I belong to you

di Fragolina84
(/viewuser.php?uid=110041)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Era ora che mettessi la testa a posto ***
Capitolo 2: *** Cosa potrei volere di più? ***
Capitolo 3: *** Ti voglio, Victoria ***
Capitolo 4: *** Mandami pure il conto dei danni ***
Capitolo 5: *** Sei più tosta di quanto pensassi ***
Capitolo 6: *** Ecco, questo potrebbe farci un po' male ***
Capitolo 7: *** Epilogo - Non doveva andare così ***



Capitolo 1
*** Era ora che mettessi la testa a posto ***


É proprio impossibile non innamorarsi di Tony Stark!
É la mia prima fanfiction sul mondo di Ironman, ma dubito che rimarrà l'unica!
Spero che vi emozioni come ha emozionato me scriverla.
Grazie per ogni commento che vorrete lasciarmi.
Buona lettura!

 

Era stato il trillo insistente del cellulare a svegliare Victoria. Tony, che dormiva appoggiato alla sua schiena cingendola con un braccio, non si era nemmeno mosso.
«Tony» lo chiamò. Guardò l’ora: erano le due e dodici.
Il cellulare continuava a vibrare e squillare sul comodino di Tony e la donna si mosse, infastidita.
«Tony!» lo chiamò per la seconda volta.
Finalmente Tony si svegliò. Si staccò da lei e rotolò sulla schiena. Afferrò il cellulare e aprì la comunicazione.
«Stark» disse. Rimase in ascolto per qualche secondo. «Va bene, sto arrivando» disse infine.
Victoria si voltò verso di lui. «Ancora?»
«Mi dispiace, Vicky».
«Sono le due, Tony. E sei tornato meno di quattro ore fa» protestò.
Lui si strinse nelle spalle. «Hai voluto il supereroe?» disse, abbassandosi su di lei per baciarla.
«Non l’ho voluto. Io volevo Tony Stark, il resto era compreso nel pacchetto» sussurrò lei sulle sue labbra.
Tony la baciò e la donna avvertì la solita scarica di desiderio, ardente come fuoco pompato dritto nelle vene. Con Tony era sempre stato così, sin dalla prima volta. Stavano insieme da ormai un anno, che era un bel record per il grande Tony Stark, famoso per le sue avventure di una notte e via. Gli sfiorò le labbra con la lingua e inarcò la schiena per cercare il contatto con il suo corpo.
«Mi farai fare tardi» disse lui in un soffio.
«Non ti sto trattenendo» rispose, socchiudendo maliziosamente gli occhi e stiracchiandosi come una gatta. Tony ringhiò qualcosa e con una mano le bloccò le braccia sopra la testa, usando l’altra per sostenersi e non pesarle addosso. Victoria lo cinse con una gamba mentre la sua bocca le dava il tormento, scendendo a baciarle il collo e lambendo la pelle morbida della gola.
«Signore?»
«Jarvis, quante volte ti ho detto che non devi sbirciare nella mia camera da letto?» disse Tony, interrompendosi un attimo e sollevando il capo.
«Non sto sbirciando, signore. Ma ho registrato la chiamata e mi chiedevo come mai non fosse ancora sceso».
Jarvis era il sistema di intelligenza artificiale che gestiva tutta la casa. Ogni stanza aveva una sofisticata centralina che permetteva di comunicare con Jarvis da ogni punto dell’enorme residenza di Malibu. Jarvis gestiva tutto: dalla temperatura del frigorifero a tutti gli apparati altamente tecnologici che riempivano il piano interrato e che erano la base operativa di Tony.
«Arrivo, Jarvis» disse Tony sconsolato. Poi si abbassò di nuovo su Victoria: «Vorrei fermare il tempo per ritrovarti così quando tornerò».
«Ci sarò» promise. «Cerca di tornare presto e tutto intero» disse, pronunciando l’augurio con cui salutava ogni sua partenza.
Tony scese agilmente dal letto e uscì. Percorse la scala che portava al seminterrato, con le luci che si accendevano man mano che scendeva.
«Benvenuto, signor Stark» lo salutò Jarvis aprendogli la porta.
«Poche chiacchiere, Jarvis. Sono le due del mattino e invece di stare a letto con la mia donna devo andare a salvare il mondo. Non sono dell’umore migliore».
Accanto a lui, il braccio robotico che era uno dei suoi primi prototipi – e che Tony chiamava Ferrovecchio – si mosse ed emise qualche rumore elettronico.
«Non mi aspetto che tu capisca, pezzo di latta» borbottò Tony. Mentre parlava, si posizionò sulla pedana e Jarvis diede l’avvio alla sequenza di trasformazione. La sua armatura venne sistemata pezzo per pezzo in pochi istanti.
«Siamo online, signore» informò Jarvis.
Tony diede potenza ai razzi che gli permettevano di volare e uscì dal laboratorio. Passò davanti alla finestra della camera, ben sapendo che Victoria lo stava osservando e poi volò via.
E Victoria stava effettivamente guardando fuori. Sospirò mentre le scie luminose dei razzi svanivano in lontananza e si rassegnò a passare l’ennesima notte da sola. Ma non riusciva a riprendere sonno. La mente vagava e volò al primo incontro con Tony.
Quella sera di un anno prima era uscita con alcuni amici a festeggiare il successo del loro spettacolo teatrale. Victoria aveva infatti frequentato la prestigiosa Accademia Americana di Arti Drammatiche di New York, spiccando per le sue doti di attrice. In quei giorni lei e la sua compagnia erano a Los Angeles per uno spettacolo che stava avendo un discreto successo.
Victoria non l’aveva notato nel bar se non quando era uscita dal locale e aveva visto un’Audi R8 targata Stark4 parcheggiata in modo da bloccare la sua auto. Vagamente irritata, aveva salutato gli amici che si erano allontanati ed era rientrata nel pub, fermandosi a chiedere informazioni al barista.
«Audi? Può essere solo di Tony» aveva risposto quello, indicando un angolo riparato del bar.
La donna aveva cercato di raggiungere il tavolo ma era stata bloccata da quello che, con tutta evidenza, era un bodyguard.
«Mi dispiace, signorina. Il signor Stark non desidera visite».
Victoria capì solo in quel momento di chi si trattava e si diede dell’idiota per non averlo intuito prima, per non aver collegato la targa dell’Audi. Qualsiasi giornale di gossip era uscito con almeno un’edizione con Tony Stark in copertina. Era un miliardario viziato e vizioso, per quello che ne sapeva. Un figlio di papà che aveva ereditato una fortuna con le Stark Industries, azienda leader nel settore degli armamenti.
Aveva letto che Tony era stato un piccolo genio che si era laureato, migliore del suo corso, al MIT e che aveva preso in mano l’azienda dandole nuovo slancio e vitalità, ma non era finito sui giornali solo per quello. I flirt attribuiti al playboy di Malibu riempivano una lista che si allungava di settimana in settimana, giacché Tony Stark era famoso per non partecipare a due feste consecutive accompagnato dalla stessa donna.
Nonostante tutto, Victoria non era tipo da provare timori reverenziali nei confronti di chi, a suo avviso, altro non era che un bambino viziato un po’ troppo cresciuto.
«Fuori è parcheggiata una R8 che blocca la mia auto».
«Probabile» disse una voce. «Ho la brutta abitudine di parcheggiare sempre dove mi pare».
Victoria era rimasta sconcertata dalla risposta strafottente, ma non era tipo da farsi cogliere alla sprovvista.
«Benissimo. Vuol dire che la prossima volta continuerà a parcheggiare la sua Audi ammaccata dove più le aggrada. Buona serata» replicò e si girò per andarsene.
«Ehi, ehi! Ferma lì» aveva intimato Stark ed erano bastate quelle poche semplici parole a bloccarla.
Si era girata lentamente e, anche dopo più di un anno, riusciva a ricordare con esattezza la sensazione che aveva provato nel fissare lo sguardo nei suoi occhi castani. Tony Stark aveva i capelli scuri pettinati all’indietro, fissati in elegante disordine esattamente come li portava adesso. Le labbra erano atteggiate in un sorriso indolente e doveva ammettere che l’accenno di baffi e pizzetto che aveva lo rendeva estremamente sexy. Si era rimproverata immediatamente per quei pensieri inopportuni, ma Tony Stark emanava un magnetismo che sembrava attirarla come una falena è attratta dalla luce.
Si era avvicinato – rivelandosi di poco più alto di lei – camminando con passo lento come se sapesse esattamente che effetto provocava in una donna. Victoria si rese conto che la sua fama di dongiovanni era pienamente meritata e mise in guardia se stessa: non voleva soccombere a quegli occhi scuri.
«Non posso credere che una bella donna come lei sia capace di un atto così nefando come il danneggiamento del gioiellino parcheggiato qui fuori».
Victoria sapeva di essere una bella donna, inutile raccontarsi il contrario. E si accorgeva quando gli uomini lo notavano. Aveva visto l’occhiata che Stark le aveva lanciato: l’aveva squadrata dalla testa ai piedi approvando le gambe strette nei jeans neri, la camicia fucsia aperta sul collo, i capelli ramati sciolti sulle spalle e gli occhi verdi.
«Può continuare a credere a ciò che vuole, ma tra poco dovrà chiamare il carro attrezzi per la sua auto, signor Stark».
Lui parve sorpreso. Di certo non si era aspettato quella reazione; aveva puntato tutto sul suo fascino, pensando di attirarla nella sua ragnatela. Ma socchiuse gli occhi e fu come se accettasse la sfida.
«Happy, per favore, sposta l’auto» disse, lanciandogli le chiavi. «La signorina mi sembra proprio risoluta».
«La ringrazio, signor Stark» disse lei, mentre il bodyguard andava a spostare l’auto.
«Non vuole permettermi di offrirle qualcosa, per rimediare a questa mia mancanza?»
La tentazione di restare era forte, ma Victoria sapeva di doversi staccare da quell’uomo. Non voleva finire sulla copertina del prossimo Vanity Fair come l’ultima fiamma di Tony Stark. Non voleva andare a letto con quell’uomo e sapeva che se fosse rimasta, lui avrebbe trovato il modo per abbattere tutte le sue difese. Già le sentiva cedere.
«Grazie ma non è necessario».
Poi si era voltata ed era uscita.
Avrebbe voluto dimenticare quell’incontro ma nei giorni seguenti non era stato possibile. Si era perfino sorpresa a digitare il suo nome su Google, sbirciando la miriade di pagine su di lui. Poi si era detta che si stava comportando come una ragazzina e si era gettata nel lavoro. Tony Stark era finito in un angolo della sua mente, mentre lei veniva totalmente assorbita dall’ennesima replica dello spettacolo.
Ma la settimana successiva, dopo lo spettacolo, una sorpresa la attendeva nel suo camerino. C’erano due dozzine di rose rosse a stelo lungo confezionate in uno splendido bouquet con un biglietto fissato con una molletta rossa. Non le passava nemmeno per la testa che fosse di Tony, quindi aveva avuto quasi un mancamento quando aveva letto: “Splendida!”. E sotto, la firma, in un inconfondibile svolazzo: Tony Stark.
Lui doveva aver assistito alla rappresentazione e Victoria aveva desiderato che fosse ancora da qualche parte nel teatro. Stupendo prima di tutto se stessa, era andata a cercarlo. E l’aveva trovato.
Salvo che non avesse sbagliato di brutto, le era parso che i suoi occhi si illuminassero quando l’aveva vista. Ma forse era solo una fantasia della sua mente surriscaldata. Lui comunque le aveva fatto il baciamano e aveva commentato positivamente la sua performance.
«Le andrebbe di venire a cena con me?» aveva chiesto all’improvviso. E contro ogni buonsenso e infischiandosene del campanello d’allarme che squillava furioso nella sua testa, Victoria aveva accettato. Tony aveva detto che l’avrebbe aspettata mentre si cambiava – giacché indossava ancora l’abito di scena – e poi le aveva aperto la portiera della Rolls-Royce facendola accomodare sul sedile di pelle chiara.
«Happy, al Madeo, per favore».
Il Madeo in Beverly Boulevard era il ristorante italiano più famoso di Los Angeles. Erano numerosi i VIP che erano stati paparazzati sotto la verde pensilina d’ingresso ma Victoria ci era solo passata davanti: il Madeo non faceva per le sue tasche.
L’auto di Stark si fermò in sosta vietata davanti all’ingresso e l’autista venne ad aprire la portiera. Entrarono e il proprietario si fece avanti.
«Mio caro Tony, bentornato!» esclamò in italiano. Non parlava una parola d’inglese, nonostante lavorasse in America da almeno trent’anni. Ma, chissà come, riusciva a farsi capire al volo dai suoi clienti.
Quando Tony chiese un tavolo appartato, li guidò verso un angolo del ristorante e porse loro i menu, ma Stark rifiutò.
«Il meglio che hai, Alfio. Come sempre» disse, rivolgendosi al proprietario toscano in italiano.
La cena fu fantastica: Victoria non aveva mai mangiato nulla di così buono. Alfio aveva proposto un bis di primi: linguine alle vongole e farfalle d’Ischia con un sugo di salmone deliziosamente profumato alla vodka. Il secondo fu un superbo filet mignon con funghi porcini che consumarono accompagnato da un vino italiano di cui non ricordava il nome ma che sapeva di frutti rossi e racchiudeva in ogni sorso il gusto pieno del Mediterraneo.
Tony l’aveva messa subito a proprio agio: era un conversatore affascinante e quando parlava lei, sembrava concentrare tutta l’attenzione sulla donna che gli stava di fronte. Victoria era in grado di riconoscere mille segnali di pericolo: sapeva cosa volevano uomini come lui, abituati al successo e alle donne, ma ogni volta che lui la guardava negli occhi si sentiva ribollire il sangue.
Arrivati al dessert, una burrosa torta alla ricotta, Victoria si era convinta che quella sera sarebbe finita come lui voleva. Non era in grado di resistergli e, a ben pensarci, non ne aveva alcuna voglia. Si era detta che era colpa del vino, dell’ottima cena, delle ventiquattro rose rosse… ma la verità era che lo desiderava.
Alla fine della serata, Tony aveva consegnato al direttore di sala la sua carta di credito senza nemmeno guardare il conto e infilato in tasca la ricevuta che gli era stata resa senza neanche sbirciarla. L’aveva riaccompagnata a casa e, mentre l’autista girava attorno alla mastodontica Rolls per aprirle la portiera, le aveva preso la mano e gliel’aveva sfiorata con le labbra.
«Buonanotte, Victoria» aveva detto semplicemente. La portiera si era aperta, lei era scesa ed era rimasta sul marciapiede a guardare la limousine nera che si allontanava.
La donna sorrise al ricordo. Si era aspettata che lui cercasse in tutti i modi di portarsela a letto e quando non lo aveva fatto, era rimasta molto sorpresa e vagamente irritata.
Il punto era che Tony la capiva già meglio di se stessa e sapeva che non era pronta. Tony aveva una conoscenza istintiva della psiche e della mentalità femminile e l’aveva sempre sfruttata a suo vantaggio. Ma con Victoria era stato diverso: la desiderava, è vero, ma non come aveva desiderato le altre donne che avevano popolato la sua vita. Non aveva riconosciuto subito il sentimento che stava riscaldando il suo cuore, ma il fatto che ora convivessero e che lui avesse in qualche modo messo la testa a posto – almeno per quanto riguardava le donne – significava che a lei davvero teneva e non la considerava alla stregua delle altre avventure che avevano riempito i rotocalchi.
Mentre la sua mente vagava verso la loro esaltante prima volta, il sonno la rapì e si addormentò.
Aprì gli occhi quando sentì il materasso muoversi sotto il peso di qualcuno che si coricava. Il braccio muscoloso di Tony la cinse dolcemente e Victoria si girò nel suo abbraccio. Lo scrutò per qualche istante, alla ricerca delle ferite che di solito portava a casa.
«Sto bene» disse lui, mostrando i denti bianchissimi in un irresistibile sorriso.
«Che ore sono?» chiese Victoria perplessa. I vetri della loro camera si oscuravano automaticamente quindi non le era possibile capire che ora fosse, ma le parve che quel buio fosse artificiale e che in cielo splendesse il sole.
«Le nove» rispose Tony.
«Le nove?» domandò incredula: per quello le pareva di aver dormito una vita intera. «Jarvis!»
«Sì, signora?» chiese Jarvis.
«Perché mi hai lasciato dormire tanto?»
«Eseguivo un preciso ordine del signor Stark».
La donna guardò Tony con espressione interrogativa. «Gli ho detto di lasciarti dormire. Volevo essere io a svegliarti».
Tony posò le labbra sulle sue e Victoria reagì immediatamente stringendosi a lui. Gli fece scorrere le mani sulla schiena, insinuandosi sotto la maglietta e tirandola verso l’alto per sfilargliela. Tony si liberò dell’indumento, spettinandosi i capelli.
Le mani di Victoria erano bollenti e gli accarezzarono il dorso, sfiorandogli i fianchi e risalendo sul petto. Carezzò piano il piccolo reattore luminoso che Tony portava al centro del petto e che era il dispositivo che lo teneva in vita. Gli cinse la nuca con le mani e l’attirò su di sé, mentre le loro lingue si intrecciavano nella bocca di lui.
«Non pensavo di trovarti… così» sussurrò lui.
«Ti avevo promesso che mi avresti trovata così come mi avevi lasciata. E prima di andare avevi cominciato qualcosa…»
«Jarvis!» chiamò Tony e quando il computer rispose, proseguì: «Tappati occhi e orecchie. Siamo impegnati. Non ci siamo per nessuno».
Victoria lo rovesciò sulla schiena e si mise a cavalcioni su di lui, chinandosi in avanti e lasciando che i capelli ramati gli solleticassero il viso. Le mani di Tony risalirono sui fianchi, in una carezza leggerissima ma rovente. Si infilò sotto la canottiera che indossava, sfiorandole la pelle liscia.
A quel punto la donna si erse su di lui, togliendosi la canottiera e restando con i soli slip. Tony la fissò per qualche istante. «Sei uno spettacolo» mormorò.
Sorrise e si mosse su di lui, sentendo chiaramente la sua virilità premere contro di lei.
«Neanche io pensavo di trovarti… così» sussurrò.
«Colpa tua» replicò, spingendola con il fianco e facendola rotolare sotto di sé.
Le sfilò lentamente le mutandine e si liberò dei boxer.
Sebbene Victoria non avesse fatto molta esperienza prima di conoscerlo, Tony era un amante pressoché perfetto. Era talmente sintonizzato sulla sua lunghezza d’onda da sapere che cosa voleva ancora prima di lei. Sapeva essere dolce da spezzare il cuore o impetuoso come un uragano, ma le dava ogni volta ciò di cui lei aveva bisogno. Fare l’amore con lui era una cosa sempre nuova: Victoria non sapeva nemmeno di avere un animo così passionale finché lui non gliel’aveva fatto scoprire.
Quella mattina, nonostante fosse bastato un niente per accenderli, Tony rallentò improvvisamente il ritmo. Era tutto baci e carezze e la guardava con uno sguardo talmente carico di tenerezza che lei sentì un groppo stringerle il petto. Nonostante tutte le ragazze che sicuramente aveva portato su quello stesso letto, Victoria seppe con assoluta certezza che lui era il suo uomo ora. E lei era sua.
Quasi avesse intuito i suoi pensieri, Tony la prese in quel momento. Si mosse dentro di lei con lentezza esasperante, godendo nel sentirla ansimare sotto di sé. Lei teneva gli occhi chiusi assecondando ogni suo languido movimento, ma lui la guardava fisso, attento a ogni espressione del suo viso.
Sorrise quando lei morse il labbro inferiore, perché lo faceva sempre quando l’eccitazione stava raggiungendo il culmine. Rallentò ancora di più il ritmo e si abbassò, baciandole la gola, mordendole dolcemente il collo. Poi si avvicinò al suo orecchio: «Voglio che mi guardi mentre vieni» sussurrò.
Lei aprì gli occhi e fissò lo sguardo nel suo. Tony aumentò il ritmo e bastarono pochi istanti perché lei s’inarcasse sotto di lui. La sua eccitazione contagiò anche lui che la seguì e si accasciò su di lei, ansimando.
«Il tuo reattore toracico mi sta sfondando lo sterno, Tony» disse Victoria dopo un po’ e lui si alzò.
«Scusami. Vieni a fare la doccia con me?» chiese, scoccandole uno dei suoi irresistibili sorrisi.
Victoria girò il capo per guardare la sveglia sul comodino.
«Meglio di no. Tra un’ora ho un’intervista con US Weekly. Le docce con te possono portare via anche una mattina intera».
Lui rise, la baciò e saltò giù dal letto. Mentre lo aggirava e, completamente nudo, si dirigeva verso il bagno, Victoria si sollevò su un gomito.
«Grazie, signor Stark» disse ironicamente.
Lui si bloccò sulla porta del bagno. «È stato un piacere» replicò, socchiudendo gli occhi.
«Credo che il piacere sia stato mio, mi creda» rispose la donna, e lui rise a quello scherzo.
Victoria si avvolse nel lenzuolo e si infilò in uno degli altri bagni. Fece velocemente la doccia, truccandosi e pettinandosi per l’intervista. Essere la ragazza di Tony Stark comportava anche quello, soprattutto dopo il rapimento.
Mentre si metteva l’eyeliner, ripensò a quei terribili mesi. Lei e Tony stavano insieme da poco meno di tre mesi e lui era partito per l’Afghanistan per una dimostrazione di una nuova arma. Si erano appena sentiti al cellulare e lui stava raggiungendo l’aeroporto per tornare in patria quando il suo convoglio era stato attaccato da alcuni terroristi.
Tony era rimasto gravemente ferito da un’arma delle Stark Industries e, portato nel covo dei terroristi, era stato assistito da un altro prigioniero, un fisico di nome Yinsen, che gli aveva impiantato nel petto un elettromagnete alimentato da una batteria da automobile per mantenerlo in vita, tenendo lontano dal suo cuore le schegge della bomba che l’aveva ferito.
I terroristi l’avevano obbligato di costruire per loro delle nuove armi e Tony aveva accettato per avere la possibilità di avere a disposizione strumenti e attrezzature. Con quelle e l’aiuto di Yinsen, divenuto suo amico, aveva dapprima costruito un reattore Arc. Si trattava di un progetto che suo padre non era riuscito a realizzare per mancanza di tecnologia adeguata. In versione normale occupava un intero capannone e alimentava le aziende di Tony, ma in quel buco di rifugio in cui era prigioniero, Tony ne aveva creato un esemplare miniaturizzato, impiantandolo su di sé. Quello era diventato la fonte di energia per l’elettromagnete. Poi aveva costruito una speciale armatura che si alimentava dal reattore e moltiplicava la sua forza, riuscendo a fuggire.
Era stato ritrovato nel deserto e riportato a casa. Casa dove lei lo stava aspettando, struggendosi ogni giorno per la mancanza di notizie. Ricordava con estrema chiarezza il momento in cui il C17 Globemaster era atterrato e aveva abbassato la rampa.
Lui era lì. Il braccio al collo, qualche segno sul viso, un’immane stanchezza negli occhi che si era come dissolta quando l’aveva vista accanto a Pepper, la sua assistente tuttofare. Aveva allargato il braccio buono, invitandola a raggiungerlo. Victoria gli era corsa incontro, stringendolo in un abbraccio timoroso. Lui l’aveva stretta a sé, nascondendo il viso nei suoi capelli e aspirandone il profumo.
«Sei dimagrita» le aveva detto, circondandole la vita con il braccio sano.
«Tre mesi senza tue notizie, Tony» aveva risposto, mentre le lacrime scendevano incontrollate dagli occhi.
«Non è un buon motivo per lasciarsi morire di fame. Sapevi che sarei tornato».
Lei si era scostata un po’. «Lo sapevo?»
«Ci vuole ben altro per far fuori Stark. E comunque dovevo tornare. Avevo scordato di dirti una cosa».
«Che cosa?» aveva chiesto.
«Ti amo» era stata la sua risposta.
Victoria sorrise teneramente al ricordo. Poi si scosse: rischiava di fare tardi.
Tornò in camera proprio mentre Tony ne usciva. «Tesoro, non sarebbe meglio che riposassi, visto che stanotte l’hai passata praticamente tutta dentro la tua armatura?»
«Non sono stanco» rispose, baciandole la guancia. «Sei incantevole, sai?»
E se ne andò. Victoria sapeva che avrebbe passato tutta la mattina nel suo laboratorio sotterraneo, almeno finché lei non fosse andata a chiamarlo.
Indossò un corto abito a fascia bianco e – visto che non sarebbe stata in compagnia di Tony – un paio di sandali con il tacco. Mentre si metteva gli orecchini, Jarvis la chiamò.
«Signora, il suo appuntamento è arrivato».
«Grazie, Jarvis. Dì a Happy di farli accomodare, per favore».
Quando arrivò nel grande salotto bianco affacciato sull’oceano, il fotografo e la sua intervistatrice si stavano sistemando.
«È un piacere conoscerla, signorina Johnson. Mi chiamo Emma Chase e lui è Robert Smith, il fotografo».
Victoria strinse la mano a entrambi. Poi, mentre si accomodavano sul divano color panna, Emma si guardò intorno. «Il signor Stark non c’è? Speravamo di poter fare quattro chiacchiere informali anche con lui» spiegò.
«No, mi spiace. Tony non c’è» rispose e notò la delusione negli occhi della giornalista. E non era delusione professionale per uno scoop mancato. Ormai era abituata a quelle cose: sebbene Tony non fosse più scapolo, le donne continuavano a cadergli ai piedi esattamente come prima. La cosa diversa era che ora lui non le cercava, né incoraggiava certi atteggiamenti. Stava con Victoria e la loro relazione era perfettamente appagante, in ogni ambito.
«Peccato. Bene, cominciamo, se per lei va bene».
Mentre il fotografo le scattava alcune foto, Emma cominciò con la domanda standard per quel tipo di interviste: «Com’è essere la fidanzata di Tony Stark?»
«Mi rendo conto di essere una privilegiata. Il mio ragazzo è bello, atletico e miliardario. Mi copre di attenzioni e regali per i quali non ho ancora smesso di sentirmi in colpa. Vivo in questa villa da sogno a Malibu. Ma la cosa più importante, quella che davvero conta per me, è sapere che il mio fidanzato mi ama come qualsiasi ragazzo di provincia. Da parte mia, amerei Tony anche senza i suoi miliardi e la sua influenza».
«Ed essere la fidanzata di Ironman?»
Ecco: quella, di solito, era la domanda successiva.
«Quello è un po’ diverso» rispose Victoria. «Essere fidanzata con Ironman significa passare notti in bianco, in attesa del suo ritorno. È guardare con apprensione i segni che lui riporta dopo ogni scontro. È rendersi conto che lui non è soltanto mio, ma appartiene all’America. Mi riempie di orgoglio sapere che ha salvato un ragazzino o un’intera scolaresca, ma allo stesso tempo so che lui non è né invincibile né immortale».
Ironman era la seconda identità di Tony.
In Afghanistan, Tony era sceso faccia a faccia con una consapevolezza nuova: le armi prodotte dalle Stark Industries, se da un lato erano un sistema di protezione per la sua patria, dall’altro diventavano uno strumento di distruzione e, nelle mani sbagliate, finivano per diventare mezzi di sterminio di innocenti. Rientrato in America, aveva cominciato a lavorare su un nuovo progetto, su ispirazione dell’armatura che gli aveva permesso di sfuggire ai suoi sequestratori.
Quando poi aveva scoperto che il suo socio, Obadiah Stane, era in accordi con i terroristi e alimentava il mercato nero, aveva capito di dover fare qualcosa. Per rimediare, per porre fine allo sterminio che le sue armi stavano compiendo. Così, con l’aiuto dell’armatura e quasi a costo della propria vita, Tony aveva combattuto Obadiah e la sua pazzia, uscendone vittorioso.
Avevano tentato di fornirgli una copertura per ciò che era successo, sostenendo che dentro l’armatura c’era una delle sue guardie del corpo, ma Tony aveva rifiutato quella protezione, finendo per dichiarare che Ironman – perché così era stato chiamato dai media il misterioso uomo di latta – era lui.
Da quel momento era diventato un’icona e l’esercito americano chiedeva saltuariamente il suo aiuto per risolvere qualche pasticcio. Com’era accaduto due volte nelle ultime dodici ore.
L’intervista proseguì piacevolmente per un’oretta. Emma prendeva appunti e il fotografo ogni tanto scattava qualche foto. Giunti alla fine, Emma alzò gli occhi dal blocco.
«Bene, signorina Johnson. Abbiamo finito. È stata gentilissima».
Si accordarono per gli ultimi dettagli e il fotografo le chiese di posare per alcuni scatti particolari. Poi Emma le strinse la mano.
«Un’ultima cosa, se non le spiace. È vero che la casa è gestita da un computer?»
Victoria sorrise. «Jarvis» lo chiamò.
«Sì, signora?» rispose Jarvis.
«Puoi oscurare i vetri, per favore?»
L’enorme vetrata che dava sul Pacifico si oscurò lentamente.
«Santi numi!» disse Emma sbalordita e Victoria scoppiò a ridere.
«Riporta tutto come prima, Jarvis».
«È sbalorditivo» commentò il fotografo mentre la vetrata tornava normale.
Quando uscirono, Victoria scese nel seminterrato e digitò 812, il suo codice personale, sul tastierino virtuale. La porta si aprì.
«Tony?» lo chiamò, dato che non lo vedeva in giro, e lui si alzò, sbucando da dietro una selva di monitor.
«Jarvis non dovrebbe permetterti di entrare qui vestita in quel modo. Potrei perdere la testa e far partire un missile, scatenando la terza guerra mondiale».
Victoria gli si avvicinò, ridacchiando della battuta.
«Finita l’intervista?» chiese e lei annuì. L’abbracciò e la baciò. «E così io sarei bello, atletico e miliardario?» concluse infine, riprendendo le parole che aveva usato nell’intervista.
«E sei anche un maledetto spione» disse, rendendosi conto che doveva aver ascoltato tutto.
Lo colpì al fianco e si liberò del suo abbraccio, girandosi verso la porta per andarsene, fingendosi arrabbiata. Lui la fermò, la fece voltare e la baciò, ma con i tacchi lei era più alta e la cosa lo infastidiva.
«Aspetta» mormorò ad un certo punto, fermandosi per un istante. Liberò la sua scrivania, spazzandola con il braccio e gettando a terra tutto ciò che vi si trovava sopra.
«Ho sempre sognato di farlo» mormorò. Poi l’afferrò per i fianchi e la fece sedere sulla scrivania. «Molto meglio» disse, mentre faceva guizzare la lingua nella sua bocca.
L’atmosfera ci mise poco a diventare rovente, come sempre quando erano insieme. Le mani di Tony scivolarono sulle cosce, mentre lei gli si avvinghiava. Almeno finché Jarvis non li interruppe.
«Signore, il colonnello Rhodes sta scendendo».
«Diavolo!» imprecò lui. Si scostò e si ricompose. Victoria ridacchiò e accavallò le gambe, rimanendo seduta sulla scrivania.
Rhodes aprì la porta a vetri ed entrò. Li salutò e fermò lo sguardo su Victoria.
«Come siamo carini, stamattina» chiosò, e Tony roteò gli occhi. Possibile che qualsiasi maschio diventasse di gelatina non appena posava gli occhi su di lei?
«Ho rilasciato un’intervista per US Weekly. Vedrai le foto sul prossimo numero».
«Lo comprerò senz’altro» mormorò. E improvvisamente notò il caos per terra e registrò il fatto che lei era seduta sulla scrivania di Tony. «Scusate. Ho interrotto qualcosa?» domandò.
«Niente che non si possa fare in un altro momento» disse lei.
«Ma che avrei preferito fare ora» brontolò Tony.
Victoria saltò giù dalla scrivania. «Vi lascio alle vostre faccende da uomini».
Entrambi la osservarono mentre se ne andava.
«Tu stai ammirando le venature del marmo della scala, giusto?» disse Tony mentre Victoria saliva, muovendosi sinuosa sulle splendide gambe.
«Ovvio» confermò Jim.
«Allora, che ci fai qui? Non possiamo continuare a vederci così, Jim» disse Tony con un sorriso sarcastico. «Vedo più te della mia fidanzata».
Entrambi risero. Jim e Tony si conoscevano da una vita. Jim “Rhodey” Rhodes aveva intrapreso la carriera militare, in Aeronautica, salendo la scala gerarchica piuttosto in fretta. Oggi era colonnello ed era stato il primo a capire che Ironman era una risorsa che poteva e doveva essere sfruttata.
Era stato lui a chiamarlo quella notte. C’era stata una fuga di materiale tossico da un impianto petrolchimico e, poiché non riuscivano a stabilizzare il sito, Rhodes aveva pensato di chiamare Ironman. Tony era arrivato e, lavorando da solo, aveva fermato la perdita e rimesso in sicurezza l’impianto. Il tutto senza sprechi di tempo né, cosa più importante, di vite umane.
Quello che preoccupava Rhodes era che la perdita si era originata in seguito ad un’esplosione che restava inspiegabile.
«Jarvis ha analizzato i dati raccolti stanotte?»
Tony annuì. «I reperti che ho raccolto erano, in effetti, tracce di esplosivo ad alto potenziale. Non è stato un incidente, Jim».
«Un attentato?» chiese l’amico e Tony si strinse nelle spalle.
«Non lo so. Jarvis sta tentando di capire di che esplosivo si tratta, ma ci vorrà tempo».
Rhodes si trattenne un’altra ora, chiacchierando con Tony, esaminando diversi scenari. Alla fine, Jim si alzò in piedi.
«Bene, direi che per oggi ti ho rotto le scatole a sufficienza».
«Lo penso anche io» rispose Tony, battendogli una mano sulla spalla.
«Puoi tornare a fare quello che stavi facendo con Victoria» disse maliziosamente.
Uno sguardo sognante apparve per un secondo negli occhi di Tony. «Ti accompagno di sopra. Ferrovecchio» disse poi, voltandosi verso il robottino, «sistema la mia scrivania».
«Certo che Vicky ti ha preso di brutto, eh? Quasi non ti riconosco» rilevò Jim.
«Era ora che mettessi la testa a posto».
«Sono felice per te, amico».
«Victoria è la cosa più bella che mi sia capitata. Sono convinto di non meritarla, ma lei insiste a voler stare con me».
Il cellulare di Tony squillò e lo estrasse dalla tasca. «È l’ufficio. La strada la conosci, giusto Jim? Appena Jarvis scopre qualcosa ti chiamo».
Mentre Jim Rhodes usciva, Tony abbandonò i panni di Ironman e indossò quelli di presidente delle Stark Industries. Ruolo che sicuramente non era più facile.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cosa potrei volere di più? ***


