Avrei dovuto pensarci meglio

di Hurin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Fa male ***
Capitolo 3: *** Non mi va di scegliere un titolo al capitolo Pt.1 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Avrei dovuto pensarci meglio.



- Non lo so amico ... non è che ne ho troppa voglia, e neanche tempo -
- Ma non dire idiozie! Faremo una rock band, come non se ne sono mai viste! -
Cosi mi aveva risposto Alessandro, quel maledetto idiota era anche troppo cocciuto. Una rock band, siamo pazzi? Non è certo una buona idea, dovremmo concentrarci sugli studi e finire la scuola ma no, facciamo una rock band. Non ha senso. Però, l'idea di suonare la chitarra solista in una band non era certo male, anzi, era molto esaltante! Però ero ancora convinto fosse una pazzia.
- Okay ci sto! -
La prima cosa che ho pensato subito dopo aver detto questa cazzata è "Sono cretino..." e non avevo tutti i torti...
- Uno, due, tre, uno due tre... - Cavolo se siamo forti, questo è rock, se non fosse per quel idiota patentato di Riccardo, il nostro "cantante". Si dimenticava sempre il testo e ci disturbava mentre suonavamo. Io e lui non siamo mai andati molto d'accordo. E' solo un rompi palle, ma se ti servivano soldi lui era la persona giusta.  Alto, capelli corti neri, occhi grigi e con un fisico slanciato, di questo lui andava spesso vantandosi, credendo di essere bellissimo. Non che fosse brutto, ma certo non è bello quanto lui crede. Eravamo a metà del pezzo, stavo per fare il mio piccolo assolo quando arriva il caga cazzo che mi interrompe - Ragazzi devo dirvi una cosa  - "Sì ma sbrigati, non farci perdere troppo tempo"  dissi fa me e me.
- Io mi trasferisco. Mio padre ha trovato lavoro in un altra città e noi ci trasferiamo con lui. Parto fra tre giorni - Alleluia, un rompi palle in meno. Magari è un po' da stronzo pensare queste cose e ora me ne pento un poco. - Cavolo brò mi dispiace, ci mancherai un casino! - Alessandro era quello un po' più affezionato a lui. Tutti posammo gli strumenti e ci mettemmo a parlare. "Ma sì, mandiamo a cagare le prove, dovevamo scegliere il nome e il logo, ma chi se ne frega. Giusto?" Riccardo non mancherà a nessuno, questa è la verità, né a Gabriele, né ad Alessandro, né a me. Mentre loro parlavano, l'unica cosa alla quale riuscivo a pesare era "ora ci serve un nuovo cantante!"
Adesso la band andrà a farsi fottere, lo sapevo che tutto questo era solo uno spreco di tempo! Passammo così il resto del pomeriggio; la sera pizza, pizza per tutti.
- No, non credo che verrò, non ho voglia di venire alla festa. Lo sai che non è esattamente "il mio genere" di serata. Comunque ci vediamo domani Antonio, ciao - vorrei vedere, sono astemio, con la birra e i superalcolici che girano a quelle feste mi ubriacherei solo con l'odore - D'accordo, ci si vede domani - 
Mi annoiavo a morte. Però era una bella giornata, presi in considerazione l'idea di uscire, portare a passeggio quel disgraziato del cane e magari mi potevo prendere un bel gelato. "Perché no? Mi merito un gelato dopo tutto quello che non ho fatto". Avevo un bellissimo pastore tedesco di circa quattro anni, un maschio, mio fratello più piccolo voleva chiamarlo "Jerry", ma che diavolo di nome è Jerry? Io ho deciso di chiamarlo "Attila", è più adatto a questo bastardo. Scese le scale aprì la porta sulla destra, su uno scaffale doveva trovarsi il guinzaglio del cane. Eh, facile a dirsi. Dove cavolo era finito però non lo sapevo.
- Mamma, dov'è il guinzaglio di Attila? - subito lei risponde
 - Dovrebbe essere là da qualche parte, non farmi venire lì! - io, dopo aver guardato meglio
- Ma qui non c'è, magari qualcuno l'ha spostato - Eccola che arrivava, tutta convinta della sua superiorità. Da un occhiata veloce e - Eccolo! - aveva il maledetto guinzaglio in mano, dove l'aveva preso lo sapeva solo lei.
 - Non l'avevo visto, grazie  -                                                                                                                             - Guarda meglio la prossima volta - disse lei con un tono che non nascondeva per nulla il suo orgoglio.
- Dai su Attila, è più di un'ora che siamo fuori e tu non hai ancora fatto nulla. Cerca di sbrigarti, eh? - Pure io, certo che ero un povero genio, parlare col cane, lui mi guardava mentre gli parlavo e poi abbaia tutto contento, come se avesse capito. Passa un altra mezz'ora buona prima che si decide a far uscire qualche goccia di urina. -Alleluia Attila, meglio tardi che mai, vero bello? -
- Bau bau! - "Sei proprio un cane sveglio" pensai.
Finalmente però arrivammo alla gelateria, lego il cane ad un palo e mi prendo un gelato. Quando torno lo vedo che abbaia ad un bambino che aveva su per giù cinque anni. Quel ragazzino avrà passato mesi in psicoterapia per colpa mia. Però io volevo il mio gelato, non si rinuncia mai al gelato.
"Mi viene in mente ora che dovevo parlare con Ale riguardo il nuovo cantante".  Chiamo Alessandro al cellulare.
