A different tale

di Nayrin Baudelaire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


A different tale
Are you strong enough to stand?
Protecting both your heart and mine?

Who is the betrayer?
Who's the killer in the crowd?
The one who creeps in corridors
And doesn't make a sound

Heavy in your arms, Florance and the Machine

 
 
La pioggia scendeva inesorabile e ghiacciata su Approdo del Re. Era sottile ed intensa, colma di tutte le lacrime che lady Katrina Baratheon avrebbe potuto versate se non fosse stata troppo orgogliosa per farlo. Invece si limitava ad osservare la pioggia cadere senza guardarla davvero, persa in quei pensieri che erano scaturiti dalla lettura della missiva di sua madre. Le sue mani candide e signorili, posate sulla gonna ampia del suo abito azzurrino, la stringevano ancora tremanti e inquiete. Pensieri sconnessi le attraversavano la mente e ricordi di tempi passati e felici le ritornavano alla memoria, imprimendo una stilettata di gelida colpa dritta nel suo petto. Non poteva essere accaduto davvero. Non poteva. Chinò gli occhi celesti come il mare della sua casa e lesse quelle poche, lapidarie frasi con le quali sua madre, la bellissima Lady di Capo Tempesta, le aveva comunicato della morte di una delle persone a lei più care.

Figliola,
mi spiace comunicartelo in questo modo, ma devo prima che le voci ti raggiungano. Tuo padre è spirato questa mattina a causa di un incidente di caccia. Purtroppo il maestro non ha potuto far nulla per aiutarlo se non somministrargli il latte di papavero per agevolare la sua dipartita.
Tua madre,
Lady Cersei Lannister.

Quelle brevi e fredde parole le avevano stretto il cuore in una morsa che difficilmente si sarebbe potuta sciogliere. Suo padre era morto e lei, lei che era la sua bambina speciale, non era stata lì ad assisterlo, a sentire le sue ultime parole. No. Lei era ad Approdo del Re, alla corte felice di Rhaegar il Giusto e di sua moglie, la bella e affascinante Lyanna Stark. Era la dama di compagnia della principessa Rhaenys, luminosa quanto il Sole di Dorne. Invece di essere con lui, era nella ridente capitale dei Sette Regni, fantasticando sul proprio futuro, lontano dagli affetti. Si domandava se i bambini, se Tom, Cella e Shireen, stessero bene. Se Joffrey avesse perlomeno chinato lo sguardo alla notizia, ma sapeva bene quanto odio circondasse suo padre. Quanta ipocrisia e quanta noncuranza soffocassero Capo Tempesta.

Incidente di caccia. E chi era l’animale che aveva ucciso il cervo? Forse il leone?

Quel pensiero le creò uno squarciò all’interno del cuore. L’odio che sua madre nutriva per Stannis Baratheon era evidente e Katrina poteva immaginare cosa fosse avvenuto a casa sua.
Qualcuno bussò alla porta e Katrina si ricordò che quello era il giorno delle udienze nella sala del trono. Il re avrebbe giudicato le cause dei cittadini ed era stata richiesta anche la sua presenza come dama di compagnia e figlia di uno dei sette Protettori.
Sperò che, chiunque fosse, sarebbe andato via dopo aver bussato, ma il cigolio della porta smorzò anche quella flebile preghiera. Katrina si accorse dai passi leggeri che poteva trattarsi soltanto della sua migliore amica, della principessa dei Sette Regni, dell’unica figlia di re Rhaegar.
« Kat… Katrina,» la chiamò nuovamente delicata quanto una rosa, quando non si volse ad incontrare i suoi occhi neri come la pece, ma accoglienti e pieni di vita. Tutto in Rhaenys esprimeva grazia e dolcezza ed era la ragione per la quale era amata da tutti coloro che la conoscevano e dal popolo. Katerina l’aveva adorata sin dalla prima volta in cui s’erano incontrate in un torneo a Sala dell’Estate e da allora aveva deciso di essere la sua dama da compagnia, scelta che non aveva mai rimpianto sino a quel momento.  
« Scusa, Rhae,» mormorò con un filo di voce che non sembrava neanche la propria per quanto era priva di forze, volgendosi e tentando un sorriso che pareva più una smorfia di dolore malcelato. Quel giorno Rhaenys era vestita con bell’abito ocra che ben s’intonava con la sua pelle dorata con dei risvolti di pizzo sulle maniche lunghe che mostravano il suo status di principessa di sangue reale. Era ancora sulla soglia e Katrina sapeva bene che era entrata senza permesso soltanto perché si conoscevano da anni.
« Oh Dei, cosa è accaduto, amica mia?» domandò la bella principessa, avvicinandosi velocemente a lei quando si accorse del tremolio del suo corpo scosso dalle lacrime che stoicamente stava ricacciando indietro. Lacrime che non poterono non affluire agli occhi quando Rhaenys si chinò su di lei accomodandosi alla sedia del tavolino ovale accanto a lei.
« Si tratta di… di mio padre… era a caccia ed è… non…» cercò di spiegarle, ma le parole s’interrompevano come se anche le sue stesse corde vocali non potessero esprimere il dolore che le procurava quella perdita. In un attimo il pensiero della morte di quell’uomo che non sorrideva mai, che non aveva mai assunto un’espressione gioiosa né felice la colpì con una forza tale da stordirla e impedirle di continuare.
« Oh cara, mi dispiace così tanto,» esclamò afflitta abbracciandola con trasporto. Rhaenys era sempre calda, come se un fuoco, il fuoco dei Targaryen, l’animasse e per un attimo quel tepore la immerse facendola sentire meglio. Facendola sentire amata.
« Io vorrei rimanere sola se possibile, Rhae,» sussurrò riprendendo il controllo di sé. Non era da lei. Katrina Baratheon non era mai stata sentimentale né troppo estroversa. Era come suo padre, Stannis, chiusa e rigida sebbene accanto alle persone che amava si rabboniva e diveniva più dolce.
Rhaenys si scostò come scottata da quelle parole e le carezzò le guance umide di lacrime, per poi baciarle la fronte con le sue labbra rosee e sottili.
« Come desideri. Ma ti prego di chiamarmi se avessi bisogno di me,» mormorò dolcemente la principessa,  posandole le mani sulle spalle, come faceva sempre suo padre quando non riusciva a comprendere qualcosa. Rhaenys sapeva bene quanto poco amasse i sentimentalismi, quanto poco amava mostrarsi debole e attaccabile. Dopo un lungo sguardo perforante, Katrina annuì secca e Rhaenys si alzò per poi lasciarla sola.
Solo allora la lady di Capo Tempesta si abbandonò alle lacrime che premevano per fuoruscire dai occhi azzurrini. I capelli neri come l’ossidiana le coprirono il volto quando sollevò la mano sinistra per impedire ai singhiozzi di prorompere dalle sulle labbra. La lettera contenete quell’amara verità cadde sul pavimento di marmo bianco della sua camera e Katrina fu libera di abbandonarsi contro il muro della sua finestra per piangere con il cielo.

