Far Away.

di inlarrysarms1994
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rinascere. ***
Capitolo 2: *** Difficoltà. ***
Capitolo 3: *** La magia nell'aria. ***



Capitolo 1
*** Rinascere. ***


Bruciava.
Bruciava come non mai.
Ero sicuro che quella sarebbe stata la scena che avrei rivisto più volte nella mia vita. Una scena che sarebbe diventata, da lì a poco, un ossessione costante. Finalmente, il mio inconscio poteva sfornare immagini ben chiare di notte e non gli stessi, patetici sogni. Questa volta si sarebbe impegnato di più. Avrebe superato le barriere del ridicolo e si sarebbe messo a lavoro per concentrare la mia mente a proiettare un qualcosa di più colorato; e colorato, non significa di certo più vivo.

Cercavo il rosa pallido del tuo viso, il marrone castagna dei tuoi occhi, il bianco del tuo sorriso. Cercavo i tuoi capelli biondi. Ma tutto ciò che vidi fu un grigio. Un grigio opaco, quello di un topo. Il grigio di un temporale, il grigio dell'inverno, il grigio dell'asfalto. Il grigio. Il grigio del tetto di un auto.

E poi in trappola.
No, Harry, non girarti.
Resta lì.
Non farlo.
Non girarti.

Rosso, rosso sangue, rosso inferno.

**********


Si era ormai rassegnato, arreso. Harry era stanco di qualsiasi cosa ruotasse intorno alla sua vita, anche quella più eclatante, quella più gioiosa. Anche quella che, in un solo secondo, può deformarti il viso e sfoderare un sorriso, uno di quelli luminosi che solo con Lui amava fare.
Non riusciva a mangiare, gli ricordava quante volte Lui amasse cucinare al mattino, quella colazione fatta in fretta e poi un "buon lavoro, amore!". Non dormiva nel suo letto, quello in cui Lui dormiva quando poteva.
Tutto ciò che Harry puntualmente faceva, ogni giorno, era starsene a letto e subìre le chiamate di sua madre, alla quale non rispondeva mai.
Si chiedeva ogni minuto perchè non si scomodasse ad andare da lui, ogni tanto, se davvero ci teneva a suo figlio. Eppure Harry era sempre stato estroverso, un ragazzo fuori dalle righe, un piangione, un coccolone, uno di quelli che più lo guardi, più ti viene voglia di stritolarlo.
Ma Harry non amava rimpiangere. Amava ciò che era diventato. Un perfetto egoista, manipolatore ed opportunista. Rispecchiava al massimo la parola "cattivo", per quanto si potesse notare. Non amava nessuna dimostrazione di affetto, non amava far compassione, far pena, non amava andare in giro sfoderando un sorriso solo per cercare di sembrare gentile, non amava essere dolce con sua sorella. Lui non amava e basta.
E se non amare qualcuno, significa avere il cuore a pezzi, questo lui l'aveva confermato. Perchè Harry aveva il cuore a pezzi, costernato da elfi che nemmeno s'impegnavano a volerlo ricostruire. Era il suo orgoglio mischiato alle ferite che vietava a qualsiasi cellula o parte integrante del suo corpo a frenare la ristrutturazione di quest'ultimo.

Erano passati tre giorni da quando Harry aveva smesso di lavorare al Saturday Pub.
L'ultima volta che si era trovato lì, aveva preso a pugni un cliente per rabbia, non degnandosi nemmeno di chiedere scusa. Era troppo nervoso ed agitato, aveva ormai costruito un muro, una barriera nel suo interno che lo proteggeva da qualsiasi male esteriore. Perchè lui sapeva benissimo quanto il mondo potesse, prima o poi, deluderlo. Quanto la vita sembrasse tutta rosa e fiori ma da un momento all'altro fosse pronta a farti del male. Quanto il destino ce l'avesse con lui. Spesso, si ritrovava a parlare a se stesso, chiedendosi cosa avesse fatto in una vita preedente per meritarsi tutto quello.