- Ehi Ale, dovevamo parlare di quella cosa del cantante, ricordi? -
- Si certo brò. Però non ora, devo prepararmi per andare a quella merda di festa -
- Se la chiami "merda di festa" perché ci vai? -
- Perché ci saranno alcolici e se ci sono alcolici ci saranno ragazze ubriache, ragazze ubriache significa possibilità di scopare. Vuoi che ti spiego cosa significa "scopare" o che ti svelo qualche trucco? -
- Non mi servono i tuoi "trucchi", tua madre è già contenta cosi. A dopo Ale - Alessandro mi rispose confuso - Lo sai che siamo fratelli, vero? -
- Dettagli bro. A dopo. -
- Svegliati Ale, dobbiamo andare a scuola -
- Ho ancora sonno, lasciami dormire, entro in seconda ora -
-  A che ora sei tornato ieri? -
- Boh, saranno state le cinque, cinque e mezzo -
- Alzati, o la mamma ti ammazza -
La stanza di Alessandro è sempre un macello: vestiti ovunque, scarpe e mutande non sono da meno. La scrivania in un disordine perenne. Per non parlare dell'insopportabile odore di muffa. Mai ho visto quella stanza illuminata dalla luce del sole, mai, non sono più sicuro che sia dotata di finestre. Un mistero che non troverà mai risposta credo. Tentai di districarmi tra i vestiti e le mutande in cerca di un sentiero sicuro per fuggire da lì, appena ci riuscì mi fiondai sulle scale e a tutta velocità andai in cucina. Stavo morendo dalla fame.
"Cibo!" Non pensavo ad altro, appena arrivo in cucina prendo un panino, lo taglio e lo apro per infilarci tutto ciò che mi veniva in mente. Stavo per uscire di casa quando - Dov'è tuo fratello Alessandro? - e io - Sta dormendo, credo sia tornato tardi ieri sera -
"Tardi? E' tornato il giorno dopo"
 - Quel disgraziato! Ora lo butto giù dal letto! - Come no, adesso andrai da lui e gli chiederai con voce docile e rassicurante: "Come stai? ci vai a scuola?". Ovviamente ti dirà di no e tu lo lascerai stare, come sempre.
La scuola, il luogo più bello del mondo, dove si muore dalla voglia di imparare e di migliorarsi, aspetta un attimo, forse nelle altre scuole del paese è così. Qui è diverso: se muori è perché qualche bullo ha deciso così, se ti metti a studiare è perché... no, qui nessuno studia.
La mia è una scuola grande e piuttosto vecchia, anche se il preside preferisce l'aggettivo "antica", dice spesso "Non c'è rispetto per la scuola come istituzione e come edificio!" probabilmente però ha ragione, ma non importa a nessuno. Le lezioni sono iniziata da poco, questo è il terzo giorno e io sono già stanco di svegliarmi alle sette del mattino. Mi era giunta voce che nella nostra classe doveva venire una nuova studentessa, ma non si sapeva molto ancora, una cosa soltanto era certa: arrivava oggi. Perciò scrutavo attentamente i volti dei miei colleghi per individuare una sconosciuta. "Vediamo un po',certo sarebbe più facile se..."  persi il filo dei miei pensieri quando - Ehi Luca, come stai? - era il "bulletto" della scuola, solo che era enorme, puzzolente e con un senso dell'umorismo pessimo.
- Che fai? Non mi parli? Non si trattano cosi gli amici - si... amici...
- Fottiti lezzo - ecco che succede quando non si pensa prima di parlare
 - Cosa? Come osi, lezzo io. Lezzo ci sarai tu! - ma  decisi che ormai tanto valeva continuare a prenderlo per il culo no.
 - Che significa lezzo? Sorprendimi su - e lui - Ecco... io... ehm... non importa! Quello che importa è che lo so e tu no! - che bambino
 - Quindi rimangiati quello che mi hai detto o ti rompo tutto -
- Non si trattano cosi gli amici, da te non me l'aspettavo, mi stai deludendo - dissi io. Ed ecco arrivare un gancio destro. Certo, sono cose che capitano se ti comporti così, ma non importa, quello che è fatto è fatto e non si torna indietro. Così lo colpisco a mia volta, faccia, pancia, faccia. Non si fa mai niente, il grassone del cazzo, con quella barricata che si ritrova neanche un carro armato lo scalfirebbe. Così penso ad una ginocchiata ai testicoli ma fui troppo lento, una sberla come in faccia mi lasciò il segno per tutto il giorno. Per poco non cadevo a terra. Ero stordito e lui ha avuto il tempo di sferrarmi un altro pugno, stavolta in pancia. Non finisce certo qui, fa male ma non mi tiro indietro... - Ehi fermi, fermi! Che state combinando si può sapere? - ecco che arrivano i professori. Ammetto che se non fosse stato per loro mi avrebbe massacrato.
- Marco, complimenti, il terzo giorno e già combini casini. Vuoi una sospensione? - "Glielo chiedi? Mandatelo in cella e buttate la chiave!" -No, signore - che espressione da cucciolo bastonato, farebbe pena a chiunque se non fosse un gran bastardo. Il professore, dopo avermi lanciato un occhiata storta se ne va. - Ti è andata bene Luca. La prossima volta ti ammazzo -
- Sembra divertente, magari un giorno ci riuscirai - E finalmente ecco che spunta Gabriele con Antonio
- Ma che combini idiota?! Vuoi farti ammazzare?! - così Antonio inizia la ramanzina.
- Ciao Antonio, ciao Gabriele. No, non mi avrebbe certo ammazzato, anzi, è stato fortunato! - "si certo, lui è stato fortunato, non io".
- Va beh, non è importante quello che combina. Andiamo in classe su, oggi arriva quella nuova - Ecco finalmente una frase sensata. E mi sono evitato la ramanzina. Ci dirigemmo in classe e prendemmo posto prima dell'arrivo della professoressa. Era una classe di ventitre persone, ventiquattro con la nuova arrivata, i banchi erano disposti in tre file, quella di sinistra, quella centrale e quella di destra. Ogni fila era composta da otto persone disposte a due a due una dietro l'altra. Io sedevo nella fila centrale, secondo banco. Appena fu entrata, la professoressa, ci fissò uno per uno, dopo questa sua attenta analisi disse - Non mi piace come siete sistemati ragazzi, proprio per niente - "La scuola è appena iniziata e già rompe le pale?" Così ci ha riorganizzati, io sono rimasto al mio posto ma il mio compagno è stato spostato. L'unico banco vuoto era quello accanto al mio. così ho pensato "La nuova arrivata si siederà vicino a me, ottimo". Era il terzo giorno di scuola sì, ma questa era la prima volta che vedevamo la professoressa di italiano dalle vacanze. Così ha incominciato un pallosissimo discorso sull'importanza dello studio, della cultura, della scuola e delle istituzioni. Per carità, lo studio è importante, la cultura è importantissima ma, se vuoi fare questo tipo di discorso devi saperlo fare; a differenza di lei che riusciva solo a farti annoiare e in certi casi addormentare. Non come il professore che avevamo il primo anno. Lui sì che riusciva a motivarti, a farti venir voglia di studiare e di essere una persona migliore, non come lei. Visto che mi annoiavo iniziai ad ascoltare un po' di musica con le cuffie, così appoggiai la testa sul banco come per dormire. Non volevo proprio saperne di ascoltare la professoressa.
