I principi della dinamica.

di misScarlett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Corpi in quiete. ***
Capitolo 2: *** Rottura dell'equilibrio. ***
Capitolo 3: *** Poli uguali: - - ***
Capitolo 4: *** Magnetismo. ***



Capitolo 1
*** Corpi in quiete. ***


I N T R O.

Se qualcuno spinge una pietra col dito, anche il suo dito viene spinto dalla pietra. Se un cavallo tira una pietra legata ad una fune, anche il cavallo è tirato ugualmente verso la pietra: infatti la fune distesa tra le due parti, per lo stesso tentativo di allentarsi, spingerà il cavallo verso la pietra e la pietra verso il cavallo; e di tanto impedirà l’avanzare dell’uno di quanto promuoverà l’avanzare dell’altro.
Se un qualche corpo, urtando in un altro corpo, in qualche modo avrà mutato con la sua forza il moto dell’altro, a sua volta, a causa della forza contraria, subirà un medesimo mutamento del proprio moto in senso opposto.
A queste azioni corrispondono uguali mutamenti, non di velocità, ma di moto. I mutamenti delle velocità, infatti, effettuati allo stesso modo in direzioni contrarie, in quanto i moti sono modificati in uguale misura, sono inversamente proporzionali ai corpi.

Jane aveva imparato questa legge molto tempo addietro. Aveva 17 anni, forse, e benché la fisica non fosse affatto tra le sue materie preferite, quel principio le era entrato dentro il cervello e lì si era nascosto, pronto a spuntare quando meno se l’aspettava. Ora ne aveva 21, di anni. Era cresciuta, per molti aspetti, ma per altri era ancora una bambina. Jane aveva imparato a sue spese che è meglio ferire che essere feriti. Proprio per questo motivo, in tanti anni aveva affilato sempre di più le sue unghie, forgiando una corazza sempre più resistente per fare guerra al mondo. Una storia classica se vogliamo. Jane era una ragazza di media bellezza, ma non era sempre stata così. Aveva imparato ad amare se stessa, ma solo odiando gli altri. Perché ogni volta che aveva provato a toglierla, quella corazza, aveva solo ottenuto colpi letali.
Così Jane da innocente ed anonima ragazzina, era diventata altro. Stronza era l’aggettivo principale con il quale veniva descritta. Insensibile. Presuntuosa. Arrogante. C a t t i v a.
- Non me ne frega un cazzo, ok? Stavo bene prima, devo solo dirglielo.
- …se è quello che vuoi, certo.
- Non si tratta di questo, ma non ho voglia di queste cose. E poi…

Will era il suo problema. Will era anche il problema di se stesso, essenzialmente. Will era carino, ma non si sa perché in amore era particolarmente sfortunato. E Jane… Bhé, chi l’avrebbe mai detto. Jane era stronza, ma non era sempre stata così. Lui la ricordava, quando erano più piccoli e lei era ancora talmente acerba che nulla poteva far presagire quanto irresistibile sarebbe potuta diventare dopo. Lei era cresciuta, lui lo vedeva bene. Ma non solo fuori, era cresciuta dentro. Adesso sfidava il mondo sprezzante del pericolo, incantava molti e si compiaceva di ciò. Lo faceva sempre e gli sembrava sempre più irraggiungibile. Si erano etichettati come “amici” solo perché, alla fine dei conti, frequentavano le stesse persone.
- Ma devi continuare a parlare o ce la fai a smettere di essere imbarazzante?
- Tu lo sei stata fino a ieri, non puoi proprio parlare.

Colpi letali. Jane e Will erano sostanzialmente i paladini di due fazioni opposte, in guerra. Lei faceva uscire il peggio di lui, e la batteva sempre. Conosceva i punti deboli anche se nessuno glieli aveva mai detti. La loro è una storia un po’ complicata, ma forse vale la pena starla a sentire.

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Capitolo 2
*** Rottura dell'equilibrio. ***


CAPITOLO I.

