*Cuore di ghiaccio*

di zoey_gwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. La lettera ***
Capitolo 2: *** Tutti hanno le loro fragilità ***
Capitolo 3: *** Una nuova studentessa ***
Capitolo 4: *** Un incontro speciale ***
Capitolo 5: *** AVVISO! ***
Capitolo 6: *** La festa del Liceo ***
Capitolo 7: *** Fidanzamento ***
Capitolo 8: *** L'incidente ***
Capitolo 9: *** Il bacio ***
Capitolo 10: *** L'ora della verità ***
Capitolo 11: *** L'imminente partenza ***
Capitolo 12: *** Mi hai lasciato ***
Capitolo 13: *** Irina Azirya ***
Capitolo 14: *** Lo chalet ***
Capitolo 15: *** La caccia al tesoro ***
Capitolo 16: *** Tra la vita e la morte ***
Capitolo 17: *** In ospedale ***
Capitolo 18: *** Il rapimento ***
Capitolo 19: *** Nel terrore ***
Capitolo 20: *** L'avventura al termine ***
Capitolo 21: *** Finalmente felici- ultimo capitolo ***



Capitolo 1
*** 1. La lettera ***


La pioggia cadeva senza sosta, incessante e perfetta.

Ero senza ombrello, senza cappuccio, ed ero già fradicia.

Piccole goccioline cadevano dai miei capelli bagnati, e i vestiti erano inzuppati.

Entrai a scuola, e percorsi velocemente il corridoio.

Quando entrai in classe, l'attenzione generale cadde su di me.

La prof, una donna rachitica con gli occhiali, mi squadrò da capo a piedi, poi interruppe la lezione.

-Ti sembra questo il modo di presentarti a scuola, signorina Smith?- chiese con aria di superiorità, gli occhi ridotti a due fessure.

Imbarazzata, sentii le mie guance imporporarsi, e sperai non si notasse troppo.

-No, ma...- tentai di dire, ma lei sbatté il pugno sulla cattedra.

-Niente ma! Il suo comportamento è rozzo e incivile! Si sieda, ora!- tuonò, poi mi guardò con occhi assassini.

Camminai velocemente vicino al banco, sedendomi più in fretta possibile.

Tolsi la felpa fradicia, e tentai di togliere un po' d'acqua dai capelli bagnati.

L'ora trascorse senza troppi intoppi.

Quando suonò la campanella, non mi uccisi come gli altri per uscire a prendere la bibita dell'intervallo, ma rimasi in classe.

Presi in mano il ciondolo attaccato alla collana che portavo.

Era un piccolo cuore di ghiaccio vero delle steppe russe, che per me significava moltissimo.

Lo indossavo tutti i giorni, anche quando dovevo fare la doccia.

Era parte di me.

-Non esci?- chiese una voce.

Alzai gli occhi, e vidi un ragazzo.

Aveva una cresta verde, occhi azzurri, sorriso perfetto.

L'ennesimo cretino che mi avrebbe insultato.

-No- risposi freddamente, abbassando gli occhi sul ciondolo.

-Tutti sono fuori- disse ancora, alzandosi dal banco.

-Io no, problemi?- chiesi, alterando il tono di voce.

Adesso probabilmente mi avrebbe fatto la solita battuta tipo “Sei una sfigata” oppure “Che idiota!”.

Invece non fu così, semplicemente sorrise beffardo e uscì dalla classe.

Quando la campanella risuonò nuovamente, tutti si fiondarono in classe, tra parlottii vari.

-Per favore, un po' di silenzio. Grazie- disse la prof di tecnologia, entrata in quel momento.

Tutti si zittirono.

-Oggi faremo un lavoro a coppie. Classificheremo i veri tipi di legni. Quando sentite il vostro nome, alzatevi in piedi. Courtney Barlow con Bridgette Jonson!- annunciò la prof.

Ecco, Courtney Barlow era la ragazza che più odiavo.

La reginetta della scuola, la più popolare.

Le prese in giro con lei erano assicurate.

-Gwendolyn Smith con... Uhm... Duncan Nelson!- ecco il mio nome.

Mi alzai, e vidi alzarsi anche il ragazzo di prima.

Mi sorrise, e ricambiai.

Ci sedemmo accanto, e io mi accorsi di quanto era bello.

Lui mi guardò fisso, poi distolsi lo sguardo.

-Iniziamo?- chiesi, prendendo il quaderno di tecnica.

Lui rise.

-Sei molto carina, sai?- esclamò, indifferente alla mia domanda.

Arrossii, e strinsi il ciondolo.

-G-grazie- mormorai.

-Forse, una delle più carine- continuò Duncan, ma questa volta non gli risposi.

La prof ci portò dieci tipi di legno, che in quel momento trovavo tutti uguali.

“Sei molto carina” “Forse, una delle più carine”.

Queste frasi mi risuonavano in mente, senza più abbandonarmi.

-Questo è legno di pioppo- decisi, prendendo il primo pezzo di legno.

Lui, però, non aveva intenzione di scrivere.

-Ehi, mi hai sentito?- domandai, sventolandogli una mano davanti agli occhi.

-Ti guardavo- disse solo, poi copiò la frase dal mio quaderno e la scrisse sul suo.

Alla fine della scuola, tornai a casa.

Pensavo a Duncan, a quanto aveva detto.

Mordicchiando il tappo della matita, mi accorsi di una lettera sulla scrivania.

La aprii, e lessi:

 

 

“Gentile sig. Jack Smith,

Siamo lieti di comunicarle che il documento

di adozione della signorina Gwendolyn Azirya

è scaduto.

La invitiamo a rinnovarlo sul sito internet

www.adozionirusseealaskane.com

cordiali saluti”

CONTINUA...

 

Angolo autrice:

 

Ciao a tutti!

Sono Gwen del duo zoey_gwen :)

Vi piace la storia?

Spero di sì :)

Recensite anche negativamente, please!

A presto,

Gwen

P.S il sito è puramente inventato, ovvio!

P.P.S continuerò la storia ha  tre recensioni, pucciosi!
Gwen: tre recensioni? È una follia! Chi vuoi recensisca una storia come questa??
andiamo, Gwunny, io spero proprio tanto di sìììì!!

 

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Capitolo 2
*** Tutti hanno le loro fragilità ***


La lettera mi cadde dalla mia mano tremante.

Scivolò lenta sul pavimento, per poi posarsi come un farfalla sul suo fiore.

Tremavo come una foglia, ero terribilmente confusa.

Non capivo il significato delle parole, sebbene avessi sempre saputo il loro significato.

Ma non su di me.

Non riuscivo a capire il loro significato su di me.

Avevo bisogno di calmarmi, quindi versai un bicchiere di acqua frizzante in un bicchiere di vetro.

Bevvi un sorso, ma il bicchiere cadde dopo poco.

La mia mano non riusciva a stare ferma.

Piccoli frammenti di vetro erano sparsi per tutta la stanza, e mi ricordarono il mio cuore infranto.

Mio padre sentì il fracasso, e aprì la porta.

-Gwen, che succede?- chiese allarmato.

Gli occhi mi si inumidirono alla vista di quella persona, tanto bugiarda da nascondermi la mia origine.

-C-cosa significa quella lettera?- sputai freddamente.

Mi guardò sinceramente stupito, poi sembrò capire e si portò una mano alla bocca.

-COSA SIGNIFICA QUELLA LETTERA?- urlai di nuovo.

Lasciai via libera alle lacrime che scivolarono lente.

-Gwen... Non te lo mai detto perchè...- lo fermai.

-Quindi la lettera dice la verità? Sono stata davvero adottata?- mi faceva uno strano effetto dire quelle parole.

Lui si avvicinò, tentando di prendermi le mani, ma io mi scostai.

-Non toccarmi, bastardo- sibilai, allontanandomi.

Una volta, non mi sarei mai permessa di parlare così a mio “padre”.

Ma adesso, quello che dicevo era poco in confronto a come mi sentivo.

Era la verità.

Ero russa, o alaskana, o di qualunque altro stato.

L'uomo che mi ha adottato è uno schifoso stronzo, non potrò mai perdonarlo.

-Gwen, io volevo dirtelo ma non è facile farlo- iniziò, la voce tremante.

Se non fosse per la situazione, avrei riso.

Difficile da dire? DIFFICILE DA DIRE?

-E PER QUESTO HAI PREFERITO NASCONDERLO! NSCONDERMI LE MIE VERE ORIGINI, E TUTTO QUESTO PER DICIASSETTE ANNI!- urlai, furiosa.

Volevo piangere, dare sfogo a tutta la mia rabbia, frustrazione, disperazione.

-So che ho fatto un gesto bruttissimo, ma io ti ho dato un tetto, una casa, affetto. Cosa che i tuoi non avrebbero fatto- spiegò Jack Smith.

Era l'unico nome potessi dargli.

-Non provare a nasconderti dietro queste cose. Quello che hai fatto non ha scuse, e non ti perdonerò, lo sai- decretai, fredda.

Lui si alzò dal mio letto, poi andò verso la porta.

-Gwen, io ti ho adottato per farti felice, niente di più- sussurrò, gli occhi lucidi.

Poi uscì, lasciandomi sola con il mio dolore.

Fuori pioveva a dirotto.

Mi affacciai alla finestra, e cominciai il mio pianto disperato, così sofferto.

Le mie lacrime si mischiarono alla pioggia.

Cosa avrei fatto adesso?

Sarei andata via di casa?

Avrei cercato i miei genitori?

Come mi sarei comportata con Jack Smith?

Non lo sapevo.

Se prima la mia vita faceva schifo, adesso non avrei proprio saputo dire una definizione.

Chiusi la finestra, e presi la lettera in mano.

Qua vi era scritto un sito internet, potevo farci un salto.

Presi il computer, e scrissi il sito su Google.

Passai tutto il pomeriggio sul computer, cercando negli archivi il mio nome, qualsiasi riferimento a me.

Niente.

Non vi era assolutamente niente.

 

 

La sera, a cena, non scesi come al solito nella sala da pranzo.

Non avevo fame e anche se l'avessi avuta in quel momento non sarei scesa comunque.

Sentii il rumore dei piatti e delle forchette, e il rumore dei passi di Jack.

Forse si aspettava che scendessi, ma se era intelligente probabilmente non l'avrebbe fatto.

Verso le nove e trenta, andai a dormire.

Anzi, meglio, mi coricai solamente dato che non potevo dormire.

 

 

La mattina, mi alzai molto presto.

Erano circa le sei, volevo uscire subito anche a costo di dover aspettare due ore fuori al gelo.

Non volevo rivedere Jack.

Mi misi la divisa scolastica, troppo colorata e vivace per i miei gusti, e mi truccai le labbra di nero, gli occhi con una matita nera e ombretto viola.

Uscii senza fare colazione, per fortuna quel giorno non pioveva e non mi infradiciai.

Una volta davanti al cortile della scuola, pensai che avrei potuto scappare, lontano da tutto e da tutti.

Non mi sarei mai liberata di quella sofferenza, mai.

Avevo voglia di sfogarmi, di urlare, piangere, mostrare tutto il mio dolore.

-Ehi, come mai già qui?- una voce maschile.

Quando mi girai e vidi Duncan arrossii leggermente.

-Non avevo voglia di vedere Jack- spiegai frettolosamente, sedendomi sul muretto della scuola.

Aveva una sigaretta in mano, e tirò una lunga fumata per poi buttare la cicca e schiacciarla sotto il piede.

-Jack? Non era tuo padre?- senza volerlo, quel punk centrò l'argomento.

Mi si inumidirono gli occhi.

-No.- sussurrai, fredda.

Lui sorrise maliziosamente.

-Perchè? Ti ha messo in castigo?- sghignazzò ironicamente.

Mi impuntai -CAZZO, NON CAPISCI? SONO STATA ADOTTATA!- urlai, con quanto fiato avevo nei polmoni.

Il sorriso andò via dal suo volto, e assunse un aria dispiaciuta.

-Scusa, non sapevo... Non immaginavo- balbettò, perdendo improvvisamente la sicurezza iniziale.

Alzai le spalle.

-Fa niente, dai- finsi, anche se in realtà l'unica cosa che volevo era piangere.

-Vuoi andare a fare una passeggiata nei dintorni?- chiese lui, cambiando fortunatamente discorso.

-Sì, va bene- risposi, e ci incamminammo verso il lago vicino alla scuola.

Ci sedemmo su una panchina proprio davanti al lago.

-Sai, mi dispiace molto per la tua situazione- ritornò sull'argomento, e non trattenni un sospiro.

-Non sai quanto dispiace a me- replicai, e lui mi prese la mano.

-Gwen, io sembro un punk duro e sicuro di me, ma in realtà ho anche io le mie fragilità, le mie insicurezze, le mie paure. Ho sofferto anche io, e talmente tanto da volermi nascondere dentro una corazza da duro. Mia madre è morta quando avevo due anni e mezzo, mio padre se ne è fregato altamente di me, drogandosi e andando a letto con le prime che gli capitavano. Non ho mai avuto una famiglia.- mi confessò.

Lessi la tristezza nei suoi occhi, e fui stupita da questa improvvisa dichiarazione di sincerità.

-Ho scoperto ieri dell'adozione. Una lettera diceva tutto quanto, io sono russa- gli dissi allora.

Lui mi prese tra le braccia, e sentii una sensazione di sicurezza in quella calda e dolce morsa.

Non ci parlammo, semplicemente restammo abbracciati per un po', a pensare.

-Oh, è meglio andare, sono le otto!- gridò all'improvviso Duncan, alzandosi e prendendo lo zaino.

Corremmo davanti alla scuola, e mi mancò il cuore.

Courtney Barlow, con il suo seguito di ochette, ci stava osservando avanzare con un espressione truce.

-Amore, che succede?- chiese con voce mielosa, più falsa di un soldo bucato.

Amore?

In che senso amo... No, no, no!

Ecco l'ennesimo stronzo che mi ha ingannata!

Lui è fidanzato con quell'oca della Barlow, mi ha solamente preso in giro!

Non dissi nulla, semplicemente corsi via.

Mi sedetti a terra, e cominciai a piangere in silenzio.

 

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Capitolo 3
*** Una nuova studentessa ***


Sbattei con violenza la porta, facendo sobbalzare Jack.

Egli attaccò subito, cercando di nascondere il telefono.

-Cosa succede?- domandai debolmente, leggermente confusa.

Lui mi venne incontro, prendendomi il viso tra le mani.

-Gwen, non succede niente, va in camera adesso- mi disse, preoccupato per qualcosa che non intuivo.

Annuii, poi salii le scale ed entrai in camera mia.

La mia camera era piccola, ma era uno dei pochissimi posti in cui ero davvero me stessa.

Il soffitto era blu notte, con pitturate stelle argentate.

Tutto il resto era nel mio stile dark, nero, viola, blu notte.

Mi gettai a peso morto sul letto, contemplando le stelle argentate.

Improvvisamente mi squillò il cellulare.

-Pronto?- risposi seccamente, una volta preso.

-Non credevo la mia telefonata fosse così mal respinta...- Ironizzò una voce, una voce che conoscevo benissimo.

Duncan.

-Invece lo è. Cosa vuoi?- domandai fredda.

-Sapere se tra te e quel chitarrista c'è qualcosa-

Mi scappò un risolino: lui era geloso?

-Non ti interessa-

-Ma mi interessi tu!- sbottò d'un fiato.

Sorrisi.

-Ah sì? E dov'è finita ora la Barlow?- sibilai acidamente.

-Io... Io l'ho mollata- sussurrò.

Rimasi stupita.

-O-Oh- riuscii solo a dire.

-Già.-

-Io devo andare- inventai.

-Non hai risposto alla domanda. Ti interessa il chitarrista, Sì O NO?-

-Non lo so- attaccai, come sfinita da quella conversazione.

Già, mi interessava Trent?

 

***
 

 

 

L'indomani, uscii sempre presto per andare a scuola.

Un sole risplendeva nel cielo ingrigito dalle nuvole, e si intravedevano le prime foglioline primaverili.

Percorsi il breve tratto a piedi, quando incontrai una ragazza con in bilico una pila di libri.

-Posso aiutarti?- chiesi.

-Sì, grazie...- rispose lei.

Presi quattro o cinque libri, e la vidi in faccia.

Capelli neri e lunghi, occhi neri come la pece, pelle candida...

Mi assomigliava molto, davvero molto.

-Vai a scuola?- domandai.

-Sì, anche se sono nuova. Mi chiamo Crystal, Cristaly Azirya, e tu?

 

 

***

 

 

Quando mi svegliai, la prima cosa che sentii fu un odore dolciastro, come di sciroppo per la tosse.

Vidi davanti a me una donna in camice bianco, e finalmente la mia visione si fece nitida.

Ero in infermeria, più precisamente l'infermeria della scuola.

-Ben svegliata, bella addormentata!- scherzò una voce.

Vidi che di fianco a me c'era Trent.

-Ciao... Ma che è successo?- domandai, con la testa rimbombante.

-Una studentessa nuova ti ha portato qua, eri svenuta- raccontò lui, scostandomi velocemente un ciuffo di capelli corvini dal viso.

Una morsa mi attanagliò lo stomaco.

Crystal Azirya... Il mio stesso cognome...*

-Trent, tu cosa ci fai qua?- chiesi per cambiare discorso.

-Sono al tuo fianco, come ho sempre voluto- sussurrò dolcemente lui.

Poi si avvicinò lentamente, e mi baciò.

Un bacio passionale, certo, ma non pienamente ricambiato.

Mi staccai, e lo guardai negli occhi.

Meravigliosi occhi smeraldini, certo.

Ma come sempre, ai suoi occhi si sovrappose l'immagine di Duncan.

-M-mi dispiace...- mormorò lui, prendendomi la mano.

Io sorrisi, e feci le spallucce.

-Non fa niente-

tra noi partì un silenzio, che ruppe la voce dell'infermiera, entrata in quel momento.

-Smith, credo tu possa andare in classe- disse la donna.

Io mi alzai, ringraziai e insieme a Trent uscii.

Avevamo l'ora di ginnastica, l'ora che odiavo.

Entrammo in palestra.

-Allora dobbiamo separarci... Ciao!- si allontanò nello spogliatoio maschile.

Io mi allontanai in quello femminile, e trovai lì dentro Crystal.

Si stava legando i lacci delle sue Nike da ginnastica, e quando entrai alzò lo sguardo.

-Ciao! Come stai?- mi chiese allegramente.

Io deglutii, e impallidii.

-B-bene- mormorai.

Mi cambiai velocemente la maglietta, e mi infilai al suo posto la maglietta blu della divisa di ginnastica.

Quando fui pronta, uscii.

Tutti gli studenti erano allineati, e mi aggiunsi vicino ad una ragazza di nome Dawn.

-Nella tua aura leggo inquietudine e preoccupazione... Potrei sapere perchè?- mi domandò improvvisamente Raggio di luna, fissandomi con i suoi occhi color ghiaccio.

Non ebbi il tempo di risponderle, che l'allenatrice fischiò.

-Allora, ragazzi! Oggi si gioca a pallavolo!- come al solito, pensai.

Ci dividemmo in due squadre, io ero con Dawn, Bridgette, Trent, Crystal e altri che non conoscevo.

-Annientiamoli!- esclamò Bridgette, facendomi l'occhiolino.

Già.

Ma tu li annienterai, io non so neanche tenere in mano la palla.

L'allenatrice fischiò, e la partita inziò.

Courtney tirò, e fece una schiacciata che non so come Bridgette riuscì a parare.

Poi la bionda tirò, e fece un punto.

Courtney prese la palla, e fece una micidiale schiacciata su di me.

Ovviamente, non la parai.

Giocammo una partita davvero schifosa (per me).

Alla fine, l'allenatrice ci riunì, e tossichiò.

-Allora, vorrei presentarvi una nuova studentessa. Si chiama Crystal Azirya, viene dalle lontane steppe russe-



 

Angolo autrice:

 

Ciaoooooooooooo!!!!!

Finalmente ho aggiornato ^_^

Spero vi piaccia anche questo chappy, ora devo proprio fuggire via (??)

Baciotti :D

Gwen


  * Vi ricordate la lettera con scritto il cognome di Gwen

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Capitolo 4
*** Un incontro speciale ***


Guardai la scolaresca entrare dal cancello arrugginito della scuola.
Ovviamente, Duncan era con quel gruppetto di oche.
Come avevo potuto sperare di poter piacere a Duncan?
Premevo la mia schiena contro il muretto di pietra, mentre calde e silenziose lacrime cadevano giù dai miei occhi color pece.
Era tutto così terribilmente complicato.
Non avevo più una vita da quando avevo scoperto della lettera.
Tutto ció che avevo costruito in diciassette anni era stato distrutto da una busta di carta.
Cominciai a giocherellare con il mio cuore di ghiaccio.
Lo strinsi così forte che fu una sorpresa per me vedere che non si era squagliato.
Qualcuno mi sfioró il ginocchio, e alzai lo sguardo.
Un ragazzo alto, con capelli corvini e occhi verdi e puri.
Lo sconosciuto mi porse la mano, sorridendo.
-Che ci fai qui tutta sola?- mi chiese il ragazzo.
La sua voce era dolce, romantica.
-Io... Non lo so.- abbassai lo sguardo, avevo paura di ricevere domande indiscrete.
Invece lui sorrise, poi mi disse solo -Io sono Trent, e tu?- 
-Gwendolyn Nelson, ma mi puoi chiamare Gwen- risposi.
Lo guardai negli occhi.
Per un solo secondo, vidi il viso di Duncan nel suo viso, e mi sentii male.
Poi tutto svanì, e ritornó tutto alla normalità, o perlomeno quanto normale potesse essere la mia situazione.
Aprì il cancello, e entrammo tutti e due.
Chiacchierammo su che genere di musica ci piacesse, e spuntò fuori che lui era un musicista, più precisamente un chitarrista.
Anche io suonavo la chitarra, ma la chitarra da rock.
La mia meravigliosa Rocker (questo era il nome arrecatogli da me all'età di quindici anni) era rosso fiammante, con inserti neri.
Una volta arrivati al grigio edificio della scuola, lui mi stampò un bacio sulla guancia.
Arrossii violentemente, purtroppo Trent se ne accorse.
-Ciao, a dopo- mi sussurró, e corse via.
Rimasi sola.
D'altronde, non era una novità, io ero sempre sola.
Entrai anche io, dopo pochi minuti vidi spuntare la mia classe.
Bussai alla porta.
Un noioso "avanti" mi diede la conferma che potevo entrare.
Quando apparvi sulla soglia della porta, successe proprio ció che volevo evitare.
Tutti gli occhi si puntarono su di me, e cominció un coro di bisbigli, probabilmente insulti.
Anche Duncan mi stava fissando, come rapito da qualcosa.
Cercai di trasmettergli tutta la mia frustrazione con uno sguardo, ma lui non capì perchè mi sorrise.Stranamente non ricevetti la solita ramanzina dalla prof, ma un sorriso.
Intercettai in quell'arco di labbra della prof una nota di compassione, anche se non capivo perchè.
Mi sedetti al banco, ero esattamente dietro Duncan.
Infatti, quest'ultimo si giró.
-Ciao, Gwen. Come mai così in ritardo?- mi chiese.
-Non ti interessa, punk- replicai freddamente.
Lui mi guardò stralunato.
-Successo qualcosa?- domandó, stupito.
-Smith, la smetta di disturbare la signorina Nelson e si giri!- sbottó la voce squillante della prof.
Duncan alzó gli occhi al cielo, poi si voltó.
Passammo l'ora a disegnare uno stupido cesto di frutta, una cosa che secondo la prof ci poteva aiutare a "capire la dimensione reale delle cose" ma che secondo me era un lavoro per bimbetti da sei  anni, dato che io lo sapevo fare proprio da quell'età.
Il mio lavoro prese una "A +", come al solito.
Allo squillare della campanella, uscimmo dall'aula.
-Gwen, che succede? Come mai sei così fredda con me?- Duncan mi mise la mano sulla spalla, poi con uno strattone mi fece voltare violentemente.
Lo guardai negli occhi.
-Chiedilo alla tua stupida ochetta- sputai acidamente.
-Di chi stai parlando?- 
Finsi una risata.
-Lo sai benissimo di chi sto parlando, e smettila di fingere bontà, sei solo l'ennesimo stronzo incapace di amare davvero- risposi seccamente.
Corsi via, lasciandolo lì, sbigottito come l'idiota che era.
Tutti gli studenti (esclusa io, ovvio) si erano organizzati nei soliti gruppetti per spettegolare un po' di cose idiote.
Io invece mi accoccolai vicino ad un'aiuola di rose, e con la mia matita "H2" cominciai a ritrarre la più bella rosa.
-Ehi, Gwen- Trent era lì, davanti a me.
Aveva una chitarra in mano, un po' vecchiotta forse ma davvero bella.
-Ciao Trent. Bella chitarra, è tua?- chiesi, indicando lo strumento musicale.
-Sì. Aspetta, ho.. Ho composto qualcosa per te- disse, balbettando.
Io sorrisi dolcemente.
Lui cominció a strimpellare.

-Quel giorno di sole, 
Di fiori di pesco laggiù, 
Vidi una ragazza, quella eri tu.
Bella come un fiore, delicata come una perla, 
Rara come l'amore vero...
Piangeva vicino a un muretto, 
Contemplando la vita, 
Mi piacque da subito lei..
Era come me, troppo simile e diversa- 

-Quel giorno di sole, 
Di fiori di pesco laggiù, 
Vidi una ragazza, quella eri tu.
Bella come un fiore, delicata come una perla, 
Rara come l'amore vero...
Piangeva vicino a un muretto, 
Contemplando la vita, 
Mi piacque da subito lei..
Era come me, troppo simile e diversa- 

Finì di strimpellare, poi mi guardò negli occhi.
Nessuno aveva mai fatto niente di simile per me, nessuno si era mai interessato così a me.
-Trent, è bellissima, grazie!- mi vennero gli occhi umidi, e lo abbracciai.
Qualcuno peró mi guardava in lontananza, incapace di comprendermi.
Duncan.




                                      ***



Ritornai a casa a piedi, come mio solito, anche se faceva davvero molto freddo.
Sperai con tutta me stessa di non incontrare Jack.
Quando aprii il portoncino di casa, sentii qualcuno parlare al telefono.
-Sì... Anna, non posso ridarti tua figlia, lei è tutto quello che ho! No.. Non puoi capire! La rivuoi? Dovrai uccidermi e passare sul mio cadavere, io non ti ridarò mai Gwen!- 


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Capitolo 5
*** AVVISO! ***


Ciao!
Questo non è un capitolo, é un avviso.
Io ho tre long con questa (cuore di ghiaccio, pokemon Battle e A tutto reality: il Castello!) da continuare, e non c'è la faccio proprio, inoltre ci si mette di mezzo la scuola (oh, perchè sempre lei??) e proprio non ci siamo.
Perció, ho deciso che questa Long va in pausa o verrà cancellata...
Mi dispiace, mi dispiace davvero, ma io ho mille idee per la testa e la voglia di scrivere un miliardo di Long.
Spero mi perdoniate, ma è così... Sono indecisa se cancellarla o no... Voi cosa ne dite?
Il vostro parere sarà decisivo, quindi per favore scrivetemelo!
Tanti dolcetti a tutti :3
Gwen

 

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Capitolo 6
*** La festa del Liceo ***


Strabuzzai gli occhi, e sentii una fitta allo stomaco.

