Quando un cuore si spezza

di _Trixie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La morte di Regina ***
Capitolo 2: *** La pazzia di Emma ***
Capitolo 3: *** Speranza ***
Capitolo 4: *** Cercandoti ***
Capitolo 5: *** Ritrovarti ***
Capitolo 6: *** Il Vero Amore di mia madre ***
Capitolo 7: *** Scegliersi ***
Capitolo 8: *** Il cuore di Emma Swan ***
Capitolo 9: *** Euridice ***
Capitolo 10: *** C'era Daniel nel suo cuore ***
Capitolo 11: *** Cuori in frantumi ***
Capitolo 12: *** Epilogo - Doveva solo essere un lieto fine ***



Capitolo 1
*** La morte di Regina ***


Personaggi: Emma Swan, Regina Mills, Henry Mills, Daniel (Biancaneve | Mary Margaret Blachard, Tremotino | Signor Gold, Principe Azzurro | David Nolan, Belle)
Pairing: Swan Queen (Rumbelle, Snowing, Oneside!StableQueen)
Tipo di coppia: Femslash (Het)
Rating: Arancione
Generi: Triste, sentimentale, romantico
Note: What if?
Avvertimenti: Spoiler!
Introduzione: [SwanQueen,  lievi lievi spoiler terza stagione, seguito di “Quattro volte in cui Emma e Regina furono felici e la quinta in cui non lo furono”].
Quando un cuore si spezza, il mondo crolla lentamente in mille, piccoli pezzi, che non sei più in grado di mettere insieme.
Quando un cuore si spezza, non c’è nulla, che possa aiutarti a sopravvivere.
Quando un cuore si spezza, ogni speranza scivola via, lasciandoti impotente e sconfitta.
Ma, forse, quando un cuore si spezza, hai solo bisogno di ritrovarne l’altra metà, anche se questo dovesse significare attraversare quella sottile linea che divide la vita dalla morte.

 
 
Quando un cuore si spezza
 
  
 
I. La morte di Regina
 
 
 

Era ormai notte fonda e Henry si trovava da solo in casa. Dove erano Emma e Regina?
Il giovane guardò ancora l’orologio, la paura gli attanagliava le viscere, un cupo presentimento serpeggiava nel suo animo. Emma e Regina non sarebbero mai sparite senza nemmeno avvisare, lo avrebbero chiamato, avrebbero lasciato un biglietto. A meno che non fosse successo qualcosa di spaventoso. E poi c’erano quei cocci di vaso a terra…
Henry, il cuore nel petto che batteva all’impazzata, compose il numero di casa dei nonni. Non sapeva a chi altro chiedere aiuto.
«Pronto?» rispose la voce assonnata e confusa di David.
«Nonno, sono Henry».
«Henry?» urlò l’uomo e il ragazzino riuscì ad udire l’eco spaventato della voce di Mary Margaret attraverso il telefono. «Tesoro, stai bene?»
«Io sì, nonno, ma credo sia successo qualcosa alle mie mamme. Non sono in casa e c’è un vaso rotto a terra. Non so cosa fare, nonno, per favore-»
«Henry, chiuditi in casa. Stiamo arrivando».
 
«David, cosa credi che possa essere successo?» domandò Mary Margaret salendo in auto.
«Non lo so. Avvisa Neal. Digli di chiamare Gold» rispose l’uomo, lanciando il proprio cellulare alla moglie. La donna lo prese al volo, ma le sue mani tremavano.
«Credi che Gold ci aiuterà?» chiese poi, scorrendo la rubrica alla ricerca del numero di Neal.
«Da quando siamo tornati dall’Isola sembra che la sua famiglia gli stia a cuore più di ogni altra cosa al mondo» annuì David. Aveva messo in moto l’auto, senza nemmeno allacciarsi la cintura. Ma non c’era tempo.
«Vedrai che Emma e Regina stanno bene, tesoro, Emma se la sa cavare».
«Se Gold non ci aiuta… è l’unico che sappia usare la magia oltre a- Oh, Neal, grazie al cielo!» Mary Margaret interruppe brutalmente la frase a metà, sentendo la voce di Neal che rispondeva assonnato all’altro capo del telefono.
David la sentì spiegare la situazione in modo concitato, ma non distolse mai gli occhi dalla strada. Non aveva mai guidato tanto velocemente in vita sua e aveva il terrore di commettere qualche sciocchezza e causare un incidente. Ma quel terrore non era nulla in confronto a quello che provava per Henry e Emma.
«Neal, per favore, manda tuo padre alla ricerca di Emma e Regina» disse Mary Margaret, mentre la casa del sindaco, con ogni singola luce accesa, compariva in lontananza, stagliandosi contro il cielo buio di Storybrooke.
 
Fu il signor Gold a trovarla, accasciata sul corpo di Regina, che sembrava divenire sempre più freddo ad ogni istante che passava. Emma non si accorse nemmeno della sua presenza se non quando l’uomo si chinò di fronte a lei, mettendole una mano sulla spalla.
La ragazza alzò gli occhi, arrossati dal pianto, calde lacrime scendevano lungo la curva delle guance, un linea sottile di acqua salata che le bruciava la pelle come se fosse fuoco.
«Emma». 
L’aveva chiamata il signor Gold, ma lei a stento lo sentiva, non aveva nemmeno capito che cosa avesse detto, la sua voce sembrava giungere da lontano, distorta dalla sofferenza che stava provando.
«Emma».
Tentò di nuovo il signor Gold, ma lo sceriffo ormai si era già dimenticata della sua presenza.
Quel dolore la stava divorando dall’interno, quel dolore stava facendo a pezzi la sua anima, senza pietà, e non lasciava posto ad altro che non fosse nuova sofferenza, non lasciava posto ad altro che non fossero le labbra esangui di Regina, quelle stesse labbra che aveva baciato e amato, di cui aveva tracciato il contorno con le dita. E quel sorriso, quella curva che la bocca di Regina conservava, faceva infuriare Emma. Lo odiava quel sorriso, perché non c’era motivo di essere felice, non c’era davvero alcun motivo. Regina era morta, dannazione, morta!
«Emma».
Il signor Gold si spostò, le mise le mani attorno alle spalle, il bastone schiacciato tra il braccio e il fianco, facendo pressione perché lei si alzasse.
«Emma, non puoi rimanere qui, fa troppo male».
«Farà sempre male».
Gold trattenne il respiro, non si aspettava una risposta dalla ragazza e, di certo, non si aspettava quel tono. La sola voce di Emma aveva il potere di fare male, il dolore che quella ragazza stava attraversando, il dolore che quel cuore stava cercando di sopportare, era un dolore che Gold conosceva fin troppo bene. Era una voce che aveva sentito sfuggire da molte labbra tremanti. L’aveva sentita dalla giovane Regina, l’aveva sentita da Biancaneve, dal Principe, da Milah, da Uncino e soprattutto l’aveva sentita da sé stesso.
Quella voce proveniva dall’abisso in cui si cade nel momento in cui credi di aver perduto il tuo Vero Amore. E, sfortunatamente per Emma, la sua era una certezza.
«Lo so. Ma adesso lasciala andare, Emma» disse Gold, quando riuscì a controllare la voce a sufficienza perché le sue parole non tremassero, come gli tremava il cuore al ricordo di quando credeva di aver perso Belle.
«Emma, lasciala andare, vieni con me. Henry ti sta aspettando».
Nuovi singhiozzi scossero il corpo della ragazza, nuove lacrime bagnarono il suo viso e il petto senza vita, ma innocente, di Regina.
Henry.
Emma gemette.
«Maledizione, Regina, maledizione» singhiozzò Emma, stringendo con forza la camicia della donna. «Sei una dannata egoista. L’hai reso orfano, Regina, l’hai reso come noi. Orfano, Regina, orfano» continuava a ripetere, senza sosta, senza che il signor Gold trovasse il modo di calmarla.
Orfano.
Sembrava che tutti, in quella maledettissima città e in particolar modo in quella che era diventata la loro famiglia, fossero destinati a perdere la madre, in un modo o nell’altro.
Il signor Gold lasciò la presa sul corpo di Emma, la cui voce chiamava il nome di Regina senza sosta, accompagnato dalla parola orfano.
L’uomo sospirò, le braccia rassegnate lungo i fianchi, le spalle abbassate, in segno di resa.
Gold non avrebbe mai voluto arrivare a quel punto, ma chiaramente non c’era altro modo per risolvere la faccenda. Stesa una mano sopra il capo di Emma, mormorò una frase breve e coincisa, la magia, che in quel posto sembrava ristagnare in attesa di essere sfruttata, fluì dalla sua mano alla mente della donna.
Emma sentì un calore improvviso irradiarsi dal suo cervello al resto del corpo, un torpore che le invase le membra, appannandole la vista, lasciandola stordita.
Regina è morta, Regina è morta, martellava il suo cervello, mentre il signor Gold la aiutò ad alzarsi e la guidò lontano dal suo Vero Amore.
Emma non voleva, perché Regina è morta, ma non trovava la forza di opporsi a tutto quello.
Regina è morta.
 
«Pronto?»
Mary Margaret rispose immediatamente al telefono.
«Emma è con me» rispose Gold, che stava guidando verso Storybrooke. Sentì un sospiro di sollievo sfuggire alle labbra della donna.
«Come sta? È ferita? E dove è-?»
«Regina è morta, Biancaneve» disse il signor Gold con voce dura. Accanto a lui, Emma, abbandonata sul sedile del passeggero, ripeté le sue parole in un sussurro.
«Regina è morta».
Dall’altro capo del telefono nessuno rispose.
«Dove devo portare la ragazza?» chiese infine Gold.
«A casa sua, Tremotino» rispose la donna.
L’uomo annuì e chiuse la chiamata, poi svoltò in una stradina laterale. Una piccola scorciatoia verso la casa di Regina, Emma e Henry. Beh, ormai, solo di Henry e Emma.
 
«Allora?» chiese David, non appena la moglie chiuse la telefonata.
Erano tutti seduti attorno al tavolo della cucina, con tazze di fumante cioccolata tra le mani che nessuno si era sentito in grado di bere. Henry giocherellava distrattamente con il cucchiaio, appoggiato a Belle che lo stringeva a sé maternamente, accarezzandogli i capelli e ripetendogli che sicuramente non c’era motivo di spaventarsi.
Neal si teneva la testa tra le mani e la alzò solo per sentire la risposta di Mary Margaret, la quale non riusciva a fare altro se non guardare gli occhi di David e stringerne la mano.
Non poteva, semplicemente non poteva dirlo, non riusciva nemmeno a pensarlo, doveva aver capito male perché, davvero, Regina non poteva-, lei non-.
Le sue labbra iniziarono a tremare, così prese un respiro profondo, il panico nei suoi occhi dovette essere evidente, perché David rafforzò la presa.
«Nonna» la chiamò Henry e Biancaneve scoppiò a piangere. Non poteva dire a suo nipote che sua madre era morta, non ne aveva la forza, lei non poteva.
Neal si alzò in piedi di scatto, lanciando a terra la sua tazza e macchiando pavimenti e mobili di cioccolata.
Belle strinse più forte a sé Henry, in un gesto di protezione.
Il ragazzino non si accorse nemmeno di quello che stava accadendo intorno a lui, perché la sua attenzione era completamente concentrata su Mary Margaret.
«Nonna. Cosa è successo alle mie mamme?»
Biancaneve fece un gesto di diniego la testa, i singhiozzi continuavano a scuoterne l’esile figura.
Il terrore aveva invaso l’animo di tutti loro, i muscoli di Neal tremavano, nell’evidente sforzo di non prendere a pugni qualsiasi cosa o persona gli capitasse sotto tiro.
«Giuro che se quella strega ha fatto qualcosa a Emma, io-».
«Non mi ha fatto niente».
La voce innaturale di Emma, che era entrata in casa accompagnata dal signor Gold, richiamò l’attenzione del piccolo gruppo. Belle lasciò la presa su Henry, che corse immediatamente a rifugiarsi tra le braccia di Emma, seguito a ruota da Mary Margaret e David.
Neal rimase paralizzato, mentre Belle cercava l’abbraccio di Tremotino. Gliel’aveva letto nello sguardo, che qualcosa non andava. Dove era Regina?
Emma sembrava prestare attenzione solo ed esclusivamente a Henry, del tutto insensibile alle dimostrazioni di affetto dei suoi genitori. L’incantesimo che Gold le aveva fatto stava svanendo lentamente.
«Dove è la mia mamma?»
Domandò infine Henry. Emma chiuse gli occhi, il viso divenne pallido e David la sostenne, temendo che potesse avere un mancamento, fino a farla sedere su una sedia attorno al tavolo. Henry la seguì, senza mai lasciarne la mano e si fermò accanto a lei.
Mary Margaret continuava a piangere, le braccia forti di David si avvolsero attorno a lei, che immerse il viso nel suo petto.
Emma rimase in silenzio a fissare Henry e il bambino ripeté la domanda.
«Dove è la mia mamma?»
Ancora silenzio.
«Emma, se…» tentò Tremotino, ma lo Sceriffo fece segno di no con la testa, una nuova ondata di dolore si stava riversando nel suo animo, nuove lacrime stavano per sfuggire dai suoi occhi.
Ma doveva essere lei a dire al loro bambino che aveva perso un genitore, forse il più importante della sua vita.
«La tua mamma ha fatto una cosa molto coraggiosa, Henry, la cosa più altruista che potesse fare» iniziò Emma, la voce rotta del pianto. «Ma questo le è costato molto, tesoro, lei…»
La voce di Emma tremò. Dirlo ad alta voce l’avrebbe reso talmente reale… dirlo ad alta voce l’avrebbe annienta. E con lei Henry.
Il bambino si lasciò cadere tra le braccia della madre, singhiozzi a scuoterne il giovane corpo, disperazione e dolore iniziarono a scorrere nelle sue vene. L’aveva capito, aveva capito che cosa era successo, ma non voleva crederci.
«Dove è la mia mamma?» continuava a ripetere tra i singhiozzi, soffocando il respiro nel collo di Emma.
«La tua mamma è morta, Henry» disse Emma e il mondo crollò.
 
Regina Mills giaceva sdraiata, con gli occhi chiusi e la bocca lievemente incrinata in un sorriso. Il volto era pallido, le labbra rosee si distinguevano appena. Il vestito che indossava, di quel rosso scuro che sembrava piacerle tanto, era stato incantato perché conservasse intatto il corpo di chi lo indossava. Le mani, intrecciate, stringevano una fine catena d’argento, in cui erano infilati due sottili anelli, identici, ciascuno dei due con un volto che sembrava materializzarsi all’interno, come riflesso in uno specchio. Henry e Emma sorridevano, ciascuno nel proprio cerchio d’argento, tra le mani di Regina.
Attorno, quello che era stato il suo rifugio segreto era stato sistemato e riadattato, un complesso intrigo di specchi e cristalli, che moltiplicavano il volto e la figura di Regina all’infinito.
Il funerale della donna si era appena concluso. Non c’erano stati molti partecipanti e questo aveva riempito di rabbia l’animo di Emma.
Regina meritava di essere pianta, maledizione, e anche se lei ormai aveva pianto ogni singola lacrima in nome di quella donna e se anche lo aveva fatto Henry, le loro lacrime non bastavano per Regina Mills e non sarebbero mai bastate tutte le lacrime di questo e di ogni altro singolo mondo.
Aveva causato molto male, è vero, ma la colpa era davvero stata sua?
Provate voi a voler amare, avrebbe voluto gridare Emma, provate, per poi scoprire che non potete farlo.
I pochi partecipanti al funerale si congedarono ad uno ad uno dopo la funzione, porgendo le loro condoglianze ad Emma e Henry. I due, immobili accanto al feretro di una donna che non riuscivano a smettere di amare, annuivano con aria assente, mentre Mary Margaret e David si preoccupavano di rispondere adeguatamente.
«Emma».
La ragazza sussultò. Dopo quella notte terribile, il suo corpo reagiva con orrore ogni volta che il signor Gold la chiamava con il semplice nome di battesimo.
Emma deglutì.
«Ti volevo solo dare questo. A te e a Henry» rispose Gold. «L’idea è di Belle» aggiunse, indicando con la mano la ragazza accanto a lui. Nonostante tutto quello che Regina le aveva fatto, Belle sembrava provare un dolore sincero per la morte della donna. Forse, dipendeva dal fatto di sentirsi tanto simile a Emma nell’amare una persona dal passato terribile.
Lo sceriffo non si mosse, ma Henry alzò gli occhi dal volto di sua madre per afferrare la scatolina di legno che il signor Gold gli porgeva.
Il ragazzino la aprì, tirando su con il naso e un debole sorriso gli illuminò il volto.
«Guarda, mamma» disse Henry.
Al suono della voce del figlio Emma reagì. Henry sembrava l’unica cosa in grado di tenerla ancorata alla vita.
Tra le mani, il bambino teneva due collane, ciascuna con un sottile cerchio d’argento come ciondolo. Erano collane identiche a quella che Regina stringeva tra le mani, ma all’interno non brillavano i volti di Emma e Henry, ma di Regina stessa.
«Grazie» disse Henry, guardando prima Belle e poi Gold. Entrambi annuirono e si mossero per allontanarsi, ma la voce di Emma li trattenne.
«Perché ti stai preoccupando tanto per lei, Gold?»
L’uomo abbassò lo sguardo, strinse la presa sul suo bastone.
«Se avessi avuto una figlia, avrei desiderato che fosse Regina».
 
 



NdA
E quindi eccoci qui, con il primo capitolo di questo seguito, il che è di per sé un evento, comunque… :D
Sì, riguarda completamente – o quasi – Emma, ma no, Regina non è scomparsa, perciò ritornerà ;D
E se ve lo state chiedendo, non sarà affatto tipo Ghost, diciamo piuttosto che né Emma né Regina amano andare tanto per il sottile ;D
Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto, ci vediamo la prossima settimana!
Trixie. 

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Capitolo 2
*** La pazzia di Emma ***


II. La pazzia di Emma
 
 

Emma Swan si svegliava ogni mattina e ogni mattina faceva le stesse identiche cose.
Emma Swan non pensava, perché pensare avrebbe significato essere qualcuno, e lei aveva smesso di esserlo da qualche tempo, ormai.
Emma Swan desiderava solo scomparire, scomparire nel nulla e dimenticare ogni cosa.
Emma Swan aveva un figlio, ma Emma Swan non aveva altro, perché Regina le aveva portato via tutto il resto.
Emma Swan, comunque, continuava a svegliarsi ogni mattina e faceva le stesse identiche cose.
 
Aveva perso il conto dei giorni, ma la cosa non aveva importanza. Il tempo non avrebbe alleviato il suo dolore.
«Tesoro».
Mary Margaret aprì la porta della camera di Emma e infilò la testa all’interno.
La donna era seduta accanto alla finestra e sembrava fissare Storybrooke che si stendeva davanti a lei. In realtà, il suo sguardo cercava qualcosa che non avrebbe mai più potuto cogliere in quel mondo. Regina.
Le sue mani stringevano convulsamente la collana con l’anello e il ritratto di Regina. Da quando Gold l’aveva regalata alla ragazza, Mary Margaret non si ricordava di averla mai vista in un luogo che non fosse le mani di Emma. Ed erano passate tre settimane.
«Tesoro?» tentò di nuovo Mary Margaret, entrando nella camera. «Perché non esci dalla tua stanza, perché-».
«Non è la mia stanza. Questa stanza è mia e di Regina, è la nostra stanza» la corresse Emma, con voce dura.
Lei e Henry erano rimasti a vivere in quella che una volta era solo la casa del sindaco, ma che ora portava scritto Swan-Mills sulla cassetta della posta.
Mary Margaret e David non avevano avuto il coraggio di lasciare sola la loro unica figlia a prendersi cura di Henry. Nessuno dei due sembrava essere in grado di badare a sé stesso, in ogni caso, così loro si erano trasferiti con il consenso di Emma in quella casa.
«Solo per qualche tempo, per aiutarti con Henry» avevano detto.
In realtà, lo loro prima proposta era stata che tornassero tutti a vivere nel loft, ma né Henry né Emma avevano la minima intenzione di abbandonare quel posto, dove la presenza di Regina era tangibile in ogni angolo, in ogni dettaglio: la rifinitura dei mobili laccati, la cornice d’oro dello specchio, l’eleganza di ogni stanza. Ogni cosa sapeva di Regina, in quella casa.
Mary Margaret era convinta che fosse necessario cambiare ambiente, ma non aveva il coraggio di dirlo ad alta voce, non quando due paia di occhi perennemente umidi per il piatto ti osservavano sulla difensiva.
Sembrava che Emma e Henry, di fatto, riuscissero a trovare conforto solo nella presenza l’una dell’altro.
«Emma, non può continuare così» sbottò Mary Margaret, quasi con rabbia, sedendosi sul letto.
La ragazza si girò di scatto nel sentire quelle parole.
«Alzati. Quello è il posto di Regina».
«Emma…» protestò la donna debolmente, facendo tuttavia quelle che le veniva chiesto.
«Smettila di chiamarmi, ok? È vero, non può continuare così, ma la sai una cosa? Non può continuare e basta. Come pensi che possa vivere, dopo che Regina si è tolta la vita perché credeva il suo amore non fosse abbastanza puro? Come credi che stia dopo aver trovato Regina, senza vita, che si è sacrificata per potermi amare come lei credeva che meritassi? Non si è nemmeno accorta di amarmi già abbastanza, non si è nemmeno accorta che il sacrificio è il genere di azione che si compie quando si ama una persona con ogni briciola del proprio essere. Lei credeva di non essere abbastanza per me. Lei si è tolta la vita, per  me».
Emma aveva iniziato ad urlare, si era alzata in piedi e fronteggiava Mary Margaret, rimasta senza fiato. Quella era la prima volta che sua figlia le parlava di cosa fosse realmente successo in quella stanza del mausoleo.
Tutto ciò che sapeva le era stato detto da Gold, il quale certo non era entrato nei dettagli e si era limitato a parlare di un incantesimo, che aveva strappato la vita a Regina in cambio della purezza del proprio cuore. Ma a quanto pare c’erano ragioni ben più profonde della volontà di redimersi, dietro il gesto della donna.
«Emma, non-»
«Smettila di chiamarmi! Maledizione, va’ al diavolo, andate al diavolo tutti quanti!» gridò Emma, correndo fuori dalla stanza e scendendo di corsa le scale.
«Emma!» la chiamò Mary Margaret, rincorrendola. «Dove vai? Emma!»
La giovane indossò il cappotto, ignorando del tutto la madre e uscì di casa sbattendo la porta.
Il freddo la investì. Da quanti giorni non usciva di casa? Uno, due, dieci? O forse doveva parlare di mesi? Davvero, non ne aveva la più pallida idea.
Perché Regina è morta e il tempo non avrebbe cambiato assolutamente nulla.
 
Emma si trovò accanto alla tomba di Regina, in quella stanza dove l’aveva trovata priva di vita.
Non era più stata lì dal giorno del funerale. La vista del corpo freddo e immobile di Regina scavava troppo a fondo nel suo cuore perché potesse sopportarlo, ma Emma non aveva altro posto dove andare o dove voler rimanere, se non accanto a Regina, anche se questo faceva male.
«Mi manchi» bisbigliò, una mano appoggiata sopra le teca di vetro. Il suo riflesso le restituiva l’immagine di una donna smagrita, con i capelli arruffati e sporchi e gli occhi di chi stava per piangere sangue, tanto era grande la sofferenza.
«Eri abbastanza, per me, idiota. Eri tutto, eri tu» sussurrò, tirando un pugno sul vetro, che si limitò a vibrare, senza rompersi.
Emma singhiozzò, barcollò appena, prima di scivolare a terra, in ginocchio, una mano ancora premuta contro il vetro freddo.
Piangeva, Emma, e non riusciva a smettere.
Una mano, piccola e calda, le strinse la spalla e Emma alzò gli occhi.
«Henry» sussurrò, cercando di asciugarsi le lacrime. Anche il bambino aveva gli occhi rossi.
«Vengo sempre qui, dopo la scuola, e racconto la mia giornata alla mamma».
Emma lo strinse a sé, accarezzandogli i capelli.
«Sembra quasi che dorma» commentò il ragazzino, sedendosi a terra.
«Come hai detto?» domandò Emma. Qualcosa nella sua testa scattò. Nelle parole di Henry c’era più di una semplice constatazione, Emma lo sapeva, solo che non riusciva a ricordare, non riusciva a capire che cosa la sua testa stesse cercando di dirgli.
«La mamma, sembra che stia dormendo».
Fu in quel momento che Emma capì e spalancò gli occhi. Forse, forse c’era un modo…
«Tesoro, ascolta, vado dal signor Gold. Di’ alla nonna di non preoccuparsi, torno per cena» disse concitata al bambino, lacrime di dolore misto a speranza continuavano a rigarle il volto. Baciò velocemente il figlio e poi uscì, correndo, verso l’unica luce che riusciva a vedere dopo tanto buio.
 
«Signor Gold!» chiamò la donna, precipitandosi nel negozio dell’uomo come un uragano. Il campanello della porta tintinnò tanto violentemente che Emma fu infastidita dal rumore: piangere senza sosta le procurava mal di testa continui.
«Gold! Accidenti, Gold!» urlò di nuovo, premendo ripetutamente il campanello posto sul balcone. Ormai decisa ad andarlo a cercare nel retrobottega, la giovane si scontrò con il proprietario del negozio che la stava raggiungendo.
«Dunque l’udito non mi aveva ingannato. Come posso aiutarti, cara?»
«Una maledizione, mi serve una maledizione».
«Come, prego?»
«Mi serve la Maledizione del Sonno, Gold, e mi serve al più presto!»
«E a cosa dovrebbe mai servirti?» chiese l’uomo incredulo. Chi aveva intenzione di maledire? Che il dolore le avesse offuscato il giudizio al punto di toglierle ogni facoltà razionale? Emma doveva essere impazzita, senza dubbio, non c’era altra spiegazione.
«Puoi procurarmela?»
«Dimmi a cosa ti serve, Emma».
Lo sceriffo sembrò sul punto di replicare, ma poi si morse il labro e decise che, in fondo, una spiegazione a quell’uomo doveva pur darla. E poi, forse, avrebbe anche potuto aiutarla. La sua era solo un’idea, un’intuizione, e Gold sicuramente ne sapeva molto più di lei in termini di magia, portali e altri mondi.
«Va bene, d’accordo. Una volta hai detto che chi cade sotto la Maledizione del Sonno rimane intrappolato. Hai detto che accede a un luogo che non appartiene a questa realtà, eppure, non appartiene nemmeno alla morte» disse Emma, camminando avanti e indietro freneticamente.
Gold la seguiva con lo sguardo.
Quella ragazza non stava davvero pensando di…
«Voglio cadere sotto la Maledizione del Sonno, Gold. Se c’è un modo per arrivare da questo mondo a quel luogo, ci deve sicuramente essere un modo per passare da quel luogo al Regno degli Inferi. O in qualunque maledetto modo si chiami l’Oltretomba».
«Emma, è una pazzia» la avvisò il signor Gold.
«Qualcuno ci ha mai provato prima?» domandò Emma, ignorando completamente le parole dell’uomo.
«Non ha importanza, Emma, perché è una pazzia!»
«Gold, i miei genitori non mi hanno cresciuta, ma ho il loro sangue nelle vene, perciò lo so che c’è sempre un modo e questo è il mio modo per ritrovarla» disse Emma. «Ora, qualcuno ci ha mai provato, prima?»
L’uomo deglutì. La forza che la sola speranza di ritrovare Regina infondeva in quella donna era sconvolgente.
«Sì».
«Cosa è successo?»
«Alcuni sono tornati, altri no. Nessuno ha portato qualcuno con sé» rispose Gold.
«Perché no?»
«Non si può strappare nessuno alla morte, Emma» disse l’uomo.
«Ci deve essere un modo».
«Se un’anima viva entra in quel regno, una sola anima viva può uscirne. Non c’è altro modo» disse titubante Gold perché l’uomo sapeva perfettamente come stavano lavorando gli ingranaggi nella testa, ma soprattutto nel cuore, di Emma, ed era un modo che l’avrebbe portata ad una sola conclusione.
«Allora sarà Regina, ad uscirne».
Gold si accigliò.
«Emma, a Henry rimarrebbe comunque una sola madre, le cose non cambierebbero in alcun modo».
«E invece sì, Gold. Perché Regina si è presa cura di nostro figlio quando io l’ho abbandonato, perché Regina merita una seconda possibilità e merita la felicità molto più di quanto la meriti io. E ricorda che sei stato tu a renderla quello che è stata, ricorda che se non fosse stato per te, burattinaio da quattro soldi, nulla di tutto questo sarebbe accaduto» lo accusò Emma. «Tu devi la felicità a Regina, sei in debito con lei».
Gold strinse la bocca in una smorfia.
«Ha scambiato la felicità con il potere. Io non le devo niente».
«Oh, andiamo, tu l’hai ingannata!» sbottò Emma. «Ma sai una cosa? Non importa, perché se tu non mi vuoi aiutare, lo farò da sola. A quanto pare la magia non mi manca e i libri di Regina sono tutti nel suo studio. È stato un piacere, Gold» lo salutò la ragazza, con rabbia.
«Emma!» la chiamò l’uomo, prima che potesse uscire dal negozio. «Quello che vuoi fare è da pazzi. E tu sei la madre di mio nipote, non posso lasciartelo fare. In più, mio figlio sembra ancora essere innamorato di te».
«E allora? Hai intenzione di fermarmi?»
«No, Emma. Ho intenzione di aiutarti. Se proprio vuoi farlo, mi occuperò io dei dettagli tecnici per la maledizione, almeno sarò sicuro che non farai saltare in aria questa città con stupidi esperimenti di magia».
 
