The proposal.

di Patta97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. The proposal ***
Capitolo 2: *** 2. Understanding you ***
Capitolo 3: *** 3. The proposal (the true one) ***



Capitolo 1
*** 1. The proposal ***


Buonaseeera.
Premetto che, chi mi conoscesse già, sa che io e le long non andiamo d'accordo. Insomma, un giorno mi va di parlare delle pale eoliche e l'altro di hamburger vegani, la mia ispirazione è stabile quanto un grillo che batte i denti (metafora profonda, lo so) e ho il brutto vizio di lasciare le cose a metà. Ma, questa volta, dopo quasi un anno che non scrivo long, ho deciso di cimentarmi in questa, ispirata, come scritto nella descrizione, al film "The proposal", che so a memoria e che mi fa sganasciare dalle risate.
Ora, piccoli chiarimenti: cause di forza maggiore, Sherlock ha 30 anni, è irlandese ed è a capo della Consulting Company; John ha 35 anni, è scozzese (perché non gallese o inglese? because of reasons.) e, dopo aver fallito la carriera da medico, ha deciso di seguire il suo più grande sogno: diventare consulente investigativo! 
Okay, non sembra allettante vista così, ma ho visto prompt ancora più folli in giro (se prendiamo vari fandom e varie lingue), quindi sono perdonata. Spero.
Vi lascio a leggere, se vi va. Un bacio abnorme, buonanotte, vado a ripassare Cesare e Sallustio *ingoia insetticida con fare melodrammatico e depresso*,
Chiara 
 
 
 
 
 
 
 
 
 1. The proposal
 
 
- Sei un maledettissimo psicopatico! Non puoi… Non puoi licenziarmi! Io so, so perché lo stai facendo. Pensi non lo sappia?!
 
- Sì che lo penso e ho ragione…
 
- Ti vuoi solo fare bello agli occhi di Lestrade, perché sei intimorito da me!
 
- Oh, questa è interessante.
 
- Ma sai che ti dico?! Sei solo un dannatissimo mostro senza uno straccio di vita fuori da questo posto. E solo perché hai inventato questo schifoso lavoro credi di poter guardare tutti noi dall’alto in basso! Provo quasi compassione per te, perché vuoi sapere cosa avrai sul tuo letto di morte?! Niente e nessuno.
 
- Hai finito? Bene, allora ascolta con attenzione, Anderson. Non ti ho licenziato perché mi sento intimorito da te, no. Ti ho licenziato perché sei pigro, stupido, incompetente e passi più tempo a tradire tua moglie con Donovan di quanto tu non ne trascorra in ufficio. E se osi dire un’altra parola, John sarà costretto a sbatterti fuori a calci mentre tutti rideranno di te.
 
Anderson lo guardò allibito e ritornò con finta spavalderia nel proprio ufficio a raccogliere le sue cose. Uno sguardo gelido dell’altro e tutti ritornarono a lavoro nei rispettivi cubicoli.
 
- Signor Holmes, come cercavo di dirle prima…
 
- Parla, John.
 
- Lestrade la voleva nel suo ufficio.
 
Sherlock sbuffò, infastidito, imboccando il corridoio a destra.
- Vieni a chiamarmi tra cinque minuti con una scusa qualsiasi.
 
- D’accordo, signor Holmes.
John ritornò al proprio cubicolo, fissando attento l’orologio per non chiamare il proprio capo nemmeno un secondo dopo rispetto quanto stabilito. Ma squillò il telefono.
- Pronto? Ufficio del signor Holmes. Oh, ciao, Harry. Sì, so che la nonna compie ottant’anni questo weekend. Sì, credo di poter venire, se Holmes non mi sommerge di lavoro. Non sono il suo tirapiedi! Ho solo bisogno di quella promozione, questo lo sai anche tu... Ascoltami. È da quando sono bambino che sogno di fare il detective e, se le prediche di papà riguardo la Facoltà di Medicina non sono riuscite a fermarmi, non ce la farà nemmeno un sociopatico iperattivo con manie sadiche. Oh, per l’amor di Dio! Devo andare a chiamarlo, mi aveva detto cinque minuti! Ti richiamo, Harry e… No! Non sono il suo tirapiedi!
Rimise a posto il telefono e quasi volò per i corridoi, bussando infine alla porta di legno lucido con la targa “DI G. Lestrade”.
- Scusatemi, ma il signor Holmes è richiesto…
 
- Vieni qui, John. Ecco quello che ti dicevo, Lestrade. Non può essere come dici tu, perché io mi sto per sposare.
 
John guardò il proprio capo come se questi fosse impazzito.
- Con… Con chi? – chiese, confuso.
 
- Con te, ovviamente – affermò Sherlock con un sorriso stiracchiato e falso, quasi arpionando le spalle dell’altro con un braccio.
 
- Oh. Certo – asserì John, fingendo disinvoltura di fronte a Lestrade, che li guardava come si guarderebbe un mostro particolarmente strambo e brutto.
- Questo è meraviglioso e… inaspettato. Soprattutto dopo tuoi precedenti, ecco… pareri sulle relazioni sentimentali – disse il DI, cauto, come se temesse di offendere l’assistente consulente. - Ma se prima non mettete in regola tutto, il problema rimane, Sherlock.
 
- Ma non sono mica un alieno! Vengo dall’Irlanda, non dalla Luna!
 
- Lo so questo, anche se non ne sono del tutto convinto…
 
Sherlock sbuffò e si avvicinò alla scrivania, lasciando la presa sulle spalle di John, il quale sospettò si sarebbe ritrovato un livido dove prima stavano serrate le dita del suo capo.
 
- …Ma se non legalizzate, dovrai lasciare il paese e darò il tuo posto ad Anderson.
 
- Ma l’ho appena licenziato!
 
- Sherlock. Ho deciso così: sposatevi e tutto ritorna alla normalità.
 
- Va bene. D’accordo. Adesso io e John andremo all’ufficio immigrazione e risolveremo la cosa, alla svelta – concluse e uscì dall’ufficio come una furia.
 
- È stato un piacere, signore – mormorò John, filando via sotto il cipiglio un po’ divertito e un po’ compassionevole di Lestrade.
Trovò Sherlock già seduto comodamente nel proprio ufficio, le mani giunte e poggiate alle labbra.
Ci volle un po’ prima che si accorgesse di lui, impalato di fronte alla scrivania di vetro.
- Oh, John. Ci hanno chiamato per un caso?
 
- Non esattamente, no.
 
- E allora che vuoi?
 
- Lei ha appena riferito all’Ispettore Lestrade che noi due stiamo per sposarci.
 
- Problemi?
 
- In effetti sì, ne avrei qualcuno.
 
- Capisco: “non sei gay”.
 
- Già.
 
- Questo non è rilevante. Ti stavi conservando per qualcuna?
 
- Mi piace pensarlo, sì.
 
- A me piace pensare questo: se non accetti, verrai licenziato. Non da me, ovviamente, sarò già via. Ma Anderson prenderebbe le redini di questo posto e, prima di mandare a monte tutto questo lavoro dal basso della sua idiozia, ti licenzierebbe perché ce l’ha con te quanto con me dopo la scenetta di poco fa. Quindi tu accetterai, altrimenti i tuoi sogni di fare il piccolo detective svaniranno. E tutti quei casi ai limiti dell’assurdo, tutte quelle scartoffie e tutte quelle notti a correre dall’altra parte di Londra per venire a porgermi il cellulare o la penna… saranno state inutili.
 
John lo osservò allibito e impotente.
- Ma ci potrà essere qualcosa da fare! Suo fratello. Suo fratello Mycroft fa parte del Governo. Non può sistemare le cose?
 
- Mio fratello sa fare tre cose nella vita, John. Mangiare torte, scatenare guerre e avere il visto sempre fresco di stampa. Come vedi, togliermi dai guai non è di sua competenza, non più.
 
- Capisco. Antiche rivalità tra fratelli.
 
- No, non capisci. E non mi aspetto che tu ci riesca. Adesso andiamo.
 
- E dove?!
 
- Ma mi ascolti? All’ufficio immigrazione, John.
 
*
 
Appena entrati nell’edificio, John rabbrividì di fronte alla fila chilometrica che serpeggiava fino allo sportello. Questo prima di vedere che Sherlock la stava superando senza degnarla di uno sguardo per andarsi a piazzare di fronte all’impiegato, con lui che gli arrancava dietro tentando di farsi il più piccolo possibile.
L’uomo dietro il vetro sporco non fece una piega.
- Mi dica.
 
- Ho bisogno che mi compili questo visto di fidanzamento.
 
L’altro diede un’occhiata pigra al foglio per poi alzare lo sopracciglia, stupito, e lanciare un’occhiata a Sherlock. - Signor… Holmes?
Questi annuì, spiccio.
- Mi segua, prego – disse, uscendo da una porticina e guidando i due attraverso i corridoi stretti e le porte anonime. Si fermarono davanti a una di queste.
- Accomodatevi. Il signor Stamford arriverà a momenti – li informò, per poi tornare da dove era venuto.
 
John, cercando di mantenere la calma, si sedette su una della due sedie di alluminio di fronte alla scrivania in formica, occupata in ogni centimetro da scartoffie varie, tranne che per due spazietti utilizzati da un computer portatile e una lampada nera.
Sherlock, invece, rimase in piedi a scrutare tutto con uno sguardo di sufficienza.
 
- Buon pomeriggio – salutò l’impiegato, facendo il suo ingresso nella stanzetta claustrofobica e sedendosi sbrigativo dietro alla scrivania. – Scusate per l’attesa, ma oggi siamo davvero pieni.
 
- Non si preoccupi, la capisco – John sorrise debolmente.
 
- Benissimo. Avrei una domanda da farvi. State commettendo una frode per evitare che il signor Holmes venga espulso perdendo il proprio posto di lavoro come consulente investigatore alla Consulting Company?
 
Seguì una pausa carica di silenzio e tensione, dopo la quale, fortunatamente, Sherlock decise di calarsi in una parte gioviale - e finta.
- È ridicolo, davvero! Dov’è che l’ha sentita questa?
 
- Vedete, c’è stata…
 
- Oh, capisco. Una soffiata telefonica a nome di un certo Anderson?
 
- Esattamente.
 
- Le chiedo scusa per il comportamento di questo mio ex-collaboratore. Ma adesso, chiarito che questa non è altro che una bugia, potremmo passare alla procedura standard, dato che lei ha parecchio da fare oggi.
 
L’ufficiale sorrise, alzandosi con l’indice gli occhiali rotondi sul viso paffuto. – Si sieda, signor Holmes.
 
Sherlock si irrigidì. – Veramente io…
 
- Sarà ben che lieto di accettare il suo invito, sì – finì John, tirando l’altro per un lembo del cappotto finché non si fu seduto accanto a lui, rigido.
 
- Perfetto. Adesso vi illustrerò come si svolgerà il tutto…
 
- Mi sono informato. Prima ci metterà in due stanze separate e ci farà domande l’uno dell’altro che solo in una coppia si possono sapere. Poi andrà fino in fondo, controllando tabulati telefonici e consultando vicini di casa e amici… Piuttosto noioso e lungo, direi. Mettiamola così: se io dicessi di sapere che lei ha una relazione con la sua collega ventenne che lavora nello stanzino accanto, la stessa ragazza che è fidanzata col suo superiore, signor Stamford? Direi che si potrebbero evitare tutti queste noie burocratiche e…
 
- Ah ah. Lo scusi, signor Stamford – si affrettò a bloccarlo John, notando il colorito violaceo di chi gli stava di fronte. – Al mio… ehm… fidanzato piace scherzare con le sue abilità. Prego, ci dica come si svolge la procedura come se lui non l’avesse interrotta.
 
L’ufficiale smise di guardare Sherlock fra il cagnesco e il preoccupato e riprese a parlare, non senza una nota di cinismo. – Il signor Holmes ha detto correttamente. Ha omesso però che, se le risposte non combaceranno, lui verrà espulso dalla Gran Bretagna a tempo indeterminato e lei, signor Watson, avrà commesso un reato punibile con una multa salata e una detenzione fino a cinque anni.
John deglutì, le unghie che gli penetravano la carne del palmo delle mani.
- Allora, John. C’è qualcosa che mi vuole dire?
 