Il suo appartamento era semi-disordinato. Detestava il disordine ma non amava l'ordine. Harry non amava bere il thè dalla tazza, ma da un semplice bicchiere di plastica. Diceva che la tazza scottava troppo, perchè una volta si è bruciato la lingua. Harry odiava l'odore del fumo, ma lui era un fumatore. Harry amava tutti i colori del mondo, ma non amava il rosso. Forse il motivo dei suoi continui sbalzi d'umore o aggressioni continue erano proprio la sua mancanza all'amore.
Lui all'amore non ci credeva più. Non si fidava nemmeno di se stesso, non si fidava della vita in generale. Perchè anche se lui era vivo, desiderava tanto non esserlo. Desiderava sostituire la sua vita con quella di una persona che non lo meritava.
Lui meritava di vivere anche prima dell'incidente di Samuel, ma non lo sapeva. o meglio, non voleva saperlo.

Harry non ricordava nulla. Non ricordava la sua faccia prima dell'incidente, i suoi capelli, com era messo il suo appartamento o che lavoro facesse. Harry era rinato da lì, semplicemente perchè era cresciuto in un mondo in cui la vita non esisteva. Harry viveva perchè doveva, perchè in qualche modo si sentiva in dovere di vivere anche per Lui. Era per questo che riusciva a colmare qualsiasi tipo di vuoto. Viveva per Samuel.
E quelle volte in cui, per rabbia, aveva ingurgitato più di un tubetto di pillole, si era sentito in colpa, perchè gli pareva tanto che stesse uccidendo Lui, di nuovo. Da quel giorno, lui, smise di farsi del male.

 

**********


"Che ci fai qui, Harry? Ti ho già detto che la tua presenza, ora, non è gradita."
"Mi servono i soldi, Peter."
Harry si ritrovò nuovamente al Saturday.
Era passata una settimana ed il postino, proprio in quel periodo, era andato a fargli visita. Erano arrivate le bollette, le varie multe e debiti d'acquisto che ancora non aveva pagato. Anche se Harry non amava chiedere o fare favori, si sentì costretto ad agire per conto suo. Peter continuava a fissarlo, cercando di insistere, di fargli capire che dopo quel suo gesto non era più una persona gradita lì dentro.
Il riccio non si preoccupò nemmeno di insistere, si voltò anzi, a guardare nuovamente quel posto. Desiderava tornare lì, era diventata ormai parte integrante della sua vita.
I tavoli di legno posti in fila, quella sottile polvere che pareva un manto di pioggia a coprirli.
Le luci soffuse di tutti i colori ad incorniciare l'ambiente. La musica ad un volume spropositato che, strano ma vero, azzittiva qualsiasi tipo di pensiero. Lo rivoleva. Rivoleva quel dannato posto.
Ma quando si voltò di nuovo e guardò gli occhi di Peter, si rassegnò. Cos'altro poteva andare storto nella sua vita? Desiderava tornare di nuovo bambino, quando le uniche responsabilità erano non fare la pipì a letto. Ma ripensandoci, non sarebbe stato poi così felice. Essere bambini, ritornare di nuovo in quella casa. Ad Harry venivano i brividi solo a pensare di vedere sua madre. E sua sorella che non si azzardò nemmeno a chiedergli come stava.
'Che illuso a pensare di essere compreso senza nemmeno parlare!' si ritrovò a pensare, sorridendo per prendere in giro Peter che in quel momento lo guardava con una smorfia di disapprovazione al 'Devo tornare qui' di Harry poco prima.
Fece per andarsene ma - "Harry, sarà la tua ultima possibilità" - disse Peter.
Adorava quel ragazzo più di qualunque altra cosa. Da quando era arrivato lì, i clienti aumentavano ogni giorno, senza parlare delle ragazze che entravano pagando qualche drink soltanto per vederlo. Una volta chiese anche ad Harry di cercare di socializzare con i clienti, ma tutto ciò che gli rispose fu un 'vaffanculo' pieno d'odio, come se gli avesse chiesto di buttarsi sotto un treno.
Peter veniva trattato male come tutti, da Harry, ma non si sbilanciava troppo per cercare di fargli uscire la parte tenera alla luce del sole. Quel trentenne dai capelli neri sapeva sempre come metterlo in riga, ma quando per il riccio il giorno era NO, ci toglieva il pensiero. Era un padre per lui, uno di quelli che tutti vorrebbero. Harry non aveva un padre.

