Perhaps, one day.

di ELLEcrz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1-Thank you. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2-Damn you. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3-I'm afraid. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4-He's a weakness. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5-Graduation -part 1- ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6-Graduation -part 2- ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7-I dare you. ***
Capitolo 8: *** Capitilo 8-Prisons ***
Capitolo 9: *** Capitilo 9-Us ***
Capitolo 10: *** Capitilo 10-New Orleans. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1-Thank you. ***


Canzone consigliata per la lettura: http://www.youtube.com/watch?v=xq2LEmrl5GA

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CAROLINE


Conoscevo ormai fin troppo bene la strada per raggiungere quell'enorme villa bianca, non mi ci volle perciò molto per arrivarci.
Come avevo fatto solo poche ore prima entrai senza bussare né annunciarmi, sapevo dove trovarlo. Attraversai l'atrio e percorsi il corridoio ma la sicurezza che avevo dimostrato nel tardo pomeriggio ora mi aveva abbandonato.
Ero nervosa, sempre di più, ogni passo che mi avvicinava a lui. Ero sempre nervosa quando si trattava di Klaus, questa volta però era un nervosismo differente, non rabbioso o infastidito, ma quasi imbarazzato.
Non c'era un vera ragione per cui mi trovassi lì, non era stato lui a chiamarmi, non avevo bisogno di lui, mi sembrava giusto esserci e basta.Volevo esserci e basta.
Più il nervosismo saliva più iniziavo a pentirmi di non averci riflettuto abbastanza e trovarmi lì ora.
Arrestai il passo quando ormai ne mancavano una manciata per raggiungere il salone. Sentivo lo scoppiettare delle fiamme del caminetto, i suoi passi sul parquet.
Non ero una codarda, non lo ero mai stata.
Feci un lungo respiro e percorsi quegli ultimi passi senza pensarci ulteriormente.
«Quindi, come sto?» domandai tutto d'un fiato fermandomi sistemando il vestito ed alzando lo sguardo su di lui. Per l'agitazione sembrò più uno squittio, acuto e breve. Sentivo già l'imbarazzo prendere forma ed arrossarmi il viso.
Era di spalle e stringeva tra le mani una lettera, sussultò alle mie parole, sorpreso di non essere solo. Si voltò in mia direzione richiudendo la lettera ed alzando lo sguardo sino ad incontrare il mio.
«Caroline» La sua espressione confusa e concentrata, su chissà quali notizie quella lettera gli avesse portato, lasciò il posto al suo solito sorriso che gli illuminava il viso.
Mi studiò da capo a piedi a bocca socchiusa per quelli che sembrarono interminabili secondi. Il suo sguardo su di me mi innervosiva.
Seccata ed imbarazzata spezzai il silenzio, insistente «Allora?» misi le mani ai fianchi.
«Perfetta» riportò il suo sguardo ad incrociare il mio. «Come sempre» aggiunse sorridendo ancora.
«Grazie» commentai compiaciuta.
Continuammo a guardarci per diversi secondi. Non sapevo che dire e lui gioiva per questo mio disagio, sorridendo divertito. Stavo cercando in ogni angolo della mia mente qualcosa da dire, qualsiasi cosa, anche sciocca e senza senso, ma nulla. Quando ero con lui le parole venivano da sole, spontanee, non dovevo pesarle o ponderarle, ero sicura di me, ora invece non lo ero affatto.
Finalmente smise di bearsi del mio imbarazzo e parlò.
«Quindi com'è stato il ballo? Da sogno come volevi che fosse?» portò le mani dietro la schiena e mosse qualche passo in mia direzione. Solo allora mi resi conto che ero rimasta ai margini della stanza.
«Si» commentai confusa così come doveva apparire il mio sguardo. Feci una piccola pausa «grazie a te» realizzai.
Pure lui rimase sorpreso, quanto me, delle mie parole. Per quanto fosse presuntuoso ed amasse avere il controllo su tutto, non si prese il merito di nulla.
«Ho solo curato un dettaglio, Caroline.» la sua voce era calda e sincera.
Non potevo reggere il suo sguardo «Già» sussurrai sorridendo non sapendo come altro rispondere. Non potevo continuare a mostrarmi così impacciata, non in sua presenza. Dovevo riprendere il controllo.
«Se è stato così perfetto, come mai ti trovi qui ora?» era davvero sorpreso lo avessi raggiunto. Bella domanda Klaus. Strinsi i pugni per una frazione di secondo e poi li rilassai. Scesi i due scalini lentamente avvicinandomi a lui.
«Sai, amicizia. Fase due: mostra riconoscimento.» sorrisi al ricordo di quella folle giornata.
L'avevo ormai raggiunto, a dividerci c'erano solo pochi centimetri. Finalmente avevo riacquistato la mia sicurezza.
«Perciò grazie» sorrisi in modo dolce guardandolo negli occhi. 'Grazie' ripetei nella mia mente. Stavo ringraziando Klaus. Non potevo crederci. Il mostro, l'assassino, colui che avevo portato dolore nelle nostre vite. Mi dimenticavo in momenti come questo di tutto il male che aveva commesso, non era più mostro di quanto non lo fossimo stati anche noi.
«Amicizia» ripeté sorridendo compiaciuto.
«Allora, in segno di riconoscimento, concedimi un ballo» tornò serio. Chinai leggermente di lato la testa guardandolo non del tutto convinta della sua serietà ma il modo in cui mi guardò mi fece capire quanto quella richiesta fosse seria ed il suo sguardo, quasi malinconico, sperava non declinassi l'invito.
Allungò una mano in mia direzione. La seguii con lo sguardo e mentre la mia mente cercava di formulare una risposta razionale la mia mano si allungò sino a raggiungere la sua.
Il suo viso tornò ad illuminarsi, mi strinse la mano tirandomi a se. Trattenni il respiro quando la sua mano cince il mio fianco, lo ammonì con lo sguardo ma lui non se ne curò.
Quando gli poggiai una mano sulla spalla mi accorsi quanto pericolosamente vicini fossero i nostri visi. Per una manciata di secondi lo fissai negli occhi e lui fece altrettanto.
Ero consapevole di aver perso nuovamente la mia sicurezza.
Non per la sua mano sul mio fianco, non per la vicinanza del suo viso, non perchè eravamo così vicini, da soli, nella sua enorme casa, non per i suoi occhi su di me, non perchè solo un'ora prima ero stretta tra le braccia del ragazzo che amavo e che l'uomo che ora mi stringeva l'aveva cacciato minacciandolo di morte, non perché ero a conoscenza dei sentimenti che lui provava per me, ma bensì perchè tutto questo non mi infastidiva. Non mi infastidiva la sua mano, il suo viso, i suoi occhi, la sua stretta, i suoi sentimenti per me. Il mio cuore batteva a ritmo irregolare.
«Fase uno.» sussurrò imitando la mia voce, mi fu impossibile non fissargli le labbra «dimostrami che posso fidarmi di te»continuò prima che entrambi scoppiassimo a ridere.
Allontanò leggermente il viso dal mio ed iniziammo a ballare.
Avevamo già ballato altre volte, la prima volta in quella stessa casa, la seconda al ballo a tema a scuola, ma quello, quello era tutt'altro tipo di ballo. C'era intimità mentre volteggiavamo, mentre i nostri piedi si muovevano in sincrono a ritmo di una canzone non suonata, mentre i nostri sguardi si incrociavano. C'era intimità mentre nessuno dei due parlava, in quel silenzio elettrico.
Avrei pagato oro per sapere cosa gli passasse per la mente in quel momento. Sorrideva, mi guardava, distoglieva lo sguardo puntandolo su qualcosa di indistinto, tornava a guardarmi. Poteva sembrare fosse a suo agio ma un osservatore più attento, come lo ero io, poteva capire non lo fosse del tutto. Rimasi interdetta quando inizia a prestare attenzione a quello che stavo facendo e realizzai che le mie azioni erano eco delle sue.
Noi siamo uguali, Caroline”
Un'involontaria breve risata uscì dalle mie labbra.
«Cosa?» domandò lui stupito e stranito.
Non potevo di certo rivelargli cosa mi avesse divertito tanto.
«Nulla» arrossii ed abbassai lo sguardo.
Arrestò la danza fissandomi insistente, non in modo arrogante ma più curioso. Probabilmente avrebbe pagato anche lui oro per sapere a cosa stessi pensando io ora. Sostenni il suo sguardo per una frazione di secondo. Sospirai ed alla fine cedetti.
«Questo» quel ballo. Mi scostai da lui. Avevo ceduto ma non per questo gli avrei rivelato tutti i miei pensieri.
«A due amici non è permesso ballare?» domandò lui divertito.
Stava sfruttando le mie stesse parole a suo vantaggio. Meschino. Lo guardai chinando la testa poco convinta aspettando che ribattesse seriamente.
«Ah..» sospirai alla fine arrendendomi e tornando ad avvinarmi a lui afferrandogli la mano e riportando la mia mano sulla sua spalla. Fu lui questa volta a ridere.
«Cosa?» Chiesi rude.
«Mi piace vederti arrabbiata Caroline, quasi quanto mi piace vederti sorridere» rivelò lasciandomi interdetta. Lo guardai stupita «Mi piace saper di avere contribuito a rendere la tua serata perfetta anche solo avendoti regalato questo abito» continuò facendomi roteare su me stessa ammirando i movimenti del vestito. Completai il giro quando riafferrai la sua mano ed i miei occhi rincontrarono i suoi ad una breve distanza li uni dagli altri.
«Non pensarci nemmeno» gli fissai involontariamente di nuovo le labbra, continuai a parlare senza distogliere gli occhi da esse «Questo vestito è un prestito» chiarii.
Sospirò allentando la tensione che si era creata. «Voglio che lo tenga tu»
«No!» obbiettai.
«È un regalo»
«No!»
«Caroline?»
«Klaus!»
Sostenemmo uno lo sguardo dell'altra aspettando che uno dei due cedette, fieri ed orgogliosi, per diversi secondi.
«Ti prego di accettare il vestito Caroline, consideralo un regalo d'addio» il suo sguardo orgoglioso fu travolto da uno dolce e supplichevole. Ero pronta a ribattere immediatamente alla prima parte della frase ma non alla seconda. “..consideralo un regalo d'addio” No! Urlai nella mia testa ma dalla mia bocca uscì solo un piccolo lamento. La mia mente era completamente paralizzata quindi lasciai che le parole mi uscissero spontanee.
«D'addio?» chiesi perdendo anch'io il mio sguardo fiero diventando improvvisamente cupa.
«Lascio la città domani» per la sorpresa strinsi meccanicamente la sua mano. Di scatto entrambi portammo lo sguardo sulle nostre mani unite prima che io ritrassi la mia. Interruppi il ballo e mi allontanai di qualche passo.
«Come mai questa partenza improvvisa?» non sapevo come definire la mia reazione, la sensazione che stavo provando, o forse, mi vergognavo di ammetterlo persino a me stessa. Ero delusa.
Studiò confuso il mio sguardo prima di rispondermi «Devo sistemare alcune faccende a New Orleans il prima possibile, devo accertarmi che alcune voci che mi sono giunte all'orecchio non siano veritiere e nel caso lo fossero, dovrò agire di conseguenza» un sorriso sadico spuntò sulle sue labbra per una frazione di secondo.
« e la cura? Silas?» continuai confusa.
«non c'è più nulla per me qui, tesoro.» commentò secco.
«Ma...» non sapevo cosa aggiungere.
Avevamo desiderato per mesi che lui sparisse per sempre, come poteva spaventarmi ora l'idea che lui non fosse più stato lì? Rabbrividii senza poterlo controllare.
Il mio ritardo a ribattere confuse anche lui.
«Ti inviterei a venire con me ma sappiamo entrambi che non sei ancora pronta ad accettare la mia offerta» il ricordo di quelle stesse parole rivoltemi mesi prima mi fecero perdere un battito. Lui sorrise malinconico. «Perciò accetterai il mio regalo? Magari fra un anno o un secolo ti imbatterai in questo vestito e ti ricorderai di quel qualcuno, capace di fare cose terribili, a cui, per qualche ragione, importava solo di te» questa volta il mio cuore non perse un battito, si strinse.
Non riuscivo a ribattere, a pensare. Mi sarebbero dovute uscire un fiume di parole, questo era quello che avrebbe voluto lui e forse anch'io.
«Sì» risposi semplicemente in un sussurrò e dovetti ripercorrere a ritroso le parole che mi aveva rivolto per accertarmi a cosa quel sì fosse rivolto.
Sì, avrei accettato il suo regalo e no, in realtà non lo volevo.
Sì, non ero ancora pronta ad accettare la sua proposta e no, non sapevo se un giorno lo sarei stata.
Sì, un giorno mi sarei imbattuta di nuovo in quel vestito e sì, mi avrebbe ricordato lui. Me lo avrebbe ricordato non solo perchè era stato lui a regalarmelo ma bensì perchè quel vestito lo rappresentava. Elegante, regale, non passava in osservato, unico e, per quanto fastidioso e scomodo da indossare, perfetto.
Lo stavo guardando ma il mio sguardo era perso. Si avvicinò a me lentamente, a mio avviso, ma non potevo esserne sicura, confusa com'ero.
«Non so se questo sarà un addio ma, in qualità di amico» scherzò ma non stetti al gioco. Prese la mia mano tra le sue.«grazie» per quello stupido vestito? «per aver cercato di venirmi incontro nonostante io non fossi in grado di cambiare idea, per non avermi voltato le spalle quando avresti dovuto farlo, per aver visto un mio lato umano, per aver cercato di conoscermi ,per...» pendevo dalle sue labbra aspettando che continuasse la frase. «aver cercato di dimenticare le cose orribili che ho fatto, per aver illuminato me con la luce che emani» Non capivo perchè stesse riportando a galla ogni singolo ricordo, ogni singolo momento trascorso con lui in quei mesi, non volevo che lo facesse.
Avrei potuto ferirlo ora come avevo fatto in passato, ma non ero più la stessa come non lo era lui. Non potevo ferirlo, non volevo ferirlo.
Non c'era altro che lui avesse potuto aggiungere, aveva già detto tutto. Toccava a me rispondere e, come molteplici volte nell'arco di quella serata, mi trovavo in difficoltà.
Fissai ogni angolo del suo viso comprendendo quanto le parole che mi aveva appena rivolto fossero vere. Non stava mentendo, quella non era una delle sue strategie che usava con gli altri con i quali alzava la guardia mostrando la sua forza, mostrandosi invincibile, superiore.
Ma lui, quanto me, sapeva non fossi pronta ad abbassare la guardia come faceva lui, non potevo fidarmi di lui quanto lui si fidava di me. Non ancora.
«Grazie, per il meraviglioso regalo.»
Puntai lo sguardo sui suoi occhi profondi e luminosi e su quelle lunghe ciglia. Feci un breve respiro e colmai la distanza che ci separava posando una bacio sulla sua guancia.
Quando mi allontanai abbassai lo sguardo per non rischiare di incrociare il suo. Gli voltai le spalle allontanandomi da lui e da quella stanza. Risalii quei due scalini con molta più difficoltà di quanta ne avessi avuta per scenderli. La morsa al cuore si faceva sentire e non riuscivo a capirla, a darle una ragione. Non capivo perchè mi importasse. Eppure quei passi erano pesanti.
Sentivo il suo sguardo puntato su di me e mi stavo torturando perchè volevo sapere di che natura fosse quello sguardo. Ma non dovevo voltarmi. Raccolsi tutto la forza che possedevo ma non bastò.
Mi voltai.
Sorrideva. Compiaciuto, soddisfatto, sorpreso, felice? Non potevo saperlo. Come non controllai il mio corpo non controllai nemmeno le mie parole.
«A presto, Klaus» sorrisi sparendo dalla stanza prima che il mio corpo commettesse altri guai.
Ripercorsi a passo svelto quel corridoio, attraversai velocemente quell'atrio. Trattenevo il respiro come le emozioni che di li a poco si sarebbero manifestate più impetuose che mai.
Non potevo però trattenere quel senso di insicurezza che mi attanagliava. Quella sensazione di vuoto, nostalgia, mancanza, la sensazione di essere indifesa.
Scossi la testa ed aprii la porta. Mi voltai per richiuderla lentamente senza far troppo rumore. Quando anche l'ultimo sguardo all'interno della casa mi fu privato una volta chiusa avevo un'ultima cosa da dire.

'Grazie Klaus, per avermi fatto sentire la prescelta.' 






Spazio autore:  
Prima di tutto dovete sapere che http://25.media.tumblr.com/3e6a6aeda79cc90a297c40de391abd56/tumblr_mls9z57BIf1s7d2gpo2_250.gif

Ho voluto scrivere quella che per ora è solo una OS ma che spero di continuare nel caso sia di vostro gradimento perchè amo il Klaroline.
Dal prossimo episodio Klaus si trasferirà e forse ogni mio sogno Klaroline svanirà a causa della sua partenza (GUAI) quindi mi sembrava giusto farli salutare. Salutandosi hanno ricordato molti dei loro momenti più importanti, parole molto importanti che si sono scambiati. Caroline ama Tyler e questo non si può negare, ma non si può nemmeno negare che tra lei e Klaus ci sia qualcosa. Se volete una Caroline che si lancia tra le braccia di Klaus, be' avete scelto la storia dell'autore sbagliato da leggere. Voglio seguire coerentemente il personaggio di Caroline per quanto mi sia possibile, voglio costruire momenti che le facciano guardare Klaus in un nuovo modo e questo di certo non succederà da un giorno all'altro.
Ovviamente nal caso continuassi seguirei gli ultimi episodi di TVD e poi andrei avanti per i fatti miei. :)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere e fatemi sapere se per voi è il caso che io continui. 
Un bacio Klaroliners e non,
ELLEcrz.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2-Damn you. ***


PERICOLO SPOILER EPISODIO 4x20

 

Damn you

 

 

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Per la seconda notte di seguito il sonno mi era stato negato, la sera prima ero riuscita a malapena a chiudere occhio.
Avevo rivisto Tyler, avevo trascorso un'ora meravigliosa in sua compagnia, avevo potuto toccarlo di nuovo, abbracciarlo di nuovo, baciarlo, ma ci eravamo anche dovuti dire addio, di nuovo.
Non era stato questo, però, a non farmi dormire. Un altro addio, o meglio, quello che sarebbe dovuto essere un addio ma che, per colpa mia, o grazie a me, si era trasformato in un 'A presto, Klaus'.
'Come grazie a te Caroline? Per colpa tua!'
Ero nel mio letto aspettando e sperando, che la mia mente smettesse di pensare e mi lasciasse dormire, che smettesse di farmi rivivere quel ballo.


«Perfetta, come sempre» il suo sorriso.
«Allora, in segno di riconoscimento, concedimi un ballo» rivedevo la mia mano afferrare la sua. I nostri visi troppo vicini l'uno all'altro. I suoi occhi su di me. I miei occhi su di lui.

Mi rigirai nel letto, stringendo gli occhi e oscurando ogni pensiero.

«Mi piace vederti arrabbiata Caroline, quasi quanto mi piace vederti sorridere» il mio stupore al suono di quelle parole. Sorrisi. Sguardi. La sua mano a cingermi il fianco. La mia mano sulla sua spalla.
«Ti prego di accettare il vestito Caroline, consideralo un regalo d'addio» La delusione dipinta sul mio volto.
La sua mano che stringeva la mia «Grazie.»

«Basta!» spalancai gli occhi facendo dissolvere ogni immagine dalla mia testa.
Il sole illuminava già la mia stanza. Se i miei occhi non fossero stati quelli di un vampiro , si sarebbero dovuti abituare alla luce. Controllai l'ora '8.03'. Sbuffai. Due minuti e sarebbe suonata la sveglia ed io ero distrutta.
Portai le braccia lungo i fianchi fuori dal piumone, che nonostante l'arrivo della stagione calda mi rifiutavo di togliere, e fissai il soffitto.
«Maledetto» sussurrai con un sottile velo di rabbia ma dopo una frazione di secondo non potei evitare di sorridere.
«Maledetto» tornai a ripetere quando mi accorsi che stavo ridendo.
Il suono della sveglia mi fece sobbalzare. Sbuffai di nuovo, seccata. Allungai il braccio e la spensi senza distogliere lo sguardo dal soffitto.
Feci lunghi respiri pensando al da farsi.
Era lunedì. Sarei dovuta andare a scuola, o quello che ne restava;
C'era la festa del diploma da organizzare e come sempre toccava a me occuparmene. Grazie al cielo, almeno avrei avuto la mente occupata su qualcos'altro…
Con tutta la buona volontà che riuscii a raccogliere, spostai il caldo piumone e mi alzai dal letto diretta in bagno; Ero preoccupata dell'immagine che lo specchio avrebbe riflesso e, in effetti, facevo bene… le occhiaie erano ben visibili sul mio viso nulla che un po' di trucco non avrebbe potuto coprire.
«Maledetto» sussurrai.

Mi preparai velocemente curando adeguatamente ogni singolo dettaglio. Tornai in camera, afferrai il telefono lanciandolo nella borsa e scesi al piano terra. Mamma era ovviamente già al lavoro perciò non mi stupii di essere sola. Raggiunsi il garage ed il mio frigo personale. Afferrai una sacca dissetandomi mentre il portone automatico del garage si sollevava. Il sapore non poteva essere paragonare a quello del sangue caldo e fresco di una vena mentre ti scende in gola, spegnendo il fuoco della sete, facendoti dimenticare ogni cosa… Questo invece era freddo e sapeva di ruggine.
Gettai la sacca ormai vuota nel bidone e salii in macchina.

Fui come sempre una delle prime ad arrivare a scuola, con venti minuti di anticipo rispetto al suono della campanella per l'inizio delle lezioni, d’altronde a causa del diploma avevo alcune faccende da sbrigare.
Ero riuscita a bloccare ogni tipo di pensiero da quando mi ero alzata dal letto, fino a quel momento … 'Chissà cosa starà facendo' Queste quattro parole bastarono a farmi perdere il controllo dei miei pensieri, che si riaccesero in un istante. Di natura ero una persona molto, troppo, curiosa e detestavo non sapere le cose. Dovevo essere a conoscenza di ogni cosa, in questo modo potevo essere sempre un passo avanti, non potevo essere presa in contropiede.
'Cosa diavolo lo aveva portato a New Orleans?' questa domanda senza risposta mi tormentava, avrei anche potuto domandarglielo due sere fà e lui forse mi avrebbe anche risposto. ma non lo avevo fatto, ero forse preoccupata della risposta che avrei potuto ricevere, o ero semplicemente troppo confusa in quel momento??
La vera domanda che mi assillava era però un'altra.
'Sarebbe mai tornato?'


«Non c'è più nulla per me qui, tesoro.»

'Te ne saresti potuto andare prima' commentai irritata.
Ero nervosa, confusa, arrabbiata. Si ero arrabbiata, ce l'avevo con lui. Se n'era andato così, da un giorno all'altro, aveva abbandonato tutto come se nulla gli fosse mai importato veramente. Ci aveva abbandonato al pericolo di Silas, o era fuggito? In fondo era quello che aveva fatto per secoli, fuggire da suo padre ma ero certa che non fosse questo il motivo per cui era partito.
«Allora perché te ne sei andato?» Pronunciai in un sussurrò incontrollato, roco e triste.
Mi portai la mano alla bocca zittendomi.
Tutti erano contenti della sua partenza, persino sua sorella che si era impadronita di casa sua. Katherine lo aveva persino sfidato presentandosi in città.
'Ci siamo liberati di un problema'. Questo era il pensiero generale. Il pensiero di tutti, tranne il mio.
Non la vedevo come una liberazione … ma come una perdita.
Colpì con entrambe le mani il volante, sbuffando e bloccando i pensieri.
'Ok Caroline, smettila!!' mi ordinai e i miei occhi caddero sull'orologio elettronico dell’auto. 8.55.
«Merda!» avevo perso tempo inutilmente.
Afferrai velocemente la borsa e scesi dall'auto. Per una frazione di secondo osservai la mia figura riflessa nel vetro della macchina, rapita.
«Caroline» pronunciò qualcuno. Vidi il mio viso corrucciarsi in un espressione confusa. Quella voce mi era sembrata così distante e le mie orecchie le sentivo come ovattate.
«Caroline» qualcun altro comparve nel riflesso della mia auto, ma non chi mi aspettavo di vedere.
Mi voltai, cancellando un'espressione confusa sostituendola con uno dei miei sorrisi.
«Amber. Ehi»
«Ti sto aspettando da 15 minuti» commentò leggermente seccata.
«Di solito sono io a doverti aspettare una vita» ribattei. Entrambe rimanemmo stupite di quella mia risposta secca ed arrogante «Mi dispiace, scusami» continuai più gentile.
«Sì, figurati» era leggermente confusa.
«Ci rivediamo finite le lezioni e finiremo di organizzare tutto, come avremmo già dovuto fare. Ormai abbiamo tempo solo per ordinare le toghe» ragionai a voce alta.
«In realtà la mia l'ho già ordinata mentre ti aspettavo. Quindi ci vediamo più tardi Care»
«D'accordo» ero interdetta.
Mi sorrise e si allontanò. La osservai mentre a veloci falcate attraversava il giardino della scuola, i raggi del sole regalavano ai suoi capelli castani dei riflessi rossi. Distolsi lo sguardo guardandomi intorno, il giardino era ormai colmo di studenti;
Li passai tutti con lo sguardo, alcuni ridevano, scherzavano insieme ai loro amici, altri parlavano della finale di campionato, altri si disperavano per gli esami imminenti.
Poi c'ero io.
Dov'erano finiti i miei amici? Quelli con cui ridevo, scherzavo, mi lamentavo?
Tyler era fuggito chissà dove.
Bonnie, le avevo lasciato centinaia di messaggi in segreteria il giorno prima, l'avevo chiamata milioni di volte senza ricevere alcuna risposta.
Elena era chiusa in una cella mentre Damon e Stefan aspettano che lei riaccenda la sua umanità.
Matt. Matt era Matt. Lui c'era sempre, su di lui si poteva sempre contare, non quanto sulla sua puntualità, era un miracolo se ultimamente riusciva ad arrivare in orario per le lezioni.
Avevamo perso quella quotidianità, la normalità.
Un giorno ce la saremmo ripresa .Sospirai.
Afferrai stretta la borsa; alzai il mento e sicura e determinata mi incamminai verso la scuola.
Ricambiai i saluti e i sorrisi che ricevevo durante il cammino;
Raggiunsi la segreteria ed il sorriso che sfoggiavo sino ad un secondo prima svanì non appena vi misi piede dentro. Era piena.
«Maledizione» borbottai.
Non potevo di certo superare la fila dopo le immense prediche impartite a chi lo aveva fatto. Mi sarebbe toccato aspettare come i comuni mortali.
Non riuscì a trattenere una leggere risata per l'ironia di quei miei ultimi pensieri. Scossi la testa ed iniziai a cercare nella borsa il telefono e provare per l'ennesima volta a chiamare Bonnie.
«Caroline?» una voce familiare alle mie spalle.
Abbandonai la ricerca e mi voltai in sua direzione.
«April!» la squadrai da capo a piedi «Come ti senti? Ho saputo cosa ti è successo al ballo. Mi dispiace» pronunciai preoccupata ed affettuosa.
«Si...» portò una mano alla testa abbassando lo sguardo, imbarazzata «sto bene.» l'avevo decisamente messa a disagio.
«Ehi, ho visto che avevi un vestito meraviglioso al ballo» cercai di cambiare argomento facendola tornare a suo agio.
«Grazie» la vidi tornare a sorridere «ma il vestito che spiccava su tutti era il tuo. Era davvero strepitoso. Dove l'hai preso?». Mi chiese curiosa.
«L'ho...» rimasi interdetta ripensando all'avventura che mi aveva portata a quel vestito «È un regalo di un amico» risposi infine sincera e soddisfatta. Si ero soddisfatta. «Ho avuto una disavventura con quello che avevo scelto io, quindi sono corsa ai ripari.»



«Quindi, potresti per favore dare un'occhiata in quella inquietante scatola trofeo di pezzi da collezione della tua famiglia e trovarmi qualcosa dal calibro regale?» sfoggiai il tono più supplichevole che avessi mai usato in vita mia. Mi stupii della dolcezza che misi in quelle parole. Non poteva dirmi di no. Non a me, non se glielo chiedevo in quel modo.
Tergiversò sorridendo divertito di avere il coltello dalla parte del manico. Quel sorriso era irritante. 'Smettila di sorridere'.
«Ad una condizione» esordì lui finalmente.
L'enorme sorriso che gli stavo rivolgendo si tese leggermente preoccupato della condizione che avrebbe potuto porre.
«Sarebbe?» chiesi sospettosa.
«Il vestito lo scelgo io» rispose sicuro.
Il mio volto si fece serio mentre nella mia mente consideravo l'offerta. Aveva decisamente un gusto impeccabile ed aveva già scelto un vestito per me in passato, il vestito più bello che avessi mai indossato.
«D'accordo.» accettai ma dal tono della voce traspariva la preoccupazione che provavo.
Tornò a sorridermi per una frazione di secondo durante il quale i nostri sguardi si incrociarono. «Torno subito.» spezzò l'armonia con un sussurrò. Lasciò la stanza e rimasi sola.
Mi guardai intorno felice che il peso che sentivo nel petto, dovuto alla rabbia verso Elena, fosse svanito per il momento... Avrei avuto il mio vestito e in cuor mio già sapevo sarebbe stato perfetto. Avevo trovato al mio arrivo un Klaus irritato e non dell'umore per stare in compagnia eppure in questo momento, mi stava scegliendo un vestito da indossare per il ballo, evento che di certo per lui non aveva alcuna importanza.
Sorrisi involontariamente ma tornai subito seria perchè riapparve nella stanza con un porta abiti color avorio, poggiato sulla schiena e sorretto per l'appendino. Non si intravedeva nulla. Attraversò la stanza a falcate sicure nella mia direzione mentre il mio sguardo si illuminava man mano che si avvicinava col mio vestito.
«Ecco a te, tesoro» mi porse il porta abiti, la mia mano si mosse nella sua direzione ma non appena stavo per raggiungerlo lui allontanò la sua. Allungai velocemente la mano per prenderlo ma lui lo allontanò ancora. Lo guardai. Al terzo tentativo mi lasciò il vestito.
«Aprilo a casa» suggerì mentre le mie dita si muovevano già in direzione della lampo.
«Avevi detto 'una sola condizione'» precisai.
«Ne ho appena aggiunta un'altra» replicò sapendo che l'avrebbe avuta vinta.
«Ok» commentai arrendevole. Ripiegai con delicatezza il porta abiti a metà sull'avambraccio seguendo il gesto con lo sguardo. Lo rialzai poi su di lui che soddisfatto mi guardava, in attesa. Lo lasciai penare io, questa volta, per un paio di secondi ed infine pronunciai le parole che stava aspettando.
«Grazie, Klaus»
Compiaciuto sfoggiò un altro dei suoi luminosi sorrisi. «È stato un piacere, Caroline. Di me ti puoi fidare»
Il riferimento alla fiducia mi riportò alla mente quello che ora eravamo, 'amici'.
Sorrisi ed asserì con il capo per poi abbandonare la stanza. Dovevo correre a casa, ero già in ritardo.

«Si vede che ti conosce, l'abito sembrava fatto apposta per te» precisò April.
Ero io ora quella in imbarazzo e lei se ne accorse. Fortunatamente la segreteria si era svuotata più velocemente di quando mi aspettassi ed ormai mancavano due studenti prima del mio turno.
«Sei venuta ad ordinare la toga?» domandò cercando di cancellare il disagio venutosi a creare.
«Esatto, me ne stavo quasi per dimenticare.» proprio io.
«Ti conviene ordinarne una anche per Matt, se te ne sei dimenticata tu figurati lui» entrambe scoppiammo a ridere.
«Hai perfettamente ragione, infatti ci avevo già pensato.» Ridemmo ancora.
«Vai è il tuo turno. Ti lascio ai tuoi ordini io vado in classe. A presto» Mi sorrise e io ricambiai il sorriso.
Mi voltai verso la segretaria e in effetti era proprio il mio turno.
«Signorina Forbes» esordì Julie.
«Devo ordinare tocchi e toghe per il diploma» precisai.
La segretaria si sporse su un tavolino alle sue spalle per recuperare un registro. Eravamo nel ventunesimo secolo eppure lei si rifiutava di aggiornarsi ed usare il computer per faccende come questa, la sua tenacia era ammirabile.
«Perfetto» afferrò la penna aprendo il registro.
«Per me, il signor Matt Donovan e...» feci una piccola pausa «la signorina Elena Gilbert.» conclusi. Il diploma era ormai alle porte ma non mi arrendevo e non perdevo la speranza di poter vivere quel nostro ultimo momento insieme, semplicemente ed umanamente come avremmo dovuto fare, come c’è lo eravamo immaginato anni fa, quando eravamo noi a guardare gli allievi delle classi maggiori diplomarsi. No non mi arrendevo.
Julie compilò il registro aggiungendo i tre nomi.
«Ecco fatto» aggiunse una volta terminato.
«La ringrazio, buona giornata» la salutai soddisfatta con un lieve colpo al bancone della segreteria.
Anche questo era fatto.
Uscii e mi diressi alla classe d'inglese.


Il suono della campanella sancì la fine delle lezioni; tutti chiusero velocemente i libri, uscendo dalla classe. Io immersa nei miei pensieri me la presi con più calma. Chiusi il libro di storia facendolo scivolare nella borsa nella più totale stanchezza. Mi alzai allontanandomi dal banco più come uno zombie che come un vampiro, l'idea di dover trascorrere l'intero pomeriggio ad organizzare la festa del diploma mi distruggeva. Avrei potuto subordinare o lasciare il compito ad Amber, ottenendo sicuramente un buon risultato, ma perfezionista qual ero, tutto doveva essere impeccabile ed io ero l'unica a poter rendere quell’evento perfetto.
Sospirai cercando di racimolare le forze ed affrontare quest'ultima fatica. Questa notte se non altro avrei dormito, non appena avessi messo piede in camera nessun pensiero rivolto a Klaus mi avrebbe potuta trattenere dal buttarmi nel letto e dormire fino al giorno successivo.
Percorsi i corridoi fino a raggiungere il mio armadietto. La scuola, se pur la campanella fosse suonata da pochi minuti, era già quasi completamente deserta. Riposi il libro e controllai il mio viso riflesso sullo specchietto che avevo fissato all'interno dell'armadietto. Ero più stanca di quanto non apparissi.
Tornai a cercare il telefono nella borsa. Non trovandolo subito la svuotai completamente all'interno dell'armadietto. Ancora niente. Ero sicura di averlo preso quella mattina. Dove diavolo era finito? La stanchezza non giocava a mio favore facendomi diventare isterica. Rimisi tutto all'interno della borsa ad una velocità sovrannaturale e richiusi violentemente l'armadietto ed il suono dell'impatto rimbombò nei corridoi vuoti.
Raggiunsi il giardino, cercando di nuovo la mia calma interiore, prima che le emozioni amplificate mi portassero a distruggere la scuola.
L'organizzazione della cerimonia era praticamente conclusa, c'erano solo alcuni dettagli da rivedere, ed ovviamente sono i dettagli a rendere qualunque evento perfetto.
Amber e le altre mi stavano già aspettando.
«Buon pomeriggio ragazze» Estrassi subito la cartellina dimostrando quanto sbrigativo dovesse essere quell'incontro; In realtà la loro presenza era del tutto inutile, me la potevo cavare benissimo da sola ma, visto che l'organizzazione sarebbe toccata a loro il prossimo anno in quel modo avrebbero potuto avere un modello da seguire.
Spesso avevo avuto Bonnie al mio fianco ad aiutarmi, mentre ora non rispondeva nemmeno alle mie chiamate.
Iniziai a leggere la lista delle cose che avevamo già stabilito, riguardo a decorazioni, fiori, musica e ricevimento. Ora dovevamo, anzi dovevo, far prendere forma alle centinai di idee che vagavano nella mia testa.
Iniziammo a girare per il giardino mentre una cascata di proposte, osservazioni, pensieri, uscivano dalla mia bocca. Di tanto in tanto anche loro esprimevano le loro idee che cercavo in parte di considerare, riflettemmo sull'orario in cui la cerimonia si sarebbe svolta, il percorso che ogni studente avrebbe dovuto fare, i posti a sedere per loro e per gli invitati e infine il palco.
Continuammo a discutere e discutere per delle ore finché il sole non iniziò a tramontare: Era stato impegnativo ma almeno ora era tutto pronto, quanto meno sulla carta … Ero molto soddisfatta e dall'espressione delle ragazze, che se pur stravolte per il pomeriggio frenetico, si poteva intuire fossero anche loro soddisfatte.
Ci dirigemmo tutte verso il parcheggio della scuola e dopo un paio di battute ed ultimi accorgimenti ci salutammo.
Non appena salii in macchina e chiusi la portiera la stanchezza, che mi aveva concesso una piccola tregua, si fece risentire tutta d’un colpo. Misi in moto e raggiunsi casa il più velocemente possibile. Avevo un unica cosa in mente, il mio letto.
Raggiunto il vialetto ma cedetti e mi gettai sul volante chiudendo gli occhi, sfinita.

