It's a Cruel Romance

di L Change the World
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Moments ***
Capitolo 2: *** Let's Go ***
Capitolo 3: *** Oz, why are you so depressed? ***
Capitolo 4: *** Thank You ***
Capitolo 5: *** Checkmate ***
Capitolo 6: *** Agreement ***
Capitolo 7: *** Something to Say ***
Capitolo 8: *** Tell Me You Love Me ***
Capitolo 9: *** Message ***
Capitolo 10: *** Process ***
Capitolo 11: *** Escape ***
Capitolo 12: *** Passion ***
Capitolo 13: *** Jealous ***
Capitolo 14: *** Triangle ***
Capitolo 15: *** Your Pretty Face ***
Capitolo 16: *** Pause ***
Capitolo 17: *** Dark Chocolates ***
Capitolo 18: *** I Need A Favour ***
Capitolo 19: *** Request ***
Capitolo 20: *** Are you happy? ***



Capitolo 1
*** Moments ***


Con un’espressione concentrata dipinta sul volto, Gilbert uscì silenziosamente dalla porta della sua camera e iniziò a camminare. I suoi piedi nudi facevano cigolare il vecchio pavimento di legno della residenza Rainsworth, e quel fastidioso rumore rimbombava nell’ampio corridoio intarsiato da quadri e tappeti di incredibile pregio. Certo, non era proprio il massimo, soprattutto se si trattava di andare a zonzo nel pieno della notte.

Il ragazzo si lasciò inebriare dal profumo della pioggia tipico di un autunno che volge alla fine, lasciando che ogni sua parte del corpo fosse scossa da piccoli brividi di freddo. Quello scenario gli faceva tornare in mente i lunghi inverni passati nella casata Nightray, con suo fratello, e una vena di nostalgia gli attraversò il cuore.

Ma nonostante quei ricordi bui, in quel momento Gilbert non riusciva ad essere triste.

Svoltò alla sua destra e, quasi inciampando in un ennesimo, antico tappeto, raggiunse la seconda porta e abbassò silenziosamente la maniglia dorata.

La luce della luna era talmente forte che, anche con le pesanti tende di velluto tirate a metà, illuminava quasi a giorno l’ampia stanza che odorava di fiori freschi. Oz Vessalius dormiva nel letto a baldacchino con aria beata, i capelli biondi gli ricadevano a ciocche sul volto, e le guance candide avevano assunto una leggera sfumatura azzurro notte che lo rendeva simile ad un angelo. A quella vista, Gilbert non poté fare a meno di trattenere il respiro e sorridere.

Con estrema cautela si avvicinò, si sedette sul materasso e sfiorò le labbra del suo padrone con delicatezza. Oz aprì debolmente gli occhi, e appena ebbe ripreso un minimo di conoscenza sorrise e ricambiò il bacio quasi con foga.

“Scusa, mi ero addormentato.” mormorò con la voce ancora impastata dal sonno mentre Gilbert gli si sdraiava accanto.

“Non ti preoccupare, anzi, scusami.”

“E perché mai ti dovresti scusare?” Le mani di Oz gli circondarono il viso mentre le loro bocche si incontravano e i loro respiri si fondevano insieme.

“Vorrei che fosse sempre così, sai?” disse Gilbert mentre il quindicenne gli appoggiava la testa sul petto.

“Sento il tuo respiro.” mormorò Oz ignorando le sue parole “E il tuo cuore batte fortissimo. Fa tu-tum, tu-tum, tu-tum. Ti verrà un infarto così, Gil!”

“Scemo.” gli disse il ragazzo, dandogli una pacca scherzosa e ridendo sotto ai baffi. Sentiva il corpo di Oz tremare accanto a sé, così gli passò un braccio sulle spalle e lo strinse forte, respirando l’odore del suo pigiama bianco e il profumo dei suoi capelli.

Era la prima volta che Gilbert abbracciava una persona. I contatti fisici non gli erano mai andati a genio, perché non reputava nessuno così importante da meritarsi una qualsiasi confidenza da parte sua, ma con Oz era diverso. Poteva risultare un gesto goffo e imbranato come al suo solito, eppure fu come se fosse la cosa più naturale del mondo. Cinse quel corpo con tutta la forza che aveva nelle braccia, affondò la testa nel collo del suo Oz e, baciandolo, una lacrima gli scese sul viso.

“Ugh... Così, soffoco, Gil!” rise Oz con la sua tipica voce pimpante “Gil... Ehi, cosa c’è?”

“Oh no, tranquillo. Non è nulla, davvero.” disse il ragazzo tossicchiando e cercando di parlare con una voce vagamente normale. “E’ solo che era da tanto tempo che non mi sentivo così...”

“Così come?”

“Così... Felice.” I suoi occhi si illuminarono per lo stupore. Sì, aveva fatto una scelta, aveva trovato una risposta a tutte le sue domande, un’ancora di salvezza in quel mondo che gli aveva riservato solo difficoltà e dolori. Aveva scelto Oz, e nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea.

“Ti amo, Gil.”

“Anche io ti amo.”

Restarono avvinghiati per combattere il freddo pungente per almeno mezz’ora, chiacchierando di tutto ciò che passava loro per la testa, come se avessero avuto una sola notte per dirsi tutto ciò che fino ad allora non si erano ancora detti.

“Devo andare, ora. Sai, se passo la notte qui, gli altri...”

Oz annuì dispiaciuto ma comprensivo, così gli scoccò un ultimo bacio prima di vederlo allontanarsi e scomparire dietro la porta come un sogno che finisce appena ci si sveglia al mattino.

L’indomani sarebbe stato un altro giorno, un giorno all’insegna di occhiate fugaci, di sussurri carichi di tensione e di desideri repressi. Sapevano che prima o poi sarebbe saltato fuori tutto, e la sola idea li riempiva di ansia e di preoccupazione.

 Eppure nessuno dei due era mai stato più felice.

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Capitolo 2
*** Let's Go ***


“Gil, è ora di alzarsi.” Una mano  gli scosse il braccio attraverso le coperte nel tentativo di riesumarlo dal mondo dei sogni.

“Oz...” mormorò Gilbert appena aprì gli occhi “Tesoro...”

“Tesoro?! Cosa...?” Gilbert mise pian piano a fuoco. Un occhio rosso lo fissava attraverso una catasta di capelli bianchi, mentre un sorriso parecchio inquietante lasciava mostrare una dentatura perfetta.

“Aaaaaaah!” gridò Gilbert raccogliendosi di scatto su sé stesso e alzandosi le coperte fino al mento. Non era Oz, ma quel buffone di Xerxes Break.

“So di fare paura, Gilbert caro, ma questo rifiuto nei miei confronti mi lascia basito!” disse Break fingendosi offeso e infilandosi in bocca un lecca-lecca alla fragola.

“Ehm, no... Cioè, Break, ma che ci fai qui esattamente?”

“Ma non lo vedi, zuccone?! Sono venuto a svegliarti, è mezzogiorno!”

Mezzogiorno? Gilbert si era decisamente perso qualcosa. Si strofinò gli occhi, sbadigliò e biascicò un “Ora vengo.” mentre Break si avviava verso la porta.

“Ah, a proposito, ma cosa ti ha fatto Oz?”

A quel nome, Gilbert si irrigidì. Cosa intendeva Break con quella domanda?! Assunse un’aria noncurante sperando di risultare credibile, e disse:”In che senso, scusa?”

“Quando sono entrato stavi parlando nel sonno. Dicevi qualcosa riguardo al tuo signorino, ma non sono riuscito a capire cosa di preciso.” Break gironzolava per la stanza di Gilbert con estrema tranquillità, ma il ragazzo aveva capito che l’albino aspirava ad approfondire la questione più di quanto volesse far vedere. “E’ successo qualcosa, per caso?”

“No, nulla.” tossicchiò il ragazzo facendo a Break cenno di togliersi dalle scatole. Evidentemente uno dei suoi sguardi truci riuscì a cacciarlo via, perché un attimo dopo l’uomo era scomparso.

Con fretta, Gilbert si vestì, si mise in testa il suo amato cappello nero e raggiunse il soggiorno.

Appena entrò, ebbe un tuffo al cuore: Oz e Alice erano seduti uno accanto all’altra, e chiacchieravano ridendo di gusto.

Si dette dello stupido, perché in quel momento provò una fitta di gelosia tale da doversi contenere per non scatenare una strage. Sì, era geloso di quello stupido coniglio, e se ne vergognava. Dal più profondo del cuore, Gilbert sapeva che Oz lo amava come forse non aveva mai amato nessun altro, eppure al solo pensiero di rivedere Alice baciarlo per stipulare il contratto si sentiva sprofondare.

“Buongiorno.” borbottò, attirando su di sé gli sguardi stupiti dei presenti. Riuscì a malapena a sentire un “Ma guarda chi si vede!”, dopodiché tutto il resto svanì.

I suoi occhi erano piantati su quelli verdi smeraldo di Oz, i quali brillavano di luce propria e sembravano illuminare la stanza con un bagliore accecante.

Chinò debolmente la testa come al suo solito, mentre il sorriso di Oz si allargò e pronunciò raggiante:”Ben svegliato, Gil! Bello dormire fino a mezzogiorno, eh?!”

Non era passato nemmeno mezzo secondo e già stava impazzendo. Avrebbe voluto correre da lui, saltargli con le braccia al collo e baciarlo, carezzandogli i morbidi capelli dorati.

‘No, non devi farlo, o rovinerai tutto. Svegliati, Gilbert!’ Alzò gli occhi al cielo e si sedette sul divano mentre alle sue spalle tintinnavano tazzine e cucchiaini.

“Gilbert, ti dispiacerebbe accompagnarmi in missione a recuperare un Contraente Illegale tra più o meno...” Break alzò il suo orologio da taschino all’altezza del viso “... dieci minuti?”

Gilbert reclinò la testa, sbuffando.

“Oh, ti prego, non ti entusiasmare troppo, così mi metti in imbarazzo!”

“Cos’è l’imbarazzo? Si mangia?” esclamò Alice, alzandosi di scatto.

“Vieni Alice, te lo spiega la tua sorellona cos’è l’imbarazzo!” esclamò raggiante Sharon afferrando per il colletto la Chain e trascinandola verso uno scaffale pieno di volumi di un rosa sfumato.

Suo malgrado, Gilbert dovette constatare che sapere Alice lontana da Oz lo sollevava parecchio. Eppure una cosa era certa, ovvero che Oz e Alice erano ormai legati indissolubilmente, e a lui restava solo che accettare la dura verità e abituarsi al loro rapporto padrona-schiavo istituito a  chiare lettere dalla Chain, anche se questo gli richiedeva un’enorme fatica.

“Posso venire anche io?” chiese Oz, rompendo il silenzio.

“Temo di no, Oz caro.” D’un tratto, il viso di Break assunse un’espressione dura “ Vedi, questo caso particolare potrebbe essere pericoloso,  soprattutto per te.”

“Ma...”

“Niente ma. Se  i Baskerville dovessero trovarti, non voglio incappare in scomodi inconvenienti. Tu lo capisci, vero Oz caro?”

Gilbert e Oz si guardarono di sottecchi per un secondo, e il ragazzo gli fece un cenno d’assenso con la testa. Non poteva permettere che Oz rischiasse la vita per l’ennesima volta. Non avrebbe sopportato la vista del ragazzo in difficoltà senza che lui potesse fare niente, come già era capitato in passato, e se c’era una cosa alla quale Gilbert teneva di più era innanzitutto proteggere colui che amava, anche se ciò avrebbe significato dividersi.

Represse la sua frustrazione con molta fatica, respirando a fondo mentre vedeva le labbra di Oz arricciarsi in segno di disappunto.

“Va bene, ho capito.” Con un’alzata di spalle, Oz ritornò al suo modo di fare sprizzante “Bhe, allora buona fortuna, Break! Gil, ti accompagno a preparare i bagagli?”

Gilbert annuì debolmente e si incamminò verso il corridoio con Oz che gli parlava a fianco.

Quando entrarono in camera, Gil tirò fuori una cenciosa borsa di pelle nera e cominciò a rovistare nel suo armadio per decidere cosa portarsi mentre Oz si buttava sul letto ancora sfatto con un tonfo sordo.

“Starai via per molto?” chiese il quindicenne con aria preoccupata.

“Non lo so. Spero di no.” mormorò Gilbert, girandosi verso di lui. Si guardarono intensamente per alcuni secondi, cercando di decifrare l’uno i pensieri dell’altro. Poi, con uno scatto repentino, Oz lo abbracciò forte e alzò la testa. Si baciarono a lungo, tentando di non generare alcun rumore mentre le loro bocche si esploravano. Sentì il calore delle mani del ragazzo sulle sue guance ardenti, e lui affondò le sue dita tra i suoi capelli dorati, passandole tra le ciocche mentre sulla sua lingua sentì un delicato aroma di tè al limone.

Le loro labbra di divisero, e entrambi sorrisero dolcemente.

“Dai, ti aiuto, sennò arriverai in ritardo. E dopo Break chi lo sente?” disse piano Oz. Con una straordinaria velocità, gli sfilò il tanto beneamato cappello nero dalla testa e se lo mise, raccogliendo un cumulo di vestiti tutti uguali e inzeppandoli dentro la borsa con energia.

“No, Oz, ridammi quel cappello!” disse Gilbert con un tono a metà tra il preoccupato e il divertito, mentre cercava invano di rivendicare l’amatissimo copricapo. Oz gli scoccò un grosso bacio sulla guancia non curandosi delle persone che potevano passare fuori dalla stanza e sentirli, e gli aggiustò con cura il cappello.

Insieme uscirono dall’imponente portone, dove uno Xerxes Break già accomodato sul sedile di velluto rosso stava scartando una caramella color prugna.

“Su,su! Scattare!” esclamò facendo cenno a Gilbert di sedersi vicino a lui. Oz lo salutò con la sua solita risata, e lui lo ricambiò con una smorfia che doveva somigliare ad un sorriso. Gilbert salì, e, quando la carrozza incominciò a muoversi, scostò la tendina e tenne gli occhi fissi su Oz finché non scomparve completamente dalla sua vista.
Sperava solo che quella missione non sarebbe durata tanto a lungo, perché stavano in viaggio da soli cinque minuti, e di Oz già ne sentiva la mancanza.

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Capitolo 3
*** Oz, why are you so depressed? ***


“Oooooz, perché sei così depresso?” la voce annoiata di Alice suonò irritante alle orecchie del ragazzo “Mi sto annoiando a morte, facciamo qualcosa?”

Con un sospiro che sembrò durare ore, Oz le fece intendere che la sua voglia di alzarsi anche solo dal divano era pari a zero. La casa senza Gilbert sembrava vuota, priva di significato, e viverci era diventato insopportabile. Vedeva la sua metà praticamente dappertutto, appoggiato al balcone a fumare una sigaretta, seduto sulla poltrona con il cappello nero abbassato sugli occhi, lo vedeva persino sdraiato accanto a sé quando dormiva.

Erano passate due settimane e mezzo da quando era partito in missione, e ancora non si faceva vedere. Oz era ottimista, ma era il pensiero di saperlo lontano da lui che lo tormentava.

“Uff... Senti, vedo se riesco a rubare un po’ di cibo dalla dispensa, ok?! Quando ritorni in te, fammi un fischio.” disse Alice, e suoi passi imbufaliti si fecero man mano più lontani fino a scomparire del tutto. Sentì un vago tonfo in corridoio, dopodiché la porta del soggiorno si aprì violentemente e ne emerse la candida figura di Sharon, il viso roseo con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, che teneva per un orecchio un’Alice indispettita.

“Oz, è l’ora del tè! Ti andrebbe di farci compagnia.” Con un cenno di assenso, Oz si decise ad alzarsi, non perché gli fosse venuta un’improvvisa voglia di tè (Gil lo prendeva sempre il tè...), ma per trovare un modo per distrarsi da quei pensieri.

“Le giornate stanno diventando sempre più fredde, non credete?” chiese Sharon sfregandosi le braccia con le mani per scaldarsi.

“Io sto benissimo!” gridò Alice alzando le sopracciglia con aria di superiorità.

Quando entrarono nella sala da pranzo, la Chain si catapultò subito sul tavolo, afferrò un pasticcino alla crema e gli diede un morso. Non passarono due secondi, che subito il boccone era stato sputato senza troppe premure sul un piattino

“Puah! Ma che cos’è questa schifezza?”

“Schifezza?! Come osi chiamarla ‘schifezza’, Alice?” la sgridò Sharon mentre versava del tè nella tazza di Oz e gli porgeva lo zucchero. Quasi meccanicamente, Oz ingurgitò la bevanda tutta d’un  fiato, ustionandosi l’esofago praticamente senza sentire nulla. Evidentemente doveva essere diventato rosso fuoco, perché d’un tratto Sharon gli si mise davanti e gli passò una mano davanti agli occhi.

“Oz, ti senti bene? Ma hai bevuto tutto il tè bollente, sei pazzo! Tieni, bevi dell’acqua!”

Con il bicchiere ancora in mano, Oz tossicchiò e disse:”Sto bene, sto bene, non ti preoccupare.”

“Pensi che non lo abbia capito?” Oz sbarrò gli occhi. Sharon non poteva sapere, no. Non poteva neanche immaginare. Guardò Alice che tirava fuori da sotto la manica uno spiedino di carne, infilandoselo allegramente in bocca.

“Capito... cosa?” balbettò con voce rotta, facendo finta che fosse per colpa dell’ustione.

“Che sei malato. E’ da due settimane che sei ridotto ad uno straccio, dovrei chiamare qualcuno.” Il cuore di Oz esplose, e un grande sollievo gli fece rilassare tutti i muscoli fino ad allora tesi come corde di violino.

“Ma no, sto benissimo, fidati. Ehm, grazie, comunque, per esserti preoccupata.” Sharon sorrise scuotendo la testa, quindi si sedette e addentò un biscotto.

All’improvviso, delle labbra gli sfiorarono la guancia. ‘Gil’ fu il primo pensiero di Oz, e subito il suo petto cominciò a rimbombare furioso. Si sentì avvampare, e le mani tremarono con piccoli scatti appena percettibili. Ma quando senti dei denti mangiucchiargli la pelle, capì.

 “Alice, ancora con questa storia? Quante volte te lo devo dire che baciare non significa maciullare la guancia a qualcuno?” esclamò Sharon con uno sguardo divertito.

E poi fu un attimo. Oz si divincolò, afferrò il colletto di Alice con una forza tale da rendere le nocche delle mani visibili, e la scaraventò furiosamente lontano da sé, facendola quasi cadere a terra. La sua espressione divenne incredula, e subito gli si fece il fiato grosso.

‘Ma cosa ho fatto?’ si chiese il ragazzo abbassando lo sguardo. Si toccò la guancia che portava ancora i segni dei denti. Alice lo aveva baciato. Si sentì come se in qualche modo avesse tradito Gilbert, come se non gli importasse affatto della loro relazione e si lasciasse andare a quelle confidenze con chiunque gli capitasse a tiro. La verità era che Oz non aveva fatto nulla di sbagliato, ma che la sua mente lo vedeva come tale.

 Essersi fatto baciare da qualcuno che non fosse Gilbert gli suonava strano, ma non poteva  essere così dannatamente infantile, ed era sicuro che Gilbert al suo posto non si sarebbe scomposto, perlomeno per non attirare l’attenzione e non creare sospetti. E invece lui, come un cretino, aveva malmenato Alice, e questo sarebbe stato difficile da dimenticare.

“Alice...” disse piano Oz, avvicinandosi alla Chain a cui tanto teneva “Mi dispiace... Io...”

“Io volevo... Volevo solo consolarti...”

“Ti prego, perdonami.” Le si fermò davanti, non sapendo cosa fare. Poi, in un modo impacciato che non gli apparteneva affatto, la abbracciò. Sentì quel corpo caldo tra le sue braccia, e non poté fare a meno di pensare a Gil, a quando si erano tenuti stretti quella notte per più di un’ora, da soli, nel bel mezzo della notte.

 A quel pensiero arretrò e la guardò in faccia, sorridendogli. “È che in questo periodo sono un po’ nervoso. Capita a tutti, no?”

Alice annuì, accennando anche lei un mezzo sorriso. “Non preoccuparti, ti capisco.”

Esitando, la ragazza decise di dileguarsi, scomparendo alcuni secondi dopo senza dire una parola. Oz si sentiva in colpa, e tanto. Si girò verso Sharon, e nei suoi occhi vide le fiamme.

“Oz.” disse lei con un tono diverso da quello divertito e rilassato che la caratterizzava “Cosa ti è successo?”

Oz sospirò.

“Non sbuffare! Quello che ho visto poco fa non ti appartiene! Perché ti comporti così?”

“Te l’ho detto, sono solo un po’ ner...”

“Al diavolo!” Sharon scattò in piedi rovesciando il contenuto di una delle tazzine “Tu non sei l’Oz che conosco! Ma ti sei visto? Da quando è andato via Gilber...” La sua faccia cambiò espressione.

“Cosa stai dicendo?” chiese Oz cercando di sviare il discorso.

“Gilbert... Cosa ti ha fatto Gil?” Sharon gli si avvicinò “Rispondi Oz. Gilbert ti ha fatto qualcosa?”

“Ma cosa vai dicendo?” E poi, alle loro orecchie, giunse un rumore quanto mai familiare: le ruote di una carrozza, lo scalpitio dei cavalli, dei passi sui ciottoli bagnati, e la risatina di un pagliaccio.

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Capitolo 4
*** Thank You ***


Il cuore gli pulsava all’impazzata mentre dei passi decisi avanzavano tra i ciottoli bagnati dalla pioggia.

Dimenticò tutto: l’aggressione ad Alice, il gelo che si era creato, le urla di Sharon che ancora gli rimbombavano nelle orecchie.

Era tornato.

Si lanciò sulla porta, volò giù per le scale, percorse un corridoio che sembrò non avere mai fine. Aveva la giacca storta, il fiato mozzo, i capelli scompigliati, e un grosso sorriso sulle labbra.

Uscì dal retro, si diresse verso la stradina cercando di sembrare disinvolto nella sua felicità, e poi lo vide.

Una figura altissima, vestita di nero, dritta come un fusto, con il cappello a cilindro posato su quei lunghi capelli corvini fluttuanti al vento gelido di fine settembre.

Gil.

Stava per corrergli incontro, quando l’arrivo di una persona lo costrinse a fermarsi.

Suo zio Oscar scese da una carrozza che si era appena fermata sul viottolo, affrettando il passo abbastanza goffamente e chiamando Gilbert a gran voce. Al suono di quel tono bonario e allo stesso tempo possente che aveva fatto da sottofondo alla maggior parte della sua infanzia, Gilbert si fermò, gli occhi dilatati dalla sorpresa, e infine si girò, ritrovandosi senza preavviso tra le braccia solitamente calorose, ma ora stranamente rigide di Oscar Vessalius.

“Gilbert!” esclamò l’uomo con una voce tesa come una corda di violino, sfoderando uno dei sorrisi più falsi e patetici che potesse fare. “Da quanto tempo!”

“N-nobile Oscar.” mormorò Gil, accennando un sorriso e levandosi il cappello.

“Oh, suvvia, ancora con queste formalità?!” rise Oscar con l'intento di alleggerire quell'atmosfera che si stava facendo pesante.

Oz sorrise. Vedere Gil in imbarazzo lo inteneriva sempre, con quella sua aria timorosa, quelle sopracciglia inarcate, quel mezzo sorriso che lo rendevano bello come non mai. Ma quando il ragazzo spostò lo sguardo all’uomo che gli aveva fatto da padre, si accorse che veramente c’era qualcosa che non andava. Il suo sguardo era incerto, e i lembi sollevati della sua bocca erano tutto tranne che sereni.

“Ehm, Gil.” lo fermò Oscar dopo un po’, e la sua espressione smise finalmente di fingere gioia, diventando paurosamente seria “Io vorrei parlarti, solo io e te. Tu potresti...?”
Gil annuì senza che Oscar potesse finire la domanda. Involontariamente, posò lo sguardo su Oz, forse un po’ troppo a lungo, perché d’improvviso le guance gli si arrossirono visibilmente e le labbra si strinsero come a voler soffocare il desiderio di raggiungerlo. Il ragazzo ricambiò quello sguardo, ma subito decise di nascondersi tra le foglie dei cespugli, perché sentiva che quel discorso non sarebbe stato uno dei soliti racconti comici di suo zio. Si infrattò cercando di fare il meno rumore possibile, e stette ad ascoltare.

“Gil, io ti volevo parlare... di Oz.” A quelle parole, il respiro di Gilbert si bloccò.

“Perché? Gli è successo qualcosa?”

Il rumore dei loro passi cessò “Oz non è venuto con te e Break in quella missione, vero?!”

“No, certo che no! Non gliel’ho permesso.”

“Sia ringraziato il cielo...” sospirò Oscar, sollevato “Ho saputo che avete avuto a che fare con i Baskerville, e ho temuto che Oz fosse venuto con voi. Sai com’è fatto, quando si mette in testa una cosa...” Regnò il silenzio, rotto solo dal vento che spirava tra le foglie secche.

“Oscar. Ehi...” La voce di Gilbert si fece delicata come una carezza pur mantenendo la sua fermezza.

“È che...” Oscar Vessalius aveva la voce spezzata, che sfociò subito in un singhiozzo sordo “... non posso pensare che un giorno Oz... Il Sigillo... Io...”

“Oscar.”

“Lui è il mio ragazzo, Gil. Il figlio che non ho mai avuto, capisci? Lui... è la persona più importante che ho.” L’uomo singhiozzava per la prima volta davanti a qualcuno, e Oz ne rimase scosso. Faceva strano sentir piangere un adulto, soprattutto se quell'adulto era il Duca Vessalius. “Gil, promettimi una cosa. Promettimi che mai, per nessun motivo al mondo, lo lascerai. La sua vita è nelle tue mani. Proteggilo, Gilbert. Fallo per lui.”

“Ascoltami.” disse Gilbert con voce tremante, forse per l'emozione, forse per la consapevolezza che il soggetto di quel discorso lo stava acoltando “Quella promessa, ricordi? Io l’ho sempre mantenuta, e sempre lo farò. Io proteggerò Oz, qualunque cosa accada, anche a costo della vita. Non permetterò a nessuno di fargli del male, ok? Tu puoi anche non fidarti di me, e non ti biasimerei per questo. Ma se c’è una cosa su cui puoi contare è che Oz, in mia presenza, non verserà una sola lacrima di dolore. Chiaro?”