"Se, okay. Dov'è la mia birra? Perchè hai spostato il frigo delle birre a destra? E che palle."
Harry non diede nemmeno peso a ciò che Peter gli disse dell'ultima chance e posò subito le sue cose dietro al bancone, guardandosi in giro per notare gli spostamenti fatti da Pit quando lui era via.
"In tre giorni hai spostato il frigo, gli alcolici e la cassa?"
"La cassa è un problema mio, insolente! Ora mettiti a lavoro e ti ho detto" - disse mentre strappava la sigaretta dalla mano di Harry con un espressione infastidita - "che quando ci sono i clienti, qui, non si fuma!"
Harry rise di sbieco, senza nemmeno curarsi del rimprovero.
"Infatti non ce ne sono!"
"Come no? Ci sono due ragazze lì infondo" disse Pit, indicando l'ultimo tavolo, notando il volto appena rosso di una delle due allo sguardo di Harry.
"Appunto, te l'avevo detto io che non c'è nessuno."
Pit rimase a bocca aperta, per poi sparire dietro la cassa.
Harry scherzava sempre sul fatto che le ragazze per lui non esistessero, perchè sapeva che a Pit dava fastidio. Era omosessuale e Pit gli chiese gentilmente di non dirlo alle ragazzine che venivano a 'fargli visita' per non perdere i clienti.
'Che razza di persona sei?' gli rispose Harry a quella richiesta, accendendosi una sigaretta come per una sana strafottenza.

Harry sorrise beffardo e si mise a lavoro.
Decise che la sua vita valeva la pena di essere vissuta.
Harry, decise di partire. Da lì.

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Capitolo 2
*** Difficoltà. ***




Era difficile convivere con tutto quel male.

Quando perdi qualcuno, la cognizione del tempo sembra farsi spazio nell'inconscio e si perde assieme alle cose che hai più nascoste.
Quando perdi qualcuno, in realtà, perdi anche te stesso.
Perchè riuscire a superare un dolore del genere, non bastava distrarsi o sfogarsi con qualcuno, non bastava ricordare e riuscire a sentirne il profumo. Non c'è soluzione, non c'è rimedio per fermare questo evento naturale e Louis lo sapeva.
Non l'avrebbe mai detto, non avrebbe mai pensato di perdere la persona che amava con tutta l'anima, l'unica che accettasse chi era, che riusciva a capirlo dal profondo.

Quella mattina era disteso sul prato del suo giardino, osservava con consistenza le nuvole cercando di formulare l'immagine di sua madre, per essere sicuro che, da qualche parte, vivesse ancora. Ma per lui tutto ciò non aveva comunque senso, perchè non era accanto a lui. E non si vergognava a dire che, a 19 anni, sua madre gli rimboccava ancora le coperte e stampava un dolce bacio sulla sua fronte. Amava parlare di sua madre ed una delle cose che amava fare, era estendere a destra e a manca l'amore che quest'ultima gli donava senza nulla in cambio.
Eppure, ci son persone che disprezzano la vita o si accaniscono contro le proprie madri, spesso per motivi banali e Louis non riusciva a non arrabbiarsi per questo.

 
Quanto vorrei ancora mia madre qui.
Ti prego, ritorna.
Perchè mi hai fatto questo?
Che ne sarà di me?
Mi manchi.
E ti odio.