Mio padre odiava la caccia, perché mai avrebbe dovuto andarci?

È tutta colpa sua. Tutta colpa di Cersei e di Joffrey.

Ed ora Capo Tempesta è tutta loro.

Dopo quella che le parse un’eternità udì nuovamente bussare alla porta e sospirò pesantemente tentando di asciugare le lacrime con la manica del vestito. Se Septa Corinne avesse potuto vederla, avrebbe tossito con disapprovazione.
« Rhaenys, per favore,» la pregò chiudendo gli occhi quando sentì la porta sbattere nuovamente. Non poteva sopportare di parlare ancora. Con nessuno. Nemmeno con la sua migliore amica.
« Non sono bello quanto mia sorella.»

Aegon.

La voce dell’erede al trono era inconfondibile. Musicale, sempre gentile, buona.
« Aegon,» lo accolse atona e priva di qualsiasi inclinazione sebbene il suo cuore avesse perso un battito nel rendersi conto della sua vicinanza. Aegon era l’immagine di Rhaegar da giovane. Alto, bello e attraente, con i tratti delicati e con i corti capelli argentati pareva Aegon il Conquistatore rinato. Tutte le fanciulle bramavano per poter trascorrere anche un solo momento con lui, ma Aegon non aveva occhi per nessuna di loro.
« Katrina, ho appena saputo. Mi dispiace così tanto, cara,» mormorò accorto carezzandole i capelli neri lasciati sciolti e ricci sulle spalle. Le mani di Aegon erano grandi, come quelle di un cavaliere, ma sempre gentili e morbide. Dai capelli le sue mani scesero sulle spalle in una carezza leggera e quasi impercettibile.
« Grazie, mio principe,» sospirò tentando di ritrovare la compostezza che caratterizzava tutte le fanciulle di buona famiglia.
« Non mi hai mai usato molta gentilezza e incominci proprio adesso? » domandò quasi sarcastico per farla sorridere. E per un attimo ci riuscì davvero. Non aveva mai trattato Aegon come le altre dame. Per lei era stato soltanto il fratello di Rhaenys per i primi cinque anni dal suo trasferimento nella corte, poi, negli ultimi due anni, era divenuto qualcosa di più, qualcosa che stentava anche lei a classificare, « Oh cara,» esclamò affranto guardando le lacrime che le avevano macchiato le guance rosee. Gli zigomi dovevano essere arrossati come gli occhi e doveva avere un aspetto orribile in quel momento.
« Mi scuso se non sono sempre stata gentile e cortese,» si scusò docilmente, troppo stanca e troppo afflitta per poter stare al gioco del principe. Rifuggì ai suoi occhi chinando il capo quando lui si parò dinanzi a lei. Non poteva guardarlo, non in quel momento, non così.
« Non… guardami, Kat. Voglio soltanto aiutarti,» sussurrò carezzandole le gote e inginocchiandosi alla sua altezza. Katrina deglutì per farsi coraggioso,- era una Baratheon e i Baratheon non avevano paura di nulla- e si immerse negli occhi color ametista, di un viola chiaro e così accogliente, del principe.
« Non voglio che tu mi veda piangere, principe Aegon. Per favore… ti chiedo di uscire,» ripeté la stessa frase di glaciale cortesia che aveva usato con sua sorella qualche ora prima. No, non avrebbe mai pianto dinanzi al suo principe. Mai.
« Partiremo domani per Capo Tempesta,» le comunicò dolcemente prima di baciarle la guancia destra. Le sue labbra, più carnose di quelle della sorella, si posarono come le ali di una farfalla, ma Katrina percepì un calore ardente e puro. Il calore e il profumo di Aegon erano qualcosa che possedeva soltanto lui e nessun altro. Il principe sospirò poi si scostò e si issò in piedi, carezzandole nuovamente i lunghi riccioli neri. Quasi timoroso si allontanò da lei e percorse la sua stanza velocemente,  « Kat, nessuno ti farà del male se ti mostri debole,» esclamò ragionevole con la mano posata sui cardini della porta di noce quando la udì singhiozzare di nuovo.
« Io sono una Baratheon. Non conosco la debolezza,» sussurrò tentando di essere tranquilla tornando a guardare l’orizzonte. La pioggia aveva smesso di macchiare le strade di Approdo del Re e nel cielo brillava un arcobaleno immenso e meraviglioso. Nel cuore di Katrina Baratheon non v’era mai stato così grande dolore.

