CHIARIMENTI

di ciux_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Follow the detective ***
Capitolo 2: *** Found the detective ***
Capitolo 3: *** the best ***



Capitolo 1
*** Follow the detective ***


1- Follow the detective

 

Era tornato tutto come prima. Stavano nuovamente rincorrendo criminali per Londra insieme.

Sherlock era “tornato in vita” da due mesi. Certo i primi momenti erano stati difficili per entrambi, fra il pugno in piena faccia che John aveva rifilato al detective come regalo di bentornato, la difficoltà per Sherlock nello spiegare il motivo della sua falsa caduta e il mutismo di John per due settimane. Solo dopo tutte queste avversità il dottore aveva deciso di tornare a Baker Street e ora stava nuovamente accompagnando il detective nelle sue indagini. 

Ormai stavano correndo dietro a quel pluriomicida da dieci minuti e il delinquente non aveva intenzione di fermarsi. Il malfattore li aveva fatti entrare in un cantiere, dove non c’era nessuno, solo loro tre e alcuni edifici abbandonati o in costruzione. John, dal primo passo per iniziare l’inseguimento, aveva ricominciato a sentire quella sensazione di adrenalina pura che lo travolgeva e non gli faceva più sentire quel fastidioso male alla gamba che era stato una caratteristica dei tre anni trascorsi senza il detective e le sue avventure. Si sentiva vivo, non c’erano altri aggettivi che potessero descrivere le sue sensazioni. Erano di nuovo loro due e nessuno li avrebbe più separati. Glielo aveva detto Sherlock quando aveva ricominciato a parlargli e si stavano abbracciando, gli aveva sussurrato all’orecchio “Io ci sono e ci sarò sempre, non ti lascerò mai più.” e John era scoppiato a piangere.

Guardò il detective correre davanti a lui. Sherlock era ancora agile e, come sempre, lo precedeva di qualche metro. John continuava a seguire il suo cappotto che svolazzava in modo teatrale davanti alle esili ma forti gambe del suo coinquilino, come se fosse stato un mantello. Il mantello di un supereroe. Perché era quello che era Sherlock infondo: un eroe; il suo eroe. Era grazie a lui che era vivo ed era grazie a lui che ora era tornato in vita dopo tre anni di disperazione.

L’assassino girò ed entrò in un grosso edificio dall’aria abbandonata. Era grigio e lasciato al tempo. Aveva due piani ed erano entrambi tappezzati di finestre, molte delle quali ora erano rotte. Sherlock si fermò e si girò verso John. Il suo volto era il solito con la solita espressione un misto fra noia e un freddo sguardo osservatore che non tralasciava nulla. Quel caso doveva essere un quattro. Oh quanto gli era mancato quel viso in quei tre anni! Le uniche volte che lo rivedeva era negli incubi, ricoperto di sangue e schiacciato al suolo; ma ora era lì, di nuovo davanti a lui, concreto. Non sembrava affaticato affatto, l’unica prova della corsa era una solitaria goccia di sudore che scendeva brillate sulla fronte del detective, lasciando una scia invisibile ma luminosa al sole.

“John, aspetta qui e avverti Lestrade; tranquillo non serve che vieni, ce l’abbiamo ormai.” Disse frettoloso per poi tornare a correre entrando nell’edificio. John non aspettò molto per obbedire al detective. Si fermò (con una certa felicità), tirò fuori il telefono dalla tasca e digitò il numero dell’ispettore di Scotland Yard che gli aveva fornito quel caso. Aspettò. Suonò una, poi due volte e infine il DI rispose.

“Greg, siamo dietro al killer, no, non so…” E poi un busso. Un enorme boato e un’ esplosione. John fece cadere il telefono a terra e rimase lì, fermo a vedere l’edificio in cui era entrato Sherlock cadere al suolo e sfracellarsi. 

Quello che accadeva al palazzo era proprio quello che accadeva al cuore di John in quel momento, cadeva e si distruggeva in pezzetti. No, non poteva perdere Sherlock un’altra volta. Già una volta sola non doveva capitare ed era stata distruttiva per il dottore.

 

No. Non poteva essere vero.

 

Quanto tempo era passato? Aveva solo chiamato l’ispettore ed era esplosa la bomba, ma a John sembrava esser passato molto più tempo. Non aveva nemmeno detto addio a Sherlock, non gli aveva detto nemmeno una sillaba. No, non poteva essere vero.