«Tesoro? Sei pronta? Faremo tardi» gridò Tony, aggirandosi inquieto in salotto. Victoria solitamente era puntualissima – ben altra cosa rispetto a lui – e pertanto quei pochi minuti di ritardo lo innervosivano.
Quella sera avevano una cena di gala offerta da Christopher Roberts. L’azienda di Roberts, la Ascam Limited, era la principale concorrente delle Stark Industries. Ogni anno, Roberts organizzava una serata di gala per pavoneggiarsi davanti ai clienti e, puntualmente, invitava anche i concorrenti, Tony Stark in primis. Nell’occasione, aveva organizzato una cena in grigio.
Tony vestiva un completo grigio chiaro, con la camicia bianca e la cravatta della stessa tonalità del vestito e indossava i gemelli di platino che Victoria gli aveva regalato in occasione dell’ultimo compleanno.
Mentre si allacciava il cinturino dell’orologio di Gucci, la sentì scendere le scale. Alzò lo sguardo e il fiato gli morì in gola. La osservò rapito mentre si avvicinava.
Anche la donna era in grigio. Quel vestito era costato tremilacinquecento dollari – Victoria non lo sapeva, ovviamente – ma Tony pensò che li valeva tutti addosso a lei. Victoria era fasciata di lucida seta grigia e il vestito lungo senza spalline scivolava sul suo corpo snello. Era arricchito da un delicato ricamo di luminosi strass e Victoria l’aveva impreziosito con la parure di brillanti che le aveva regalato lui. Aveva raccolto i capelli da un lato e le scendevano morbidi sulla spalla destra, lasciando scoperta l’altra e lo stelo perfetto del collo.
L’effetto era straordinario, pensò Tony, e quando Victoria gli si avvicinò, le baciò delicatamente la mano.
«Sembra senza parole, signor Stark» mormorò.
«Sei una dea, stasera».
Le girò attorno, ammirando la perfezione delle sue forme. «Farai perdere la testa anche alle statue in giardino» borbottò, con una punta di gelosia nella voce.
«Tranquillo» rispose lei, avendo colto la possessività del suo tono. «Tutto quello che c’è dentro questo vestito ti appartiene».
«Anche il vestito, se è per quello» scherzò lui.
Victoria si finse indignata. «Ah, è così? Me lo tolgo subito e te lo rendo allora».
«Dio, come speravo che lo dicessi!» esclamò lui, avvicinandosi per baciarla.
Lei gli posò una mano sul petto, tenendolo a distanza.
«Stai indietro, satana! Conosco quello sguardo! Sciuperai il vestito e il trucco. E comunque, non stavamo facendo tardi?»
«Stando così le cose potrei anche mandare Roberts a farsi benedire» ridacchiò.
E invece salirono a bordo della limousine che attendeva fuori della porta.
La cena di gala si teneva nella sede della Ascam a Los Angeles, nell’immensa sala riunioni che per l’occasione veniva allestita con tavoli e pista da ballo. Quando la limousine parcheggiò davanti all’ingresso, Victoria si girò verso di lui e gli sistemò il nodo della cravatta.
«Anche tu sei letteralmente irresistibile, Tony» disse, e lo baciò dolcemente sulle labbra.
Happy aprì la portiera e Tony scese, girandosi per porgerle la mano.
Non appena furono fuori dall’auto, i fotografi appostati dietro le transenne si scatenarono. Victoria non amava quel tipo di attenzioni, ma essere la fidanzata di Tony Stark le comportava. Il giorno seguente, su qualsiasi blog, ci sarebbero state le foto di loro due, con tutti i commenti del caso. Anche velenosi, nel caso in cui l’invidia avesse prevalso.
Tony la cinse con il braccio e posò con lei per alcuni secondi. Poi salutò i fotografi con un cenno, la prese per mano ed entrarono.
La sede della Ascam era tutta acciaio e cromature, mobili bianchi e immense vetrate, che finivano per conferire all’ambiente un aspetto freddo e asettico. Tony la teneva per mano e avanzava deciso, salutando le persone che conosceva con il solito spirito e fermandosi a presentarle qualcuno.
«È la prima volta che ti porto a questo evento, vero?»
Victoria annuì. «L’anno scorso ci frequentavamo già, ma nessuno dei due era ancora pronto a dirlo al mondo».
«Avrei dovuto lasciarti a casa anche quest’anno» mormorò lui.
La donna sollevò un sopracciglio. «Grazie!» borbottò.
«No, scusami. Non mi sono spiegato bene. È solo che dovrò farti conoscere Christopher che è uno degli idioti più idioti che abbiano calcato questo pianeta. È un subdolo bastardo e so già che mi infastidirà il modo in cui poserà gli occhi su di te».
«Sono sicura che non oserà infastidire Ironman».
«Oserà, credimi. Infastidirà Ironman e anche Tony Stark» borbottò lui e Victoria sorrise, preparandosi al solito scontro tra maschi alfa.
«Tony!»
L’uomo si fermò, voltandosi verso chi l’aveva chiamato. «Andy! Vecchio mio, che piacere! Come stai?»
«Tutto bene. Non ci vediamo da un bel po’» disse l’uomo alto e biondo che Victoria non conosceva.
«Posso presentarti la mia fidanzata? Victoria, ti presento Andy Arkin, una delle menti più brillanti che io abbia conosciuto. Studiavamo insieme al MIT. Andy, lei è Victoria Johnson»
Andy le strinse la mano. «L’ho trovata fantastica in “A piedi nudi nel parco”» la complimentò. Si riferiva all’ultimo lavoro di Victoria, commedia con cui lei era ancora in tournée e che stava conseguendo molto successo.
«Grazie, signor Arkin» disse lei con cortesia.
«Ti prego, chiamami Andy e diamoci del tu». Poi fece avvicinare la sua famiglia. La moglie Lisa era una tipica bellezza del sud che a Victoria risultò subito simpatica. Teneva per mano un ragazzino che sgranò tanto d’occhi quando vide Tony, ma non disse nulla.
Scoprirono con piacere di essere stati assegnati allo stesso tavolo, al quale si diressero.
La serata fu piacevolissima. Andy e sua moglie Lisa erano una compagnia squisita e ben presto chiacchieravano come se si conoscessero da sempre.
Ad un certo punto qualcuno attirò l’attenzione dal palco in fondo alla sala, picchiettando leggermente sul microfono. Era un uomo magro vestito ovviamente di grigio. I capelli biondi gli ricadevano in un ciuffo sul viso, sopra algidi occhi azzurri. In generale non era una presenza che potesse restare impressa, era piuttosto anonimo.
Tony si chinò verso Victoria. «Ecco la star della serata: Christopher Roberts».
Roberts tenne un discorso piuttosto piatto, mettendo in mostra i punti di forza della compagnia, lodando i dipendenti, prendendo garbatamente in giro i competitors. Tony commentava ogni frase sottovoce con il suo spiccato senso dell’umorismo e al loro tavolo era difficile trattenere le risate.
Quando ebbe finito, sembrò che la sala intera tirasse un sospiro di sollievo. Fu servito il dessert, mentre l’orchestra iniziava a suonare e qualche coppia scendeva sulla pista per un ballo.
Lisa stava riprendendo il figlio: «No, Billy. Non si può» disse. Victoria notò che il ragazzino guardava Tony di sottecchi.
«Cosa vorresti, Billy?» domandò dolcemente. Billy non rispose e nascose il viso dietro sua madre.
«Ironman è il suo idolo» spiegò Lisa sottovoce.
«Ascolta, Billy: ti piacerebbe avere un autografo di Ironman?» chiese Victoria e il ragazzino si raddrizzò, gli occhi illuminati di gioia.
«Non voglio disturbare Tony» proruppe Lisa.
«Oh, non preoccuparti, Lisa. Ci siamo abituati. Fa lo stesso effetto in qualsiasi posto andiamo e a qualsiasi ragazzino incontriamo». Poi si rivolse a Billy. «Allora, Billy: lo chiediamo a Tony?»
Billy annuì e, quando Victoria gli tese la mano, sconfisse la timidezza e si fece avanti.
«Tony, Billy avrebbe una cosa da chiederti».
«Ti ascolto!» esclamò Tony.
Billy tirò fuori dalla tasca un foglio ordinatamente piegato. Lo spiegò e lo poggiò sul tavolo, lisciandolo con le mani. Era un disegno di Ironman fatto a pennarello. Nella sua armatura rossa e oro, Ironman sconfiggeva orde di nemici.
«È fatto molto bene, Billy. Complimenti!» affermò Tony. «Allora, cosa volevi chiedermi?».
Billy guardò Victoria che lo incoraggiò con un cenno del capo e gli fece l’occhiolino.
«Vorrei un autografo, per favore» disse Billy.
«Ah, benissimo» proruppe Tony, cercando la stilografica nel taschino della giacca. «E da chi vuoi l’autografo? Da Ironman o da Tony Stark?»
Il ragazzino rifletté un solo istante. «Ironman» disse deciso.
«Sicuro?» indagò Tony e il ragazzino annuì. «Perché dentro l’armatura di Ironman c’è Tony Stark».
Billy ebbe un attimo di incertezza.
«E se firmassi per entrambi? Che ne dici?» domandò e Billy sorrise.
Tony firmò il disegno e glielo rese. Ebbro di gioia, Billy stringeva il disegno autografato come fosse una sacra reliquia e, dimentico della propria timidezza, si girò verso Victoria e le baciò la guancia. «Grazie, Victoria» mormorò.
«Ehi, guerriero! Hai perfino scroccato un bacio alla mia ragazza! Permetti che ti offra da bere?» chiese Tony, alzandosi in piedi e facendo cenno verso il banco del bar.
Billy guardò sua madre. «Per me va bene, se Tony promette di non farti bere qualcosa di alcolico» rise lei.
«Niente alcol nemmeno per me» assicurò Tony. «Qui tentano di fregarmi la fidanzata già da sobrio, devo stare in guardia».
Si chinò, baciò la guancia di Victoria e, prendendo Billy per mano, si diresse verso il bar.
«Che cambiamento ha fatto» affermò Andy e Victoria distolse lo sguardo da Tony e lo girò su di lui. «Qualche anno fa non avrebbe mai trattato un ragazzino di sei anni in quel modo. Credo che il merito sia tuo, Victoria».
Lei scosse la testa. «Io non c’entro. L’esperienza terribile vissuta in Afghanistan ha forgiato un tipo d’uomo diverso, più maturo e responsabile» spiegò.
«Di sicuro. Ma tu hai su di lui più influenza di quanto credi» evidenziò Andy.
«Che intendi?»
Andy sorrise. «Tony orbita intorno a te, mia cara. Dal poco che ho visto stasera, ha bisogno di te come del minireattore che lo tiene in vita. L’ho visto perdere la testa per molte ragazze, inutile negarlo. Ma non ha mai messo in gioco il suo cuore come sta facendo con te».
Billy, improvvisamente disinibito e ciarliero come non era stato durante tutta la sera, tornò al tavolo come un piccolo turbine. Tony lo seguiva ad un passo più dignitoso e tese la mano a Victoria.
«Mi concede un ballo, signorina Johnson?»
Sulla pista c’erano soltanto altre due coppie. Tony la prese fra le braccia e la strinse, mentre le languide note del lento li avvolgevano.
«Che pensi di questa sera?» chiese lui ad un certo punto.
«La cena era ottima, la compagnia al tavolo anche meglio. Ora sto ballando abbracciata al mio uomo, dentro un vestito che non voglio nemmeno sapere quanto ti sia costato. Cosa potrei volere di più?» rispose lei.
Lui rise e la fece piroettare. Il lento finì e l’orchestra ne attaccò un altro.
«Il prossimo anno metteremo una nuova regola: un solo ballo per cavaliere» disse una voce al loro fianco.
«Non è lo stesso cavaliere. Prima ballava con Ironman, ora con Tony Stark. Poi ballerà con il presidente delle Stark Industries» replicò Tony senza scomporsi più di tanto. Poi si fermò. «Buonasera, Chris» mormorò, ben sapendo quanto il diminutivo lo irritasse. Victoria fece per scostarsi, ma Tony la bloccò contro di sé. «Stavi cercando qualcosa? Non so, il senso della vita, magari?»
«Sei sempre così burlone, Tony». Roberts nascose l’irritazione dietro un sorriso mellifluo. «Ma non fare il maleducato. Non mi presenti la signorina?»
Victoria sentì un’innaturale rigidezza nel corpo di Tony, nel braccio che la cingeva. Si chiese il perché di quella manifestazione: Tony, di solito, era talmente sicuro di sé.
«Victoria, ti presento Christopher Roberts, presidente della Ascam» disse infine, rassegnato. «Chris, la signorina Victoria Johnson, la mia fidanzata» concluse, calcando bene sull’ultima parola. La donna faticò a trattenere un sorriso: i maschi sapevano essere talmente immaturi!
Victoria gli strinse la mano. «È un piacere, signor Roberts. La sua festa è davvero magnifica». Quando ritirò la mano, Tony si interpose con disinvoltura tra lei e Roberts, quasi a volerla nascondere. Ci doveva essere qualche motivo per il quale Tony non voleva che lei entrasse in contatto con Roberts. Victoria si rifiutava di credere che fosse mera gelosia.
«Le va di ballare, signorina Johnson?» chiese Roberts senza guardarla, tenendo lo sguardo fisso su Tony. Victoria ci mise ben poco a capire che era stata lanciata una sfida.
Tony era teso come una corda di violino, quasi fosse pronto a colpire Roberts. Victoria alzò lo sguardo e vide che intorno a loro si era creato un capannello di persone che li stava osservando. Non sapevano cosa fosse successo, ma capivano che era in atto un qualche tipo di scontro e non volevano perderselo.
Poi la donna incrociò lo sguardo di Andy che le fece un cenno con il capo. Si ricordò di quello che le aveva detto poco prima: tu hai su di lui più influenza di quanto credi. E la sfruttò.
Gli posò una mano sulla spalla, scendendo ad accarezzargli il braccio. Lo sentì rilassarsi al suo tocco, nonostante non si fosse mosso e continuasse a coprirla con il proprio corpo.
«Non possiamo deludere il nostro ospite, non credi, Tony?» mormorò dolcemente. Si mise di fronte a lui e lo guardò negli occhi. «Per favore, dì al presidente delle Stark Industries che sarò onorata di ballare con lui tra pochi minuti» concluse, sfiorandogli il petto con la mano affusolata.
Tony la fissò immobile per qualche secondo. Poi annuì e sorrise. «Due minuti soltanto» disse, rivolto a Roberts. «Poi vengo a riprendermela». E si allontanò.
La piccola folla che si era radunata si disperse in pochi secondi, delusa ma ancora senza capire cosa fosse successo. Roberts la portò al centro della pista e la prese fra le braccia.
«Sempre focoso il nostro caro Tony, eh?»
La donna rispose con un sorriso, senza raccogliere la provocazione. Voleva capire chi aveva davanti.
«Sembra un tantino geloso di lei» proseguì.
«Non ne ha motivo, ma Tony è fatto così».
«E non la infastidisce il suo comportamento?»
Victoria non capiva il senso di tali domande, non riusciva ad intuire dove volesse andare a parare.
«Lo fa solo perché tiene a me».
«E come dargli torto». Mentre giravano sulla pista, Victoria osservò intorno e scorse Tony, appoggiato al bancone del bar con un bicchiere pieno di ghiaccio e di liquido ambrato in mano. Non le staccava gli occhi di dosso. «Ma io, fossi in lei, sarei un tantino preoccupato».
Victoria aggrottò le sopracciglia. «Non la seguo».
«Non la preoccupa cosa potrebbe combinare nei panni di Ironman, nel caso in cui lei lo lasciasse?»
La donna rise. «È un’eventualità che non è da prendere in considerazione, mi creda. Primo perché non ho intenzione di lasciare Tony, secondo perché lui è assolutamente in grado di gestire la sua seconda identità». Poi inclinò la testa da un lato. «Ma non le sembrano argomenti un tantino pesanti per un ballo?»
Christopher scosse la testa per allontanare i capelli e sorrise. «Ha ragione. Sa che l’ho trovata splendida su US Weekly, il mese scorso?»
Victoria accettò il cambio di argomento con sollievo, e quando la musica finì e Tony comparve al suo fianco, si sentì come liberata dall’untuosa influenza di Roberts. Tony la prese per mano e di nuovo si mise tra lei e Christopher.
«È stato un piacere, Chris. Ora, se permetti, vorrei farla ballare sul serio».
L’uomo sollevò le labbra in un sorriso insolente. «Molto lieto, signorina Johnson. Alla prossima». Girò sui tacchi e se ne andò.
«Ho bisogno di uscire» disse Tony e, cingendola con un braccio, la accompagnò fuori.
All’esterno della sala c’era un favoloso giardino in stile orientale: fontane che chioccolavano dolcemente, alberi dai tronchi attorcigliati, fiori esotici. Tony sedette sul bordo di una delle fontane e respirò a pieni polmoni l’aria profumata. Victoria rimase in piedi davanti a lui.
«Si può sapere che ti è preso?» chiese, dopo un momento di silenzio.
Lui non rispose e batté la mano accanto a sé, invitandola a sedersi al suo fianco.
«Non voglio sporcarmi il vestito» obiettò, ma lui l’attirò a sé e la fece sedere sulla sua gamba. La donna avvertì la rigidità e il nervosismo nei muscoli contratti delle spalle e della schiena.
«Allora? Vuoi dirmi che succede?» disse, accarezzandogli il viso.
Lui si strinse nelle spalle. «Non mi piace vederti fra le braccia di altri uomini. È un reato?»
«No. Ma non ti sei mai comportato così. Sembravi un bambino cui avessero rubato il giocattolo preferito».
«Ma tu sei il mio giocattolo preferito» mormorò lui, alzando il viso per baciarla. Fu dolce e tenero e alla fine fu lei a staccarsi per prima.
«Stai cercando di confondermi le idee, Stark?»
Lui sorrise in modo irresistibile.
«Una donna non è mai al sicuro quando sei nei paraggi» esclamò e lui rise, finalmente rilassato. «Ad ogni modo, devo darti ragione» proseguì.
«Come sempre. A proposito di cosa, comunque?»
«Roberts è proprio un idiota».
Tony ridacchiò. «Di cosa avete parlato?» domandò, ma la donna fece un gesto noncurante con la mano.
«Lasciamo stare e torniamo dentro. Devo ancora ballare con il presidente delle Stark Industries».
«Servo suo, incantevole signora» disse lui, facendola alzare.
La serata si protrasse a lungo e le tre di notte erano già passate da un po’ quando raggiunsero Malibu Point dove era situata villa Stark. Happy li fece scendere davanti all’ingresso e Jarvis aprì la porta.
«Bentornati» li salutò. «Com’era il party?»
«La solita sbruffonata di ogni anno per dimostrare che Christopher Roberts è il più macho del mondo e ha l’azienda migliore sulla piazza. Peccato che il Pentagono abbia un contratto con le Stark Industries, non con lui» sghignazzò Tony.
Victoria roteò gli occhi e salì in camera. Tolse i gioielli che ripose nella loro custodia e sciolse i capelli, scuotendoli per ravviarli.
«Ti ho detto che eri bellissima stasera?» disse, scostando i capelli per baciarle la schiena nuda. Sfiorò la pelle vellutata con le labbra, aspirando il suo profumo che ebbe, come sempre, l’effetto di un afrodisiaco.
La fece voltare, spingendola con irruenza contro i pannelli di legno che rivestivano la parete. Trovò la sua bocca e la baciò, stringendosi a lei, sentendo che si lasciava andare, abbandonandosi alla passione.
Senza smettere di baciarlo, Victoria gli sciolse il nodo della cravatta e gli sbottonò la camicia. Le sue mani morbide e vellutate lo accarezzavano sul petto e sul dorso, scatenando la sua eccitazione.
Tony le accarezzò la schiena e armeggiò con i laccetti sul retro dell’abito. Non riuscendo a scioglierli, interruppe il bacio: «Mi dispiacerebbe strappati il vestito, che ti sta d’incanto. Ma lo farò, se non si toglie di mezzo».
 Victoria ridacchiò e lo allontanò. Lo spinse sul letto e rimase in piedi, lasciando che lui la guardasse.
«Ingegnere laureato al MIT e non riesce a togliere un vestito ad una donna» lo canzonò.
«Sono sicuro che se provo con i denti ci riesco benissimo» rispose.
«Mettiti comodo, ci penso io».
Tony si sollevò su un gomito. «Jarvis, abbassa le luci e metti un po’ di musica».
Le luci della stanza calarono d’intensità, creando un’atmosfera romantica e sognante. Atmosfera che fu subito infranta dalle aspre note rock di Another brick in the wall dei Pink Floyd.
«Jarvis, meglio se peschi nella playlist di Vicky» borbottò Tony.
Le note dolcissime di Everything I do I do it for you di Brian Adams riverberarono nella stanza.
«Meglio, signore?» chiese l’incorporea voce del computer.
«Decisamente meglio. Buonanotte, Jarvis».
I movimenti di Victoria si fecero languidi ed estremamente sexy. Con movenze lente e calcolate, slacciò il cinturino dei sandali e li tolse. Poi fece scivolare a terra il vestito che scese con un fruscio sommesso. Sotto indossava soltanto un perizoma di pizzo e Tony si rovesciò all’indietro, fingendo di essere stato colpito al petto.
Victoria si avvicinò al letto sorridendo maliziosa. Lui si sollevò a sedere e le baciò il ventre, appena sopra l’ombelico. Victoria gli accarezzò i capelli e si abbassò per sederglisi in grembo. Gli sfilò lentamente la camicia, gettandola da parte. Tony la fece alzare leggermente e le sfiorò il seno con le labbra.
Mentre la sua bocca si chiudeva sul capezzolo, la donna rovesciò la testa all’indietro, infilando le mani fra i capelli di Tony. L’uomo continuò a passare da un seno all’altro finché non la sentì gemere sommessamente. Allora la cinse con entrambe le braccia e si alzò in piedi.
Victoria gli si appoggiò alle spalle e sentì i muscoli guizzare sotto le mani. La mise a terra, prendendole il viso tra le mani e continuando a baciarla. La playlist proseguì con She’s like the wind, il volume molto basso, appena udibile.
La donna fece scivolare le mani verso il basso, slacciandogli la cintura e sfilandola dai passanti. Le mani di Tony sostituirono le sue. Aveva pensato di fare tutto con calma, di portarla al culmine lentamente, ma già sapeva che non ce l’avrebbe fatta.
Tra i suoi impegni e quelli di Victoria, non stavano insieme da una settimana e Tony la desiderava da che l’aveva vista scendere le scale con quel vestito addosso.
Le infilò profondamente la lingua in bocca e Victoria avvertì subito il cambio di ritmo. Si fece spingere indietro, verso il letto. Tony la fece coricare, sostenendola con un braccio, senza smettere di baciarla. Era vorace e famelico e la sua urgenza contagiò anche Victoria, sicché quando lui si abbassò per toglierle il perizoma, l’unico indumento che ancora resisteva, gemette, reclamando di nuovo la sua bocca.
La musica cambiò ancora. Lo splendido assolo iniziale di Nothing Else Matters dei Metallica riempì la stanza.
«Perfetta» mormorò Tony, baciandole il collo. Poi la guardò negli occhi. «Ti amo» sussurrò.
Poi Tony la penetrò lentamente, al ritmo della canzone, mormorando le parole al suo orecchio.
«Trust I seek and I find in you, everyday for us something new [1]».
In quel momento di estasi, il mondo si contrasse intorno ai loro corpi avvinti. E niente ebbe più importanza [2]. Non esisteva nient’altro che la necessità primitiva e al tempo stesso attuale di fondersi l’uno nell’altra.
Per Tony l’atto fisico, che molto spesso aveva ripetuto senza sentimento prima di incontrare Victoria, aveva assunto un significato completamente diverso. Non una delle tante donne che aveva avuto gli aveva mai ispirato lo stesso coinvolgimento emotivo. Erano distrazioni, strumenti per il suo piacere. Victoria no.
Lei era la sua metà, il suo complementare. Dell’innumerevole schiera di donne pur bellissime che avevano giaciuto fra le sue braccia non ricordava i nomi né i tratti somatici, neanche dieci minuti dopo che erano uscite dal suo letto. Ma di Victoria conosceva ogni sfaccettatura e, quando gli impegni di lavoro li tenevano lontani anche per giorni interi, gli bastava chiudere gli occhi per evocare la sua immagine, talmente perfetta che avrebbe potuto contare le folte ciglia che incorniciavano gli splendidi occhi verdi.
Era stata quell’immagine a sostenerlo nei tre mesi di prigionia in Afghanistan. Era per lei che valeva la pena lottare, per lei aveva fatto di tutto per tornare.
La canzone raggiunse il culmine e il sentimento esplose nell’intimo di Tony, con la stessa intensità del potentissimo reattore che gli brillava al centro del petto. Victoria si morse il labbro inferiore e lo strinse a sé, mentre entrambi assaporavano il momento sublime in cui un uomo e una donna diventano una cosa sola.
Mentre la voce ruvida di Springsteen intonava Streets of Philadelphia, i respiri affannosi si calmarono, i loro cuori ripresero a battere normalmente e Tony si scostò con delicatezza. Si coricò al suo fianco, attirandola vicina a sé.
Rimasero immobili a lungo, in silenzio sotto il lenzuolo, ascoltando la musica che continuava a diffondersi dall’impianto stereo. Tony le sfiorava la schiena con una mano e lei disegnava piccoli cerchi sul suo petto con la punta delle dita. Quando sentì Into dust di Mazzy Star, Tony ruppe il silenzio.
«La tua playlist è fenomenale» esclamò.
La donna girò il capo e lo baciò. «Mi sei mancato in questi giorni».
«Anche tu, dolcezza» rispose lui. «Dovresti smettere di lavorare».
Victoria sorrise. «Sono troppo superiore per raccogliere questa provocazione».
Avevano già sfiorato il discorso e non era stato un bel momento. Dopo che era tornato dall’Afghanistan, Tony pretendeva che lei abbandonasse la sua carriera.
Il suo rapimento aveva lasciato segni indelebili, profonde ferite in un carattere già difficile. Aveva visto la morte in faccia e si era reso conto di non avere nulla. Possedeva ville, auto di lusso, poteva avere tutte le donne che voleva, il nome Stark apriva qualsiasi porta… ma non aveva nulla.
Il fatto che Victoria fosse rimasta ad attenderlo era stata quasi una sorpresa: Tony Stark era abituato a fare tutto da solo. Aver ritrovato Victoria gli aveva fatto capire che era giunto il momento di una svolta: aveva bisogno di lei, di averla vicina.
La cosa però aveva rischiato di assumere contorni morbosi: e Victoria aveva dovuto fargli capire con tatto che non poteva e non voleva rinunciare alla sua carriera. Il punto era, innanzitutto, che non erano sposati: era vero che si comportavano come se lo fossero e che lei viveva quasi esclusivamente a spese di Tony. Ma non erano legati ufficialmente e, se Tony avesse deciso di scaricarla, lei si sarebbe ritrovata con un pugno di mosche.
E, in secondo luogo, non voleva rinunciare al suo sogno, a quello per cui aveva studiato a lungo e sputato sangue. Voleva mantenere la sua indipendenza e lasciare un segno nel mondo, non essere ricordata in eterno come la fidanzata di Stark. Già non poteva impedire che l’ombra di Tony si stendesse su di lei: quando partecipava ad un provino, non appena la vedevano, la riconoscevano. E lei non sapeva mai se veniva presa (o scartata) per ciò che mostrava sul palco o per il suo legame affettivo.
Alzò il capo per ricordargli di quella volta che era stato ad un passo dal rilevare un’intera compagnia teatrale solo perché l’avevano respinta ad un provino, ma si accorse che dormiva. Rimase ad osservarlo per qualche istante, ringraziando Dio per averle fatto scegliere quel bar per festeggiare con i suoi amici e per aver spinto Tony a parcheggiare la sua R8 in maniera tanto sconsiderata.
Poi gli posò la testa sulla spalla e si addormentò, cullata dalle note dolci e malinconiche di When I was your man di Bruno Mars.
 