 

Un suono acuto mi riportò alla realtà. Aprii lentamente un occhio cercando di capire dove mi trovassi confusa e leggermente stordita.
Mi ero addormentata. Scattai contro il sedile non appena lo realizzai, fuori il sole era già calato da un bel pezzo, avevo passato un'ora schiacciata su quel volante cercando di recuperare il sonno perduto.
Risentii quel suono acuto che mi aveva svegliato riuscendo finalmente ad identificarne l'origine, erano le notifiche di quel maledetto telefono. Frugai sotto il sedile del passeggero sino a trovarlo, mi doveva essere scivolato fuori dalla borsa quella mattina quando di corsa ero uscita dalla macchina. Un filo di nervosismo mi invase di nuovo. Afferrai le mie cose ed uscii dall'abitacolo, cercando di calmarmi, pensando e pregustando il letto caldo che mi aspettava. Mentre percorrevo il vialetto di casa un po' intontita controllai il telefono, c'era un messaggio in segreteria. Tornai lucida e la gioia prese il sopravvento sulla rabbia. Bonnie finalmente si era fatta viva, a lei andò il mio primo pensiero.

Avvicinai immediatamente il telefono all'orecchio aspettando di ricevere notizie dalla mia amica.

«Caroline» le chiavi mi caddero a terra ed il mio viso si spense, diventando inespressivo. Non era la voce che mi aspettavo di sentire, ma una più calda e dall'accento inconfondibile.
«Klaus» sussurrai flebilmente mentre il mio cuore perdeva un battito.
«sono in uno dei luoghi che preferisco al mondo» continuò «circondato da cibo, musica, arte, cultura» in sottofondo si poteva distinguere un brusio di voci accompagnate da un paio di sax «e tutto ciò a cui riesco a pensare è quanto vorrei poterti mostrare tutto.» fece una breve pausa «Magari un giorno me lo permetterai». Il messaggio terminò.
Partì la voce registrata della segreteria prima che la mia mente potesse sprofondare in miriadi di pensieri e congetture.
“Se si desidera riascoltare il messaggio, premere 2” istintivamente premetti quel tasto e riascoltai il messaggio. Ero ormai arrivata in camera quando la sua voce si spense di nuovo. Non resistetti e premetti nuovamente il tasto 2.
«Caroline» il mio nome pronunciato da lui sembrava quasi avere un altro significato.
«e tutto ciò a cui riesco a pensare è quanto vorrei poterti mostrare tutto. Magari un giorno me lo permetterai» mi aveva già rivolto quelle ultime parole mesi addietro ma in quell'occasione mi erano sembrate arroganti, non come queste ultime, calde, sincere e speranzose.
La segreteria interruppe nuovamente il mio flusso di pensieri.
“Se si desidera salvare il messaggio, premere 3” il mio pollice si mosse automaticamente sul tasto 3.
Mi lasciai cadere sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto, che quella stessa mattina mi ero ritrovata a fissare. Nella mano destra stringevo il telefono, in quella sinistra il piumone.
Non sapevo cosa pensare, come rispondermi o come dare una spiegazione alle parole appena ascoltate, non sapevo come interpretarle.
Il tono della sua voce era soddisfatto e felice, aveva trovato a New Orleans quello che cercava? Speravo per lui di si ma questo avrebbe anche significato che non sarebbe più tornato.
Cercai di immaginare questa città che tanto amava; musica, cultura, arte. Iniziai a fantasticare e desiderare di poterla vedere con i miei stessi occhi e non attraverso un filtro com'ero abituata a vedere tutto. Non ero mai stata da nessuna parte, come anche avevo confessato a lui, e in quello stesso episodio lui si era già offerto di mostrarmi il mondo.
Potevo permettergli di farlo? Il mio spirito avventuriero e curioso, come il suo, mi dicevano di si, ma la mia razionalità era restia. Si trattava pur sempre di Klaus, aveva dimostrato che di lui mi potevo fidare ma non per questo ero propensa a farlo, non così facilmente.
Avvicinai nuovamente il telefono e riascoltai una quarta volta il messaggio vocale con un sorriso che non riuscivo a cancellare.
Se n'era andato ma non per questo aveva lasciato tutto, non per questo tutto quello che aveva qui per lui non aveva alcun significato.
Mugolii portandomi la mano libera sul viso. Quel messaggio non aveva che portato altra confusione, altre domande a cui non ero in grado di trovare risposta.
L'unica cosa che sapevo era che quella voce mi era mancata. L'unica cosa di cui ero certa, che quella notte non avrei dormito nuovamente per colpa di Klaus.

«Maledetto» sussurrai felice facendo sprofondare poi il mio viso nel cuscino. 




Spazio autore:

Bene, non tanto. Non vado molto pazza per questo capitolo perchè, di mio, odio i capitoli di passaggio e questo lo è in gran parte. Ma nella parte finale si può vedere come Caroline inizi a pensare a quella possibilità che non ha mai dato a Klaus ma che ovviamente non è acora pronta a dare. L'importante però è che ci stia pensando. 
Come ho già detto nello scorso capitolo, seguirò la fine degli ultimi episodi della serie perchè mi è impossibile non farlo. Chiedo scusa per il ritardo con cui ho postato questo secondo capitolo, inizialmente ero rimasta, come dire, SCIOCCATA, dal Pilot di 'The Originals' e non sapevo come prendere la cosa, ora l'ho capito. Prometto che non appena la stagione sarà conclusa sarò più puntuale con le pubblicazioni. 
Spero che il capitolo non vi abbia deluso :)

Infine voglio ringraziare per quelle meravigliose recensioni che ho ricevuto nello scorso capitolo e mi sento in dovere di citarvi tutti perchè grazie a voi ho continuato la storia.


Mery1992 
poppococco
Greta_Mrg
AliL
Paura del Vuoto
VioletBlu
86vale86
Craccola
Monillo
pillyA
Tess 36
LoveCenaPunk
Tv_dipendente
Miss love94

In particolar modo buffy46 che mi è stata di grande aiuto, ma anche tutte le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, seguite, ricordate ed ovviamente anche ai lettori 'silenziosi'.
Siete tutti meravigliosi :)
Peace and love, and never stop believing in KLAROLINE! 

Un bacio,
ELLEcrz.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3-I'm afraid. ***


PERICOLO SPOILER EPISODIO 4x21

Im afraid


 

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Era una bella giornata, il sole era alto e caldo a New Orleans ed i miei occhi brillavano per la gioia di trovarmi lì. Stavo percorrendo Bourbon Street, alla francese, Rue du Bourbon, la via nel cuore della città, meravigliata per ogni cosa che mi si presentava alla vista. Gli edifici stretti, attaccati li uni agli altri, in perfetto stile coloniale spagnolo, i contrasti tra i palazzi in mattoni rossi e quelli in vernice di color pastello, bar e pub ad ogni angolo della strada, adoravo i terrazzi in ferro battuto, che colpiti dai raggi del sole risplendevano, ed i fiori curati in ognuno di essi. La gente affluiva lungo la via, per la maggior parte turisti, molti dei quali affascinati come lo ero io. La musica dal vivo rendeva quell'esperienza ancora più magica.
«Caroline»
Distinsi una voce familiare alle mie spalle, tra il brusio e la confusione collettiva. Mi voltai velocemente riconoscendolo in mezzo alla folla, ad una decina di passi da me.
«Klaus»
Ricambiai quel sorriso che mi stava rivolgendo ed entrambi, all'unisono, muovemmo il primo passo, avvicinandoci l'uno all'altra facendoci strada tra le persone. Il sole gli illuminava il viso ed i capelli, rendendolo maledettamente perfetto.
«Ehi» sussurrò lui quando ormai pochi centimetri ci distanziavano. Non era solo il sole ad illuminargli il viso ma anche quel suo sorriso coinvolgente, non quello presuntuoso od arrogante, ma quello sincero e felice. Sì, sono convinta fosse felice di trovarmi lì.
«Ti sei persa?» chiese curioso chinando leggermente il capo in avanti, sicuro che fossi in difficoltà.
«No» risposi secca guardandolo dritto negli occhi «in realtà sono esattamente dove voglio essere» continuai sicura senza troppi giri di parole o pensieri che avrebbero finito con il confondermi.
Ero a New Orleans perché volevo esserci. Ero a New Orleans perché era l'unico luogo al mondo in cui mi volessi trovare in quel momento.
Lui rimase sorpreso per la mia risposta e per la convinzione con cui l'avevo pronunciata, ma la confusione durò pochi attimi, subito ricomparve quel sorriso di cui non mi sarei mai stufata.
«Allora prego» alzò il braccio destro, porgendomi il gomito «Lascia che ti mostri le meraviglie di questa città» si propose ammiccando.
«Con piacere» afferrai il suo braccio, pronta a partire. Era stupito e continuava a fissarmi invece di rivolgere lo sguardo davanti a noi. Questa non era di certo la Caroline che aveva lasciato a Mystic Falls.
«Che c'è?» chiesi curiosa.
«Nulla» mi fissò negli occhi ancora più intensamente «stavo solo ammirando ciò che rende questa città perfetta.» confessò.
Continuai a guardarlo negli occhi, sorpresa e meravigliata, per qualche secondo e lui fece lo stesso, imbarazzata, fui la prima a distogliere lo sguardo, sicura di essere arrossita rivolsi lo sguardo all'asfalto sul quale poggiavano i miei piedi, anch'esso illuminato dal sole e reso rovente.
All'improvviso una nuvola, o almeno quella che pensavo lo fosse, coprì il sole e tutto si oscurò. Alzai subito lo sguardo rivolgendolo alla via alla mia destra. Era deserta. Niente musica, niente turisti, nulla. Strinsi il braccio a cui ero aggrappata, impaurita, mi voltai verso di lui, cercando conforto nel suo sguardo. Stava guardando un punto indistinto davanti a lui, seguii il suo sguardo, ma non vidi nulla.
«Klaus» sussurrai richiamando la sua attenzione. Si voltò a guardarmi e quel sorriso sincero di poco prima era svanito, quello arrogante aveva preso il sopravvento.
Lasciai la presa al suo braccio allontanandomi di qualche passo, il cuore aveva accelerato il ritmo dei suoi battiti.
Cercavo di allontanarmi ma lui si avvicinava. Più mi allontanavo e più lui mi era vicino. Colpì con schiena il muro di un edificio alle mie spalle, non potevo più allontanarmi, ero in trappola, nella sua trappola. Si chinò su di me avvicinando il suo viso al mio. Chiusi gli occhi, stringendoli, impaurita.
«Klaus» sussurrai cercando in quel modo di farlo ragionare, di far tornare quel Klaus di pochi minuti prima, ma non sembrava funzionare, sentivo che era pericolosamente vicino.
«Kla..»

 

Spalancai gli occhi, alzandomi col busto, respirando rapidamente. Mi guardai intorno, confusa e stranita di trovarmi nella mia stanza, il sole illuminava la camera, la vibrazione del cellulare, che mi aveva riportavo alla realtà, era fastidiosa e non sembrava aver intenzione di cessare. Portai una mano alla fronte, era decisamente calda e sudata.
Sospirai. Era stato un sogno, solamente un sogno.
Allungai un braccio afferrando quel maledetto arnese e spensi la sveglia. Lo sbloccai e la pagina che si illuminò era quella che stavo leggendo la sera precedente.
“New Orleans, Rue du Bourbon”
Avevo cercato e letto per ore ogni cosa riguardante quella città. Dalla sua fondazione nel 1718 ai più recenti disastri causati dall'Uragano Katrina, potevo quindi sorprendermi di averla sognata quella notte?
Non mi ero nemmeno accorta di essermi addormentata, anche se ero distrutta e stanca, la mia mente non riusciva a fermarsi ed i pensieri non potevano smettere di scorrere. Quella chiamata mi aveva completamente stordito.
Strinsi il cuscino della testa tra le braccia chiudendo nuovamente gli occhi.
New Orleans era meravigliosa, o almeno lo era secondo la versione che la mia mente contorta mi aveva regalato. Klaus, il Klaus di sempre. Sorrisi.
Rivivetti quel sogno stupendomi per la sicurezza che avevo dimostrato. Quella Caroline, a differenza di questa, sembrava sapere quello che desiderava, la invidiavo. Ma ecco comparire la nuvola ed ogni certezza, anche di quella Caroline, sgretolarsi. Quel Klaus che temevamo entrambe era davanti a lei, la spaventava e la rendeva vulnerabile.
Aprii nuovamente gli occhi, sospirando confusa e fissando il vuoto.
Non bastavano balli d'addio, notti insonni e chiamate, a confondermi, ci si mettevano pure i sogni ora.
Mi alzai di scatto arrabbiata con me stessa, non c'era nulla per cui dovessi essere confusa. Mi confondeva persino l'essere confusa. Perché diavolo ero confusa? Ringhiai furiosa.
Non mi ero di alcun d'aiuto ma forse sarei potuta esserlo per qualcun altro.
Erano giorni che Stefan e Damon tenevano Elena in sequestro pensando di sapere come poterla aiutare, ma dal fronte non erano giunte notizie, tantomeno positive.

 

«Dov'è? Voglio vederla.» esordì acida attraversando il soggiorno dei Salvatore.
«Non permettiamo a nessuno di vederla, è questo lo scopo.» Iniziò a spiegarmi Stefan alle mie spalle mentre io non accennavo ad arrendermi. «L'isolamento porta alla tristezza e alle emozioni.» continuò.
«È qui da giorni, non è migliorata per niente?» chiesi scettica cercandola per casa.
«Ma lei non vuole migliorare, Caroline. Non ancora.» Mi arresi voltandomi in sua direzione, liberandomi di quella rabbia che mi ero portata da casa. «È devastata. Ha perso suo fratello, ha aggredito le sue amiche, ha ucciso una donna innocente.»
«Hai detto di sapere come aiutarla»
«L'ho detto. È così» E i risultati dov'erano?
«Beh, come? Torturandola?» come poteva essere quella una soluzione?
«Non è tortura, cerchiamo di aiutarla» credeva davvero nelle parole che pronunciava? «L'unica possibilità che abbiamo con lei è provocarla, per innescare qualcosa in lei. Paura, rabbia, autocommiserazione, qualunque cosa.» No, non avrebbe funzionato. Elena era testarda da umana, figuriamoci quanto poteva esserlo senza le sue emozioni.
«Lasciami parlare con lei.» proposi «Prima che cerchiate di aiutarla ancora. Se è debole non può farmi del male» non poteva uccidermi come aveva già tentato di fare. «Per favore» lo fissai dritta negli occhi «fammi provare.»
Distolse lo sguardo sospirando e ragionando sul da farsi. Ero ostinata, ormai mi conosceva, quindi se me l'avesse data vinta subito si sarebbe risparmiato la fatica di una lunga discussione inutile.
«Un solo tentativo» convenne.
Sorrisi soddisfatta, quello che mi aspettava non sarebbe stato altrettanto facile da ottenere ed affrontare.
«Da questa parte» mi fece strada verso le cantine Salvatore sino a raggiungere la cella in cui, seduta a terra inerme, si trovava Elena.
«Buona fortuna» sospirò poco convinto in un mio successo prima di volgersi e lasciarci sole.
Ed eccola davanti ai miei occhi, quell'Elena senza emozioni che sbuffava annoiata per la mia presenza lì, sapevo come poter catturare la sua attenzione. Aspettai che Stefan si fosse allontanato per estrarre dalla tasca una boccetta con sangue fresco, ero sicura fosse la cosa che più bramava in quel momento.
«Ti ho portato qualcosa» porsi in avanti la boccetta, avevo decisamente attirato la sua attenzione.
«Non c'è della verbena.» come in quello che Damon le aveva rifilato «Te lo giuro.» Mi rivolse il suo sguardo spento, poco convinta.
«Ho solo pensato che un po' di sangue potesse farti ragionare» le spiegai muovendo qualche passo in sua direzione e stappando la boccetta, gliela porsi invitandola ad afferrarla cosa che fece pochi istanti dopo. La sete superava la diffidenza. Esaurì quella scarsa riserva di sangue in un istante.
«Per la cronaca, non sono d'accordo con quello che stanno facendo.» iniziai a spiegarle. «Voglio dire, sono d'accordo sul fatto che devi riaccendere la tua umanità, ma non credo che farti soffrire sia il modo per farlo. Non è quello che sei.»
«Cosa ti rende così esperta su quello che sono?» esordì finalmente mentre svogliata iniziava a giocare con la boccetta di vetro.
«Perché siamo amiche da una vita.» La conoscevo da quando avevo memoria.
«Ho cercato di ucciderti, Caroline» mi ricordò alzando lo sguardo su di me, la sua voce roca ed affaticata faceva trasparire l'indifferenza che provava nei miei confronti. «Non sono più una persona adatta a fare la migliore amica, dovresti voltare pagina» continuò facendo roteare la boccetta. Certo, era esattamente quello che voleva che tutti noi facessimo, che voltassimo pagina dimenticandoci di lei lasciandola in pace, lasciandola rovinarsi l'esistenza.
Bloccai innervosita quella boccetta, guardandola negli occhi.
«Non ho intenzione di abbandonarti» cercai di farle capire con sguardo sincero.
«Questo tuo modo di fare irritante ed appiccicoso. Hai mai pensato che forse è per queste che entrambi i tuoi ragazzi se la sono svignata?» commentò acida. Entrambi?
«Voglio dire, so che Tyler ha detto che scappava per sopravvivere, ma forse scappava da te.» L'attacco è la miglior difesa, ma se sperava di distrarmi parlando di Tyler mi stava sottovalutando.
«E Klaus?» Klaus? La guardai stranita, mi aveva preso in contropiede, Klaus non era il perfetto soggetto di cui avrei potuto argomentare.
«Diciamocelo. A nessuno piace essere preso in giro.» sbuffai distogliendo lo sguardo. Nessuno dei due aveva dato false speranze all'altro, non lo avevo preso in giro e di certo non aveva lasciato la città per causa mia. «Ehi, non sto giudicando» non aveva lasciato me, non ero di certo così importante per lui. «Dev'essere bello avere un ragazzo cattivo che sconvolge la tua vita perfetta» scossi la testa per le sue affermazione e per i miei pensieri. Stava divagando ed ero lì per aiutarla ed aiutare me a distogliere i pensieri proprio su colui verso i quali li aveva appena reindirizzati lei.
«Stai soffrendo, ti stai sfogando, ho capito. Ma non puoi restare così per sempre.» ritrovai la lucidità di prima «Stiamo per diplomarci e iniziare una nuova vita e tu ti meriti..»
«Stai seriamente parlando del diploma?» mi interruppe. «Caroline, hai idea di quanto sembrerai ridicola con tocco e toga» la osservavo muta con sguardo vacuo «mentre fingi di essere umana e tua madre finge di sorridere contando i minuti che rimangono prima che tu lasci la città, così smetterai di ricordarle che sua figlia è diventata un ripugnante mostro succhia-sangue pazzo maniaco del controllo?» sospirai.
'Sei patetica' le risposi nella mia mente, coinvolgere il difficile rapporto che avevo avuto con mia madre e l'accettazione di quello che ero diventata era pietoso, mi faceva passare la voglia di aiutare la persona, o quello che ne restava, che avevo davanti.
Mi alzai, intenta ad andarmene.
«È un vero peccato che Stefan mi abbia fermata prima che potessi mettere fine alla tua infelicità» aggiunse «ma, per fortuna esistono le seconde possibilità» continuò attaccandomi alle spalle e rivelando la sua natura da vampiro. I riflessi pronti e l'agilità che il sovrannaturale mi concedeva mi permisero di difendermi prontamente.
La bloccai per le spalle. «Elena?» la chiamai furiosa cercando di riportarla al suo stato di quiete ma non sembrava volersi arrendere.
'Al diavolo' le afferrai la testa spezzandole il collo con un colpo secco, lei cadde a terra, priva di vita per le prossime ore. La osservai sospirando e perdendo la buona volontà che avevo dimostrato entrando, non c'era modo per aiutarla, di certo non ero in grado di farlo. Non potevo parlare con qualcuno che non era in grado di ragionare.
«Fate tutto ciò che dovete» pronuncia a Stefan guardo il corpo di Elena. Mi voltai guardandolo «Io vado di sopra» conclusi lasciando quella terribile cella e quel altrettanto terribile mostro che vi era rinchiuso dentro, non ero in grado di riconoscere la mia amica ma non per questo l'avrei abbandonata.
Riattraversai il salone ma ero troppo nervosa per restare in casa, seduta ad aspettare che qualcosa cambiasse.
Uscii di casa respirando a pieni polmoni, cercando di disperdere lo stress che sentivo, afferrai il telefono dalla tasca e composi speranzosa il numero di Bonnie.
Primo squillo. Secondo squillo. Iniziavo già a pensare che non mi avrebbe risposto, come a tutte le precedenti chiamate che le avevo fatto, ma mi sbagliato, rispose.
«Bonnie, dove cavolo ti eri cacciata? Ti ho lasciato 90 milioni di messaggi.» il mio tono era nervoso ma allo stesso tempo preoccupato.
«Studiavo francese. Abbiamo gli esami finali, te ne sei dimenticata?» la sua voce era tranquilla e rilassata.
«Oh, non ricordarmelo.» Come se con tutto quello che stava succedendo ero in grado di preoccupami anche degli esami. «Senti» so che quello che sarei andata a toccare era un tasto dolente, ma non potevo evitarlo. «Questa faccenda di Elena sta per diventare davvero violenta, e so che ora non è tra le tue persone preferite, ma mi saresti di grande aiuto se venissi qui.» iniziai a camminare per il vialetto Salvatore, sovrappensiero.
«Per cosa? Sostegno morale o per controllarmi meglio?» chiese divertita, la risposta la conosceva già.
«Per darmi sostegno morale, e forse potrei anche volerti controllare un pochino, per assicurarmi che Silas non stia facendo qualche altro fastidioso giochino mentale.» Se preoccuparmi delle persone a me care mi rendeva una pazza maniaca del controllo, allora sì, ero una pazza maniaca del controllo.
«Sto bene, ok? Non sono più sotto il controllo di Silas. Penso che declinerò l'invito, Elena ha cercato di uccidermi.» temevo l'avrebbe detto. «Non sono ancora pronta per perdonarla e dimenticare tutto.» avrei potuto ribattere a quelle parole, entrambe sapevamo che questa non era la vera Elena, le sue azioni erano fuori controllo, ma sapevo anche che non avrebbe comunque funzionato.
«Ti chiamo più tardi, ok? Devo andare» concluse e riattaccò.
Doveva andare. Riposi il telefono nella tasca ancora innervosita.
Aveva tentato di ucciderla, non aveva appena cercato di uccidere me per la seconda volta? C'era bisogno di tutto l'aiuto possibile per riuscire a riavere la nostra Elena indietro, Matt non avrebbe di certo negato il suo aiuto, visto che Stefan non sapeva davvero come poterla aiutare, avremmo dovuto trovare una nuova soluzione.
Qualcuno di certo sapeva quello che avremmo dovuto fare, qualcuno su questo mondo da fin troppo tempo, Klaus.
Lui sapeva sempre tutto. Sorrisi involontariamente esaurita. Possibile che tutto riportasse a lui? Ringhiai arrabbiata.
Estrassi le chiavi dell'auto ma accidentalmente mi caddero a terra, quando mi chinai a coglierle un rumore insolito oltre la mia auto mi mise in allarme. Mi rialzai lentamente senza togliere lo sguardo dal bosco da cui era provenuto il rumore, con delicatezza riposi le chiavi in tasca scrutando ogni angolo della boscaglia. Non vedevo nulla ma sapevo e sentivo che qualcuno mi stava fissando ma non riuscivo ad immaginare chi fosse.
«Chi c'è là?» urlai in tono sicuro.
La presenza che sentivo di fronte a me si mosse improvvisamente posizionandosi alle mie spalle, mi voltai di scatto ed ora era davanti a me. Lo fissai dritta negli occhi, scossa per l'insicurezza di essere osservata, di poco prima, sconvolta per il sorriso dell'uomo che ora era ad un solo passo da me. Quell'uomo che era stato nei miei pensieri da quando non avevo più potuto posare lo sguardo su di lui, da quando era fuggita da casa sua, quell'uomo che non avrei creduto di rivedere presto se non quella mattina nei miei sogni.
«Oh, mio Dio» fu l'unica esclamazione che riuscì a pronunciare, completamente spiazzata.
«Ciao, Caroline» ed ecco la sua voce colpirmi, la segreteria non gli rendeva giustizia.
«Klaus?» ero troppo incredula di trovarmelo davanti.
Lui continuò a sorridere senza dire nulla, aspettando che riacquistassi quelle facoltà mentali di cui ora sembravo essere priva. Ci guardammo ancora per qualche istante poi iniziai a parlare, il controllo e la razionalità sarebbero tornate a loro tempo.
«Come sapevi dove fossi?» che domanda idiota, avrebbe potuto trovare chiunque in capo al mondo, ma se pur dalla risposta sciocca questa domanda mi avrebbe permesso di guadagnare tempo e riprendermi.
«Non è orario di scuola,» iniziò a spiegare lui in tono calmo «sono passato e casa tua e non c'eri, così come in città, Elena non ha più una casa e poi» guardò il pensionato Salvatore ma io non seguii il suo sguardo, fisso su di lui «questo è sempre stato una specie di quartier generale per voi» sorrise divertito.
«Ma preferirei che fossi l'unica a sapere della mia presenza qui» sussurrò tornando a voltarsi in mia direzione. Allungò un braccio in direzione del bosco da cui proveniva, invitandomi ad entrarvi. Senza fare domande seguì le sue istruzioni, sorpresa di essere così accondiscendente.
Muovemmo qualche passo senza dire nulla, uno accanto all'altra. Per quanto la sua presenza lì ancora mi confondesse, sentivo di aver riacquistato in parte la mia sicurezza e soprattutto la mia curiosità e la capacità di fare domande più intelligenti.
«Hanno detto tutti che te n'eri andato per sempre, e così pensavo anch'io» È quello che aveva della quella sera. Che se ne sarebbe andato visto che ormai Mystic Falls non aveva più nulla da potergli offrire.
«È vero.» ribatté «Ma non ho mai voluto andarmene senza dirti addio» ci eravamo detti addio, lui a modo suo me lo avevo detto ma io avevo trasformato quell'addio in un arrivederci.
Mi tornarono alla mente le parole di Elena 'A nessuno piace essere preso in giro.' Era tornato per dirmi addio, per assicurarsi che l'avevo solo preso in giro sino ad ora? Non lo avevo preso in giro ma la sua presenza lì mi faceva ricredere delle mie azioni, gli avevo dato delle false speranze? Iniziai ad innervosirmi con me stessa, arrestando il passo potendolo così guardare in viso.
«Non mi devi nessuna spiegazione» non doveva sentirsi in dovere con me per alcuna ragione «Stai andando avanti. Vai pure, non esitare» iniziai a farfugliare cercando di dare l'impressione che non mi importasse, fallendo nell'intento.
«Be', è proprio questo no? Non ho mai avuto intenzione di andare avanti.» Lo guardai confusa e lui fece lo stesso. Non voleva andare avanti? Era per questo che se n'era andato a New Orleans, passare oltre quello che era successo qui e dimenticarsi di questa inutile esperienza.
'Non c'è più nulla per me qui' questo aveva detto e l'intenzione di buttarsi tutto alle spalle era la conclusione a cui ero giunta io.
«La verità è che ho cercato di smettere di pensare a te» continuò e quello sguardo indagatore che aveva poco prima fu rimpiazzato da uno sincero e malinconico «e non ci riesco»
Quelle parole mi colpirono e percepii una fitta allo stomaco.
Sbuffai allontanandomi da lui, non potevo pensare nemmeno per un secondo che quelle parole fossero vere, non riuscivo a reggere quella situazione, non confusa com'ero.
«Vieni a New Orleans» aggiunse velocemente in tono supplichevole.
Mi portai le mani sulla testa, stavo impazzendo. Ecco l'invito che mi spaventava
«Di cosa hai paura?» mi domandò cercando di capirmi.
«Di te!» risposi d'istinto come la Caroline del sogno di quella mattina, voltandomi di scatto verso di lui. «Ho paura di te!»
Rimase interdetto e la sua espressione si fece vacua.
Iniziò ad avvicinarsi a passo lento mentre io rimasi immobile a guardarlo e ad ascoltare le sue parole «Non sarebbe più preciso dire che hai paura di te stessa?» crucciai il viso iniziando a riflettere «dei tuoi desideri più oscuri?» quali erano i miei desideri più oscuri? Ero confusa di ogni cosa in quei giorni, non potevo pensare a quali fossero i miei desideri, quello che avrei potuto scoprire mi avrebbe spaventato. Non ero mai stata così confusa in vita mia.
«Elena aveva ragione, vero?» Elena? Mi stupì riportando l'attenzione sulle sue parole. Era tornato ad essere quel Klaus arrogante e minaccioso.
«In profondo,» La vicinanza a cui ora ci trovavamo non mi infastidiva, ne ero completamente indifferente in quel momento «desideri che qualcuno sconvolga la tua vita perfetta» arrestai ogni altro tipo di pensiero. Non poteva sapere quello che Elena mi aveva detto solo pochi minuti prima.
Lo scrutai negli occhi, qualcosa non tornava. «Come fai a sapere ciò che mi ha detto Elena in quella cella?» in quell'istante realizzò di aver commesso un passo falso. Mi afferrò di forza le braccia sbattendomi contro il tronco dell'albero di un passo alle mie spalle. L'impatto fu brusco ma più improvviso che doloroso. Non potevo muovermi, costretta nella sua presa.
«D'altra parte, c'è tanto di cui aver paura, vero?» Mi afferrò con una mano per il collo costringendomi così a guardarlo. Klaus non era mia stato così, violento e insensibile, non con me.
«Come di ciò che ti farò se la tua amica Bonnie non uscirà dal suo nascondiglio. Dov'è?» ora mi era tutto chiaro. Non era il mio Klaus quello.
«Silas» sussurrai giungendo alla soluzione, ma dal suono della mia voce traspariva quanto fossi terrorizzata in quel momento.
«Dov'è?» urlò una seconda volta.
I miei respiri accelerarono.
«Non è a casa. Non è da nessuna parte.» pronunciò divertito ma seccato, il suo viso a pochi centimetri dal mio. «Bonnie sta facendo dei giochetti con me e non mi piace»
La presa al collo si fece più stretta e non potei trattenere un lamento.
Portò l'altra sua mano sulla mia nuca, avvicinando le sue labbra al mio orecchio.
«Trovala prima che inizi ad uccidere qualcuno, magari inizierò da tua madre.» il sangue mi si raggelò nelle vene al pensiero di mia madre, vulnerabile davanti a quest'essere invincibile.
«Dille che la sto cercando» mi sussurrò «Dille di uscire dall'ombra. Dille che questo» un paletto di legno centrò in pieno il mio petto ed un urlo di dolore uscì dalle mie labbra «è solo l'inizio» mi sussurrò all'altro orecchio.
Portai entrambe le mie mani sul paletto mentre il respiro si arrestava. Non riuscii a vedere dove Silas fosse finito perché persi immediatamente i sensi.

 


 

Stavo correndo con la mia auto, superando ogni limite di velocità, dopo essermi risvegliata nel bosco con nessun paletto là dove pensavo di trovarlo. L'oscurità era già calata, ero rimasta priva di sensi per diverse ore ma al mio risveglio il primo pensiero fu rivolto a mia madre ad alle minacce che Silas aveva fatto, dovevo proteggerla.
Arrestai bruscamente l'auto nel vialetto di casa estraendo il cellulare dalla tasca e componendo il numero di Bonnie, come nei giorni precedenti, non rispose.
«Bonnie, perché non rispondi?» iniziai a lasciarle velocemente un messaggio in segreteria mentre infilavo le chiavi nella serratura ed entravo in casa «Silas non si arrenderà così facilmente. Sei l'unica che può fermarlo. Chiamami»
Ero presa dal panico, Silas mi aveva mostrato quando debole fossi e quanto era in grado di ferirmi, le minacce a mia madre mi avevano completamente sconvolta.
Alzai lo sguardo sul corridoio, mia madre mi stava venendo in contro.
«Caroline, che succede?» poco prima l'avevo chiamata ordinandole di chiudersi in casa e non lasciar entrare nessuno, nemmeno me, ma come potevo ora essere certa che quella davanti a me fosse realmente mia madre e non un'altra delle allucinazioni di Silas?
«Mamma, non avvicinarti ancora, fermati!» le ordinai.
Lei confusa arrestò il passo, fissandomi «Che c'è?»
«Non so come capire se sei davvero tu, e se fosse un altro trucco? Può entrarmi nella mente, avrebbe potuto sapere che ti ho chiamata» ragionavo a voce alta senza riuscire a venire a capo del problema.
«Ok, Caroline» cercò di tranquillizzarmi lei, facendosi più vicina. «Sono io, sono tua madre. Non so cosa stia succedendo ma andrà tutto bene. Ok? Devi solo parlarmi» esattamente quello che anche Silas mi avrebbe potuto dire, non mi fidavo.
Estrassi il telefono, nelle chiamate rapide trovai il suo numero e lo chiamai. Un istante dopo il suo cellulare, nella tasca della persona che mi era di fronte, squillò. Sospirai rilassandomi.
«Ciao, come va?» rispose lei al telefono.
«Meno male» le corsi in contro abbracciandola. «Mamma sei tu» sospirai ancora stringendola, mentre lei ricambiava l'abbraccio.
«Ora me lo vuoi dire cosa sta succedendo?» mi sussurrò.
Raggiungemmo il salotto di casa dove in breve le raccontai tutta la storia di Silas da cui l'avevo ancora, in parte, tenuta allo scuro. Seguì ogni mia parole e dal suo volto non traspariva nessuna emozione, non doveva sorprendersi ormai delle orrende cose che si nascondevano nel mondo sovrannaturale di cui sua figlia faceva parte.
Provai a chiamare nuovamente Bonnie mentre lei non proferì parola.
«Bonnie non ha ancora richiamato» ero più tranquilla ora ma non del tutto. «Non capisco perché non mi abbia chiamata» doveva averlo di certo sentito il messaggio che le avevo lasciato e l'agitazione che traspariva dalla mia voce l'avrebbero dovuta allarmare.
All'improvviso, qualcuno cercò di aprire la porta d'entrata, che avevo prontamente chiuso a chiave. Sia io che mia madre sobbalzammo.
«Caroline» una voce familiare, Bonnie. Raggiunsi velocemente l'entrata.
«Eccoti» bofonchiai, felice che fosse finalmente arrivata.
«Che succede?» chiese confusa e quella domanda mi fece rinsavire. E se non fosse Bonnie quella all'entrata? Bloccai il mio passo a metà del corridoio.
«Stai bene?» domandò lei.
«Ti sto chiamando da ore» ribattei cercando di capire se quella fosse realmente la mia amica o quello spietato mostro.
«Scusa. Sono arrivata appena ho letto il tuo messaggio» iniziò insistentemente a cercare di aprire la porta «Caroline, fammi entrare. Lascia che ti aiuti»
«Come faccio a sapere se sei davvero tu?» le domandai confusa «Silas continua a entrarmi nella mente, mi aggredisce. Dice che vuole sapere dove ti trovi. Ha minacciato mia madre.»
«Caroline?» mia madre comparve alle mie spalle.
«Resta lì mamma» non doveva avvicinarsi finché non fossi stata certa che quella fosse realmente Bonnie.
«Caroline» urlò Bonnie «quella non è tua madre.» Spalancò la porta usando la magia.
Mi voltai nuovamente verso mia madre che un istante prima avevo visto alle mie spalle ma dove ora, nell'oscurità, si nascondeva Silas.
«Oh, mio Dio» esclamai.
«Pensavi davvero di poterti nascondere da me, Bonnie?» pronunciò lui con una voce surreale.
«Ora sono qui. Cos'hai fatto a sua madre?» avanzò Bonnie mentre io paralizzata lo fissavo.
«È proprio dove l'hai lasciata» le rispose.
«Mamma?» la chiamai. A quel punto pensavo non fosse rientrata affatto in casa.
Lasciai il corridoio catapultandomi nel salotto, dove la trovai a terra sul tappeto, priva di senti. «Mamma!» la chiamai di nuovo.
Le sentii il battito, era davvero debole.
Mi morsi immediatamente un polso avvicinando il mio sangue alle sue labbra.
«Andiamo, ti prego!» doveva funzionare.
«Ti prego, ti prego, ti prego. Mamma...» non stava bevendo il mio sangue mentre il suo battito si faceva sempre più debole.
«Forza, apri gli occhi, mamma. Hai bisogno del mio sangue nel tuo corpo. Forza, mamma!» le urlai mentre lei non dava segni di vita.
Allontanai il mio polso. «Ti prego svegliati mamma» la pregai mentre non riuscii a trattenere le lacrime.
«Mamma? Mamma?» non potevo disperarmi ora, dovevo pensare in fretta, dovevo salvarla.
Il kit di pronto soccorso! Ne teneva sempre uno in casa. In una frazione di secondo lo avevo tra le mani, frugai al suo interno e ne estrassi una siringa.
«Ok, questo funzionerà» La stappai e la ficcai dritta nella mia carotide. La riempì velocemente e la tornai ad estrarre, mirai bene e la conficcai nel petto di mia madre, dritta al cuore. Le somministrai il mio sangue che sarebbe entrato subito in circolo, in una frazione di secondo.
«Mamma?» la chiamai ma ancora non mi rispondeva. Non potevo fare altro.
«Apri gli occhi» la supplicai mentre una lacrima mi rigava il viso.
Le presi il viso tra le mani, scuotendola leggermente. «Andiamo, svegliati. Devi svegliarti.» era un ordine disperato. «Devi vedermi diplomata.» Non poteva lasciarmi anche lei.
«Giuro che ti porterò via da questa città» iniziai a blaterare nel più completo sconforto «e ti troverò un brav'uomo e..» non riuscivo nemmeno più a parlare.
Le afferrai una mano portandomela al viso «Mamma» sussurrai stringendola.
Proprio quando temevo di aver fallito, di aver perso anche lei per sempre, riaprì gli occhi iniziando a tossire. Rimasi sbalordita ad occhi aperti, colma di gioia.
«Mamma» la aiutai ad alzarsi stringendola.
Mi allontanai per guardarla ancora mentre lei mi passava la mano sul braccio, confortandomi.
Non potei controllare le lacrime che scesero più abbondanti di prima. La strinsi di nuovo in un abbraccio.
«Mi dispiace, mamma» le sussurrai tra un singhiozzo e l'altro.
«Va tutto bene tesoro. Sono qui» mi strinse anche lei, la sua voce era roca «Non vado da nessuna parte» cercava di rassicurarmi mentre le mie lacrime non accennavano a fermarsi.
Il mio cuore non sembrava essere ancora tornato a battere.