Suona la campanella. Mi accorgo che la professoressa parla con me di conseguenza levo uno degli auricolari - Dunque Luca, hai deciso di degnarmi della tua attenzione o intendi continuare a dormire? - "Dormire, assolutamente" - Mi scusi, non volevo recarle alcun fastidio, ma ieri ho avuto delle difficoltà a dormire e ora sono un poco assonnato - dissi. Bussano alla porta. E' il preside seguito da una ragazza. Ovviamente era la nuova arrivata. - Lei è Federica, la vostra nuova compagna. Mi raccomando trattatela bene e fatela sentire a suo agio - eccetera eccetera. Si vedeva lontano un miglio che era profondamente imbarazzata, ma lo sarebbero tutti in una circostanza simile. Vedendo che quello accanto al mio era l'unico banco libero posò lo zaino lì e, quando stava per sedersi, la professoressa la chiamò, le chiese di venire vicino alla cattedra e di parlare di lei alla classe. Capelli ondulati, lunghi e rossi, occhi verdi, un bel viso insomma. Federica non era alta, nella media, con un fisico asciutto. Non trascurabile era per me il pensare "Tette piccole; un bel sedere. Ottimo". Quando aveva posato il suo zaino sul banco mi ero anche accorto di due tatuaggi, entrambi sull'avambraccio destro: uno era un cuore e l'altro una frase che non feci in tempo a leggere. Tutti la guardavano, compagni e compagne, io però lo facevo come se non avessi mai visto una ragazza in vita mia. -Dunque, ecco, io sono Federica - un colpetto di tosse proveniente dal fondo dell'aula seguito da un "ma va'?" - ecco, non sono di qui e... - altro colpo di tosse seguito da "capitan ovvio è qui?" cosi interviene la professoressa - Finitela con queste battutacce ragazzi, non è un comportamento da persona matura questo! Prego, continua ... -                                                          
-  Dicevo, non sono della zona, mia madre ha trovato lavoro qui e ci siamo trasferite. I miei genitori hanno divorziato qualche anno fa e adesso in casa ci siamo solo io e mia madre. Mi piace il rock, cantare e leggere. Credo sia tutto... -
 - Ottimo cara, va a posto - Finito il discorso Federica si siede finalmente al suo posto.
- Piacere, io sono Luca, abbiamo una cosa in comune - dissi con un sorriso
-Ciao Luca. C-cosa esattamente? -
- Anche a me piace il rock -
- Magnifico, che genere ascolti di preciso? -
- Mi piace quasi tutto, tranne il folk. -
- Peccato, a me piace molto -
- Magari mi insegnerai ad apprezzarlo - dissi sorridendo
- Ne sarei... onorata - finalmente un sorriso, un meraviglioso sorriso
- Volevo chiederti: cantare, è solo un hobby oppure hai preso delle lezioni di canto o roba simile? -
- Ho preso delle lezioni nella città dove vivevo prima, perché? -
- Ottimo. Vedi, io suono in un gruppo rock, ma siamo agli inizi e il nostro amico che doveva fare il cantante si trasferirà tra pochi giorni perciò, beh, ci serve un nuovo cantante o, anche meglio, una cantante -
- Ehm, non lo so, sembra interessante ma devo pensarci bene prima - 
 

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Capitolo 2
*** Fa male ***


  Fa male.

- Giovanni, per piacere smettila, non ti sopporto più. Cerca di fare silenzio -
- Tu non sei il mio padrone e io non sono il tuo schiavo - e poi mi fa la linguaccia e continua a gridare. Che palle quel bambino. Non lo sopporto. Giovanni è mio fratello minore, ha undici anni, io ne ho sedici, Alessandro diciassette, quasi diciotto. Sono quello di mezzo, ciò significa che se succede qualche casino sono stato io perché Giovanni è piccolo, e non può essere stato lui, Alessandro è quello grande cioè responsabile. Se il merito di qualcosa deve andare a qualcuno, va sempre ad Alessandro, è quello maturo lui. Non fraintendete, voglio bene ai miei fratelli, sono brave persone, è mia madre che mi tratta come feccia e da a loro tutti i meriti di ciò che capita di buono.
- Giovanni smetti di gridare santo cielo! -
- Ti ho detto che non smetto! -
- Okay, è la tua fine fratellino -
Mi alzo dalla sedia con fare minaccioso e mi avvicino a lui, Giovanni scappa e grida impaurito. Non lo lascerò scappare. Correvamo per casa come impazziti, come se avessimo il diavolo alle calcagna.
- Giovanni attento, potresti farti male se sali le scale di corsa! -
- Non rallento. Lo dici solo perché cosi mi prenderai facilmente -
- Idiota sta attento! -
Certo, dicevo a lui di stare attento ma non mi ascolto quando parlo, perciò metto male il piede e scivolo, rotolando lungo tutte le scale. Mi feci un bel bernoccolo quel giorno.
- Luca! Luca! Ti sei fatto male? -
- Razza d'idiota! Certo che si, prendi del ghiaccio svelto -
Poco dopo tornò col ghiaccio e me lo misi in testa.