Gli occhi di Oz bruciavano, la mano sulla bocca per non far udire il suo respiro affannato ed irregolare. E stavolta non era per la corsa sfrenata di prima. Voleva ridere e piangere, voleva poter conservare il ricordo della gioia che provava in quel momento.

“Dai, andiamo.” disse Gilbert sorridendo rassicurante. Quando fu sicuro che i due si fossero allontanati abbastanza, Oz si alzò dal cespuglio.

“Ok.” mormorò Oscar tirando su con il naso e asciugandosi il viso con una manica. “Scusa, sono arrivato all’improvviso, ti avrò anche spaventato. È solo che...”

“Tranquillo.” disse Gilbert posandogli una mano sulla spalla “Eri in tensione, ti capisco. Capita anche a me. Molto spesso.”

Oscar annuì stringendo le labbra e girandosi nella direzione opposta. Per un attimo, ma solo per un istante, a Oz parve di scorgere negli occhi di suo zio un velo di sospetto mentre con la coda dell’occhio seguiva i passi decisi di Gilbert che si allontanavano, ma non poteva esserne certo tra quel tripudio di emozioni che gli ronzava per la mente.

“Gil.” lo chiamò infine Oscar appena prima di montare sulla carrozza “Grazie. Davvero.”

Il quindicenne lo vide andare via così come era venuto, senza neanche salutarlo o abbracciarlo per la premura che aveva dimostrato nei suoi confronti. Incapace di fare un altro passo, si sedette sull’erba fredda e bagnata, schiacciato sotto il peso dello scambio di parole avvenuto pochi secondi prima, e si scoprì a sorridere con un’espressione inebetita dipinta sul volto divenuto rosso per il freddo pungente. Non si era mai reso conto di quanto fosse amato da suo zio, da quanto fosse amato da Gil, che era pronto addirittura a sacrificarsi per lui. A quel pensiero tutto gli parve allo stesso tempo dolce e amaro, e per la prima volta si sentì davvero importante per qualcuno.

All’improvviso sentì un movimento alle sue spalle. Del calore umano gli invase la schiena e due braccia lo cinsero da sopra le spalle. Conosceva quel profumo. Conosceva quelle dita bianche e affusolate.

“Ti ho trovato.”

Oz si girò repentinamente verso di lui e lo baciò con foga, il sorriso ancora fisso sulle sue labbra tremanti. Si abbracciarono forte, l’uno incollato all’altro, le loro lingue che strusciavano, esplorandosi, i loro corpi fusi in uno solo.

Non c’era bisogno di parole, e quel bacio che tanto era mancato ad entrambi fu come una boccata d’ossigeno.

Oz si protese verso Gilbert quasi gettandolo a terra, incurante delle persone che avrebbero potuto passare in quel momento. Anzi, non gliene fregava proprio niente.

Gli sfilò il cappello e lo gettò alla sua destra, stringendo i capelli nero pece tra le sue dita e affondando la propria bocca in quella dolciastra di lui, abbandonandosi al calore del suo respiro.

Quando si staccarono, entrambi risero di gusto, come fosse una liberazione dalla tensione che aveva regnato fino a pochi attimi prima, cadendo sull’erba e fissando il cielo che andava scurendosi.

In finestra non c’erano sguardi indiscreti, e nel giardino regnava la pace.

Quello era uno dei giorni più belli della sua vita.

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Capitolo 5
*** Checkmate ***


[Attenzione: Rating Rosso]

Le giornate passavano, il cielo si faceva sempre più bianco e nuvoloso, e il giardino cominciava a sfumare verso un grigio invernale. Oz stava comodamente leggendo un libro sulla sua poltrona preferita, davanti ad un Gilbert intento a spazzolare il suo cappello con una mano. Un intenso odore di tè e pasticcini invadeva la stanza, accompagnato dall’inevitabile tintinnio di piatti e tazzine con cui Xerxes Break armeggiava da almeno due ore. A quell’atmosfera si aggiungevano i gridolini di gioia di Sharon davanti ad uno degli ennesimi romanzi d’amore, invitando Alice a guardare le figure e a commentare quel tripudio di cavalieri e dame dagli scenografici abiti e dai cuori nobili, procurandosi sguardi di disappunto da parte della Chain.

“Guarda che gesta, che stile, che eleganza! Pagherei oro pur di avere al mio fianco un uomo come lui!” sospirò Sharon, guardando con occhi sognanti un’immagine abbastanza sdolcinata.

Gilbert alzò subito lo sguardo verso Oz, il quale lo scrutò di sottecchi soffocando una risata con non poche difficoltà. Il ragazzo scosse la testa sorridendo, riportando la sua attenzione al cappello e facendo finta di nulla.

Da quando era tornato, lui e Oz non sentivano più la stessa pressione, la stessa paura di essere continuamente osservati e scoperti. Ora l’atmosfera quando uno incontrava lo sguardo dell’altro era molto più leggera, quasi piacevole se non fosse stato per la necessità di nascondere quelle moine, quelle risatine idiote, quei gesti di intesa. Continuavano a vedersi di nascosto, la notte, passando a malapena un’ora da soli per raccontarsi le proprie giornate e abbracciarsi e baciarsi senza il terrore di voci indiscrete. Eppure, per quanto la situazione fosse nettamente migliorata, Gilbert non si sentiva appagato affatto. Avrebbe voluto baciare Oz ogni volta che si ritrovavano in una stanza insieme, avrebbe voluto scompigliargli i capelli dorati con affetto, avrebbe voluto fare tante cose che era costretto invece a reprimere.

Quando l’orologio batté la mezzanotte, i cinque membri di Pandora si alzarono con occhi assonnati e i vestiti sgualciti, decisi a dileguarsi ognuno nella propria camera al più presto. Salutando gli altri, Oz e Gilbert si avviarono verso le proprie camere, svoltando all’ultimo secondo e infilandosi furtivi nella prima stanza isolata che riuscirono a trovare. Non appena la porta dietro di loro si fu chiusa, i due si guardarono di sbieco, ridendo quanto più silenziosamente gli era permesso di fare.

“Guarda cosa ho.” disse Gilbert, prendendo dalla sua tasca un involucro argentato. Tempo prima aveva promesso a Oz che gli avrebbe portato qualcosa di gustoso dalla cucina, così aveva ricattato uno dei servitori e si era fatto reperire un delizioso pezzo di crostata di more, la marmellata preferita di Oz.

“Alla fine ce l’hai fatta, eh?!” esclamò il ragazzo, prendendone un pezzo e addentandolo con soddisfazione. Poi, con uno scatto repentino, affondò due dita nella marmellata densa e scura del pezzo che gli restava e la spalmò sulla guancia di Gilbert, scattando in avanti prima che questi potesse anche solo raggiungerlo. Sfortunatamente il suo intento non andò a buon fine: Gil gli afferrò la vita, gli prese le mani e riuscì a sbattergli in faccia la crostata ormai ridotta in poltiglia.

“Brutto...” disse Oz riempiendosi  la bocca di briciole. Prima che potesse scappare di nuovo, Gilbert lo baciò attirandolo verso di sé, sentendo sulla lingua il sapore intenso delle more. Quando le loro bocche si divisero, Oz leccò un po’ della  marmellata dalla guancia di Gil, prendendo dalla sua stessa faccia l’intruglio con un dito e invitandolo a mangiarlo.

Si ripulirono la faccia con dei fazzoletti che Gilbert si era portato per sicurezza, dopodiché si buttarono letteralmente sul grande letto al centro della camera. All’impatto, Gilbert soffocò un lamento di dolore: durante la missione si era procurato una ferita non proprio superficiale all’altezza della spalla, e sbatterci contro non facilitava di certo la guarigione.

“Cos’hai, Gil?” chiese Oz, mettendosi a sedere e aiutando il ragazzo a fare lo stesso.

“Non è nulla, tranquillo.”

“No che non è nulla. Fammi vedere.” Con estrema cautela, Oz riuscì a sbottonargli la camicia e a scoprire la spessa fasciatura ancora intrisa di sangue. “Gil, ma sei pazzo? Devi farti vedere da qualcuno, o ti verrà un’infezione. Perché non me l’hai detto?”

“Non volevo farti preoccupare. E poi non ti libererai di me a causa di una una banale infezione, perciò mettiti l’anima in pace.” disse Gilbert sorridendogli e beccandosi una pacca da un Oz a metà tra l’indignato e il divertito.

La mano del ragazzo sfiorò la fasciatura, accarezzandola debolmente, e, quando le sue dita toccarono quella pelle bianca come il latte, un lungo brivido scosse Gilbert.

Alzò lo sguardo, incontrando quegli occhi verdi che lo facevano impazzire per un tempo che poteva essere un’eternità o un secondo. Cercò le labbra di Oz, le trovò e vi ci affondò avidamente la lingua, baciandolo come mai aveva fatto finora. Le sue dita armeggiarono con i bottoni della sua giacca, facendogliela scivolare lungo le spalle mentre la sua camicia veniva sbattuta violentemente a terra.

D’un tratto si ritrovarono sdraiati, e il corpo di Gilbert avvampò anche se fuori pioveva a dirotto e un forte vento faceva sbattere le finestre. Percepiva il fiato caldo di Oz sul suo collo esposto mentre lo stringeva a sé affondando le unghie nella pelle della schiena. Si baciarono di nuovo, con più passione, e intanto anche la sua cintura veniva lanciata via.

La spalla gli bruciava, ma quasi non se ne accorgeva. Forse stava sanguinando ancora di più, ma non gli importava. Forse le bende si stavano togliendo, ma non gli importava. Forse...

Gilbert si abbassò i pantaloni, e Oz aveva il respiro corto quando passò dalla sua bocca alla sua gola, scendendo più in basso, laddove la cicatrice da lui stesso inferta risaltava su tutto il torace. I suoi occhi color smeraldo si riempirono di lacrime quando le sue mani toccarono la pelle rialzata, cospargendola di piccoli, affettuosi baci, come se quello bastasse a farla risanare, a farla scomparire non solo dal corpo, ma anche dai ricordi.

Gilbert ansimò, ricordando la scia di sangue sui suoi vestiti, la lama diventata di un rosso scarlatto, il dolore che aveva provato quel giorno, e Oz scese di più, sempre di più, arrivando alla sua erezione senza che avesse neanche il tempo di realizzare ciò che realmente stava accadendo. Un gemito uscì dalla sua bocca, e si sentì come fluttuare nel vuoto, lasciandosi cullare da quel caldo, dolce movimento dei loro corpi e assaporando quegli attimi di felicità che difficilmente si sarebbero ripresentati. Gilbert voleva ridere e piangere insieme, gemeva e non pensava a nulla se non a Oz, la testa confusa, il calore che li circondava, il corpo leggero e libero da quell’ammasso di sofferenze che era diventata la sua vita, sgombro dai pensieri più terribili, libero per una volta di sentirsi amato.

Sentiva la lingua calda di Oz sulle sue parti intime, le sue mani sui fianchi e sulle gambe esposte, il suo respiro accelerato, il sudore che gli scendeva sulla schiena inarcata. Il suo cuore batteva talmente forte che credette gli stesse per esplodere nel petto, e, guardando il soffitto, gemette manifestando tutto il suo piacere.

Risalendo, Oz lo abbracciò forte, affondando il viso contro il suo petto e inspirando profondamente. Gilbert gli carezzava e baciava i capelli, la fronte, le guance. Quello era il paradiso. Non c’erano nuvole, arcobaleni, angeli. C’era solo Oz, e nulla poteva renderlo più felice.

“Ti amo.” gli sussurrò all’orecchio.

“Ti amo.” si sentì dire da quella voce dolce come il miele. Si baciarono ancora fino a crollare  l’uno stretto all’altro, avvolti in un tripudio di coperte e vestiti, cullati dal calore intenso della stanza, cadendo sotto il peso del sonno profondo.

                                                                                                    


Gilbert socchiuse debolmente gli occhi. Davanti a sé, il viso di Oz appariva sereno mentre il respiro lento e regolare gli suggeriva che ancora stava dormendo. Il cielo mattutino era grigio, saturo di una pioggia che non accennava a smettere. Gilbert fissò il ragazzo con il sorriso sulle labbra, ammirandone la perfezione dei tratti e percorrendo con le dita le sue guance morbide. Si stirò e subito si coprì con le coperte, cercando di scaldare il suo corpo rimasto praticamente nudo dalla sera precedente.

Si mise a sedere, stringendo i denti per reprimere il dolore alla spalla che si era fatto più pungente di prima.

Ebbe un tuffo al cuore.

Una scarpa bianca, un vestito vistoso, una bambolina. Un occhio rosso. La figura di Xerxes Break  si ergeva in tutta la sua altezza da dietro la porta, il viso che esprimeva tutto il suo stupore, no, addirittura... terrore.

L’albino strinse le labbra, l’unico occhio sbarrato sembrava dovesse lasciare l’orbita da un momento all’altro, le mani tremanti, il respiro che stentava ad uscire da quelle labbra semichiuse dall’incredulità di quella vista. Per un po’ non dette segni di ripresa, ma tutt’ad un tratto le spalle si rilassarono, le dita affusolate passarono tra le disordinate ciocche bianche, e un’espressione tesa gli si dipinse sul volto divenuto ulteriormente cereo mentre passava lo sguardo da un Gilbert traumatizzato a un Oz ancora immerso nel mondo dei sogni.

La verità era una sola, terribile, ma una sola: Break aveva fatto loro Scacco Matto.

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Capitolo 6
*** Agreement ***


Il silenzio regnava a casa Rainsworth, rotto solo dal rumore delle foglie secche che cadevano e dall’erba smossa da una brezza gelida.

Gilbert e Oz erano seduti l’uno accanto all’altro, con gli occhi fissi sulle proprie gambe e la bocca serrata, mentre dall’altro lato del tavolino Xerxes Break mangiucchiava nervosamente un lecca-lecca, immerso in chissà quali pensieri.

“Quindi voi state...?” chiese all’improvviso quest’ultimo, congiungendo l’indice e il medio destri prima che la mano ricadesse di nuovo inerme sulla superficie fredda del tavolo. Oz e Gilbert si lanciarono uno sguardo fugace e, mordendosi le labbra, annuirono debolmente.

“E avete già fatto...?” Gilbert tossì violentemente, fulminando Break con uno sguardo assassino mentre le guance di Oz avvampavano al ricordo della sera prima.

“Ok! Ok! Va bene...” esclamò l’albino strizzando l’unico occhio rosso e scuotendo la testa come per rimangiarsi tutto.

I due ragazzi si guardarono alle spalle per assicurarsi che non ci fosse nessuno ad ascoltare. Sapevano che Break aveva praticamente costretto con la forza Sharon e Alice ad andare in città, e sapevano anche che a quell’ora i servitori erano intenti a lavorare, eppure erano tesissimi per la paura che quei discorsi potessero essere uditi.
D’un tratto Break raddrizzò la schiena, poggiò entrambi i palmi sul tavolo ed inspirò profondamente, guardando entrambi dritti negli occhi.

“Voi mi state mettendo in una situazione imbarazzante, ragazzi. Molto imbarazzante.” Break sospirò ancora, cercando di trovare le parole adatte a quella circostanza assurda. “Sarò chiaro e sincero con voi.

C’è un regolamento, secondo il quale chiunque venisse a scoprire una situazione, come dire... scomoda che potrebbe in qualche modo infangare il buon nome delle Casate Ducali, questi avrebbe il dovere di testimoniare davanti al Duca della Casata in questione. Poi si ricorrerebbe alla cospirazione, mettendo nel sacco gli indagati e processandoli per le loro colpe.”

A quelle parole, Gilbert e Oz non poterono fare a meno di cercarsi le mani e stringersele forte. A quella vista, Break rimase pressoché impassibile, ma si intuiva che la sua testa si era messa al lavoro.

“Sentite.” esordì dopo alcuni minuti di silenzio tombale “Se vi ho detto questo è perché non ho nessuna intenzione di rispettare quel regolamento, ok?”

I muscoli di entrambi i ragazzi si rilassarono, e Oz e Gilbert si guardarono con occhi colmi di una flebile speranza.

“Ehi, ehi, aspettate!” riprese l’albino agitando le mani per riportare l’ordine “Io ci sto rimettendo la faccia. Se combinate qualche cavolata, non contate su di me, chiaro?”

“Sì, certo.” disse Oz, incapace di trattenere il suo solito sorriso.

“Aspetta un secondo” la voce di Gilbert, invece, suonò quanto mai incerta “Ti conosco fin troppo bene, Xerxes Break. Tu non aiuteresti mai qualcuno di tua spontanea volontà.”

“Vedo che le tua capacità di osservazione sono nettamente migliorate, Gilbert caro. Mi fa piacere” Il viso di Break si illuminò, e quel suo sorriso inquietante comparve sul suo viso come un fulmine a ciel sereno. “Su una sola cosa ha ragione quel Rufus-ciufforibelle Barma: il sapere è il più grande dei poteri.”

Il pugno di Gilbert contro il legno del tavolo fece sobbalzare tutti. “Togliti quel fottuto sorrisetto dalla faccia, Break! Tu non capisci!”

L’albino si ricompose, e, dopo averlo osservato per alcuni secondi, disse:”Sai perché non mi affeziono mai alle persone, Gilbert caro? Perché amare rende deboli. Guardati ora: sudore, mani che tremano, espressione disgustosamente accorata, lacrime agli occhi. Tutto questo per la persona che ami, colui che ti da tutto e che ti priva di te stesso.” L’occhio rosso si puntò immediatamente su un Oz che scuoteva amaramente la testa.

“Cosa vuoi che ne sappia tu?” sospirò Gilbert risiedendosi e cercando di calmarsi stringendo nuovamente la mano di Oz. “E comunque non sei per niente d’aiuto se la metti così.”

“Oh, ti sbagli, Gilbert.” rise Break “Io ti sto solo facendo un favore. E i favori vanno sempre ricambiati, non credi?”

“Che stupido...” disse Oz, stringendo le mascelle per nascondere la rabbia crescente “Per un attimo ho pensato che ci avresti aiutato solo perché ci tenevi a noi. Evidentemente sono stato troppo ingenuo. Ma dimenticavo che tu non provi emozioni, o sbaglio?”

L’espressione di Break si fece confusa, mentre il suo sorrisetto gli moriva in bocca all’udire quel tono stranamente maturo da parte del ragazzo saltellante e spavaldo che conosceva.

“Ma se non sei in grado di capirlo, forse te lo posso spiegare.” Oz era uno stratega nato, e aveva l’albino in pugno, ne era consapevole “L’amore, caro il mio Xerxes, è la cosa più bella del mondo. È quando trovi ciò che ti manca, quando aspetti una sua lettera, quando non hai nulla per la testa se non lui. È quando lo attendi per incontrarlo la sera, quando ridi e quando piangi, quando senti che il tuo cuore comincia a battere e tu non riesci a frenarlo. È quando ti ritrovi ad accarezzare i suoi capelli, quando lo vedi dappertutto, quando vorresti rimanere tra le sue braccia per l’eternità. Questo è l’amore, stupido pagliaccio.” Oz e Gilbert si stavano guardando, sorridendosi, e Break se ne stava rigido ad osservarli mentre leggeva per la prima volta qualcosa di diverso dentro quelle iridi dai colori accesi.

“Vi odio.” esclamò Break “E va bene, ragazzino. Io vi aiuto, voi evitate che mi becchino. Ma bada, questa sarà la prima e l’ultima volta che vi farò un favore. Ritenetevi fortunati.”

“Break, noi ti saremo grati per sempre, lo sai questo, vero?” Gilbert si tolse il cappello e si inchinò teatralmente al cospetto dell’uomo, enfatizzando i gesti per prenderlo in giro e suscitando l’ilarità del suo ragazzo.

“Bastardi. Tutti e due.” Il trio si alzò simultaneamente, Oz e Gilbert intrecciando le mani e scambiandosi un bacio e Break al loro seguito, il fumo che gli usciva dalle orecchie per aver ottenuto così poco da una situazione che avrebbe potuto fruttargli tanto.

“Ih ih ih ih, Break fregato! Break fregato! Non ti senti uno sfigato? Ih ih ih ih!” la vocina canzonatoria di Emily mandò il cappellaio su tutte le furie.

“Sta zitta, stupida bambola! Ti brucio, stanotte.” le disse l’albino, dandogli uno schiaffetto e zittendola all’istante.

Non sapevano se realmente ce l’avevano fatta a conquistarsi la complicità di quell’uomo così lunatico e superficiale, anzi, in realtà non ne erano per nulla certi, e sarebbero stati pronti a fare qualsiasi cosa l’uomo avesse chiesto loro pur di nascondere quello scomodo segreto. Non avevano vinto loro, aveva vinto Break, comunque la si vedesse.

Ma nonostante questi pensieri, Oz e Gilbert non poterono fare a meno di sentirsi sollevati. Appena furono fuori dalla portata di tutto e di tutti, si baciarono con passione contro il muro di un corridoio vuoto, giusto in tempo prima di sentire le vocine stridule di Sharon e Alice che rientravano per il pranzo.

Gilbert e Oz si separarono, si lisciarono i vestiti, si misero a posto i capelli e si incamminarono verso il soggiorno. “Si va in scena.”

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Capitolo 7
*** Something to Say ***


“Dunque dunque... Finora abbiamo trovato ben due frammenti di ricordi di Alice. Calcolando il fatto che abbiamo anche avuto a che fare con una decina di Chain sparsi in giro, direi che siamo a buon punto, non credete? ... Ragazzi?!” Break alzò la testa dal tomo di fogli e fogliettini sparsi sul tavolo della stanza.

Gilbert era seduto sul divano con le gambe di Oz sulle sue, entrambi intenti a ridere di chissà quali idiozie e a baciarsi, approfittando della sola presenza di Break all’interno della stanza. L’albino tossicchiò un paio di volte, agitò le mani, fece rumore con i fogli. Niente.

“Ragazzi!” sbottò con voce potente all’improvviso, zittendoli all’istante.

“Oh, scusa Break, ci siamo distratti un attimo.” dissero i due, guardandosi le gambe e cercando di non scoppiare a ridere davanti alla faccia offesa dell’uomo. “Però abbiamo seguito il tuo discorso.”

“Questo sì che mi rallegra!” disse Break sarcastico, raccogliendo le carte e mettendosi in bocca l’ennesima cramella.

Ad un certo punto la porta si aprì di scatto, e dal corridoio fiocamente illuminato entrarono Sharon ed Alice di ritorno dalla solita passeggiata mattutina. Oz alzò le gambe con uno scatto felino, mettendosi subito a sedere normale mentre anche Gilbert si ricomponeva. Break si gustò la scena fin quando non avvertì un velo di sospetto trapelare dagli occhi della sua signorina.

Forse era stata una sua impressione. D’altronde, a causa degli impegni, quella notte aveva dormito sì e no due ore, era logico che fosse stanco. Eppure quello sguardo...

“Oz, voglio che tu mi accompagni in città!” gridò Alice contro il ragazzo con tono imperiale.

“Ma ci siamo andati due giorni fa!”

“Non mi interessa, io voglio la carne che abbiamo comprato due giorni fa, come dici tu, e voglio che mi ci porti ora, chiaro?”

“Ma...”

“Niente ma, muoviti!” In men che non si dica, Alice uscì dalla stanza portandosi dietro Oz, il quale lanciò uno sguardo di supplica ad un Gilbert ancora esterrefatto prima di venir trascinato via.

“Sempre la solita Alice... Non sa apprezzare le buone maniere.” disse la voce calma e dolce di Sharon mentre si sedeva accanto al suo fedele servitore.

“Penso che andrò anch’io...” disse Gilbert, alzandosi velocemente e raggiungendo la porta in un battibaleno.

“Non lo molli mai, eh?!” disse Sharon, facendogli raggelare il sangue. Gilbert si fermò e si girò con uno sguardo interrogativo che sperava sembrasse convincente.

“Io... Cosa...?”

“Dico che non lo molli mai.” disse Sharon sorridendo “Sei molto legato ad Oz. Si vede che gli vuoi bene.”

Gilbert si irrigidì “Già. Dopotutto, sono il suo servitore, cosa altro potrei fare?”

“Giusto.” rise Sharon, rubando dal piattino di Break un pasticcino “Bhe, divertitevi!”

Quando Gilbert, senza mezzi termini, si fu dileguato, e non appena il suono delle ruote fu abbastanza lontano, la ragazza si girò verso Break, la sua espressione visibilmente preoccupata.

“Break, ti devo parlare.” Quelle parole misero l’albino seriamente a disagio. Pregò con tutto il suo cuore che non si riferisse a ciò che lui pensava, ma evidentemente nessuno ascoltò le sue preghiere.

“Sono preoccupata per Oz.” esordì Sharon con le mani giunte davanti a sé “Lo vedo strano, lo vedo diverso. Qualche giorno fa era in uno stato pessimo, sembrava depresso. Ha perfino aggredito Alice solo perché lei lo consolava! Insomma, non è da lui! Poi, tutt’ad un tratto, si riprende e comincia a sfarfallare per tutta la villa, e fatalità proprio mentre tu e Gilbert tornate dalla missione. È sempre stato un ragazzo allegro e pimpante, ma non era lo stesso ottimismo di quando è entrato a Pandora. E ora ha di nuovo quello sguardo teso e, anche se cerca di nasconderlo, io l’ho visto, oh sì che l’ho visto. Vi guarda strano a tutti e due, a te e Gilbert, e io sono sempre più confusa...” Sharon riprese fiato e si portò le mani al cuore.

“Si sente bene?” mormorò Break deglutendo e cercando di fare il vago.

“Certo che mi sento bene!”

“Non vi dovete preoccupare per Oz caro, io non ho notato sulla di strano.”

“Sarà una mia fissazione, ma ti giuro che l’ho visto. Secondo me Gilbert gli sta facendo qualcosa...”

“G-Gilbert?!”

“Oh, non mi prendere per pazza, Break, ti prego, cerca di capirmi!” lo supplicò Sharon “Rispondimi sinceramente. Mi stai nascondendo qualcosa?”               

Break rimase in silenzio, la sua mente che si era già messa in moto. “Ma certo che no.”

“Menomale! Per fortuna che ci sei tu, Break.”

“Già... Per fortuna...” mormorò l’albino con lo sguardo perso nel vuoto.

“Dobbiamo capire cosa ha, assolutamente. E soprattutto voglio seguire da vicino Gilbert, lui mi sta facendo sorgere molte più domande. Ti prego, dimmi che mi aiuterai, ti prego, ti prego, ti prego!”