[1] Cerco fiducia e la trovo in te, ogni giorno per noi qualcosa di nuovo
[2] Che è la traduzione di “Nothing else matters” titolo della canzone dei Metallica.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ti voglio, Victoria ***


La riunione si era protratta più del previsto e a quella era seguita la solita, interminabile cena di lavoro. Era quasi l’una quando Tony rientrò nella sua camera d’albergo.
Quel viaggio in Europa era assolutamente necessario e aveva insistito parecchio perché Victoria lo seguisse. Ma lei era impegnata con il suo ultimo spettacolo e così lui era a Parigi, la città più romantica del mondo, senza la sua donna.
Si versò uno scotch dal mobile bar e si abbandonò in poltrona, prendendo il cellulare.
Durante le noiosissime ore di colloqui aveva mandato qualche sms a Victoria, come faceva sempre. La donna però non aveva risposto. A Malibu erano le quattro del pomeriggio, perciò decise di chiamarla.
Lasciò squillare il cellulare finché non si inserì la segreteria telefonica. Era strano che lei non avesse trovato nemmeno un istante per mandargli un sms e che non rispondesse, ma non tanto da preoccuparlo veramente. Tuttavia, chiamò Jarvis.
«Jarvis, sai dov’è Vicky?»
«No, signore. È uscita ma non ha detto dove andava».
«Ah, vuoi dire che è già tornata dal lavoro? Sto provando a chiamarla al cellulare, ma non risponde».
«Sì, signore. È tornata verso le undici. Non le risponde al cellulare perché l’ha lasciato qui».
Tony aggrottò la fronte. Era inusuale che dimenticasse in giro il cellulare, ma l’uomo non aveva motivo di preoccuparsi perciò salutò Jarvis e riattaccò, dopo avergli raccomandato di dire a Victoria di chiamarlo non appena fosse tornata, a qualsiasi ora.
La sveglia suonò alle sette e Tony si rese immediatamente conto che Victoria non aveva ancora chiamato. A Malibu erano le dieci di sera quindi Victoria doveva per forza essere a casa. La chiamò, ma di nuovo non rispose. Cominciava davvero a preoccuparsi della sua assenza. Chiamò Jarvis.
«No, signor Stark. La signora non è ancora rientrata».
«E perché diavolo non mi hai richiamato?» sbottò lui, saltando su dal letto.
«Perché non mi aveva detto di chiamarla, in caso non fosse tornata».
«Jarvis, mettimi in comunicazione con Pepper».
Diversamente dal solito, la sua assistente non lo aveva seguito in Europa, trattenuta in patria da diversi appuntamenti a cui doveva presenziare al posto di Tony.
Pepper rispose a metà del secondo squillo. «Buongiorno, signor Stark».
Era ovvio che Pepper fosse già sintonizzata sul fuso orario europeo.
«Pepper, c’è qualcosa che non va» esordì, e le raccontò brevemente cos’era successo. «Non può non essere ancora tornata, dev’essere successo qualcosa».
«Ora stia calmo, Tony. Mi faccia fare qualche controllo, sono sicura che c’è una spiegazione. La richiamo tra poco».
Pepper viveva nell’ala orientale della mastodontica residenza Stark sicché ci mise pochi secondi a raggiungere il garage sotterraneo. Tutte le auto di Tony erano parcheggiate al loro posto.
«Buonasera, signorina Potts» la salutò Jarvis.
«Jarvis, quando è tornata esattamente Victoria?»
«Alle dieci e cinquantasette minuti».
«E quando è uscita?»
«Alle dodici e tre minuti».
Pepper sbirciò di nuovo le auto parcheggiate nel sotterraneo. «Ma che auto ha preso? Mi sembrano tutte qui».
«Un’auto è venuta a prenderla, signorina Potts».
«Mostramela» ordinò.
Jarvis attivò uno dei maxischermi virtuali e proiettò le immagini che aveva registrato. Pepper vide un SUV bianco parcheggiare davanti all’ingresso della villa e Victoria salire a bordo con la valigia.
«Jarvis, la targa».
Eseguì un veloce controllo sul numero che le diede il computer. L’auto risultava appartenere ad una società di noleggio. Era troppo tardi per chiamarli, ma Pepper si segnò il numero. Poi chiamò Tony.
«Un SUV bianco a noleggio?» domandò Tony. «Ma che diavolo sta succedendo?»
«Victoria è salita a bordo. Tony…»
«Che c’è? Perché si è interrotta, Pepper?»
«Tony, Victoria aveva una valigia con sé».
«Che vuole dire?»
«Si è fatta venire a prendere da un’auto a noleggio, ha fatto la valigia…» disse Pepper, ma Tony la fermò.
«Ok, dirò a Happy di organizzarmi il volo. Torno a casa».
«No!» esclamò Pepper. «Il contratto che sta negoziando è troppo importante per abbandonare tutto in questo modo. Non c’è molto che potrà fare qui, almeno finché non riuscirò a scoprire qualcosa di più. Resti a Parigi, Tony. Domattina chiamerò l’agenzia di noleggio. Nel frattempo lei non si muova».
Tony era combattuto. Capiva che era successo qualcosa di grave: Victoria non se ne sarebbe mai andata senza avvisarlo. Il suo istinto era quello di tornare a Malibu il più presto possibile. Con l’armatura Ironman ci sarebbero volute solo poche ore. D’altro canto, dovette ammettere, Pepper aveva ragione: il contratto con i francesi era molto importante ed erano quasi in dirittura d’arrivo.
«D’accordo. Ma mi tenga informato, mi chiami a qualsiasi ora».
«Può starne certo, Tony. Sono sicura che ci sia un motivo per tutto questo».
Tony tacque per un tempo talmente lungo che Pepper pensò che fosse caduta la linea.
«Pepper…»
«Sì, Tony?»
«La ritrovi. Smuova chi vuole, chiami anche il Presidente in persona, ma la ritrovi».
«Stia tranquillo e concentrato su quello che deve fare. Qui ci pensiamo io e Jarvis».
Per il momento Pepper non poteva fare altro, così tornò nel suo appartamento e si mise a letto. Ma faticò a prendere sonno. Nonostante le rassicurazioni che aveva propinato a Tony, c’erano molti elementi che non tornavano in quella storia.
Se si fosse trattato di qualsiasi altra donna, il primo pensiero sarebbe stato che l’avesse lasciato. Tutto faceva pensare a quello. Victoria aveva abbandonato il cellulare, aveva fatto la valigia e aveva chiamato qualcuno che venisse a prenderla. Questo poteva valere per tutte le donne… ma non per Victoria.
Victoria le era piaciuta subito. Era diversa dalle altre donne che avevano frequentato la villa di Malibu e che lei aveva occasionalmente buttato fuori di casa. Victoria era entrata nella vita di Tony in maniera diversa, senza clamore, senza pubblicità.
Aveva una carriera già avviata quando lo aveva conosciuto quindi non era pensabile che lo avesse fatto per secondi fini. No, ogni volta che Pepper li vedeva insieme non poteva fare a meno di pensare che fossero fatti l’una per l’altro. Victoria amava Tony: era un assioma inconfutabile. Ma allora, perché aveva fatto la valigia e aveva cercato di scomparire?
L’enigma non aveva soluzione e Pepper, infine, si addormentò. Ma il mattino seguente si mise all’opera presto.
Andò personalmente presso la società di noleggio. In un primo tempo non vollero sentire ragioni: per motivi di privacy non potevano darle alcun dato. Ma poi il nome Stark fece il suo effetto e la biondina dietro il bancone arrossì come se avesse davanti Tony in persona. Pepper chiese di parlare con l’autista e la ragazza lo chiamò all’interfono.
«Sì, ieri sono stato a Malibu Point» disse Carson, l’autista di colore che era andato a prendere Victoria.
«La donna che è salita a bordo: dove ha chiesto di essere portata?»
Carson scosse la testa. «La donna non mi ha detto nulla, signora. La destinazione mi era già stata assegnata».
«Da chi?» chiese Pepper e l’uomo si strinse nelle spalle.
«Non lo so. Mi è stato detto che avrei dovuto andare a prenderla e portarla al Brentwood Country Club».
«Va bene. Quando siete arrivati lì, la donna è scesa?»
«Sì. C’era un’altra auto che la stava aspettando».
«Un’altra auto?» domandò Pepper e Carson annuì. «Che auto era? Ricorda la targa?»
«Mi dispiace, non ho guardato la targa» dichiarò Carson. «Era una Chevrolet nera, non ricordo il modello».
La cosa si complicava. Era evidente che Victoria aveva fatto quelle manovre per non essere rintracciata. No, non poteva essere. Possibile che li avesse ingannati tutti in quel modo? È vero, era un’attrice, ma era possibile che avesse finto così bene e così a lungo?
«Qualcosa non va, signora?» chiese Carson.
Pepper si scosse. «No, è tutto a posto. La ringrazio per la sua disponibilità».
Uscita dall’autonoleggio, tornò al 10880 di Malibu Point.
«Jarvis, quanto tempo ci si impiega in auto da qui al Brentwood Country Club?» domandò Pepper al computer.
«In condizioni di traffico normale, trentotto minuti».
«Ok. Ho bisogno di accedere alle registrazioni delle telecamere presenti in zona. Bancomat, controllo traffico, qualsiasi cosa. Usa il riconoscimento facciale e cerca Victoria. Analizza l’orario compreso tra le dodici e le due».
«Subito, signorina Potts». Jarvis si mise a lavorare. Pepper si versò del succo d’arancia e attese.
«L’ho trovata, signorina Potts» disse infine Jarvis.
Nel fotogramma isolato da Jarvis, Victoria stava salendo a bordo della Chevrolet di cui le aveva parlato Carson. Purtroppo, la targa non era visibile.
«È l’unica immagine disponibile?» chiese Pepper.
«Sì, signora».
«Maledizione» imprecò Pepper. Sbirciò l’orologio: a Parigi erano le sette di sera passate da poco. Era probabile che Tony fosse ancora in riunione, ma le aveva detto di chiamare non appena avesse saputo qualcosa.
«Jarvis, chiama Tony, per favore» chiese. Il viso di Tony apparve sullo schermo mentre il computer faceva partire la chiamata.
«Mi dica, Pepper». La voce di Tony era tesa e quasi irriconoscibile.
Pepper gli spiegò quello che aveva scoperto. «Purtroppo non riusciamo a risalire alla targa della seconda auto. Mi dispiace, Tony» concluse, rammaricandosi per la sconfitta.
Dall’altro capo, Tony taceva. «È ancora lì?» chiese infine.
«Torno a casa» disse, laconico.
«Aspetti, Tony…» cominciò, ma non la lasciò proseguire.
«No, Pepper. Il mio posto non è qui, anche perché in questo momento non sarei in grado di concludere neanche l’acquisto di un DVD su ebay, figuriamoci un contratto da centinaia di milioni di dollari».
Si congedò con poche concitate parole dai francesi con cui stava negoziando gli ultimi dettagli del contratto e uscì dalla sala riunioni. Happy lo stava aspettando fuori dalla stanza.
«Happy, sveglia i piloti e falli preparare. Torniamo a Malibu».
Poi si rivolse di nuovo a Pepper. «La terrò informata sull’orario di arrivo. Voglio la R8 ad attendermi all’aeroporto non appena il jet toccherà terra».
«Sì, Tony. Ci penso io» disse ma le rispose solo il clic di fine chiamata.
Il volo fu un inferno per Tony. Gli spazi ristretti sembravano volerlo soffocare, ma pensava con orrore a cosa sarebbe successo se non avesse avuto un jet privato, cosa che gli aveva permesso di essere in partenza meno di un’ora dopo aver chiuso la telefonata con Pepper.
Attese per tutto il viaggio una chiamata dalla sua assistente, sperando che avesse novità. Ma la telefonata non arrivò. Quando arrivarono all’aeroporto, Tony si precipitò giù dalla scaletta. Pepper lo attendeva accanto alla R8.
«Nessuna novità, giusto?» chiese, ma non attese nemmeno la risposta. Aprì la portiera, sedette al posto di guida e avviò il potente motore. Happy salì dal lato passeggero.
«Mi segua alla sua velocità, ci vediamo alla villa» disse rivolto a Pepper attraverso il finestrino aperto e sgommò via.
Happy era abituato alla velocità di guida di Tony e al suo stile estremamente sportivo ma quella volta ebbe davvero paura.
Tony imboccò la rampa di accesso al garage mancando di un soffio il muretto di cemento e inchiodò violentemente una volta raggiunto il sotterraneo. Non appena scese, Jarvis lo chiamò.
«Signor Stark, bentornato. C’è un video messaggio per lei».
L’uomo ebbe un tuffo al cuore. Era lei. Doveva essere lei.
«Di chi è?» domandò imperiosamente.
«Della signorina Johnson, registrato due giorni fa».
«Perché diavolo non me l’hai detto prima?» domandò Tony, furioso. Jarvis aveva un messaggio di Victoria e l’aveva tenuto nascosto.
«La signora mi aveva chiesto espressamente di non consegnarglielo fintanto che non fosse tornato a Malibu».
Pur nella rabbia di quel momento, Tony intuì che Victoria aveva capito in fretta come ragionava Jarvis. Era il modello più sofisticato di intelligenza artificiale al mondo, capace di fare un complimento da solo o di fare scelte anche complesse. Ma restava pur sempre un computer e, come tale, aveva protocolli che potevano essere aggirati.
«Mostramelo» ordinò.
Il viso di Victoria comparve sul monitor. Il solo vederla gli procurò un senso di sollievo che tuttavia svanì non appena notò la sua espressione.
Ciao Tony.
La sua espressione e quell’esordio gli fecero scorrere un brivido lungo la schiena. Non sembrava nemmeno la sua Victoria, ma piuttosto un’estranea. La donna rimase in silenzio per un tempo che gli parve infinito.
Nella mia vita ho sempre affrontato ogni problema a testa alta, senza paura. Non mi sono mai considerata una codarda, ma oggi non ho il coraggio di affrontare questa cosa. Non c’è un modo facile o indolore per dirti ciò che ho da dirti.
Decisamente non prometteva bene. Tony si avvicinò alla scrivania e ne afferrò il bordo per sostenersi. Non voleva sentire altro. Ma lei era lì, sul monitor. E pareva guardargli dentro l’anima. Poi, improvvisamente, affondò il colpo.
Me ne vado, Tony.
Parole terribili, fatali. Di colpi in battaglia ne aveva ricevuti parecchi ma mai nessuno aveva avuto quella potenza. Fu come una bomba atomica in pieno petto.
Ho pensato a lungo a noi in questi giorni e mi sono resa conto che non sono sicura della nostra storia. So che avrei dovuto parlartene di persona, ma credimi: è meglio per entrambi.
Quelle parole non avevano significato per Tony. Non capiva cosa volesse dire “non sono sicura della nostra storia”. Tutto sembrava incomprensibile perché non gli era mai giunto alcun segnale che lei provasse quei sentimenti. Altrimenti avrebbe lottato, avrebbe fatto di tutto per trattenerla con sé. Ricordava benissimo com’era finita l’ultima telefonata: ti amo, Tony Stark! L’aveva detto con tale gioia, con tale trasporto, che lui era stato ad un passo dall’indossare la sua armatura e volare per mezzo globo solo per poterla baciare.
Non cercarmi, non provare a contattarmi. Mi dispiace di aver fatto perdere tempo ad entrambi, ma non sei ciò che voglio, Tony.
Si chiese quanto ancora sarebbe durata quella tortura. Ma la tortura era appena iniziata.
È finita.
Fu solo in quel momento che Tony capì davvero quanto l’amava. Non c’era possibilità di vivere senza di lei, tanto che il primo impulso fu quello di staccare il reattore dalla piastra nel suo petto e lasciare che le schegge ancora nel suo corpo trovassero la strada verso il suo cuore. O quello che restava del suo cuore, perché Victoria l’aveva appena fatto a pezzi. Sarebbe bastata una settimana, poi tutto sarebbe finito.
Qualcuno gli posò una mano sulla spalla. Si voltò lentamente: era Pepper. Strano, non si era nemmeno accorto che fosse arrivata.
«Mi dispiace, Tony» disse, ma lui la guardò stranito perché non capiva a cosa si riferisse. Poi alzò lo sguardo e Victoria era ancora sul monitor, in un fermo immagine che la faceva assomigliare ad un quadro. Era l’ultima immagine che aveva di lei.
«Quella non è la mia Victoria» mormorò, quasi inaudibile.
Pepper gli strinse la spalla. «Mi dispiace terribilmente, Tony».
«Perché continua a dirlo? Tutto questo non ha senso, Pepper. Io…» ma non riuscì a proseguire e chinò la testa.
«Se n’è andata, Tony».
A quelle parole, l’uomo raddrizzò di scatto la testa. «No, Victoria non è andata via. Deve esserci qualcos’altro. Jarvis, c’è un altro messaggio?»
«No, signore. È tutto».
Pepper lanciò un’occhiata a Happy. Tony sembrava rifiutare la verità, era chiaramente sotto shock. «È finita, Tony» disse e l’uomo indietreggiò come se l’avesse colpito.
L’enormità di quella rivelazione gli piombò addosso. Finché stava guardando quel video non si era reso conto di essere nel mondo reale. Ma Pepper era un’altra cosa: lei non mentiva mai, non gli nascondeva mai nulla e ora aveva pronunciato quella frase. Guardò prima Happy poi Pepper e…
«Jarvis! La mia armatura!» abbaiò.
«Subito, signore».
«Che intende fare?» chiese Pepper seguendolo mentre si posizionava sulla pedana che già si stava aprendo.
«Devo andarmene di qui».
«Non è una buona idea, Tony. Non nelle sue condizioni» provò Pepper, ma già la parte inferiore dell’armatura era posizionata. «Jarvis, interrompi la sequenza» ordinò disperatamente, ma Tony sogghignò.
«Crede davvero che un suo ordine a Jarvis valga più del mio?»
Eccolo, era tornato! Quello era il vecchio Tony Stark, quello viziato, quello abituato al comando. Quello scomparso in una grotta in Afghanistan. Quello che Victoria aveva cambiato.
Ma ora Victoria non c’era più e così la sua influenza. Pepper ebbe improvvisamente paura per ciò che Tony avrebbe potuto fare a se stesso e agli altri, ma non riuscì a dare voce alla sua inquietudine perché Tony abbassò la maschera sul viso e volò via.
 