L’altro lanciò un’occhiata fugace a Sherlock, il quale rimaneva impassibile, per poi riportare lo sguardo sull’ufficiale, che adesso sembrava divertirsi un mondo. Decise in fretta.
- Signor Stamford. La verità è che… Sherlock e io non abbiamo parlato a nessuno della nostra relazione a causa della grossa promozione a consulente investigatore, suo socio e pari, che sto aspettando. Noi abbiamo pensato fosse inopportuno che io venissi promosso mentre eravamo, sa… coinvolti sentimentalmente.
 
- Ah, capisco. Almeno le famiglie sono state informate del vostro “amore segreto”?
 
- Io non ho famiglia. Solo mio fratello è in vita e non parliamo mai di queste… cose – Sherlock si morse la lingua prima di dire “sciocchezze”.
 
- Anche lei è in possesso di fratelli così interessati? – ironizzò Stamford.
 
- Beh, mia sorella Harry…
 
- Sorella?! – Sherlock lo interruppe col suo borbottio per poi continuare al posto suo. – Comunque no, non sono informati nemmeno lei e suo padre. Ma la sua cara nonnina compie ottant’anni e noi andremo da loro, nel weekend, a dare il lieto annuncio.
 
- Bene. E dove andrete?
 
- Nel paese d’origine di John, ovviamente. In Scozia.
 
Stamford si mostrò interessato. – Scozia, sì. E quale parte della Scozia, signor Holmes?
 
Sherlock si irrigidì. – È il tuo paese d’origine, John. Perché non ne parli tu? – sollecitò l’altro.
 
John, che stava ridendo sotto i baffi alla vista di un alquanto raro - se non unico - “Sherlock Holmes che tentenna”, si riscosse.
– Dartmoor. È un ridente villaggio di fronte l’arcipelago delle Shetland.
 
- Capisco. Perfetto, allora… - scribacchiò qualcosa su un post-it giallo e si alzò dalla sedia, porgendolo a John. – Vi do appuntamento lunedì mattina alle undici. Spero che le risposte combacino - socchiuse gli occhi con aria di sfida.
 
- Combaceranno – sorrise Sherlock affabile, annodandosi la solita sciarpa blu al collo e uscendo immediatamente.
 
- Arrivederci – salutò John per entrambi, seguendo l’altro fuori dalla stanza.
 
Il suo capo lo stava aspettando fuori l’edificio, accanto alla porta scorrevole.
- Dunque, faremo così – iniziò a spiegare mentre camminava. - Andremo a Dartmoor, ci fingeremo fidanzati e diremo che stiamo per sposarci. Occupati tu dei biglietti e, mi raccomando: prima classe. Non voglio capitare di nuovo vicino a un bambino che frigna per tutto il volo per motivi inutili come mangiare o bere o… John, mi stai ascoltando?
 
L’assistente, tra lo scosso e l’incredulo, smise di camminargli dietro e gli puntò l’indice contro.
- Ma ha sentito quello che ha detto? Potrei dover pagare una multa di non so quante sterline e finire in galera per cinque anni!
 
- Ma ti prospetta una promozione, davanti. Direi che avrai anche tu dei vantaggi dopo il tuo insulso stratagemma, mio “socio e pari”.
 
Rimasero per un attimo a fissarsi nel mezzo della piccola isola pedonale, la gente indaffarata che passava loro accanto donandogli spallate involontarie fra la calca.
 
- Va bene. Okay, lo farò. Ma a una condizione.
 
- Un’altra, bene – sbuffò Sherlock, sarcastico.
 
- Me lo devi chiedere – rivelò John, passando al “tu” senza rendersene conto.
 
- Non dirmelo. Vuoi cercare di umiliarmi nel bel mezzo di Londra facendomi recitare una tanto sdolcinata quanto finta proposta di matrimonio?
 
L’altro annuì, sorridendo, facendo andare il proprio sguardo dal marciapiede al volto di Sherlock.
- Sto aspettando.
 
Sherlock chiuse gli occhi per un attimo, pregando che le telecamere a circuito chiuso di suo fratello fossero puntate in qualsiasi posto che non fosse lui o ciò che stava per fare. Si inginocchiò di fronte a John a schiena dritta e con le braccia lungo i fianchi, le mani che reggevano l’orlo del cappotto in modo che non sfiorasse terra sporcandosi.
- Sono in ginocchio davanti a te per non farti pesare la nostra differenza di altezza. Mi dispiace solamente non poter fare nulla per farti sentire più intelligente, oltre che più alto. E adesso ti chiedo, John Hamish Watson, amore mio, unica ragione della vita che non ho, vorresti diventare il mio adorato marito?
 
L’assistente lo fissò sardonico dall’alto, non scalfito dalle offese.
- Sì – disse infine, quando fu certo che le ginocchia dell’altro avevano iniziato a far male. – Non ho apprezzato molto il sarcasmo, ma va bene. Ci vediamo domani in aeroporto – disse a mo’ di saluto, avviandosi. – Ti mando per e-mail gli orari del volo!
 
- Ti ringrazio – commentò acidamente Sherlock quando l’altro era ormai lontano, alzandosi da terra, spolverandosi il cappotto e iniziando a camminare dalla parte opposta.
 
*
 
Quando il segnale di tenere le cinture allacciate si spense, John prese dalla propria borsa di pelle a tracolla un fascicolo foderato in blu, iniziando a sfogliarlo.
- Perfetto – annunciò dopo qualche minuto. – Direi che so rispondere alla maggior parte di queste domande su di te, se non a tutte… Tu dovrai sfruttare al meglio un’ora e venti di volo e i prossimi quattro giorni, nonché appigliarti a tutte le tue “abilità deduttive”, per fronteggiarne almeno la metà.
 
Sherlock, il quale fino a un momento prima stava guardando fuori dal finestrino, sicuramente riconoscendo ogni singolo paesino che sorvolavano, gli strappò improvvisamente i fogli dalle mani.
 
- Ma prego… - borbottò l’altro, anche se abituato.
 
- Saprò sicuramente rispondere a tutte queste domande – sentenziò, dopo aver lanciato una rapida occhiata al fascicolo e gettandolo malamente in grembo a John.
 
- A tutte, eh? Che musica mi piace? Che libri leggo? Che telefilm guardo? Come è morta mia madre?
 
Sherlock rimase in silenzio, incerto.
 
- Vedi, la tua “scienza della deduzione” non può nulla contro questo.
 
- E tu invece sapresti rispondere a queste stesse domande su di me?
 
- Credo proprio di sì.
 
- Che musica mi piace?
 
- Hai un violino a casa, quindi direi classica.
 
- Che libri leggo?
 
- Chimica, anatomia e anche filosofia: la tua libreria ne è piena. Nessun romanzo, specialmente se storici, o riviste di alcun genere.
 
- Che telefilm guardo?
 
- Polizieschi, per predire il colpevole prima dei detective. Ti ho trovato un sacco di volte appollaiato su quella tua poltrona a farlo, quando vengo a porgerti il cellulare che sta nella tua tasca.
 
Sherlock lo squadrò, quasi oltraggiato e con addirittura il fiatone per il veloce botta e risposta.
- Perfetto, allora. Come è morta mia madre?
 
Toccò a John rimanere senza parole. - Questo non posso saperlo!
 
- E mio padre, allora?
 
- È la stessa cosa! Queste sono cose che, se non me ne parli tu, sono impossibili per me da sapere.
 
- Beh, se sei così saputello sul mio conto, dovresti conoscere anche queste risposte, John – concluse l’altro con un sorrisetto soddisfatto, sistemandosi meglio sul sedile, facendo aderire la schiena. – Adesso fammi trascorrere il volo in pace.
 
- Benissimo – commentò John a denti stretti, anche se felice di aver battuto Sherlock Holmes in astuzia. Quasi subito, l’assistente si assopì, il capo reclinato all’indietro sul poggiatesta del sedile.
Dopo una quantità indefinita di tempo, si sentì scuotere la spalla sinistra prima piano, poi con ben poco garbo. Aprì gli occhi e trasalì, trovando il volto del proprio capo accigliato e a pochi centimetri dal proprio.
- Sherl… cioè, signor Holmes… Cioè. Cosa succede?!
 
- Non me lo hai chiesto, però.
 
- Chiesto cosa?!
 
Sherlock sbuffò. – Quando eravamo all’ufficio immigrazione, ieri, hai detto “mia sorella Harry” e io ho esclamato “sorella?!”, ma tu non mi hai chiesto spiegazioni.
 
John lo guardò come se fosse ammattito, prima di rendersi conto di quanto l’altro fosse serio.
- Bene. Perché hai esclamato “sorella?!”?
 
- Pensavo avessi un fratello. La prima volta che ci siamo visti, al tuo colloquio di lavoro, oltre ad aver dedotto i tuoi precedenti studi alla Facoltà di Medicina dal tuo modo di parlare e che vivessi lontano dalla tua famiglia in Scozia dal tuo accento e dal modo in cui era stirato il colletto della tua camicia… Ho anche pensato tu avessi un fratello, alcolista, tra l’altro, perché il tuo cellulare ha squillato e mi hai chiesto il permesso di rispondere. Cosa alquanto insolita che, primo, tenessi il cellulare acceso durante un colloquio talmente importante per te e che, secondo, invece di scusarti e spegnerlo in fretta, chiedessi addirittura di rispondere. Una fidanzata, pensai? Sicuramente avresti terminato la chiamata per poi farti perdonare dopo, quindi certamente no. Un fratello, magari. Cosa che confermai quando, alzandoti ed avvicinandoti alla porta, sentii le tue parole “Harry, tutto bene? Il medico ti ha prescritto il Naltrexone?”. Quest’ultimo farmaco, come di certo saprai, è suggerito agli alcolisti, in quanto riduce drasticamente il desiderio di bere. Ora, tua sorella è un’alcolista?
 
- Ex. Ex alcolista.
 
- Quindi, come vedi, avevo ragione tranne che sul sesso e, adesso che ho soddisfatto la tua curiosità, potresti chiarire la mia? In quale mondo bigotto dei genitori dovrebbero chiamare loro figlia Harry, nome prettamente maschile?
 
- “Harry” sta per “Harriet”. È un diminutivo.
 
Prima che Sherlock potesse ribattere, la voce melensa dell’assistente di volo squillò dagli altoparlanti. “Avvisiamo i gentili passeggeri che l’atterraggio all’aeroporto di Inverness è previsto tra dieci minuti. Vi preghiamo di ritornare ai vostri posti e di allacciare le cinture. Le temperature a terra sono di circa 5 °C…”
 
- Inverness? La nostra meta non è Dartmoor?
 
- A Dartmoor non ci sono aeroporti – chiarì John. – Dovremo arrivare a Inverness e poi prendere un treno fino a Thurso.
 
- Oh, ma certo… - borbottò l’altro. – Ah, e comunque: se qualcuno te lo chiede, andremo a vivere da me.
 
- Perché?
 
- Perché tu vivi in un monolocale in subaffitto a Wembley e io in un attico al 221B di Baker Street, mi sembra logico. E adesso allaccia la cintura, non hai sentito la hostess?
 
*
 
Durante le prime due ore di viaggio in treno, Sherlock si chiuse dentro la sua solita trance riflessiva e poi trascorse i restanti sessanta minuti rivelando via messaggi a Lestrade le soluzioni del loro ultimo caso, le dita che scorrevano velocissime sulla tastiera dell’iPhone.
John ne approfittò per pensare davvero a quello che stava facendo: lui non era gay. E stava per portare a casa da sua sorella, sua nonna e suo padre il proprio capo, spacciandolo per la sua nuova ed impellente passione amorosa con cui sta per sposarsi. Sua sorella non era un problema, in fondo: lei aveva dichiarato la proprio omosessualità alla famiglia da quando aveva quindici anni e nonna Hudson… diciamo che era molto liberale per queste cose. Il vero problema era suo padre, il quale si era chiuso a riccio dopo il cancro e la successiva morte della madre di John, dieci anni prima. L’assistente consulente non era del tutto certo di quanta approvazione avrebbe ricevuto da lui, una volta arrivato a casa.
Il treno si fermò sferragliando alla stazione e John guardò fuori dall’ampio finestrino, trattenendo a stento una risata: la nonna e Harry saltellavano sulla banchina, tenendo in alto un piccolo cartello con su scritto “Ben tornato, Johnny” a caratteri cubitali.
Recuperò la propria valigia dalla rete sopra i sedili e diede un colpo al braccio di Sherlock per farlo scuotere, per poi catapultarsi fuori dal vagone con un sorriso enorme e sincero sul volto.
Harry lo stritolò in un veloce abbraccio e lui fu felice di non sentirle addosso nemmeno un vago sentore di alcol. Fu poi il turno di nonna Hudson, la quale gli scompigliò i capelli, affettuosa.
- Quindi? Dov’è il tuo fidanzato? – chiese la ragazza. – Che poi, detto fra noi, Johnny, ma ti ho sempre detto che secondo me eri gay… E poi ovvio che gli facevi da tirapiedi! Eri innamorato di lui! Oh, sei così dolce, fratellino!
 