“Ehm, non lo so, cara, io non ne vedo il senso...”

“Ma come? Non mi dire che neanche tu li vedi strani quei due?”

“Bhe, in realtà...”

“Vedi?!” Sharon rimase in silenzio, con il cuore che batteva per l’enfasi di essersi finalmente liberata di quei dubbi che la opprimevano da giorni. “E comunque ora vado, voglio riposarmi un po’, sono stanca.”

Break accompagnò la sua signorina fino alla sua camera, per poi vagare senza meta per la villa, rendendosi finalmente conto che una nuova difficoltà andava ad intaccare la sua missione e pensando ad un modo per non destare sospetti davanti  a Sharon, soprattutto per non farle scoprire la dura verità.

Non poteva cedere ora, era inconcepibile da parte sua arrendersi proprio all’inizio. Eppure l’idea di sputare il rospo e farla finita di insinuava sempre di più nella sua mente, conscio del fatto che comunque avrebbe rovinato due intere vite in un colpo solo. Non poteva rischiare così tanto per così poco...
                                                                                                                                
                                                                                                          -

Dopo due ore i passi rimbombanti e soddisfatti di Alice annunciarono che il trio era di ritorno. Era ormai tardo pomeriggio, e ognuno si andò a preparare per la cena. E intanto Break aveva preso la sua decisione.

Si guardò intorno, accertandosi che non vi fosse nessuno nei paraggi, poi aprì lentamente la porta che introduceva alla stanza di Gilbert, trattenendo il respiro per non essere udito.

Appena entrò, alla sua destra Oz era schiacciato contro il muro, la sua bocca unita a quella di Gilbert e le sue mani sul suo petto dove spiccava una lunga, profonda cicatrice.

“Ops! Pàrdon!” disse Break, girandosi subito e avviandosi nuovamente verso il corridoio.

“Break, che cavolo!” disse Gilbert portandosi una mano sul cuore e chiudendo gli occhi “Mi hai fatto prendere un colpo, bastardo!”

“Sssssh!” disse Oz, ancora scosso da quell’imboscata da parte dell’albino, ma deciso comunque a non farsi sentire.

“Comunque dovreste perlomeno chiudere la porta quando fate... Avete capito?!” disse Break sbirciando la coppia per essere sicuro di non beccarli in posizioni ambigue.

“Sì!” dissero all’unisono i due ragazzi, visibilmente spazientiti.

“Bene.” disse Break prima di ricomporsi e cambiare atteggiamento. Il suo sguardo si fece duro, il suo unico occhio di fissò sui due ragazzi che ora lo guardavano tesi, e la sua voce si fece tagliente. “Sono venuto qui perché ho delle cose importanti da dirvi...”

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Capitolo 8
*** Tell Me You Love Me ***


La porta della casa malmessa si aprì con un cigolio inquietante, e quando Oz entrò nel soggiorno rimase soffocato dall’odore di chiuso e di polvere che vi regnava all’interno.

“Gil, ma da quant’è che non ci vieni più in questa casa?” disse il ragazzo premendosi una mano sulla bocca e posando le pesanti borse a terra.

“Te l’ho detto che era una cosa urgente!” disse Gilbert, sbattendo a sua volta le proprie borse su un tavolo di legno mezzo instabile e tossendo su una manica della giacca “Mio Dio...”

I due ragazzi erano finalmente riusciti a ritagliarsi un momento da soli, in santa pace. Avevano preso la scusa di riordinare la casa diroccata di Gilbert (che scusa lo era fino ad un certo punto), e inoltre Break aveva detto loro di aspettare lì in attesa della prossimo missione. Dopo le parole che aveva rivolto loro il giorno prima, l’albino aveva dato loro un po’ di tempo per riflettere, da soli, garantendo la loro incolumità.

“Da dove iniziamo?” disse Oz, aprendo di corsa le finestre per far circolare l’aria.

Gilbert gli si avvicinò e gli scoccò un grosso bacio sulle labbra “Da questo.”

Oz sorrise, dopodiché impugnò una scopa e cominciò a sollevare quelli che ai suoi occhi sembrarono chili di polvere grigia dal pavimento di legno scuro. Anche Gilbert si diede parecchio da fare: spostò alcuni mobili, pulì a fondo ogni centimetro visibile, riparò il letto mandato in frantumi da Alice in uno dei suoi attacchi d’ira per astinenza da cibo, aggiustò la gamba del tavolo e mise delle tende nuove comprate in città giusto il giorno prima.

Quando finalmente si buttarono sul divano macchiato e bucato, le loro fronti grondavano di sudore nonostante fuori imperversasse la bufera.

“Sai, non entro in questa casa da quando vi ho portati qui l’ultima volta, a te e ad Alice.” disse Gilbert liberando il suo cappello dalla polvere che vi si era depositata sopra.

“Sì, me lo ricordo. Mi svegliai da un sogno orribile, e appena aprii gli occhi ti vidi in piedi, accanto a me. Quello fu uno dei risvegli più belli.” Oz si voltò verso il suo ragazzo, e ne ammirò i tratti delicati, la pelle chiara, gli occhi color dell’ambra, il profilo della bocca che così tanto bene conosceva. “Sei perfetto.”

Gilbert si girò, sorpreso da quell’affermazione così improvvisa e colto da un senso di gioia che non fu in grado di descrivere. Oz era davanti a lui, così intento ad osservarlo da avere un’espressione seria su quel volto di solito rilassato e spavaldo. Si sentì avvampare. Non era abituato a sentirsi osservato, era sempre vissuto all’ombra di tutto e di tutti, e sostenere gli sguardi era un affronto non indifferente alla sua timidezza.

“Ci pensi mai?” chiese Gilbert.

“A cosa?”

“A come sarebbe vivere insieme senza doverci nascondere?”

Oz rimase in silenzio, avvolto nei suoi pensieri “Sarebbe una cosa meravigliosa.”

“Già.” disse Gilbert, e un velo di tristezza gli attraversò il volto “Più andiamo avanti, e più aumentano i sospetti. E i falsi amici...”

“Cosa vorresti dire?”

“Che non mi fido più di nessuno, ormai. Nemmeno di Break, che ha promesso di aiutarci. Non è un tipo affidabile uno che per tutta la vita ti ha sempre e solo usato.”

“Ma dovremmo avere almeno un po’ di fiducia, non credi?”

“Non lo so. Non so più cosa pensare.” Gilbert era nervoso, Oz lo vedeva, lo sentiva. Il ragazzo si accese la sua solita sigaretta, calandosi il cappello sugli occhi “A volte è come se ci volessero fare apposta del male.”

Queste ti fanno male.” disse Oz sorridendo e togliendogli dalla bocca la sigaretta, spegnendola sul posacenere messo  in bella vista sul tavolino. Oz si sforzò di sembrare normale, ma in realtà dentro si sentiva teso come non mai.

Adesso che anche Sharon sospettava qualcosa, non sapevano assolutamente cosa fare. La soluzione migliore sarebbe stata ritornare come prima, lui padrone, Gilbert il suo servitore-amico sempre pronto a salvarlo appena prima di essere fatto fuori. Niente più sguardi di intesa, niente più pacche scherzose, niente più calci sotto al tavolo. Niente più baci nel pieno della notte. Oz scosse violentemente la testa per scacciare quei pensieri.

“Ma io ho te. È questo che conta.” Oz lo baciò, chiudendo gli occhi e lasciando che tutti i pensieri negativi defluissero via.

“Oz...” mormorò Gilbert, la voce che gli tremava.

“Sì...?”

“Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata.”

Il cuore di Oz cominciò a martellare. Prese a ridere istericamente, posandogli una mano sulla guancia e guardandolo mentre anche lui sorrideva, libero da ogni paura, i suoi occhi che esprimevano tutto il suo folle amore.

Lo abbracciò d’impeto e gli salì letteralmente sopra, incrociando le gambe dietro la sua schiena e riempiendolo di baci sulle labbra, sul collo, sulla fronte, sulle guance, finché non ebbe più fiato. Sentiva il suo respiro scaldargli il viso, sentiva la sua lingua strusciare contro la propria, e pregò che quell’istante non finisse mai. 

 Le sue mani gli presero il viso. “Dimmi che non mi lascerai mai.”

“Non ti lascerò mai.”

“Dimmi che non mi abbandonerai, qualunque cosa accada.”

“Non ti abbandonerò, qualunque cosa accada.”

“Dimmi che mi ami.”

“Ti am...”

Un boato impedì a Gilbert di finire quella frase. La porta fu sfondata, i cardini staccati via dagli stipiti con una violenza inaudita.

“Gilbert Nightray, sei in arresto!” Oz venne scaraventato via, rovinando a terra mentre sentiva gridare il suo nome. La testa di Gilbert fu incappucciata a forza, impedendogli a malapena di respirare mentre quattro uomini lo sollevavano di peso dal divano e lo trascinavano via da lui.

“Giiiiiil!” gridò Oz con quanta più voce aveva in corpo. Cercò di raggiungerlo, strisciando a terra nel tentativo di rialzarsi, ma due mani potenti gli bloccarono le braccia. “No, Gil! Lasciatemi, vi prego! Non portatemelo via!”

I suoi occhi si appannarono, sentì le lacrime scendere a fiotti sulle sue guance mentre il suo cuore batteva all’impazzata, carico di odio e di disperazione. Armeggiava con le braccia, ma la presa di quegli uomini di cui a malapena conosceva l’esistenza era troppo potente. Vide il cappello nero di Gilbert a terra, fuori dalla porta, capovolto, abbandonato, e un urlo straziato uscì fuori dalla sua bocca.

Lo aveva perso. In un attimo. Per sempre.

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Capitolo 9
*** Message ***


Oz alzò lentamente gli occhi dal cappello nero che teneva saldamente nella mano tremante e si guardò allo specchio: i suoi capelli biondi erano scomposti, gli occhi verdi ancora gonfi, le guance leggermente scavate, la pelle cerea e i vestiti sgualciti.

Non voleva fare nulla, solo buttarsi sul suo letto e piangere, piangere ancora.

Era passata una settimana.

Una settimana fatta di pasti saltati, di notti insonni e di giorni passati a guardare davanti a sé, fisso, con le lacrime agli occhi.

Non sapeva né quando né tantomeno come era stato portato in camera sua. Sapeva solo che da allora non ne era più uscito. Ogni volta che chiudeva gli occhi, rivedeva la stessa identica scena, ripetuta all’infinito e che gli riapriva una ferita ancora aperta e quanto mai pulsante.

Si portò il cappello di colui che più di ogni altro desiderava al mondo sul viso, respirandone quell’odore familiare e lasciando che, ancora una volta, le sua guance si rigassero di fredde lacrime salate.

Qualcuno bussò alla porta, così Oz si sedette e aspettò. Un uomo fece capolino sullo stipite, il volto che appariva rilassato ma che, in realtà, lasciava trasparire tutta la sua preoccupazione.

“... Oz...?” disse Oscar, indugiando prima di entrare silenziosamente. Non ricevendo risposta, si limitò allora a proseguire “È da tanto che non ci si vede, eh?”
“Sì.” rispose Oz con una voce roca che a stento riconobbe come sua.

“Ti ho portato la cena.” Ormai Oscar si era arreso in quella battaglia senza esito, costretto dopo ogni pasto a portare al nipote qualcosa da mettere sotto i denti e che puntualmente rimaneva intatta. “Questa te la manda Alice. È andata a prenderla apposta per te, se la mangiassi ne sarebbe contenta.”

Oz prese il piatto con all’interno un gran pezzo di carne fumante dall’aspetto delizioso e lo posò sul comodino alla sua sinistra, a malapena degnandolo di uno sguardo.

“Oz...” Oscar gli si sedette accanto, soppesando le parole mentre faceva girare il nipote verso di sé in modo che si trovassero faccia a faccia “Perché non esci un po’? Guardati, sei distrutto. Prendere un po’ d’aria ti farebbe bene. Fallo per tuo zio, almeno!”

Il ragazzo scosse la testa tirando su con il naso e portandosi le ginocchia al petto.

“Ascoltami.” Oscar gli si mise davanti, poggiandogli le mani enormi sulle spalle esili “So che è dura, ma preferirei che tu ne parlassi. Sarà come una valvola di sfogo. Oz, tu puoi fidarti di me. Tu sei come un figlio, e io sono pronto ad ascoltarti, qualunque cosa tu abbia da dire, io ci sarò.”

Il ragazzo fissò il suo sguardo su quello teso dello zio, indeciso su cosa fare.

“Capiscimi. Non dormi, a malapena mangi, e non esci dalla tua stanza da una settimana. Ti sento, sai?! Ti sento piangere ogni giorno, ogni ora. Non posso restare a guardare mentre mio nipote soffre e sta sempre peggio! Io... Non aiutarti mi fa sentire male!”

“Dove sta Gil?” chiese Oz in un sussurro.

“Gilbert?” Oscar deglutì, incerto “Bhe...”

“Ho chiesto dove sta?”

Dopo un attimo di esitazione, Oscar prese coraggio “È stato portato nelle segrete dei Vessalius.”

Il cuore di Oz smise di battere, e il ragazzo scoppiò in un pianto isterico prima ancora di rendersi conto di quelle parole. “Come hai potuto?! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?! A marcire in quel posto schifoso come un cane! Non ti bastava averlo sbattuto lì dentro anni fa, vero?! No, voi siete senza cuore!”

Il ragazzo si scagliò sullo zio, tirandogli pugni sul petto fino a ricadere inerme tra le sue braccia possenti, piangente e  ansimante. Affondò il viso nei suoi vestiti, respirò aria di casa, di famiglia, mentre le lacrime ne bagnavano il tessuto pregiato. Lo abbracciò, sentendo per la prima volta il bisogno di un sostegno che solo Oscar, colui che gli aveva fatto da padre per una vita, era in grado di dargli.

“Sta tranquillo...” L’uomo gli accarezzò i capelli posticci, appoggiandovi la guancia e sorridendo per tranquillizzarlo “Non ci starà ancora per molto. Lo tireremo fuori, te lo prometto.”

Oz si sedette nuovamente sul letto sfatto, cercando di respirare regolarmente mentre assimilava lentamente quelle informazioni difficili da accettare.

“Perché avete arrestato solo lui?” chiese d’un tratto “Dovevate sbattere dentro anche me, no?! Perché mi avete risparmiato?”

“Perché non sono stato io ad emanare il mandato di arresto.” disse Oscar, passandosi una mano tra i capelli. “Pensaci, Oz. Se fosse stato per me, avrei tenuto la bocca chiusa e non mi sarebbe neanche passato per la testa di rinchiudervi, insieme o separati che foste. Lo hanno rinchiuso nelle segrete della nostra Casata solo perché probabilmente è quella che ne risentirà maggiormente in tutta questa storia.”

Oscar aveva ragione. Il nome dei Vessalius, ora, era stato completamente infangato, eppure lo zio non si sarebbe mai, per nessun motivo, permesso di arrestare quelli che considerava come figli. Eppure neanche i Nightray avrebbero mai denunciato un membro così importante della loro famiglia, colui che aveva stipulato il contratto con Raven. Piuttosto, avrebbero fatto di tutto per coprirlo.

Quindi, se non erano stati i Vessalius, né i Nightray, allora...

“Probabilmente non hanno preso te perché conoscono la tua influenza per Pandora. Insomma, tu controlli il potere del B-Rabbit, sei legato ad Abyss e alla Volontà, arrestarti sarebbe stata una pazzia.”

“Bastardi...” Gli angoli della bocca del ragazzo si piegarono all’ingiù, lasciando intendere tutta la sua amarezza “Loro non lo sanno cosa mi hanno fatto. Cosa ci hanno fatto.”

Oscar respirò a fondo.

“Cosa c’è?!”

“È che ancora non mi sono abituato all’idea che tu e Gil...”

Sul volto di Oz comparve il fantasma di un sorriso, una flebile luce in mezzo a tanta oscurità.

“Parlamene.” disse Oscar, sorridendo anche lui con la sua solita aria bonaria.

“Come scusa?!”

“Parlami di voi, se ti va.”

“Ehm...” Oz era visibilmente in imbarazzo. Non ne aveva mai parlato con nessuno così apertamente, men che mai su esplicita richiesta, e poi su una questione così intima. Tirò su con il naso per trattenere le lacrime che minacciavano di uscire ancora una volta e prese tempo.

“Non voglio forzarti, per carità...”

“Gil per me è... è come il sole.” disse Oz, con gli occhi  che già si facevano lucidi mentre nella sua mente riaffiorava l’immagine di Gilbert steso sul suo letto, con la cicatrice visibile sulla sua pelle pallida e così dannatamente perfetta.
“Lui illumina le mie giornate, mi scalda quando tutt’intorno non c’è altro che gelo, mi abbaglia con la sua luce, e io non riesco a smettere di guardarlo. Lui è la mia ragione di vita, lui è sempre stato presente, nel bene e nel male, lui mi permette di andare avanti anche di fronte a tutte le difficoltà. È diventato essenziale, ed è per questo che mi manca tutto di lui, quando non c’è. I suoi baci nel pieno della notte, le sue carezze delicate, i suoi abbracci goffi e impacciati, le sue occhiate sfuggenti, i suoi tocchi premurosi. Lo sto capendo in momenti come questo, di quanto io ne abbia bisogno e di quanto lo ami alla follia ogni giorno che passa.”

Il ragazzo si accorse delle sue guance bagnate, e improvvisamente si sentì leggero, fluttuante nell’aria non più tesa e triste, ma quasi dolce e familiare. Lo zio aveva nuovamente ragione: parlare e sfogarsi, per quanto imbarazzante possa essere, ti spoglia di tutti i timori e di tutte le insicurezze.

 “Oz...”

“Non mi importa più dei pensieri della gente. Me ne rendo conto solo ora. Abbiamo passato la maggior parte del nostro tempo a nasconderci, sempre in ansia e in attesa di ritagliarci un momento per noi. Ma così non poteva funzionare ancora a lungo, adesso finalmente lo capisco.” Oz strinse il cappello “Sai quali sono state le ultime parole di Gil prima che venisse portato via?”

“No.”

“Stava per dirmi ‘Ti amo’.” A quel pensiero, Oz rise “Non lo ha mai detto a nessuno. Strano, vero?”

“No, non è strano.” Oscar lo strinse a sé, scuotendo la testa e sorridendo per l’ambiguità di quella vicenda.

La porta venne aperta, e un uomo vestito di tutto punto entrò nella stanza, visibilmente in imbarazzo alla vista dei due nobili.

“Porto un messaggio da parte della Nobile Casata Ducale dei Nightray. È stato richiesto un processo fissato per domani mattina, in cui verranno sottoposti a giudizio i nobili Gilbert Nightray e Oz Vessalius davanti al giudice di prim’ordine e al cospetto dei membri delle loro nobili famiglie.”

Oz si alzò in piedi, rischiando di cadere. L’indomani Gil sarebbe uscito da quell’inferno, si sarebbero rivisti, lo avrebbe finalmente stretto a sé, di nuovo.

Forse il loro destino stava per cambiare. Forse un po’ di fortuna era dalla loro parte, adesso. E, d’un tratto, a dividerli non furono più le mura, ma una lunga, straziante attesa. 

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Capitolo 10
*** Process ***


Gilbert aprì debolmente gli occhi, percependo una luce lontana provenire dal corridoio. I suoi muscoli erano completamente indolenziti, la schiena ricurva per il troppo star seduto, la testa gli martellava e la sua pelle era percorsa da costanti brividi di freddo. Si avvolse tra le coperte grezze e rimediate, poi si girò dall’altra parte, respirando a fondo l’aria umida e impregnata dei sotterranei e cercando di capire se fosse giorno o notte.

Sentì un vago rumore di passi, ma ormai non sapeva se credere o meno alle proprie orecchie. Gli era capitato già troppo spesso di sentire la voce di Oz rimbombare tra quelle quattro mura di pietra, ma quel tacchettio di scarpe si fece sempre più vicino, sempre più forte, sempre più concreto.

Gilbert alzò lo sguardo.

Capelli biondi ed esageratamente lunghi, pelle rosea, occhi di colore diverso.

“V-Vincent...?”

“Gil...” Vincent Nightray di ergeva in tutta la sua altezza sopra di lui, solo le spesse sbarre di ferro a dividerli. Sul volto del fratello era dipinta un‘espressione  indecifrabile, ma le mani chiuse a pugno erano un segnale fin troppo chiaro. Vincent indugiò, poi, senza staccargli gli occhi di dosso, estrasse delle chiavi e armeggiò con la serratura.

Entrò di soppiatto e restò sull’entrata, immobile.

Gilbert cercò di alzarsi, ma le gambe gli si erano come addormentate, e la testa gli girava a tal punto che si dovette appoggiare al muro per non cadere. Il fratello lo guardò per un attimo, deglutì come se l’incertezza lo costringesse a bloccarsi, come se dentro la sua testa si stesse combattendo una battaglia che non poteva sopportare.

D’un tratto, Vincent gli saltò addosso, avvolgendolo tra le sue braccia e stringendolo con una forza disumana. Gilbert ricambiò l’abbraccio, appoggiando il suo mento sulla spalla del fratello e lasciando che le lacrime represse per una settimana bagnassero le sue guance scarne. Sentì una mano accarezzargli la nuca, e l’altra infilarsi sotto il suo braccio e tirarlo piano verso l’alto.

“Gil... Aspetta, ti aiuto io ad alzarti.” Gilbert si attaccò al fratello, cercando di restare disinvolto mentre faticava per reggersi dritto.

“Grazie.” riuscì a dire mentre varcava la soglia della cella e lasciava che le sbarre si richiudessero dietro di lui con un tonfo rimbombante che conosceva fin troppo bene.

“Sei in condizioni pietose. Cosa ti hanno fatto...?”

I due fratelli salirono faticosamente le scale, incamminandosi verso una stanza che Vincent aveva fatto preparare apposta e con molta cura. Appena entrati, Gilbert si sedette subito sul letto, riscoprendo cosa fosse un materasso morbido e un cuscino. Vincent chiuse la porta e prese a spogliarlo, liberandolo da quei vestiti appiccicosi e terribilmente maleodoranti che portava da giorni. Venne letteralmente trascinato in bagno e immerso in una vasca completamente avvolta dal vapore e dalla schiuma, di cui l’odore del sapone fu un toccasana per il suo naso intasato.

“Non vorrai presentarti al processo in queste condizioni, spero.” disse Vincent calmo, tirandosi su le maniche e strofinandogli la schiena. Il suo viso sorrideva, cercando di infondere positività al fratello visibilmente provato.

“Dove sta Oz?” mormorò Gilbert, guardando davanti a sé e lasciando che il tepore gli invadesse il corpo.

“Lui sta bene. È stato portato dai Vessalius.” Gilbert tirò un sospiro di sollievo: se a Oz fosse stato anche solo torto un capello, giurò a sé stesso che avrebbe sparato al primo che gli si fosse parato davanti.

Dopo che Gilbert fu avvolto dagli asciugamani, finì di vestirsi e guardò il suo riflesso alla finestra mentre Vincent rimetteva a posto quel che rimaneva dei suoi abiti.

“Tu ci tieni davvero tanto a lui, non è così?” chiese d’un tratto Vincent, e le guance di Gilbert avvamparono all’istante.

“Cosa vorresti dire?”

Vincent gli si avvicinò, sorridendo, quindi gli prese le mani e gli puntò gli occhi addosso. “Ora ti aspetti che io ti faccia tutto il resoconto delle avversioni tra la famiglia Nightray e la famiglia Vessalius, che io ti dica di lasciar perdere, che io ti faccia capire il mio totale disappunto su tutta questa storia, e non solo il mio...”

Gilbert strinse le labbra, l’imbarazzo che si insinuava in ogni angolo della sua mente.

“Ma tu sei il mio adorato fratello maggiore.” Vincent gli strinse le mani con più vigore “Io ti sosterrò sempre. Fino all’ultimo. Non mi importa degli sbagli che hai fatto, delle ingiustizie, dei giudizi. Se tutto questo serve a renderti felice, sappi che hai il mio completo appoggio.”

“Io... Vince...” Gilbert non seppe cosa fare se non sorridere e abbracciare di nuovo il fratello, un abbraccio scomposto, goffo, indugiato, ma il cui valore fu evidentemente apprezzato.

“Forza, andiamo, o faremo tardi.”

                                                                                                         -
Quando Gilbert entrò nel tribunale, una folla intera si girò verso di lui, facendolo irrigidire e costringendolo ad abbassare lo sguardo. Mentre stava prendendo posto al fianco di Vincent, sentì il vociferare che andava espandendosi fino agli angoli più remoti della sala, ma la sua testa era da ben altra parte.

Alzò lo sguardo e, davanti a sé, lo rivide dopo un tempo che gli sembrò un’infinità. Si scambiarono un’occhiata, un solo barlume prima che entrambi sfuggissero al controllo delle persone a loro vicine e corressero l’uno a riabbracciare l’altro. Era più vicini, sempre più vicini, e Gilbert sentiva l’eccitazione scorrere per tutto il suo corpo.

Dio, se gli era mancato.

Due mani gli afferrarono le braccia, ma Oz riuscì a raggiungerlo.

“Lasciatelo stare, per l’amor del cielo!” Il ragazzo aveva le lacrime agli occhi mentre con le mani cercava di allentare la presa sulle sue braccia doloranti. Una volta libero, Gilbert abbracciò Oz con un vigore che non sapeva di aver riacquistato. Sentire quel corpo caldo giacere fra le sue braccia ancora una volta fu per Gilbert una boccata d’ossigeno.

“Stai tranquillo, ok? Andrà tutto bene.” sussurrò nell’orecchio del ragazzo. Oz gli prese il viso fra le mani e avvicinò la propria fronte alla sua, guardandolo negli occhi e accennando un sorriso ottimista.

“Ti amo.” disse Oz, sfiorando con il suo naso le sue labbra prima di essere preso e portato al suo posto. Anche Gilbert fu trascinato di peso a sedere dove la famiglia Nightray si era riunita per assistere al processo. Gilbert evitò ogni singolo sguardo, perché scoprire ciò che passava per la loro mente era l’ultima cosa che voleva sapere. E poi, doveva ancora fare i conti con qualcuno...

Sentì un martello risuonare, le voci si zittirono tutte insieme, ma Gilbert aveva le orecchie come otturate, e non sentiva niente all’infuori del suo respiro. La porta laterale si aprì, e Xerxes Break fece il suo trionfale ingresso con il solito, stupido sorriso stampato sulla faccia. Gilbert si sentì ribollire dentro.