Il cellulare vibrò sul tavolino e Victoria sbirciò il display, ma sapeva già che era Tony. Sicuramente era in riunione e si annoiava. L’aveva tempestata di sms in quella giornata, ma le prove del nuovo spettacolo l’avevano impegnata più di quanto si fosse aspettata, sicché non aveva ancora risposto.
Prese il cellulare per leggere il messaggio ma qualcuno bussò alla porta del camerino.
«Avanti!» esclamò Victoria. Era Sandy, una degli assistenti.
«C’è un signore che vuole vederti».
«Fallo entrare» rispose.
La ragazza si fece da parte e Christopher Roberts comparve sulla soglia.
«Buongiorno, signorina Johnson».
La visita era totalmente inaspettata, sicché Victoria rimase spiazzata.
«Tutto bene, Vic?» chiese Sandy preoccupata.
La donna si riprese in fretta e si alzò per stringergli la mano.
«Sì, Sandy. Puoi andare, grazie».
La giovane uscì e chiuse la porta.
«Confesso che mi ha presa in contropiede, signor Roberts».
«Mi trovavo a passare da queste parti, ho visto il cartellone con la sua immagine all’esterno e ho pensato di entrare a salutarla».
C’era qualcosa che suonò terribilmente falso alle sue orecchie. Lo guardò negli occhi e ciò che vide non le piacque. Una orribile sensazione di pericolo si impadronì di lei: avrebbe voluto che Tony fosse lì e improvvisamente capì il perché della dimostrazione di forza data due settimane prima alla festa della Ascam.
Christopher vide la donna stringere gli occhi e capì che aveva intuito qualcosa.
«Oh, al diavolo!» proruppe. «Non sono un attore. Inutile continuare questa farsa».
Victoria aggrottò la fronte. «Mi scusi ma non la seguo».
«È semplice, molto semplice. Ti voglio, Victoria».
La notizia fu una mazzata in pieno petto, talmente potente che Victoria arretrò di un passo. Rimase in silenzio, immobile come un animale spaventato.
«Stai bene, mia cara? Sei pallida» disse lui, avvicinandosi, ma la donna fece un altro passo indietro.
«Stia lontano, per favore».
Non era un caso che lui si fosse fatto avanti proprio quando Tony era lontano. L’aveva avvicinata mentre era al lavoro, lontana dalla protezione delle guardie del corpo del suo fidanzato, lontana dalla sicurezza di villa Stark. Forse le paranoie di Tony sulla sua sicurezza non erano poi tanto campate in aria e si pentì di essersi incaponita nel rifiutare la protezione che lui pretendeva che avesse.
«Non capisco, signor Roberts».
«Oh, lo so che hai capito benissimo, Victoria. Voglio che lasci quello scemo di Tony, voglio che tu sia la mia donna».
«Lei è pazzo!» sbottò Victoria e lo aggirò svelta, dirigendosi verso la porta.
«Aspetta».
Qualcosa nel suo tono la indusse a fermarsi con la mano sulla maniglia.
«Ho qualcosa che ti convincerà» proseguì, pescando il cellulare dalla tasca della giacca. Armeggiò per qualche istante poi girò il display verso la donna.
Era una ripresa di una stanza semibuia. Al centro di essa era posizionata una sedia su cui stava una donna. Era legata e stava con la testa china in avanti sicché Victoria non poteva vedere altro che la cascata di riccioli ramati.
Victoria osservò con orrore un uomo vestito di scuro con un passamontagna sul viso entrare nell’inquadratura, afferrare da dietro quella massa di capelli e far sollevare la testa alla prigioniera. Ma non aveva bisogno di vedere il viso: lanciò un’occhiata allo specchio del suo tavolo da trucco e vide riflessi gli stessi capelli, dello stesso color rame brunito. La donna ripresa era sua sorella.
«Violet». Mosse le labbra ma non uscì alcun suono. Poi fissò lo sguardo su Roberts. «Che cosa le hai fatto, bastardo?»
«Sta bene. Non è ferita né lo sarà mai, se collabori».
«Cosa vuoi da me?»
Christopher rimise il cellulare in tasca. «Ascoltami bene: ora dirai che non ti senti bene e andrai a casa. Preparerai la valigia e lascerai un messaggio per Tony, dicendogli che è finita».
Victoria scosse la testa, mentre gli occhi si riempivano di lacrime. «Non riuscirò ad ingannarlo» disse, ma lui si strinse nelle spalle.
«Sei un’attrice e hai talento. Usalo».
Victoria non riusciva a parlare: aveva negli occhi l’immagine terribile di Violet nelle mani di quell’uomo. Vedendo che taceva, Roberts riprese la parola.
«Manderò un’auto a prenderti tra due ore esatte. Lascerai il tuo cellulare e qualsiasi altro dispositivo elettronico a villa Stark, non voglio che lui ti rintracci così in fretta. Non dirai a nessuno dove stai andando. Salirai in auto e stop». Victoria taceva ancora e lui le agitò una mano davanti al viso. «Stai ascoltando, vero? Capisci ciò che dico?»
Lei annuì.
«Tra qualche giorno faremo la nostra prima uscita ufficiale e Tony capirà che oltre ad averlo abbandonato, sei passata dalla parte del nemico». Ridacchiò.
Victoria sentì il mondo tremarle sotto i piedi. Non sapeva se avrebbe avuto la forza per ferirlo in quel modo. «E se rifiutassi?» domandò e come risposta le sarebbe bastato il sorriso da lupo che vide dipingersi sul suo viso.
«Ogni tua azione avrà ripercussioni sulla cara Violet. Segui le mie istruzioni e le sue condizioni miglioreranno».
«E se farò come vorrai, lei sarà libera?» chiese la donna, ma si rendeva conto che la risposta era scontata.
«Libera? Perché tu possa tornare di corsa da Tony? No, mia cara. Violet rimarrà mia ospite, ma non è escluso che domani, quando avrò capito che posso fidarmi di te, io le permetta di venire a stare da noi, magari».
Victoria rabbrividì al pensiero del futuro che si prospettava.
Roberts raggiunse la porta e si girò a guardarla. «L’auto sarà davanti al tuo cancello tra due ore. Sii puntuale» e fece per uscire, ma lei lo fermò.
«Perché mi fai questo?»
«L’obiettivo non sei tu, tesoro. Sei solo nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’obiettivo è dare una lezione a Tony Stark. Lui è sempre stato il primo della classe, il piccolo genio, il ragazzo prodigio. Ora è addirittura un supereroe. Ebbene, se lo conosco, e lo conosco bene, il tuo abbandono gli farà perdere la testa. E quando uno perde la testa e ha a disposizione una superarmatura, non sai mai cosa potrebbe combinare». Sorrise in modo affabile. «Il primo piano prevedeva di rapirti e basta. Ma poi ti ho vista sui tabloid e alla festa della compagnia e mi sono detto: perché non aggiungere un tocco pittoresco a questa faccenda?»
Aprì la porta del camerino. «Ah, non pensare neanche di avvisare Tony. Il tuo telefono è sotto controllo, quindi lo verrei subito a sapere. A più tardi, mia cara» disse e uscì.
Victoria ciondolò fino alla poltrona e vi si lasciò cadere.
Il piano di Christopher era chiaro. Aveva ragione: Tony avrebbe perso la testa non appena avesse capito che lei se n’era andata. Ciò che avrebbe potuto fare in seguito non era ipotizzabile. Era sicura che la cosa avrebbe avuto una risonanza mediatica enorme, come qualsiasi notizia che riguardava Tony. E se Tony avesse compromesso la sua immagine e quella di Ironman, anche le Stark Industries ne avrebbero risentito. Il Pentagono avrebbe potuto rivedere l’accordo per la fornitura degli armamenti, togliendolo a lui e affidandolo alla Ascam.
Ma Victoria non vedeva molte strade davanti a sé. Violet era in pericolo e l’unica cosa che poteva fare per salvaguardarla era cedere alla richiesta di Christopher.
Guardò l’orologio: era già trascorso un quarto d’ora da quando lui se n’era andato. Doveva muoversi. Chiamò Sandy.
«Non mi sento molto bene, Sandy. Temo di avere un po’ di influenza. Mi spiace ma vado a casa».
La ragazza la guardò di traverso. Parve voler obiettare, ma poi notò gli occhi arrossati e il volto pallido e annuì. Victoria raccolse in fretta le sue cose, salutò Sandy e uscì.
Quella mattina era uscita con la R8 di Tony. Avviò il motore e guidò come una furia. Solitamente le ci voleva un’ora e più per compiere il tragitto tra Los Angeles e Malibu, ma in quaranta minuti avvistò il promontorio su cui era costruita villa Stark.
Erano quasi le undici quando parcheggiò direttamente nel garage sotterraneo. Le armature di Tony erano schierate nelle loro nicchie e la donna ebbe un tuffo al cuore.
«Bentornata, signora» la accolse Jarvis. «È rientrata prima oggi».
Non sapeva cosa rispondere perciò tacque.
Salì al piano superiore e poi in camera da letto. Recuperò la valigia e la riempì con alcuni capi scelti a caso dalla cabina armadio. Lasciò il cellulare sul proprio comodino e sedette sul letto, guardando verso la vetrata che affacciava sull’oceano.
«Jay, ho bisogno di te».
«Mi dica, signora» rispose il computer.
«Devo registrare un messaggio per Tony».
Su una sezione della vetrata apparve il suo viso, come in uno specchio. «Quando vuole, signora».
«Prima però devo darti alcune istruzioni. Questo messaggio non dovrà essere recapitato a Tony. Gli mostrerai questo video solo quando tornerà dall’Europa. Non prima. È chiaro?»
«Sì, signora».
«Bene, avvia la registrazione, per favore».
Un bollino rosso e la scritta REC apparvero nell’angolo superiore sinistro. Victoria guardò dritto davanti a sé.
«Ciao Tony» esordì e poi si bloccò. Non sapeva come fare, non sapeva cosa dirgli. Le parole rifiutavano di uscire dalle sue labbra. Ma poi rivide il viso spaventato di Violet e si fece forza. «Nella mia vita ho sempre affrontato ogni problema a testa alta, senza paura. Non mi sono mai considerata una codarda, ma oggi non ho il coraggio di affrontare questa cosa. Non c’è un modo facile o indolore per dirti ciò che ho da dirti».
Fece un respiro profondo e si sentì svuotata di ogni emozione.
«Me ne vado, Tony. Ho pensato a lungo a noi in questi giorni e mi sono resa conto che non sono sicura della nostra storia. So che avrei dovuto parlartene di persona, ma credimi: è meglio per entrambi».
Si rendeva perfettamente conto che non era granché come interpretazione. Lui avrebbe capito che stava mentendo: la sera prima si erano sentiti al telefono e lei aveva concluso la telefonata con “Ti amo, Tony Stark”. Quel cambio di direzione improvviso gli sarebbe parso quanto mai incomprensibile.
«Non cercarmi, non provare a contattarmi» aggiunse, sapendo benissimo che lui non l’avrebbe ascoltata.
Doveva chiudere, non poteva proseguire oltre. «Mi dispiace di aver fatto perdere tempo ad entrambi, ma non sei ciò che voglio, Tony. È finita».
Si alzò e uscì dall’inquadratura. Jarvis spense la registrazione.
«Fammelo rivedere» ordinò la donna.
Era effettivamente una pessima interpretazione. Sperò con tutto il cuore che bastasse ad ingannarlo.
«Ci sta lasciando, signora?» chiese Jarvis.
«È complicato, Jarvis».
«Mi dispiace» commentò la voce. «Era una buona compagna per il signor Stark».
La donna non seppe cosa rispondere.
Stava raccogliendo alcuni effetti personali quando Jarvis l’avvisò che un’auto era ferma al cancello. Gli ordinò di farla passare e afferrò la valigia.
«Mi raccomando, Jarvis. Tony dovrà avere accesso al videomessaggio solo nel momento in cui tornerà a Malibu. Il viaggio in Europa è troppo importante per le Stark Industries e, se glielo mandassi prima, abbandonerebbe tutto per tornare immediatamente».
«La avverto che quando non risponderà al cellulare, il signor Stark chiamerà me».
Era un problema. Se lui non avesse ricevuto risposta alle sue chiamate si sarebbe ovviamente preoccupato e avrebbe chiamato Jarvis, chiedendogli notizie.
«Dirai che sono uscita e non ho detto dove andavo. Non dare alcun dettaglio in più, a meno che non ti venga richiesto» disse Victoria. Non c’era molto altro che potesse fare.
Si guardò intorno per un’ultima volta ma ogni cosa in quella stanza parlava di loro due.
«Addio, Jarvis» mormorò con la voce spezzata.
«Addio, signora. Ci mancherà».
Victoria singhiozzò e corse giù per le scale.
Un uomo di colore le stava tenendo aperta la portiera del SUV bianco e lei si infilò sul sedile posteriore. Non si voltò indietro, ma anche se l’avesse fatto non sarebbe cambiato nulla: attraverso il fiume di lacrime che le traboccava dagli occhi non avrebbe potuto vedere nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Mandami pure il conto dei danni ***