 

Sherlock, Sherlock, Sherlock.

 

Sherlock era vivo. DOVEVA essere vivo. Gli venne un capogiro poi un altro. Non riusciva a reagire a quella situazione. Le lacrime gli scendevano lungo il viso, le pulì con il dorso della mano, ma non le sentiva veramente, tutto ciò che percepiva era paura. Vera e concreta paura per Sherlock.




Le note che nessuno legge!
Yuppy! Sono tornata! No, mi dispiace, ma non vi siete liberati di me! Dunque ho voluto essere un po' crudele concludendo il primo capitolo così...ma tranquilli, nel remoto caso in cui la storia dovesse piacervi o interessarvi non dovrete attendere molto! :) Apprezzo le recensioni. ;) 
 Al prossimo capitolo

Ciux :)

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Capitolo 2
*** Found the detective ***


Dal capitolo precedente: Sherlock era vivo. DOVEVA essere vivo. Gli venne un capogiro poi un altro. Non riusciva a reagire a quella situazione. Le lacrime gli scendevano lungo il viso, le pulì con il dorso della mano, ma non le sentiva veramente, tutto ciò che percepiva era paura. Vera e concreta paura per Sherlock.

 

 

 

2- Found the detective

 

Cercò di urlare il nome del suo migliore amico, ma dalla sua bocca non uscì che un flebile suono. 

Qualche secondo dopo John riacquistò l’uso delle gambe e automaticamente si precipitò verso le macerie. 

Sentiva un fuoco ardere dentro al suo petto, una morsa allo stomaco che accompagna sempre la preoccupazione e non faceva altro che continuare a correre e a pesare a Sherlock.

 

No, no, no, non era veramente successo…

 

“Sherlock!” Gridò John con tutto il fiato che aveva arrancando sulle macerie in cerca del suo miglior amico. Si sentiva gli occhi pizzicare ed era certo che non era solo per colpa della polvere causata dall’esplosione. Tese le orecchie in attesa di una risposta che non arrivò. Gli sarebbe bastato anche solo un segno, un lembo visibile del suo cappotto, un braccio teso verso di lui; qualsiasi cosa! Riprovò a chiamarlo, ma ancora nulla. Si muoveva il più velocemente possibile sui resti della costruzione, esaminando attentamente il suolo alla ricerca del suo migliore amico. 

 

No, Sherlock era vivo.

 

Proprio mentre si spostava da una zona all’altra sempre più preoccupato per il detective, sentì un forte tossire e una voce roca, quasi un abbaio, tentare di chiamarlo. Gli sembrò che il cuore gli esplodesse. Si diresse subito fino al punto da dove gli sembrava fosse provenuta la voce, sentendo la preoccupazione inondarlo completamente. E se non fosse stato Sherlock ma il killer? Si stava solo illudendo se era così. Era un punto a lato dell’edificio, dove vi erano solo mattoni piccoli, non gli enormi pezzi di muri e soffitto che si sovrastavano al centro. Si chinò e spostò tutta la polvere e i mattoni che poté, rivelando così il volto del suo miglior amico. Era ricoperto di polvere scura, che metteva ancora più in risalto i suoi occhi color cielo e il suo sorriso splendente. Gli sorrideva come faceva a casa, come se non fosse successo nulla; come se in quel momento non fosse stato sotterrato dai pezzi di un palazzo; come se la sola presenza di John lo facesse stare bene. Forse era proprio così. Fece un sospiro di sollievo, per poi intrecciare le sue dita con quelle pallide della mano del detective che si allungava verso di lui.

“Sher…” Sentì la frase morirgli in bocca e le lacrime sgorgagli indisturbate dagli occhi. Sherlock era vivo e ora era lì con lui. Non lo aveva perso. 

Spostò le poche macerie dal corpo di Sherlock scoprendo con suo immenso sollievo che non aveva nessun danno grave. Per fortuna il detective quando era esplosa la bomba si trovava in un punto abbastanza lontano. Sherlock nel frattempo ansimava e tossiva, cercando di riprendere fiato e di liberare le vie respiratorie dalle asfissianti polveri dell’esplosione. “John…” Cercò di dire Sherlock fra un attacco di tosse e l’altro.

