aveva bisogno di correre ogni mattina. Perché io la vedo sempre. La spio sempre verso le sette passate a correre con la sua migliore amica e lei non se n’è mai accorta. In due anni non se n’è mai resa conto. Ma l’ha sempre saputo in qualche modo. Non voglio più sfiorarla con gli occhi come ho fatto per tutto questo tempo, non ce la faccio più.

Devo pensare a qualcosa, prima che tutto questo prenda il sopravvento su di me e non mi ritrovi a strapparmi i miei capelli in frustrazione. Per questa sera avrei fatto un eccezione, non mi sarei spinto tanto, ma dovevo fare qualcosa. Tutto sarà casuale e innocente.

“Ti posso chiedere una cosa?” Alzò lo sguardo e mi ritrovai a fissare i suoi occhi grigi.

“Immagino di sì …” Rispose un po’ titubante.

“Ti posso considerare come una sorella?” Per un momento mi guardò come se avessi parlato in arabo, ma subito dopo accennò un debole sorriso con fare esitante. Che diavolo sto combinando proprio non lo so, sono un cretino.

“Credo di sì, tanto è come se lo fossi. C-cioè tu e Alex, insomma hai capito.” Disse balbettando. Annuì e mi rilassai al mio posto.

“Allora che facciamo? Ci vediamo un film?”

“Ok. Però scelgo io.” Rispose dirigendosi verso lo scaffale con i DVD. “Vada per ‘Equivoci d’amore’”. Feci una smorfia di disapprovazione. “Hai ragione troppo stile natalizio. Vada per i Passi dell’amore.”

“Per forza un film romantico?” Sbuffai incrociando le braccia.

“Mio fratello mi avrebbe fatto lasciar vedere quello che volevo, perciò taci.” Mi disse guardandomi di sottecchi.

“Quando ti ho chiesto se potevo trattarti come una sorella non volevo dire che ti avrei viziata nanetta.”

“Qui comando io.” Disse mettendosi una mano sul fianco.

“Anche da malata sei così acida.” E buffa e tremendamente carina.

“Ed io che pensavo saresti diventato più gentile.”

“Per la cronaca mi sono preso cura di te per tutto il giorno.”

“Certo, giusto per far bella figura con Alex e le nostre madri.” Ribatté alzando gli occhi. Questo faceva male, peggio di uno schiaffo in pieno viso. Lei non poteva di certo capire il perché lo avevo fatto, non provava quello che sentivo io.

“Se è così che la pensi va bene.” Risposi senza trapelare nessuna emozione. Come se quello che c’eravamo detti cinque minuti fa non fosse mai successo e ritornavo a comportarmi come prima. La stavo ancora fissando e lei me, ma adesso con aria dispiaciuta. Teneva ancora il DVD in mano senza muoversi. Sembrò cercar di dire qualcosa ma non lo fece. Si limitò a far partire il film e si sedette poco lontano da me.

Restai il più immobile possibile, concentrando il mio sguardo sullo schermo, anche se mi era difficile perché desideravo poterla guardare. Mi odiavo per questo. Ogni volta diventavo sempre più vulnerabile accanto a lei e non riuscivo a trattenermi. Che stupido.

Passarono i minuti e il film scorreva sullo schermo colmando il silenzio che si era venuto a creare tra noi due. Era ancora lì avvolta nella sua coperta persa a contemplare i due protagonisti, la fissavo con la coda dell’occhio per non farmi notare. Non potevo sprecare così queste ultime ore. Dovevo dire qualcosa, ma mi precedette.

“Ok non ce la faccio più.” Disse voltandosi. “Ogni volta che facciamo un passo avanti ne facciamo due indietro. Questa volta so che è colpa mia e ti chiedo scusa per aver detto quelle cose su di te. Forse non sono nemmeno vere. E’ solo che non so mai come comportarmi attorno ai ragazzi eccetto che con mio fratello, perché non so come voi ragioniate. Non ho mai avuto un amico maschio ed è ancora strano per me. Sono sempre cresciuta pensando di dovervi evitare e poi un giorno arrivi tu e mi sconvolgi tutto su cui mi ero basata sin da piccola. Nel senso, mi stai simpatico per quanto fastidioso tu possa essere – e non ci posso ancora credere che potesse succedere - e alla fine non mi dispiace nemmeno essere amica tua. Mi piaci per mio fratello Alex e credo che la cosa più difficile darà cercare di stare attorno a te senza dover-” S’interruppe spalancando gli occhi come si fosse accorta di un errore nelle sue parole. La guardai negli occhi cercando di spronarla a continuare. Che cosa era difficile per lei? Che cosa non doveva fare attorno a me?