Febbraio 2012. Gli piaceva quella ragazza. O perlomeno, a vederla. Non la conosceva, se non per le poche volte che l’aveva vista e ci aveva scambiato due parole, ma insomma alla fine non contava molto se era stupida o intelligente. Non pretendeva chissà che creatura perfetta. Era carina: bionda, occhi verdi, snella e altri dettagli che non dispiacciono affatto. Era molto carina. Magari avrebbe dovuto tentare di conoscerla meglio, diciamo così.
- Ehi, Sam! Samantha!
Samantha. Più di una volta si era fermato a pensare di quanto quel nome suonasse dannatamente male, ma in fondo era un problema secondario. Se non nullo. La rincorreva per il campus, sperando che si fermasse. Lo fece. Si girò teatralmente – troppo teatralmente, tanto che sembrava finta – e gli sorrise.
- Ciao Will!
Battito di ciglia ammaliante. Sorriso a trentadue denti. Imbarazzo a mille. Fece un respiro profondo, Will, cercando di fingersi disinvolto. In fondo non era nulla di difficile. Niente di che, no? Niente di che.
- Ehi. Hai un minuto?
- Certo. Dimmi tutto!
- Ehm… Che ne dici se una volta andiamo a prenderci un caffè?
Un caffè. Richiesta universale per una specie di primo appuntamento. O un pre-primo appuntamento. Non sapeva nemmeno se gli piacesse l’idea romantica del primo appuntamento. Forse non con lei. Ma Will non si è mai fatto tante domande, lui è sempre stato un tipo pratico. Un Pragmatico con la P maiuscola. Il sorriso sul volto della bionda traballa. Probabilmente non se l’aspettava. Ansia, pentimento. Forse non avrebbe dovuto farlo. Forse avrebbe dovuto parlarci altre volte. Tastare il terreno, vedere come andava. Forse…
- Bhé, ok. Sì, va bene.
Andava bene. Will assunse quell'espressione strana che gli invadeva sempre il viso quando era sorpreso. Aveva detto di sì, era fatta. Doveva solo fingersi ancora quasi indifferente.
- Perfetto! Domani, verso le… sei e trenta? O quando vuoi, insomma.
- Domani sarebbe l’ideale. Ci incontriamo davanti al Dipartimento di Economia?
- Ok, sì. Economia. A domani!
Le fece un cenno con la mano, lei sorrise e di nuovo come una Barbie si allontanò per il sentiero del campus che portava agli alloggi degli studenti. Gli era andata bene, gli era andata benissimo. Eppure niente ansia da incontro, niente adrenalina da attesa, niente di niente. Non sapeva nemmeno perché davvero l’aveva invitata. Una come un’altra. No, lui non faceva queste cose. Non ci pensava nemmeno.
- Oh, ti prego, ma che cazzo vuoi che me ne freghi?
Rotto l’idillio, una voce femminile, dal linguaggio colorito e familiare gli arrivò alle orecchie. Si voltò e la vide. Una camminata da guerriera, capelli neri e lisci come la seta, che la sua camminata decisa e fiera, insieme alla leggera brezza, spingeva all'indietro, facendoli ondeggiare. E uno sguardo indispettito e altezzoso, il più duro di sempre, che riempiva quella faccia che se vista sorridere avreste scambiato per innocente e dolce. Parlava al telefono, gli occhi blu che ardevano come un mare in fiamme.
- Seh, seh, seh. Fottiti.
Chiamata chiusa. Gli occhi di Jane vanno dal telefono a Will. E li si fermano, senza indugio.
- Oh, oggi deve essere la mia giornata fortunata.
Ironica Jane, con quel sorrisetto aspro che la caratterizzava spesso. Eppure, in tutto quel voler apparire aggressiva e forte a tutti i costi, Will coglieva qualcosa di tenero, anche se era sempre portato a non mostrare di aver un tale pensiero, per non finire nella tela del ragno. Non la capiva completamente. Ma , inconsapevolmente, la capiva molto più di quanto facesse la maggior parte della gente. Non sapeva se le piacesse o meno, ma c’era sempre qualcosa che lo colpiva particolarmente, come la voglia matta di capire cosa nascondesse. Che Jane fosse bella, ormai, nel fiore dei suoi 21 anni da poco compiuti, non c’erano dubbi. Ma non era bellezza sterile. Non era come Samantha. Era di più. Oggettivamente di meno, ma irrazionalmente di più. Molto di più. Era affascinante. Era quel modo che aveva di camminare come se volesse schiacciare qualunque cosa, e quel modo che aveva di guardarti, come se fossi l’ultimo disgraziato sulla faccia della Terra. Ma era anche il modo che aveva di ridere, il modo più felice che avesse mai visto.
- Niente può rallegrarti la giornata più di me, lo so.
- Mi rallegrerebbe vederti morto, effettivamente.
- Cambia repertorio, Jane.
- Non spreco energie per te, Will.
Le fiamme blu nei suoi occhi sembravano essersi spente di rabbia e accese di un divertente infantilismo, quello che d'altronde caratterizzava entrambi. Will si trovò a pensare che non avrebbe voluto che se ne andasse. Era divertente stare con lei. Era bello, addirittura. Ma era un pensiero stupido, perché Jane e lui erano amici, e poi lei era troppo stronza. E la odiava. Ci si potevano fare solo battutine divertenti. E basta. Non era come Samantha. Samantha era carina e… e… Will non sapeva nulla di Samantha, in realtà. Era una sua compagna di corso, perciò si incrociavano spesso. E a parte sapere che adorava masticare chewing-gum alla fragola e far tintinnare i mille bracciali che aveva ai polsi quando si limava le unghie con fare annoiato a lezione, non sapeva molto altro. Non che di Jane sapesse molto. Ma Jane era un altro discorso, Jane era un altro pianeta. Jane era quella che ti rovinava in un millesimo di secondo una giornata perfetta. Jane era quella che avresti preso a schiaffi se solo non avessi avuto paura di farle male e rovinarle quelle labbra rosee. Jane era quella che si infervorava per le questioni più stupide e non era contenta finché non faceva infuriare anche l’avversario. Jane era Jane. E Samantha era solo una tipa con cui sarebbe dovuto uscire quel venerdì, sapendo già che non appena fosse arrivato sabato, nella classica uscita al pub, tutti insieme, Jane avrebbe riso della sua ennesima disfatta, oppure si sarebbe congratulata con lui per aver finalmente trovato una ragazza perfetta per lui. Aggiungendo ed esplicitando che il suo essere perfetta era dato dal fatto che fosse un essere inferiore che a lui ben si accompagnava. Prevedibile, Jane. O almeno, per lui lo era.
- Sei dei nostri sabato?
- Vuoi sapere se riceverai o meno la tua umiliazione settimanale?
- No, voglio sapere se posso evitarti almeno per un weekend.
Per qualche misteriosa ragione, tutte quelle persone che andavano e venivano quando prima parlava con Samantha e che lo distraevano ogni 10 secondi, ora erano sparite. Anzi, era lui a non accorgersene. Vedeva solo Jane, e il suo sorriso sadico.
- Allora inizia a festeggiare, perché questo sabato ho di meglio da fare. Ciao.
Troncata la conversazione, Jane riprese a camminare, di nuovo dentro il campo di battaglia. Spiazzato e sorpreso, Will la guardò allontanarsi, ipnotizzato da quelle gambe che si muovevano con quella celata insicurezza.
Non ci sarebbe stata. Niente Jane. Niente insulti, frecciate, veleno, ferite.
Niente Jane.
Ma c’era Samantha, l’indomani. Tutta Samantha. Tutta lodi, dolcezza, lucidalabbra, sorrisi.
Bella merda.