Ok, questo era il tassello finale: lei era una mia parente, di certo.

O almeno che esistesse un'altra famiglia Azirya, provenire dalle steppe russe, con una figlia uguale a me.

Crystal andò accanto all'istruttrice, e sorrise ampiamente, mostrando una cosa che mi mozzò il fiato.

La sua collana aveva...

Un cuore di ghiaccio.

 

 

***

 

 

 

Dopo poco, io e Bridgette ci allontanammo nei corridoi, aprendo i nostri armadietti e prendendo i libri di chimica.

-Allora, quella Crystal ti assomiglia moltissimo!- osservò Bridgette, con un sorriso.

Io deglutii.

-Oh, davvero? Wow...- cercai di essere il più naturale possibile.

-Io devo andare in bagno...- spiegai ad un certo punto, correndo verso i bagni.

Prima di poter entrare, Trent mi blòccò.

-Ehi, Gwen! Allora, vieni?- domandò ad un certo punto.

-Dove?- aggrottai le sopracciglia, e lui mi mostrò un volantino.

-Come dove? Alla festa di inizio Liceo! Ci saranno tutti, si terrà nella discoteca qui vicino.- spiegò.

Discoteca? Oh, no.

L'unica volta che ero andata in una discoteca, avevo preso solo mezzo bicchierino di Vodka e il giorno dopo avevo già la febbre a 40 e la nausea più pazzesca di tutte.

E poi io odiavo le luci psichedeliche, il cui unico obbiettivo era mandarti in trans più di quanto fossi già dopo essersi scolati anche solo mezzo bicchiere di Alcool.

All'improvviso trillò la campanella, e ci separammo.

Da lontano, ad un certo punto, scorsi il gruppo della Barlow e della Watson.

Chiaccheravano e spettegolavano, così forte che sentii tutto.

-Stasera ci sarete, vero?-

-Certo, tesoro! Cosa ti metti?

-Abito mono spalla blu scuro, corto fino a ginocchio, e un paio di scarpe letteralmente fantastiche di Gucci!-

-Voglio ubriacarmi fino alla morte!-

-Io no, ho due genitori scassa palle che se mi ubriaco mi prendono a ceffoni...-

-Ehi Heather, vai con il Burromuerto?-

Risatine.

-Vaffanculo, Kate.-

-Heather e Alejandro! Heather e Alejandro!-

-Va al diavolo, Courtney! Comunque io non andrò con Burromuerto. Andrò con suo fratello, tanto per farlo incazzare un po'.-

 

 

Smisi di ascoltare quelle idiozie: possibile che potessero davvero sopportare tutti quei discorsetti?

Entrai nell'aula di scienze, cercando di concentrarmi sulle Particelle di Sodio quando avevo mille altri pensieri per la testa.

 

 

***

 

Uscii dalla scuola, come sempre tornai a piedi sebbene si gelasse letteralmente.

Percorsi un tratto molto breve, poi a me si aggiunse Crystal.

-Ciao, Gwen!- sorrise, e di nuovo scorsi la collana, sopra la dolcevita nera.

-Oh... Ciao, Crystal- mormorai.

Per un po' non parlammo, quando decisi di affrontare il problema.

-Bella collana...- cominciai, imbarazzata.

Lei abbassò lo sguardo.

-Questa? Non è un bel ricordo... Mi fa pensare a mia madre, Anna... Vedi, aveva regalato questo ciondolo a me e a mia sorella gemella. Si chiamava Gwendolyn.- raccontò, abbassando lo sguardo, facendo ricadere ciuffi corvini sulla pelle diafana.

Strinsi i pugni, e portai istintivamente la mano al mio cuore di ghiaccio.

-E... E c-come mai ha dato te e la tua gemella all'orfanotrofio?- la mia voce era flebile, e le lacrime stavano per scorrere sulle guancie.

-Perchè era malata, molto, stava per morire. Non so se è morta, ma penso di sì. Non aveva nessuno, era da sola. Nostro padre era uno stronzo che si era divertito ad andare a letto con lei e basta, poi l'aveva abbandonata appena saputo che era incinta. Oh, ora devo andare! Ciao, Gwen!- eravamo arrivati davanti al suo condominio, e lei mi salutò con la mano, correndo verso la porta.

Rimasi lì, come una povera stupida, poi mi diressi verso il breve tratto di casa mia.

 

 

***

 

 

Il pomeriggio mi rifugiai come al solito in camera mia, per finire i compiti di matematica e di filosofia.

Ero seduta alla scrivania d'ebano, con la testa ciondolante e mordicchiando la matita.

Fu allora, mentre stavo scrivendo la radice quadrata di 768 alla quarta, che sentii una vibrazione nella tasca della felpa nera: presi il mio Iphone 4s e lessi un messaggio.

 

 

 

-”Ci sarai alla festa?”-

 

 

 

Era di Duncan.

Sospirai, poi risposi:

 

 

 

-“No, odio le discoteche”-

 

 

 

Attesi qualche secondo, ed ecco la sua risposta.

 

 

 

-”Andiamo, Gwen... Ti devo parlare, e poi vorrei che tu ci fossi”-

-”Puoi parlarmi adesso, e comunque non vedo il perchè dato che c'è la Barlow”-

-”Non posso parlarti per messaggio, è importante! Sai bene che ho mollato Court”-

-”Chi mi dice che tu non ti veda con la Watson?”-
 

-”Sei gelosa? ;) Cmq no, Heather si vede con Burromuerto”-

 

 

 

Sospirai. Questa conversazione si stava dilungando un po' troppo.

 

 

 

-”No! Perchè dovrei essere gelosa?”-

-”Perchè io ti piaccio ;)”-

-”Questo lo dici tu”-

-”Andiamo, molla l'osso: so che ti piaccio, piantala di dire cazzate”-

-”Non dico cazzate, semmai le dici tu”-

-”Io ammetto che mi piaci”-

 

 

 

Rilessi per almeno 28 volte l'ultimo messaggio di Duncan, poi gli risposi.

 

 

 

-”Stai sparando un altra cazzata, vero?”-

-”No. Tu mi piaci, Gwen. Davvero.”-

-”Oh... Ehm... Comunque forse ci sarò alla festa. Forse.”-

-”Ti aspetto. Ora devo andare. XOXO”-

 

 

 

Spensi il cellulare, e lo rimisi in tasca, poi chiusi pesantemente i noiosissimi libri di scuola e li gettai accanto al mio zaino.

Aprii l'armadio viola e osservai attentamente i vestiti, poi ne presi alcuni e li stesi sul letto.

Provai davanti allo specchio uno nero, mono spalla, con alcune paiettes accanto alla spallina, corto fino al ginocchio; mi metteva in risalto le curve, ma forse era un po' troppo stretto.

Optai poi per uno blu notte, che variava verso l'orlo al turchese intenso, senza spalline;

Era davvero bello, ma si sarebbe visto il reggiseno se non avessi messo la fascia, cosa che non sopportavo.

Mentre mi sfilavo il vestito da sopra, sentii bussare alla porta, e mi rivestii in fretta.

Jack, senza aspettare il mio permesso, entrò quando mi ero appena rimessa la maglietta.

-Gwen... Ehi, cosa sono questi vestiti?- indicò i vestiti sul letto, e mi squadrò.

-Vado ad una festa in discoteca- risposi, cercando di darmi un tono disinvolto, mentre mi rimiravo davanti allo specchio tenendo in mano un vestito nero con scollatura a cuore.

-GWEN, TU NON MI HAI CHIESTO IL PERMESSO!- urlò, facendomi sobbalzare.

-Tu non sei mio padre, che permesso devo chiederti?- sbottai infastidita, posando il vestito sul letto.

Lui si rabbuiò, poi si grattò la nuca.

-Padre o no, ho comunque io la tua potestà, e questo significa che io decido cosa puoi fare! E, siccome tu sei minorenne, nelle discoteche non vai!- dichiarò.

Mi salirono le lacrime agli occhi, e mi impuntai.

-TU NON SEI NIENTE PER ME, NIENTE! SEI SOLO UN CRETINO, IO NON VOGLIO STARE CON TE! VOGLIO ANDARE CON MIA MADRE, E MIA SORELLA, STARE CON LORO E BASTA!- gridai, con la gola secca.

Mi resi conto solo allora ciò che avevo appena gridato, e mi portai istintivamente la mano alla bocca.

Lui spalancò le labbra, poi si avvicinò a me.

-Come fai a...- tentò di dire, ma lo bloccai.

-Lo so, perchè mia sorella, Crystal Azirya, viene alla mia stessa scuola. E mi ha raccontato tutto, tutto. Nostra madre potrebbe essere morta, ma potrebbe anche non esserlo. E io voglio credere che lo sia. Perchè in quel caso sceglierei lei a te.- sputai in faccia a quell'uomo, prendendo e stringendo in mano il mio cuore di ghiaccio.

Notai il velo lucido trasparire dagli occhi di Jack, e si portò la mano agli occhi.

-Se te ne volessi andare con lei, dovrai andare a vivere a Mosca, in Russia.- disse.

Abbassai lo sguardo, pensando a cosa dire.

-Non ti impedirò di andare dove vuoi e fare ciò che vuoi. Solo, porta un po' di rispetto a chi ti ha cresciuto e ti ha amato, dandoti tutto quello che ha.- le sue parole mi colpirono, ma non ebbi il tempo di rispondergli, perchè uscì sbattendo con violenza la porta.

Mi gettai sul letto, e diedi libero sfogo alle lacrime, che cominciarono a scorrermi lente e inesorabili sulle mie guancie marmoree.

Stavo sbagliando tutto, con Jack, con Crystal, con Duncan.

Già, Duncan.

Cosa doveva dirmi?

Sentii una vibrazione provenire dal mio cellulare, e lessi distrattamente il messaggio apparso sulla schermata.

 

 

-”Ciao! Senti, ho pensato molto a quello che ti ho raccontato oggi, e volevo riuscire a raccontarti tutto, proprio tutto. Vuoi venire a casa mia, stasera? Non andrò alla festa, odio le discoteche... Rispondimi presto! Baci, Crystal”-

 

 

 

Rilessi per un po' il messaggio di Crystal, poi mi stesi di nuovo sul letto: che avrei fatto? Sarei andata alla festa, o no?

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

CIAOOOOOOO!!

Che bello risentirvi a Cuore di Ghiaccio ^^

Sono contenta di non aver eliminato la storia... E voi?

Che ne pensate del capitolo? Fa schifo, vero?

Comunque, volevo chiedervi un parere:

secondo voi dovrei fare che Gwen va alla festa o va a casa di Crystal?

La maggioranza vincerà sul prossimo capitolo, comunque io avrei già qualche idea :)

Tanti dolcetti al cioccolato con un ricciolo di panna :3

Gwen

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Capitolo 7
*** Fidanzamento ***


PRE-ANGOLO AUTRICE:

 

 

CIAO CUCCIOLI! :3

Prima di tutto vorrei informarvi di una cosa: scusate per il capitolo precedente, mi ero dimenticata di mettere il carattere solito degli scorsi capitoli! Mi dispiace, spero che a voi non dispiaccia troppo!

Detto questo...

Buona lettura^^

Gwen

 

 

 

 

 

La sera scesi prima del solito a farmi un toast al formaggio, dato che non avevo la voglia di sopportare un'altra discussione a cena.

Mentre stendevo con cautela una fetta di formaggio sul pane, sentii una pressione sulla spalla.

Sentii anche l'alito caldo di Jack pulsarmi vivido sul collo, e mi girai.

-Gwen, io... Volevo scusarmi. Sono stato uno sciocco... E hai ragione, non posso impedirti di andare in discoteca. Non sono tuo padre.- concluse con una nota di malinconia nella voce, e io abbassa lo sguardo, pentendomi delle parole dette in precedenza.

-Mi dispiace anche a me di averti trattato male. Comunque non so se andrò in discoteca, stasera. Andrò a casa di Crystal.- presi il mio toast, e lo addentai con forza, assaporando il gusto saporito del formaggio sulle mie papille gustative.

-Oh, ok.- sorrise, e ricambiai, poi salii le scale per andare in camera mia.

Finii il mio panino, poi poco dopo ricevetti un messaggio:

 

 

Ciao, Gwen! Volevo sapere se venivi alla festa in discoteca... In quel caso, potevo passare a prenderti”

 

 

Era di Trent: possibile che nessuno pensasse ad altro tranne che a quella stupida festa?

 

 

No, non verrò. Vado a casa di Crystal”

 

Oh... Io pensavo che saresti venuta.”

Trent, odio le discoteche”

Potevamo stare lì per un po', poi ce ne saremmo potuti andare...”

E dove vuoi andare nel bel mezzo della notte?”

A guardare la luna in cima ad una scogliera, a suonare sulla spiaggia sentendo il rumore delle onde avvolgerci come una magia, oppure semplicemente passeggiare in riva al lago”

Tutto molto romantico, ma non credo sia possibile”

Era solo un pretesto per stare con te”

 

 

Questo l'avevo capito.

D'altronde, una persona che non mostra il minimo interesse per una ragazza non le va a scrivere di uscire con lui, perché era questo l'intento di Trent.

Non risposi più, ma subito Trent cominciò a rimandarmi un messaggio.

 

Gwen, tu mi piaci. E te lo avrei voluto dimostrare”

 

 

Anche qua non risposi, e spensi il cellulare per eventuali telefonate.

Tentai di finire l'ultimo compito di filosofia, poi dormicchiai un po': infine, mi vestii e uscii per andare a casa di Crystal.

 

 

 

***

 

 

 

Percorsi il breve tratto, osservando il mondo avvolto nella notte, quando arrivai davanti al portoncino del condominio.

Cercai il cognome “Azirya” sul listino dei nomi, poi schiacciai il campanello.

Aspettai un po', poi la porta si aprì ed entrai.

-Gwen! Aspetta!- Crystal mi corse incontro, e mi abbracciò, facendo scivolare i capelli corvini sulle mie spalle.

-Ciao!- esclamai io, notando che era in canottiera attillata.

La collana con il cuore di ghiaccio era ben visibile e spiccava sul nero della canottiera.

Lei mi accompagnò in casa, e mi spiegò che non c'era nessuno, dato che il suo tutore era via per lavoro.

Ci accomodammo sul divano color panna, con una scodella di caldi popcorn davanti.

-Grazie per essere qui. Volevo condividere con qualcuno la mia storia, e chi meglio di te può ascoltarla?- mi sorrise, e io deglutii.

Ero pronta (o quasi) a sentire la storia della mia famiglia.

-Mia madre- cominciò, con gli occhi già lucidi -Era una donna povera, molto povera. Viveva in una catapecchia a Mosca, dove lavorava come lavandaia. Un giorno, al posto di lavoro, incontrò mio padre: lui era un importante imprenditore russo, ricco e, almeno all'apparenza, un brav'uomo. Mia madre si innamorò all'istante di lui, e pure lui si perse negli occhi color inchiostro di Anna. Così si fidanzarono, e si frequentarono per molto tempo, poi lui la chiese in sposa: mia madre era così felice, che con le lacrime di gioia accettò. Dopo poco, lei rimase incinta di due gemelle, ma appena lo seppe mio padre, lui la abbandonò. Col tempo, Anna scoprì che lui la tradiva spesso, con alcune sgualdrine di un locale russo, e che aveva messo incinta molte di queste.

Mia madre non si perdonò mai di essere ceduta a stare con lui, e che le sue bambine stavano per nascere dal frutto di un amore impuro e tradito. Andò a vivere di nuovo nella sua catapecchia, dove da sola mise al mondo me e mia sorella.

Ci crebbe fino ai quattro anni, dove si ammalò gravemente di un tumore al pancreas. Le medicine erano troppo costose, ma con l'aiuto di una buona levatrice mia madre riuscì a sopravvivere per ancora qualche mese. Poi ci donò in orfanotrofio, colma di dolore. E da allora non so se è morta, se è viva. Non so più niente.- concluse con le lacrime agli occhi, stringendo un cuscino già inzuppato di lacrime.

Anche io avevo gli occhi lucidi, tuttavia cercai di non darlo a vedere.

-E-e tu come sai tutto questo?- domandai, ingoiando un pop-corn per soffocare i singhiozzi.

-L'ho saputo dal mio tutore, e poi da una lettera di mia madre.- spiegò Crystal.

Ormai era buio, e la festa doveva essere cominciata da almeno mezz'ora.

-La conservi questa lettera?- chiesi.

Lei annuì, poi si alzò, scomparendo nella sua stanza.

Tornò poco dopo, con un foglio di carta ingiallito e inzuppato di lacrime.

-Eccola- la ragazza me la porse, e cominciai a leggere:

 

 

 

 

Care ragazze,

vi sto scrivendo con un dolore immenso.

Probabilmente non vi rivedrò mai, e voi non rivedrete più vostra madre.

Sono ammalata, gravemente ammalata, e anche con l'aiuto di Sveva non so se sopravviverò.

Vi voglio scrivere questa lettera per spiegarvi che non vi ho abbandonato per odio, anzi, vi amo più della mia vita, ma io non so quanto mi resta da vivere, e non ho nessuno a cui affidarvi.

Spero che, leggendo questa lettera, non proviate disprezzo per me, perchè voi siete la mia vita.

Spero che stiate vivendo una buona vita, e che

pensiate a me ogni tanto, dato che io penso sempre a voi, ogni secondo che passa.

Vi amo, vite mie, vi amo come solo una madre sa fare verso le sue figlie.

Spero anche che queste brevi righe vi entrino nel cuore.

Vi amo, non dimenticatelo mai.

Con un immenso affetto,

Anna Azirya”

 

 

Non trattenni più le lacrime, e con la scusa di andare in bagno mi rinfrescai il viso, cercando di non sembrare una ragazza che aveva appena pianto.

Mia madre mi amava, e ora che ne avevo la consapevolezza mi sentivo così felice...

Ritornai da Crystal, e lei posò la testa sul mio petto, bagnandomi la mia maglia verde acqua di lacrime di dolore.

-Gwen, io non la rivedrò mai, e nemmeno mia sorella...- singhiozzò, piangendo.

Le accarezzai la guancia rigata di lacrime, e mi asciugai anche le mie.

-Crystal, io ti devo dire una cosa- dovevo rivelarglielo, dirle che io ero sua sorella e basta.

La ragazza alzò lo sguardo, incuriosita.

-Cosa?- babettò, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di puro lino candido.

-Io... Ehm... Io...- non sapevo come dirglielo. Era una cosa delicata e importante, non potevo buttarla al vento.

Tuttavia, forse non era ancora il momento giusto per riverarlo.

-Io sono molto dispiaciuta per te, davvero.- finii, sospirando.

Dopo un po', guardammo un album di foto di mia madre, mentre fuori il cielo si oscurava sempre di più.

-Crystal, e se andassimo alla festa?- proposi ad un certo punto. Non sapevo perchè mi era venuta questa idea, forse perchè dopo tutta questa tristezza volevo divertirmi un po'.

Lei ci pensò su.

-Non lo so... Io odio le discoteche.- momorò, insicura.

-Dai, ci divertiremo...- la guardai negli occhi, rispecchiandomi perfettamente, e lei annuì.

-Ok, ma tu hai portato il vestito?- chiese.

Scossi la testa, rabbuiandomi.

-Forse abbiamo la stessa taglia, siamo molto simili- osservò mia sorella, accompagnandomi in camera.

Mi mostrò alcuni vestiti, tra cui uno bellissimo:

era color ghiaccio, corto fino a ginocchio, spruzzato di brillantini argentei sulla scollatura a cuore, e mi stava a pennello: metteva in risalto i miei capelli corvini, e poi mi ricordava le steppe russe.

-Ti piace? Anche a me, comunque io metto questo- mi mostrò un abito nero, corto anch'esso fino a ginocchio, con uno strato orlato che svolazzava sulla parte inferiore.

Le stava molto bene.

Ci truccammo, io misi un rossetto nero, un lucidalabbra brillantinato, un filo di eileiner, ombretto azzurro sfumato a quello nero e mi piastrai i capelli.

Crystal invece si mise un rossetto rosso acceso, mascara, ombretto nero e si lasciò i capelli sciolti, cadenti sulle spalle, lasciandoli naturali.

Crystal prese il suo motorino (ebbene sì, aveva ciò che io avevo sempre voluto: un motorino!) nero, con striature in acciaio argentato, e sferzammo veloci fino alla discoteca.

Il vento mi accarezzava impertinente le gote, e mi sembrò di andare ad una velocità assurda, mentre invece era una velocità assolutamente normale.

Comunque era una vera forza.

Scendemmo davanti al locale, e entrammo insieme: la confusione regnava in quel caos, mentre luci psichedeliche colorate illuminavano la pista, e decine di ragazzi ubriachi ballavano sfrenati.

Mi girò la testa, e mi passai una mano sulla fronte.

-DUNCAN!- urlai, a forza della musica troppo alta che rimbombava nella discoteca.

Lo cercai in mezzo a quella folla, quando un ragazzo troppo ubriaco mi cinse la vita.

-Ehi, splendore...- mi chiese, ridendo, e notai la bottiglia di Margarita che teneva in mano.

Disgustata mi allontanai, cercando un punk dalla cresta verde.

Lo notai alla fine, mezzo ubriaco, fra la folla di Courtney Barlow e Heather Watson.

Courtney indossava un mini abito forse troppo corto, addirittura inguinale, e aveva un rossetto rosso acceso che risaltava le sue labbra carnose.

Heather invece era insieme ad un ragazzo dai capelli castani sciolti, ubriaca fradicia, e lo baciava appassionatamente, mentre lui, ubriaco marcio, le sussurrava paroline in spagnolo.

Mi avvicinai, e chiamai Duncan.

Il ragazzo, con un bicchiere di Crodino mischiato a Vodka, aveva la camicia bianca sbottonata fino a metà e i capelli arruffati.

Gli strappai il bicchiere di mano, infastidita, e lo posai su un tavolino vicino.

-Ciao...- mormorai poi. Lui mi sorrise, poi ricambiò il saluto.

-Allora, di cosa mi volevi parlare?- ci allontanammo da lì, sotto lo sguardo ormai ben poco lucido di Courtney.

-Gwen, mi sento poco bene... Possiamo parlarne domani a scuola?- farfugliò, portandosi una mano alla testa: evidentemente aveva bevuto, perchè sentii l'odore di alcool dalla bocca e sopratutto mi accorsi che l'indomani era sabato, quindi niente scuola.

Lo accompagnai fuori, dove ci appostammo accanto ad un muretto di pietra.

Rabbrividii per il freddo, mente il punk tirava fuori una sigaretta Malboro.

Con un accendino nero se la accese, e subito si dissapò una nuvoletta di fumo in aria.

-Duncan, smetti di fumare e ascoltami...- gli strappai anche la sigaretta dalle mani, e buttai il mozzicone a terra, schiacciandolo con il tacco argentato.

Lui alzò lo sguardo dal mozzicone, e incontrò i miei occhi.

-Gwen, senti, adesso non ho voglia di parlare...- camminò per un po', poi mi fece segno di rientrare.

Scossi la testa, delusa da lui: mi voleva trascinare lì per poi dirmi che non aveva voglia di parlare?

Feci per andarmene, quando qualcuno mi chiamò.

-Gwen!- era Trent, vestito con una camicia azzurra.

Si avvicinò a me, e notò i miei occhi lucidi per il punk.

-Stai male? Hai bevuto?- domandò, e io scossi la testa.

-No, non ho nemmeno assaggiato neanche un drink.- risposi.

Lui indicò la discoteca.

-Vuoi rientrare?- mi chiese.

-No, e non andrò mai più in discoteca. Mi ha accompagnato Crystal, speravo ci fosse...- rientrai un attimo, e la notai, seduta su un tavolino, sbuffare.

Era accerchiata da qualche ragazzo ubriaco, e quando mi vide si alzò e corse verso di me.

-Oh, finalmente! Odio le discoteche, mamma mia se le odio!- scoppiammo a ridere, poi uscimmo tutti e tre.

Lanciai un ultima occhiata al punk, che rideva insieme ad un altro tipo, con una bottiglia di Vodka Lemon in mano, mente vicino a lui c'era Courtney, che rideva anche lei, brindando insieme ad Heather e al tipo che l'asiatica continuava a baciare.

Abbassai lo sguardo, poi cominciai a passeggiare accanto a Trent e Crystal.

-Gwen, voglio parlarti di una cosa...- iniziò lui, lanciando un'occhiata a Crystal. Lei gli lanciò un occhiolino, poi si avvicinò al suo motorino.

-Io devo andare, sono molto stanca... Ciao a tutti e due!- si sentì il rombo della moto, poi partì scomparendo nella notte.

Io e lui camminammo accanto al lungo mare, osservando l'oceano color cielo che si infrangeva sugli scogli.

-Gwen, tu mi sei sempre piaciuta molto, ma non come amica... Io... Io ti amo- scandì bene l'ultima parola.

Tra noi piombò il silenzio, e il mio sguardo si posò sulle onde scure.

Improvvisamente Trent mi prese la mano, e , come in un film, si inchinò.

Lo guardai, stupita.

-Gwen, vuoi essere la mia ragazza?- proprio come in un film.

E a questo punto la ragazza, protagonista, avrebbe detto di sì, felice.

Ma io non sapevo, perchè io non ero innamorata di lui.

La mia mente corse a Duncan, ma mi rabbuiai ricordandomi cosa era successo poco prima.

E adesso? Ora cosa avrei fatto? Avrei detto di sì a Trent oppure no?

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

 

Ciao!

Eccomi di nuovo qui^^

Sono stata veloce, questa volta ;)

Che vene pare? A me piace abbastanza... E a voi?

Aspetto le vostre recensioni^^

Gwen

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Capitolo 8
*** L'incidente ***


Distolsi il mio sguardo dalle onde grigio-blu, e fissai gli occhi speranzosi di Trent.

Era ancora inginocchiato, mostrando fra le mani una scatoletta di velluto blu notte, con dentro un meraviglioso anello con zaffiro, che splendeva e rifulgeva nella luce.

Uno spiffero di vento gelido, proveniente dalle maree, mi fece rabbrividire, e mi maledissi di aver messo un vestito così corto, ma anche di essere venuta in discoteca.

-Gwen, allora...?- sussurrò, accarezzandomi teneramente la mano.