«No» disse Mary Margaret, dopo che Emma ebbe spiegato ai suoi genitori che intenzioni avesse.
«Non ho chiesto il vostro permesso. Ve l’ho detto solo perché possiate occuparvi di Henry in mia assenza».
«Non ti lasceremo andare. Non puoi semplicemente-».
«Sì che posso».
«Vuoi scambiare la tua vita per quella di Regina. Emma, tu non sei lucida, non puoi farlo!» urlò Mary Margaret.
David non parlava, si limitava a guardare Emma con gli occhi colmi di disperazione e il cuore rigonfio di comprensione. Lui, per Biancaneve, l’avrebbe fatto senza pensarci due volte. Eppure, davvero, non riusciva a lasciare andare la figlia.
«E chi me lo impedirà?» domandò Emma, l’accenno di una risata isterica sul viso.
«Per favore, tesoro, non farlo».
Lo sceriffo scosse la testa, poi lasciò la cucina e salì di corsa le scale.
Lei lo avrebbe fatto, eccome se lo avrebbe fatto.
 
«Penso di poterti aiutare» disse Henry quella sera a letto, accanto a Emma. Dal giorno del funerale dormivano nello stesso letto, quello di che sapeva ancora, dolorosamente, di Regina e sembrava che la compagnia reciproca riuscisse a tenere lontani gli incubi. Almeno i peggiori.
«Aiutarmi?» domandò Emma, curiosa. «In cosa?».
«A salvare la mamma».
Il sangue di Emma ghiacciò. Come diavolo faceva Henry a sapere delle sue intenzioni? Eppure, aveva controllato che lui non fosse nei paraggi, quando ne aveva parlato con i suoi genitori.
«Hai origliato?»
«Credevo di poter ascoltare» rispose.
«Henry…»
«Tu e la mamma lo avete sempre fatto. E poi hai promesso che saresti sempre stata sincera con me» protestò Henry.
Emma sospirò. Quella storia continuava a ritorcersi contro di lei.
«Sentiamo, ragazzino».
«C’è una storia, nel mio libro» iniziò Henry, entusiasta di avere l’attenzione di Emma, ma, soprattutto, la speranza di poter salvare Regina, «dove la mamma passa attraverso il cappello e raggiunge il Regno di Cuori».
«Quel cappello è andato distrutto, Henry e poi non credo mi possa portare-».
«No, ascoltami. Se attraverso il cappello passa una persona, poi per tornare indietro può passare solo una persona. Ma io credo ci sia un modo per portare una persona in più».
«Henry, di cosa stai parlando?»
«Quando la mamma è tornata indietro, nel suo castello, ha portato con sé un cuore. E il cappello l’ha lasciata passare» spiegò Henry, in un sussurro. Quelle erano cose di cui un bambino tanto piccolo non avrebbe mai dovuto parlare. E poi, dopo quello che era successo sull’Isola, il cuore non era certo il suo argomento preferito.
«Henry, di cosa diavolo stai parlando?»
«Forse, non è necessario che tu porti con te la mamma. Prendile il cuore e poi, forse, se-».
«Fermo, fermo, Henry. Non posso… non so cosa succederebbe se facessi una cosa del genere a tua madre nell’Oltretomba. E poi devo essere risvegliata dal bacio del Vero Amore, tesoro e non-».
«Quando io ero sotto la maledizione il tuo bacio ha funzionato. Sono sicuro che funzionerà anche se sarò io a darlo a te».
«E come farai a sapere quando darmelo? No, Henry, non se ne parla» chiuse il discorso Emma.
«Ma ci deve essere un modo perché io possa avervi entrambe» protestò debolmente il bambino, gli occhi di nuovo pieni di quelle lacrime ormai familiari.
Emma non riuscì a fare nulla se non stringerlo al petto, fino a quando entrambi non scivolarono in un sonno agitato.
 
Il cellulare di Emma squillò.
«È tutto pronto» disse il signor Gold, all’altro capo del telefono.
«Ci vediamo nel tuo negozio, tra un’ora» rispose la ragazza, prima di riagganciare.
Sto arrivando, Regina. 

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Capitolo 3
*** Speranza ***


III. Speranza
 
 
Regina aprì gli occhi, il mondo attorno a lei vorticò.
Faceva freddo, molto freddo. Il suo corpo iniziò a tremare terribilmente, fuori controllo. Regina provò a mettersi seduta, ma un dolore lancinante al petto la costrinse a cadere di nuovo all’indietro, su quella che, capì, era sabbia finissima e umida. 
Regina gemette. Nella sua memoria ricordava ogni istante, ricordava quello che aveva fatto e quello che aveva detto prima di chiudere gli occhi.
E ricordava Emma Swan, la ragione del suo sacrificio, e quel ricordo le strappò una risata, una risata felice, che la scosse internamente e violentemente.
Non ricordava di essere mai stata più felice di così.
Era riuscita ad amarla, dio, se l’amava!, ma soprattutto, era stata amata da lei.
Andava tutto bene, pensava Regina, l’amore aveva segnato i suoi ultimi istanti di vita, nient’altro, andava tutto bene.
La donna chiuse gli occhi, il fantasma di quella risata ad abbellirle il volto e il corpo scosso da brividi di freddo.
 
***
 
«Per favore, ascoltami. Funzionerà, devi solo-»
«No, Henry» disse Emma, accarezzando di nuovo il figlio.
Era seduta sul letto che aveva condiviso con Regina e Henry era accanto a lei. In piedi, di fronte a loro, il signor Gold venne attirato dalle parole del bambino e dallo sguardo che passò tra madre e figlio.
Anche Mary Margaret e David, che si erano arresi alla volontà della figlia, spostarono su di lui l’attenzione.
Emma non se ne accorse, troppo concentrata sulla Maledizione che aveva per le mani, con il solo desiderio di rivedere Regina nella mente.
«Cosa funzionerà, Henry?» domandò il signor Gold.
«Henry non-»
«Se Emma prende il cuore di Regina e lo porta con sé, allora, forse, potrà metterlo nel suo petto, ed entrambe vivrebbero. Funzionerebbe, non è vero, signor Gold?»
L’uomo si accigliò, scuotendo la testa.
«A dire il vero no, Henry».
Il giovane si morse il labbro, nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Allora avrebbe comunque perso una mamma.
«Ma sei un ragazzino molto sveglio» aggiunse il signor Gold. «Parlando di cuori…»
«Gold» lo ammonì Emma. Non voleva che il figlio avesse false speranza e quella, sicuramente, si sarebbe rivelata tale.
«Supponiamo che avvenga uno scambio» disse Gold, ignorando le parole di Emma, che sospirò.
«È proprio quello che accadrà tra la mia anima e quella di Regina» sottolineò la ragazza.
«Certo, ma perché, invece di uno scambio totale non ne fate uno parziale?» propose l’uomo. In fondo, se Emma sembrava decisa a morire, perché, di fatto, stava facendo quello, allora sarebbe stata sicuramente in grado di morire in parte, per Regina.
«Gold, smettila con questi giochetti. Di cosa stai parlando?»
«Il cuore è composto da quattro cavità. Atrio destro e sinistro, ventricolo destro e sinistro» iniziò a spiegare l’uomo, subito interrotto da Emma.
«Ho sempre detestato biologia, non ho intenzione di sentire questa lezione, grazie tante» tagliò corto la ragazza.
«Tu non prenderai l’intero cuore di Regina e lei non prenderà il tuo. Per voi sarà sufficiente dividerli a metà e scambiarveli» completò Gold, sena prestare ascolto alla ragazza.
«Cosa?!» esclamò Mary Margaret senza fiato.
Emma era senza parole.
«Ma in questo modo, due anime lascerebbero gli Inferi, non una. Non può funzionare» protestò lo sceriffo.
«A dire il vero, a questo incantesimo non c’è rimedio. Una volta che il tuo cuore è diviso, non puoi ricomporlo, in alcun modo. Esiste qualcosa di simile in questo mondo» disse Gold, cercando il modo perché Emma potesse comprendere fino in fondo cosa comportasse quella pratica. «Si chiama equazione di Dirac, la conosci?»
«Non nello specifico» ammise Emma. Sul serio, la scuola non le era mai piaciuta.
Gold sospirò.
«Il punto è che quando due sistemi entrano in contatto, l’uno con l’altro, una volta che vengono separati la loro interazione è stata talmente potente da permettergli di interagire l’uno con l’altro, indipendentemente dalla distanza che c’è tra loro. La stessa cosa accadrebbe con i vostri cuori. Se Regina tornasse nel nostro mondo con parte del tuo cuore, Emma, le basterebbe baciarti perché tu possa risvegliarti dalla Maledizione. La parti mancanti del suo cuore trascenderebbero ogni genere di legge magica e non pur di avvicinarsi l’una all’altra» concluse Gold, tra il silenzio dei presenti.
Emma sospirò, turbata.
«La magia ha sempre un prezzo» disse lo sceriffo. «Questa quanto costerebbe?»
Gold fece una smorfia.
«Nel peggiore o nel migliore dei casi?»
«Nel peggiore» rispose Emma, ma la sua voce si associò a quella di Mary Margaret, la quale però diede la risposta opposta.
Gold scosse le spalle.
«Nel migliore dei casi vi costerebbe una vendetta personale da parte del signore dell’Oltretomba, nei peggiori… una guerra tra mondi» rispose l’uomo.
Il silenziò calò nella stanza.
 
La Maledizione del Sonno si trovava inutilizzata al centro del tavolo.
Attorno, il signor Gold, Emma, Mary Margaret, David e Henry non riuscivano a distoglierne lo sguardo. Nessuno voleva parlare.
«Dobbiamo prendere una decisione» disse infine Gold. «Belle mi aspetta per cena e non mi perderei il suo stufato per nulla al mondo».
Emma lanciò un’occhiata acida all’uomo.
«Avresti fatto meglio a tenere la bocca chiusa, allora» lo rimproverò.
«Cosa intendi, esattamente, per guerra tra mondi?» domandò David.
«Intendo una guerra, una di quelle spaventose, una di quelle epocali. Morti contro vivi. E il vantaggio è tutto dalla parte dei morti, naturalmente, perché, insomma, come puoi ucciderli? Derubare il Signore degli Inferi di una sua anima è un’azione che non potrebbe mai rimanere impunita. Probabilmente riverserebbe il suo esercito di anime su questa città» rispose Gold, come se stessero discutendo del tempo.
«Non possiamo rischiare tanto» disse Mary Margaret.
«Sì che possiamo, invece» saltò su Henry.
«Tesoro, tu non dovresti nemmeno-» iniziò Emma.
«Sì, invece devo. Abbiamo la possibilità di salvarla, di salvarle entrambe. E sapete una cosa? Se non abbiamo un piano per permettere sia ad Emma che a Regina di ritornare tra di noi, allora non ti lascerò andare laggiù, mamma!» urlò il bambino, allungandosi sul tavolo con uno scatto fulmineo e agguantando la Maledizione.
Intuendo il suo gesto, i quattro adulti si fiondarono su di essa, ma quella brillò tra le dita di Henry. La scaltrezza certo non gli mancava.
«Henry» lo chiamò Emma, allarmata.
«Mamma, promettimi che farai come ha detto il signor Gold».
«Henry».
«A costo di non fartela usare, sono disposto a berla».
«Henry».
Il bambino svitò il tappo.
«D’accordo!» gridò Emma, precipitandosi su di lui.
«Che razza di idiota!» commentò Gold. «Non l’avrebbe mai bevuta, sapeva che avresti ceduto!»
«Ormai mi hai fatto una promessa, mamma».
«E guerra sia» fu il tetro commento di Gold.
 
***
 
Regina aprì di nuovo gli occhi e scoprì di essere immersa nel buio. Provò di nuovo ad alzarsi e, questa volta, scoprì che il dolore al cuore era diminuito al punto da permetterle di rimanere in piedi.
La donna si guardò attorno. Di fronte a lei un’infinita distesa di acqua scura infrangeva pacatamente le sue onde lungo la riva, a ritmo regolare. L’aria era fredda e pungente, una debole foschia avvolgeva ogni cosa.
Alle sue spalle, fin dove il suo sguardo riuscisse a spingersi, Regina non vide altro che nebbia e sabbia, ma un’ombra cupa, distinguibile appena alla luce della luna, le suggerì l’esistenza di qualcos’altro.
Dove sono finita? si chiese. Dovrei essere morta, è questo il famoso Regno dell’Oltretomba?
Regina non riusciva a controllare i brividi di freddo e sentiva il terrore crescere dentro di lei. Aveva bisogno di capire dove fosse e se davvero era morta. Non avrebbe dovuto esserci un traghettatore infernale, altre anime morte o qualcosa del genere?
Regina tornò a sedersi, dando le spalle al mare. La sabbia era umida e lei aveva freddo. Aveva bisogno di un fuoco. In realtà, non aveva la minima idea di quanto potesse essere saggia una decisione del genere. Per quanto ne sapeva, un gruppo di cavalieri senza testa poteva anche essere sulle sue tracce e un fuoco avrebbe evidenziato la sua presenza. Forse, l’Inferno, non era che una solitudine immensa dalla quale provare a fuggire, per l’eternità, con la certezza di non avere alcuna via di fuga.
E poi, se davvero qualcuno aveva intenzione di farle del male, in quell’ignoto, lei non aveva armi di difesa, a meno che non…
Regina deglutì. Se fosse riuscita ad accendere un fuoco con la magia, allora non c’era motivo di temere quel luogo, perché in quel caso avrebbe sicuramente saputo come difendersi.
La donna chiuse gli occhi, unendo le mani a coppa, all’altezza del viso. Si concentrò, cercò l’origine della sua magia, cercò la sua rabbia, quella che a  lungo aveva alimentato il suo potere, e con orrore si accorse che non v’era nulla, ormai, ad alimentare il suo potere.
Quella rabbia che l’aveva tenuta per mano fin dal giorno della morte di Daniel sembrava semplicemente essere sparita, sembrava essersi dissolta nel nulla.
Regina sospirò. La magia è emozione, ma a quale emozione poteva ricorrere dal momento che in vita non aveva conosciuto nulla di tanto potente da permetterle di usare la magia, se non la sete di vendetta e la furia?
E poi ricordò. Emma e Henry.
Piccole scintille sfuggirono dalle sue dita, la familiare sensazione del potere che scorreva nelle sue vene la invase. Magia.
«Io non lo farei se fossi in te, Regina».
Quella voce.
La donna si voltò lentamente, gli occhi sbarrati, il respiro smorzato, il cuore che batteva all’impazzata.
«Daniel…» sfuggì alle sue labbra, non appena vide l’uomo. «Tu, cosa…?»
«Una lunga storia, Regina».
«Sei tu?» domandò la donna, al ricordo dell’orribile esperimento del dottor Frankenstein.
L’uomo annuì, avvicinandosi a lei, che si alzò in piedi. Si abbracciarono e Regina trovò conforto tra le braccia calde del ragazzo, le mani intirizzite iniziarono subito a scaldarsi, un singhiozzo scosse il corpo della donna.
Allora non era poi così sola.
«Ma cosa è questo posto?» domandò poi, senza lasciare andare quell’uomo che tanto aveva segnato la sua vita, un uomo che aveva amato tanto profondamente.
«Non ha un nome» disse lui, stringendosi nelle spalle e rafforzando la presa su Regina. Aveva ancora quel profumo che lui amava, quel misto di mele e innocenza che avrebbe riconosciuto tra mille. E i capelli, anche se molto più corti di quando era ragazza, avevano conservato la loro morbidezza. Daniel vi immerse il volto.
«Mi sei mancata tanto, amore» sussurrò nell’orecchio della donna, il cui respiro tremò, i muscoli si irrigidirono.
Amore.
«Cosa c’è?» domandò lui, allarmato. «Sei al sicuro, ora, qui non può succederti nulla».
Regina scosse la testa, allontanandosi appena dall’uomo e mettendo una mano sul suo petto per aumentare la distanza.
«Regina» la chiamò ancora lui.
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime.
Era passato tanto, troppo tempo da quando Daniel l’aveva chiamata con un voce tanto piena di amore e tenerezza.
«Daniel, io non so più la ragazza di un tempo» disse infine lei, senza trovare la forza di guardarlo negli occhi. Stava per spezzargli il cuore.
«Cosa vuoi dire? Credevo… hai sempre detto di amarmi, Regina, cosa ti è successo?»
«Ti ho amato, Daniel. Ma poi mi sei stato strappato via e io… io credo che mi sia stato strappato via l’amore che provavo per te. Da allora non ho fatto altro che odiare ogni cosa, Daniel, non ho fatto altro che distruggere ogni cosa del mondo crudele che mi aveva strappato il mio unico amore e non c’è stato posto per altro, nella mia vita, che non fosse la vendetta. Daniel, io non sono più la donna che conoscevi, io non sono la tua Regina».
«Ma tu sei qui» disse l’uomo, confuso. «Tu sei qui e chi arriva qui…».
«Chi arriva qui, cosa, Daniel?»
«Qui arrivano solo le persone che hanno ancora una storia davanti, Regina, una strada da percorrere con il loro Vero Amore».
 
***
 
«Emma, non devi farlo per forza» disse Mary Margaret.
«Ho fatto una promessa» ripeté Emma.
«Non dividere il tuo cuore. Chiunque di voi due tornerà su questo mondo, bacerà l’altra e, semplicemente, non funzionerà» disse la donna, guardando la figlia supplichevole.
«Regina tornerà sicuramente. E le darò parte del mio cuore».
Henry entrò in quel momento nella stanza, mettendo fine alla conversazione.
«Vieni qui, ragazzino» disse lo sceriffo, agguantandolo per stringerlo in un abbraccio che minacciava di soffocare entrambi. Henry non protestò e la abbracciò a sua volta.
«Dovete tornare entrambe, d’accordo?»
Emma annuì, scompigliandogli i capelli e dandogli un bacio leggero sulla guancia.
«Ti voglio bene».
«Anche io, mamma».
Emma distolse lo sguardo da suo figlio e svitò il tappo della Maledizione del Sonno.
«Tutta?» domandò a Gold.
L’uomo annuì.
Emma sospirò e guardò i suoi genitori, poi spostò lo sguardo su Henry.
Suo figlio fu l’ultima cosa che vide, prima che il buio avvolgesse ogni cosa.

 

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Capitolo 4
*** Cercandoti ***


IV. Cercandoti
 
 
Emma aveva caldo, terribilmente caldo, ma questo era tutto ciò che conosceva del mondo esterno, perché l’oscurità era talmente densa da impedirle di vedere. Allungò le mani in avanti, titubante, ma non incontrò nulla, così come non incontrò nulla nello stenderle verso l’alto.
Sotto di lei il pavimento era solido e liscio, Emma picchiettò un piede per essere certa che fosse sicuro, ma quel movimento non produsse alcun rumore. Terrorizzata dal silenzio innaturale, Emma deglutì e, facendosi coraggio, provò ad urlare.
Nessun suono sfuggì dalle sue labbra.
La ragazza si afferrò la gola e provò di nuovo, ma ancora nulla. Il silenzio la stava inghiottendo. Spaventata da tutto quel vuoto, Emma si mosse in avanti, si mise a correre, ma nulla mutava. Era come se non si fosse mai mossa.
Eppure lei continuò a correre, a lungo, fino a quando non sentì il gusto del ferro in bocca e i muscoli iniziarono a farle male, fino a quando l’aria che entrava nei polmoni non iniziò ad essere tagliente. Almeno, in quel momento riusciva a sentire qualcosa.
Emma rallentò l’andatura, ma solo per poi aumentare di nuovo la velocità. Doveva pur far qualcosa, in quel nulla nel quale si era cacciata.
Aveva un obiettivo, doveva trovare Regina e, insieme, dovevano tornare da Henry perché lei non avrebbe sopportato l’idea di abbandonarlo di nuovo. Non se lo sarebbe mai perdonato, mai e poi mai e, soprattutto, Regina non glielo avrebbe mai perdonato.
Le gambe di Emma iniziarono a tremare.
Da quanto tempo stava correndo? Potevano essere passati secoli eppure poteva trattarsi di un solo secondo. Come puoi quantificare il tempo in un luogo in cui tu, e solo tu, sei il solo cambiamento?
Eppure Emma non si fermò, se non quando i suoi muscoli cedettero, facendola stramazzare a terra, esausta.
Lacrime di rabbia iniziarono a rigare il volto della donna.
Regina. Dove sei, Regina?
I singhiozzi, ormai così familiari, la scossero.
E dove accidenti sono finita?
La ragazza abbatté un pugno sul pavimento.
Devo tornare da Henry. Regina. Devo alzarmi. Regina, dove sei?
Emma provò ad asciugarsi il volto con il dorso della mano, ma nuove lacrime sostituirono quelle scomparse.
Sapeva di non potersi dare per vinta.
Con il cuore colmo di disperazione, sussurrò il suo nome, anche se sapeva che non avrebbe udito nulla.
«Regina».
Il bisbigliò di Emma riecheggiò all’infinito, senza fine, perdendosi nel tempo, nello spazio, nel vuoto.
La ragazza si alzò in piedi, spaventata, perché ad ogni nuova eco un braciere si accendeva di fronte a lei, uno dietro l’altro, illuminando quel vuoto. Emma ancora non riusciva a scorgere nulla, oltre al buio, e passarono diversi minuti, o forse ore, prima che lei trovasse la forza di muoversi.
Seguì quei bracieri, chiedendosi se davvero l’avrebbero portata da Regina o se, in realtà, non fosse che un inganno.
I suoi genitori l’avevano avvisata: non puoi fare nulla in quel luogo se non disperarti in eterno per le persone che ami. 
 
***
 
Regina sedeva accanto a Daniel su un tronco modellato e levigato perché potesse servire da panca o, all’occorrenza, tavolino.
Attorno a loro, Regina coglieva il fermento e l’agitazione di centinaia di uomini, impegnati in chissà quali faccende.
«Daniel».
I due non si erano rivolti la parola da quando l’uomo l’aveva accompagnata lontana dalla spiaggia, verso quell’ombra cupa che altro non era se non una foresta più alta che estesa, dove uomini, donne, bambini, anziani e persino orchi, giganti e creature che Regina nemmeno riusciva a classificare, avevano costruito le loro case sospese.
Daniel guardò la donna, uno sguardo ferito negli occhi.
«Cosa… cosa è questo posto?» domandò Regina di nuovo, sperando che la confusione che albergava nella sua mente potesse dissiparsi. Allora non era morta?
«Te l’ho detto. Non è altro che un luogo di transito» rispose lui, con voce soffocata.
Tutti quei vaneggiamenti sul non essere più la sua Regina l’avevano sconvolto. Eppure lui l’aveva aspettata, aveva atteso quell’incontro con ogni fibra del proprio essere. Perché finalmente lui e Regina avrebbero avuto il loro nuovo inizio, lontano da quell’isola, un mondo nuovo, dove assaporare il loro lieto fine, nutrirsi l’anima, con il loro lieto fine.
«Di transito» ripeté Regina, aggrottando la fronte. «Perciò non sono morta».
«Sì, sei morta».
«Ma hai detto che ho ancora strada da percorrere!» protestò la donna.
«Con il tuo Vero Amore. Ciò potrebbe significare molte cose, Regina» rispose Daniel. «Non necessariamente tornare in vita».
La donna sospirò. Il suo Vero Amore. Era Emma, su questo Regina non nutriva nessun dubbio, ormai.
Però Daniel era lì… Stava aspettando qualcuno, ma chi? Lei era stata il suo unico amore. Eppure, Regina lo sapeva, non era con lei che avrebbe avuto il suo lieto fine.
«Sei qui da molto?»
«Non esiste il tempo, qui».
La donna strabuzzò gli occhi.
«Certo che esiste!»
«No. Qui nulla muta, nulla cambia. Arrivi e partenze sono il solo elemento di novità, ma anche in questo caso, non è possibile quantificare il tempo. Prova a pensarci, Regina, da quanto tempo sei qui?» domandò Daniel, giocherellando con la punta dello stivale.
«Non lo so, non ho orologi con me» protestò la donna. «Suppongo da…ieri».
«Anche io sono arrivato ieri» disse l’uomo.
«Non è possibile! Sono passati almeno sessant’anni tra la mia morte e la tua, Daniel!»
«Nel vecchio mondo, forse. Ma potrebbe essere passato un secolo dal tuo arrivo e, forse è già passato, eppure ti sembrerà che sia accaduto ieri» spiegò lui, stringendosi nelle spalle.
Regina si accigliò.
Tra i due calò il silenzio.
«Io ti amo ancora» sussurrò infine Daniel. Regina spalancò la bocca, non sapeva cosa rispondere perché, davvero, avrebbe tanto voluto amarlo e tanto lo aveva amato, ma ora c’era Emma.
A ben pensarci, poi, ciò che aveva provato per Daniel non era ciò che provava per Emma e questo pensiero la fece arrossire.
Per Daniel sarebbe stata pronta a rinunciare a ogni cosa, persino alla propria vita ed era quello che aveva fatto, ma per Emma… per Emma non solo avrebbe dato tutta sé stessa, per Emma avrebbe combattuto e lo aveva fatto.
Era questa la sottile differenza tra l’amore che aveva portato a Daniel e quello che portava per Emma. L’essere disposti a combattere.
E lei per Daniel non l’aveva fatto. Si era rassegnata e l’aveva lasciato andare, riempiendo quel vuoto con la vendetta.
«Daniel…» tentò Regina, titubante. «Non credo di essere io, il Vero Amore che stai aspettando».
«Devi esserlo» protestò l’uomo, alzandosi in piedi. «Non ho mai amato nessun’altro, in tutta la mia vita, Regina, mai!»
La donna sospirò, ma non rispose.
«Non hai combattuto per me, Daniel» sussurrò lei.
«Cosa stai dicendo? Ti sei forse dimenticata-»
«Non ho dimenticato niente. Ma non hai combattuto, così come io non ho combattuto per te. Abbiamo provato a fuggire da mia madre, tanto per iniziare» ricordò Regina, guardandolo negli occhi e stringendogli la mano. Doveva capire, Daniel doveva capire.
L’uomo non rispose e tornò a sedersi accanto a lei, attirato da quel gesto.
«E quando il dottor Whale ti ha riportato alla vita, Daniel, mi hai chiesto di ucciderti e io l’ho fatto. Nessuno dei due ha avuto la forza di combattere, perché noi non-».
«Non eravamo destinati l’uno all’altra» concluse Daniel e Regina annuì con forza.
Il ragazzo rafforzò la presa sulla mano morbida dell’altra.
«Eppure, non riesco a capire. Non ho amato nessun’altro, nella mia vita. Chi sto aspettando?»
Abbandonare l’idea che Regina fosse il suo lieto fine faceva male. L’aveva desiderato tanto ardentemente che, ora, lasciare che quell’idea naufragasse sembrava un tradimento e faceva male. Non aveva il ricordo di nessun amore dolce cui aggrapparsi in quel luogo senza tempo.
«Non lo so. Forse, qualcuno era innamorato di te e tu, semplicemente, non te ne sei accorto. Forse…».
«Forse sono morto prima di poterlo incontrare, il mio Vero Amore».
Regina annuì tristemente. Daniel sembrò accettare quella situazione anche se, la donna glielo leggeva negli occhi, c’era ancora inquietudine dentro di lui.
«E tu?» domandò il ragazzo infine, in cerca di una distrazione. «Ti sei forse innamorata del re, alla fine?» 
Regina scosse la testa. No, di certo non si era innamorata del re.
«E allora, chi è il fortunato?»
Regina sospirò, chiedendodi come l’avrebbe presa Daniel.
«Fortunata» lo corresse con un sorriso dolce al ricordo di Emma.
«Fortunata?» domandò il ragazzo, strabuzzando gli occhi. «Tu… ti sei innamorata di una donna?»
«Ah, Daniel, se solo tu conoscessi tutta la storia. Sul serio, il destino è più ironico di quanto tu possa immaginare».
«Di chi si tratta? La conoscevo?»
«No, Daniel, non era nemmeno nata, all’epoca. Lei è… Insomma, tecnicamente è la nipote del re» disse Regina, pensando per la prima volta al legame di sangue che Emma aveva con la famiglia reale.
«La nipote del re?! Regina, è tua nipote! Lei… quanti anni avete di differenza, mezzo secolo?»
«Ehi!» protestò la donna, dando un colpo divertito al petto di Daniel. «Non sono nemmeno lontanamente tanto vecchia! Ad ogni modo, sai, sono successe tante cose. Viaggi tra i mondi, ad esempio, che mi hanno portato a rimanere giovane a lungo. L’ho conosciuta quando ormai era adulta».
«Ah, è vero, ora sai usare la magia. Te l’ha insegnato tua madre?» domandò Daniel decidendo che la questione del Vero Amore di Regina era troppo complicata per essere affrontata.
«No» rispose la donna, con un sorriso tirato. «Ma qui la magia funziona, perché mi hai impedito di usarla?»
«Perché si ritorcerebbe contro di te» spiegò Daniel.
«Volevo solo accendere un fuoco, non stavo facendo nulla di… pericoloso» disse Regina.
«Ti saresti scottata. Non sappiamo bene per quale motivo, ma sembra che qui la magia si possa usare, ma solo a patto di pagarne un prezzo molto, molto alto».
Regina scosse la testa.
«La magia ha sempre un prezzo».