- Smettila di blaterale, Harriet. Di’ un po’, tesoro. È carino?
 
- Nonna! …Allora, John. Lo è? E’ carino? Non mi hai mai mandato una sua foto e quelle su internet sono così sfocate… Oh, eccolo!
 
In effetti, Sherlock aveva sceso le scale di ferro del treno e stava incedendo verso di loro.
- Per tutte le rape, se è carino! – commentò la nonna, ammirata.
 
- Fratellino, sto pensando di diventare etero solo per lui. Senza offesa eh, anzi è un complimento…
 
- Buon pomeriggio – salutò Sherlock, algido come sempre, ma sforzando il proprio volto in un leggero sorriso.
 
- Oh, ha il fascino del bel tenebroso. E che voce, tesoro! Non oso immaginare quando…
 
- Sì, nonna, ho capito! – John interruppe immediatamente i sussurri della donna al proprio orecchio, sorridendo poi all’altro che stava impalato e confuso di fronte a loro.
 
Ma nonna Hudson insistette. – Come dobbiamo chiamarti, caro? Psicopatico iperattivo? Strambo maniaco? Oppure…
 
- Sociopatico, non psicopatico. E comunque “Sherlock” andrà più che bene – la fermò il consulente, lanciando poi un’occhiata truce al proprio assistente.
John, allora, batté le mani per dissimulare l’imbarazzo e rivolse un sorriso enorme alla sorella e alla nonna.
– Bene! Dov’è la macchina?
 
*
 
Il tragitto in macchina fu silenzioso dopo i numerosi e vani tentativi di Harry di intavolare qualche conversazione. Sherlock si era limitato a rispondere a monosillabi – inspiegabilmente anche di fronte a domande elaborate e contorte – per poi ritornare taciturno, guardando insistentemente la brughiera o le valli o i pascoli fuori dal finestrino.
John pregò che si dimostrasse più cordiale davanti a suo padre, il meno disposto di tutti ad accettare quella storia. Dopo un po’ di pianura e campagna desolate, l’assistente consulente riconobbe il familiare paesaggio delle casette periferiche di Dartmoor. Percorsero tutta la strada principale del paesino, sfilando accanto agli edifici.
E fu guardando i nomi dei negozi che Sherlock capì che la famiglia di John possedeva tutte quelle attività commerciali e forse il paese stesso. Lesse l’ennesimo “Watson’s Burger” ed afferrò il cellulare dalla tasca del cappotto, non riuscendo più a trattenere il proprio disappunto.
John sentì il telefono vibrare contro la coscia e lo prese. Si accigliò vedendo il nome del mittente.
- Sei serio?
 
L’altro si portò un indice alle labbra per intimare silenzio e fece un cenno col mento verso l’apparecchio dell’assistente. L’aspirante consulente sospirò rassegnato e lesse il messaggio.
 
Non mi avevi detto di essere ricco. Nessun indizio che confermasse una tesi del genere. Pensavo fossi povero. –SH
 
Dovrò pur mantenere qualche segreto, almeno fino alla prima notte di nozze.
 
Sherlock ripose il telefono e sbuffò, infastidito.
Fortunatamente, superate le case, il viaggio non durò molto ancora e Harry spense la macchina in un parcheggio ghiaioso a qualche metro da quello che sembrava un ranch per cavalli.
John avvicinò un ragazzo che era venuto loro incontro.
- Henry, ciao! Quanto tempo! – salutò, stringendogli la mano e dandogli una pacca sulla spalla.
 
- John! – sorrise l’altro di rimando.
Sherlock si accorse che aveva strani tic alle mani e respirava in maniera irregolare e pesante: sicuramente qualche trauma legato all’infanzia.
 
- Ci prepari un calesse?
 
- Subito! Prendo il vecchio Hound.
 
Il consulente investigativo si avvicinò all’assistente. - Hound?
 
- Un cavallo.
 
- Questo l’avevo dedotto. Ma perché dovremmo andare in calesse a casa tua?
 
- Vedi laggiù? – John indicò un punto lontano col braccio teso.
 
- Certo che no. C’è la nebbia.
 
- Beh, casa mia è lì, sulla scogliera. Mio padre non ha voluto costruire strade per arrivarci, solo i cavalli. Mia madre li adorava.
 
Henry ritornò tenendo per le briglie un cavallo nero con gli occhi iniettati di sangue. Harry gli fece un buffetto sul muso lungo, prima di aiutare il ragazzo a legarlo ad un calesse di legno lì vicino, con aria esperta.
 
- Allora, piccioncini? Andiamo? – sollecitò nonna Hudson, arrampicandosi sul sedile come se stesse per compiere vent’anni e non ottanta.
Sherlock e John si riscossero dalla contemplazione della nebbia perlacea e si sedettero a loro volta sulla panca posteriore, mentre Harry prendeva posto accanto alla nonna dopo aver dato una mano all’artiere a caricare i bagagli dal cofano dell’auto al monta pacchi sul retro del carro.
- Henry, tu non ci raggiungi alla festa?
 
- Mi piacerebbe, ma ho tanto da fare qui e…
 
Il consulente smise di ascoltarlo, venendo improvvisamente colto da un velo di panico, e afferrò con rinnovata foga il cellulare dal cappotto.
John, scorto il movimento con la coda dell’occhio, prese il proprio ancora prima che vibrasse.
 
Chi aveva parlato di una festa? Non sono pronto a conoscere tutti i tuoi ridicoli parenti e amichetti delle medie. –SH
 
Tralasciando gli insulti, non ne sapevo nulla nemmeno io. Sarà stata un’idea di Harry per il benvenuto.
 
Almeno servirà per dire a tutti che sei gay e stai per sposarti con me. –SH
 
Ogni cosa a suo tempo. 

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Capitolo 2
*** 2. Understanding you ***




Ciao!
Ebbene sì, sono anche riuscita a partorire un secondo capitolo (e credo ne avremo per altrettanti). Mentre scrivevo ho riso con le lacrime e spero di strappare anche a voi un sorrisetto - anche perché, se conoscete il film, sapete che adesso ne succedono di tutte i colori! Purtroppo, ho dovuto tagliare qualche scena e rimaneggiarne altre, cause di forza maggiore. Spero vi piaccia, anche perché, sinceramente, non mi aspettavo tutti questi consensi per il primo capitolo!
Con un grazie di cuore e un mega virtual hug,
Chiara







 
2. Understanding you


Il calesse partì adagio quando Harry diede una scrollata amichevole alle redini. Sherlock, nonostante l’imminente ed inaspettato sforzo della festa, sfruttò quel breve tratto per guardarsi attorno per quanto la nebbia lo consentisse. Gli arbusti erano bassi e si sentiva lo scrosciare del mare poco lontano; si respirava l’aria tipica della brughiera: quella che, si dice, faccia ingrassare e diventare rosei e sani. Il sentiero era stretto e le ruote del carro uscivano appena fuori dal suo percorso, urtando e calpestando sassolini e rovi, facendolo molleggiare in maniera rilassante.
Poi, gli occhi azzurri ed annoiati scorsero la casa: si capiva come accostasse segni antichi a moderni, come travi di legno - visibili già dall’esterno - ad ampie vetrate a giorno che davano su un classico giardino all’inglese, con l’erba corta tagliata di fresco.
Il calesse si fermò in uno spiazzo di ghiaia, dove ne erano stati parcheggiati parecchi altri.
Harry e nonna Hudson si trattennero per portare il cavallo nero in una stalla lì accanto, mentre John e Sherlock trascinarono i propri bagagli fino a uno sgabuzzino esterno alla casa, dove li riposero.
- Verremo a prenderli dopo la festa – spiegò John. – Adesso… cerca di fare il simpatico o almeno di levarti di dosso quell’espressione di superiorità. Non sarà così male.
Appena misero piede nell’ampio ingresso della casa, però, anche l’aspirante consulente si ritrovò a trasalire inorridito.
- Dannazione. Mia sorella ha invitato tutta la maledetta Dartmoor.
 
Sherlock si riprese dall’orrenda visione di famigliole e parenti sorridenti che passeggiavano o si rifornivano da un enorme buffet freddo.
- D’accordo, John, dobbiamo pensare in fretta. Non possiamo uscire dalla porta, dato che almeno due o tre persone ci hanno visto, ma c’è la possibilità che, se ci rifugiamo in una stanza e scappiamo dalla finestra, aspetteranno qualche ora prima di venirci a cercare.
 
Il suo sguardo era tremendamente serio e John si ritrovò a ridere.
- Okay, se prima avevo qualche dubbio, adesso so per certo che dobbiamo farlo.
 
- Ma John, ragiona! Dobbiamo agire da coppietta felice di fronte a tutte queste… persone.
 
- Dov’è il problema? Posso farlo tranquillamente. Fingere di essere perdutamente innamorato è facile, per me, e tu, grande detective? Riuscirai ad abbassarti a meri sentimenti?
 
- Molto spiritoso, John, ma…
 
- John caro!
Il biondo scomparve improvvisamente fra delle ampie braccia.
Quando riemerse, era rosso in volto come i capelli della donna che lo aveva appena assalito.
- Signora Morstan! E signor Morstan, quanto tempo! – strinse la mano al marito della donna, fin troppo alto e mingherlino rispetto a lei.
 
- È una gioia rivederti! – sorrise la signora Morstan, poi posò lo sguardo su Sherlock, il quale aveva osservato la scena con una smorfia simile a un sorriso. – Lui è il tuo…
 
John prese un respiro profondo prima di presentarlo.
- Oh, sì, lui è Sherlock, il mio… ehm… ragazzo.
 
- È una gioia – ripeté la donna.
 
- Beh, ragazzo mio, mi sono sempre chiesto quale sia esattamente il lavoro di un consulente investigatore! – esordì il signor Morstan dopo una pausa di lieve imbarazzo.
 
- Bravo, una gran bella domanda, Robert, me lo sono sempre chiesto anch’io.
 
- Papà – salutò mestamente John a quella che sembrava la copia più alta e vecchia di lui.
 
- Ciao, John. E lei deve essere Sherry – continuò l’uomo, gli occhi blu socchiusi, porgendo la mano a Sherlock.
 
- Sherlock – disse automaticamente l’altro, stringendo brevemente la mano del “suocero”.
 
- Allora, perché non ci dici esattamente cosa fa esattamente un consulente investigatore, oltre a sostituire i poliziotti e correre per tutta Londra dicendo cose assurde e senza senso.
 
- Mi sembra divertente! – la signora Morstan provò a stemperare la tensione con un risolino forzato. – Non mi stupisca che ti piaccia farlo, John!
 
- Oh, no no no – rettificò il signor Watson, dando una pacca sulle spalle del figlio, il quale stava ritto e a pugni stretti. - Lui non è consulente, lui è l’assistente di un consulente. Qui è Sherry il consulente, anzi, è stato proprio lui a inventare questo utilissimo lavoro.
 
- Sherlock – lo corresse nuovamente il moro, a denti stretti.
 
- Ah, quindi tu sei il capo di John – realizzò il signor Morstan, prendendo un sorso di punch dal calice che aveva in mano.
 
Il signor Watson sorrise soddisfatto e si allontanò dal gruppetto, seguito a ruota dal figlio.
 
- Grazie per la bella accoglienza.
 
- Ti presenti dopo tre anni e vengo a sapere che adesso ti porti a letto il tuo capo - un uomo, John - e ti aspetti striscioni di benvenuto? Non credevo arrivassi al punto di fingerti frocio e usare il materasso per raggiungere una promozione in un lavoro così stupido anche solo da pronunciare. Lasci una rispettabilissima università di medicina, insegui un sogno idiota e arrivi qui - in casa mia! - con un tizio che spacci per tuo… ragazzo?! Sei una delusione, John.
 