Io sospirai, pensando velocemente a Duncan e Trent.

Duncan... Be, io ero innamorato di Duncan, ma per l'ennesima volta si era dimostrato l'ennesimo stronzo.

Trent, lui era dolce e comprensivo, ma io non provavo niente per lui.

Assolutamente niente, tranne affetto, un affetto che ci può essere tra amici.

-Trent... Io... Questa è una proposta così improvvisa...- mormorai, confusa, arrossendo violentemente, ma sperai che non si notasse per via del buio.

Lui chiuse, leggermente nervoso, gli occhi smeraldini,

-Gwen, io ti amo davvero, e nessuno ti ama come ti amo io. Neanche Duncan. Voglio solo una possibilità.- decretò, calmo.

-...E va bene. Sì, v-voglio essere la tua ragazza.- sussurrai. Lui scattò in piedi, e mi stampò un improvviso bacio sulle labbra, poi con emozione mi infilò l'anello all'anulare.

Mi abbracciò, felice, poi mi prese il viso fra le mani.

-Non te ne pentirai, amore mio.- sussurrò, poi mi baciò di nuovo, questa volta con passione.

Mi staccai da lui con violenza, con le lacrime agli occhi e una voglia di piangere, ma mi trattenni.

-Vuoi che ti porto a casa?- domandò poi, intrecciando le dita nelle mie.

-Sì, grazie.- risposi, con lo sguardo basso.

Camminammo per un po' in silenzio, poi arrivammo alla sua moto.

Era argentata, con scritto in bomboletta verde “Trent” accanto alla ruota.

-Posso guidare io?- chiesi.

Avevo voglia di sperimentare cosa si prova su un motorino, e di provare l'adrenalina che avevo provato con Crystal.

Lui mi guardò preoccupato, prendendo il casco nero.

-Sai guidare una moto?- domandò.

Io annuii, anche se non ne ero affatto sicura.

Lui acconsentì, sedendosi dietro, e cingendomi la vita con forza.

Io palpai con i palmi della mano il manubrio, poi schiacciai il pedale dell'accelerazione.

Partimmo a velocità assurda, talmente veloce che non sentivo i rumori intorno a me.

Mi sembrava di sfrecciare nell'aria, un razzo argentato che rifulgeva nel cielo notturno.

Mi venne il mente il pensiero di Duncan, e di Courtney, di come se la stavano spassando adesso.

Per quanto ne sapevo, potevano essere talmente ubriachi da essersi scambiati molto più di un bacio.

Mi salirono le lacrime, e le lasciai scorrere liberamente, mentre premevo sempre con più forza il pedale dell'accelerazione.

Perchè mi ero innamorata di Duncan?

Perchè dovevo soffrire per colpa sua?

Perchè doveva essere tutto così maledettamente difficile?

Improvvisamente ebbi un sussulto, e sentii le grida di Trent, che urlava da un po' di tempo.

-GWEN! ATTENTA!- sbraitava.

Il manubrio mi sfuggì di mano, e sbandai contro la ringhiera che distanziava la scogliera dalla città.

Caddi velocemente, e il casco rotolò via, mentre il cranio sbattè contro il ferro della ringhiera.

Aprii gli occhi per un istante, vedendo Trent svenuto accanto a me, poi sentii la sensazione di sangue avvolgermi.

Infine, il buio più totale.

 

 

***

 

 

 

-Si è svegliata?-

-Sì, si è svegliata.-

-Oh, grazie al cielo! Gwen... Gwen!-

-Che paura che ho avuto...-

 

 

Aprii gli occhi, e venni accolta da un forte mal di testa, talmente forte che mi spaccava il cranio a metà.

La vista era confusa, nitida, non distinguevo bene i volti delle persone accanto a me.

Qualcuno mi accarezzò la guancia con delicatezza, apprezzai quel gesto dolce.

La vista si fece più chiara, distinsi le forme attorno a me: Jack, Crystal, Trent e... Duncan.

Lui era seduto accanto a me, ed era lui che mi aveva accarezzato la guancia.

Portai un mano alla testa, che scoppiò di nuovo di un male indescrivibile.

Notai che era fasciata, e anche pesantemente: diversi strati di bende ricoprivano tutto il cranio.

-C-cosa...- balbettai, riuscendo a dire solo quello prima di venire accolta da un altro scoppio mentale.

-Gwen! Stai bene?- era Trent, seduto accanto a me dall'altra sponda del letto.

Gemetti, con la testa che scoppiava vivida, e non riuscii a dire nulla.

La bocca era impastata, e mi sentivo debole.

Notai altre fasciature al braccio, al polso e alla coscia.

-Non pressatela troppo con le domande. Ha appena subito un incidente piuttosto grave, quindi è naturale non riesca ancora ad esprimersi. Deve avere un incredibile emicrania al cranio, una frattura incisiva che ha provocato una forte emorragia. Adesso l'abbiamo bloccata, ma deve avere una grande emicrania al cervelletto e nelle zone battute.- spiegò il medico, controllando una macchinetta la cui, attraverso un filo, era attaccata al mio naso e attraversava tutte le guance.

-Non dovevo farti guidare quella stupida moto... Perdonami, amore mio!- Trent scoppiò in lacrime, attirando la compassione di Crystal, che gli cinse il collo con un braccio, e di Duncan, che gli lanciò un'occhiataccia.

-Ah, inoltra ha una frattura al polso; dovrà mettere il gesso per almeno un mese.- aggiunse il medico.

Jack annuì, poi tirò fuori alcune banconote.

-Grazie, dottore. Mi dica, potrebbe avere una ricaduta?- chiese l'uomo.

Lui annuì -Sì, se subisce emozioni troppo forti o fa sforzi probabilmente subirà una ricaduta. E in quel caso, non credo che il cervello resista. Ha subito anche lui un forte colpo.-

Trent, con gli occhi velati di lacrime, mi stampò un leggero e veloce bacio sulle labbra.

-Dimmi come stai... Gwen, mi maledico ogni istante per averti fatto guidare quello schifo!- il mio ragazzo sbattè i pugni in aria.

Capii che dovevo parlare, ma ancora mi faceva tutto troppo male, e l'unica cosa che mi uscì fu:

-Mmmmh...- un gemito, ecco.

Portai il polso fratturato alla testa, e strillai di dolore.

Crystal si sedette ai miei piedi, giocherellando con il suo cuore di ghiaccio.

Mi portai istintivamente la mano al collo, notando con orrore che la collana non c'era più.

-T-Trent... L... Collana...- farneticai, venendo bloccata come sempre dal dolore.

Lui aggrottò le sopracciglia.

-Collana? Cosa...- non ebbe il tempo di finire, che il medico ordinò burbero a tutti di uscire.

-Dobbiamo fare ancora alcune analisi, e lei sta troppo male per poter sopportare tutta questa confusione.-

Tutti annuirono, e uscirono, tranne Duncan.

-Se ne vada, per cortesia.- disse l'infermiera, intenta a cambiarmi la flebo.

Lui annuì, poi mi lanciò uno sguardo pieno di dolore, comprensione e amore.

-A-Ah...- gemetti ancora, portandomi la mano alla testa.

 

 

***

 

 

 

Passarono i giorni, le settimane.

Ogni giorno tutti venivano a trovarmi, e io ogni giorno miglioravo poco a poco.

Il terribile dolore alla testa sparì quasi del tutto, lasciando spazio ad una leggera emicrania che, secondo il medico, se ne sarebbe andata non facilmente.

Il polso era ingessato, ma avrei potuto togliere il gesso fra poco, mentre quello alla coscia l'avevo già tolto.

Ero ancora in ospedale, ma ero stata informata che mi avrebbero rilasciata fra due o tre giorni.

Quel giorno mi passò a trovare solo Duncan.

Alzai gli occhi al cielo, e abbassai lo sguardo.

-Gwen, io...-

-Ah, no! Non voglio sentirti! Dovevi parlarmi l'altra sera, ma, ovvio, eri impegnato a ubriacarti e a osservare l'abito inguinale di Courtney...- ribattei, fredda, decisa a chiudere lì la questione.

-Gwen, ero ubriaco, ma non ho osservato nessuna Courtney e nessun'altra. Io volevo dirti che...-

-Non voglio sentire! Non capisci che tu mi vuoi solo quando ti fa comodo?-

-Non è vero! Non è assolutamente vero, tu mi piaci molto e lo sai!- sbottò.

-E COME MAI NON ME L'HAI DIMOSTRATO L'ALTRA SERA, AL POSTO DI UBRIACARTI O FUMARE?- urlai.

-IO ERO UBRIACO, NON POSSO NEANCHE BERE UN BICCHIERINO?- urlò di rimando.

-UN BICCHIERINO? SEMBRAVANO ALMENO DIECI O VENTI, BICCHIERINI! NON POSSO CREDERE CHE TU SIA COSì MESCHINO!- gridai con tutte le mie forze.

Le lacrime scorrevano libere, mentre guardavo con disprezzo Duncan.

-SAI UNA COSA? ADDIO, GWENDOLYN SMITH!- urlò, arrabbiato, uscendo con violenza.

Io scoppiai a piangere, e mi abbandonai sul letto.

La testa pulsava ancora, ma non più del mio cuore infranto.

 

 

 

***

 

 

 

Mio padre comparì due ore dopo dalla porta, con un enorme mazzo di gigli azzurri, i miei fiori preferiti, e una scatola di cioccolatini.

Al seguito c'erano Crystal e Trent, ovviamente non Duncan.

Sospirai, come dispiaciuta, poi sfoderai un sorriso per ringraziare dell'accoglienza.

-Gwen, oggi torni a casa! Come sono felice!- esclamò contento Jack, porgendomi i fiori.

Io annuii distrattamente, quando Trent mi prese la mano, quella dove vi era incastonato l'anello di fidanzamento, e la baciò.

-Sono così felice, ho avuto una paura...- una nota di tremito accompagnava la sua voce melodiosa.

Gli diedi un leggero bacio a stampo, poi lui mi accarezzò la guancia.

Alla fine, ringraziammo il medico e uscimmo dall'ospedale.

Respirai a pieni polmoni l'aria fresca che incombeva sul sole mattutino, e mi sentii libera.

Fu una cosa che mi portò all'agghiacciante verità: il mio cuore di ghiaccio non c'era più.

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

 

Ciao a tutti!
Come vi è sembrato questo capitolo?

A me non dispiace, però sta a voi decidere^^

Sotto aggiungerò le immagini dei vestiti da discoteca di Gwen, Courtney, Heather e Crystal alla festa e l'anello di fidanzamento di Gwen^^

A presto e tanti dolcetti ai frutti di bosco a tutti :3

Gwen

 


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Capitolo 9
*** Il bacio ***


Mi portai la mano al collo, cercando la collana, ma non la trovai.

Non c'era, e non sapevo dov'era.

Fissai le auto che sfrecciavano veloci sul duro asfalto, mentre i grattacieli si stagliavano nel cielo.

Una lacrima cristallina mi rigò il volto, mentre le gambe stavano per cedere.

Jack fermò un taxi, e mi chiamò.

-Papà, la mia...- non mi fece parlare, perchè mi spinse dentro il taxi, vicino a Crystal, chiudendo la porta con forza.

Partimmo veloci, mentre la mia mano correva al collo nudo, in cerca della collana che non c'era.

 

 

 

***

 

 

 

Corri, corri, e corri ancora: devi trovarlo, quel sogno, quel sogno che hai sognato e che hai pensato. Perchè senza di quello, non sei più niente.”

 

 

 

Stavo rileggendo “Poesia Etnica”, soffermandomi ad osservare quella frase.

Passai il dito sulla frase, sentendo una scintilla corrermi su per le vene.

Chiusi il tomo con forza, poi presi il cappotto nero e la sciarpa blu notte.

La collana non poteva aspettare.

 

 

 

Amore mio, come stai?”

 

 

 

Un messaggio di Trent comparve sullo schermo del mio Iphone 4s, mentre mi infilavo la felpa nera con striature oro, e mi affrettai a rispondere.

 

 

 

Trent, possiamo incontrarci al molo? Voglio cercare la collana... Quella con il cuore di ghiaccio”

 

 

 

 

Non risposi alla sua domanda, comunque quello era certo più importante.

 

 

 

 

Gwen, forse dovresti riposarti... Sei appena uscita d'ospedale!”

 

 

 

 

Strinsi i pugni, ringhiando di rabbia.

Possibile che non capiva quanto fosse importante per me?

 

 

 

 

E comunque, io non ci posso essere. Ho un provino per entrare nella band “RockerFutureBand” ti rendi conto? Oddio, entrerò nella band se tutto va bene... Non ci credo ancora!”

 

 

 

 

Mi arrabbiai con Trent.

Lui non si preoccupava per me, lui se ne fregava altamente.

Come faceva a non capire? Quella era tutto per me.

L'unico legame con il mio passato.

E lui, certo, doveva inseguire il suo sogno.

Entrare nella “RockerFutureBand”, amare la musica fino in fondo... E allora goditi il tuo stupido sogno, ma io non ci sarò, come tu non ci sei stato con me. Perchè, come avevo letto anche in “Poesia Etnica” ,

 

 

 

Capisci che è amore vero solo quando riesci a dire “Grazie”. Ed è raro dire quel “Grazie” sincero, quanto è raro che un pittore sordo dipinga il rumore di un petalo di rosa infrangersi su un pavimento di cristallo di un castello mai esistito”

 

 

 

 

Ormai ero pronta per uscire.

Scrissi un veloce messaggio a Trent:

 

 

 

Insegui il tuo sogno, allora. Tanta fortuna.”

 

 

 

 

Avrei voluto dirgliene quattro, ma non sapevo come dire, perchè per dire la verità mi serviva guardare i suoi occhi e ricordare quanto fosse stato meschino con me.

Spensi il telefono e me lo misi in tasca, poi uscii velocemente.

 

 

 

***

 

 

 

 

Arrivai al molo nel momento esatto in cui il sole tramontava.

Mi affacciai alla ringhiera che si affacciava alla scogliera, e osservai il dirupo scosceso, ricco di casette caratteristiche, illuminato dai raggi rosei e dorati che si alteravano in un trionfo di colori.

A completare il quadro vi era il mare attraversato da sfumature violette, che si infrangeva sul dirupo, lanciando in aria mille goccioline di cristallo illuminate di luce.

L'ebrezza calda e soffusa del mare mi scompigliò i capelli, distraendomi per qualche istante dalla mia “missione”.

Poi ritornai bruscamente alla realtà, e cominciai ad esplorare il molo.

-Signorina, posso...- borbottò una voce.

Alzai lo sguardo, e trovai a pochi centimetri da me gli occhi di un azzurro immacolato di Duncan.

-Che ci fai tu qui?- chiesi freddamente, grattandomi la nuca.

-Non posso più venire al molo perchè non ci sei tu?- sentenziò lui, lanciando un rapido sguardo alle onde.

-No, ovvio.- tra noi si creò il silenzio, ognuno aveva bisogno di pensare delle tante cose che erano successe negli ultimi tempi e non potevamo trascurare le litigate... Però nemmeno quello che c'era fra noi.

Perchè qualcosa c'era.

Il vento sferzò i capelli, e una ciocca mi finì dritta nell'occhio, accecandomi per qualche istante.

-Senti, cosa fai qui da sola? Non c'è il tuo fidanzato?- pronunciò l'ultima parola con una nota di disprezzo, senza guardarmi negli occhi ma fingendo di essere interessato ad un pigro gabbiano che svolazzava sulla spiaggia.

-No, Trent non c'è. Sono qua perchè ho perso la mia collana... Quella con il cuore di ghiaccio. È l'unica cosa che mi lega a mia madre.- il velo di lacrime nei miei occhi si intensificò.

-Lo ritroveremo.- sentenziò.

Troveremo? Quindi io e lui?

Non sapevo perchè questa cosa mi lasciava felice, o forse lo sapevo fin troppo bene...

-Vuoi aiutarmi?- chiesi, leggermente intimorita.

Lui annuì.

Un altro silenzio si creò tra noi, e cominciammo ad esplorare il molo e dintorni.

-Forse è sulla spiaggia?- ipotizzò lui.

Scendemmo i gradoni di pietra e ci ritrovammo sulla spiaggia.

Tolsi le scarpe, e mi immersi in quella coltre dorata.

Il sole la irradiava, facendola brillare di mille colori.

Duncan si avvicinò al bagnasciuga, e fece qualche passo in acqua.

-Gwen, vieni!- mi fece un segno con la mano, mentre si toglieva la camicia e si buttava in quella coltre cristallina.

Io scossi la testa, cercando sotto la spiaggia.

Fu allora che successe.

Lui mi cinse la vita con le braccia bagnate, buttandomi in acqua.

Riemersi poco dopo, con i capelli fradici e la tosse cronica per via della bevuta.

-Sei scemo?- sputai, tossendo.

Mi cinse di nuovo la vita, e cominciammo a giocare come bambini, spruzzandoci d'acqua e schizzandoci.

Lui diede una sferzata ad un punto calmo, che gocciolò infradiciandomi ulteriormente.

Mi parai con le mani, ridendo, e caddi in acqua insieme a Duncan.

Quando riemersi me lo trovai a mezzo centimetro dal mio viso, con il respiro affannato le gocce di mare che colavano giù per il viso.

Il cuore cominciò a battere incessantemente, mentre il mio respiro non era ancora regolare.

Tirò una mano bagnata dall'acqua e mi accarezzò la guancia con la stessa dolcezza di quando ero in ospedale, poi azzerò la distanza.

Gli presi a sua volta il viso, e ci baciammo con passione e a lungo, poi quando ci staccammo lui mi prese fra le braccia e mi fece volteggiare nell'acqua, creando uno spruzzo di goccioline intorno a noi.

Alla fine, uscimmo dall'acqua e ricontinuammo a cercare.

 

***

 

 

 

 

La sera ero ancora fradicia dall'acqua, quindi decisi di farmi una doccia calda.

Scesi le scale, e proseguii verso la doccia, aprendo e regolando l'acqua a temperatura media.

Mi svestii, poi entrai e mi lavai, sciacquandomi l'acqua di mare dal viso e dal corpo.

Notai che non avevo ancora tolto l'anello di Trent, e nel vederlo mi prese una fitta allo stomaco.

Trent.

Non mi ero fatta scrupoli a baciare Duncan, mentre lui mi amava con tutto il cuore io... Io l'avevo tradito.

Mi sfilai con cura l'anello, ancora sotto il getto d'acqua della doccia, e fissai lo zaffiro blu intenso, che rifulgeva a ogni movimento, e la struttura argentata.

Lo rinfilai, ancora con lo stomaco sottosopra, e mi insaponai i capelli.

 

 

 

***

 

 

 

 

Correvo, correvo come una pazza, mentre la pioggia batteva costante sul mio viso.

Lei era là, ne ero certa, e insieme c'era lui.

Corsi ancora, entrando nell'edificio, quando vidi la collana, la mia collana.

Duncan ce l'aveva in mano, sogghignando, e vidi il riflesso di mia madre lì dentro, che gridava disperata.

-Gwen, perchè mi hai abbandonata?- sussurrava Anna, quando Duncan buttò la collana a terra con forza, premendo la scarpa sul cuore di ghiaccio.

In quel momento urlai, con tutte le mie forze, mentre mi infrangevo piano piano anche io come un cuore di ghiaccio.

 

 

 

 

 

Mi svegliai di soprassalto, col respiro affannato e il cuore a mille.

Palpai con la mano la fronte, sudata, e successivamente il petto, dove c'era il cuore, che batteva a mille.

Dopo essermi calmata, proseguì la solita fitta allo stomaco.

Avevo abbandonato mia madre per Duncan?

No, io non l'avevo fatto.

Mi ero dimenticata per quell'attimo in cui lui mi aveva baciata, ma solo per quello istante... Ma forse era già un abbandono?

Evidentemente sì.

Mi ero dimenticata di lei per amore.

Mi passai la mano fra i capelli con forza, poi cercai di addormentarmi nella penombra.

 

 

 

Angolo autrice:

ciaoooooooooooooo!!
Vi piace il chappy? Spero di sì^^
Tanti dolci/baci/tutto quello che volete :3 Gwen

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Capitolo 10
*** L'ora della verità ***


I sogni mi tormentavano.
Appena aprivo gli occhi, il mio cuore cominciava a battere impazzito e la fronte era sudata.
Le labbra erano calde, febbricitanti, il petto procedeva a scatti ritmici.
E tutto per poi cadere in quell'incubo, quell'incubo che non le lasciava respiro.


"Camminava per l'interminabile strada, avvolta da voci, sconosciute e conosciute, che le gridavano -Bugiarda! Infedele! Schifosa!- quelle voci erano colme di dolore, e le laceravano l'anima come un pugnale in pieno petto. Corse, si mise a correre. 
E vide il cielo di un azzurro ghiaccio, mentre tutto il resto era nero come la pece. Comprese le sue mani, le sue labbra, la sua coscienza.
Poi sua madre apparì, e le lanció uno sguardo sprezzante. Infine, si spezzó in mille piccoli frantumi. Di ghiaccio."



E di nuovo mi svegliai e di nuovo sentii quella sensazione terribile.
Quel dolore mi straziava l'anima, ma ormai non riuscivo più a piangere.
Se avessi pianto magari sarebbe stato meglio: il dolore si sarebbe sfogato nelle lacrime, invece di consumarsi dentro e scavare 
nella mia coscienza. Non potevo dormire, non potevo.
Notai l'anello di Trent rifulgere sul comodino, mentre il riflesso blu nascondeva mille insidie.
Mi accasciai, spingendo la guancia contro il lino del cuscino, e mi addormentai.


*** 


Quella mattina, mi svegliai con le occhiaie violacee, profonde occhiaie violacee.
Il volto era scavato, smunto, pallido... Non stavo bene, era evidente.
Cercai di darmi un aria decente ricoprendomi di fard sulle guance e di matita nera sulle occhiaie, ma sembravo ancora più zombie di prima.
Mi pettinai i capelli e mi legai un nastro bluette attorno alla coda di cavallo.
Feci colazione, poi uscii.
Quando arrivai a scuola,notai un gruppetto di studenti accatastati davanti all'entrata.
Mi avvicinai timidamente, cercando di scorgere il motivo di tanta attenzione, e quando lo vide spalancó gli occhi.
Courtney Barlow era in mezzo, sfoggiando una meravigliosa collana con...
-COSA?- sbottai, non trattenendo la rabbia.
La folla puntó i suoi occhi su di me, ma io non indietreggiai o arrossii come avrei fatto.
No, ero decisa a capire come mai indossava e sfoggiava la mia collana con il MIO cuore di ghiaccio.
-Cosa vuoi, Smith?- sputó Courtney.
I miei occhi erano spalancati, ad osservare con tanto disprezzo come potesse essere così fiera di mostrare una cosa non sua.
-QUELLA COLLANA! COME HAI OSATO, QUELLA... MIA MADRE...- mi vennero le lacrime agli occhi, e un rivolo cristallino scivolò giù per la guancia, mentre mi avvicinavo alla Barlow.
Lei mi lanció uno sguardo sprezzante.
-Questa è mia. Questa è solo mia.- sussurró.
Scoppiai in lacrime. 
Come poteva essere così meschina? Come poteva essere così spregevole.
Mi avvicinai ad un centimetro da lei, fissandola negli occhi.
Erano così attraenti, ammalianti... Così falsi e meschini.
Le diedi uno schiaffo.
Uno schiaffo secco, dritto sulla guancia, che le lasció un segno rosso sulle guancia.
Poi le presi la collana e mi allontanai.



***



Mi sedetti su una panchina, accanto ad un viale alberato.
Stringevo la collana al petto, il cuore di ghiaccio stretto in pugno.
Mi allacciai la collana al collo, e finalmente sentii la sensazione di avere la seconda parte di me.
Trent si avvicinó, sedendosi accanto a me.
-Gwen, ti rendi conto di quello che hai fatto?- domandó.
Io gli lanciai uno sguardo gelido.
-Mi sono ripresa ció che era mio, tutto qui.- raccontai, abbassando lo sguardo.
-Hai dato uno schiaffo a Courtney Barlow!- agitó le mani come fosse una cosa tanto grave aggredire la persona più meschina di questo mondo.
-Se mi avessi aiutato a trovare la collana, magari non l'avrebbe presa Courtney e magari non avrei fatto ció che ho fatto.- spiegai.
Lui mi guardó allibito.
-Cosa...- lo interruppi, decisa a dirgli tutto quello che mi ero tenuta dentro.
-Tu mi hai lasciato sola. Tu mi hai abbandonata nel momento del bisogno. Per inseguire il tuo sogno. Dici di amarmi tanto, ma poi non lo dimostri, perché no, l'amore non è farsi tante moine e bacetti, l'amore è qualcosa di più. E tu non mi ami davvero.- sputai, gli occhi fissi nei suoi. Mi sfilai lentamente l'anello, mentre lui scuoteva la testa piano, con le lacrime agli occhi, e gli presi il palmo della mano.
-Addio.- sibilai, posando l'anello nel palmo della sua mano ed andandomene.



*** 



Appena entrai in aula, tutti gli occhi si puntarono su di me, soprattutto quelli di Courtney Barlow.
I suoi erano socchiusi, perfidi, colmi di odio e sete di vendetta.
Mi sedetti al banco, e Duncan si giró.
Vedere i suoi occhi cerulei mi scaldó il cuore.
-Gwen! Ho visto quello che hai fatto... Mi dispiace per quello che ti ha fatto. È stata meschina- spiegó.
Io gli sorrisi timidamente prima che la prof di Filosofia entrasse e ci zittisce.
Un altra noiosa ora si prospettava.


*** 


Nel pomeriggio, tornai a casa da sola.
Crystal non c'era, dopo quello che aveva visto...
Doveva avere capito che ero sua sorella.
Il cuore di ghiaccio era mio e ora che lo sapeva facendo due più due sarebbe arrivata alla conclusione.
Sospirai, poi presi il cellulare e le mandai un messaggio.


"Crystal, ho bisogno di parlarti" 



Fu tutto quello che le dissi.
E mi rispose, anche subito:


"Lo so. Gwen, vediamoci oggi davanti a casa mia"



Capii che la conversazione era finita, o, meglio, per il momento era finita.



***



Erano le cinque e mezza quando mi preparai per andare da Crystal.
Non mi preoccupai molto del vestito, quanto del fatto che la collana fosse in bella mostra e che si vedesse.
Misi una dolcevita azzurro polvere, con sopra uno scamiciato color tabacco, e ancora sopra il cuore di ghiaccio;
Poi uscii.
Mi affrettai ad arrivare da Crystal, sia per il freddo che era di nuovo tornato a colpire sia perchè avevo bisogno di parlarle.
Lei era davanti al cancelletto, con le braccia incrociate al petto, e si guardava intorno.