 
***
 
Emma Swan aveva perso il conto del numero di torce che aveva affiancato e superato. Un piede davanti all’altro, lo sguardo vigile e attento, la frenesia di raggiungere Regina la spingeva a proseguire.
A quella scia di fuoco sembrava non esserci fine e la ragazza ormai iniziava a sentire di nuovo la stanchezza invaderle i muscoli. Ma sapeva di dover continuare, perché lì, da qualche parte, era nascosto il modo per raggiungere Regina.
Improvvisamente, Emma andò a sbattere contro qualcosa e l’urto la costrinse a retrocedere di qualche passo. Lo sceriffo si tastò la testa, ma quando alzò gli occhi non vide nulla, davanti a sé, se non la fila infinita di torce. Allungò la mano, titubante.
Lì c’era davvero qualcosa! Una superficie liscia e fredda, ma cosa diavolo era?
Emma ritrasse la mano, all’improvviso, qualcosa, sul suo petto, iniziò a scottare e a bruciarle la pelle. La giovane vi infilò la mano ed estrasse l’anello che le aveva regalato il signor Gold, il giorno del funerale, con l’immagine di Regina al centro.
Il metallo scottava e risplendeva di una luce tenue, Emma sorrise. Possibile che indicasse la vicinanza di Regina?
La ragazza mosse qualche passo indietro, chiedendosi cosa fare, quando si accorse che i suoi piedi erano immersi nel bagnato.
E ora, da dove proveniva quell’acqua? Emma si allontanò ancora e afferrò una torcia, sollevandola a pregando che questo non azionasse una qualche trappola.
Immobile, attese un paio di secondi, guardandosi attorno, ma non accadde nulla. Si abbassò, andando a illuminare meglio il pavimento e trovandovi effettivamente dell’acqua.
Emma, stringendo ancora tra le mani il ciondolo di Regina, sussultò nello scorgere una torcia, sollevata a mezz’aria, di fronte a lei. Il suo cuore batteva all’impazzata e le ci volle più di qualche secondo per capire che quella torcia non stava levitando, ma che era lei a tenerla in mano.
Uno specchio.
Si trovava semplicemente di fronte a uno specchio, che sembrava riflettere ogni cosa in quel luogo desolato, a parte Emma stessa.
Rilassando i muscoli, lo sceriffo decise di costeggiare lo specchio, che prima o poi doveva pur avere una fine e si voltò a destra. Non appena mosse un passo in quella direzione, il ciondolo che aveva tra le mani perse parte della sua luminosità. Accigliandosi, Emma tentò nella direzione opposta, ma, anche in questo caso, la luce diminuì.
Emma sospirò, voltandosi verso lo specchio.
L’anello brillava e emanava calore.
E sia, di nuovo attraverso lo specchio, pensò, mentre allungava il piede in avanti e la superficie iniziava a tremolare, lasciandola passare.
 
***
 
Regina si alzò in piedi di scatto, portandosi una mano al petto.
«Cosa succede?» chiese allarmato Daniel, alzandosi a sua volta e posando una mano alla base della sua schiena, con fare protettivo.
Regina scosse la testa, sentendo qualcosa di duro e bollente sotto le dita. Litigò con i bottoni della camicia che indossava per vari minuti, con le dita tremanti, prima di riuscire ad afferrare quello che le scottava la pelle.
Estrasse due ciondoli identici, ma solo uno di questi sembrava brillare e irradiare calore. Regina lo avvicinò al volto, cercando di scrutarvi all’interno.
«Emma» sussurrò infine, scorgendovi il volto della ragazza, e sorrise. «Emma!»
Regina non aveva idea del perché stesse indossando quella collana, ma di una cosa era certa, Emma era vicina.

 
***
 
Emma sentì la terra mancarle sotto i piedi e la temperatura calare bruscamente. Si trovò senza fiato, mentre la forza di gravità la trascinava verso il passo e l’aria gelida le trafiggeva i polmoni.
La caduta durò qualche secondo o forse qualche ora e l’impatto fu violento, tanto che inizialmente Emma non si rese conto di non essere caduta sul terreno solido, ma in acqua.
La sensazione di soffocamento che l’aveva colta al largo della costa di Neverland tornò a farsi sentire, prepotente, e Emma spalancò gli occhi, divincolandosi e cercando di capire in quale direzione muoversi, nella disperata ricerca di aria.
Agitandosi freneticamente, lo sceriffo fece mente locale e individuò il punto dal quale sembrava provenire una tenue luce. Con un colpo di reni, Emma iniziò a muoversi, sbattendo le gambe con forza e nuotando verso quella che credeva fosse la superficie.
Finalmente, dopo un tempo che le parve interminabile, Emma infranse l’acqua chiara e riemerse. La ragazza tossì più volte, mentre si sforzava di rimanere a galla. Il cielo era coperto da una spessa coltre di nubi grigie e minacciose, un temporale che sembrava pronto a scatenarsi da un momento all’altro.
Emma aveva freddo, attorno non vedeva altro che una distesa infinita di acqua calma e placida, nemmeno un’onda a turbarne la quiete. Nessuna terra in vista.
Il panico attanagliò le viscere della ragazza, acuendo la morsa del freddo e Emma fu tentata di lasciarsi andare in quell’oceano freddo.
In fondo, le possibilità di ritrovare Regina erano sempre state minime e l’intera idea di quel viaggio verso l’Oltretomba ora le sembrava talmente assurda che stentava a credere persino di averci pensato.
Era proprio vero, dunque, che l’amore può farti compiere pazzie.
Salvare Regina, riportarla nel loro mondo, avrebbe potuto scatenare una di quelle guerre che aveva sempre visto nei film, dove gli zombie si nascondono nei vicoli bui pronti a mangiarti il cervello.
Era una pazzia sul serio, ora Emma non aveva più dubbi a riguardo. E anche se non lo fosse stata, lei non sapeva cosa fare, ora che si trovava nel bel mezzo del nulla, senza nessun punto di riferimento, cullata dalla paura e dal freddo, sentendo la stanchezza e la sconfitta serpeggiare all’interno del suo corpo.
Una lacrima scese lungo la sua guancia, lentamente, provocando piccoli cerchi concentrici quando cadde nell’acqua. Mi dispiace, Henry, pensò.
Emma si sentiva stanca, davvero molto stanca. Non poteva più combattere, combatteva da troppo tempo. Rilassò i muscoli, lasciò che l’acqua la trasportasse ovunque portassero le sue correnti. Pensò a Regina e non si accorse nemmeno del ciondolo che brillava sotto la superficie, cercando di scacciare con il suo calore il freddo dalle ossa della ragazza.
Perché era davvero, davvero molto stanca e non poteva affrontare tutto quello.
 
 
Quando Emma aprì gli occhi la prima cosa che vide fu il cielo sopra di lei, grigio e minaccioso. Passò qualche secondo, prima che la ragazza riuscisse a ricordassi cosa fosse successo e perché si trovasse immersa in un’acqua tanto gelida.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma Emma immaginò che fosse passato solo qualche minuto, da quando aveva chiuso gli occhi, perché il luogo attorno sembrava non essere mutato minimamente.
Mi dispiace, sussurrò appena, prima di chiudere di nuovo gli occhi.
 
***
 
«È un incantesimo di localizzazione. Emma deve trovarsi qui vicino, Daniel» disse concitata Regina, guardandosi attorno e muovendo qualche passo verso il folto della foresta.
Daniel la seguì e finì con lo sbattere contro la schiena della donna, quando questa si fermò bruscamente, sibilando qualcosa e cambiando direzione.
Il ragazzo deglutì visibilmente, quando si trovò faccia a faccia con Regina. Quel profumo continuava a farlo sentire terribilmente confuso, continuava a fargli battere il cuore più del necessario, continuava a fargli desiderare di baciare le labbra di Regina che, una volta, appartenevano solo a lui.
Non riusciva davvero a convivere con lo spettro di questa Emma, che sembrava diventare una presenza sempre più reale. Inconsciamente, fino a quel momento, Daniel aveva considerato la possibilità che Regina si stesse sbagliando e che, prima o poi, si sarebbe accorta che in realtà loro erano destinati l’uno all’altra.
«Il calore diminuisce in questa direzione, proviamo verso la spiaggia» disse Regina, concentrata sul ciondolo che ora teneva tra le mani.
La donna lo superò senza prestargli attenzione e Daniel sospirò, seguendola.
La sentì ridere e quella risata provocò in lui un moto di calore che pensava di non poter mai più provare.
«Cosa succede?» domandò, affrettandosi per raggiungere Regina, che si era messa a correre.
«Mi sto avvicinando a lei!»
Daniel non rispose, la affiancò e guardò il volto arrossato della donna. I ricordi delle loro cavalcate si affacciarono prepotenti nella sua mente, le giornate di inverno in cui il naso di Regina diventava rosso sulla punta a causa del freddo, i pomeriggi primaverili in cui il profumo dei fiori non riusciva a eguagliare quello della ragazza.
«Regina, aspetta!» urlò Daniel.
L’allarme e lo spavento che la donna colse nella sua voce la costrinsero a fermarsi.
Il ragazzo strinse la mano di Regina tra le proprie.
«Daniel? Cosa c’è?»
«Sei sicura? Sei sicura di quello che stai facendo? Perché io non credo che Emma sia il tuo Vero Amore, io credo…».
«Daniel, ne abbiamo già parlato» disse Regina, ritraendo la mano, con uno sguardo dolce e al tempo stesso dispiaciuto negli occhi.
La donna riprese a correre, gli occhi puntati sulla distesa infinita del mare. Forse avrebbe visto spuntare l’albero maestro della Jolly Roger da un momento all’altro. Un punta di gelosia trafisse il cuore di Regina, al pensiero di Emma in viaggio con Uncino, ma scacciò quel pensiero perché, in ogni caso, la ragazza l’avrebbe fatto solo per lei.
Regina arrivò in prossimità della distesa d’acqua, che le lambì i piedi. Strinse gli occhi, scrutando l’orizzonte. Il calore e la luminosità del ciondolo erano incredibilmente intensi.
A malapena, la donna si accorse dell’uomo accanto a lei che la fissava insistentemente.
«Andiamo, Emma, quanto sei lontana, ancora?» bisbigliò la donna, senza distogliere gli occhi dall’orizzonte. Ma nessun albero maestro sembrava stagliarsi contro il cielo grigio e Regina divenne sempre più impaziente.
«Forse sarà lei a trovarti» tentò Daniel.
«Forse, ma il calore non è diminuito, perciò Emma deve essere…»
Le parole di Regina finirono in un sussurro. Il calore certo non era diminuito, ma non era nemmeno aumentato. E ciò poteva significare una sola cosa: Emma non si stava affatto muovendo.
Regina si guardò attorno, sulla spiaggia. Fece un passo verso l’acqua, vi si immerse fino a quando non le arrivò alla vita, ignorando le urla di Daniel sulla riva che la pregavano di fare attenzione.
Il calore, seppure di poco, diminuì. Emma non si trovava in acqua, Emma non stava arrivando su quella dannata isola senza nome, perché vi si trovava già.
Regina si affrettò ad uscire dall’acqua, brividi di freddo iniziarono a scuoterla lentamente e quando tornò accanto a Daniel, l’uomo le cinse le spalle e la coprì con la propria giubba.
La donna alzò lo sguardo su di lui per qualche secondo.
«Non ne ho bisogno» disse, sorridendo e porgendogli la giubba, che Daniel accettò rassegnato. Velocemente, Regina si mosse lungo la spiaggia, il calore tra le sue mani aumentava ad ogni passo, a ogni respiro. Ben presto, Regina vide la sagoma di una donna sdraiata sulla spiaggia.
«Emma!» urlò, con quanto fiato aveva in gola, ma la figura non si mosse.
«Emma!» urlò ancora, aumentando il passo, incapace di contenere la gioia che minacciava di soffocarla.
Fu in quel momento, quando ormai Regina riuscì a distinguere i capelli biondi di Emma, la curva dei suoi fianchi, le gambe atletiche, che la ragazza si alzò di scatto a sedere, gridando come se fosse preda di un dolore insopportabile e il sangue di Regina si gelò, goccia a goccia, in un tempo che parve interminabile.
 
 
NdA
Ed eccoci qui, prima di martedì, perché passerò i prossimi giorni in una casa sul cucuzzolo di una sperduta montagna delle Alpi. E non la più pallida idea di come sarà la connessione in quelle lande :D
Le nostre due belle donne si sono ritrovate a quanto pare, ma forse per Emma le cose non stanno andando benissimo! :D
Ci rivediamo al prossimo aggiornamento, fatemi sapere come vi è sembrato questo capitolo,
Trixie. 

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Capitolo 5
*** Ritrovarti ***


V. Ritrovarti
 


«Emma!»
Regina cadde in ginocchio accanto alla ragazza, che aveva smesso di gridare in quei pochi secondi che l’altra donna aveva impiegato per raggiungerla.
Emma era caduta di nuovo all’indietro, con il respiro accelerato e gli occhi spalancati, che guizzavano velocemente a destra e a sinistra. Quando nel suo campo visivo entrò Regina il suo cuore sussultò e quel movimento sembrò provocare un sorriso di una felicità tanto intensa che per poco non la lasciò senza forze.
«Regina» disse, ridendo, alzandosi di nuovo a sedere, accarezzando quel volto tanto amato e cercato, asciugandone le calde lacrime.
«Sei qui».
Cogliendo di sorpresa la ragazza, Regina le gettò le braccia attorno al collo, soffocando il volto tra i capelli biondi dell’altra, bagnati e aggrovigliati, resi ruvidi dalla sabbia. Ma non aveva alcuna importanza, in quel momento, perché Emma l’aveva trovata.
«Perché hai urlato? Mi sono spaventata, sembrava che…» domandò Regina, ancora stretta all’altra, il cui corpo stava lentamente smettendo di rabbrividire.
«La collana del signor Gold» disse Emma. Le sue parole uscirono parzialmente soffocate.
«Il signor Gold è qui?!» esclamò Regina stupita, allontanandosi leggermente dall’altra per poterla guardare in volto, ma senza lasciarla andare.
«No, sono qui da sola. Ma questa» rispose la ragazza, alzando la mano nella quale stringeva la collana con il ciondolo di Regina, «scottava tanto sulla mia pelle che mi ha fatto rinvenire».
Regina abbassò lo sguardo sul petto di Emma, dove vide un piccolo anello rosso dai contorni irregolari. Quel ciondolo l’aveva ustionata.
La donna accarezzò piano la pelle dell’altra, attorno alla ferita, considerando l’idea di usare la magia. Ma se quello che Daniel aveva detto era vero, preferiva non rischiare che qualcosa le separasse nuovamente.
«Cosa c’entra il signor Gold?» chiese invece.
«Le collane, le ha fatte lui. Tu ne hai… voglio dire, il tuo corpo a Storybrooke ne-»
«No, le ho qui» disse Regina, alzando il pugno e mostrando i suoi ciondoli, di cui uno, quello di Emma, brillava intensamente.
«Oh».
«Mi hai trovata grazie a questo?» domandò Regina, accarezzando il volto di Emma e appoggiando la sua fronte contro quella della ragazza.
Emma annuì, tracciando il contorno delle labbra della donna con le dita. Per le spiegazioni ci sarebbe stato tempo dopo, non voleva certo rovinare il momento facendosi sgridare da Regina per aver fatto una cosa tanto insensata come maledirsi volontariamente.
Emma sorrise appena, inclinando la testa di lato, andando a baciare l’identico sorriso che si era dipinto sul volto di Regina.
In quell’istante, i loro ciondoli smisero di brillare e scottare e un tenue raggio di sole illuminò le due donne, scomparendo velocemente, senza che nessuna delle due si rendesse conto del cambiamento.
«Non c’era bisogno che tu lo facessi, comunque. Andavi bene, per me» sussurrò poi Emma, sfiorando la bocca di Regina con la propria nel pronunciare quelle parole.
«Punti di vista, suppongo».
«Sei sempre stata drastica» commentò Emma, strappando una risata leggera a Regina, che riempì l’aria.
«Ma come hai fatto ad arrivare fino a qui?»
Emma non ebbe il tempo di rispondere alla scottante domanda di Regina, perché un uomo si schiarì la voce, avvicinandosi lentamente dalle spalle della donna.
La ragazza si alzò velocemente in piedi, aiutando Regina a fare altrettanto e parandosi di fronte a lei.
«E tu chi diamine sei?» esordì Emma, lanciando uno sguardo minaccioso all’uomo, che guardò Regina come a chiedere aiuto.
«Lui è Daniel, Emma» intervenne Regina, afferrando il braccio della ragazza, che si voltò immediatamente verso di lei, con sguardo confuso.
Regina si accigliò, mentre l’espressione di Emma, dapprima confusa, ebbe un lampo di folgorazione, sostituita da qualcosa che la donna giudicò molto simile alla gelosia.
«Quel Daniel?» domandò la ragazza.
«Quel Daniel» confermò Regina.
Quel Daniel in questione si avvicinò ancora di un passo, porgendo la mano ad Emma.
«E così tu sei il presunto Vero Amore di Regina. Emma, giusto?»
La ragazza abbassò lo sguardo sulla mano che le veniva offerta, prima di piantare il proprio sguardo in quello di Daniel.
«Emma Swan. E quel presunto è decisamente superfluo» lo corresse la ragazza, stringendo comunque la mano dell’uomo.
«Regina mi aveva detto che eri giovane, ma non mi aspettavo…».
«Non ti aspettavi cosa, esattamente?»
«Daniel, perché non accompagniamo Emma nella foresta? Sicuramente sarà stanca e stare accanto al fuoco la aiuterà» intervenne Regina, allarmata dallo scambio di battute tra i due.
«La conosci la strada, tesoro, io ti raggiungo tra poco» rispose Daniel, cogliendo Regina di sorpresa con un bacio sulla guancia, che fece innervosire Emma.
«Andiamo» disse acidamente la ragazza, stringendo un braccio attorno ai fianchi dell’altra donna.
«Non so cosa diamine gli sia preso» commentò Regina, dopo che si furono allontanate di qualche passo da Daniel.
«Maledizione, Regina, è ancora innamorato di te!».
 
 
Emma e Regina sedevano di fronte al fuoco scoppiettante, sopra la terra morbida, una di fronte all’altra. Attorno a loro, gli abitanti dell’isola sembravano talmente affaccendati da non accorgersi di loro. Regina iniziava a trovare inquietante quell’essere sistematicamente ignorata da ogni altro essere vivente o anima o qualunque cosa le persone diventassero una volta raggiunta quell’isola.
Comunque, lei in quel momento riusciva a concentrarsi solo su Emma. Le loro gambe erano intrecciate e i capelli della ragazza erano ormai completamente asciutti, ma nessuna delle due aveva ancora parlato.
Fu Regina a rompere per prima quell’idillio.
«Allora, come sei arrivata fino a qua? La Jolly Roger è naufragata?»
«La Jolly Roger? Credi davvero che Uncino mi avrebbe aiutata a salvarti? No, non sono venuta con la Jolly Roger!» spiegò Emma, domandandosi se quel posto fosse effettivamente raggiungibile con un nave. In quel caso si sarebbe risparmiata molta fatica inutile. D’altro canto, comunque, avrebbe avuto bisogno di un portale e, ammesso che fosse riuscita a trovarlo, non avrebbe saputo che luogo pensare di raggiungere.
«Sul serio credi che l’Oltretomba sia raggiungibile con una nave?» chiese poi a Regina.
«A dire il vero, questo non è l’Oltretomba» disse la donna, proseguendo dopo l’espressione confusa di Emma. «Si tratta di un’isola senza nome. Sembra che qui finisca la gente… sì, insomma, hai capito».
«No, non ho capito» protestò Emma, scorgendo un rossore sulle guance dell’altra. «Non ci posso credere, Regina, stai arrossendo! Allora tutta quella storia del cuore ha funzionato!»
«Certo che ha funzionato, quante volte mi hai visto fallire? Voglio dire, le conseguenza delle mie vittorie si sono rivelate a volte un pochino troppo devastanti, ma quella è un’altra questione» tagliò corto Regina.
Emma scosse la testa.
«Allora, che persone ci sono su quest’isola?» incalzò poi.
«Ci sono persone che ancora hanno una strada da percorrere con il loro Vero Amore» spiegò Regina, guardando le fiamme danzare davanti a lei.
«Perciò io e te abbiamo ancora della strada da fare insieme» disse Emma e Regina spostò velocemente lo sguardo sulla ragazza. Allora non si era illusa, come Daniel, aspettando la persona sbagliata. Un sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra e Regina semplicemente annuì, lasciando che Emma la abbracciasse.
«Hai dubitato di noi?» sussurrò la ragazza nell’orecchio dell’altra.
Regina si limitò ad annuire e sentì il corpo di Emma irrigidirsi appena.
«Non importa» disse la ragazza, spostandosi per guardarla negli occhi. «Comunque, sappi che c’è stato un momento in cui ti ho odiata, Regina. Perché eri morta e, accidenti, hai lasciato Henry da solo, senza una madre. E guarda come siamo finite noi, senza una vera madre».
«Aveva te» protestò Regina. «Ora come sta?»
«Bene. L’ho lasciato con Mary Margaret e David. È stata dura, per me e per lui, fino a quando non ho pensato alla Maledizione del Sonno. La speranza di riaverti lo ha-» 
«La Maledizione del Sonno?» domandò Regina allarmata.
Emma prese un sospiro profondo. Non si era resa conto delle spiegazioni che la sua affermazione avrebbe comportato. Comunque, Regina doveva sapere.
«Sono sotto la Maledizione del Sonno».
«Cosa?!»
«L’ha preparata Gold. Mi ha permesso di arrivare fino a qui. A dire il vero credevo che sarebbe scoppiata una guerra contro gli zombie e che sarei stata costretta a strapparti metà del cuore, ma sono felice di sapere che non sei davvero morta» disse Emma.
«Strapparmi… Emma Swan, ti prego, dimmi che Gold non ti ha sul serio parlato di quell’incantesimo! Voleva farti compiere della magia oscura, Emma! Volevi portare via un’anima all’Oltretomba! Ma a cosa diavolo stavate pensando, tutti quanti? E sul serio Mary Margaret non ha provato a fermarti? Perché il vostro piano era una pazzia e avrebbe finito per-»
Regina, nella foga si era alzata in piedi e gesticolava animatamente, incapace di credere a quello che Emma le stava raccontando.
«Regina!» la chiamò la ragazza, interrompendone le parole. «Tu ti sei uccisa per me! Credevi davvero che non avrei provato tutto il possibile per riportarti indietro? Non hai il diritto di protestare, volevo salvarti».
Regina si passò le dita tra i capelli, tornando accanto a Emma. Sospirò, guardando la ragazza negli occhi.
«Hai ragione. Ma tu hai…» disse Regina, incapace di concludere la frase.
«Abbandonato Henry. Di nuovo, come hai fatto tu».
«Siamo delle pessime madri, non è vero?»
«No, ma dobbiamo riuscire a tornare da lui. Il tuo ex-marito ha idea di come lasciare questo posto?» domandò Emma, preferendo non pensare al fatto che in quel momento Henry si trovasse sul serio senza madre.
«Non l’ho mai sposato!» protestò Regina. «In ogni caso no, non abbiamo avuto molto tempo per parlare».
«Stai scherzando? Deve essere passato almeno un mese dal giorno della tua morte a quando sono arrivata qui!» spiegò Emma, cercando di fare mente locale nonostante avesse perso la cognizione del tempo nel momento esatto in cui era caduta in quel sonno profondo.
«Qui il tempo scorre diversamente» si intromise Daniel, giungendo in quel momento alle loro spalle e facendo sussultare entrambe le donne.
I muscoli di Emma si irrigidirono all’istante.
«Non c’è bisogno di mettersi sulla difensiva, giovane. Non volevo trattarti male, prima. Ma ho sempre pensato che Regina fosse il mio Vero Amore, devo ancora venire sul serio a patti con tutta questa faccenda» si scusò Daniel impacciato. Regina gli rivolse un sorriso di gratitudine.
«Non sono poi tanto giovane» disse Emma, dopo aver annuito per far comprendere all’uomo di aver capito la situazione. In realtà trovava ancora fastidiosa la sua presenza accanto a Regina, ma sembrava sincero in quel momento, e lei era abbastanza sicura che i suoi superpoteri trascendessero i mondi.
«Sei la figlia di Biancaneve, no? Devi avere qualcosa come cento anni in meno, rispetto a noi».
«Hai centoventotto anni?!» esclamò Emma, guardando Regina.
«No, Emma, non ho centoventotto anni!» negò la donna, fulminando Daniel con lo sguardo per fargli capire che quello era un argomento che avrebbe preferito evitare.
«Quanti ne hai?» domandò la ragazza.
«La cosa non ha alcuna importanza. Ora, perché non ci concentriamo su come lasciare quest’isola?» disse Regina, cambiando argomento.
Emma sospirò, decidendo che la questione poteva essere discussa in un secondo momento. Il suo sguardo si spostò su Daniel.
Il ragazzo si ritrovò due paia di occhi colmi di speranza che lo fissavano in attesa, ma non riuscì a capirne il motivo.
«Cosa c’è?» chiese infine.
«Come facciamo a lasciare l’isola e a tornare da nostro figlio?» domandò Regina, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Daniel rimase senza parole, confuso.
«Io non… non lo so».
«Come sarebbe a dire che non lo sai? Come hanno fatto gli altri a lasciare l’isola?» intervenne Emma.
«Non ricordo nessuno che l’abbia mai fatto» confessò Daniel, titubante.
Lo sguardo di Emma, ora colmo di panico, si spostò su Regina, che deglutì a vuoto, cercando di nascondere la paura che, lentamente, iniziava a inghiottire il suo cuore.
«Ci deve essere un modo, Daniel. Hai detto che le persone che arrivano qui hanno della strada da percorrere con il loro Vero Amore. Noi dobbiamo tornare indietro!» protestò Regina.
Daniel non rispose.
Erano bloccate lì, su quella dannata isola, da chissà quanto tempo e per chissà quanto altro tempo, senza la minima idea di come andarsene, senza sapere se avrebbero mai più rivisto Henry.
Avevano reso il loro bambino orfano e il senso di colpa aveva già iniziato a divorarle. 




NdA 
Le cose si mettono male per le nostre donne. Speriamo che il nuovo anno sia migliore, per loro. 
Intanto, buon anno a voi!
Grazie mille per le recensioni, mi sempre piacere leggere i vostri sfoghi da fangil, mi fa capire di non essere l'unica a farli <3 
A presto, Trixie :D 

 

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Capitolo 6
*** Il Vero Amore di mia madre ***


VI. Il Vero Amore di mia madre
 
 
Quel giorno Henry non volle alzarsi dal letto per andare a scuola e Mary Margaret non provò nemmeno ad insistere. Chiuse la porta della stanza del ragazzo, poi tornò nella camera da letto che divideva con David - quella che una volta era stata la camera degli ospiti di casa Swan-Mills - e si lasciò cadere tra le braccia del marito.
«Non avremmo mai dovuto lasciarla andare, David» singhiozzò la donna, il corpo scosso dal pianto.
«Non saremmo mai riusciti a fermarla, tesoro» provò a consolarla l’uomo, nonostante la voragine che aveva nel petto, nel punto in cui avrebbe dovuto esserci sua figlia.
Ormai era passato un anno esatto dal giorno in cui Emma aveva bevuto la Maledizione del Sonno, ma ancora nessuna delle due donne si era svegliata.
Durante i primi tempi, Henry correva ogni giorno, al ritorno da scuola, nella camera di Emma e Regina, aspettando pazientemente che la sua mamma si svegliasse, oppure si recava dritto filato nel mausoleo del sindaco, aspettandosi di trovare vuota la teca della donna.
Il bambino era al settimo cielo, sicuro che fosse questione di ore, prima che il cuore di una delle due donne tornasse a battere.
Mary Margaret e David, comunque, avevano iniziato a temere che qualcosa fosse andato storto fin dai primi giorni, ma le loro speranze erano cresciute all’improvviso quando sia il ciondolo di Emma che di Regina aveva iniziato a brillare e a scottare.
Il signor Gold li aveva informati che quei ciondoli sembravano funzionare da incantesimo di localizzazione e che la maggior intensità indicava la vicinanza delle due donne l’una all’altra. Non seppe spiegare esattamente come questo fosse potuto accadere, dal momento che lui non aveva previsto un tale scopo delle collane, ma non c’era alcun dubbio che le cose stessero così.
Il bagliore continuò a crescere, giorno dopo giorno, con regolarità, fino a quando si spense d’improvviso.
Henry urlò non appena se ne accorse, chiamando Mary Margaret e David e aspettando di vedere gli occhi di Emma, o di Regina, o di entrambe, spalancarsi di nuovo.
Mary Margaret rimase con Emma e Henry, mentre David corse nel mausoleo dei Mills, per tenere d’occhio il sindaco.
Passarono le ore, ma non accadde nulla.
Henry non voleva saperne di allontanarsi dalla stanza di Emma e Mary Margaret riuscì a stento a portarlo a letto quando il bambino si addormentò, contro la propria volontà, stremato dalla stanchezza.
Mary Margaret aveva vegliato sulla figlia per tutta la notte, ma quando, all’alba, David tornò a casa con gli occhi arrossati, la donna capì che nessuna delle due sarebbe mai più tornata da loro.
Fu la prima volta in cui pianse la figlia, in cui pianse quella che a tutti gli effetti era la morte di Emma. Bagnò quel volto giovane con le proprie lacrime e ne baciò le guance, sperando disperatamente che si svegliasse. Se non potevano averle entrambe, almeno avrebbe avuto indietro sua figlia. Ma Emma non aprì gli occhi nemmeno quando fu Henry a baciarne la fronte.
«Non torneranno mai più, non è vero?» aveva chiesto il ragazzino nel silenzio della stanza in cui sua madre era destinata a dormire per l’eternità.
David lo abbracciò e Mary Margaret non aveva idea di cosa rispondere a suo nipote, improvvisamente orfano a causa dell’amore folle che le sue madri avevano condiviso.
 