Il biondo ascoltò il discorso rabbioso del padre in silenzio, le labbra così strette da diventare un alinea sottile, poi sorrise con aria di sfida.
- Quell’uomo – e si voltò per indicare a braccio teso Sherlock, poco lontano e a disagio più che mai. – È considerato una delle menti più brillanti del millennio e ha creato un lavoro dal nulla, fondando un’accademia e un’azienda che ogni anno formano detective di alto livello. Ha ridotto la criminalità inglese - che dico, di tutta la Gran Bretagna! - del cinquanta per cento e tutti noi gli dobbiamo qualcosa. Non c’è da stupirsi se io mi sia innamorato di lui dal primo istante, decidendo di capovolgere tutto quello in cui credevo - persino me stesso - e stia programmando di sposarlo al più presto.
 
- Che hai detto?!
 
- Hai sentito bene.
John si allontanò dal padre con passo quasi militare e si piazzò nel bel mezzo del salotto, dove stavano più persone.
- Ehi? Salve a tutti! Avrei un annuncio da fare! Sherlock e io stiamo per fidanzarci!
La folla smise di fare tutto ciò che stava facendo e lo fissò, incredula. Solo Harriet e nonna Hudson, accomodate sul divano, batterono brevemente le mani, estasiate nel silenzio generale.
Seguendo il loro esempio, man mano anche gli altri applaudirono e si congratularono.
Sherlock fece capolino dalla porta, bianco in volto più del solito.
- Forza, tesoro! Non fare il timido – lo incitò John, tendendo le braccia verso di lui.
 
Il consulente si avvicinò e si lasciò stringere brevemente.
- Sbaglio o avevi detto “ogni cosa a suo tempo”?
 
- Il tempo era questo, evidentemen… Mary.
 
- Come?
 
- Mary, ciao! – ripeté John, stringendo fra le braccia una ragazza coi capelli rossi e grandi occhi verdi, in un abbraccio decisamente più caloroso e lungo rispetto a quello in cui aveva coinvolto il capo un attimo prima.
Sherlock socchiuse gli occhi, iniziando a dedurre a più non posso sulla rossa, apparentemente la giovane più dolce e innocente che esistesse al mondo.
- Non sapevo fossi tornata.
 
- Ho preso delle ferie dal lavoro, sai. Comunque, credo che saremmo troppo maleducati se…
Incontrò lo sguardo calcolatore e truce di Sherlock.
 
- Oh, ma certo! Sherlock, lei è Mary Morstan la mia...
 
- Ex – sorrise fintamente affabile l’altro.
 
- Sì, lo è. In effetti, questa situazione è un po’…
 
- Imbarazzante? – continuò Sherlock.
 
- Stavo per dire “strana”, ma comunque.
 
- Non preoccuparti, Sherlock! Con John eravamo troppo amici ed evidentemente mancava quel qualcosa in più. Ormai è tutto tuo, lo può capire chiunque – chiarì Mary, tranquilla.
 
- …Davvero? – domandò John, stranito.
 
- Certamente! Invece… mi sono persa il racconto?
 
John la guardò confuso.
 
- Credo stia parlando del racconto di come tu ti sia dichiarato a me, John. E suppongo che nessuno sarà contento di ascoltare che io mi sia inginocchiato su un marciapiede di fronte a un ufficio immigrazione, vero?
 
Mary scoppiò in una risata argentina.
- Sei proprio spiritoso! Su, andiamo, tutti lo vogliono sapere, no? – chiese alzando il tono di voce.
 
Nonna Hudson ammiccò dal divano.
- Ma certo! Il mondo in cui uno lo chiede dice molto sul suo carattere!
 
- In effetti mi piacerebbe tanto sapere come glielo hai chiesto! – incalzò Harry.
 
Dalla folla su divani e poltrone si alzò un piccolo coro di “dai, sì!”, “che bella idea!” e John sentì il terreno mancare sotto i propri piedi. Avrebbe dovuto combattere le frecciatine che Sherlock… Gli venne un’idea e sorrise, poggiando amorevolmente una mano sulla schiena del moro.
- Sapete, in realtà è Sherlock che adora raccontare questa storia.
 
Se prima il detective era sbiancato, adesso sembrava un fantasma.
Tutti lo guardavano speranzosi ed attenti e con un sorriso stampato in faccia. Gli veniva da vomitare.
- Da dove cominciare…!
 
- Non saprei, tesoro, da dove ti viene meglio – sorrise affabile John.
 
E Sherlock iniziò la propria lenta vendetta.
- John… John e io stavamo per… festeggiare il nostro primo anniversario insieme e sapevo che lui moriva dalla voglia di dichiararsi ma non aveva il coraggio. Stavo deducendo già tutto quello che voleva dirmi e lui non aveva ancora aperto bocca…
 
- Beh, non è propriamente andata così…
 
- Ah, no?
 
- No. Quasi per niente. Ovviamente sapevo cosa dire, solo che stavo cercando di distrarlo con la mia apparente timidezza, per non fargli capire dove cercare la scatolina che…
 
- Oh, giusto! La scatolina che il dolce John aveva decorato con tanti piccoli cuoricini e foto di se stesso miniaturizzate… Sapete, non sarà bravo ad investigare ma a ritagliare con le forbicine non lo batte praticamente nessuno! E quando l’ho aperta dentro c’era un…
 
- …Un biglietto. Con dentro degli indizi per raggiungermi, in una camera del Savoy. Dove avremmo dovuto… sapete.
 
Si udì un coro di approvazione dai prima increduli ex-compagni di rugby di John, in un angolo.
Sherlock non poteva sopportarlo.
- E fu allora che gli dissi di smetterla di comportarsi da donnetta sentimentale e di darmi l’anello.
 
- …Sì, beh, e ovviamente io…
 
- Scoppiò a piangere. Sapete, aveva organizzato tutto così bene… Ma, dato il suo innato istinto al soddisfarmi in tutto e per tutto, mi disse…
 
- ‘Sherlock, vuoi sposarmi? Sì, davvero? Grandioso!’ Ed ecco qua.
Tagliò corto John con un sorrisetto omicida rivolto al proprio capo.
 
Nonna Hudson allungò una mano e gli strinse il braccio, affettuosa.
- Oh, Johnny! Cuoricini! Come sei sensibile, caro.
Si levò un “awww” di approvazione dalle donne presenti.
 
- Ci vorrebbe un bacio, adesso! – esclamò Harry, bevendo un sorso di champagne con una faccia fin troppo felice.
 
Sherlock, il quale stava ancora sospirando di sollievo per l’ostacolo appena superato, trasalì nuovamente di fronte all’imminente - e disgustoso - pericolo.
John era diventato rosso quanto il maglione che aveva addosso.
- Harry, non credo sia il caso…
 
- Oh, ma andiamo, ragazzi! – urlò qualcuno.
 
- John. Baciami e facciamola finita – sussurrò Sherlock, muovendo impercettibilmente le labbra.
 
- Sherlock…
 
- Baciami.
 
- Okay, dannazione.
John si alzò in punta di piedi e lo baciò brevemente, senza sfiorare una sola parte del corpo dell’altro che non fossero le labbra.
 
- Ragazzi, vi devo forse fare vedere come si bacia?! – chiese nonna Hudson, perentoria.
 
- Oh Dio, no – la pregò John.
 
- E allora su! Un bacio vero!
 
John tirò Sherlock per i lembi della giacca e poggiò le labbra sulle sue più a lungo, mantenendole sempre serrate.
Stava tenendo gli occhi aperti e si accorse che l’altro faceva la stessa cosa, perché due iridi azzurre presero a fissarlo intensamente.
Quando gli applausi iniziarono a spegnersi, i due uomini si separarono come se si fossero scottati.
John lanciò un’occhiata a Sherlock, il quale mormorò qualcosa come “ihtimaam”(1), sicuramente qualche segno verbale del suo disgusto. A quella mortificante visione, il biondo si levò dalla mente i pensieri decisamente poco etero che gli si stavano formando in testa riguardo le invitanti labbra a cuore del consulente investigativo.
Stava giusto iniziando a realizzare che – diamine! - aveva appena baciato un uomo - il suo capo: Sherlock Holmes! - di fronte a più o meno tutte le persone che conosceva - compresi suo padre e la sua ex ragazza - che venne interrotto da sua nonna, la quale decise che quello era il momento più opportuno per stringere sia lui che Sherlock in un soffocante abbraccio.
 
*
 
- Eccoci qui! Questa è la stanza – annunciò Harry quando tutti gli ospiti se ne furono andati a bordo dei calessi di legno, entrando in un’enorme camera da letto.
 
- Grazie, Harry, e grazie anche a te, nonna – sorrise John.
 
- Ti piace il letto, Sherlock? – chiese la nonna, ammiccante.
 
- Suppongo di sì.
 
- Avete preparato anche la mia vecchia stanza? – domandò John, speranzoso, tentando di non figurarsi il peggio.
 
- Oh, Johnny! Non siamo così ingenue da pensare che a casa dormiate in letti separati!
 
- No. Non siete ingenue per niente…
 
- Perfetto allora! Vi lasciamo sistemar… oh, attento!
 
Un enorme palla di pelo rossa si era lanciata ai piedi di Sherlock, artigliandogli le costose scarpe nere.
- John. John, levamelo di dosso!
 
Il biondo, fra le risa generali, prese fra le braccia un improvvisamente mansueto siriano rosso, accarezzandogli le orecchie e i pigri occhi grigi.
- Oh, e tu chi sei?
 
- Si chiama Gigì, lo abbiamo preso al gattile – spiegò Harry. – Prima non era così grasso.
 
- Attenti a non farlo uscire o se lo portano gli uccelli! – raccomandò la nonna.
 
- Dubito ce la facciano a sollevarlo – commentò Sherlock.
 
Harry rise, scuotendo appena il capo.
- Oh, quasi dimenticavo! Se avete voglia di accucciolarvi al caldo… - porse loro una coperta spessissima.
 
John la afferrò, passando il gatto alla sorella.
- Grazie, Harry. Noi adoriamo accucciolarci.
 
- Non è nemmeno una parola vera…
 
- Zitto, Sherlock… Buonanotte, ragazze.
 
- Buonanotte! – strizzò l’occhio nonna Hudson, chiudendosi la porta alle spalle.
 
*
 
- John.
 
- Hmm…
 
- John.
 
- Sherlock…
 
- John! Sta suonando!
 
- Cosa…?
 
- Il mio telefono, ovviamente! Appena sveglio sei ancora più tonto!
 
- È nella tasca, prendilo…
 
Sherlock si alzò di malavoglia dalla poltrona sulla quale aveva passato tutta la notte, ben sveglio, e raggiunse il proprio cappotto, piegato su una sedia. Il cellulare era nella tasca.
- Chi ce lo ha messo lì?
 
- Tu, come sempre… E se devi parlare vai fuori o sveglierai tutta la casa…
 
Il consulente lanciò un’occhiata offesa a John, avvolto fra le coperte del letto con espressione assonnata, e, avvoltosi nel cappotto - era ancora totalmente vestito -, uscì alla chetichella dalla camera e dalla casa. C’era una nebbiolina bassa che aleggiava sul suolo e il moro sentiva la consistenza dell’erba e della rugiada sotto i piedi nudi.
- Sherlock Holmes – disse, portandosi l’apparecchio all’orecchio. – Lestrade, quante volte ti ho detto che preferisco i messaggi?! Avete preso Moffat, una buona volta? Sì, so che avevo ragione su tutto… Ancora quel gatto, come diamine avrà fatto ad uscire! No, ovvio che non ho un gatto. È della nonna di John. Smettila di ridere, dannazione!
 
Il gatto soffiò al cielo ancora semi-buio e Sherlock, a bocca aperta, ebbe appena il tempo di osservare l’orrenda visione di un’enorme poiana che calava giù dal nulla, artigliando il felino e volando via a fatica con il suo considerevole fardello.
 
- Non ci credo, John mi ucciderà se faccio mangiare il gatto ciccione di sua nonna. Smettila di ridere, ho detto, Lestrade! Scendi giù, ridammi il gatto! Il gatto, dammi il gatto!
 
Inspiegabilmente - o forse semplicemente perché i suoi artigli si stavano spezzando sotto il peso della palla di grasso e pelo rosso - e il felino atterrò, traumatizzato, sulle proprie zampe.
 