“Shh Sherlock, non sforzarti, respira e basta, ora usciamo da qui.” Disse John accarezzando una guancia del detective che rimaneva sdraiato a terra. Mentre compiva quel gesto al dottore sembrò che tutta la preoccupazione che lo aveva assalito durante la ricerca di Sherlock, scemasse nel vedere il sorriso che il detective gli stava rivolgendo. Si chinò su di lui e gli diede un leggero bacio sulla fronte, sporcandosi le labbra della polvere. Sherlock lo guardò per un momento stupito, ma poi la sua espressione si fece dolce, quel genere di dolcezza che solo lui sapeva esprimere e che John amava tanto.

Rimasero altri due minuti sulle macerie, aspettando che Sherlock si riprendesse un po’; poi John lo prese con delicatezza e lo aiutò a sollevarsi da terra. Il dottore avanzava incerto, sorreggendo Sherlock che zoppicava e si trascinava al suo fianco, terrorizzato dall’idea di poter fargli male con un movimento brusco, ma era più che intenzionato a portare via il detective il prima possibile da quel posto. Sherlock non opponeva resistenza, si lasciava trasportare e basta, si sentiva fin troppo spossato per qualsiasi cosa, perfino respirare gli era difficile in quel momento.

Intorno alle macerie si erano radunate un’ambulanza e cinque macchine della polizie e proprio da una di quelle in quel momento stava scendendo un Greg Lestrade più che preoccupato.

“Abbiamo rintracciato la chiamata, Dio, state bene?” 

I due annuirono. 

“John.” La voce di Sherlock era poco più di un roco bisbiglio. Il dottore si girò verso di lui. 

“Andiamo a casa.” Finì la frase il detective.

“Sherlock, credo sia meglio che ti porti in ospedale più che a casa.” Rispose John sentendo nuovamente la preoccupazione crescere in lui.

“Per favore.” Insistette il detective aggiungendo un vero e proprio sguardo da cucciolo e aggrappandosi con più insistenza alla giacca di John.

Sempre un po’ angosciato e poco convinto, il dottore accompagnò Sherlock all’ambulanza per cinque minuti per un controllo veloce. Come aveva pensato John quando aveva trovato Sherlock, il detective non aveva riportato gravi danni, giusto qualche taglio del quale se ne poteva occupare lui stesso, perciò chiamò un taxi e lo indirizzarono a Baker Street.



Note che evidentemente qualcuno legge :)
Ed eccolo qui madame e monsieur il secondo capitolo! *lancia coriandoli* Ma che voi ci crediate o no, non è finita, questo è solo l'inizio [muahaha] ci sarà sicuramente un altro capitolo (che non tarderà ad arrivare) e forse anche un quarto...mmm...ci penserò! Come sempre apprezzo le recensioni :) e... *pausa ad effetto* al prossimo capitolo
Ciux ;)
p.s. Non so se funziona effettivamente così quando crolla un edificio, perciò sono andata di fantasia, poi, insomma, è Sherlock Holmes! Se può sopravvivere a una caduta dal tetto del Bart's essere schiacciato sotto un palazzo è un gioco da ragazzi! 

 

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Capitolo 3
*** the best ***


Dal capitolo precedente: Come aveva pensato John quando aveva trovato Sherlock, il detective non aveva riportato gravi danni, giusto qualche taglio del quale se ne poteva occupare lui stesso, perciò chiamò un taxi e lo indirizzarono a Baker Street.

 

 

 

3- The best

 

Arrivarono all’appartamento in cinque minuti e, appena entrati, Sherlock si sdraiò sul divano ancora un po’ dolorante. John continuava a essere preoccupato per la salute dell’amico. Gli era caduto addosso un edificio, e lui se ne stava altamente fregando del fatto standosene sdraiato sul divano come se nulla fosse. Aveva ancora la faccia sporca e dalle poche ferite che si era procurato un liquido scarlatto usciva indisturbato senza che nessuno pensasse a fermarlo. John gli si avvicinò incerto. “Faccio del tè, ne vuoi un po’?” Domandò con voce dolce. Come risposta un mugolio; voleva dire sì. Il dottore si diresse in cucina, mise su l’acqua nel bollitore e prese fuori le solite due tazze, poi tornò in salotto. 