«Jarvis, le luci, per favore».
Victoria si chiese perché le luci non si accendevano; poi rammentò con sgomento che non era più a villa Stark e improvvisamente ricordò tutto.
Aveva cambiato tre volte auto per arrivare alla residenza di Roberts, di sicuro manovre evasive per fare in modo che Tony non la trovasse.
L’auto aveva rallentato una volta giunta nei pressi della sede della Ascam Limited. La residenza di Roberts occupava l’ultimo immenso piano del grattacielo.
La macchina si era infilata nel cavernoso garage e si era fermata accanto alle porte dell’ascensore. Victoria era scesa e l’autista l’aveva accompagnata all’interno dell’elevatore. La corsa era stata lunghissima e quando le porte dell’ascensore si erano aperte, l’autista l’aveva preceduta fuori.
Christopher era al telefono, ma aveva precipitosamente chiuso la comunicazione e le si era fatto incontro.
«Ben arrivata, mia cara» disse sorridendo, e aveva cercato di baciarla sulla guancia. Ma Victoria si era scostata con violenza, facendo un passo indietro. Christopher aveva fatto finta di niente e le aveva fatto un cenno verso l’interno, invitandola a farsi avanti.
«Vieni avanti, ti prego».
La casa rifletteva lo stesso stile che Victoria aveva notato nella sede Ascam al piano terra. I mobili erano bianchi, in stile moderno, con maniglie in acciaio e inserti cromati. L’impressione che si ricavava era di freddezza. Quell’arredamento era così diverso da quello pur moderno ma caldo e accogliente di villa Stark. Con un sussulto, si era imposta di non pensarci: non voleva piangere davanti a Christopher e ripensare a Tony e a quello che avevano vissuto non era una buona idea.
Una donna con una divisa bianca attendeva accanto al divano. Aveva la pelle scura e una massa di capelli acconciati in treccioline. Era giovane, forse più di lei.
«Lei è Joanna, la tua cameriera personale. Rivolgiti a lei per qualsiasi cosa».
La donna aveva sorriso. «Benvenuta, signora» aveva mormorato, e Victoria aveva avuto immediatamente l’impressione che stesse dalla sua parte, che simpatizzasse con lei.
Christopher le aveva fatto fare il giro dell’enorme casa, ma Victoria non lo ascoltava nemmeno. Si era limitata a seguirlo in modo apatico finché lui aveva aperto una porta e l’aveva fatta entrare in una camera da letto.
«L’ho fatta preparare per te» aveva detto e Victoria aveva osservato con indifferenza il grande letto a baldacchino e l’enorme vetrata che dava sul terrazzo e, più oltre, sulla città.
«Ti lascio sola, magari vuoi rinfrescarti».
Non appena lui era uscito, Victoria aveva chiuso a chiave la porta e ci si era appoggiata contro, scivolando lentamente a terra e nascondendosi il viso fra le mani. Era rimasta lì per ore, finché fuori si era fatto buio e qualcuno aveva bussato alla porta.
«Signora, la cena è servita» aveva detto Joanna.
«Non ho fame» aveva risposto.
Qualche minuto dopo, aveva sentito bussare di nuovo.
«Cara, la cena è in tavola». Era Christopher stavolta.
«Non ho fame» aveva ripetuto.
Christopher era rimasto in silenzio a lungo. «Non potrai restare lì per sempre» aveva sibilato, ma lei era stata lasciata finalmente in pace.
Victoria si era raggomitolata sul pavimento e lo sfinimento dovuto ai terribili eventi di quella giornata aveva vinto, sicché si era addormentata.
«Jarvis, le luci, per favore».
Ma Jarvis non c’era. Victoria si alzò lentamente e trovò a tentoni l’interruttore, rendendosi conto di avere la vescica pronta a scoppiare. Fortunatamente aveva il bagno in camera, pertanto non era costretta ad uscire.
Quando uscì dal bagno, sedette sul letto e il pensiero volò ad un’altra camera, ad altri momenti. All’uomo che amava che ormai doveva aver capito che qualcosa non andava. E il fiume di lacrime ruppe di nuovo gli argini e la lasciò svuotata, quasi annientata.
Si svegliò quando il primo sole entrò nella stanza, inondandola di luce. Fece la doccia e si vestì. Ma non riusciva a trovare il coraggio per uscire dalla stanza.
Qualcuno bussò sommessamente.
«Signora?» era Joanna. «Signora, sta bene?»
C’era sincera preoccupazione nella voce della donna e Victoria decise di aprire. Joanna sorrise.
«Buongiorno, signora» disse, prendendo un vassoio dal mobile su cui l’aveva posato. «Ho pensato che preferisse fare colazione in camera».
Victoria la fece entrare e la donna posò il vassoio sul tavolo accanto alla vetrata.
«Il signor Roberts non c’è comunque» disse.
«Grazie» mormorò Victoria e la cameriera uscì.
Victoria non aveva mangiato nulla il giorno prima, né a pranzo né a cena. Il profumo di vaniglia dei pancakes le fece venire l’acquolina in bocca e mangiò la colazione che le aveva portato Joanna. Poi decise che non poteva restare tutto il tempo in quella stanza e, confortata dalle parole della cameriera, che le aveva riferito che Roberts non c’era, uscì.
«La colazione era di suo gradimento, signora?» chiese Joanna non appena entrò in salotto e Victoria annuì.
Joanna la informò che non poteva uscire, ma che la casa era dotata di tutti i comfort. C’era una libreria con migliaia di volumi, una palestra, la piscina, una sala cinema… ma Victoria non aveva voglia di fare nulla. Sedette su una poltrona affacciata sul terrazzo e rimase a contemplare la città, sonnecchiando a tratti.
Ad un certo punto accese la televisione e per un po’ si distrasse. Ma poi capitò su un programma di intrattenimento e vide passare sullo schermo una foto di lei e Tony. Era stata scattata ad una festa a cui avevano partecipato prima che lui partisse per Parigi. Distolse lo sguardo e spense.
Vedere Tony le provocò un altro attacco di malinconia e si raggomitolò sulla poltrona, rifiutando il pranzo.
A sera, Joanna era davvero preoccupata per lei. Intuiva che qualcosa che non andava: prima che arrivasse, Roberts le aveva detto di preparare la stanza degli ospiti per una donna che sarebbe venuta a stare da loro e che si sarebbe fermata a tempo indeterminato.
Quando l’aveva vista entrare, aveva subito riconosciuto la fidanzata del miliardario Tony Stark, il rivale di Roberts.
Joanna lavorava da anni per Christopher Roberts e lo conosceva bene. Non gli piaceva, ma da quando suo marito l’aveva abbandonata, lei doveva provvedere a suo figlio e non poteva permettersi di fare la schizzinosa. Tuttavia, Roberts era cattivo, lei lo sapeva.
E il comportamento di Victoria faceva supporre che la donna fosse trattenuta alla Ascam contro la sua volontà. Joanna era dispiaciuta, ma non poteva fare nulla. Aveva paura di Roberts e non gli si sarebbe mai messa contro per timore delle ritorsioni che avrebbe potuto subire.
Però poteva tentare di entrare in contatto con Victoria, almeno per fare in modo che la sua prigionia fosse un po’ meno pesante. Anche se non si illudeva che fosse un compito facile: aveva visto l’espressione di pura sofferenza dipingersi sul suo volto quando alla televisione avevano passato una foto di lei e Tony.
Quando Christopher rientrò, Victoria dormiva sulla poltrona. L’uomo chiese a Joanna come avesse trascorso la giornata e la donna raccontò che non aveva pranzato ed era rimasta apatica per tutto il giorno, senza dire una parola.
Christopher si avvicinò e sedette con cautela sul bracciolo della poltrona. Le accarezzò il viso e lei sorrise. Ma poi aprì gli occhi, lo vide e schizzò via come se fosse stata al cospetto di un insetto velenoso.
«Ti ho spaventata?» chiese e lei non rispose. «Avevo voglia di vederti» disse, sorridendo dolcemente.
«Io no» replicò lei.
«Oh, ma come siamo di cattivo umore» borbottò Christopher.
Victoria si stupì di tanta sfacciataggine: cosa credeva? Che gli sarebbe corsa incontro non appena l’avesse sentito entrare? Quell’uomo era totalmente pazzo, assolutamente fuori di testa.
«Capisco che è presto per te» proseguì l’uomo. «Ma imparerai a fidarti di me».
«Fidarmi di te? Hai rapito mia sorella, mi tieni qui contro la mia volontà. Come potrò fidarmi di te?»
Lui fece spallucce. «Il tempo, mia cara. In fondo, non sono così diverso da Tony Stark».
«Non puoi nemmeno avvicinarti a lui» sibilò Victoria con un sorriso amaro. «E potrai anche tenermi qui con il ricatto, ma non potrai togliermi i miei sentimenti. Io apparterrò a Tony, qualsiasi cosa accada».
Christopher strinse i pugni. Aveva pensato che fosse più facile, ma non era ancora detta l’ultima. Forse se avesse ricordato a Victoria la situazione in cui versava sua sorella…
«Sai qual è stata la mia prima impressione su di te?» domandò Victoria. «Che fossi un idiota».
Christopher rimase ad ascoltarla mentre la rabbia si impadroniva di lui: la sentiva montare dentro come un’onda anomala, pronta a travolgere gli argini della ragione.
«Ebbene, sei anche meschino e senza cuore. E non dovresti nemmeno nominare Tony. Lui è un uomo, anzi di più; è un eroe. Tu cosa sei? Un povero scemo che non è neanche in grado di trovarsi una donna, tanto che hai pensato di poterla soffiare al tuo rivale con la coercizione».
Per Christopher quello fu troppo. La raggiunse in due lunghi passi e la afferrò per i capelli, spingendola indietro e mandandola a sbattere contro la parete con tanta violenza che l’aria le uscì dai polmoni. Le strattonò la testa, facendole lacrimare gli occhi per il dolore.
«Non permetterò che mi parli in questo modo» ringhiò. «Ti avevo avvisata che il tuo comportamento avrebbe avuto delle conseguenze. Ora le vedrai».
La trascinò davanti alla televisione.
«Colin» abbaiò e una delle sue guardie del corpo entrò nella stanza. Christopher la lasciò andare. «Tienila ferma, voglio che veda» disse e Colin l’afferrò per le braccia.
«Attento» raccomandò Christopher. «Non lasciarle segni».
«Sì, signore».
Per quanto si dibattesse, Victoria era saldamente immobilizzata. Gridò e strepitò, ma nessuno sarebbe venuto a soccorrerla.
Christopher armeggiò con il cellulare finché un’immagine si materializzò sul televisore. Era la stessa stanza semibuia che le aveva mostrato il giorno prima, ma Violet non era seduta sulla sedia. La stanza era vuota, ma non lo rimase per molto.
Roberts chiamò i carcerieri di Violet ordinando di portarla nella stanza. Quando la vide entrare, Victoria gridò ancora più forte, ma la ragazza sembrava stare bene e si dibatteva nella stretta dell’uomo che la sospingeva avanti e che la costrinse ad alzare le braccia, assicurandogliele ad un gancio che pendeva dal soffitto.
«Cinque frustate» ordinò Christopher, sogghignando nel vedere l’espressione di orrore dipingersi sul viso di Victoria. «Ma non facciamo scorrere il sangue, per stavolta».
Quando la frusta sibilò rabbiosa, il grido di Violet le trafisse i timpani. Anche Victoria gridò, implorandolo di fermarsi, ma Christopher la guardò senza muovere un muscolo.
Violet gridava più forte ad ogni colpo e dopo il quinto rimase a gemere a testa china, tenuta in piedi solo in virtù del gancio a cui era appesa, come un pezzo di carne dal macellaio. Anche Victoria chinò la testa, seguitando a singhiozzare nella stretta di Colin.
Christopher spense la tv e le si fece incontro. La prese per il mento e la obbligò ad alzare il capo.
«Ti è tutto chiaro adesso, mia cara?» domandò. «Domani sera, quando tornerò dal lavoro, mi accoglierai come se fossi la mia fidanzata, o la farò frustare ancora. Ma domani saranno dieci colpi, ognuno sopra quelli inferti oggi».
Fece per baciarla, ma lei scostò il capo nonostante lui la trattenesse e Colin non le permettesse di muoversi più di tanto.
«Vuoi che lo facciamo subito?» chiese e lei si rese conto che l’avrebbe fatto. Smise di dibattersi e rimase immobile nella stretta di Colin.
«Così va bene» mormorò e la baciò. Victoria si irrigidì ma non tentò di fuggire. Non poteva farlo, doveva pensare al bene di Violet.
Finalmente la lasciò andare e ordinò a Colin di liberarla. Victoria si accasciò sulle ginocchia.
«Sei libera di cenare in camera tua, mia cara. Sono un uomo magnanimo, come vedi» disse, lisciandosi il bavero della giacca. Poi girò sui tacchi e se ne andò.
Joanna accorse immediatamente. Aiutò Victoria ad alzarsi e l’accompagnò in camera, facendola sedere sul letto.
«Non dovrebbe sfidarlo in quel modo, signora» disse preoccupata. Le porse un fazzoletto e Victoria si soffiò il naso e si asciugò le lacrime. Poi alzò gli occhi e Joanna le sorrise. «Le porto la cena, ok?» disse, ma Victoria scosse la testa.
«Oh, no. Non accetterò un rifiuto. Ha bisogno di mangiare e sostenersi».
Joanna la lasciò e tornò dopo una ventina di minuti con un vassoio che posò sul tavolo.
«Coraggio, venga qui» disse e Victoria obbedì. Joanna uscì.
Terminata la cena, Victoria si mise a letto, ma si rese conto che non era per nulla stanca. Non era strano, dato che non aveva fatto nulla tutto il giorno. La nottata fu un inferno: la mente inquieta era libera di vagare.
Victoria era molto preoccupata per sua sorella. Violet aveva dieci anni meno di lei ed era sempre stata la sua sorellina. Erano cresciute a New York e avevano abitato insieme mentre Victoria frequentava l’Accademia. Si assomigliavano come fossero gemelle, ma i capelli di Violet, pur dello stesso tono ramato, erano ricci.
Erano legate a doppio filo. Quando Victoria si era trasferita dall’altra parte del continente per andare ad abitare da Tony, Violet era rimasta nell’appartamento di New York. Gestiva un negozio di animali nella Grande Mela, la passione della sua vita.
Ma, nonostante la distanza, erano sempre riuscite a tenersi in contatto. Villa Stark era fornita dei più sofisticati mezzi di comunicazione e con il jet privato di Tony, Victoria poteva andare e venire praticamente a suo piacere. Senza contare i weekend che Violet aveva passato a Malibu.
E ora Violet era nelle mani di quel pazzo che l’aveva appena fatta frustare. Ancora non riusciva a crederci. Aveva capito che Roberts era uno squilibrato, ma non pensava che arrivasse a tanto. Doveva stare attenta. Avrebbe fatto di tutto per proteggerla, anche se questo avesse voluto dire umiliare se stessa. Anche se avesse voluto dire ferire Tony.
Il sonno vinse infine la sua battaglia e, malgrado tutto si assopì, quando già l’alba iniziava a tingere di tinte pastello il cielo nero.
Il mattino seguente capì che non poteva continuare a ciondolare per la casa. Se voleva dormire di notte doveva stancarsi. Non poteva uscire ma la sua era comunque una prigione dorata. Nuotò in piscina, usò la palestra ma, mentre le ore passavano, si rese conto di essere sempre più nervosa. Era impaurita perché di lì a poco, Roberts sarebbe tornato. E il suo comportamento era assolutamente imprevedibile.
Quando lui tornò, Victoria stava leggendo un libro sul terrazzo.
«Ciao Victoria» disse e lei represse un brivido e alzò il capo. «Ti stai godendo l’ultimo sole?» domandò, abbassandosi per baciarla sulla bocca. Victoria tenne le labbra chiuse, ma cercò di non scostarsi.
Anche se si rendeva conto che non era colpa sua, le sembrava di tradire Tony.
«Ti va di cenare con me?» chiese poi. Victoria si chiedeva come facesse. Il giorno prima l’aveva costretta a guardare mentre faceva fustigare sua sorella e ora le chiedeva di cenare con lui. Ma, terrorizzata all’idea di scatenare un’altra rappresaglia, Victoria accettò con un cenno del capo.
La cena era ottima, ma Victoria fece fatica a mandarla giù. Roberts faceva di tutto per far colpo su di lei con l’unico risultato di renderla nervosa. Era difficile non fare confronti con Tony, che era un conversatore eccezionale con uno spiccato sense of humor.
«Dovresti sorridere di più» le disse ad un certo punto, quando si accorse che lei rispondeva a monosillabi e teneva lo sguardo basso. «Sei bellissima quando sorridi».
Credeva davvero che i suoi complimenti le facessero un qualche tipo di effetto?
La fine della serata fu un sollievo e Victoria, prima che lui si facesse strane idee, si chiuse in camera sua.
Quella routine proseguì per un paio di giorni. Poi, una mattina a colazione, Roberts le porse una scatola con un enorme fiocco rosa sopra.
«Per te» disse. Victoria sollevò il coperchio.
La scatola conteneva un bellissimo vestito rosa chiaro, molto semplice con un decoro di perline sull’arricciatura del decolleté.
«Molto bello. Grazie» replicò senza alcuna emozione.
«Lo indosserai stasera. Sono stato invitato ad uno spettacolo di beneficienza e tu verrai con me».
Victoria lo guardò ad occhi sbarrati. Farsi vedere insieme a lui significava dire al mondo che aveva lasciato Tony.
Era sicura che lui avesse fatto di tutto per cercarla, ma era evidente che non l’aveva trovata. Altrimenti, poco ma sicuro, avrebbe indossato i panni di Ironman e sarebbe piombato nell’attico di Roberts per portarla via.
Pensava spesso a Tony e a come se la stesse cavando senza di lei. Ma un conto era non sapere dove fosse finita; ben altra cosa era rendersi conto che stava con Roberts.
«Non puoi farmi questo, ti prego» sussurrò Victoria.
«Sarà una bella serata, non preoccuparti. E tu potrai parlare con i giornalisti e far loro capire che ora stai con me».
«Ti supplico» disse lei. «Non sono ancora pronta per questo».
«Mia cara» mormorò avvicinandosi a lei, «da quel che vedo non sarai mai pronta per questo. Direi via il dente, via il dolore, non credi?»
Victoria era incapace di pronunciare parola ma scosse la testa. Tremava come una cerbiatta davanti al cacciatore. Vedendo che esitava, Christopher le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrise amabilmente.
«Credo si renda necessario un altro collegamento con tua sorella Violet» sussurrò, e prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
«NO!» gridò la donna. Non poteva permetterlo: era dilaniata dal conflitto, ma tra le due, decise di ferire i sentimenti di Tony, piuttosto che rischiare la vita di Violet. Chinò il capo, rassegnata: «Verrò con te».
«Ci intendiamo a meraviglia ormai, vero tesoro?»
Quella sera, mentre faceva i preparativi per la serata, le pareva di essere sonnambula. Si truccò e si pettinò, indossò quello splendido vestito e prese con lui l’ascensore, ma non riusciva a concentrarsi su quello che stava facendo.
Christopher, d’altro canto, sembrava al settimo cielo. Le fece mille complimenti e le aprì la portiera per farla accomodare sulla limousine bianca. Quando arrivarono alla festa, Victoria vide con orrore l’interminabile fila di giornalisti e fotografi ammassati in attesa dei VIP. Sarebbe stato un massacro.
«Pronta?» disse lui, con finta cortesia.
Lei annuì e sorrise. Era un’attrice: quello era il momento di dimostrarlo.
Non appena scesero dall’auto, i fotografi li notarono e sembrò di essere nel bel mezzo di un furioso temporale, tanti furono i flash che scattarono.
«Signorina Johnson!»
Il suo nome era sulla bocca di tutti. Ufficialmente era la fidanzata di Tony Stark e vederla in compagnia di Roberts scatenava le più incontrollate illazioni.
Christopher la cinse con un braccio e la sospinse verso il cordone rosso dietro cui i giornalisti attendevano impazienti.
«Signori!» disse con affabilità. «State calmi, ce n’è per tutti».
«Signorina Johnson!»
Victoria riconobbe la voce e si voltò verso Emma Chase, la giornalista di US Weekly che l’aveva intervistata… quando? Un secolo prima?
«Emma Chase, US Weekly» si presentò. «È strano vederla senza Tony Stark».
«Io e Tony non stiamo più insieme». Sparò la bordata: che senso aveva aspettare? Tutti si girarono verso di lei e, dopo un momento di incredulo silenzio nel quale si resero conto che avevano per le mani il gossip più succulento degli ultimi mesi, spararono domande a raffica.
Victoria alzò una mano a parare qualsiasi richiesta e tutti si zittirono.
«Avevamo, come dire, diversità di vedute su molte cose. Il nostro rapporto non poteva proseguire».
Si stupì che la sua voce non tremasse e che si sentisse così calma. Cercò di non pensare alla reazione di Tony nel momento in cui avesse visto quelle immagini perché rischiava di cedere.
Un’altra ridda di domande le fu lanciata addosso, ma stavolta fu Roberts ad intervenire.
«Per il momento non rilasceremo altre dichiarazioni. Non vogliamo certo infierire sul caro Tony» disse e, attirandola a sé, la condusse via.
«Sei stata bravissima» le sussurrò all’orecchio.
Victoria si sentiva svuotata di ogni emozione, persa in un incubo come quando era bambina e suo padre veniva a svegliarla. Ma stavolta nessuno sarebbe venuto a scuoterla e a riportarla nel mondo vero. Perché quello era il mondo vero.
Più volte, quella sera, dovette aggrapparsi a Christopher per sostenersi. Tutti la guardavano, tutti la giudicavano. Ma recitò la sua parte a dovere.
Tuttavia, fu un sollievo rifugiarsi nella limousine alla fine della serata. Si rintanò nell’angolo più lontano da Christopher, fissando fuori dal finestrino oscurato, finalmente al sicuro dagli sguardi indagatori.
Roberts era stranamente taciturno. Solo quando furono in ascensore, si girò verso di lei: «Visto? Non è stato poi così difficile, no?»
Victoria cercò di caricare il suo sguardo di tutto il disprezzo che provava per lui. Davvero non si rendeva conto della sua pazzia? Non valeva la pena parlare con lui, sicché tacque, distogliendo lo sguardo.
Quando arrivarono all’attico, Victoria si infilò nella sua stanza senza dire nulla. Si tolse il vestito gettandolo con noncuranza sul pavimento e indossò la vestaglia di seta. Qualcuno bussò alla sua porta e aprì senza pensare, convinta che si trattasse di Joanna. E invece era Christopher.
Indossava solo un paio di pantaloni neri ed era a torso nudo. L’aveva sempre considerato un rammollito ma i muscoli del torace e i bicipiti erano sodi e scolpiti dalla palestra.
«Cosa vuoi?» sbottò.
«Solo darti la buonanotte» disse lui.
«Non era necessaria» replicò la donna e fece per chiudere la porta. Non aveva nessuna voglia di starlo ad ascoltare, non quella sera. Non dopo che aveva rinnegato il suo amore per Tony davanti ai media.
Ma Christopher infilò il piede tra la porta e lo stipite e le impedì di chiudere. Con una spallata spinse la porta ed entrò, chiudendola poi di schianto.
«Ti ho lasciata tranquilla anche troppo a lungo» sbraitò. «È ora che tu capisca che non puoi trattarmi in questo modo. Adesso voglio tutto». E le fu addosso.
Victoria non se lo aspettava, ma se anche fosse stata pronta non avrebbe potuto opporsi: erano muscoli forti ed elastici quelli con cui la costrinse contro la parete. Si strusciava su di lei, cercando la sua bocca per baciarla. Ma Victoria si dibatteva frenetica, urlando come una furia.
«Urla quanto vuoi. Non verrà certo Ironman a salvarti» grugnì, strappandole la cintura della vestaglia.
Sotto portava soltanto l’intimo e lui infilò una mano nelle mutandine. Victoria non poteva permetterlo. Non quello. La frenesia dei suoi movimenti raddoppiò.
«Mi sono sempre piaciute calde e focose» rise lui, e la baciò sul collo, lasciandole un’umida scia sulla pelle vellutata.
Ma la donna non voleva arrendersi. Quell’oltraggio non poteva sopportarlo. Così, mentre lui continuava a sfregarsi contro di lei, abbassò la testa e gli affondò i denti nella spalla sinistra.
Christopher ruggì di dolore, ma lei non mollava la presa, finché sentì il sapore del sangue in bocca. Ora era l’uomo a dibattersi e, quando finalmente lei lo lasciò andare, la colpì allo stomaco con un pugno.
Non lo vide nemmeno arrivare e la prese in pieno, sicché l’aria le uscì di colpo dai polmoni. Christopher la lasciò, ansioso di allontanarsi da lei e Victoria scivolò a terra, piegata in due, ancora incapace di prendere fiato.
«Puttana!». Tenendosi la spalla offesa, Christopher uscì, lasciandola sola. Victoria attese per essere certa che non tornasse poi si alzò con cautela, chiuse la porta a chiave e andò in bagno. Si sciacquò la bocca dal sangue, meravigliandosi per ciò che aveva fatto. Aveva combattuto, l’aveva sfidato. E aveva vinto.
Era quasi certa che stavolta la rappresaglia non ci sarebbe stata. Christopher non poteva rischiare che i suoi uomini capissero che non era stato in grado di piegarla e quindi avrebbe taciuto. E, di sicuro, la prossima volta ci avrebbe pensato su prima di metterle le mani addosso.
Quando si fu sistemata, Victoria si trascinò fino al letto e si raggomitolò in posizione fetale, cercando di trovare una posizione in cui lo stomaco lesionato non le facesse così male.
 
Quella era stata la prima notte in cui Tony Stark era riuscito a dormire qualche ora. Da quando aveva preso precipitosamente l’aereo per tornare da Parigi, aveva collezionato pochissime ore di sonno.
L’inquietudine lo divorava. Com’era possibile che Victoria fosse sparita in quel modo? Gli aveva lasciato quel messaggio e se n’era andata. Tony non poteva accettarlo: doveva esserci qualcosa che poteva fare per farla tornare ed era intenzionato a ritrovarla, a parlare con lei, a chiarire quello che doveva essere soltanto un malinteso.
Quando Jarvis gli aveva mostrato il videomessaggio, la prima tentazione era stata quella di fuggire. Per quello aveva indossato l’armatura ed era volato via.
Aveva volato per chilometri, ignorando le chiamate di Pepper e di Happy, finché Jarvis l’aveva avvisato che erano al punto di non ritorno: l’energia dell’armatura si esauriva in fretta in condizioni di volo prolungato e, se volevano averne a sufficienza per tornare indietro, dovevano fermarsi.
Tony era quindi sceso a terra senza farsi notare ed era rimasto a lungo a pensare. La conclusione a cui era arrivato era che non le aveva detto abbastanza spesso quanto l’amava. Victoria era parte di lui e ne aveva un disperato bisogno. Era più che disposto ad ammettere che era emotivamente instabile senza di lei e quel volo incontrollato nei cieli americani lo dimostrava.
A quel punto, la determinazione aveva scacciato tutto il resto e lui si era alzato in piedi. Non c’era porta che il nome Stark non potesse aprire, perciò l’avrebbe rincorsa e ritrovata. Doveva dimostrarle quanto teneva a lei e riconquistarla.
Così era tornato a casa e aveva scatenato tutte le sue risorse. Attraverso le Stark Industries aveva percorso tutti i canali leciti e meno leciti, intrufolandosi nei sistemi satellitari, cercando di capire dove fosse andata a fermarsi quella maledetta Chevrolet nera che era diventata il suo incubo. Ma di Victoria non c’era traccia.
Aveva pensato di rivolgersi alla Polizia, ma Jim gliel’aveva sconsigliato.
«Abbiamo un messaggio di Victoria in cui lei stessa ti dice che se ne va» aveva detto. «Se interpelli la Polizia non farai altro che fare pubblicità a questa storia e non credo che sia una buona idea. Se c’è una cosa di cui hai bisogno ora è di stare tranquillo, senza influenze esterne».
E così aveva continuato a cercarla da solo, tenendo Jarvis sempre all’erta. Ma ormai cominciava a dubitare perfino di se stesso.
Quella notte aveva dormito qualche ora sul divano: nella sua camera da letto non entrava da giorni. Si svegliò e si stiracchiò i muscoli indolenziti della schiena. Poi si diresse in cucina per la colazione. Stava togliendo la tazza dal microonde, quando la voce di Jarvis lo chiamò.
«Signore, ho un riscontro per la signorina Johnson» disse il computer e Tony sussultò.
«Mostra» disse Tony, girandosi verso il megaschermo appeso al muro.
Era lei. Era ancora più bella di come se la ricordava. Indossava uno splendido abito svolazzante di colore rosa che si intonava alla perfezione con il tono del suo incarnato. Provò un’acuta fitta di desiderio: non era qualcosa di fisico, bensì di spirituale. La desiderava come cieco ha il desiderio della luce, come un uomo nel deserto agogna un sorso d’acqua.
Poi l’inquadratura si allargò e la tazza gli cadde di mano, infrangendosi sul pavimento. Happy, che era in salotto, accorse. Vide Victoria sullo schermo e si bloccò, incapace di spiccicare parola.
Dal canto suo, Tony non vedeva altro che il braccio di Christopher Roberts che cingeva la sua donna. Sembravano ad un qualche tipo di festa e lei sorrideva davanti ai giornalisti, accanto a Roberts. Poi le sue parole lo colpirono, più temibili di qualsiasi arma, più aguzze di qualsiasi spada: gli penetrarono nell’anima e ridussero a brandelli ciò che ne restava.
Io e Tony non stiamo più insieme. Avevamo, come dire, diversità di vedute su molte cose. Il nostro rapporto non poteva proseguire.
Era calma e controllata, la voce tesa e secca. Poi Roberts gli diede il colpo di grazia.
Per il momento non rilasceremo altre dichiarazioni. Non vogliamo certo infierire sul caro Tony.
A Tony non sfuggì che aveva usato il plurale. Le mani gli tremavano in modo incontrollabile e le strinse a pugno per cercare di placarne il tremore.
Non avrebbe mai dimenticato le parole della giornalista: «E così, anche quella che sembrava la storia d’amore del secolo, quella tra il miliardario Tony Stark e l’affascinante Victoria Johnson, è finita».
Non sentì altro. La mano destra si mosse di sua volontà, afferrò il tostapane sul banco della cucina, lo strappò dalla presa di corrente cui era collegato e lo lanciò. Colpì il televisore al centro esatto dello schermo. Le immagini scomparvero.
Senza dire una parola, Tony uscì dalla cucina e scese nel garage sotterraneo. Happy non osò seguirlo.
Tony pescò una bottiglia di scotch nuova dal mobile bar, ne strappò il sigillo e versò una generosa quantità di liquore in un bicchiere quadrato. Poi sprofondò nella poltrona e cominciò a bere. A sera, quando Pepper si fece coraggio e scese nel seminterrato, la bottiglia vuota giaceva ai suoi piedi e Tony si stava servendo da un’altra, che era vuota per tre quarti.
Pepper rimase a fissarlo per alcuni secondi, finché lui alzò il bicchiere verso di lei.
«Si faccia un goccetto con me, Pepper» biascicò con voce impastata.
«No, grazie» replicò Pepper. «È rimasto qui tutto il giorno?» chiese poi. Lui annuì. «E non ne ha abbastanza di piangersi addosso?» chiese la donna in tono pungente.
Tony bevve un sorso di liquore. «Devo aver perso il mio appeal con le donne. Mi trattate tutte male».
«È lei che si tratta male da solo. Non dia la colpa a me».
Tony si abbandonò sulla poltrona, girando la testa verso di lei. La scrutò per qualche momento, finché lei si sentì a disagio.
«Sicura che non vuole un goccio?» ridacchiò infine.
Pepper girò sui tacchi. «Me ne vado, non sono di alcuna utilità. E lei è soltanto un ubriacone».
Tony fissava torvamente il liquido nel bicchiere. «Ma sì! Se ne vada anche lei! Come quell’altra. L’ha vista?»
Pepper si bloccò ma non si voltò. «Sì, ho visto».
«Ha sentito Christopher? Non faranno altre dichiarazioni, per non infierire su di me. È stato un pensiero carino, non trova anche lei?»
«Mi dispiace molto, Tony. E capisco la sua frustrazione, ma…»
«Frustrazione?» Tony non la lasciò proseguire. «Pepper, la mia non è frustrazione. È rabbia».
Si alzò in piedi e Pepper si chiese come facesse a restarci senza neanche vacillare, considerata la quantità di alcol che aveva in corpo.
«Ma di che mi lamento? In fondo, è solo colpa mia. Le ho permesso di entrare, per la prima volta nella mia vita ho permesso ad una donna di sedurmi. E lei l’ha fatto, oh se l’ha fatto. Mi ha istupidito, togliendomi ogni capacità di giudizio. E poi si è comportata come tutte le altre».
Tony non le aveva mai parlato così. Lavoravano fianco a fianco da anni e avevano un rapporto tutto particolare, ma non sfioravano mai l’ambito personale. Poteva scorgere solo la punta dell’iceberg del dolore di Tony.
«E adesso» proseguì Tony «è andata a fare la puttana di Roberts. Da un miliardario all’altro, chapeau signorina Johnson… anche se il primo che si è portata a letto aveva decisamente più stile».
Sghignazzò e scagliò con violenza il bicchiere, mandandolo a frantumarsi contro il muro. La scia di whisky scorse fino al pavimento.
«Tony, ora deve calmarsi» mormorò Pepper.
«Calmarmi? Sì, forse ha ragione. Ma, in realtà ho voglia di fare qualcosa di inusuale. Che ne dice, invitiamo qualche amico per una festa?»
«Dubito che sia una buona idea».
«Perché no? Facciamo vedere al mondo che Tony Stark se la cava alla grande. Facciamo vedere alla signorina Johnson che stiamo benissimo anche senza di lei».
Pepper si rese conto di non potercela fare da sola. Rhodey era l’unico che poteva far rinsavire Tony. Doveva chiamarlo e farlo venire alla villa al più presto.
«D’accordo» esclamò. «Vado di sopra a chiamare Rhodes, così ci darà una mano con la festa, ok?»
«Splendida idea!» esclamò.
«Mi aspetti qui, ok?» raccomandò.
«E dove vuole che vada? Sono completamente sbronzo» ridacchiò.
Ma non appena Pepper uscì, Tony si fece serio.
«Jarvis» chiamò.
«Sì, signore?»
«Prepara l’armatura, ho voglia di fare un giro».
«Non credo sia prudente nelle sue condizioni».
«E io credo di sì, invece» replicò Tony.
Si rendeva conto che la sua armatura stava diventando un bozzolo, un modo per sfuggire alla realtà ma, a ben pensarci, non gli importava. Mentre la stava indossando, vide Pepper scendere le scale.
«Jay, negale l’accesso» ordinò.
«Accesso negato» informò Jarvis quando Pepper digitò il proprio codice sul tastierino.
La donna alzò gli occhi e lo vide. «Tony, non lo faccia!» gridò, ma lui fece una smorfia e si indicò l’orecchio.
«Mi dispiace, non la sento» mentì.
Calò la maschera sul volto, azionò i razzi e schizzò via.
Come sempre, volare con la sua armatura ebbe un effetto calmante e rasserenante. Era come se i problemi e le preoccupazioni restassero a terra; la concentrazione necessaria a mantenersi in aria e a volare a velocità supersonica faceva sì che la mente dovesse restare sgombra da ogni pensiero.
Senza accorgersene, Tony si trovò a sorvolare la sede Ascam. L’aveva già oltrepassata quando si fermò a mezz’aria, usando i razzi per mantenersi in volo stazionario.
«Potremmo lasciare un ricordino, che ne dici, Jarvis?»
«Signore, devo sconsigliarle di intraprendere qualsiasi azione offensiva».
Tony roteò gli occhi nelle orbite. «Nessuna azione offensiva. Diamo solo una spuntatina agli alberi del giardino».
«Signore, le faccio notare che l’edificio è videosorvegliato».
«Non credo sia un problema. Entra nel sistema a circuito chiuso e disattiva tutte le telecamere. E attiva la nuova modalità silenziosa, vediamo se funziona».
Quando Jarvis confermò che aveva fatto quanto richiesto, Tony sorvolò l’edificio e si calò nel giardino. L’azienda era chiusa perché l’orario di lavoro era finito. C’era un unico ufficio ancora illuminato e, attraverso la grande vetrata, Tony vide che era quello di Roberts che era solo e gli voltava le spalle.
Grazie alla modalità silenziosa, Roberts non si accorse del suo arrivo. Tony era arrabbiato e nello stomaco aveva soltanto whisky, che aveva bevuto sin dalla mattina. Non si rendeva conto di cosa stava facendo mentre piazzava tre cariche esplosive a basso potenziale in altrettanti punti del giardino. Sapeva soltanto che Roberts gli aveva portato via la ragazza e quello che stava attuando gli sembrava il miglior modo per vendicarsi.
In realtà era niente di più di una bravata, un gesto sconsiderato dovuto alla rabbia, alla delusione e al fatto che non aveva assunto altro che superalcolici sin dal mattino.
Una volta che ebbe terminato, risalì in volo e si fermò davanti alla finestra di Roberts. Picchiettò leggermente sul vetro e lo vide alzare la testa. Si girò lentamente e la Montblanc gli cadde di mano quando vide Ironman.
Tony agitò allegramente la mano. «Mandami pure il conto dei danni» esclamò e in quel momento Jarvis fece esplodere gli ordigni. Fecero più caos di quanto si fosse aspettato, sollevando alte colonne di terra e producendo una discreta deflagrazione.
Mentre si allontanava non vide Victoria che, richiamata dall’allarme antincendio che già suonava, si era affacciata dal balcone della sua stanza. Ma lei lo vide, o meglio vide la scia luminosa dei suoi razzi mentre volava via. E sapere di averlo avuto così vicino le diede una sferzata di energia.
Colin entrò nella stanza.
«Signora, dobbiamo evacuare l’edificio».
La condusse fuori, sostenendola. Il pugno con cui Christopher l’aveva colpita le aveva procurato un brutto livido e faticava a stare completamente eretta.
I mezzi dei vigili del fuoco stavano già arrivando e, dopo un lungo sopralluogo, decretarono che gli edifici non erano stati danneggiati dalle esplosioni. Victoria poté tornare nel suo attico, reprimendo un sorriso quando sentì Christopher strepitare perché le telecamere di sorveglianza erano state tutte disattivate e non c’erano prove che fosse stato Ironman a causare quella devastazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sei più tosta di quanto pensassi ***