“Tu, bastardo...!” Il ragazzo fece per alzarsi ancora, deciso a sistemare definitivamente le cose. Il pagliaccio gliel’avrebbe pagata cara per averli traditi in quel modo, e, fosse stata l’ultima cosa che avesse fatto, lo avrebbe ucciso seduta stante. Ma una mano sul petto lo costrinse a rimanere al suo posto. Si girò verso il fratello, il quale lo guardò con uno sguardo straordinariamente intenso e scosse la testa, agitando la chioma bionda.

Così Gilbert attese, e per tutto il tempo guardò semplici cittadini fusi a membri di famiglie ducali parlare e parlare ancora, sentì Vincent prendere parola con entusiasmo prima di tacere di nuovo, immerso nel suo mondo, ma le uniche parole che riuscì a comprendere furono “causa” e “testimone”.

La porta che si aprì subito dopo fu quella principale, rivelando le ultime persone che Gilbert si sarebbe aspettato di vedere in quel momento: Sharon Rainsworth stava entrando, accompagnata da un visibilmente imbarazzato Reim vestito di tutto punto e con le spalle ben dritte.

“Reim Lunettes, membro di Pandora , venuto a testimoniare al processo che vede come indagati Oz della nobile famiglia Vessalius e Gilbert della nobile famiglia Nightray.” La voce del giudice era assolutamente piatta, priva di qualsiasi voglia o coinvolgimento.

Reim tossicchiò un paio di volte, risistemandosi gli occhiali sul naso almeno per una decina di minuti prima che iniziasse a spiccicare parola. “Sono qui per provare l’accusa contro i due imputati qui presenti, poiché, in qualità di servitore, sono stato spinto dal senso del dovere a riferire ciò che da tempo mi attanagliava.”

“Ma come parla?” chiese Vincent con uno sguardo teso e allo stesso tempo divertito.

“Innanzitutto, la presente Sharon della nobile Casata Rainsworth mi aveva già parlato dei suoi sospetti, mostrando una visibile preoccupazione per i comportamenti del signorino Oz, allorché ho commissionato alcuni miei collaboratori di eseguire delle indagini, al puro fine di tranquillizzare la signorina. Così, quando mi è giunta voce che si sospettava una... ehm... come dire...”

Il brusio di voci si fece incontrollabile, tanto che il giudice dovette chiedere il silenzio in aula.

“... relazione tra due dei membri di famiglie diametricalmente opposte, sono stato attanagliato dal dubbio. Ero indeciso su cosa pensare, sulle mie azioni, diventavo sempre più irrequieto ogni giorno che passava. Infine, ho preso la mia decisione.” Un impercettibile singhiozzo provenne dalle sue labbra, e Reim si girò verso Gilbert con uno sguardo che chiedeva tutta la sua pietà.

Il ragazzo sostenne quello sguardo, ricambiandolo con disprezzo mentre una nuova ondata di lacrime amare minacciava di uscire. Lo capiva, quel miserabile, certo che lo capiva, eppure non poteva non mostrare rancore, non ancora.

“Beh, è chiaro che la situazione è abbastanza complessa.” riprese il giudice con tono grave, vedendo che Reim non era più in grado di aprir bocca. “Questo genere di relazioni vengono considerate dalla nostra società come assolutamente indicibili, intrinsecamente disordinate, contrarie alla legge naturale, e il fatto che ad esserne i protagonisti siano due membri di due delle Casate Ducali più influenti rende il fatto ancor più drammatico.”

Un coro di voci si alzò a favore di quelle parole affilate come la lama di un coltello. Gilbert strinse il braccio del fratello, gli occhi puntanti sul volto pietrificato di Oz.

“Perciò mi vedo costretto ad accettare l’accusa e a condannare con la giusta pena gli imputati.” Altre acclamazioni.

“Aspettate!” Break si alzò, e, quasi saltellando (come se la sua figura non fosse già abbastanza ridicola) raggiunse la postazione del giudice, sussurrandogli all’orecchio per un tempo che parve rintoccare a rallentatore. Fatto ciò, l’anziano annuì e si ritirò per decidere il verdetto, invitando Break a sedersi di nuovo.

Approfittando dell’assenza del giudice, le persone presenti in sala presero ufficialmente il sopravvento.

“Siete degli ignobili!”

“Non meritate la vita di corte!”

“Siete contro natura! Contro gli ideali di Dio Nostro Signore!"

"Vergognatevi!"

Tra gli insulti, Gilbert vide Oz portarsi le mani alla bocca e scoppiare a piangere, senza però staccargli gli occhi di dosso. Senza accorgersene, si stavano ancorando l’uno all’altro, stavano facendo della loro debolezza la loro unica forza.

Scese il silenzio e no, Gilbert ancora non distoglieva gli occhi da quel ragazzo che, comunque fosse andata a finire, avrebbe amato per tutta la vita.

“Oz della nobile Casata Ducale dei Vessalius. Assolto.”

Gilbert rise nervosamente mentre la paura si faceva largo nei lineamenti tesi di Oz. Lo aveva immaginato, e Break aveva solo confermato le sue aspettative: Oz non poteva essere condannato, era troppo importante per Pandora. Troppo legato ad Abyss.

“Gilbert  della nobile Casata Ducale dei Nightray” Gilbert ascoltava per consuetudine, ma in realtà si scoprì a non avere timore di quelle parole. L’unica cosa che voleva era sapere Oz sano e salvo, lontano dai pericoli, e, per una volta, la fortuna giocò a suo favore. Aspettò il verdetto sorridendo a Oz e cercando di godersi forse l’ultima volta in cui l’avrebbe visto “Condannato all’esilio.”

Un urlo struggente gli fece raggelare il sangue “Noooo, Gil! Gil, non te ne andare, ti prego!”

I calcoli erano sbagliati. I pensieri erano confusi. Gilbert si sentì trascinare via, mollando la presa dai vestiti di suo fratello.

“Gil! Non lasciarmi qui da solo!”

Cosa erano quei rumori? Scarpe, passi, voci? Chi lo sa. Lo stavano scortando fuori, lontano.

“Ti amo, Gil! Hai capito? Ti amo!” Una mano gli raggiunse la schiena prima di venire violentemente strappata via.

‘Anche io ti amo’ avrebbe voluto rispondere ‘Ti amo più della mia stessa vita.’

Ma le parole semplicemente non uscivano. E lui si allontanava, via, non si sa dove, verso chissà quale infimo destino...




 
Nota dell’autrice:
10 capitoli. Non lo credevo possibile, ma sono realmente 10.
È un dato di fatto che io sia l’incostanza fatta persona, colei che non riesce proprio a scrivere più di 3 capitoli senza che poi si stufi e lasci morire una fan fiction nel bel mezzo della trama. Ebbene, al di là di quanti hanno letto e continueranno a leggere questa storia, sono veramente felice di aver raggiunto questo traguardo. Scrivere tra le miriadi di compiti, gli impegni sportivi e chi più ne ha più ne metta è stato davvero arduo, ma, ebbene sì, sono ancora qui!
Grazie a tutti!
L.

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Capitolo 11
*** Escape ***


Gilbert era comodamente seduto su una panchina, gustandosi una sigaretta con il cappello calato sugli occhi. Era da tanto che non si rilassava, da solo, in santa pace, lontano da qualunque cosa somigliasse ad un Chain o un Contraente Illegale.

“Gilbert caro!” Una vocina sublime gli risuonò nell’orecchio, ma il ragazzo non si scompose, anzi, la stava aspettando. Xerxes Break si sedette in uno dei suoi modi bizzarri accanto a lui.

“Hai pagato l’affitto?” gli chiese con voce atona.

“Ho mai mancato un pagamento, per caso?” Break apparve leggermente dispiaciuto. Il suo piano era andato in fumo, ma qualcosa poteva pur ricavarne da quella situazione. Ogni mese capitava fuori dalle mura cittadine, faceva visita a Gilbert e gli pagava l’affitto di un sudicio monolocale, il tutto purché il ragazzo svolgesse alcune missioni e domasse giusto qualche Chain al suo posto.

“Come sta Oz?” chiese Gilbert, e la gola gli divenne subito secca al pronunciare quel nome.

“Oz?! Beh, lui se la cava...”

“Cosa intendi dire?”

“Che è ancora scosso.” disse Break, la voce che gli si fece grave “Semplicemente non l’ha ancora accettato, e probabilmente nemmeno tu. Solo che lui, a differenza tua, non cerca di nasconderlo per mezzo di uno stramaledetto cappello.”

Gilbert sentì il copricapo sollevarsi dalla sua chioma corvina, rivelando le sue guance rigate da due grosse lacrime.

“Io... Io...”

“No, ti prego, non iniziare a frignare! Lo sai che non sopporto i bambini lagnosi, Gilbert caro!” Break gli rivolse un sorriso inquietante che bastò a farlo alzare ed andarsene.
“Grazie per l’affitto.” Gilbert si riprese il beneamato cappello e se ne andò, raccogliendo dalla panchina i fogli delle missioni accartocciati e pieni di appunti dategli da Break.

Era stata una nottata spossante, così approfittò del freddo intenso di inizio dicembre per rintanarsi in quella che si poteva a malapena definire casa.

Sentiva la mancanza di tutto, e vivere fuori dalla città come un eremita lo scombussolava non poco.

Nel giro di tre ore il suo destino aveva cambiato le carte in tavola, rivelandogli una vita che forse non era neanche vita. Da solo, in un buco di stanza, dipendente dagli altri anche per uno stupido affitto e con centinaia di Chain sparsi per la regione da accalappiare. Si sentiva un fiore solo in mezzo ad un giardino immenso, in balìa della tempesta che, anche se piegato e con i petali staccati, continuava a rimanere aggrappato saldamente alla terra umida, desideroso di vivere anche se non ne sapeva il motivo.

Si infilò nel letto a una piazza e mezza, abbracciò il cuscino e pensò a Oz, chiedendosi se anche lui lo stava pensando, magari seduto su quella poltrona di velluto a leggere un libro e a guardare davanti a sé per cercare il suo sguardo complice.

Si girò e si rigirò tra le coperte, ma il sonno ostentava ad arrivare nonostante si sentisse il corpo stanco e bisognoso di riposo. Alla fine rinunciò a quella battaglia ardua contro il letto e si alzò, la maglietta messa male e i pantaloni strascicati sul pavimento scricchiolante. Si preparò un caffè amaro e si accese l’ennesima sigaretta.

Ti fanno male queste, Gil!  gli avrebbe detto Oz, dopodiché gli avrebbe preso la sigaretta, gliel’avrebbe buttata e gli avrebbe stampato un bacio sulle labbra.

Gilbert scacciò via quei pensieri nostalgici dalla sua mente e prese in mano altri moduli sparsi sullo squallido tavolino, deciso ad analizzare quale sarebbe stata la prossima, stressante, ma suo malgrado necessaria missione. Ma, per quanto cercasse di leggere e di capire, non riuscì a concentrarsi, la sua mente come sospesa e soffocata tra migliaia di altri pensieri sovrapposti. Più faceva così, più gli saliva in nervoso, più fumava, più pensava a Oz e più si sentiva triste. Era un circolo vizioso, e dubitava che ne sarebbe mai uscito.

Dopo due ore, il tavolo era un tripudio di tazzine e di mozziconi di sigaretta spenti a caso. Gilbert stava sul divano, quando all’improvviso qualcuno bussò alla porta.

Panico.

Quel rumore lo rimandò indietro di un mese prima, quel maledetto giorno in cui li avevano presi, li avevano divisi. Rivide tutta la scena, in tutti i suoi particolari, e gli mancò il respiro.

Dovresti aprire, Gilbert. Hai paura di chi sia?! Non ne dovresti avere, tanto cosa può andare peggio di così?

Gilbert inspirò a fondo, si sistemò i vestiti e abbassò la maniglia.

La tazzina da caffè vuota gli cadde dalla mano, infrangendosi al suolo. Il cuore gli prese a battere freneticamente, e il respiro gli si mozzò in gola.

Oz era davanti a lui, i grandi occhi verdi che sembravano illuminare la stanza altrimenti tetra e spenta, il suo viso che lasciava trasparire tutta la sua gioia.

Si guardarono e basta, l’uno di fronte all’altro, come se nessuno credesse a ciò che stava realmente  accadendo. D’un tratto Oz gli prese il viso tra le mani e affondò la sua lingua nella sua bocca, chiudendo la porta alle sue spalle e trascinandolo dentro con impeto. Gilbert non poteva fare a meno di sorridere mentre le sue dita si andavano ad intrecciare tra le ciocche dorate e le sue labbra baciavano ogni singolo centimetro del suo viso.

Oz lo trascinò contro la parete, lasciando che la sua schiena si addossasse contro il muro mezzo scrostato e Gilbert lo sovrastasse con il suo corpo. Le sue mani si fecero strada sotto la maglietta larga e decisamente antiestetica del ragazzo, avvicinandolo a sé fino ad annullare le distanze, come a non volersene mai più staccare.
Gilbert assaporò il sapore di miele della sua lingua, e il cuore gli si riempì di gioia quando vide che i suoi occhi erano chiusi e la sua bocca sorrideva. Appoggiò le mani sulle sue guance calde e arrossate e premette la propria fronte con la sua.

Carezzandosi, presero entrambi a ridere e a piangere e baciarsi ancora, come se la mancanza di quel po’ di dolcezza che si poteva concedere di tanto in tanto fosse stata troppo grande per i loro cuori infranti, ma ora saldamente ricompattati e pulsanti come non mai.

Le labbra di Gilbert si staccarono da quelle del ragazzo, e le sue braccia si allungarono sul muro all’altezza delle loro teste, così da limitare la vista al solo viso avvampante e felice di Oz. Gli parve diverso, forse cresciuto, e si rese conto di quanto fosse maledettamente bello.

“Cosa ci fai qui?” disse Gilbert, schioccandogli un bacio veloce prima di lasciarlo spiegare.

“La domanda doveva essere ‘Beh, cosa hai aspettato per tutto questo tempo? Sei in ritardo!’” rise Oz, baciandolo e guizzando via da sotto le sue braccia, rifugiandosi sopra al letto e mettendo a dura prova le molle arrugginite sotto al materasso.

“Tu... Sei scappato di casa!” Era da tempo che Gilbert non rideva tanto.

“Non mi importa.”

“Tu hai abbandonato tutto e tutti!”

“Non mi importa.”

“Tu hai scelto di vivere nella miseria anziché sguazzare nel lusso!”

“Non mi importa.”

“Sai una cosa?! Nemmeno a me.” Gilbert gli si sedette di fronte, intrecciando le sue dita a quelle di Oz e guardandolo in tutto il suo sfavillante splendore.

“Vuoi sapere cosa ho fatto?” chiese Oz trionfante.

“No, racconta!” Udire il suono della sua voce a pochi centimetri da lui gli riempì il cuore, così lo esortò a parlare, perché, anche se avesse detto le peggio cavolate, lui sarebbe stato ad ascoltare rapito e affascinato da ogni singola parola pronunciata.

“Ho rovistato tra le scartoffie di Break mentre lui era fuori. Ho trovato un indirizzo con su scritto ‘Pagare l’affitto di Gilbert-kun’. Ho scritto l’indirizzo, ho preparato una borsa, ho infilato i primi vestiti a portata di mano e mi sono fiondato dentro la prima carrozza disponibile. Non puoi capire che faccia ha fatto il tizio quando mi ha visto, e il suo sguardo quando gli ho recitato la via! È stato uno spasso! Viaggiare di notte nin è tanto scomodo, se non che dopo un po’ ti viene un sonno incredibile e la testa ti comincia a sbattere contro il vetro. Guarda, ho ancora il segno...”

 "Non posso credere che tu sia qui per davvero." disse Gilbert all’improvviso, guardandolo dolcemente. Oz arrossì violentemente, abbassando lo sguardo e mordendosi le labbra.

“Dimostralo, così ne avrai la certezza.” disse Oz maliziosamente.

“Se tu sei il vero Oz, allora baciami. Ora.” Il sollievo che Gilbert provò quando quelle labbra si unirono alle sue fu come liberarsi da un dubbio che lo attanagliava da sempre.

“Visto?!” disse Oz, sfiorandogli una guancia con il naso.

“Cosa dirai a Oscar?” chiese Gilbert, alzando le sopracciglia.

“Penso che se lo aspettasse, a dir la verità. Veniva spesso a controllare se stessi in camera, o in biblioteca, e una volta ho origliato una conversazione con Break. Diceva ‘A volte mi stupisco che stia ancora qui.’”

“Avresti dovuto scrivergli almeno un biglietto...”

“Io scopro l’indirizzo del mio ragazzo, che non vedo da circa due mesi e da cui sono stato strappato via a forza, e mi metto anche a scrivere i biglietti?! Ma per favore!”

“Scusa...” disse Gilbert, interrompendolo “Come mi hai chiamato?”

“Il... Il mio ragazzo?!” chiese Oz, dicendolo al rallentatore per l’incertezza.

“Ripetilo.”

“Tu sei il mio ragazzo, Gil.”

“Potrei passare le ore ad ascoltare solo questa frase, lo sai, vero?”

“Non avevo dubbi.” sussurrò Oz, avvicinandosi a Gilbert e sorridendogli contento. Il ragazzo si sporse per vedere l’ora sull’orologio dal vetro mezzo appannato. Erano le dieci di mattina, ma la stanchezza di aver passato la notte in bianco si faceva sentire da parte di entrambi.

“Gil.” lo chiamò Oz, girandosi al cospetto del monolocale “Scusa se te lo dico, ma sei veramente negato a tenere in ordine una casa.”

Gilbert si passò una mano sulla faccia, sentendosi male per non aver accolto il suo ragazzo (come gli piaceva chiamarlo così!) in un modo un po’ più carino. “Scusa.” gli disse mortificato.

“Perché chiedi scusa? Io ho te, è questo che conta.”

Gilbert sorrise ancora, alzandosi e raccapezzando quelle cianfrusaglie alla bell’e meglio per cercare di far apparire la stanza un po’ meno triste.

“Dai, andiamo a letto, mi si stanno chiudendo gli occhi.” disse Oz, prendendogli il colletto e facendolo atterrare sul materasso, accanto a sé. Si infilarono entrambi sotto una miriade di coperte accozzate a caso e si strinsero uno addosso all’altro, scaldandosi mentre il freddo si propagava dalle pareti sottili. Gilbert chiuse gli occhi con il respiro di Oz sul collo e il suo corpo stretto forte contro il suo, e addormentarsi non gli era parso mai così dolce.

“Buonanotte, Gil. Ah, e sei il mio ragazzo.” disse Oz divertito, affondando il viso nel suo petto.

“Sono il tuo ragazzo.” mormorò Gilbert, prima che il sonno finalmente lo raggiungesse. Temeva che di lì a poco si sarebbe svegliato, il letto vuoto, la stanza disordinata e un intero tomo di fogli ancora da leggere sul tavolo cosparso di sigarette. Temeva che potesse essere solo un bellissimo sogno, ma no, si costrinse a credere di averlo tra le sue braccia, insieme a lui, di averlo tutto per sé senza doversi preoccupare degli altri.

Quello non era un sogno, quella era solo la sua piccola, dolce realtà.

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Capitolo 12
*** Passion ***


[Attenzione! Rating rosso]

Oz aprì debolmente gli occhi, accecato dalla luce di un debole sole mattutino di metà dicembre. La sua bocca era impastata, sentiva la testa scombussolata e il corpo pesante: gli succedeva sempre così, quando dormiva in un letto che non era il suo. Si costrinse a mettersi a sedere, sentendo il posto accanto a sé vuoto, ma ancora caldo.

Davanti a sé, Gilbert era voltato di schiena, con ancora indosso la maglietta con la quale l’aveva accolto il giorno prima, intento ad armeggiare in cucina con impavida concentrazione. Dopo un po’ che Oz lo osservava, il ragazzo si girò tenendo in mano un grosso vassoio di legno scuro.

“Buongiorno!” disse pimpante, mentre con delicatezza gli appoggiava il vassoio sulle gambe e gli sorrideva.

“Buongiorno. Ma cosa...?!” Oz si trovò davanti ad un tripudio di infusi e tè, pasticcini e brioche di tutti i tipi, cucchiaini terribilmente abbinati di tutte le misure, tovaglioli sotto ad ogni singolo piattino. Il tutto occupava quasi l’intero letto, pensò Oz stupito.

“Allora?!” disse Gilbert incerto “Che te ne pare?”

“Ehm...” disse Oz, ancora insonnolito ma deciso a sfoderare a sua volta un sorriso benevolo “È fantastico!”

“Andiamo, lo dici solo perché ti faccio pena...” disse Gilbert tutt’altro che offeso “È solo che ti volevo far sentire a casa.”

Un senso di tenerezza riempì il cuore di Oz, pensando ai tempi in cui, insieme a Gilbert, si sedevano a tavola e gustavano ogni prelibatezza che villa Rainsworth offriva.
“Oh, Gil, ma io sono a casa!” Oz batté la mano sul materasso scassato, proprio accanto a lui “Dai, siediti.”

I due ragazzi finirono in meno di un secondo gran parte del cibo, affamati dopo un giorno intero passato a dormire. Oz decise finalmente di alzarsi e vestirsi, o perlomeno di rendere il suo aspetto un po’ più presentabile.

“Dunque, che facciamo oggi?” disse il ragazzo, prendendo tra le mani i moduli che Break aveva lasciato a Gilbert “Andiamo ad accaparrare qualche Chain irrequieto? Questo mi mette paura, ma quest’altro potrebbe andare bene...”

“In realtà” disse Gilbert, mettendosi la lunga giacca nera “non avevo affatto intenzione di andare in missione. Non oggi.”

“Oh.” disse Oz, vagamente sorpreso.

“Pensavo che oggi avremmo potuto passare un po’ di tempo... insieme.” La voce di Gilbert si abbassò.

Oz lo guardò, ancor più stupito di quel rigido quanto insolito trasgredire le regole del ragazzo “Beh, cosa stiamo aspettando?”



 
Il paesino in cui Gilbert viveva non aveva nulla a che fare con la maestosità e le attrazioni che offriva Reveille, eppure Oz non sembrò disprezzarlo. Tutto era circondato da immensi prati verdi e aree coltivate da contadini abili e bonari che sorridevano ai vicini. Le vie, strette e piene di vasi di fiori, davano l’idea di intrecciarsi in intricati labirinti di mattoni, ritrovandosi a percorrere ogni volta sentieri differenti.

Le persone erano diverse, pensò il ragazzo mentre guardava un gruppo di donne spettegolare tra loro mentre i figli giocavano rotolandosi a terra. Gli sembrava che lì la vita non si basasse sul semplice rispetto reciproco, ma che si ampliasse sull’amicizia e sull’attaccamento che gli abitanti avevano gli uni verso gli altri. Era come una vera, grande famiglia, e il fatto che il luogo fosse piccolo e raccolto non faceva che impreziosire l’atmosfera.

Lui e Gilbert camminarono a lungo, parlando di tutto quello che era successo e svagandosi, liberi per la prima volta di non nascondersi da niente e nessuno. La gente li salutava con la mano, invitandoli nelle loro case per dare loro il benvenuto e chiedendo loro da dove venissero. Ovviamente, i nomi delle Casate restarono un tabù.

Dopo aver pranzato abbastanza fugacemente in un’osteria che odorava di birra, i due si avviarono verso quella che doveva essere una via commerciale. La folla era discreta, ma il pensiero di perdersi tra la calca sopraffece Oz, che, d’un tratto, prese la mano di Gilbert e intrecciò le dite tra le sue. Vide Gilbert arrossire mentre il suo sguardo si posava su quel contatto dolce e inaspettato.

“Vieni.” Gilbert lo trascinò dietro di sé fino ad arrivare ad un piccolo negozietto con la porta di legno e l’orario di apertura scritto in bella calligrafia.

“Cos’è?” chiese Oz.

“È un negozio di abbigliamento. Ho pensato che ti servissero dei vestiti, e ho un po’ di soldi. E poi è ora di comprare una camicia nuova.”

Gilbert entrò con il ragazzo al seguito. Appena videro la negoziante, una vecchietta odorante di sapone e camomilla dalla pesante crocchia di  capelli grigi, le loro mani di divisero all’istante.

“Buonasera cari.” li salutò l’anziana “Posso esservi utile?”

Il piccolo negozietto nascosto che Oz aveva visto dall’esterno risultò un unico, enorme piano in cui sfavillano grandi quantità di vestiti, giacche, pantaloni e soprabiti che quasi intontirono il ragazzo.

“Caspita...” mormorò Oz fischiando.

“Volevamo dare solo un’occhiata.” disse Gilbert alla negoziante, sorridendogli con uno sguardo ammiccante e facendola ridacchiare. Oz gli scoccò un’occhiata tra l’offeso e il divertito mentre il ragazzo già lo prendeva per la manica e lo trasportava in cerca di qualcosa da misurarsi.

Oz si infilò subito in un camerino, le mani che gli traboccavano di vestiti mentre se li provava alla velocità della luce. Erano molto più rudi rispetto a quelli rifiniti e dai dettagli curati che lo zio gli regalava, ma questo non significava che fossero brutti.

“Allora, cosa te ne pare?!”

“Questa ti sta bene, ti fa più alto e slanciato, sempre che tu lo sia mai stato.”

“Grazie Gilbert, sempre a fare complimenti.”

Alla fine, stanchi ma soddisfatti, pagarono con i soldi che Oz si era abilmente procurato prima di partire.

“Dovevo pagare io, sei tu l’ospite.” disse Gilbert contrariato.

“Scherzi?! Ti sono arrivato di soppiatto e senza preavviso, dovevo pur sdebitarmi. E poi, seriamente, dovresti farti pagare di più da Break.”

“Mi paga già l’affitto, non gli chiederei altro, anche perché se succedesse mi affibbierebbe del lavoro in più. E sinceramente vorrei evitare.”

“Beh, per uno che si spacca la schiena facendo il lavoro altrui, questo è il minimo.”

Quando tornarono a casa, il sole era già tramontato, anche se il cielo era ancora venato delle striature rosate del tramonto. Oz depose ordinatamente le buste sul tavolo, evitando a Gilbert di scaraventarle in un angolo e abbandonarle al loro destino.

Il silenzio regnava nella stanza, tanto da sembrare quasi rumorosa, e un’aria fredda e pungente spirava tra le tende mentre l’odore del legno saturava le pareti. Oz si abbandonò a quelle sensazioni nuove, così lontane dal calore del fuoco e dai tappeti intarsiati che allontanavano il freddo dalle residenze in cui aveva passato gran parte della vita. Era un modo di vivere inusuale, spartano, privo di qualsiasi lusso, eppure Oz colse una vena di eccitazione in tutto ciò.