Per una frazione di secondo avevo pensato di averla persa. Per una frazione di secondo pensavo di essere rimasta sola. Per una frazione di secondo ero stata più spaventata che mai, in vita mia.

 

 

Spazio autore:

Ed eccoci con il 3° capitolo, purtroppo ci ho messo più del previsto. Il capitolo è interamente ispirato dalla 4x21 che ho seguito pari pari, tranne ovviamente per il sogno iniziale. Caroline in questo episodio mi era particolarmente piaciuta, spero di averla resa al meglio.
Spero di non avervi deluso con questo capitolo, che vi sia piaciuto e che la storia continui a piacervi.
Continuerò a seguire gli ultimi due episodi della serie Tv aggiungendo qualcosa di mio, qualcosa che ovviamente farà capire come Caroline inizierà ad ''avvicinarsi'' a Klaus. Da ora in poi inizierò a postare un capitolo a settimana perchè ormai ne ho scritti un paio, anche se a grandi linee. 

Ringrazio tutte le meravigliose persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, seguite, ricordate ed anche i lettori silenziosi. 
Ringrazio infine coloro che hanno recensito il precedente capitolo:

Mery1992
buffy46
Anna Veronica
pillyA
Miss love94
elyforgotten
Tv_dipendente
Tess 36
MissTVD96
Greta_Mrg
carolineMmikaelson
Elyxa85
Splende il sole

Grazie mille, le recensioni sono davvero molto importanti :)

Un bacio a tutti e alla prossima settimana,
ELLEcrz.

PS: spero che le foto ad inizio capitolo vi piacciano ;)


PPS: lo so che si scirve 'I'm afraid.' ma il font che ho usato non presenta l'uso dell'apostrofo. pff

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Capitolo 4
*** Capitolo 4-He's a weakness. ***


PERICOLO SPOILER EPISODIO 4x22
('He s' invece che 'He's' è un errore, nelle parole di Brad Pitt, 'Inevitable')

He s a weakness


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Era passato un solo giorno da quando avevo creduto di aver perso tutto. Perdere mia madre sarebbe stato come perdere tutto. Sarei rimasta sola, sola con un eternità davanti.
Per fortuna era ancora qui, insieme a me, cercando di sopravvivere in un mondo che sempre più la terrorizzava, quel mondo di cui io facevo parte.
Terrorizzava lei quanto me, ero costretta continuamente a guardarmi le spalle e diffidare sempre di chi mi stava davanti, ora più che mai.
Mi sono sempre ritenuta una ragazza forte e coraggiosa, affrontavo le avversità a testa alta, senza paura, con decisione, ma ogni mia certezza era miseramente crollata.
Silas era riuscito ad entrarmi nella testa senza la minima fatica, riuscendo a confondermi con Klaus, ero fuggita in preda al panico, non ero riuscita a proteggere mia madre e a malapena a salvarla.
La abbracciavo, grata che fosse ancora con me, prima di lasciare il soggiorno ed uscire di casa.
Cosa c'era da salvare di quella giornata catastrofica? Elena era tornata. O meglio, una parte di lei.
Aveva sì riacceso le sue emozioni ma aveva concentrato ogni sua terminazione nervosa sull'odio che provava nei confronti di Katherine, nel desiderio di ucciderla, nel desiderio di vendetta. Non era, perciò, tornata realmente.

Al Grill, era lì che la stavo aspettando, accomodata ad uno dei tavoli all'esterno- Quel pomeriggio primaverile, se pur soleggiato, era mite e leggermente ventoso. Nell'attesa, estrassi il blocco di buste e francobolli dalla borsa, posizionandoli tatticamente sul tavolino, preparandomi psicologicamente a compilare un numero infinito di lettere.
«Quante sono? 200? 300?» mi chiese Matt divertito, avvicinandosi al mio tavolo.
Mi voltai in sua direzione con sguardo solenne «Su per giù, direi di sì!» pronunciai altezzosa «In qualche modo dovrò pur pagarmelo il college» continuai prima che entrambi scoppiassimo a ridere.
«Io invece rimarrò qui a servire i tavoli del Grill» aggiunse in tono ironico e malinconico allo stesso tempo.
Non ebbi il tempo di ribattere perchè Elena sopraggiunse in quel preciso istante con un timido «Ehi»
«Elena» pronunciammo all'unisono io e Matt.
L'imbarazzo era comprensibile, qualche giorno prima aveva pur sempre cercato di uccidere entrambi, di certo non le avremmo potuto portare rancore per questo, consapevoli non fosse realmente 'lei'.
Ci scambiammo qualche sguardo prima di riuscire a spezzare il ghiaccio.
«Sarà meglio iniziare a scrivere questi maledetti inviti, sono un'infinità ed, ok che ho l'eternità davanti ma ci terrei a spedirli prima di diplomarmi» scherzai riuscendo a strappare un sorriso ai miei interlocutori.
Elena si accomodò sulla sedia di fronte alla mia.
«Se avete bisogno di qualcosa, fate un cenno» ci invitò Matt prima di rientrare dentro il locale.
Le passai alcune lettere, insieme a francobolli e penna, sicura che di suo non li avrebbe portati. Piombammo così in un silenzio pesante. Mi concentrai sui miei indirizzi controllandola con la coda dell'occhio, traspariva perfettamente quanto svogliata fosse. Stava staccando il suo primo francobollo quando io ne avevo ormai incollati una decina, concludendo il primo gruppo di parenti ed amici.
«Francobollo, per piacere» le chiesi.
Me lo porse trattenendo probabilmente un sospiro ed iniziando finalmente a parlare.
«Non devi fingere di essere gentile con me, Caroline. So che è solo un piano per farmi distrarre»
Alzai lo sguardo su di lei, prestandole attenzione. Chiuse la penna che le avevo dato, riponendola sul tavolino.
«Hai finito?» chiesi stupita «Sono solo al mio secondo gruppo» guardai la decina di lettere già compilate sul tavolo.
«Abbiamo amici di famiglia a Denver.» mi spiegò mostrandomi la lettera «a parte loro, a nessuno importa del mio diploma e ad essere onesti, nemmeno a me.» abbassò lo sguardo, quasi stanca.
«Sai, ti senti così adesso» replicai subito io cercando di convincerla «ma una volta che avrai superato questa fase di odio per Katherine..»
«Aspetta!» interruppe il mio flusso di parole «Sai dove si trova Katherine?» mi chiese con sguardo indagatore, più attenta alle mie parole che mai in quel pomeriggio.
«No, perchè dovrei saperlo?» non avrei dovuto tirare in ballo Katherine.
«Si ma Caroline, se lo sapessi me lo diresti, vero?» continuò ansiosa.
«Elena, sei ossessionata» le risposi sospirando annoiata e pronta a tornare sui miei inviti.
«Caroline, ascoltami» mi afferrò con forza la mano sorprendendomi. «Se sai dove si trova, devi dirmelo» mi ordinò agitata.
«Non lo so» allontanai la mia mano, liberandola dalla sua presa «Elena..» mi guardai intorno, cercando la calma «rilassati.»
Ci guardammo per alcuni secondi dritte negli occhi cercando di ristabilire un po' di calma. Per i minuti a seguire nessuna delle due proferì parola. Avevo ripreso il ritmo nello scrivere gli inviti mentre lei si guardava intorno, seccata.
«Io entro» mi avvertì alzandosi di scatto.
Non dissi nulla e continuai il mio lavoro senza distrarmi ulteriormente. Avrei potuto risparmiare tempo facendo stampare gli inviti ma scritti a mano facevano tutt'altra figura, erano più raffinati e curati
I prossimi sulla lista erano gli zii della Louisiana. Bob e Mary. Scrissi i loro nomi nella calligrafia curata che possedevo, a seguire, il loro indirizzo.

804 South Jahncke Avanue, Covington

Convington, lago Pontchartrain, sponda opposta: New Orleans. Klaus. Non potei controllare la mia mente. Non fu solo il collegamento tra le due città, distanti diverse miglia, a lasciarmi interdetta, quanto più il pensiero che ne seguì.
Se avessi spedito un invito a Klaus?
Mi guardai intorno, imbarazzata, come se qualcuno avesse potuto sentire i miei pensieri, come se qualcuno, puntando il suo sguardo su di me, potesse giudicare quel desiderio improprio che era nato nella mia mente.
Forse ero addirittura arrossita.
L'idea di quell'invito mi metteva a disagio perchè, in qualche modo, era proibito. Come potevo rinvitare il lupo cattivo in città?
Eppure quella parte di me che lo desiderava qui a festeggiare, in quel giorno speciale per me, prevaleva su quella razionale. L'idea di riaverlo qui mi dava un inquietante senso di completezza, come se la sua assenza non avrebbe reso il diploma perfetto come avrei desiderato che fosse.
L'unico problema? Sapevo si trovasse a New Orleans ma non avevo né indirizzo, né alcun modo per rintracciarlo.
Sbuffai, rilassandomi sullo schienale della sedia.
Abbandonando questi pensieri mi guardai nuovamente attorno, senza puntare lo sguardo su qualcosa in particolare. Guardai le persone sedute agli altri tavoli che chiacchieravano amabilmente o leggevano davanti una tazza di caffè, le ragazze che attraversarono la strada con in mano buste di diversi negozi, la coppia di anziani seduta sulla panchina all'aldilà del parco che discuteva su chissà quale argomento. L'enfasi nella gestualità della donna mi incuriosì perciò affinai l'udito e la vista per poter seguire la loro lite ma non appena li misi perfettamente a fuoco, riconobbi una figura alle loro spalle che puntava lo sguardo su di me.
Klaus?
Stava sorridendo, divertito come sempre.
Un colpo di vento improvviso fece volare via un paio dei miei inviti, dovetti controllarmi per non recuperarli ad una velocità che non sarebbe di certo passata inosservata. Quando puntai nuovamente lo sguardo sul parco, la figura era scomparsa.
Scossi la testa, sicura che fosse solo uno scherzo della mia mente, Silas o non Silas, mi era già capitato in passato di vederlo dove in realtà lui non si trovava.
Sorrisi di me stessa.
Raggruppai gli inviti che erano rimasti sul tavolo, decisa ad entrare al Grill e continuare dentro la stesura degli indirizzi, dato che ormai il sole iniziava a calare.
Il locale era abbastanza affollato, come era solito in pomeriggi come quello. Dopo aver visto Elena intenta a recuperare le freccette, mi diressi verso il bancone dove trovai un cliente indesiderato che si intratteneva con Matt. La presenza di Rebekah non mi sorprendeva affatto.
«Matt» mi annunciai sorridendogli «Rebekah» pronunciai il suo nome con meno enfasi.
«E buon pomeriggio anche a te Caroline» ribatté lei.
Non le badai e, poggiata la borsa sul bancone, ne versai il contenuto. Me ne mancavano ormai solo un paio, grazie al cielo, perchè ero davvero estenuata.
Non potei non notare lo sguardo che Rebekah rivolse agli inviti.
«Qualche problema?» le chiesi mentre trascrivevo un indirizzo.
«Mi stavo solo domandando, se avessi un innato spirito familiare o solo bisogno di un ingente quantità di soldi» il suo tono era ironico. 
«O ti sorprende solamente che io, a differenza tua, abbia qualcuno da invitare?» la guardi sorridendole ironicamente quanto lo era stato il suo tono poco prima.
La mia replica era al quanto scontata ma rimase interdetta ugualmente per una frazione di secondo.
«Non ti scordare l'invito per mio fratello allora, 2681 Coliseum Street, nel caso te lo stessi chiedendo e volessi anche lui qui» lo sguardo indagatore e malizioso che ne seguì mi stupì. «di certo io non lo voglio rivedere per i prossimi secoli.» fortunatamente spostò il discorso su di lei.
Il suo era di certo un commento acido nei miei confronti, quanto in quelli del fratello. Mi infastidiva che ogni tipo di connessione che ci fosse tra me e Klaus venisse anche solo menzionata dagli altri. Nessuno aveva il diritto di parlarne, perchè non c'era nulla da dire e specialmente, non sapevano realmente nulla.
Non seguirono parole mentre compilai gli ultimi inviti. Matt dietro al bancone continuò a servire drink e Rebekah, non so esattamente perchè rimanesse lì.
«E fine» sospirai soddisfatta.
«Finalmente» sussurrò lei.
Doveva sempre e comunque parlare.
Mi voltai leggermente sullo sgabello rivolgendomi al locale che si era affollato ancor di più. Osservando due ragazzi entrare riuscii a scorgere quello che stava succedendo fuori. La sera era ormai calata ed una specie di bufera si era scatenata, dato il movimento agitato delle foglie colpite dal vento.
«Dovrebbe piovere stasera?» chiesi spontaneamente.
«Ti sempre una meteorologa?» commentò lei annoiata.
La guardai, chinando leggermente la testa. Divertente!
Sospirai e lo sguardo mi cadde oltre Rebekah. Elena era ancora alle prese con le freccette.
«Qualcuno deve fare qualcosa, prima che esploda» mi rivolsi ad entrambi, preoccupata.
Tratteneva ogni tipo di emozione e la sua ossessione per Katherine la rendeva folle.
«Ci penso io» Rebekah saltò giù dallo sgabello, lasciando sia me che Matt di stucco.
Non ebbi il tempo di replicare, afferrò una bottiglia da dietro il bancone ed un bicchiere da shot. Non ci restò che seguire la scena da lontano.
«Che intenzioni ha?» chiesi a Matt ancora sconcertata.
«Chi può saperlo.»
Rebekah era infinitamente insopportabile, non l'avevo tollerata dal primo istante in cui l'avevo vista, e non solo per il fatto che ha cercato di ucciderci tutti fin da subito, ma per i suoi modi di fare, come questa ricerca di redenzione nei confronti di Matt, se però poteva tornarci utile, meglio per noi, le ero grata.
«Senti, Rebekah, ho capito che abbiamo avuto una fase stile Thelma e Louise quando le mie emozioni erano spente, ma lascia che chiarisca una cosa: non siamo amiche» Il tentativo di Rebekah non sembrava essere andato a buon fine.
Mi alzai dallo sgabello, raggiungendole.
«E noi, invece?» mi intromisi nel loro discorso «Siamo ancora amiche?» il suo comportamento era indecifrabile. «Tutte le cose che hai detto quando le tue emozioni erano spente, è davvero così che ti senti?» magari non aveva semplicemente il coraggio di ammetterlo.
«Caroline, non ho davvero voglia di fare un viaggio tra i ricordi» non era una risposta, e io ne pretendevo una.
«Beh, ma quando hai detto, e ti cito, 'sei un mostro ripugnante, succhiasangue e maniaco del controllo', pensi davvero quelle cose?» volevo solamente la verità.
Seguì una breve pausa durante la quale ponderò le parole che seguirono.
«Se stai aspettando delle scuse, non ne avrai» non era un no, anzi. Abbassai lo sguardo. «Non posso permettermi di sentirmi male, perchè se mi sento male, allora sento tutto e.. abbiamo visto tutti come gestisco la cosa» poteva nascondersi dietro questa scusa ora, ma non poteva continuare così per sempre.
All'improvviso le luci del locale si spensero e piombammo nell'oscurità.
«Ma che diavolo...» sbuffò Elena ormai alle mie spalle.
Vidi Matt dirigersi verso l'uscita, perciò lo seguii e lo stesso fece Rebekah. Non appena aprimmo la porta la forza del vento ci colpì. Era una vera tormenta, come se da un momento all'altro un tornado dovesse scatenarsi sulla città. Foglie, giornali, fogli, ogni cosa abbastanza leggera perchè venisse alzata ad almeno un metro da terra dal vento ora si trovava in aria. Era incredibile.
«La corrente è spenta ovunque» fece notare Rebekah.
«Chiamo mia mamma, magari sa cosa sta succedendo!!» Urlai perchè riuscissero a sentirmi. Estratto il cellulare rientrai aspettando risposta. Il locale era ormai quasi deserto.
Dopo un paio di squilli, rispose «Mamma, che sta succedendo?» non le lasciai il tempo di parlare.
«Tesoro, Stefan e Damon vi stanno raggiungendo. Si tratta di Silas» pronunciò quel nome con terrore mentre un brivido percorse la mia schiena. «Ti spiegheranno tutto loro.»
Riemersi dal mio stato di mutismo, sconvolta per la notizia ricevuta. «D'accordo.» pensai al peggio «Ti voglio bene, mamma.»
«Anch'io tesoro. Ci vediamo più tardi a casa quando quest'inferno sarà finito» mi rassicurò.
«Sì» risposi semplicemente prima di sentirla riattaccare.
Abbassai il telefono ed iniziai ad agitarmi. Il velo stava per cadere, un vero inferno si sarebbe scatenato.
Matt e Rebekah rientrarono. «Allora?» domandò lui.
«Non sono riuscita a sapere molto, vi basti sapere che si tratta di Silas. Il velo sta per cadere.»
Si scambiarono uno sguardo preoccupato e sconvolto.
«Cosa possiamo fare?» chiese Rebekah in torno allarmato.
«Damon e Stefan stanno arrivando e sapranno dirci qualcosa in più.» non sapevo nient'altro. Mi guardai intorno. «Matt dobbiamo fare un po' di luce» dovevo tenermi impegnata con qualcosa.
«D'accordo. Vado a prendere delle candele, tu controlla in magazzino, dovrebbero esserci delle torce»
«Ok» riposi secca cercando di calmarmi e dirigendoi verso il magazzino.
Le abilità da vampiro mi permettevano di poter vedere discretamente anche al buio. Controllai ogni scaffale sino a trovarne un paio nell'ultimo. Provai ad accenderne una, non funzionava.
«Forza!» Le diedi un paio di colpetti agitata, quando finalmente si accese riuscii in parte a rilassarmi anch'io.
Alzai lo sguardo seguendo il fascio luminoso. Quando notai che stava illuminando dei piedi sobbalzai ed un leggero grido uscì involontario dalle mie labbra. La pila mi cadde a terra. La riafferrai e terrorizzata ne alzai la luce sino ad illuminare il viso della persona che si trovava ad un paio di metri da me. Conoscevo quel cappotto e conoscevo ancora meglio quel viso.
«Klaus?» mugolii.
Lui crucciò il viso «Mmmh..Quasi» replicò.
«Silas» sussurrai flebile.
«Piacere di rivederti, Caroline» Mi portai le mani alla testa stringendo gli occhi, d'istinto, i battiti del mio cuore, come i respiri, accelerarono il loro normale ritmo.
«Non è così semplice sbarazzarsi di me» pronunciò in un sussurrò al mio orecchio, con quella voce seducente che non gli apparteneva. Quell'improvvisa vicinanza mi fece scattare all'indietro e urtare lo scaffale.
Tremante riportai la mani lungo i fianchi e cercai un po' del mio coraggio. «Cosa vuoi da me?» gli lanciai uno sguardo pieno di rabbia.
«Da te, tesoro? Assolutamente nulla»
«Non saresti qui, con tutto quello che sta succedendo là fuori, se non ti servisse qualcosa» gli feci notare. Un velo di sicurezza traspariva dal tono della mia voce.
«Be', è per questo che mi piaci» il tono e lo sguardo che mi rivolse pronunciando quelle parole mi invasero, confusero, come in un Dèjà vu.


«Giusto per essere chiari, sono troppo furba per farmi sedurre da te»
Quella panchina, la luna piena sopra le nostre teste, la sua sfida a prova a conoscerlo.
«Be', è per questo che mi piaci»


Mi stava facendo rivivere quel momento. «Esci dalla mia testa» gli ordinai, stringendo gli occhi e cercando di evadere da quei pensieri.


«Perchè mi sono ritrovata a sperare di poter scordare le cose orribili che hai fatto» la gola secca, le forze che mi abbandonavano man mano che il suo veleno si diffondeva.
«Ma non ci riesci. Puoi farlo?» quella flebile speranza nella sua voce.
Il coraggio che non ebbi nel rispondere di sì a quella domanda, sì potevo dimenticare ma non potevo dirglielo, non ne ero in grado.


Riaprii gli occhi e lui era ancora davanti a me. Sorridente e vittorioso.


«E perchè l'hai conservato?» il disegno regalatomi da Klaus, stretto tra le mani di Tyler.
«Non lo so» era la risposta secca che gli avevo fornito.


«Lo sapevi benissimo invece» di nuovo mi sussurrò all'orecchio. «Nel profondo del tuo cuore, lo sapevi il perchè, ma avevi paura ad ammetterlo, persino il solo pensiero ti spaventava»
«Tu non sai niente» gli urlai contro.
«Vedi Caroline, è tutto qui nella tua testa»


«Non sottovalutare il fascino dell'oscurità, Stefan. Anche i cuori più puri ne sono attratti»


Le sensazioni provate quando Klaus pronunciò quelle parole rivivevano ora in me, come se fossi di nuovo lì.
«Smettila.» sussurrai «perchè mi stai facendo questo?»


«Perchè sono un puro perfido e non posso resistere»
«No. È perchè sei ferito.»


«Basta» caddi in ginocchio, sconfitta.


«Sono esattamente dove voglio essere» afferravo il braccio di Klaus, sotto il sole di New Orleans.


«Ti fa soffrire?» mi domandò piegandosi sulle ginocchia e portando il viso alla stessa altezza del mio. «Perchè Klaus è una tua debolezza.»
Scossi la testa in segno di dissenso, non avevo la forza per replicare avendo sprecato ogni briciolo di energia cercando di liberare la mia mente dalla sua presenza.
«Caroline?» mi richiamò in tono accusatorio «lo sai.»
Non volevo che mi privasse di quelli che erano i miei segreti più personali.
Trattenni il respiro cercando di frenare la lacrima che rigò il mio viso. Avevo paura, mi sentivo indifesa, costretta a subire senza potermi ribellare chissà quale destino mi aspettasse. Sbattei la nuca contro lo scaffale alle mie spalle, facendo rovesciare a terra una scatola di arnesi.
Ero completamente impotente.
«Elena non aveva ragione. Non era lui che prendevi in giro, ma te stessa.» Non avevo nulla per cui replicare, la risposta la sapevamo entrambi.
«Ti piace il modo in cui ti fa sentire, non è così?» mi stava aprendo gli occhi su cose che già sapevo, che temevo e tenevo nascoste.
«Ti fa sentire forte, sicura di te, desiderabile» 'completa' sussurrai nella mia mente.
«Che interesse hai a mostrarmi tutto questo?» l'odio nei suoi confronti era palpabile mentre pronunciavo quelle parole.
«Mi piace semplicemente sfruttare le debolezze delle persone, dimostrare loro che non possono nulla.» ci pensò su «e per noia. Sono rimasto bloccato per 2000 anni, dovevo pur trovarlo un modo per passare il tempo.» afferrò una ciocca dei miei capelli. «e mi servivi. Tutto questo è solo un perditempo.»
Un rumore sembrò distrarlo, facendolo voltare verso la porta per una frazione di secondo.
Ripuntò i suoi occhi sui miei. «Ora devo andare, tesoro» raccolse da terra un coltellino estraendone la lama, lo avvicinò al mio polso e con un colpo secco mi tagliò. Me lo consegnò poi, poggiandone l'impugnatura sul palmo della mia mano «Continua a tagliarti» mi ordinò e quelle furono le ultime parole che percepii prima che ogni cosa piombasse nell'oscurità.
Venni avvolta come da una fitta nebbia. Attorno a me non esisteva più nulla. C'ero solo io, ed il coltellino che stringevo nella mano destra.
L'unica cosa che potessi fare? Continuare a tagliarmi.

Devo continuare a tagliarmi.

Devo continuare a tagliarmi.

Devo continuare a tagliarmi.




Una luce mi colpì, rischiarando la nebbia. Seguii con lo sguardo quella luce continuando imperterrita a tagliarmi.

«Caroline, perchè sei ancora qui..» non riconobbi quella voce che mi giunse ovattata e flebile.
«Devo continuare a tagliarmi.» risposi a chiunque fosse.
«Caroline!» la voce era più vicina ed acuta.
«Smettila Caroline!» iniziò a strattonarmi.
«Devo continuare a tagliarmi.»
«Smettila!» era una donna, credo.
Mi sollevò da terra, o almeno quella fu la sensazione, trascinandomi in un posto più luminoso, dove la nebbia venne solo in parte, impercettibilmente, dissolta.
«Oddio, Caroline» un'altra voce si aggiunse alla prima, più profonda, probabilmente maschile. Non potevo concentrarmi su di loro. Dovevo continuare a tagliarmi.
«Avvisa Damon che quella con loro non è Caroline ma Silas»
Mi face sedere nuovamente.
«Caroline, ehi, reagisci!» aveva preso la mia testa fra le sue mani.
«Ho bisogno di sanguinare» era l'unico sollievo che potessi trovare. Dovevo sanguinare, dovevo continuare a tagliarmi. Era l'unica cosa che sapessi fare. L'unica cosa che dovevo fare. «Silas vuole che io sanguini»
«Basta. Stai avendo delle allucinazioni» non capivo le sue parole.
Intravidi una lama poco lontana da me, mi lanciai di peso in sua direzione. «Lasciamelo fare. Ho bisogno di farlo»
«Ti taglierai via le mani!» non mi interessava. Cercai di usare tutta la mia forza per raggiungere quella lama, mi sentivo persa. Avevo bisogno di tagliarmi.
«Lasciami andare!» urlai.
«Hai provato a soggiogarla?» era ricomparsa la voce maschile mentre io cercavo di divincolarmi da qualsiasi cosa mi stesse trattenendo.
«Non posso. Ha bevuto verbena»
«Lasciami andare!» soffocavo, dovevo raggiungere quelle forbici.
«Ascolta, Caroline, ti stai per diplomare e lo zio Bob e la zia Mary vogliono davvero che tu lo faccia con entrambe le tue mani» avevo raggiunto il limite.
«Devo continuare a tagliarmi» mi rivolsi alla fonte della voce.
«Devo continuare a tagliarmi» la supplicai
«Devo continuare a tagliarmi» ripetei disperata.
«Basta!» urlò strattonandomi, alzandomi e colpendomi al viso, in piena guancia.


La nebbia si dissolse completamente in una frazione di secondo. Mi portai le mani alla testa socchiudendo gli occhi, confusa e furiosa.
Spalancai gli occhi riconoscendo finalmente di chi fosse quella voce femminile, chi mi aveva appena dato uno schiaffo, Rebekah.
«Stronza!» sputai adirata.
«Questa è la Caroline che conosco e detesto.»
Abbassai lo sguardo, cercando una spiegazione, persa.
Sollevai leggermente le mie mani insanguinate, sussultando. Cos'avevo fatto?
«Caroline.» sussurrò Matt alle mie spalle. Mi voltai verso di lui senza scostare lo sguardo dalle mani. «Caroline, va tutto bene. Ora stai bene» cercò di rassicurarmi.
«Devo...» sospirai lo guardia negli occhi vacua «Devo lavarmi i polsi» affermai ancora sconcertata.
Afferrai una candela e raggiunsi il bagno. Aprii il rubinetto e lasciai i polsi sotto l'acqua corrente, in qualche modo, l'acqua calda riuscì a rilassarmi.
Feci lunghi respiri, riequilibrando respirazione e battiti cardiaci. La parte fisica sarebbe stata più semplice rispetto a quella psicologica che mi aspettava.
Silas si era completamente preso gioco di me. Sfruttando la mia debolezza. La mia debolezza? Si, Klaus lo era. Era inevitabile ripensare a tutte le cose che mi aveva detto, i ricordi che aveva fatto riemergere, le paure ed i segreti che avevo nascosto a tutti, e sopratutto a me stessa.
Feci un altro lungo respiro.
Chiusi il rubinetto ed asciugai le mani nell'asciugamano pulito preso sotto al lavandino.
Alzai lo sguardo sul riflesso del mio volto allo specchio. Era a dir poco stravolto. Mi sciacquai anche il viso, cancellando ogni segno di quello che era successo.
Inspirai ed uscii dal bagno.
«Ehi» Matt mi stava aspettando appoggiato al muro. «Tutto a posto?» mi chiese dolcemente, con quel tono amorevole che era solito usare.
«Si, grazie Matt»
«Non è me che dovresti ringraziare» puntualizzò ironico.
Entrambi ci voltammo a guardare Rebekah che dall'altra parte del locale stava sistemando il piccolo disastro che dovevo aver causato.
Mi avvicinai sollevando lo sgabello al bancone.
«Ehi» sussurrò lei guardandomi.
«Ti...» schiarii la voce «Ti volevo ringraziare, Rebekah» pronunciai sincera ed imbarazzata.
«Non c'è di che» segui un breve momento impacciato «Era da un po' che volevo farlo, a dire il vero.» aggiunse ed entrambe non trattenemmo una risata.
«Cercherò di ricambiare il favore se si presenterà l'occasione.»
A seguire, tutti e tre, piombammo in un silenzio statico, agitati ma silenziosi, ansiosi di ricevere notizie. Non potevamo fare altro che aspettare.
Ero agitata ed ancora scossa per quello che era successo, desideravo non ripensarci, ma era inevitabile. Mi sedetti su uno degli sgabelli del bancone, accanto alla mia borsa. Raccolsi gli inviti che erano ancora sparsi sul piano bar, un paio erano rimasti immacolati. Ne afferrai uno e rimasi a guardarlo, rigirandolo tra le mani, la carta ruvida sfiorava la mia dita, mentre me lo passavo da una mano all'altra.
L'ultima volta Silas mi aveva conficcato un paletto di legno dritto al cuore ma quello che era successo oggi mi aveva spaventato molto di più. Forse perchè avevo già avuto modo di tremare al solo suono del suo nome, dopo aver conosciuto quello che era in grado di fare, forse perchè mi aveva spogliato di ogni mio segreto, mettendomi difronte a quella mia segreta paura, tutto questo nella costante minaccia di rimanere ferita fisicamente e non solo psicologicamente.
Klaus. Da quando era diventato una mia debolezza? Come poteva esserlo diventato? Lo ero stata io per lui, o almeno era per questo che usavano sempre me per distrarlo, sfruttavano quell'inclinazione che lui sembrava provare nei miei confronti. Ma lui. Lui non poteva essere una mia debolezza. Era stato lui stesso, in qualche modo, ad insegnarmi ad essere forte, era anche per merito suo che mi sentivo coraggiosa e capace di fronteggiare il mondo. Era una mia debolezza perchè era una mia insicurezza.
Sì, mi sentivo insicura perchè ogni cosa che lo riguardasse la nascondevo. Non volevo pensarci. Non doveva nemmeno esistere.
Non c'era ragione, motivo, azione al mondo che avrebbe dovuto portarmi ad avere un'inclinazione nei suoi confronti. Nessuna!
Accartocciai con una mano il foglio di carta.
Era difficile nascondere questi pensieri quando rimanevo sola, quando ero costretta a pensarci. Quando la sua assenza mi aveva messo di fronte al malsano significato che la sua presenza qui avesse per me.
Perchè era sbagliato, per un milioni di motivi.
Era sbagliata, spaventosa e pericolosa quella sensazione di nostalgia che provavo.
Non poteva mancarmi, non doveva.
Mi ero sforzata con tutte le mie forze di sopprimere queste emozioni, ma come potevo quindi criticare Elena. Io ero la prima a concentrare ogni mia fibra nervosa ed impedirmi di provare quelle specifiche sensazioni. Di fatto, sarei esplosa anch'io prima o poi.
Basta!
Afferrai un'altro invito, stappai la penna e stesi quell'invito:


Klaus Mikaleson
Coliseum Street 2681,
New Orleans.


Presi un francobollo e lo attaccai all'angolo. Richiusi la penna ed infilai quest'invito insieme agli altri dentro la borsa. Diedi un colpo secco al bancone e mi alzai. Afferrai la borsa e mi diressi all'uscita.
«Dove stai andando?» mi domandò Matt.
«Devo spedire gli inviti per il diploma» risposi, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
«Là fuori c'è la fine del mondo e tu pensi agli inviti?» mi domandò incredula Rebekah.
Un esercito di creature sovrannaturali assetate di vendetta si aggirava per la città e la mia preoccupazione era spedire degli stupidi inviti, tra cui quello per Klaus, per un'effimera cerimonia umana?
«Sì» risposi senza aggiungere altro, spalancando la porta.
Mi ero ripromessa che nulla mi avrebbe strappato questi preziosi momenti della mia umanità e così sarebbe stato, fine del mondo o non fine del mondo.
Il vento era scomparso, ora regnava un'inquietante calma piatta.
La buca per le lettere era poco distante dal Grill. Estrassi il pacco di inviti, abbassando il piccolo coperchio della fessura.
Infilai tutti gli inviti nella buca tranne quello di Klaus.
Iniziai a guardarlo, fissando quel nome, quell'indirizzo, quella città.
Ma che diavolo stavo facendo? Mi sentivo così sciocca. Cosa speravo di ottenere? O meglio, cosa volevo?
Probabilmente non avrebbe badato minimamente all'invito, probabilmente aveva ben altro a cui pensare a New Orleans, probabilmente, si era già dimenticato di me.
Non mi importava.
Infilai l'invito e richiusi la buca. Quel che era fatto era fatto!
Mi voltai soddisfatta diretta di nuovo al Grill senza aver alcun ripensamento.