Era trascorsa una settimana esatta dal suo sconsiderato attacco alla sede Ascam. Mentre si sistemava il papillon, ripensò con un sorriso tirato alla sfuriata che gli aveva fatto Pepper.
Quando era rientrato dal volo notturno, si era tolto l’armatura ed era crollato sul divano del sotterraneo. Lo sfinimento fisico ed emotivo di quei giorni, sommato alla quantità di alcol che aveva ingurgitato, lo avevano vinto e si era addormentato.
Si era svegliato di soprassalto quando qualcuno aveva fracassato la porta di vetro. Aveva girato la testa per vedere Rhodey che, con una mazza da baseball in mano, oltrepassava ciò che restava della porta. Pepper lo seguiva.
Un allarme aveva cominciato a suonare, penetrandogli nel cervello.
«Signore, rilevo una violazione della sicurezza».
«Tutto a posto, Jarvis» disse Tony, sollevandosi a fatica dal divano e soffocando un gemito per la fitta alla testa. «Jay, ti spiace spegnere questo allarme?»
Jarvis aveva obbedito, cavandogli un sospiro di sollievo.
Jim gli aveva puntato contro la mazza. «Stai bene?» aveva chiesto.
«Più o meno».
«Lei non sa nulla dell’attacco alla sede Ascam, vero?» lo aveva aggredito Pepper e Tony aveva alzato le braccia come a proteggersi da un vero e proprio attacco fisico. «Deve essere impazzito. Che cosa pensava di fare?» aveva urlato. Era davvero furibonda e Tony aveva chiuso gli occhi, con espressione sofferente.
«La prego, abbassi la voce». Era reduce da una sbronza epica e la voce di Pepper sembrava aggredire ogni terminazione nervosa del suo cervello.
«Ah, devo abbassare la voce?» era esplosa la donna. «Ha ragione, povero Tony» aveva concluso con sarcasmo. «Jarvis, accendi il televisore».
Molti canali trasmettevano le immagini della sede Ascam assediata da Polizia e vigili del fuoco. Tony aveva ridacchiato, trasalendo per il dolore alla testa.
«Roberts è sempre stato un esibizionista. Guarda quante arie solo per sistemare un giardino».
Il commento aveva fatto infuriare ancora di più Pepper. «Per lei è tutto un gioco, vero? Non ha idea delle conseguenze che derivano da ogni suo gesto».
«Non so di cosa stia parlando, Pepper. Io non c’entro nulla con questa storia».
Tony si era alzato e aveva raggiunto il bar. Aveva scostato con una smorfia la bottiglia di scotch, prendendo un bicchiere e versandosi del succo d’arancia. Sullo schermo del televisore era apparso Roberts.
«Quell’uomo deve essere fermato» stava dicendo e Tony si era voltato, appoggiandosi al bancone e sorseggiando il succo. «Ironman sta diventando una minaccia».
«Idiota» aveva commentato Tony, distogliendo lo sguardo.
«La sta accusando su qualsiasi mezzo di comunicazione, Tony. Dovremmo fare una dichiarazione».
«Nessuna dichiarazione. Non ha prove per quello che sostiene» aveva ribattuto.
«E lei come lo sa?» aveva chiesto Pepper e lui aveva sorriso come un monello.
«Perché ho disattivato le telecamere prima di entrare».
Tony tornò al presente e si infilò la giacca.
Pepper l’aveva infine perdonato, anche se disapprovava in tutto e per tutto quello che aveva fatto. Aveva ragione, ovviamente. Tony non avrebbe dovuto comportarsi in quel modo. Doveva pensare che tanto Tony Stark quanto Ironman erano personaggi pubblici e, come tali, dovevano conservare una certa linea di condotta. Soprattutto Ironman: Tony Stark ne aveva sempre combinate di tutti i colori.
Non c’era stato seguito alle accuse di Roberts. Tutti pensavano che fosse stato effettivamente Ironman a causare i danni nel giardino, ma non c’erano prove e Tony aveva respinto ogni accusa con il giusto sdegno.
Scese al piano di sotto, dove Pepper lo stava aspettando.
«Continuo a pensare che non sia una buona idea» disse.
«Non potrò evitarli per sempre. Sono sobrio, non si preoccupi» disse, facendole l’occhiolino.
Cercava di darsi un contegno, di mostrare un certo distacco. Ma la ferita era ancora aperta e bruciava come se ci avessero versato sopra dell’acido.
Pepper gli sistemò il bavero della giacca e Tony la ringraziò. Poi uscirono, raggiungendo la piattaforma sopraelevata su cui attendeva l’elicottero di Tony. Salirono a bordo mentre le pale cominciavano a muoversi pigramente.
Il volo fu tranquillo e quando raggiunsero il Dolby Theatre, Tony dovette fare la solita sfilata davanti ai fotografi. Quella sera si assegnavano gli Oscar e tempo prima Tony era stato chiamato a consegnare una delle prestigiose statuette. Era un impegno che aveva accettato con gioia, ma che ora che erano cambiate le condizioni, gli pesava incredibilmente.
Ma avrebbe fatto il suo dovere fino in fondo. Fendette la folla salutando i conoscenti, riservando ad alcuni una battuta scherzosa o una pacca sulla spalla. Poi, improvvisamente, la folla gli si aprì davanti e lei era lì.
Prima di partire si era detto che, se anche l’avesse incontrata, era sicuro che non gli avrebbe fatto alcun effetto, ma si sbagliava.
Era bellissima, come sempre. Indossava un abito lungo e lui ricordò che erano i suoi preferiti. Era in nero, stretta in un abito monospalla con un ricamo in bianco sul fianco sinistro e sulla spallina. Quando mosse un passo, lui vide la gamba spuntare da uno spacco vertiginoso.
Era mozzafiato e si chiese come mai, dopo quello che gli aveva fatto, potesse avere ancora quell’effetto su di lui. Era voltata e sorrideva, ma Tony la conosceva bene e si rese conto che qualcosa non andava in quel sorriso. Prima che potesse capire di cosa si trattava, lei parve avvertire il suo sguardo su di sé perché si voltò.
Ciò che successe in seguito non fu in grado di spiegarselo. Vide i suoi occhi verdi illuminarsi e ritornò indietro nel tempo, a quando stavano insieme. A quando lui la svegliava al mattino e quella stessa luce le animava lo sguardo non appena lo riconosceva.
Fu questione di un attimo, poi i suoi occhi si incupirono e fu come se lei avesse calato una maschera sul viso. Ma non si era sbagliato: qualcosa si era mosso dentro di lei quando l’aveva visto. Purtroppo, Roberts si materializzò al suo fianco e la baciò sulla guancia.
Lei abbassò lo sguardo e sorrise, ma ancora una volta c’era qualcosa che strideva in quel sorriso. Poi Christopher lo vide.
«Oh, abbiamo il piacere di avere anche il nostro caro Tony stasera» esclamò, cingendo Victoria con un braccio e attirandola a sé.
Nonostante lei cercasse di mascherarlo, era rigida e tesa. Poteva passare inosservato, ma per Tony era un libro aperto. C’erano piccoli segnali che per lui erano insegne al neon, come il modo che aveva di umettarsi le labbra o di sistemarsi i capelli, e che gli dicevano che era nervosa.
«Buonasera Chris» lo salutò, avvicinandosi alla coppia. «Victoria» la salutò, ma lei non rispose.
«Ti trovo bene» disse Christopher e agli orecchi di tutti suonò quasi come una minaccia.
«Sì, sto bene» mormorò, fissando Victoria negli occhi. Lei distolse lo sguardo.
Sì, qualcosa non andava. Non era possibile che fosse semplicemente a disagio per la sua presenza. C’era qualcos’altro e lui doveva assolutamente scoprire di cosa si trattava, ma Pepper lo venne a chiamare.
«Tony, hanno bisogno di lei».
Tony si scusò e seguì la sua assistente. Ma non poteva smettere di pensare allo strano comportamento di Victoria. Doveva trovare il modo di parlarle. Da solo, senza l’influenza di Roberts.
Tony fu uno dei primi a consegnare l’Oscar e poi sedette in platea accanto a Pepper. La cerimonia fu briosa e piacevole come sempre, ma Tony non riusciva a concentrarsi sulle battute di spirito del presentatore né ad emozionarsi per chi vinceva l’ambito riconoscimento. Continuava a ripensare allo strano comportamento di Victoria.
«Le va di bere qualcosa?» sussurrò ad un certo punto a Pepper che però scosse la testa.
«No, grazie. E non dovrebbe bere nemmeno lei» puntualizzò.
«Che mi venga un colpo se berrò qualcosa di più alcolico di un succo d’arancia» scherzò lui e uscì.
Quando arrivò al bar, riconobbe la cascata di capelli ramati di Victoria. Si stava avvicinando al bancone e lui si guardò rapidamente intorno. Non c’era quasi nessuno e di certo Roberts non era nei paraggi. Era la sua occasione.
Mentre si avvicinava, Victoria attirò l’attenzione del barman. «Un vodka martini sen…»
«Senza olive e con un goccio di succo di lime» finì per lei Tony.
Il barman la guardò con espressione interrogativa e lei annuì. «Sì, è esatto». Poi si girò verso Tony.
«Lui dov’è?» indagò.
«Cosa vuoi?» chiese lei, con più freddezza di quanto fosse necessario, ignorando la sua domanda.
«Ho bisogno di parlarti».
Lei si guardò intorno, come ad accertarsi che Christopher non fosse lì. «Non abbiamo niente da dirci, Tony».
Lui accostò le labbra al suo orecchio. «Dopo un anno che stavamo insieme mi hai lasciato con un videomessaggio. Credo di meritare qualcosa di più».
Victoria abbassò il capo. La vicinanza la turbava: un conto era mantenere la sua facciata con gli estranei, ben altra era dover mentire direttamente a Tony.
«Seguimi» la invitò sottovoce. Victoria prese il bicchiere e lo seguì a distanza. Lui aprì una porta e le fece cenno di entrare. Victoria si guardò di nuovo intorno come se fosse preoccupata di essere vista in sua compagnia e lui non poté fare a meno di chiedersi il motivo.
La seguì all’interno della stanza che si rivelò essere un enorme guardaroba vuoto e chiuse a chiave la porta. Lei era un fascio di nervi, non l’aveva mai vista così.
Tony pensava che, nel momento in cui ce l’avesse avuta davanti avrebbe vomitato su di lei tutto il dolore che provava, ma non fu così. Piuttosto, era preoccupato del suo comportamento. Intuiva che c’era qualcosa che non andava e voleva capire cosa.
«Allora?» chiese Victoria, dato che lui taceva.
«Voglio sapere cos’è successo. Voglio sentire dalla tua voce perché te ne sei andata».
Lei bevve un sorso del cocktail e Tony notò che la mano le tremava. Spostò il peso da un piede all’altro e la vide fare una smorfia.
«Perché non puoi rassegnarti al fatto che sia finita?»
«Perché neanche dodici ore prima di registrare quel messaggio hai detto che mi amavi».
Lei rise, ma c’era una nota falsa in quella risata. «Fingevo, Tony. Sono un’attrice, non scordarlo».
Tony la fissò. «Sì, sei un attrice. Ma quel videomessaggio non è stato di certo la tua migliore interpretazione. E mi sto accorgendo che stai recitando anche ora».
Victoria si umettò le labbra e i suoi occhi saettarono in giro. Era evidente che stava cercando una via d’uscita. Ma perché? La vide posare il bicchiere su un tavolino e restare con il capo voltato, in modo che lui non riusciva a guardarla negli occhi.
L’uomo ammorbidì il tono. «Vicky, devi dirmi cosa sta succedendo. Se ho sbagliato sono pronto a cambiare, ma devi dirmi che cosa c’è che non va. Non avresti dovuto andartene in questo modo, senza prima parlarne con me. Avremmo potuto trovare una soluzione. Ma siamo ancora in tempo».
Lei alzò la testa e lui vide i suoi occhi brillare di lacrime. Ma fu un attimo, tanto che pensò di essersi sbagliato.
«Mi dispiace di averti fatto perdere tempo, Tony. Avrei dovuto accorgermi prima che la nostra relazione non era ciò che stavo cercando».
«Stai mentendo» evidenziò lui con calma.
«Non sto mentendo. Sei tu che non vuoi accettare la realtà» replicò lei. «Abbiamo finito qui» disse poi e fece per uscire, ma doveva passargli accanto per raggiungere la porta. Tony non era disposto a lasciarla andare sicché le si parò davanti e la bloccò.
Victoria finì per sbattergli contro e ansimò: il suo ventre non era ancora guarito dopo il colpo subìto da Roberts. Tony l’abbracciò e la sostenne.
«Tesoro, tutto bene?»
L’aveva chiamata tesoro e la cosa non era sfuggita a nessuno dei due. Victoria si aggrappò a lui per sostenersi e quel contatto fu come una potente scossa elettrica. Alzò il viso verso il suo, così vicino in quel momento. Lo desiderava con un’intensità che era quasi dolore e stava cedendo alla tentazione di baciarlo quando ricordò Violet. Si raddrizzò a fatica, stringendo i denti e mascherando il dolore.
«Sto bene, non è niente. Ora lasciami andare, per favore».
A malincuore, Tony obbedì e la lasciò. Quando lei se ne fu andata rimase a chiedersi cosa fosse successo. Era più che evidente che stava mentendo: emozioni profonde si agitavano dentro di lei, tanto che non era riuscita a mascherarle. Era sempre più convinto che qualcosa non andasse.
In più, era preoccupato per lei. Era un gemito di dolore quello che aveva emesso quando gli era finita addosso. Il pensiero che potesse avere qualche problema di salute lo sconcertava. Victoria era in forma splendida quando l’aveva conosciuta e successivamente ancora di più, visto che si allenavano tutti i giorni nella palestra di villa Stark.
Non c’era risposta alle domande che gli turbinavano nella testa, perciò uscì. Ma più tardi, quando la rivide al braccio di Roberts, si accorse che non teneva la solita impeccabile postura. Era leggermente piegata, come se non riuscisse a stare perfettamente eretta.
Lui e Pepper rientrarono quella notte stessa e mentre la sua assistente se ne andò subito a letto, Tony si versò uno scotch e sedette sul divano. Lo sorseggiò piano, intuendo che quella sarebbe stata un’altra notte insonne: l’incontro con Victoria aveva scatenato una moltitudine di pensieri che si agitavano inquieti nella sua testa come api in un alveare.
Con un sospiro di rassegnazione, lasciò il bicchiere mezzo pieno sul tavolino e scese nel sotterraneo.
«Jarvis, mostrami le immagini satellitari della sede Ascam».
L’ultimo piano dell’enorme edificio era buio, segno che Roberts non era ancora tornato ma mentre osservava, una limousine bianca si infilò nel garage.
«Tempismo perfetto».
Poco dopo le luci si accesero nell’attico che era la residenza di Roberts e Tony ordinò a Jarvis di utilizzare le impronte di calore per spiare cosa succedeva all’interno. Jarvis obbedì, evidenziando le sagome delle guardie del corpo, di Roberts e di Victoria.
La donna si ritirò in una stanza e dai movimenti Tony capì che si stava spogliando, preparandosi per la notte. Ricordava con nitidezza la sera che erano andati alla cena in grigio e lei si era spogliata per lui mentre Brian Adams cantava in sottofondo.
Victoria si stese sul letto e rimase immobile. Con grande sorpresa di Tony, Roberts non la seguì. Entrò invece in un’altra stanza, e si mise a letto.
«Non dormono insieme» concluse Tony.
A quel punto gli interrogativi si moltiplicavano e cercò di ricapitolare la situazione. Victoria lo aveva lasciato con un videomessaggio che gli era sempre sembrato falso e artificiale, come se lei stesse recitando una parte. Era completamente scomparsa per qualche giorno, salvo poi apparire al fianco di Christopher. Aveva dichiarato davanti ai giornalisti che lei e Tony non stavano più insieme, ma di nuovo c’era qualcosa di non naturale nel suo modo di parlare.
C’era poi l’episodio del Dolby Theatre. Quando l’aveva incontrata lei sembrava essere troppo agitata per essere semplicemente imbarazzata dalla sua presenza. E non era riuscita a convincerlo del contrario nemmeno quando avevano parlato insieme.
E ora scopriva che lei e Roberts non dormivano nello stesso letto, nonostante per qualsiasi tabloid facessero ormai coppia fissa. Perché?
Esisteva un solo modo per scoprirlo.
«Jay, l’armatura» ordinò.
Quando fu pronta, volò verso la sede Ascam e quando fu nei pressi dell’edificio attivò la modalità silenziosa. Grazie a Jarvis, sfruttò i punti ciechi delle telecamere e atterrò silenziosamente su quello che sapeva essere il terrazzo della camera di Victoria.
«È sempre sola?» domandò a Jarvis che confermò.
Tony si liberò dell’armatura che rimase aperta. Se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto indossarla in pochi secondi.
Si avvicinò alla portafinestra e picchiettò piano sul vetro. Gli sembrò di essere un ragazzino che scala il portico di casa per entrare di nascosto in camera della fidanzatina. Picchiò di nuovo sul vetro e stavolta Victoria si alzò.
La donna non sapeva cosa l’aveva svegliata, ma quando il rumore si era ripetuto, si era rizzata sul gomito. Aveva visto una sagoma scura fuori dalla finestra e si era alzata di scatto, soffocando un gemito per il dolore che il movimento repentino aveva scatenato. Quando aveva acceso la luce era rimasta paralizzata: Tony era sul suo terrazzo.
Raggiunse la portafinestra scorrevole e la aprì.
«Tony?» disse incredula. «Che diavolo ci fai qui?» sussurrò.
«Se mi fai entrare, te lo spiego».
Fece un passo avanti ma Victoria tese il braccio, impedendogli di passare, e scosse la testa. «Te ne devi andare, subito».
Tony non la ascoltò nemmeno e si chinò per passare sotto il suo braccio.
«A proposito: perché non dormi con Chris?» domandò.
«Non sono affari tuoi» rispose. Poi si voltò a fronteggiarlo. «Pensavo che avessimo chiuso il discorso» sibilò.
«Non credo ad una sola parola di quello che hai detto» replicò lui tranquillo. «Non so cosa ti abbia spinto ad allontanarti da me, ma qualcosa dev’esserci».
«Sì, hai ragione. La cosa è più complicata di quanto abbia dato a vedere, ma il senso non cambia: tra noi due è finita, Tony. Mi dispiace. Ora vattene».
Doveva assolutamente allontanarlo da lì. Non poteva neanche immaginare le conseguenze che avrebbero colpito loro due e Violet se Christopher l’avesse scoperto lì.
«Va bene. Me ne vado. Ma prima devi dirmelo chiaramente e guardandomi negli occhi».
Lei piantò lo sguardo nel suo. «È finita, Tony» ripeté, ma lui scosse la testa.
«No, questa l’ho già sentita. L’hai ripetuto fin troppe volte. Voglio che tu mi dica che non mi ami più. Quello non l’hai mai detto. Dimmelo e scomparirò dalla tua vita».
Victoria esitava e lui incalzò.
«Dimmelo, Vicky. E guardami negli occhi mentre lo fai».
«Io…» cominciò ma non riusciva a proseguire. Era vero: non aveva mai detto che non lo amava più. Non poteva mentire su quello. Ma ora doveva farlo: era l’unico modo per allontanarlo. Per tenere al sicuro lui e Violet. Fece un respiro profondo.
«Io… non ti amo, Tony».
Ma si tradì: non riuscì a mantenere lo sguardo fisso nei suoi occhi e lui capì.
«Lo sapevo!» sbottò e lei gli fece cenno di abbassare la voce. «Erano tutte bugie».
Coprì in due passi la distanza che li separava, le prese il viso fra le mani e la baciò. Tutte le difese che aveva eretto furono spazzate via dalla piena del sentimento che quel bacio scatenò. Si rese conto di aver ceduto e che questo metteva in grande pericolo sua sorella, ma quel momento era troppo dolce per non goderne fino in fondo. Lacrime di dolore e di gioia si mescolarono sul suo viso.
Si aggrappò a Tony, rispondendo al suo bacio. Le mani di lui abbandonarono il suo viso e la chiusero in un abbraccio, ma quando la strinse a sé il dolore la fece trasalire. Lui se ne accorse e interruppe il bacio.
«Tesoro, che succede?»
Lei scosse la testa e lui l’accompagnò al letto. La fece sedere e le si inginocchiò davanti.
«Sei ferita?» chiese.
Victoria lo guardò negli occhi e sollevò la maglietta che indossava.
«Mio Dio» esclamò Tony quando vide il brutto livido sul ventre. «È stato Christopher a farti questo?» domandò, sentendo l’ira montare.
Lei annuì e Tony si alzò. «Lo uccido» disse semplicemente e Victoria capì che se non lo avesse fermato l’avrebbe fatto davvero.
«Aspetta! Ci sono molte cose che non sai. Ti prego, siediti. Lascia che ti spieghi».
Lui represse l’istinto omicida e sedette. Victoria gli prese la mano ma non riusciva a parlare. Dopo un interminabile silenzio, Tony le accarezzò il viso.
«Vicky, che succede? Perché te ne sei andata?»
«Tiene in ostaggio Violet» spiegò. «L’ha fatta rapire e la usa per costringermi a restare qui».
«Perché?» domandò e lei fece un sorriso amaro.
«L’obiettivo sei tu, Tony. Christopher è invidioso di te, di ciò che hai. Lui non ha niente di ciò che tu possiedi: non è un genio, non ha la tua presenza fisica, non ha le tue capacità oratorie e la sua compagnia non ha i contratti delle Stark Industries. Ovviamente non aveva nemmeno una fidanzata come la tua, perciò ha pensato di procurarsela. La cosa avrebbe dovuto farti perdere la testa, farti finire nei guai. Immaginava che avresti fatto qualche gesto stupido, come far saltare in aria il giardino orientale, screditandoti di fronte all’opinione pubblica».
«Non sono stato io» disse, ma lei sorrise.
«Ti ho visto Tony». Poi tornò seria. «Ad ogni modo tu hai reagito con più scaltrezza di quanta si aspettasse. Immagino che sia stato Jarvis a disattivare le telecamere».
«E quel livido? Ti ha picchiata?» chiese con voce terribile.
«È successo la sera che abbiamo partecipato alla festa di beneficenza. Quando siamo rincasati, lui era parecchio su di giri. Si è infilato in questa stanza e mi ha messo le mani addosso».
Tony socchiuse gli occhi e digrignò i denti. «Ti ha violentata?»
«No. Ci ha provato, ma l’ho morso».
L’uomo sollevò un sopracciglio. «Morso?»
«Non potevo permettere che lo facesse. Quell’umiliazione era troppo. Così gli ho morso una spalla e lui mi ha colpita con un pugno. Ma da quel giorno non ha più provato a toccarmi».
Lui le accarezzò il viso. «Sei più tosta di quanto pensassi».
Victoria lo baciò. Un bacio dolce e tenero, che esprimeva voglia di essere rassicurata, desiderio che quell’incubo finisse. Quando si staccarono però, lei tornò alla realtà.
«Adesso devi andare» disse.
«Non senza di te» rispose Tony.
«Se fuggo, farà uccidere Violet».
«Sii seria. Non può essere così pazzo».
«Credi? L’ha fatta torturare, Tony. Solo perché mi sono rifiutata di accoglierlo con un bacio. Cinque frustate che sono stata costretta a guardare in diretta».
Tony si alzò e si avvicinò alla finestra. «Diavolo! È completamente svalvolato».
«Non sottovalutarlo. È pazzo, sì. Ma più sveglio di quanto pensi».
«Se le cose stanno così, non puoi pensare che io ti lasci qui».
Victoria lo raggiunse. «Non mi farà del male, Tony. Lui ha bisogno di ostentare la donna che ha rubato al suo rivale».
«Questo non cambia le cose: non ti voglio più sapere accanto a lui».
«Finché Violet sarà nelle sue mani, non ci sono alternative».
Tony si voltò verso di lei e le posò le mani sulle spalle.
«Per questo troverò Violet».
«Come? Non ho idea di dove sia».
«Dimentichi che il tuo fidanzato oltre che bello, atletico e miliardario è anche un genio. La troverò, la metterò in salvo e poi tornerò a prenderti».
Victoria alzò il viso e di nuovo si baciarono. Ora che Tony l’aveva ritrovata, faticava ancor di più a staccarsi da lei. L’idea che rimanesse nelle mani di Roberts, ora che sapeva la verità su di lui, lo faceva imbestialire. Ma doveva pensare a Violet.
Si staccò da lei e appoggiò la fronte alla sua, restando ad occhi chiusi, immobile.
«Ti amo» mormorò lei. «Mi dispiace per questa situazione, ma lui mi teneva in pugno e non potevo avvisarti».
«Ti amo anche io. Il resto non ha importanza».
Tony la lasciò e uscì sul terrazzo. Indossò l’armatura e poi si volse verso Victoria.
«Non vorrei, ma devo andare. Tu cerca di resistere, ok?»
Lei annuì, ma già sapeva che ora sarebbe stata più dura. Aveva avuto un’ora di luce: tornare al buio sarebbe stato terribile.
«Troverò Violet e tornerò» ripeté.
Victoria gli si avvicinò, lo baciò un’ultima volta e poi lo osservò mentre volava via silenziosamente com’era arrivato.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ecco, questo potrebbe farci un po' male ***