Chiuse alla svelta le finestre prima che delle nuvole iniziassero ad addensarsi nel cielo, minacciando una nevicata imminente. Vide che Gilbert si stava spogliando, così lo imitò, togliendosi la camicia chiara e lasciando che la sua pelle fosse cosparsa da piccoli brividi.

Gilbert era voltato di schiena, le spalle esili eppure muscolose, la vita stretta in cui risaltavano piccole ferite in via di guarigione. Stava a pochi centimetri da lui, chinato leggermente per raccogliere la camicia sgualcita da terra.

Oz si stupì quando, quasi senza accorgersene, la sua mano si appoggiò al centro della schiena del ragazzo, laddove correva la perfetta linea della colonna vertebrale. Gilbert  si irrigidì al tocco freddo della sua mano, e, lentamente, raddrizzò la schiena. In quell’istante, Oz posò lo sguardo sul piccolo specchio attaccato all’anta dell’armadio, e vi vide riflessi due grandi occhi dorati che lo guardavano, piacevolmente sorpresi.

Conosceva quegli occhi come le sue tasche, eppure il cuore gli cominciò a martellare tanto da fargli male, quasi come se fosse troppo grande per il suo petto. D’un tratto sentì caldo, un caldo infernale, un caldo che lo fece avvampare.

Gilbert si girò, stavolta guardandolo in faccia anziché attraverso quello squallido specchio. Le mani di Oz gli si posarono sugli addominali scolpiti, percependone la costante presenza della cicatrice. Le sue dita gelide si mossero piano, percorrendo il suo petto bianco come il latte ed esaminandone ogni curvatura prima di arrivare alle sue guance divenute rosse e bollenti. Lo baciò.

Un lungo bacio, lento, che si trasformò presto in un impeto di passione. Sentì le mani di Gilbert sollevarlo per i fianchi da terra, e lui gli chiuse le gambe dietro la schiena, continuando ad affondare la sua lingua nella sua bocca. Gilbert aveva le mani sulla sua schiena nuda, e, d’un tratto, Oz si ritrovò sdraiato sul letto ancora sfatto, sovrastato dal corpo del ragazzo e invaso dal suo calore.

Sentì il nervosismo imperversare dentro di lui, il cuore che batteva a mille. Ad ogni movimento, il suo corpo sembrava scosso da un irrefrenabile tremore, e intanto una bocca familiare stava mordendo il suo collo esposto.

La mente era annebbiata, i pensieri confusi, e la vista limitata ad una sola massa di capelli lunghi e nero pece che incombeva su di lui. Le sue mani arrivarono a stringere i fianchi stretti di Gilbert, trascinando giù quelli che dovevano essere i suoi pantaloni e lasciando che a lui venisse fatto lo stesso.

Cosa sto facendo? si chiese Oz, e, mentre lo baciava ancora, gli angoli delle sue labbra si piegarono all’insù.

Sapeva cosa stava facendo. Sapeva cosa voleva.

Voleva lui.

Oz prese la mano di Gilbert e se la portò laddove la desiderava, lasciando che si muovesse avanti e indietro in un solo, fluido movimento mentre il respiro gli si faceva corto e la lingua di Gilbert si insinuava vorace nella sua bocca.

Era giusto? Era sbagliato? Era pronto? Oz non lo sapeva.

Gliene importava qualcosa? No.

L’unica certezza si fece strada nella sua mente, chiara e definita gli si disegnava davanti agli occhi tanto da poterla quasi toccare. Lo amava, lo amava davvero. E lo desiderava, ora come non mai.

Sentì una voce lontana chiedere se volesse andare fino in fondo, e la sua testa annuì da sola. Per un breve istante, si interrogò sul vero significato dell’espressione “fino in fondo”, ma a questo punto nulla aveva importanza.

Inspirò contro la sua guancia, lasciando che, per la prima volta, le dita di Gilbert entrassero in lui, rimpiazzate ben presto da qualcos’altro.

Oz inarcò la schiena con uno scatto, cacciando quello che alle sue orecchie suonò come un grido rauco di dolore ed estremo piacere.

“Scusa.” ansimò Gilbert, e un velo di incertezza gli passò davanti agli occhi dorati. “Forse...”

“No!” esclamò Oz, forse con troppo slancio “Ti prego, non fermarti...”

Non gli dette il tempo di dire altro, perché subito lo baciò con foga per zittirlo, mentre quello che prima percepiva come dolore fisico si trasformava lentamente nella sensazione più bella che avesse mai provato. Piccoli gemiti uscivano dalla sua bocca, e le sue unghie affondavano nella schiena di Gilbert come fossero artigli.

Le sue gambe socchiuse erano scosse da brividi, ma ciò che Oz percepiva era solo ardente calore umano contro la sua pelle. Sentiva il sudore fluire sulla sua schiena tesa e sul suo petto addossato a quello di Gilbert che si muoveva sinuoso sopra di lui, sentendo il suo respiro affannato sull’orecchio e la sua lingua che gli percorreva il collo.

Tra i rantolii soffusi, Oz sorrise, percependo quella passione che tanto aveva desiderato e che ora, come in un sogno, si fondeva con il movimento ritmico e regolare dei loro corpi. Le mani di Gilbert gli stringevano i fianchi mentre spingeva e lo baciava con ardore, come se in qualche modo riuscisse a leggere i suoi pensieri e li provasse a sua volta in egual modo.

Baciandolo per un’ultima volta, Gilbert si allontanò da lui, cadendo disteso al suo fianco, il petto che si alzava e si riabbassava velocemente. Stettero il silenzio sotto le coperte che avevano assunto una posizione innaturale, con le dita intrecciate e strette come a non volersi più staccare. Oz sistemò la propria testa sul petto di Gilbert mentre questi gli posava un tenero bacio sui capelli dorati scompigliati, portandosi le loro mani unite a sentire il battito frenetico del suo cuore.

Non seppero mai quanto restarono in quella posizione, con le palpebre socchiuse e le labbra piegate in due flebili sorrisi. Seppero soltanto che la stanchezza li sopraffece quasi subito, prima ancora di sentire un rumore sommesso provenire dalla finestra...

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Capitolo 13
*** Jealous ***


Alice stava comodamente sdraiata sul divano semidistrutto e coperto di buchi, con un Oz che la guardava con un’espressione a metà tra l’imbarazzato e lo stupito.

“Beh, che hai da guardare con quell’aria?” disse bruscamente la Chain dopo almeno dieci minuti buoni di silenzio.

“Cosa ho da guardare?! Mi piombi in casa, anzi, ci piombi in casa passando dalla finestra nel cuore della notte e tu mi chiedi cosa ho da guardare? A volte, Alice, mi chiedo se tu lo faccia apposta...”

Alice guardò Oz dritto negli occhi. Era cambiato, senza dubbio. Era come se improvvisamente fosse  diventato consapevole di non essere uno stupido moccioso viziato, ma un ragazzo ormai maggiorenne, anche se la cerimonia non si era completata come tutti si aspettavano. Questo la avrebbe dovuta rendere felice, ma tutto ciò che sentì fu un senso di nostalgia per il vecchio, capriccioso Oz Vessalius.

“Scusa. Non volevo farti arrabbiare...” disse lei poco convinta delle sue stesse parole “... Oz, cosa hai sul collo?”

“Niente.” disse il ragazzo, portandosi all’istante una mano sopra un segno rosso sulla gola “E comunque avresti dovuto avvertirci.”

“Parla quello che è scappato di casa senza lasciare nemmeno un biglietto!”

“Ma siete tutti fissati con questi biglietti?!” Oz alzò gli occhi al cielo, poi, come scuotendosi da un sogno assurdo, si voltò a guardarla, e, cosa che non si sarebbe mai aspettata, le sorrise “Ma sai che c’è? Sono contento che tu sia qui, Alice.”

La ragazza strinse le labbra e, all’improvviso, gli buttò le braccia al collo, chiudendolo in uno dei suoi abbracci spaccaossa. Sentendo il suo corpo a contatto con quello di Oz la fece sentire subito meglio, come se una parte perduta di lei si fosse finalmente ricongiunta “Mi sei mancato, cretino.”

“Ma sono stato via un giorno!”

“Non importa, sei un cretino e sempre lo rimarrai.” Quando Alice si staccò da lui, una lacrima le scendeva sulla guancia, cosa che la irritò non poco: odiava mostrarsi debole, soprattutto a coloro che lei riteneva più deboli di lei, e Oz ne faceva sicuramente parte. “Mi hai fatto prendere un accidente! Eri sparito nel nulla, tutti ti cercavano, e io non potevo fare niente, tutti mi dicevano di stare in camera mia e io mi sentivo così sola!”

“Ma ora sei qui, no?” Oz le sorrise, indicandole la stanza alzando le mani “Stai tranquilla.”

Alice annuì, e subito dopo scattò all’indietro nel sentire una voce provenire da un angolo della stanza.

“Oz... Uhm... Cosa...?” Conosceva quella voce. La conosceva fin troppo bene.

“Buongiorno, Gil!” disse Oz sfoderando uno dei suoi magnifici sorrisi, ma lasciando trapelare una certa tensione. Gilbert si tirò su dalle coperte, posò lo sguardo sul padrone, e sgranò gli occhi ancora gonfi di sonno quando scoprì che non era solo.

“Alice?!” disse incredulo “Che ci fai qui? Quando...? Come...?”

“Ehi, ehi, frena le parole, stupido corvo!” Alice si alzò e gli puntò un dito contro “È colpa tua se ci ritroviamo in questa situazione!”

“Alice...” disse Oz, sbattendosi una mano sulla fronte “Perché ti devi comportare così?”

“E comunque” riprese lei con aria di superiorità “non sono venuta di certo qui per vedere come ve la stavate passando. Diciamo che Break mi ha accennato qualcosa...”

“Break?!” Gilbert era sempre più spaesato: quella raffica di eventi non era certo il miglior modo per iniziare la giornata “Cosa vuole ancora?”

“Niente. Mi ha dato solo delle dritte per venire qui.” Alice alzò un angolo delle labbra “Tu, Gilbert, stai già facendo parte a delle missioni, e, dato che Oz è qui e senza di voi non posso usare il mio potere, allora mi sono presa la briga di raggiungervi, anche perché dubito che sareste venuti da me.”

“ È vero.” disse Oz sorpreso “Il potere del B-Rabbit necessita del nostro intervento, per essere utilizzato.”

Alice rimase di sasso. Si erano completamente dimenticati di lei. Oz si era dimenticato di lei. Aveva sperato che il ragazzo avesse almeno pensato ad un modo per tornare da lei, prima che Break si precipitasse in camera sua e la convincesse a raggiungerli. Evidentemente si era illusa, e la rabbia fu tale che per poco non diede un calcio alla sedia che le stava di fronte. Cercò di mantenere a calma e di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di uscire.

Dio, perché piango? Perché mi sento così debole? Io sono Alice. Io non piango per queste cose.

Invece sì. La ragazza non voleva ammetterlo, ma sapeva che Oz l’aveva ferita. Ed era sicura che non avrebbe pianto se al posto del ragazzo ci fosse stato qualcun altro.

Quella sensazione così strana tornò a farsi largo dentro al suo petto, ma Alice ancora non sapeva darle un nome.

“Break l’avrà mandata per far sì che completassimo più missioni in minor tempo, dato il calibro della sua potenza.” ragionò Gilbert, buttandosi a sedere sul letto e coprendosi il petto nudo con una maglietta presa da terra, rabbrividendo “Che razza di pagliaccio... Facesse una sola cosa per compassione.”

“Si sa che Xerxes è così. Approfitta delle situazioni a suo vantaggio. In un certo senso lo ammiro per questo.” Oz si rabbuiò quando Gilbert gli scoccò un’occhiata sarcastica. “Ok, come non detto...”

“Solo tu potevi trovarti un tugurio come questo, stupido corvo.” disse d’un tratto Alice, alzandosi per perlustrare la stanza che non aveva avuto modo di osservare nel dettaglio.

“Il cosiddetto tugurio sarà il luogo in cui vivrai a meno che non preferisca dormire sotto i ponti.” rispose Gilbert, gli occhi ridotti a due fessure. “Ho un mal di testa tremendo.”

“Vuoi che ti preparo un tè, o magari una tisana?” Oz scattò in piedi, fiondandosi subito su Gilbert. “In effetti  hai una brutta cera.”

Nonostante il viso fosse visibilmente ridotto ad un cencio, Gilbert arrossì visibilmente quando il ragazzo lo toccò sotto il mento per alzargli la testa. Oz pose le sue labbra sulla sua fronte, forse prolungando un po’ troppo quello che doveva essere un semplice controllo di temperatura, dopodiché si rialzò.

“Gil, sei bollente! Hai la febbre, e anche molto alta a quanto pare! Strano, eppure ieri sera stavi bene...” disse Oz, alzando le sopracciglia e sopprimendo un sorriso malizioso, invano.

“Straordinario. Ci mancava solo questo.” disse Alice stizzita, lasciando ricadere rumorosamente le braccia lungo il corpo.

“Alice, calma! È solo un po’ di febbre, passerà.” disse Oz, dirigendosi verso il bagno  con una pezza fra le mani.

Oz aveva ragione. Non c’era motivo di arrabbiarsi così tanto. Eppure sentiva qualcosa di negativo, rabbia, dolore, o forse qualcos’altro invadergli la mente e lasciandola per un attimo senza parole. Fu quando posò lo sguardo su Gilbert, improvvisamente stremato e accasciato sul letto con il palmo premuto sulla fronte, che capì ciò che la turbava.

Provava gelosia nei confronti di Gilbert. Una folle, terribile gelosia. La sentiva dappertutto, poteva perfino respirarla, mentre, in preda al panico, cercava di mantenere la calma. Era una sensazione totalmente nuova e inaspettata, ma ne ribolliva fino al midollo. Perché Oz aveva posato le labbra sulla fronte di Gilbert e non sulla sua?

Forse perché lui ha la febbre, e tu no, stupida si rispose, ma la verità era un’altra, malgrado la ragazza non volesse ammetterlo.

 D’un tratto ebbe voglia di avere la febbre. Forse così Oz le avrebbe dedicato più attenzione. Forse lo avrebbe distratto da quella figura giacente su quel letto sfatto per la quale lei provava un ingiustificato rancore.

Oz tornò dal bagno con la stessa pezza impregnata d’acqua e, con delicatezza, la posò sulla fronte di Gilbert mentre una mano gli toccò la guancia.

“Grazie.” disse Gilbert, accennando un mezzo sorriso e chiudendo lentamente gli occhi. Oz gli sorrise, e lo sguardo che gli riservò era incredibilmente premuroso. Dopo essersi assicurato che la pezza non avesse bisogno del sostegno della sua mano, Oz si girò verso di lei.

“Mi ricorda i vecchi tempi, quando Gilbert si ammalava praticamente ogni inverno. In dieci anni, non è cambiato nemmeno in questo.”

Erano di nuovo soli, pensò Alice con sollievo. Guardò Oz rimettere a posto la minuscola quanto disordinata cucina. Ne osservò i capelli dorati, il corpo esile, il portamento nobile anche per i movimenti più stupidi, la pelle rosea e il perenne sorrisetto stampato in faccia.

Il cuore le batteva ancora, ma fu abbastanza brava da capire che non era più per la rabbia di poco prima, ma per qualcosa di totalmente diverso. Affetto? Tenerezza? Forse...
“Alice?!” Oz la stava chiamando “Ti senti bene? Non è che anche te stai male? Uno va bene, ma due diventano troppi!”

Si, sto male, ora calcolami  fu tentata di rispondere Alice, ma la sua voce mormorò un semplice:”Sto bene.”

Alla fine cosa le importava? Si era ricongiunta a Oz, gli aveva di nuovo parlato da sola dopo tutto il casino che era successo, consapevole del fatto che ora nulla li avrebbe divisi. Quei pensieri le infusero coraggio, e si sentì subito meglio. In quei pochi minuti in cui era stata lì, aveva dovuto decidere cosa fare. Ora lo sapeva: sarebbe rimasta lì, con Oz al suo fianco, come una volta.

Sperò che tutto ritornasse come prima, ma era ovvio che non sarebbe stato così. Eppure in quel momento dimenticò tutto ciò che era successo nelle ultime settimane, si alzò, e disse:”Bene. Oggi che si fa?”

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Capitolo 14
*** Triangle ***


“Sì, era esattamente un anno fa quando ti prendesti la febbre, Gilbert caro.” la voce divertita di Xerxes Break rimbombava nel monolocale di Gilbert. Il ragazzo non lo aveva mai visto così affollato, tanto che le dimensioni della stanza sembravano ancora più ristrette di quello che già erano. Oz era seduto sul letto, accanto a lui, con l’ennesima pezza imbevuta tra le mani; Alice stava addentando uno spiedino che aveva abilmente estrapolato dal caos che regnava in quella che neanche si poteva definire cucina; infine Xerxes Break, apparso cinque minuti prima da dietro le ante dell’armadio, si era accomodato su una sedia traballante e stava sorseggiando il suo solito tè pomeridiano, ancora indignato del fatto che se l’era preparato da solo nonostante fosse un ospite.

“Come fai a ricordartelo?” chiese Gilbert. Il suo corpo era ancora debole, così come la sua voce, ma rispetto a tre giorni prima stava nettamente meglio.

“Il pagliaccio ricorda sempre tutto. Non c’è da stupirsi.” disse Alice ghignando con aria di superiorità “Non è vero, Oz?”

“Beh, buon per lui.” rispose il ragazzo, alzandosi e andando a posare la pezza in bagno.

“Break, perché sei qui, esattamente?” chiese Gilbert d’un tratto. L’albino accennò un’espressione contrariata, quasi offesa, prima di accigliarsi del tutto.

“Sono semplicemente venuto a vedere le condizioni del mio compagno di missioni, che male c’è?”

“Tsè! Compagno di missioni?! Ma sei fai fare tutto il lavoro sporco a lui!” disse Oz, prendendo subito le difese del suo ragazzo.

“Ma no! Era solo un accordo temporaneo.” Break liquidò subito quelle parole con una scrollata di spalle “E comunque sono venuto qui per dirvi che questo mese l’affitto ve lo potete scordare!”

“Cosa?!” sbottò Gilbert, alzandosi di scatto e lasciando che una nuova ondata di dolore gli pervadesse la testa.  Niente movimenti bruschi gli aveva detto Oz, e lui puntualmente lo aveva ignorato.

“Come sarebbe a dire?” disse Oz, piantandosi di fronte a Break, il volto che esprimeva tutta la sua incredulità.

“Mi pare ovvio.” cantilenò l’albino “Niente missioni, niente affitto. È la prassi.”

“Ma non lo vedi che non può fare nulla?” disse Oz, indicando Gilbert con la mano.

“E comunque senza lo stupido corvo neanche io posso usare il mio potere.” disse Alice sulla difensiva.

“Per una volta, fai qualcosa tu per lui!” lo incalzò Oz. Per un attimo, Gilbert vide balenare una strana espressione sul volto di Break, mentre quest’ultimo si girava a guardarlo con quell’unico occhio rosso. Quando i loro sguardi si incontrarono, Gilbert fu pervaso da un senso di... nostalgia. Sì, era proprio nostalgia, anche se non era sicuro di sapere da dove arrivasse. D’altronde...

“Gilbert caro!” Break lo fece risvegliare da quei pensieri con la sua voce squillante “Ti eri incantato, la tua faccia era inquietante.”

“Parla lui!” disse Alice, alzandosi e frugando di nuovo nella credenza traboccante.

“Break.” la voce di Oz ora si era fatta implorante “Ti prego.” L’unica risposta che ebbe fu un lungo sbuffo da parte dell’albino.

“Facciamo così. Non vi pago nulla e, se il mese prossimo lavorerete come dirò io, vi pagherò tutti e  due gli affitti. Se non siete d’accordo, fatevelo andare bene.”

“Grazie Break. Davvero.” disse Gilbert, sorridendogli. Di tutta risposta, l’albino ammiccò e gli fece l’occhiolino.

“Ci vediamo il mese prossimo!” disse Break, salutando tutti in fretta e furia e infilandosi nel cassettone all’angolo della stanza.

“Aspetta!” disse Alice “Break, ti devo parlare un secondo.” L’albino alzò gli occhi al cielo, fissando uno sguardo svogliato sulla Chain.

“Cosa vuoi, nanerottola?”

“Ti ho detto che ti devo parlare!” disse Alice “In privato.

“Basta che sia una cosa di giorno.” si lamentò Break, dirigendosi riluttante verso la porta e facendo uscire Alice prima di seguirla.

Quando la porta si fu richiusa, Oz si sedette nuovamente ai piedi di Gilbert, sospirando “Non ero abituato a tutta questa confusione. Speravo che, arrivato qui, saremmo stati solo noi due, invece...”

L’aria si era fatta estremamente fredda, e già si percepiva l’atmosfera natalizia tipica del mese di dicembre. Un fitto manto di neve aveva iniziato ad imbiancare le strade del paese, e il cielo bianco stava lentamente diventando più scuro, tingendosi di un grigio plumbeo. Oz fu scosso da un brivido di freddo, così si infilò sotto le coperte, nel posto vuoto, e abbracciò Gilbert abbandonando la testa sulla sua schiena.

“Non dovresti starmi vicino, potrei contagiarti.” disse Gilbert, voltandosi verso il ragazzo e sciogliendo l’abbraccio.

“Non ti preoccupare per me. E poi stai molto meglio, forse domani sarai guarito.” La mano di Oz si posò sul suo fianco, attirandolo a sé. Gilbert si dimenticò di quanto aveva detto poco prima e prese a baciare quelle labbra morbide e familiari dopo ormai quasi una settimana. Era strano come entrambi non avevano avuto il coraggio di baciarsi davanti a Alice e Break, pur sapendo che loro sapevano tutto e, anzi, forse più di chiunque altro. Oz si piegò su di lui, premendo ancor di più la sua bocca sulla sua prima di staccarvisi.

“Fa freddo.” disse poi, fingendo di lamentarsi e affondando il viso sul petto di Gilbert. Il ragazzo lo cinse a sé, inondandolo con il suo calore febbrile e posandogli il mento sui capelli dorati e profumati. Era in momenti come quello che Gilbert si sentiva veramente in pace con sé stesso, come se non esistesse niente all’infuori di loro due.

“Posso chiederti una cosa?” disse Oz, resuscitando dalle coperte e alzandosi su un gomito “È una domanda un po’ personale, però.”

Gilbert si tirò su e fece spallucce, guardandolo con aria interrogativa.

“Forse è una cosa stupida, ma è da tanto che te lo volevo dire.” la voce di Oz tremò, segno che era vagamente teso e che, molto probabilmente, aveva già programmato di fare quel discorso. “Sei mai stato con altri ragazzi, Gil?”

Il cuore di Gilbert perse un battito. Quella era una domanda ambigua, certo, eppure il ragazzo non provò nessun tipo di sorpresa. In qualche modo se l’aspettava, e, anche se era difficile ammetterlo, un senso di paura iniziò a farsi strada dentro il suo petto. Si sentì oppresso, come se d’un tratto un macigno gli fosse caduto sulle spalle e lui non fosse minimamente un grado di sorreggerlo. Guardò quegli occhi verdi e grandi che lo guardavano con incertezza, aspettandosi una risposta diversa da quella che Gilbert gli stava per dare.

“Oz...” disse il ragazzo, fissandolo per un secondo. Infine cedette, tirò un lungo sospiro e, con voce malferma, mormorò “Credo che sia giunto il momento di raccontarti una cosa...”

                                                                                                                  -

“Allora, cosa vuoi?” disse Break. Sembrava vagamente turbato, forse un po’ troppo per i suoi standard, ma Alice a malapena ci fece caso. Lo trascinò in un vicolo, dopodiché mollò la presa.

“Che cos’hai?” gli chiese con uno sguardo inespressivo.

“In che senso, scusa?”

“Non mi prendere in giro. È da prima che ti sto osservando, sei strano.”

“Alice...”

“No, sul serio!” la voce della ragazza si fece animata “A me puoi dirlo. Giuro, non dirò niente a nessuno.”

“Ma figuriamoci!” Break fece per allontanarsi, i suoi passi riecheggianti che mostravano quanto fosse irritato da quel folle incontro.

“È per via di Gilbert?” L’albino si fermò, facendo temere a Alice che fosse stato pietrificato da una forza ignota. Rimase immobile per alcuni secondi prima che si voltasse. Il suo unico occhio rosso era acceso da qualcosa in più della semplice ira: era come se si fosse infuocato, fulminando qualunque cosa toccasse e facendo rimanere la Chain spaventosamente basita.

“Ti ripeto la domanda: che cosa vuoi?” chiese Break, scandendo bene le parole tra i denti stretti. Nonostante quella nuova faccia la intimorisse a morte, Alice si sforzò di mantenere la calma e di mostrarsi determinata.

“Voglio solo sapere. Nulla di più.”

Break rilassò le spalle, mantenendo però quello sguardo truce “Avanti, cosa avresti visto, sentiamo.”

“Il modo in cui lo guardi.” disse Alice, facendolo a malapena finire di parlare “C’è qualcosa che non torna. Per non parlare delle tue concessioni e dei tuoi aiuti. Insomma, non è da te...”

“Non sono affari tuoi.” rispose l’albino, e Alice vide un velo di panico nel suo unico occhio.

“Non saranno affari miei, ma di Gilbert sì.” sentenziò la ragazza “Potresti non parlarne con me, ma con lui dovresti! Gilbert dipende da te, ormai. Se non fosse per te, ora starebbe morendo assiderato in un angolo della strada, e Oz con lui.”

“Sei patetica...”

“Se c’è un problema, perché non parlargliene? Lavorate insieme da ormai dieci anni, possibile che non ti fidi di lui?”

“Posso farti una domanda io?” sbottò Break “Perché all’improvviso sei così interessata al mio rapporto con Gilbert? Non te n’è mai fregato nulla, perché proprio ora?”

Alice sapeva come rispondere a quella domanda. Semplicemente, non voleva farlo sapere. A meno che...

“Se te lo dico, promettimi che risponderai alla mia domanda.”

“Ci sto.” disse Break, tirando finalmente fuori quel suo sorrisetto che tanto era mancato a Alice in quei cinque minuti.