Non feci in tempo a raggiungere la porta del locale che il cellulare nella borsa iniziò a squillare.
'Stefan.' Risposi immediatamente.
«Stefan. State tutti bene?» domandai subito preoccupata.
«È finita. Bonnie ha fatto tornare il corpo di Silas in pietra. Il velo è calato ed Elena è con Jeremy ora, è di nuovo Elena, la nostra Elena.» disse soddisfatto.
Sospirai sollevata e felice, immaginando Elena e Jeremy insieme in quel momento.
«E il corpo di Silas?»
«Ci stanno pensando Damon e Rick» il suono di quel nome mi causò un inevitabile tonfo al cuore.
«Rick» sussurrai.
«Sì, lui e Jeremy non sono però i soli ad essere tornati, ho appena dovuto seppellire il corpo di Kol in mezzo al bosco, e chissà chi altro c'è qui fuori.» L'immagine del corpo carbonizzato di Kol mi risalì alla mente. «Non ancora per molto. Bonnie sta rialzando il velo.»
Per quanto l'idea di trovarmi dinanzi ad un gruppo di sovrannaturali assassini potesse spaventarmi, il dolore per non avere l'opportunità di salutare né Jeremy né Rick era più intenso.
«Sarò lì tra qualche minuto.» mi avvisò e riattaccò.
Entrai al Grill con un sorriso smagliante che non sfoggiavo da giorni. Matt e Rebekah erano seduti ad un tavolo, li raggiunsi subito spiegando loro quanto Stefan mi avesse appena riferito.
Istintivamente io e Matt ci abbracciammo, felici.
«Ottimo. Visto che non c'è più alcun pericolo io me ne vado» avvisò Rebekah a suo modo felice e sollevata ma al tempo stesso in lieve imbarazzo.
«Grazie per la compagnia» intervenne Matt.
«E grazie per... Be' grazie» aggiunsi io.
«Certo.» ci rivolse un sorriso imbarazzato ma soddisfatto prima di lasciarci soli.
Abbracciai di nuovo Matt, troppo felice per il sollievo e la gioia che provavo.
Silas non era più una minaccia, eravamo vivi, stavamo tutti bene, Elena era tornata Elena.
«Sarà meglio iniziare chiudere» suggerì Matt, dirigendosi verso il retro del locale.
Proprio quando scomparve dalla mia vista, giunse Stefan che, con una strana aria sconfitta in volto, si sedette al primo tavolo.
Afferrai dal bancone una bottiglia e due bicchieri prima di raggiungerlo.
«Bene, sei qui» mi introdussi sedendomi al suo tavolo «Dobbiamo festeggiare»
«Beh, non sono proprio dell'umore per festeggiare» confessò.
«Che problema hai?» iniziai ad aprire la bottiglia «Silas è morto, o quello che è, e tu te ne stai seduto lì in stato vegetativo.» Cosa c'era che non andava? Lo fissai dritto negli occhi.
Sospirò.
«C'era qualcuno che pensavo avrei visto oggi, e non è successo. Tutto qui» fu sincero e profondamente malinconico.
'Lexi'. La sua migliore amica. La sua tristezza mi contagiò.
«Sarà meglio che tu non stia parlando di me» una voce femminile che non avevo mai sentito si aggiunse alla nostra conversazione.
Alzai lo sguardo, era dietro di lui.
Stefan mi guardò incredulo, cercando conferma leggendo la mia espressione.
«Non ci credo» si voltò e si sorrisero. L'abbraccio che segui fu così perfetto che mi commosse, il mio cuore si riempì di gioia nel vederli.
Non avevo mai avuto modo di conoscere Lexi ma sapevo che aveva salvato Stefan, più di una volta, e questo mi bastava per adorarla. Mi bastava per essere onorata quando Stefan mi aveva paragonata a lei.
«Grazie per averlo tenuto d'occhio questo qui» si rivolse a me.
Annuì con un cenno del capo, sorridendo.
Si allontanarono per trascorrere insieme quegli ultimi istanti prima che il velo fosse sollevato nuovamente e io di certo non volevo intromettermi in quel momento che doveva essere solo loro.
Ora anche Stefan era felice, ora era tutto perfetto.

Tutti stavano bene, io stavo bene.

Silas se n'era andato.
I miei segreti, i miei pensieri, le mie paure erano di nuove solo mie ma probabilmente non sarebbero più rimaste nascoste nel profondo del mio cuore, come prima. 




Spazio autore:

E FINALMENTE ecco il 4° capitolo. Spero davvero che l'attesa venga ripagata. Personalmente sono molto fiera di questo capitolo. Finalmente Caroline ha dovuto fare i conti con quello che prova per Klaus grazie al nostro amico Silas. :)
Ho come sempre seguito il telefilm e vi avviso che solo il prossimo capitolo seguirà interamente il telefilm poi questa storia avrà il suo vero e proprio inizio. 
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, in particolar modo la scena tra Silas e Caroline che mi ha impegnato maggiormente e sulla quale ero meno convinta.
Vi chiedo scusa per questo ritardo ma queste due ultime settimane di scuola sono state davvero impegnative ed ora inizia la preparazione per gli esami ma avrò certamente più tempo a disposizione per il mio amato Klaroline.
Detto questo, ringrazio come sempre chi ha 
aggiunto la storia alle preferite, seguite, ricordate ed anche i lettori silenziosi.
Grazie a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo:


Mery1992
TheOtherSalvatore
Elyxa85
Tv_dipendente
elyforgotten
Greta_Mrg
pillyA
Miss love94

Come saprete, le recensioni sono molto importanti, perciò grazie grazie grazie per aver impeganto un paio di minuti ed avermi scritto il vostro parere, via recensione ma anche via messaggio privato. Davvero GRAZIE.

Direi che è tutto Sweethearts, alla prossima,
Un bacio,

ELLEcrz.



ps: spero il capitolo non sia troppo lungo :P

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Capitolo 5
*** Capitolo 5-Graduation -part 1- ***


PERICOLO SPOILER EPISODIO 4x23

Graduation

-part 1-



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Eccola lì, la sveglia che interruppe il mio sonno. Allungai un braccio e la spensi.
Oggi era il grande giorno, l'ultimo giorno.
Una sorta di ansia e panico mi avvolse al solo pensiero che quello sarebbe stato l'ultimo giorno. L'ultimo giorno della mia gioventù. L'ultimo giorno del liceo.
Rimasi nel letto. Non volevo iniziare questa giornata, anzi, volevo tornare a quattro anni prima, al primo giorno di scuola, quando tutto doveva avere ancora inizio, quando tutto era più semplice.
Strinsi il cuscino con entrambe le braccia. Come poteva il tempo essere trascorso così in fretta?
Ripensai al primo anno. Mi sentivo cambiata rispetto a quei giorni, ma ero pur sempre la stessa Caroline. Meno sciocca e piena di me, meno incurante e invadente, in fondo mi comportavo così perché ero insicura, insicura di me stessa.
Sorrisi tenendo ancora gli occhi chiusi.
Dovevo essere proprio insopportabile e fastidiosa.
Ripensai alla primavera dell'incidente dei genitori di Elena, da quel momento, tutto sarebbe cambiato. Sarebbe cambiata lei.
L'arrivo di Stefan sancisce il vero inizio del cambiamento, con il suo arrivo tutto il nostro mondo cambiò. Piombammo in questo universo sovrannaturale, pericoloso e spietato. Se non si fosse avvicinato ad Elena dove saremmo ora? Se non l'avesse salvata vivrei oggi con una migliore amica in meno.
Come si può stare lontani dall'amore? Lui ed Elena erano destinati ad innamorarsi e sono destinati a rincontrarsi, prima o poi.
La mia trasformazione. Conservo un ricordo doloroso di quel momento perché macchiato dal sangue di quell'innocente ragazzo, della cui morte non mi perdonerò mai. Mi ero trasformata, ma non era solo la mia natura biologica ad essere cambiata, anche quella caratteriale lo era. Quella forza sovrannaturale aveva reso forte anche me, quelle abilità mi fecero acquistare più sicurezza, l'immortalità più consapevolezza di me stessa e di quello che avrei potuto fare.
La trasformazione in vampiro era stata quasi una benedizione, più che una maledizione. Non saprò mai cosa significhi invecchiare, non conoscerò la gioia di stringere tra le braccia mio figlio, vederlo crescere, insegnargli cos'è giusto o sbagliato. Questa era l'unica cosa che rimpiangevo.
Mi rigirai nel letto allontanando questo pensiero, aprendo finalmente gli occhi. La porta della mia camera era socchiusa. Mia madre doveva essere passata mentre dormivo, lo faceva spesso, ed il più delle volte me ne accorgevo. Chissà cosa doveva aver passato lei in questi anni, il divorzio da mio padre, il buttarsi a capofitto sul lavoro diventando sceriffo, una figlia ingrata che la riteneva responsabile dell'allontanamento del padre, che la riteneva responsabile per tutto, una figlia che diventa il mostro che più temeva. Era riuscita ad accettare quello che ero diventata e la cosa poteva sorprendermi ancora oggi, mi amava ugualmente perché ero sempre la sua bambina.
Senza che me ne accorgessi, una lacrima mi rigò il viso.
Quella bambina vanitosa, bionda come lei, che voleva essere forte come lo era lei.
Una seconda lacrima seguì la prima.
Dove sarebbe finita quella bambina? Avrebbe continuato a vagare alla ricerca della sua strada o finalmente ne avrebbe trovata una da percorrere?
Quella bambina non voleva allontanarsi da quelle piccole certezze che si era costruita, se pur potesse sembrare forte adesso, era sempre la stessa bambina insicura che si nascondeva dietro ad un sorriso.
Mi asciugai con la mano le lacrime ridendo di me stessa. Stavo piangendo nel mio letto come una scema, senza saper bene la ragione.
Decisi di alzarmi prima che potesse prendermi un'altra specie di crisi.
Mi diressi in bagno, forse una doccia mi avrebbe aiutato a rilassare i nervi. Il getto d'acqua calda sulla mia pelle ebbe l'effetto desiderato. Mi concentrai sul rumore dell'acqua, rilassandomi.
Asciugai i capelli, lasciandoli mossi al naturale. Presi dall'armadio un vestito verde sobrio per la mattinata e l'abito dalla fantasia floreale che avrei indossato alla consegna dei diplomi, che avevo comprato per l'occasione già qualche settimana prima.
Mi aspettava il mio tipo di colazione prima di dirigermi a scuola. La consegna dei diplomi mi avrebbe impegnata per tutto il giorno.

 

 

 

Molti degli altri allievi delle altre classi, facenti parte del comitato studentesco, erano già arrivati ed avevano sistemato i banchi lungo il corridoio dove avremmo consegnato tocco e toga insieme all'annuario, accanto al tavolo per le firme. L'organizzazione era impeccabile, classificati per lettere dell'alfabeto, gli alunni non si sarebbero persi vagando in cerca del loro annuario. Io presiedevo il banco con gli annuari degli alunni dalla Q alla Z.
Ripensai a cosa poteva essere successo lungo questi corridoi soltanto la notte prima. Eravamo al centro del triangolo d'espressione, ed a quanto pare il velo tra questo mondo e quello dei morti sovrannaturali era ancora abbassato. Per questo non avevo insistito affinché Elena mi raggiungesse ed aiutasse, non potevo toglierle la gioia di trascorrere questi ultimi momenti con il fratello, l'importante era che ci fosse alla consegna.
Bonnie però non aveva scusanti per il suo ritardo. Era passata più di un'ora da quella in cui ci eravamo date appuntamento.
Afferrai il cellulare e la chiamai, dopo un paio di squilli fortunatamente rispose.
«Che è successo?» le chiesi subito, preoccupata ma più infastidita per il suo ritardo. Non volevo che questi rari momenti venissero rovinati.
«Ho avuto una specie di imprevisto» mi avvisò lei a voce bassa e sommessa.
«Un imprevisto?» domandai incredula «Un imprevisto è una brutta foto nell'annuario» chiarii, sorridendo mentre ne consegnavo uno ad una ragazza. «Tu hai scatenato uno tsunami. Dove sei?» iniziavo a preoccuparmi, con il velo abbassato chissà chi si sarebbe potuto presentare alle nostre spalle.
«Sto cercando di rimediare, sto avendo qualche problema» sembrava stanca. «Devo aspettare la luna piena stanotte per avere abbastanza potere per rialzare il velo»
Ero scioccata.
«Mi stai dicendo che potremmo diplomarci nel bel mezzo di un triangolo d'espressione pieno di fantasmi?» complichiamo l'organizzazione dell'evento con la possibilità che pazzi omicidi si aggirino tra alunni e genitori.
«Forse dovremmo annullarlo» consigliò.
«No!» risposi secca «Non annulleremo un bel niente! Il diploma è l'evento più importante della nostra vita. L'ultima cerimonia della nostra gioventù. È il nostro maledetto rito di passaggio!» iniziai a scaldarmi. Non avrei permesso a niente e nessuno di rovinare questo momento, questo giorno. «L'inferno gelerà prima che io permetta a qualcuno di annullare il diploma»
«Puoi evitare battute sull'inferno che gela? Non ci sono molto lontana»
Provai a calmarmi.
«Promettimi solo che oggi sarà una giornata dedicata all'amicizia.» era la cosa a cui più tenevo.
«Ok. Te lo prometto» acconsentì arrendevole. «Ti voglio bene» aggiunse.
«Ti voglio bene anch'io» conclusi sincera e più calma, poi riattaccai.
Feci un breve sospiro, rattristata.
Dopo tutti i discorsi fatti sul diploma, su quest'ultima occasione per stare tutti insieme a scuola prima che ognuno di noi prendesse la propria strada, sullo stare insieme nonostante le catastrofi del mondo, ero di nuovo qui ad occuparmi di tutto da sola.
Sospirai nuovamente e quasi non mi accorsi che un ragazzo si era avvicinato al bancone per ritirare il suo annuario.
«Caroline» mi chiamò la ragazza dietro di lui.
Appena scorsi chi fosse la salutai anch'io. «April.» le sorrisi teneramente.
«Sono venuta a ritirare l'annuario»
«Certamente» listai il suo nome.
«Ho visto il palco fuori. È davvero meraviglioso»
«E mancano ancora i fiori che metteremo all'ultimo» la avvisai consegnandole l'annuario. «Poi sarà tutto perfetto» come volevo che fosse.
«Non ho dubbi. Sarà strano l'anno prossimo» la guardai stupita «senza tutti voi. Senza di te che mandi avanti la baracca» scoppiai a ridere.
«Lascio le redini in buone mani» le sue. In fondo era Miss Mystic Falls.
«Spero di riuscire almeno lontanamente ad imitarti» sorrise.
«Te la caverai alla grande»
Ci sorridemmo e lei se ne andò.
L'anno prossimo. Ripensai. Dove sarò l'anno prossimo? Al college. Si ma quale? Ci sarei andata da sola? Le catastrofi che si erano susseguite negli ultimi mesi non ci avevano permesso di trascorrere nemmeno un attimo a parlare del futuro e nemmeno io ero riuscita a pensarci per conto mio.
Il futuro è così incerto quando fai parte di questo mondo. Ogni tuo sforzo di condurre una vita umana viene cancellato dall'arrivo di un nuovo maniaco omicida in città. Uno fra tutti che era riuscito a stravolgere la vita di ognuno di noi. Non volli pensare a lui, al suo nome, tantomeno al suo viso. Oggi no. Oggi volevo pensare a me.

 

 

 

 

Lasciai le redini agli altri per potermi cambiare, mancava ormai solo un'ora all'inizio della cerimonia. Mi cambiai d'abito e mi congratulai nuovamente con me stessa per aver scelto quel vestito, infilai la toga, il rosso era un colore che mi donava, sistemai i capelli, fortunatamente quelli non erano mai un problema, ed indossai anche il tocco.
Sorrisi davanti allo specchio e l'agitazione iniziò a farsi sentire.
Presi le mie cose ed uscì dal bagno prima che l'ansia prendesse il sopravvento. Nel corridoio trovai finalmente Bonnie, col vederla mi calmai subito.
«Bonnie.» la chiamai e lei si voltò in mia direzione.
Non ebbe il tempo per rispondermi perché già la stringevo tra le braccia. «Ehi» sussurrò lei. Aveva l'aria malinconica.
«Finalmente ce l'hai fatta ad arrivare, nonostante..» non terminai volontariamente la frase, la parola inferno non potevo usarla quindi non sapevo come descrivere diversamente la situazione in cui ci trovavamo.
«Si» rispose lei lentamente. Aveva qualcosa che non andava ma non capivo cosa.
«Che succede Bonnie?» le chiesi preoccupata.
«Nulla.» la guardai poco convinta «Nulla davvero.» sorrise «Sai che sono un'inguaribile malinconica» si giustificò. Le sorrisi, un po' malinconica anch'io.
La presi a braccetto «Andiamo a cercare gli altri prima di scoppiare in lacrime entrambe in mezzo al corridoio»
Era una bellissima giornata. Adesso che avevano aggiunto anche i fiori il palco era davvero perfetto, i festoni con i colori della scuola appesi tutt'intorno agli spalti riservati a genitori e parenti, insieme a striscioni e palloncini, le sedie per i senior tra il palco e gli spalti in mezzo al campo da football. Avevamo fatto un ottimo lavoro, questa volta non potevo di certo prendermi tutto il merito.
Anche Bonnie accanto a me sembrava meravigliata, non potevo che esserne orgogliosa.
Non ebbi il tempo di aprire bocca che il cellulare nella mia tasca iniziò a squillare.
'Elena'. Se questa chiamata serviva ad avvisarmi che non ce l'avrebbe fatta ad arrivare, che non se la sentiva di venire alla cerimonia, si sbagliava di grosso. Sarei andata a prenderla al pensionato Salvatore e l'avrei portata a scuola a calci.
«Spero tu mi stia rassicurando sul fatto che sei già per strada e che non devo preoccuparmi per il tuo ritardo» non ero nemmeno certa di aver risposto prima di aver iniziato a parlare.
«No, Caroline» dalla sua voce si poteva capire fosse preoccupata.
«Che succede?» Bonnie accanto a me mi guardò allarmata.
«Damon» un nome una certezza, lui centrava sempre. «uno dei cacciatori gli ha sparato ed il proiettile era intinto nel veleno di licantropo. Era solo un proiettile quindi la dose di veleno era minima ma è comunque in pericolo.» già conoscevo le parole che sarebbero seguite «abbiamo bisogno di Klaus.» un altro nome, un'altra certezza.
«D'accordo» sospirai «lo chiamo subito» un altro tipo di agitazione mi avvolse questa volta. «Ma tu dimmi che stai arrivando»
«Si, Care» rispose più tranquilla «Io e Stefan siamo già per strada»
«Perfetto» aggiunsi felice.
«Sì, ma tu chiama Klaus» insistette.
«Ci penso io» la rassicurai e riattaccai. Klaus, sempre lui, volenti o nolenti, e stranamente ero io la prima a cui si pensava.
Spiegai la situazione a Bonnie. Non c'era molto che potessimo fare in questa situazione, Klaus era l'unico che potesse risolvere tutto, ed io l'unica che potesse chiamarlo.
«Allora chiamalo» mi incitò Bonnie.
Non è così semplice, non è come chiamare un vecchio amico che non senti da un po'. Iniziai ad agitarmi.
«Sì» risposi in un sospiro. «Vado a poggiare le mie cose in macchina e intanto lo chiamo.» avevo bisogno di intimità per farlo.
Raggiunsi la macchina e vi lanciai dentro la borsa con il cambio, cellulare stretto alla mano.
«Ok» parlai da sola fissando il suo numero.
Inspirai ed espirai.
Lo feci una seconda volta.
Senza pensarci ulteriormente feci partire la chiamata avvicinando la mano leggermente tremante all'orecchio.

Primo squillo.
Secondo squillo.

I miei battiti avevano preso il ritmo degli squilli. Sentivo solo il tonfo al cuore che seguiva uno squillo, eco dell'aumentare della mia agitazione.

Terzo squillo.
Quarto squillo.

Una parte di me ere contenta che non rispondesse, non sapevo come avrei reagito al suono della sua voce, ma avevo bisogno di lui, avevamo bisogno di lui, perciò iniziai ad innervosirmi.

Quinto squillo.
Sesto squillo.

'Ti muovi a rispondere?'

Settimo squillo.
Ottavo squillo.

Nella mia testa stavo urlando insulti di ogni genere che quasi non mi accordi che qualcuno rispose. Il mio cuore perse un battito quando l'ottavo squillo non fu seguito dal nono. Strinsi la mano sinistra a pugno, pronta, non del tutto, a sentirlo.

'Risponde la segreteria..'

Un ringhio rabbioso mi uscì spontaneo.
«Klaus» esordì furiosa, poi ci ripensai, in fondo avevamo bisogno di lui, non era il caso di essere scontrosa, non ancora. Cercai di calmarmi e dosare meglio il mio torno di voce nella parole che seguirono. «siamo nel bel mezzo dell'inferno, Damon è stato ferito da uno dei cacciatori con proiettili intinti in veleno di licantropo. Abbiamo bisogno del tuo sangue per salvarlo, sei l'unico che può farlo e lo so che ha cercato di ucciderti ma ti prego, vieni qui.» non mi accorsi di quanto supplichevole fosse diventata la mia voce.
Feci una piccola pausa. «Ho bisogno di te.» pronunciai quasi in un sussurro.
«Sbrigati» conclusi con la stessa rabbia con cui avevo iniziato quel messaggio e riattaccai.
Aspettai qualche minuto, fissando il cellulare appoggiata alla mia macchina.
Perché non mi richiamava? Cos'aveva di così importante da fare in quella maledetta New Orleans?
Mi incamminai di nuovo verso Bonnie.
Optai per un secondo tentativo, magari più incisivo del secondo.
Questa volta non ci furono squilli, la segreteria partì subito. 'Ah perfetto'.
«Klaus, non è questo il momento per decidere se non ti interesso più» il flusso di parole fu incredibilmente veloce. «Ti chiamerò ogni dieci minuti finche non verrai qui a salvare la vita di Damon» conclusi minacciosa e furiosa.
Avevo ormai raggiunto Bonnie.
«Dove sono gli altri?» le chiesi con la stessa rabbia con cui avevo lasciato il secondo messaggio a quel maledetto.
«Sono qui» esordì Matt alle nostre spalle prima che iniziassi un infinito discorso di lamentele, ugualmente me la presi con lui.
«Dove sei stato?» era sparito per tutta la mattinata.
«Oh, sai, a fare programmi per l'estate, non morire per mano di un cacciatore di vampiri»
«Dov'è Elena?» chiese Bonnie. «Non possiamo farlo senza di lei.»
Mi voltai sospirando.
«Sono qui» comparve dietro Bonnie, seguita da Stefan. Riuscii a tornare a sorridere, come tutti.
Abbracciò Bonnie e non potemmo non guardarle in silenzio.
«Non posso crederci.» mi guardai intorno, guardai il viso delle persone che mi stavano accanto e lo stesso fecero loro «Siamo davvero tutti qui.» aggiunsi incredula ed immensamente felice «Siamo tutti qui, insieme!» dopo tutto quello che era successo ce l'avevamo fatta a riunirci insieme per questo momento, come avevo sperato.
Mi soffermai, fra tutti, su Bonnie.
«Bonnie Bennett, stai piangendo?» chiesi.
«È l'ultima festa prima che voi andiate al college» rispose lei emozionata.
«Prima che noi andremo al college» la corressi dandole una pacca soddisfatta.
«Diciamo che non ho rispettato la scadenza» confessò Elena «sapete, ero una stronza senza sentimenti»
«Beh, il vantaggio di essere un vampiro è che possiamo andare dove cavolo ci pare.» c'era una soluzione a tutto «Potremmo scegliere i nostri coinquilini. Potremmo prendere una tripla» mi corressi emozionata, presa dalla gioia, immaginandomi di vivere insieme a loro.
Riuscii a strappare un sorriso a tutti.
«Sono felice che siamo tutti qui» aggiunse Bonnie con ancora gli occhi lucidi.
Iniziai a saltellare euforica. «Abbraccio di gruppo!» ordinai allargando le braccia in loro direzione.
«Io non abbraccio le persone» esordì Stefan fino a quel momento silenzioso.
«Oh, ma smettila!» lo ammonii trascinandolo nel gruppo.
Il cuore mi si strinse in quel momento. Mi sarebbero mancati quei momenti, mi sarebbero mancati tutti loro, perché qualsiasi cosa sarebbe successa non ci saremmo più trovati qui, così, insieme.
Concludere un capitolo della propria vita è sempre doloroso perché non sappiamo quello che ci serba il futuro, non sappiamo chi perderemo, chi conosceremo, chi e cosa diventeremo. Doloroso perché, per quanto felice o triste sia stato, resterà impresso nella nostra memoria e vi ci rifugeremo in momenti malinconici, in cerca di risposte che allora non avevamo trovato, in cerca di ricordi legati a persone che non ci sono più, in cerca delle persone che eravamo.
Fortunatamente la voce del preside, che invitava gli studenti dell'ultimo anno a prendere posto e formare una fila in ordine alfabetico per l'inizio della cerimonia, interruppe quei miei pensieri prima che scoppiassi in lacrime anch'io.
Spezzammo l'abbraccio e silenziosi raggiungemmo i nostri posti lungo la fila.
Sospirai, cercando la calma.
Dopo pochi minuti tutti gli studenti erano pronti.
Dopo il discorso iniziale del preside, al microfono si avvicinò il sindaco della città, nonché il padre di Bonnie.
«Benvenuti genitori, famiglie e amici. È una splendida giornata per la consegna dei diplomi.» tutti iniziammo ad applaudire «Vi ringrazio per essere venuti oggi, in questo giorno speciale a celebrare i nostri diplomandi.» eravamo sparsi nella fila, ognuno di noi che fissava il palco immerso nei suoi pensieri.
«Allora, cominciamo subito» seguì un'altra serie di applausi.
«John Albrecht» ed ecco il primo nome, il primo ragazzo a salire sul palco, stringere la mano al sindaco e ricevere le congratulazioni dal preside e da tutti.
«David Bance.» conoscevo quel ragazzo dai tempi dell'asilo.
«Sarah Beasley» faceva parte delle cheerleaders.
Bonnie stava ormai salendo le scale «Non vorrei essere di parte, ma sono particolarmente orgoglioso della prossima diplomanda, la mia adorata figlia, Bonnie Bennett» quando lo raggiunse i due si abbracciarono, commuovendomi.
«Savannah Davis.»
«Matt Donovan» applaudii più forte sorridendo mentre si stringevano la mano.
«William Ducan.»
Ero la prossima. Salii alcuni gradini aspettando che il mio nome venisse pronunciato, il cuore aveva aumentato i suoi battiti.
«Caroline Forbes.» rivolsi un sorriso smagliante al pubblico e poi al sindaco che mi conosceva da quando ero una piccola peste.
«Congratulazioni» si congratulò mentre mi stinse la mano.
«Grazie» risposi sincera ed emozionata.
Scesi le scale dalla parte opposta in cui le avevo salite, raggiungendo il mio posto a sedere giusto in tempo per vedere Elena sul palco.
«Elena Gilbert» applaudii orgogliosa.
«Jeff Gillies»
Elena sorridente e raggiante raggiunse il posto accanto al mio. Vederla così felice mi riempiva di gioia e sollievo.
Cercai con lo sguardo Bonnie ma non la trovai. Vedendomi distratta Elena mi diede una piccola gomitata, era il turno di Stefan.
«Stefan Salvatore»
Un piccolo urlo di incitazione mi uscì spontaneo, tornai a battere le mani insieme ad Elena.
«Quante volte pensi lo abbia già fatto?» mi chiese ridendo.
«Non ne ho idea, ha 163 anni, meglio tardi che mai» ridemmo ancora più forte.
Lo seguimmo con lo sguardo e non appena scese il palco il sorriso che esibì poco prima scomparve, con un cenno del capo ci invitava a seguirlo.
Entrambe ci alzammo velocemente, preoccupate, raggiungendo il retro degli spalti.
«Che succede?» esordì Elena precedendomi.
«Damon. A quanto pare la situazione è peggiorata, la quantità di veleno di licantropo è aumentata. Serve il sangue di Klaus e subito.» ci spiegò Stefan.
«Digli di prendere la cura!» rispose secca Elena.
«Provo subito a richiamare Klaus» avvisai estraendo il cellulare dalla tasca e digitando il suo numero. Suonava libero.
Potevamo sentire la voce di Rick all'altro capo del telefono. «Vorrei tanto andarmene da qui prima che Vaughn torni in vita, ma Damon non vuole prendere la cura. Vuole darla ad Elena»
Ero arrivata al terzo squillo senza ottenere risposta.
«Va bene. Aspetta un altro po'. Caroline sta richiamando Klaus» lo avvertì Stefan.
Era ripartita la segreteria telefonica. Terminai la chiamata, rassegnata.
«Stefan, non c'è più tempo per queste telefonate di supplica.» scossi la testa in direzione di Stefan, avvisandolo che non aveva risposto. «Vuoi che me ne stia qui a guardarlo morire o vuoi che gli somministri a forza la cura?»
Feci ripartire la chiamata.
Stefan non riuscì a rispondere perché un fischio acuto ci penetrò nella testa. Era incredibilmente fastidioso e doloroso, mi impediva di muovermi, immobilizzata e sofferente. Mi portai d'istinto le mani alla testa, inutilmente.
«Ti ricordi di noi, Caroline?» alzai lo sguardo attribuendo alla voce il volto della donna a cui apparteneva.
Era la strega che avevo ucciso quella notte nel bosco per salvare Bonnie. Uccidendo lei avevo ucciso altre 11 streghe, molte delle quali ora le erano accanto.
Non riuscivo a pensare né riflettere. Il dolore alla testa era sempre più intenso.
Abbassai lo sguardo a terra, reggendomi malamente in piedi.
Non c'era nulla che potessimo fare, non potevamo muoverci né tantomeno parlare. Sembravamo spacciati, condannati a soffrire impotenti.
Ma all'improvviso il dolore scomparve, tutto ripiombò nel silenzio. L'aneurisma cessò ed mio corpo si ristabilì in una frazione di secondo.
Alzai lo sguardo sulle streghe che avevo davanti. Il corpo di colei che poco prima aveva parlato giaceva ora a terra, decapitato e zampillante di sangue. Il volto degli altri era spiazzato ed ammutolito, rivolto nella mia direzione, come lo erano quelli di Elena e Stefan.
Una voce alle mie spalle mi arrivò dritta al cuore, fermandone per un istante il normale decorso.
«Ce ne sono tanti altri di questi, qui intorno» Sgranai gli occhi. Non poteva essere lui.
«Chi è il prossimo?» lanciò la sfida ai malcapitati.
«Potrei continuare tutto il giorno» ammise divertito.
Inspirai e finalmente mi voltai, cercando conferme come se il suono della sua voce non fosse già sufficiente, riconoscibile fra un milione.
Era lui, questa volta davvero lui, non una mia allucinazione o Silas, era davvero Klaus.
Una volta voltata, puntò il suo sguardo su di me. Un sorriso compiaciuto e soddisfatto mi fu impossibile da non rivolgergli, eco di quello che mi rivolse lui.
Non appena vidi quel volto il cuore mi si fece più leggero, carico di gioia. Sollevata che lui fosse qui, di nuovo. Sollevata che fosse di nuovo qui a salvarmi. Che fosse di nuovo qui e basta, di nuovo.

 

 

 

Spazio autore:

Buon pomeriggio cari lettori, o meglio lettrici. Spero non mi ucciderete per come si è concluso questo 5° Capitolo ma proprio non ho resistito a dividere a metà il diploma, anche perché se no sarebbe diventato eterno (nel prossimo capitolo scoprirete perché ;) ). Vi annuncio ufficialmente che questo è l'ultimo capitolo interamente preso dalla serie TV.

Spero di non avervi deluso anche perché ultimamente i capitoli hanno ricevuto poche recensioni, spero che questo non sia legato al fatto che la storia abbia iniziato a farvi schifo o ad annoiarvi ma solo perché è un periodo questo pieno di impegni (io ho gli esami di stato quindi posso capirvi ma non ho comunque resistito a pubblicare questo capitolo. OPS). Spero di non sbagliarmi.

Ringrazio come sempre le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo:

Mery1992
winner_
flywithmegomez
Greta_Mrg
Elyxa85

Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia alle preferite, seguite, ricordate (siete aumentati un sacco) ed anche i lettori silenziosi. (fatevi sentire :) )

Nonostante gli esami pubblicherò lo stesso il capitolo tra una settimana perché lo avevo già scritti in precedenza, non preoccupatevi :)

Spero di leggere qualche recensione in più.