Angolo autrice: 

ciaooooo!!!
vi piace questo capitolo? Scusate se è corto, ma avevo poco tempo :/ 
tanti baci :3
Gwen

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Capitolo 11
*** L'imminente partenza ***


Feci qualche passo, respirando piano, cercando di calmarmi.
Ero pronta ad affrontare Crystal? Ero pronta a dirle la verità, dopo avergliela nascosta? Non lo sapevo, e scossi leggermente la 
testa, facendomi cadere qualche ciuffo corvino sugli occhi.
Appena mi avvicinai, lei girò lo sguardo, e notai quanto era perfetto il suo viso, con i lineamenti scolpiti nel diamante e gli occhi
neri penetranti ricoperti da un velo di lacrime. 
Le braccia erano incrociate al petto, mentre notai che sul maglione verde acqua non vi era il cuore di ghiaccio.
-Ciao...- non ebbi neanche il tempo di finire che paró la mano davanti alle mie labbra con fare brusco, impuntandosi -PERCHÈ NON ME LO HAI DETTO? PERCHÈ?- sbraitó, chiudendo i pugni e contraendo le labbra sottili in una smorfia.
Gli occhi erano lucidi, mentre qualche lacrima si intravedeva pendere dalle ciglia.
-Io...- -Non voglio mai più vederti, mai più! Tu, per me, non esisti!- continuó, lasciando scorrere una lacrima nerastra per via del mascara lungo la guancia, con il respiro affannato per l'urlo. Scuoteva leggermente la testa, quasi inorridita dalla mia persona. 
-Me ne vado, oggi ritorno in Russia. Addio.- si tiró fuori dalla tasca la collana con il cuore di ghiaccio, che riluceva alla luce e creava effetti arcobaleno nel ghiaccio, e la buttò a terra. Andó in tanti piccoli frantumi, che si sparsero sul marciapiede, e il filo azzurro chiaro si slacció.
Calpestó la collana con ira, forza, come se non si ricordasse il suo significato.
Poi si girò di scatto, in una nuvola di capelli neri, e scomparì nel cancelletto di casa.



***




Russia. Tornare in Russia... 
Non ci avevo mai pensato davvero, mai con serietà: e se fossi tornata nella mia Terra d'origine? Non dico ora, non ancora, 
ora dovevo finire il liceo e poi prendere un diploma. Ma qualora fossi stata maggiorenne, cosa avrei deciso di fare?
C'era Duncan.
Lui era un punto importante che non avevo ancora considerato: adesso che non ero più fidanzata con Trent, e che io e lui ci eravamo baciati, quale era il nostro rapporto? Amicizia o qualcosa di più?
In quel momento, mentre sentivo Lithium degli Evanescence al mio mp3, sentii un messaggio arrivarmi al mio IPhone."Ciao Gwen. Ho bisogno di parlarti, ma preferirei farlo di persona." 
Era Duncan.
Le mie mani tremarono di felicità mentre componevo la risposta: 
"Dove?" 
"Al lago vicino alla scuola".
Perchè proprio quel posto? Non ne avevo idea, ma immaginavo perchè mi avesse mandato a chiamare: e se avesse voluto andare oltre all'amicizia? Magari... No, Gwen, ricaccia questo pensiero.
Mi portai le mani alle tempie, scivolando poi i palmi attraverso le guance, mentre disperata mi chiedevo il motivo della chiamata di Duncan.




***



Camminai lentamente sulla via acciottolata che conduceva al lago, mentre villette bianche si stagliavano ai miei lati. La mia testa era assorta nei pensieri, la mia testa era china e il naso era completamente avvolto dalla sciarpa nera. 
Il bene di questa città era che era molto silenziosa, persino gli uccellini sussurrano quando cinguettano, come se ognuno dovesse avere il proprio spazio per pensare. Arrivai al lago, e vidi Duncan seduto sulla panchina, la nostra panchina, quella su cui ci eravamo raccontati le nostre fragilità.* La camicia bianca aveva i primi bottoni sbottonati, lo sguardo era perso a guardare le acque limpide della distesa, illuminate da raggi rosati. La brezza era fresca e leggera, e gli sfiorava i lineamenti del volto perfetto, mentre la cresta verde fluorescente ondeggiava dolcemente. Mi sedetti accanto a lui, osservando le acque del lago, quando improvvisamente mi prese le mani candide fra le sue febbricitanti e rosee. Gli fissai gli occhi, erano seri e attraversati da improvvisi lampi di serietà. La bocca era contratta in una riga sottile in cui le labbra trasparivano solo in parte, mi spaventai da quell'espressione così seria. 
-Gwen, io devo dirti una cosa.- inizió, cercando le parole giuste. Fece di tutto per non incontrare i miei occhi, e questo secondo me era un cattivo presagio.
-Spara- scherzai, cercando di darmi un tono ironico, mentre contraevo gli angoli della bocca verso l'alto cercando di sorridere, invano.
-Io devo partire. Mio padre ha trovato lavoro in Brasile, e si è sposato con una brasiliana di laggiù. Sono costretto ad andare con lui...- si interruppe, soffocando un singhiozzo, mentre la mia realtà crollava.
"Ti prego Duncan non partire. Ti prego, non lasciarmi, io ti amo." 
Questo era ciò che volevo dirgli, ma mi uscì solo: -Oh.- 
A volte un addio è solo un ciao.** 
Sì, come no. Ma questo era un addio, un vero e proprio addio, perchè non sarebbe mai più tornato dal Brasile.
-Quando?- biascicai, ricacciando le lacrime, mentre tenevo lo sguardo perso fra le acque del lago, illuminate dal tramonto e da mille raggi rosati e arrossati. Lui faceva lo stesso, tenendo lo sguardo basso sull'acciottolato del terreno, mentre con le scarpe dava continui calci alle pietre. -Oggi, verso le quattro e mezza.-  sussurró, quasi impercettibilmente, mentre con una mano grossolana e muscolosa si grattava nervosamente la nuca. Rimanemmo in silenzio per un po', ognuno assorto nei propri pensieri, mentre lentamente io tramonto si accoccolata dietro le montagne nell'orizzonte.
Crystal se ne andava, Duncan anche... Possibile che tutte le persone a cui tengo debbano andarsene? Chi mi resterà, ora? Un eterna solitudine. E di nuovo da capo, la solitudine, poi le lacrime, e magari si riscopriva di nuovo che io non ero Russa, ma ero Africana. La mia vita era un eterno ciclo a sorpresa, senza una fine felice.
Mi asciugai con l'indice la lacrima che stava per scendere sulla mia guancia, insieme ad un rivolo nero di mascara e ombretto, mentre continuavo a non guardare Duncan.
Lui era l'unico che aveva saputo abbattere quel muro, quel muro che mi ero issata attorno per isolarmi da tutto e da tutti, ma poi, come ogni volta, si ricomponeva, mattone per mattone, e diventava sempre più solido, specialmente ora che Duncan non ci sarebbe stato.
-Mi dispiace, davvero. Io provo qualcosa di forte per te- si giustificó, quasi arrossendo.
Ma cosa serve ora, l'amore? Cosa serve dichiararsi se poi bisogna partire per non vedersi mai più? Niente, assolutamente niente.
Per cui ora fargli tante moine e dirgli che lo amavo non avrebbe aiutato, anzi.
Mi alzai di scatto, decisa a finire lì la conversazione, ripulendomi i pantaloni attillati neri dalla polvere che impregnava la panchina, poi presi la borsa e la portai alla spalla. -Ti auguro fortuna. Tanta fortuna- sputai freddamente, lanciandogli uno sguardo glaciale, mentre mi allontavo. Una volta lontano, scoppiai in lacrime, bagnando i palmi delle mie mani di quelle gocce salate, mentre una voglia di urlare mi sbranava il petto. Perchè se ne doveva andare? L'amore della mia vita, l'unico, il solo. Il mio coraggio, la mia luce, doveva ora spegnersi abbandonandomi lì? Perchè dovevo sempre illudermi con qualcuno, che poi questo doveva volare via come una piuma al vento? Mi sedetti su un muretto di pietra, mentre continuavo a tenere la testa fra i palmi.
Nessuno avrebbe colmato quella solitudine come lui. Mai.



ANGOLO AUTRICE:

Ciaooooooooooo ragazzi!
Ecco a voi la vostra pazza-psicopatica con un altro capitolo!
Che ne pensate? Fa schifo, ma siate clementi, inoltre scusate se è corto ma avevo pochissimo tempo, e ringrazio il cielo di aver aggiornato -.-"
*inziano a tirarle pomodori*
Ok ok calma! Allora, Duncan se ne andrà... Per davvero? 
Scopritelo in un altro capitolo di Cuore-di-ghiaccio! *risata sadica alla Chris Mclean*
Tanti dolci! :3
Gwen  *= vi ricordate quando, nel capitolo "tutti hanno le loro fragilità", Duncan e Gwen si sono raccontati la loro storia al lago? **= Cit. All'improvviso, nuova canzone degli Zero Assoluto^^


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Capitolo 12
*** Mi hai lasciato ***


"Riuscire a prendere la propria strada è la dimostrazione di essere cresciuti davvero"



Duncan, tu hai preso la tua strada.
Hai deciso di andare in Brasile, mi hai abbandonato a me stessa, senza aiutarmi ad abbattere il mio muro personale.
Sono caduta, e tu non mi aiuti a rialzarmi, anzi, parti e ti dimentichi di me.
Non so più cosa pensare, se pensare che l'hai fatto perchè eri obbligato oppure...
Scuoto la testa, cercando di distogliere la mente da quei pensieri troppo brutti.
Pilucco distrattamente la porzione di riso e verdure che attende nel mio piatto da circa mezz'ora, mentre mio padre mi lancia 
uno sguardo preoccupato.
-Ehi, Gwen! Non mangi? Ho cucinato il tuo piatto preferito, il riso allo zafferano e tu non me lo assaggi?- mi chiede, asciugando 
ferocemente un piatto nell'acquaio.
-Non è questo, papà, sono solo stanca. Tu che faresti se la persona che ami con tutto te stesso se ne andasse per sempre?- guardai mio padre con gli occhi umidi dalle lacrime, mentre mi portavo alla bocca un cucchiaio di riso.
Era gelido,.freddo. Come il mio stato d'animo.
Lui si asciugó in fretta le mani con un asciugamano, poi si mise a sedere accanto a me.
Strinse la mia mano candida nella sua, grossolana e bronzea, mentre mi guardava con i suoi sereni occhi limpidi.
-Beh, vedi... Se la amassi davvero cercherei di fermarla, le direi quanto la amo. E poi, se vuole partire, la lascerei andare, ma prima 
vorrei essere certo che sapesse quello che provo per lei.- concluse facendomi l'occhiolino, poi mi diede un leggero bacio sulla tempia e 
si occupó di nuovo dei piatti.
Rimanemmo in silenzio, e lasciai ancora tutte le verdure nel piatto prima di sgusciare su per le scale.
E così capii.
Presi il mio giubbotto di pelle nera, mentre con fretta e furia mi pettinavo una disordinata massa di cespugliosi capelli corvini, poi mi vestii velocemente e uscii di casa.
La brezza gelida mi gelava la pelle, ma dovevo fare in fretta, mancava solo più mezz'ora alla partenza di Duncan.
Corsi per un breve tratto di strada, poi trovai una moto parcheggiata accanto ad un muretto e la presi.
L'antifurto risuonò, ma prima che il padrone mi raggiungesse stavo già sfrecciando per le strade argentee, senza casco e con un'esperienza 
con quel mezzo davvero terribile alle spalle.
Gli occhi ridotti a due fessure, cercavo di premere con forza l'acceleratore, mentre le auto che mi sfrecciavano accanto erano una chiazzanitida attorno a me.
Il rumore secco delle ruote sull'asfalto mi assordava le orecchie, mentre l'anfibio nero spingeva il tacco contro l'acceleratore.
Una sirena risuonava in lontananza, inseguendomi a tutta velocità, e lanciai una fugace occhiata dietro di me.
Avvistai due moto della polizia e un'auto, mentre le luci rosse e blu della sirena mi accecavano.
Dopo mezz'ora di tragitto, una moto mi raggiunse e mi fermó, mentre un poliziotto nero scendeva infuriato dalla sella.
Era muscoloso e le mani grossolane reggevano un block-notes e una penna nera, mentre grugniva sonoramente.
-Signorina, patente e libretto.- sbuffó, lisciandosi la barbetta grezza che cresceva ispida sul mento.
Mi morsi il labbro, e frugai velocemente nella borsa: un pacchetto di sigarette, due caramelle per la gola, il cellulare, 
il portafoglio, un agenda regalatomi da mio padre che non mi serviva affatto...
L'agenda! 
La presi con estrema lentezza, poi ci infilai dentro lo scontrino della cover e gliela porsi a quel uomo.
Lui mi fulminó, poi lo aprì e rimase piuttosto sorpreso, ma prima che potese ribattere ero già sfrecciata via.
Ormai si vedevano due grossi aerei bianchi sporgere dall'estremità dell'aeroporto, e parcheggiai accanto ad un muretto, percorrendo un viale alberato di corsa. 
Quel luogo era immenso, oltre che a me sconosciuto, e trovare Duncan non sarebbe stato un impresa facile...
Mi misi davanti alla porta che si aprì di scatto, facendomi entrare, mentre uno schermo luminoso mostrava tutte le partenze.
Polonia, New York, Parigi, Roma... Brasile!
Partenza alle 15:30 arrivo 17:45... Erano già le 15:15! 
Mi passai le mani nei capelli, mentre il mio sguardo vagava per tutto l'aeroporto.
No, non c'era assolutamente nessuno simile a Duncan, e mi affrettai ad andare da una hostess.
Questa, con una meravigliosa divisa cobalto e i capelli platino sciolti sulle spalle, mi accolse con un sorriso smielato in cui aveva l'intenzione di mostrare i denti perfetti su quella pelle color zucchero caramellato.
-Buongiorno, deve fare il check-in?- mi domandó, ticchettando le unghie di un perfetto ovale sul bancone.
Io scossi la testa -No, cerco una persona...- lei scoppió a ridere, e io mi infastidii parecchio, poi ritornó seria e mi squadrò con 
quei meravigliosi occhi celesti.
-Oh, be... Quale delle cinquecentomila persona cerchi?- sorrise ironicamente, ridendo alla sua "battuta", mentre io strinsi i denti.
Me ne andai, ancora sotto lo sguardo divertito della hostess, e corsi per tutto l'aeroporto, alla ricerca di un punk dalla cresta verde con due occhi celesti mozzafiato. Ero sfinita, e mi accesi una sigaretta, portandola alla bocca e tirando una fumata rilassante, poi la portai fra il pollice e l'indice e continuai a cercare.
-Le sigarette qua non si fumano! Mi deve una multa di cinquantacinque euro!- sbottó un poliziotto, piuttosto irritato, mostrando un foglietto a righe. Imprecai a bassa voce, poi tirai fuori dal mio portafoglio borchiato due bigliettoni e scomparvi nella folla di persone.
Dopo quell'assidua ricerca, vidi scorgere da una folla una cresta verde menta e sorrisi ampiamente,
Quando mi avvicinai, peró, vidi due occhi verdi squadrarmi e un sorriso dolce -Tu saresti...- notai la ragazza abbracciata a lui, una splendida tipa con capelli color cioccolato raccolti in una treccia posata sulla spalla e con un fisico da modella.
-Pensavo fossi un altra persona, scusatemi!- arrossii violentemente, poi corsi via sotto i loro sguardo stupiti.
Corsi verso l'area di partenza per il Brasile, ma quello che vidi mi lasció spiazzata.
Non c'era più nessuno, e dalla porta finestra intravidi un aereo sfrecciare nel cielo azzurro.
Avevo le lacrime agli occhi.
Lui se ne era andato. 
Per sempre.
Un rivolo cristallino mi varcó le guance, per poi posarsi a terra e creare piccoli cerchi concentrici, e mi sedetti su una sedia in pelle nera lì vicino.
"End of the Dream", la mia canzone preferita degli Evanescence, risuonò in quel freddo spiazzo come un sordo rumore, e quando capiii che era la suoneria del mio IPhone mi affrettai a prenderlo.
-Pronto?- biascicai.
-Gwen! Sono io... Tu devi tornare a casa, subito!- la voce di mio padre era spezzata dal pianto, chiusa, fredda...
-Ma perchè?- 
-Vieni, e basta! È una cosa...- scoppió a piangere, e io attaccai, mordendomi il labbro? Cos'altro mi attendeva?




ANGOLO AUTRICE:


Shiau :3
Sono tornata, vi piace questo capitolo? Spero di sì^^
Tranquilli, Duncan non se ne è andato per sempre!
E scopriret la prossima sorpresa...
Gwen

 

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Capitolo 13
*** Irina Azirya ***


Una miriade di pensieri impertinenti attraversò la mia mente, ancora scioccata dalla chiamata di mio padre e con il cellulare ancora posto accanto all'orecchio.

-Possibile che debbano capitare tutte a me? Vaffanculo!- urlai, calciando pesantemente una sedia di plastica azzurra impolverata e sgualcita dal tempo, procurandomi solo un dolore. Ero furiosa, possibile che non dovessi mai vivere un momento felice? E adesso cos'altro era capitato? Sbuffai sonoramente, mordendomi il labbro con forza e articolando le labbra in un espressione sconsolata, mentre la scintilla furiosa si spense nei miei occhi color pece come una foglia vola col vento. Mi rimisi in spalla la borsa borchiata, uscendo il più velocemente possibile da quell'aereo porto, e permettendomi finalmente di assaporare il fumo di una sigaretta, che estrassi velocemente dal mio pacchetto sbiadito e su cui vi era una macchia di caffè che copriva la grande scritta a caratteri cubitali “Malboro”. Tirai una grande fumata, che si dissipò nel cielo ingrigito dalle nuvole e che volteggiò fra le fronde rigogliose e verdi dei faggi che contornavano quel solitario marciapiede che portava all'aereoporto. Stetti un po' lì, seduta su una panchina situata accanto ad un rigoglioso faggio, con la sigaretta serrata fra le labbra su cui avevo passato un profondo strato di rossetto viola prugna, poi portai la mia fonte di fumo fra l'indice e il medio e mi soffermai a guardare il paesaggio attorno a me, solitario e freddo. Il marciapiede, sporco di ogni genere di rifiuti, dalle bottigliette schiacciate e compresse di coca-cola ai mozziconi delle sigarette, era contornato dall'unica cosa che donava colore a quello spiazzo desolato di città ovvero la fila alberata dei grandi e rigogliosi faggi dalle grandi e lineari foglie verdi. Il cancelletto che entrava all'aereoporto era arrugginito e cigolante, l'unico rumore di quella desolata città era il cinguettio di alcuni uccellini e il rumore del vento che si infrangeva sui miei capelli corvini e che scalfiva le mie gote. Mi permisi un'altra fumata, poi lasciai spegnere la sigaretta al vento e buttai il mozzicone in un cestino poco lontano, prima di camminare velocemente fino a casa mia.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Ero poco vicino alla villetta che condividevo con mio padre, quando sentii un urlo soffocato provenire dalla porta. Spaventata, mi affacciai alla finestra che dava sul piccolo giardino di cui Jack amava prendersi cura, e vidi una donna e mio padre urlarsi contro. I capelli erano corvini e scendevano sulle spalle, incorniciandole quel viso angelico e pallido, in cui vi erano incastonati due occhi color onice nera che lanciavano continui lampi d'ira. La bocca si articolava in continuazione per pronunciare parole offensive, ma quando si zittiva una smorfia di disgusto rovinava la perfezione del volto. Portava una collana di perle vere, nere come i suoi stessi occhi, che rilucevano ad ogni suo movimento e un tailleur elegante di lana grigia, posto sopra un elegante camicia bianca. Due gambe bellissime, lattee e snelle, si stagliavano da sotto la gonna a ginocchio nera, terminando in un meraviglioso decolleté di seta, con un plateu nero lucido. Era una bellissima donna, e doveva anche essere molto ricca a giudicare dalla borsa firmata di Gucci, collezione 2006, e dalla collana di perle nere vere. Come una spia cercai di intercettare le loro parole.

-RIDAMMI MIA FIGLIA! DOVE CAZZO L'HAI NASCOSTA, MOSTRO??- urlò la donna, diventando paonazza d'ira in viso e sbattendo furiosamente il tacco a terra, gesticolando con le mani. Mio padre si difese, diventato rosso a sua volta, pronunciando anch'esso parole offensive -GWEN E' MIA FIGLIA, E' MOLTO DIVERSO, L'HO ACCUDITA IO E NON HO FATTO COME HAI FATTO TU! NON LE HAI RACCONTATO LA VERITA', VERO? SE SAPESSE CHE SEI SOLO UNA SGUALDRINA, RICCHISSIMA PERCHE' SEI UN IMPORTANTE EREDITIERA E ANCHE UN IMPORTANTISSIMA MODELLA RUSSA, CHE E' STATA MESSA INCINTA PERCHE' SUO PADRE E' VENUTO A LETTO CON TE UNA NOTTE IN QUEL LOCALE SCHIFOSO, ALLORA TI AMEREBBE MOLTO MENO! QUANTE BUGI HAI RACCONTATO A QUELLA POVERA RAGAZZA? QUANTE?- la gola di Jack era rauca e anche arsa dalla sete per via di tutte le parole che aveva urlato, forse inconsciamente, forse perfettamente conscio di quello che aveva esclamato, e gesticolava anche lui con le mani. La donna sfoggiò un sorriso sghembo e malizioso, mentre un lampo sensuale le attraversò gli occhi e mentre la mano correva fra i suoi lunghi capelli setosi -E perchè dovrei dirglielo? Potrei farle credere di essere povera e malata, solo per averla con me. Perché dovrebbe rifiutare una vita in Russia, in una favolosa villa, con un giardino enorme, una piscina, una palestra e una catena di negozi privata, un posto nel mondo delle celebrità e la possibilità di fidanzarsi, se volesse, con una stella del cinema? Io sono Irina Azirya, importantissima e celeberrima ereditiera russa, Gwen potrebbe avere tutto con me. Invece tu sei solo un poveraccio, che fa il panettiere in una comunità di mendicanti e poveri senza alcun posto nella società.- pronunciò quelle parole con fare tagliente, più tagliente di una lama affilata, puntando i suoi occhi color pece nelle iridi cioccolato di mio padre, che si sciolsero non sopportando il peso del suo sguardo si di loro. Lui abbassò lo sguardo, grattandosi la nuca -Tu sei una sgualdrina, giusto? Io non voglio che Gwen cresca diventando come te! Voglio che sia una persona onesta con un lavoro onesto, senza andare a fare cose sconce in un locale a luci rosse!- lui tentò ancora questa via, dandole la colpa per quel lavoro a dir poco schifoso -Io non sono più una sgualdrina. Lo ero fino all'età di diciotto anni, dopodichè ho scoperto di essere un ereditiera e ho abbandonato quel lavoro. Adesso? Adesso sono semplicemente piena di soldi e basta, e sono talmente bella da essere una modella famosissima in tutta la Russia, Alaska, Slovacchia e in mezza America. Vivo una vita felice, senza preoccupazioni. Non pensi sia la cosa migliore per Gwendolyn?- sussurrò ancora Irina con tono innocente.

Smisi di ascoltare, per via delle calde e silenziose lacrime che da tempo sgorgavano dai miei occhi color pece, gli stessi di quella sgualdrina di mia madre. Aveva ingannato me e Crystal, con le sue false parole mielose... Come aveva potuto? Mi sedetti per terra, affondando i jeans nella terra umida e rigogliosa, mentre rivoli cristallini solcavano le mie lunghe guance.

Irina Azirya sulle copertine... Ma certo! Avevo visto una modella con il suo stesso nome su una copertina di un importante rivista, che dovevo conservare con me in un cassetto della scrivania.

Era seminuda, davvero perfetta, con i capelli sulle spalle assolutamente setosi e lisci, con alcuni ciuffi corvini a coprire quegli occhi sensuali e fantastici. Il corpo era in una posa sensuale, era in reggiseno e slip di pizzo nero e una mano affusolata correva ai fianchi sinuosi e snelli. Un dito dell'altra mano era sul labbro roseo e carnoso, a rappresentare un'espressione innocente, ma la sensualità e la sua bellezza tradiva quel viso angelico apparentemente. E c'erano anche numerosi articoli, su di lei:

 

 

 

 

Irina Azirya, la famosissima modella Russa, ha tenuto un record nel mondo della moda:

E' una delle modelle più pagate del mondo, oltre che una delle donne più desiderate dal mondo maschile. Irina ha appena concluso una delle sue appassionanti “Love-story” con il famoso regista Cecoslovacco Alen Joikes, e adesso sempre frequentarsi con un altro importante uomo dello spettacolo, Martin Wakes, l'attore di celebri film come “La porta accanto”* “Notte di follie”** e altri. Parlando di carriera, Irina ha fatto numerose sfilate anche italiane, inglesi e americane: ha sfilato per “Intimo Gucci”, per “Valentino”, per “H_M” e altri. Ecco alcune foto delle più belle immagini delle sfilate di questa fantastica ed energica donna.”

 

 

 

 

 

Mi passai le mani fra i capelli con disperazione, strappando l'erba dalla terra con fare disperato. Non soffocavo i singhiozzi, e le lacrime salate cadevano sulla terra formando piccoli cerchi concentrici che si mescolarono con la rugiada erbosa. La mia vita non aveva nessun senso, ogni volta che pensavo di vivere un momento felice ecco dietro l'angolo una sorpresa spiacevole ed indesiderata, che costringeva il mio cuore, ormai impenetrabile, a costruirsi una barriera in più, in modo da essere ancora più inscalfibile. Sentii la maniglia della porta muoversi di scatto e mi affrettai a nascondermi accostata ad un muro laterale, in modo che non potesse vedermi. La donna uscì irritata, sbattendo furiosamente i tacchi sul vialetto acciottolato che conduceva al cancelletto.

Era bellissima, una Dea, con i capelli sciolti sulle spalle e quegli occhi così sensuali, così assolutamente perfetta... Non credevo quasi di essere figlia di una tale bellezza, dato che non assomigliavo affatto a quella Dea scesa sulla terra.

Le labbra carnose erano contornate da un rossetto rosso carminio che risaltava su quella pelle diafana e senza imperfezioni, le unghie era smaltate da motivi a tartan grigio nero, ed erano lucide, perfettamente ovali e lunghe. Si infilò gli occhiali firmati, tanto per non essere riconosciuta troppo, e scomparì nella sua Ferrari nera lucida, sfrecciando a tutta velocità nelle strade isolate di Toronto.

Una volta che fu scomparsa, entrai in casa con fare disinvolto, cercando di nascondere il velo che inumidiva gli occhi e filando dritta in camera mia per controllare la mia ipotesi.