Erano queste le uniche frasi che formulava la sua testa quando si metteva a pensare; ogni mattina sorgeva il sole e lui immaginava sua madre aprire le finestre e inondare la stanza di quei raggi caldi, che arrivavano dritto sul suo viso come a trasmettere il suo calore addosso. Ogni sera, tornando a casa alle 5 del mattino, Louis voleva sua madre accanto perchè come al solito, non era riuscito a combiare niente. Voleva un amore, voleva un amico, desiderava fare una vita normale. Ma non era mai stato così difficile per lui spazzare via quel manto di timidezza, di introversia e si ritrovava a piangere su se stesso.
E non riusciva ancora a capacitarsi che sua madre non fosse più lì. Come se non bastasse, dopo la sua morte, era riuscito a diventare più scontroso e ad avere quel pizzico di determinazione in più.

 
Almeno mi hai dato questo, mamma.
La forza di socializzare con le persone.
Nel bene o nel male, io lo faccio.

Accese una sigaretta disteso nell'erba, e pareva di inumidirsi la schiena perchè poco prima aveva piovuto ed ora c'era il sole ad asciugare quei fili d'erba che parevano luminosi solo con qualche goccia di pioggia. Era questo che desiderava: un sole perfetto dopo un'intera mattinata di temporale. E quale momento migliore della giornata per godere di un tempo mite perfetto per una tranquillità eterna? La sera.
Louis amava la sera e se non fosse per quelle stelle e quella luna, si sarebbe già inondato di paura, fallimento, debolezza.
Era masochista, lui non viveva per morire, lui moriva per vivere.
E adorava la notte perchè gli ricordava tanto sua madre, che a suon di ninna nanna, ad appena 5 anni, riusciva a farlo addormentare anche su una sdraio dopo un barbecue con gli amici. Ed amava l'umidità perchè ne sentiva parecchia nelle vene quando trascorreva la notte con sua madre disteso su quella sdraio.

Tutto gli ricordava Jay.
L'altalena retta su un albero, la sdraio della notte, la giacca malandata che sua madre osava porgli quando aveva freddo. E lui quella giacca la vedeva ogni secondo, perchè ogni volta che apriva il suo armadio gli faceva visita. Voleva tanto buttarla via, se non fosse per il suo attaccamento estremo alla madre.

 
Mi ricorda tanto lei.
Louis, devi andare avanti.

E di andare avanti non se ne parlava, perchè anche se lui aveva una vita lunghissima davanti, desiderava solo poter toccare nuovamente, anche solo per un secondo, il viso di sua madre.

Erano le 5 e 32 quando Louis cominciò ad infreddolirsi e, dopo un'attenta riflessione su come riuscire a vedere sua madre, decise di rintanare. La sua voglia di rientrare a casa e stare a sentire suo padre che lo obbligava a ritornare a studiare, era ben poca.
Aprì la porta con fare lento per non riuscire a farsi sentire, ma trovò suo padre sulla poltrona del soggiorno a guardare la tv. In realtà, non la stava guardando sul serio e Louis lo sapeva. Ogni gesto di suo padre, era seguito dal pensiero della moglie costantemente, ogni cosa facesse. Osserava la tv con fare assente, tirando dal sigaro di tanto in tanto e godendosi il bicchiere di whisky che, come al solito, era già vuoto in poco più di 3 minuti.