***
 
Nemmeno quel giorno Henry aveva voluto alzarsi per andare a scuola e Mary Margaret non isistette nemmeno questa volta.
«Due anni, David» sussurrò nel buio della stanza che condivideva con il marito.
«Parlo io con Gold» aveva risposto l’uomo, con voce roca, e la donna aveva annuito, senza trovare il coraggio di dire che non era ancora pronta, che piangeva la morte della figlia da molto tempo, ormai, senza dubbio, ma che ancora non era pronta per quello che avevano dolorosamente deciso di fare.
Una sola lacrima scivolò lungo il voltò di Biancaneve.
David la abbracciò.
«Lo so, amore».
 
I nani avevano costruito una seconda teca, identica a quella di Regina Mills, destinata ad Emma. L’avevano collocata nel mausoleo di Regina, accanto a quella del sindaco. La ragazza sembrava sorridere appena, proprio come la donna accanto a lei. Indossava un vestito bianco e viola, le stesse tonalità della copertina che aveva sotto la testa, a mo’ di cuscino, e che Biancaneve aveva intrecciato per la sua nascita.
Confezionare il vestito che avrebbe indossato per l’eternità, e che Gold aveva incantato allo stesso modo in cui aveva incantato quello di Regina, aveva lacerato ancora di più il cuore di Mary Margaret.
Quel giorno, quando gli abitanti di Storybrooke vennero a salutare Emma per l’ultima volta, Henry aveva gli occhi gonfi e il viso scuro. Si mosse solo per annuire quando Belle e il signor Gold gli consegnarono una seconda collana, con il volto di Emma, e gli chiesero il permesso di posarne una identica, ma con il volto di Henry, tra le mani della ragazza.
A differenza di quanto era accaduto con Regina, le lacrime versate per Emma furono molte e il dolore sembrava aver segnato l’intera cittadina di Storybrooke. Henry, in realtà, parve non accorgersi di nulla, perché tutto quello a cui riusciva a pensare era che aveva perso le sue mamme e che ora sarebbe cresciuto da solo.
La situazione era talmente assurda che quando Neal gli aveva proposto di andare a vivere con lui Henry si era messo a ridere, una risata così dolorosa da squarciargli i polmoni.
Per Henry vivere con suo padre era totalmente fuori discussione, per lui era impensabile lasciare la casa dove era stato cresciuto da Regina e dove era stato davvero felice di avere una famiglia, anche se per poco tempo, con lei e Emma.
E poi, Henry sapeva benissimo che Neal non sarebbe mai stato capace di essere un vero padre per lui. Si volevano bene, come padre e figlio, ma Neal non aveva la minima idea di come crescere un ragazzino e avrebbe finito per essere un male e non un bene per Henry. Non aveva il buon senso o l’autorità di Regina da unire all’affetto paterno e non aveva nemmeno l’innato istinto di Emma a suggerirgli quale fosse la cosa giusta da fare.
Neal lo sapeva, in cuor suo, che Mary Margaret e David sarebbero stati quanto di meglio il bambino aveva per crescere. Comunque, aveva voluto provarci.
 
***
 
Il terzo anniversario dalla morte di Emma, Henry decise di alzarsi dal letto, ma non trovò la forza di uscire di casa. Passò la giornata con Mary Margaret e David, guardando la televisione e giocando a uno strano gioco di carte che i nonni gli avevano insegnato e che sembrava essere molto popolare nella Foresta Incantata.
Alla fine della giornata tornò a letto e strinse tra le mani i ciondoli con i volti di Emma e Regina. Henry iniziò a piangere, come ogni sera.
Le sue mamme gli mancavano terribilmente e gli mancavano sempre di più ogni giorno che passava. Era un dolore che non se ne andava mai, una sofferenza costante, che lui aveva imparato ad ignorare, ma che spesso lo afferrava e lo stringeva senza che lui potesse in alcun modo opporsi.
Era un dolore tanto grande da spaventare Henry, quel genere di dolore che ti porta ad odiarne le  ragioni, qualunque esse siano.
E allora, i singhiozzi di Henry diventavano ancora più violenti, non appena si rendeva conto di quel nuovo sentimento che provava verso Emma e Regina. Si accorse che una parte del suo cuore le detestava, le detestava con ferocia, per essersi amate di più di quanto erano riuscita ad amare lui, il loro unico figlio.
 
***
 
Il quarto anno dopo la morte di Emma, Henry non sarebbe riuscito a dormire neppure volendo. Una manina paffuta gli martellava la testa e gli tirava i capelli, mentre una vocina infantile gorgogliava accanto al suo orecchio.
«Ethel, lascia stare Henry!» sibilò in un sussurro Mary Margaret, aprendo appena la porta della camera del nipote prima di sgusciarvi attraverso per afferrare la figlia, che aveva quasi compiuto un anno.
«Sono sveglio, nonna» sospirò il ragazzo, scostando con attenzione le coperte per permettere a Ethel di gattonarvi sotto e farle il solletico.
Mary Margaret sorrise, raggiunta da David che le cinse il fianco con il braccio. Entrambi guardarono Ethel, la loro secondogenita, e Henry che giocavano nel letto del ragazzo, chiedendosi se l’ombra di quel dolore per la perdita di Emma sarebbe mai passato.
 
***
 
Henry sbadigliò e rotolò nel letto. Come ogni mattina, si alzò e spalancò le tende, guardando il lago che si stendeva sotto la sua finestra.
Ignorò quel dolore martellante e sordo che gli pungeva il cuore, facendolo sanguinare. Erano passati cinque anni. Cinque anni in cui aveva provato in tutti i modi ad eliminare ogni traccia di Emma e Regina dalla sua vita. Ogni tanto, di notte, piangeva ancora in preda agli incubi, ma aveva imparato ad ignorare i fantasmi del suo passato durante il resto della giornata.
Sicuramente, l’essersi trasferito nella Foresta Incantata con i nonni e Ethel, lo aveva aiutato.
Quando Mary Margaret e David avevano proposto di tornare nel loro vecchio mondo, grazie a una piccola pianta di fagioli che era nata spontaneamente nel vecchio campo coltivato dai nani, non tutti gli abitanti di Storybrooke avevano reagito allo stesso modo.
Alcuni, come Leroy e i suoi fratelli, erano entusiasti della nuova possibilità rappresentata dal fagiolo magico: tornare a casa, tornare alle loro miniere, al loro lavoro. Tornare alla normalità in un mondo che conoscevano.
Altri, come Ruby, si erano mostrati titubanti. Lì, a Storybrooke, si erano costruiti una bella vita, una vita niente male, che offriva loro più certezze di quante promesse potesse fare la Foresta Incantata.
Alla fine, dopo settimane di discussioni e dibattiti, che avevano diviso la tranquilla cittadina di Storybrooke come mai prima d’allora, era stato deciso che ciascuno avrebbe scelto secondo la propria coscienza di seguire quelli che a tutti gli effetti erano tornati ad essere sovrani, Biancaneve e David, o rimanere a Storybrooke.
Questa soluzione di compromesso parve la migliore a ciascuno, soprattutto quando il signor Gold propose di aprire, in determinati giorni dell’anno, un portale che collegasse Storybrooke alla Foresta Incantata.
L’antico campo di fagioli ritornò ben presto a germogliare e il giorno della partenza Mary Margaret aveva affidato un fagiolo a Ruby in gran segreto, per i casi di emergenza.
Quelle tra Biancaneve e Cappuccetto non furono, tuttavia, le uniche lacrime versate. Ovunque, a Storybrooke, c’erano amici e famigliari che si salutavano, con la promessa di ritrovarsi un giorno.
Henry, comunque, non aveva mai avuto dubbi riguardo la propria scelta. Vivere nella Foresta Incanta era sempre stato il suo sogno e ora aveva una ragione in più per realizzarlo: dimenticare.
Fu in gran parte a causa della volontà di Henry, infatti, che i corpi di Emma e Regina vennero lasciati nel mausoleo di Storybrooke.
 
***
 
Henry sistemò il giustacuore sul petto prima di uscire dalla propria stanza. Erano passati sei anni e, anche se il ragazzo non si sentiva affatto pronto, Biancaneve aveva insistito tanto per una visita a Storybrooke che suo nipote non era riuscito a negargliela.
Lui, personalmente, non aveva la minima intenzione di andare a salutare le due donne che maggiormente aveva amato nella propria vita e che lo avevano abbandonato, più di una volta e in cento modi diversi. Ma Henry aveva letto, negli occhi di sua nonna, quella muta richiesta di sostegno, colma di un affetto tanto grande, che aveva deciso di assecondarla.
Per Biancaneve e David, Henry sarebbe stato pronto a fare qualsiasi cosa. E anche per Ethel, che in quel momento lo raggiunse camminando incerta sulle sue piccole gambe. Henry la prese in braccio, facendola gorgogliare, e insieme raggiunsero i regnanti della Foresta Incantata, riuniti nella Sala del Consiglio e pronti alla partenza.
«Oh, eccoli, David» annunciò Biancaneve, non appena vide nipote e figlia.
«Scusate, colpa mia» disse Henry, lasciando che sua nonna gli circondasse le spalle con un braccio. Henry era cresciuto molto, in quegli anni, e ora riusciva a guardare Biancaneve dall’alto verso il basso, ma la donna sembrava trovare la cosa divertente e lo reputava un motivo di orgoglio.
«Sei sempre più simile a tuo nonno, Henry» gli diceva spesso.
«Bene, è tutto pronto?» intervenne Leroy, con un fagiolo magico tra le dita.
Il compito di coltivare i fagioli nella Foresta Incantata era stato affidato ai Sette Nani, ma nessuno conosceva l’ubicazione esatta del luogo in cui erano custoditi. Era una questione di sicurezza.
David annuì, avvicinandosi alla sua famiglia e stringendosi a loro. Si afferrarono saldamente l’uno all’altro, mentre Leroy lanciava il fagiolo a terra.
Dopo qualche secondo, i quattro saltarono nel portale.
 
Storybrooke era diventata più tranquilla, dopo la partenza di metà della popolazione, eppure la presenza di un gran numero di creature magiche era ancora in grado di creare qualche trambusto.
La famiglia reale si trovò sul retro del negozio del signor Gold dove Belle, adagiata su una sedia a dondolo, si accarezzava la pancia e leggeva ad alta voce una storia al bambino che portava dentro di sé da circa otto mesi.
Bealfire trovava ancora strano avere una matrigna che aveva circa la sua età, ma vivere accanto a Belle e vedere l’influsso che quella ragazza aveva su suo padre l’aveva ben presto portato a nutrire un affetto sincero per lei. Quando poi aveva saputo della gravidanza, era impazzito di gioia e lui e suo padre avevano fatto fuori la metà delle scorte di alcol del Rabbit Hole.
I rapporti tra i due avevano iniziato a migliorare quando Tremotino si era rifiutato di ritornare nella Foresta Incantata, dove avrebbe avuto il pieno controllo dei propri poteri, e da allora il loro sodalizio era diventato sempre più sincero. Tanto più che Neal sentiva crescere ogni giorno la mancanza di Henry. Ma non poteva tornare in un posto che non aveva fatto altro che causargli dolore.
«Sono arrivati!» gridò Belle, faticando ad alzarsi, non appena vide Mary Margaret, David, il principe Henry e la principessina Ethel.
«Belle!» esclamò Biancaneve, non appena si accorse delle condizioni della ragazza. Le due si abbracciarono, mentre il signor Gold e Neal accorrevano.
Henry si lasciò abbracciare e guardare dal proprio padre pazientemente, apprezzando maggiormente la pacca affettuosa e lo sguardo commosso di Gold. Ormai era un uomo e un principe, non era più un bambino.
Tra una chiacchiera e l’altra, scambiandosi le notizie dei rispettivi mondi, si incamminarono tutti lungo Main Street, salutando conoscenti e fermandosi a scambiare ricordi affettuosi con gli amici. Dividendosi tra la macchina di Neal e del signor Gold, arrivarono infine al mausoleo dei Mills, appena fuori Storybrooke, la vera ragione della loro visita in un giorno come quello.
 
Il volto di Henry era immobile, scolpito nel granito. Teneva per mano la piccola Ethel, e sembrava aver concentrato tutta la dolcezza di cui era capace nel contatto con la piccola, perché, per il resto, i muscoli erano talmente rigidi da fare male.
Non voleva stare in quel mausoleo e ricordare, non voleva guardare il volto delle sue mamme, che avevano giurato di amarlo, e piangere perché non sarebbero mai più tornate da lui.
Era stato un ingenuo, nel credere che Regina potesse amarlo più di quanto amasse sé stessa ed era stato altrettanto ingenuo nel credere che Emma non avrebbe sacrificato ogni cosa in nome del Vero Amore.
La Regina Cattiva e la Salvatrice. Un amore da favola, poco ma sicuro. Peccato che, nelle favole, non raccontino mai di chi viene ferito da quegli amori, che distruggono ogni cosa attorno a sé, che incendiano e bruciano.
Henry quel giorno non pianse, perché lo sapeva che le sue lacrime sarebbero state inutili e che non avrebbero mai spento il fuoco che divorava il suo animo dal giorno in cui, sei anni prima, aveva capito che Regina e Emma erano state pronte a sacrificare ogni cosa, persino il figlio dell’altra, pur di inseguire la speranza di un lieto fine.
 
***
 
Henry spalancò gli occhi. Una luce accecante illuminava la stanza, un calore soffocante lo avvinghiava e ben presto il ragazzo si ritrovò sudato, la camicia da notte incollata al petto.
Stringendo gli occhi per contrastare tutta quella luce, Henry si guardò intorno cercando di capire cosa stesse succedendo. Si alzò dal letto, avvicinandosi al punto in cui sembravano provenire quei delicati raggi luminosi e il calore aumentò.
Riconobbe appena, cercando di farsi scudo con un braccio, un vecchio portagioie di legno.
Fece per allungare la mano per aprirlo e capire che cosa provocasse tutta quella luce e quel calore quando, all’improvviso come era iniziato, tutto finì.
Henry strizzò gli occhi, provando ad adattarli all’oscurità che immediatamente lo avvolse. Attese qualche secondo e quando finalmente le sue pupille si adattarono alla tenue luce lunare, Henry allungò la mano e alzò il coperchio del portagioie.
Dentro, su morbido velluto rosso, due identici anelli di metallo risplendevano appena, mostrando i volti sorridenti di Emma e Regina.
Il coperchio venne chiuso con un colpo secco.
 
 
NdA
Drastico spostamento di scena, ma è di fatto l’unico in tutta la storia, non preoccupatevi, nel prossimo sapremo se Emma e Regina hanno o meno trovato la via di casa :D
 
Ho voluto dare un punto di vista della loro storia leggermente inusuale, quello di Henry che sì, sicuramente sarebbe felice di tanto amore tra le sue mamme, ma forse in questo caso è troppo. Perciò, da una parte abbiamo Emma e Regina con i sensi di colpa a divorarle ( e Daniel che si mangia Regina con gli occhi), alla ricerca disperata di un modo per tornare a casa, mentre dall’altra c’è Henry, che non può fare a meno di accusarle per quello che a lui sembra un abbandono.
Il problema in realtà è solo uno, cioè il diverso scorrere del tempo.
 
Bene, grazie per aver letto e spero che il capitolo non sia stato troppo pesante, a presto!
Trixie :D 

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Capitolo 7
*** Scegliersi ***


VII. Scegliersi
 
 
«Venire qui è stata l’idiozia più grande che potesse venirti in mente, Emma. Maledizione» sbottò Regina, con le braccia incrociate sopra il petto.
«Ah, davvero? Vogliamo parlare di idiozie? Perché tu ne hai compiute da vendere» rispose Emma, assumendo la stessa posizione dell’altra donna.
«Cosa hai tu, che non va? Sei testarda, accidenti. Avresti dovuto… non lo so, accettare quello che ho fatto e basta, andare avanti con la tua vita, stare con Henry» disse Regina.
Emma era costernata.
Lei e Regina non avevano la minima idea sul come lasciare quell’isola e raggiungere Henry e questo le stava uccidendo. La tensione che si era venuta a creare era elettrica e quel litigio appena scoppiato non era che il risultato.
«No, Regina, non avrei potuto accettarlo».
Emma si alzò in piedi, di scatto, con le mani sui fianchi e si mise di fronte a Regina, fissandola incredula.
«Credi davvero che avrei semplicemente pianto la tua… Dio, non riesco nemmeno a dirlo!» urlò Emma, iniziando a camminare avanti e indietro, gesticolando animatamente.
Si fermò dopo pochi secondi, tornando con lo sguardo su Regina e abbassando il tono di voce.
«Credi davvero che ti avrei semplicemente pianta e poi avrei cresciuto Henry, da sola? Io ti amo, maledizione, ti amo. E tu sei stata egoista, come sempre, perché non hai minimamente pensato a me. O a Henry. Non hai pensato alle ripercussioni che la tua dannata follia avrebbe avuto su di noi. Avevi bisogno di sentirti a posto con la coscienza, Regina, e non hai pensato alla tua famiglia» l’accusò Emma, puntando il dito al petto della donna.
Regina rimase in silenzio, deglutendo a vuoto un paio di volte, cercando di tenere a bada il tumulto di emozioni che si era scatenato nel suo petto e che minacciava di soffocarla. Voleva solo piangere, piangere di frustrazione, perché Emma non aveva capito che lei lo aveva fatto proprio per la sua famiglia. Voleva essere migliore, voleva essere all’altezza.
Regina respirava profondamente, ricacciando indietro le lacrime che le inumidirono gli occhi.
«Sei ingiusta, Emma» disse solo, abbassando gli occhi e voltando le spalle alla ragazza.
Emma spostò nervosamente il peso da un piede all’altro, poi rilassò i muscoli delle spalle e si avvicinò a Regina, sedendosi accanto a lei. Le mise un braccio attorno alle spalle, percependo immediatamente come questo fece irrigidire l’altra.
«Scusa» sussurrò Emma. «Sono solo spaventata per Henry. Qualsiasi cosa facciamo, tu ed io, sembra che…»
«Che gli facciamo del male» concluse Regina, avvicinandosi ad Emma.
La ragazza sospirò e annuì, notando solo in quel momento l’assenza improvvisa di Daniel. Strinse Regina più vicino a sé.
Non le piaceva che quell’uomo fosse tanto vicino a Regina, affatto.
Emma ascoltò il respiro del sindaco per qualche minuto, in silenzio, semplicemente stringendo a lei quel corpo familiare. Attese fino a quando fu sicura che l’altra si fosse calmata, riconoscendo il ritmo naturale del suo respirare, e cambiò bruscamente argomento. Pensare a Henry faceva male. 
«Dove è il tuo ex-marito?» chiese la ragazza fingendo un tono di casualità e cercando di nascondere la propria gelosia.
«Ti ho già detto che non ci siamo mai sposati» sospirò Regina, roteando gli occhi.
«Ci siete andati vicino, però» sottolineò Emma, con una smorfia.
«Molto tempo fa. È gelosa, signorina Swan?» indagò la mora, fissando attentamente l’altra per studiarne le reazioni.
«Oh, ma smettila» tagliò corto la Salvatrice, con un gesto stizzito della mano. Regina notò che cercava di evitare il suo sguardo in tutti i modi. «E non chiamarmi in quel modo».
«Sei una pessima bugiarda» sorrise infine, provocando un grugnito sdegnato in Emma.
«Allora, sai dove è?» chiese poi, nuovamente.
Regina decise di non stuzzicarla ulteriormente e sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio di Emma, mentre rispondeva.
«No, non lo so».
Daniel comparve in quel momento, all’improvviso così come era sparito e Emma lo trovò molto strano, ma decise di non indagare. Forse, il suo giudizio non era esattamente oggettivo.
«Daniel».
Regina sorrise, rivolgendosi al ragazzo e lui fece altrettanto, occupando il posto accanto a lei.
«Ho parlato con un paio di persone» disse Daniel, prendendo le mani di Regina tra le sue. Innervosita, Emma si alzò in piedi e si mise davanti ai due, con le braccia conserte.
«Riguardo la nostra situazione?» domandò la bionda.
«Sì» annuì lui, ma senza staccare lo sguardo da Regina, «e sono tutti d’accordo con me. Non so come dirtelo, tesoro, ma Emma non può essere il tuo Vero Amore».
Emma scattò, spinse a terra il ragazzo facendogli perdere l’equilibrio e si mise a cavalcioni su di lui, premendo sulla sua gola con il braccio e tenendolo fermo.
«Cosa diavolo hai detto, vecchio?» urlò Emma con rabbia, rafforzando la presa nonostante le insistenze di Regina perché lo lasciasse andare.
«Emma. Emma, calmati, per favore, basta».
Regina afferrò il braccio di Emma e finalmente la ragazza liberò Daniel, che tossì un paio di volte.
«Spiegati» ordinò la bionda, con sguardo duro. Regina la prese per mano.
«Se voi foste il Vero Amore dell’altra, avreste già lasciato l’isola. Così come siete arrivate, vi sareste semplicemente svegliate dovunque siate quasi morte. E ogni anima ancora imprigionata qui vi avrebbe semplicemente dimenticato» spiegò Daniel, senza mai distogliere i proprio occhi da Regina.
«Come fai a saperlo?» la voce di Regina tremava. C’era qualcosa di strano, nelle parole dell’uomo.
«Me l’hanno riferito, ve l’ho detto, ho fatto qualche domanda in giro» spiegò Daniel, stringendosi nelle spalle con noncuranza.
«Stai mentendo».
Emma si voltò stupita verso Regina. Era ovvio che non ci fosse una goccia di verità in quelle parole, ma la stupì la freddezza con cui la mora aveva parlato. Evidentemente i bugiardi non rientravano esattamente nelle sua grazie.
«No, io non-»
«Oh, andiamo, te lo leggiamo in faccia. D’accordo, se non ci vuoi aiutare non importa» tagliò corto Emma. «Lasciaci stare e noi lasceremo stare te».
Regina annuì. Non voleva lasciare Daniel, voleva parlare con lui e la sua compagnia gli piaceva. Era stato quanto di più vicino a una casa e a una famiglia avesse avuto negli anni della sua giovinezza. E lo aveva amato molto, molto profondamente. Ma ora c’era Emma e, si rese conto, ci sarebbe sempre stata Emma. Lei era l’altra madre di Henry.
«Lascia che ti aiuti, fuggi con me, come quel giorno» disse Daniel, in tono rassicurante, stringendo la mano di Regina. «Scegli me, lo sai che posso renderti felice, Regina».
Emma rimase in silenzio, in attesa. Non voleva spingere Regina a fare una scelta. Se la mora avesse accettato di seguire Daniel, allora per lei non ci sarebbe stata altra via che seguire Regina, dirle che non l’avrebbe lasciata sola, che avrebbe combattuto per lei, che l’avrebbe aspettata.
«Non posso scegliere, Daniel, io ho Emma» rispose Regina, in un sussurro, strappando la propria mano da quella di Daniel.
Il cuore di Emma sussultò.
«A dire il vero, Regina Mills, hai una scelta. Come tutti quanti».
A parlare era stato un uomo sulla ventina, con i capelli corti e i ricci spettinati. Indossava una semplice veste verde scuro, appuntata su una spalla, ed era scalzo. Appesa a un fianco penzolava una cetra d’oro. Accanto a lui si fermò una donna dal sorriso mite e i capelli più lunghi che Emma avesse mai visto, acconciati in parte in complicate trecce e in parte lasciati liberi.
Istintivamente, Regina e Emma tentarono di mettersi l’una di fronte all’altra e questo suscitò nei due uno sguardo d’intesa.
«Chi siete?» domandò minacciosa la bionda. Daniel aveva uno sguardo torvo. 
«Che sbadato, non mi sono nemmeno presentato. Io sono Orfeo e questa dolce fanciulla al mio fianco è Euridice» rispose il ragazzo, porgendo la mano e facendo girare su se stessa la ragazza accanto a lui.
Emma strabuzzò gli occhi.
«Sul serio?!» esclamò, cogliendo sia Daniel che di Regina di sorpresa.
«Tu li conosci?» domandò poi la mora, guardando la fidanzata sospettosa.
«Sì» rispose Emma, scuotendo poi la testa. «Cioè, no! Insomma, ho letto il mito che li riguarda!»
Orfeo e Euridice si scambiarono un’occhiata di intesa e sorrisero.
«A dire il vero, siamo abbastanza reali, non siamo un mito» la corresse Orfeo.
La risata cristallina di Euridice si spanse nell’aria e, per quanto bella e piacevole fosse, Regina colse una nota che la mise in allerta. Irrigidì nervi e muscoli, si avvicinò ancora di più a Emma, ma non fece altro.
«Perché hai detto che ho una scelta?» domandò Regina a bruciapelo.
«Perché è così. Vedi, Regina, questo posto è costruito sulla possibilità di scelta e sul Vero Amore» iniziò a spiegare Orfeo, facendo un gesto vago con la mano e indicando attorno a sé.
«Mi sbaglio o c’è una lieve contraddizione in quello che sta dicendo?» domandò Emma confusa rivolta a Regina e indicando il ragazzo dalla veste verde con un dito. Guardando quell’espressione, la mora accennò un sorriso: era identica a quella del principe Azzurro, David. Sul fatto che fosse sua figlia non potevano esserci dubbi.
«Che contraddizione vedi, Emma?» domandò con voce leggera Euridice, rivolgendosi direttamente alla ragazza e avvicinandosi di un passo. Regina fremette, percependo un pericolo senza però riuscire a identificarlo chiaramente.
Emma balbettò, prima di riuscire a trovare le parole adatte per spiegarsi.
«Il Vero Amore e la libera scelta. Come possono convivere? Io non scelgo il mio Vero Amore e il mio Vero Amore non sceglie me. Siamo destinate l’una all’altra o qualcosa del genere, insomma. Non c’è scelta» concluse la ragazza e Regina non poteva dichiararsi più d’accordo.
Quando aveva capito cosa provava per Emma, aveva anche capito che non poteva fare nulla per contrastare le emozioni che le invadevano il cuore, o quello che allora era, se non soccombere e lasciare che la guidassero.
Euridice sorrise comprensiva, ma scosse la testa.
«In realtà, ognuno sceglie il proprio Vero Amore» disse la ragazza dalla veste verde, sorridendo. « Emma, ogni scelta che hai compiuto, anche la più insignificante, ti ha portata ad essere quella che sei e a scegliere chi amare. Hai deciso di bere la Maledizione del Sonno per Regina, hai deciso di combattere per arrivare fino a qua e, anche quando non vedevi via d’uscita, anche quando hai perso la speranza, Emma, non hai mai perso l’amore che porti a Regina. Tu hai scelto lei, tu ti sei legata a lei e hai deciso che fosse il tuo Vero Amore».
Emma aveva lo sguardo fisso su Euridice. Qualcosa, dentro di lei, avrebbe voluto urlare e dire che no, non poteva essere vero. Perché se lei avesse avuto possibilità di scelta, non avrebbe mai scelto di amare Regina Mills. Avrebbe scelto Neal, perché sarebbe stato meglio per Henry avere una famiglia quanto più normale possibile. E non una madre innamorata dell’altra madre che, allo stesso tempo, è anche la nonna di sua madre, la matrigna di sua nonna e quindi la suocera di suo nonno.
D’altro canto, il cuore di Emma l’aveva sempre saputo. Lei aveva scelto Regina. Forse, inconsciamente, era accaduto la prima volta che ne aveva incrociato lo sguardo, in quella fredda sera davanti al portico della casa del sindaco. Emma aveva letto, in quegli occhi, un abisso così nero e profondo da potersi perdere. Ma aveva visto anche una muta richiesta di soccorso e una capacità di amare che, se portata allo scoperto, non conosceva limiti.
Regina era quello di cui aveva sempre avuto bisogno: una persona che potesse amarla senza se e senza ma. Perché Emma, a Regina, aveva mostrato prima di tutto la sua parte peggiore, non la migliore. Avevano intrapreso la conoscenza reciproca attraverso il sentiero più impervio ed erano riuscite a scorgere comunque il meglio l’una dell’altra, senza mai arrendersi. Emma aveva creduto ciecamente in Regina e Regina aveva sostenuto Emma, l’aveva aiutata ad accettare sé stessa.
Emma sapeva, in fin dei conti, che si erano scelte.
«Tutto questo è assurdo!» esclamò Regina, scuotendo la testa. L’idea che lei potesse aver scelto la figlia di Biancaneve di proposito aveva un che di perfido.
«No, non lo è. Emma ti ha scelto» intervenne Euridice, sorridendole.
Regina deglutì, accarezzando l’idea che Emma potesse davvero averla scelta, che potesse aver deciso di stare con una come lei, conoscendo quanto di più orribile ci fosse nel suo cuore e, nonostante tutto, aver scelto lei.
Era una possibilità che a Regina piaceva, era un possibilità che le stringeva il cuore in una morsa di calore che si spendeva in tutto il petto. Possibile che Emma avesse davvero deciso di amarla?
«E io ho scelto Emma» sussurrò infine Regina.
«No, non esattamente» la corresse Orfeo, scuotendo la testa.
«Cosa?» intervenne Emma. «Non a tutti è data possibilità di scelta?»
«No, al contrario. Proprio perché a tutti è data possibilità di scelta, Regina non ha scelto te» disse il ragazzo dalla veste verde, lanciando un eloquente sguardo a Daniel.
La gola di Emma di seccò all’istante e la ragazza spostò lentamente gli occhi in quelli di Regina.
«Hai scelto lui?» bisbigliò.
«No» negò Regina, scuotendo la testa. «No, io non ho scelto lui, Emma».
Le due donne rimasero in silenzio, fissando l’una il volto dell’altra, scrutandone l’animo, il cuore.
«Scusa, io… lo so, scusa» disse infine Emma, con un sorriso appena accennato, accarezzando la pelle morbida delle guancie di Regina. Aveva una paura di perderla tanto grande da annebbiarle la mente.
«Non importa» rispose Regina, prendendo la mano di Emma tra le proprie e baciandone il dorso.
«Tu non hai mai scelto, Regina, perché non hai mai avuto possibilità di scelta. Emma ha dovuto scegliere tra Uncino e Neal e, senza nemmeno sapere di averti tra le opzioni, ha scelto te. Lei ha avuto la sua possibilità di scelta e ora sei il suo Vero Amore» disse Orfeo, baldanzoso, come se la questione lo divertisse.
«Mentre tu, Daniel» iniziò Euridice, con un sorriso gentile, «hai scelto Regina, nonostante condividesi un legame molto stretto con Gilly, la figlia del fornaio. Sono sicura che te la ricordi, tutti si aspettavano l’annuncio del vostro fidanzamento».
Daniel arrossì violentemente e annuì, evitando lo sguardo indagatore di Regina. Non le aveva mai parlato di Gilly, non pensava ce ne fosse bisogno. In fondo, l’aveva detto anche Euridice, lui aveva scelto Regina.
«Regina, tu non hai mai avuto bisogno di scegliere, perché non ne hai mai avuto la possibilità. Ora puoi scegliere, tra Emma e Daniel. Una volta che avrai fatto la tua scelta, tu e il tuo Vero Amore vi risveglierete a Storybrooke, perché è lì che ti sei sacrificata, non è vero?» concluse Euridice e Regina annuì debolmente con il capo.
«Ma io ho già scelto» aggiunse poi, afferrando la mano di Emma e stringendola con forza. «Ho scelto Emma».
Il volto di Daniel si rabbuiò nell’udire quelle parole, ma il cuore di Emma rispondeva con forza a quello di Regina.
Euridice rise di nuovo, di quella risata cristallina, cui si unì anche Orfeo.
«No, Regina, non l’hai scelta davvero. Dimmi, non c’è forse una parte del tuo cuore che vuole Daniel? Lui è l’uomo che hai sempre amato, il tuo primo amore, per lui ha sconvolto il mondo intero, tutto ciò che conoscevi, e ti sei gettata nel vuoto, sacrificando non solo la tua innocenza, ma anche la vita di tuo padre. E c’è una parte del tuo cuore, Regina, che non vuole amare una ragazza come Emma, che non vuole amare la figlia di chi ti ha distrutto la vita» disse Euridice con tono piatto e calmo, una brezza primaverile, così fuori luogo in quell’isola di tempesta. «Finché non sceglierai, Regina, rimarrete bloccati qui. Mi dispiace, ma queste sono le regole».
«Chi dannazione le ha stabilite?» sbottò Emma, esasperata. Aveva sentito le parole di Regina.
Io ho già scelto Emma.
Chi diavolo credeva di essere quella Euridice per arrogarsi il diritto di non credere a Regina?
«Noi» intervenne Orfeo, lo sguardo lievemente velato di minaccia. «Regina può anche non compiere mai una scelta. In fondo, qui la vita non è niente male».
Orfeo si strinse nelle spalle, passando una mano intorno al fianco di Euridice e voltandosi.
«Ehi!» li chiamò Emma, superando Regina e cercando di raggiungerli. «Ehi! Non potete andarvene così! Dannazione!»
Euridice si volse appena per riuscire a guardarla.
«Spero tu possa trovare il tuo lieto fine, Emma. Ma per ora non possiamo fare altro».
Dopo pochi passi, i due giovani dalle vesti verdi scomparvero nella foresta. 