- Oh, grazie a Dio. Il dannato gatto è salvo. Senti, Lestrade, interrogate Moffat. Sono praticamente certo che dei suoi compari, come Gatiss e Thompson, lavorino ancora per lui. Aggiornami per messaggi appena ci saranno sviluppi. E non ridere mai più di me, altrimenti…
 
Lestrade non sentì mai cosa gli avrebbe fatto Sherlock, perché la poiana, indispettita dalla colazione mancata, calò nuovamente e portò via fra gli artigli il telefono del consulente.
Sherlock si tuffò sul gatto, ancora immobile e rigido sull’erba, e lo sollevò per aria, scuotendolo in una maniera che voleva essere invitante e non disperata come invece appariva.
- Andiamo, maledetto uccello! Predi il gatto, il gatto! Se vuoi mangiare un po’ di ciccia vieni qua, mangia questo coso! Ti assicuro che prenderai ben poco nutrimento da un ammasso di cip e plastica e vetro e alluminio! Vieni, dannazione, vieni…
 
- Sherlock.
 
- John, grazie al cielo sei qui! Hai un fucile o qualcosa del genere? Sapevo che avrei dovuto mettere il mio arpione in valigia.
 
- Non ti chiederò perché tu possegga un arpione… E no, non ho un fucile, purtroppo, l’ho dato via giusto ieri.
 
- Non è il momento di fare sarcasmo, una poiana mi ha preso il telefono!
 
- E agitare il gatto per aria ti farà riavere il telefono…?
 
- Sto cercando di tentarla con uno stuzzichino, ovviamente.
 
John si sforzò di non ridere.
- Ovviamente. Senti, ordineremo un altro telefono con la stessa sim e potrai comunque parlare con Lestrade per e-mail. E adesso, in nome della sanità mentale, lascia andare quel povero gatto.
 
Sherlock si rese conto di stare ancora tenendo fra le braccia il felino e lo lasciò andare, osservandolo sospettoso mentre correva dentro casa agitando le grosse zampe.
- Non mi piace quel gatto, assomiglia a mio fratello. Pure i nomi sono identici.
 
- Il nome “Gigì” sarebbe identico a “Mycroft”?
 
Il consulente si limitò a sbuffare e incrociò le braccia al petto, imbronciato.
- Beh? La giornata di oggi prevede interazioni sociali?
 
- Non credo, puoi rientrare o fare un giro, io vado a tagliare legna.
 
- Vai a… tagliare legna?
 
- Sì, beh… c’è un boschetto qui vicino. Prendo l’ascia dallo sgabuzzino e vado.
 
Sherlock lo squadrò per un istante.
- Fa’ come ti pare, io sono dentro.
 
John prese un sospiro di sollievo ed iniziò ad avviarsi.
- Non fare esperimenti strani mentre sono via e cerca di mantenere integro tutto!
Sherlock annuì impercettibilmente e fece un mezzo sorriso e John, con un tuffo al cuore, si trovò nuovamente a pensare che quello di andare a spaccare legna era il modo più adatto per ritrovare la propria mascolinità. Apparentemente, si stava calando fin troppo nella parte.
 
*
 
Sherlock, entrato nella casa ancora silenziosa, prese a guardarsi intorno, cosa che, la sera prima non era stato possibile fare con tutta quella gente.
Notò delle foto sulla mensola sopra il grande camino in salotto ed altre appese alle pareti.
Ce n’erano alcune con quella che poteva perfettamente essere identificata come la madre di John, qualcuna la ritraeva abbracciata ai figli ancora piccoli, altre sorridente insieme al marito. Doveva essere morta quando John era solo un ragazzino, probabilmente per una malattia progressiva o un incidente, comunque qualcosa che l’aveva portata via all’improvviso.
Presumibilmente John doveva aver sofferto molto.
Altre foto avevano come oggetto Harry - diploma, prima auto, con la migliore amica/ragazza - altre John – un giovane e smilzo John, con dei piccoli brufoli in viso. Alcune delle cornici che ritraevano il suo assistente, però, fecero storcere il naso a Sherlock: prima abbracciava una bambina, poi una ragazzina, poi una ragazza praticamente donna. In quelle paia di occhi verdi e morbidi boccoli rossi, il consulente ritrovò facilmente Mary Morstan, l’ex di John. L’ultima fotografia insieme era al momento del loro diploma, forse si erano lasciati poco dopo, perché John aveva abbandonato la Facoltà di medicina a un passo dalla laurea, per poi trasferirsi a Londra. 
 
Sherlock si sentì quasi frastornato da tutte quelle informazioni.
In realtà, a parte qualche deduzione veloce, non si era mai interessato fino in fondo a John - cioè la persona con cui aveva trascorso la maggior parte degli ultimi tre anni - ed adesso si sentiva quasi in colpa.
Forse avrebbe dovuto…
 
- Harriet, non se ne parla.
 
- Oh, andiamo, papà!
 
Sherlock si immobilizzò nella propria esplorazione, tendendo le orecchie verso le voci provenienti dalla cucina adiacente.
 
- Non mi scuserò con John per avergli detto la verità. Non posso scusarmi dopo che lui ha lasciato l’Università per… andare a fare il piccolo detective. Dopo che si improvvisa gay e decide di sposare un uomo che a malapena sopportava.
 
- Papà, il lavoro di John è importante per lui. Magari non gli piace stare dietro a una scrivania a prescrivere farmaci a bambini col raffreddore e vecchiette con sintomi assurdi…
 
- Perché non dovrebbe piacergli?! Mio nonno, mio padre, io… siamo sempre stati medici!
 
Si sentì una breve risata di Harry.
- Beh, io non lo sono, no? Magari si salta una generazione.
 
- Harriet. Tu non mi prendi sul serio…
 
- Papà, io ti ho sempre preso sul serio. Vorrei solo farti ragionare. Mi hai forse mai detto di essere una delusione? Io non sono mai stata un medico, scrivo libri! Inoltre, ho un passato di alcolizzata e sono gay da quando ho dieci anni! Non mi hai mai rimproverato nulla di questo. Perché con John dovrebbe essere diverso? Si vede perfettamente quanto ami quell’uomo e noi siamo la sua famiglia, dobbiamo accettarlo, dobbiamo volergli bene ed appoggiare le sue scelte. Perché, che ti piaccia o meno, mio fratello - tuo figlio! - sposerà Sherlock Holmes ed andrà a vivere con lui a Londra stabilmente. Vuoi forse che non lo vediamo per tre anni - di nuovo?!
 
Sherlock raddrizzò le spalle e si diresse al piano di sopra facendo il meno rumore possibile: aveva decisamente bisogno di una doccia.
 
*
 
Fu uscendo dal box della doccia che Sherlock si rese conto di non aver preso qualcosa con cui asciugarsi.
Sfortunatamente, tra lui e gli asciugamani nell’armadio accanto al letto a soli tre metri di distanza, stava accucciato sul tappetino di fronte a lui, pronto a balzare - anche se il consulente aveva parecchi dubbi sulla distanza che avrebbe potuto raggiungere con tutto quel grasso addosso -, il gatto Gigì.
- Gatto, pussa via. Non costringermi a ucciderti e dissezionarti.
 
Ricevette uno sguardo pigro e grigio in risposta.
 
- Oh, va bene.
Sherlock allungò un piede e spostò di lato il tappetino col gatto sopra, lasciandosi la via libera.
Ora, il consulente avrebbe raggiunto senza ulteriori difficoltà l’armadio e si sarebbe avvolto in un asciugamano ma non si era accorto che - nel mentre che il suo udito era compromesso dall’acqua scrosciante della doccia - John era rientrato dalla sua mattinata boscaiola, andando a spogliarsi totalmente dagli abiti sudati sul balcone che dava sulla camera da letto – e anche lui, a sua volta, non era riuscito a sentire i passi e la voce del proprio capo, avendo le cuffiette del suo iPod nelle orecchie.
 
Quindi, Sherlock uscì indisturbato dal bagno, facendo la linguaccia al gatto alle proprie spalle, ed andò a sbattere contro un altrettanto ignaro e nudo John. Caddero tutti e due sul pavimento e dopo un attimo di shock, si guardarono.
 
- Oh Dio, sei tutto nudo!
 
- Bell’osservazione, John.
 
- Spost… Alzat… Levati!
 
Sherlock si alzò con grazia e con lentezza dal pavimento e si coprì col candido lenzuolo del letto.
Mentre era di spalle, John cercò con tutto se stesso di non guardargli la fine della schiena - anche se con scarso successo - e si coprì a sua volta con un asciugamano.
- Che ci facevi nudo e tutto bagnato in giro?!
 
- Il tuo dannato gatto non mi faceva passare e io avevo scordato l’asciugamano.
 
- Che c’entra quel povero gatto, adesso?!
 
- Te l’ho detto: non mi faceva passare. Non farmi ripetere.
 
John sospirò.
- Va bene – aprì la porta del bagno, dalla quale effettivamente sgattaiolò via a coda ritta il micio. – Vado a farmi una doccia.
 
*
 
- Eri… tutto nudo – la voce di John, dal letto, interruppe il silenzio notturno nella camera.
 
- Dov’è il problema, a casa mia sto la maggior parte del tempo senza vestiti.
 
- …Okay, radiamo questo argomento dalle nostre conversazioni.
 
- Come preferisci – rispose Sherlock, appollaiato sulla poltrona poco distante dal letto. – Prima ho sentito tuo padre e tua sorella parlare.
 
- Intendi che hai origliato.
 
- No, intendo che li ho sentiti. E mi è sembrato di capire che ci sia dell’attrito fra te e tuo padre.
 
- Non c’è bisogno di possedere la scienza della deduzione per capirlo. E comunque non mi va di parlarne: Stamford non te lo chiederà, nel questionario.
 
Sherlock aspettò qualche altro secondo prima di aprire bocca e dire velocemente tutto quello che aveva da dire. Confidava che John avrebbe capito perché lo stesse facendo.
- Mi piacciono le api. Prendo lezioni di violino da quando avevo sette anni. Il mio telefilm preferito è Doctor Who. Non parlo di persona con mio fratello Mycroft da circa quattro anni, anche se so che lui mia spia quasi costantemente. Non sono mai stato attratto dal sesso. Ho iniziato a drogarmi quando avevo sedici anni, alla morte dei miei; ho smesso a vent’anni, quando Lestrade scoprì il mio talento e mi aiutò a fondare la Consulting Company. Adoro abbuffarmi di dolci e poi non mangiare per giorni – fece una pausa e prese un respiro. – Ci sono anche altre cose, ma non voglio affaticare il tuo piccolo cervello tutto in una volta. …John?
 
- Sono qui, io… stavo pensando.
 
- Addirittura
 
- Davvero non sei mai stato attratto dal sesso?
 
- È davvero questa l’unica cosa che hai elaborato?
 
- Beh, è che è… strano.
 
- Sì, suppongo che per voi sia così.
 
John sbuffò una risata e si sistemò sul cuscino, con le mani dietro la testa.
- Cos’è Doctor What?
 
- Who.
 
- Quello. Cos’è?
 
- È una serie tv, ha cinquant’anni. Davvero non ne hai mai sentito parlare?
 
- Non saprei… magari se mi canticchi la sigla…
 
- Non si può canticchiare.
 
- Sto aspettando.
 
- Beh, fa, più o meno… tun turù tun turù tunturururuturù weeee dooo doo weee dooo… perché ridi?!
 
- Niente è che… certo che conosco Doctor Who, è che volevo sentirti canticchiare.
 
Anche Sherlock si lasciò trasportare dalla risata dell’altro e si coprì gli occhi con le mani - prima giunte sotto il mento.
 
- Sherlock?
 
- John.
 
- Io non vorrei che tu fraintendessi, ma…
 
- Parla.
 
- Tu sei un uomo davvero… fantastico.
 
Il consulente trattenne il respiro per un attimo e lasciò scivolare lo sguardo sul viso dell’assistente, trovandolo rilassato e sincero.
- Ti ringrazio – disse, leggermente imbarazzato.
 
- Tun turù tun turù…
 
- Oh, andiamo, John. Cresci!
 
- … tun turù tun turù… Dai!
 
- No. Non me lo farai fare di nuovo.
 
- Turù tuntutù tunturuturutunturù…
 
- …Weee dooo…
 
- …Doooo wee dooo…
 
- …Doooo weee dooo dooo weee dooo…
 
- Weee oooo…
 
- Tu rù rù ruuuu…
 
- Weee dooooooooooo!
E si trascinarono di nuovo a ridere l’uno con l’altro, finché non si addormentarono.
 