Aprii velocemente il cassetto della scrivania e tirai fuori la copertina rosa schoking di Vogue, su cui vi era la foto sensuale e bellissima di mia madre Irina. Mi buttai a peso morto sul letto, prendendo la testa fra i palmi delle mani e lasciando via libera alle lacrime cristalline, che scorrevano lente sulle mie guance. Perchè mi aveva mentito, sia a me che a Crystal? Perchè aveva fatto finta di essere malata di tumore e di essere una poveraccia, quando in realtà era una modella stra-ricca ed un importante ereditiera? Perchè aveva raccontato quelle storie assurde sul mio vero padre?

Una volta pensata la parola “padre”, un lampo mi squarciò la mente, mentre un idea si allargava nella mia testa. Presi velocemente il mio pc viola acceso e digitai su Google “Irina Azirya”.

Mi vennero, almeno secondo le rilevazioni del computer, circa 3.550.752 rilevazioni, ma io scelsi una delle prime su cui vi era scritto “Irina Azirya- Biografia e vita sentimentale”. Mi mangiucchiavo le unghie dall'ansia di sapere cosa avrei trovato scritto, sempre se avessi trovato qualcosa riguardante la relazione di mia madre con mio padre. La sua vita sentimentale era davvero lunghissima, aveva avuto storie d'amore con stelle del cinema o semplici flirt di quando lavorava come sgualdrina, ma cosa più importante di tutte trovai alla fine qualche frase su di lui.

Roger White fu il vero amore, anche se durato solo qualche anno, della modella; con lui ebbe due figlie, Gwendolyn e Crystal, che diede in adozione poco dopo. La vita impegnativa di modella non le consentiva di occuparsene, e quando scoprì che lui la tradiva frequentemente con un altra modella della sua stessa agenzia, Lindsay Jonanshon, lo lasciò di punto in bianco, dando le figlie in adozione.”

Almeno aveva detto la verità su qualcosa: mio padre la tradiva davvero con un altra donna.

Spensi il computer con un gesto secco, abbandonando il mio volto sul cuscino candido e inzuppandolo di lacrime. Non avevo più voglia di essere così perennemente inseguita dai guai, non avevo voglia di avere sempre qualche imprevisto che mi spezzasse il cuore in pezzettini sempre più piccoli, sempre più piccoli. Presi la borsa borchiata, ed uscii di casa senza una meta precisa. Vagai per le strade isolate di Toronto, con una sigaretta fra le labbra e con l'Iphone 4s nella mano, mentre il vento primaverile, fresco e frizzantino, mi scompigliava teneramente i capelli setosi e corvini. Camminai ancora un po', poi mi appoggiai ad un muretto di pietra e tirai una lunga fumata, perdendo lo sguardo nella linea rosea che si intravedeva all'orizzonte, quando qualcuno mi cinse il braccio. Mi voltai di scatto, e vidi tre ragazzi, probabilmente con qualche anno in più di me. Avevano una bottiglia di Vodka in mano, e sorseggiavano da queste intensi sorsi, per poi scoppiare a ridere come imbecilli. Uno dei tre, muscoloso ed alto, continuava a cingermi la vita con sempre più forza -Ehi, bellezza, che ci fai qui tutta sola?- rise, mentre un disgustoso aroma di alcool si dissipava dalle sue labbra, provocandomi la nausea. Cercai di divincolarmi, ma lui mi sbattè contro il muro, mentre un ghigno si apriva sulle sue labbra intrise di alcool -Dove credi di andare? Non vuoi lasciarmi un ricordino prima?- i suoi scagnozzi risero, mentre cercava di baciarmi invano, perchè giravo la testa di scatto ogni volta che si avvicinava.

-Non si fuma alla tua età, bambina...- ghignò malizioso, prendendomi la sigaretta dalle dita e tirando lui un intensa fumata, facendo dissipare dalle sue labbra fumo oltre che il perenne odore di Vodka. Alzai il ginocchio e gli diedi un calcio nelle parti basse, liberandomi così dalla sua presa, e mi misi a correre più veloce che potevo. Sentivo le urla di quell'imbecille poco dietro di me, segno che mi stava rincorrendo, quindi aumentai la velocità e mi nascosi dentro un magazzino. Vi erano diverse moto in quel magazzino, e la faccia di un uomo spuntò da sotto una di esse.

Aveva i capelli rossi e il volto pallido era costellato di lentiggini, mentre le guance erano sporche di fuliggine delle moto. Indossava una semplice canottiera bianca e armeggiava un cacciavite sotto la moto, ma quando mi scorse alzò lo sguardo -Posso aiutarti?- esclamò semplicemente, continuando ad avvitare un bullone, mentre con l'altra mano si asciugava la fuliggine dal volto.

Io annuii, indicando una moto davvero bella che era di fianco a lui -Sì, posso noleggiare questa?- lui mi squadrò, alzandosi da lì sotto e pulendosi le mani dall'unto dell'olio delle moto, poi si tamponò la fronte togliendosi la fuliggine da questa -Sì, ma mi devi quindici dollari. E la puoi tenere per due giorni, a meno che..- -Va benissimo, grazie!- tagliai corto, tirando fuori dal mio portafoglio di pelle nera due banconote e porgendogliele. Poi saltai in sella al motorino e schiacciai l'acceleratore con forza immane, partendo a tutta velocità per le strade di Toronto. Avevano noleggiato anche loro delle moto, e sentii la voce del moro, quello che mi aveva molestato prima, echeggiarmi nelle orecchie -Fermati, andiamo!- ridacchiò, ancora non perfettamente lucido, aumentando l'accelerazione. La sua pelle bronzea risaltava in quella mattinata ingrigita, mentre gli occhi azzurri lanciavano continui lampi maliziosi e i capelli castano scuro scivolavano al vento. Improvvisamente sentii un gemito provenire dalla moto -Che cavolo fai? Sai guidare una moto, raga..- si fermò, tirandosi su, con il braccio ferito perchè l'avevo “investito”, ma ciò che mi colpì fu la cresta verde che ondeggiava al vento e gli occhi cerulei. -DUNCAN!- urlai, scendendo con un balzo dalla moto e saltando al collo del ragazzo. Lui sfoderò un sorriso sghembo, poi mi accarezzò i capelli e mi fece roteare fra le sue braccia. -Mi mancavi troppo. Non sono riuscito a partire, ma ero senza credito e non potevo avvisarti- mi avvisò, baciandomi con passione sulle labbra. Io non feci caso alle sue parole, talmente felice di rivederlo, e lo abbracciai forte, stampandogli mille e più baci sulle labbra.

Prima che potessi parlare, quel cretino che mi aveva molestato arrivò -Ehi, amico, anche tu ti sei presa sta' pupa?- disse a Duncan, indicandomi facendo roteare le iridi cerulee. Lui si irritò, e diede un pugno ben assestato sul naso del ragazzo -Lei è la mia ragazza, stalle lontano o ti ammazzo!- tuonò con voce potente il mio ragazzo, fulminando con lo sguardo quel bellimbusto. Lui si alzò in piedi e mi lanciò uno sguardo, poi ritornò in sella alla sua moto e sfrecciò via.

-E così sono la tua ragazza, adesso?- ironizzai, baciandolo per l'ennesima volta.

Lui mi fissò intensamente, gudandomi con il suo solito ghigno beffardo -Certo, a meno che tu non voglia...- come risposta lo baciai appassionatamente, mentre un anello dalla struttura d'argento con due smeraldi e un onice incastonata al centro si infilasse al mio dito come segno del nostro amore.

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

 

Ciaoooooooooo!!!!!!!!!!!!

Che ne pensate di questo capitolo “scottante”?

Aww io lo amo soltanto perchè Dunky e Gwenny si fidanzano, ma so che fa schifo

come scritto -.-”
Spero di ottenere comunque qualche recensione :3

Dolci :3

Gwen

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Capitolo 14
*** Lo chalet ***


Cuore di ghiaccio

 

 

 

Pre-angolo autrice: ci terrei a ringraziare in particolare queste persone:

Stella_2000, di cui consiglio di leggere “Buio” e “Buoni(falsi) e cattivi”

Gwuncan99, di cui consiglio di leggere “Escape” e “Quella piccola stella solitaria”.

Dalhia_Gwen, di cui consiglio di leggere “You're my dream come true” e “L'imperfetto cuore di diamante”

Lexy Angels, di cui consiglio di leggere “La principessa delle nevi” e una storia che abbiamo fatto insieme, “Their Magic”

GRAZIE RAGAZZE PER RECENSIRE QUESTA STORIA !!!

 

 

 

 

 

 

Erano passati alcuni giorni dal mio fidanzamento con Duncan, e tutto mi sembrava ancora così irreale, così talmente perfetto da infrangersi con il minimo tocco, invece no, è tutto vero.

Ero distesa sul mio letto, con la testa ciondolante affondata nel mio enorme cuscino bianco a stelle nere, mentre i miei occhi pece erano puntati sull'anello meraviglioso che mi ricordava ogni istante che ero fidanzata con un ragazzo meraviglioso.

La struttura d'argento riluceva ad ogni movimento, mentre i due smeraldi incastonati, verdi e brillanti, contornavano perfettamente la piccola onice color pece che era incastonata timidamente al centro di essi. Mi misi a sedere, per prendere il mio iPhone e leggere i sette messaggi che avevo con il mio gruppo di whatsapp, consistente in Bridgette, Dawn e io.

 

 

Secondo voi cosa mi metto stasera??” Raggiodiluna45

Dove vai?” Lapallavolista4ever

Ad uno chalet! Ceno con quel meccanico, Scott... Ti rendi conto, uno chalet calato nella natura!” Raggiodiluna45

Anche io voglio andare con il mio Geoff :(“ Lapallavolista4ever

Certe fortune capitano solo alle più intelligenti ;)” Raggiodiluna45

Vaffanculo, Dawn. Spero che bruci lo chalet” Lapallavolista4ever

Anche io ti voglio bene, Bri XD” Raggiodiluna45

 

 

 

 

A volte facevano dei discorsi idioti, ma mi avevano chiesto di entrare nel gruppo e cosa potevo dirle “No perchè siete due oche senza senso?”. Mi arrivò anche un messaggio di Duncan in quel momento, che lessi con foga schiacciando l'icona messaggi con il pollice.

 

 

 

 

Ciao amore... Senti, vuoi venire a cena stasera? Ad uno chalet, ci sarà anche Scott con Dawn”

 

 

Le mani mi tremarono mentre componevo il testo del massaggio:

 

 

 

 

Certo. A che ora?”

Alle sette e quindici. Fatti bella”

Perchè, non lo sono già?”

Mettiti qualche vestito sexy.”

Sei un idiota.”

Lo so. Ma tu mi ami, vero?”

Certo, stupido.”

 

 

 

Spensi il telefono, poggiandolo sul comodino, quando decisi di andare a comprarmi in edicola una di quelle riviste di moda che adoravo, ovvero Vogue. L'edicola era vicino a casa mia, quindi potevo farci un salto benissimo. Lanciai un rapido sguardo al cielo, che non prometteva di certo bene: una coltre lattigginosa di nuvole circondava il sole, mentre una pioggerellina sottile e delicata scendeva da quella coltre biancastra con innata lentezza. Mi vestii velocemente, infilandomi una felpa di lana nera con striature dorate, e mi calai per bene il cappuccio sugli occhi lasciando indietro la frangetta di capelli corvini e blu petrolio che mi offuscava la vista. Con la borsa borchiata in spalla, uscii di casa osservando come mio padre guardava incantato la partita della serie A: i popcorn fumanti in grembo si stavano rovesciando a terra, mentre lui aveva gli occhi cioccolato puntati sullo schermo del televisore a trentadue pollici. Scossi la testa divertita, portando la mano alla maniglia arrugginita e uscendo dalla villetta bianca, per poi incamminarmi verso la piccola edicola che si accennava dietro la fila di peschi che contornavano la mia via. Mi avvicinai al banco, dietro al quale vi era una donna sulla quarantina che faceva dei conti, ma quando mi vide mi squadrò per un attimo da dietro le profonde lenti degli occhialetti d'argento per poi aprirsi in un sorriso cordiale.

-Buongiorno, io vorrei l'ultimo numero di Vogue, se possibile.- dissi, indicando il retro di un giornale dalla copertina verde acqua, su cui vi era scritto a caratteri raffinati “VogueMagazine”.

Lei annuì, prendendo il giornale -Sono 2.50$- mi confermò, porgendomi il giornale. Allungai la mia mano affusolata e candida come porcellana, per mettermi il giornale sotto braccio, poi tirai fuori dal mio portafoglio di pelle nera su cui vi era ricamato uno scheletro qualche moneta che poggiai nel palmo della mano della donna. Infine mi allontanati, tirando fuori una sigaretta, e presi fra le mani il giornale. Per poco svenni vedendo la ragazza raffigurata sulla copertina.

Crystal Azirya.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Mi rifugiai in camera, sbattendo con violenza la porta e fiondando gli occhi sulla foto che si mostrava in copertina. La ragazza aveva lunghi capelli neri, sciolti sulle spalle, con alcuni ciuffi ribelli e sensuali a coprirgli gli occhi, la pelle pallida come porcellana e delicata proprio come essa si mostrava in tutta la sua sensualità. Sfoggiava un intimo anche lei,leopardato e contornato dal pizzo color cioccolato, una mano era sul seno e mostrava un anello di diamanti enorme che sfigurava davanti alla sua bellezza. L'altra mano invece stava per tirare giù gli slip, o almeno così stava mostrando di fare. I suoi occhi non erano più dolci e sereni, come quando l'avevo incontrata, ma lanciavano lampi maliziosi che struggevano la sua dolcezza e che si rintanavano nel pece più intenso. L'occhio era contornato dalle ciglia lunghe e fluttuose, le palpebre delicate erano ricoperte da uno strato di ombretto castano polvere e un rossetto rosso fuoco circondava le labbra carnose.

E sotto quella foto struggente dalla bellezza vi era una didascalia scritta in grassetto:

 

 

 

ecco la nuova STELLA del firmamento della moda!

Crystal Azirya, figlia della celeberrima modella ed ereditiera russa Irina Azirya, ha sfilato sulle passerelle di Milano, la capitale della Moda italiana, per Intimo Gucci, oltre che per H&M e per Bluemarine. Le foto e l'intervista a pagina 43.

 

 

 

Non poteva essere. Non Crystal, non mia sorella, non quella dolce e buona, non poteva essere diventata un ipocrita come nostra madre. Ricacciai dentro le lacrime e sfogliai velocemente fino a pagina 43.

 

 

 

 

 

Stiamo entrando nella casa di Crystal Azirya, la nuova stella del firmamento della moda, dove vive con sua madre Irina, la ormai conosciutissima modella ed ereditiera russa.

Vediamo le due bellissime donne accogliere me e la mia troupe e ci sediamo su un divanetto di pelle bianca che troneggia nel salotto della casa.

Buongiorno Irina e Crystal! Crystal, raccontaci di te.

Io mi chiamo Crystal Azirya, come già sapete.

Sono da poco qua con mia madre, perchè prima abitavo a Toronto con il mio tutore,

Edward Litols,che mi ha accudita fino all'età che ho tuttora, ovvero diciassette anni.

A diciassette anni già aver sfondato nella moda...

Sì, è un gran traguardo, ma io sono felice della vita che ho deciso di intraprendere, perchè non mi andava più di esser semplice studentessa. Ora però studio comunque al prestigioso collegio “Saint. Jones. Claire” di Mosca, dove voglio laurearmi in biologia.

Sappiamo che tu hai una sorella, e che l'hai conosciuta.

Sì. Il suo nome è Gwendolyn Azirya, è stata adottata da un panettiere che lavora poco fuori Toronto di nome Jack Smith. Non ha voluto venire in Russia con me e mia madre, sebbene sia

quello il futuro che le aspetta.

 

 

 

Smisi di leggere, strappando la pagina con rabbia e riducendola in mille piccoli pezzi di giornale, che volarono fino a posarsi delicatamente sul pavimento piastrellato.

-VAFFANCULO!- urlai, scaraventando il giornale contro la parete prima di affondare il viso nel cuscino per inzupparlo di lacrime. Come si permetteva, quell'ipocrita? Sì, Crystal era un ipocrita e basta, esattamente come Irina. Lei non sa nulla di me, lei non sa nulla di chi voglio diventare e di qual'è il mio futuro. Non può permettersi di parlare senza conoscermi a fondo, come invece ha altezzosamente dimostrato di fare. E non mi importa se è modella e futura ereditiera, non mi importa assolutamente niente, che lei e le sue sfilate non mi vengano solo ad importunare.

Guardo fuori dalla finestra, scostando con delicatezza la tendina blu notte di pesante flanella che la ricopre, per osservare il cielo lattigginoso e nascosto dalle file di peschi che donano un po' di colore al paesaggio con i loro fiori rosati. Improvvisamente mi ricordo del mio appuntamento con Duncan di quella sera, e mi mordo il labbro. Non so se voglio andare, se ho voglia che Dawn mi legga l'aura per rivelare le mie emozioni nascoste, se ho voglia di sentire le battute idiote di Scott e vederlo sbronzare insieme a Duncan con dieci boccali di birra. Spalanco la finestra e mi metto a fumare, il fumo ormai è diventato un mio ricorrente vizio, fumo circa sette sigarette al giorno ma non posso più farci niente ormai. Il fumo si dissolve nel cielo candido, mentre io mi sento subito più tranquilla. Potere del tabacco. Il vento mi sfiora impertinente le gote e mi scompiglia i capelli, mentre i miei occhi scuri faticano a stare aperti ad una simile forza.

Sento il mio cellulare vibrare, e velocemente lo prendo, con la mi fonte di benessere ancora serrata fra le labbra, penzolante.

 

Gwen, Scott vuole prenotare lo chalet per stasera... Tu ci vieni, vero? Se no non vengo neanche io.”

 

Duncan.

 

 

 

Sì, ci sono. Ma devo parlarti urgentemente, prima.”

 

Esordii con quel messaggio perchè non ce la facevo più a tenermi tutto dentro, e le lacrime che ora solcavano le mie guance lattee non erano sufficienti come sfogo.

 

 

 

Io sono disponibile... Al lago fra dieci minuti?”

Andata.”

 

 

 

 

Ormai il lago era il nostro posto fisso, dove parlavamo di noi e delle nostre fragilità, come avevamo fatto esattamente molto tempo prima, dove ci eravamo raccontati delle nostre vite.

Le acque calme riuscivano a sbollire la rabbia che avevo dentro, sempre e comunque, e al tramonto, all'aurora e all'alba le acque si illuminavano di mille sfumature rosa, rosse, dorate e color pesca.

Il bosco che lo contornava aveva un selvaggio color verde scuro, e quel posto speciale sapeva di muschio, di rose e di laguna. La panchina gialla e consunta era poggiata davanti ad un grande salice piangente, con la sua chioma verde polvere che si riversava a terra, e sul tronco scuro e irregolare Duncan aveva inciso “DxG=LOVE”.

Non mi cambiai neanche, semplicemente mi misi un po' di fondotinta per celare le lacrime e l'ombretto e il mascara per nascondere gli occhi gonfi, infine mi pettinai quella massa cespugliosa di capelli corvini e blu petrolio in un ordinato caschetto. La mia adorata borsa, con le borchie a comporre un teschio, era la mia scelta quotidiana e anche quel giorno me la misi in spalla per uscire.

Presi l'mp3 viola acceso e scelsi “Lithium” degli Evanescence, ormai ascoltavo solo più quella, pensai sorridendo mentre mi portavo gli auricolari alle orecchie. Mentre ascoltavo quella meravigliosa musica che mi fungeva da calmante, le mie Convers passeggiavano tranquillamente sul viale acciottolato che portava al nostro posto, e quando finalmente intravidi quella distesa d'acqua cristallina sorrisi affrettando il passo. Lui era già lì, come sempre, seduto alla sinistra della panchina gialla e con lo sguardo perso nelle acqua cristalline, su cui stava planando un gabbiano sperduto. Io mi sedetti accanto a lui, che mi cinse la vita e mi accolse nella morsa dolce delle sue braccia possenti e rosee, in cui mi accoccolai ben volentieri, con la guancia premuta contro il suo petto. Lui estrasse fuori dal pacchetto di sigarette due di quelle, mostrandomene una -Vuoi?- mi chiese, accendendo la sua e portandosela alle labbra -No, ne ho già fumate otto. Più del mio solito- spiegai, rifiutando a malincuore l'offerta. Lui fece le spallucce, e tirò una lunga fumata che si inoltrò nel cielo coperto di nuvole -Allora, amore cosa c'è?- mi chiese dolcemente, osservandomi con i suoi occhi cerulei. Io mi sfogai, piangendo sulla sua camicia bianca e investendolo di un fiume di parole dolorose e cariche di risentimento, e alla fine scoppiai in un pianto liberatorio. Il mio ragazzo mi accarezzava teneramente i capelli setosi, mentre per tranquillizzarmi mi stampava baci sulle labbra bagnate da lacrime salate.

-Vedrai che tua sorella col tempo si accorgerà che sta sbagliando e tornerà da te.-

-Non è questo il punto! Può starsene con mia madre, se vuole, il punto è che lei si mette a sparlare di me sulle riviste, io non ce la faccio più! Lei è una stronza- esclamai senza mezzi termini, mordendomi il labbro e lanciando un sassolino piatto nell'acqua del lago, che rimbalzò facendo dei cerchi concentrici sulla superficie fresca.

-Forse vuole che tu ti accorga di questo, e vuole che tu vada a vivere con lei. Ti vuole bene, Gwen-

pronunciò queste parole con una tale calma che quasi mi irritò, mentre si portava la sigaretta fra l'indice e il medio. -Io non voglio andare con quelle due ipocrite, voglio rimanere qua con mio padre e te. Voi siete le persone a cui tengo di più- quando finii, Duncan cacciò le sue labbra nelle mie, e ci baciammo appassionatamente a lungo, finchè, qualche secondo dopo, un tramonto colorato fece capolino in quel cielo spoglio e colorò il mondo dei suoi gioiosi colori.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

La sera, per andare a cenare con Duncan e gli altri allo chalet, optai per un corpetto a cuore nero, semplice e senza spalline, e con una gonna sensuale che mi delineava i fianchi, corta fino a ginocchio e di un bel blu notte intenso. Lasciai le gambe scoperte, secondo Duncan facevo bene perchè le mie gambe snelle erano sexy e provocatorie, così lo feci tanto per accontentarlo, anche se in realtà odiavo lasciare scoperte le gambe.

Mi piastrai le ciocche blu petrolio, che si divisero in boccoli che mi contornavano la pelle diafana, e il resto dei capelli lo piastrai semplicemente rendendoli lisci e scorrevoli.

Indossai delle scarpe a sandalo aperte, con un profondo tacco nero lucido, e mi misi degli orecchini pendenti con zaffiri incastonati. Alla fine fui pronta, e sentii il campanello squillare ripetutamente.

Erano Scott e Duncan, rispettivamente sulla sella di una moto, mentre Dawn aveva le braccia ossute e diafane abbracciate alla camicia bianca a righe azzurre di Scott. Lei indossava un top azzurro polvere, con voulan e pizzo in ogni dove, mentre una gonna a ginocchio verde pastello delineava le sue curve snelle e sinuose. Io mi appostai dietro a Duncan, che sfoderò un sorriso beffardo e che mi sussurrò all'orecchio -Questa volta guido io-.

Io annuii ironicamente, sedendomi a cavalcioni della moto e abbracciandomi alla sua schiena calda e febbricitante, poi indossai il casco nero e pesante che mi calcai bene sulla fronte e infine partimmo. Sfrecciavamo nella notte con velocità assurda, e mi strinsi sempre più forte a Duncan, fino a che lui si fermò e mi squadrò divertito -Qualcuno qui dietro ha paura?- ironizzò.

Io feci finta di infastidirmi e gli tirai un pugno sulla schiena -Ok, sto zitto.- esclamò infine, sempre sorridendo, prima di ripartire a tutta velocità.

Dawn e Scott erano davanti a noi di qualche metro, e i capelli voluttuosi e biondo cenere di Dawn ondeggiavano danzando lenti nella notte scura.

Alla fine intravidi un delizioso locale pittoresco, di legno, immerso nel bosco e nella natura, uno spettacolo bellissimo. Quando accostammo accanto al bosco, Duncan mi tirò una gomitata per farmi voltare e mi disse -Hai portato il costume?- prima che potessi aprire bocca e chiedergli cosa volesse dire, lui raggiunse Scott e insieme ridacchiarono scambiandosi battute, io invece mi accostai a Dawn. -Ehi..- mormorò, aprendosi in un sorriso gentile contornato dalle labbra su cui vi era un sottile strato di rossetto rosa chiaro. -Ciao! Oh, delizioso lo chalet- improvvisai, non sapendo bene cosa dire. -Io lo adoro... Mi ci portò Scott quando ci fidanzammo.- esclamò, passandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. -Allora quel troglodita ha una vena romantica!- esclamai, lei ridette e annuì. -Sì, anche se vuole tenerla nascosta. La sua aura è così vitrea, non vuole far emergere le sue vene romantiche- io aggrottai un sopracciglio senza fare domande, mentre entrammo nello chalet.

Un forte odore di cibo raffinato mi impregnò le radici, e notai subito un fuoco scoppiettante tremolare allegro in un caminetto di pietra. Era tutto caldo ed accogliente, ed una piscina meravigliosa si ergeva al centro di una sala adiacente. Era uno chalet di lusso, notai, infatti gli uomini che bevevano champagne pregiato indossavano gioielli e pellicce molto care. Duncan e Scott si sedettero ad un tavolino a quattro vicino alla piscina, e io feci una smorfia sentendo quel odore di cloro pervadere l'aria. Ordinarono due bottiglie di champagne, e ridacchiarono scambiandosi battute poco divertenti, mentre io e Dawn ordinammo una bottiglia di acqua frizzante.

Ci servirono poco dopo, portando una caraffa di cristallo colma d'acqua e due bottiglie da stappare di spumoso champagne. Poi ordinammo il cibo, e la cena proseguì tranquilla, quando io voletti assaggiare l'alcolico. Le due bottiglie le avevano finite Scott e Dawn, che ora erano sbronzi più che mai, e ridacchiavano pesantemente. Ordinai un'altra bottiglia che ci dividemmo io e Dawn, fino a che la testa non mi girò e fino a che potei considerarmi ubriaca anche io. Ridevamo tutti e quattro, mentre gli altri signori ci guardavano stralunati, quando io mi alzai da tavola barcollando.

Non riuscivo a tenere in piedi, la mia vista era sfocata e i capogiri mi attanagliavano la mente.

Caddi dentro la piscina.

Una sensazione di gelo mi pervase, mentre il mio corpo cadeva in profondità, fino a che la mia riserva d'aria ricominciò a chiedere rifornimento. Cercai di nuotare, ma la sbornia mi impediva di pensare lucidamente. Mi feci paonazza, senza aria in corpo e con la testa che girava per via dello champagne, tentando di muovere le braccia con scarsi risultati.