- Non morire ti prego. Su, ho bisogno di te! -
- Tranquillo, non morirò cosi presto, ho da fare prima -
Gli metto una mano sul petto e una in faccia, lo metto a terra, e incomincia la tortura: solletico! Tanto solletico!
- Ti prego. Mi arrendo! Hai vinto hai vinto! -
- Molto saggio fratellino -
- Mio Dio! Che combinate? -
Era Alessandro, con una bella ragazza. La sua faccia era un chiaro messaggio: uscite di casa, ho da fare.
- Ciao Ale. Stavamo solo giocando. Ora dobbiamo uscire così voi potete restare soli. Ciao -
- Bella idea fratellino -

- Non capisco. Perché ogni volta che Ale arriva a casa con una femmina, noi dobbiamo andarcene. Non capisco proprio -
- E' complicato. diciamo solo che sei troppo piccolo ecco -
- Maledizione! Non è giusto! Io non sono piccolo. Ho undici anni! Sono grande. Dimmi la verità su -
- Non posso adesso ma ..... -
Era lei. Era lì. Che ci faceva lì? E chi cavolo era quella donna accanto a lei? Si somigliavano particolarmente tranne che per il colore dei capelli. Già che ero lì dovevo salutarla, no? Camminiamo e con mio fratello ci avviciniamo alla vetrina del negozio che stavano guardando.
- Ciao Fede -
- Oh, ciao Luigi. E questo chi è? - ha sorriso di nuovo, amo quel sorriso.
- Sono Giovanni! Sono il fratellino di quest'idiota - Cosa? Idiota? Solletico, mi vendicherò.
- Ahahahah si. E' un idiota tuo fratello -
- Salve. Io sono la madre di Federica, Lucia -
- Salve - rispondemmo in coro io e mio fratello.
- Sei la nuova arrivata, vero? - perspicace Giovanni, complimenti.
- Sì, esatto - rispose Federica.
- Luigi aveva detto che era carina. All'inizio pensavo stesse esagerando, mi ero sbagliato - e questa parlantina da baby-seduttore da dove viene? E poi io non ho mai accennato al suo aspetto fisico. Il mio fratellino è pericoloso.
Lei era in imbarazzo. Palesemente in imbarazzo. Non bastavano i capelli ad essere rossi, ora lo erano anche le sue guance. Quant'era bella.
- Giovanni vieni, lasciamoli soli, nel frattempo mi racconti qualcosa di te -
- Okay signora - Maledetto moccioso, vedi di non mettermi nei guai.
- Particolare il tuo fratellino - disse Federica.
- Già. Scusa, non volevo metterti in imbarazzo - risposi io.
- No, tranquillo. Ha una ragazza piace sentirsi lodare -
- Sì, ma come posso farlo scusa? Le parole non ti renderebbero giustizia - L'ho fatta arrossire, spero sia un bene.
- Domani Riccardo parte, verso le cinque del mattino. Nel pomeriggio verrai alle prove vero? -
- Certo, però io... ecco... -
- Cosa?- chiesi io
- No niente, lascia stare -
- Quando vorrai parlarne fammi un fischio - conclusi io
- E' in ritardo - Antonio è sempre stato bravo a dire l'ovvio. Ma era solo un quarto d'ora, non cosi tanto dopo tutto. - Vado a prendere da bere, voi avete sete? - almeno Gabriele usava il cervello.
- Io sì, sto morendo di sete - cavolo se stavo morendo.
- Scusa Luca, come si chiamava questa tipa? -
- Alessandro, te l'ho detto centinaia di volte. Federica -
- Scusa brò. Non ti incazzare okay? -
Squilla il citofono. Speriamo sia lei.
- Scusate il ritardo, io... ecco io... non volevo fare tardi, scusate -
- Tranquilla, sei qui, è questo che conta no? - Ha sorriso di nuovo. Sto impazzendo cazzo! Se mi sorridesse così un altra volta potrei impazzire, ma ne varrebbe la pena.
- Okay piccioncini, ora iniziamo? -
Va bene. Ho capito. Mi sono innamorato di Federica. Cavolo è cosi bella, sarebbe impossibile non innamorarsi e poi, canta benissimo, ha uno sguardo che ti fa vedere le stelle e ti ipnotizza, e quel sorriso, cosa non farei per vederla sorridere? Nulla, pur di vederla sorridere ancora farei di tutto. Devo dirglielo. Guardo alla mia destra verso il comodino, prendo il cellulare e decido di mandarle un messaggio.
E ora come glielo scrivo? Non ho idea di come si faccia a dire ad una ragazza che ti piace. No, non l'ho mai fatto prima. Cosa le scrivo? E' meglio essere diretti con "mi piaci da impazzire, voglio stare con te" o è meglio girarci attorno e poi dirglielo? Questo è quello che ho scritto:
"Ehi, volevo dirti una cosa da quando ti ho vista a scuola. Ecco, non so bene come dirtela. La parola "bellissima" è poco per descriverti, e per ipnotizzarmi non serve un mago o batter le mani, basta il tuo sguardo. Ogni volta che vedo il tuo sorriso sento le forze che mi abbandonano, il cervello si blocca e non riesco più a pensare a qualcosa che non sia trovare il modo di renderti felice e poter continuare a vedere quel sorriso. Mi piaci tantissimo Fede, solo mi dispiace di non avere le palle per dirtelo di persona."
Già, se le avessi detto tutte queste belle parole di persona avrebbero avuto tutt'altro risultato.  Passano diversi minuti e nessuna risposta. Che ansia. E se non le piaccio? E se dopo queste cazzate che le ho scritto decidesse di lasciare la band? O peggio, se dovesse ridermi in faccia per ciò che le ho scritto? Sarebbe orribile, non riuscirei a sopportarlo.
D'un tratto si apre la porta della mia stanza ed entra Alessandro ridendo con le lacrime agli occhi.
- Sei un idiota Luigi! - dice lui.
- Ma che stai blaterando? - chiedo confuso.