“Io... Ecco, non ne sono sicura, ma, vedi, penso di provare qualcosa per Oz.” la voce le si fece flebile, mentre il suo corpo si alleggerì all’istante, come privato di un peso che fino ad allora l’aveva solo oppressa “So che può sembrare strano, perché lui ora sta con Gilbert, ma è più forte di me. Ma quello che non capisco è un’altra cosa. Break, vuoi dirmi cosa sto provando? Come si chiama questa sensazione?”

Il viso di Break si piegò in un’espressione di tenerezza, come se tutta quell’innocenza avesse avuto un effetto calmante sull’albino “Si chiama amore, Alice cara. E, mi dispiace dirlo, ma non credo sia corrisposto.”

Alice ricacciò le lacrime a forza. Certo che lo sapeva, non era idiota, e quelle lacrime non erano di tristezza. Erano di gioia. Anche se sapeva che Oz non l’avrebbe mai amata, non riusciva a non essere felice, perché per la prima volta capiva realmente il significato della parola amore, una parola che aveva letto soltanto in quegli assurdi romanzi rosa di Sharon. Con la sorpresa di Break, la Chain si lasciò andare ad una risata nervosa, lasciando che tutta la tensione defluisse dal suo corpo esile.

“Beh, adesso tocca a te.” disse Alice, tirando su con il naso e allargando ancora di più quella che già era un sorriso a trentadue denti.

“E io non te lo dirò!” esclamò Break, sorridendo anche lui.

“Cosa?! Sei un imbroglione, stupido pagliaccio, era l’accordo!”

“Ti ho detto che avrei risposto, non che avrei detto la verità! Anche Oz ci è cascato, a questo giochetto!” ghignò l’albino, girando i tacchi e facendo per andarsene.

“Tanto ho capito benissimo!” Alice stava per averne conferma, lo sentiva “Adesso te lo dico io cosa c’è che non va.”

Per la seconda volta, Break si voltò di nuovo verso di lei, scuotendo la testa e ridendo “Avanti, sentiamo questa perla di saggezza!”

“Xerxes Break.” sentenziò Alice, inclinando la testa da un lato “Tu sei innamorato di Gilbert.”

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Capitolo 15
*** Your Pretty Face ***


Oz fissò Gilbert con sguardo imbambolato prima di mettersi seduto sul materasso. Lasciò che le coperte gli scivolassero dalle spalle e che la sua pelle fosse scossa da brividi, anche se il ragazzo non seppe dire se fossero per il freddo o per la tensione. Gilbert lo guardava negli occhi, le labbra strette, come se d’un tratto si fosse reso conto di non voler affatto dire ciò che gli avrebbe rivelato.

“Gil...?” disse Oz con voce incerta, rompendo quel silenzio imbarazzante che tanto odiava.

“Oz, io...” mormorò Gilbert, scuotendo la testa e guardando un punto indefinito tra le coperte che li separavano “Solo, non voglio che ciò che sto per dirti rovini il nostro rapporto. Io voglio essere sincero con te, ma...”

“Gil.” Il cuore di Oz stava martellando tanto che al ragazzo parve sentirlo premere contro il suo petto. Appena pronunciò il nome del suo fidanzato, la sua stessa voce gli si rivelò fredda e concisa, quasi distante, cosa della quale si sentì subito in colpa.

Gilbert prese un respiro profondo e, con la sua solita calma, cominciò a parlare. “Appena scappai dai Nightray, tempo dopo aver stipulato il contratto con Raven, iniziai a dubitare degli sforzi fatti fino ad allora. Temevo che tu non saresti mai tornato, avevo paura che tutto ciò che avevo fatto fosse stato totalmente inutile. Ero terrorizzato dall’idea di non sentire più la tua voce, di non prenderti più per mano per trascinarti da tuo zio, di non consolarti nei momenti di sconforto, di non ridere più alle tue battute. Tutti i miei ricordi felici erano finiti in Abyss, con te.
Quando Break mi accolse nella villa dei Rainsworth, ero ormai in balia della depressione. Non mangiavo, a malapena dormivo, intento com’ero a trovare una soluzione per tirarti fuori da quell’inferno. L’unico che sembrava capirmi era Break. Lui ci era passato, in una situazione simile, sapeva come mi sentivo e mi sosteneva, nonostante ovviamente lo facesse per un secondo fine.
Non so esattamente come sia successo, so soltanto che ero talmente preso dalla disperazione di non averti accanto che mi aggrappai all’unica cosa che mi era realmente vicina. All’unica persona che non mi prendesse per un malato depresso bisognoso di cure. Quella persona era proprio Break.”

Oz cercò di deglutire, ma si accorse che la sua bocca era divenuta completamente asciutta. Come era possibile? Come poteva Gilbert aver avuto una storia con Break?

Il respiro gli morì in gola, tanto da non riuscire più a respirare, mentre nella sua testa iniziavano a riaffiorare una serie di immagini e ricordi che, allora, gli sembravano privi di qualsiasi importanza ma che adesso al solo pensiero gli facevano male. Break che guardava Gilbert di sottecchi, con quel suo ghigno inquietante, che gli faceva l’occhiolino prima di uscire dalla stanza. E fu con un tuffo al cuore che, d’un tratto, gli fu chiaro del perché proprio Break li avesse sorpresi nella camera di Gilbert, quel giorno. Forse voleva dirgli qualcosa, forse voleva semplicemente riprovarci, e invece aveva trovato Oz al posto suo. Cominciò ad essere chiaro anche il motivo per il quale Break li sorprendeva sempre nei momenti più intimi, come se non volesse lasciarli soli nemmeno un attimo. Come se fosse geloso di loro.

Oz puntò uno sguardo spaesato su Gilbert, scuotendo la testa “No...”

“Oz...”

“Tu non... non avresti mai... non lui.“

“Sì invece.” disse Gilbert con voce stranamente calma. Gli prese le mani fra le sue, intrecciandovi le dita bianche e affusolate “Ascoltami, Oz.”

“Io...”

“Ascoltami. Non importa il passato, ok? Era un momento difficile per me, non so neanche se quel Gilbert fosse lo stesso che conosci te. Forse non lo sapevo nemmeno io quel che stavo facendo.”

Oz sentì una lacrima scorrergli lungo la guancia. Avrebbe voluto annuire, dimenticare tutto e abbandonarsi alla voce dolce e rassicurante del ragazzo, ma il suo corpo non si mosse.

“Ora per me ci sei solo tu. Tu e nessun altro, capito? Io ti amo come non ho mai amato nessuno, Oz!” lo sguardo di Gilbert era implorante, così come la sua voce. I loro visi erano a pochi centimetri, l’uno sconvolto, l’altro teso come una corda di violino.

“Scusa.” disse Oz, liberando le sue mani dalla stretta di Gilbert e arretrando.

“Dove stai andando?”

“Gil, io... Io ho bisogno di aria. Ho bisogno di stare un minuto da solo.” la voce di Oz si incrinò mentre, quasi con foga, abbassò la maniglia della porta e fece per uscire.

“Oz!” Un’ultima chiamata lo costrinse a girarsi un’ultima volta. L’ultima visione che ebbe di Gilbert, quel giorno, fu di un ragazzo pallido e seduto su un letto, gli occhi scintillanti di lacrime che, con una mano, stringeva forte un lembo di coperta. Oz gli restituì quello che doveva essere uno sguardo rassicurante prima di scomparire dietro la porta.

                                                                                               -

La faccia di Alice era la personificazione del trionfo, cosa che fece infuriare Break come mai lo era stato. Come era possibile che quel nano di un Chain lo avesse preso in contropiede a quel modo? Ma soprattutto, possibile che il suo atteggiamento nei confronti di Gilbert era così dannatamente evidente? Represse un ringhio e fece per scagliarsi senza pietà su Alice, quando una porta alle loro spalle si aprì, costringendo entrambi a girarsi. Appena Break alzò gli occhi da dietro l’angolo del vicolo, il suo sguardo si posò su Oz, il quale sbatté la porta dietro di lui e si avviò con passo spedito e stranamente teso verso la strada.

“Oz?” lo chiamò l’albino, ma desiderò non averlo fatto. Il ragazzo si girò verso di lui con gli occhi che lanciavano fiamme, leggermente arrossati per un imminente pianto isterico. La sua espressione zittì Break all’istante, facendolo indietreggiare contro il muro: non lo aveva mai visto così turbato, quel ragazzo da sempre noto per il suo ottimismo e per il suo sorriso raggiante anche quando si trovava di fronte alla morte.

Break lo vide allontanarsi velocemente, svoltando all’ultimo secondo in una strada buia. Il suo pensiero quando sparì fu uno soltanto: Gilbert.

Si lanciò sulla porta, entrò e risalì velocemente le scale scricchiolanti, bussando forse con troppa foga al monolocale di Gilbert. La maniglia si abbassò prima che avesse il tempo anche solo di respirare.

“Oz, io...!” Gilbert si interruppe quando vide che colui che aveva bussato non era il suo ragazzo, ma un Break piuttosto confuso.

“Gilbert caro, mi stavo chiedendo cosa fosse success...”

Il ragazzo assunse un’aria furiosa e fece per sbattergli la porta in faccia, ma i suoi ottimi riflessi non lo tradirono nemmeno questa volta: infilò un piede tra lo stipite e la porta  ed entrò, prendendo Gilbert per le braccia e trascinandolo dentro.

“Si può sapere cos’hai?”

“Tu... Tu hai rovinato tutto, dannazione!” Gilbert si liberò dalla sua stretta con una forza irruenta, spingendolo contro la parete e rischiando di fargli perdere l’equilibrio.

“Cosa?!”

“Lascia stare!”

“No, non lascio stare! Se dici che ho rovinato tutto, allora mi pare lecito sapere in cosa sono coinvolto. O no?”

“Ah, stai zitto!” Gilbert fece per scagliargli addosso i suoi due pugni, ma, non appena Break glieli afferrò con prontezza, il ragazzo crollò, gettandogli il viso sul petto e cominciando a piangere. Era sempre stato così: Gilbert che, colto da momenti di fragilità, si disperava sulla sua spalla nonostante non avesse in lui alcuna fiducia. Break sorrise e lo abbracciò, lasciando che si sfogasse e approfittando di quel momento fugace per stare con lui. Forse Alice aveva ragione, forse una parte di lui ancora era innamorata di quel ragazzo così indifeso e perennemente complessato.

“No.” disse Gilbert d’un tratto, liberandosi dalle sue braccia “Non dovrei starti così vicino. Non qui.”

“Perché mai? D’altronde, non penso stiamo facendo nulla di sconcio.” Evidentemente Break sfoderò una delle sue facce strane, perché Gilbert alzò gli occhi al cielo e sospirò, andandosi a sedere sul divanetto e portandosi le gambe al petto.

“Ho raccontato a Oz di noi due. Non l’ha presa bene. Ho cercato di trattenerlo, ma lui se n’è andato, capisci? Di sera, con il freddo. Starà gelando.” Le parole sembravano uscire a fiumi dalla bocca di Gilbert, quasi contro la sua volontà.

“L’ho visto.”

“L’hai vis... Cosa?!”

“Hai capito benissimo, Gilbert caro.”

“Accidenti, non chiamarmi così, Break!” Gilbert si prese la testa fra le mani, respirando profondamente, mentre due lacrime gli rigarono il volto “Perché deve succedere sempre così? Perché appena raggiungiamo la pace c’è sempre qualcosa che va storto? Forse non siamo destinati a stare insieme. Forse...”

“Lui ti ama.” disse Break, concentrandosi affinché il suo tono di voce non risultasse incrinato. Era difficile ammetterlo, a Gilbert ma soprattutto a sé stesso, ed era ancor più difficile dirlo a parole. “Ci tiene davvero tanto a te, Gilbert. È uscito da questa casa in lacrime.”

Uno scintillio negli occhi di Gilbert gli disse che aveva colpito nel segno, e non sapeva se andarne fiero o meno.

“Davvero? A me sembrava arrabbiato, e anche tanto.”

“Sappi che non è così. Ok, forse un pochino, ma tornerà.”

“Break...” mormorò Gilbert passandosi una mano tra i capelli neri e arruffati “Scusa se ti ho aggredito in quel modo, prima. Non so cosa mi sia preso, davvero.”

“Io lo so.” disse Break, puntando l’unico occhio su una crepa del muro e accennando un sorriso.

“In che senso?”

“Sai quante sfuriate come quella di prima ho fatto io a causa tua.” Lo sguardo dell’albino si fece malizioso mentre si spostava sul viso improvvisamente costernato di Gilbert.

“Oh.” disse il ragazzo, arrossendo visibilmente e guardandolo fisso a sua volta “Beh, se è per questo anche io.”

“Dio, Gilbert, uno non può avere un piccolo battibecco che subito rischi di nuotare tra le tue stesse lacrime! Io almeno sbraitavo e basta.”

Con sua grande sorpresa, Gilbert rise tra sé e sé, mordendosi le labbra e asciugandosi la faccia. Vedendo che l’atmosfera si era alleggerita, Break si mise a sedere accanto al suo ex ragazzo, incrociando le gambe con un movimento teatrale e mettendo un braccio sullo schienale, dietro le sue spalle.

“Ci pensi mai a noi due, a come eravamo prima?” chiese l’albino dopo un po’, prendendo coraggio.

“Vuoi la verità? Non proprio.”

“Io sì. E comunque immaginavo una risposta del genere.”

“Scusa.”

“Scusa di cosa? Mi stai dicendo la verità chiara e tonda, non vedo perché dovresti scusarti. Ami Oz, adesso, ed è chiaro che l’hai sempre amato.”

Gilbert annuì, poggiando il mento sulle ginocchia e guardando davanti a sé, lasciando che Break ammirasse il suo profilo perfetto, la sua pelle pallida e luminosa, le sue labbra sottili che un tempo aveva assaporato con passione, e non poté fare a meno di avere una fitta di nostalgia.

“Sai, adesso che ci penso, credo proprio di essere ancora attratto dal tuo bel faccino, Gilbert caro.” disse Break con una voce suadente in cui a malapena si riconobbe. L’aveva detto, aveva finalmente tirato fuori ciò che da mesi aveva cercato di dirgli, e ora aveva una paura folle di aver rovinato tutto. Era stato ore a preparare un discorso che facesse effetto, su come l’amore che li aveva uniti tempo prima era stato importante per lui, e invece cosa aveva detto?! Il tuo bel faccino?!

Grandioso, Xerxes, davvero notevole la tua predisposizione per le cavolate.

Gilbert sbarrò gli occhi e si girò a guardarlo, la bocca appena socchiusa  e lo stupore dipinto sul viso. “Dimmi che non stai dicendo sul serio, Break.”

“Temo proprio di sì.” Il silenzio che seguì fu un misto di imbarazzo e comicità, in cui i due ragazzi si guardarono fissi in faccia pur non capendo l’uno le intenzioni dell’altro.

“Break.” disse infine Gilbert, la voce leggermente scossa “Ti dispiacerebbe uscire da questa stanza?”

L’espressione costernata del ragazzo fece scoppiare l’albino in una fragorosa risata, prima di avviarsi verso il cassettone e di aprirlo con estrema delicatezza. “Sempre ai tuoi ordini, zuccherino!” Break sfoderò uno dei suoi più grandi sorrisi, e infine sparì.

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Capitolo 16
*** Pause ***


Oz scese dalla carrozza, atterrando sul terreno soffice e ancora bagnato di neve. Il sole stava appena sorgendo, brillando di una luce fioca oscurata da grandi nuvole del color della cenere. Era stato sveglio tutta la notte, fin quando, gli pareva, alcuni servitori dei Vessalius lo avevano preso e letteralmente trascinato verso l’abitacolo, costringendolo a riposare durante il viaggio. Sentiva il collo indolenzito e il braccio destro addormentato, nonché le palpebre pesanti e una sensazione di impotenza fisica.

“Oz!” la voce di suo zio ruppe il silenzio ovattato mentre la carrozza si allontanava velocemente “Si può sapere dove sei stato?”

In un attimo, il ragazzo si ritrovò tra le braccia di Oscar, lasciando che questi gli desse un bacio affettuoso sulla sua chioma bionda e gli accarezzasse la schiena tremante “Sei gelido, andiamo dentro.”

Non appena Oz oltrepassò la soglia della villa, il calore familiare del fuoco scoppiettante e il profumo di fiori lo invasero. Andò subito a sedersi sulla sua poltrona preferita mentre un servitore gli porgeva un plaid e gli metteva fra le mani una tazza di cioccolata calda e fumante.

“Grazie.” mormorò Oz dopo che il servitore se ne fu andato con un inchino decisamente pomposo. Oscar gli si sedette accanto, sorridendogli nonostante il volto fosse teso.
“Sono felice che tu sia qui.” disse al ragazzo con fare paterno.

“Scusami per essere scappato così, su due piedi. Avrei dovuto avvertire almeno te.”

“L’importante è che riconosci il tuo errore.” Oscar si schiarì la voce “Oz, c’è qualcosa che devo dirti. So che ora desidereresti solo stare da solo e riposare, ma...”

“Parla, ti ascolto.” Oz si protese verso lo zio, visibilmente preoccupato.

“Vedi, tutto quello che è successo ha gettato nell’indignazione più totale l’intera città. Il  fatto è che, quando sei scappato di casa, la gente ha approfittato della tua assenza e l’ha utilizzata come pretesto per sferrare attacchi contro i Vessalius.”

“Che cosa?!” Oz sapeva benissimo che le persone erano totalmente a sfavore sulla relazione tra lui e Gilbert, ma  non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere.

“Purtroppo noi non possiamo farci niente. E comunque non siamo solo noi l’oggetto del disappunto. Ricorda che sono coinvolti anche i Nightray. I nostri rapporti con loro sono ulteriormente peggiorati, ma dato che non erano rose e fiori nemmeno prima, diciamo che non è cambiato quasi nulla.”

“È colpa mia.”

“Non dirlo neanche per idea!”

“Sì invece!” sbottò Oz, stringendo le labbra “Se non fosse stato per me, per noi, ora la nostra famiglia avrebbe almeno un briciolo di dignità! Ho deluso tutti. Ho deluso te, ho deluso mio padre...”

“Tu non hai deluso proprio nessuno.” l’enorme mano dell’uomo si posò su quella di Oz, facendogli alzare lo sguardo “Noi siamo dalla tua parte, sempre e comunque. Non devi sentirti in colpa per quello che proveresti inevitabilmente, Oz. Sappi che avrai sempre l’appoggio della famiglia, e questo te l’ho già detto.”

Oz annuì, sorridendo, sentendo il suo io ottimista prendere il sopravvento. Quelle parole rassicuranti erano le sole capaci di trasmettergli calma e sicurezza.

“Ora vai in camera, hai il viso ridotto ad un cencio.” disse Oscar, alzandosi e tirandolo su con il braccio, come se il ragazzo non avesse peso.

Dopo averlo salutato, Oz salì le scale e in un secondo fu nell’unico posto in cui desiderava stare: nella sua camera da letto.

Appena entrò, un senso di nostalgia gli oppresse il petto. Lì era stata la prima volta che lui e Gilbert si erano incontrati in segreto, lì gli aveva dato il primo bacio, lì avevano dormito per la prima volta insieme. Pensò alla notte prima, e subito nella sua mente si creò l’immagine di Break addossato a Gilbert, intento a baciarlo appassionatamente contro la parete. Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri che lo avevano attanagliato per tutta la notte, ma fu tutto inutile.

In quel momento provava solamente un grande senso di colpa. Aveva paura che Gilbert si fosse stancato di lui, che volesse al suo fianco qualcuno di più maturo di un ragazzino isterico di sedici anni in piena fase adolescenziale, e sicuramente Break ne aveva tutti i requisiti. Lui aveva esperienza, era forte, trasmetteva sicurezza, sapeva mettere a proprio agio anche la più austera delle persone, mentre Oz era effettivamente un bambino al confronto. Era difficile ammetterlo, ma più ci pensava e più era convinto di quelle parole.

Gilbert aveva detto di amarlo, ma la verità qual era?

Oz fu risvegliato da quei pensieri dal cigolio della maniglia abbassata. Si voltò, e si ritrovò faccia a faccia nientemeno che con Alice.

“Alice?!”

“Oz, ti devo parlare.”

“Ma uno non può tornare a casa che subito tutti hanno qualcosa di urgente da dire?” Dopo un breve silenzio, Oz sospirò “E va bene, cosa c’è?”

“Era da tanto che volevo farlo, è solo che non ne ho mai avuto l’occasione, e se non lo faccio ora me ne pentirò per sempre. Tu non approverai, perciò è inutile che te lo dica, anche perché odio essere interrotta quando faccio le cose.” Alice pronunciò quelle parole come un fiume in piena, alla velocità della luce, tanto che Oz si dovette sforzare per capirne il senso.

“Alic...” il ragazzo non riuscì a finire che le labbra della ragazza si posarono delicatamente sulle sue, facendogli sbarrare gli occhi dalla sorpresa. Quando la Chain si staccò da lui, si sentì il viso in fiamme.

“Oz, sono venuta qua per ringraziarti. Ho passato tutto il tempo con te chiedendomi cosa fosse quella strana sensazione che sentivo in corpo. Stavo diventando pazza, perché mi sentivo bene, bene davvero, e non ne capivo il motivo. Ma alla fine ho scoperto cos’era.” La bocca di Alice si piegò all’insù, lasciando scoperti i denti perfetti “Era amore. E anche se tu non provi lo stesso per me, ti sarò infinitamente grata per avermi fatto provare una delle emozioni più belle che io abbia mai provato.”

Oz si scoprì a sorridere a sua volta di fronte ad un’Alice raggiante come non mai. Se c’era una cosa positiva in quell’ammasso di situazioni difficili, questa era una di quelle.

“Vieni qui.” le disse, piegandosi verso di lei e stringendola in un forte abbraccio protettivo “Ti voglio bene.”

“Sì, però ora promettimi una cosa.” la ragazza slacciò quello che era un gesto veramente troppo sdolcinato per i suoi gusti “Ora ti riposi, dopodiché ti lavi quella faccia smunta, ti vesti decentemente e vai dritto a casa di Gilbert, intesi?”

“Che...? Ehm, ok.” disse Oz, confuso.

“Ci vediamo domani, allora!” Alice ammiccò e, con la velocità con cui era entrata, sparì.

                                                                                             -

Oz era davanti alla porta, il petto che si abbassava e si alzava freneticamente. I cardini cigolarono pericolosamente, e davanti ai suoi occhi apparve la figura alta e snella di un Gilbert preso di sorpresa.

“Ciao.” disse Oz, cercando di far sembrare la sua voce tranquilla come sempre “Posso entrare?”

“Sì, certo.” Gilbert si fece da parte, lasciandolo entrare e richiudendo la porta del monolocale alle sue spalle. Il ragazzo si sedette sul divanetto, vagamente a disagio, mentre Gilbert prese posto su una sedia instabile, incrociando le braccia al petto.

“Gil, mi volevo scusare per essermene andato in quel modo. È solo che le parole che mi hai detto mi hanno... Come dire...”

“Se ti riferisci alla storia con Break, sappi che...”

“Io non mi sento all’altezza, Gil!” finalmente Oz tirò fuori i pensieri che aveva represso nelle ultime ore, felice di sfogarsi con qualcuno, anche se quel qualcuno era il diretto interessato “È ovvio che Break sarebbe il tuo tipo più di quanto lo sia io. Io sono solo uno stupido sedicenne che finora ti ha creato soltanto una marea di problemi! Se tu fossi rimasto con Break, ora saresti mille volte più felice...”

Gilbert stava ansimando, scuotendo la testa e guardandolo con quei suoi occhi dorati, incapace di proferir parola. Il suo sguardo esprimeva panico, e i denti mordevano con forza le labbra sottili.

Dopo un silenzio che a Oz parve infinito, riprese a parlare “Lo zio Oscar mi ha pregato in ginocchio di passare il Natale con lui. Magari potremmo usare questi giorni per riflettere un po’, da soli.”

“Stai chiedendo una pausa, non è vero?” la voce di Gilbert suonava distorta, eppure il suo volto sembrava aver preso più colorito.

Oz annuì, abbassando lo sguardo.

“Ok. Se è quello che vuoi, lo farò.” Gilbert sospirò “Però promettimi che poi tornerai qui, per chiarire. Promettilo, Oz.”

“Lo prometto.”

“Bene.” Gilbert lo guardò intensamente prima di lasciar cadere lo sguardo sulla superficie irregolare del tavolo.

“È tardi, devo andare ora.” disse Oz, alzandosi lentamente. Gilbert lo seguì, aprendogli la porta. Non appena Oz gli passò accanto, le loro mani si sfiorarono, stringendosi debolmente. Entrambi alzarono lo sguardo, fissandosi per alcuni secondi prima di separarsi di nuovo.

“Oz.” lo chiamò Gilbert, facendolo voltare “Ti amo.”

Il ragazzo sorrise, e, esitando, se ne andò.

                                                                                          -

“Sai che giorno è oggi?” chiese Gilbert ad un Break seduto a gambe incrociate sul letto.

“È venerdì?”

“È 24 Dicembre, Break. È la Vigilia.”

“Lo sapevo, giuro.”

“E sai cosa faremo adesso?”

“Non credo di volerlo sapere, in ogni caso dimmi.”

“Usciamo.” Break ebbe un tuffo al cuore, anche se sapeva che, dall’esterno, sarebbe risultato impassibile. Era dannatamente bravo a nascondere le emozioni.

“È un appuntamento?” disse pimpante, saltando subito in piedi agitando le grandi maniche bianche della giacca.

“No!” Gilbert quasi gridò, ricomponendosi subito dopo “Devi accompagnarmi a fare un regalo a Oz, dato che il mio senso del gusto è pressoché nullo.”

“Hai ragione.” disse Break, notando una punta di disapprovazione da parte del ragazzo “Hai intenzione di metterti quella sciarpa?”

“Perché? Cos’ha che non va?” chiese Gilbert, mettendosi al collo una sciarpa giallo canarino.

“Nulla. Solo, non sono abituato a vederti con, aspetta cosa è quello? Un colore?!”

“Simpatico come sempre, Break.” disse Gilbert, stizzito, mentre si infilava la giacca.

“Lo prendo come un complimento, zuccherino!”

“E, per favore, non mi chiamare così!”

“Allora come?”

“Gilbert va bene.”

“D’accordo, Gilbert caro!” Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, sospirando di nuovo. Adorava farlo arrabbiare, perché quell’espressione perennemente contrariata lo rendeva bellissimo.