NdA 
E così siamo ritornate alle nostre due belle donne! :D 
Allora, Orfeo e Euridice erano già saltati fuori nelle recensioni, a dire il vero, in quella di Steph86. Non appartengono esattamente al mondo delle favole, ma come ha detto una volta Henry riferendosi a Whale "altri mondi sono stati toccati dalla Maledizione", e non ho saputo resistere! 
Poi ci sono persone (Cla, sì, è sempre colpa sua XD ) che sottraggono spoiler succolenti con l'inganno ed è un comportamento deplorevole, non trovate? 
Perciò, a parte lei, tutti gli altri si meritano un grazie per aver letto anche questo capitolo! 
Alla prossima settimana, 
Trixie :D 

 

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Capitolo 8
*** Il cuore di Emma Swan ***


VIII. Il cuore di Emma Swan
 

La notte calò bruscamente. O, forse, il cielo si rannuvolò ancor di più, Emma non avrebbe saputo dirlo.
Lentamente, la ragazza girò su sé stessa, cercando lo sguardo di Regina, impaziente di parlare con la donna. Temeva quello che l’altra avrebbe potuto dirle, perché Euridice l’aveva messa completamente a nudo di fronte a Regina e ora la donna sapeva perfettamente quanto potere Emma avesse deciso di conferirle sulla propria vita, quanto profondamente l’amasse.
Di fatto, Emma sapeva di non poter essere davvero viva, di non poter essere qualcuno, senza Regina.
E, per una abituata all’indipendenza come lei, non era stato facile capirlo e accettarlo, perché questa consapevolezza avrebbe inevitabilmente portato Emma ad aver bisogno di Regina, e la necessità di qualcuno che non fosse sé stessa, era qualcosa che lei non aveva mai sperimentato nella propria vita.  
Emma aveva imparato presto ad essere abbastanza per sé stessa e, spesso, si era sorpresa a criticare le persone che le erano più vicine a causa del bisogno che mostravano di avere qualcuno accanto a sé. Iniziando dai suoi genitori, ad esempio. Comunque, non era il solo tipo di dipendenza che aveva scorto nella fitta trama di relazioni di Storybrooke. C’erano Ruby e Granny, Leroy e i suoi fratelli, Gold e Belle, Jefferson e sua figlia Grace.
Ma non lei, lei non aveva mai sperimentato la dipendenza, non prima di arrivare a Storybrooke.
Suo figlio era stato la sua prima dipendenza e Henry era stato il primo a dipendere da lei, ad aver bisogno di lei. Un’esperienza terrificante, soprattutto all’inizio.
E c’era una sola altra persona in quella città ad essere così simile a lei, al punto da condividere la medesima dipendenza: Regina.
Forse, a ben pensarci, era solo questione di tempo prima che due anime tanto affini seppur così diverse si toccassero.
A poco a poco, avevano intrecciato un rapporto. Forse non era perfetto e di sicuro non era iniziato nel migliore dei modi, ma questo aveva davvero importanza se riuscivano ad essere felici?
Ben presto, senza che Emma se ne rendesse conto, i difetti di Regina erano diventati essenziali per lei.
La mania di controllo e ordine del sindaco bilanciavano alla perfezione quel gran casino di ragazza che era Emma Swan.
La possessività estrema di Regina abbatté i muri dello sceriffo, facendole sentire che, finalmente, aveva un posto dove stare: le braccia di Regina.
La tenacia e l’ostinazione del sindaco, poi, si adattavano perfettamente alla cieca determinazione di Emma, mettendole un freno e, allo stesso tempo, la spronavano a fare sempre di più, ad essere di più. Scontrarsi con Regina, l’unica che riuscisse in qualche modo a tenerle testa senza ricorrere a ricatti affetti, Emma lo sapeva, non faceva altro che renderla più sicura di sé, aiutandola a credere in sé stessa.
Emma si era così ritrovata a pensare, una mattina, che Regina riusciva a colmare quelle mancanze che aveva sofferto per tutta la vita e, con Henry, era diventata per lei più di quanto si aspettasse: una Famiglia.
Emma si riscosse dai suoi pensieri solo nel momento in cui vide, con orrore, Daniel che accarezzava il volto di Regina con dolcezza e, con uno scatto fulmineo, baciare le labbra della donna.
Emma fece un passo verso di loro, ma si fermò immediatamente, imponendosi di non interferire, in alcun modo.
L’amore spesso fa male e il Vero Amore più di tutti, Emma lo sapeva, e altrettanto bene sapeva che avrebbe lasciato andare Regina, se era questo ciò che la donna voleva.
Euridice e Orfeo, tra tutte le discutibili cose che avevano detto, avevano perfettamente ragione nell’affermare che Regina non aveva mai potuto scegliere e Emma non avrebbe mai permesso, a costo di sacrificare la propria vita e la propria felicità, che la sua libertà venisse soffocata nuovamente. Non voleva spingerla a combattere di nuovo per scelte non prese da lei stessa, costringendola a una vita di lotta continua per contrastare e cambiare con la sola forza di volontà delle conseguenze inevitabili.
Con gran sollievo di Emma, comunque, Regina reagì.
Daniel lanciò un urlo strozzato, più di sorpresa che dolore, prima di essere scagliato all’indietro da una poderosa spinta della donna che aveva appena baciato.
Emma decise di avvicinarsi a Regina, spinta dall’urgenza di sentire il contatto fisico dell’altra. Si mise di fronte a lei, premendo la propria schiena sul busto del sindaco.
Quello non era certo interferire, Regina aveva fatto capire perfettamente la sua posizione riguardo quella situazione e il labbro sanguinante di Daniel lo testimoniava.
Certo, Emma pensò che anche il suo labbro era stato morso più volte da Regina, soprattutto quando il sindaco era infuriata a causa di qualcosa la cui responsabilità ricadeva direttamente sulle spalle di Emma, ma mai era stata morsa con tanta violenza da sanguinare così copiosamente.
Per un folle istante Emma temette persino di vedere penzolare il labbro di Daniel.
«Non avrei dovuto fargli tanto male. Hai ragione, sono drastica» sussurrò Regina, sorpresa da ciò che aveva fatto.
«Cosa? Scherzi? Questa volta sei stata fin troppo gentile, te lo assicuro! Se fossimo a Storybrooke lo arresterei per molestie sessuali. E butterei via la chiave» rispose Emma, tenendo d’occhio Daniel e la sua reazione.
Conosceva il mondo reale e conosceva le persone. Non si sarebbe stupita se Daniel avesse reagito violentemente a quell’affronto, avventandosi su Regina.
Suo malgrado, il sindaco sorrise.
Daniel rivolse loro uno sguardo truce, mentre si tamponava il labbro con la manica della blusa.
«Sta sanguinando» commentò Regina, con una punta di sollievo. L’espressione di Emma divenne improvvisamente confusa.
«Lo vedo, sai?»
«Sì, lo so, voglio dire, sta davvero sanguinando. Significa che può essere ucciso e puoi uccidere solo ciò che è vivo» disse Regina, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Emma riconobbe in quel tono il sarcasmo proverbiale del sindaco, che aveva mietuto tante vittime almeno quanto la spada di suo padre.
«Posso ucciderlo? Il discorso sta diventando interessante» replicò Emma bisbigliando perché Daniel, la cui perdita di sangue sembrava essersi arrestata, non la sentisse.
«No, Emma» rispose Regina con un sospiro. «Significa che è vivo. E se lui è vivo, lo siamo anche noi. Sai, sono abbastanza sicura che questo ci possa tornare davvero molto utile, dato che vogliamo tornare da nostro figlio, che al momento è altrettanto vivo».
«Questo punto è altrettanto interessante, lo devo ammettere. Ma perché non torniamo per un momento alla questione precedente?» domandò Emma, visibilmente sollevata dalle implicazioni di quella scoperta.
«Regina, non permetterai davvero che questa pulce bionda mi uccida!» sbottò Daniel, in quello che Emma giudicò essere più un borbottio che altro. Quel taglio sul labbro doveva far davvero male ogni volta che apriva bocca, considerò Emma.
Lo sceriffo aprì le mani, sconcertata.
«Non posso crederci! Smettila di nasconderti dietro le sue sottane!» urlò Emma, muovendo un passo verso di lui. «Sei un dannatissimo codardo! La tratti come una bambina, forzandola a fare ciò che vuoi e poi, non appena ti fa comodo, pretendi che lei risolva i casini che tu stesso crei».
Il volto di Daniel divenne furente.
«Non osare dirmi cosa è un bene per lei e cosa no, sei solo una stupida bambina viziata!» rispose l’uomo, avvicinandosi a sua volta a Emma. «Io la conosco e io la amo per quello che lei è davvero. Una ragazza con un cuore così puro da salvare una sconosciuta, da amare un uomo infinitamente più in basso rispetto a lei in ogni cosa, come un umile stalliere. È la ragazza che voleva fuggire con me, nel cuore della notte e la cui unica sfortuna è stata avere una madre senza cuore».
Emma strinse gli occhi nella direzione di Daniel, che non sembrava avere la minima intenzione di interrompere la propria arringa.
«Lei è stata la mia salvezza, mi ha mostrato che nella vita può esserci più del fango delle stalle. Che la bellezza esiste e lei la impersona. Io la amo, più di quanto possa dire, e non ti permetterò di portarmela via!».
Emma scosse la testa, un moto di indignazione le offuscava il cuore.
«Sai, su una sola cosa mi trovi d’accordo, Daniel» disse, pronunciando quel nome con disgusto. «Lei sa amare anche chi non meriterebbe il suo amore. E io non ho la minima intenzione di portartela via».
Emma percepì lo sconcerto di Regina manifestarsi con un lamento strozzato di sorpresa. Persino Daniel, davanti a lei, si mostrò più curioso che infuriato per qualche secondo.
«Non sono io ad avere possibilità di scelta e nemmeno tu. Regina  può scegliere, se e quando vuole, e io non voglio intromettermi. Se tu la amassi davvero avresti capito da solo che è questa la giusta cosa da fare. Lasciarla andare, qualsiasi sia la direzione che sceglierà. Combattere per il Vero Amore, certo, ma che stupidaggine combattere contro il Vero Amore!».
Emma non lo vide arrivare.
Un pugno, forte e ben assestato, raggiunse la sua mascella provocando un dolore lancinante che si irradiò dal suo viso con violenza.
Emma sentì Regina urlare. Poi il mondo divenne buio e il suo corpo cadde pesantemente a terra.
 
***
 
Emma era accovacciata accanto a Daniel.
L’uomo sembrava dormire profondamente, ignaro della bionda con un mortale pugnale tra le mani, così pericolosamente vicino alla sua gola.
I muscoli di Emma era rigidi, i suoi occhi saettavano in continuazione. Sapeva di dover colpire alla gola. Un taglio netto o profondo, così che Daniel non avesse il tempo di urlare.
Ma non poteva ucciderlo.
Lui era il primo amore di Regina e, forse, proprio in quel momento, la donna poteva averlo scelto anche come Vero Amore. Emma non poteva rischiare di rendere Regina infelice, non dopo tutto quello che l’altra aveva sopportato nella sua vita. Non dopo tutto quello che aveva fatto, nel bene e nel male.
Emma rilasciò la tensione delle spalle, allentò la presa sul pugnale.
Lei amava Regina Mills e, in un modo o nell’altro, voleva essere il suo lieto fine. O almeno facilitarlo. E se questo significava risparmiare la vita di Daniel e rinunciare alla possibilità di tornare alla vita, allora lo avrebbe fatto.
Henry si sarebbe improvvisamente trovato con due papà, invece che due mamme, ma il ragazzino poteva gestirlo. Con difficoltà e dolore e, forse, Regina sarebbe stata così accecata dall’amore per il figlio da cancellare ogni ricordo di Emma dalla sua mente, ma Henry avrebbe superato anche quello.
Emma abbassò il braccio lungo il fianco.
«Se lo fai ora, a Regina non rimarrà nessuno se non te. Sarai il suo Vero Amore» disse, proprio in quel momento, una voce leggera.
Emma alzò gli occhi dall’uomo ancora profondamente addormentato vicino a lei, incontrando lo sguardo cristallino di Euridice.
«Se lo faccio ora toglierò a Regina la sua libertà» replicò Emma, acidamente, un punta di confusione nella voce.
Non erano stati proprio lei e Orfeo a insistere tanto sulla storia della scelta e dell’amore?
«Ma lei potrebbe non venirlo mai a sapere, con un piccolo aiuto da parte mia, ovviamente» rispose la donna, sedendosi accanto a Emma e contemplando il ragazzo addormentato. «È davvero carino, non trovi?»
Emma rispose con una smorfia, decidendo di rimanere in silenzio.
Dopo qualche minuto, in cui le mani della bionda iniziarono a fremere per l’impazienza, Euridice le rivolse uno dei sorrisi più dolci che Emma avesse mai visto, e che potevano competere solo con quelli di una madre.
«Emma» la chiamò Euridice, strappando alla ragazza un sorriso involontario. «Un solo taglio, alla gola, e tutto andrà bene. Lui non sentirà nulla, morirà prima che possa davvero svegliarsi. E posso sempre fare in modo che sembri una tragica fatalità» disse la ragazza dai lunghi capelli, sfregando due dita per farne scaturire scintille di un verde cupo. «Regina sceglierà te e, in men che non si dica, tornerete da Henry. Sarete felici, sarete una famiglia».
Emma si lasciò cullare da quella voce carezzevole, per nulla stupita dal fatto che Orfeo l’avesse inseguita perfino negli Inferi. Ammesso che la versione del mito che lei conosceva fosse quantomeno simile alla realtà. La sua recente esperienza le aveva insegnato che non sempre le storie vengono raccontate fedelmente.
Senza nemmeno rendersene conto, Emma aveva di nuovo stretto la presa sul pugnale.
Appoggiò la lama argentea sul collo di Daniel.
Regina.
Le sue mani tremarono, Emma lasciò cadere violentemente il pugnale, provocando un piccolo graffio, un goccia di sangue, sul collo indifeso di Daniel.
Regina.
Regina lo aveva già pianto una volta, non poteva permettere che accadesse di nuovo.
Si voltò furiosa verso Euridice, che, a quanto pare, non aveva fatto altro che ingannarla, ora Emma lo capiva.
E per fortuna che le aveva augurato un lieto fine.
Nell’istante in cui incontrò gli occhi della ragazza dai capelli lunghi, questa scomparve in una nuvola di fumo verde.
Emma ebbe la sensazione di respirare per la prima volta dopo anni.
Buio.
Un’allucinazione, capì, non appena aprì gli occhi.
 
***
 
«Emma».
La chiamò Regina, lasciando sfuggire un respiro di sollievo dalle labbra, mentre accarezzava dolcemente il viso della bionda adagiato sulle sue gambe.
«Emma?» ripeté, mentre le palpebre dell’altra si alzavano lentamente, mostrando gli occhi di Emma. Lo sguardo della giovane brillò, riconoscendo la donna sopra di lei.
Regina sorrise dolcemente.
«Come ti senti?» domandò in un bisbiglio, scostando ciocche di biondi capelli da quel bel viso.
«Volevo…» iniziò Emma, lentamente. Le faceva male la testa e la sua voce era roca. Provò a schiarirsi la gola ed alzarsi, ma Regina le appoggiò delicatamente una mano sulla spalla, costringendola a rimanere sdraiata.
«Ferma, non ti azzardare» la ammonì.
Emma sorrise debolmente, scoprendo di riuscirci senza problemi, nonostante il pugno di Daniel. Istintivamente, si accarezzò il volto con la mano, ma non dovrò nulla di strano. La sua pelle era liscia, morbida e non doleva in alcun punto.
Possibile che fosse rimasta svenuta tanto a lungo?
«Come…» iniziò, spostando lo sguardo su Regina.
E a quel punto, nella penombra, lo vide. Il volto di Regina era in parte violaceo, vene sottili si intravedevano sotto la pelle diafana, arrampicandosi sul volto della donna come l’edera su un muro.
«Non riuscivo a sopportarlo» disse Regina, stringendosi nelle spalle.
«Mi hai curato… con la magia?» indagò Emma, tentando nuovamente di alzarsi. Questa volta, non appena Regina tentò di farla rimanere sdraiata, lo sceriffo ne allontanò le mani.
In ginocchio, Emma avvicinò il proprio volto a quello di Regina, esaminandolo. La testa le doleva, come se fosse sul punto di spaccarsi a metà. Daniel aveva detto qualcosa, riguardo l’uso della magia in quel posto e il suo intuito le diceva che Regina aveva pagato un prezzo molto alto, questa volta.
«Ero terrorizzata, Emma. Non respiravi, non aprivi gli occhi» disse il sindaco, scuotendo appena la testa.
«Fa male?» domandò la ragazza, accennando al viso di Regina, che negò, ma abbassò gli occhi.
Emma si morse un labbro. Regina stava mentendo.
Delicatamente, lo sceriffo avvicinò le dita alla guancia di Regina, con l’intenzione di accarezzarla, ma non appena le sue dita la sfiorarono, il sindaco si scostò.
Emma le lanciò un’occhiata eloquente.
«È il prezzo che devi pagare, non è vero? La tua sofferenza in cambio della mia» disse lo sceriffo, afferrando il polso di Regina e attirando la donna più vicina a sé. «Annulla l’incantesimo, fai tornare le cose come erano. È il mio dolore, Regina, non il tuo».
La donna scosse la testa, lasciando tuttavia che Emma la abbracciasse, attenta a non sfiorare in alcun modo la sua guancia violacea.
«Non voglio, Emma. Prima o poi andrà via, in ogni caso» le fece presente, stringendosi nelle spalle.
«Regina…» tentò la ragazza, ostinata come suo solito.
«No, niente Regina. Lascia che sia io a prendermi cura di te, per una volta. Prima sei stata incisiva, hai dato sfoggio di un’eloquenza che nemmeno sospettavo tu avessi, tra parentesi» commentò il sindaco, ignorando la debole protesta che Emma stava per fare, «e hai detto che non sono una bambina, non più. Perciò lascia che io sia una donna, la tua donna. Lasciami fare questo per te senza dire nulla, Emma Swan, senza ribattere».
Emma aprì la bocca, ma la richiuse non appena vide Regina alzare il sopracciglio con un sguardo che lasciava ben poco all’immaginazione, per quanto riguardava la velata minaccia.
«Rimani tu, quella brava con le parole» mugugnò infine, incrociando le braccia e fissando insistentemente la guancia di Regina.
«Smettila» le intimò il sindaco, facendo schioccare la labbra.
«Non sto facendo nulla!»
Regina alzò il secondo sopracciglio e Emma sbuffò rumorosamente.
«È solo che… non è giusto! È Daniel che dovrebbe avere quella faccia da cul-»
«Emma!»
«Che c’è? Tanto non mi sente nessuno e comunque sai meglio di me che è vero» rispose la ragazza, esasperata da Regina. Sul serio. Erano nel bel mezzo del nulla, più morte che vive, e quella donna aveva ancora la forza di bacchettarla per una parola poco elegante.
«Non ho idea di dove sia, in ogni caso» tagliò corto Regina, guardandosi intorno. La preoccupazione per Emma che aveva seguito quel pugno l’aveva isolata da tutto il resto.
«Ho provato a ucciderlo» disse infine la ragazza, tutto d’un fiato, con voce bassa.
Regina non rispose, si limitò a guardarla confusa.
«Prima, mentre ero svenuta o addormentata o… non lo so, prima! Avevo un pugnale e Daniel dormiva. E poi c’era Euridice. Voleva che lo uccidessi. E lo volevo anche io» raccontò Emma, in
tono concitato.
«Emma, non eri davvero tu. Era solo… un sogno» disse Regina, accarezzando la guancia della ragazza che era tornata a sedersi accanto a lei.
«Ashley dice che i sogni son desideri».
«Ashley dice anche che Granny è la donna più dolce che abbia mai incontrato, la madre che non ha avuto. Granny nasconde un coltello sotto la gonna persino quando va a fare la spesa» commentò Regina.
Emma roteò gli occhi al cielo.
«Regina, non era un sogno. Era reale. Se io… se io l’avessi fatto davvero, lui sarebbe morto. Lo so che sarebbe morto» tentò di spiegarle Emma.
Il sindaco abbassò lo sguardo, prima di alzarlo nuovamente sulla ragazza.
«Ho percepito il pericolo, quando Euridice ci ha parlato, ma non riesco a spiegarmi cosa stia accadendo» annuì infine il sindaco, dando fiducia a Emma.
«Nemmeno io» rispose la giovane, perciò sbrigati a scegliermi, aggiunse tra sé, senza però dirlo ad alta voce.
Regina allungò la mano sopra quella di Emma e la strinse, in un gesto di conforto.
«Non sei un’assassina, Emma».
 
***
 
Daniel le osservava, nascosto dalla vegetazione, e tentava di tenere a freno l’ira. Quella biondina insignificante stava toccando la sua Regina, la accarezzava, le sorrideva. Come se fosse sua.
L’avrebbe presa volentieri a pugni di nuovo, se solo ne avesse avuto la possibilità.
Ma Euridice aveva detto di aspettarla lì, mentre lei cercava di risolvere il casino che lui aveva combinato.
«Ti avevo detto di conquistare il cuore di Regina Mills, non di spingerla tra le braccia di Emma Swan».
Daniel non l’aveva sentita arrivare. Non l’aveva notata nemmeno la prima volta, quando vagava sulla spiaggia chiedendosi come risolvere quel problema chiamato Emma per poter avere il suo lieto fine con la donna che amava.
Lo aveva avvicinato, con passo leggero, quasi scivolando sulla sabbia, e gli aveva offerto la soluzione su un piatto d’argento. Tutta quella storia sul libero arbitrio e il Vero Amore? Era tutto vero, certo, ma Euridice non l’aveva raccontato a lui o alle due donne per pura bontà.
Euridice aveva uno scopo, che Daniel ancora non capiva alla perfezione, ma che aveva a che fare con Emma Swan. Lui non avrebbe dovuto fare altro che conquistare Regina, farla innamorare di nuovo di lui. Spezza il cuore di Emma Swan, aveva detto, e avrai una nuova vita a Storybrooke, con Regina, con suo figlio, con nuovi ricordi per entrambi.
Daniel, davvero, non aveva saputo resistere.
«Non l’ho spinta tra le sue braccia» rispose, infuriato, senza staccare gli occhi dalla mano di Regina che cercava quella di Emma. «L’ha già scelta?» aggiunse poi, con tono preoccupato.
«Naturalmente no, idiota, sono ancora qui. Regina sta ancora cercando il modo di potare via anche da te da quest’isola. Non ti ama, ma sei uno dei pochi ricordi felici del suo passato, non ti vuole lasciare» rispose Euridice, scuotendo la testa.
«E il tuo piano, qualunque fosse, ha funzionato?»
La ragazza dalla veste verde scosse la testa.
Ci era andata vicino, Emma Swan, ad uccidere Daniel, ma alla fine aveva rinunciato. Sarebbe bastato quello, per incrinare il suo giovane cuore. Il colpo di grazia l’avrebbe dato Regina stessa, piangendo sul corpo di Daniel. Euridice sapeva che Emma non sarebbe mai riuscita a sopportarlo e il suo cuore si sarebbe finalmente spezzato.
«E ora cosa facciamo?» domandò Daniel, tornando a fissare con odio la ragazza bionda, che ora aveva intrecciato le gambe con quelle di Regina. Da lontano, Euridice poteva udire le loro risate e si chiese che cosa potesse portare loro quella luce di felicità in un frangente come quello.
«Ora facciamo fare una bella cavalcata a Regina Mills, Daniel, una bella e lunga cavalcata» sussurrò Euridice.
Aveva bisogno che il cuore di Emma Swan si spezzasse e che si spezzasse al più presto.