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Capitolo 3
*** Poli uguali: - - ***


CAPITOLO II.

Novembre 2012.
- Non va tutto come vuoi tu, Jane! Cazzo, impara a scendere a compromessi! Per una dannata volta!
- Non l’ho mai fatto e non ho intenzione di iniziare adesso. Se non ti sta bene quella è la porta.
Il dito indice di Jane si mosse a indicare la porta dell’alloggio 213 del college, il suo. Will la guardava sfinito, come se cercasse con tutto se stesso di capirla ma non ci riuscisse comunque. Jane si stringeva con disperazione al suo orgoglio, terrorizzata dall'idea di abbandonarlo. Di perdere quella parvenza di forza che ancora le rimaneva. Non ci aveva mai rinunciato tanto prima, e quando si accorse che la maschera della Jane indistruttibile e fiera stava per caderle, fece mille passi indietro per recuperarla. Il costo era solo uno: Will. Ed era sicura (lei se lo ripeteva e ripeteva ancora, ancora all'infinito) di non averne bisogno. Un sacrificio dovuto e fattibile per la conservazione di sé.
- Ma ti senti almeno? Senti che ciò che dici non ha un fottuto senso?
- CE L’HA INVECE! Non ti sta bene, ciao. Perché è ovvio che non ti sta bene! Non sta bene a te e non sta bene a me, quindi basta.
Basta con le debolezze, basta con la vulnerabilità. Chi vuole apparire forte non riesce ad accettare che qualcuno lo indebolisca. Lotta per la sopravvivenza. Egoismo.