Grazie comunque di dedicarmi il vostro tempo. Un bacio,

ELLEcrz.
ps: blog con role Klaroline, nel caso vi potesse interessare, http://breatheagain.blogfree.net/?f=982158

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Capitolo 6
*** Capitolo 6-Graduation -part 2- ***


PERICOLO SPOILER EPISODIO 4x23

Canzone consigliata per l'ascolto: Rosi Golan - Been a Long Day http://www.youtube.com/watch?v=I2vDLM4Hamk (in pratica parla di questo capitolo ;) )

 

Graduation

-part 2-





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Continuai a fissarlo, incredula che fosse realmente davanti a me, avrei voluto allungare una mano e toccarlo per esserne assolutamente certa.
Lo fissavo ed i miei pensieri erano completamente bloccati, non pensavo a nulla, lo guardavo e basta, e lui faceva lo stesso.
Potevano essere trascorse ore come secondi.
Era vestito elegante, giacca e cravatta perfettamente legata al collo, il sole che lo colpiva faceva sembrare i suoi capelli color miele più biondi del solito.
Non distolsi lo sguardo nemmeno quando Stefan ruppe il silenzio. Tornò a parlare con Rick all'altro capo del telefono.
«È arrivato Klaus. Saremo lì tra un attimo.» lo avvertì ed interruppe la chiamata rivolgendosi questa volta all'ultimo arrivato.
«Klaus ti prego, non abbiamo tempo» la sua voce era sincera e supplichevole.
«Ti prego» aggiunse Elena.
Lo guardai più intensamente, trasmettendo la mia richiesta con lo sguardo anziché a parole.
Attese qualche secondo prima di distogliere il suo sguardo da me e rivolgerlo a Stefan.
«Molto bene.» lanciò a terra il tocco che fino a quel momento aveva tenuto in mano, non c'era più pericolo che le streghe ci attaccassero, con il suo arrivo si erano volatilizzate nel giro di un secondo. «Consideratelo il mio regalo per il diploma» sorrise divertito guardandoli entrambi.
Allungò un braccio invitando Stefan a fargli strada.
«Grazie» sussurrò lui e lo stesso fece Elena con un cenno del capo.
Stefan si incamminò seguito da Elena.
Klaus li guardò prima di voltarsi in mia direzione. Ero sicura stesse per dire qualcosa ma io gli impedii di parlare.
«Sbrigati!» lo sollecitai seria prima di sorridere.
Un leggero cenno di assenso fu seguito da uno dei suoi sorrisi luminosi, un ultimo incrocio tra i nostri sguardi e scomparve.
Non appena mi ritrovai sola la tensione che si era accumulata sino a quel momento si fece sentire tutta d'un colpo, una reazione strana mi invase. Era quell'emozione che ti afferra il cuore facendotelo sentire più vivo che mai nel tuo petto. Dura un paio di secondi, il tempo di rallentare il respiro, socchiudere gli occhi, sentire solo i battiti del tuo cuore, chiedersi cosa ti stia succedendo, sollevare una mano sino a poggiarla al petto, ed è già sparito.
Sospirai riaprendo gli occhi guardandomi intorno.
Volsi lo sguardo verso il palco, ormai mancavano solo una manciata di studenti. Schiarii la voce riportando entrambe le mani lungo i fianchi, riprendendo il completo controllo. Mi incamminai verso i posti a sedere degli studenti dell'ultimo anno, vidi Bonnie e la raggiunsi.
«Dove sono gli altri?» mi chiese bisbigliando.
«È arrivato Klaus, sono andati da Damon» la avvisai soddisfatta.
«Ha fatto in fretta» commentò.
Rimasi interdetta e non le risposi. In effetti, troppo in fretta. L'avevo chiamato nemmeno un'ora prima e pure per lui era impossibile arrivare così velocemente. I miei pensieri furono bloccati.
«Bene amici» tutti ci alzammo in piedi, i genitori alle nostre spalle sugli spalti iniziarono ad applaudire. Bonnie afferrò la mia mano, mi voltai verso di lei giusto in tempo per vedere due lacrime rigarle il suo bel viso, non resistetti e la seguii a ruota commuovendomi.
«Congratulazione alla classe di diplomandi 2013» concluse il sindaco tronfio. Tutti afferrammo il nostro tocco lanciandolo in aria, lo stesso facemmo io e Bonnie in contemporanea con gli altri senza però separare le nostre mani. Seguimmo con lo sguardo i vari tocchi, riuniti in cielo, finché non ricaddero a terra. Mi voltai di nuovo verso Bonnie, abbracciandola in mezzo alle urla di gioia e liberazione di vari studenti. Non mi importava se le nostre lacrime avrebbero finito per macchiarci la toga, stringevo la mia migliore amica, qui in questo giardino, nel giardino della scuola in cui tutto era iniziato, nel giardino in cui ci eravamo allenate mille e mille volte con le cheerleaders, nella scuola in cui avevamo litigato, avevamo riso, pianto, gioito. Nella scuola in cui erano successe troppe cose per potersele ricordare tutte ora. Anni di scuola che non avremmo mai potuto scordare.
La nostalgia mi invase, afferrandomi il cuore. Non volevo che tutto questo finisse, non ero pronta a dire addio e non lo sarei mai stata.
A malincuore spezzammo l'abbraccio per guardarci negli occhi ancora pieni di lacrime.
«Siamo un disastro» affermai scoppiando a ridere insieme a lei, mentre cercavo di asciugarmi le lacrime, invano, perché erano seguite da altre.
Riuscii a riprendere il controllo, ma la calma durò ben poco.
Bonnie mi butto le braccia al collo, abbracciandomi di nuovo, fortunatamente possedevo un buon equilibrio o saremmo entrambe finite a terra per quel gesto spontaneo che ricambiai all'istante.
«Grazie mille, Caroline» mi sussurrò Bonnie all'orecchio.
«Grazie a te» risposi, socchiudendo gli occhi e stringendola a me. Non so bene per cosa la stessi ringraziando. Per tutto. Per esserci stata per me anche quando non lo meritavo, per avermi aiutata, salvata, per aver condiviso questo viaggio che però era solo all'inizio.
«Mi mancherai» aggiunse in un singhiozzo.
«Non vado da nessuna parte senza di te» non potevo immaginarmi un futuro senza di lei, di questo ero certa.
Seguirono una manciata di secondi in cui nessuna delle due aggiunse nulla, in cui nessuno si intromise lasciandoci vivere quel nostro momento.
«Tesoro» una voce maschile alle mie spalle ci fece allontanare.
«Ehi papà» lo salutò lei, sistemandosi il viso.
«Signor Bennett» lo salutai imitando la mia amica e cercando di cancellare dal mio volto il disastro che le lacrime dovevano aver compiuto.
«Non era mia intenzione interrompervi»
«Meglio così o saremmo rimaste così in eterno» l'ironia della mia risposta mi fece sorridere.
«Sarà meglio andare» avvisò la figlia.
«Certo papà»
Li avrebbe aspettati una tipica cena genitori-figli dopo il diploma, mezzi ristoranti della città erano al completo.
«Buona cena» augurai sorridendo ad entrambi con ancora gli occhi lucidi.
«Anche a te Caroline, ed ancora congratulazioni» mi salutò gentilmente il sindaco.
Bonnie mi fissò per una frazione di secondo, lo sguardo fisso sul mio viso, i suoi occhi, anch'essi ancora lucidi, erano puntati suoi miei. Non capii cosa stesse facendo. Una frazione di secondo dopo afferrò il padre a braccetto, volgendomi uno occhiolino complice. Sorrisi ancora e li guardai mentre si allontanarono, in mezzo alla folla di genitori, orgogliosi dei loro figli, mentre io ero lì da sola. Il mio sorriso da luminoso si fece malinconico e non potei non pensare a mio padre. Lanciai uno sguardo veloce al cielo limpido, illuminato da un sole all'apice del suo tramontare.
Se questo mondo non fosse quello che è, se in ogni suo angolo non si nascondessero creature fameliche e pericolose, se io non fossi quella che sono, lui sarebbe stato qui oggi. Con la mia mano avvinghiata al suo braccio, avremmo attraversato anche noi questo giardino, avrei sorriso felice mentre lui mi ripeteva quanto fosse orgoglioso, mentre insieme programmavamo una vacanza estiva, il mio futuro.
Se avesse potuto vedermi ora, sarebbe stato orgoglioso?
«Congratulazioni tesoro» la voce di mia madre alle mie spalle mi fece sobbalzare. Aveva detto che non ce l'avrebbe fatta a venire, eppure eccola qui davanti ai miei occhi con la sua immancabile divisa.
Le andai incontro, mentre altre lacrime sgorgavano dai miei occhi, lente. Mi accolse in un abbraccio che non potevo rifiutare, di cui avevo bisogno.
Sapeva a cosa stessi pensando, non c'era necessità che glielo spiegassi.
«Siamo e saremo sempre orgogliosi di te, entrambi» sussurrò al mio orecchio. Si allontanò leggermente per afferrarmi il viso con entrambe le mani, portando il mio sguardo ad incrociare il suo. «Sei esattamente la persona che noi speravamo diventassi.»
Erano tra le ultime parole che mi aveva rivolto mio padre, prima di morire.
Asserì con il capo.
Il ricordo di quegli ultimi istanti era ancora, e sarebbe stato sempre, doloroso, ma riportarlo a galla ora mi dava speranza.
Sì, forse sarei riuscita a renderlo orgoglioso di me anche oggi.
«Grazie mamma.» Abbracciai per un istante mia madre prima di allontanarmi di qualche centimetro.
«Ti saresti anche potuta cambiare» le feci notare, ironicamente irritata.

 

 

 

Ero di nuovo sola, in mezzo al giardino quasi deserto, il sole era ormai tramontato. Mia madre era dovuta tornare tassativamente in servizio, aveva minacciato di licenziarsi se oggi non fosse riuscita ad essere qui e vedermi ricevere il diploma. Mi era un po' difficile da pensare, ma immaginarmi la scena era esilarante.
Ero di nuovo sola, sola con i miei pensieri.
Ripercorsi velocemente quella giornata che di certo non mi sarei immaginata così, anche se le premesse non erano state delle migliori. Non era il mio sogno diplomarmi nel bel mezzo dell'inferno, con un Damon che rischiava la vita, rischiarla io stessa, minacciata da quelle streghe della cui morte ero responsabile. Non mi aspettavo di rivedere Klaus e che il rivederlo scaturisse in me una sensazione che non ero in grado di spiegarmi. Ripensai a quella strana emozione che mi aveva invaso non appena sentii la sua voce, non appena realizzai che fosse realmente lì. Ci aveva salvato, mi aveva salvato, e l'insicurezza che avevo provato in quell'ultimo periodo era svanita. Ero rimasta come ipnotizzata quando i miei occhi si posarono su di lui, ipnotizzata, incredula, felice.
Klaus, una volta l'incubo di tutti, tremavamo quando sentivamo pronunciare il suo nome ed oggi eravamo arrivati a supplicarlo, a gioire della sua presenza e non solo perchè ci tornasse utile, almeno per me così non era. Avevo avuto paura di lui in passato ed in parte conservo ancora quel sentimento che però era leggermente mutato, ero consapevole che non mi farebbe mai del male, non era di questo che avevo paura infatti, avevo paura di come potrebbe cambiare la mia persona se gli dessi la possibilità di starmi accanto. Avevo paura di me stessa, non per me stessa. Avevo paura perchè quel terrore che mi causava la sua vicinanza si era trasformato in gioia. Avevo paura perchè non potevo ammettere che saperlo accanto a me mi facesse sentire al sicuro, protetta. Eppure era così che mi sentivo e non potevo ancora soffocare quella sensazione.
Ammirai il palco sui cui poche ora prima ero salita. Seppur movimentato, quel giorno aveva significato molto per me, significava chiudere un capitolo ed iniziarne un altro, da domani avrei compiuto un nuovo passo su una strada sconosciuta ma con la sicurezza che quella già percorsa mi aveva donato. Non ero più così spaventata di quel domani.
Ripiegai la toga che stringevo ancora in mano e l'appoggiai insieme alle altre, un fruscio alle mie spalle mi avvertì che non ero più sola. Mi voltai per poterlo guardare di nuovo già consapevole che fosse Klaus che con passi morbidi e lenti mi si stava avvicinando. Gli rivolsi un veloce sorriso mentre lui avanzava con sguardo furbo e divertito. Una domanda mi aveva tormentato da quel pomeriggio e non esitai un attimo a porgergliela, senza vivere nella supposizione che mi ero creata.
«Come hai fatto ad arrivare così in fretta?» gli domandai muovendo anch'io qualche passo in sua direzione.
«Ero già per strada» Lo guardai stupita. «Ho ricevuto l'annuncio del tuo diploma» continuò estraendolo dal taschino interno della giacca mentre i nostri sguardi si posavano su quel cartoncino che un gli avevo inviato. Avevo supposto e sperato fosse quella la ragione per cui si trovasse già qui ma non volevo sperarci troppo. «Davvero molto velato» stinsi gli occhi colpevole, sorridendo imbarazzata al ricordando di quelle parole. «Deduco che ti aspetti dei soldi» convenne.
«Quelli» affermai «o un mini frigo» rivelai sicura guardandolo prima seria ma poi sorridente.
Distolse da me per un attimo lo sguardo.
Tornò poi a guardarmi. «Ho preso in considerazione l'idea di regalarti un biglietto in prima classe per venire con me a New Orleans.» fui io questa volta a distogliere lo sguardo. «Ma sapevo quale sarebbe stata la tua risposta» non poteva esserne così sicuro, la vera risposta non la conoscevo nemmeno io «quindi ho optato per qualcosa che sapevo avresti accettato» gli rivolsi nuovamente lo sguardo incuriosita. Ci pensò un attimo «Tyler adesso è libero di tornare a Mystic Falls.»
Lo guardai fisso, senza battere ciglio, incredula. 'Tyler?' Mi ero proibita di pensare a lui e la facilità con cui ci ero riuscita era allarmante. «Cosa?» chiesi in un sussurro.
«Lui è il tuo primo amore» distolsi lo sguardo per un istante, sorridendo e isolandomi per un attimo. Tyler sarebbe potuto tornare, saremmo potuti tornare insieme e restarci per sempre. «Io voglio essere il tuo ultimo» quelle parole mi riportarono alla realtà e all'uomo che mi era davanti, con lo sguardo più sincero e dolce che gli avessi mai visto rivolgere. Lo guardai confusa «non importa quanto tempo dovrò aspettare.» il mio sorrise si spense e tornai seria e confusa.
Accadde in un istante, si avvicinò posando le sue labbra sulla mia guancia ed in quel momento il mio cuore si fermò per un istante ed un brivido percorse il mio corpo.
Si scostò di pochi centimetri, i nostri occhi fissi gli uni in quelli dell'altro.
«Congratulazioni Caroline» sussurrò mentre continuavamo a fissarci.
Sorrisi ed abbassai lo sguardo, ero completamente stordita e confusa, non sapevo cosa pensare, ma ero felice, felice per ogni cosa.
«Andiamocene di qui» aggiunse poco dopo offrendomi un braccio che afferrai subito con decisione. «prima che dodici ibridi arrabbiati decidano di attaccare briga.» risi quando lui si guardò intorno, guardingo, mentre percorrevamo insieme la passerella in mezzo al cortile.
Restammo in silenzio finchè non raggiungemmo il parcheggio e la mia auto.
Non mi andava già di doverlo salutare, non mi andava di dirgli un arrivederci che questa volta, rispetto alla prima, sarebbe suonato più come un addio. Avevo segretamente atteso questo momento, il momento in cui lo avrei rivisto e non volevo ora sprecarlo.
Come feci quel pomeriggio lo interruppi prima che riuscisse a parlare.
«Ti va una passeggiata?» gli proposi in leggero imbarazzo e tensione, volgendo lo sguardo dritto davanti a noi.
Sentii che sorrise, accondiscendente, muovendo il primo passo in direzione della strada. Ero troppo silenzioso e non era da lui, non era da noi evitare di aprire bocca quando potevamo farlo. Era stranamente freddo e distaccato e questo mi allarmò.
«Ripartirai subito?» gli domandai particolarmente interessata anche se sapevo che la risposta che avrei ricevuto non mi avrebbe fatto piacere.
«Già stasera. Il tempo di salutare la mia cara» pronunciò quella parola con ironia «sorellina e sarò di nuovo in partenza.»
«Per New Orleans?»
«Per New Orlenas.» confermò.
«Hai trovato dunque quello che cercavi?» chiesi. Avevo uno strano bisogno di sapere cosa stesse facendo là, non per il mio spasmodico desiderio di sapere ogni cosa, no, mi interessava davvero.
Arrestò il passo, allarmata mi voltai verso di lui «Avevo già trovato a Mystic Falls quello che stavo cercando» mi guardò intensamente facendomi capire che senza ombra di dubbio si stesse riferendo a me.
Rimasi interdetta ma spontaneamente risposi senza avere controllo sulle mie parole «e allora perchè te ne sei andato?» chiesi seria ed aspettando più che mai di ricevere una risposta.
Rimase stupito della mia risposa ma come me ribatté senza esitare. «Perchè quello che stavo cercando non aspettava ancora me.» ci guardammo «o mi sbaglio?» chiese sinceramente interessato.
«No» risposi secca ed irritata, riprendendo a camminare.
«Come sempre ho ragione» sussurrò compiaciuto.
Non dissi più nulla, continuammo, perciò, silenziosamente a camminare verso casa.
C'era un vento caldo che mi sfiorava la pelle, segno che la stagione estiva era ormai alle porte.
«Dove trascorrerai l'estate, Caroline?» mi domandò leggero tutto d'un tratto mentre volgeva lo sguardo al cielo, rischiarato e ricoperto di stelle, lo seguii sino a ritrovarmi anch'io a fissare quei punti luminosi.
«Non ne ho idea» rivelai affranta. Non avevo programmato nessun viaggio né nessun tipo di vacanza, sarei probabilmente rimasta a Mystic Falls, ad invidiare chiunque fosse partito e tornato.
«È un vero peccato.» sussurrò addolorato anche lui distogliendo lo sguardo dalle stelle.
Lo guardai con la coda dell'occhio, aveva uno sguardo che non ero in grado di decifrare, era come spento, pensieroso e stanco allo stesso tempo. Forse avrei fatto meglio a non proporre quella passeggiata, forse avrei dovuto semplicemente salutarlo e lasciarlo andare, solo che non volevo, se questo mi rendeva egoista, bene allora ero egoista, ma volevo godere della sua compagnia per quanto mi fosse concesso perchè per quanto mi potesse mettere in difficoltà la sua presenza accanto, allo stesso tempo, quando non eravamo impegnati a litigare, mi sentivo a mio agio. Sapevo che avrei potuto affrontare ogni tipo di discussione, avremmo potuto parlare di ogni cosa e lui sarebbe stato in grado di reggere il discorso e mi avrebbe ascoltato, io lo avrei ascoltato perchè mi affascinava, aveva vissuto su questo pianeta per secoli e ne conosceva ormai ogni suo angolo, ogni sperduto meraviglioso sprazzo della terra, aveva incontrato ogni sorte di cultura, imparato lingue tra le più svariate, conosciuto di persona leggende della storia, molti dei quali senza il suo aiuto probabilmente non sarebbero ricordate oggi nei libri.
Sì Klaus mi affascinava, ma era pur sempre Klaus.
Quando mi accorsi dove eravamo arrivati strinsi leggermente ed involontariamente la presa al suo braccio, eravamo nel vialetto di casa mia, eravamo già arrivati. Potei immaginare come la delusione si dipinse sul mio volto.
Mi accompagnò fin sotto al portico e fino all'ultimo rimasi aggrappata al suo braccio.
«Eccoci qui, tesoro.» il suo tono era soddisfatto.
Guardai la porta d'entrata per poi volgerle le spalle e voltarmi verso di lui, iniziando a giocherellare con le chiavi di casa.
«Buon viaggio allora» gli augurai senza sapere che altro dire «e grazie» lo guardai sincera «grazie per oggi e per essere venuto» sorrisi imbarazzata abbassando lo sguardo.
Sorrise «Mi domando quando smetterete di aver bisogno del mio aiuto» commentò ironico ed entrambi ridemmo.
«Allora presto» lo salutai.
«Non così presto» mi corresse lui.
Il mio sorriso si spense e mi rabbuiai. Perchè non così presto? Sarebbero trascorse settimane, mesi, di certo non anni né tantomeno secoli. Cercai di ribattere ma dalla mia bocca non uscì nessun tipo di suono.
«Buona fortuna Caroline» mi fissò dritto negli occhi «spero troverai quello che cerchi. Così come me.» mi rivolse un sorriso non completamente sincero.
Mi si formò un groppo alla gola, l'ansia e l'incapacità di gestire quella situazione mi stavano disorientando, mi sentivo impotente. Sentivo che non c'era nulla che potessi dire, non sapevo nemmeno come si parlava. Controllai i respiri affinchè non accelerassero così come i battiti del mio cuore, che avevano deciso di fare a modo loro in quella giornata.
Perciò rimasi lì, immobile, pietrificata e spaventata da quelle parole, da quell'addio che mi stava rivolgendo.
«Ricorda le mie parole.» sussurrò per concludere, mi guardò ancora per un istante e poi si voltò, dandomi le spalle e ripercorrendo a ritroso il vialetto di casa. Più si allontanava più il groppo alla gola si faceva sentire, più la stretta al cuore era intensa.
Mi voltai, non potendo resistere ulteriormente. Guardai le chiavi di casa cercando quella giusta, ma non stavo realmente cercando, in quel momento non sapevo nemmeno come fosse fatta quella chiave che possedevo da quando ero bambina. Pensavo solo a quello che stava succedendo, quello che era successo. Se ne stava andando, non per quella notte, non per domani, o il giorno a seguire. Se ne stava andando e non sarebbe più tornato, non mi avrebbe più cercato.
Deglutii mentre le conclusioni a cui ero giunta si facevano chiare.
'Non sarebbe più tornato.'
Gli occhi mi si fecero lucidi.
«Klaus..?» urlai il suo nome voltandomi.
«Klaus» ripetei ma il vialetto era vuoto.
Corsi là dove l'avevo visto l'ultima volta, là dove sarebbe dovuto essere, là dove mi aspettavo di trovarlo.
«No» sussurrai.
Se n'era andato. Scossi la testa e trattenni il respiro. Non avrei perso il controllo, non avrei permesso ai miei nervi di saltare proprio ora, ai miei respiri di accavallarsi li uni agli altri impedendomi di respirare. No!
'Se n'è andato. Ora puoi ricominciare a vivere una vita normale, una vita normale insieme a Tyler'. Mi ripetei.
Tyler.
Sorrisi pensando che lo avrei potuto rivedere, stringere di nuovo tra le mie braccia, baciarlo di nuovo, ma mentre sorridevo due lacrime, senza che me ne accorgessi, mi rigarono il volto.
Non potevo, non era giusto, non dovevo, ma lo feci, ci pensai. Non era a lui che stavo pensando ora, non era lui che volevo vedere. Il cuore mi si strinse dal dolore. Amavo Tyler e di questo ero certa ma ora ero altrettanto certa di un'altra cosa, ero certa che perdere Klaus mi avrebbe fatto soffrire più di quanto potessi immaginare, più di quanto fossi in grado di sopportare.
Oggi era il giorno in cui la mia giovinezza si concludeva, quegli anni di insicurezze e rimpianti. Non volevo rimpiangere qualcosa che sarebbe potuto accadere, solo per paura, solo perchè ero insicura. Non volevo aver nessun tipo di rimpianto, non volevo guardare all'indietro un giorno e pensare a come sarebbe stato se avessi agito diversamente, maledicendomi per non averlo fatto. Non volevo nascondermi dietro alle mie paure. Non volevo rimpiangere di aver perso Klaus.
Tornai a respirare dopo interminabili secondi.
'Non voglio perdere Klaus.' Pensai, ma era esattamente quello che stava accadendo.
Guardai alla mia sinistra, poi alla mia destra, la strada era deserta. Mi voltai verso casa, ogni luce era spenta.
Non sapevo cosa fare.
'Cosa vuoi Caroline?'
'Non lo so'
'Lo sai invece, lo sai e più ti sforzerai di nasconderlo più soffrirai'
'Io amo Tyler'
'Sì lo ami'
'È con lui che voglio avere un futuro'
'È vero, lo vuoi ma non puoi averlo e lo hai sempre saputo'
'Perchè no?'
'Perchè non è lui il tuo futuro, non è Tyler che ti fa battere il cuore a suo piacimento,'
'Klaus lo distrugge'
'Klaus lo ferma, Klaus ne accelera i battiti, Klaus tiene a quel cuore più di quanto non faccia tu stessa, Klaus vuole che quel cuore batta, colmo di gioia e voglia di vivere'
'Klaus ha fatto soffrire quel cuore.'
'Questo non cambia le cose'
'Klaus non può cambiare
'Non può cambiare dici? È cambiato per te e lo sai anche tu.'
'Non mi posso fidare di lui'
'Eppure lo vuoi accanto'
'No'
'Si'
'No'
'No?'
'Sì'
'Allora corri Caroline'
'Per dove?'
'Corri e vai a prendere c'ho che vuoi, non aver paura, non puoi più nasconderti dietro ad una scusa, non puoi perchè sai che lui non è più quel 'mostro' da temere. Corri prima che sia troppo tardi. Corri prima di rimpiangere questa occasione per il resto della tua eternità. Corri Caroline, Corri.'

 

 

 

 

Erano settimane che non mettevo piede in quella casa, quell'enorme villa teatro di momenti importanti, di momenti indimenticabili.
La osservavo dall'esterno, così buia e... vuota.
La porta dell'entrata si aprì, sgranai gli occhi ed mio cuore si fermò.
'Rebekah'
Stava uscendo di casa con una valigia, non mi vide. Si rivoltò per chiudere la porta. Se ne stava andando, avevo fatto tardi. Mi portai una mano al petto stringendola a pugno là dove il mio cuore sarebbe dovuto battere, socchiudendo gli occhi.
«Caroline?» la voce stranita di Rebekah mi riportò alla realtà, riaprii gli occhi guardandola. «Che ci fai qui?» chiese curiosa avvicinandosi.
Guardai alle sue spalle, l'enorme villa buia. «Nulla.»
Seguì il mio sguardo guardando anche lei la casa, seguirono un paio di silenziosi secondi.
Che stupida ero stata. Che sciocca e codarda. Cos'avrei dovuto fare adesso? Andare a New Orleans, presentarmi alla sua porta e..
«Klaus è ancora dentro.»
Mi voltai verso di lei socchiudendo leggermente la bocca.
Sorrise divertita, scuotendo leggermente il capo in senso di dissenso per poi allontanarsi.
Sorrisi anch'io, rincuorata.
Distolsi per un secondo lo sguardo e lei scomparve, tornai quindi a fissare la villa intimorita nuovamente.
'Corri Caroline'
Mossi un passo sul ghiaino senza aspettare ancora, non c'era più tempo, non c'era altro a cui pensare.
Entrai orientandomi subito seppur immersa nell'oscurità. La casa era completamente buia, ogni luce era spenta e l'unico bagliore luminoso proveniva dal salone, dal caminetto acceso.
Inspirai ed espirai prima di compiere un altro passo. Sentivo, come l'ultima volta che ero entrata in quella casa, lo scoppiettare delle fiamme, ma ora, a differenza di allora, sapevo perchè mi trovassi qui. Non ebbi perciò alcun tipo di esitazione quando percorsi il corridoio fino ad entrare nel salone, nessuna finchè non lo vidi. Mi dava le spalle, fissava le fiamme con le mani unite dietro la schiena, pensieroso e silenzioso, l'unico movimento era quello del suo costato, che si dilatava e si restringeva dopo ogni lungo respiro.
«Cos'hai dimenticato adesso?» chiese all'improvviso divertito, spezzando quell'atmosfera.
Dimenticato? Ripensai alla valigia con cui Rebekah uscì di casa, pensava fossi lei. Eppure anch'io avevo dimenticato qualcosa.
«Di dirti di sì.» pronunciai stringendo i pugni lungo i fianchi, sicura.
Si voltò immediatamente incredulo, con un espressione confusa in viso. «Caroline?» chiese dubbioso.
Avanzai in sua direzione, con passo svelto e deciso, quando ne restò uno a separarci mi fermai, le mani sempre stretta a pugno, mentre la sua espressione non mutò. «Perchè sei qui?»
Lo guardai dritta in viso. «Perchè ti sbagliavi.»
La sua espressione assunse un velo di curiosità, aspettava che continuassi. «in marito a cosa?» mi sollecitò.
Feci un lungo respiro, non avevo intenzione di tirarmi indietro ma questo non cambiava il fatto che fossi terrorizzata.
«Quello..» mi bloccai, strinsi gli occhi ed i pugni con maggiore forza. «Quello che stavi cercando ti stava aspettando.» pronunciai con liberazione riaprendo gli occhi e guardandolo.
Mi fissava, confuso e meravigliato.
«Stavo aspettando che tornassi Klaus.»
Distolsi lo sguardo.
Mi avrebbe aspettata per sempre, ero io quella che non era disposta ad aspettare.
«Te ne sei andato, volevi andare avanti perchè qui non c'era più nulla per te» parlavo velocemente senza lasciar spazio ai pensieri, esprimendoli direttamente, lui mi ascoltava ancora confuso «La tua partenza è stata una liberazione, per tutti, tranne che per me. Ho provato ad andare avanti, finalmente libera dalla tua presenza, ho provato a smettere di pensare a te ma non ci sono riuscita, non che i tuoi messaggi in segreteria siano stati d'aiuto.» sorrisi e lui fece lo stesso.
«Ti ho spedito l'invito perchè speravo fossi qui, perchè la tua presenza qui mi avrebbe reso felice più di ogni cosa.» non potevo credere di aver appena pronunciato quelle parole eppure era così, le avevo dette ed erano più sincere che mai, non mi stavo più nascondendo né pentendo.
Avvicinò il suo viso al mio, sorridendo compiaciuto e felice, a mio avviso.
Lo guardai negli occhi, a poca distanza dai miei.
Avevo paura, paura di mostrarmi così debole davanti a lui. Distolsi lo sguardo. Sentivo solo i battiti del mio cuore.
«Caroline» sussurrò il mio nome.
'Vai a prendere c'ho che vuoi, non aver paura'
Inspirai.
Avrebbe cambiato ogni cosa ma non avevo più la forza per rimandare quello che era inevitabile. Socchiusi gli occhi. Non aver paura Caroline, prenditi quello che vuoi, prenditi Klaus.
«Sei stato un mostro»
«Caroline»
«Hai ucciso Jenna, e secondo il tuo piano originale ci sarei dovuta essere io al suo posto.» sorrisi incredula.
«Caroline»
«Hai torturato i miei amici, hai messo in pericolo la mia vita centinaia di volte, hai ucciso la madre di Tyler.»
Tornò ad allontanarsi.
«Ma nonostante le cose orribili che hai fatto non riesco più a vederti come l'incubo che eri, il mio mostro che sei stato. Una volta mi hai chiesto se sarei stata in grado di dimenticare, allora non ti risposi, fiera com'ero, ma si, Klaus, posso.»
Fui io ora ad avvicinarmi, e questa volta non mi fermai a pochi centimetri da lui, colmai quello spazio baciandolo. Non mi sorprese che ricambiò immediatamente il bacio, aspettava questo momento da tempo.
Sollevai le mani sino a poggiargliele sul viso.
Il bacio durò interminabili secondi. C'era passione, ma non rabbia. C'era desiderio, un desiderio colmato.
«Perciò non hai sempre ragione» gli sussurrai mentre lui con con il dorso della mano sfiorava delicatamente la mia guancia.
«Non sono mai stato così felice di sbagliarmi.» sussurrò di rimando, chinandosi dolcemente a baciarmi di nuovo.

 

 

 

 

So can I have a moment
Just to say hello
Can u let your anger go
It's been a long year
And I'm finally ready to be here”

 


 

Spazio autore:

Ho avuto un po' di problemi con gli esami, scusatemi.

Comunque ecco che finalmente la mia storia ha inizio, che rimanda un po' al primissimo capitolo. Finalmente Caroline era pronta.
Spero di non avervi deluso e spero che questo ''vero'' inizio vi abbia intrigato nel continuare a leggere la storia.

Stranamente ci si accorge della reale importanza di una persona quando o la si ha persa o si è sul punto di perderla. Si Klaus l'avrebbe aspettata per sempre, aspettato ma non avrebbe fatto altro se non aspettare, spetta a Caroline andarlo a cercare quando sarebbe stata pronta, e la mia di Caroline lo è.
Bene, non mi dilungo :)
Spero di ricevere le vostre critiche su questo capitolo, perchè è un punto critico visto che adesso sarò io a scegliere come andranno avanti le cose, ed i vostri commenti saranno fondamentali.

Ringrazio ovviamente chi ha recensito lo scorso capitolo:

thevampirediaries
Mery1992
pillyA
Miss love94
winner_

Grazie anche a coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite, ricordate, preferite. Siete un 80ina *-*

Grazie anche ai lettori silenziosi e quelli che mi lasciano un parere su Twitter.

Un bacio a tutti e buone vacanze!
ELLEcrz.


PUBBLICITA': Pubblicizzo la mia nuova storia interamente dedicata alla coppia Mabekah, insomma Matt e Rebekah. » Original trip.
Magari fra di voi si nasconde qualche fan di questa coppia :) fateci un salto se vi va ;)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7-I dare you. ***


Scusate il ritardo, spero che l'attesa venga ripagata. Buona lettura.

I dare you

 

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Scivolo sulla poltroncina in prima classe, si adagia perfettamente alle forme del mio corpo, comoda e rilassante. La poltrona accanto alla mia non resterà libera ancora per molto, lo intravedo mentre sorridendo percorre il corridoio avvicinandosi. Non posso ancora credere di aver detto di sì, “Sì, verrò con te”. Ma l'ho fatto e non me ne pento. Si siede al mio fianco continuando a sorridere.
«Va tutto bene?» mi domanda con un filo di preoccupazione.
«Più che bene» rispondo imbarazzata ricambiando il sorriso. Il suo non mi convince, è felice ma si vede che sta nascondendo qualcosa, qualcosa che non mi ha detto. I miei occhi si stringono in una fessura, indagatori, la mia bocca si socchiude. «Cosa stai nascondendo?» non rinuncio a chiedergli. Rimane a bocca aperta, sorpreso della mia domanda, ma il divertimento non ha di certo abbandonato il suo volto. «Tanto sai che lo scoprirò comunque» lo avviso.
«E non smetterai di far domande finché non avrai ricevuto la risposta che vuoi» china di lato il capo.
«Mi conosci» ribatto sicura.
Ci guardiamo per qualche secondo, immobili. È lui a fare la prima mossa, distoglie lo sguardo posandolo davanti a lui, cercando di trovare la posizione più comoda.
«Sono più testardo di te,» incrocia le mani in grembo, poggiando i gomiti sui braccioli e chiude gli occhi. «perciò arrenditi.» conclude tornando a sorridere.
Spalanco la bocca, infastidita e divertita.
«Sai che non lo farò.» lo sfido leggermente arrogante.
«Lo so benissimo» sussurra lui ed il suo sorriso ora coinvolge l'intero viso. Una breve risata sommessa mi esce spontanea.
«Ora riposati, è stata una giornata...» fa una piccola pausa cercando la parola più adatta per descrivere le mie ultime 24 ore «impegnativa.» conclude.
Impegnativa? Decisamente impegnativa, rischiare la vita non è stata di certo una novità, sarebbe stato più semplice affrontare un esercito sovrannaturale di morti che lui. Avevo affrontato lui, avevo affrontato me stessa.
«Ottengo sempre quello che voglio.» gli ricordo.
«Anch'io» ribatte sorridendo di nuovo, apre gli occhi e si volta a guardarmi. Torniamo a bloccarci, l'uno nello sguardo dell'altra. Nessun sorriso aleggia sui nostri volti, i suoi occhi, fissi nei miei, sono... dolci.
Improvvisamente imbarazzata sfuggo da quegli occhi.
Lo imito e mi metto comoda anch'io, sposto la testa rivolgendo lo sguardo fuori dall'oblò alla mia destra sapendo ed avvertendo ancora il suo sguardo su di me. È quasi l'alba, il rosa pallido si sta facendo strada all'orizzonte rincorrendo il blu ormai celeste della notte. Non appena mi rilasso la stanchezza della giornata appena trascorsa si fa sentire tutta d'un colpo, il velo caduto, vampiri, streghe e cacciatori che ci minacciano di morte, il ritorno di Klaus, soprattutto il ritorno di Klaus, la notte in bianco trascorsa a sconfiggere la mia paura nei suoi confronti, affrontare con lui un discorso per la prima volta sincero, dirgli di sì, fare le valigie e partire con lui. Chiudo gli occhi distrutta, sorridendo involontariamente al ricordo delle ore appena trascorse.