«Sei lento, Jarvis. Troppo lento».
La lamentela di Tony era infondata. La quantità di dati che stava elaborando Jarvis era enorme: si era inserito nel circuito chiuso delle telecamere della sede Ascam e teneva d’occhio ogni movimento, verificando al contempo tutto il traffico telefonico gestito dal cellulare di Roberts nel periodo del rapimento di Victoria. E, ovviamente, gestiva villa Stark con la solita cura.
Ma Tony era impaziente di avere informazioni. Non riusciva a tollerare l’idea di lasciare Victoria nelle mani di Roberts un solo minuto di più e passeggiava nervosamente per il garage, rimproverando senza motivo il povero Ferrovecchio.
«Deve calmarsi, Tony» lo pregò Pepper. «Jarvis sta facendo un lavoro eccellente».
Appena rientrato, Tony era piombato nell’ala della villa riservata a Pepper, tirandola giù dal letto e raccontandole ciò che era successo. Poi entrambi si erano rinchiusi nel sotterraneo, iniziando a stendere un piano.
Ad un certo punto, il computer emise un sonoro bip e Tony si voltò verso il monitor.
«Signore, ho un riscontro. Secondo i dati che ho analizzato, il signor Roberts ha chiamato più volte un numero che rimanda ad una località dell’entroterra».
«Mostramela».
Jarvis evidenziò la località sulle immagini satellitari. Sullo schermo apparve un tratto della Topanga Canyon Road.
«È qui vicino» disse Tony. «Di che approssimazione stiamo parlando nei tuoi calcoli?»
«Un centinaio di metri, signore. Senza una chiamata in corso non posso fare di più».
«Jarvis, passa alle immagini termiche» intervenne Pepper. Jarvis obbedì. «Allarga il campo di ricerca» ordinò la donna.
«Quello cos’è?» domandò Tony, indicando un punto dello schermo. C’era una strada sterrata che partiva dal punto che Jarvis aveva originariamente evidenziato. Si inerpicava su una collina alberata e finiva in un punto immerso nella boscaglia. C’erano diverse impronte di calore in quel punto, segno che c’era una presenza umana.
Tony sfiorò lo schermo che si divise in due: da una parte le normali immagini satellitari, dall’altra quelle termiche. Le prime rivelarono che nel punto in cui erano concentrate le sagome umane c’era una specie di edificio che risultava talmente mimetizzato con la boscaglia da essere quasi invisibile: se non avessero avuto le termiche, probabilmente non sarebbero riusciti ad individuarlo.
«Quanti uomini, Jarvis?»
«Sei uomini e una donna, signore».
Tony tamburellò sul monitor. «Bingo! Sono loro».
«Non le sembrano un po’ troppi uomini per badare ad una ragazzina?»
«Roberts si aspetta dei guai. Ma se crede che Ironman si faccia spaventare da sei uomini, si sbaglia di grosso».
«Deve agire con molta cautela, Tony» raccomandò Pepper. «La salvaguardia di Violet è la priorità assoluta. Forse sarebbe il caso che chiamasse anche Rhodey» disse, ma lui scosse la testa.
«La mia è l’unica armatura silenziata ed è fondamentale mantenere l’elemento sorpresa. E intendo risolvere questa faccenda nel più breve tempo possibile: Victoria non sarà libera finché non lo sarà anche Violet».
«Signore» intervenne Jarvis «rilevo che i sequestratori della signorina Violet sono armati».
«Che tipo di armi, Jay?» chiese.
«Fucili d’assalto M26 e pistole mitragliatrici MAC-11, signore» disse Jarvis dopo qualche secondo.
«Non faranno un gran danno con quei fucili a tappo» prese atto Tony.
«Rilevo anche un lanciamissili RPG-7» concluse Jarvis.
«Ecco, questo potrebbe farci un po’ male. Va bene, cercheremo di evitarlo».
Pepper scosse la testa. «Secondo me la sta prendendo un po’ troppo alla leggera».
La spaventava sempre l’avventatezza con cui Tony affrontava la vita. Lo aveva visto spendere milioni di dollari per un quadro che poi aveva fatto mettere in un magazzino e che aveva voluto solo per fare un dispetto ad un concorrente e allo stesso modo gestiva tutta la sua vita. Da quando poi aveva indossato l’armatura Ironman non teneva in alcun conto la proprio sicurezza personale.
«Suvvia, signorina Potts: dovrebbe avere un po’ più di fiducia nel suo capo».
«E il suo piano quale sarebbe? Piombare su quel rifugio, travolgere ogni resistenza e volare via con Violet?» domandò la donna.
«Qualcosa del genere, sì» replicò Tony. «Non è necessario che lei sappia tutti i dettagli, non voglio che rimanga qui a torcersi le mani tutto il tempo».
Pepper si massaggiò le tempie. «E cosa pensa che accadrà quando Roberts proverà a contattare i rapitori e nessuno risponderà? Victoria potrebbe trovarsi in pericolo»
«Voglio che il dottor Barnes sia qui quando tornerò con Violet. Lei lo aiuterà a prendersi cura della ragazza mentre io andrò a riprendermi la mia donna. Roberts non se ne accorgerà neanche». Poi si rivolse a Jarvis. «La mia armatura», ordinò.
«Faccia le cose con cervello, Tony». Pepper era l’unica che potesse rivolgersi a Stark con quel tono. «Lei ha bisogno di riscattare l’onore di Victoria: il mondo deve sapere che è stata costretta ad andarsene e che ciò che è successo non è stata una sua decisione».
«Cosa suggerisce?» domandò, mentre l’armatura si chiudeva automaticamente attorno al suo corpo.
«Ha bisogno di una confessione: deve far ammettere a Roberts ciò che ha fatto. Così, l’onore di Victoria sarà salvo e quel bastardo finirà in prigione».
Tony trasalì. «Signorina Potts! Mi stupisce sentirla parlare in questi termini».
La donna sorrise. «Victoria è mia amica, oltre che la sua fidanzata. Perciò Roberts deve pagare per il male che ha fatto ad entrambi».
«E pagherà per tutto, mi creda» disse Tony. «Jarvis, ci sei?» chiese poi.
«Al suo servizio, signore».
«Bene. Andiamo».
Jarvis diede potenza ai razzi e Tony si alzò in volo. C’erano poco più di trenta chilometri in linea d’aria per raggiungere Topanga e pochi minuti dopo essere partito da Villa Stark era già in vista dell’incrocio di Topanga Road con Santa Maria Road.
«Jay, modalità silenziosa».
Tony atterrò fra gli alberi e si avvicinò furtivamente al capanno. Non sapeva che ordini avessero i carcerieri in caso di sua comparsa perciò doveva individuare Violet prima di mostrarsi. Come aveva sottolineato Pepper, la salvezza di Violet era la priorità.
«Signore, ci sono due uomini che pattugliano il perimetro» lo avvisò Jarvis.
Si fermò ad una certa distanza per evitare che il bagliore del reattore Arc li mettesse sull’avviso e ordinò al computer di effettuare una scansione. All’interno del suo casco, le immagini gli apparvero davanti agli occhi. Oltre alle due sentinelle, c’erano altri tre uomini che dormivano nel primo locale mentre un quarto sembrava fare la guardia ad una stanza in cui Jarvis rilevò la presenza di Violet. La ragazza era raggomitolata e probabilmente stava dormendo.
«Va bene, Jarvis» mormorò. «Non mi piace l’idea di far fuori queste persone quindi direi di procedere con cautela. Riduciamo al silenzio le due sentinelle, ci introduciamo nella stanza dove tengono Violet e la portiamo via».
«Signore, ho individuato diversi dispositivi GPS. Suggerisco di neutralizzarli prima di tentare qualsiasi azione».
«Ok. Usiamo un impulso elettromagnetico».
«Spegnimento sistema in corso» annunciò Jarvis, mentre la visiera del casco si sollevava.
Per usare l’impulso elettromagnetico, Jarvis doveva necessariamente spegnere il sistema in modo da non restare vittima della sua stessa arma. Il comando era un pulsante posto sul braccio sinistro dell’armatura. Jarvis aprì lo sportellino e si disattivò.
Tony attese qualche secondo e premette il pulsante. Avvertì il deflusso dell’energia dal reattore Arc ma non ci fu altro segno della potente esplosione di energia che si propagò dall’armatura e spense ogni dispositivo elettronico nel raggio di un chilometro quadrato.
«Sono online, signore» segnalò Jarvis. «Dispositivi GPS disattivati».
«Bene, Jarvis. Andiamo a prenderla».
Tony si avvicinò furtivamente alla prima sentinella che stava fumando appoggiata al tronco di un albero. Attese che l’uomo fosse impegnato a scuotere la cenere dalla sigaretta e lo attaccò da dietro. Gli coprì bocca e naso con la mano, usando l’altro braccio per stringerlo attorno al collo. L’uomo si dibatteva, ma Tony lo tenne saldamente finché ogni movimento cessò. Lo abbandonò a terra e si dedicò a mettere fuori gioco il secondo uomo.
 Lo raggiunse in fretta, ma mentre lo stava attaccando questi si voltò, scorse la luce del reattore Arc e alzò l’arma per fare fuoco. Tony lo colpì al braccio con più forza di quanto fosse necessario: voleva soltanto disarmarlo, ma sentì chiaramente lo schiocco dell’osso che si spezzava. La pistola mitragliatrice cadde sul terreno senza aver sparato un colpo che avrebbe messo in allarme i malviventi all’interno dell’edificio.
L’uomo comunque non era finito perché cercò di contrattaccare, usando il braccio sinistro per colpire Ironman. Non aveva possibilità ma rischiava comunque di fargli perdere tempo prezioso, con la possibilità di essere scoperto che diventava ogni secondo più concreta. Tony capì che non poteva andare tanto per il sottile. Afferrò la testa dell’uomo e la spinse verso il basso, mentre sollevava la gamba. Il ginocchio di acciaio dell’armatura colpì l’uomo al centro della fronte, facendolo accasciare come un palloncino sgonfio.
«Te la sei cercata» borbottò Tony lasciandolo cadere a terra. «Jarvis, com’è la situazione?»
«Nessun movimento, signore».
«Bene, mettiamo fuori uso le loro auto».
C’erano due SUV neri parcheggiati da un lato. Tony aprì il cofano di entrambi e immerse le mani nel vano motore, strappando cavi e tubi e rendendo inutilizzabili entrambi i mezzi. Poi si avvicinò all’edificio.
Jarvis lo guidò verso il luogo in cui Violet era prigioniera. L’unico contatto con l’esterno era una minuscola finestrella con le sbarre di ferro a cui lui si affacciò. L’unico arredo della stanza – che era veramente minuscola, meno di due metri per due – era la branda su cui Violet era raggomitolata sotto la coperta.
«Violet» la chiamò, ma la ragazza era addormentata e dovette ripetere il suo nome un paio di volte prima che si sollevasse dal suo giaciglio.
«Tranquilla» si affrettò a dire prima che si mettesse a urlare «sono Tony. Sono venuto a prenderti».
Violet saltò giù dal letto e si avvicinò alla finestra. Tony notò subito che era incatenata al muro e i ceppi che avevano usato le avevano lacerato la pelle sicché il polso destro era incrostato di sangue secco. A Tony si strinse il cuore: Violet aveva appena vent’anni, era poco più di una ragazzina. Pensare di farle del male era qualcosa di talmente astratto che non riusciva a capacitarsene. E poi era così simile a Victoria che gli parve di vedere la sua donna in quelle condizioni.
«Sapevo che saresti venuto a prendermi» mormorò la ragazza, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
«Dobbiamo fare in fretta, piccola» le disse. Violet era vestita di stracci e Tony fu grato a Pepper che gli aveva dato dei vestiti pesanti. Le passò lo zainetto attraverso le sbarre. «Ora indossa questi».
Violet obbedì: infilò i pantaloni e le scarpe ma non poté indossare la felpa perché era ancora incatenata al muro. Poi si affacciò di nuovo.
«Ora devi metterti nell’angolo più lontano e proteggerti meglio che puoi. Io abbatterò il muro e ti farò uscire. Poi dovremo essere velocissimi: il trambusto sveglierà le guardie e non sarà un bel momento. Tutto chiaro?»
Lei annuì e si rintanò nell’angolo, tra la porta e la brandina, tirandosi la coperta sulla testa. Tony si allontanò di qualche passo: Jarvis fece i calcoli e gli indicò il punto esatto in cui colpire per abbattere la parete limitando la distruzione, in modo da non ferire Violet.
Tony sparò una piccola carica esplosiva che colpì il punto che il computer gli aveva indicato. La parete crollò di schianto e alcuni detriti finirono all’interno. Tony si affacciò con il cuore in ansia ma Violet era già in piedi e stava scavalcando le macerie.
L’uomo afferrò la catena fissata al muro e la divelse senza sforzo. Poi tese la mano che Violet afferrò per uscire e la aiutò ad indossare la felpa.
Come previsto, l’esplosione e il crollo avevano attirato l’attenzione del resto dei carcerieri che, stando al riparo di ciò che restava dell’edificio, cominciarono a sparare. Tony protesse Violet con il proprio corpo, ricevendo i colpi sulle spalle dell’armatura.
«Pronta a saltare a bordo?» domandò in tono volutamente leggero quando Violet fu pronta.
Si girò e colpì con una scarica di energia il terreno davanti ai nemici. Protetto dalla fontana di terriccio che si levò, prese in braccio Violet e volò via.
Ora la priorità era arrivare a villa Stark, affidare Violet alle cure di Pepper e del dottore e volare a riprendersi Victoria. Se avesse seguito l’istinto avrebbe immediatamente raggiunto la sede Ascam a velocità supersonica, ma doveva prima pensare a Violet. Così volò a bassa quota e a velocità ridotta, cercando di proteggerla più che poteva dal vento relativo. Dal canto suo, Violet gli stava aggrappata come un cucciolo di koala, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
Fortunatamente la distanza non era molta e quando sorvolò la tenuta vide con sollievo la Mercedes del dottor Barnes parcheggiata davanti alla porta; scese direttamente nel seminterrato.
«Jarvis, trovami Victoria» ordinò. Poi si rivolse a Violet: «Sei a casa, tesoro» mormorò con dolcezza. Lei sollevò il capo e Tony la depose con delicatezza sul divano.
Liberarla dalla catena ancora assicurata al polso destro fu affare di pochi minuti. Poi Tony si inginocchiò accanto al divano.
«Lo sai perché sei stata rapita?» domandò.
Lei annuì. «L’uomo che telefonava… lui ha preso Victoria, vero?»
«Sì. Ha usato te come leva, costringendola ad allontanarsi da me. Ora devo andare da lei perché quando quell’uomo si accorgerà che ti ho portata via potrebbe perdere la testa. Pepper resterà qui con te e il dottor Barnes, va bene?»
«Sbrigati ad andare da lei, Tony» disse semplicemente Violet.
Tony le scostò i capelli dalla fronte. «Sei al sicuro adesso. Nessuno più ti farà del male». Poi si alzò e Pepper prese il suo posto, sedendosi sul bordo del divano.
Tony, sempre con l’armatura addosso, raggiunse il dottor Barnes e lo aggiornò in fretta sulla situazione.
«Signore» lo interruppe Jarvis ad un certo punto «non riesco a trovare la signorina Johnson».
L’uomo si girò di scatto verso il monitor. «Che significa?» chiese, mentre il primo brivido di allarme gli correva lungo la spina dorsale.
«Non è più nell’appartamento di Roberts, signore».
«Trovamela, maledizione» imprecò.
Jarvis iniziò a controllare le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso, mentre Tony si dava dello stupido per non essersi mosso più in fretta.
«Signore» lo chiamò Jarvis.
«Dimmi, Jay».
«C’è una telefonata per lei, signore. Proviene dall’appartamento di Roberts».
 