"Devi tornare all'università, domani iniziano i corsi" - Louis sussultò. Suo padre l'aveva visto con la coda dell'occhio rientrare in casa e se non fosse per gli occhi color oceano del figlio, lo avrebbe guardato in faccia. La voglia di leggergli negli negli occhi il disperato bisogno di sua madre, non era tantissima ed evitava addirittura di inserirla nel discorso. Ogni volta che suo figlio menzionava sua madre in un discorso o se ne andava in camera da letto o fingeva di dirgli una cosa importante, cambiando discorso in un batter d'occhio. Per Louis c'era voluto un pò a capirlo, perchè pensava di fare qualcosa di bello, ricordando sua moglie mentre lavava i piatti o abbracciava la tv quando trasmettevano la sua serie tv preferita. Era buffo ricordarla così, perchè ricordarla nei momenti di dolore? E suo padre questo sapeva farlo bene, sapeva trasformare un bellissimo momento in un qualcosa di rotto ed irreparabile. Non a caso, aveva eliminato dalla sua camera qualunque cosa riportasse a sua moglie, qualunque oggetto che riuscisse a raffiorare nella mente il concetto 'ricordo'. Ma Louis gli aveva vietato di togliere anche i suoi oggetti dal soggiorno, le sue foto sorridenti o la collezione di profumini sulla mensola in bagno.
"T-ti ho già detto..." - Louis chiuse gli occhi per un attimo e  prese un respiro - "ti ho già detto che non mi va."
Se non fosse per il suo carattere ormai spento, suo padre si sarebbe messo a sbraitare pur di convincere suo figlio a far qualcosa, ma con la rassegnazione era riuscito a calmare la sua ira ed a trovare un nuovo metodo per obbligare suo figlio a far qualcosa: insistere, chiedere le cose ogni secondo. Voleva che Louis ritornasse a studiare, che il futuro di suo figlio fosse migliore del suo, che qualunque cosa facesse si dimenticasse dell'assenza di sua madre. Ma dopo quel giorno, si arrese. Era impossibile farlo anche per lui, come riuscirci con un figlio?


"Prima di prendere una decisione del genere, Louis...prima di prenderla, pensaci. Per favore." - gli disse suo padre, con un tono duro ma malinconico allo stesso tempo, come volesse mantenere la stessa calma di sua moglie ma per Louis, lui, non avrebbe mai sostituito sua madre. In tutti questi anni era soltanto un immagine poco chiara quella del concetto paterno che girovagava in casa; suo padre era sempre assente, viaggiava per lavoro, quando poteva approfittava e restava fuori mesi e mesi.
 
Perchè ne senti ora la mancanza, eh?
Non potevi starle accanto quando era viva?

Avrebbe voluto dirgli queste parole, ma evitò, quando suo padre drizzò la schiena per qualche secondo e si alzò di scatto, camminando verso di lui.
Louis sentiva il sangue bollire dentro, il cuore non ebbe nemmeno il tempo di prendere una rincorsa che lo sentì battere sempre più forte. Ogni passo verso di lui, la velocità aumentava e quando ci furono occhi contro occhi, restarono a fissarsi per un tempo che per Louis sembrasse infinito e sembrava così duro con suo padre, che per la prima volta sostenne quello sguardo senza abbassare le difese. Fu suo padre a spostare lo sguardo per qualche secondo e poi ritornare sui suoi.


"Vuoi rovinarti la vita? Prego, fallo pure." - sussurrò suo padre a mò di provocazione, trattenendo sempre un velo di tristezza negli occhi.
"E da quando ti preoccupi per me, papà? Tu non ci sei mai stato per me. Lei c'era, tu no."
"Lei non c'è più." - urlò suo padre, abbassando gli occhi e stringendo i pugni. Louis era sorpreso da quell'azione istintiva, era dalla morte di sua madre che non aveva una reazione del genere e un pò si spaventò, ma non restò sulle sue, perchè aveva tanto da dire, ancora. E di certo una sera non sarebbe bastata.
"No, non c'è più" - disse Louis guardandolo negli occhi, con un sorriso nervoso stampato in faccia, trattenendosi più che poteva - "e non fare finta che ti manchi, non farti trovare sempre solo, malinconico, non fare finta che ti importi qualcosa. A te non è mai importato nulla di lei" - si fermò, ma ripartì qualche secondo dopo sbraitando, ad 1 cm dal viso di suo padre, scostando nervosamente i capelli - "sono stato io accanto a lei quando stava per andarsene! Ero io a curarla, mentre tu fottevi la tua segretaria!".