Angolo autrice
Cosa dire? Prima di tutto ringrazio chi è arrivato sin qui per aver letto il capitolo. Questa storia è un immenso What if…? Mi sono sempre chiesta: e se Rhaegar avesse vinto la guerra? E se avesse vinto lui il trono di spade? Come sarebbe cambiata la storia di Westeros? Ed ecco questa fiction. Nei prossimi capitoli spiegherò meglio cos’è avvenuto e gli eventi che ho cambiato della storia originale. Per ora avete potuto notare che è Stannis, non Robert né Renly, il Lord di Capo Tempesta e che ha sposato lui Cersei. Da lei ha avuto ufficialmente cinque figli: Katrina, la maggiore, Joffrey, Myrcella, Shireen e Tommen. Ed è subito morto ( sì, io sono un po’ crudele, ma non arriverò mai ai livelli del grande Martin). Bene, per questo capitolo credo di aver finito con le note. Un saluto e un grazie a chi ha anche solo letto. Nayrin Baudelaire. 

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


 

Aegon Targaryen non era mai stato troppo invadente né serioso in ciò che concerneva gli altri. Aveva sempre cercato di razionalizzare il dolore o la spiacevolezza di talune situazioni che osservava all’interno della sua corte. Oramai aveva compreso l’anima delle varie personalità che abitavano la Fortezza Rossa e sapeva bene come risolvere dissidi e screzi. Per questo il rifiuto di lady Baratheon l’aveva turbato così tanto.
Aegon non s’era mai sentito così impotente come in quel momento. Le parole di Katrina, della sua Katrina, gli avevano toccato il cuore, facendogli quasi chinare lo sguardo per la mestizia che aveva scorto nelle iridi cristalline della fanciulla. La sua Katrina era forte e bellissima, capace di superare qualsiasi problematica. Aegon però sapeva quanto amava suo padre, quanto erano legati da un rapporto di affetto e rispetto reciproco. Era la sua protezione, il suo punto di riferimento, il suo faro nella tempesta. Il principe ereditario si domandava come avrebbe reagito alla perdita di suo padre, dell’uomo che ammirava e disprezzava allo stesso tempo e con eguale intensità.
Probabilmente la sua reazione sarebbe stata la stessa. Fingere di essere abbastanza forte da affrontare una perdita così devastante, fingere di non avere alcuna necessità d’essere consolato o rincuorato, fingere un sorriso che in verità significava soltanto dolore e morte.
Aegon non aveva mai avuto una relazione stretta con il re, non da quando aveva appreso la storia che aveva portato lui e lady Lyanna Stark sul trono di spade. Non da quanto gli era stata raccontata da Lord Jon Connington,- l’unico vero padre che avrebbe sempre riconosciuto come  tale,- la vicenda della sua povera madre, della dolce e gentile principessa Elia. Di come fosse stata brutalmente uccisa da suo nonno, il re Folle, durante la guerra dell’Usurpatore.
La principessa Elia era stata la vera eroina in una guerra che agli occhi di Aegon era sempre parsa fratricida e priva di senso. Mentre il sangue di Robert Baratheon colorava di rosso vermiglio le acque del Tridente grazie al colpo mortale della spada del principe d’argento, la principessa di Dorne veniva bruciata viva da un re che l’aveva sempre ritenuta inferiore e inadatta.

Cinquecento cavalieri in una sala muta, colma del crepitio delle fiamme e della risata di un folle.

Elia Martell non aveva pianto né implorato. Aveva affrontato la morte come la vera regina che era sempre stata, affidando i suoi due bambini a ser Jaime Lannister, pregandolo di proteggerli sino alla morte.

Alla morte di Aerys.