Fu allora che un corpo si immerse in mio aiuto, un ragazzo che non definii bene ma che mi cinse la vita con forza e mi issò fino alla superficie. Una volta là, mia accarezzò teneramente le gote intrise d'acqua, e mi fece sputacchiare quella che avevo ingurgitato.

-Stai bene?- disse la voce.

-C-ciao...- mugugnai con la bocca impastata dall'alcool.

-Vieni, ti aiuto io.- disse, portandomi fuori dall'acqua, mentre io mi aggrappavo saldamente al suo collo e mentre le mie labbra affannate erano ad un centimetro dalle sue.

-D-duncan?- tentai di dire, e lui mi parve scosse la testa con decisione, prima di chinarsi e posarmi sul pavimento d'ebano dello chalet.

-Bene, ora..- prima che potesse dire altro, ancora sotto effetto della sbornia, gli cinsi il collo e lo baciai appassionatamente.

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

Ciaoooo!!!!!!!!!!!

Eccomi con questo capitolo di sei pagine! So che è un po' lungo, ma

spero vi piaccia ;)

A me non mi convince, l'ho riletto più volte ma niente..

Comunque so che fa schifo -.-”

A presto!

Dolci :3

Gwen

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Capitolo 15
*** La caccia al tesoro ***


Cuore di ghiaccio.

 

 

 

La testa mi vorticava fortemente, impedendomi di formulare un minimo pensiero lucido, mentre uno stupore generale si innalzava nello chalet, probabilmente le persone non erano abituate ad uno spettacolo del genere in quel locale così chic e sofisticato.

Le gocce d'acqua mi sgorgavano lente sulla fronte e poi sulle guance, mentre mille brividi di freddo mi risalivano lungo la spina dorsale e mentre il mio respiro era affannato e mozzato dal gelo e dall'alcool. Dischiusi le mie iridi pece, per tentare di scorgere il volto del ragazzo, ma la visuale che si prostrò davanti a me non era nitida e quindi non distinsi sennonchè nulla, mio malgrado. Qualcuno con fare seccato mi prese le braccia e mi aiutò ad alzarmi, tenendomi per la vita e imprecando parole offensive. Cinsi la mano al collo di Duncan, mentre la mia testa ciondolava pesantemente sulla sua spalla, quando sentii una mano forte trascinarmi via dal locale con un violento strattone, che mi fece piombare fuori nel mondo avvolto da un fascio oscuro.

-Gwen, che cazzo hai fatto?- domandò Duncan, sbattendo furioso il piede a terra, mentre si sistemava sul sellino di pelle nero della moto. Io mi accoccolai accanto a lui, incapace di formulare una risposta decente, mentre sentivo il veicolo partire a folle velocità.

Arrivammo davanti al mio villino poco dopo, e il mio ragazzo frugò nella mia borsa borchiata le chiavi di casa, mugugnando qualcosa di incomprensibile.

Una volta trovato il mazzo di chiavi, le infilò nella toppa con fare irritato, aspettando che il cardine scattasse, per poi condurmi in casa. Barcollando pericolosamente, finii sul divano di pelle bianca e chiusi pesantemente le palpebre, aspettandomi un leggero bacio sulla tempia dal mio ragazzo.

Ma il bacio non arrivò, mentre la porta sbatteva violenta alle mie spalle provocando una folata di vento che mi avvolse.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Il mattino dopo mi svegliai con una miriade di pensieri accavallati nella mia mente, mentre il mio stato visivo era più che orrendo, semplicemente spaventoso.

Il trucco era sbavato, l'ombretto era una lunga cicatrice che mi solcava la guancia sinistra, il rossetto era sparpagliato sulle guance e i capelli erano arruffati e cespugliosi come dei rovi ingarbugliati.

Sentivo la bocca impastata, e uno strano alito di alcool e vomito impregnava le mie labbra con disgusto.

Mi alzai barcollante, dirigendomi alla porta del bagno adiacente al salotto, in cui mi lavai totalmente il corpo e mi lavai anche i denti, per portare un sano sapore di menta al posto che quell'impregnante e disgustoso odore di alcool.

Regolai l'acqua della doccia a temperatura ambiente, scostando la tendina blu con forza per coprirmi il corpo, poi mi beai del getto d'acqua tiepido che sgorgava cristallino e che colava lentamente giù per le mie curve e che gocciolava dai miei capelli scuri. Mi passai con forza una manata di shampoo alla fragola sui capelli, colorandoli di schiuma bianca, per poi osservare l'effetto dello shampoo diluirsi insieme all'acqua e mostrare i miei capelli ritti e lisci.

Dopo che mi fui fatta la doccia, mi pettinai i capelli con la mia solita spazzola bluette in modo da renderli lisci e regolari, poi mi vestii e salii in camera.

Vidi il cellulare, posto sul comidino, vibrare intensamente, segno che avevo ricevuto un messaggio.

Lo presi e lessi con velocità, mangiandomi le parole:

 

 

 

 

Grazie per il bacio di ieri sera”

 

 

 

 

Rimasi di sasso, mentre mi scostavo velocemente un ciuffo di capelli corvini dietro l'orecchio.

Ticchettai nervosamente il piede sul pavimento blu notte della camera, sbuffando sonoramente e formulando una risposta decente nella mia mente contorta dai pensieri che vi vorticavano dentro.

 

 

 

Chi sei?”

 

 

 

Questo fu tutto quello che la mia mente “contorta” riuscì a produrre, dato che non avevo altre domande.

 

 

 

 

Sono chi tu pensi che io sia.”

Dimmi chi sei senza troppe frasi poetiche”

 

 

 

Non ci girai intorno, cercando di storpiare quell'informazione dal ragazzo e andando dritta al punto.

 

 

 

Vieni al parco e lo scoprirai”

 

 

 

 

Inspirai, cercando di pensare, cosa che ultimamente non mi usciva tanto bene.

Al parco... Dovevo accettare? O forse no?

Mi morsi il labbro, stringendo intensamente il cuscino del letto al petto e affondando il volto nella fodera bianca a stelle nere.

Ci sarei andata?

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Mi strinsi nel piumino pesante che mi avvolgeva il corpo, camminando incessantemente all'interno delle viuzze naturali che il parco aveva costruito con il suo snodarsi di alberi.

Alla fine avevo deciso di venire e conoscere la verità: volevo assolutamente scoprire il ragazzo che avevo baciato involontariamente.

Mi avventurai fra i viottoli acciottolati, accostandomi alla destra e decidendo di tagliare la strada passando per il campo di noccioli alla mia destra.

Affondavo i piedi nella radura erbosa, su cui si stagliavano gli imponenti alberi carichi di nocciole piccole e tonde, mentre il mio sguardo vagava in ogni angolo del maestoso parco di Toronto, alla ricerca del più piccolo indizio lasciatomi dal ragazzo.

Dopo mezz'ora di cammino, intercettai l'enorme fontana zampillante che caratterizzava il centro di quella vastità boscosa e raggiunsi il bordo di marmo bianco, che riluceva ai raggi solari.

Mi sedetti sul bordo, fumandomi tranquillamente una sigaretta e aspettando che il fumo si facesse largo fra le fronde rigogliose degli alberi, quando vidi una chiazza bianca sporgere dal tronco di un nocciolo.

Mi avvicinai con cautela, notando che la mia “chiazza bianca” non era altro che un foglietto malandato e sgualcito, che presi con forza cominciando a leggere sulla grafia grossolana e frettolosa:

 

 

 

Piazza”

 

 

 

Mi misi il biglietto in tasca, scostandomi frettolosamente un ciuffo di capelli corvini dalla fronte, poi mi portai la sigaretta fra l'indice e il pollice con fare pensoso: che avrei fatto?

La risposta era, ovviamente quel misterioso foglietto.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Noleggiai una motocicletta, calcandomi per bene il casco sulle spalle per paura di dover ripetere l'esperienza precedente, poi partii a velocità modesta sfrecciando fra le strade di Toronto.

La piazza era molto lontana dal parco, quindi una buona mezz'oretta di corsa in moto non me la toglieva nessuno.

Mi accostai al marciapiede alla mia destra, mentre la mia mente affollata di domande senza risposta: chi era quel misterioso ragazzo? E cosa voleva da me? Mi aveva provocato con quel messaggio, era ovvio, ma...? Scossi la testa, decisa sul fatto che avrei trovato le mie risposte da lui, sempre se fossi riuscita ad incontrarlo.

Dopo il lasso di tempo indicato prima, scorsi la piazza molto estesa che si scorgeva al centro di Toronto, circondata da una miriade di casupole e gremita di persone.

C'erano molte statue e monumenti nella piazza, sui quali i turisti scattavano foto ricordo.

Parcheggiai la moto in un piccolo parcheggio poco fuori dalla piazza, poi feci un breve tratto a piedi e infine mi confusi fra la folla di persone che riempivano la piazza come uno sciame di api in un alveare. Serpeggiai fra la gente e mi feci largo fra le panchine che circondavano le statue centrali, cercando di scorgere un qualcuno o un qualcosa che mi aiutasse nella mia “caccia al tesoro”.

Vidi un foglietto dietro un'imponente colonna, che lessi di tutta fretta, divorata dalla curiosità:

 

La tua corsa finirà al... Molo”

 

 

 

 

Senza proferire parola, corsi alla moto e sfrecciai a tutta velocità verso il molo, senza nemmeno calcarmi il casco sul capo.

I capelli danzavano al vento fluttuosi e voluminosi, gli occhi socchiusi dal vento erano fissi verso l'orizzonte, i polpastrelli delle mani erano stretti attorno al manubrio nero.

All fine, arrivai alla ringhiera d'acciaio che separava la spiaggia dalla periferia, e un vivido ricordo dell'incidente che avevo vissuto si stagliò nella mia mente, provocandomi l'amaro in bocca.

Scesi dalla moto, e ciò che vidi mi lasciò spiazzata.

Il ragazzo era lì, davanti a me, e mi guardava con un sogghigno stampato sulla pelle non proprio pallida.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

Perdonatemi, please.

Lo so che fa schifo, ma non avevo l'ispirazione e l'ho riscritto tre volte, siate clementi ma non avevo idee D:

Dedico il capitolo a:

Dalhia_Gwen *_*

Stella_2000 ^_^
Lexy Angels ;)

Giulialovely99 (che mi ha fatto il piacere di regalarmi una recensione in più al primo capitolo in modo da farmi raggiungere 9 recensioni lì) :D

Gwuncan99 *^*

SmileSmoke :3

E a tutti i lettori che leggono, seguono e preferiscono la storia!

Dolcetti :3

Gwen

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Capitolo 16
*** Tra la vita e la morte ***


Cuore di ghiaccio

 

 

 

Il cuore mi batteva impazzito nel petto, mentre un'ansia prestante si dilagava in esso con grande facilità, senza che io facessi nulla per bloccarla.

I capelli erano teneramente scompigliati dal vento, e i ciuffi corvini danzavano lentamente ondeggiando dietro le pallide orecchie che si scorgevano sotto la capigliatura.

Elevai una mano e la portai davanti agli occhi scuri, assottigliando questi per cercare di intercettare chi fosse la figura controluce che si stagliava accostata alla ringhiera di lamiera.

Uno spirale di luce cangiante mi colpì in pieno l'iride, costringendomi a sbattere più volte le ciglia ed a indietreggiare lentamente.

La figura si girò, quasi a rallentatore, mentre la mia tensione si accresceva e dominava l'aria circostante con potenza.

Delineai i tratti del volto: robusti, forzuti, muscolosi, proprio come il fisico che si intravedeva dall'attillata maglietta rossa che gli sottolineava l'imponenza; due occhi smeraldini e sfaccettati come smeraldi rilucevano nei bulbi oculari ardendo maliziosamente, mentre un fuoco mellifluo contornava la pupilla ellittica che si stagliava al centro e si sfumava con il verde.

Il naso era affilato e regolare, abbronzato leggermente di più rispetto al resto del viso, e una bocca sottile e articolata in un sorriso sghembo si delineava sotto di esso, mostrando la fila di denti bianchissimi che formavano quel micidiale sorriso.

-Ehi- sussurrò, mentre una corrente improvvisa gli scompigliava i capelli, facendoli ondeggiare leggermente al vento, rendendo la sua figura maestosa ancora più attraente.

Le mie guance si imporporarono notevolmente, costringendomi a celare lo sguardo abbassandolo sul viale acciottolato che contornava quel ripido tratto di strada che portava alle acque turchesi e salmastre che si fondevano con l'orizzonte indefinito del cielo.

Il ragazzo alzò lentamente una mano dai tratti grossolani, con il dito indice al quale vi era infilato un grosso anello dalla struttura d'argento, e mi fece segno di avanzare verso di lui.

Non proferì parola, preferendo restare nella circonferenza silenziosa che si era creata fra noi, e questo mi andò benissimo, tanto più perché non avrei saputo cosa balbettare sul momento.

Lo assecondai e mi avvicinai, accostandomi al suo petto, quando promosse un gesto che mi inquietò e mi agitò parecchio, facendomi sussultare.

Alzò le mani e mi cinse i fianchi con fare malizioso, per poi palpare la schiena con maestria e solleticarmi il collo, ma io non lo lasciai fare e con uno strattone mi divincolai pesantemente dalla sua stretta malsana.

-Cosa fai!?- esclamai sonoramente, rompendo il silenzio creatosi, mentre le sue dita correvano ai deboli polsi pallidi congiunti alle mani.

Me li strinse con vigore, provocando un mio gemito che riecheggiò nell'ambiente circostante, poi cacciò la mano nella tasca dei jeans estraendo un coltello lucente.

-Sei una ragazzina stupida, Gwen, ma proprio tanto. Non ti ricordi davvero di me?- ghignò maleficamente prima di prendermi il volto con la mano e avvicinarlo a se, facendomi distinguere meglio i tratti del suo volto.

E capii, anche se ormai era troppo tardi.

 

 

 

 

 

 

Stavo disegnando sotto un grande faggio, con la schiena appoggiata all'imponente tronco e la mano destra intenta a reggere la matita dalla punta morbida.

L'anonimo del foglio bianco che si ergeva sul block-notes sorretto dalla mano sinistra fu presto compensato da uno schizzo bianco che lo riempì di vita: si trattava di un bellissimo volto gioviale e sorridente, dai lunghi capelli castani sciolti sulle spalle e dagli occhi persi in un qualcosa di curioso.

Le treccine scure erano legate in due piccoli nastri rosati, e un cappotto a doppio petto di flanella azzurra mi ricopriva il corpicino esile e minuto, appoggiato a quel faggio che sembrava essere il mio unico appiglio.

Prima che potessi particolareggiare quel volto bellissimo, l'autore di esso arrivò lentamente, affiancandomi e sprofondando nella rugiada erbosa caratteristica di quella striscia di parco.

Abbozzai un sorriso genuino, mentre le mie guance si tingevano di rosso alla sola vista di quegli occhi smeraldini e di quel sorriso gioviale e sereno, contornato poi dai fievoli e tiepidi raggi di sole che filtravano dalle fronde rigogliose dell'albero.

-Ciao Gwen! Come va?- chiese, prima di azzerare la nostra distanza per baciarmi a stampo sulle labbra rosee.

Era il mio ragazzo. Alejandro Burromuerto, un ragazzino sorridente e ilare che si era miracolosamente innamorato di me, sebbene fossi una “sfigata” agli occhi di tutti.

Nei continui maltrattamenti che subivo, da quando mi spingevano la testa nello scarico a quando mi lanciavano le uova marce sugli indumenti, lui era sempre lì a difendermi e ad usare quel tono duro e autoritario che respingeva gli idioti con un solo cenno.

Era un supereroe, e lo amavo davvero, con tutta me stessa, con tutta la mia anima.

Mi accarezzò teneramente la guancia con il palmo della mano, assaporando le curve rotonde di questa, quando ad un certo punto il suo palmare squillò con insistenza.

La suoneria ritmica e di un arduo rock, su cui compariva la voce metallica e potente di una donna che graffiava ardentemente l'intera composizione, si dissolse fra i rami e vorticò nell'ambiente, prima che riuscisse ad allungare le gambe e a portarsi la mano in tasca.

-Pronto?- scomparve dalla mia vista, scomparendo dietro alcuni cespugli erbosi che si aggrovigliavano poco più in là.

Fu una discussione animata, a quanto sentii, ma così animata che ad un certo punto lo sentii sbattere il cellulare a terra e calpestare i pochi frantumi rimasti su quella striscia di parco.

-Cosa è successo?- gli chiesi allora, prima che un lampo irato si scaraventasse su quel volto prima così sereno.

Mi alzò con violenza e mi cinse i polsi con altrettanta violenza, sbattendomi con forza contro il tronco del faggio.

Mi baciò con passione, varcando la soglia che ci eravamo proposti di limitarci a qualche isolato bacio a stampo, più che sufficiente per i tredici anni che avevamo.

Cercai di divincolarmi, ma i polsi erano stretti nella sua presa e il corpo era sbattuto contro il tronco.

Quando staccò le sue labbra dalle mie, tentai di protestare invano, perchè un diretto e secco schiaffo mi fece cadere a terra, segnandomi nettamente la guancia con l'impronta arrossata.

Bruciava, ma bruciava di più il dolore che mi comprimeva il cuore in quell'istante.

Rivoli cristallini mi rigarono le guance con forza, scorrendo come un fiume in piena, mentre le con le mani sprofondate nella terra cercavo di rimettermi in bilico per fronteggiare il suo sguardo ricco di astio e risentimento.

-P-perchè?- balbettai, singhiozzando, mentre le lacrime cristalline continuavano a tagliarmi il pallido della guancia a metà con vigore, per cadere a terra e sfumarsi con la rugiada in mille piccoli cerchi concentrici.

Non rispose, forse perchè una risposta non c'era. Allontanò lo sguardo da me, incapace di sostenermi, quando una nuova ondata d'ira lo colse e lo costrinse a sfogarsi.

Mi riprese i polsi e mi sbattè a terra, sollevandomi velocemente la maglietta attillata per sprofondare le mani nelle curve sinuose che formavano il mio corpo.

Strinsi i denti e affondai le unghie nella terra, mentre le sue labbra viscide e desiderose mi sfumavano sulla pelle malsane e indesiderate da parte mia.

Con foga mi divincolai, tirandogli calci a vanvera sulle ginocchia, e mi rimisi in piedi.

Non poteva essere cambiato così tanto, da un momento all'altro.

No, non lui, non il mio Alejandro.

Alzai lo sguardo, incurante della fiamma ardente che contornava l'iride sfumata con il bianco del bulbo, e lo fissai con espressione austera e autoritaria, la mascella contratta.

-Come puoi?- sussurrai, riempiendo l'aria di tensione, mentre le mie parole biascicate sbatterono al vento fresco del tramonto.

-Sei una stronza, una bastarda. Vattene dalla mia vita- balbettò, provocando un altro pianto sommesso e disperato che mi spezzò le guance e il cuore.

-E tu dalla mia- ebbi la forza di esclamare, mentre il suo disegno schizzato a matita veniva strappato in due perfette metà come il mio cuore.

 

 

 

 

 

 

La mia vita con lui passò davanti ai miei occhi colmi d'orrore in un lampo, come riflessa nella lama traslucida del coltello che impugnava saldamente.

Notò il terrore impregnarmi il nero intenso degli occhi, e ridacchiò soddisfatto dal timore che mi aveva incusso.

-Brava bambina, ti sei ricordata. Non volevi concederti a me quel giorno, vero? Non mi amavi? Cos'è?!- sbraitò, mentre una scintilla ardeva oscillando violentemente nel suo sguardo e mentre la mia schiena sbatteva più volte contro la ringhiera laminata del molo.

Non risposi, lasciando che la delusione di quel giorno bruciasse nella mia anima come quel giorno ormai lontano, eppure così nitido.

Accostò il coltello alla gola, disegnando con la lama una perfetta linea immaginaria, che mi sfiorò solo leggermente il collo.

Il battito accelerò, e il mio cuore sbraitò incessantemente di dolore, come le mie corde vocali non ebbero il coraggio di fare.

La linea rossa dei polsi me li spezzava dolorosamente in due, così come i miei occhi traslucidi di lacrime riflettevano e tradivano il mio volto contratto e teso.

Il vento ci scompigliava le chiome che piroettavano con eleganza all'indietro.

Lo scroscio delle onde infrante sul bagnasciuga assordava e riempiva quel silenzio disarmante.

Tutto era così silenzioso che colmava l'anima.

E una lacrime cadde sull'asfalto con precisione.

Un urlo irato echeggiò nelle nostre orecchie, costringendo Alejandro a voltarsi e ad osservare la figura che correva velocemente poco lontano.

Le gambe contratte solcavano la terra ad innata velocità, gli occhi assottigliati erano fissi contro quelli del mio assalitore e riflettevano lampi azzurro cielo.

-DUNCAN!- sbraitai senza contenermi, mentre approfittai della sorpresa del moro per sfuggire alla sua presa micidiale.

Il punk si fermò affannato vicino alla ringhiera, con le braccia allargate in un tentativo di abbraccio che fu pienamente colmato dal mio corpo.

Cinsi il suo collo con vigore, accostando il mio volto attorno alla sua guancia, mentre la mia strofinava sul ruvido della barbetta nera che aveva rasato, lasciando solo una distesa rosea e leggermente solleticante.

Premetti le mie labbra sulle sue, e solo allora mi accorsi che il nostro amore era vero, puro, semplice, e che i nostri litigi erano colmati dal sentimento che provavamo l'uno per l'altro.

Mi prese il volto fra le mani, e premette di nuovo le labbra sulle mie, questa volta baciandomi con passione, sotto lo sguardo irato di Alejandro e sotto il dolce tepore colorito del sole al tramonto.

Successivamente si parò davanti a me, nascondendomi totalmente dietro i suoi robusti muscoli palestrati accompagnati dalla maglietta nera aderente su cui vi era stampato un teschio ricoperto di piccole borchie lucenti e coniche.

-Chi sei? Come osi toccarla, delinquente!- tuonò con voce potente, dirignando i denti.

Il moro rise maleficamente puntando il coltello e gesticolando con questo impugnato saldamente.

-Ma guarda il principe azzurro che difende quella piccola stronzet...- prima che potesse terminare la frase, il punk mollò un pugno ben assestato sul naso del latino, facendo sgorgare dal naso di questo un rivolo di sangue scuro che colò fino alle labbra.

-Non ti permettere, chiaro?- tuonò lui, elevando la mano fino al naso per tamponarsi con un fazzoletto la ferita, per poi impugnare il coltello e menare un fendente verso la spalla di Duncan.

Quest'ultimo fu colpito di striscio, e uno schizzo di sangue colò nell'aria confondendosi con il pulviscolo opalescente prima di cadere a terra.

-Duncan!- mormorai, avvicinandomi al corpo del ragazzo per assicurarmi delle sue condizioni e per vedere lo stato della spalla.

Quando vidi la lunga ferita che gli segnava l'arto muscoloso, impallidii e mi mordicchiai il labbro, mentre un velo di lacrime assecondò il mio stato d'animo insieme ad una lacrima solitaria, che cominciò a rigarmi lentamente una guancia.

-Sto bene, tranquilla- mi rassicurò teneramente, portandosi la mano al taglio allungato e doloroso quasi convinto di poter bloccare l'emorragia, poi scrollò le spalle e colpì con un pugno netto lo stomaco segnato dai prorompenti pettorali del moro.

Questo trattenne un gemito e sfoderò il coltello, che sfavillò sotto le fievoli spirali lucenti mandate dal sole ormai in calo.

Con un calcio dritto al ginocchio, fece perdere l'equilibrio a Duncan che cadde a terra goffamente, gemendo di dolore per via della spalla ferita che macchiò il freddo asfalto, prima di imprecare qualche parola offensiva.

Ma il latino impugnò il coltello, e con un urlo agghiacciante fece per scagliarlo contro il corpo ormai indifeso del punk...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

 

Ciao!
Prima di tutto, voglio ringraziare le 67 recensioni, siete fantastici! <3

Ringrazio quindi:

-Stella_2000, per i suoi numerosi consigli e per i complimenti;

-Lexy Angels, la mia simpatica amica, e il suo Duncan :D

-Gwuncan99, la mia fedelissima collega DxG;

-Dalhia_Gwen, una favolosa scrittrice e recensitrice di questa storia;

-SmileSmoke, la quale mi ucciderà se la chiamo con dei nomignoli XD

e poi Rocker_Wolf_Love, Icesakura, AlienShine, Cocomatters e tanti altri che

hanno recensito la storia o messa fra le seguite/preferite! :D

Dunque, in questo capitolo ho messo tutta me stessa: mi sono impegnata davvero tanto, quindi

con sincerità ditemi se ho scritto almeno leggermente decentemente oppure no.