Victoria rimase ad osservare il cielo finché le scie luminose dei razzi di Ironman scomparvero in lontananza.
Era impressionante quanto quel breve contatto con Tony l’avesse rinvigorita. Ora sapeva che la cosa era nelle sue mani e sapeva che lui avrebbe risolto la situazione, come faceva sempre. Pregò che tornasse presto a riprenderla.
Rientrò e si stese a letto, ma era troppo eccitata per tornare a dormire. Improvvisamente qualcuno bussò alla sua porta.
«Chi è?» chiese perplessa e si alzò, avvicinandosi alla porta.
«Ho bisogno di parlarti» rispose la voce di Christopher.
«Ti ascolto» replicò lei: aprire la porta era un’idea che non le passava nemmeno per la testa.
«Apri questa porta!» sbottò lui seccamente, e il suo tono la allarmò. Fece un passo indietro e in quel momento, lui abbatté la porta con un calcio.
Si precipitò all’interno con tanta foga che la sorprese. L’afferrò per il collo e la spinse indietro, inchiodandola contro la parete.
«È stato qui, vero?» le urlò in faccia.
«Non so di cosa parli» replicò Victoria, annaspando in cerca di aria.
«Non mentire» urlò lui e strinse ancora di più la presa, attirandola a sè. «L’hanno visto volare via da qui e può essere venuto solo per te».
Ciò che Victoria aveva temuto si era infine verificato. Ora Violet era in estremo pericolo e, guardando Christopher negli occhi fiammeggianti di rabbia, ebbe paura anche per sé. L’uomo la lasciò finalmente andare e lei si accasciò a terra, tossendo e tenendosi la gola offesa.
«Colin!» gridò e, mentre attendeva che il suo bodyguard lo raggiungesse, si rivolse di nuovo a lei. «Hai sbagliato i tuoi calcoli, mia cara. Sappi che se non potrò averti io, non ti avrà nemmeno lui».
Colin entrò nella stanza e Roberts indicò Victoria. «Piano B» disse semplicemente e Colin sogghignò. Afferrò la donna per un braccio, tirandola in piedi con tanta forza che sentì la pelle illividirsi nella sua stretta.
«Mi fai male. Lasciami!» gridò lei.
«Sta zitta!» le sibilò in faccia. «Non hai più i privilegi di una fidanzata». Poi la trascinò fuori, seguendo Christopher.
Il trambusto richiamò l’attenzione di Joanna che uscì dalla propria stanza.
«Che succede?» domandò allarmata, stringendosi addosso la vestaglia.
«Non la riguarda» replicò seccamente Christopher. «Torni nella sua stanza».
Victoria finse di incespicare e Colin fu preso alla sprovvista. La donna cadde sulle ginocchia e, come aveva previsto, Joanna si precipitò ad aiutarla.
«Deve avvisare Tony» le sussurrò all’orecchio e, mentre Colin la tirava di nuovo in piedi, cercò di comunicarle con lo sguardo tutta l’urgenza di quella richiesta. Poi Colin la spinse in ascensore.
Joanna intuiva che Victoria era in pericolo e improvvisamente decise che doveva fare qualcosa. Si vestì in fretta e poi scese al piano di sotto, dov’era l’ufficio del signor Roberts.
Lei era una dei pochi ad essere autorizzata all’accesso per le pulizie quindi usò il suo tesserino e si diresse nell’ufficio della segretaria personale di Roberts che a quell’ora non era arrivata. Sapeva che era la segreteria di Roberts che inviava gli inviti per gli eventi organizzati dalla Ascam e la signora Madison era una donna all’antica, che conservava una copia cartacea di tutto.
Joanna raggiunse lo schedario, cercò la lettera S e trovò il fascicolo di Stark. Dentro c’era il numero di telefono della villa che la donna scrisse su un foglietto. Poi rimise tutto in ordine e tornò nell’attico. Non c’era nessuno in giro e lei si chiuse nella sua stanza e compose il numero.
«Residenza Stark» rispose Jarvis.
«Mi chiamo Joanna, chiamo dall’appartamento del signor Christopher Roberts. Sono la cameriera personale della signorina Johnson e ho importanti informazioni per il signor Stark».
«Rimanga in linea» disse Jarvis e passò la telefonata nel seminterrato.
«C’è una telefonata per lei, signore. Proviene dall’appartamento di Roberts», annunciò. «È una donna di nome Joanna che dice di avere informazioni sulla signorina Johnson».
«Stark» abbaiò Tony e una voce sconosciuta rispose dell’altro capo.
«Signor Stark, mi chiamo Joanna e sono la cameriera personale della signorina Johnson…» cominciò ma Tony, impaziente, la interruppe.
«Jarvis mi ha detto che ha informazioni riguardo a Victoria» tagliò corto.
«Sì, signore. È in pericolo… lui l’ha presa» disse la donna in tono concitato. Il cuore di Tony perse un battito, ma si impose di restare calmo. Doveva capire bene cos’era successo.
«D’accordo, Joanna. Ora si calmi e mi spieghi tutto. Intanto, Victoria sta bene?»
«Sì, sta bene, al momento» rispose la donna e Tony sospirò di sollievo.
«Chi l’ha presa?» domandò.
Joanna gli raccontò che Victoria era stata portata via da Colin, lo scagnozzo di Roberts. «C’è stato trambusto e confusione e la signorina mi ha sussurrato di cercare di avvisarla anche se, glielo dico sinceramente, l’avrei fatto anche se non mi avesse detto nulla».
«Quando è successo?»
Joanna sbirciò il piccolo orologio che aveva al polso. «Circa un quarto d’ora fa» disse.
Proprio in quel momento, Jarvis attirò la sua attenzione.
«Signore, ho trovato la signorina Johnson».
«Mostramela» disse e poi si rivolse a Joanna. «Ok, Joanna. Grazie di tutto, è stata preziosissima. Ora ci penso io».
«Stia attento, signor Stark. Quell’uomo è impazzito».
Tony la ringraziò di nuovo e tolse la comunicazione, mentre Jarvis mandava le immagini sul monitor virtuale. Vide comparire Victoria: aveva le braccia legate dietro la schiena e seguiva Christopher. L’altro uomo, quello che doveva essere Colin, camminava dietro di lei.
Improvvisamente e senza alcun motivo, Colin la spinse con violenza, tanto che la donna vacillò e quasi cadde. La vide rivoltarsi contro di lui e sibilargli qualcosa. Colin le rise in faccia e la colpì con un potente schiaffo. La pelle dello zigomo si lacerò e Tony vide una brillante goccia di sangue sprizzare dalla ferita.
Un velo rosso calò davanti ai suoi occhi e osservò bene la faccia di Colin, per imprimersela nella mente, giurando a se stesso che l’avrebbe ucciso per aver osato alzare le mani su Victoria. Roberts aprì una porta e si scansò, mentre Colin spingeva avanti Victoria. Poi entrò anche Christopher e la porta si chiuse dietro di loro.
«Li ho persi, signore. La stanza in cui sono entrati è schermata e il satellite non riesce a penetrare».
«Va bene» prese atto Tony. «Ho aspettato anche troppo. Adesso vado a riprendermela».
Abbassò la maschera sul volto e volò via. Raggiungere Los Angeles a velocità supersonica fu affare di pochi istanti e Tony atterrò nel giardino che aveva devastato solo pochi giorni prima. Stavolta non si preoccupò di attivare la modalità silenziosa: voleva che sapessero che stava arrivando a riprendersi ciò che gli apparteneva.
Roberts doveva aver avvisato le sue guardie perché non appena Tony atterrò aprirono il fuoco. Ma avevano armi convenzionali che lasciarono solo qualche ammaccatura sulla sua armatura di oro titanio. L’unico risultato che ottennero fu quello di farlo infuriare ancora di più.
C’era un solo pensiero nella sua testa: ritrovare Victoria. Solo quello contava e non aveva tempo di andare tanto per il sottile. Perciò rispose al fuoco. Uno degli uomini fu colpito e rimase a terra. Jarvis registrò che il colpo non era mortale.
Si avvicinò alle grandi vetrate e le abbatté con un’esplosione di energia dai repulsori. Scavalcò i resti e, calpestando i vetri infranti, entrò nella struttura. Intorno a lui, gli allarmi cominciarono a suonare.
Jarvis gli proiettò le immagini nel casco, indicandogli il percorso per raggiungere la stanza in cui Victoria era tenuta prigioniera. Tony raggiunse in fretta il corridoio che poco prima Victoria aveva percorso e si fermò davanti alla massiccia porta chiusa.
Tony alzò il braccio e usò di nuovo i repulsori. Ma non fu sufficiente: sulla porta di acciaio si formò una profonda ammaccatura, ma i cardini resistettero. L’uomo sbirciò l’indicatore dell’energia residua che, dopo il recupero di Violet, era al settantacinque percento.
«Energia al reattore toracico, Jarvis» ordinò. Jarvis spense i repulsori sui guanti e ogni altro dispositivo.
Una potente scarica di energia venne prodotta dal piccolo reattore e colpì in pieno la porta che si accartocciò. L’indicatore dell’energia scese decisamente.
«Energia al quaranta percento, signore» segnalò Jarvis.
«Lo vedo» prese atto Tony.
Afferrò i resti della porta e la strappò via. L’interno era completamente buio e Tony avanzò con cautela. All’improvviso un potente riflettore si accese e gli puntò contro, accecandolo, tanto che lui alzò d’istinto il braccio per proteggersi gli occhi.
«Resta fermo dove sei, Tony» disse qualcuno nel buio, e lui riconobbe la voce di Christopher.
Jarvis regolò in fretta la luminosità all’interno del casco e Tony abbassò il braccio.
«Lei dov’è?» domandò.
«Non è lontana. Ma fa attenzione perché la sua sopravvivenza dipende da quanto farai tu nei prossimi minuti».
«La prima cosa che ho intenzione di fare è strapparti il cuore dal petto, come tu hai fatto con me» replicò Tony.
Roberts ridacchiò.
«Senti un po’» disse Tony ad un certo punto «che ne dici di scendere e farti vedere?»
«Mio caro Tony! Possibile che tu non mi conosca ancora? Sai quanto amo le entrate ad effetto» rispose.
Un secondo riflettore si accese e Tony la vide. Era a una decina di metri da lui, incatenata ad una struttura di acciaio. Indossava una canottiera e un paio di pantaloncini bianchi. Sembrava sana e salva, a parte la ferita al volto che comunque aveva già smesso di sanguinare.
Lei alzò la testa e sussultò. «Tony» sussurrò e cercò di muoversi, ma le catene la trattenevano. Tony notò solo in quel momento la flebo che pendeva sulla sua testa e i sottili tubi di gomma che scendevano e si infilavano nel suo braccio destro.
«Che le stai facendo, bastardo?» gridò Tony e si slanciò verso di lei.
«Resta immobile, Tony». Quattro puntini rossi comparvero sul corpo di Victoria: uno su un lato della testa, l’altro sul petto e altri due sul ventre. «O questa storia finirà prima di quanto pensiamo». Tony si bloccò. Sapeva che erano laser di puntamento, segnali di armi che erano puntate contro Victoria. Jarvis individuò altri tre laser dietro di lei.
«Che cosa le stai facendo?» ripeté Tony, stringendo i pugni.
«Togli l’armatura e te lo dirò».
Togliere l’armatura avrebbe messo in pericolo se stesso ma soprattutto lei. Se le cose fossero precipitate, l’unico che poteva aiutarla era Ironman: Tony Stark avrebbe potuto fare ben poco.
«Non farlo». Anche Victoria doveva aver avuto la sua stessa intuizione. «Mi ucciderà comunque» mormorò, così piano che lui la sentì solo grazie al sofisticato sistema audio di Jarvis. Si sarebbe accasciata se le catene non l’avessero trattenuta. Qualsiasi cosa le stessero somministrando, doveva essere quella la causa del suo malessere.
«Apri, Jay» ordinò e uscì dall’armatura, sentendosi subito vulnerabile.
«Qualche passo di lato, se non ti dispiace».
Tony obbedì.
«Bene, ora va meglio» approvò Roberts e finalmente si decise a farsi vedere, entrando nel cerchio di luce.
«Ti prego, lasciala andare» supplicò Tony. «Lei non c’entra».
«Lei c’entra eccome, caro Tony. Poi ti spiegherò perché. Ma ora dobbiamo parlare di affari». Christopher prese a camminare avanti e indietro, tra lui e Victoria, sicché per seguirlo con lo sguardo continuava a vederla sullo sfondo.
«Tu hai qualcosa che mi interessa, Anthony».
«Ti darò tutto quello che vuoi, Christopher. Ma lascia andare Victoria, per l’amor di Dio».
«Devi essere meno ansioso, Tony. Ti farai venire un’ulcera». Christopher lo teneva in pugno e si godeva il momento. Poi si fece mortalmente serio. «Voglio che rinunci al contratto con il Pentagono. La fornitura degli armamenti agli Stati Uniti d’America dovrà passare in esclusiva alla Ascam»
Victoria ebbe uno spasimo e alzò lo sguardo verso di lui.
«Accetto».
Tony era disperato. Roberts era completamente pazzo, su questo non c’erano dubbi. Ovviamente Tony poteva accettare qualsiasi cosa gli dicesse: sapeva che Jarvis stava registrando tutto e nessuno avrebbe mai potuto convalidare qualcosa che era stato ottenuto con tale coercizione. Ma doveva assolutamente trovare un modo per arrivare a Victoria prima che fosse troppo tardi.
«Voglio che tu chiuda le tue fabbriche, Tony. Non solo quelle di armamenti, ma anche quelle del settore energia rinnovabile e ogni altra sezione che porti il tuo nome» proseguì.
«Accetto» disse di nuovo e Roberts fermò la sua passeggiata e sorrise.
«Non mi accontenterò dei tuoi “accetto”. Dovrai firmare dei documenti in presenza di testimoni che convalideranno le tue decisioni».
«Te lo ripeto: farò qualsiasi cosa mi chiederai. Dammi subito questi documenti da firmare, così poi potrò portare via Victoria».
«Già!» replicò l’altro, girandosi verso di lei. «Victoria».
Tornò a guardare Tony. «Vedi quei puntini rossi, Tony? Ci sono sette fucili puntati su di lei, tutti caricati con proiettili ad espansione. Da quella distanza, la taglieranno in due. Se solo provi a toccarmi, o ad avvicinarti a lei, o a disattivare uno di quei fucili, lei morirà».
«E quella flebo?» domandò. «Cos’è? Cosa le stai facendo?»
«Se provi uno solo dei tuoi giochetti» continuò Roberts come se non lo avesse neanche sentito, «quei sette fucili spareranno, e sarà sayonara alla cara Victoria».
«D’accordo. Fammi firmare quello che devo firmare e disattiva questa cosa».
Roberts sogghignò e fece un passo indietro. «Temo che non sia così semplice, Tony».
Tony non ci aveva mai creduto fino in fondo, ma quell’affermazione fu comunque una mazzata. Christopher fece un altro passo indietro e Tony lo seguì, non fosse altro per cercare di avvicinarsi alla sua armatura.
«Sai, l’obiettivo di questa cosa è sempre stato quello di darti una lezione, Tony. Adesso capirai che nonostante tu abbia tutto, non puoi salvarla. Tutto il tuo genio non ti servirà a nulla e dovrai restare qui a guardarla morire».
Victoria gemette e improvvisamente inarcò la schiena. Le catene si tesero, trattenendola contro la struttura a cui era legata.
«Oh, è cominciata» disse Christopher, sbirciando l’orologio. «Dopo soli trentadue minuti. Pensavo avrebbe resistito di più». Poi alzò lo sguardo verso Tony. «È stricnina, Tony. Gliel’abbiamo iniettata poco prima che tu sfondassi la porta per entrare qui».
Tony sapeva che quel veleno agiva come un potente eccitante del sistema nervoso centrale, causando il blocco di particolari terminazioni nervose cosicché ogni stimolo genera convulsioni. La morte sopravveniva per blocco respiratorio e, se Victoria era già preda degli spasmi, era piuttosto avanti nella crisi.
Quando lo spasmo cessò, la donna ricadde inerte. Tony si accorse che il respiro era affannoso: già stava faticando per espandere il torace e costringere i polmoni a riempirsi di ossigeno.
«Signore» lo avvertì Jarvis nell’auricolare «il colonnello Rhodes è in arrivo con la Mark II. Ha un piano, signore».
«Sei completamente fuori di testa, Christopher» disse Tony, facendo un altro mezzo passo verso la sua armatura, mentre Roberts scoppiava in una risata sguaiata.
«Credimi, mi dispiace per lei. Avrebbe potuto sopravvivere, se solo avesse scelto me». Roberts ricominciò con i suoi vaneggiamenti, ma Tony lo ascoltava a metà. Era più attento a Rhodey che gli stava esponendo il suo piano nell’auricolare e a cercare di recuperare la sua armatura. Da quella dipendeva tutto.
Era un rischio tremendo, ma Victoria non aveva comunque scampo. Le lanciò un’occhiata e in quel momento i muscoli si contrassero di nuovo. La donna gridò mentre le catene le affondavano nella carne, e continuò a urlare finché il parossismo cessò.
«Ti prego» disse Tony. «Lascia che vada da lei. Lasciala vivere».
Roberts scosse la testa. «Mi dispiace, Anthony. Ora anche tu capirai cosa vuol dire…» ma non terminò la frase.
Rhodes entrò nella sala a velocità supersonica e lo colpì al petto come un ariete. Tony non rimase a guardare: si infilò nell’armatura che si chiuse immediatamente. Jarvis diede subito potenza e Tony volò da Victoria come un fulmine.
Liberatosi di Christopher, Rhodes converse dall’altro lato. Il tutto si svolse in frazioni di secondo e i due fecero appena in tempo a formare un cerchio difensivo attorno a Victoria prima che le armi cominciassero a sparare.
Victoria sollevò il capo. Ogni respiro le costava un grosso sforzo, mentre la paralisi le bloccava progressivamente i muscoli.
«Tony» biascicò, ma la sua voce era flebile e stentata e gli spari la coprirono quasi del tutto.
«Tranquilla, sono qui. Ci penso io adesso. Andrà tutto bene».
La riempiva di rassicurazioni mentre con delicatezza le toglieva l’ago della flebo dal braccio.
«Tony, vuoi sbrigarti?» chiese Rhodes con sarcasmo. «Avrei un altro impegno nel pomeriggio».
«Anche io, credimi!» replicò Tony. Strappò senza sforzo le catene che la tenevano legata e la sostenne quando gli si accasciò fra le braccia. Si rannicchiò su di lei per proteggerla e spiccò il volo, seguito da Rhodes.
Gli spasmi ormai erano continui. Tony uscì in fretta dalla sede Ascam e volò verso l’ospedale. Non poteva volare troppo alto né troppo forte: Victoria avrebbe fatto ancora più fatica a respirare. Perciò la tenne stretta senza costringerla troppo e, per la prima volta da quando erano morti i suoi genitori, pregò.
Pregò di arrivare in tempo in ospedale. Pregò che la stricnina che le avevano iniettato non fosse una dose letale. Pregò di avere un’altra possibilità con lei, giurando a se stesso che non l’avrebbe mai più lasciata sola. Pregò perché lei sopravvivesse perché l’amava, più di ogni altra cosa al mondo, e non era giusto che gli venisse portata via in quel modo. Pregò…
«Tony» lo chiamò.
«Non parlare, amore» rispose. «Conserva il fiato».
Ma sentiva che era allo stremo. I suoi respiri erano rantoli brevi e superficiali.
«La saturazione è scesa a ottantanove, signore» lo informò Jarvis e lui accelerò un po’. Rischiava di non arrivare in tempo.
Finalmente scorse le luci dell’ospedale. Fortunatamente Jarvis li aveva avvertiti del loro arrivo spiegando che Victoria era stata avvelenata con la stricnina e un capannello di medici li stava aspettando. Tony depose la donna sulla barella con delicatezza e la affidò alle mani dei dottori. Poi tolse l’armatura e li seguì all’interno.
A Victoria fu subito dato ossigeno e Tony fu costretto ad attendere. Su una cosa Roberts aveva ragione: tutto il suo genio non gli serviva a nulla in quel frangente. Non poteva fare altro che attendere e pregare. E lo fece, seduto su una dura panca della sala d’attesa, insieme ad un corollario di umanità affranta e preoccupata.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Epilogo - Non doveva andare così ***


Victoria andò di persona ad accogliere il dottor Barnes.
«Buongiorno, dottore» lo salutò.
Era in ansia da quella mattina, quando lui l’aveva chiamata chiedendole se poteva passare con gli esiti dei suoi esami. Anzi, a ben pensarci era in ansia da una settimana, da quell’inatteso svenimento.
Erano passati ormai cinque mesi e la donna si era ripresa completamente dall’avvelenamento da stricnina. In ospedale le avevano subito somministrato la benzodiazepina che aveva contrastato con successo gli effetti del veleno. Era stata presa appena in tempo e il veleno non aveva lasciato conseguenze.
Dopo una decina di giorni di ospedale, Victoria era stata dimessa ed era tornata a stare con Tony anche se per la ripresa completa c’era voluto molto di più. Comunque, la tranquillità di villa Stark e l’amore di Tony erano stati un’ottima medicina e Victoria era da poco ritornata in teatro.
Il clamore suscitato da quella storia aveva riempito le pagine dei giornali per diverse settimane. Tony aveva immediatamente fatto una dichiarazione nella quale aveva spiegato i motivi per cui Victoria si era allontanata da lui. Non aveva affatto cercato di minimizzare il ruolo che Christopher Roberts aveva avuto nella faccenda, non mancando di consegnare alle autorità competenti i filmati che Jarvis aveva registrato.
Attualmente, Roberts si trovava in carcere, in attesa di processo. Era stato provato che era affetto da gravi disturbi mentali e Victoria non l’aveva più rivisto da allora né sarebbe più entrata in contatto con lui. Il tutto grazie all’influenza del suo fidanzato che aveva ottenuto che Victoria non dovesse essere presente al processo.
Victoria era tornata al lavoro da due settimane, nonostante le proteste di Tony che aveva ceduto solo quando la donna aveva acconsentito che due guardie del corpo la seguissero costantemente.
Aveva pensato che, dopo il suo forzato allentamento dalle scene, sarebbe stato difficile trovare di nuovo qualcuno disposto ad ammetterla nel proprio spettacolo. Non avrebbe potuto sbagliare di più. I fatti recenti assicuravano un’ottima pubblicità a qualsiasi spettacolo a cui lei avesse preso parte e due giorni prima aveva sostenuto l’ennesimo provino. Aveva finito e stava tornando alla macchina con Gary e Brian quando aveva avuto un mancamento.
Gary era stato velocissimo a prenderla fra le braccia prima che cadesse. Si era trattato solo di un leggero malessere e la donna, disdegnando di andare in ospedale, si era fatta portare dal dottor Barnes. Non voleva che alla cosa fosse dato troppo risalto e pregò le sue guardie del corpo e il dottore di non raccontare nulla a Tony.
Dopo ciò che era successo era iperprotettivo e avrebbe finito per preoccuparsi tanto per quello che sicuramente era un semplice malessere dovuto alla stanchezza e allo stress.
Ora accolse il dottor Barnes e lo invitò a sedersi. Tony era nel seminterrato ma Victoria aveva pregato Jarvis di non dirgli che il dottore stava arrivando. Voleva prima capire di cosa si trattava.
«Posso offrirle qualcosa da bere, dottore?» chiese, ma l’uomo scosse la testa.
«Sono soltanto di passaggio, Victoria. Ma preferivo venire a dirle di persona gli esiti degli esami che abbiamo fatto l’altro ieri».
«Qualcosa non va, dottore? Qualche conseguenza del veleno?» domandò preoccupata e Barnes scosse la testa, sorridendo.
«No, mia cara. Direi che si è ristabilita completamente».
«Allora si è trattato solo di un po’ di stress?» chiese, vagamente irritata: ma perché non veniva al sodo e non le diceva di cosa si trattava, senza farla stare in ansia?
«Direi che c’è qualcosa di più». Fece una pausa, come un prestigiatore che voglia far salire la suspense. «Lei è incinta, Victoria».
La donna sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta. Incinta? Com’era possibile?
A ben pensarci, era possibilissimo. Anzi, era strano che non fosse accaduto prima. Certo, dopo la brutta esperienza che aveva vissuto, Tony l’aveva trattata come una bambola di porcellana per diverse settimane, come se temesse di romperla. Ma da un paio di mesi la loro vita intima era ripresa come prima dell’incidente. Istintivamente sfiorò il ventre con la mano.
«Di quanto?» chiese, con voce che suonò strana ai suoi stessi orecchi.
«Quattro settimane, circa».
Sì, era leggermente in ritardo, ma dopo l’avvelenamento il suo ciclo non si era ancora regolarizzato e non ci aveva fatto caso. Il fatto di essere incinta non le aveva mai nemmeno sfiorato la mente.
Barnes notò la sua espressione: «Sembra sconvolta, Victoria» disse preoccupato e la donna si riscosse.
«No. È solo che non me l’aspettavo. Non era previsto, ecco».
No, decisamente non era previsto. E all’improvviso ebbe paura della reazione di Tony. Non avevano mai parlato di matrimonio, men che meno di figli. E ora c’era un bambino in viaggio. Il loro bambino. Victoria sorrise fra sé.
Barnes guardò l’orologio. «Ora devo andare, Victoria. E immagino che lei sarà impaziente di dirlo a Tony».
«Sì, certo. La ringrazio, dottor Barnes».
L’uomo si avviò verso la porta e uscì. Le fece di nuovo le congratulazioni e se ne andò a bordo della sua Mercedes, lasciando Victoria alle prese con uno spinoso problema.
«Oh beh» mormorò fra sé. «Non c’è un modo semplice».
Poteva scendere nel seminterrato dove Tony stava sicuramente armeggiando sull’ultimo modello di armatura, ma ragionò che là sotto c’erano troppi oggetti con cui Tony avrebbe potuto farsi male, in caso la notizia l’avesse sconvolto un po’ troppo.
Così lo chiamò con l’interfono.
«Tesoro, puoi salire un momento, per favore?»
«Arrivo» rispose lui. E due minuti più tardi saliva le scale, mentre il cuore le martellava nel petto come un cavallo al galoppo.
Lui la baciò sulle labbra come se non la vedesse da settimane e poi la scrutò per qualche istante. Era talmente sintonizzato su di lei che si accorse subito che era preda di una forte emozione.
«Che succede?» domandò, inarcando un sopracciglio.
Victoria lo prese per mano e lo trascinò fino al divano, dove sedettero entrambi.
«Tony, dobbiamo parlare».
«Se stai per dirmi che vuoi lasciarmi per un altro cretino, sappi che…» ma Victoria non lo fece proseguire, posandogli la mano sulle labbra.
«È una cosa seria» disse e lui le baciò le dita.
«Ti ascolto».
«Però devi promettermi che non scapperai a nasconderti dentro una delle tue armature».
Tony sbuffò. «L’ho fatto una volta ed ero ubriaco fradicio. Mi trovi davvero così instabile?»
Victoria esitò. Come poteva dirglielo così brutalmente? Tony… sono incinta. Certo, era vero che non poteva avere un infarto, grazie al reattore che gli brillava al centro del petto, però…
Decise di prenderla alla larga.
«Sai, Tony: credo che avremo bisogno di una stanza in più, al piano di sopra».
«Sei diventata così pigra che vuoi una cucina anche al piano di sopra?»
«Non scherzare! Ti ho detto che è una cosa seria».
Tony si strinse nelle spalle. «Hai ragione, ci avevo pensato anche io» proruppe poi.
Victoria aggrottò le sopracciglia.
«Sì, è da un po’ che ci penso. La sauna e il bagno turco sarebbero comodi anche di sopra».
La donna scosse la testa, chiudendo gli occhi.
«No, Tony. Non parlo di una sauna»
«La smetti di parlare per enigmi? Dimmi cosa ci vuoi in questa stanza e l’avrai».
Il tipico atteggiamento alla Tony Stark.
«Vedi, Tony: c’è una cosa che non potrà assolutamente mancare in questa stanza».
«Sarebbe?»
«Una culla».
«Tutto qui?» chiese lui. «E che problema vuoi che ci sia? Anche se non vedo l’utilità di…»
Victoria fu acutamente consapevole del momento in cui lui si rese conto di quello che significava. Vide mille emozioni agitarsi nei suoi occhi nocciola. Vide il suo sguardo posarsi sul suo ventre. Lo vide, forse per la prima volta da quando lo conosceva, restare senza parole.
Poi lui pronunciò una sola parola. «No».
Il mondo di Victoria tremò. Certo, quel bambino non era una cosa programmata, ma aveva pensato che lui ne sarebbe stato contento almeno quanto lei. Ma ora, quella parola, aveva mandato tutto in frantumi.
Eppure, c’era qualcosa che strideva. Tony stava sorridendo e scuoteva la testa.
«No» ripeté, «non doveva andare così».
Si alzò in piedi e Victoria pensò che sarebbe scappato a nascondersi dietro la sua seconda identità. Lui però si chinò su di lei. «Aspetta qui» disse e infilò la scala che portava al piano di sopra, salendo i gradini a due a due.
Tornò pochi secondi dopo, le prese delicatamente le mani e la fece alzare. Adesso era lui quello emozionato e Victoria non ne capì il perché finché lui non posò un ginocchio a terra davanti a lei.
«Ora, ti prego, non parlare» esordì. «Avrei dovuto farlo prima» disse poi.
Chinò il capo, fece un profondo respiro e alzò la testa, fissando lo sguardo nelle verdi profondità degli occhi di lei.
«Anche se è stata dura ammetterlo, mi sono innamorato di te la prima volta che ti ho vista. Era come se sapessi con certezza che era te che avevo aspettato fino a quel momento. E in quei tre mesi di prigionia in Afghanistan, c’era il tuo viso davanti ai miei occhi in ogni momento, eri tu che mi sostenevi».
Victoria sentì una lacrima scenderle sul viso.
«Ho lottato per tornare da te. E quando sono sceso da quel C17, sapevo con certezza che niente avrebbe potuto separarci. Quello era il momento giusto, ma mi sono lasciato prendere dal panico. Improvvisamente, avevo paura che tu dicessi di no. E ho taciuto».
Victoria scosse la testa e si asciugò le lacrime con la mano.
«Avrei dovuto chiedertelo allora, ma sono stato codardo. E ho rischiato di perderti, di nuovo. Non voglio più che accada, Victoria. Voglio che tu sia mia, in ogni modo possibile. Anche questo» concluse, prendendo una scatolina di velluto blu dalla tasca dei pantaloni.
La aprì e prese l’anello, uno splendido solitario di Damiani, incastonato su una delicata montatura di platino. Era un diamante di straordinaria purezza e sfavillò di tutti i colori dell’arcobaleno quando la luce del sole lo colpì. Tony l’aveva comprato un paio di mesi prima, quando erano stati insieme in Italia.
Glielo infilò all’anulare sinistro e la fissò per un lungo momento.
«Vuole sposarmi, signorina Johnson?»
La donna si inginocchiò davanti a lui.
«Mille volte sì, signor Stark» proruppe, e lo baciò.
Fu un bacio lungo e tenero e quando si staccarono rimasero abbracciati, a sfiorarsi il naso con il naso, ad occhi chiusi.
«Non posso crederci» disse lui ad un certo punto. «Ieri progettavo un modo per portarti a letto facendoti pensare che fosse una tua idea, oggi ti ho chiesto di sposarmi e domani diventerò padre».
«La cosa ti spaventa?» chiese la donna.
Lui sogghignò. «L’unica cosa che mi spaventa è dover passare la luna di miele a cambiare pannolini a nostro figlio. Perciò sarà il caso che ci sbrighiamo con questo matrimonio!»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2309321