Febbraio 2012. Sabato. Jane quel sabato aveva da fare. Jane quel sabato aveva abbandonato i suoi amici storici, quelli che c’erano ogni maledetto weekend e con cui c’era sempre qualcosa di cui parlare, per dei compagni d’università. Per una serata diversa, una di quelle che Jane faceva molto raramente perché sì. Non c’era un reale perché. Solo non aveva mai avuto bisogno di dimenticare dietro mezzo litro di vodka chi era e chi sarebbe stata, ogni fine settimana. Adesso però ne aveva disperatamente bisogno. E’ sempre una tristezza di fondo che ti porta a perderti: a perderti in qualunque cosa. Il lavoro, lo studio, l’alcol, la droga. Non fa differenza, l’importante è perdersi. Jane non sapeva nemmeno ricondurre a una sola ragione quella tristezza, era solo un’insieme di cose. Infinite cose. Così per festeggiare l’ennesimo esame superato, quello famoso per essere il più difficile di tutto il corso di Legge, erano andati in uno di quei locali esclusivi in cui se non sei un riccone puoi sperarci di entrare solo poche volte nella vita, e solo insieme a qualcuno che ti raccomandi. Il loro garante, quella sera, era Jack Lewis, figlio di papà dalla discutibile simpatia, sopportabile solo se in presenza di altre persone. Molte altre persone. Jane, occhi blu risaltati dal trucco scuro e capelli neri resi eccezionalmente in morbide onde, era più notabile del solito. Entrò nel locale illuminato solo da luci soffuse aranciate e raggi multi colore, come se l’avesse fatto altre mille volte. La musica diventava più alta ad ogni passo.
- Ehi Jane, dici che se ci provo con il barman ci guadagniamo un drink gratis?
Rise Jane, insieme alla minuta Margot, mentre si dirigevano subito al bancone del bar interno. Martini, Cosmopolitan e Daiquiri a fiumi, senza che ci fosse un domani. Non c’era davvero. Lì era tutto un perdersi, pensare al qui e all'ora o – ancor meglio – non pensare affatto. E più l’alcol le bruciava la gola, più i pensieri si spegnevano, come lampioni di una strada immensa a cui si fulminavano improvvisamente le lampadine. Buio totale.

Jane quel sabato aveva da fare. Jane quel sabato aveva abbandonato i suoi amici storici, quelli che c’erano ogni maledetto weekend e con cui c’era sempre qualcosa di cui parlare, per non si sa chi. Probabilmente nuovi amici o pseudo-tali o, forse, un ragazzo. Un ragazzo nel senso che ci stanno provando con lei. Un ragazzo nel senso che qualcuno sta avendo l’onore di non ricevere insulti da lei, ma ben altro. Quell'altro che a Will viene difficile da assegnare a lei. Un ossimoro. O due poli uguali. Si respingono.
- Ma perché quella là non c’è?
- Sì, effettivamente manca quell’aura nera…
Le domande erano rivolte sostanzialmente a Madeleine e Gwen, le migliori amiche di Jane. Quando erano tutte e tre insieme, erano la cosa più perfida e crudele del mondo. Stronze. E non c’era un capo, non c’era una più pungente delle altre. Erano uguali, andavano a colpire gli stessi personaggi e gli stessi difetti. Ma non lo facevano per male. Era innocente, per assurdo.
- Sarà con…
- Mad, non fare supposizioni tanto per dire qualcosa.
Di tutto quanto, Will ci aveva capito ben poco. E alla sua domanda non aveva comunque avuto risposta. Con. Era questa l’unica cosa che sapeva. Era con qualcuno di sicuro, ma forse non lo sapevano nemmeno quelle due; e inutile dire che quella segretezza lo rendeva molto sospettoso. E non sapeva perché gli importasse.
- Grazie per le risposte esaustive, ora so proprio tutto.
- Non fare il sarcastico, Will. E dicci piuttosto come è andata con Samantha!
Gwen sembrava che non vedesse l’ora di spettegolare sul suo ennesimo appuntamento fallimentare, tanto che Will non poté fare a meno di sospirare. Samantha. Come era andata con Samantha? Bella domanda. Non era andata, forse.