NdA
Ed eccoci qui u.u Non preoccupatevi, sulla nostra dolce Euridice scopriremo qualcosa di più nel prossimo capitolo, la settimana prossima.
Grazie mille, a presto! 
Trixie :D 

 

 

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Capitolo 9
*** Euridice ***


IX. Euridice
 
 
 
Orfeo era stato il primo.
Fu come il rumore di vetri infranti e Euridice la sentì subito. Vita.
Era successo nel momento esatto in cui si era voltato a guardarla, nei pressi dell’imboccatura degli Inferi. Il cuore di Orfeo si era spezzato.
E Euridice aveva gioito.
Lui pensava di averla persa per sempre, ancora non lo sapeva che, così, sarebbe rimasto legato a lei per l’eternità. Euridice aveva chiuso gli occhi e aveva raccolto tutta quella Vita, quell’Energia, quell’Amore, dentro di sé.
Quando aveva riaperto gli occhi, si era ritrovata su quell’isola che da allora non aveva mai lasciato. Con lei c’era Orfeo che, incredulo, la guardava estasiato. Ogni traccia di Amore era però sparita dal suo volto.
A Euridice non importava. Ora poteva vivere. Forse, non sarebbe stata una vita vera, ma una vita a metà era comunque meglio della morte, no?
Persefone l’aveva avvisata, prima di lasciare il regno degli Inferi, quanto quella soluzione fosse precaria. E quanto fosse crudele.
Ma Euridice era euforica, Euridice era felice.
Ora avrebbe vissuto non una, ma infinite vite.
 
***
 
Regina rideva e Emma si sorprese a ridere con lei.
«Una volta mi ha fatto la pipì addosso» raccontò il sindaco sorridendo, rigirando tra le mani il ritratto di Henry contenuto nell’anello d’oro. «Gli stavo cambiando il pannolino, ma evidentemente non aveva finito di usarlo».
«Regina Mills, sindaco di Storybrooke, ricoperta di pipì» disse Emma. «Stento a crederci!»
«Guarda che sarebbe potuto capitare a chiunque!» protestò Regina, fingendo indignazione.
«A Mary Margaret comunque farebbe piacere saperlo. Aiuterebbe il vostro rapporto» disse Emma, con gli occhi a propria volta fissi sul ritratto del figlio.
«Non azzardarti a riferirlo, Emma Swan. O non ti racconterò più nulla dell’infanzia di Henry» minacciò il sindaco.
«D’accordo, d’accordo, va bene, terrò la bocca chiusa» rispose Emma, alzando le braccia in segno di resa. «Ma raccontami di nuovo qualcosa ora, Regina».
«Ti piace sentire storie umilianti che mi riguardano?» scherzò il sindaco, scuotendo la testa.
«No, mi piace la tua voce».
 
***
 
Persefone le aveva spiegato che quando un cuore si spezza, origina un’onda d’urto inimmaginabile, di cui l’energia sprigionata dal bacio del Vero Amore non è altro che l’ombra. Questa energia, le aveva spiegato la signora degli Inferi, l’avrebbe portata in un limbo, tra vita e morte, a patto di spezzare il cuore di chi l’amava davvero.
C’erano state altre persone, come lei, che una volta morte avevano conservato in sé una tale voglia di vivere da essere disposti a sacrificare persino l’amore di un’altra persona solo per poter avere una finzione di ciò che avevano perso.
La differenza era che lei non aveva spezzato un solo cuore, lei ne aveva spezzati cento, mille e poi aveva perso il conto. L’energia che riusciva a conquistare in questo modo le permetteva di rimanere sull’isola senza dover tornare alla morte. Ormai, non ci pensava nemmeno più, alla possibilità di tornare negli Inferi.
Sulle sue coste naufragavano persone in continuazione, persone che avevano spezzato cuori, in un modo o nell’altro. La maggior parte delle volte, come nel caso di Regina e Daniel, l’avevano fatto semplicemente morendo o sacrificandosi.
E lei era sempre stata pronta a raccoglierne i cocci e l’Energia.
Ma era la prima volta in cui qualcuno riusciva a rimettere insieme il proprio cuore e a raggiungere l’oggetto del proprio amore. E Euridice non aveva la minima intenzione di lasciarsi scappare Emma Swan. L’energia contenuta in lei, forse, sarebbe bastata per riportarla definitivamente alla vita.
 
***
 
«Credi che ci stia pensando?» chiese Regina, quasi completamente sdraiata addosso a Emma, il braccio della ragazza attorno al collo. «Henry, dico».
«Sì, è nostro figlio» rispose Emma, accarezzando distrattamente il ventre piatto dell’altra. «Gli mancheremo, come lui manca a noi».
«I due idioti si stanno prendendo cura di lui, non è vero?»
«Regina» la ammonì Emma sorridendo. «Sì, comunque, è il solo nipote che hanno».
«Magari un giorno non sarà più l’unico».
«Cosa?» domandò la ragazza, sorridendo.
«Nulla, stavo solo pensando, io…»
La voce di Regina si affievolì lentamente, mentre un cavallo dal manto nero si fermava vicino a loro attirando l’attenzione di entrambe.
«È bellissimo» sussurrò il sindaco.
«È un cavallo» disse Emma, stringendosi nelle spalle.
«Sei un’insensibile, Emma Swan» la rimbeccò Regina, mettendosi in piedi e cercando di avvicinarsi lentamente al cavallo.
Emma rimase seduta ancora per qualche secondo, studiando la figura dell’altra che si allontanava lentamente, percorrendo quelle forme conosciute e amate, chiedendosi se sarebbero mai riuscite a tornare a casa da Henry.
Emma non si sarebbe data pace finché non fosse riuscita a riportare a Henry sua madre.
La ragazza scosse la testa, ritornando al presente, a Regina che accarezzava delicatamente il mando del cavallo nero, intrecciando le mani nella sua criniera.
Quando Emma si decise finalmente a raggiungerla, Regina stava sorridendo nella sua direzione. La sentì urlare qualcosa nella sua direzione e la vide agitare una mano.
Poi Regina montò in groppa al cavallo nero, con una grazia che lasciò Emma a bocca aperta, ma che non le impedì di accelerare il passo nella direzione del sindaco. Qualcosa, dentro di lei, cercava disperatamente di metterla in guardia.
Il cavallo nero girò su sé stesso un paio di volte, in cerchi lenti e irregolari.
Emma vide il sorriso di Regina, ma anche questo le venne strappato.
L’animale s’imbizzarrì, partì al galoppo, e Emma si mise a correre con quanta energia avesse in corpo.
Nelle sue orecchie riecheggiava in continuazione l’urlo terrorizzato di Regina.
 
***
 
Euridice sorrise, facendo un cenno di assenso a Daniel. Il ragazzo prese un respiro profondo, prima di montare in groppa al suo cavallo bianco.
«Mi raccomando. Non rovinare ogni cosa di nuovo, Daniel. Non so se potrei perdonarti nuovamente» lo avvertì la ragazza, con un sorriso così dolce che non face altro che far rabbrividire Daniel.
Il ragazzo non rispose, annuì solamente.
Non poteva pensare ad altro in quel momento che non fosse la sua missione. Non poteva distrarsi o lasciare che il suo animo si gonfiasse di emozioni poco opportune, come la rabbia, il risentimento o il rancore.
Perché Daniel aveva una missione, in sella a quel cavallo bianco dal profilo nobile e fiero. Salvare Regina.
 
***
 
«Regina!»
Emma inciampò di nuovo. Si guardò i palmi, terra mista a sangue a segnare le sue mani bianche. Ancora una volta, Emma Swan si alzò in piedi.
«Regina!»
Emma non aveva più voce. Emma si sentiva persa, in quella foresta dagli alberi alti, di cui a stento intravedeva la cima.
«Regina!»
Emma aveva ben presto perso di vista Regina e ora vagava, senza sosta e senza meta, chiamando quel nome, pregando perché stesse bene, pregando perché tornasse da lei.
«Regina!»
Emma asciugò le lacrime dai suoi occhi per l’ennesima volta, macchiandosi le guance di sangue caldo.
«Regina!»
Emma urlò, urlò a più riprese, un urlo che di umano ormai non aveva più nulla.
Disperazione riecheggiava in quell’urlo rotto dal pianto e dall’angoscia. Un’angoscia nera che diveniva sempre più pesante a ogni passo, divorandole il cuore.
«Regina!»
Emma avrebbe potuto giurarlo, aveva sentito il suo cuore incrinarsi. Si stava spezzando, Emma lo sentiva.
E nella sua testa il grido terrorizzato di Regina non cessava di riecheggiare.
 
***
 
Un sorriso solcò il volto di Euridice nell’udire quel suono.  
Era il canto della rondine che abbandona per sempre il nido natio e l’ululato di un lupo senza branco, in cerca di un posto cui appartenere.
Era il tonfo di un frutto mai colto, lasciato a marcire sulla nuda terra e la soffice arresa di un fiore d’estate, che si piega al gelo dell’imminente inverno.
Era il fruscio delle foglie d’autunno, strappate con forza dai rami di alberi stanchi e il turbinio della sabbia in un vento di tempesta che oscura il cielo. 
Era il grido di un’anima disperata, che non ha pace né speranza.
Era il suono di un cuore che si spezza.
 
***
 
«Dovevi portarla via di qui quando ne hai avuto l’occasione».
Emma sussultò violentemente e si voltò su sé stessa, portando istintivamente la mano sul fianco, dove di solito teneva la pistola. Naturalmente, non c’era nulla da impugnare.
«Dove l’hai portata?» urlò invece, con gli occhi rossi. Piangeva, Emma Swan, e Euridice poteva vedere come il suo cuore stesse cadendo lentamente a pezzi.
Perché Emma Swan non piangeva più lacrime, quelle doveva averle finite da un pezzo. No, lei piangeva sangue.
«Io? Da nessuna parte, tesoro» rispose Euridice, con quella sua dolcezza ammantata di candore che aveva fatto a cadere ai suoi piedi uomini e donne.
«Non mentirmi!»
Emma urlò, sull’orlo dell’isteria. Euridice sorrise.
«Non importa! Non importa!» aggiunse poi, sempre gridando, cercando di recuperare la collana che già una volta l’aveva portata da Regina.
Con sollievo, Emma notò che aveva preso di nuovo a brillare. Perché accidenti non ci aveva pensato prima?
Euridice avrebbe prestato ben poca attenzione a quel gesto, al ritratto di Regina, se solo quell’inaspettato silenzio non l’avesse colpita.
Il cuore di Emma. Il cuore di Emma aveva smesso di distruggersi.
«Regina è morta» disse Euridice.
Flebile, un singolo pezzo lasciò il cuore di Emma, ma la ragazza dalla veste verde non udì altro.
«Stai mentendo, lasciami stare. Vattene».
Con forza, la giovane strinse le dita attorno a quell’innocuo anello di calore, con l’effige di Regina.
«Perché dovrei mentirti?» domandò Euridice, come se la cosa la indignasse nel profondo.
«Perché l’hai già fatto una volta!»
Emma le diede le spalle e riprese a camminare nel bosco, ma dopo pochi passi cadde di nuovo a terra con un gemito di rabbia e frustrazione.
Incuriosita, Euridice attese che Emma si alzasse di nuovo in piedi, prima di agitare una mano nell’aria.
A questo suo semplice comando, liane e rami serpeggiarono in direzione di Emma, troppo presa dal suo obiettivo, dal raggiungere Regina, per accorgersi del pericolo. Ben presto, Emma si trovò legata a un albero, il respiro mozzato dalla forza con cui i rami si erano avviluppati attorno a lei.
«Lasciami!» gridò, un grido strozzato e senza fiato.
«Non ne ho la minima intenzione, mia cara» rise Euridice, sedendosi su un basso sasso di fronte a lei con grazia, sistemandosi le pieghe della veste. Emma cercò di divincolarsi.
Un gemito di dolore sfuggì dalle labbra.
«Le spine pungono, tesoro, dovresti stare più attenta» la avvisò Euridice.
«Cosa diavolo vuoi, da noi?» fu la risposta sputata di Emma.
«Da voi? Assolutamente nulla».
Euridice rise, agitando i lunghi capelli con eleganza.
«E allora perché hai rapito Regina? Perché mi tieni lontana da lei?»
«Perché è da te che voglio qualcosa, Emma Swan» rispose Euridice, alzandosi in piedi e camminando leggera verso di lei. Sempre sorridendo, posò una mano sopra al cuore provato della ragazza.
«Voglio il tuo cuore, Emma Swan. E voglio che il tuo cuore si spezzi» sussurrò vicino al volto della ragazza.
«Cosa?»
Emma scosse la testa disorientata, desiderando con tutta sé stessa che quella donna togliesse le sue mani da lei.
«Quando il tuo cuore si spezzerà, Emma, libererà una tale energia da permettermi di tornare in vita per sempre» proseguì Euridice, alzando solo per un momento lo sguardo dal petto di Emma per incontrarne gli occhi.
Lo sguardo di Emma rimase confuso, ma a Euridice non importava che lei capisse.
«Tra non molto sentirai una forte onda di energia, Emma, nel momento esatto in cui Regina Mills compirà la sua scelta. Sceglierà Daniel, come è giusto che sia. Perché non avrebbe mai potuto scegliere te, la madre biologica di suo figlio, la Salvatrice, la donna che ha spezzato la sua Maledizione. La figlia di Biancaneve» disse Euridice, con cattiveria, con il solo scopo di farle male. «E sai cosa è peggio? Che Daniel non potrà mai renderla felice e che Henry ti odierà, per non essere tornata insieme a Regina, più di quanto non faccia già ora. E non riuscirà mai a volere bene a Daniel, lui e Regina non saranno mai più felici. Non avranno alcun lieto fine, avranno solo la mancanza di Emma, da maledire e odiare e piangere».
«No» aveva iniziato a sussurrare Emma, tra le lacrime. «No, no, no».
Non urlava più, Emma Swan. Era troppo stanca per questo.
Poteva sopportare molte cose. Poteva sopportare di morire, ad esempio. O anche che Regina non scegliesse lei.
Ma non poteva sopportare di rovinarle la vita, non poteva sopportare che lei e Henry fossero infelici.
«No» soffiava tra i singhiozzi Emma, e non aveva la forza di fare altro.
Fu in quel momento che Euridice lo sentì di nuovo.
Il suono di un cuore che si spezza.


NdA 
C'era del fluff, ad inizio capitolo, non concentratevi solo su come è finito, mi raccomando, così forse non ci saranno minacce eccessive <3 
Seconda cosa, è probabile che l'aggiornamento ritardi un po' e non arrivi preciso preciso martedì, mi scuso in anticipo. Ma ho scritto una One-Shot, naturalmente SwanQueen, che vedrà presto la pubblicazione, spero. 
Comunque, grazie di essere arrivati fin qui, 
ricordatevi che vi servo viva per sapere come finisce, 
Trixie :D 

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Capitolo 10
*** C'era Daniel nel suo cuore ***


X. C’era Daniel nel suo cuore
 

 

«Regina! Regina!»
Una voce la stava chiamando, ma lei non osava alzare la testa, piegata lungo il collo del cavallo. Senza redini, non aveva altro modo per fermare l’animale se non con la pressione del proprio corpo, ma sembrava tutto inutile e dopo aver gridato e tentato in ogni modo di mettere fine a quella folle corsa, Regina aveva deciso di concentrarsi solo sul modo migliore per rimanere in sella e aspettare che tutto finisse da sé.
Non aveva paura di finire disarcionata, rovinare a terra e farsi male. Per lei cavalcare era come respirare e il suo corpo sapeva adattarsi perfettamente a quello dell’animale, assecondandone i movimenti e prevedendoli. Si trattava semplicemente di esercizio e concentrazione e a lei non mancava né l’uno né l’altra.
Quello che terrorizzava Regina nel più profondo dell’animo era, in realtà, l’essere stata separata da Emma. Alla ragazza poteva essere successo qualsiasi cosa.
E Regina, ancora, non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Euridice e di quella sua risata vuota e cristallina come il vetro.
«Regina!»
La donna spalancò la bocca, sorpresa. Quell’urlo…
 
***
 
«Regina!»
Regina Mills aveva sei anni, un nuovo completo da cavallerizza e tanta voglia di crescere.
Quel giorno, aveva deciso di essere diventata abbastanza grande per cavalcare un cavallo, uno di quelli veri, alti e possenti, e non un semplice pony come aveva sempre fatto.
Non era stato poi tanto difficile eludere gli stallieri e salire in groppa a uno dei cavalli. Ma quello che al momento Regina trovava impossibile era riuscire a rimanere in sella, nonostante l’animale procedesse con un passo tranquillo.
Il cavallo, docile e perfettamente ammaestrato, rispondeva a ogni comando di Regina, ma la piccola trovava comunque difficile adattarsi a un animale di tale stazza. Era talmente concentrata nell’atto di non perdere l’equilibrio e rimanere perfettamente rigida, che quasi non si era resa conto di quell’urlo infantile che la chiamava.
«Regina!»
Nel momento in cui la bambina voltò la testa per individuare il luogo di provenienza di quella voce, sentì il proprio corpo scivolare da un lato. Tentò di recuperare immediatamente l’equilibrio, ma le sue corte gambe non era abbastanza agili e forti per sostenerla, così cadde rovinosamente a terra.
«Regina!» ripeté la voce, ora più vicina.
Il cavallo, pacatamente, si era arrestato e aveva fatto un giro su sé stesso, fermandosi di fronte a lei come per osservarla.
Regina fece una smorfia, massaggiandosi il gomito, ma, a parte qualche livido, era sicura di non essersi fatta nulla. Fortunatamente era caduta sopra dell’erba alta, vicino a un albero dal tronco maestoso. Si accorse che il terreno pendeva lievemente verso il basso.
«Regina! Regina!»
Un bambino dai capelli scompigliati e con un dente mancante le si era avvicinato e ora le stringeva le mani, inginocchiato di fronte a lei, guardandola con apprensione.
«Regina, stai bene? Rispondimi».
«Sì, Daniel, non mi sono fatta niente» aveva risposto lei, leggermente irritata. Sottrasse le proprie mani alla presa del bambino. «Sei tu che mi hai fatta cadere! Non avresti dovuto chiamarmi in quel modo!»
«Io... Avevo solo paura per te, non volevo che ti facessi male» rispose Daniel, abbassando lo sguardo e rispondendo con un fil di voce.
Regina non disse nulla, limitandosi a guardare il bambino.
Non aveva molta esperienza, in fatto di amicizia, perché sua madre mai e poi mai le avrebbe consentito di avere un amico. Ma pensò che Daniel si avvicinasse, all’essere suo amico.
Si stava preoccupando per lei, no? E poi giocavano insieme ogni volta che si recava alle stalle.
 Era il figlio dello stalliere, è vero, e sua madre le raccomandava sempre di non mischiarsi alla plebaglia, ma si trattava di Daniel.
E a lei Daniel piaceva.
Alla fine, Regina scosse la testa.
«Non importa, ma non farlo più» aveva detto, porgendogli il mignolo con titubanza.
L’aveva visto fare alle figlie di Babette, la cuoca, dopo un piccolo litigio, ma non era sicura del significato di quel gesto.
Comunque, doveva avere un bel significato, perché Daniel legò il proprio mignolo a quello di Regina, sorridendole.
 
***
 
«Regina!»
Daniel la affiancò con il proprio cavallo bianco, un braccio teso verso di lei.
«Regina, non avere paura, ci sono io, ora» urlò il ragazzo, guidando il cavallo quanto più vicino riuscisse a quello di Regina.
Lei avrebbe voluto protestare, ma prima che riuscisse ad aprire bocca, sentì il braccio di Daniel stringersi attorno al suo corpo e sollevarla con forza.
Il suo primo istinto fu di terrore. Con l’esclusione di suo figlio e di Emma, erano passati anni dall’ultima volta in cui qualcuno l’aveva stretta a sé con tanta forza.
Daniel doveva aver già tirato le redini del cavallo, perché ben presto lui scivolò lungo il dorso dell’animale bruscamente, forse a causa del peso di Regina, e i due ruzzolarono a terra, più vicini di quanto la donna avrebbe desiderato.
Il cavallo nero continuò la sua corsa e  ben presto la donna udì il suono dei suoi zoccoli spegnersi nella foresta.
Prendendo un respiro profondo, Regina cercò di calmarsi, ripetendo che, dopotutto, si trattava solamente di Daniel, che non c’era poi nulla da temere. Poteva anche essere diventato un idiota patentato che lei stentava a riconoscere, ma era sicura che le volesse bene e che non l’avrebbe ferita.
«Regina! Stai bene? Rispondimi».
Le mani di Daniel erano strette attorno alle spalle della donna, scuotendola dolcemente. «Regina?»
«Sto… Sto bene» rispose infine la donna.
«Ho avuto paura, vedendoti su quel cavallo imbizzarrito. Se non ci fossi stato io…»
«Se non ci fossi stato tu me la sarei comunque cavata, Daniel. Non ho più sei anni, so badare a me stessa» rispose Regina con più rabbia di quanta si sarebbe aspettata di udire nella propria voce. 
Daniel fece per parlare, ma la donna lo fermò.
«Scusa, grazie per… quello che hai fatto. È solo che sono terrorizzata, Daniel, sono terrorizzata per Emma. E voglio trovarla al più presto» disse, alzandosi in piedi e liberandosi dalla stretta dell’uomo.
La donna si guardò attorno per qualche secondo, cercando un punto di riferimento, ma attorno a lei non c’era altro che una foresta fitta, buia e umida.
Chiuse gli occhi, cercando di pensare lucidamente e fu solo quando un tenue calore le scottò il petto che si ricordò degli anelli che portava al collo. Sospirando di sollievo, estrasse quello di Emma e mosse qualche passo prima in una direzione e poi in quella opposta, cercando di valutare la variazione di luminosità.
Non si accorse di Daniel che la fissava intensamente, dopo aver dato una pacca al cavallo perché si allontanasse. L’uomo cercava di controllare la rabbia, uno dei pochi sentimenti che ancora riusciva a provare su quell’isola.
Lui l’aveva salvata, accidenti, lui l’aveva aspettata per anni, forse secoli, era morto, per lei.
E lei non faceva altro che pensare a Emma, cercare Emma, volere Emma.
Dove era finita la sua donna, la sua Regina? La ragazza che gli aveva promesso amore eterno, che lo baciava teneramente sotto la pioggia, che cercava il suo abbraccio per scaldarsi?
Daniel sapeva che la sua Regina non poteva essere scomparsa, da qualche parte doveva pur trovarsi, ma non sapeva come fare a raggiungerla. C’era Emma, tra lui e Regina, in ogni strada che provava a percorrere per riprendersi il suo Vero Amore.
«Regina» disse Daniel all’improvviso, avvicinandosi a lei con espressione tetra e mettendole una mano sulla spalla. «Regina, amore, siediti».
Il suo tono era basso e calmo. Non amava mentire, ma doveva farlo, per il suo bene e quello di Regina.
Emma non era il suo lieto fine, di questo Daniel era sicuro. Lui era il lieto fine di Regina, lui e soltanto lui l’avrebbe resa felice. E se per proteggerla avrebbe dovuto compiere l’ennesima nefandezza e mentirle, allora l’avrebbe fatto. L’avrebbe sicuramente ferita, dicendole che Emma era morta, me non vedeva altra via d’uscita.
«Cosa?» rispose la donna dopo un attimo di sbalordita confusione. «No, io non mi siedo, devo andare da Emma».
«Non puoi, tesoro, siediti, per favore , non sarà facile. Ma ci sono io, con te».
«Non posso? Daniel, cosa stai dicendo?»
L’uomo prese un respiro profondo.
«Regina…. Non sarà facile, ma Emma-»
Un urlo disumano squarciò l’aria, impedendo a Daniel di terminare la frase e paralizzando entrambi ai loro posti.
Se anche l’uomo non ne avesse riconosciuto la voce, avrebbe capito comunque che non poteva che essere stata Emma Swan a gridare in quel modo, perché mai, in tutta la sua vita o quasi vita, aveva visto un cuore spezzarsi di fronte ai propri occhi.
Ed era quello della sua Regina.
 
Il cuore di Regina batteva all’impazzata, mentre correva attraverso la foresta. Non aveva nemmeno bisogno di controllare la luce dell’anello con il ritratto di Emma, le bastava il calore che sentiva nel palmo della mano.
A quel primo urlo non ne erano seguiti altri. E a quella prima crepa, che percorreva il cuore di Regina, se ne era aggiunta una sola, piccolissima, al pensiero di Henry, all’idea di non poter tornare a casa con Emma.
All’idea che fosse troppo tardi.
Ma Regina ora correva, correva verso Emma, dovunque la ragazza fosse, con chiunque fosse.
Sentiva, indistintamente, Daniel correre dietro di lei, il fiato corto e il passo pesante.
«Regina!» la chiamava ogni tanto, con voce strozzata. «Regina, potrebbe essere pericoloso. Ho paura per te, che tu ti faccia male!».
La donna si asciugò la lacrima solitaria che fece capolino dai suoi occhi con la mano, senza fermarsi, senza rallentare.
Avrebbe voluto dimenticare quasi tutto ciò che aveva fatto e chi era stata nella Foresta Incanta. Ma tre le cose che avrebbe voluto conservare e custodire per il resto della vita c’era Daniel.
C’era Daniel bambino, con un dente mancante e il sorriso timido e c’era Daniel che cresceva, le spalle sempre più ampie, il sorriso ormai smagliante, la voce più profonda. E infine c’era Daniel che la baciava, promettendole amore e una vita migliore.
C’era Daniel, nel suo cuore, c’era sempre stato Daniel, accanto a Henry. Accanto a Emma.
Regina continuava a correre.
Svuotò la mente di ogni cosa, ogni singolo pensiero che non riguardasse il suo corpo, i suoi muscoli che dolevano per lo sforzo, la pianta dei piedi che batteva ritmicamente sul suolo, il calore nel suo palmo che aumentava.
Emma. Ripeteva nella sua testa a ogni respiro.
Emma. Risuonava il suo cuore a ogni battito, per non crollare a pezzi.
Emma.
 
***
 
Emma aveva creduto di morire.
Respirava affannosamente, a fatica ed era quasi sicura che uno dei suoi polmoni doveva essere stato graffiato.
La mano di Euridice era sporca di sangue.
Era per colpa sua, se aveva urlato in quel modo.
La donna dalla veste verde aveva appoggiato una delle sue mani, fredde quanto il ghiaccio, sul suo petto, per poi premervi lentamente, ma con decisione.
Per Emma, era stato come se mille pugnali le fendessero la carne, per minuti interi.
Non era la prima volta che qualcuno aveva provato a strapparle il cuore.
Allora, Cora aveva fallito, ma era stato comunque doloroso. Ma in quel momento, Emma non era più nemmeno sicura che Euridice non riuscisse nella sua impresa, perché il suo cuore non era più integro.
E soprattutto, questa volta Emma sentiva che il dolore era immenso, insostenibile.
Quando, infine, la donna dalla veste verde aveva stretto le lunghe dita eleganti sul suo cuore, Emma aveva urlato.
Era come se degli stiletti di ghiaccio fossero penetrati nel suo cuore martoriato.
Euridice aveva sorriso.
«Stai cadendo a pezzi, Emma. Davvero, hai ancora la forza per gridare?»
Emma singhiozzava e ormai da tempo aveva capito che non erano più semplici lacrime, quelle che le rigavano il volto.
Ma non piangeva per sé stessa.
Piangeva per Regina e per Henry.
E per il futuro che stavano perdendo a causa sua e della sua debolezza.
 
***
 
Non seppe per quanto tempo continuò a correre. O da dove venisse il sangue che le annebbiò la vista e del quale si liberò con un brusco gesto della mano. Probabilmente, un albero doveva averla graffiata.
Anche il ritratto di Emma era insanguinato. Ora l’anello non scottava più, ma fino a pochi istanti prima era stato talmente bollente da averle ustionato il palmo della mano.
Regina non aveva mollato la presa. Era tutto ciò che la legava a Emma e ora l’aveva trovata.
Si trovava in una radura, piccola e scura.
Euridice, di fronte a lei, sorrideva con grazia, uno sguardo interrogativo dipinto in volto. E furia, furia rivolta a Daniel, che non era stato in grado di fermare Regina nemmeno questa volta e che si trovava alle spalle del sindaco, ansimando.
Ma Regina non le prestò attenzione, non prestò attenzione a nulla, se non a lei.
«Emma» sussurrò, non appena vide la ragazza legata a un albero, il volto sofferente e rigato di sangue, come se avesse pianto quello, invece che lacrime. «Emma!»
Gridò e fece uno scatto verso di lei, ma Euridice scosse la testa e Regina si trovò scagliata all’indietro, andando a sbattere contro il tronco di un albero.
«Pessimo tempismo, ma non ha importanza» sospirò Euridice. «Non ti preoccupare, Emma. Regina non rischia più una vita infelice, ormai».
La donna dalla veste verde si avvicinò lentamente a Regina, scivolata a terra, che cercava di ignorare il dolore lancinante. Euridice avanzò, fino a quando non sovrastò Regina con la propria armoniosa figura, e si chinò sulla donna.
«Volevo solo spezzarle il cuore, ma a quanto pare, per farlo, dovrò spezzare anche la tua vita».
 