“Vuoi qualcosa, hai freddo?” Domandò. John continuava a essere preoccupato, voleva fare qualcosa per Sherlock, qualsiasi cosa pur farlo stare meglio.

“No.” Rispose semplicemente il detective.

“Ti fanno male i tagli?” Chiese John cercando di rassicurarsi un po’. Il detective rispose come prima.

“Posso fare qualcosa per te?” Chiese un po’ più seccato allora John.

“Sì, smetti di starmi attaccato e di farmi domande.” Rispose stizzito Sherlock alzando lo sguardo su di lui.

“Oh, scusami se mi preoccupo per te!” Rispose ironico.

“Non serve, ok? Vedi sto bene.” Disse gesticolando il detective.

“Sherlock giusto mezz’ora fa te ne stavi sdraiato sotto un cumulo di macerie! Mi hai fatto morire di paura!” Il dottore aveva cominciato ad alzare la voce. Perché diamine Sherlock non si rendeva conto di quello che provava?!

“Va bene. Mi dispiace di averti fatto preoccupare ma vedi che ora sono qua integro.” 

“Non riuscivo a trovarti! Ho creduto che fossi morto Cristo!”

“Ma sono vivo.”

“Mi spieghi che hai? Sai come sono stato per tre anni credendoti morto, non voglio passare di nuovo tutto quello!” Sbottò John che ora oltre alla preoccupazione era pure arrabbiato con il detective, di nuovo. Lo sapeva che non doveva dirlo, perché ogni volta che riprendeva quell’argomento Sherlock gli diceva che era inutile parlarne di nuovo perché ormai era tutto passato e lui non lo avrebbe più lasciato e solita tiritera. Ma poco prima stava per morire, John si era immaginato di nuovo i tre anni senza di lui e questa volta davvero, era scusato.

“Oh, ovvio certo, perché solo tu sei stato male! Io stavo benissimo senza di te guarda! Ti è mai passato per la testa, John Watson, che magari anche io sono stato male?!” Rispose con tono feroce il detective alzandosi in piedi. 

Con questa risposta Sherlock aveva completamente spiazzato il dottore. Sia perché non se la aspettava, sia per il fatto che John non ci aveva davvero mai pensato a come si potrebbe esser sentito Sherlock in quei tre anni. John non rispose.

“Perché sono tutti pronti a consolare te perché tutti hanno visto come sei stato! E quindi la colpa me la prendo io per averti fatto passare questo in questi tre anni, perché sono IO quello che se n’è andato. Ma secondo tutti io sono stato benissimo lontano da te, da solo, per tre anni! Vero!? Sono io la macchina senza sentimenti che pensa solo a sé stesso! Sono io quello che si faceva ammazzare ogni giorno per salvare te! Tanto tu pur soffrendo credevi che fossi morto, io soffrivo perché sapevo che tu eri vivo e vegeto, perché sapevo che tu stavi male e che non potevo tornare da te per non farti ammazzare! Perché nessuno ha mai pensato che io  potrei non esser stato bene in questi tre anni!?” Sherlock urlava e sembrava che non avesse mai espresso i suoi sentimenti a qualcuno meglio di quella volta. John credette per un secondo di avergli visto gli occhi inumidirsi mentre raccontava di quei tre anni. Il dottore si sentiva orribile e pure egoista. Come aveva potuto pensare nemmeno per un secondo al fatto che anche Sherlock era stato come lui in quei tre anni? Infondo John poteva legare con qualcuno al di fuori del detective, mentre lui non aveva nessuno se non il dottore. 

“Sherlock io…” Iniziò cercando le parole giuste, ma nel frattempo il detective se ne andò in grande ritirata verso la sua camera, zoppicando un po’, e sbattendo la porta dietro di lui.  

 

Bravo John, complimenti, davvero buon lavoro, meno male che volevi far sentire meglio Sherlock…

 

Rimase lì impalato, proprio come quel pomeriggio davanti all’esplosione. Ora oltre al suo cuore si stava distruggendo anche il pavimento. Sherlock era davvero stato così male in quei tre anni, ma lui, il suo migliore e unico amico, non se ne era curato nemmeno per un secondo. Sherlock era tornato da due mesi! Aveva avuto due mesi per ripensare a tutti i suoi pianti inutili in quei tre anni, alla sua disperazione, ma non aveva passato neanche un secondo per pensare a come si fosse sentito Sherlock. 