“In sintesi voglio che andiamo d’accordo come fratello e sorella come hai detto tu. Forse vedendoti in questo modo sarà più facile. Ok?”

“Va bene.” Riuscii solo a dire leggermente confuso. “Posso fare una cosa allora?” Annuì poco convinta ma ero comunque deciso a provarci. Presi quella ciotola che ci separava e la misi a terra con cautela. Mi fissava curiosa e cercai di sembrare il più calmo possibile nei miei movimenti, anche se l’agitazione era a mille. Mi avvicinai lentamente, il mio sguardo che non si staccava dal suo e lo feci. La avvolsi tra le mie braccia, con le sue mani premute contro il mio petto. Il calore del suo tocco si espanse su tutto il mio corpo. Da quanto tempo aspettavo quel momento? Di poterla abbracciare e sentirla così vicina? Avvicinai il mio capo alla sua nuca per poterla avvicinare sempre di più, non potrei mai averne abbastanza.

“I fratelli si abbracciano no?” Le chiesi dolcemente notando la mia voce bassa e piena di qualcosa di molto sbagliato. Annuì non proferendo parola e quando le luci e la tv si spensero all’improvviso la sentii sussultare e aggrapparsi velocemente al mio collo. Sentire una parte di lei pelle contro pelle mi faceva venire i brividi.

“Sc-scusa.” Disse allontanandosi di poco e un vuoto cominciò a farsi spazio dentro me.

“Fa niente.” E di nuovo le luci si accesero. Sbuffai irritato da questo black out instabile e notai Edith alzarsi e avviarsi per il piano di sopra. Che cosa avevo fatto?




Edith Price.





Non facevo altro che girarmi e rigirarmi tra le lenzuola nell’ultima mezz’ora da quanto me ne andai ‘correndo’ per la mia stanza. Justin non mi aveva seguito ed era un bene, almeno credo. Quell’abbraccio era stato così tremendamente piacevole. Non avevo più la forza di staccarmi ma dovevo. Inoltre, prima c’era mancato poco che gli svelassi tutto ciò che sentivo. Mi ero fatta prendere dall’impulso come sempre. Stupida. Stupida. Stupida.

Per l’ennesima volta mi rigirai verso la scrivania affianco al mio letto e notai un’ombra muoversi lentamente. Mi salì un groppo in gola dalla paura. Riconobbi una figura non molto alta e muscolosa.

“Justin?” Chiesi mettendo a fuoco la persona che lentamente entrava a testa bassa. Preoccupata mi alzai a sedere. “Stai bene?”

“Non lo so.” Rispose con tono confuso. “Non volevo venire qui. Ho girato per tutta casa in questa mezz’ora, sono passato per tre volte in cucina a sedermi e continuavo a ritrovarmi qui fuori. Da te.” Mi raddrizzai sul letto lasciando cadere le lenzuola attorno ai miei fianchi.

“Che è successo?” Domandai preoccupata.

“Non avrei dovuto trattarti in quel modo questo pomeriggio e tanto meno fare ciò che è successo prima.” Rispose. “Mi dispiace.”

“E’ tutto apposto, tranquillo.”

“No che è tutto apposto Edith.” E per la prima volta da quando era entrato silenziosamente in camera mia mi guardò negli occhi. Un misto di tristezza e dispiacere. “Dovevo vederti.” Disse più a se stesso che a me. “So che non è giusto. Ma dovevo farlo.”

Non ci potevo credere. Non potevo credere che almeno una parte di lui, non so quanto grande, sentiva ciò che provavo io. Non sapevo che dire.

“Lo so che adesso mi starai considerando come una persona strana o sbagliata. Ma non riesco a starti lontano o a non pensare a te. Prima pensavo che fosse una cosa innocua di cui non preoccuparsi. Pensavo che fosse solo simpatia dato che sei la sorella del mio attuale ragazzo. E solo lassù sanno come mi senta male per star trattando Alex in questo modo. Non odiarmi per questo ti prego.” Disse dispiaciuto abbassando di nuovo lo sguardo.