Venerdì.
- Ciao Will! Scusa il ritardo, la mia compagna di stanza ha…
Bla bla bla, Will aveva già sconnesso il cervello. La sua capacità di attenzione, in certi casi, è veramente minima. Una cosa dovrebbe interessargli davvero tanto per far sì che lui ascolti per più di un minuto. La guarda, con un sorriso che si accorge che non è altro che cortese circostanza, e annuisce.
- Tranquilla, non ero qui da molto.
Lei sorride, sorride veramente tanto. Ha un sorriso bello, ma non è niente di che. E’ solo bello. Non è disarmante, non è ipnotico, non è contagioso. Si incamminano verso il bar più vicino al campus, quello nella strada più vicina, quello in cui ti fanno un cappuccino come non ne hai mai assaggiato nella tua vita. Quello in cui ci va una marea di gente, e la metà sono del tuo corso, perché quando non vuoi vedere nessuno di conosciuto, vedi sempre tutti. Si siedono i due, che parlano del più e del meno. Veramente è Samantha che parla, Will si limita ad ascoltare. O fare finta.
- Credi che la cioccolata sia troppo pesante a quest’ora?
Lei sta guardando il menù e ha la faccia di chi non ha altro problema al mondo se non i numeri sulla sua bilancia.
- Uhm, no, perché dovrebbe? Anzi, la prendo anche io!
La prende anche lui perché non ha molta voglia di impazzire dietro un menù che conosce a memoria, la prende anche lui perché una cosa vale l’altra. E lei sorride, sorride anche troppo. Si ravviva i capelli biondi e quelli brillano come se ti volessero costringere a guardarla. Medusa. Solo che non ti trasforma in pietra. Si avvicina a lui, come se volesse vederlo da vicino, al microscopio.
- Sai, di solito sono molto diffidente nei confronti dei ragazzi, ma tu…
Bla bla bla. Cervello sconnesso di nuovo. Bella, ma non interessante. Bella, niente di più. Non disarmante, non ipnotica, non stronza. Non Jane.

Sabato.
- Come vuoi che sia andata… bene.
C’era molto sconcerto intorno a Will. Di solito i suoi appuntamenti non andavano bene. Di solito erano una totale merda, di solito c’erano aneddoti divertenti da raccontare, di solito c’erano figure imbarazzanti da dimenticare, parole sbagliate dette al momento sbagliato e azioni giuste fatte al momento giusto, ma con la persona sbagliata. Di solito non andava bene. Di solito andava male. Molto male.
- …quindi… Ci uscirai di nuovo?
- Non lo so.

Le lampadine iniziavano a riaccendersi, qua e là. Dimenticarsi di se stessi fa veramente schifo, se non lo si sa fare. Jane odia perdere il controllo di sé, e quello era l’obiettivo della serata. Solo in quel momento si accorgeva di quanto non avesse senso. Era tardi, troppo tardi per sperare di poter salvare la serata. Si guardava intorno e vedeva solo gente che ora possedeva due lingue dentro la bocca, ma per il resto non ci pensava neanche. Gli altri si erano persi chissà dove, come lei fino a quel momento. Divertente la serata, molto divertente. Specie perché non ricordava bene. E ogni ragazzo che ci aveva provato con lei era inutile. Alcuni carini, ma niente di più. Si alzò, traballante ma fingendo piena lucidità. Se ne andò in silenzio, non salutò perché nessuno se ne sarebbe ricordato, fuori da quel locale esclusivo che di esclusivo aveva solo la fama, e poi un taxi, e poi il 213. Casa, più o meno. Quel sabato aveva altro da fare, non aveva di meglio da fare. Quel sabato doveva essere diverso e lo era stato. Diverso, niente di più. Non indimenticabile, non divertente, non da rifare.
Non da rifare.

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Capitolo 4
*** Magnetismo. ***


CAPITOLO III.