Uscire finalmente da quella casa, dopo la discussione statica ma incontrollabile con suo padre, per Louis fu una liberazione. Si ritrovò a respirare finalmente un'aria nuova, pulita; quella della sera, completamente diversa dall'aria che si respirava in casa. Oppressione, tristezza, mancanza di qualcosa di concreto. Quella sensazione a lui non piaceva per niente, lui che era stato sempre chiuso in casa, senza amici, si stava finalmente aprendo per affrontare una vita al di fuori di quelle quattro mura, che non fossero i cani o il cassiere del supermercato.
Adesso lui, aveva trovato Niall. Avrebbe dovuto ringraziare suo padre che, quella mattina dell'incidente di sua madre, lo obbligò ad andare all'università, urlando contro sua madre per convincerla ad essere più dura con il figlio, ad essere più determinata quando si parlava di lui.Ma avrebbe anche voluto strozzarlo, perchè sua madre era andata via e non avevano avuto nemmeno il tempo di ricoinciliarsi. Immaginava sua madre e suo padre litigare, urlare, sbraitare come i matti mentre lui usciva di casa per andare all'università. Sperava la situazione si calmasse, ma non andò così, perchè riuscì a sentire le loro urla anche sulla veranda, appena dopo l'ingresso. Ma dopo giorni a pensarci, la sua preoccupazione svanì. Insomma, a suo padre non è mai importato nulla, nè di lui, nè di sua madre. E lei lo sapeva.

 
"Adesso basta, chiudi quella bocca, insolente!"
"Devi smetterla di comandare tutto e tutti, Dean! Sono stanca di tutto questo!"
Louis si sentì morire. Strinse forte i pugni, una smorfia di dolore e rabbia allo stesso tempo e poi scoppiò. Scoppiò come mai prima nella sua vita.
E così lo sentì. Il sangue colare dalla mano, come per magia, come se quel gesto non fosse mai esistito, da essere così veloce come un registratore di cassette quando mandi avanti. Non se n'era nemmeno reso conto ed il dolore arrivò dopo una manciata di secondi, sia alla mano, sia al suo cuore che come per magia, si ruppe in mille pezzi alla visione dei suoi genitori litigare come frasennati. Non che fosse la prima volta, ma per Louis ogni volta era quella peggiore. E di conseguenza, le cose non smettevano mai di peggiorare.
"Chiudi quella bocca, faccia di merda. Esci subito da questa casa, se non vuoi che chiami la polizia!".
Quel pugno dato allo specchio subito prima la porta della cucina, era stato fatale. Gli aveva dato quel coraggio che non aveva mai avuto.
Quelle parole furono una lama per il padre, si sentiva trafiggere da qualunque parte ma riuscì a non sentire il dolore, perchè ciò che lo faceva stare più male, erano state le parole di suo figlio.



 

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Capitolo 3
*** La magia nell'aria. ***


Nel suo giorno di riposo, Harry, decise di andare a fare quattro passi. Come al solito, si ritrovava a girovagare in città da solo; per quanto forte credeva di essere, sapeva che questa cosa lo deprimeva al limite dell'abuso e decise di non pensarci. Non quella mattina, che dopo un estenunante settimana piena di fatica, sudore e mance fin troppo poche, decise di lasciare tutto alle spalle.

I passanti scorrevano come vecchie foto, davanti ai suoi occhi; aveva ormai perso la sensibilità all'umanità, sentiva di non far più parte di quella cerchia di esseri viventi, sentiva che sarebbe rimasto solo al mondo se solo non avesse avuto una forza interiore pari a quella di un muratore. Si dice che i sogni son più reali quando si fanno ad occhi aperti, ma Harry riusciva anche a smozzare quella realtà, perchè gli unici sogni che faceva erano ad occhi chiusi, e se avesse scelto lui se sognare o meno, avrebbe sicuramente rifiutato di perdersi in quella mandria di persone benevoli pronte ad aiutarlo ed a farlo sorridere. Harry, nei sogni, si vedeva come avrebbe voluto davvero essere, riusciva a vedersi come quello che in realtà non riusciva ad essere. Un pò lo confortava, ma quando si ritrovava di mattina, col fiato corto, inondato del suo stesso sudore, capì che il suo sogno non era altro che incubo. Perchè si accorse che tutto ciò che aveva sognato di notte, non poteva essere reale, quindi ogni volta si trasformava in un incubo vero e proprio. 
Intorno a lui c'erano amanti che si sorridevano l'un l'altro, chi col morale a pezzi probabilmente per aver ricevuto le bollette, di prima mattina o chi era felice e basta, anche senza aver niente. Lui non aveva niente e non riusciva ad essere felice. Ma la cosa più strana è che lui non avrebbe desiderato nulla, a parte una sana felicità. Ma la felicità si trova solo con l'amore, Harry questo l'aveva detto e ridetto nella sua testa quando ancora Sam era in vita, ma poi all'amore aveva smesso di crederci. Perchè se amare, voleva dire prendersi cura di qualcuno, farsi amare e poi perdere quella persona tutto d'un tratto, allora preferiva non farsi del male. Per quanto masochista fosse, l'amore per lui era soltanto un fallimento. Non ammetteva mai a se stesso di avere, infondo, paura di quest'ultimo. 