Aegon scosse il capo irato con se stesso per quel pensiero sfuggente. Non poteva pensare a sua madre. Non in quel momento. Doveva fuggire. Aveva bisogno di scappare dall’aria soffocante della corte per rifugiarsi nel suo luogo segreto e inaccessibile a tutti gli abitanti di Approdo del Re, un bosco pieno di vegetazione selvaggia nell’angolo più nascosto della Foresta.
Le camere di lady Katrina si trovavano accanto a quelle della sua adorata sorella maggiore, Rhaenys, nella parte più bella e confortevole della Fortezza ai piani alti. Ma la destinazione del principe erano le stalle del palazzo, a molti metri più in basso da dove si trovava. Per un attimo, mentre percorreva a passo sostenuto l’ultimo tratto, fu tentato di fare il percorso a ritroso e tornare da Katrina per abbracciarla e sussurrarle che sarebbe sempre stato lì per lei.
A quel pensiero i pugni gli si irrigidirono, ma si affrettò verso le stalle con più foga. L’aveva promesso. Aveva promesso che l’avrebbe lasciata sola con la sua testardaggine e con il suo orgoglio. E un principe manteneva sempre le proprie promesse.
Katrina gli era apparsa splendida e distante come una stella del cielo, chiusa e algida come una divinità, perfetta e immobile come una montagna. E pur amandola con tutta l’intensità con cui un uomo poteva amare una donna, Aegon non s’era mai avvicinato troppo a quella stella per non rischiare di uscirne bruciato.
Quando entrò nelle stalle, il garzone, un ragazzino di quattordici anni di nome Sam, si inchinò rispettosamente, accogliendolo con calore, ed Aegon gli rivolse un breve cenno di saluto e un sorriso per poi avvicinarsi al suo cavallo.
Kyros era un purosangue bianco e bellissimo, dalla chioma d’oro pallido. Era stato il regalo del suo settimo compleanno da parte di suo zio Oberyn, il suo parente preferito. Era soltanto un pony quando l’aveva cavalcato per la prima volta e da allora Aegon non era mai salito su nessun altro cavallo.
Kyros l’accolse con un nitrito gioioso ed Aegon gli carezzò il muso con un sorriso sincero. Per un attimo il pensiero di Katrina lo abbandonò così come quello della madre che non aveva mai conosciuto, ma che tanto apprezzava e amava.
« Aegon,» lo chiamò una voce familiare mentre si apprestava a sellare il suo stallone dal pelo candido come la neve appena caduta. Sapeva bene a chi apparteneva. A suo fratello, Jon Targaryen, il suo migliore amico e il suo confidente più caro. Non si volse a guardarlo poiché ben sapeva che i suoi occhi grigi, come quelli della madre Lyanna, avrebbero potuto fargli confessare il più intimo dei misteri della sua anima. Ed in quel momento era l’ultima cosa che desiderava.
« Jon,» replicò atono, aggiustando le stringe della sella posizionandola meglio sul dorso. Aveva sempre considerato Jon suo fratello, mai un fratellastro o il figlio della moglie di suo padre. Erano cresciuti insieme ed era impossibile non adorarlo per la sua bontà e per il suo senso dell’onore. Aegon aveva sempre scherzato sul fatto che un giorno lui avrebbe avuto il trono, ma che Jon avrebbe regnato come Mano del Re.
« Cosa fai qui, fratello?» gli domandò incuriosito. Aegon avvertì i passi leggeri di Jon mentre gli si avvicinava, ma chiuse gli occhi e sospirò. Se non l’avesse guardato, Jon non avrebbe avuto il potere di rimproverarlo per quella scelta avventata. Cavalcare nel bosco senza una Guardia Reale con quel tempo burrascoso che preannunciava la fine dell’autunno era qualcosa per cui sarebbe stato punito al suo ritorno, soprattutto sapendo che il giorno dopo sarebbero partiti per Capo Tempesta. Ma non gl’importava affatto in quel momento.
« Sello il mio cavallo,» sbuffò mostrandogli l’evidenza del gesto, volgendosi finalmente ad osservarlo. Jon assomigliava a Lyanna tanto quanto lui assomigliava a Rhaegar. Jon era smilzo e slanciato, con le spalle più strette di quelle di Aegon e un fisico più asciutto. Aveva folti riccioli neri e degli occhi grigi come perle rare e preziose. Mentre Aegon era lievemente più alto di Jon, più prestante e muscoloso e immensamente più estroverso e cordiale. Jon indossava sempre colori scuri, prevalentemente il nero e Rhaenys scherzava sempre sull’eventualità che potesse entrare nei Guardiani della Notte. In verità quel pensiero a Jon piaceva molto, ma suo padre gli aveva negato quella possibilità, affermando che terre e titoli sarebbe stati concessi anche a lui.
« Per andare dove?» continuò per nulla turbato dal suo tono. Sapeva bene che non era adirato con lui. Jon era al suo fianco quando il signore di Posatoio del Grifone, la Mano di suo padre, aveva annunciato loro della dipartita di Lord Stannis. E Jon conosceva i sentimenti che lo legavano a Katrina prima ancora che se ne rendesse conto persino Aegon.
Si chiedeva cosa avesse potuto uccidere un uomo simile. Stannis Baratheon non conosceva la paura. Aveva patito la fame e la sete durante l’assedio di Mace Tyrell. Aveva sopportato la sconfitta di suo fratello e aveva piegato il ginocchio soltanto poiché sua moglie, l’algida Cersei Lannister, aspettava un figlio.
Aegon non poteva che pensare con amarezza a quanto fosse stato negato a uomini meritevoli e a quanto fosse stato concesso a ricchi ma spregevoli signori che non possedevano alcuna legge morale.
« Non lo so. Non riesco a stare qui. Non con… con Kat in questo stato,» ammise socchiudendo gli occhi d’ametista e abbandonandosi contro un palchetto di legno grezzo vicino alle stalle del suo cavallo.

Kat.