Febbraio 2012. Lunedì. Jane aveva imparato che nella vita niente ti viene dato per niente. Aveva una visione pessimistica di tutto, e non c'era niente che le facesse cambiare idea al proposito. Homo homini lupus. Era questo che credeva fermamente: la sua era una perenne guerra con chiunque volesse ostacolarla, ma poi si era evoluta in una guerra con chiunque senza distinzioni. Ecco perché, nel cuore di Jane, quel cuore che lei riteneva di non avere, non c'era più spazio per l'amore. Era un cuore avvizzito, un muscolo come un altro, del tutto indebolito dalla ragione che doveva avere sempre la meglio. Nessuna debolezza. Così Jane evitava di accorgersi di ogni cosa che potesse portarla verso quella direzione: la direzione dell'anti-egoismo, la strada del "noi". Per lei non c'era e non dovevano esserci "noi". Doveva esserci solo il suo io, brillante sopra qualsiasi cosa.
Era un peccato che proprio questo la stesse facendo diventare opaca. Come un trofeo messo in vetrina che nessuno può toccare, un metallo prezioso ossidato, così era la sua anima, che non risplendeva più. Continuando a negare l'evidenza, però, Jane puntava sul fatto di essere esattamente come aveva sempre voluto essere: indipendente. Era difficile da capire se utilizzasse quel termine per seppellire la solitudine, ma ci aveva fatto una tale abitudine da sentirsi bene con sé. Così com'era. Non si sentiva sola, perché non lo era effettivamente. Erano solo quei momenti della notte in cui tutti i suoi fantasmi le comparivano di fronte combattendo contro di lei con le spade del rimorso e le frecce degli sbagli. Armi che non sbagliavano mai bersaglio. Al contrario di lei, che rimaneva disarmata. Il più grande difetto di Jane era il pensare troppo. Ma dovette interrompere quel mare di pensieri per lasciare spazio a un sorriso costruito mentre entrava al bar del campus per raggiungere Gwen e Madeline, le sue migliori amiche. Baciò entrambe nelle guance, salutandole, poi si sedette con loro. Non poté fare a meno di notare le loro espressioni, che indicavano trepidazione.
- Mi dovete dire l'ultimo gossip del campus?
- Molto meglio, Molly.
L'usanza di usare come soprannomi i nomi delle Superchicche - cartone che tutte e tre seguivano assiduamente da bambine - aveva origine da tempi lontani. Jane, da brava brontolona, era Molly; Gwen e Mad erano rispettivamente Lolly e Dolly. Non usavano sempre chiamarsi così, ma capitava. Gwen, dopo averle dato la risposta, aveva assunto la tipica espressione da esperta psicologa, nella convinzione di aver capito già tutto grazie ai suoi studi sui comportamenti umani.
- Sono tutta orecchie...
- Se ci fossi stata sabato avresti scoperto con noi la notiz-...
- Will ha la ragazza!
- MAAAD! E dai però, che palle!
- Scusa, è che non vedevo l'ora di dirglielo...
Jane guardava prima l'una e poi l'altra con un sopracciglio alzato. Non capiva se fosse uno scherzo loro o del destino, ma sicuramente era parecchio perplessa. Will e "ragazza" potevano raramente stare insieme in una frase che avesse connotati positivi. Era curiosa di saperne di più, specie interessata dal fatto di avere una potenziale nuova vittima. Non poteva di certo negare, nemmeno a se stessa, che la notizia non l'avesse infastidita almeno un po'. I perché, d'altra parte, erano variabili rispetto ai punti di vista.
- E chi è questa sfigata?
Jane chiese con sufficienza e un sorrisetto sardonico sul volto, mentre nello stesso tempo aveva alzato la mano e l'indice per attirare l'attenzione di un cameriere e ordinare il suo solito caffé macchiato. Non appena il ragazzo ebbe preso l'ordine e si fu allontanato, Gwen si sporse al centro del tavolo, come se dovesse confidare un segreto.
- Samantha Montgomery, una biondina, l'avrai vista sicuro. Ma non è che sia proprio la ragazza...
- Però sono usciti più di una volta e pare vada bene!
- Non è vero. Sono usciti una volta!
- Ah, va be'... Una volta che valeva qualcosa però!
Jane aveva ridotto gli occhi a due fessure. Aveva capito perfettamente chi era quella Samantha. Lei e la sua coinquilina la chiamavano "Barbie Magia del Fondotinta". Era sempre talmente perfetta che la infastidiva: trucco impeccabile, unghie curatissime, abbigliamento ricercato, accessori abbinatissimi. Per non parlare del modo che aveva di parlare e di sorridere. Sembrava finta, sembrava che niente potesse sconfiggere la sua bellezza Mattelliana.
- Abbiamo ufficialmente i nostri Ken e Barbie, allora. Sarà divertente sottometterli intellettualmente.
- Non credo dureranno molto, Will sembrava poco convinto.
- A me sembrava contento!
- Mad, tu sei un caso perso in quanto a empatia, lascia stare.
Le due continuavano a parlare, ma Jane ne aveva abbastanza. Avrebbe indagato personalmente non appena ne avesse avuto l'occasione.