 
 
 
 
(1) “ihtimaam” vuol dire “interessante” in arabo

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Capitolo 3
*** 3. The proposal (the true one) ***


Hola!
Sì, è l'ultimo capitolo. Avrei voluto farne altri due, sinceramente, ma cause di forza maggiore - ovvero consolare moralmente la mia anima/sorella gemella Lauur -, ecco qui, tutto in una volta. Davvero non mi aspettavo tutto questo successo e - che dire? - grazie, grazie davvero. Vi amo e vi mando tanti biscotti al cioccolato.
Chiara

P.S. See ya the 1.1.14, 'cause #SherlockLives!







3. The proposal (the true one)


Non appena Sherlock si svegliò il mattino seguente e lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino poco lontano, si scoprì sorpreso di se stesso. Aveva dormito per più di sei ore consecutive e non accadeva più o meno da… quanti anni aveva quando aveva finito la scuola materna?
Si alzò cautamente dalla poltrona dove aveva trascorso la notte, cercando di sgranchire le articolazione delle lunghe gambe camminando avanti e indietro per la stanza.
Si fermò accanto al letto, osservando John, il quale - neanche a dirlo - dormiva ancora beatamente, supino e a braccia e gambe divaricate, occupando con la sua corporatura minuta tutto lo spazio disponibile del letto a due piazze.
Al consulente investigativo sfuggì un sorriso e si chiese stupidamente come sarebbe stato sporgere una mano verso il viso del proprio assistente ed accarezzargli piano una guancia o i capelli o…
Bussarono alla porta e Sherlock si portò immediatamente le mani dietro la schiena, al sicuro da sciocchezze del genere.
- Sì? – chiese a voce alta, dopo essersi schiarito la gola.
John mugugnò assonnato e mosse una gamba sotto le coperte.
 
- Servizio in camera per i dormiglioni!
 
Sherlock alzò gli occhi al cielo e scosse senza tante cerimonie le spalle di John per svegliarlo del tutto.
- C’è tua sorella qui fuori con la colazione, datti una mossa! – sibilò.
 
Il biondo si stropicciò gli occhi ed urlò un “solo un minuto!” con la voce ancora impastata dal sonno.
- Sdraiati – disse poi, rivolto al consulente.
 
- Che?!
 
- Sdraiati. Accanto a me. Adesso.
 
- Sei impazzito?
 
- Sherlock…
 
- State attenti che entro! Non sarebbe il primo uomo che vedo nudo, nonostante…
 
- Harriet! – disse un’altra voce con un velo di disapprovazione.
 
- Ottimo, c’è anche mio padre! Sdraiati e fai un sorriso convincente, dannazione!
 
Sherlock sbuffò e nascose il rossore delle proprie guance fra le braccia spalancate di John, tirandosi addosso le coperte alla bell’e meglio.
Harriet evidentemente raggiunse il limite della propria pazienza ed entrò nella stanza con un vassoio pieno di cibo e due tazze di tè, che poggiò sulla scrivania accanto al letto.
- Buongiorno!
 
Il signor Watson la seguì poco dopo con un’aria funerea, cercando di non focalizzare la propria attenzione su suo figlio che abbracciava un uomo.
 
- Ehi, state per caso organizzando una riunione di famiglia qui dentro?
 
- No, figliolo. Io e tua sorella ci chiedevamo se…
 
- Se vi andasse di sposarvi domani, qui con noi! – terminò Harry al posto suo, entusiasta, improvvisando un saltello sul posto.
 
Sherlock pensò velocemente.
- Oh, non potremmo mai rubare la scena a nonna Hudson!
 
John colse la palla al balzo. – Già, in fondo domani è il suo compleanno e…
 
La suddetta nonna fece capolino dalla porta con un’espressione triste.
- Johnny caro, ho festeggiato già settantanove compleanni! Mi farebbe così piacere se voi due vi sposaste qui. Insomma, probabilmente sarà l’unico matrimonio dei miei due nipoti…
 
- Ehi! – sbottò Harry, offesa.
 
- …E chissà per quanto altro tempo vivrò – aggiunse con un’aria addolorata, ignorando il commento della nipote.
 
- Oh… ehm… - temporeggiò Sherlock, sconcertato.
 
- Sicuro, nonna. Affare fatto! – acconsentì John, intenerito.
 
La bocca rugosa della donna si piegò dall’ingiù all’insù in meno di un secondo e il consulente si chiese se fosse sceso così in basso, a farsi mettere sotto dalla volontà di una vecchietta.
- Ma è meraviglioso!
 
- Pensavamo che la stalla sarebbe perfetta! È dove si sono sposati mamma e papà!
 
- È come una tradizione di famiglia!
 
John diede una gomitata a Sherlock da sotto le coperte.
 
- Io ho… sempre sognato di sposarmi in una stalla – si decise a dire il detective.
 
- Ma allora è proprio un segno del destino! – esclamò nonna Hudson, alzando le braccia al cielo. – Dobbiamo decisamente rendere grazie ai fuochi fatui della brughiera… - aggiunse borbottando eccitata, uscendo dalla stanza con passo talmente baldanzoso che Sherlock temette davvero per quelle povere e gracili ossa.
 
- Oh, ragazzi, è tutto perfetto! Ho sempre voluto organizzare il tuo matrimonio, Johnny! Fin da quando eravamo piccoli, ricordi? E poi…
 
- Harriet – il signor Watson, rimasto per tutto il tempo della conversazione ai piedi del letto con debole sorriso, interruppe il fiume di parole della figlia. – Direi che è meglio se andiamo.
 
- Oh, giusto. Sono così felice! – aggiunse, mentre il padre la scortava fuori dalla stanza con le mani sulle sue spalle.
 
Non appena la porta fu chiusa, John crollò sui cuscini con un enorme sospiro.
 
- John…?
 
- È tutto sbagliato.
 
- Cosa?
 
- Tutto! – esclamò John, scostando le braccia - ancora attorno al torso di Sherlock - e portandosele in grembo con aria sconvolta. – Non appena scoprirà la falsità di questo matrimonio, mia sorella si darà di nuovo all’alcol e mia nonna morirà… d’infarto! E mio padre?! È sempre stato in disaccordo con tutta questa storia ed adesso se ne stava lì, tutto sorridente come se…! Tutto, tutto sbagliato – si coprì il volto con le mani, sospirando di nuovo.
 
- Ragionerò su tuo padre in seguito – tentò di rassicurarlo Sherlock, poggiando con una strana angolazione la propria mano sulla spalla di John, muovendo piano le dita in un approccio di massaggio. – Ora, cerca di pensare razionalmente. È quello che vuoi fare nella vita, in fondo: usare la logica. Non lo scopriranno mai. Ed anche se fosse, non appena torneremo a Londra divorzieremo. Felicemente divorziati per la vita.
 
- Hai ragione.
 
- Lo so – rispose il consulente, sornione.
Poi lo sguardo di entrambi cadde sulla mano di Sherlock e sulle carezze che le sue dita continuavano a donare premurose alla spalla di John. Il detective spostò la mano come se si fosse scottato e distolse lo sguardo.
- Comunque…
 
- Dimmi.
 
- Cosa è quel… coso?
 
- Quel coso cos… oh – John incrociò le gambe sotto le coperte, imbarazzato. – Beh, lui sta… così. La mattina. È… normale, credo.
 
- Io… a me non… capita mai.
 
- Non costringermi a rispondere, Sherlock Sociopatico-allergico-al-sesso Holmes.
 
Il consulente mascherò con un sbuffò il proprio sorriso, prima di alzarsi dal letto con uno scatto.
- Vado fuori.
 
- Non c’è possibilità che tu mangi quell’ottima colazione fatta in casa, vero?
 
- Deduci in fretta – sorrise Sherlock uscendo dalla stanza.
 
Rimasto solo, John sfiorò appena il punto dove le dita di Sherlock avevano ancora lasciato del tepore, prima di alzarsi e mangiare un po’.
 
*
 
Camminando fra gli alberi coperti di muschio del bosco accanto alla casa, Sherlock pensava ad alta voce.
Non sarebbe stato strano per lui, di solito. Ma di solito aveva con sé il suo teschio - disgraziatamente lasciato a casa - oppure John - e davvero non era il caso che il suo assistente ascoltasse le sue parole, in quel frangente.
- Devo solo pensare razionalmente. L’ho detto poco fa a lui, no? Perfetto, non ho più nemmeno la forza di pronunciare il nome di quel… Ti si ingarbugliano i pensieri, Sherlock. Finirai per avere tutti i sintomi delle… pulsioni sentimentali. È solo un collega. È solo una questione di affari. Non lo stai sposando davvero. È solo… - si fermò e si scompigliò i riccioli, frustrato.
Una musica di sottofondo gli fece alzare la testa di scatto.
Sconcertato, riprese a camminare seguendo il flebile suono, man mano più forte: sembrava una specie di musica tribale, con cornamuse e flauti e tamburi.
Finché non giunse ad una piccola radura, delimitata da massi alti quasi due metri messi in cerchio e un fuoco al centro. Una radiolina - da cui proveniva la musica - stava accanto a una delle pietre.
Accanto alle fiamme, dandogli le spalle, stava una figura incappucciata da un mantello bianco con in mano un lungo bastone nodoso.
 
- Vieni qui, Sherlock da Londra!
 
Il consulente sospirò: era nonna Hudson.
- Non mi sembra il caso.
 
La donna si girò fulminea, agitando il bastone per aria.
- Ma dobbiamo rendere grazie a Madre Terra! È stata lei a fare tutto quello che ci sta intorno e a far sì che tu e John foste uniti per la vita!
 
- Oh, beh…
 
- Vieni, balla con me! Rendiamole omaggio! Farà sì che il ventre che prenderete in affitto sia fertile e fecondo!
 
- Ventre in affit… oh. Non mi sembra il caso – ripeté Sherlock.
 
- Insisto! – urlò la nonna, agitando con più forza il bastone, facendo danzare i lembi del mantello.
 
Il consulente la raggiunse senza ulteriori cerimonie, fermandosi dall’altra parte del fuoco.
 
- Mi dispiace che io non abbia portato un altro vestito tradizionale da druido… quello blu si sarebbe intonato ai tuoi occhi.
 
- …Fa niente. Che devo fare?
 
- Segui le mie mosse! – spiegò la nonna, iniziando a muovere in modo strano le braccia al cielo.
 
Sherlock davvero non voleva dispiacere la nonna di John - colpa delle pulsioni? ci avrebbe pensato dopo - così prese ad imitare goffamente le mosse dell’altra, girando attorno al fuoco.
 
- Devi anche cantare!
 
- Cantare cosa?
 
- Qualsiasi cosa che ti venga in mente per cui ringraziare Madre Terra! Canta all’universo!
 
- All’universo, okay. Allora… Per la scienza! Per la scienza… Per i cadaveri, i cadaveri! Per i… cappotti con i baveri…
 
- Più forte!
 
- Sì! – urlò Sherlock, prendendo a danzare con più foga, muovendo i propri lunghi arti senza coordinazione. – Per la scienza, per la scienza! Per i cadaveri, i cadaveri! Per i cappotti con i baveri! Grazie, Mendeleev, per la tavola periodica! A morte gli Yarder! Per la scienza! Per la scienza! Forza, nonna Hudson! Il gioco è appena iniziato! Per la scien…
 
- Che stai facendo?
 
Il consulente drizzò la schiena, raggelato sul posto nel sentire la voce di John.
- Tua nonna. Mi ha chiesto di… cantare una canzone dal cuore.
 
- “Cadaveri” ti viene dal cuore?
 
- Era per il ritmo – disse Sherlock, sistemandosi la sciarpa dentro il cappotto. – Perché sei qui?
 
- È arrivato il telefono nuovo con la stessa sim, pensavo che magari…
 
- Sì, certo, arrivo! Staranno tutti brancolando nel buio come una mandria di idioti senza di me… Nonna Hudson?
 
- Dimmi, caro.
 
- Il canto era finito?
 
- Oh, ma certo. Vai pure.
 
- …Okay. Andiamo, John.
L’assistente lo seguì fuori dalla radura, ridacchiando.
 
*
 
Arrivarono fino al maneggio di Henry con uno dei calessi e poi presero una delle macchiene del parcheggio per raggiungere Dartmoor.
Il nuovo iPhone di Sherlock era in effetti arrivato e, non appena lo accese, trovò più di quaranta messaggi in segreteria.
 