La bella Katrina Baratheon, la fanciulla di ghiaccio, la chiamavano molte altre signore altolocate.
« Se vuoi davvero impiegare il tuo tempo in qualcosa di utile, dammi una mano a strigliare i cavalli reali,» gli consigliò il fratello con un sorriso stentato, facendogli capire perché fosse nelle stalle quando fuori il fango sporcasse le vie della capitale, quando era impossibile cavalcare.
« Di nuovo Thorne?» ironizzò Aegon, sorridendo più apertamente. Alliser Thorne, il loro maestro d’armi, era un uomo sulla cinquantina, crudele e autoritario come pochi. Sin dai primi giorni dell’addestramento aveva riconosciuto in Jon, buono, ma facile alla collera, un perfetto bersaglio per le proprie battute sarcastiche e pungenti. Alle quali suo fratello replicava di buon grado e con la stessa veemenza.
Jon annuì più divertito che realmente dispiaciuto passandosi la mancina tra i capelli per spostarli dalla fronte.
« Un giorno quell’uomo vorrà la tua testa su una picca,» scherzò il principe ereditario scuotendo il capo, frizionando le mani contro i pantaloni neri che indossava. Jon sbuffò  sarcastico e si avvicinò al secchio d’acqua per iniziare a strigliare la giumenta dal pelo marroncino a macchie bianche alla sua sinistra, « Passami dell’acqua,» esclamò sollevandosi le maniche della camicia bianca.
« Come sta lei?» domandò Jon dopo pochi minuti mentre entrambi passavano a strigliare altri due cavalli. Poteva apparire una richiesta casuale ad orecchie poco attente, ma Aegon riconosceva dell’interesse evidente nella voce di suo fratello che gli dava le spalle.
« Non vuole mostrarsi debole. Non dinanzi a me. Come sempre del resto. È Katrina Baratheon. Odia star male,» tentò di spiegare atono intingendo le mani dell’acqua gelida per continuare a spazzolare Storm, la puledra di Katrina, dal pelo nero come una notte senza stelle.
« Quando sarà pronta, si lascerà consolare, Egg. Non metterle fretta,» gli consigliò Jon comprensivo. Aegon sapeva che suo fratello aveva perfettamente ragione. Lo sapeva. Semplicemente non voleva accettarlo. Non poteva.
« Lo so, Jon. Ma vorrei che… che si aprisse di più. Ci conosciamo da sette anni ormai. Dovrà pur valere qualcosa.»
Quell’impotenza dinanzi al suo dolore era stata un colpo fatale per il futuro re dei Sette Regni di Westeros.

Se non riesco a badare a lei, alla donna che amo, come potrò badare a migliaia di persone?

Se non riesco a renderla felice, a sedare i suoi dolori, a trasmetterle ciò che sento per lei, come potrò amare i miei sudditi un giorno?
Perché dovrebbero considerarmi un buon re?

« Lei non mi ama. Altrimenti mi avrebbe permesso di aiutarla,» borbottò tra sé carezzando la chioma di un piccolo pony nato qualche settimana prima. Era un esemplare calmo e pacato, adatto per la prima formazione di un bambino. Come se avesse compreso il suo disagio, il pony avvicinò il muso bianco contro la sua mano e sbuffò un nitrito sommesso.
Katrina non l’amava. L’aveva sempre e solo visto come il fratello minore di Rhaenys, anche se Aegon aveva tentato in tutti i modi di mostrarsi a lei come un cavaliere. Avrebbe dovuto accettarlo anni prima, ma era stato impossibile dimenticarla.
Katrina era una Baratheon, la nipote di Robert Baratheon, del Demone del Tridente, del nemico di Rhaegar. Tutto avrebbe potuto impedire loro di amarsi e Katrina era stata più brava di lui nel comprenderlo.
« Katrina Baratheon ha la forza e la rigidità di suo padre. Parlerei anche di gelo,» aggiunse tra sé, attento a non insultare l’amata di suo fratello, « E il fuoco scioglie il ghiaccio,» gli fece notare Jon sorridendo brevemente, come per donargli una flebile speranza.

Aegon era il fuoco puro, l’anima del drago.