 

Stupido, sei uno stupido egoista John Watson.

 

Che cosa doveva fare? Doveva stare là impalato nel mezzo del salotto, lasciando a Sherlock del tempo per sfogarsi, o doveva andare in camera del detective e cercare di consolarlo, ammettere che era vero e che era uno stupido? Man mano che ci pensava con più lucidità si rendeva conto che la seconda era la migliore delle cose da fare.

Andò in cucina, preparò la tazza di tè per Sherlock, quasi sperando che una tazza di tè potesse risolvere qualcosa. 

Si fece coraggio e si incamminò verso la camera. Bussò timido alla porta ed entrò. 

Sherlock se ne stava sdraiato sul letto, con lo sguardo, calcolatore e neutro come sempre, rivolto al soffitto e le braccia pigramente abbandonate vicino ai fianchi. Non si mosse di un millimetro quando il dottore entrò nella camera e si sedette sul lato del letto.

“Ti ho portato il tè.” Disse il dottore porgendogli la tazza. Sherlock mosse lo sguardo che si posò negli occhi blu dell’altro. John abbassò lo sguardo. 

 

Come poteva non averci pensato neanche una volta?

 

Sherlock si mise a sedere con la sua solita leggerezza e afferrò farfugliando un grazie la tazza. Mentre il detective beveva il primo sorso della bevanda il silenzio era diventato insopportabile. Cosa si aspettava John? Di entrare nella stanza e trovare uno Sherlock Holmes tutto tremante e piangente che lui avrebbe consolato? In effetti sì, ma ovviamente non era andata così.

“Avevi ragione. Non ci avevo mai pensato. Sono un amico terribile.” Disse lentamente quasi sottovoce per non sconvolgere troppo il silenzio. John si sentiva una morsa al cuore, il suo cervello continuava a ripetergli che era un amico tremendo e non riusciva a guardare negli occhi il detective, non se lo meritava, continuava a pensare.

Sherlock lo guardò sorpreso per qualche secondo. “John, non è vero, non è assolutamente vero, tu non potresti mai essere un amico terribile.” 

John alzò lo sguardo per incontrare quello sorpreso e un po’ dispiaciuto di Sherlock. “Tu sei il miglior amico che io abbia mai avuto. Quello che ho detto prima…tutto quello che ho detto, avevo solo perso la calma. Non volevo dire-“ 

“Ma è la verità quello che hai detto! Non ci ho mai pensato! Sono un amico orribile, perché gli amici dovrebbero proteggerti e pensare a te!” Lo interruppe John.

“Ma tu pensi sempre a me. Ti preoccupi sempre quando non mangio o non dormo, quando arrivo tardi la sera, quando rincorriamo criminali…tu pensi sempre a me!” 

“Io…ma-“ 

“John, non importa di quei tre anni, sono passati, io ti ho fatto stare male, molto, è ovvio che hai pensato di più a te e a come ti sei sentito che a me. E non mi importa. Non mi importa se non hai pensato a come stavo. Ora è passato, ora siamo di nuovo solo noi due, io che ragiono, tu che ti preoccupi. Non importa più del passato. Credimi John quando ti dico che sei il migliore amico che io abbia mai avuto.” 

John lo guardava con una stretta al cuore. Sherlock credeva in John quanto quest’ultimo credeva nel detective. 

“Sherlock io-“ Ma venne interrotto dall’abbraccio del detective che lo serrò e lo avvolse. Si sentì scaldare il cuore e allentare la morsa che lo pressava.

“Il migliore.” Gli sussurrò il detective sorridendo.


Note! :D
E basta, ho deciso di finirlo. Mi è piaciuto un sacco scrivere questo capitolo, sopratutto perche mi immagino John con un adorabile faccino da cane bastonato nell'ultima parte. Spero sia piaciuto anche a qualcun altro e vorrei ringraziare tutte le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite e a _Lyss_ che mi ha recensito entrambi i capitoli precendenti :)! Mentre scrivevo le ultime parti ho ascoltato codesta canzone (
Your Song - Elton John     ) che adoro :3. Arrivederci a tutti e tornerò fra un po'! 
Ciux ;)

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