- John, Lestrade dice che mi ha mandato delle foto di un omicidio per e-mail… c’è un computer in questo posto dimenticato da Dio?
 
L’assistente sospirò e lo portò in un Internet Point.
- Allora, quando compare l’avviso, inserisci gli altri centesimi.
 
- Stai scherzando. Questo coso va a centesimi?
 
- Sì e non ti lamentare – sorrise John, facendo vagare lo sguardo fuori dalla vetrina del negozio. Qualcosa catturò il suo sguardo ed uscì a passo svelto.
 
Sherlock sbuffò infastidito quando notò che John stava correndo per raggiungere la sua ex, la quale era seguita da un gruppo di marmocchi con zaino in spalla.
Ovviamente fa la maestra, perché è pure dolce coi bambini… pensò, cercando di concentrarsi sulla propria posta elettronica.
 
*
 
- È… bello?
 
- Cosa?
 
- Esserti ritrovato con Mary. Ho visto che ci sono molte foto di voi due da piccoli, appese per casa – spiegò Sherlock, continuando a camminare accanto a John per raggiungere il posto dove avevano lasciato la macchina.
 
- Sì, io… eravamo molto legati.
 
- Lo siete anche adesso – constatò il consulente, cercando di non suonare amareggiato.
 
- Non è più la stessa cosa.
 
- Perché pensa che tu sia gay?
 
John rise della disinvoltura dell’altro.
- Per questo e perché… Sherlock – si fermò in mezzo al viottolo e il detective lo imitò, confuso. – È che…
 
- Ragazzi! Vi abbiamo trovati, finalmente!
 
John si voltò con un sorriso verso Harry e la nonna, non sapendo se ringraziarle o maledirle per l’interruzione.
 
- In realtà cercavamo te, Sherlock. A te penseremo dopo, fratellino – disse Harry, felice.
 
- Non preoccuparti, caro, stavolta nessun canto nel bosco – la nonna rassicurò Sherlock, visibilmente allarmato. – Torna pure a casa, Johnny, lo riporteremo noi dopo.
 
- Va bene – si arrese il biondo. – A dopo.
Sorrise sincero guardando l’alta e longilinea figura di Sherlock stretta fra quelle più minute e decisamente più energiche di sua sorella e sua nonna che si allontanavano, poi si decise ad incamminarsi verso la parte opposta.
 
*
 
- Hai finito? – lo chiamò nonna Hudson da dietro tenda del camerino.
 
- Quasi – rispose Sherlock, finendo di arrotolarsi la striscia di plaid sulla spalla; dopo un attimo di indecisione, si strinse di un altro paio di fori la cintura in vita.
 
- Non preoccuparti per le misure! Mio marito era un po’ più muscol… più robusto di te, caro.
 
Il consulente scostò la tenda e si presentò agli occhi entusiasti di Harry e della nonna.
 
- Vieni qui, che ti accorcio un po’ quel plaid e stringo la camicia… - disse nonna Hudson, quasi con tenerezza vedendo come il corpo magro di Sherlock scomparisse dentro l’ampia camicia color panna.
 
Harry li osservava dal divano della sartoria con un lieve sorriso.
- Sai, Sherlock… Io mi chiedevo se… durante queste vacanze, magari… potessimo venire a Londra e…
 
- Certo che potete – il consulente interruppe altri possibili balbettii. – Potremmo venire anche noi, magari – si arrischiò a dire, con apparente noncuranza.
 
- Oh, magnifico! – batté le mani felice, poi si alzò dal divano. – Io vado un attimo al bar. Nonna, non fare quella faccia! Non ci vado per la birra… - strizzò l’occhio ed uscì dalla sartoria.
 
- A quanto pare ha trovato una nuova amica – rise maliziosa nonna Hudson.
 
Sherlock si limitò ad un debole sorriso mentre la donna puntava altri spilli alla camicia.
 
- Guardati allo specchio, pensi vada bene?
 
Il consulente osservò il proprio riflesso nella superficie rotonda. Il kilt era blu con righe e quadri verdi e, in effetti, nel complesso non era male - anche se avrebbe decisamente preferito uno dei suoi completi scuri.
 
- Manca solo una cosa… - disse la nonna, prendendo da un cofanetto una grossa spilla intarsiata con piccole pietre di turchese. – Il plaid sulla spalla si fissa con una spilla importante per la famiglia e questa la fece fare la famiglia della mia bisnonna per il mio bisnonno. Vorrei la avessi tu… - gliela appuntò addosso con dolcezza.
 
Sherlock sentì uno strano calore nel petto ed arrossì leggermente. – Ecco… non sarebbe meglio se la avesse John?
 
- John avrà quella della famiglia Watson, caro, non preoccuparti.
 
- Ma io non posso…
 
- Senti. Noi nonni adoriamo dare ai nostri nipoti cose a cui teniamo… per far parte della vostra vita anche quando non ci saremo più.
 
Solitamente Sherlock avrebbe puntualizzato che lei non era la sua vera nonna - e anche se acquisita, lo sarebbe stata per ben poco tempo - ma stranamente non le fece, sfiorando invece la spilla con le dita. Forse semplicemente perché quello era il più semplice e bel gesto di affetto che avesse mai ricevuto.
 
- Va tutto bene, caro?
 
- Sì. Mi chiedevo se… avessi finito con le sistemazioni.
 
- Ma certo! Fammi togliere tutti quegli spilli – poi parve ripensarci. - Solo un’altra cosa. Tieni le mutande sotto al kilt, per evitare l’incidente che succedeva sempre al mio caro marito…
 
Il detective trattenne una risata e sospirò piano.
 
*
 
Non ce l’aveva fatta ad aspettare che Harry e la nonna finissero le loro commissioni in paese: era da quella mattina che provava a pensare e gli era impedito.
Harry gli aveva assicurato che loro due si sarebbero fatte dare un passaggio dalla sua “misteriosa” amica fino al maneggio, così Sherlock prese la macchina di lei. Si fermò con fare sconvolto e rabbioso davanti alla faccia stranita di Henry.
- Dammi un cavallo.
 
- Sta per piovere, sicuro di non volere un calesse coperto?
 
- Cavallo.
 
Henry si torse le mani in uno dei suoi tanti tic nervosi e tornò qualche minuti dopo, tenendo un cavallo per le briglie.
- Sai cavalcare, giusto?
 
Sherlock si limitò a sbuffare e, con una piccola scossa alle briglie, partì al trotto.
Come già previsto da Henry, la Scozia non venne meno alla propria fama, quel pomeriggio, ed iniziò a piovere in maniera fitta. Se non altro, il cavallo sembrava sapere dove stesse andando, e al detective di bagnarsi importava poco.
In realtà, pensò con un sorriso amaro, a lui importava ben poco. Gli importava così poco di così poche cose, che lo aveva scordato: aveva scordato come fosse avere una famiglia. Forse lui non l’aveva mai avuta. Un ragazzino lasciato solo, alle cure di un fratello non molto più grande e parecchio più impegnato. Non sapeva come fosse avere qualcuno che ti preparasse la colazione, che ti dicesse che ti verrà a trovare per le vacanze, che ti regalasse qualcosa.
John aveva tutto questo, qui. Aveva una famiglia e stava per buttare tutto all’aria per lui. Doveva fare assolutamente qualcosa o non se lo sarebbe mai perdonato.
Arrivò nella stalla, coperto di pioggia e fango, trovando John ad aspettarlo.
 
- Sherlock, dannazione, stai bene?!
 
- Sì – rispose, cercando di non tremare dal freddo e smontando da cavallo.
Lo fece entrare in uno dei box e gli accarezzò il muso distrattamente. Quando chiuse il piccolo cancello, vide che John gli stava porgendo il maglione - assurdamente brutto - che prima aveva addosso.
- Non lo metterò.
 
- Sherlock, ti verrà una polmonite! Perché non ti sei fatto dare un dannato calesse? – esclamò, gettandogli il maglione caldo sulle spalle ed abbracciandolo in modo goffo per riscaldarlo ulteriormente.
 
Il consulente guardò verso il basso, trovando il viso preoccupato dell’assistente.
Aprì la bocca per parlare, ma vennero interrotti da un tossicchiare leggero e due uomini muniti d’ombrello entrarono nella stalla.
Uno era il signor Watson e l’altro era l’impiegato dell’ufficio immigrazione, Stamford.
 
- John – esordì il signor Watson con aria grave. – Tua sorella e tua nonna non dovranno mai sapere nulla di questa storia.
 
- Vi avevo detto che avrei indagato – disse invece Stamford, con un sorriso beffardo sul viso tondo.
 
- Papà, cosa… - cominciò John, scostandosi appena da Sherlock.
 
- Il signor Stamford mi ha chiamato e mi ha detto che, se state fingendo - cosa che lui è molto propenso a credere - ti sbatterà dentro. Così l’ho fatto venire qui.
 
- Per sua fortuna, John, suo padre ha stipulato un accordo in suo beneficio. Quest’offerta durerà venti secondi. Quindi: o dichiara che questo matrimonio è una montatura o lei finisce in galera. Se invece dirà la verità, non si troverà nei guai e lei, signor Holmes, viene spedito immediatamente in Irlanda.
 
- Forza, accetta! – disse il signor Watson, spiccio.
 
- Non intendo farlo.
 
- Non essere stupido…
 
- Vuole la verità? Lavoriamo insieme da tre anni, sei mesi fa è iniziata la nostra storia e domani ci sposeremo. Ci vediamo alla cerimonia.
 
*
 
Entrati nella loro camera, John si sedette sulla poltrona, mentre Sherlock rimase all’in piedi.
- Sei sicuro?
 
- Di cosa?
 
- Di tutta questa storia.
 
- Non sono mai sicuro del tutto. Ma so che tu avresti fatto lo stesso per me. E adesso non dire che non è vero, perché lo so: fra amici si fa così.
 
Rimasero a guardarsi per un istante interminabile e Sherlock si avvicinò appena alla poltrona, quando bussarono alla porta.
 
- Spero siate presentabili! – disse allegramente nonna Hudson, facendo il proprio ingresso nella stanza. – Non potete stare insieme la notte prima delle nozze, è la tradizione! Dormirai sul divano, Johnny. Forza, datevi il bacio della buona notte. Ti aspetto sotto!
Uscì baldanzosa, con una coperta fra le braccia.
 
- Se non vai di sotto immediatamente, verrà di nuovo lei qui a prenderti.
 
- Lo so – sorrise John, alzandosi dalla poltrona. – Ci… vediamo domani?
 
Era un’affermazione, ma l’aveva pronunciata come se fosse una domanda.
- Sì – disse Sherlock e John uscì.
 
*
 
Il giorno seguente la pioggia aveva cessato di cadere e la stalla era stata pulita e i cavalli legati in giardino.
Era pieno di persone sorridenti di aspettativa, sedute pazientemente sulle sedie pieghevoli posizionate nell’ampia stalla decorata con piccole ghirlande.
John aspettava nervoso sopra a un piccolo podio improvvisato, a disagio nel proprio kilt - abito che odiava fin da bambino.
Alla fine, Sherlock entrò a braccetto con nonna Hudson - la quale sorrideva deliziata a tutti i presenti.
Il biondo provò a decifrare il viso del proprio capo, ma quello - a parte un breve sorriso alla nonna - rimase impassibile.
Non appena Sherlock arrivò al fianco di John, l’uomo - rigorosamente in kilt, ma nero - che li avrebbe dovuti sposare, iniziò a parlare con una voce fastidiosa e squillante.
- Siamo tutti qui riuniti oggi, per celebrare uno dei più importanti momenti della vita. Per dare un riconoscimento alla bellezza, alla gentilezza e alla nobiltà del vero amore di John e Sherlock in presenza di famiglia ed amici…
 
- Zitto.
 
-…Che?
 
- Devo dire una cosa.
 
- Sherlock. Non puoi dirla dopo che avrà finito? – lo pregò John, capendo ciò che in mente di fare.
 
- No – il consulente si voltò, notando come previsto che anche Stamford era fra la folla - distinto fra gli altri uomini perché unico in giacca e cravatta. – Salve a tutti. C’è una cosa che vorrei dire a proposito di questo matrimonio. Una confessione, in realtà.
 
Il padre di John e Stamford si misero sull’attenti e John, accanto a Sherlock, si irrigidì.
 