Così l’aveva definito sua nonna Rhaella prima di spirare pochi anni prima, lasciando un altro inabissale vuoto nel cuore del giovane principe.
Rhaella Targaryen era stata la regina vedova per nove anni anni dopo la morte del fratello e marito ed era stata una madre per lui. Aveva accudito lui e Rhaenys, amandoli e proteggendoli quando nessun altro era in grado di comprenderli.
« Sì, ma il fuoco è spento dal ghiaccio,» ribatté critico il ragazzo alzando lo sguardo verso Jon. Lo stava osservando con un sorriso appena accennato come se si aspettasse quel commento.
« Quanti giochi di parole e quante sottigliezze, mio innamorato. Sei forse diventato un poeta?» ironizzò il fratello con un tono che fece scomparire qualsiasi turbamento.
« Per i sette inferi, Jon Targaryen. Ti detesto quando ti prendi gioco di me,» esclamò gettandogli contro dell’acqua gelida.
« Non è vero. Tu mi adori,» replicò ricambiando il gesto. In poco tempo ogni preoccupazione esterna si affievolì e i due fratelli ritornarono i bambini spensierati che erano stati sino a pochi anni prima, quando ancora la realtà della loro famiglia, dei loro doveri non li aveva investiti come una gelida bufera invernale.
« I miei due figlioli… cosa fate qui?»
La voce di suo padre li richiamò all’ordine, facendogli interrompere quel gioco infantile ed Aegon ringraziò mentalmente il fratello. Il giovane principe poteva anche non amare lady Lyanna Stark poiché la riteneva una delle maggiori cause della guerra, ma adorava suo figlio con tutto il cuore.
Suo padre era dinanzi a loro, accanti alla porta, alto e imponente, l’uomo più affascinante dell’intero continente occidentale. Aveva le braccia fasciate da un farsetto nero, colore del vessillo del drago, e conserte sul petto. I capelli argentei erano tenuti corti e sul viso vi erano poche rughe intorno alle labbra sottili e rosee.
Sembrava tranquillo, felice di vederli ridere come i ragazzi che ancora erano.
Rhaegar era sempre elegante e raffinato, di mente svelta e cortese. Era adorato dal popolo e dai menestrelli che suonavo in suo onore in qualsiasi occasione. Quasi nessuno sembrava rammentare che era stato lui a causare la guerra per aver rapito lady Lyanna. 
Aegon lo ricordava. E anche a Dorne e nelle Terre della Tempesta dove molti signori avevano combattuto per Lord Robert.
« Thorne mi ha mandato a strigliare i cavalli. Di nuovo,» spiegò Jon, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Aegon quasi sospirò. Non era lecito giudicare il proprio padre, il proprio re, ma non era in grado di impedirselo.
« Lo sto aiutando, anche se si prende gioco di me.»
Le sue labbra proferirono quelle parole mentre la sua mente era impegnata in una battaglia con la sua anima per riportare l’armonia.
Suo padre capiva quand’era inquieto.
E non doveva capirlo in quel momento.
« In che modo?» domandò curioso il re con un breve sorriso. Rhaegar aveva sempre tentato di instaurare un rapporto amichevole con i suoi figli per quanto gli era concesso dal poco tempo che era costretto a dedicare loro.
Essere un re aveva grandi responsabilità e talune volte Rhaegar non abbandonava la sala del concilio per giorni interi.
« Nulla, padre. Niente di importante,» mormorò imbarazzato il principe dei Sette Regni, chinando lo sguardo verso la paglia. E suo padre sembrò comprendere.
« Riguarda qualche fanciulla? Forse lady Katrina Baratheon… mi spiace per ciò che le è avvenuto. In questo momento ha bisogno dell’affetto degli amici e della vicinanza della sua famiglia,» spiegò suo padre guardandolo con i suoi penetranti occhi color ametista, più scuri e segreti dei suoi. Ed in quel momento Aegon seppe che non gli avrebbe mai permesso di sposare la donna che amava. 