Anche perchè da pochi giorni ho la fissa e pazza idea di fare la scrittrice in futuro...Non ce la farò

mai, so che scrivo troppo male, ma volevo vedere i vostri commenti al riguardo in questo capitolo in cui ho messo tutta me stessa... OVVIAMENTE SO CHE DEVO MIGLIORARE, MA IO DICO IN FUTURO! XD

Ora vi lascio, a presto! :3

Dolci :3

Gwen

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Capitolo 17
*** In ospedale ***


Cuore di ghiaccio




 Ero ancora impietrita, il cuore batteva a mille e il respiro irregolare ed affannato riempiva l'aria taciturna che si era creata attorno a me, colmata soltanto dall'ardore che bruciava vivido e denso negli occhi di Alejandro.
Il coltello saldamente impugnato nelle membra strette a pugno riluceva minaccioso e torvo, pronto a scagliarsi verso Duncan, altrettanto impietrito, caduto goffamente a terra dopo una spinta del latino.
Il cielo, ancora apparentemente rosato, nascondeva l'oscurità che dilagava nei nostri animi, per poi tingersi in un blu scuro avvolto da un fascio di stelle e sfumarsi con un nero intenso e perennemente triste.
"Come gli animi delle persone. Dalla bontà si passa alla malignità, senza nemmeno soffermarsi un attimo. Come è successo ad Alejandro." pensai, non trattenendo un sussulto che si dissipó nell'anima come un insidioso virus contagioso.
Ero io il motivo di tutto? Ero io il motivo dell'ardore irato che giaceva nelle iridi del moro? 
Improvvisamente mi riscossi da quei pensieri, cercando di mantenere la mente lucida e pronta all'azione, esattamente come il mio corpo gracile ed indifeso, che il punk aveva gentilmente difeso prestando la sua massa muscolosa e prestando il coraggio che in quel momento aveva iniziato a ruggire come un leone.
Gli occhi mi si inumidirono a quei pensieri su Duncan, e un lampo squarciò le iridi color inchiostro per lasciare spazio ad un irrefrenabile impulso, che mi spinse a parare io stessa il punk, come atto eroico e sentito.
Mi ritrovai davanti il corpo muscoloso e traslucido per il sudore di Alejandro, mentre la mano in cui impugnava saldamente l'arma tremolava alla vista innocua della mia figura, corsa a salvare l'amore della sua vita essendo pienamente conscia del fatto che non sarebbe servito a nulla.
-Togliti di mezzo, stronza- sibilò il moro, mentre il fuoco crepitante che contornava la pupilla ellittica sprigionava mille scintille cangianti che si rifugiarono nei meandri smeraldini degli occhi.
-Uccidimi, Alejandro. Uccidimi, se ne hai il coraggio. Uccidimi, forza- ripetei con più forza l'invito, fronteggiando pienamente lo sguardo folle e irato del latino, il quale sembrava essere stato sbaragliato dalle semplici e significanti che avevo pronunciato con facilità, sebbene il mio cuore invece fosse scavato dentro al solo pensiero della morte.
In quel preciso istante, il moro scosse la testa con lentezza, mentre il pugno si apriva lentamente rivelando il palmo abbronzato, che abbandonó la presa sul coltello. Questo cadde a terra con un clangore metallico a pochi centimetri dal viso di Duncan, il quale tiró un tirato sospiro di sollievo, prima di gemere di dolore al tentativo di articolare la spalla in qualche movimento.
Una sirena della polizia echeggió nell'aria tersa di sentimenti del molo, accompagnata da una decina di auto dagli inserti blu metallizzati e da un auricolare luminoso che tuonava con potenza squarciando il silenzio con prepotenza.
Molti uomini in divisa scesero dall'auto, divaricando le gambe ed estraendo una pistola dal fodero del pesante cinturone di cuoio che portavano alla cinta, per poi puntarla all'unisono contro Alejandro.
Questo aveva le palpebre chiuse, le braccia elevate e i palmi dischiusi in segno di resa, ma sembrava essere in pace con se stesso per quella rassegnazione.
Un uomo dai lineamenti grossolani e dalla carnagione scura si avvicinó, con la pistola stretta in mano e lo sguardo austero.
-Venga con noi, lei! E voi- roteó gli occhi indicando il punk superstite e me -State bene? Tu, ragazzo, non sembri messo molto bene. La signora Azirya ci ha pregato di assicurarci delle condizioni della ragazza soprattutto.-  appena pronunció quelle parole, io scattai, mentr una rabbia furiosa si espandeva dentro al cuore e mentre le sopracciglia venivano inarcate in segno d'ira. Ma mi contenni, e tutto quello che pronunciai a fior di labbra fu -È qua?- l'uomo scrolló le spalle, prima di prendere fra l'indice e il pollice il grosso sigaro che gli pendeva dalle labbra. -No, ma mi ha pregato di non accennare alle sue condizioni.- concluse velocemente il dialogo creatosi su mia madre, per poi ordinare a due uomini forzuti di trascinare Alejandro nella macchina della polizia.
Questo non oppose resistenza alla forza bruta dei poliziotti, chinando il capo sulla strada acciottolata e fredda, per poi lanciare uno sguardo carico di malizia ad Heather Wilson, la ragazza che osservava in lontananza la scena.
Il cappotto azzurro, di flanella, a doppiopetto le stringeva il corpo snello ed elegante e la gonna corta a ginocchio le segnava profondamente la coscia con uno spacco profondo.
Le iridi intense lanciavano lampi ardenti e carichi di disgusto nei confronti del latino, per il quale provava però una grande attrazione tradita dal labbro che si mordicchiava con vigore alla vista del fusto.
Io lanciai uno sguardo preoccupato a Duncan, che giaceva inerme a terra.
Stringeva i denti con incredibile resistenza, raccogliendo con un fazzoletto a schiacci il sangue viscido che colava lungo la pelle rosea, per poi imprecare a voce alta un "Merda" dovuto al sangue che con una chiazza aveva impresso la maglietta.
-Duncan, non me lo perdoneró mai se ti è successo qualcosa di male- commentai, rivelando tutta la mia ansia in quel momento racchiusa dentro al mio cuore, lui apprezzó quel gesto liberatorio perchè abbozzó un sorriso dapprima sincero, poi sghembo e malizioso, completato da una scintilla seducente che gli si accese nell'azzurro cielo delle iridi.
-La signorina Smith si preoccupa per me? Ma che onore- si aprì in un sorriso beffardo, e io scossi ironicamente la testa per poi aiutarlo a rimettersi in piedi. 
-La smetta di fare l'idiota, signor Nelson- battibeccai, lanciandogli un'ironica stilettata con il movimento rapido degli occhi.
-Tenteró- commentó semplicemente lui, prima che un altro gemito lo cogliesse impreparato e prima che la ferita riprendesse rovinosamente a sanguinare.
Con l'aiuto della polizia, che ci diede un gentile e obbligato passaggio all'ospedale, ci trovammo proprio dinnanzi all'edificio quando l'emorragia ormai perenne di Duncan si rivelò in tutta la sua potenza.
Il sangue colava precipitosamente lungo le membra del ragazzo, cadendo a terra formando piccoli cerchi concentrici rossi che impregnarono il marciapiede con tenacia.
Mi morsi il labbro, mentre un rivolo freddo di sudore colava lungo la fronte. 
Lo asciugai in fretta e sorressi Duncan fino all'entrata automatica nella clinica: un edificio dalle pareti bianche ricoperte di scaffalature d'ebano che creavano un forte contrasto con il candido della moquette, regalando all'ambiente uno spazio sobrio ed essenziale.
Un medico dalla capigliatura grigia e dallo sguardo affilato e intelligente ci accolse calorosamente, prima di portare il punk in una sala adempita e spoglia per visitarlo, chiudendomi fuori con una certa insistenza.
Mi ritrovai a passeggiare nervosamente per i corridoi come un anima in pena, le mie gambe vagavano spedite come la mia anima cercava di non restringersi al pensiero di Duncan.
Ok, era solo una ferita, ma non sapevo quanto grave fosse e cosa comportasse.
Ad un certo punto, mentre passeggiavo per un corridoio affusolato e riempito da piccoli comodini di legno bianco su cui poggiavano pile di libri medici ed impolverato, vidi una donna davvero bella parlare con un'infermiera dall'aria gentile.
I lunghi capelli vaporosi le contornavano voluminosi il viso diafano e affilato dall'espressione seriosa e tesa, delineata dai lineamenti contratti che le donavano un aria ancora più nervosa.
Riconobbi subito quegli occhi scuri e penetranti, e anche quelli inchiostro della ragazza che la affiancava rigorosamente.
Crystal.
Mia madre.
Un tuffo al cuore mi fece sussultare, mentre inspiravo inarcando la schiena e mentre tentavo di calmarmi.
Crystal era truccata ampiamente, un ombretto azzurro ghiaccio le ricopriva la palpebra sfumando nel grigio argento che si prolungava fino all'arco sopraccigliare, e un rossetto rosso carminio e le contornava le labbra carnose e seducenti, ora contratte in una linea tesa.
Indossava un top attillato, ricoperto di paiettes in modo laterale e con un ampia cucitura che svettava al centro, e un paio di jeans di marca stretti e a vita bassa, che le sottolineavano le curve sinuose.
Irina discuteva animatamente con l'infermiera, la quale l'aveva accolta con tutti gli ossequi possibili, 
di una questione a me sconosciuta, ma l'espressione cupa e scura che si agitava nel volto di mia madre mi faceva 
presagire nulla di buono.
Feci qualche passo indietro, con gli occhi incollati alla scena che si susseguiva dinnanzi a me, per poi voltarmi e ritornare alla sala d'aspetto.
Le poltroncine bianche e rigide erano poste in file parallele, e un mobiletto pregiato carico di libri ed essenze oleose donava all'ambiente 
un tocco in più molto gradevole.
Improvvisamente vidi la maniglia metallica della porta incurvarsi in giù, e la figura del medico comparve
davanti ai miei occhi e mi spaventó parecchio, forse per via degli occhi scuri e cupi, o forse per via dell'ombra scura che donava al volto
gioviale un aspetto quasi torvo.
Elevò le mani al petto e le dispiegó, per poi cominciare a gesticolare ampiamente seguendo il fiume di parole che sgorgavano 
dalle sue labbra -Beh, signorina Smith, quello che sto per comunicarle potrebbe non farle piacere.- già questo mi fece sussultare,
e cercai di restare lucida per quello che aveva ancora da dirmi -Duncan ha una ferita molto profonda, che tocca l'osso, e per questo 
potrebbero esserci delle complicazioni, mi spiego?- domandó, innalzando una mano per grattarsi la nuca, mentre io riflettevo sull'esperienza vissuta. -Mi scusi- mi azzardai di parlare, dopo un'accurata rispolverata dei ricordi di poco fa -Ma il coltello ha toccato solo di striscio Duncan.
Non puó essersi fatto molto!- urlai, cercando di quasi "costringerlo" a dirmi ció che volevo sentire, mentre i miei occhi si riempivano di veli cristallini, che resero acquose e fragili le mie iridi. Quasi quanto lo ero io in quel momento.
-La punta del coltello, nel momento in cui ha perforato la spalla, si è conficcata in profondità, stabilendo il contatto con la scapola, la quale ora è fragile e deve essere operata- taglió corto, senza alcun tentativo di rassicurarmi sull'intervento.
Scoppiai a piangere, mentre calde lacrime imboccavano le guance e scivolavano lente sulla pelle del collo, dove si dissolvevano procurando piccoli cerchi. Dalle ciglia pendevano lacrime su lacrime, fiumi su fiumi, e non trattenni i singhiozzi lamentosi che uscivano dalle mie labbra. 
-Signorina, non è niente di grave, si calmi. Un'operazione del genere l'abbiamo fatta molte volte- mi tranquillizzó improvvisamente l'uomo, battendomi poche e confortevoli pacche sulla schiena, che mi diedero un po' di speranza.
Strinsi al petto il mio cuore di ghiaccio, e appena vidi le sue curve rasserenanti e il suo cristallino lucente mi calmai un attimo e smisi di proferire singhiozzi su singhiozzi.
-P-posso vederlo?- balbettai incerta, innalzando la mano all'altezza della vista del medico per puntare il dito indice contro la porta bianca che separava me e Duncan.
Lui fece un breve cenno do assenso con il capo, e il mio corpo scattó alla soglia con incredibile rapidità, per
spingere tutto il mio peso sulla maniglia.
Duncan era steso in un letto molto confortevole, e la spalla era innalzata da una fasciatura pesante che ne ricopriva tutta la spalla.
Timidi soffi di luce penetravano dalle sgualcite tapparelle grigiastre, che il medico si era assicurato di chiudere per non disturbare 
troppo il paziente.
Mi sedetti accanto a lui, cercando il suo contatto con un rapido bacio sulle labbra, calde e febbricitanti, e poi gli strinsi
la mano con forza, cercando di trasmettergli la mia energia.
-Come stai?- sussurrai debolmente, per paura di interrompere il contatto che si era creato fra di noi.
Lui scrolló le spalle, poi forzó un sorriso e ritornó serio, ma si vedeva l'amore e l'energia sprigionata dai lampi azzurri che gli squarciavano
l'azzurro dell'occhio.
-Non male, ma di certo sono stato meglio.- la capacità di Duncan era di sdrammatizzare i momenti scuri con qualche nota ironica, spesso
divertente, spesso invadente, ma comunque in quei momenti l'aria tersa di malinconia si rasserenava, mostrando spirali di luce, proprio come quelli che penetrarono invadenti le tapparelle della finestra.
-Non è niente di grave, hanno fatto questa operazione un centinaio di volte. Sopravviverai, e se non fosse così sulla tua lapide stai pur certo che metteró i fiori più belli- ironizzai, strappandogli una risata forzata, per poi chiudere le dita del palmo in un pugno che scaglió amorevolmente contro la mia coscia.
Questo gesto gli costrinse un gemito di dolore, e fu costretto a rinunciare al suo amichevole gesto con dolore.
Mi morsi il labbro con ferocia, deglutendo rumorosamente e inspirando per ritrovare la calma tranquillizzante di poco prima, 
che fungeva da calmante meglio di qualsiasi medicina.
Improvvisamente il medico interruppe il nostro discorso, e io fui costretta ad abbandonare la mano di Duncan, che lasciai con rammarico per 
allontanarmi al di fuori della stanza.
Mentre imboccavo l'uscita, qualcuno chiamó il mio nome con insistenza, costringendomi a voltarmi e a ritornare indietro.
Ormai, quell'aria sciropposa ed intensa dell'ospedale mi dava la nausea, e per questo ritornai indietro a malincuore.
Quando vidi chi mi aveva chiamato, sussultai e scossi impercettibilmente la testa, cercando di ricacciare l'ira che mi saliva dentro.





ANGOLO AUTRICE:




Ciaoooo! 
Eccomi qua, con un altro capitolo!
Ho aggiornato in fretta perchè avevo più tempo, spero vi piaccia!
Allora, prima di tutto ci terrei a ringraziare Stella_2000, la quale mi ha dato numerosi apprezzamenti e non :D
E poi, volevo chiedere: voi gli trovate noiosi i capitoli? Se sì, vi dico che sono essenziali per spiegare quello che
Succederà dopo, se no... Meglio XD
Perchè SmileSmoke mi ha fatto notare che l'inizio dello scorso capitolo era noioso, e pensavo che la colpa
fosse anche di tutte le descrizioni che ci metto... :/
Vabbe, spero vi piaccia lo stesso! 
Un bacione e tanti dolci :3
Gwen



 

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Capitolo 18
*** Il rapimento ***


Cuore di ghiaccio



Mi girai di scatto, volgendo lo sguardo verso la persona che, almeno al momento, rivendicava il primato di persona più spregevole della Terra: Crystal Azirya, nonchè mia sorella gemella; mi destai da quel pensiero, convincendomi del fatto che lei era simile a me nei tratti, ma non nel cuore.
Era in netto imbarazzo, le guance imporporate e le labbra dischiuse nel tentativo di professare qualcosa, senza peró riuscirci: infatti la chiuse poco dopo, aspettando che il primo passo lo facessi io.
-Cosa c'è, vuoi dirmi i programmi che hai fatto per il mio futuro? Forse hai già scelto il mio sposo, il mio lavoro, tutto della mia vita?- la schernii pesantemente, un espressione accigliata si dipinse sul suo volto e tentò di avvicinarsi a me, forse per tentare di sistemare il tutto con uno dei suoi abbracci caldi e rassicuranti, oppure con un sorriso smielato, lo stesso che sfoderava durante le interviste; ma sapevo benissimo che era tutta finzione, quindi non mi lasciai soggiogare dai suoi atteggiamenti dolci e cercai di mantenermi fredda e distaccata il più possibile.
-Io... No, volevo dirti che mi dispiace, davvero. Ma non solo questo.- scorsi le lacrime che rigavano il volto, e, senza darlo troppo a vedere, una preoccupazione si dilagò nel cuore, spingendomi a cercare di sapere di più -Cosa succede?- appena professata la fatidica domanda, la corvina scoppió a piangere, portandosi il volto fra le mani e singhiozzando rumorosamente; volevo abbracciarla, rassicurarla, ma quella persona meschina non mi ispirava fiducia e non volevo concedermi molte libertà, così mi limitai a fissarla intensamente finchè si decise a sussurrare la risposta -Nostra madre... Lei... Ha un cancro.- 
Il mondo mi piombò addosso nello stesso istante in cui mia sorella pronunciò la parola "cancro", riportandomi bruscamente alla realtà; gli occhi mi si inumidirono e mi mordicchiai il labbro con ferocia, per evitare di esprimere a parole il dolore che sentivo in quel momento.
Era una persona spregevole, meschina, infida, bugiarda, ma era anche mia madre.
Mi aveva messo al mondo, sebbene non avesse deciso lei di avere una figlia come me, e io provavo un affetto vincolato alla sua persona, per questo nel tentativo vano di risollevare gli animi mi strappai un sorriso -Andrà tutto bene, vedrai.- ma non ci credevo neanche io a quelle parole, e questo fatto mi tradì; risparmiai le rassicurazioni e mi avvicinai alla macchinetta, aspettando una cioccolata calda e un tè nero.
Presi le due bevande fumanti e porsi il tè a Crystal, che se lo portò alle labbra nel tentativo di reprimere le lacrime, invano.
-Dov'è?- boccheggiai, alzando le labbra sommerse nel liquido caldo, per poi puntare lo sguardo su mia sorella.
-Stanza 615, secondo piano. Vengo con te.- finì in un sorso prolungato il tè, posò il bicchiere su un tavolino vicino e mi seguì fino al piano superiore; con gli occhi osservai i numeri susseguirsi, fino a che scorsi il numero 615 risplendere sulla porta bianca e sobria.
Poggiai la mano sulla maniglia e ciò che vidi mi lasciò a dir poco perplessa: mia madre era stesa su quel letto d'ospedale, il volto scarno non nascondeva la sofferenza e i capelli vaporosi risplendevano sulla fodera bianca del cuscino; sapevo peró che il cancro fungeva da rasoio, e che ben presto massa folta color ebano di Irina sarebbe scomparsa.
Questo pensiero mi attanagliò l'anima ancor di più, tartassandomi su un'unica domanda:Sarebbe morta?
Il mio fare apprensivo mi portava ad avere migliaia di preoccupazioni, ma il carattere non si poteva cambiare, per cui 
mi convinsi del fatto che questo lato caratteriale me lo sarei sempre portato dietro.
Lo sguardo inchiodato sulla madre e la medesima espressione mi fecero piombare in una sorta di imbambolamento istantaneo, dal quale mi destai ricevendo due pacche sulla schiena da parte della gemella, ormai succube delle lacrime e della disperazione.
-Figlie- la voce roca di Irina, molto diversa da quella attraente e sensuale sentita durante il litigio con mio padre, echeggió nella piccola stanza, portando un ulteriore velo di lacrime negli occhi miei e di Crystal; io mi avvicinai alla donna e la squadrai attentamente, indecisa se stringerle la mano ed abbracciarla, piangendo sulla sua spalla e sussurrandole tutto l'affetto che avevo represso, per via del suo atteggiamento sgradevole, oppure continuare a fissarla freddamente e scrollare le spalle con noncuranza.
Lei mi anticipó, prendendomi la mano e stringendola nella sua, fredda e quasi cadaverica, così mi abbandonai alle moine e le stampai un bacio sulla guancia sinistra, sentendo l'intenso profumo che la avvolgeva; mia sorella fece lo stesso e poco dopo ci ritrovammo ai lati di nostra madre, disperandoci sulle sue spalle e cercando di convincerci dell'esito positivo dell'operazione che avrebbe dovuto affrontare.
-Voglio raccontarvi la mia esperienza con il cancro. Volete ascoltarla?- ci chiese, fissando intensamente i nostri occhi scuri; io asserii con un cenno del capo, e lo stesso fece mia sorella, per cui ci accoccolammo sulle sporgenze del letto e attendemmo il suo racconto.
-Appena vi ebbi, scoprii di soffrire di cancro, ma lo combattei grazie all'aiuto dei medici; fortunatamente, lo abbattei con forza e superai quel momento terribile della mia vita. Pochi giorni fa, mi sono sentita male, e con una visita ho scoperto che il mio nemico è tornato. E secondo i medici, non ce la faró.- appena pronunció quelle parole, iniziai a singhiozzare rumorosamente, prima che un senso di rammarico mi invadesse: l'avevo ripudiata, considerata una meschina, ma adesso stava rischiando di morire e scoprivo di amarla intensamente.
-No. C'è la farai, mamma.- pronunciai quelle parole a fior di labbra, scandendo la parola "mamma" molto lentamente, e un sorriso 
dolce si pitturó sulle labbra della donna, che mi strinse la mano ancora più forte e me la accaldò con il dolce tepore che l'avvolgeva.
All'improvviso la porta alle nostre spalle si aprì, rivelando un uomo in carne che prese ad allontanarci con fare frettoloso, prima di rinchiuder i
letteralmente fuori dalla stanza. Mia sorella sbuffò sonoramente, cadendo goffamente sulla sedia di plastica bianca accostata al muro, prima che io sentissi una vibrazione forte provenire dalla tasca dei jeans; mi allontanai di qualche metro e presi fra le mani il cellulare, 
leggendo le poche parole impresse sullo schermo:


"Non ti libererai di me. Ritorneró." 



Un sussulto mi colpì in pieno, prima che leggessi il mittente di quelle indesiderati e brevi parole: Alejandro.
Mi passai una mano fra i capelli, ricacciando la rabbia per non sfogarla nel testo di risposta, 
e schiacciai pochi brevi tasti per comporre una frase breve e significativa:


"Se speri di avermi, ti illudi"


Non aspettai la risposta e portai l'IPhone in tasca, per poi giungere alla sala d'aspetto; dopo una mezz'ora buona, 
il medico non era ancora uscito, perciò mi presi qualche istante per passeggiare ed andare da Duncan.
Percorsi un breve tratto, prima di raggiungere l'angolo e svoltare; proprio in quel momento, sentii
un fazzoletto sgualcito imprimermi le labbra, e una sostanza liquida mi accompagnó a scivolare 
in un torpore istantaneo, mentre un ghigno malefico compariva sulle labbra del latino




ANGOLO AUTRICE:

Questo capitolo è brutto.
Lo so per certo, quindi non tentate di rallegrarmi.
Spero comunque in qualche recensione positiva <3
Ringrazio le 91 recensioni, siete FAN.TAS.TI.CI!!! <3
Capitolo dedicato a giulialovely, stella_2000, SmileSmoke, Gwuncan, 
Dalhia_Gwen, e Lexy Angels :3
A presto! 
Gwen




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Capitolo 19
*** Nel terrore ***


Cuore di ghiaccio

 

 

 

 

...


Dischiusi le palpebre nel buio, ancora poco consona di ció che stava succedendo; la testa mi pulsava vorticosamente e un vago rimbambimento mi impregnava la ragione, oscurandola completamente.
Mi portai una mano alla tempia, massaggiandola convulsamente, per poi mettermi in piedi e squadrare l'ambiente circostante, piuttosto
buio e cupo per poter essere osservato attentamente: una stanza molto piccola, sudicia, attraversata da numerose crepe diramanti sui muri
e costituita da un ripiano di legno che avrebbe dovuto costituire un tavolo e qualche cassettone accostato nell'angolo laterale.
Non dovetti aspettare molto per essere ricevuta dal mio rapitore, Alejandro, il quale entrò con fare disinvolto, scrollando le spalle con disinvoltura; successivamente, un ghigno soddisfatto si dipinse sulle sue labbra e si avvicinò maleficamente.
Io mi accostai al muro, cercando di sfuggire alla sua presa, quando sentii una forte mano marcarmi il polso e trascinarmi a sè; il latino
mi intrappolò saldamente fra le sue membra e con le labbra percorse i lineamenti del mio collo, fino a sfiorarmi le labbra, per poi intensificare il contatto; cercai di trasmettergli il mio ripudio in quel bacio, ma sapevo che a lui non interessavano molto i miei pensieri, così
come sapevo che non si sarebbe limitato solamente ad un bacio.
-Lasciami!- sferrai un calcio dritto al suo petto, per poi venire ricambiata con uno schiaffo ben assestato sulla guancia, che bruciò
quasi quanto il dolore del suo cambiamento, ancora vivo in me, nei meandri più nascosti della mia anima; prima che potessi rimuginare
troppo su quei pensieri, mi accorsi delle corde molto resistenti che mi spezzavano i pois con fare quasi cruento.
Il ragazzo, ora non più impegnato a tenermi i polsi, mi sbattè violentemente contro il muro sudicio che reggeva la struttura, per poi iniziare a sbottonare la camicetta che mi ricopriva il petto; cercai inutilmente di divincolarmi, sentendomi oppressa dalla sua invadenza, ma il mio tentare di scrollarsi non serviva contro la sua morsa.
Allungó le dita per arrivare ai ferretti del mio reggiseno, ma questo non glielo lasciai fare; non avevo mai permesso ad un uomo di invadere la mia privacy, e non l'avrei permesso nemmeno a quel bastardo; con uno strattone lo allontanai pesantemente e, approfittando del suo sbigottimento iniziale, cercai di liberarmi di quelle luride corde; Alejandro mi anticipò e mi bloccó, ormai quasi giunta alla porta, per poi assestarmi un altro schiaffo che mi impresse la pelle guanciale.
Una lacrima coló lungo la guancia, mentre scuotevo la testa con fare impercettibile, alla vista del coltello che reggeva in mano il moro; fece per professare parola, ma schiuse presto le labbra per poi spingermi nuovamente contro il muro e invadermi con una serie di baci soffocati, nei quali Alejandro cercó di esternare i suoi sentimenti, se così si potevano definire: non erano sentimenti, erano vendette personali dei quali io ero inconsciamente la vittima.
Il silenzio fu nuovamente padrone, spezzato solo dai passi ben cadenzati del moro che echeggiavano nella sudicia stanza; Il mio volto rispecchiava la sofferenza che provavo in quel momento, intrappolata senza alcuna via di scampo in
una lurida stanza, probabilmente usata precedentemente come osteria; si deduceva dall'intenso odore di fumo che impregnava le pareti
unte di quell'abitacolo malconcio.
Una lacrima sofferente rigò la mia guancia, che venne intercettata dal latino; sembrava sovrappensiero, un sigaro pendeva dalle sue
labbra, per poi emettere nell'aria già piuttosto tersa di fumo una nuvola di nicotina.
Si abbandonó goffamente su una poltrona lì vicino, ciondolando la testa sullo schienale e boccheggiando nuvole di fumo che si sparsero nell'aria. Non professai parola. Semplicemente rimasi accostata al muro, roteando lo sguardo nella stanza, per poi soffermarmi su Alejandro: il suo cuore ora l'aveva ceduto a Duncan, ma
non poteva fare a meno di rimuginare sul comportamento del latino, diventato violento da un momento all'altro, senza alcun motivo apparente.

-Lasciami- sussurrai ad un certo punto, divincolandomi impercettibilmente per far capire al ragazzo il mio disagio e il mio dolore, per poi puntare il volto sofferente verso l'allusivo. Questo ciondolò flebilmente la testa, sprofondando in un divano malridotto ed esternare un altro spiffero di fumo, per poi incalzarmi con tono pacato -Non posso. Io sono ricatta...- si zittì, non rendendosi conto inizialmente di aver quasi confessato il motivo di quell'assurdo rapimento.

Dimostrai il mio più completo smarrimento in uno sguardo rivolto al moro, che però si alzò di scatto con movimenti apprensivi; sembrava piuttosto allarmato, e capii il perché poco dopo, quando sentii echeggiare in lontananza un auto della polizia.