- Tieni, leggi cretino -
Mi porge il suo cellulare con la casella dei messaggi aperta. Leggo. Era il messaggio che avevo mandato a Federica. Che cazzo avevo combinato? Appena ho scoperto che non le avevo mandato il messaggio però, provai un certo senso di sollievo: non dovevo aspettarmi una sua risposta.
Passò qualche ora. C'era un pensiero che non riuscivo a scrollarmi di dosso, mi perseguitava e non mi mollava, mi girava tutt'attorno e non voleva saperne di andarsene, c'era questo pensiero che mi stava facendo impazzire: Alessandro le dirà del messaggio?
Sappiamo tutti che un buon fratello dopo una risata ti avrebbe dato una pacca sulla spalle e ti avrebbe detto "tranquillo, il tuo segreto è la sicuro con me", ma questo non puoi aspettartelo da un tipo come lui. Da Alessandro puoi aspettarti solo che farà di tutto pur di dirle della mia svista, che farà di tutto per mettermi in imbarazzo o per continuare a farsi due risate. Io l'ho supplicato di non fare cazzate e far finta di nulla. Lui mi ha risposto "Si brò, ci rifletterò su ma... non contarci troppo" e dopo tale frase arriva il suo ghigno malvagio. Perciò capirete la mia inquietudine.
Questa sera ci eravamo organizzati per andare a casa di Antonio e ordinare una pizza. Io dovrei ancora prepararmi e non si sa ancora se Federica verrà. Cavolo che ansia. Se verrà ci sono buone probabilità che Alessandro dica tutto. Ma se non verrà... non sarebbe certo la stessa cosa, insomma, Federica è Federica, con lei l'atmosfera è un altra! Non che non mi diverta con i miei amici, ma potersi sedere accanto a lei, poter sentire il suo profumo, poter ammirare quel sorriso. E' meglio di una pizza, e diciamocelo: quante cose, che potete affermare con assoluta certezza, sono migliori di una pizza? Poche, troppo poche!
E' ora di vestirsi, mando un messaggio a Federica chiedendole se viene, sperando di non sbagliare nuovamente numero.
Mi risponde dopo pochi minuti:"Sì, ci vediamo li??" dopo averle risposto di sì mi sono infilato i pantaloni e messo il profumo. Sto morendo di fame.
- Ehi fratello, sei pronto, sì? -
- Un attimo, arrivo -
- Sbrigati. A proposito, Fede viene vero? -
- Sì, viene -
- Ci sarà da divertirsi brò -
- Se glielo dici giuro che ti ammazzo, brò -
- Che paura, - mi fa una pernacchia - ti prego non picchiarmi -
- Stronzo. Andiamo, sono pronto -
Eccoci a casa di Antonio. Una bella casa, abbastanza grande, con un giardino davanti l'ingresso e una piscina sul retro. E' qui che ci riuniamo da... da che ne ho memoria. Ogni sabato che eravamo disponibili andavamo a casa sua, altrimenti andavamo al cinema.
Eravamo arrivati al cancello, suonammo il citofono proprio quando arrivò Federica accompagnata da sua madre. Stavo incominciando a sudare, respiravo a fatica, il mio stomaco che si contorceva su se stesso ed il mio cervello stava facendo le valige per non tornare finché avrei avuto Federica davanti ai miei occhi. Il cuore diventava sempre più grande, stava esplodendo, io stavo esplodendo. Alessandro si accorse quasi immediatamente di ciò che mi stava succedendo, così mi sussurrò
- Tranquillo brò, non le dirò nulla, però, cerca di controllarti, sembri sul punto di scoppiare -
Scoppiare? Chi? Io? Macché. Sua madre nel frattempo se ne era andata e Federica si stava avvicinando.
- Ciao Luca, ciao... -
Non le diedi il tempo di finire di salutarci che la stavo già stringendo tra le mie braccia: le mie labbra sulle sue, le mie mani sulle sue guance, il mio naso che si ubriacava del suo profumo e le sue braccia che penzolavano come in cerca di un sostegno senza riuscire a trovarne alcuno, finché, non trovò le mie spalle. Continuammo cosi per non so quanto tempo, ricambiandoci così tanti baci appassionati. Poi successe qualcosa: era Alessandro - Hai capito? Sveglia sto parlando con te! -  Era tutto frutto della mia immaginazione, un sogno ad occhi aperti.
Stava arrivando, era davanti a noi e decisi di provare, dovevo baciarla.
- Ciao Luca, ciao... -
Mai dimenticherò quell'istante, l'istante in cui assaporai le sue labbra, l'istante in cui sentì il suo odore, l'istante in cui accarezzavo i suoi stupendi capelli rossi, l'istante in cui mi allontanò con una piccola spinta, seguita da un grande e sonoro schiaffo. Non era quello che mi aspettavo, non era neanche quello in cui tanto speravo, non era quello che avevo immaginato insomma. Che dolore atroce. Non era tanto per lo schiaffo. Era qualcosa di più profondo e straziante che sembrava strapparti il cuore, gettarlo in un cestino e dopo averci cagato sopra esplodesse con botto sonoro, impossibile da ignorare neanche se fossi stato distante centinaia di kilometri.
Ci vuole tanto coraggio per comportarsi così, io ho avuto questo coraggio e come ricompensa ho provato un dolore che non si può comprendere se non lo si prova. Calò un silenzio di tomba, Alessandro in disparte incredulo con gli occhi spalancati. Io deluso e amareggiato in piedi davanti a lei. Federica, con la testa abbassata, una mano alla bocca e l'altra che la seguiva. Che immagine dolorosa porto nei miei ricordi. Finalmente Federica si fece coraggio e interruppe quel silenzio - Andiamo, ci stanno aspettando -
Alessandro e Federica entrarono ma io restai fuori per un po', solo con i miei pensieri, il mio dolore, il mio sconforto e la mia voglia di morire. Come posso entrare, tornare lì da tutti e fare finta non sia successo nulla? Non posso riuscirci, non sono il tipo. Ora che sarebbe successo? Avevo paura Federica abbandonasse la band o peggio, non mi parlasse più. Non avrei potuto sopportarlo.