 
 


NdA
Aggiornamento anticipato, perché aspettando domani non ero sicura di potercela fare :D 
Insomma, siamo agli sgoccioli, io vi avviso.
Scusatemi se non rispondo sempe subito - cioè, quasi mai, a dire il vero, alle recensioni, ma sono una ritardataria cronica in queste cose, ma fidatevi che vi rispondo. Prima o poi XD
Quindi, ora sono almeno insieme, Regina è ancora confusa, ma ormai è tempo che faccia una scelta. Perciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto, 
a presto, Trixie :D

 

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Capitolo 11
*** Cuori in frantumi ***


XI. Cuori in frantumi
 
 

Regina non pensava più a nulla. C’era furia, nel suo cuore, furia cieca che la divorava dall’interno, annebbiandole i sensi e isolandola dal mondo intero.
Conosceva bene quella rabbia che le ribolliva nell’animo, perché l’aveva già provata, una notte di molti anni fa, stringendo tra le braccia il corpo senza vita di Daniel.
Ma Regina sapeva che le cose erano cambiate da allora. Non era più impotente, non era più la giovane e innocente ragazzina terrorizzata dalla propria madre. Era cambiata, era cresciuta.
E aveva imparato a controllare la rabbia, a plasmarla. Aveva imparato a trasformarla in potere e a proteggere le persone che amava. Emma era in pericolo e lei poteva salvarla.
Regina, ancora sdraiata a terra, alzò gli occhi su Euridice, la figura aggraziata che la sovrastava, e sorrise nella sua direzione.
A Regina era mancato quel sorriso, quello che aveva riservato alle sue vittime, l’ultima e degna immagine di un mondo incantevole, ma terrificante.
Una sfera di fuoco iniziò a vorticare sul palmo della sua mano, diventando sempre più grande.
Euridice alzò un sopracciglio e rise, lo scherno che riecheggiava nella sua voce.
«Lo sai che qui la magia funziona diversamente, Regina».
La ragazza dalla veste verde venne scagliata improvvisamente all’indietro, il viso distorto dalla sorpresa e dalla collera, il corpo dolorante e la pelle delicata ustionata in più punti.
Regina non aveva urlato quando l’effetto del suo stesso incantesimo, la sfera di fuoco che aveva lanciato contro Euridice, si ripercosse su di lei, mandandola nuovamente a sbattere contro la
corteccia dell’albero alle proprie spalle.
L’odore di bruciato era insopportabile, così come il dolore che si era diffuso nel suo corpo e che l’urlo disperato di Emma non faceva altro che acuire.
A Regina servì qualche secondo per capire che in realtà Emma non stava urlando per una sofferenza diretta, ma a causa sua. Aprì gli occhi, lentamente, cercando la figura della ragazza e provò a sorriderle. Stava bene, davvero, se Euridice provava la stessa sofferenza.
«Regina!» riuscì a distinguere tra i singhiozzi cui si era ridotta la voce di Emma.
Delle mani forti e calde afferrarono il corpo del sindaco per le spalle.
«Regina? Regina?»
Questa era una voce diversa, questa era la voce di Daniel.
«Cosa le hai fatto? Cosa le hai fatto?» si mise ad urlare l’uomo, probabilmente rivolto ad Euridice.
La donna dalla veste verde sembrava stremata, il suo corpo tremava, mentre passava una mano lungo il proprio petto, sulle braccia, sulle gambe, guarendo le ferite che l’incantesimo di Regina aveva provocato. Mentre la pelle di Euridice tornava al suo antico splendore, sembrava che la donna riacquistasse le proprie forze.
Il sindaco si liberò della presa di Daniel malamente, mettendosi a sedere.
Faceva male, molto male. Il suo intero corpo urlava, ma Regina non rinunciava, in nessun caso e in nessun modo, mai e a niente.
Regina voleva sempre avere tutto perché lei sapeva di poterlo avere. Era una questione di volontà, di determinazione, di scaltrezza, null’altro.
Non si trattava di essere il più forte, il più intelligente o il più fortunato, affatto, e questo Regina lo sapeva benissimo. Si trattava solo di volerlo, volerlo davvero, e combattere per l’oggetto dei tuoi desideri.
Regina lo sapeva, in una parte nascosta del suo cuore, di non aver mai rinunciato a Daniel. E come avrebbe potuto? Aveva maledetto una città intera in suo nome, aveva toccato il fondo, per lui, riducendosi ad essere l’ombra sbiadita della giovane ragazza che era stata un tempo, piena di speranze e promesse per il futuro.
No, lei non aveva mai rinunciato davvero a Daniel.
E poi era arrivata Emma.
La Bambina Sperduta, l’Orfana, la girovaga, la signorina Swan, lo sceriffo Swan, l’altra madre di Henry, la figlia di Biancaneve e del Principe, il frutto del Vero Amore, la Salvatrice, il Cavaliere Bianco, l’ex-fidanzata di Neal, la ragazza in grado di far capitolare un Don Giovanni come Uncino.
Emma Swan era stata e continuava ad essere molte cose e, probabilmente, sarebbe stata altro l’indomani.
Ma Regina sapeva, con assoluta certezza, cosa Emma sarebbe sempre stata. Il suo Vero Amore.
Cercando con il proprio sguardo quegli occhi chiari - così trasparenti e sinceri, così limpidi da farla sentire costantemente un gradino più in basso rispetto a Emma - Regina sapeva che non sarebbe mai riuscita a rinunciare a lei.
E per quanto romantico potesse sembrare, Regina sapeva che non si trattava solo di amore, ma anche del proprio egoismo.
Orfeo e Euridice avevano ragione. Lei non aveva mai avuto possibilità di scelta, mai, in tutta la sua vita, erano sempre stati gli altri a scegliere per lei. E Regina non poteva fare altro che prendere atto di quella scelta avversa e combatterla, stravolgerla, sacrificando spesso più di quanto riuscisse infine a guadagnare.
Questa volta, Regina non aveva dubbi, avrebbe fatto la scelta giusta.
Avrebbe scelto Emma, la strada più difficile e tortuosa, quella che nascondeva il maggior numero di sorprese e di trabocchetti. Avrebbe scelto Emma, quell’uragano di ragazza che suo figlio le aveva consegnato in una fredda sera d’autunno, avvolta in una semplice giacca di pelle rossa.
Avrebbe scelto Emma, la figlia di una donna che non riusciva ancora a perdonare fino in fondo per quello che le aveva fatto, e l’avrebbe resa felice. E Regina lo sapeva, essendo lei stessa madre, che dedicare la propria vita a Emma sarebbe stato il dono più grande che potesse fare a Biancaneve.
 
Emma non riusciva a pensare ad altro se non al modo di riportare a casa Regina.
E Emma sapeva che non avrebbe mai nemmeno dovuto pensare di ricorrere, di nuovo, a quella soluzione, e che probabilmente Regina le avrebbe dato della pazza, dell’idiota e Dio solo sa quali altri insulti avrebbe inventato quella donna appositamente per lei.
Ma Emma, davvero, non sapeva cos’altro fare, legata a quell’albero, costretta a sopportare la vista del corpo di Regina coperto di scottature e graffi, i vestiti laceri, il volto stravolto dal dolore e della rabbia.
Leggeva distintamente negli occhi scuri della donna l’ira che stava divorando Regina.
Non poteva lasciare che intraprendesse di nuovo quella strada.
Le parole si dispiegavano leggere nella sua mente e lei le rincorreva ad una ad una, recitandole con attenzione, come le aveva raccomandato Gold prima di bere la pozione del Sonno.
Emma non era nemmeno sicura che avrebbe funzionato, ma doveva provarci.
 
Euridice rise di nuovo quando Regina si alzò in piedi.
«Scegli Daniel e sarai di nuovo felice».
Gli occhi di Regina erano pieni di lacrime, ma questa volta non erano dovute alle controindicazione dell’incantesimo che aveva usato su Euridice.
Emma non parlava più, non diceva più nulla, si limitava a fissare Regina con intensità, uno sguardo concentrato stampato in volto, come se stesse provando a ricordare qualcosa.
Regina pensò che non avesse più le forze per combattere.
Ma non c’era più alcun bisogno che Emma combattesse per lei, per loro. Questa volta, sarebbe stata Regina a reagire.
Tra poco ti porterò a casa, Emma, pensò, legando il proprio sguardo a quello della ragazza, sperando che potesse capirla. Un ultimo addio e saremo a casa, te lo prometto.
 
Daniel, qualche metro dietro Regina, sembrava combattuto tra due diversi impulsi, mentre si avvicinava a lei.
Mise una mano sulla spalla della donna, stringendola appena.
«Scegli me, ti prego. Possiamo essere felici, avere la famiglia che abbiamo sempre sognato. Ti prego, Regina. Ti amo».
Non c’era traccia di rancore nella sua voce, né di rabbia. C’era una richiesta, una supplica che Regina trovò difficile allontanare. Sapeva che, una volta scelta Emma, avrebbe condannato Daniel per sempre.
Lo avrebbe ucciso di nuovo.
La donna scosse la testa e senza voltarsi portò la propria mano a stringere quella di Daniel.
«La ragazza che hai amato, Daniel, ti amava a sua volta» disse Regina, la voce a malapena percettibile. «E non ti dimenticherà mai. Ma quelle ragazza… Daniel, quella ragazza è morta con te. Io le assomiglio molto, ma sono diversa. E non riusciresti mai ad amare quella che sono ora, né io riuscirei mai ad amarti».
«Regina…»
«Mi dispiace, Daniel. Addio».
Regina chinò il capo e lasciò la presa dalla mano di Daniel, prima di muovere un passo verso Emma.
 
Euridice non sapeva cosa fare. Ma doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che il cuore di Emma Swan, così vicino a spezzarsi definitivamente, le sfuggisse dalle mani per colpa di Regina Mills e dell’incapacità di Daniel di tenere legato a sé l’unico amore della propria vita.
Aveva bisogno di tempo, di tempo per pensare, riflettere sul da farsi e tenere Emma e Regina l’una lontana dall’altra, nascondere a ciascuna il destino della donna amata.
Euridice aveva infine deciso di prendere Emma con sé e rifugiarsi in un posto sicuro, tenendo la ragazza lontano da Regina, fino a quando non avesse ordito un nuovo piano o, al massimo, fino a quando le speranze delle due donne non fossero diventate tanto flebili da scomparire e spezzare il cuore di entrambe.
Ma nel momento in cui provò a scomparire portando Emma con sé, nel suo petto si aprì uno squarcio profondo. 
 
Daniel non sentiva più nulla da molto tempo ormai. Aveva pensato che il ritorno di Regina gli avrebbe permesso di sentire di nuovo… qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse… nulla.
Ma non era successo. Aveva pensato che forse, tornando al mondo, nel suo vecchio mondo, sarebbe riuscito ad amare ancora.
Conosceva l’amore, conosceva il sentimento che provava per Regina e nel suo petto riusciva a evocarne ancora una flebile ombra, ma nulla più.
Eppure…
Eppure una fiammella si accese nel sue petto. Era così tenue che non si sarebbe mai accorto della sua presenza se, improvvisamente, un gelo di cui non sapeva di essere preda, non avesse iniziato a sciogliersi.
E fu come lo scatto di una serratura arrugginita, il rumore che udì provenire dal proprio cuore quando riprese a battere.
 
Il signor Gold aveva detto che, la cosa più importante di tutto l’incantesimo, era la volontà.
Emma Swan doveva volere, doveva volerlo davvero, o quell’incantesimo avrebbe potuto avere ripercussioni estremamente negative.
Perciò Emma Swan si concentrò su quell’unico desiderio, che il suo cuore si spezzasse.
Se Euridice aveva ragione, quell’energia le avrebbe riportate a casa. E Regina sarebbe stata al sicuro.
Se…
 
Quello che né Emma né Regina avevano previsto era il modo in cui due incantesimi reagiscono tra loro quando si sfiorano l’un con l’altro,  interferendo, amalgamandosi.
La scelta di Regina cozzò violentemente contro il muro di energia che si sprigionò dal cuore spezzato di Emma, mozzando il fiato ad entrambe, mentre il tempo attorno a loro sembrò fermarsi per un istante, come cristallizzandosi, prima di piombare in un vortice di energia senza fine e senza quiete.
Daniel e ogni singola vittima di Euridice, compreso Orfeo, ebbero appena il tempo di assaporare di nuovo quella sensazione perduta da tempo, quella di aver un cuore vero, un cuore integro nel proprio petto, che batte e ama e soffre e vive, prima di cadere negli Inferi, a cui da molto tempo erano destinati.
Non avevano idea di cosa sarebbe loro accaduto, ma in fondo non importava. L’apatia cui erano stati condannati sembrava loro una pena tanto crudele da non poter essere eguagliata.
Avevano perso, a causa di Euridice, la facoltà non solo di amare, ma anche di provare emozioni, eppure continuavano a ricordarle e a evocarne sfumati contorni. Tendevano, in un limbo senza tempo, a un ricordo che non avevano nemmeno la possibilità di desiderare e ignoravano, vagando senza meta e ragione su quell’isola, di agognare quel perduto cuore spezzato da tempo.
Emma chiuse gli occhi, non appena il suo cuore si spezzò per sua volontà con un fragore assordante, solo per riaprirli nell’istante successivo e incrociare quelli di Regina, confusi e disorientati almeno quanto lei.
Intuivano ciò che l’altra aveva fatto, ma nessuna delle due aveva il coraggio di sperare in una tale prova d’amore.
 
Emma stentava a credere che Regina fosse riuscita a gettarsi il passato alle spalle, quello stesso passato che per anni e decenni era stato la sua unica ragione di vita, l’unico riferimento, l’unico perché di una vendetta che non aveva lasciato spazio a nient’altro. Quel passato che aveva deciso chi sarebbe diventata.
 
Regina avrebbe preferito non capire, non vedere e non sapere come Emma avesse deciso di rinunciare al futuro, pur di salvarla. Un futuro che Emma aveva desiderato fin da bambina, sballottata da una famiglia all’altra, senza certezze per il domani. Non aveva voluto interferire, nella scelta di Regina, ben sapendo che avrebbe perso ogni cosa, persino suo figlio. Per Regina, Emma aveva rinunciato a un futuro che sapeva di felicità.
 
E il mondo andò in frantumi, crollò con fragore assordante, cristalli di luce e di ciò che era stato esplosero nell’aria e per Emma e Regina fu solo buio.
 
***
 
Aveva i capelli ramati e le guance paffute.
Aveva anche manine piccole, che stringevano una camicia di stoffa vecchia, ma ancora in ottimo stato.
E aveva i piedini nudi, che poggiavano sul pavimento freddo per quel gelo invernale che si insinuava in ogni dove.
Ma soprattutto aveva calde, rotonde lacrime che scivolavano lungo il suo piccolo viso, mentre tratteneva i singhiozzi e chiamava il suo papà perché si svegliasse.
Era stato il suo giovane cuore a svegliarlo nel bel mezzo della notte.
Faceva male, molto male, e non era riuscito ad alzarsi dal suo lettino per molto tempo, fino a quando il dolore non era passato.
E poi aveva preso il suo orsacchiotto, quello che gli aveva regalato Bea e da cui non si separava mai, e aveva raggiunto la camera di mamma e papà sulle tremanti e spaventata gambine.
«Papà» chiamò ancora, tirando la macchina dell’uomo. «Papà».
Finalmente la sagoma si mosse, aprì gli occhi e balzò a sedere, accendendo la luce, non appena riconobbe il figlio e il terrore in quegli occhi innocenti.
Una donna, accanto a lei, si svegliò di soprassalto.
«Cosa c’è? Cosa succede?» risuonò la sua voce, innaturalmente acuta. «Tremo, cosa…?»
«Tesoro, cosa succede?»
Il signor Gold prese il bambino tra le braccia, sistemandole sotto le coperte tra lui e sua moglie Belle. Probabilmente, si trattava solo del primo incubo del piccolo, ma Gold era comunque inquieto. C’era una discordanza, come un’interferenza di fondo, che aleggiava nell’aria.
Magia, quella era Magia.
«Tesoro?» ripeté Belle, sorridendo e accarezzando il volto del piccolo con delicatezza. «Ti senti male?»
Il bambino annuì e marito e moglie si scambiarono un’occhiata allarmata, che entrambi si affrettarono a nascondere.
«Tesoro, cosa ti fa male?» domandò cautamente Belle, mentre Tremotino ripassava mentalmente ogni tipo di conoscenza magica che potesse tornargli utile. Non poteva sbagliare, con suo figlio di mezzo.
«Il cuore, mamma. Prima il cuore si rompeva».
 
E in un mausoleo, da anni dimenticato, dai vetri sepolti dalla polvere e i colori delle stoffe rubati dal tempo, due identiche teche andarono in frantumi. E la tranquilla cittadina di Storybrooke tremò dalle sue fondamenta e si svegliò con un sussulto di spavento.
 
Il bambino si strinse tra le braccia della madre.
La voce di Gold si perse nel freddo dell’inverno.  
«Sono tornate».
 


NdA 
Scusate l'imperdonabile ritardo ^^" 
E scusate l'eventuale infarto per il titolo. 
E già che ci siete anche l'eventuale presenza di errori, ma tra me e la mia fidanzata/beta ultrasfruttata (con amore <3) non so chi sia più stanca oggi. 
Ok, richieste di aministia a parte, spero vi sia piaciuto il capitolo :3 
A presto, Trixie :D 
 

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Capitolo 12
*** Epilogo - Doveva solo essere un lieto fine ***


XII. Epilogo
Doveva solo essere un lieto fine
 
 
Foresta incantata
 
 
 
La brezza primaverile soffiava incessantemente, seppur con delicatezza, facendola rabbrividire.
Indossava solo una camicia da notte, del miglior tessuto in circolazione, certo, ma non sarebbe mai stata sufficiente a ripararla dal freddo.
Nulla, a dire il vero, sarebbe mai bastato a ripararla dal freddo, non se questo nasceva dal suo cuore.
Suo. Una definizione discutibile, considerando le ultime supposizioni.
Regina si strinse le braccia attorno al corpo, muovendo un passo avanti e rabbrividendo al contatto con la ringhiera del balcone, il freddo attraversò la sottile stoffa e si irradiò lungo la sua pelle.
Lanciò solo una fugace occhiata alla foresta sottostante, silenziosa e immobile, uno sterminato tappeto di guglie di legno e foglie,  interrotto qua e là da radure ampie e dalle forme irregolari, dove sorgevano piccoli paesi e anonime cittadine.
Si ricordò, un pensiero fulmineo e subito represso, che una volta tutto quello era stato suo. Un guizzo della mano e l’intero regno si inchinava di fronte a lei.
Era una sensazione inebriante e Regina sapeva che avrebbe potuto conquistare nuovamente quel potere, se solo lo avesse voluto.
Tuttavia non sarebbe mai stata disposta a cedere, in cambio, il prezzo richiesto, che faceva di lei una donna amata e in grado di amare.
Non che le rimanessero molte persone da amare. E quel vuoto altro non era se non l’eredità che scelte avventate le avevano lasciato.
Infastidita, cercando di cacciare dalla mente ricordi di una vita che non le apparteneva più, Regina alzò lo sguardo verso il cielo blu punteggiato di stelle scintillanti, scie luminose di luci bianche e figure nascoste in un ricamo di velluto.
Il vento leggero trasportò lontano il sospiro che sfuggì dalle labbra debolmente dischiuse.
C’erano cose che non cambiavano, né sarebbero mai cambiate.
Quel cielo, ad esempio.
Regina lo conosceva bene, era come una vecchia fotografia conservata con gelosia e affetto per anni. Persino a Storybrooke il cielo appariva identico a quello che stava osservando in quel momento.
E grazie alle ore trascorse ad osservarlo da bambina e fanciulla, sdraiata su alti e morbidi cuscini stesi con fatica di fronte alla vetrata della sua camera, Regina aveva imparato a capirlo e comprenderlo. I lenti moti degli astri, quelle traiettorie millenarie, che non conoscevano sosta né deviazione, erano sempre stati per lei motivo di conforto.
Con un semplice sguardo verso l’alto, Regina avrebbe potuto dire con assoluta certezza che periodo dell’anno fosse, il luogo nel quale si trovava e in quale direzione si stesse muovendo.
Dopotutto, il cielo sapeva dire, di una persona, molte più cose di quante una persona sola avrebbe potuto dirne di sé stessa.
Forse, proprio a causa delle risposte che il cielo sapeva dare a Regina, la Maledizione aveva risposto al desiderio della donna di non perdere quelle stelle e le aveva proiettate sul cielo di Storybrooke, tali e quali erano, con tutte le certezze che sapevano darle.
Al di fuori dei confini della città il cielo poteva anche essere diverso, lei non ne aveva idea. Non lo aveva mai visto.
Regina non aveva mai visto nulla oltre il suo mondo, una prigionia che le era stata inizialmente imposta, ma che poi aveva scelto.
Almeno, quella prigione la conosceva.
 
 
Storybrooke, qualche mese prima
 
L’aria era cambiata.
Non sapeva più di salsedine, né di sangue o bruciato.
L’aria sapeva solo di polvere e chiuso, un vago sentore dolciastro di mele accompagnato a quello di fiori appassiti.
Regina spalancò immediatamente gli occhi. Respirava affannosamente. Intorno a lei, lo scheletro di quella che riconobbe come una teca funebre mandava deboli e sinuosi bagliori dell’oscurità circostante.
Provò a mettersi seduta e sobbalzò appena quando qualcosa le graffiò la schiena. Piccoli cocci e frammenti le ricoprivano il corpo. Tastandoli con attenzione e cautela Regina capì che si trattava di vetro in frantumi.
Nonostante il dolore che infuriava nella sua testa e il vortice di pensieri, sensazioni e emozioni che vi turbinavano incessantemente, Regina capì immediatamente di essere viva e di essere tornata a Storybrooke. Dalle forme vaghe e indistinte attorno a lei e dal profumo, nascosto, ma ancora riconoscibile, sapeva di trovarsi nel suo mausoleo.
Sorrise ed un sospiro di sollievo tintinnò nel silenzio.
Si alzò a sedere di scatto, ignorando i piccoli taglietti che incisero la sua pelle, e riconobbe all’istante la figura di Emma, sdraiata immobile in una seconda teca.
I capelli biondi della ragazza mandavano deboli bagliori, dovuti sicuramente alla polvere di vetro che vi si era posata. 
Emma non si muoveva. E Regina aveva paura, paura che qualcosa fosse andato storto, di non aver preso la decisione giusta nel momento giusto, perché quella delle scelte sbagliate e del mancato tempismo era la storia della sua vita.
Il cuore di Regina iniziò a martellarle nel petto, sempre più veloce.
Un dolore acuto, una debole aritmia nel battito. Strumenti musicali che cercano di accordarsi l’uno al tempo dell’altro, onde che tendono a sincronizzarsi sulle medesime lunghezza e frequenza, ingranaggi che annaspano verso un moto perfettamente armonizzato.
E poi i polmoni di Emma si espansero alla ricerca d’aria e la sua schiena si inarcò violentemente verso l’alto.
«Emma!» chiamò Regina, toccando finalmente terra con i piedi e quasi buttandosi sul corpo dell’altra. Le gambe le dolevano, si sentiva così debole e stanca…
«Emma» disse di nuovo, questa volta la voce ridotta a un sussurro che sapeva di pianto. Se di sollievo o timore, perché ancora Emma non aveva parlato, Regina non avrebbe saputo dirlo.
Forse entrambi.
«Emma, Emma».
Regina appoggiò la testa sul petto della ragazza, di nuovo immobile e supina, cantilenando il suo nome.
Emma, Emma, Emma.
Fu il silenzio a colpirla.
Emma, Emma, Emma.
E poi, timidamente, un battito risuonò nelle orecchie di Regina.
Un altro, Emma, e un altro ancora.
Emma, Emma, Emma.
Il cuore di Emma batteva allo stesso ritmo di quello di Regina, ne imitava i battiti, le pause, il suono.
Regina sussultò appena e rise, come non rideva da molto tempo, non appena una mano gentile si posò tra i suoi capelli.
«Emma!»
La ragazza si mise lentamente a sedere, con cautela, guardandosi attorno con circospezione, senza mai togliere la mano dal viso di Regina.
«Il mausoleo. Siamo tornate» bisbigliò, gli occhi che si illuminavano di gioia mentre la comprensione si faceva strada dentro di lei. Regina annuì.
«Siamo tornate».
Emma si sporse con slancio verso l’altra donna, baciandone le labbra appena salate a causa delle lacrime. Sentì i muscoli nel corpo di Regina sciogliersi appena, le mani della donna afferrarle i fianchi e avvicinarla.
Si adattarono l’una al corpo dell’altra e interruppero con rammarico il bacio quando i polmoni reclamarono ossigeno.
«Ti amo, Regina Mills, io ti amo. Ti amo!» disse Emma, quasi urlando, stringendo tra le mani il volto della donna, che si era persa in quell’intenso verde che erano gli occhi colmi di speranza e di vita, di amore e di promesse, di Emma.
Regina rise, baciando di nuovo l’altra, ispirandone a fondo il profumo.
«Ti amo anche io, Emma Swan».
 
«È la fine di gennaio» disse Regina dopo qualche secondo, con il viso rivolto al cielo.
Emma, non aveva colto il significato di quelle parole, rapita dal modo in cui la luna illuminava la figura di Regina.
«Come?» domandò la giovane non appena si riscosse.
«È la fine di gennaio» ripeté Regina, spostando finalmente lo sguardo su Emma.
Si trovavano fuori dal mausoleo, che sembrava essere stato abbandonato da anni, e Emma non riusciva a spiegarsi perché si fosse risvegliata lì, e non nella loro camera da letto, dove si era addormentata.
«Oh, e da cosa l’hai capito?» domandò Emma, sorpresa, avvicinandosi alla donna e cingendole un fianco. Era un sentimento strano, quel continuo bisogno di contatto fisico.
Non che prima non desiderasse sentire il corpo di Regina vicino al suo, ma da quando si erano, per così dire, risvegliate, sembrava una necessità più vicina alla follia che alla razionalità.
«Dal cielo» rispose laconicamente Regina, volgendo di nuovo il viso verso l’alto. «Il cielo ha sempre molte risposte e purtroppo non mente mai».
«Purtroppo?» domandò Emma, confusa, prima che le sue orecchie percepissero un rumore di passi sul terreno gelido. Guardò nella direzione da cui proveniva il rumore e si mise istintivamente di fronte a Regina, la quale, pur mettendosi inizialmente sulla difensiva, si era rilassata.
«Emma, mi so difendere da sola. E comunque non c’è motivo di preoccuparsi, ora» disse Regina, afferrando l’altra per un braccio.
«Come puoi esserne certa? Potrebbe essere chiunque. C’è qualcosa di strano, qui».
«Hai ragione, ma si tratta solo di quell’idiota di Tremotino, quel sudicio bast-».
«Regina, vacci piano con gli insulti, la tua signora può sentirti!» la interruppe il signor Gold, la cui figura si delineò chiaramente non appena uscì da una zona ombreggiata e venne rischiarata dal chiaro di luna.
«Non avevi alcun diritto di fare una cosa del genere, Gold. E lo sai» disse Regina, alzando un dito accusatore verso Tremotino.
«Ma tutto è bene quel che finisce bene, non credi?»
«No, Gold, non credo affatto! Non avresti dovuto insegnarle nulla! C’è un motivo se la Magia non può riportare i morti alla vita, c’è un motivo se quello che hai consigliato a Emma di fare è contro natura, Gold! Se non mi fossi trovata in un limbo, ma nel Regno degli Inferi…»
«Ma fortunatamente non eri morta. Non nel senso letterale del termine, almeno» la interruppe Tremotino.
«Non potevi saperlo! Avresti distrutto questo mondo!» urlò Regina, come se stesse parlando con qualcuno di molto più ignorante in fatto di Magia di quanto lo fosse il signor Gold.
«Oh, andiamo, Regina. Se Emma ti avesse raggiunto negli Inferi tu non le avresti mai permesso di recitare quell’incantesimo, l’avresti convinta a tornare da Henry. Volevo solo-»
«Cosa?» si intromise Emma. «Se si fosse trovata negli Inferi non avrei potuto salvarla? Mi hai preso in giro?! Ma a che razza di-»
«Tempo» disse Tremotino, alzando un mano in aria come per fermarle. «Volevo dare a Regina il tempo di spiegare la ragione del suo comportamento e a te quello di accettare un’eventuale perdita. E poi, mi erano giunte notizie di questa Euridice e del suo strano… come l’hai chiamato? Limbo? Più che altro è una dimensione intermedia o, meglio, un’interferenza tra il nostro mondo e quello degli Inferi. Ora, comunque, le anime dei cuori spezzati cadranno immediatamente nelle mani di Ade. Non che ci sia da lamentarsi, pare che lì non ci sia mai questo genere di freddo».
Regina, gli occhi ridotti a due fessure, fece schioccare la lingua pericolosamente, mentre Emma aveva uno sguardo minaccioso.
«Ad ogni modo, signore, bentornate» sorrise amabilmente Gold. «Purtroppo, i vostri problemi non sono finiti. L’hai già capito, vero, Regina?»
La donna annuì, mentre Emma spostava il proprio sguardo, ora confuso, sull’altra.
Il signor Gold si lasciò sfuggire un sospiro malinconico.
«Oh, ho sempre trovato affascinante questa tua predisposizione all’astrologia, mia cara».
 