“Allora, ti muovi o no?!” disse Gilbert, già all’inizio delle scale. Break chiuse a chiave la porta del monolocale e si avviò verso il ragazzo. Ancora non ci credeva ma sì, stava realmente uscendo con lui.

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Capitolo 17
*** Dark Chocolates ***


“Hai già un’idea su cosa regalare a Oz?” gli chiese Break con aria affabile.

“Beh, se ce l’avessi avuta non ti avrei chiamato, o sbaglio?” Gilbert spostò lo sguardo sul sorrisetto represso di Break, e, malgrado ciò, un angolo della bocca gli si sollevò.
Camminavano fianco a fianco, le loro spalle che si sfioravano ad ogni passo, per la via principale del paese ormai totalmente imbiancato. Tra le persone che concludevano gli ultimi regali regnava un’atmosfera natalizia piacevole perfino a chi, come Gilbert, aveva sempre odiato le feste.

Di colpo i pensieri del ragazzo andarono a Oz, a come lo aveva quasi lasciato, alle parole che gli martellavano in testa da quando era scomparso dietro la porta di casa sua.
Io non mi sento all’altezza, Gil! Quelle parole lo avevano ferito come mille, piccole lame. Possibile che Oz non si rendesse conto di quanto lo amava? O forse il problema non era Oz, era lui che, come sempre, faceva fatica ad esternare i suoi veri sentimenti. Per un attimo, si sentì sprofondare nel vuoto.

“E se provassimo qui?” la voce di Break lo riesumò di colpo da quei pensieri. Si girò verso l’albino, incantato davanti alla vetrina di un negozio di dolci, intento a contemplare la più grande varietà di cioccolata che Gilbert avesse mai visto. A quella vista, il ragazzo non poté fare a meno di ridere.

“Cosa c’è? Andiamo, è la perfezione!” Break era in un brodo di giuggiole. D’un tratto, forse per la prima volta, sotto tutte quelle luci, Gilbert si accorse della spaventosa bellezza dell’albino. Non lo aveva mai visto sotto quell’aspetto, nemmeno per il breve tempo in cui erano stati insieme, ma ora che lo guardava sorridente davanti a degli stupidi dolci, con quell’aria da bambino che nasconde però una persona totalmente afflitta, si accorse di quanto potesse essere attraente.

“Allora, che dici, entriamo o no?”

“Non penso che Oz apprezzerebbe, o perlomeno non quanto te...”

“Già, l’avevo pensato anche io.” rispose Break, annuendo “Però potremmo sempre tentare.” All’improvviso, Gilbert si sentì prendere la mano  e trascinare all’interno del negozio. Subito, un calore e un intenso profumo di dolce appena sfornato lo invasero, facendogli desiderare di non uscirne mai più. Il tepore di quella stanza gli riscaldò ogni centimetro del suo corpo infreddolito mentre, con estrema calma, avanzava tra gli scaffali ricchi di leccornie.

I suoi piedi lo portarono dritto dritto in un angolo del negozio, dove una commessa perfettamente in tiro sollecitava i clienti all’assaggio di alcune varietà di cioccolato.
“Vuoi provare?” chiese Break, prendendo un pezzo di tavoletta e avvicinandolo alla bocca del ragazzo. Malgrado la sorpresa, Gilbert addentò il cioccolato direttamente dalle dite bianche affusolate dell’albino. Fondente, il suo preferito.

“Come facevi a saperlo?” chiese Gilbert, accennando un sorriso.

“Quando prendevamo il tè insieme, sceglievi sempre i pasticcini al fondente, me lo ricordo bene.” Break gli passò il pollice sull’angolo della bocca prima di scomparire in mezzo alle persone.

Appena uscirono, cominciarono a girare in lungo e in largo quasi l’intero paese, fermandosi qualche volta nel tentativo di vedere possibili regali che puntualmente venivano scartati ora da Gilbert, ora da Break. Non pensava che un’impresa di quel genere dovesse costargli così tanto tempo e fatica.

“Cosa farai domani?” gli chiese Break, avvicinandosi di più a lui.

“Nulla, come tutti gli anni. Lo sai che non sopporto le feste.” disse Gilbert, chiedendosi nuovamente cosa stesse facendo Oz. Magari stava aiutando Oscar ad allestire la villa dei Vessalius in stile natalizio. Le ricordava bene le feste di Natale con Oz, quando erano bambini: un tripudio di luci e colori, decorazioni di ogni forma e dimensioni, abeti giganteschi su ogni piano, per non parlare delle cene, con tutte quelle portate deliziose e quel calore familiare che Gilbert non aveva mai veramente provato. Ricordava anche che Oz doveva tirarlo a forza per presentarlo ai membri della sua famiglia, per farlo sedere a tavola come tutti loro, perfino per scartare gli unici due regali che Oscar e Oz si ostinavano a fargli nonostante il suo disappunto. Era difficile ammetterlo, ma aveva nostalgia dei vecchi tempi. “Tu invece?”

“Io festeggerò in santa pace con i Rainsworth, mangiando dolci fino a scoppiare. Come ogni anno.” Si era ormai fatto buio, e le poche persone che non erano ancora rincasate per la Vigilia si stavano velocemente dileguando. Gilbert vide il portone di casa sua e fece per attraversare.

“Gilbert!” urlò Break, e il ragazzo si sentì strattonare per la manica prima che una carrozza sfrecciasse a tutta velocità dove un attimo prima c’era il suo piede. Per la sorpresa, Gilbert inciampò, rovinando su Break e inchiodandolo al muro con il suo corpo. Il suo volto era a pochi centimetri da quello di Break, i loro nasi che si sfioravano, le mani del ragazzo sul suo petto ansimante. Sentiva il respiri gelidi fondersi insieme mentre il suo sguardo passava dall’unico occhio rosso al ciuffo bianco e scomposto, dalle guance visibilmente arrossate alla sua bocca leggermente dischiusa. Dopo quelle che sembrarono ore, Gilbert si staccò e tossicchiò imbarazzato.

“Grazie.” balbettò, stirandosi la giacca e sentendo il volto avvampare nonostante il freddo.

“Non c’è di che.” disse Break, sorridendo e stringendo le labbra “Dovrei andare, sennò rischio di far tardi.”

“Ehm, sì, certo.”

“Ci vediamo, Gilbert caro.” Break gli spostò una ciocca di capelli dal viso, costringendolo ad alzare nuovamente lo sguardo.

Lo guardò andare via con quella sua camminata frivola finché non fu fuori dalla sua vista, e il suo cuore ancora batteva freneticamente.

                                                                                                 -

Break andava di fretta. Mai andato più in fretta di così. Aveva liquidato tutti con un saluto fugace che certamente non gli rendeva onore, ma cosa ci poteva fare? Tirò fuori dalla tasca quel bigliettino ormai tutto accartocciato e lo rilesse per quella che, quasi certamente, era la centesima volta. Ti andrebbe di passare la Vigilia insieme? P.s. Le chiavi sono sotto lo zerbino, credo.

Quando fu davanti alla porta aveva il fiatone e, ci avrebbe scommesso, anche i capelli fuori posto. Si aggiustò il ciuffo bianco, si abbassò e alzò il piccolo quanto consunto tappetino, prendendo un’unica chiave arrugginita e girandola nella toppa non senza difficoltà.

Appena entrò, un odore strano ma incredibilmente forte gli riempì le narici, facendolo lottare contro l’impulso di tossire. Si voltò e vide Gilbert con le gambe incrociate sul letto, con i capelli che gli ricadevano sul volto, intento a bere da una bottiglia di medie dimensioni.

“Non credevo saresti venuto.” gli disse il ragazzo con una voce leggermente gracchiante, ma incredibilmente suadente.

“Perché dici così?”

“Quello è per te.” disse Gilbert, indicando un pacchetto con tanto di coccarda abbandonato sul tavolo. Prima ancora che Break lo prendesse, gli disse:”Sono dei cioccolatini. Visto che ti piacciono tanto, ho pensato di regalarteli.”

Ma l’attenzione di Break era rivolta ad altro. Si avvicinò al ragazzo, e quell’odore forte si intensificò. Tra le coperte smosse, l’albino intravide una bottiglia vuota simile a quella che Gilbert si stava di nuovo portando alla bocca, finendo anch’essa. La rigirò. Vodka.

“Dove hai preso questa roba, Gil?”

“Dal panettiere.”

“Cerca di fare poco lo spiritoso! Te ne sei bevute due, cosa pensavi di fare?”

“Oh, sta’ zitto...” Gilbert si alzò sulle ginocchia, prendendolo per i fianchi e avvicinandolo a sé. Prima che Break avesse anche il tempo di dire una sola parola, il ragazzo lo baciò. Il sapore acre dell’alcol gli invase la gola, ma lui a malapena se ne accorse. Non fu un bacio appassionato, né frettoloso o violento, ma di una dolcezza tale da sorprendere anche Break, che conosceva fin troppo bene i suoi baci assenti e fugaci. Si abbandonò al tocco di quelle labbra morbide e familiari, e quando la lingua del ragazzo dischiuse la sua bocca sentì il suo corpo avvampare. Gli era mancato terribilmente, e ora che lo aveva tutto per sé non poté far altro se non assecondare quello che sembrava un incredibile bisogno di affetto. Break gli mise una mano sulla guancia bollente, e sentì le sue mani insinuarsi sotto la maglietta e scorrere lungo la sua schiena. Gilbert gemette sommessamente, tirandolo su di sé e facendolo salire sul materasso cigolante.

“Sdraiati qui.” mormorò il ragazzo, alludendo al posto vuoto accanto a sé. Seppur con riluttanza, Break obbedì, e prima che la sua schiena si adagiasse sul materasso le braccia di Gilbert lo circondarono in un abbraccio stritolante, strappandogli un sorriso e portandolo a fare lo stesso. Il ragazzo affondò il viso sul suo petto e chiuse gli occhi, come se fosse intento ad ascoltare i battiti accelerati del suo cuore.

“Sono confuso, Break. Molto confuso.” disse Gilbert, annuendo da solo.

“Perché?”

“Perché tu mi piaci.” Break inspirò profondamente. Nemmeno quando erano stati insieme, Gilbert gli aveva mai detto una cosa del genere, perlomeno non così esplicitamente. Si costrinse a mantenere un’espressione neutrale anche se dentro di sé i suoi organi vitali erano in subbuglio “Solo che c’è un problema.”

“Del tipo?”

“Perché io amo Oz.” disse Gilbert, ridendo e tirando su la testa per guardarlo “Cosa devo fare?”

“Non dovresti chiederlo al diretto interessato.”

“Ma tu sei tutto ciò che ho in questo momento. Anche se non mi fido di te.” Break rise a quell’osservazione. Come poterlo biasimare: l’aveva usato per gran parte della sua esistenza, fin da quando era bambino, era logico che non avesse nemmeno un briciolo di fiducia.

“Penso che sia una cosa che solo tu puoi sapere. Devi sentirlo qui.” L’albino gli poggiò un mano sul petto, e Gilbert sussultò “Cavolo, mi sa tanto di commedia sentimentale. Puah!”

“Sì, pensavo la stessa cosa.” Gilbert gli si addossò ancora di più, mettendogli una gamba sopra la sua “Ho mal di testa.”

“Promettimi che non berrai più vodka in vita tua. Giuralo su...”

“Giuro su Oz che non berrò più alcol. Mi fa schifo, a dir la verità. Mi fa veramente schifo.”

Restarono così, abbracciati l’uno all’altro per quasi tutta la notte, a metà dormendo, a metà guardando il soffitto e biascicando parole senza il benché minimo senso.

“Posso baciarti un’altra volta?” chiese Gilbert all’improvviso, stringendo le labbra e guardandolo con i suoi occhi dorati.

“Ok.” Gilbert si sporse su di lui, esitando per un secondo per guardalo fisso nell’unico occhio rosso prima di posare le proprie labbra sulle sue. “Sai, Break, credo di aver preso la mia decisione...”

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Capitolo 18
*** I Need A Favour ***


Con uno sbuffo scocciato, Elliot si sporse dalla poltrona di soffice velluto verde bottiglia, prendendo dallo scaffale dell’immensa biblioteca dei Nightray uno degli innumerevoli volumi di Holy Knight, ricadendo con un tonfo sordo ed immergendosi nuovamente nella lettura. Aveva letto quei libri centinaia e centinaia di volte, ma non c’era nulla da fare, non riuscivano mai a stancarlo. Ogni volta coglieva una quantità di dettagli che non aveva mai notato prima e, anche se avrebbe potuto recitare le battute a memoria, era come se rileggesse ogni capitolo per la prima volta.

Era riuscito a far appassionare anche Leo, non che ci volesse molto, dato l’amore sconfinato del suo servitore per i libri e per il silenzio. Perfino ora stava seduto per terra, nella sua consueta posizione accartocciata, a leggere attraverso le lenti spesse il volume che Elliot preferiva in assoluto.

“L’hai letto il pezzo in cui...?”

“Non mi dire nulla, odio sapere gli avvenimenti in anticipo.”

“Oh, scusa, signor so-tutto-io, non le rivolgerò mai più la parola.”

La quiete della biblioteca fu turbata dal rumore cigolante della maniglia abbassata, facendo entrare un servitore dei Nightray vestito impeccabilmente di nero. “Il signorino Elliot ha ricevuto una visita, ed è pregato di recarsi nella sala del tè.”

Elliot lasciò cadere il libro sulle ginocchia, alzando gli occhi al cielo e guardando Leo con aria impaziente “Chi è che a quest’ora vuole vedermi? Ma io dico, uno non può stare in santa pace a leggere che subito viene interrotto da qualche seccatore.”

“Elliot, ricorda, sii cortese, ed evita di far notare il tuo disappunto.” disse Leo, chiudendo il libro e riponendolo nello scaffale.

“E il segno? Non lo metti? Come fai a ritrovare la pagina.”

“Me la ricorderò, fidati.”

I due si avviarono verso la sala del tè, e man mano che avanzavano sentivano il freddo farsi sempre più pungente. Era da poco passato il Natale, e tutto il calore della festività, tutte le candele e le torce erano pressoché scomparse, lasciando i lunghi corridoi in balìa del gelo.

Elliot aprì la porta con foga, desiderando di finire al più presto quell’incontro che gli aveva rovinato il pomeriggio. Ma non appena vide chi lo aspettava dall’altra parte, subito represse un’esclamazione di sorpresa.

Oz Vessalius sedeva su un divanetto basso, guardando fuori dalla finestra e ammirando i fiocchi di neve cadere nel giardino. Subito gli rivolse un sorriso a trentadue denti e gli andò incontro.

“Ciao!” gli disse, fermandosi davanti a lui ed esitando davanti alla faccia imbronciata del ragazzo.

“E tu che ci fai qui, scusa?”

“Elliot...” mormorò Leo in tono minatorio, sedendosi su una sedia e godendosi lo spettacolo.

“Non dovresti essere qui, invece.” rispose Elliot, ignorando l’ammonimento del suo servitore “Sai meglio di me che il rapporto tra le nostre famiglie non è dei migliori, e, anzi, ringrazia che ti hanno fatto entrare.”

“In effetti quando mi hanno visto mi hanno guardato un po’ storto...” disse Oz, passandosi una mano fra i capelli e annuendo fra sé e sé.

“Quanto puoi essere idiota, Oz Vessalius.” Elliot si accomodò su quella che aveva etichettato come la sua poltrona, invitando in qualche modo Oz a sedersi e a non restare lì imbambolato come un ebete “Allora, mi dici perché sei qui?”

“Wow, che accoglienza calorosa...” disse Oz, sorridendo “E comunque non c’è un motivo, avevo solo voglia di vedere l’unico amico che ho.”

Amico?” Elliot quasi gridò quella parola, prima di ricomporsi “Amico. Oz, ti avevo detto che avremmo provato a essere amici, non che lo saremmo stati così, di punto in bianco.”

“Io ti ho sempre considerato tale, perciò che male c’è?”

Elliot sbuffò di nuovo, guardandolo di sbieco: era inutile sostenere una conversazione di quel tipo con il moccioso, tanto alla fine avrebbe comunque vinto lui, che a parole era nettamente più bravo.

“E va bene. Ma ora non mi dire che verrai ogni pomeriggio per bere il tè e giocare a scacchi come le signore di mezz’età.”

“No, no!” rise Oz “Volevo solo vederti.”

“Ma non capisco perché. Non capisco perché io. Insomma, non dovresti essere a casa di Gilbert a... lasciamo perdere.” Elliot volse lo sguardo verso Oz, e ciò che vide lo colse alla sprovvista. Il ragazzo si era irrigidito visibilmente, abbassando lo sguardo sulle punte delle scarpe e stringendo le labbra tra i denti, il petto che si abbassava e si rialzava lentamente “Ehm, è... è successo qualcosa?”

Oz annuì, senza staccare gli occhi da terra. Elliot pensò a tutte le cose che avrebbe potuto dire, ma il fatto era che non aveva la più pallida idea di come consolare qualcuno. Non aveva mai dovuto tirare su di morale un amico quando non era aria, non aveva mai messo una mano sulla spalla per dire che andava tutto bene, non aveva mai abbracciato qualcuno rivolgendogli parole confortanti. Era totalmente in difficoltà, tanto che, dopo un po’ di minuti, riuscì a biascicare un patetico:”P-puoi parlarne, se vuoi.”

Anche se impercettibilmente, gli occhi di Oz si illuminarono “Diciamo che abbiamo preso una pausa.”

“E a te scoccia.” si intromise Leo, sorridendo benevolo.

“Sono stato io a chiederglielo, in realtà.”

“Ma ti scoccia uguale.” disse Elliot, sorprendendosi delle sue stesse parole.

“Sì, è così.” Oz scosse la testa, cercando di sembrare normale “Cavolo, non avrei mai pensato di parlare di Gilbert con voi due. Soprattutto con te.” disse, guardando Elliot e soffocando una risata.

“Nemmeno io.” ribatté il ragazzo, assumendo un’espressione indignata “Non di questioni riguardanti i ragazzi, perlomeno.”

Oz rise, e Elliot si sentì compiaciuto per aver alleggerito quell’atmosfera pesante che si era creata. La porta si aprì di nuovo, lasciando Elliot nuovamente basito: quel giorno stavano succedendo troppe cose inusuali.

Xerxes Break scivolò oltre la porta con un’entrata teatrale, fiondandosi sulla prima sedia a portata di mano e incrociando le gambe direttamente sul tavolo.

“Buonasera, gente! Sono venuto in perfetto orario per il tè delle cinque.” cantilenò l’albino, ma la sue espressione era stranamente tesa e seria.

“Grandioso! Mancano solo il Duca Barma e un paio di Baskerville e ci siamo tutti!” esclamò Elliot, cercando invano di mantenere la calma. Si girò verso Oz, chiedendosi del perché il ragazzo non avesse accolto il servitore Rainsworth come aveva fatto con lui e come faceva con tutti. Oz sorrideva ora al Cappellaio con una strana cortesia, non con quel fare caloroso che sempre gli era stato attribuito. A quella vista, Elliot pensò che si era decisamente perso qualcosa.

“Che ci fai qui, Break?” chiese Oz, cantilenando ed evitando il suo sguardo.

“Il realtà cercavo proprio te. Ero venuto alla villa dei Vessalius, ma tuo zio mi ha detto che ti avrei trovato qui, per un motivo che possibilmente vorrei non sapere...” disse Break, alludendo a Elliot con un’occhiata di sbieco.

“Ehi, vacci piano!” disse il ragazzo “Non farti strane idee, Oz è venuto qui perché... aveva voglia di vedermi, problemi?”

“No affatto.” disse Break, sfoderando quel sorrisetto inquietante che zittì Elliot all’istante “Portami una tazza di tè, dobbiamo parlare. Sempre che non dobbiamo andare fuori...”

“Loro possono ascoltare. Mi fido ciecamente di entrambi.” disse Oz, prendendo da un carrello portato da un servitore una tazza di tè fumante.

“Oz, Gilbert mi ha baciato.” Break pronunciò quelle parole alla velocità della luce, tutte d’un fiato, prima di fissare il suo unico occhio in un punto indefinito del tavolo. Elliot trattenne il respiro, e saltò dalla poltrona quando sentì la tazza di tè che Oz teneva in mano infrangersi sul pavimento di legno. Il ragazzo era immobile e guardava l’albino con occhi sbarrati e le labbra tremanti.

“Non è divertente...” disse Oz a Break, la voce leggermente tremante.

“Aveva bevuto, e anche parecchio, non era sé stesso. Io sono solo venuto a dirtelo, e...”

“Non ti credo, Break.” rispose il ragazzo “Non posso crederti. Gil...”

“Beh, sei libero di non credermi, perché io sto dicendo la verità.” Finalmente, Elliot vide lo sguardo di Break levarsi dal tavolo e affrontare Oz di petto “È vero, sono andato a casa sua, perché in realtà lui voleva farti un regalo, Oz, e aveva chiesto a me di dargli una mano, dato che lui non si sentiva in grado. Quando sono tornato nel suo appartamento, aveva bevuto due bottiglie intere di vodka, non era in sé. Oz, Gilbert non ricorda nulla di quel bacio. Ho provato a parlare con lui e a fare riferimenti a ciò che era accaduto, ma non ricorda assolutamente niente. Sai bene quanto me che Gilbert non regge l’alcol.”

“Posso dare conferma.” disse Elliot, annuendo “D’altronde sono suo fratello.”

“Cosa avresti voluto dirmi con questa storia, Break?” sbottò Oz.

“Che quando ha ricominciato ad avere una vaga idea di dove fosse e con chi fosse, Gilbert mi ha rivelato ciò che prova veramente.”

“Sentiamo, allora!” disse Oz, sedendosi dritto davanti all’albino e cacciando indietro le lacrime “Sentiamo come ti ha dichiarato il suo folle amore!”

“Gilbert ti ama, Oz, ti ama veramente...” mormorò Break, con uno sguardo stanco che Elliot non pensava gli avrebbe mai visto in faccia “Non ho mai visto nessuno amare così una persona. Mi ha raccontato tutto, e... Beh, sì, il tono in cui lo diceva, l’espressione del viso quando parlava di te, era come se avesse potuto raccontare di voi per tutta la vita senza mai stancarsi. È difficile ammetterlo, persino a me stesso, ma credimi, Gilbert ci tiene davvero tanto a te.”

Elliot spostò lo sguardo su Oz, rimasto attonito per quelle parole, l’ombra di un sorriso che gli attraversava il volto incredulo.

“Io credo che Break stia dicendo la verità...” annuì Elliot, rivolgendo forse il primo sguardo sincero della sua vita alla persona più idiota, più iperattiva, più irritante che conoscesse: Oz Vessalius “Gilbert è mio fratello, fa parte della mia famiglia, lo conosco abbastanza da dire che, se la storia del Cappellaio non è tutta una messa in scena, dopotutto quello che prova è vero.”

Oz respirò a fondo, passando in rassegna ogni persona presente in quella stanza.

“Oz Vessalius.” disse Break, ora sorridente così come tutti lo riconoscevano “Se vuoi un consiglio, non lasciarti sfuggire il tuo ragazzo. E te lo dice uno che, forse, ne è ancora innamorato...”

Elliot ebbe un tuffo al cuore a sentire quella notizia, e si chiese se non avesse dormito tutto il tempo prima di quel momento. Possibile che non avesse notato niente di niente? Era così inetto da lasciarsi sfuggire persino una cosa del genere?

“Oh, andiamo, sto scherzando!”  gli disse Break, vedendolo però con la coda dell’occhio rivolgere a Oz un occhiolino complice. Così come era comparso, Break aprì una finestra, lasciando che l’aria gelida entrasse nella sala con un turbinio, e si buttò giù a capofitto. Elliot fece per urlare, ma vide che nessuno ne era rimasto sorpreso: forse era uno dei tanti modi stravaganti del Cappellaio di uscire di scena. Vide Oz fiondarsi sulla porta prima di girarsi a guardare i due Nightray, entrambi con un’espressione basita dipinta sul volto.

“Dove vai ora?” gli chiese Elliot.

“Pensavo di aver disturbato!” sorrise Oz, agitando la mano “Torno a casa, mio zio mi starà aspettando per la cena. Ci si vede, Elliot, e... grazie.”

Anche se non sapeva esattamente per cosa Oz lo stesse ringraziando, Elliot gli rivolse un mezzo sorrisetto, il meglio che poteva fare per salutare un amico.

“Arrivederci, Leo!” salutò Oz, e scomparve dietro la porta.

“Wow, che situazione complicata, chi l’avrebbe mai detto.” disse Leo, una volta soli.

“Già. Sai una cosa? Stavo cominciando ad appassionarmi a tutti quegli impicci. Quasi meglio di Holy Knight!” rispose Elliot, scuotendo la testa “A proposito, andiamo in biblioteca? Ero rimasto al pezzo in cui...”

“Ehi, ehi, calma! Non dire una parola di più!” esclamò Leo, puntandogli un dito contro e seguendolo per il corridoio. Era bello tornare alla normalità, pensò il ragazzo, perché quella era stata davvero una giornata strana.

                                                                                                 -

Elliot entrò in camera sua. Aveva un leggero mal di testa e non voleva ammetterlo, ma stava ancora ripensando all’ambiguo incontro di quel pomeriggio. Fece per togliersi la giacca, quando un rumore alla porta lo costrinse a coprirsi di nuovo.

“Chi è?” chiese, andando ad aprire e stando all’erta, anche se sapeva di trovarsi nel luogo più sicuro che conoscesse: casa sua. Aprì la porta, ma prima che potesse dire una sola sillaba una mano gli tappò la bocca e lo spinse dentro.

Gilbert si incollò un dito sulle labbra, guardandolo per un breve istante prima di lasciarlo andare.

“Pensavo ci fossero le guardie!” sussurrò Elliot scuotendo la testa.

“Credi che passare gran parte della vita in questa villa non sia servito a nulla?” chiese Gilbert, accennando un sorriso. D’impulso, Elliot lo abbracciò, facendo rimanere il fratello di sasso.

“So che sembra improbabile, ma mi sei mancato, Gilbert...” Il ragazzo sentì una mano toccargli generosamente il braccio e stringerlo.

“Ehi, non ti facevo così emotivo!”

“Infatti non lo sono.” Elliot si staccò all’istante dal fratellastro, sforzandosi di rimanere serio e di conservare un briciolo di dignità.

“Elliot.” annunciò Gilbert, poggiandogli entrambe le mani sulle spalle e fissandolo con quei suoi occhi dorati “Ho bisogno di un favore...”