 

 

Erano morbidi i suoi capelli che scivolavano tra li mie dita, morbida la sua pelle sfiorata dalle mie mani, morbido il bacio che aveva avuto un dolce inizio e non sembrava avere fine.
L'unico rumore in quella stanza, oltre ai nostri respiri affannati, lo schiocco del nostro bacio, era lo scoppiettio del fuoco morente, lui moriva mentre io mi sentivo bruciare.
Le sue di mani erano leggere, delicate, come non mi sarei mai immaginata, prudenti, quasi insicure. Mi sarei aspettata più forza, rabbia, anche se la passione non mancava.
Era un bacio e sarebbe rimasto tale, nessuno dei due sembrava intenzionato ad andare oltre, non che non lo volessimo, non sembrava il momento.
Era surreale, se qualcuno mi avesse detto quello che sarebbe successo oggi non gli avrei creduto, gli avrei riso in faccia ripetendogli che era impossibile, mentendo a lui e mentendo a me stessa. Io e Klaus, nei suoi sogni forse, non nei miei, mai, così avrei risposto. Eppure eccomi qua, avvinghiata al suo corpo, io ero andata a cercarlo, io gli avevo detto che era possibile, io lo avevo baciato, e continuavo a farlo.
Continuavo perché volevo, perché ne avevo bisogno, perché non volevo fermarmi e non volevo anche affrontare il 'dopo'. Cosa sarebbe successo dopo? Dopo questo bacio, dopo le parole che gli avevo confessato, dopo. Non volevo rovinare questo momento, che probabilmente segretamente aspettavo come lui, pensando al dopo. Esistevamo solo io, lui e nient'altro, nessun dopo.
Più il tempo passava, scorrendo irregolare, più mi sentivo sprofondare in un universo irreale, irrazionale, ma dovevo mantenere la mia razionalità, dovevo perché era stata quella a contraddistinguermi, quella a salvarmi. Abbandonandola mi ero ritrovata qui, non potevo farmene una colpa, anzi, ero grata di averlo fatto, ma la razionalità mi serviva e dovevo ritrovarla.
Allentai la presa morbida sui suoi capelli facendo scivolare delicatamente la mia mano sul suo collo, vi indugiai non del tutto sicura di voler riaccendere la razionalità, ma mi costrinsi a continuare. Poggiai la mano al centro del suo petto, sollecitando una lieve pressione allontanandolo impercettibilmente, spezzai quel bacio posando lo sguardo sulla mia mano, insicura di essere in grado di incrociare i suoi occhi e rischiare di rituffarmi in quell'universo irrazionale.
Distesi le labbra in un leggero sorriso, soddisfatta. Mi sarei dovuta scontare sempre d'ora in avanti con la mia parte razionale e quella irrazionale? Far prevalere l'una a discapito dell'altra e vedere dove questa mi avrebbe condotto?
Con l'indice, leggero, percorse il profilo della mia guancia sino a raggiungere il mento, socchiusi gli occhi per il contatto. Con una presa morbida afferrò il mio mento, tra pollice e indice, sollevandolo e costringendo il mio sguardo ad incontrare il suo. Riaperti gli occhi fissai i suoi, erano scuri per le pupille dilatate a causa dell'oscurità che ormai ci avvolgeva. Ricambiava lo sguardo intenso, osservandomi, studiandomi, soggiogandomi? Mi prese il panico per una frazione di secondo e sicuramente la mia espressione mutò e lui se ne accorse. Mi fece immediatamente capire quanto mi fossi sbagliata avvicinandosi nuovamente e premendo le sue labbra sulle mie, con ancora più delicatezza.
Quando si allontanò poco dopo non potei trattenere un sorriso, doveva avere l'ultima parola, doveva avere l'ultimo bacio. Sorrise anche lui, non so per quale motivo.
Lo guardai felice prima di rendermene conto; il dopo era arrivato. Deglutii, all'improvviso tesa, non sapevo come affrontare quella situazione perché non mi sarei mai immaginata di trovarmici. Aspettavo e speravo che fosse lui il primo a parlare perché io di certo le parole non le avrei trovate, di parole ne avevo già dette abbastanza. Mi concentrai sui battiti del mio cuore che sembravano non avere pace in quella giornata eterna, sembrava che anche lui avesse qualche difficoltà a trovare le parole rifugiandosi in quella che più mi piaceva sentirgli pronunciare.
«Caroline...»
Disse semplicemente, cercando nuovamente la mia attenzione, come se già non fosse concentrata su di lui. 
Ci troviamo ad un passo di distanza, in modo tale da poterci studiare a vicenda.
Ero a disagio ma quello che mi sorprese era vedere lui impacciato come probabilmente dovevo apparire io. Era sempre sicuro, composto, impassibile, come cercavo di apparire sempre io d'altronde, vederlo insicuro sul come agire mi faceva stranamente assumere sicurezza in me stessa. Avevo uno strano ascendete su di lui, come lui lo aveva su di me.
Perché non parla? Non è da lui.
«Se avessi saputo che bastava un bacio per zittirti, lo avrei fatto prima» le parole mi uscirono spontanee, senza controllo. Sgranai gli occhi, incredula di aver espresso a voce alta quello che era solamente un pensiero. Sentire la sua risata calda mi tranquillizzò e rilassai il volto.
«Su una cosa siamo d'accordo» parla, di nuovo spavaldo, alzo lo sguardo su di lui «avresti potuto farlo prima.» è tornato in lui. Sicuro di se.
«Eccolo il Klaus arrogante che conosco» lascio libero sfogo ai miei pensieri, ormai. Le parole mi escono più dure di quanto desiderassi, lui china di lato la testa ed il suo sorriso si rilassa leggermente.
«insieme agli altri mille Klaus che ho visto» aggiungo due secondi dopo e noto di aver rimediato, il suo sguardo è ora curioso e scrutatore.
«Addirittura mille?» mi chiede divertito.
«La lista è lunga» lo informo divertita, lasciandomi sfuggire una breve risata che si unisce alla sua.
«Tu quale preferisci?» aggiunge d'un tratto lui. Smetto immediatamente di ridere, tornando seria e sorpresa per la domanda.
«Be'...» accenno cercando la risposta. Quale Klaus preferisco? Mi pongo da sola la domanda. Abbasso lo sguardo, sicura di essere arrossita. Sono stata sincera con lui da quando ho rimesso piede in questa casa, sarebbe ingiusto e ipocrita tornare a mentire o scappare proprio ora. «credo...il Klaus che disegna» lascio la mia mente libera di esprimersi, la parte irrazionale ha il controllo. Sì il Klaus che disegna, sono soddisfatta di questa risposta. Alzo lo sguardo sorridendo, il suo volto è però confuso e con gli occhi mi sta chiedendo una spiegazione che forse non vuole chiedere a parole, mi impongo perciò di continuare, spronando quell'irrazionale Caroline nascosta. Perché il Klaus che disegna, Caroline?
«Il Klaus che disegna, perché credo che quel Klaus sia felice, soddisfatto, compiaciuto per l'ottimo lavoro che sta facendo, quel Klaus che ha il controllo su quella matita, su quel pezzo di carta, su quel mondo che è suo, nessuno può contraddirlo, nessuno può togliergli il controllo, il potere. Quel mondo è solo suo ed è sicuro in quel mondo. Nessuna minaccia, nessun ricordo a rovinarglielo. Quel Klaus.» Ascoltavo le parole che gli stavo rivolgendo, sorpresa quanto lui di sentirle. Quando aveva pensato al Klaus che disegna? Eppure a quanto pare ci avevo pensato, e nemmeno di sfuggita.
Lo sto fissando, sicura delle mie parole, sicura nello sguardo che gli sto rivolgendo, il suo è ancora confuso, insicuro, spaventato? All'improvviso mi preoccupo per la sincerità delle parole a cui ho appena dato libero sfogo. Forse mi sono spinta troppo oltre, forse non era questa la risposta che avrebbe voluto ricevere.
Mi rabbuio, convinta di aver sbagliato, avrei dovuto prenderlo in giro come era mio solito fare. Ma sono stufa, pensavo che avessimo abbandonato i nostri rimbecchi almeno ora, ammetto che siano estremamente divertenti ed eccitanti, per la scarica di adrenalina che l'idea di poterlo sfidare mi fa scorrere nelle vene, ma pensavo che tutto non si limitasse a quel... gioco.
Deglutisco, abbattuta.
«Grazie per la tua sincerità.» pronuncia in un sussurro.
La mia bocca si socchiude, sorpresa torno a guardarlo.

Grazie per la tua sincerità,
Klaus”

«Credo di avertelo scritto nel disegno che ti ho regalato» il suo sorriso luminoso è tornato. Non sta giocando.
Annuisco.
«Nonostante tutte le volte che mi hai preso in giro, ingannato, cercato di uccidere» sorride «nonostante tutto, sei stata una delle poche persone ad essere sincere con me, una delle poche in tutti questi secoli. Hai avuto paura di me, ed hai paura di me persino ora» fa una breve pausa «eppure la paura non ti ha impedito di esprimerti liberamente, mi odi eppure sei stata più sincera con me di persone che professavano di amarmi. Non hai perso occasione per ricordarmi il mostro che sono, eppure, in me, non hai visto solo quel mostro, hai visto altro, o non saresti qui.»
Ho gli occhi sgranati, travolta dalle sue parole.
Ho paura di lui? Sì, ma non la paura che crede lui, non più, non per me.
Lo odio? Una parte di me lo odia perché è incapace di dimenticare, l'altra parte invece può farlo ed è qui con me ora.
Ho visto altro? Sì, ho visto altro, oltre la sua maschera, oltre quell'arroganza, oltre quel mostro, ho visto altro. Ho visto un bambino biondo prima che le tenebre lo avvolgessero, ho visto quel ragazzino davanti al suo amato cavallo decapitato, ho visto quel ragazzo abbandonato a se stesso, ho visto quel ragazzo terrorizzato dalla paura di restare solo, quell'uomo ferito, quell'uomo che non ha ricevuto amore e pensa di non meritarlo, pensa che nessuno sia in grado di darglielo. Ho visto quello che c'è dietro la maschera, dietro l'immortalità, dietro la brama di potere, vendetta, morte. Ho visto Klaus al di là di questa maledetta maschera che ha indossato per nascondersi, per poter uccidere e vendicarsi senza provare rimorso. Ho visto Klaus, ho visto la sua umanità.
Sorrido e gli occhi mi diventano all'improvviso lucidi, sono pronta a sollevare una mano per raggiungere il suo volto quando lui continua.
«Per questo» il suo sguardo è freddo «ho paura che tu sia qui.» Klaus che ha paura? Aggrotto la fronte confusa aspettando che continui, un paio di secondi dopo lo fa. «Ho paura» si percepisce dolore attraverso il modo in cui pronuncia quella parola «che tu possa scoprire che non c'è nulla dietro.» conclude e so che non aggiungerà altro, il suo sguardo non lascia trasparire alcuna emozione.
Non mi sarei mai immaginata tanta sincerità da parte sua.
Lui ha sempre professato di conoscermi meglio di me ma non sa che anch'io conosco lui più di quanto creda, più di quanto il suo pessimismo e la sua autodistruzione possano fargli conoscere se stesso.
Non aspetto di rifletterci sopra, so esattamente quello che voglio dirgli e all'improvviso non è solo la mia parte irrazionale a parlare, è tornata anche quella razionale e sono pronte a collaborare.
«Credi davvero» lo guardo arrabbiata «che mi troverei qui se non fossi convinta» convinta non è sufficiente «se non fossi sicura, che ci sia altro?»
Sta per ribattere e sono io questa volta a zittirlo.
«Credi davvero che avrei affrontato la mia paura, avrei affrontato te, se non fossi sicura?» e questa volta sono io ad aver concluso ed aspetto che sia lui a parlare.
Mi guarda, studiandomi.
«Come puoi esserne sicura?»
«Lo sono e basta»
«Non è una risposta»
Aggrotto la fronte, arrabbiata.
«L'ho visto, l'ho sentito.»
È lui questa volta ad aggrottare la fronte, confuso, non è convinto, lo vedo.
Bene, vorrà dire che giocherò con le sue stesse carte.
«Ti sfido!» sbotto all'improvviso. Incrocio le braccia rivolgendogli uno sguardo sicuro e riesco a stento a trattenere un sorriso, cosa che lui non fa.
«Mi sfidi?» chiede incredulo e sorprendentemente divertito.
«Mi hai sfidato a conoscerti.» gli ricordo e prima che possa continuare interviene.
«Lo ricordo bene»
Non gli bado e continuo per la mia strada.
«Ho accettato quella sfida.» Il suo sguardo è indagatore, sta cercando di indovinare dove io voglia andare a parare. «Ora sfido io te.»
«A cosa?» incrocia le braccia imitandomi.
«A...» mi blocco. A cosa dovrei sfidarlo? Devo ribattere subito o riuscirà a mettermi in difficoltà. Cerco velocemente la risposta «Ti sfido a lasciarti conoscere.» Sì! Eccome!
Questa volta a non ribattere immediatamente è lui. Mi congratulo con me stessa.
È lui a dover trovare ora della risposta giusta, la cerca mentre osserva il mio sguardo soddisfatto mentre lui sta soppesando le possibilità, incerto.
In una frazione di secondo cambia espressione, sta sorridendo e capisco immediatamente che è tornato il Klaus sicuro di se, il Klaus soddisfatto.
«Sai cosa significa questo vero?»
Sono io ad essere confusa ora.
«Se accetto, sarai costretta a venire con me a New Orleans.»
Sgrano gli occhi, presa alla sprovvista, non sono in grado di ribattere.
«Perciò» fa una piccola pausa volontariamente «accetto la tua sfida, Caroline»
Merda! Avevo io il controllo della situazione fino a due secondi prima, come fa ad averla sempre vinta lui? Non so che dire.
«Sei libera di ritirare la sfida» mi avverte meno divertito di poco prima.
«No» rispondo d'impulso.
«Perciò verrai con me a New Orleans?» le sue parole sono cariche di speranza.
Lo guardo negli occhi, non ne traspare arroganza né divertimento, c'è preoccupazione, c'è ansia. Cosa c'è nel mio di sguardo? Riesco a sentire solo il mio cuore, i suoi battiti profondi riecheggiano nella mia mente all'istante vuota.
'Cosa vuoi fare Caroline?'
'Voglio provargli che c'è altro'
'Perché?'
'Perché ho sempre ragione.'
'Perché?'
'Perché non ha sempre ragione e si sbaglia.'
'Perché?'
'Perché... Voglio dimostrargli che c'è altro, voglio che veda l'umanità che c'è il lui, perché voglio quel Klaus.'
«Sì» sussurro. «verrò con te.»

 

 

Apro piano gli occhi, disorientata. Sono in aereo, sto andando a New Orleans. L'oblò è abbassato e c'è una coperta rossa ad avvolgermi e riscaldarmi, la stringo beandomi di quel tepore. Dopo qualche secondo volto il capo alla mia sinistra incrociando subito il suo sguardo. Mi stava guardando dormire? Klaus mi stava guardando dormire. L'imbarazzo prende forma sulle mie guance, arrossandole, lui se ne accorge perché allarga ancor di più il suo sorriso.
«Buongiorno» mi sussurra.
Buongiorno? Era ormai giorno prima che prendessi sonno all'incirca un ora fa, visto che siamo ancora in volo non deve essere trascorso poi molto tempo anche se mi sento incredibilmente riposata. Vabbè «Buongiorno» gli rispondo, la voce roca. «grazie per la coperta» aggiungo.
«Figurati» Rieccolo il sorriso divertito. Torno a studiarlo per un attimo.
«Me lo dirai adesso cosa nascondi?»
Beccato un'altra volta!
«Lo scoprirai presto»
Metto il broncio e torno a girarmi. Mi sono appena svegliata, ho bisogno di riprendermi prima di poterlo affrontare come si deve.
Tolgo un braccio da sotto le coperte allungando la mano verso l'oblò riappropriandomi di quella vista che mi era stata negata. Non appena lo sollevo rimango interdetta. L'ultima volta che vi avevo osservato attraverso era l'alba ed ora i colori non sembrano essere cambiati, anche se sono più intensi. Aggrotto la fronte confusa e fisso il panorama. Mi tiro su a sedere in una posizione più composta.
Perdo un battito quando mi accorgo che il blu, il celeste, sta sconfiggendo il rosa. Questa non è l'alba, è il tramonto! Sgrano gli occhi e mi volto verso di lui.
«Per quanto tempo ho dormito?» chiedo agitata.
«Circa 5 ore» risponde tranquillo, come nulla fosse.
5 ore? Non sono sicura di quanto il volo durasse ma sicuramente non 5 ore. Non abbiamo dovuto seguire la solita routine all'aeroporto visto che abbiamo raggiunto direttamente la pista di decollo “grazie a Klaus” quindi non mi sono potuta informare sul volo tantomeno alla partenza, dato che ho preso sonno prima che l'aereo decollasse.
Il mio sguardo è sconvolto, cosa diavolo sta succedendo?
Ecco il suo sorriso compiaciuto.
«Dove stiamo andando?» il mio tono è allarmato.
È direttamente l'assistente di volo a darmi la risposta al posto suo.
Avvisiamo i gentili passeggeri che stiamo iniziando le manovre di atterraggio all'aeroporto di Roma-Fiumicino. Si prega di allacciare le cinture. L'arrivo è previsto tra circa dieci minuti. Grazie”
Roma? Sgrano maggiormente gli occhi mentre lui sorride divertito. Roma? Torno a guardare dall'oblò osservando il panorama sotto di noi. C'è una grande città ma non ci sono grattacieli. Siamo davvero a Roma? Sono sconvolta. Mi giro nuovamente verso di lui che ora sembra leggermente allarmato.
«Roma?» il mio tono è incredulo.
«Ti avevo fatto una promessa» sorride dolcemente mentre io inizio a confondermi, cercando di capire a cosa si stia riferendo, cercando di ricordare chissà quale conversazione passata.
Mi viene in aiuto.
«Mi confidasti di non essere mai stata da nessuna parte e io ti promisi che ti ci avrei portato io, ovunque tu volessi.» la sua voce è calda «la prima sulla lista credo fosse Roma, se non ricordo male»
Il mio sguardo si illumina, non c'è più preoccupazione c'è sorpresa, c'è meraviglia.
«Sì, credo fosse la prima sulla lista» sorrido e lui ricambia.
Ci guardiamo, lui sta ammirando la mia reazione mentre io cerco ancora di capacitarmi di essere fuori dagli Stati Uniti, su un altro continente, con Klaus. C'è una cosa che vorrei fare ma non ne ho il coraggio, sono sicura lui stia aspettando che io lo faccia. Perché non lo fa lui? Vorrei avvicinarmi a lui e baciarlo ma sono bloccata.
«Roma ti piacerà, Caroline» mi sorride dolcemente.
«Ne sono sicura.» addio al momento.
Torno ad osservare il panorama mentre iniziamo ad atterrare. Il tramonto rende tutto più suggestivo, i colori caldi abbracciano la villeggiatura urbana in perfetta armonia sulla costa del mare. Amo già questo posto.
L'atterraggio ci riporta con i piedi a terra fisicamente, perché io sto fantasticando ancora incredula sulle nuvole. Non c'è più molto da vedere ora che l'aereo sta frenando sulla pista dell'aeroporto e mi volto verso Klaus, mi sorprende vederlo distratto con lo sguardo dritto avanti a lui. L'essere invincibile non avrà mica paura di un atterraggio? Abbandono quel pensiero divertente ed istintivamente gli afferro la mano appoggiata al bracciolo e la stringo. Si volta immediatamente guardando prima le nostre mani poi i miei occhi.
«Grazie.» il mio cuore colmo di gioia.
Mi sorride ed alza la mia mano sino a raggiungere la sua bocca, mi bacia il dorso della mano. «È un piacere.»

 

Stiamo scendendo le scalette dell'aereo quando un hostess si avvicina porgendoci le nostre valige. Mi stupisco, l'avrà soggiogata per portarci le valige? Mi chiedo istintivamente leggermente preoccupata, mi guardo in giro e lui nota il mio sguardo, osservo però che anche agli altri passeggeri di prima classe sono state consegnate le rispettive valige quindi deve essere un servizio garantito nel pacchetto. Mi tranquillizzo e sorrido ironica per aver subito pensato male. Afferro la mia valigia, non è molto grande visto che ero stata invitata a prendere solo il necessario, mi era stato garantito che a New Orleans avrei trovato tutto quello di cui avevo bisogno e lui si sarebbe preoccupato di offrirmi tutto quello che desideravo. Non avrei comunque avuto il tempo per preparare una valigia vera e propria. La sollevo ma subito la mano di Klaus mi raggiunge, sollevandola insieme a me.
«Lascia, ci penso io»
Arrossisco lasciandogli la valigia guardandolo. Vederlo così mi spiazza, sembra qualcun altro. Prima che si accorga di quanto a disagio mi trovi mi volto, stringo il mio bagaglio a mano e mi incammino verso gli altri passeggeri diretti all'aeroporto.
Muovo solo qualche passo.
«Ehi» mi volto e noto che è rimasto nel punto in cui lo avevo lasciato, con la mia valigia in mano ed uno sorriso, uno di quelli che gli illuminano il viso.
«Da questa parte» mi fa cenno con la testa verso un SUV nero che si è appena fermato poco distante dall'aereo. Lo guardo confusa raggiungendolo di nuovo mentre lui mi aspetta. «Non avevo di certo intenzione di sorbirmi l'intero sbarco come i comuni mortali» l'ironia delle sue parole lo fanno ridere ed è una risata coinvolgente a cui non riesco a resistere. Scuoto la testa mentre ridendo insieme ci dirigiamo al SUV.

 

Osservo la città di notte ad occhi sognanti come una bambina che osserva meravigliata le luci di natale io osservo quelle che mi scorrono davanti agli occhi, nonostante i finestrini oscurati, non mi perdo nulla, sognando già la città di giorno. Ho volutamente ignorato l'autista del SUV e l'altro passeggero, vampiri entrambi. Klaus ha davvero scagnozzi in ogni dove. Mi chiedo quando li abbia avvisati del suo.. nostro arrivo. Sicuramente mentre cercavo di decidere quali oggetti rientrassero nell'ottica di 'essenziali' per Klaus. Sorriso.
«Pensavi avessi soggiogato l'hostess?» mi chiede Klaus all'improvviso distraendomi, mi volto verso di lui seduto accanto a me, ha l'aria rilassata.
L'hostess? «Sì» ammetto imbarazzata.
Ride. «Lo sapevo»
«Non sono abituata a viaggiare in prima classe» lo ammonisco, scherzosamente irritata.
«Ti ci abituerai» e le sue parole hanno tutta l'aria di una promessa.
Mi zittisco, sorpresa.
«Che ne dici di Roma per ora?» cambia argomento.
«Già la adoro» ammetto sincera.
Il SUV si ferma, siamo arrivati, si ma dove? Klaus scende, così come i due scagnozzi, vado per aprire la portiera quando è lui a farlo, scendo sorridendogli. Ancora con queste galanterie, eh Klaus? Mi volto e rimango sbalordita, davanti a noi il Colosseo. Lo avevo visto in foto milioni di volte e non credevo fosse così maestoso, emozionante, unico. Per la sorpresa ho la bocca spalancata, lo sguardo alzato verso la cima di questa enorme costruzione. Il cuore mi batte all'impazzata, esaltante. Noto con piacere che ci sono turisti con la mia stessa espressione, affascinati.
«Il Colosseo» esordisce Klaus «ma questo lo sai già» mi volto verso di lui, stava guardando me e non l'anfiteatro. Sono certa l'abbiamo visto centinaia di volte anche in migliori condizioni rispetto a come è ora, ma io sono certa che se lo rivedessi anche tra un millennio per la milionesima volta, la sensazione sarebbe la stessa. Eppure lui sta fissando me e continua a farlo ed io lo fisso a mia volta, abbandonando per un attimo il Colosseo. Mi accorgo solo ora che la mia mano è ancora posata sulla sua da quando mi ha aiutato a scendere per l'emozione, la sto stringendo senza accorgermene, abbasso il capo a guardare le nostre mani, quando lo rialzo lui si china su di me e mi bacia. Mi coglie di sorpresa ma ricambio subito il bacio, libero la sua mano dalla mia presa e poso entrambe sul suo volto. Una delle sue scende sulla mia schiena mentre l'altra è sulla mia nuca. C'è più passione rispetto a quel primo bacio, c'è la sensazione di aver rimandato questo contatto da troppo tempo anche se sono trascorse ore. Sono felice l'abbia fatto, lo stavo aspettando da ore.
Il suo odore, il suo sapore mi avvolgono.
Mi china leggermente all'indietro stringendomi a se e sono consapevole di reggermi in piedi solo grazie alla sua mano sulla mia schiena, le mie mani salgono tra i suoi capelli e non posso trattenere un sommesso gemito.
Si ferma lasciandomi insoddisfatta.
Allontana di qualche centimetro le sue labbra dalle sue per potermi guardare meglio, la nostra posizione non è cambiata, è ancora lui a reggermi in piedi.
Cerco di riprendere il controllo del mio respiro accelerato.
Sono sorpresa di questo bacio, compiaciuta, ma sorpresa. Mi ha baciato qui, sotto il Colosseo, in mezzo a dozzine di turisti, con passione.
«Ho accettato la sfida» sussurra sulle mie labbra sorridendo. Lo fisso per un secondo e poi sorrido anch'io.
«Benvenuta a Roma, Caroline» ci guardiamo ancora per un istante negli occhi poi mi rimette in equilibrio su me stessa. Sospiro e torno ad alzare lo sguardo sul Colosseo.
Sento i battiti accelerati del mio cuore e lo è anche il mio respiro. Sorrido incoerentemente, senza accorgermene, i miei occhi sono lucidi, sì sono felice.
«Che fai? Vieni?» Klaus a due passi alle mie spalle, ha di nuovo la mia valigia in mano. Lo raggiungo subito, sorridendogli. Sì Klaus, sono felice. Sono a Roma grazie a te. Un mio sogno si è realizzato grazie a te. Sono felice... grazie a te.
Ci incamminiamo non so per dove perché seguo lui. Abbasso la mano ed afferro la sua, lo sento irrigidirsi ma né io né lui abbassiamo lo sguardo per guardarle, la stringe e io rispondo alla sua stretta.

 

 

 

 

Spazio autore:

Mi scuso nuovamente per il ritardo. Ho finito gli esami e poi mi sono tuffata sui libri che mi ero proibita di leggere finché non avessi finito di studiare, tutte voi mi potrete capire.
Come ho già detto all'inizio, spero che l'attesa sia stata ripagata, che dite? Vi è piaciuto questo capitolo? Spero di si perché ne sono molto orgogliosa.
La nostra amata coppia non raggiungerà subito New Orleans, ho pensato che si meritassero una vacanza insieme, DA SOLI! Speriamo solo che non incappino in qualche... problema ;)

Cercherò di aggiornare più presto, lo prometto!
Spero che le vostre vacanze estive si stiano svolgendo al meglio :)

Ringrazio come è giusto che sia, coloro che hanno recensito lo scorso capitolo:

LauGelso
Elyxa85
Mery1992
giudo
pillyA
Miss love94
Splende il sole
buffy46
Pipia
Greta_Mrg
ImAdreamer99
winner_

Grazie mille per le bellissime recensioni, sono riuscite ad ispirarmi sul contninuo della storio. Ringrazio coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite, ricordate, seguite. GRAZIE! E grazie ovviamente ai lettori silenziosi.

Credo di aver detto tutto,
Un bacio Klaroliners.

ELLEcrz.

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Capitolo 8
*** Capitilo 8-Prisons ***


Non uccidetemi! 

Prisons

 



Sono aggrappata al braccio di Klaus mentre attraversiamo i corridoi, preceduti dal facchino che porta la mia valigia e ci conduce verso la nostra stanza. Siamo a pochi passi dal Colosseo e l'hotel è di un eleganza estrema, moderno ma al tempo stesso antico, di certo non avevano badato a spese per quanto riguardava gli arredi, non oso immaginare come possa essere la stanza, se solo i corridoi e la hall si erano presentati così, né tanto meno quanto dovesse aver pagato, nel caso lo avesse fatto. Sorrido, lui se ne accorge voltandosi a guardarmi sorridendo di rimando.
«Ecco la vostra suite, signori» ci avvisa aprendo le porte ma lasciando entrare noi per primi. Appena varcata la soglia rimango sbalordita, letteralmente a bocca aperta.
È una stanza enorme, camera mia ci poteva stare benissimo due volte, mi stupisco nel non vedere l'ombra di un letto, magari due. Avanzo lentamente meravigliata per ogni cosa su cui il mio sguardo si posa, sento Klaus parlare alle mie spalle, non si sta rivolgendo a me me quindi non gli bado. Raggiungo una delle grandi finestre, dopo aver superato un divano, un basso tavolino in vetro ed addirittura un pianoforte, e rimango nuovamente stupita, la vista da direttamente sul Colosseo.
La porta si chiude perciò mi volto, Klaus poco distante dall'entrata mi osservava a braccia conserte, studiandomi.
«Che ne dici?» mi domanda.
Lo fisso chinando il capo di lato, la risposta a quella domanda era più che ovvia.
Sorride e si avvicina sciogliendo le braccia lungo i fianchi mentre avanza.
«Com'è la vista?» chiede prima di raggiungere il mio fianco, automaticamente mi volto di nuovo verso la finestra per ammirare insieme a lui il Colosseo. Mi irrigidisco involontariamente quando sento la sua mano delicata sulla mia schiena, lui se ne accorge e la allontana immediatamente. Lo guardo, non era stato il contatto a farmi irrigidire ma la sorpresa. «perfetta come la ricordavo.» aggiunge sorridendo di nuovo, malinconicamente questa volta, spero non a causa mia.
«Già, perfetta» sorrido probabilmente con gli occhi lucidi per la gioia e l'euforia. Sento il suo sguardo su di me, cerco di far finta di nulla ma alla fine cedo chinando il capo.
«E c'è molto altro da vedere.» esordisce lui dopo interminabili secondi.
Si allontana da me dirigendosi verso la porta «non vedo perchè aspettare» aggiunge prima di aprirla, una mano appoggiata alla maniglia mentre l'altra sporta in mia direzione mi invita a raggiungerlo.
Sorrido radiosa afferrandola e stringendola dopo pochi passi.

 

Non so se è perchè da un giorno all'altro mi sono ritrovata dall'altra parte del mondo, o perchè la compagnia è del tutto originale ed insolita ma mi sento diversa, mi sento su un altro pianeta, un posto in cui non è alla ragione che dovevo dare più ascolto ma all'istinto, al cuore.
Roma è splendida e le luci della notte le conferiscono una aura magica, tutto è più bello di notte soprattutto per me, soprattutto per chi la poteva osservare con occhi come i miei il buio, occhi sovrannaturali.
È come un sogno, io che osservo me stessa vivere una vita che appunto, poteva esistere solo nei sogni. Perchè non sono io, non sono così rilassata da troppo tempo, non devo pensare a nulla, preoccuparmi per nulla, solo di lui, solo di me. Sono stretta al suo braccio mentre percorriamo questa lunga via, lo ascolto mentre mi racconta aneddoti che, sono certa, nemmeno le guide più esperte e preparate conoscono, anche se a volte il mio sguardo invece che posarsi su una statua o su una rovina si posa su di lui, che così rilassato, come me, sembra un altro. Sorrido.
Camminiamo da ormai più di un'ora. Mi interroga facendomi domande a cui il più delle volte, soddisfatta, rispondo mentre lui annuisce compiaciuto. Continuiamo così finchè non raggiungiamo quello che riconosco essere il Vaticano.
«Città del Vaticano» lo precedo.
Stiamo per attraversare quello che presumo essere il confine per lo più simbolico che divide il Vaticano da Roma, quando lui si ferma.
«Che c'è? Territorio non consentito ai peccatori come te?» mi volto in sua direzione ridendo ma la sua espressione è dura ed il suo sguardo rivolto in lontananza. Smetto di sorridere e cerco di seguire i suoi occhi sino a riconoscere i due uomini che ci avevano portato in albergo, ma non comprendo la ragione della loro presenza qui. Anche loro ci stanno fissando, vogliono parlare con lui.
«Ti raggiungo subito, tesoro.» Torna finalmente a guardarmi «una santarellina senza peccato potrà attraversare il confine senza problemi, il Re dei peccatori la raggiungerà subito.» Mi rivolge un sorriso malizioso stando al gioco.
Lo seguo con lo sguardo per alcuni passi, potevo aspettarlo ferma o addirittura cercare di origliare la loro conversazione, ma decido di non farlo, a passo sicuro attraverso il confine tornando a bearmi del posto in cui miracolosamente mi trovavo. È meravigliosa, così illuminata, immersa in un silenzio surreale, delicato è persino lo scrosciare dell'acqua nelle due fontane. Non è molto affollata data l'ora tarda, ci sono per la maggior parte turisti, lo capisco perchè sono affascinati come lo sono io.
«È impossibile non pensare che questo posto sia magico.» Volto leggermente il capo alla mia destra, non del tutto sicura che chiunque avesse espresso questa considerazione si stesse rivolgendo a me. Il mio sguardo finisce con il posarsi su un uomo, sulla trentina a mio avviso, alto, capelli castano scuro, un fisico robusto avvolto in un cappotto nero un po' malandato, due occhi scuri, fissi su di me.
«Magica? Siamo pur sempre in un luogo di culto». Ribatto sicura.
Sorride. «Touchè.»
Distolgo lo sguardo dal suo viso riprendendo il mio cammino, rimango stupita quando noto che mi sta seguendo, procedendo al mio fianco.
«Personalmente, amo questa piazza» mi informa. O mascherava perfettamente l'accento italiano o non era di queste parti «C'è tutta una logica geometrica dietro la sua costruzione.» si ferma ed istintivamente lo faccio anch'io. «Qui» indica un punto a terra, guardo il contrassegno poi di nuovo lui. «Da qui le quattro file di colonne sembrano una» curiosa come sempre mi avvicino sino a raggiungere il contrassegno, alzo lo sguardo ed è vero, sembrano un unica fila. Sorrido meravigliata.
«Sono ancora dell'idea che sia magica.» fa spallucce e non riesco a trattenere una breve risata seguita dalla sua.
«Forse avevi ragione.» gliela do vinta.
«Succede spesso.» cambia tono e torno immediatamente seria.
Alzo gli occhi al cielo, possibile io debba sempre avere a che fare con presuntuosi che vogliono sempre avere ragione? Non basto io?
«È con questa mossa che cerchi di far colpo?» chiedo sottile.
È sorpreso della mia risposta, lo capisco perchè resta a bocca socchiusa e tarda a rispondere. «A dire il vero no, ho altri trucchi.» Il suo tono accentua l'ultima parola.
«Certo. Cerca qualcun altro su cui testare i tuoi trucchi. Ora se non ti dispiace..» Stringo la borsa al fianco e mi volto per andarmene ma la sua mano afferra il mio braccio.
Perdo il controllo e senza rendermene conto quando mi volto di nuovo verso di lui i miei occhi sono iniettati di sangue, pronunciati sono i miei canini. Afferro con la mano libera la sua, stringendola con forza e cercando di allontanarla, fallendo miseramente. Lo guardo e sconvolta scorgo i suoi occhi, cremisi come i miei. Un vampiro, più forte di me, più vecchio di me. Ci guardiamo fissi negli occhi, i suoi sono vuoti, i miei allarmati. Sono vuoti, spenti, morti. Mi perdo in quegli occhi cercando di trovarvi un po' di luce, di vita.
Il rumore di ossa infrante ed il cambiamento della sua espressione mi fanno distogliere lo sguardo. Klaus è al mio fianco, stringe il suo braccio ormai spezzato ed inerme per le prossime ore, la smorfia del vampiro è sofferente ma cerca di contenere alla meglio il dolore.
«Ben tornato a Roma, Klaus» sputa tra i denti dopo che l'ibrido al mio fianco ha mollato la presa.
«Non mi sembra l'adeguato modo di darmi il bentornato, Darius.» risponde freddo lui.
Lo conosce. Perchè la cosa non mi stupisce? Rimango in silenzio osservando la scena.
«Non era mia intenzione...»
«Lo era invece» lo ammonisce duro, poi sospira. «Forse dovrei davvero ucciderti.» constata pensieroso. Io poco distante mi irrigidisco, preoccupata di un imminente esecuzione in quella piazza che fino a pochi istanti prima era stata stupenda. Fisso il giovane vampiro di cui ho appena fatto conoscenza, soffermandomi di nuovo sui suoi occhi trovandovi per un istante quel bagliore che cercavo, un bagliore però che viene subito oscurato. «Ma non ho davvero tempo da perdere con te e difficilmente vengo meno ad una promessa fatta.» muove un passo verso di lui dandomi le spalle. Lo sta guardando troppo intensamente, lo sta soggiogando, Darius annuisce ed un istante dopo torniamo ad essere soli, era sparito.
Klaus si volta poco dopo in mia direzione, con un sorriso soddisfatto stampato sul volto.
«Mi dispiace per l'inconveniente» torna serio posano lo sguardo sul mio braccio che solo allora mi rendo conto di stringere.
«Non è nulla» la voce è leggermente roca, perciò la schiarisco e mollo la presa cercando di sorridere. «Chi era?» gli domando estremamente curiosa.
A bocca socchiusa mi osserva, incerto se rispondere o meno alla mia domanda, come spesso capitava, il mio sguardo gli fa capire che volevo una risposta e l'avrei ottenuta.
«Quando raggiunsi Roma la prima volta fu uno dei primi che trasformai.» La storia non finiva così, lo sapevo, ma volevo davvero sapere come continuava?
«Si ribellò a me ed io in cambio gli donai un eternità di prigionia, la considerai una punizione decisamente peggiore della morte.»
«Era pur libero stanotte.»
Distoglie per un istante lo sguardo ancora incerto se proseguire.
«Ci sono diversi tipi di prigioni, Caroline» il suo tono è affranto, traspariva una nota di sofferenza. No, forse non volevo sapere come finiva quella storia ma volevo sapere il perchè di quella malinconia. Che prigionie doveva aver mai provato lui, l'essere invincibile?
«Ci ha già fatto perdere troppo tempo» scosse la testa, liberandosi probabilmente da pensieri indesiderati. «Proseguiamo?» mi chiede porgendomidi nuovo il braccio e guardandomi speranzoso, speranzoso che potessi tralasciare quell'inconveniente, così come lo aveva chiamato lui, e tornare a noi. Lasciar perdere le tenebre. Sì, potevo farlo.
«Non dirmi che la Cappella Sistina l'hai dipinta tu.» scherzai ricreando un'atmosfera leggera. Entrambi ridemmo ed io riafferrai il suo braccio.