«Sette anni».
La voce di Emma sfumò nel salotto debolmente illuminato del signor Gold e di Belle.
«Sono passati sette anni».
Belle annuì, stringendo con tenerezza la mano della ragazza per un momento.
Regina si alzò in piedi. Sembrava sul punto di distruggere qualcosa, qualsiasi cosa, ora che la rabbia, che aveva continuato a crescere mentre Gold e Belle raccontavano loro cosa era successo durante la loro assenza, e quanto tempo era passato, aveva raggiunto il limite di sopportazione della donna.
L’aveva capito subito, nel momento esatto in cui aveva scrutato il cielo, che doveva essere passato molto tempo. Ma aveva deciso di ignorarlo, pensando che, dopotutto, poteva anche essersi sbagliata.
Gold, però, non poteva sbagliarsi.
Gli occhi dei presenti erano tutti puntati su Regina, ma l’unico sguardo di cui alla donna importava era quello di Emma, ferito quanto il suo.
Perché sapevano entrambe che sette anni erano davvero tanti.
E che per sette anni, il loro unico figlio, Henry, era stato costretto a crescere senza di loro.
Ma soprattutto che avevano fallito come madri e lo avevo costretto a sentirsi orfano, come loro si erano sentite.
Regina strinse le mani a pugno e il vaso accanto a lei esplose.
Belle sussultò e lanciò un urlo strozzato, mentre Emma e Gold si limitarono a chiudere gli occhi ed esalare il respiro che avevano trattenuto.
Regina aveva rilasciato quella Magia in eccesso, nel suo cuore, che avrebbe potuto fare danni ben maggiori di un vaso rotto.
«Scusate» mormorò appena, stringendo la mano che Emma le porgeva.
Ma nessuno poté rispondere alla donna.
«Mamma?»
Regina e Emma si voltarono di scatto verso il nuovo arrivato, per ritrovarsi di fronte un piccolo ometto dai capelli ramati che trascinava dietro di sé un orsacchiotto.
«Aiden» sorrise Belle, alzandosi e prendendo in braccio il piccolo, che nascose il viso nell’incavo del collo della ragazza. «Non essere timido, su».
«Lui è..?» chiese Emma, guardando Gold.
«Nostro figlio, sì» concluse l’uomo, mentre Belle riprendeva posto accanto a lui con Aiden tra le braccia.
«Oh… insomma… congratulazioni» balbettò Emma, mentre Regina si limitava ad osservare il bambino con tenerezza. Ma c’era qualcosa, nel suo sguardo, che Emma stentò a comprendere.
Anche il signor Gold sembrò notarlo e, quando incrociò lo sguardo di Regina, annuì. La donna sembrò rilassarsi visibilmente. A Emma quest’intesa non fuggì, ma decise di non fare domande, almeno per il momento.
«Loro sono Emma e Regina, tesoro» stava dicendo Belle, nell’orecchio del piccolo. «Sono le mamme di Henry».
Aiden non rispose e Emma e Regina si limitarono a sorridere.
«Anche Henry era molto timido, a quell’età» commentò Regina. «E mi piacerebbe conoscere meglio Aiden, ma dobbiamo andare da nostro figlio. Questa storia è durata fin troppo».
«Ruby ha un fagiolo. Per i casi di emergenza. Vi accompagnerò da lei» disse Gold, alzandosi in piedi. «Voi provate a dormire, d’accordo?» aggiunse l’uomo, guardando moglie e figlio.
Belle annuì, mentre Aiden, finalmente, si mosse tra le braccia delle donna solo per chiedere silenziosamente un bacio a Gold, che l’uomo fu ben felice di dargli sulla guancia morbida.
«Buonanotte».
«’Notte» rispose in un sussurro il bambino, prima di nascondere velocemente il viso nel collo di Belle.
«Bene, signore, andiamo» annunciò Gold, dirigendosi verso la porta preceduto da Emma e Regina.
Non appena il piccolo Aiden udì la serratura scattare, guardò Belle negli occhi.
«Sentito, mamma?»
«Cosa, tesoro?»
«Un cuore non c’era».
 
 
Foresta Incantata
 
Regina non si era nemmeno accorta di quelle lacrime che scivolavano silenziose lungo il suo volto.
Stringeva convulsamente la ringhiera tra le mani, tanto che le nocche rilucevano di un bianco più puro dell’avorio.
E nel suo animo si agitavano ricordi e emozioni che credeva di aver sepolto, turbinando in un vortice confuso, un tornado di pensieri privi di tempo e spazio, che si contaminavano l’un l’altro, facendo perdere a Regina il senso di una realtà che faceva ogni giorno più male.
 
 
 
Foresta Incantata, quarantanove anni prima
 
Fu la prima volta in cui pensò che, dopotutto, si trattava solo di cadere, cadere per qualche secondo, e poi aspettare che il cuore smettesse di battere.
Si era avvolta in un mantello pesante, nonostante l’aria notturna di quell’estate non giustificasse affatto il freddo che provava. E comunque, quel mantello era appartenuto a Daniel. Se chiudeva gli occhi ne sentiva ancora il profumo e poteva anche fingere che lui, il suo Daniel, fosse ancora accanto a lei.
I suoi piedi, nudi, avevano lasciato un sentiero di impronte sul pavimento di marmo del balcone e attorno a lei cadeva, come grosse e rade gocce di pioggia, l’acqua che scivolava lungo i suoi capelli sciolti e il suo corpo nudo, andando a colpire violentemente il terreno.
Alcune di quelle gocce erano lacrime.
Sii una buona e brava moglie, Regina, in tutto e per tutto, e governerai il re, non solo il regno, le aveva detto sua madre.
E lei, durante la sua prima notte di nozze, non aveva saputo fare altro se non quello, essere una buona moglie, e lasciare che Re Leopold ottenesse ciò che desiderava.
Non era stato violento e non era stato insistente, anzi. Sembrava sinceramente interessato a Regina, allo stato d’animo della ragazza, al suo volere.
Sii una buona e brava moglie, Regina, in tutto e per tutto, diceva Cora, in continuazione, nella sua testa.
Ma alla fine Regina non aveva saputo fare altro se non sdraiarsi in un letto troppo grande e freddo, cercare un luogo sicuro, nella sua testa, dove rifugiarsi, e fingere.
Quando Leopold aveva lasciato la sua stanza sorridendole e baciandole la guancia come se non ci fosse nulla di sbagliato, in tutto quello, nulla di raccapricciante e sporco, Regina era balzata fuori dal letto e aveva chiamato le cameriere perché le preparassero un bagno.
Si era immersa nell’acqua fredda, non aveva avuto la pazienza di aspettare che venisse scaldata, e poi le aveva cacciate brutalmente.
Sii una buona e brava moglie, Regina, in tutto e per tutto, diceva sua madre e ora lei si ritrovava sospesa.
Cadere.
Penseranno a una tragica fatalità. Il pavimento bagnato e la disattenzione, e il regno sarà di nuovo senza una regina.
E governerai il re, non solo il regno.
Quella fu la prima delle tante notti in cui Regina si addormentò accanto alla ringhiera del proprio balcone, solo un mantello a coprirla, mentre il mondo continuava a girare senza sosta, mutando e rinnovando le proprie forme, e il cielo rimaneva immobile sopra di lei. E se uno poneva solo domande, l’altro aveva risposte inadeguate.
E nulla e nessuno aveva conforto per lei.
 
 
 
Foresta Incantata
 
Si era sdraiata a terra, supina, il cielo sopra di lei che seguiva impercettibilmente il proprio corso.
Era confusa. Il passato e il presente si confondevano, sovrapponendosi l’un l’altro, ma il dolore era lo stesso.
C’era un vuoto, nel suo cuore.
E non si era nemmeno accorta dell’arrivo della ragazza se non quando Emma si era sdraiata accanto a lei, stendendo su entrambe una coperta bianca.
Regina ruotò lentamente la testa nella direzione della ragazza, trovandone gli occhi chiari e scrutando in essi.
«Torna dentro o ti ammalerai» disse.
«Meglio questo che sentire la tua mancanza in quel letto» rispose Emma, voltandosi per osservare il cielo. Sotto la coperta, la giovane cercò la mano di Regina e la strinse.
Emma aveva perso il conto delle notti in cui si era svegliata e si era trovata sola, a letto, e nonostante da lì riuscisse a vedere chiaramente Regina in piedi accanto alla ringhiera o sdraiata a guardare il cielo, Emma non riusciva comunque ad addormentarsi, senza la donna accanto.
All’inizio, per qualche notte, aveva resistito all’impulso di raggiungerla, temendo di disturbarla. Evidentemente, Regina aveva bisogno di tempo e spazio.
E per quanto sarebbe durato, il bisogno di Regina, Emma non ne aveva idea.
Ma una notte aveva preso la coperta e si era accoccolata accanto a Regina, scaldando l’altra con il calore del proprio corpo. Erano rimaste in silenzio fino all’alba e Emma non si era nemmeno accorta di come Regina si fosse addormentata appoggiata alla sua spalla.
Così, era diventata una routine. E avevano iniziato a parlare.
Regina le stava insegnando a capire il cielo, come diceva sempre, ma Emma non riusciva ad essere intuitiva e attenta quanto lei. In ogni caso, amava sentire la voce della donna parlare di stelle e seguire la linea affusolata del braccio di Regina, che tracciava linee immaginarie tra gli astri.
Spesso finivano persino con il fare l’amore, così, sotto le stelle. E Emma ringraziava chiunque avesse costruito quel castello per la riservatezza che l’altezza offriva.
Comunque, quelle erano le uniche occasioni in cui, in qualche modo, riuscivano a dimenticare il dolore sordo delle loro anime.
Una sofferenza continua e incessante.
«Domani pioverà» disse Regina, strappando Emma ai suoi pensieri.
«Come lo sai?» domandò la ragazza, girandosi verso la donna e puntellandosi su un gomito, in modo da sostenere la testa.
«Non lo senti?»
Regina la guardò a sua volta, facendo un gesto vago con la mano libera.
Emma scosse la testa.
«Questo profumo, Emma. L’aria profuma di tempesta».
 
 
Storybrooke & Foresta Incantata, qualche mese prima
 
«Non ho mai incontrato un bambino come tuo figlio» disse Regina, mentre si dirigevano verso l’auto di Gold.
«Oh, no, non credo proprio, cara. Ma io sì. L’intensità della Magia che sprigiona… Se la memoria non mi inganna, tu non eri da meno alla sua età» rispose l’uomo.
«Cosa?» domandò la donna, confusa e colpita.
«La tua Magia era ben diversa, te l’assicuro. Il tipo di Magia che mio figlio possiede, comunque, è identico a quello della signorina Swan».
«Cosa?» disse Emma, con le stesso tono usato da Regina.
«Gold, cosa sai veramente di tuo figlio?»
«Ogni cosa a tempo debito, mia cara» tagliò corto il signor Gold, sbattendo violentemente la portiera dell’auto e avviando il motore.
 
Era stato difficile convincere Ruby.
Sembrava non voler credere ai propri occhi, sembrava che sospettasse Gold di qualche tiro mancino e che non si fidasse delle parole dell’uomo o delle tue donne.
Solo dopo quelle che a Emma e Regina parvero ore, Ruby si convinse finalmente che si trattava davvero di loro e che erano tornate sane e salve.
In tutto quel tempo, Regina aveva perso la pazienza più volte, ma, con gran sorpresa di Emma, non aveva mai minacciato la ragazza lupo, né a gesti né a parole.
Dopotutto Ruby le stava tenendo lontane da Henry e Emma stessa sentiva dentro di sé uno strano impulso, così estraneo al suo cuore, che la spingeva a schiaffeggiare Ruby ogni qual volta rimaneva in silenzio ad osservarle, indecisa sul da farsi.
Infine, Ruby aveva acconsentito ad aprire il portale verso la Foresta Incantata usando il fagiolo magico che Biancaneve le aveva affidato.
Il signor Gold, con un sospiro, era finalmente tornato a casa dalla sua famiglia. Inaspettatamente, aveva stretto il braccio di Regina e, affiancandola, le aveva sussurrato parole veloci nell’orecchio. La donna aveva accennato un sorriso, prima di annuire, ma non aveva detto nulla e Emma decise di non indagare in quel momento.
Alla ragazza lupo era servito altro tempo, troppo, a parere di Emma e Regina, per parlare con Granny che raggiunse le nuove venute, spinta dal desiderio di riabbracciare Emma.
Principessa, l’aveva chiamata. E, sentendosi etichettata in quel modo, Emma non poté trattenersi dal rabbrividire.
«Immagino che Biancaneve ora governi il regno che fu di suo padre» commentò con tono neutro Regina.
Granny aveva annuito.                  
«E chi amministra Storybrooke?» domandò Regina, guardando impaziente la porta dietro la quale Ruby era sparita qualche minuto prima, dovendo prelevare il fagiolo magico dal suo nascondiglio.
«Un consiglio eletto e nominato dal re e dalla regina» spiegò l’anziana donna con evidente orgoglio. Era chiaro che lei ne facesse parte.
La comprensione di Emma ci mise qualche secondo per maturare e rendere chiaro che i regnanti cui Granny si stava riferendo non erano altri che i suoi genitori.
Regina sembrò sul punto di dare una risposta tagliente, ma l’arrivo di Ruby mise fine alla discussione e Emma gliene fu immensamente grata. Per quanto ne sapeva lei, Regina, essendo ancora in vita, rimaneva la legittima sovrana e Emma sperò che non si mettesse in testa di riprendersi il trono, perché altrimenti sarebbero sorti nuovi e complicati problemi.
Inoltre, per quel poco che Emma conosceva di araldica e successioni al trono, non era più nemmeno tanto sicura che la prossima in linea di successione fosse sua madre. Non sapeva nulla delle leggi della Foresta Incantata, ma nel caso in cui la successione dinastica privilegiasse i figli maschi, allora Henry, in quanto figlio maschio di Regina, avrebbe avuto diritto al trono.
D’altro canto, Henry era anche figlio di Emma e, in quanto tale, nipote di Biancaneve e la giovane non era sicura dell’eventuale presenza di clausole in caso di adozione di un erede.
In ogni caso a Emma non importava nulla, di successioni, principesse o re.
Le importava di Henry e di Regina. Le importava di suo figlio e della donna che amava. E tutto il resto era secondario oltreché superfluo. I suoi genitori potevano continuare a tenersi il loro regno fino a quando lei avesse avuto la sua famiglia.
Scattò verso Ruby non appena la ragazza lupo mostrò il fagiolo tra le dita lunghe e affusolate, che a Emma ricordarono la forma di artigli.
Regina la affiancò e le strinse la mano.
Entrambe guardarono Ruby e annuirono.
«Sarò di ritorno il prima possibile, nonna» disse la ragazza lupo, un istante prima di gettare il fagiolo a terra e aprire un portale nel quale le tre donne scomparirono.
 
I problemi erano iniziati nel momento esatto in cui le porte del castello si erano aperte per farle passare. I nani di guardia, tra cui Leroy, non sembravano particolarmente entusiasti di vedere Regina, ma la presenza di Emma li aveva rincuorati.
Biancaneve e il Principe erano nel cortile d’ingresso pronti ad accoglierle e Emma si sentì soffocare dall’abbraccio dei genitori, coperti solo da un mantello pesante sopra la camicia da notte, quando la strinsero a loro.
Biancaneve singhiozzava senza sosta e David si tratteneva a malapena, ma a nessuno importava, perché Emma era tornata.
Oscillando tra il pianto e i sorrisi, Biancaneve chiedeva in continuazione alla figlia cosa fosse successo e perché ci avesse messo così tanto, prima di balbettare che per questo ci sarà tempo dopo. Ma dopo un nuovo singhiozzo, o forse un grido di gioia, Biancaneve chiedeva di nuovo spiegazioni e poi  si scusava dicendo che l’importante era che Emma stesse bene e che fosse tornata. E di nuovo singhiozzava e sarebbe andata aventi all’infinito, con questa litania, se Leroy non fosse intervenuto, consigliando loro di rifugiarsi nel castello, perché le notte era fredda e le nuove arrivate, coperte da indumenti leggeri, rischiavano di ammalarsi.
Biancaneve annuì vigorosamente, lasciando che Ruby, dopo uno sguardo di intesa lanciatole da Leroy, la prendesse sotto braccio guidandola verso la porta del castello. La regina, comunque, non lasciò mai la presa dal braccio di Emma.
David alzò gli occhi su Regina, che fino a quel momento era rimasta un passo indietro rispetto a Emma.
E Regina stava già per dire che avrebbe lasciato quel castello e persino il regno, se loro avessero voluto, ma che almeno le permettessero di vedere suo figlio, quando David le sorrise.
Stupita, la donna ricambiò istintivamente e il principe, no, non il principe, il re, le porse il braccio.
In quel momento Emma riuscì finalmente a divincolarsi da Biancaneve e raggiunse Regina, passando accanto al padre senza notare quel braccio sospeso e afferrò la mano dell’altra, sorridendole.
David si avvicinò alla moglie, rimasta incantata di fronte al comportamento della figlia, e le cinse le spalle con un braccio.
«È tornata» le sussurrò l’uomo.
«Ed è davvero innamorata di-».
«Tesoro, ti prego. L’hai detto anche tu. Per questo ci sarà tempo, ora pensiamo solo al fatto che sia tornata e che sta bene. Che entrambe le madri di nostro nipote stanno bene» disse David, muovendo il passo e guidando la donna dentro il castello, dove Emma e Regina erano già sparite.
«Hai ragione» commentò risoluta Biancaneve, accelerando il passo, prima di fermarsi nuovamente. «Ma, David, davvero nostra figlia e Regina st-»
«Stanno andando da Henry e sarebbe meglio precederle prima che a nostro nipote venga un attacco di cuore» tagliò corto l’uomo, trascinando di peso la donna sulla scia della figlia e di Regina.
Ruby e Leroy, dietro di loro, chiusero la porta del castello.
 
Henry era sveglio.
Aveva sentito degli schiamazzi nel cortile e, a giudicare dal cielo, era quasi l’alba, ma non si era alzato per controllare cosa stesse succedendo.
Forse, i nani avevano alzato un po’ troppo il gomito. A volte succedeva.
E poi aveva altro a cui pensare.
Da ore si girava e rigirava nel letto, il pensiero del calore sprigionato dai ciondoli con i ritratti di Emma e Regina lo tormentava.
Per quale motivo era accaduto proprio quella notte? Era successo qualcosa?
O, forse, la magia che in qualche modo vi era conservata si era semplicemente esaurita, producendo quell’ultimo bagliore di luce e calore, prima di trasformare le collane in due semplici e anonimi anelli di metallo?
Henry non ne aveva idea e non aveva il coraggio di controllare, aprendo di nuovo quel carillon.
E così rimase lì, sdraiato nel suo letto, fino a quando un lieve bussare alla sua porta lo fece sussultare.
 
«Cosa?! Voglio vedere mio figlio!»
Regina era sconvolta e Emma poteva capirla.
Condividevano, entrambe, una rabbia e uno sconcerto che mai in vita loro avevano provato.
«Regina, Henry non-»
«Cosa gli hai detto? Gli hai detto che siamo tornate, che siamo vive e stiamo bene?» intervenne Emma, afferrando il braccio che Regina aveva alzato e cercando di rimanere calma. Ma dentro di lei la rabbia ribolliva.
Biancaneve annuì e questa volta fu David a parlare.
«Ha detto che ormai è cresciuto e che…» l’uomo esitò, guardando la moglie.
«Cosa ha detto?» incalzò Regina.
Biancaneve scosse la testa e David sospirò.
Devono provare a capirlo, mimò con le labbra, guardando la moglie.
«Capire cosa, esattamente?» domandò Regina, cogliendo il messaggio di David.
Emma guardò suo padre, poi spostò lo sguardo su Biancaneve.
C’era una supplica, in quegli occhi, una richiesta di aiuto così dolorosa, che l’anima di Biancaneve pianse quella sofferenza.
«Ha detto... Ha detto che potete tornare da dove siete venute. Che non ha bisogno di una madre, che è cresciuto, senza di voi, e che può continuare a farlo come ha sempre fatto. Henry ha detto…» le parole di Biancaneve si tramutarono in singhiozzi e la donna abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello della figlia.
«Henry ha detto che lo avete abbandonato. E che non forse non riuscirà a perdonarlo, di nuovo. A nessuna delle due» concluse David, con tono tetro.
«No…» fu il bisbigliò che sfuggì alle labbra di Emma. «No!»
La ragazza stava per fare un passo avanti, il volto contratto dalla rabbia, ma Regina la bloccò, stringendola a sé.
Lei, Regina, era già passata attraverso tutto quello.
Non era la prima volta che suo figlio la rifiutava e la respingeva. E per quanto male facesse, per quanto dolore provasse, in quel momento, sapeva che la cosa migliore da fare era lasciare che Henry accettasse il loro ritorno.
Si era sentito abbandonato. E tanto Emma quanto Regina sapevano quanto potesse essere orribile.
«Lasciami! Voglio vedere mio figlio» urlò Emma, cercando di divincolarsi.
Ma Regina non allentò la presa e pregò che non fosse necessario ricorrere alla magia. Non l’avrebbe mai detto, ma quando incrociò lo sguardo di Biancaneve, vi vide uno specchio.
Stavano soffrendo, amando le stesse persone.
E Regina pensò quanto fosse crudele che ad unire quella che avrebbe potuto essere una famiglia, una famiglia vera, fosse sempre e solo il dolore.  
«Emma, Emma» diceva ogni tanto, Regina, senza alzare la voce. «Emma, tesoro, ti prego… Emma».
«Voglio vedere mio figlio» singhiozzava la ragazza. «Portatemi Henry, voglio… voglio vederlo».
Emma non urlava più.
Emma lasciava che a sostenerla fosse Regina, perché i singhiozzi erano così violenti da non lasciarle le forze di fare altro.
Aveva abbandonato suo figlio, di nuovo.
Lo avevano fatto entrambe, aveva ferito di nuovo Henry, allo stesso modo in cui loro erano state ferite.
Erano un fallimento. Lei era un fallimento.
«Voglio vedere Henry. Portami da Henry, Regina, portami da nostro figlio, Regina. Regina, ti scongiuro».
Dagli occhi di Regina scivolarono grandi e grosse lacrime.
«Emma…»
«Non volevo fargli del male. Voglio vedere Henry» ripeté Emma, come se Regina le stesse vietando di vedere suo figlio.
«Lo so, ma non possiamo, Emma, anche io vorrei, ma non…»
Regina non aveva più la forza di parlare e le gambe iniziavano a cederle.
Guardò David e Biancaneve, pietrificati dal dolore, chiedendo aiuto con lo sguardo. Non l’avrebbe mai fatto, se fosse stato per lei. Ma non si trattava solo di sé stessa, si trattava anche di Emma. E per Emma avrebbe fatto tutto.
Biancaneve annuì e si avvicinò cautamente alla figlia.
«Emma» la chiamò, ottenendo l’attenzione e uno sguardo supplichevole dalla figlia. «Emma, andiamo a dormire. Domani…»
«No. Io voglio vederlo ora, ti prego, mamma».
Biancaneve non rispose.
Afferrò un braccio di Emma e lasciò che Regina sorreggesse la ragazza per i fianchi.
«Nella… nella tua vecchia camera. Può andare bene?» bisbigliò Biancaneve, guardando Regina, che si limitò ad annuire.
«Vado… io… accendo il fuoco» disse David, superando le tre donne e incamminandosi, quasi correndo, in quella che era stata la vecchia stanza di Regina.
Fu con molta fatica che Biancaneve e la sua matrigna riuscirono ad adagiare Emma a letto, mentre la ragazza ripeteva in continuazione il nome di Henry e, ogni volta, Regina sapeva che non era solo la voce della donna che amava a riecheggiare nei corridoi del castello, ma anche la sua.
 
Prima di lasciare la figlia, Biancaneve e David avevano atteso che Emma si addormentasse. Dalle sue labbra, comunque, scivolava in continuazione il nome di Henry, riempiendo la stanza di sussurri e stille di dolore.
«Se ha bisogno di qualcosa mandami a chiamare» disse infine Biancaneve, quando Regina accompagnò i regnanti alla porta perché potessero dormire almeno qualche ora.
Regina si limitò ad annuire, sotto lo sguardo indagatore di Biancaneve.
«In ogni caso, per qualsiasi cosa, mandami a chiamare. E non…» la giovane donna esitò, prendendo un profondo respiro. «Non lasciarla sola, per nessun motivo. Per favore, Regina, ti chiedo solo questo, prenditi cura di lei».
Anche questa volta, seppur dopo una lunga pausa, Regina si limitò ad annuire alle parole concitate di Biancaneve.
Questa annuì e fece per allontanarsi, abbracciata dal marito, quando sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa.
«Anche per te» disse esitante. «Voglio dire, se tu hai bisogno di qualcosa… Mandami a chiamare».
Gli occhi di Regina si riempirono di nuove lacrime, nonostante credesse di averle ormai esaurite, e, di nuovo, annuì.
La porta si chiuse.
E Regina scivolò a terra, piangendo il nome di suo figlio.  
 
 
Foresta Incantata
 
Emma si chiedeva sempre se Henry guardasse lo stesso cielo che lei e Regina si ostinavano a scrutare ogni notte. O se, almeno ogni tanto, pensasse a loro con affetto.
A volte passavano del tempo insieme, Henry, Emma e Regina, ma le donne sentivano quanto forte fosse l’astio e il risentimento che il giovane provava nei loro confronti, nonostante lui provasse a superarlo e nasconderlo.
Provava a perdonarle, ogni secondo della sua vita, e questo loro lo sapevano, ma non era facile.
«Mia madre dice sempre che ha il tuo stesso modo di aggirarsi nel castello» disse Emma, dopo qualche minuto di silenzio. «Quando eri giovane, intende»
Regina sorrise. Sapeva che l’altra stava parlando di Henry.
«Giovane? Guarda che sono ancora giovane, mia cara» specificò Regina. «E che genere di modo sarebbe, il mio?»
«Leggero. Elegante. E… attento. Dice che conosce tutti, nel castello, indipendente dall’età o dal ruolo che occupano» spiegò Emma, ricordando le parole della madre. «Ma anche che ha il tuo sguardo… lo sguardo di chi ha perso ogni cosa».
L’altra non rispose, continuò a guardare il cielo sopra di lei.
«Un giorno ci perdonerà, Emma» disse Regina.
«Ci credi davvero?»
«Sì».
«Il nostro doveva solo essere un lieto fine».
«Lo sarà, Emma. Te lo prometto».
 
 
 



NdA
Ultimo capitolo.
Leggermente più lungo rispetto ai precedenti e ho anche considerato l’ipotesi di spezzarlo, ma… no, meglio tutto insieme.
Allora, le nostre donne sono tornate, sane e salve, ma non è stato un rientro facile.
Henry non è facile da gestire.
Per non parlare degli altri problemi che sembrano sorti, come il figlio di Tremotino, che è abbastanza inquietante anche per me, lo ammetto!
Comunque, i programmi sono di scrivere una terza storia e concludere tutte le questioni in sospeso :D O aprirne altre… u.u
 
E forse non è esattamente un lieto fine, questo finale, ma considerando che la storia precedente si è conclusa con la morte di Regina, qui c’è stato un bel miglioramento! Sono tutti vivi u.u
Insomma, il punto è che spero di rimanere viva per scrivere il seguito di questa storia (Dopey, mi rivolgo a te in modo particolare), e che vi sia piaciuta.
E grazie ai magnifici recensori e ai lettori <3
Spero di rivedervi presto con il seguito,
 
Trixie.

P.S. Avete presente quel pezzo in cui si dice che “spesso finivano persino con il fare l’amore, così, sotto le stelle”, ecco, potrei avere in programma di scrivere la cosa nei dettagli u.u
Così, giusto per farmi ancora più male! 
13.08.2014 - Finalmente sono riuscita a pubblicarla: Il buio, le stelle e ogni altra cosa :D

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