“Pensavo che tu mi odiassi prima. Stamattina ero quasi sicura di sì, poi sei cambiato tutto d un certo punto.” Dissi avvicinandomi pur mantenendo una distanza sicura.

“Odiarti?” Mi fece eco stupefatto. “Ero così, solo perché non volevo che ti rendessi conto di questo.” Disse mentre lentamente si avvicinava e mi sfiorava il viso con le dita e subito si ritrasse come se scottato. “Odio essere così.

“Non sei l’unico qui, fidati.” Ribattei trovando il coraggio per mostrarmi. Mostrare ciò che nascondevo da una settimana. Ci voleva così poco per cadere per qualcuno.

“Sai che è sbagliato vero?” Persi un battito a quelle parole. Cosa cercava di dirmi? Che nonostante tutto voleva fregarsene? Ma sarei pure egoista.

“Alex non si merita tutto questo.” Dissi allontanandomi di scatto. Non potevo fare una cosa simile a mio fratello.

“Lo so. Ma lo capisci anche tu quello che ci succede e non riesco a trovare la forza per allontanarmi.” Indietreggiai mentre continuava ad avanzare. Trasalii sentendo il muro a contatto con le mie spalle. Mi guardava dall’alto e la sua espressione era cambiata. Desiderio. Fece scorrere le dita dalla guancia alle mie labbra e ne tracciò il profilo con la punta di un dito. “Forse.” Mi disse. “Ora dovresti dirmi di non fare così.”

Ma non dissi niente. Non volevo. Ero stanca di dire no, di non permettermi mai di sentire ciò che tutto il mio cuore voleva che sentisse. A qualsiasi costo.

Justin si chinò, posò le sue labbra sulla mia guancia e la sfiorò leggermente. E quel tocco, seppur leggero, mi diede una scossa a tutte le terminazioni nervose, una scossa che mi fece tremare tutto il corpo.

“Se vuoi che mi fermi, dimmelo adesso.” Mi sussurrò. Ma continuai a stare zitta. Mi sfiorò con le labbra la tempia. “O adesso.” Seguì la linea del mio zigomo pronunciato. “O adesso.” Ora le sue labbra erano a pochi centimetri dalle mie. “O …”

Lo attrassi a me e le sue parole si persero sulle mie labbra. Mi baciò con delicatezza, con attenzione, ma non era questo ciò che volevo. Strinsi i pugni sulla sua maglietta tirandolo forte verso me. Gemette piano, poi le sue braccia mi avvolsero la schiena con fare sicuro.

“Resta con me.” Disse staccandosi lentamente. “Per stasera. Potrebbe essere la nostra unica occasione di stare da soli per una sera e ci sveglieremo come sempre.” Ancora avvinghiata al suo corpo lo trascinai per il letto. Lo sentii togliersi le scarpe ad ogni passo. Lo so era sbagliato, ma lo volevamo entrambi.

Ci sdraiammo e abbracciandomi da dietro mi baciò la tempia.

“Mi dispiace, lo so che non possiamo farlo.” Lo zittii stringendomi ancora più a lui. Mi sentivo sicura, beatamente felice.

Pensa a come ci sentiremo domattina. Pensa a quanto sarà più difficile fingere che non c’importi niente l’uno dell’altra davanti a tutti, dopo che avremmo passato la notte insieme, anche se sarà solo per dormire. Sarà come assaggiare una droga: ci farà solo desiderare di averne ancora.


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Note autrice:
Mi scuso per il ritardo, ma non ho avuto molto tempo per aggiornare.
Sarò breve, ringrazio tutte quelle persone che hanno recensito il capitolo precedente e anche gli altri due.
Grazie a chi ha lasciato un breve commento e a chi segue, ricorda e ha messo questa ff tra le preferite.
Non sono sicura che riuscirò ad aggiornare la prossima settimana, ancora non ho scritto il quinto.
Massimo aggiornerò in due settimane.
Niente recensioni, niente capitolo come sempre.
Vabè, a presto :) -A.

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