- Io sono irlandese. Avevo un visto scaduto e quindi stavo per essere rimpatriato. Ho costretto John a sposarmi. John ha sempre avuto questa grande etica nel lavoro, un portamento quasi da soldato: grandi principi e nervi d’acciaio. E sospetto che sia una cosa che abbia imparato da lei, signor Watson, nonostante i suoi difetti. Per tre anni John ha lavorato più duramente di chiunque altro e sapevo che se lo avessi minacciato di distruggergli la carriera avrebbe fatto praticamente di tutto. A quel punto l’ho ricattato per farlo venire qui e mentire a tutti. Credevo sarebbe stato facile restare a guardare, ma non lo è stato. Non è facile rovinare la vita di qualcuno quando scopri quanto è meravigliosa. Voi siete davvero una famiglia stupenda e questa cosa non deve dividervi, non per colpa mia – guardò il pavimento nel silenzio generale per dire le ultime cose. – Harry, nonna Hudson, mi… dispiace. E, signor Stamford, possiamo andare.
 
Non appena Sherlock uscì dalla stalla, seguito a ruota da un alquanto soddisfatto Stamford, tutte le persone presenti si alzarono rumorosamente e contemporaneamente dalle sedie pieghevoli ed iniziarono a commentare l’accaduto.
John venne raggiunto dalla sua famiglia.
 
- Ma che pensavi di fare, John? – chiese Harry, scioccata.
 
- Non capisco, sembravate così perfetti insieme… - rincarò la nonna.
 
John non ce la fece più ad ascoltare quei commenti e a sottostare allo sguardo da “te-lo-avevo-detto” del padre, così tentò di uscire dalla stalla.
Ci mise più di dieci minuti, continuamente fermato da persone dispiaciute per quello che era successo ed eccetera.
Uscì dalla porta che dava sull’interno della casa e corse al piano di sopra, in camera da letto.
Non c’era più traccia dei vestiti o delle cose di Sherlock - a parte il kilt blu e la camicia color panna sul pavimento, insieme alla spilla di nonno Hudson. John realizzò con un sorriso amaro che probabilmente pianificava già tutto dal pomeriggio precedente.
Poi notò un biglietto sul letto.
Ho lasciato un biglietto. È questo che fa la gente, no? Lascia un biglietto.
Sai che Lestrade ti avrebbe voluto far avanzare di grado da dopo un anno che lavoravi alla Consulting Company? Sono stato io ad insistere a non farlo, perché non volevo perderti come assistente.
Ma tu, John Watson, hai un futuro davanti. Mi impegnerò a farti diventare un socio, prima di lasciare definitivamente il paese, domani - dato che ho confessato tutto di mia spontanea volontà mi lasceranno almeno andare a Londra a prendere delle cose dall’ufficio.
Addio, John
Sarebbe rimasto a fissare quel pezzo di carta in eterno se Mary non fosse entrata nella stanza.
 
- Stai bene?
 
- Sì. No, anzi. No che non sto bene.
 
- Già…
 
- Sai qual è il problema? Il problema è che quest’uomo è un baco nella mela, la polvere sulla lente. Per fartela breve, Sherlock Holmes è una gigantesca spina ficcata nel fianco. Prima la storia dell’espulsione - e va bene, lo capisco - poi il matrimonio - qualche bugia, ma posso farlo - poi se ne va e lascia un dannato biglietto. Dopo tre dannatissimi anni che sto con questo… psicopatico e non ha nemmeno il coraggio di dirmi in faccia come stanno le cose! Mai un complimento o qualcosa di anche solo lontanamente gentile e ora… questo. Un biglietto barra cumulo di stronzate!
 
- John…
 
- Sì, scusa, Mary. Scusami.
 
- No, è che… seriamente. Lo stai lasciando andare via?
 
*
 
- John, dove stai andando?!
 
- Papà, per piacere, non immischiarti… Devo andare a parlare con lui.
 
- Mi immischio quanto mi pare! Perché dovresti farlo?
 
- Papà, lascialo andare...
 
- Harriet, decido io cosa fare o meno!
 
- Nonna!
 
Nonna Hudson cadde sull’erba corta del giardino, ansimante, e perse i sensi.
Tutte le persone si raccolsero intorno a lei, spaventate e preoccupate. Il signor Watson le sollevò le gambe per fare circolare meglio il sangue, mentre John le prendeva il polso.
- Il battito è lento. Oh Dio, non dovevamo litigare davanti a lei…
 
- John! Cos’è? – esclamò Harry, indicando un punto poco lontano.
 
Un’ambulanza si fermò a qualche metro da loro, seguita da una limousine nera tirata a lucido.
Un uomo dai capelli rossi in vestito gessato e con un lungo ombrello nero fra le mani ne uscì con fare elegante.
- Mi scusi per l’invasione, signor Watson, ma suppongo che l’incolumità di sua suocera sia più importante di ginestre e muschi, per lei.
 
*
 
John - ancora sconvolto alla vista di Mycroft Holmes - si sedette accanto a suo padre e sua sorella, vicino alla barella dove stava sua nonna - con una mascherina d’ossigeno - e un paramedico.
Un altro medico chiuse le portiere dell’ambulanza, la quale partì qualche secondo dopo, sgommando.
Passò qualche secondo prima che la nonna si scostasse la mascherina d’ossigeno dalle labbra e tendesse debolmente una mano verso di loro.
- Voi non… non dovete litigare. La penserete sempre diversamente e su moltissime cose… ma non litigate. Sarete una famiglia?
 
John e suo padre si guardarono ed annuirono debolmente.
 
- Anche quando non ci sarò più? – chiese ancora la nonna, a fatica.
 
- Sì, mamma.
- Certo, nonna.
Risposero insieme e si sorrisero piano, imbarazzati.
 
- Benissimo – disse la donna, facendo una carezza al ginocchio di Harry e rimettendosi a posto la mascherina e chiudendo gli occhi. – Adesso i fuochi fatui possono portare via la mia anima…
 
- Nonna, no!
 
Fu un secondo terribile.
Poi la nonna aprì gli occhi e si tirò su a sedere con fare arzillo.
- Beh, a quanto pare non è il mio momento. Dovevo solo convincervi il più velocemente possibile ad arrivare alla stazione dei treni.
 
- Tu sei… impossibile, nonna – rise John, scuotendo la testa. – Sapevi anche di Mycroft?!
 
- Oh, no. Ma è stato un ottimo velocizzante.
 
- Comunque, John, perché dovresti andare a parlare con Sherlock?
 
- Papà, è ovvio! Deve dirgli che lo ama! Così anche lui può dirgli che lo ama.
 
- Sì, ma lui come fa a sapere che lui…
 
- Se lui non lo amasse, non se ne sarebbe mai andato.
 
- Sono l’unico a non stare capendo un accidente?
 
- Oh, papà…
 
*
 
- Le dispiace se prendo il treno con lei?
 
- Non mi sembra abbia alternativa, no? In fondo mi sta offrendo un passaggio nel suo costoso jet privato, una volta arrivati all’aeroporto.
 
Mycroft sorrise in maniera affettata, sedendosi in quella che sembrava una maniera molto scomoda sul sedile dello scompartimento.
 
- Suo fratello ha ragione, allora: lei davvero lo spia costantemente.
 
- Io mi preoccupo per lui costantemente. E conosco la sua innata passione per i guai, quindi…
 
- Quindi lo spia – concluse John.
 
- Parliamo di lei, invece, signor Watson – Mycroft sviò l’argomento, prendendo un taccuino dalla tasca interna della propria giacca e iniziò a sfogliarlo lentamente.
 
- Cos’è?
 
- Usi la scienza della deduzione, se davvero è un discepolo di Sherlock.
 
- Dubito che un quadernetto pieno di appunti e dati su cosa mangio la mattina a colazione o quanto spesso mi gratto il naso possano aiutarla a capire chi sono. O se sono un “buon partito” per suo fratello.
 
Mycroft chiuse il suo taccuino con uno scatto, rimettendolo a posto.
- Ne rimarrebbe sorpreso. Ma mi spieghi: sono tutto orecchi.
 
- Io sono una persona semplice, un tipo vecchio stampo. Una persona che adora lavorare ed adora le proprie passioni. Come Sherlock mi ha definito poco fa, io sono “un tipo con saldi principi e nervi d’acciaio”. O almeno, così mi sarei definito tre giorni fa. Poi è cambiato tutto. Lei ha ragione: Sherlock ha una predisposizione a cacciarsi nei guai. Ma stavolta è incappato nel peggiore di tutti, perché io sono un guaio che non ha la minima intenzione di lasciarlo scappare via.
 
*
 
Chiuso nel suo ufficio, Sherlock desiderava ardentemente poter riuscire a mettere al posto i propri pensieri come stava facendo con la sua roba.
Di solito il suo Palazzo Mentale funzionava egregiamente, ma stavolta c’erano troppi sentimenti e probabilmente quel palazzo era andato in fiamme, carbonizzato. Proprio come il suo cuore.
Bene, Sherlock. Sei diventato definitivamente un sentimentale. pensò, scuotendo la testa ed uscendo dall’ufficio con una delle sue scatole.
 
Si fermò davanti a uno dei cubicoli.
- Hooper, Adler. Potreste inviare le scatole nel mio ufficio a Dublino, a questo indirizzo? – porse un foglietto alle due donne, le quali però guardavano un punto alle sue spalle. – Che c’è?
 
- Si giri, signor Holmes.
 
Sherlock si voltò e gli mancò il fiato: John era lì - fortunatamente senza il kilt, ma con addosso dei più semplici jeans e uno dei soliti, tremendi maglioni.
- John.
 
- Sherlock.
 
- Hai il fiatone.
 
- Ho… corso.
 
- Fin dalla Scozia? Sono impressionato.
 
- Ti devo parlare.
 
- Mandami un’e-mail. Adesso devo andare: il mio volo per Dublino parte tra due ore e… Adler, prendi questa scatola e le altre e…
 
- Sherlock, smettila di parlare, per l’amor di Dio!
 
Tutto l’ufficio si zittì.
 
- Devo dirti una cosa, Sherlock, okay? Ci metterò un secondo.
 
- Va bene.
 
- Fino a tre giorni fa, io ti detestavo. Desideravo che un tassista ti avvelenasse o che una banda di terroristi cinesi ti prendesse in ostaggio.
 
- Che fantasia.
 
- Ti ho detto di stare zitto. Poi siamo andati in Scozia e le cose sono cambiate. Sono cambiate quando ci siamo baciati, quando mi hai raccontato di te e quando mi hai guardato mentre eravamo nudi.
 
- Io non ti ho guardato.
 
- Io sì, ma comunque. Mi sono reso conto di tutto quando mi hai lasciato solo in quella dannata stalla. Ora potrai immaginare la mia delusione, quando mi sono reso conto che l’unico uomo che mai amerò stava per andarsene via. Quindi, Sherlock Holmes: sposami.
 
Si udì un coro di gridolini deliziati da ogni cubicolo.
Ma Sherlock scosse la testa, amareggiato.
- Tu non vuoi davvero stare con me, John. No, sta’ zitto tu, adesso. C’è un motivo per cui sono solo da sempre e le persone mi evitano come la peste. Ti renderei infelice e, sul serio, non è quello che voglio. Credo che un ringraziamento sia d’obbligo, però: è merito tuo se in questi giorni ho scoperto parti di me che… avevo dimenticato o che forse non avevo mai avuto. Ma, John, sarebbe davvero più comodo per entrambi se me ne andassi.
 
- Hai ragione: sarebbe più comodo – acconsentì John, avvicinandosi ancora un po’.
 
Sherlock si limitò ad annuire, spaesato da tutto quel turbine di sensazioni che provava dentro.
 
- Ma non facciamolo lo stesso.
E, tirandolo per i lembi del cappotto, lo baciò.
Fu simile al loro primo bacio, perché anche questa volta c’era uno scrosciare di applausi e fischi in sottofondo. Ma stavolta esibivano entrambi dei sorrisi così larghi che gli risultava quasi complicato prolungare quel contatto per più di qualche secondo, per poi rituffarsi nuovamente l’uno sulle labbra dell’altro, increduli.
 
- Non dovevi inginocchiarti, per chiederlo come si deve?
 
- Attento: potrei prenderlo come un sì…
 
 
 
 
 
 
 
- Vediamo se ho capito bene: siete di nuovo fidanzati. Stavolta per davvero.
 
- Assolutamente, signor Stamford, sì.
 
- Vi avverto: una sola risposta sbagliata e…
 
- Sì, conosciamo la procedura, si muova.
 
- Cominciamo.

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