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo ***


Una luce smagliante e dirompente colpì gli occhi di Aegon con una forza tale da farli serrare per un attimo. Quando li riaprì s’accorse di essere nel solario in cui giocava da bambino con Rhaenys e Jon sotto l’attenta supervisione di sua nonna Rhaella. Si accorse subito, però, che l’atmosfera era diversa, più soffusa e morbida, come in un pomeriggio estivo, flemmatico e abitudinario, quasi abulico nella sua indolenza.
Il solario era immenso e colorato dell’arancione del Sole morente, l’arancione dei Martell.
Stranamente non era abbellito dalle voci allegre dei bambini, ma sembrava essere vuoto, come se tutta la vita fosse scomparsa e avesse perso di significato.
Aegon si guardò intorno e notò due persone accomodate l’una dinanzi all’altra ad un tavolino che solitamente utilizzavano per posare giochi e fogli da disegno.
Una bella donna dai capelli scuri e ricci, che assomigliava in maniera impressionante a sua sorella Rhaenys, aveva lo sguardo chino sul bambino dai radi capelli argentei che stava allattando.
Lo cullava dolcemente, ninnandolo con una delicatezza tale da intenerire il principe ereditario.
Era lui. Quel bambino non poteva essere che lui.
E la donna era sua madre, la dolce e gentile Elia di Dorne. 
Le lacrime premevano per fuoruscire dai suoi occhi e per un attimo le lasciò fluire sulle gote glabre e leggermente incavate.
Sua madre era lì, a pochi metri da lui. Se avesse fatto un passo e avesse allungato una mano, avrebbe potuto sfiorarle i lunghi capelli lasciati sciolti sulle spalle strette ed esili fasciate da un abito di organza rosata.
 Aegon poteva notare un sorriso arcuarle le belle labbra carnose così simili alle sue.
Elia era magra e fragile, come Rhaenys non era mai stata, tanto da sembrar essere fatta d’aria. Impalpabile, invisibile, ma vitale.
Ed Aegon si domandò come avesse fatto a sopravvivere per tanti anni senza ossigeno.
La mano grande, ma leggera e benevola, di un uomo prese a carezzare il capo del bambino con lo sguardo violetto perso nella scena a cui stava assistendo.
Non era suo padre, però. Era un altro uomo, in qualche modo simile a re Rhaegar.
Indossava un mantello candido come i suoi corti capelli, un mantello nobile e giusto, pieno di valori e giuramenti solenni. Aveva il fisico del perfetto cavaliere, con delle spalle larghe e delle braccia muscolose. Era possente, ma allo stesso tempo nelle sue iridi chiare si poteva leggere onore, dedizione e amore per la giustizia.
Doveva essere il leggendario ser Arthur Dayne, la spada dell’Alba, il cavaliere più letale dei Sette Regni, ucciso da Lord Eddard Stark durate la battaglia del Tridente.
Era stato, con Lord Jon Connington, il migliore amico e più fidato confidente di suo padre ed era stato uno dei cavaliere più amati dal popolo.
Anche solo guardandolo Aegon poteva comprenderne la ragione.
In quel momento era assorto e mesto, come se qualcosa di grave stesse turbando la serenità di quella scena così familiare e così soave.
« Elia, ti ucciderà e lo sai,» tentò di farla ragionare l’uomo, quasi spaventato da quell’eventualità, sfiorandole il braccio destro,  quello con cui stava tenendo il collo del neonato, carezzandolo leggermente. La sua voce era colma di sofferenza tanto da far sospirare la principessa.  
« Non posso darglielo. Il maestro ha detto che è impossibile. Che se rimanessi incinta, lo perderei. Sono troppo debole per affrontare un’altra gravidanza, Arthur,» mormorò sua madre triste, quasi delusa da se stessa, non sollevando lo sguardo da lui. La sua voce era così sommessa e delicata, come un soffio di vento, che Aegon quasi faticò ad udirla.
« E non devi,» ribatté il cavaliere inchinandosi dinanzi a lei, come se avessi davanti a sé una regina, una divinità, pregandola di comprendere a quale rischio stesse andando in contro con la sua tenacia, « Gli hai dato un erede e una principessa. Hai fatto più del tuo dovere,» aggiunse con ciò che al principe parve nostalgia. Di cosa non avrebbe saputo asserirlo con certezza.
Una volta Jon gli aveva raccontato che ser Arthur gli aveva confessato di aver amato una donna. Che per lei avrebbe sacrificato tutto, anche la sua stessa vita, ma che era un amore irrealizzabile.  
Il pensiero di quel racconto l’aveva sempre reso triste, poiché stava vivendo la stessa situazione del valoroso cavaliere e non vi scorgeva alcuna via d’uscita.
« Davvero? Gli ho dato un erede sì,» replicò con sarcasmo malcelato e per un attimo la sua voce somigliò terribilmente a quella del fratello Oberyn, la Vipera Rossa di Dorne. Il bambino si scostò dal seno della madre e gorgogliò felice. Elia gli carezzò la gota con l’indice della mancina e il neonato rise agitando le manine paffute come per sfiorare il volto della genitrice.
« Aegon sarà il re dopo Rhaegar. Non c’è bisogno di un altro figlio,» affermò il bel cavaliere guardandola direttamente negli occhi. Non v’era più timore, ma solo una stoica e impassibile fermezza.
Erano più di un cavaliere e la sua principessa, questo gli sembrò ovvio.
Arthur era ancora inginocchiato e le sue mani sembravano quasi voler abbracciare la donna e il suo bambino.
Ad Aegon quella sembrò la famiglia che non aveva mai avuto.
Sino a quando Elia non scostò lo sguardo e lo puntò dov’era lui, dinanzi a loro, ma verso la porta, come un servitore che attendeva il comando del proprio signore per poter entrare. Come un figlio che stava assistendo a un bacio dei suoi genitori.
« Aegon sarà re,» esclamò la donna con sicurezza, con l’ombra di un sorriso sulle belle labbra. E i suoi occhi  neri come l’oblio, neri come l’abisso dell’oceano, fissi su di lui lo trafissero come un pugnale nel cuore.