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Capitolo 19
*** Request ***


Oz se ne stava pacificamente seduto, fissando un punto del pavimento con un’espressione vuota e ciondolando le gambe da quella sedia eccessivamente alta. Aveva sempre amato le feste, per la musica, per gli invitati, per le danze e le risate, eppure quella a cui stava partecipando ora si stava rivelando un vero e proprio trauma.

La sala era decorata a regola d’arte, il lusso regnava in ogni singolo angolo, su un tavolo lungo quanto una parete erano esposti i cibi più prelibati, e la musica era un tripudio di violini che suonavano le più grandi opere liriche. Insomma, sarebbe stata la festa perfetta, se non fosse stato per gli invitati: la famiglia Rainsworth, mediatrice ormai riconosciuta, aveva organizzato quell’ambiguo evento convocando ogni membro delle quattro Casate Ducali. Il tutto sarebbe dovuto servire, secondo loro, a migliorare i rapporti tra le famiglie, soprattutto tra i Vessalius e i Nightray, che in quell’ultimo periodo si erano dimostrate ostili più che mai.

Oz non si era mai sentito così fuori luogo, anche perché era consapevole di essere la causa principale dei cattivi rapporti con i Nightray. Davanti a tutta quella falsa cortesia e quei sorrisi strappati a forza, Oz percepiva nell’aria una tensione tale da farlo stare rigido e all’erta anche se sapeva che non avrebbe dovuto temere nulla. D’altronde, la villa dei Rainsworth era sempre stato un luogo pacifico e di riconciliazione, oltre ad essere diventata ormai la sua seconda casa.

“Oz caro!” la voce squillante di Break lo risvegliò dai suoi studi sul pavimento “Perché te ne stai qui come un asociale?”

“Break, ti prego...” Oz alzò lo sguardo, e non si sorprese davanti al sorrisetto inquietante dell’albino che gli stava a pochi centimetri dalla faccia.

“Ehi.” gli disse “Cerca di divertirti, ok? La tua posizione già non è favorevole, quindi fingi anche solo di apprezzare e ricorda che qui dentro gli unici amici che hai sono tuo zio, Alice e me.”

“E Elliot.” disse Oz, volgendo lo sguardo verso il ragazzo in piedi dall’altro lato della sala che chiacchierava con alcuni familiari “Elliot è mio amico.”

“Ah, al diavolo queste smancerie! Ora ti alzi e combini qualcosa, su su!” Oz venne tirato per la manica della giacca e per poco non cadde. Break era già sparito in mezzo alla folla, così il ragazzo si ritrovò di nuovo solo.

Tra tutta quella gente che, seppur fingendo, ballava e rideva, il suo pensiero andò a Gilbert. Lui avrebbe saputo farlo divertire anche in quel genere di situazioni, lo avrebbe tirato su di morale con un abbraccio, lo avrebbe trascinato in un’altra stanza per baciarlo senza essere visti, avrebbero riso prendendo in giro gli ospiti per le loro stravaganze. Nel petto, sempre più opprimente, sentì un grande senso di colpa per averlo abbandonato, perché solamente ora si rendeva conto di quanto ne avesse bisogno.

 “Ciao!” Oz si girò, e in piedi alle sue spalle c’era Alice. Non l’aveva più vista da quando erano arrivati, e ora notava per la prima volta quanto fosse bella, con quel vestito rosso che le aggraziava le curve e la faceva sembrare più grande, quasi una donna.

“Sei molto bella stasera, Alice.” le disse, accennando un sorriso e passandosi una mano fra i capelli. A quelle parole, la ragazza di illuminò.

“Senti, so che sei triste.” gli disse Alice, alzando lo sguardo e incontrando i suoi occhi “Lo sento anche io, quando qualcosa non va. Volevo dirti solo che se hai voglia di parlare, io ci sono.”

“Grazie, davvero, Alice.” disse Oz, sorridendo sinceramente alla Chain.

D’un tratto, tutto il brusìo delle persone, perfino la musica, sfociò in un silenzio spaventosamente opprimente. Alice si separò da lui, allontanandosi per cercare di capire cosa stesse accadendo, mentre tutti si voltarono nella medesima direzione. Oz si girò a sua volta, scorgendo Elliot chiudere il portone principale con un rombo e farsi da parte.

E poi lo vide.

Gilbert si ergeva in tutta la sua altezza davanti all’entrata, i capelli lucenti e corvini legati con un nastro, la lunga giacca nera e costosa portata con grande eleganza e una rosa rossa nella mano destra.

Quando Oz incontrò il suo sguardo, gli occhi dorati del ragazzo si accesero, facendolo sorridere e rendendolo ancora più bello. Gilbert accennò un passo, apparentemente non percependo il peso di almeno duecento sguardi totalmente spiazzati. La folla si era fatta lentamente da parte, lasciando Oz da solo al centro della sala, ma lui a malapena se ne accorse, perché i suoi occhi erano solo per lui.

Gilbert continuava a camminare, facendosi sempre più vicino, e Oz avrebbe voluto fare lo stesso se non fosse che si sentiva i piedi incollati al pavimento, incapaci anche solo di muoversi. Non appena il ragazzo lo ebbe raggiunto, le loro mani si incontrarono, intrecciando le dita. Oz strinse il gambo della rosa, e sentì le sue guance avvampare quando il sorriso di Gilbert si allargò.

“Il tuo regalo di Natale è arrivato un po’ in ritardo...” sussurrò Gilbert, alludendo al fiore.

“È bellissima.”

“Mai quanto te.” Oz rise istericamente, buttandoglisi addosso senza troppe premure e stringendolo tra le sue braccia. Sentiva di nuovo il suo profumo, il suo cuore battente, il suo calore, il suo corpo forte e rassicurante contro il proprio mentre una mano gli accarezzava dolcemente i capelli. La musica tornò a suonare, e, seppur con riluttanza, numerose coppie li circondarono, mettendosi nuovamente a ballare e cercando di non fissarli troppo.

“Vuoi ballare?” gli chiese Gilbert, guardandolo rapito e mettendosi in posizione.

“Certo.” rispose Oz, annullando le distanze fra loro e poggiando la testa sulla sua spalla. Gilbert cominciò a muoversi, guidandolo con i suoi passi e mettendogli una mano sulla schiena, stringendolo a sé. “Scusami, Gil. Scusami tanto...”

“Ehi.” disse Gilbert calmo “Gurdami.” Oz posò il suo sguardo sul viso pallido e angelico del ragazzo “Dimentica tutto, ok? Tutto. Ora ci siamo solo noi, nessun altro, capito?”

“Ok.” I loro nasi si sfioravano, e Oz poteva sentire il suo respiro “Ti amo.”

“Ti amo.” disse Gilbert, spostandogli una ciocca di capelli biondi dal viso. Oz gli si avvicinò ancora, ma prima distolse lo sguardo, posandolo automaticamente su Vincent, che se ne stava da un lato e li guardava con occhi magnetici. Questi ricambiò il suo sguardo e, per la prima volta, gli sorrise e annuì impercettibilmente. Quando i suoi occhi tornarono su Gilbert, non esitò nemmeno un istante: gli posò una mano sulla guancia e lo baciò lentamente, con dolcezza, chiudendo gli occhi e abbandonandosi a lui.

Stavano ancora ballando, e sentì diverse persone trattenere il respiro, ma non gli importava nulla. Gli carezzò i capelli, sciogliendone qualche ciocca dal nastro, e appena le loro labbra si separarono entrambi sorrisero per l’assurdità di quella situazione.

Oz avrebbe potuto rimanere così, tra le sue braccia, per l’eternità, se non fosse stato che la musica cessò, e un’atmosfera imbarazzata cominciò a farsi largo tra le persone.

“Gilbert, tu...” il ragazzo si girò, e Oz vide suo zio farsi largo tra la folla con espressione sbigottita. Oscar Vessalius si fermò dinanzi a loro, incerto sul da farsi, spostando lo sguardo ora sull’uno ora sull’altro.

“Oscar, io volevo parlarti.” disse Gilbert, e la sua schiena si irrigidì sotto la mano di Oz.

L’uomo lo guardò con fare interrogativo, ma poco dopo si ricompose, assumendo la sua aria benevola di sempre e annuendo.

“Sono venuto qua nonostante la mia condanna all’esilio, e so che questo gesto può sembrare folle, ma in realtà io sono arrivato fin quaggiù per una cosa in particolare.”

Oz sentì il battito del suo cuore accelerare ulteriormente. Strinse il gambo della rosa che teneva in mano con forza, tanto che temette l’avrebbe spezzata, ma la tensione sembrò solo aumentare.

“Oz ormai è maggiorenne e, a meno che lui non sia contrario, Oscar, io volevo chiederti...” Gilbert inspirò a fondo, chiudendo gli occhi per aprirli un secondo dopo “... di approvare il nostro fidanzamento. Ufficialmente.”

La voce del ragazzo si spezzò, e la sala cadde nel silenzio più assoluto. A Oz si bloccò il respiro, ma nonostante ciò la sua bocca si allargò in un sorriso raggiante quasi contro la sua volontà. Lesse il panico negli occhi di Gilbert quando si posarono sui suoi, e, all’improvviso, l’orologio risuonò la mezzanotte. Tutti alzarono lo sguardo, e Oz ne approfittò per avvicinarsi al suo ragazzo, stringendogli la mano e intrecciandovi le dita. Quando l’ultimo rintocco finì, Oz fu scosso da un brivido.

“Beh...” disse Oscar, raddrizzandosi e lisciandosi i vestiti. Per un brevissimo, terribile istante, il ragazzo pensò al peggio, ma inaspettatamente lo zio chinò la testa e sorrise “Credo che l’orologio abbia approvato al posto mio.”

Una risata nervosa uscì dalla bocca di Oz prima che Oscar potesse anche solo finire la frase. Subito la sua attenzione fu rivolta a Gilbert, l’espressione ancora sconvolta per aver pronunciato le parole che mai si sarebbe sognato di rivolgere in pubblico.

 I due ragazzi si guardarono intorno, aspettandosi di ritrovarsi sommersi di insulti di ogni tipo, ma quello che trovarono fu totalmente differente: la gente sorrideva, alcuni erano ancora scossi, altri scuotevano la testa, altri ancora annuivano. E Oz fu sorpreso nel sentire un dapprima incerto, ma poi sempre più deciso battere di mani espandersi per tutta la sala. Break li guardava attraverso la sua ciocca bianca, sorridendo e guardando Gilbert con rammarico. Alice era troppo intenta a sostenere una Sharon zuppa di lacrime di gioia per poter prestare loro la dovuta attenzione. Elliot e Leo si scambiarono sguardi di approvazione prima di guardarli e degnarsi di sorridere anche loro.

Oz prese il volto di un Gilbert ancora allibito tra le mani e lo baciò di nuovo, stavolta con più vigore. Il cuore gli stava esplodendo in petto, e le gambe stavano per cedere, ma i battiti del proprio cuore contro quello del ragazzo gli infusero sicurezza. Le loro labbra di separarono, ma i loro visi rimasero comunque vicini.

“Questo è il giorno più bello della mia vita.” gli sussurrò Gilbert all’orecchio, posandogli un piccolo bacio sulla guancia e circondandolo con le sue braccia.

Attorno a loro, le persone cominciavano ad uscire, ringraziando i Rainsworth per l’accoglienza e rivolgendo ai due degli sguardi incoraggianti e sorrisi incerti, ma sinceri.

Elliot fece la sua comparsa, seguito da un Leo stranamente pimpante.

“Elliot, grazie, grazie davvero.” gli disse Gilbert, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Grazie per cosa?” chiese Oz.

“Non l’avevi capito?” disse Elliot con la sua solita espressione seria “Ho aperto io le porte per far entrare Gilbert. E, per la cronaca, dovrebbero darmi un premio solo per aver ingannato le guardie. Ho rischiato la vita, e ormai la mia dignità è andata in fumo per aver collaborato con un esiliato!”

“Elliot...” disse Leo, passandosi una mano sulla fronte e sospirato “Sei senza speranze.”

“Ragazzi, congratulazioni!” una voce familiare provenne dalle loro spalle. Break arrivò tutto impettito dietro di loro, il braccio sotto quello di Sharon che ancora si stava asciugando dalle lacrime.

“Stupido corvo, mi hai fatto prendere un infarto!” disse Alice, rabbiosa “Sembrava dovessi confessare un omicidio!”

La stanza si era ormai svuotata, e quando anche Elliot e Leo se ne furono andati, Break si avvicinò a Gilbert e gli sussurrò all’orecchio un:”Se volete, vi ho fatto preparare una camera. Vedete quello che potete fare.”

“Break!” disse Gilbert indignato, fulminandolo all’istante “Cosa...?”

L’albino gli fece l’occhiolino, guardò Oz con un sorriso e si avviò fuori dalla stanza, seguito da Sharon che continuava a dare la buonanotte anche ai muri e da Alice che teneva le sue scarpe in mano e continuava a piroettare sul parquet lucido scivoloso.

“Vieni.” disse Gilbert, prendendo Oz per mano e trascinandolo dalla parte opposta. Un servitore gli indicò quale fosse la famigerata stanza, e Gilbert lo trascinò tra i lunghissimi corridoi quasi correndo. Quando il ragazzo gli aprì la porta e si mise da parte per farlo entrare, Oz vide che un grande letto a baldacchino dominava la scena con i suoi colori pastello e i suoi tendaggi pregiati che scendevano con stile e rendevano più intimo. Gilbert si chiuse la porta alle spalle, e lui si girò a guardarlo, portandosi la rosa davanti al naso e sentendo il profumo intenso invadergli il viso.

Oz sentì una mano poggiarsi dietro la schiena, e quando finalmente lasciò cadere il fiore sul materasso, le labbra di Gilbert si poggiarono delicatamente sulle sue, dischiudendole e lasciando che il loro calore le avvolgessero. Oz gli scoccò un ultimo bacio sul naso prima di andarsi a sedere in mezzo ai cuscini, raggiunto subito dopo dal suo ragazzo.

“Sei stanco?” gli chiese Gilbert.

“Sì, ma non ho voglia di dormire. Ho voglia di stare con te.” disse Oz, poggiandogli la testa sulla spalla. Dopo tanto tempo, il ragazzo si sentì per la prima volta felice, felice davvero. Ora tutto ciò di cui aveva bisogno era al suo fianco, e, pensò Oz con un tuffo al cuore, lo sarebbe stato per sempre. In fondo al cuore, mentre prendeva la mano di Gilbert e vi intrecciava le dita, sentì la consapevolezza che, d’ora in avanti, le cose sarebbero andate molto meglio.

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Capitolo 20
*** Are you happy? ***


“Secondo me abbiamo esagerato un po’ con lo zucchero.” disse Gilbert, guardando perplesso all’interno del recipiente che aveva davanti e aspettando che Oz dicesse qualcosa. I due ragazzi, quella mattina, per cercare un po’ di tranquillità, avevano praticamente sfrattato i cuochi Rainsworth dalla loro amata cucina, scatenando una sorta di guerra civile tra servitori. Alla fine, trionfanti, avevano deciso di mettere alla prova le loro capacità culinarie pressoché nulle cimentandosi nella preparazione di biscotti, cosa che si stava rivelando molto divertente, dato il casino che avevano lasciato su tutti i tavoli a disposizione.

“No, secondo me è perfetto.” disse Oz annuendo.

“Ora lo assaggio.” Gilbert prese una punta di impasto con un dito e se lo mise in bocca.

“Ehi, anche io voglio assaggiare!” protestò Oz, facendo per prenderne un po’ anche lui.

“Aspetta.” disse Gilbert, affondando di nuovo il dito in quella sostanza dal colore indefinito e porgendoglielo al suo ragazzo. Non appena Oz aprì la bocca, però, con un gesto repentino Gilbert gli imbrattò gran parte del naso, facendolo trasalire.

“Tu...” mormorò il ragazzo, prendendo a sua volta una manciata di impasto e spalmandolo direttamente sulla faccia di Gilbert. Oz non fece in tempo nemmeno a ridere che, subito dopo, il suo ragazzo era tornato all’attacco, sferrandogli un pugno di farina addosso e portando il biondo a fare lo stesso, imbiancando quello che, fino a poco prima, era il solito completo nero di Gilbert.

“La mia giacca!” disse Gilbert indignato, ridendo e allargando le braccia per esaminare il danno “Era la mia preferita!”

“Ops!” disse Oz, saltandogli addosso da dietro le spalle per imbrattarlo ancora di più. Gilbert cercò di dimenarsi e di ripararsi dai continui attacchi del suo ragazzo, ma fu costretto a fermarsi quando sentì le labbra di Oz affondargli sul collo e riempirlo di piccoli e repentini baci. Le braccia del ragazzo gli cingevano le spalle, e Gilbert non esitò un istante: si girò e gli rubò un fugace bacio sulla bocca, che ben presto si trasformò in qualcosa di molto più lungo. Oz posò le sue mani poco sotto la sua schiena, attirandolo a sé e dischiudendo le sue labbra mentre le dita di Gilbert si andavano ad intrecciare tra i suoi capelli biondi ed estremamente morbidi.

“Direi che con lo zucchero ci abbiamo azzeccato.” gli sussurrò Gilbert all’orecchio, stampandogli un ultimo bacio sulla guancia e girandosi per proseguire con la preparazione. Entrambi si ricomposero e passarono a dare una forma ai loro biscotti, terminando nel giro di alcuni minuti e ammirando il loro lavoro con approvazione.

“Aspetta, ti do una mano.” disse Oz, aiutando il ragazzo ad infornare. Quando ebbero concluso, Gilbert si sedette sulla panca di legno vicina, lasciando che Oz si sdraiasse al suo fianco con la testa sulle sue gambe e giocherellando distrattamente con i suoi capelli.

“Sai, credo ancora di non piacere a tuo fratello.”

“Chi? Vincent?”

“Sì. Ogni volta che lo incontro, sembra che voglia uccidermi. E poi mi ha guardato in modo strano, la sera in cui sei tornato. Mi mette ansia.”

“Scherzi? Anche se non esterna molto i suoi sentimenti, so per certo che Vince non vuole assolutamente ucciderti. E poi, se suo fratello è felice, è felice anche lui.”

“Ah già, dimenticavo che ti venera come un dio.”

“Molto divertente.” disse Gilbert, scuotendo la testa e sorridendo “Non ti creare questi problemi, però, ok? E poi basta che piaci a me.”

Oz sorrise e lo guardò, fissandosi sui suoi occhi dorati per un tempo che gli sembrò infinito.

“Non puoi capire cosa dice. La gente, intendo.”

“Cioè?” fece Gilbert con aria preoccupata.

“Sono piccole cose, ma fanno male lo stesso.” mormorò Oz “Mia zia è venuta dicendo che secondo lei Sharon sarebbe stata perfetta per me, ma che purtroppo me l’ero lasciata sfuggire. Dicono che avrei potuto scegliere tra centinaia di altri ragazzi, ma che tra tutti ho preferito proprio un maledettissimo Nightray. Mi hanno perfino detto che è un peccato che nessuno erediterà mai i miei occhi verdi.”

“Oz...”

“Non abbiamo vinto noi, Gil... Hanno vinto loro. Abbiamo solo trovato un compromesso, ma non saremo mai del tutto accettati. Non dalla maggior parte, almeno. Siamo solamente un altro schifoso argomento di chiacchiere e pettegolezzi, ecco cosa siamo.”

“Non è vero.” disse Gilbert, carezzandogli la guancia “Ok, lo ammetto, a qualcuno non andiamo a genio, ma a noi che importa? Non lasciarti schiacciare da queste cose, Oz. Mai.”

Il ragazzo annuì, asciugandosi una lacrima che minacciava di uscire.

“Vieni qui.” gli disse Gilbert, facendolo alzare e avvicinandolo a sé con un braccio dietro le spalle “Voglio fare una scommessa.”

“... Mi devo preoccupare, Gil?”

“No, anzi. Facciamo così: se i biscotti vengono bene, tu accetti di uscire a cena con me, stasera.”

“È un... appuntamento?”

“Beh, non abbiamo mai avuto un vero e proprio appuntamento, no?”

“Ci sto.” disse Oz, sorridendo a mo’ di sfida “Ehm, Gil, non vorrei allarmarti, ma sento odore di bruciato.”

Oz per poco non cadde quando Gilbert si fiondò letteralmente sul forno.

“No, no, no!” gridò il ragazzo, tirando fuori con uno scatto il frutto di tanti sforzi “Voglio andare a cena con il mio fidanzato stasera!”

Oz rise mentre vedeva Gilbert armeggiare per sistemare i biscotti in modo decente su un piatto. Alla fine il ragazzo ne uscì vincitore, posando il piatto davanti a lui e respirando a fondo.

“A te l’onore.” gli disse, sedendosi a sua volta e guardandolo fisso. Oz prese un biscotto, ci soffiò sopra e ne prese un morso, restando con un’espressione impassibile dipinta sul volto “Allora?”

“Uhm...” mormorò Oz “Sai che c’è?”

“Cosa?”

“Accetto l’appuntamento e vengo a cena con te. Da soli.” il ragazzo sfoderò il suo tipico sorriso “Sono deliziosi, complimenti.”

Gilbert chiuse gli occhi e tirò un sospiro di sollievo prima di prendere a sua volta un biscotto e addentarlo soddisfatto.

                                                                                                  -

“Allora, sei pronto?” gridò Gilbert attraverso la porta della camera di Oz. Si era preparato circa due ore prima di partire, nella paura che avrebbe fatto tardi, ma alla fine era toccato a lui aspettare il suo ragazzo.

“Gil, hai sempre fretta! Aspetta tre secondi!”

Tre secondi sono diventati mezz’ora!” Gilbert sentì Oz sbuffare dall’altra parte, e non poté fare a meno di soffocare una risata. Quando finalmente la porta si aprì, Gilbert restò senza parole: Oz indossava forse il suo completo più sfavillante, verde come i suoi occhi, che lo rendeva bello come non mai.

“Wow.” riuscì a dire Gilbert dopo pochi secondi.

“Ehi, ricorda che siamo in ritardo. Per colpa mia, certo, ma siamo in ritardo.” disse Oz, prendendolo per la manica e conducendolo fuori dalla villa, direttamente dentro una delle carrozze messe a disposizione.

“È strano come primo appuntamento.” fece Oz dopo un po’, guardando il paesaggio notturno della città attraverso la tendina “Di solito si esce insieme la prima volta per conoscersi.”

“Quindi dici che tutto questo sia inutile?”

“No.” disse Oz, sorridendo allegro “Mi piace da impazzire.”

Quando scesero, Gilbert precedette Oz, facendolo scendere e girare dall’altra parte “Ok, chiudi gli occhi.”

“Cosa?!”

“Fai quello che ti dico.”

“Ok.” Oz abbassò le palpebre, lasciandosi guidare attraverso la strada. All’improvviso, sentì un leggero vociare, e il suo corpo fu invaso da un calore intenso tipico degli spazi chiusi ed accoglienti.

“Dove mi porti?”

“Sssh.” Dopo aver svoltato quelli che a Oz sembrarono un paio di angoli, le voci cominciarono ad affievolirsi fino a scomparire quasi del tutto. “Ecco, ora puoi aprire.”

Nel momento stesso in cui Oz aprì gli occhi, il respiro gli si mozzò in gola. La stanza era piccola ed intima, con un tavolo nel mezzo decorato con motivi semplici e con una candela rosso scarlatto che ne illuminava la tovaglia rigorosamente bianca e immacolata. Ma ciò che sconvolse di più Oz fu che le pareti erano scomparse, sostituite da ampie vetrate che lasciavano ammirare una vista meravigliosa della città di notte, sormontata da una splendida luna piena che illuminava il cielo scuro. I giochi di luce proveniente dalle finestre, dalle strade ancora pullulanti di gente, la vitalità notturna di Reveille, le miriadi di carrozze che svoltavano gli angoli, la familiarità delle piccole case del centro erano uno spettacolo che difficilmente Oz avrebbe rivisto.

“Allora, che te ne pare?” chiese Gilbert, e si ritenne soddisfatto quando Oz si girò verso di lui e lo baciò.

“Grazie.” sussurrò Oz, sorridendogli. I due ragazzi presero così posto, ordinando ciò che volevano e levandosi lo sfizio di prendere anche una bottiglia di champagne alla fine.
“Vacci piano tu.” disse Oz, versandone una quantità minima nel bicchiere di Gilbert “Non voglio rincorrerti per la città mentre te ne vai in giro dicendo cose senza senso” E a baciare gente a buffo avrebbe voluto dire Oz, ma si trattenne quando vide il suo ragazzo arrossire visibilmente e abbassare lo sguardo.

“A noi due, allora.” disse Gilbert, alzando il bicchiere.

“A noi due.”

Quando ebbero finito, entrambi si alzarono e Oz si piantò ancora una volta davanti alla vetrata, percependo una leggera brezza fredda e godendosi la città ormai rimasta vuota e illuminata soltanto dalla bianca luce della luna. Gilbert lo abbracciò da dietro, ponendogli le mani sul petto e poggiando una guancia contro la sua.

“Il Sigillo?”

“Si è mosso, Gil...” Oz si girò lentamente verso di lui, ma il suo sguardo era tutt’altro che triste mentre la sua bocca si piegava in un sorriso. Gilbert lo guardò fisso negli occhi, dopodiché posò le sue labbra su quelle del suo ragazzo, baciandolo dolcemente. Restarono abbracciati, il petto di Gilbert  che si alzava e si riabbassava contro quello di Oz percependone il calore, il suo respiro contro il suo orecchio, gli occhi chiusi come per fasi cullare da quel momento.

“Ti amo tanto, Gil.” disse Oz con voce rotta.

“Sei felice?”

“Sono felice.” Oz annuì e, alzando la testa, prese il volto di Gilbert tra le sue mani e lo baciò ancora.

Gli aveva chiesto tante volte se era felice, e lui aveva sempre risposto di sì anche se non era del tutto vero. Ma quella sera, in quel preciso istante, Oz seppe di essere felice, felice davvero.



- Angolo autrice -

Ok, è finita. Ancora non ci credo, ma è finita.

Dico solo che è stato divertentissimo scrivere una fan fiction così lunga, sinceramente non credevo che ne sarei stata capace. Ci sono state delle parti in cui non mi ritengo del tutto soddisfatta ma, diamine, è stato stupendo scrivere sulla mia OTP per eccellenza *-*

Sembra il discorso di un attore che ha appena vinto un Oscar, ma vabbé...

Anyway, grazie per aver letto quest’aborto questa fan fic! Spero di non avervi annoiato :3

Tanto love

L

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