 


Stavamo tornando verso l'albergo e nonostante l'ora tarda le strade erano discretamente affollate. Eravamo più silenziosi rispetto all'andata, persi entrambi nei nostri pensieri.
Non potevo di certo non pensare al recente incontro con Darius ed al discorso sull'esistenza di diversi tipi di prigioni. Klaus non aveva mai avuto problemi ad uccidere qualcuno, sconosciuti, parenti, eppure lui lo aveva risparmiato, o meglio, gli aveva riservato qualcos'altro, qualcosa che mi spaventava conoscere.
Mi sta fissando, lo sento, faccio finta di nulla per alcuni passi ma lui non accenna a distogliere lo sguardo perciò costringo il mio ad incontrare il suo.
«Ebbene?» lo guardo sicura.
«Hai perso il controllo.» risponde semplicemente.
Il mio sguardo si fa interrogativo, stupida di non averci pensato io, per non aver dato peso a quel mio sfogo, avevo rivelato la mia natura da vampiro così liberamente quella notte. E se Darius non fosse stato un vampiro? Mi ammutolisco, incapace di rispondere, imbarazzata di me stessa. Io so mantenere il controllo, sono sempre stata in grado di farlo, sempre, fin dall'inizio, fin da quando... fin da quando ho ucciso quel ragazzo. Guardo in basso, confusa.
«Da quanto non ti nutri?» sussurra.
«Da...» ci rifletto «da prima del diploma.» segue un istante di silenzio. Non è per la fame, ne sono certa.
«È colpa tua.» lo accuso.
«Colpa mia?» sorride «io nemmeno c'ero.»
«Mi hai fatto abbassare la guardia»
«Non abbassi mai la guardia quando sei con me, e credo che non lo farai mai.» sorride divertito.
«Mi sono rilassata troppo, dimenticandomi cosa sono» insisto con lo sguardo duro.
Mi osserva a bocca socchiusa mentre riflette «Può darsi ma non è successo nulla di grave Caroline, non farne una tragedia» perchè sta ancora sorridendo? Io sono seria ed allarmata, non voglio fare del male a nessuno.
«L'ultima volta che mi sono rilassata, che ho preferito l'istinto alla ragione ho ucciso 12 persone.» gli ricordo dato che era presente anche lui quella notte.
«Hai salvato la tua migliore amica» sussurra.
Mi ammutolisco. Non era così che mi aveva risposto allora, mi aveva accusata, dato la colpa per aver dato a Silas c'ho che voleva, per aver dato a quel mostro le buone carte per scatenare l'inferno in terra, mi aveva fatto sentire un mostro, non aveva di certo giustificato la mia azione. Perchè lo faceva ora? Perchè non quel giorno, quando ne avevo un estremo bisogno?
«Perchè non trovi qualcuno di meno terribile con cui identificarti?»
Certo. Lo avevo ferito, lui mi aveva restituito il favore anche se probabilmente avrebbe voluto agire in modo differente.
Avevo lo sguardo fisso a terra.
«E l'ultima volta che ti sei ''rilassata''» enfatizzando quell'ultima parola afferrandomi il mento con delicatezza costringendomi a guardarlo. «L'ultima volta mi hai sfidato e sei partita insieme a me» Sorride e riesce a far sorridere anche me. Inaspettatamente cancella la distanza posando le sue labbra sulle mie. Chiudo gli occhi beandomi di quel momento, purtroppo troppo breve, liberandomi di un po' di preoccupazione. Quando si allontana torniamo a guardarci o meglio, io lo guardo mentre lui studia il mio sguardo, non so cosa vi stia cercando e solo dopo qualche istante decide di mollare la presa e riprendere il cammino con me al suo fianco, sorpresa ma di nuovo sorridente.
«Resto dell'idea che tu abbia fame» insiste.
Sbuffo, so che sta scherzando lo leggo nel suo sguardo.
«Non ti incuriosisce sapere che sapore hanno?» sta ancora scherzando ma si capisce sia leggermente più teso, preoccupato forse di avventurarsi in una discussione fastidiosa. «Un italiano non credo tu lo abbia assaggiato» sorride ironico.
«Siamo al mercato adesso?» ribatto, vorrei essere seria ma il paragone mi diverte troppo. «Il sapore è sempre lo stesso.»
«Perchè ti obblighi a sfruttare sacche di sangue, lì dentro sì che il sangue dev'essere sempre lo stesso, freddo, insipido» la sua espressione è disgustata.
«Preferisco quelle sacche insipide ad uccidere un innocente» non stiamo più scherzando, non io.
«Non arriveresti a tanto»
«Preferisco non rischiare»
«E come pensi di fare, adesso che siamo... in viaggio?»
Il mio sguardo si perde alla ricerca di una risposta che non trova. Non ci avevo pensato. A quante cose non avevo pensato prima di partire con lui? Avevo detto di si, fatto la valigia in fretta ed ero partita, mi ero affidata completamente a lui, dopo averlo temuto, averlo evitato, averlo odiato, averlo desiderato, dopo tutto quello che lui aveva fatto, quello che io avevo fatto, che avevamo fatto, avevo detto sì e non avevo dato importanza a nulla se non a lui. Niente ragione in questo sogno, niente ragione su quest'altro pianeta.
«Siamo arrivati» mi avvisa. Alzo gli occhi sull'insegna del nostro hotel.

 

 

Non apro bocca fino a quando non entriamo nella suite, ancora sorpresa di non aver pensato alla mia.. dieta prima di partire. Non appena la porta si chiude un altra preoccupazione prende piede, dove avrei dormito? O meglio, dove avremmo dormito? Un po' imbarazzata lo chiedo direttamente a lui, certo, non direttamente.
«Questo lussuoso hotel offre anche dei letti o... che so, bare?»
Lo sento ridere mentre posa la giacca sullo schienale della sedia della scrivania, dandomi le spalle.
«Caroline,» si volta «gli italiani non sono tipi così all'antica» ride ancora mentre attraversa la stanza. Superati i due scalini apre una porta che non avevo nemmeno notato. «Una camera ce l'abbiamo»
'Una'. Quindi dormiremo insieme.
Per non fargli notare la mia agitazione entro velocemente nella stanza da letto e mi stupisco nel trovare il letto al centro della stanza. La cosa mi disorienta e per un attimo mi dimentico che quel letto lo dividerò con Klaus.
Mentre studio la stanza sento il suo sguardo su di me, mentre è appoggiato allo stipite della porta.
«Torno subito.» mi avverte.
Annuisco col capo guardandolo. Sento la porta richiudersi, cosa diavolo avrà mai da fare a quest'ora? Non so darmi una risposta.
Recupero la mia valigia rimasta all'entrata notando che aveva portato con se la giacca, starà fuori per molto? Decido di non pensarci e mi dirigo verso il bagno in camera. Quando alla rinfusa ho preso i vestiti per il viaggio non ho dato troppo peso a c'ho che avrei indossato di notte.
'Stupida.'
Finisco per svuotare l'intero contenuto della valigia sul davanzale del bagno controllando ogni capo che mi sono portata dietro.
'Troppo pesante.'
'Troppo corto.'
'Sul serio pensavo di dormirci con questa roba?'
Alla fine opto per qualcosa di semplice anche perchè la possibilità di scelta non era tra le più vaste. Apro il Beauty, almeno quello non lo avevo affatto trascurato, ci avrei potuto aprire un negozio con tutti quei prodotti di cui non avevo realmente bisogno. Guardo il mio viso riflesso sullo specchio sopra il lavandino, poso le mani sulle guance; la mia pelle non sarebbe mai cambiata, mai invecchiata, mai rovinata, sarebbe rimasta la stessa, per sempre. Non importa, volevo prendermene cura come se quella pelle fosse ancora umana, fragile, come spesso mi sentivo ancora io.
Finito in bagno, dopo una doccia veloce, cerco di mettere un po' d'ordine al macello che avevo combinato e ritorno in camera. Non è ancora tornato. Mi avvicino alla finestra ammirando di nuovo quella vista di cui non mi sarei mai stancata. Mi accorgo di cercarlo con lo sguardo in quei pochi passanti che riesco a scorgere senza alcun risultato.
Sbuffo. Che fine ha fatto? È quasi l'alba ormai.
Mi infilo sotto le coperte, se mi addormento prima che torni potrei evitare ogni tipo di situazione imbarazzante riserbandole al mattino seguente. Le lenzuola sono così lisce, di seta scivolano delicatamente sulla mia pelle, anche il cuscino e morbido e meraviglioso. Mi rilasso cercando di non pensare ai miei capelli ancora umidi o soprattutto a chi, sempre se sarebbe tornato, avrebbe occupato l'altra metà del letto. Ripenso alle cose successe oggi. Ieri ero dall'altra parte del mondo, a Mystic Falls, in quella casa che non avevo mai lasciato per un vero e proprio viaggio, stavo festeggiando la fine della mia adolescenza, con mia madre, i miei amici, quella famiglia che mi ero costruita negli ultimi anni. Oggi sono a Roma, anche se mi dovrei trovare a New Orleans, una città che avevo solo sognato di visitare, sono partita con Klaus odiato, temuto, desiderato. Stringo il cuscino sotto la mia mano. Devo essere impazzita per essere partita insieme a lui. Sorrido rilasciando la presa sul cuscino.
Sento la porta della suite aprirsi e smetto subito di sorridere, riaggrappandomi nuovamente al cuscino. È tornato.
Sbarro gli occhi concentrandomi sul rumore dei sui suoi passi, seguendo i suoi movimenti.
Sta indugiando all'entrata, probabilmente si starà togliendo la giacca. Avanza ma non si avvicina alla camera, sta proseguendo verso... le sue dita si sono poggiate sui tasti del pianoforte, il tempo di un paio di note e c'è di nuovo silenzio, a parte il frastuono del mio cuore, chiaro. I suoi passi sono sempre più vicini, sta arrivando, stringo talmente forte il cuscino che temo di strapparne la fodera in seta. È sulla soglia della camera, lo so ma non lo vedo, sono ferma in mobile, rivolgendogli le spalle. Mi sta guardando, smetto di respirare. Penso di morire. Morirei in questo preciso istante se non fossi già morta.
Entra in bagno ed espiro lentamente sgranando gli occhi.
'Che dovrei fare? Far finta di dormire? Alzarmi? Per poi?'
'Sei patetica.'
'Magari andare alla finestra? La finestra mi sembra una buona idea.
'Poi?'
'Poi si vedrà'
Esce dal bagno senza darmi il tempo materiale per mettere in atto il piano. Mi immobilizzo di nuovo. Sento il materasso piegarsi sotto il suo peso ma rimane sopra le coperte. Sa che sono sveglia, lui sa tutto, sa sempre tutto.
Cerco di ristabilire almeno in minima parte la mia pace interiore. Mi calmo, il che mi stupisce. Lui non si muove, nemmeno i suoi respiri generano il minimo rumore, ammesso che stia respirando.
'Oh andiamo, cosa ti aspettavi? Sei partita con lui e si da il caso che non sia solo la tua guida turistica ma il tuo...'
'Il mio?'
'Il tuo?'
'È Klaus.'
'Accurata.'
'Non può essere il mio.. qualcosa.'
'E allora perchè sei partita con lui se non può essere il tuo 'qualcosa'.'
'…'
'...'
'L'ho sfidato.'
'A cosa?'
'A farsi conoscere.'
'E non la voglio perdere questa sfida, perciò conoscilo.'
'Sì.'
'Conoscilo e magari potrà diventare il tuo 'qualcosa'.'
Faccio un bel respiro, espirando a lungo cercando di rilassare i nervi il più possibile.
'Non stai facendo nulla che tu non voglia realmente fare, o non saresti qui Caroline, lo sai.'
«Klaus?» sussurrò delicatamente.
«Mmh?» risponde lui leggero, dandomi segno che è ancora sveglio.
'Devi conoscerlo. Devi sapere chi è. Non lasciarti spaventare.'
«Darius...» lascio quel nome all'aria, come una frase iniziata e non finita.
«Darius.» risponde scandendo il nome lentamente. Lo sento muoversi e istintivamente mi volto verso di lui, il capo sempre poggiato al cuscino, gli occhi puntati sul suo volto per studiarne l'evoluzione.
«Come può esserci qualcosa peggiore della morte?» sussurro insicura, immagino non ne voglia parlare visto i pochi dettagli che già mi aveva fornito poche ore prima.
Ha un braccio portato sotto la testa, ne seguo il profilo e solo allora mi accorgo che è a petto nudo. Arrossisco, ne sono sicura, lui volta il capo in quel preciso istante incontrando i miei occhi, ringrazio che ci troviamo al buio e solo le luci urbane illuminano fioche la stanza. Grazie al cielo mi sono accorta della sua tenuta notturna dopo aver formulato la domanda o sarebbe morta a fior di labbra sul nascere.
Mi guarda per dei secondi prima di rispondere e prima di farlo allontana nuovamente lo sguardo dal mio, puntandolo sul soffitto.
«Non capiresti, Caroline.» risponde serio e demoralizzato.
«Provaci, in fondo sono qui per questo?» aggrotta la fronte perciò rispondo alla sua risposta non formulata «sono qui per conoscerti.» l'espressione crucciata di distende «e non ho alcuna intenzione di perdere la sfida, soprattutto con te» mi accorgo che le labbra si allargano leggermente in un breve, conquistato, sorriso.
Torna a guardarmi e focalizzo l'attenzione sul suo viso, sforzandomi ad evitare di far cadere lo sguardo sul suo petto.
«Sarei felice di farti vincere questa sfida, anche se detesto perdere» sorride per una frazione di secondo. «Ma sono sicuro che se tu vincessi non è solo una sfida che andrei a perdere.»
Vorrei allungare la mano e toccarlo ma non lo faccio. Il suo sguardo è indifeso, almeno lo penso, non ho mai visto un Klaus indifeso. Vorrei dirgli che può dirmi tutto, che non andrò da nessuna parte, vorrei giurarglielo ma non sono sicura che terrei fede al giuramento. Questo non lo so io, non lo sa nemmeno lui, ma nel profondo ho un estremo bisogno di saperlo, devo sapere se posso superare quel passato che lo oscura.
«Non sarei qui se pensassi solamente alle cose terribili che hai fatto.» Il suo sguardo si spegne. «Sono, siamo qui per questo.» Si rabbuia. Deve dirmelo.
«Devi dirmi chi sei o sarà tutto inutile, questo viaggio, la mia presenza qui, con te.» Se non parla me ne andrò comunque.
'Ne sei sicura?'
'…'
'…'
'Non posso stargli accanto se non vuole dirmi chi è'
'Lo lasceresti, te ne andresti?'
'Sì'
'…'
'Cercherei di farlo.'
Fa un lungo respiro e si volta a guardarmi.
«Non capiresti, sei così giovane, così piena di speranza, di amore.» Lo fisso senza dire nulla, aspetto che continui. Sospira arreso.
«1114, l'anno in cui abbiamo scoperto l'esistenza dei 5, di una fantomatica cura... l'anno in cui ho scoperto cosa significa essere soli. Mi ero già sentito solo prima ma per quanto possa aver odiato i miei fratelli loro erano sempre al mio fianco, ma non quella notte, quella notte in cui la mia adorata sorella mi aveva tradito mettendoci tutti in pericolo.» Non avrei mai pensato sarebbe sceso così sul personale.
«Ci uccisero nel sonno, 5 cacciatori per 5 fratelli originari, uno ad uno con il pugnale e la polvere di quercia bianca. Di certo non si aspettavano che su di me l'arma non avesse effetto, non gli diedi nemmeno il tempo di accorgersene, gli strappai la gola prima che potesse dire una sola parola. Estratto il pugnale riconobbi la cenere ed una fitta al cuore mi ferì più di quanto non avesse fatto l'arma poco prima. La quercia bianca era in grado di ucciderci e per quanto ne sapessi allora la sua cenere poteva avere la stessa capacità, il che significava che i miei fratelli erano ormai morti, che ero rimasto solo e odiai quella sensazione.»
«Quando raggiunsi Elijah decapitai il cacciatore che ancora si trovava nelle sue stanze. Lo trovai nel suo letto, rigido come la pietra, morto come tale. Pensai di impazzire. Estrassi il pugnale e penso di aver persino pregato quegli Dei che vezzeggiavo e di cui professavo l'inesistenza.»
Il cuore mi si stringe, non riesco nemmeno ad immaginarmelo un Klaus così disperato.
«Fortunatamente mi sbagliavo e dopo pochi istanti riprese coscienza. Quando riaprì gli occhi mi sentii come rinascere, quell'angoscia e quella paura si attenuarono e fu l'ira a prendere il loro posto. Sterminai l'intero villaggio impalando alla parete quel cacciatore per cui mia sorella si era presa un'infatuazione che ci era quasi costata la vita.»
Controlla il mio viso che per la sorpresa deve apparire inespressivo, capisco quindi che il peggio è passato.
«Lasciammo il villaggio all'alba dirigendoci ancora più a sud raggiungendo così Roma; quella sensazione di impotenza, angoscia, solitudine e quella paura che avevo provato non fui mai in grado di lasciarle.»
«Quella è la tua prigione» sussurro giungendo alla conclusione del racconto «rimanere solo?» sono un po' sorpresa.
Aveva costretto Darius a restare solo per sempre.
Si irrigidisce e fissa il soffitto e devo attendere qualche secondo prima di sentirlo rispondere.
«Mi stupisce tu non l'abbia capito subito, hai sempre avuto un certo occhio, da subito.» sospira sorridendo.
«Non credere di essere l'essere più complicato su questo pianeta, non sei così difficile da leggere.»
«Sei tu che ci riesci maledettamente bene.»
Ruota il suo corpo, ora siamo uno di fronte all'altra. Ci guardiamo rimanendo in silenzio.
Mi ha appena detto che ha sterminato un intero villaggio, per la maggior parte innocenti e non ho fatto una piega, anzi nella mia mente lo sto giustificando, non mi sembra un gesto così orribile dopo quello che i cacciatori gli avevano fatto. È un assassino e questa non è di certo un informazione nuova, Stefan non aveva fatto lo stesso e senza una motivazione precisa se non la sete di sangue?
'Oddio lo sto giustificando.'
Che si senta solo, questa è una novità. L'ho sempre sospettato, la sua ossessione del controllo, nel creare ibridi, nel soggiogare le persone, ha solo paura.
Non avrei mai pensato che questo viaggio mi avrebbe portato a scoprire questo Klaus, a scoprire che il motivo per cui si comporta così non è per innata malvagità ma per paura.
Senza accorgermene sollevo una mano poggiandogliela sulla guancia, fissando quegli occhi che si socchiudono per quel contatto.
Chissà cosa si aspettava, disgusto, dissenso, paura, non di certo compassione.
Aveva promesso di farsi conoscere e questo probabilmente è uno dei suoi più grandi segreti, qualcosa che non aveva confessato a nessuno, se non a me. 
Libero anche l'altra mano da sotto il cuscino e la poggio sull'altra sua guancia, lui apre gli occhi nei miei che per poco rimangono aperti. Mi sporgo in avanti facendo combaciare le mie labbra con le sue e quel bacio dapprima dolce si trasforma subito in uno più appassionato. La sua mano si poggia sul mio fianco provocante e la stoffa delle lenzuola che ci separa sembra inesistente. Faccio scivolare la mano destra sul suo petto che avevo desiderato sfiorare da quando il mio sguardo vi si era posato sopra. Scende a baciarmi il collo ed ho per un attimo la lucidità necessaria per decidere cosa fare, se fermarmi, se continuare.
'Cosa voglio?'
Respiro a fatica.
Le sue mani si fanno più audaci e possessive mentre mi solleva lentamente la sottoveste.
Ora è sopra di me. La sua pelle a contatto con la mia.
'Klaus.' Pronuncio il suo nome nella mia testa cercando di fermarlo, non riesco a dirlo ad alta voce perchè non voglio che si fermi ma lui inaspettatamente lo fa.
Si ferma e mi guarda, le braccia dritte sul materasso lo sollevano leggermente.
Entrambi abbiamo il respiro affannato ed io sto cercando di capire cosa stia aspettando.
Sta aspettando che gli permetta di continuare, che gli dica di si.
Lo fisso in quegli occhi chiari e per la prima volta da quando è entrato a far parte della mia vita, lo vedo indifeso, fragile, qual Klaus che solo presumevo potesse esistere.
'Cosa voglio? Voglio lui.'
Allungo le mani e lo tiro a me.

 

 

 

Sento i raggi del sole colpire la mia pelle anche se ormai non sono più in grado di riscaldarla, azzardo ad aprire un occhio e sì, sono davvero in quella lussuosa stanza d'albergo romana, sì sono senza vestiti in questo enorme letto e sì è stato Klaus a togliermeli.
Sorrido. Che incosciente, pazza, devo davvero aver perso il senno per averlo fatto davvero.
Sorrido di nuovo voltandomi ma rimanendo delusa trovando l'altra piazza del letto vuota. Mi sollevo seduta trattenendo le lenzuola, la stanza è deserta.
Prima di iniziare ad allarmarmi sento la voce di Klaus provenire dall'altra stanza, sospiro sollevata. Sta parlando con qualcuno ma non so di cosa dato che questa lingua non la conosco.
Scendo dal letto cercando la mia sottoveste, una volta trovata mi rifugio in bagno. Mi avvolgo in un accappatoio e mi lavo il viso, quando mi guardo allo specchio mi sorprendo di vederci un sorriso ebete stampato sopra. Torno in camera indecisa se raggiungerlo nell'altra stanza, sentendolo ancora impegnato nella conversazione con lo sconosciuto decido di non farlo. Guardo il letto e anche se nella stanza sono sola arrossisco.

 

Sento le sua braccia avvolgermi da dietro poco prima di prendere sonno. Il suo respiro lento e di nuovo regolare sfiorarmi ad intervalli precisi la pelle.
«Ecco un'altro tipo di prigione.» sussurra e non sono del tutto sicura si stia rivolgendo a me.
«Mmh?» chiedo spiegazioni mugolando semplicemente.
Lui mi stringe avvicinandomi ancora più a lui. Sorrido.
«Questa non sembra così terribile.» Lo avviso.


La porta dell'entrata si richiude, lo sconosciuto se n'è andato perciò decido di uscire dalla camera. Do un'occhiata veloce alla stanza ma non lo trovo, avanzo di qualche passo e voltandomi scopro che la suite offre anche una terrazza che la sera prima non avevo notato, non mi stupisco poi molto. Lentamente lo raggiungo e il possibile imbarazzo che mi avrebbe potuto invadere viene messo in secondo piano dalla tavola imbandita per la colazione. Sul tavolo c'è qualsiasi cosa si possa sognare di mangiare a colazione. Lui è seduto e mi sta dando le spalle quindi non può vedere quanto sognante sia il mio sguardo sia.
«Buongiorno, Caroline»
«Buongiorno.» sussurro di rimando avvicinandomi alla sedia di fronte a lui. Non vedo l'ora di assaggiare ogni cosa, sono davvero affamata anche se in realtà è di altro che avrei bisogno per sentirmi sazia.
«C'è anche quella» mi avverte prima che io possa sedermi, indicandomi con la mano una valigetta poco distante dal tavolo.
Mi avvicino curiosa, è una semplice ventiquattrore nera, senza indugiare la apro ed al suo interno vi trovo una decina di sacche di sangue. Ecco dov'era andato ieri sera. Richiudo la valigetta e voltandomi lo guardo, lui e quel sorriso soddisfatto che non riesce e non vuole nascondere.
«Grazie.»
Lui fa spallucce.
Mi accomodo e studio la tavolata.
«Dormito bene?» mi chiede poco dopo.
Alzo gli occhi nei suoi ed inevitabilmente sorrido. «Molto, grazie. La cella non era affatto male.» non resisto ad aggiungere.
Lo sento ridere mentre afferro una brioche «Dove mi porti oggi?» gli domando prima di afferrarla.
«Ovunque tu voglia.»




Spazio autore:  

La maggior parte di voi mi odierà, ci ho messo 2 mesi per scrivere questo capitolo e vi chiedo scusa. L'ho riscritto 4 volte e questa che ho pubblicato è la 5a versione. Ogni volta che lo finivo di scrivere avevo problemi con EFP e quindi finivo con il ripensarci, buttare via tutto e tornare a scriverlo.
Spero di non avervi perso tutti per questa mia INCOMPETENZA ma se leggerete questo capitolo capirete che è un capitolo abbastanza importante.
Spero anche che l'attesa sia stata ripagata e che questo capitolo non vi abbia deluso. 
Per coloro che mi odieranno perchè ho omesso i particolari della loro prima notte dico che il rating è arancione e lo devo rispettare ma non si sa mai, un giorno potrei pubblicare un'OS su questa nottata ovviamente a rating rosso. (non prometto nulla)

Ringrazio chi meravigliosamente mi ha recensito lo scorso capitolo: 
Francy_KC
elyforgotten
winner_
danhausers
MariaMirella
Damnel24
pillyA
Greta_Mrg
FairLady
Karma123
ImAdreamer99
giudo
Mery1992
Elyxa85

Grazie a tutti quelli che leggeranno ancora la mia storia, spero di non entrare di nuovo in crisi.
Un bacio,
ELLEcrz.

 

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Capitolo 9
*** Capitilo 9-Us ***


 


 

Roma è stata favolosa. Non potrò mai dimenticare questa città, le emozioni che mi ha regalato, le cose che mi ha fatto scoprire, il modo in cui mi ha fatta sentire, ed ovviamente non mi riferisco solo a palazzi e monumenti, mi riferisco a Klaus, a me, a noi.

NOI.

Non sono ancora in grado di definire questo noi, non dopo quella notte, quelle a seguire, e non credo che sarò in grado di farlo. Siamo noi, quel modo strano di essere noi che non è cambiato perché ora lo conosco di più, perché mi fido di lui o perché sono stata sua. Non dimentico, non mi illudo, ma sono felice, di questo presente e di quello che è successo, non me ne pento e vado avanti. Voglio continuare a conoscerlo perché la sfida non l'ho ancora vinta e non credo che l'eternità possa bastarmi per conoscere quest'enigmatico, complicato, impossibile, uomo la cui mano è stretta alla mia in questa affollata via parigina.
Non mi pento di nulla si ma non posso affermare che non sono preoccupata, il futuro resta un incognita, ora più che mai. Oggi più che mai.
Oggi è l'ultimo giorno di questo viaggio assurdo e fin'ora perfetto. Domani dovremmo uscire da questa teca di cristallo che ci siamo costruiti, in cui mi sono rifugiata lasciandomi tutto alle spalle, non pensando a nulla se non a quello che stavo vivendo. Domani il viaggio termina e chissà. Una parte di me spera di addormentarsi in volo e di risvegliarsi a Tokyo, in fondo faceva parte della lista, di quella promessa. Sembra però che non andrà così, stando a Klaus.
Deve tornare a New Orleans, a quanto pare quegli affari che lo legavano a quella città non sono stati ancora risolti, più di una volta l'ho sentito discutere al telefono, con Elijah credo, ma non posso esserne certa, sulla data del suo ritorno. Di certo Klaus non sta ad ascoltare suo fratello, come non ha mai fatto, come non fa mai con nessuno, pensa da se, agisce come crede, questo non potremmo mai cambiarlo.
«Quanto manca?» chiedo impaziente. È una vita che camminiamo, non che sia stanca, visto che sono un vampiro, non che mi dispiaccia, dato che mi sento bene, con me, con lui, ma sono curiosa, per natura ansiosa e IMPAZIENTE.
«Cerca di resistere.» mi risponde probabilmente per la terza volta.
«Se mi dicessi dove siamo diretti forse ci riuscirei» gli sorrido nella speranza di saperlo.
Si volta in mia direzione «non ho mai conosciuto qualcuno più insistente di te Caroline Forbes, e dire che di persone ne ho conosciute.»
Lo guardo aspettando ancora che mi dica dove stiamo andando.
«Arrenditi» distoglie lo sguardo «non te lo dirò.»
Sbuffo scherzando, sapevo sarebbe finita così ma dovevo comunque provarci, di nuovo.
«Crudele»
«Sempre stato» sorride.
Scuoto la testa sorridendo a mia volta.
«Arriveremo tardi» constata.
«Sei tu che hai insistito per andare a fare shopping, io te l'avrei risparmiato.»
Improvvisamente svoltiamo a destra, in una via stretta, angusta e deserta a differenza di quella che stavamo percorrendo.
«È una scorciatoia» mi avvisa prima che io possa formulare la domanda.
«Secondo me ti sei perso.»
«Pensi davvero che possa perdermi?» mi guarda sorpreso.
«Dimenticavo» alzo gli occhi al cielo «hai preso lezioni da Magellano.»
Annuisce compiaciuto. «Ma Magellano non mi ha di certo insegnato a girare per Parigi, ho imparato da me in questi secoli che l'ho vista crescere.»
Quando ripenso a quanto ha vissuto mi rabbuio, come posso conoscere qualcuno che ha vissuto cento vite? come posso interessargli io che non ne ho vissuta nemmeno una?
Perché io? Quanto vorrei conoscere la risposta a questa domanda.
Chino il capo con lo sguardo perso, lui se ne accorge ma non dice nulla, è stranamente silenzioso da questo pomeriggio e non so il perché. Forse è sollevato che questo nostro viaggio stia ormai per finire, che questo mese passato insieme gli ha fatto capire che non sono poi così interessante come credeva, che ormai potrà trovarsi un altro passatempo, un mio rimpiazzo da corteggiare ed avere.
Mi irrigidisco e questa volta non può far finta di nulla perché la mia mano si separa dalla sua cadendomi lungo il fianco.
«Che succede?» il tono della sua voce è vacuo, anche lui si ferma come me poco prima.
Devo chiederglielo, devo saperlo, prima che tutto questo finisca, prima che la vita vera torni a travolgermi me lo deve dire. I miei respiri accelerano, sento il cuore in gola, gli occhi umidi.
Alzo gli occhi nei suoi e cedo, non riesco a chiederglielo, la risposta potrebbe stravolgermi più di tutte quelle che ho ottenuto finora.
«Hai appena detto che arriveremo tardi e ti fermi?» gli chiedo sperando che non noti la strana intonazione della mia voce, o dei miei occhi probabilmente lucidi.
Mi osserva per qualche secondo senza dire nulla. Sorrido cercando di reggere meglio e sembro riuscirci, mi offre il braccio che afferro immediatamente.
«Andiamo allora.»

 

Il tramonto sta ormai lasciando spazio alla notte, ed iniziano a distinguersi le luci artificiali che illuminano la città. Stiamo per raggiungere la fine di questo lurido cunicolo quando lui si fermai di nuovo.
«Che succede?» sono sorpresa.
«Siamo arrivati.»
Mi guardo intorno confusa. «Arrivati dove?» È buio, sudicio ed umido questo posto.
Apre una porta arrugginita alle sue spalle provocando un fastidioso rumore acuto.
Che diavolo ha in mente? Non possiamo entrare in un edificio così a caso. La mia espressione deve riflettere perfettamente la mia confusione.
«Vieni.» Sono titubante. «Non mordo» mi porge la mano come a quel ballo, e come a quel ballo io la afferro.
Cosa possono fare, arrestarci? Sorrido, sarebbe esilarante.
Dentro è ancora più buio di fuori, seguo i suoi passi attenta a non inciampare su nulla. Studio per quanto mi sia possibile il posto in cui ci troviamo mentre saliamo queste scale in legno, che sento scricchiolare sotto i nostri piedi, sembrano antiche, tutto è ricoperto uno strato di polvere che sento graffiarmi la gola, nessuno deve essere entrato qui dentro da molto tempo... Sorrido al buio. Da molto tempo o dall'ultima volta in cui ci è entrato lui.
Giungiamo in cima alle scale dove troviamo un'altra porta, arrugginita come quella d'entrata.
«Chiudi gli occhi.» mi guarda ed io obbedisco.
Sento lo stesso rumore acuto di prima, lui mi stringe la mano e lo stesso faccio anch'io mentre mi fa avanzare lentamente.
Una leggera brezza calda mi accarezza il viso e sento in sottofondo il RUMORE cittadino.
Poggia le nostre mani su un muretto sui cui porto anche la mano libera.
«Ora puoi aprirli»
Inspiro. Espiro. Apro gli occhi.
Parigi, più magica, bella e perfetta che qualsiasi foto posso aver mai catturato. Ho l'intera città davanti a me, l'orizzonte è ancora avvolto nei colori caldi del tramonto che sfumano dolcemente in quelli freddi della notte stellata sopra di noi, le luci delle case, dei lampioni, delle auto avvolgono la città. Il respiro mi manca, un brivido dato dall'emozione attraversa il mio corpo, la mia bocca è socchiusa ed i miei occhi indubbiamente lucidi. È bellissimo.
Non so quanto rimango catturata da questo panorama prima di guardare lui che anziché ammirare Parigi osserva me. È soddisfatto dalla mia reazione, il suo sorriso è caldo e coinvolge l' intero viso.
Non so cosa dire, non credo ci siano parole adatte da dire, non c'è nulla da dire. Mi avvicino a lui alzandomi leggermente per raggiungere le sue labbra. Le sue mani salgono sui miei fianchi e dolcemente avvicina il mio corpo al suo.
«Grazie» sussurro mentre lui appoggia la sua fronte sulla mia. «È meraviglioso»
«Ho fatto bene a non dirtelo.»
Mi mordo un labbro. «Assolutamente si.»

 

 

 

 

«Vivevi qui?» gli domando mentre vago su quel tetto panoramico, lui è appoggiato contro il muretto a braccia conserte, mente risponde alle mie domande, o meglio, mentre lo interrogo.
«Mi sembra inutile dover spiegare il perché» sorride beffardo.
«Quando?»
«XVI secolo, ma non per molto.»
«Perché?» Torno ad avvicinarmi al muretto accanto a lui.
«Non è stato un secolo facile per me, per Elijah, Rebekah, Kol. Avevo appena perso le speranze di spezzare la maledizione e non ero molto... civile all'epoca. Tornavo a Parigi di tanto in tanto, l'arte e la sua grandezza mi attiravano ma questo posto non sono mai riuscito ad apprezzarlo, sono sempre stato offuscato dal ricordo e l'ho legato a sofferenza, rammarico e rabbia.»
Continuo a sorprendermi di quanto parli ormai apertamente del suo passato, come fosse semplice ormai per lui.
«Allora perché mi ci hai portata?»
Rimane interdetto socchiudendo la bocca. «Probabilmente perché volevo sostituire quel ricordo con uno migliore.»
Sorrido abbassando lo sguardo per qualche secondo.
Dopo questa risposta pensa di aver finito con le domande.
Torno ad ammirare il panorama e questa volta mi soffermo sulla
torre Eiffel, meravigliosa anche a questa distanza. Segue il mio sguardo intuendo su cosa si fosse posato.
«Vuoi andarci?»

Mi volto ed asserisco con il capo. Con un colpo di reni si allontana dal muretto, di nuovo dritto in piedi e con un cenno della testa indica la porta. «Andiamo allora.»
Sorrido elettrizzata ed afferro la sua mano anche se non me l'aveva offerta.