"Solito?" - chiese Niall con gentilezza, con un sorriso da squalo che tutti invidiavano. 
"Buongiorno anche a te, Niall. Si si, solito. Com è giusto che sia. La monotonia non mi tradirà mai!" - ribattè Harry sarcastico, fissando Niall che per qualche minuto, aveva messo una serenità al riccio indescrivibile. 
'Sei il barista perfetto' affermò Harry la prima volta che entrò in quel piccolo bar all'angolo della strada. Lo aveva ascoltato, lo aveva aiutato nei momenti di bisogno e tutto era legato al solito sgabello. Le cose di cui parlavano quei due ragazzi, erano rinchiusi in quelle quattro mura, su quello sgabello, su quel bancone.
"La vita è un dono prezioso. Su col morale, riccio. Che hai fatto poi con il Saturday? Pit ti ha ripreso?"
"Beh si, diciamo che..." - Harry smise di parlare quando si accorse che il suo sgabello, fu occupato in due secondi da un altro ragazzo.

"Oh merda..." - sussurrò Niall, con una smorfia di disapprovazione a ciò che Harry stava per rifare, ancora.
"Lieto di averti fatto accomodare sul mio sgabello, ma ora ritorna a me, grazie." affermò Harry, raggiungendo il ragazzo che, con fare confuso, strinse il telefono tra le sue mani per una sicurezza in più.
"Scusami, non mi pare ci sia un nome su questo sgabello. E non mi pare sia questo il modo di trattare una persona. Quindi, sempre ricambiando con gentilezza, sei pregato di levarti dalle palle, prego."

Harry esplose. Non amava litigare con nessuno, ma lo faceva sempre e non si spiegava il perchè. Trovava un modo per sfogarsi anche con un gesto di violenza, amava sentir dolore alle mani, quando i suoi pugni si ritrovavano schiacciati sulla faccia di qualcun'altro ed amava sentirsi vivo quando la rabbia s'impossessava del suo corpo. 
I suoi occhi si imbestialirono, le sopracciglia si ripiegarono su se stesse ed il suo viso si arrossì così tanto che il ragazzo sullo sgabello si spaventò. Non fu tanto perchè sapeva di aver quasi beccato un pugno in faccia, ma per quegli occhi. Per la prima volta in vita sua, non riuscì a definirli. Lo guardò, intento ad arrabbiarsi su una cosa così stupida e banale che si sentì subito parte di un qualcosa di suo. O forse, avrebbe tanto voluto essere come lui. I suoi occhi parlavano, ed Harry si calmò quando i loro sguardi si fecero intensi. Fu un momento così magico che, anche senza parlare, i due si ritrovarono più complici di qualunque altra simbiosi avvenuta in quel secondo, in tutto il mondo. Si sentirono protetti l'un l'altro con un solo sguardo, le loro labbra vibravano all'unisono ed il ragazzo sullo sgabello, ovviamente, non poteva che essere Louis. 
Perchè soltanto lui, poteva capire il dolore di Harry in quel momento. Lui percepì qualcosa di strano, qualcosa di diverso dagli altri e fatto sta, che lui anche si sentiva diverso dagli altri. E quale buon modo di vedere il mondo se non dagli occhi di qualcuno che somigliava a lui?