Scorsi dal finestrino crepato ed annerito un auto blu metallizzata fermarsi nei pressi dell'osteria, ma prima che potessi gioire e dimostrare ai poliziotti la mia presenza Alejandro mi cinse la vita, imbavagliandomi le labbra in modo che non potessi urlare, per poi trasportarmi al di fuori della stanza con vari spintoni.

Attraversammo una serie di corridoi serpeggianti nell'edificio, per poi ritrovarci al di fuori di questo; velocemente il latino mi spinse all'interno della spider affiancata poco più in là e inarcò la marcia, per poi scheggiare fra le numerose strade di Toronto.

Captai la tensione del moro, palpabile al minimo tocco, che mi condusse dall'altra parte della città, più esattamente in un condominio abbastanza cencioso ed ingiallito dal tempo: l'appartamento, tuttavia, era in condizioni ancora più spaventose, soffitto cadente, pavimento scrostato e ambiente spoglio e lurido.

Restai immobile sulla soglia di questa, prima si sentire una spinta condurmi all'interno della stanzetta quasi completamente spoglia, per poi farmi accomodare malamente su un divano ingrigito dalla polvere.

-Stai buona. Dovrebbe arrivare...- si avvicinò alla soglia della porta, prostrandosi in avanti alla ricerca della persona allusiva; mi morsi il labbro, ignorando il dolore, per poi ricacciare la miriade di pensieri impertinenti che attraversò la mia mente.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Duncan e Crystal, quest'ultima in lacrime, si ritrovarono nella stanza putrida, fungente da osteria, dove ero stata imprigionata io poco prima; il punk cercò in ogni meandro, per poi sbattere entrambi i pugni sul tavolo di legno grezzo che occupava il centro della stanzetta.

-Non c'è, signor Nelson e signorina Azirya...- mormorò un poliziotto, calcandosi il berretto sulla fronte, per poi essere accuratamente rimbeccato da Duncan, visbilmente nervoso e preoccupato -CERCATELA, FATE IL VOSTRO LAVORO, CAZZO!- sbottò il ragazzo, trattenendo un gemito di dolore al minimo movimento con la spalla; era infatti “scappato” dall'ospedale al sentir sussurrare a mia sorella la mia scomparsa.

-Abbiamo ispezionato tutte le stanze, e niente, non c'è alcuna traccia della signorina Smith...-

Crystal singhiozzò rumorosamente, per poi congedare l'ispettore e iniziare una camminata nervosa all'interno della locanda.

-Dove può essere? I testimoni oculari dicono che la macchina di Alejandro era parcheggiata qui davanti!- sbottò il punk, lasciandosi cadere su una sedia in modo goffo ed assistendo alle lacrime giustificate di Crystal, seduta dinnanzi a lui su una sedia circolare da pub.

Duncan ciondolò la testa all'indietro, perennemente irritato per la scoperta dell'incresciosa fuga del latino, per poi intravedere qualcosa: un mozzicone a terra, poco più in là della sedia. Si curò del fatto che fosse nuovo, per non aggrapparsi a false speranze, e si tranquillizzò vedendo il filo di fumo che ancora si dissipava da questo; non esitò quindi ad esternare la propria felicità - Sono stati qui!- sentenziò il mio ragazzo, indicando la sigaretta giacente a terra.

-Questo, teoricamente, era un vecchio pub in rovina... E' normale che ci siano mozziconi a terra, Duncan! Non aggrappiamoci a cose di cui non conosciamo la veridicità...- singhiozzò la corvina, mordendosi il labbro per l'improvvisa scetticità che l'aveva colpita; non voleva deludere l'ingenuo punk, aggrappatosi ad una vacua speranza di essere riuscito a rintracciare una possibile traccia del moro.

-Dissipa un filo di fumo! Ciò significa che è risalente a qualche minuto fa! Dobbiamo ispezionare con cura l'ambiente, forza!- Duncan spronò mia sorella ad aiutarlo, e questa non esitò; cercarono nei più svariati angoli, quando Crystal scorse qualcosa in un cassetto accuratamente dischiuso: un biglietto e una mappa piuttosto logora di Toronto.

-Ehi! Duncan, vieni!- con un cenno della mano la ragazza fece capire di aver trovato qualcosa di pressochè utile, e il punk si recò da lei, vedendo la lettera accuratamente ripiegata e la mappa della loro città.

Prese la prima e la srotolò, fiondandosi a leggere le parole quasi incomprensibili che vi erano scritte:

 

 

Al condominio BrillaLuna- accanto alla stazione ferroviaria.

Portala lì, nella stanza numero 513 al piano 5.

Prima del tramonto.

Alle ore 17:15 arriverò io.

Non fartela scappare o ti giuro che ti trucido.

 

 

X

 

 

Una vampata di ripudio verso l'autore della lettera colse Duncan, il quale se la intascò insieme alla mappa e si diresse al motorino, accostato lì fuori.

Crystal continuava a blaterare sulla lettera, spaventandosi delle parole impresse sopra; il ragazzo la face accomodare sulla sella dietro di lui e quando sentì le esili braccia della ragazza cingergli la vita portò la mano nella tasca ed estrasse le chiavi, saettando fra le strade di Toronto a tutta velocità.

Non poteva lasciarmi in balia di quell'uomo o donna, chiunque esso fosse.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Alejandro si avvicinò pericolosamente, facendomi scansare di lato: mi intrappolò l'avambraccio e mi trasse a sé, gongolando compiaciuto ai pensieri perversi che balenavano nella sua mente.

Cercai di scrollarmi, sentendo la sua pressione marcarmi il braccio, per poi rabbrividire ad un flebile bacio sulla pelle; successivamente, le mani del latino corsero ad invadere il mio corpo, bramoso di avermi e di toccarmi in ogni punto.

Mi salvò un cigolio proveniente dalla porta del condominio, che destarono incredibilmente Alejandro, il quale si mise a sedere e lasciò stare le sue intenzioni, consono (a mio contrario) di ciò che lo aspettava oltre quella porta.

E chi vidi, mi lasciò spaesata, accompagnandomi a piombare nel terrore più totale.

No, non lui, non qua, non ora, non in questo contesto...

-Ciao, Gwen.-

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

 

Beeene!

Ho un po' di cose da dirvi, sì si!

Dunque... Capitolo dedicato a Stella, SmileSmoke, Lexy, Gwuncan, Dalhia e tutti quelli che recensiscono la fic :D

E poi... fra qualche capitolo, inizierà a delinearsi la conclusione... Ebbene sì, la storia ha una fine! XD

Beh, io sono molto triste :'(

E voi? ;D

ORA VADO, RECENSITE E...

A Revoir!

Gwen

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** L'avventura al termine ***


Cuore di ghiaccio

 

 

 

Avviso: PENULTIMO CAPITOLO!! :D

 

 

 

Quel sibilo, ma ancor di più la figura che l'aveva professata, destò mille preoccupazioni nel mio cuore; i capelli folti, imbruniti e ricadenti imperterriti sulla fronte rosea, due smeraldi incastonati nei bulbi, quasi a voler deridere con il loro forte colore il resto del corpo.

-Padre.- sibilai, interrompendo il flusso di silenzio che incombeva sulla stanza; una lacrima rigò la pelle guanciale, impallidita costantemente ma ancora più bianca alla vista del padre biologico.

Un verme, una persona col cuore pregno di pudore, ma pur sempre mio padre.

Serrai le labbra, gemendo a denti stretti sentendo la presa marcata e salda che il latino aveva sui miei polsi; e aveva perennemente intenzione di lasciarmi succube dell'uomo, Roger White, mio strettissimo parente odiato quanto il peggior nemico.

-Gwen. Sei diventata come quella stronza di tua madre o celi in te ancora un briciolo di dignità?- ridacchiò all'insulsa battuta, pronunciata per schernirmi malamente; non essendo d'aiuto, l'uomo impugnò la pistola e la puntò contro la figura snella ed esile del mio corpicino, sorridendo alla vista del mio aspetto visibilmente dark.

-Anche tu hai un debole per la notte, Gwen? Per il buio, l'oscurità? Io trovo siano rilassanti,- si fermò, provocando una pausa carica di tensione, aggravata dalla pistola puntata sulle sue membra e pronta a lasciar andare un colpo. -Per riflettere. Per pensare alla vendetta.-

Partì un colpo, alla quale cercai di scansarmi; invano, poiché la pallottola mi colpì il pieno, dando inizio ad una perenne ed ignavia emorragia. Mi accasciai a terra, imprimendo con il sangue il pavimento cementato della stanza, per poi abbandonarmi ad un sussurro disperato, forse l'ultimo, forse no.

-Duncan...-

 

 

 

***

 

 

 

 

Il punk guidava rovinosamente quella motocicletta, zigzando fra le varie vie; lo sguardo anonimo e nervoso puntato contro la strada, la cresta verde ondeggiante al vento, gli occhi acquamarina roteanti sull'ambiente circostante, le mani costantemente premute sul manubrio, nel tentativo vano di riuscire ad arrivare al BrillaLuna prima che accadesse qualcosa di grave.

Virò a sinistra, sbucando in un viottolo piuttosto spoglio e putrido, caratterizzato dall'aria tersa di un leggero e nauseante odore di birra e da un denso e fastidioso odore di fumo.

-Eccolo! Il BrillaLuna!- esclamò Crystal, indicando con una mano il sudicio condominio che si ergeva dinnanzi a loro; lurido, slavato, incrostato, annerito ed eroso dal tempo.

Il ragazzo serrò le labbra, intascando la sigaretta che portava pendente sulle labbra e spegnendola con un leggero soffio; successivamente, giunse alla porta e la spalancò con violenza, percorrendo le scalinate che portavano alla stanza allusiva.

-Cosa succede?- sussurrò la corvina, massaggiandosi la tempia e nascondendo il proprio corpo dietro Duncan, impaurita da ciò che avrebbero potuto trovare.

-Non lo so. Zitta!- ordinò il punk, premendosi un dito sulle labbra nel gesto alquanto evidente di zittirsi; accostò l'orecchio alla porta e ciò che sentì fu più preoccupante che un vero e proprio gemito di dolore.

Silenzio, il più profondo ed evidente silenzio, marcato da quel perenne odore di nicotina.

Senza attendere un minimo segno, Duncan entrò con violenza, estraendo dalla tasca una pistola e puntandola contro una stanzetta vuota, assolutamente vuota.

-CHI C'...- si interruppe, vedendo un debole corpo disteso a terra; i capelli color ebano, distinti da varie fasce blu notte, coprivano il pallidissimo volto scarno. -NO... NO!- urlò il ragazzo, curandosi personalmente della veridicità delle sue paure. Gwen.

Era... Morta?

Non ebbe il tempo di riflettere sulle condizioni piuttosto incisive della gotica, che una voce alquanto cadenzata interruppe il flusso dei suoi pensieri.

-Non è morta, ragazzo. E' ancora viva, ma per poco.- si voltò di scatto, intravedendo i lineamenti ambrati e i gonfi occhi scuri di Alejandro.

Senza indugi, si scagliò contro il latino, assalendolo, in preda ad una cieca rabbia folle e ingiustificata; menò un pugno dritto al naso del ragazzo, provocando una scia di sangue scuro che colò sulla carnagione scura.

-Non l'ho uccisa io. L'ha uccisa...-

-Roger White.- una voce sorpassò quella flebile e appena percettibile del ragazzo, provocando un brivido di questi; un uomo dai folti capelli bruni era in piedi sulla soglia, armato di pistola ed pressochè intenzionato ad usarla se ce ne fosse stato bisogno.

-CHI SEI, MOSTRO?- la rabbia cieca che sovrastava il punk lo costrinse a compiere azioni alquanto indesiderate, tipo scagliarsi a capofitto sulla muscolosa e snella figura dell'uomo per poi adempire all'ira senza pietà; un colpo ben assestato all'avambraccio lo fecero riemergere da quell'inconsueta ed assolutamente non ammaestrata rabbia, per riportarlo alla realtà con qualche imprecazione dolorosa.

Crystal prese un coltello dai numerosi cassetti impolverati del cucinino putrido, e si difese alle molestie perverse che spinsero Alejandro ad avvicinarsi, colpito dal fondoschiena sinuoso e dalle curve snelle e sensuali.

-Sono il padre biologico di Gwen. Mia moglie mi ha straziato dal dolore, e quelle due ragazze, Gwendoline e Crystal... Loro non dovevano nascere! Hanno rovinato la nostra relazione e meritano di morire, come quella sgualdrina della loro madre che mi ha abbandonato per una frivolezza simile!- una lacrima solitaria rigò la carnagione rosea della guancia, per poi essere accuratamente rimossa con il pollice e compensata con altre copiose, che smisero di scendere solo quando l'ira fu di nuovo padrona e l'astio prese le sue membra.

Duncan combattè duramente per salvare le ragazze, ma quella pistola insulsa lo colpì alla scapola in cui era stato precedentemente ferito, provocandogli un immane dolore; si accasciò a terra e ringhiò con rabbia, potendo fare ben poco alla maestria che distingueva l'uomo.

Il grilletto impresse la sua tempia.

Un rivolo di sudore freddo colò da questa, scivolando fino alla pelle del collo.

Il respiro del ragazzo si fece più affannato e concentrato, voglioso di riuscire a sfuggire all'imminente morte.

Poi il buio e un secco sparo sovrastarono l'aria circostante.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-C-che?- mugolai, schiudendo le palpebre nell'inconsueta luce mattutina che penetrava dalle grigie tapparelle; un fresco odore di pulito, così dissimile da quello lurido e terso di nicotina che avevo respirato per lungo tempo, mi impregnò le narici.

Una candida coperta mi ricopriva il corpo, avvolgendomi totalmente e lasciando trasparire il collo e il volto; una flebo colma di sangue scuro oscillava al di sopra del mio capo, collegata al mio braccio con un sottile tubicino.

Mi sentivo davvero male, forse ancor di più della lontana esperienza dell'incidente; il petto, squarciato e dilagatosi di sangue, sembrava una linea rosa ed affusolata, ricucita con grazia e curata con altrettanta parsimonia; i rammenti si scorsero poco a poco e mi ricordai improvvisamente del rovinoso incontro con mio padre, terminato con un vuoto oscuro.

Sentii un bussare imperterrito provenire dalla porta, e sussurrai un roco avanti, prima di veder comparire davanti a me le figure ancora poco nitide di Crystal, mio padre e di Irina, seduta su una sedia a rotelle che non enfatizzava le sinuose curve avvolte nella gonna di mussola.

-GWEN!- la voce di mia madre, rotta dal pianto e interrotta dalle lacrime ignavie di scorrere, echeggiò nella stanza d'ospedale con un accento russo piuttosto marcato.

-Mamma...- mugugnai, dischiudendo successivamente le labbra nel tentativo di professare qualcos altro; non mi fu concesso, poiché Crystal iniziò la narrazione dell'episodio accaduto una settimana fa. Mentre parlava, mi rivolgeva malinconiche occhiate, come per sottolineare qualcosa di cui ero inconsciamente all'oscuro; non professai parola, sentendo le emozioni che trasparivano dal suo agitato racconto e provando battiti più intensi ogni volta che si soffermava a raccontare dei colpi che avevano ricevuto ripetutamente lei e...

-Duncan! Dov'è, come sta?- domandai di getto, scoprendo improvvisamente di riuscire a boccheggiare qualcosa; il mio mutismo era dovuto alla carenza di coraggio per poter chiedere delle condizioni (sicuramente indecorose) in cui si trovava il mio amato.

-Beh...- incespicò Jack Smith, ruotando i pollici con piccoli cerchi concentrici per scaricare il palese nervosismo. -Ecco, lo hanno ferito molto gravemente. E...- terminò improvvisamente, temendo che io, in qualche modo, adempissi cruentemente al suo resoconto.

-E?- lo spronai con notevole bramosia di sapere l'accaduto.

-E lui sta bene! Lo hanno curato per giorni e notti, ma se l'è cavata piuttosto bene.- esclamò, lasciando che la felicità trasparisse sul volto gioviale ed acceso; si scompigliò i folti ricci bruni e si sedette accanto a me, accarezzandomi i voluminosi capelli setosi con evidente premura di potermi rivedere e baciare.

-Posso vederlo?- domandai timidamente, ricevendo come risposta un asserire del capo; Duncan entrò quindi nella stanza, palesemente felice, per poi giungere al mio capezzale e baciarmi con evidente apprensione.

Intensificò il contatto, proclamandomi con quella sintonia speciale quanto tenesse a me; il nostro amore era unico, speciale, sciogliente al minimo tocco.

Un unico cuore, ora capace di sciogliersi.

Non più di ghiaccio.

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

Beh, eccomi qua! Con il penultimo capitolo *.*

-Saranno tutti felici...-

Io no! D:

Beh, allora, ci sarà ancora un capitolo specialissimo... Intanto spero vi piaccia questo!

A revoir,

Gwen

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Capitolo 21
*** Finalmente felici- ultimo capitolo ***


Cuore di ghiaccio

 

 

 

ULTIMO CAPITOLO!!!!! :')

 

 

 

Duncan mi carezzò la guancia con il dorso della mano, per poi passare ai miei capelli setosi, finchè si decise a baciarmi con passione: era finita, mi fece capire con quell'intensificato contatto, l'avventura era al termine; mi ricordai istantaneamente dei momenti vissuti insieme, degli attimi assolutamente indimenticabili che sarebbero stati ammessi nella mia mente.

Mi ricordai la ragazzina timida e risoluta, cresciuta senza conoscere le proprie origini e propensa a non volersi innamorare o affezionare; l'incontro con Duncan, Crystal, il fidanzamento con Trent... Tutto era avvenuto con una rapidità eccezionale, sebbene il dolore che avessi provato e le lacrime che avevo versato erano state copiose ed irascibili.

Il punk lasciò le mie labbra, arso di fiato, per poi sedersi sulla sedia plastificata che si ergeva al mio fianco; mi carezzò nuovamente e poi parlò dolcemente:

-Gwen, fra qualche giorno compierai diciotto anni. Sarai maggiorenne, e io voglio regalarti qualcosa. Qualcosa che non si può comprare, ma che può nascere dal frutto di un amore puro ed eterno.-

Trasalii, captando immediatamente la richiesta, sotto mentite dolci, che mi aveva offerto; io... Io lo volevo. Lui era la mia metà, lui era qualcosa di davvero speciale per me; e con lui potevo essere felice, quindi perchè non concedermi a Duncan?

Annuii debolmente, aspettandomi una sua qualche reazione, che irrimediabilmente ci fu; si avvicinò con fare perverso e accontentò il suo desiderio con parsimonia.

Il mio cuore di ghiaccio ondeggiava fra i nostri corpi uniti, combacianti come due perfette metà: un unico cuore per il nostro grande amore.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Sei anni dopo...

 

 

 

Una zuppa ribolliva nella pentola lucidata in modo maniacale, posta sul fuoco e colma del meraviglioso stufato che solo io sapevo preparare; Mi mossi con grazia fra i cassetti e i vari ripostigli, aggiungendo ogni sorta di ingrediente per arricchire la bontà del mio piatto.

Una manina candida mi destò dalla concentrazione iniziale, tirando incessantemente il grembiule color avorio che indossavo; mi girai, scorgendo un bel bimbo dagli occhi blu e dai ricadenti ciuffi neri, folti come quelli del padre.

-Mamma, mamma! C'è una lettera da parte di papà!- gridò con inaspettata euforia, concedendomi solo pochi attimi per enfatizzare il tutto: Duncan... Una lettera del mio amato!

Presi le curve delicate del viso di mio figlio e le strinsi fra le mani, pronunciando poche e semplici parole: -Dov'è?-

Heiden mi indicò una busta candida, posta delicatamente sul ripiano di legno che fungeva da tavolo: la presi con elettrizzante felicità, scorgendo il foglio ripiegato accuratamente: una lettera ricca d'amore, trasparente dalla scrittura grossolana e frettolosa del punk:

 

 

 

Cara Gwen e caro Heiden,

qua in Afghanistan si respira aria di guerra, aria tersa di desolazione e di malinconia.

Le tende, disposte in modo longitudinale sul terreno sul terreno eroso dalle numerose battaglie, mi ricordano che voi, le persone più importanti della mia vita, non siete qui con me, non posso toccarvi, baciarvi, abbracciarvi, rassicurarvi nei momenti di sconforto che ci colgono.

Sono sicuro, però, dell'affetto che conio e che conierò sempre nei vostri confronti; non sono un tipo sdolcinato, e nemmeno scrivo parole stucchevoli, ma l'amore che provo per voi non l'ho mai provato e non voglio perdervi mai.

Scrivo questa lettera per informarvi di una notizia che mi ha reso immensamente felice: fra due mesi, precisamente ad ottobre, potrò riabbracciarvi! Ebbene, dopo cinque anni di guerra finalmente posso rivedervi.

Vi amo immensamente,

Vostro Duncan.

 

 

 

I miei occhi scuri si riempirono di lacrime, eguagliando quelle di Heiden che da tempo scorrevano sulle guance paffute e pallide; aveva avuto pressochè un anno per poter stare con il tanto ambito padre, e una lettera era finalmente giunta.

-Mamma! Quando torna, il papà?- domandò successivamente mio figlio, sporgendosi sulle punte delle scarpe per poter vedere la lettera tanto bramata; io gli spettinai con dolcezza la folta e setosa massa corvina e riccioluta, attirando sulle sue labbra un sorriso felice, in cui mi persi completamente.

-Ad ottobre.- risposi, esternando il mio disappunto verso la scelta del ritorno: ancora due mesi, due lungimiranti mesi.

-E quanto ci vuole ad ottobre?- chiese di nuovo con vocina flebile, gioioso dalla notizia del ritorno di Duncan.

-Beh... Poco, tesoro, poco.-

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Due mesi dopo...

 

 

 

L'aria frizzante di ottobre mi colse in pieno, destandomi dalla miriade di pensieri in cui ero inconsapevolmente piombata: le foglie dipinte turbinavano nel cortile ben esteso che contornava la villetta in cui vivevo. Ottobre, precisamente il 27 ottobre.

Una data incondizionante, superflua, una come tante, di cui non c'era niente di particolare che facesse gioire: o almeno così era per la maggior parte delle persone, le quali consideravano quella data un passaggio superfluo che portasse allo scorrere degli altri mesi annuali.

Mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, palesemente nervosa, per poi mordermi il labbro con parsimonia ed attendere un minimo squillo del cellulare: doveva vibrare, doveva.

Duncan mi avrebbe annunciato, con quelle dolci note di Lithium, di essere sbarcato all'affollato aereoporto di Toronto.

-Coraggio...- spronai, intascando la mano nei jeans, per poi estrarre il pacchetto di Malboro, sgualcito e liso, e prendere un'unica sigaretta; la nicotina calmò quella attesa visibilmente snervante, aiutandomi a rilassarmi. Finchè..

 

Lithium, don't walk...

 

Non aspettai un istante, rivolgendo uno sguardo alla figura esile di mio figlio, che barcollò con fretta fino alla decappottabile blu notte parcheggiata accanto alla striscia di marciapiede; lo seguii, aiutandolo ad allacciare la cintura di sicurezza, per poi dirigermi al posto del guidatore.

Le chiavi mi tremarono fra le mani mentre le infilai nel cruscotto, lo sguardo inchiodato alla strada che si snodava davanti ai miei occhi e la voglia di partire verso la meta tanto ambita.

Heiden sbattè i piccoli pugni, rischiarando le nocche e spronandomi con un gridolino irritante di partire; lo ascoltai, inarcando la marcia e serpeggiando fra le vie della città canadese.

Lo scorrere dei negozi, delle periferie, delle casupole e delle varie attrazioni mi portarono a giungere a destinazione: lo capii dalla fila longitudinale degli aerei, nella quale notai l'enorme veicolo Afghanistano, quello dal quale scese, preso dalla fretta e dalle imprecazioni, il mio amato punk.

La mia metà. La mia vita. Il mio futuro. Duncan.

Non ebbi il tempo di richiamarlo da noi, che i nostri sguardi magnetici si incontrarono, disarmanti, un oceano impetuoso e un pozzo oscuro: i nostri volti si rasserenarono, e finalmente potei lasciar scorrere liberamente le lacrime di felicità, eguaglianti a quelle ignavie di Heiden.

-DUNCAN!- esclamai, vedendo la figura muscolosa del mio amato correre verso di me: mi abbracciò con la forza di cui disponeva, cacciando le parole in un bacio appassionato e sentito, nelle quale il contatto si intensificò a tal punto da lasciar trasparire l'amore più puro.

-Gwen...- sussurrò, trattenendo a stento le lacrime copiose che attendevano la discesa; successivamente mi lasciò il volto e si recò da nostro figlio, scompigliando a questo i capelli scuri ed abbracciandolo con vigore.

Lo prese fra le braccia e lo osservò nei tratti così simili ai nostri, ricordandosi come avesse adorato quell'umile pargoletto creato dal nostro amore.

Notò anche un altro particolare, un piccolo particolare:

un cuore di ghiaccio era penzolante su quel piccolo petto da uomo.

Simboleggiava tante cose, e tra queste il fatto che ce l'avevo fatta.

Ero riuscita a cedere quell'oggetto tanto prezioso, quell'oggetto che mi simoleggiava davvero, l'unica cosa su cui contavo veramente.

Il mio prezioso, piccolo cuore, l'avevo ceduto a chi ora ne aveva più bisogno, per affrontare le varie avversità che la vita avrebbe imposto al mio piccolo Heiden.

Io, ora, non ne avevo più bisogno: la mia vita era felice e il mio cuore non era più di ghiaccio.

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

 

L'ULTIMO CAPITOLO! L'ULTIMO CAPITOLO!!!

-Calma! E' motivo di gioia! Finalmente non ti dovranno più sopportare!-

T.T

Comunque... La storia è finita, per sempre, finish, stop! :')

Voglio ringraziare tantissime persone, tutte quelle che hanno letto, recensito o messo fra le preferite/seguite/ricordate:

Le persone che hanno recensito:

§Stella_2000

§Alien_shine

§Cocomatters_1

§icesakura

§Dalhia_Gwen

§Smile_Smoke

§Sara_Rocker

§Gwuncan99

§giulialovely99

§Queen_B

§AnonimaKim

§princess4444

§Mumma

§Darkprincess_courtney131

§Rocker_Wolf_Love

Le persone che l'hanno messa fra le seguite:

§Alien_Shine

§Black Spirit

§Chimera_lupo99

§GweneDuncan4ever

§Hope_Dream

§icesakura

§Lena_chan

§mintheart

§Mumma

§peraldsvoice

§Rocker_Wolf_Love

§Sara_Rocker

§Smile_Smoke

§Stella_2000

Le persone che l'hanno messa fra le ricordate:

§GweneDuncan4ever

§giulialovely99

§peraldsvoice

 

GRAZIE MILLE A TUTTI PER AVER SEGUITO QUESTA STORIA!!! <3

 

Gwen

P.s voi lo vorreste un sequel?

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