 

 

 

 

Sono sotto la torre Eiffel a bocca spalancata per la meraviglia con occhi sgranati che la osservano sognanti.
«Possiamo salirci?» gli chiedo senza distogliere lo sguardo.
«È chiuso al pubblico ora.» mi avvisa.
Mi cadono le spalle e mi volto a guardalo, incredula. E da quando questo è un problema per lui?
«E quindi?»
«Devo avere un brutta influenza su di te, Caroline» sorride fin troppo divertito.
«Pessima.» confermo saccente.
«Mmh mmh» mugola avvicinandosi.
Si china su di me baciandomi, facendomi perdere l'equilibrio come sotto al Colosseo, fortunatamente le sua mani sulla mia schiena mi sorreggono. Quel contatto mi sorprende ancora, come sotto al Colosseo, ma c'è molto più naturalezza che mi sorprende maggiormente. Socchiudo gli occhi mentre poggio le mani delicatamente sul suo viso.
Sono felice, lo sono davvero, e sono di gioia le lacrime che ora mi bagnano gli occhi.
La terra mi manca da sotto ai piedi e non spolo metaforicamente. Spalanco gli occhi, sconvolta, ed incontro i suoi, che sono subito in grado di rassicurarmi.
Mi volto alla mia sinistra e ci siamo, siamo sulla
torre, un altro panorama incredibile ci avvolge e non sono più in grado di trattenere quelle lacrime che costringevo a tornare indietro da troppo. Mi rigano le guance, calde e lente. Con le mani le asciugo velocemente ma sono seguite da altre, ed altre ancora. Non riesco a smettere.
«Caroline?» mi chiama preoccupato.

Scuoto la testa, non riuscirei a comporre una frase tanto meno a pronunciarla con il groppo bloccato in gola.
«Perché piangi?» il tono della sua voce è dolce ma non riesce a nascondere perfettamente la delusione e la confusione.
Mi inumidisco le labbra e cerco di respirare regolarmente, scoppio a ridere e sono sicura stia credendo di avere a che fare con una pazza.
«Non lo so» rido ma nuove lacrime seguono la scia lasciata dalle prime.
Lui mi osserva aspettando che continui.
«Sono felice Klaus» annuisco con il capo per dare maggior peso e verità a quelle parole. «lo sono davvero.»
Mi alza il mento in modo da potermi guardare negli occhi «Allora smettila di piangere» è quasi supplichevole.
Inspiro ed espiro velocemente. Lo faccio di nuovo ed almeno i miei respiri si regolarizzano. Le lacrime sono di meno, ma ci sono ancora, allunga la mano e mi aiuta ad asciugarle.
«Ho risposto a tutte le tue domande, Caroline, perciò rispondi tu ad una delle mie ora e dimmi cos'hai.» I suoi occhi sono sui miei, è confuso e preoccupato.
«Sono felice..» abbasso lo sguardo «e questo mi spaventa perché..»
«Perché?» insiste.
'Perché?'
'Perché Caroline?'
«perché domani tutto questo finirà, questo viaggio, questo effimero sogno in cui e di cui per un mese mi sono beata.» non curante alzo la voce senza accorgermene «perché non so cosa dovrò affrontare domani, non lo so perché non ci ho voluto pensare. Perché sono spaventata, perché non so cosa significhi per te questo viaggio ed ho paura a conoscere la risposta se te lo domandassi. Perché non so nemmeno io cosa questo viaggio ha significato per me.» inspiro e quelle lacrime che ero riuscita a controllare riappaiono. «Perché ho paura, ho paura di quello che potrei volere e non poter avere» lo guardo . C'è una domanda, quella che più mi opprime, quella che l'ha sempre fatto quando si trattava di lui «Perché me?»
Non riesco a capacitarmi di tutto quello che ho appena detto, non sono nemmeno certa di averlo detto sul serio o averlo solamente urlato nella mia testa come sempre.
Studio il suo sguardo mentre torno a calmarmi a respirare e smettere di piangere. Non sono una che piange, odio piangere, me ne ricordo e mi costringo a smetterla. È buio in viso, non sta sorridendo, le sue sopracciglia contratte trasformano il suo sguardo, il suo corpo rigido, le sue braccia incrociate.
'È arrabbiato? Deluso? Perché stai zitto? Parla!'
«Domandamelo» mi ordina duro.
Lo guardo ancora. È distante qualche passo dopo che mi sono allontanata durante la mia sfuriata.
«Domandamelo, Caroline» mi sollecita di nuovo.
«Perché me, Klaus?» sussurro, la voce mi esce più tranquilla ma è spezzata.
«Cosa aspetti di sentirti dire?» la sua voce è fredda e distaccata «Che sei stata una sfida per me? Che rappresentavi un premio? Che visto che eri di Tyler, volevo strapparti da lui per ferirlo, deriderlo e denigrarlo per l'ennesima volta? Che ora che ti ho avuta mi sono tolto lo sfizio?» fa una breve pausa «e questo che ti aspetti che dica?»
Ora dovrei piangere, ora potrei farlo, ora vorrei farlo davvero. Ma no, mi irrigidisco, il mio viso è inespressivo come le mie emozioni, nulle.
Lo guardo con rabbia, con timore, lo guardo come lo guardavo una volta e lui sembra restituire lo sguardo.
Non era questo che mi aspettavo dicesse, era quello che temevo perché era la risposta più probabile che ero in grado di darmi.
Muove un passo avanti in mia direzione ed io automaticamente ne compio uno indietro, allontanandomi.
«Perché secondo te sono un mostro giusto?» non riesce a mantenere il tono glaciale di poco prima.
Sta aspettando che io reagisca, ma non lo faccio, sono ferma immobile e lo fisso con rabbia. Sorride scuotendo la testa il che mi lascia allibita.
«Se lo pensassi ancora credi che sarei qui?» rimango sorpresa quanto lui nel sentire le mie parole. Il suo viso si rilassa ma per poco «Penso che tu sia spietato, crudele e meschino..» corruga la fronte «non ci sono limiti per te per ottenere quello che vuoi, sacrificheresti ogni cosa, ogni persona. Penso che tu lo faccia perché sei in grado di fidarti solo di te stesso, perché sei stato ferito troppe volte e non sei più in grado di perdonare né in grado di rimarginare quelle ferite che sono sempre davanti ai tuoi occhi per ricordarti gli errori che hai commesso. Penso che tu abbia paura... e che nasconderti dietro ad un mostro te ne fa provare meno, per un po'.» la mia voce è fluida e sincera.
La sua espressione è vacua, probabilmente sta assimilando il fiume di parole di cui inaspettatamente mi sono trovata a rivolgergli. Continuiamo a fissarci negli occhi, studiandoci e sfidandoci. Per una frazione di secondo ripenso a ciò che ho detto e sì, anche se spontanee quelle parole rispecchiano ciò che penso.
Sospira «Di te mi fido Caroline, te non ti sacrificherei mai..» il suo tono e calmo e dolce «ecco perché te.»
Sgrano gli occhi e socchiudo la bocca, colpita in pieno. Vorrei dire qualcosa ma non ci riesco, e cosa mai potrei dire?
Muove qualche passo e questa volta non mi allontano. Alza la mano sfiorandomi con leggerezza la guancia, socchiudo gli occhi al contatto.
«Sono innamorato di te Caroline» sgrano nuovamente gli occhi incontrando i suoi, calmi e caldi, come la sua voce. Arrossisco.
'Sono innamorato di te Caroline' gli sento nuovamente ripetere nella mia testa.
«Ma questo probabilmente già lo sapevi, come tutto del resto.» sorride.
«No.» mi schiarisco la gola, all'improvviso secca. «Potevo pensarlo ma non potevo realmente crederci.»
«E ora mi credi?» i nostri sguardi sono indissolubilmente legati.
«Ora ti credo.» sussurro arrossendo di nuovo.
Si china su di me e le nostre labbra si rincontrano, cosa che temevo non sarebbe più accaduto sino ad un certo punto della nostra conversazione. Un bacio casto, a suggellare quel nostro rapporto che si è trovato in bilico, quel noi forse non più così strano.

 

 

 

Siamo tornati nel nostro lussuoso hotel parigino, scelto e pagato dal mio accompagnatore, sarei curiosa di sapere quanto e se ha mai pagato qualcosa in questo mese.
«Domani.»
«Domani.» ripeto. «Che accadrà domani?» domando insicura.
«Solo quello che tu vuoi che accada.» risponde di rimando, sorridendo enigmatico e lasciando a me ogni decisione, come ogni responsabilità.
Sono imbarazzata nell'esprimere quello che realmente vorrei che accadesse perciò esito nel rispondere.
«Cosa vuoi, Caroline?» mi stuzzica mentre sono ancora stretta tra le sue braccia in quell'enorme letto, cosa che mi rende meno razionale e lucida.
Di certo non posso dirglielo chiaro e tondo, quindi meglio girarci intorno e farcelo arrivare da solo.
«Non vorrei che questo viaggio finisse.» e con viaggio non mi sto riferendo solo all'Europa.
«Non deve per forza finire» sembra stare al gioco.
«Sarà impegnativo..»
«... e vantaggioso.» sussurra sfiorandomi il collo, la clavicola, risalendo sulla spalla, il braccio fino a stringere la sua mano sopra la mia. Sono percorsa da un brivido che per un attimo mi distrae dalla conversazione, la cosa sembra appagarlo.
«Difficile da continuare..» proseguo.
«..non deve esserlo per forza.» enfatizzando l'ultima parola mi afferra i polsi portandomeli sopra la testa, salendo sopra di me.
Non riesco a trattenere un sorriso complice del suo.
«Sarà... invadente..» continuo mordendomi il labbro guardandogli le labbra.
«... ma piacevole.» si china a baciarmi, mordendomi il labbro che poco prima era imprigionato tra i miei denti.
«Verrai con me a New Orleans?» mi sussurra, nella sua voce e nei suoi occhi c'è speranza ed aspettative, aspettative che non posso e non voglio tradire.
«Sì» esclamo senza trattenere un sorriso soddisfatto.
Lui sorride di rimando tornando a baciarmi, con molta più passione rispetto a prima. Le nostre mani si stringono, ancora sopra la mia testa, mentre il desiderio aumenta.

 

Spazio autore:  
Non ci sono più scuse, sono un eterna ritardataria e come è giusto che sia ogni volta che scrivo qualcosa penso faccia schifo, ma io ve le faccio lo stesso.
Capitolo breve ma pieno di cosette, adoro inventarmi cose sul passato degli Originals. Mi sembrava giusto spiegare il perchè Klaus abbia questo particolare interesse per Caroline che nessuno si spiega, mi sembrava giusto che lei lo sapesse prima di raggiungere (OVVIAMENTE) con lui NOLA come una coppia ormai.
SPOILER: Nel prossimo capitolo Caroline verrà finalmente a sapere di Hayley ed il bambino! Stay tuned ;)
Spero che il capiolo vi sia piaciuto, ringrazio le bellissime recensioni, anche se ad alcune non ho risposto le ho comunque lette tutte ed ovviamente risponderò a tutti (quando EFP non farà storie).

Grazie quindi a: 
Francy_KC
pillyA
Jolly J
i_love_tvd
AliMorganDevota
Mery1992
Elyxa85

 

Grazie soprattutto a chi continua a seguire questa storia di questa scostante imbranata ''scrittirce''.
Un beso,
ELLEcrz.

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitilo 10-New Orleans. ***


AVVISO:

D'ora in avanti seguirò alcuni avvenimenti di 'The Originals', quindi vi avviso che troverete degli spoiler ''tra le righe'', anche se stravolgerò tutto alcune cose rimarranno le stesse.

 

 

 

Sto percorrendo il corridoio della prima classe diretta al mio lussuoso posto a sedere accanto al mio più che lussuoso accompagnatore. Accompagnatore. Non saprei come chiamarlo in altro modo anche se ormai, data la situazione, lui non è di certo solo un accompagnatore.
Sorrido mentre alza lo sguardo vedendomi arrivare. Mi ha lasciato il posto accanto al finestrino, perché sa che mi sento meglio se posso guardar fuori, mi ha ordinato da bere, perché sa quello che mi piace, mi ha fatto arrivare delle sacche di sangue direttamente sull'aereo, perché sa che ne ho bisogno. Dopo questo viaggio ha imparato ogni cosa su di me senza nemmeno farmi delle domande ma semplicemente prestando attenzione, smaniosa attenzione, a quello che facevo o dicevo. La cosa mi lusinga e mi spaventa, sa talmente tante cose su di me. Sì, dopo questo viaggio conosco cose di lui che nessun altro sa ma non abbastanza, non sarà mai abbastanza. Be' senz'altro a sufficienza, visto che rimarrò con lui e non solo per soddisfare la mia insaziabile voglia di sapere ma perché lo voglio, voglio restare con lui, voglio lui.
Arrossisco per quel mio lascivo pensiero, mi mordo il labbro fissando il pavimento. Il suo sguardo è su di me, lo percepisco e questo non fa che peggiorare la situazione facendo aumentare il rossore sulle mie guance.
«Perché stai arrossendo, Caroline?» mi domanda in un sussurro, la sua voce è dolce e suadente, so che vorrebbe essere partecipe a quelli che sono i miei pensieri ma fortunatamente non può esserlo.
Poggio il dorso della mano sul volto, imbarazzata.
«Non sono affari tuoi.» Gli rispondo cercando di sembrare distaccata ma fallendo miseramente.
Mi afferra la mano allontanandola dal mio viso, stringendola alla sua sopra al bracciolo.
«Mi piace vederti imbarazzata, non succede spesso.» ancora quel tono suadente, come se lo sapesse, o forse è quello a cui stava pensando anche lui?
A differenza sua odio essere in imbarazzo, odio soprattutto che a lui piaccia e che faccia di tutto per farmici sentire, ed è un campione nel riuscirci.
Gli stringo la mano a mia volta mentre mi sporgo leggermente sulla poltroncina per osservare dall'oblò. Tramonto o alba? Il fuso orario mi sta confondendo. Ci devo riflettere un paio di secondi prima di realizzare che è l'alba. Manca quasi un ora di viaggio prima dell'arrivo a New Orleans.
New Orleans. Non ci sono mai stata, ovviamente, tutto quello che so sulla città l'ho imparato da brevi ricerche fatte dopo la partenza di Klaus, e dopo gli ultimi avvenimenti ricordo ben poco delle suddette. Sono curiosa di poter conoscere la musica, l'arte e cultura che lui desiderava mostrarmi visto che sembra amare così tanto questa città tanto da considerarla uno dei luoghi che preferisce al mondo. Mi torna in mente il suo messaggio, ancora salvato nella mia segreteria:

...e tutto ciò a cui riesco a pensare è quanto vorrei poterti mostrare tutto. Magari un giorno me lo permetterai.»

Quel giorno sembra arrivato. Sorrido.
New Orleans. Certo può essere una delle città che preferisce al mondo, ma ha detto lo stesso su Roma e non è lì che sta vivendo. Lo conosco quindi so che non è solo per puro piacere che sta facendo ritorno in questa città, c'è qualcosa che gli interessa, che vuole scoprire o avere. Mi domando solo cosa diavolo si sarà inventato. Più di una volta ho cercato chi entrare in argomento per sapere le motivazioni che lo hanno portato a trasferircisi di nuovo. So che è stato lui, insieme alla sua famiglia, a costruire la città fino a quando non sono stati raggiunti dal padre che gli ha costretti a fuggire ma le mie conoscenze terminano qui e vorrei davvero sapere cosa devo trovarmi ad affrontare prima di trovarmici già dentro. Se non ha accennato a nulla fino ad ora non si tratterà di certo di qualcosa di ingestibile.
«New Orleans.» esordisco mentre i nostri sguardi si incontrano. «Per quel poco che ti conosco.»
«Poco?» mi interrompe scettico.
«Per quel poco che ti conosco» riprendo, non badando al suo intervento. «so che non fai nulla per caso, non vai in una città per puro piacere.»
«Ho viaggiato un mese per piacere, il mio e il tuo» interviene di nuovo, sorridendo ammaliante.
«Smettila di interrompermi.» lo rimprovero, è in grado di lasciarmi finire la frase? Alza la mano libera in segno di resa. «Grazie.» sorrido gratificata prima di procedere e concludere formulando una domanda. «quindi mi stavo chiedendo cosa ci fosse a New Orleans che ti interessasse tanto.» anche se il suo viso muta in modo impercettibile, ormai lo conosco e lo vedo e lo sento irrigidirsi di colpo.
'Oh no.' Allora mi sbagliavo, è qualcosa di ingestibile. Il fatto che non mi risponda immediatamente me lo conferma, ma me lo deve dire, adesso.
«Sai, teoricamente siamo in viaggio e per sfida sei costretto a rispondere ad ogni mia domanda, a meno che tu non voglia perdere proprio in vista del traguardo» La mia voce è tranquilla, cerco di rassicurarlo, visto che ormai sono preparata e abituata al peggio. Mi sollevo, staccando la schiena dalla poltroncina per poterlo guardare meglio.
China la testa di lato sospirando senza interrompere il nostro contatto visivo.
«La guerra.» risponde senza aggiungere altro, lasciandomi spiazzata.
«La guerra?» ripeto stranita. Lui annuisce e non riesco a trattenermi dal ridere. La guerra? C'è stata guerra a Mystic Falls prima ancora del suo arrivo, crede davvero che la cosa mi possa sconvolgere tanto?
Lui sembra non capire la mia reazione.
«Ho combattuto diverse guerre per ben 2 anni a Mystic Falls, una persino contro di te.»
«Posso ritenermi vincitore assoluto in quel caso, visto che sei qui»
Mi spiazza di nuovo, imbarazzandomi. Mi ammutolisco per qualche secondo, guardandolo prima di realizzare che non è questo il momento di farsi distrarre dalle sue dichiarazioni. Scuoto leggermente la testa in segno di dissenso e riacquistando le mie piene facoltà mentali.
«Non mi distrarrai» lo avviso «voglio sapere di questa nuova guerra.»
Lui sospira rilassandosi sul comodo sedile lasciando la mia mano ed inizia il suo racconto esordendo con l'arrivo degli Originari in quelli che sono gli attuali territori di New Orleans, mi racconta di Marcel, del modo in cui l'ha incontrato, salvato, accudito, cresciuto ed infine trasformato, plagiandolo a sua immagine, considerandolo come un figlio, di come sia dovuto fuggire lasciandosi tutto alle spalle, tutto e tutti, persino Marcel che dopo l'attacco credeva morto, anche se morto non si è rivelato essere. Mi informa di come Marcel si sia creato una nuova famiglia, di come sia stato in grado di prosperare e di impossessarsi della città, del favore dei suoi cittadini e di un'arma, Divina, una sedicenne strega, potente e a lui leale. Le streghe sono ormai sottomesse e in un disperato tentativo di salvezza hanno attirato Klaus in una città che è ora sotto il controllo di questo nuovo Re, in grado di controllare vampiri, umani, licantropi e serve della natura. Un Re che però a scelto la città sbagliata. «New Orleans è mia, e la rivoglio indietro, costi quel che costi.» conclude con lo sguardo infiammato e pieno di rabbia e desiderio di vendetta.
Io non dico nulla mentre cerco di assimilare tutto quello che ho appena scoperto.
Lui mi guarda aspettando di assistere alla mia reazione ed agire di conseguenza.
Come dovrei reagire? Cosa dovrei dire? Re, lotta al potere, streghe. Non ci trovo nulla di nuovo.
«e io che avevo paura di annoiarmi» commento infine sarcastica ed è l'unica cosa che sono in grado di dire.
«Tutto qui?» sembra quasi deluso, ma sicuramente sollevato.
«Tutto qui.» mi stringo nelle spalle.
«E io che ero pronto a fiamme e grida» vedo che non sono l'unica a fare del sarcasmo.
«Mi dispiace deluderti» commento altezzosa. «Sinceramente mi ero preparata a peggio, non devo di certo farti la predica, non devo e non ne ho proprio voglia. Vuoi indietro la tua città? Prenditela. Non ti si può impedire di far nulla, non a te. Mi stupisco che tu non abbia semplicemente ucciso direttamente Marcel, esibendo il suo cadavere in piazza come dimostrazione di quello che succede mettendosi contro di te, impadronendoti così di nuovo della città.» Sono un fiume di parole, escono spontanee e non rifletto nemmeno prima di rivolgergliele.
Lui rimase sorpreso. «Sono scioccato, che ne hai fatto della Caroline che credevo di conoscere?» sembra sincero anche se l'ironia è evidente.
«Credo si debba riprendere dal jet lag. Piuttosto che fine ha fatto il Klaus che io credevo di conoscere, ha perso la mano? Una volta avresti agito diversamente, con noi lo hai fatto. Insomma, hai ucciso chi ti serviva senza guardare in faccia nessuno...» Mi blocco, sconvolta per quello che sto dicendo ma soprattuto con la semplicità con cui lo sto facendo. Come se fosse una storia, letta da qualche parte, qualcosa che non mi riguardasse direttamente
Lui immobile mi fissa. Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, incapaci di controbattere. Faccio un lungo respiro. Poi un altro. Ce la posso fare, non posso dimenticare ma posso andare oltre.
«Mi avresti uccisa ed ora non saremmo qui...»
«Caroline...»
Posso farlo.
«Quindi vedi di fare in modo che la mia eternità valga la pena di essere vissuta» lo interrompo «non farmi annoiare mi sembra già qualcosa.» sorrido rassicurandolo un'altra volta.
Mi chino appoggiando la testa sulla sua spalla, cogliendolo in un primo momento di sorpresa, solleva il bracciolo che divideva i nostri sedili ed io mi metto comoda su di lui, riafferrandogli la mano. Lentamente lo sento rilassarsi.
«Non sono ancora in grado di prevedere quale sarà la tua reazione ed essere pronto a rispondere» il suo tono appare rammaricato ma divertito allo stesso tempo.
«Non vorrei rischiare di annoiarti anch'io.» rispondo.
«Non l'hai mai fatto.»
Sorrido e cerco di rilassarmi anch'io.
New Orleans. Guerra. Streghe... Klaus.
Klaus.
Paradossalmente resta lui quello che mi preoccupa di più.
«Resti comunque tu il problema più grande.» lo informo ridendo mentre l'hostess in sottofondo ci avvisa che le manovre per l'atterraggio stanno per iniziare.

 

 

Sono in mezzo a Bourbon Street in questa meravigliosa giornata e tutto è come nel sogno fatto settimane fa, gli edifici stretti in stile coloniale spagnolo, i palazzi in mattoni rossi, quelli in vernice di color pastello, bar e pub ad ogni angolo della strada, i terrazzi in ferro battuto, come nel sogno ma cento volte meglio. Sorrido incantata circondata dalla gente.
«Caroline?» Klaus mi chiama alle mie spalle.
Mi volto a guardarlo mentre lui nella sua posa perfetta aspetta che lo raggiunga, cosa che faccio qualche secondo più tardi. Mi offre il braccio ed io esito, esito ricordando come quel sogno si concludeva, un brivido mi percorre la schiena.
'Era un sogno.' Gli afferro il braccio.
«Le nostre valigie?» chiedo abbandonando subito i pensieri negativi.
«Le ho fatte portare direttamente a casa, pensavo volessi vedere la città senza aspettare»
Il mio sguardo non è del tutto convinto, come lo sono io.
«Arriveranno sane e salve» mi rassicura «di Joshua c'è da fidarsi» aggiunge sorridendo soddisfatto.
«Posso immaginare come si sia guadagnato la tua fiducia» lo ammonisco, lo avrà senz'altro soggiogato.
Fa spallucce chinando la testa di lato, scoperto.
Scuoto la testa, contrariata prima di ricordare le sue parole 'di te mi fido'. Sorrido compiaciuta e lui fa lo stesso mentre ci guardiamo.
«Nik.» Qualcuno lo chiama, una voce femminile che già conosco. Entrambi distogliamo lo sguardo puntandolo sulla folla davanti a noi e lì la vedo, mentre procede a lunghe falcate verso di noi, con i suoi suoi perfetti capelli biondi, Rebekah Mikaelson.
'Be' non perfetti quanto i miei.'
«Rebekah» le risponde lui.
«Ti sei degnato di tornare» il suo tono è seccato ma sollevato, non mi bada anche se sono avvinghiata al braccio del fratello.
Lui non risponde.
«Vedo che ti sei portato dietro la vacanza.» solo ora si volta a guardarmi.
«Rebekah» mi limito a dire, in tono vacquo costringendomi a non risponderle acidamente.
«Caroline» finge un sorriso «vorrei poter dire che è un piacere ma visto che non lo è..»
«Non ti preoccupare, il dispiacere è reciproco.» imito il suo sorriso.
«La nuova balia?» chiede a Klaus riferendosi a me.
'Balia?'
Lo sento irrigidirsi. «Tutt'altro. Ci sei tu per quello..» risponde seccato.
Il sorriso di Rebekah muta, ora è autentico e sembra soddisfatta, divertita. Non riesco a capirli e questo mi infastidisce.
«Quindi lei....» lascia la frase incompleta guardandomi. «Hai sentito Matt?» cambio di rotta.
«Non di recente.»
«Nel caso lo sentissi, non me lo salutare.»
'Perchè dovrei salutarglielo?'
«Me ne ricorderò.»
«Ora devo andare ma presumo che ci rivedremo a casa.» guarda il fratello.
«Presumi bene, spero di trovare tutto come l'ho lasciato» il suo tono è sicuro ed autoritario.
Lei sembra rifletterci su. «Non ti preoccupare, tutto è come lo hai lasciato... a parte alcune cose che sono leggermente lievitate.» si gusta a pieno lo sguardo contrariato di Klaus.
'Lievitate? Di che diavolo stanno parlando?'
«Ci vediamo dopo» continua prima di lasciare il tempo di ribatterle allontanandosi. «Spero solo di arrivare in tempo.» si volta dopo pochi passi rivolgendoci un sorriso sadico.
Klaus sospira infastidito.
'In tempo per cosa?' abbasso lo sguardo sempre più confusa.
«In tempo per cosa?» non posso non chiederglielo.
«Cosa vuoi vedere per prima cosa?» evita la mia domanda.
«In tempo per cosa Klaus?» domando nuovamente, la mia voce è più dura ora.
«Nulla» sbotta lui nervoso «nulla...» ripete più tranquillo.
Muovo il braccio per allontanarlo ma lui mi ferma «No.» sussurra. «Lascia perdere Rebekah» mi guarda, il suoi occhi sono quasi supplichevoli e non posso ignorarli.
Vorrei impormi ma rinuncio, almeno per ora. Siamo appena arrivati, siamo a New Orleans da un paio di minuti e non voglio già rovinare tutto, intaccare quell'idilliaca aura che ci avvolge ormai da un mese.
Sospiro cercando di lasciar correre.
«Sei tu il vero re» cerco di sorridere «mostrami i segreti della tua città.»
«Con piacere.» Si rilassa e ricambia il mio sorriso, prima di incamminarsi per la città con me al suo fianco.
È stato strano, l'incontro con Rebekah, tralasciando la conversazione tra le righe che si sono scambiati i due in cui sono stata completamente estromessa. Non siamo più solo io e lui in mezzo a sconosciuti, non siamo più solo io e lui punto. Ed è stato già difficile rimanere soli e sopravvivere, tornare nel mondo reale sembra ancora più arduo, soprattutto perchè questo non è il mio mondo, New Orleans non è la mia città, la mia casa. Qui non conosco nessuno, non posso confidarmi con nessuno, sono sola. Nell'ultimo mese ho comunicato con le persone a cui tengo solo attraverso messaggi lasciati in segreteria a mia madre, Elena, Matt, Bonnie, Stefan, a cui solo i primi tre della lista hanno risposto.
Mi sono sentita a disagio con Rebekah, come se la mia presenza qui fosse ingiustificata, insensata, inutile. Qui stanno combattendo una guerra, una guerra di cui non mi importa nulla, di cui non voglio far parte.
'Hai paura.'
'Sì che ho paura'.
Paura soprattutto perchè non ho affatto voglia di lasciare Klaus, nonostante sorelle isteriche e guerre in atto, voglio rimanere con lui e questo mi spaventa.
Mi stringo al suo braccio ed abbandono quei pensieri per prestare attenzione alle sue parole appassionate mentre si spertica in racconti sulla città ed i suoi luoghi.

 

 

È ormai il tramonto, siamo stati fuori tutto il giorno, trascorso tra famosi luoghi ed altri meno conosciuti alle guide turistiche ma senz'altro più interessanti. New Orleans è meravigliosa, soprattutto ora, avvolta tra le luci artificiali, mentre la gente ancora affolla le strade ed in sottofondo diversi musicisti suonano la loro musica che sembra unirsi perfettamente anche se ognuno di loro suona qualcosa individualmente.
Klaus aveva ragione, di musica, arte e cultura aveva parlato, ed io in poche ore le avevo scoperte ed ammirate già tutte.
Siamo ripiombati nella nostra teca di vetro, protetti dal mondo esterno, in cui esistiamo solo io e lui.
Ci stiamo lentamente allontanando dal centro della città diretti verso casa, almeno credo. Klaus si è fatto via via più silenzioso il che mi riporta alla mente la breve e fastidiosa conversazione avuta con Rebekah appena arrivati. Ci ho riflettuto in queste ore senza venire a capo di nulla. Che stessero discutendo su qualcosa riguardante Marcel? Le streghe? Qualcosa di cui non posso essere messa al corrente? Non vedo per quali motivi dovrei correre dal nemico ed informarlo delle loro intenzioni. Nemico. Rimango stupita. Ora il nemico di Klaus è anche il mio? Klaus era un nemico e ora cos'è? Tieniti stretta gli amici ed ancora più stretta i nemici. Sorrido. Lo sto tenendo stretto, eccome.
Ci fermiamo davanti al cancello di un enorme villa bianca e so che siamo arrivati. Lui non dice nulla mentre lo superiamo avvicinandoci all'abitazione e questo silenzio mi sta facendo agitare, più di quanto non lo sia di mio. Casa sua, sto andando a casa di Klaus, vivrò con Klaus per un tempo indeterminato. Con Klaus. Con la sua famiglia. A casa sua.
«Ti sei mangiato la lingua?» sussurro scherzando cercando di alleviare la tensione.
Lui sorride abbassando lo sguardo ma non dice nulla.
'Porca miseria, cos'ha?'
Sul vialetto, se così lo si può definire, sono parcheggiate due auto, le uniche luci provengono dall'interno della casa e sembra che quelle di ogni stanza siano accese. Saliamo la manciata di scalini davanti alla porta d'entrata, lui si ferma con la mano poggiata sulla serratura, esitante si volta verso di me e capisco dal suo sguardo che vorrebbe dirmi qualcosa. È titubante, sembra che stia per dire qualcosa ma poi non lo fa, questo suo comportamento mi spiazza e mi sconvolge, non l'ho mai visto così.
Alla fine scuote la testa, mi tende la mano che afferro ed entriamo.
'Cosa mi volevi dire Klaus?'
Sono subito colpito dall'entrata, il mobilio e l'ambiente antico ma moderno allo stesso tempo,il pavimento in marmo, il salotto alla mia destra, le scale per il piano superiore davanti a me, alla mia sinistra scorgo la porta di quella che dev'essere la cucina, senz'altro la stanza meno utilizzata vista la natura degli abitanti della casa. Mi guardo intorno ammirando la casa in silenzio, cercando invano di ambientarmici mentre ho lo sguardo di Klaus puntato addosso. È preoccupato? Agitato? Vivremo insieme e sono agitata anch'io ma non credo di avere quello sguardo stralunato in questo momento.
Sto per dirgli qualcosa, per rassicurarlo, per capirlo, quando dalla porta del salone alle sue spalle spunta l'ultima persona che mi sarei aspettata di rivedere in vita mia.
'Hayley?' Sono incredula. Non sono in grado di formulare nessun ragionamento logico, lo stupore che dapprima mi aveva colpita lascia lo spazio a rabbia, ira, collera, violenza che mi bruciano dentro. Non penso ed agisco.
«Tu... Brutta stronza!»
La raggiungo ed ancor prima che lei se ne possa accorgere le sono davanti, le mie mani sono strette al suo collo ed i suoi piedi non toccano più terra.
Questa stronza ci ha tradito, mi ha spezzato l'osso del collo lasciandomi nel bagno del Grill mentre Tyler rischiava di morire per colpa sua. Per colpa sua Carol è morta quella sera.
Stringo la presa mentre sento il suo respiro mozzarsi.
«Caroline no!» Klaus urla alle mie spalle mentre il mio polso viene preso di forza ed abbassato dall'ultimo degli Originals che non avevo ancora rincontrato, Elijah.
Non posso oppormi alla sua forza quindi mollo la presa ed Hayley tocca di nuovo terra, tossendo e portandosi una mano laddove prima era stretta la mia. Con uno schiaffo Klaus allontana la mano del fratello dalla mia. Mi afferro il polso con l'altra mano muovendo qualche passo all'indietro, allontanandomi da loro mentre li guardo irata.
Passo lo sguardo su ognuno di loro, su Klaus in particolar modo, ma nessuno si azzarda a dire nulla, a darmi spiegazioni, che diavolo ci fa quella cagna qui?
«Che diavolo sta succedendo qui?» urlo.
Sia Elijah che Hayley si voltano in direzione di Klaus. Tre paia di occhi sono ora puntati su di lui mentre i suoi non incontrano quelli di nessuno, concentrati su un punto indistinto. Penso trascorrano alcuni secondi, o quelli che a me sembrano un'eternità.
«Klaus!» lo chiamo ed un po' della mia rabbia viene meno.
Lui finalmente mi guarda e capisco, non è solo per la guerra che è tornato qui, non mi ha detto tutto.
«La ragazza porta in grembo mio figlio.» La sua voce è gelida.
Schiudo la bocca incredula posando lo sguardo su Hayley, la cui mano è poggiata sul suo grembo pronunciato.
''..alcune cose che sono leggermente lievitate. Balia'' è di questo che stavano parlando prima lui e Rebekah.
Ma non è possibile, i vampiri non possono procreare, Klaus sarà anche nato con il gene del licantropo che fa di lui un ibrido ma il suo corpo è morto quando ha subito la trasformazione.
'Non è possibile' mi ripeto.
I miei occhi sono ancora puntati su quella mano, su quel pancione di pochi mesi, appena visibile.
'Non è possibile'.
Torno a guardare Klaus, sta aspettando che reagisca, che dica qualcosa come quella mattina in aereo quando mentendomi mi informava della ragione che lo portava qui a New Orleans. Stringo i pugni lungo i fianchi, immobile, bloccata.
«Me lo sono persa?» Rebekah fa capolino nella stanza, i miei occhi incrociano i suoi, delusi ma divertiti. «Peccato!»
Vedo il mondo crollarmi addosso, quel briciolo di fiducia che avevo imparato a dare a Klaus infrangersi in mille pezzi, l'idea di aver creato qualcosa in questo mese distruggersi. Cos'ha fatto in questo mese se non prendermi in giro? Non gli è mai passato per l'anticamera del cervello di informarmi di questo?
Che idiota sono stata.
Quell'aurea idilliaca che pensavo di poter conservare anche qui, nel mondo reale, con lui si è appena dissolta completamente. Eccola la nuvola nera che, come nel mio sogno, rovina tutto. Sono confusa ed ho paura. Non voglio più stare qui. Perchè sono qui?
«Non è possibile» sussurro fissando il tappeto al centro della stanza.

'Non è possibile'.

 


Spazio autore:  
Incredibilmente ho già aggiornato! Ho scritto il capitolo tutto d'un fiato e rileggendolo mi sono sorpresa che mi piacesse tutto. Non abituatevi a questa velocità, non posso promettere nulla.
Parlando del capitolo, finalmente ci siamo, siamo arrivati a New Orleans ed alla fatidica scoperta del BAMBINO e Caroline si trova ad affrontare la realtà. 
In questo capitolo si sono aggiunti Rebekah, Elijah ed Hayley nel prossimo arriveranno anche Marcel e Camile (almeno credo, non so se aggiungerla a questa storia). 
È un capitolo un po' di passaggio ma spero vi sia comunque piaciuto :)
Ringrazio le meraviglie che hanno recensito il precedente Capitolo:
klaroline
AliMorganDevota
Mery1992
Elyxa85
giusy8690
MariaMirella
Pity9
Angel51

La storia ha raggiunto le 100 RECENSIONI, GRAZIE INFINITE! Per festeggiare, 2 banner per questo capitolo! (in realtà non sapevo proprio decidermi tra le due quindi le ho messe entrambe)
Ringrazio anche coloro che hanno raggiunto la storia tra le preferite, ricordate, seguite ed i lettori silenzioni.
Insomma: VI AMO TUTTI!

A presto Klaroliners, aspettatevi fiamme ed urla nel prossimo capitolo!!
ELLEcrz.


 

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