Quell'attimo fu eterno per entrambi, ma fu il riccio a cedere, seguito dallo sguardo confuso di Niall che, per osservare quella scena invitante, riempì due volte lo stesso bicchiere facendo arrivare l'acqua fino all'orlo. 
"Ciao Niall." - Harry si girò, afferrando la sua giacca dal bancone e camminando veloce verso la porta. Lo sguardo di Louis fu indecifrabile persino per se stesso, che si ritrovò più perso che mai a quella scena curiosa ed eccitante. 

"Scusalo LouLou, lui è così, è un pò.."
"E' un pò?" - chiese Louis incuriosito, ma il barista non rispose, perchè fu interrotto da Harry che ritornò con gli occhi sbarrati verso di lui.
"Di chi è quell'annuncio, Niall?"
"E'..E' di.." - fece Niall imbarazzato, girandosi verso Louis che era intento a bere il suo caffèlatte, indifferente a ciò che gli succedeva intorno.
"Non è possibile. Non dirmi che...no, lascia stare. Me ne vado."
"Aspetta Harry!" - fece Niall, prendendolo per un braccio.
"Non puoi fare sempre così, cazzo! Hai bisogno di soldi ed una compagnia non farebbe male. Sai bene che da quando..."
Harry s'incupì, abbassando lo sguardo e liberandosi lentamente dalla mano di Niall sul suo braccio.
"Scusami Harry, io non volevo..." - ribattè Niall al suo gesto, dispiaciuto più che mai per aver tirato in ballo Samuel.
"No, lasciamo stare. Va bene, cedo anche stavolta."

Fix you dei Coldplay risuonava nelle pareti di quel bar ormai dimenticato, ormai semivuoto, e facevano compagnia a quell'atmosfera vissuta. In quel bar giravano persone diverse di ogni età, di ogni sesso e di ogni esperienza. Tutti ricordavano quel bar e la magia che trasmetteva ai clienti; sarà per l'arredare del padre di Niall che dava un tocco più, sarà per quell'aria di antico che ancora faceva ripensare ai vecchi amori che si davano il primo bacio proprio lì. 
Harry sentiva la presenza di tutte queste cose messe insieme, e la forza di Louis, di desiderare una scossa alla sua vita, fu donata proprio da quel ragazzo che gli stava andando incontro. Quello che pochi minuti prima voleva pestarlo, quello che, a passo col ritornello di quella meravigliosa canzone, stava andando verso di lui, con un'aria del tutto diversa rispetto a quella che aveva prima.
"Ho letto l'annuncio. Io sono Harry, scusami per prima...io.."
Harry si sentì per la prima volta colpito da qualcuno, con una lama, si sentì trafiggere ma stavolta non sentì dolore, ormai abituato a quelle coltellate che il suo ego amava fargli. 
Louis lo fissò per qualche secondo, prima di ribattere. 
"Si, sto cercando un posto in cui stare. Se non hai sedie personalizzate o letti con un nome inciso sulla spalliera, vorrei sapere se potrei diventare tuo coinquilino. Me ne strafotto di tutti, mi serve solo un tetto in cui dormire. A casa non ci sarò spesso, Niall mi ha chiesto di sostituirlo per qualche mese, quindi lavorerò qui tutti i giorni, eccetto il giovedì."
Dopo quel discorso, Louis si prese le mani con fare speranzoso, odiando il "no" così tanto, che quasi odiò la parola stessa. Si morse la lingua per essere stato duro, cominciò a farsi le sue paranoie quotidiane per aver detto qualcosa di troppo, pregava Dio chiedendo una risposta positiva, giurando di dire "si" a tutti quelli che gli avrebbero chiesto qualcosa, se Harry avesse risposto esattamente così. 
"Affare fatto."

Louis fece un sospiro di sollievo, porgendo ad Harry la mano.
"Sono Louis, Louis Tomlinson." 

I due si guardarono, intenti a scoprire, l'uno negli occhi dell'altro, un futuro condiviso in quell'appartamento. Non sarebbero andati molto d'accordo.

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