- Che ne dici di entrare? - era Antonio, che idiota che sono, dovevano essersi preoccupati. In effetti erano passati più di venti minuti.
- Sì arrivo, ma vorrei stare solo un altro po' prima... -
- Che succede? Che cazzo succede perché non entri? Sembri sconvolto, posso aiutarti? - No. Ho bisogno di stare solo, arrivo fra poco -
- Okay Luca, ma ricorda: se hai voglia di parlare di qualcosa o qualcuno io ci sono, okay? -
- Grazie, me ne ricorderò - dissi io
Antonio tornò dentro, un po' scosso, un po' preoccupato e un po' perplesso.
- Ehi io... - Mi volto di scatto e la vedo, era Federica. Stava lì, con le mani unite poco sotto la cintola. Stava lì, immobile con la testa inclinata verso il basso e gli occhi intenti a fissare la punta delle scarpe.
 Stava lì, tanto imbarazzata.
Stava lì, tanto bella e perfetta a guardarsi che non puoi far'a meno di sorridere ammaliato da quella luce di cui risplende, ma non stavolta. Stavolta non sorrido, non ci riesco. Fa troppo male.
- Ehi... -
- Entri con me e gli altri? -
- Scusa, non... -
- Non scusarti, tocca prima a me: non avrei dovuto darti quello schiaffo. Sei una brava persona e soprattutto sei il mio migliore amico. Mi perdoni? -
Ero a bocca aperta, letteralmente. Non mi aspettavo che dovessi essere io a perdonare lei. Ma come posso dirle di no?
- Sì - risposi io
- Grazie -
Finalmente alza un po' la testa dopo essersi fissata così a lungo quelle scarpe. I lunghi suoi capelli le coprivano il viso e gli occhi, così li portò indietro con una mano rimettendo in mostra i sui bellissimi occhi. Di nuovo quella sensazione: il cuore che batte, batte così forte... il sangue che scorre nelle vene sempre più veloce... il cervello che non ha intenzione di farmi pensare a qualcosa da dire... le forze che se ne vanno, i muscoli tremano e hai paura che da un momento all'altro, senza poterti controllare, sverrai.
- Voglio dirti che io ti voglio bene, tanto. E' solo che... quello che sento per te non è la stessa cosa che senti tu. Spero che quest'episodio però non sia d'impaccio per la band e... e per la nostra amicizia -
- Ti voglio bene eh? Non credo esistano parole per... per dirti cosa provo quando vedo il tuo sorriso, quando ti sistemi i capelli o per quando tocco la tua pelle o sento il tuo profumo quando mi stai accanto. Okay, detto cosi magari posso apparire un po' come un maniaco, ma io ti amo da quando ti ho vista la prima volta a scuola -
- Sei molto dolce Luca, è una cosa che apprezzo di te però... non posso -
- Perché? - chiesi io
- E' meglio se non te lo dico - rispose lei scuotendo al testa come per dire: no! - Voglio saperlo! Devo saperlo ... non dormirei la notte se restassi senza un perché - dissi io.
- Mi piace un altro, scusa - disse lei con un filo di voce.
Ti prego no, dimmi che non è vero! Dimmi che è tutto un sogno! Dimmi che non c'è un altro! Dimmi solo che non mi ami ma non che c'è qualcun'altro. Già di per se è straziante non essere ricambiati, ma non dirmi che ti piace un altro.
- Chi? Chi è? - Il tono non era dei migliori è vero. Ero arrabbiato. Credo che un po' l'abbia spaventata, il mio tono.
- Non è importante, non potrebbe funzionare perché lui è già impegnato -
Si avvicina a me, mi poggia una mano sul braccio e mi da un bacio sulla guancia. Quali parole possono esprimere cosa provai in quell'istante? Quali parole possono rendere giustizia alle sue morbide e calde labbra? Quali parole possono descrivere quanto adori il suo profumo? Quali parole possono esprimere cosa provai quando mi guardò negli occhi con quell'espressione così triste e abbattuta che così tanto mi faceva star male? Quali parole possono esprimere quanto sia vellutata la sua pelle e quanto possano essere piacevoli le sue carezze sul mio viso?
- Dobbiamo entrare ora - disse lei.
Andammo nel giardino sul retro e vedemmo che erano tutti in piscina a fare tuffi con la palla. Io e Federica ci cambiamo e ci tuffammo con gli altri. Che dire? Federica è bellissima e vederla in costume è una tortura.
Dopo esserci asciugati e rivestiti ordinammo le pizze e ci sedemmo sul divano a guardare la tv. Ad un certo punto qualcuno telefona sul cellulare di mio fratello il quale si alza, esce in giardino e risponde. Pochi minuti dopo tornò a sedersi con un aria un po' triste e abbattuta.
- Sono di nuovo single - dichiarò lui
- Eh?! - Esclamammo tutti in coro
- Già, Giulia mi ha telefonato per dirmi che non mi ama più e le solite stronzate che si dicono in questi casi - spiegò lui
- Mi dispiace tantissimo - così Fede cercò di consolarlo - se c'è qualcosa che posso fare... beh, sai dove trovarmi -
In quell'istante suona il citofono, andiamo subito ad aprire; la situazione sentimentale di mio fratello viene dopo la pizza.
Attraversammo il corridoio che porta dal salotto all'ingresso. Le parete ricoperte di quadri e librerie, mobiletti con sopra diversi oggetti che, agli occhi di uno che non se e intende, sono di ottima fattura. Il pavimento di parquet sempre pulitissimo, in certi punti coperto da tappeti, tutti bellissimi. Arrivammo alla porta, demmo i soldi ad Antonio che pagò il conto. Appena si voltò verso di noi rimase sconvolto dalle nostre espressioni: bava alla bocca, pupille dilatate, narici più larghe del solito. Credo che questo sia il motivo che lo ha spinto ad urlare.