Sabato. Il ritorno di Jane sarebbe stato in grande stile, Will ne era certo. Jane aveva la fissazione per la teatralità, ma era una teatralità piuttosto originale che non stancava, ma anzi, incuriosiva. E lui era proprio curioso di vederla dopo quel sabato di buio, che sicuramente non sarebbe stato argomento dei suoi discorsi. Jane non parlava mai di sé: Jane faceva parlare di sé. Lui, insieme a Jay e Travis, erano già al solito pub, parlando delle solite cose di cui si parla quando ci si vede tutti i giorni: cazzate.
- …senza contare che comunque c’è quella gran figa della Johansson, quindi è un film che va visto per forza.
- Vai a vedere i film per la bellezza delle attrici?
- Anche! Adesso che sei fidanzato…
- Non è più lo stesso!
I due ragazzi godevano non poco a prendersi gioco di Will, che d’altra parte non sopportava di essere definito “fidanzato” dopo due uscite con Samantha. Proprio così, l’aveva incontrata anche quel venerdì ed era di nuovo andato tutto bene. Così aveva detto a Jay e Travis: tutto bene. Aveva tralasciato la parte del bacio alla fragola – colpa di quel dannato lucidalabbra da adolescentina che iniziava a irritarlo – che era stato probabilmente il più inutile e piatto della storia. Dal suo punto di vista, ovviamente.
- Oh, guarda: maschi che confabulano tra loro. Ciao, femminucce.
Jane apparve dal nulla, come se fosse stata lì per tutto il tempo ma invisibile, come se potesse arrivare ovunque schioccando le dita. Will la guardò con la coda dell’occhio, senza girarsi. Ci avrebbe giurato: pochi minuti e la battuta di lei sarebbe arrivata su lui come un’incudine dal cielo. In piena testa.
- Ciao, Jane!
- Ciao, J!
- Ciao.
A quel saluto gelido, Jane assunse un’espressione perplessa, mentre nello stesso istante li raggiungevano Gwen e Madeline. Salutarono anche loro, e Jane sedette esattamente di fronte a Will. Voleva capire quale fosse il suo problema, a parte i soliti che ben conosceva, cioè – tutto nella sua personale ottica – una disarmante bontà assimilabile a infinità stupidità. Passare subito all’attacco fu la prima mossa da fare per ripagarsi di quel saluto così poco degno.
- Sei triste perché non c’é la tua bambolina, Will?
Sorriso falso. Jane.
Serietà offesa. Will.
- Sono triste perché non ti fai i cazzi tuoi, Jane.
- Uuuh, nervo scoperto.
- Sai cosa è un nervo scoperto? Che tu sei sola come nessuno e non accetti che gli altri non lo siano.
La frequenza del battito cardiaco di Jane si alzò, rapidamente e senza controllo. Colpita e affondata, con una calma che era peggio della frase stessa, una verità che era come una lama gelida nel petto, gelida come il saluto che le aveva riservato e come quel modo che aveva di trattarla. Per un attimo lo guardò con gli occhi di chi non aveva difese. Perché non ne aveva davvero.

Agosto 2012. E’ proprio quando cammini in silenzio che ti viene da pensare a un sacco di cose. Cammini in silenzio con qualcuno affianco, ma non ne senti il peso, è come se fossi avvolto da una calma accogliente, che ti fa riflettere.
- Perché mi trattavi come se mi odiassi?
Ti fa riflettere. Anche troppo.

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