La pizza era squisita, la miglior cosa della serata fino a quel momento. Dopo aver finito mi alzai e avvertì gli altri che sarei andato fuori a "prendere una boccata d'aria". Passano pochi minuti che arrivò Alessandro. Io ero appoggiato al muro e fumavo la mia sigaretta del sabato sera. Solo Alessandro era a conoscenza di ciò.
- Una boccata d'aria, eh? -
- Già. Ho fatto una cazzata comportandomi così con Fede? -
- Ecco... dovevo parlarti di questo. Vedi, Federica è una bella ragazza, è... intelligente e... beh, non sei l'unico ad avere una cotta per lei - disse lui
Nell'esatto istante in cui finì di parlare lo fulminai con lo sguardo. Aspettavo che dicesse qualcosa come "ci sei cascato" o "ti prendo in giro brò", ma non arrivò.
- Sei serio? - chiesi io.
- Si fratello... -  Non gli lasciai il tempo di finire che gli diedi un pugno in pieno viso, dopodiché buttai la sigaretta e lo spinsi a terra. Gli salii sopra a cavalcioni, bloccandogli le braccia con le mie gambe e martellandogli la faccia con i miei pugni. Gabriele, Antonio e Federica corsero fuori appena sentirono alcuni strani rumori. Antonio e Gabriele mi sollevarono e mi allontanarono da mio fratello, non smisero per un secondo di chiedere cosa stesse succedendo. Federica intanto, con tanta premura, sollevava Alessandro da terra e lo portava dentro. Dopo aver preso fazzoletti e cercato di fermare il sangue che usciva dal naso. Antonio e Gabriele mi misero contro il muro e non smettevano di urlarmi e rimproverarmi per quello che avevo fatto. La verità è che al mio posto loro avrebbero fatto di peggio. Passato circa un quarto d'ora si convinsero ch'io mi fossi calmato e tornammo in salotto.
Mai i miei occhi videro qualcosa di più doloroso, più straziante.
Erano sdraiati sul divano, Alessandro stava sopra Federica, lei era senza la camicetta. Si baciavano e si toccavano a vicenda. Lui che le baciava il collo e lei che ansimava. Stavo impazzendo. Sentivo il bisogno di urlare, di gridare così forte da farmi sentire pure dai morti. Sentivo il bisogno di spaccare tutto, di fare a pezzi qualsiasi cosa mi capitasse a tiro. Sentivo lo stramaledettissimo bisogno di fare a pezzi mio fratello, ucciderlo e farlo soffrire, cagargli in bocca e prenderlo a bastonate. Ma non feci niente. Rimasi lì a guardarli disgustato, inorridito, turbato e soprattutto tradito.
Ad un certo punto Federica si accorse di me, di Antonio e Gabriele, si ricomposero e in fretta e cercarono di rivestirsi, ma non aveva importanza. Io ero già uscito da quella casa, ero già per strada e cercavo qualche automobilista di buon cuore disposto ad investirmi.
Mio fratello mi raggiunse mentre camminavo per strada, era solo.
- Fratellino ti prego... - disse Alessandro
- Non sono più tuo fratello, stronzo - dissi io
- Ti prego non fare così, non posso faci niente se Fede mi piace -
- Stronzo, a te non è mai piaciuta una ragazza come persona, l'unico motivo per il quale ti vedevi con Giulia era il suo culo! Non provavi niente per lei e l'hai illusa, quando si è accorta di che razza di bastardo immorale tu sia ti ha lasciato - urlai io
- Io... ti prometto che sarà diverso, la tratterò da regina, ti prometto che... -
- Non devi promettermi nulla! La tua parola vale meno dello sputo! Non hai mai neanche provato a mantenere una promessa. Io credo tu non sappia cosa significa provare emozioni. Sei solo un opportunista, uno stronzo, la tua testa è solo uno scroto contienente un cervello grande quanto un testicolo di opossum. Se avessi un minimo di rispetto nei miei confronti avresti almeno aspettato domani per dirmi che non puoi dire di no alla tua minchia. Tu, per me, sei morto -
Sono parole dure da dire al proprio fratello, ma non era nulla in confronto all'odio, la rabbia che provavo in quel momento. Continuai a camminare, gli dissi che se sarei tornato a casa non doveva aspettarmi sveglio. Lui tornò a casa di Antonio, io feci pochi metri e mi sedetti per terra sul marciapiede.

 

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Capitolo 3
*** Non mi va di scegliere un titolo al capitolo Pt.1 ***


Si stava facendo tardi: era già passata un ora, forse due. Il vento fischiava fra gli alberi, le foglie, i ramoscelli che sbattevano tra loro producevano un rumore insopportabile. Il freddo penetrava fin nelle ossa e una maglietta a maniche corte non è il massimo con quella temperatura. Fissavo le stelle, erano così belle, brillavano di una luce stupefacente. La luna era piena, le nuvole sparse per il cielo la coprivano però in parte, era davvero bella.
Se chiudevo gli occhi vedevo nuovamente Alessandro e Federica avvinghiati, tapparmi o meno le orecchie non serviva a nulla, continuavo a sentire lei che ansimava.
 - Ehi, hai dimenticato la giacca, qui fa freddino, tieni -
Presi la mia giacca, me la infilai e me ne andai. Federica però non mi mollava e teneva il passo.
- Ti prego, fermati! - disse lei.
- Fanculo - le risposi. Normalmente non le direi mai così, ma non ero in me. Non quella sera. Neanche nei giorni che vennero in seguito. Federica mi afferrò il braccio con forza e con altrettanta mi tirò a sé. Tutto d'un tratto sentì la guancia bruciarmi; un altro schiaffo. Questo però era diverso, trasmetteva qualcosa di diverso, aveva un altro significato. Il precedente era di stupore, paura. Per descrivere questo invece mi servirebbero anni. Ma, in breve: stava a dire "non puoi trattarmi cosi, sono venuta fin qui quando non è mai venuto in mente gli altri. Mi preoccupo per te" . Ma più di tutto ... più di ogni altra cosa voleva dirmi "Non andartene perché ho paura che se te ne vai ora farai così ogni volta che ci incontreremo; non voglio perderti perché ho bisogno di te come tu di me" .  
- Scusa, hai ragione - le dissi - Ti prego, ho bisogno di parlarti -  Aveva piegato il viso verso il basso, i capelli le coprivano gli occhi e il naso lasciando visibile, solo in parte, la sua bocca. Si portò le mani ai capelli e cominciò a scuotere la testa come perseguitata da un rumore, una voce insopportabile che la perseguitava finché... finché non si lanciò su di me abbracciandomi con così tanta forza che entrambi cademmo a terra. Proprio non mi aspettavo questo gesto da parte sua né tanto meno ciò che in seguito mi disse.
- Io ti voglio bene perché sei la prima persona dopo mia madre che mi rispetta e mi supporta a prescindere, che si fida di me e che mi chiede consiglio come se la mia opinione fosse decisiva e superi d'importanza quella di chiunque altro ma... io non provo le stesse cose che tu provi per me. Non voglio dirti quelle cose che dicono tutti come "tu meriti di meglio", è una scusa come un altra. Ti dico solo che ti auguro di essere felice e, vorrei che tu capisca che io sarò felice con Alessandro -
Mentre mi diceva queste cose le lacrime le uscivano dagli occhi, il suo viso premeva con forza contro il mio petto, i suoi lunghi capelli mi coprivano il volto e le sue braccia mi stringevano con più forza di quanta avrei mai creduto avesse a sua disposizione.
- Di quello che vuoi, non cambia il fatto che non vedo futuro felice, per me, se non ci sarai tu al mio fianco - Detto questo mi alzai, dopo alcuni minuti fissarci lei interruppe il silenzio.
 - Torniamo dentro, c'è freddo - mi disse
- Torna tu se vuoi, io camminerò un po' -  Detto questo mi allontanai, ma lei con uno scatto fulmineo si mise davanti a me impedendomi di proseguire, la guardai negli occhi, sembrava così abbattuta, così triste. Tesi la mia mano verso di lei aspettando che la stringesse con la sua. Invano.
- Vieni su, facciamo un passeggiata - le proposi Sembrava sul punto di mettersi a piangere. A quella vista mi sentii un po' stronzo a comportarmi così ma, ad un certo punto, un altro pensiero cominciò a passarmi per la testa, un altro punto di vista. Gli stronzi erano loro. Io volevo solo amare ed essere amato, è un errore? E' mia la colpa se sono deluso e terribilmente incazzato? E' mia la colpa se, per una volta che mi affeziono a qualcuno, puntualmente mio fratello mi porta via questa persona? E' sempre colpa di Luigi. Certo, chi altri sennò? Di scatto abbassai la mano e stavo per andarmene, però, Federica mi abbracciò ancora, e tra i singhiozzi e le lacrime mi disse
- No, ti prego! Torniamo dentro, non andare! Io... -
Ora basta!
- Ma che cazzo pretendi da me? Mi hai quasi ucciso! Tu e mio fratello... - gli occhi mi uscivano dalle orbite, le vene sul collo si gonfiavano e diventai tutto rosso in viso - Ora basta! Sai cosa? Non venire, io voglio solo passeggiare, è meglio se tu non vieni. Tornatene dentro e va a scopare con quel coglione di Alessandro. Non mi frega un cazzo di voi -
Detto questo me ne andai. Non mi voltai. Non ebbi alcun ripensamento. Nessun rimorso. Volevo stare da solo con i miei pensieri, avevo... avevo bisogno di pensare. Dopo alcuni metri credo si fosse messa a piangere, ma non importava. O almeno cosi credevo. Camminavo. Camminavo ma non avevo la più pallida idea di dove stessi andando, sapevo solo che volevo camminare. Il cielo era nero come la pece con alcuni tratti illuminati, erano le stelle. Adoro guardare il cielo con le sue stelle, le nuvole, la luna. Oggi no. Il cielo sembrava sussurrarmi qualcosa: non dovevo comportarmi così, avrei dovuto entrare con lei e parlare con mio fratello, però qualcun'altro mi sussurrava parole diverse. Camminavo. Pestavo delle foglie, smuovevo la terra. Loro invece mi dicevano che avevo fatto la cosa giusta. Non meritano né il mio perdono né i miei auguri di una vita felice. Dovevo trovare delle persone che non mi avrebbero tradito. Dicevano che essere arrabbiati è normale in simili circostanze. Dicevano anche che non ero abbastanza arrabbiato. Tutto d'un tratto, dentro me, sentii il bisogno di urlare, di prendere a pugni qualcosa e fare tutto a pezzi. Mi voltai di scatto, raccolsi un pietra da terra e la scagliai il più lontano possibile. Subito dopo incominciai ad urlare. Urlare. Con tutto il fiato che avevo in corpo. Ancora una volta sentivo qualcosa dentro me che mutava, incominciai a singhiozzare, incominciarono ad uscire delle lacrime. Mi sentii stanco e le mie gambe si piegarono. Ora stavo piangendo e i miei occhi erano fiumi in piena.
Dopo un ora stavo ancora piangendo, non avevo voglia di smettere, mi sentivo un po' meglio. Era come se quelle lacrime fossero il risultato di anni ed anni di cose non dette, ingiustizie non denunciate, emozioni represse, desideri accantonati, delusioni e sofferenze. Era come liberarsi di un enorme ed ingombrante macigno. Non avevo voglia di smettere.
Dopo un quarto d'ora, forse di più, le lacrime cominciavano a diminuire ed il freddo aumentava. Dovevo tornare a casa. Mi alzai e mi guardai in torno cercando di capire dove fossi finito. Mi voltai e ripresi a camminare.
Arrivai a casa circa due ore dopo, stavo gelando e mi colava il naso, per mia fortuna avevo le chiavi in tasca. Aprii la porta facendo attenzione a non fare il minimo rumore. Nessun imprevisto. Salii le scale e andai in camera mia per dormire, nella speranza di un domani più misericordioso nei miei confronti o di non svegliarmi.

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