Il principe si destò di scatto, ansimando per la potenza con cui quegli occhi neri l’avevano osservato, il petto scosso dai brevi respiri.
Sua madre, la dolce Elia di Dorne, la principessa Martell, era stata lì dinanzi a lui per la prima volta in tutta la sua vita. L’aveva guardato. Aegon ne era certo. L’aveva visto.
Ma come? È solo un ricordo. Lei è morta.
La sua razionalità gli imponeva di accettare la realtà, di accettare che quel ricordo poteva anche essere frutto del suo desiderio. Ma il suo cuore, quello no, non poteva accettare alcunché.
Per un attimo s’era davvero sentito amato e accudito, al sicuro all’interno degli occhi della donna che gli aveva donato la vita.
Quell’attimo, però, era passato con la stessa rapidità con cui l’aveva vissuto.
Si issò in piedi toccando il pavimento di gelido marmo della sua camera immensa e osservò l’orizzonte. Era da poco passata l’alba e il tempo era meravigliosamente adatto ad una passeggiata a cavallo.
Poi rammentò che la corte avrebbe cavalcato quel giorno, ma senza fare alcuna passeggiata di piacere. Capo Tempesta era la destinazione di quel viaggio e non sarebbe stato per un evento gradevole.
Il principe sospirò e osservò la parte di giardino che si poteva scorgere dalle sue camere ove alberi sempreverdi e cespugli di rose bianche abbellivano un corridoio di pietra che conduceva ad una fontana da cui zampillava acqua limpida dalla brocca di un bambino.
Non passeggiava nessuno a quell’ora del giorno, i servi erano tutti impegnati nei lavori delle cucine e nelle stalle. I nobili sonnecchiavano ancora. Ma Aegon aveva la sua personale missione di compiere.
Quel sogno, no quel ricordo, gli aveva aperto gli occhi su ciò che stava avvenendo, a ciò che il tempo traditore gli stava rubando.
Se avesse atteso ancora, la donna che amava avrebbe sposato un altro uomo e il suo principe sarebbe stato costretto a guardarla da lontano e con incommensurabile nostalgia proprio come il cavaliere bianco.
Non poteva accadere. Non a lui.
Quindi si lavò il volto con l’acqua gelida per togliere qualsiasi residuo di stanchezza e si vestì con i suoi abiti migliori. In fondo aveva un’udienza dal re.
Per i corridoi della Fortezza passeggiavano poche serve che portavano le lenzuola pulite alle proprie signore, ma verso le camere private del re e della regina, le più sontuose e quelle situate ai piani più alti, le servitrici diminuivano sino a scomparire in prossimità di quella meravigliosa ala del palazzo.
Dinanzi alla porta di noce chiaro delle camere, vi era ser Barristan Selmy il Valoroso, il capo della Guardia Reale di suo padre. Ser Barristan era un uomo imponente anche nella vecchiaia e i suoi occhi blu come il mare erano colmi di saggezza antica.
Il cavaliere si inchinò ed Aegon gli rivolse un sorriso pieno e autentico prima di bussare ed essere accolto ed invitato ad entrare.
« Padre, posso parlarti?» domandò il bel principe rimanendo sulla soglia, proprio come nel suo sogno, ma non v’era alcun imbarazzo, solo determinazione nel perseguire i propri intenti. Era certo della propria decisione e avrebbe dissipato qualsiasi dubbio del re.
« Aegon, entra, figliolo. Accomodati,» lo invitò caldamente, issandosi in piedi e accogliendolo con un sorriso. Suo padre aveva sempre un sorriso per chiunque nella sua corte, ma ai suoi figli ne rivolgevano uno speciale poiché gli illuminava anche gli occhi di un viola scuro e intenso.
« Dov’è Lyanna?» gli chiese più per cortesia che per vero interesse guardandosi intorno e notando che il letto reale, un baldacchino coperto da pesanti tende di broccato, era già stato sistemato.
Non aveva mai chiamato Lyanna madre poiché non lo era e suo padre non aveva mai insistito. Eppure in quel momento un’ombra di disapprovazione gli attraversò lo sguardo scuro.
Aegon non si lasciò impressionare e avanzò per la camera dopo aver chiuso la porta dietro di sé.
La regina Lyanna non era solita attendere le proprie dame per sistemare le proprie camere poiché si destava abitualmente all’alba per cavalcare.
Una consuetudine che alcuni, dopo tanti anni, ancora mal vedevano all’interno della corte.
« Con tua sorella,» gli rispose calmo, invitandolo ad accomodarsi alla sedia alla propria destra. Il tavolo era colmo di carte e lettere provenienti dai più svariati angoli del regno. Una in particolare attirò la sua attenzione. Due grifoni in posizione di combattimento, uno bianco su sfondo rosso e l’altro rosso su sfondo bianco. Lo stemma del Primo Cavaliere. Lord Jon era tornato a Posatoio del Grifone da due cicli di luna oramai e ad Aegon mancava immensamente, « Di cosa volevi parlarmi?» lo riportò alla realtà il padre, richiudendo la lettera e posandola alla propria sinistra, come se non desiderasse che la leggesse.
Quello era davvero strano e per un attimo Aegon aggrottò le folte sopracciglia biondo chiaro.
Suo padre non gli aveva mai impedito di leggere le proprie missive, anzi di solito lo faceva anche sedere nel Concilio Ristretto e gli domandava il proprio parere in molte questioni importanti.
Eppure non era per leggere la missiva di ciò che considerava il suo padre affettivo che era lì.
« Ecco, padre, io mi chiedevo se… se non fosse arrivato per me di sposarmi,» incominciò tentando di modulare la voce mostrando un’indifferenza che era quasi impossibile da ostentare.
« Hai diciassette anni. Sei un uomo oramai. Stavo già pensando ad un possibile matrimonio, sì,» concordò suo padre, mentre sistemava le carte per ordine di importanza. All’apice vi era una che recava la firma di Lord Tywin Lannister, Protettore dell’Ovest e signore di Castel Granito, l’uomo più glaciale che Aegon avesse mai conosciuto. Era il nonno di Katrina per linea materna ed anche lei poco si fidava dell’algido ed inarrivabile stratega che avrebbe potuto fare di tutto per il bene della propria famiglia.
« E a chi…?» continuò Aegon poco interessato. Sperò soltanto non gli proponesse di nuovo di sposare lady Margaery Tyrell, la figlia di Lord Mace. Quella fanciulla era troppo scaltra per poterlo attirare davvero.
« Vi sono così tante possibilità. Tua sorella si sposerà a breve con ser Loras Tyrell ed erediterà le terre di Alto giardino. I Tyrell sono stati sempre amici della nostra famiglia. Ed io mi auguro che tu sposi qualche fanciulla appartenente a una famiglia a noi legata. Come la principessa Arienne,» aggiunse tornando a guardarlo mentre il principe s’irrigidiva per quella possibilità.
Promettere Rhaenys a Loras Tyrell era già stato un atto meschino a suo dir. Tutti sapevano quali, per così definirle, attitudini avesse il Cavaliere di Fiori, l’orgoglio delle terre del Sud.
Eppure il regno florido e meraviglioso che portava in dote sembravano essere abbastanza per suo padre.
Aegon aveva consolato sua sorella per giorni quando le era stato comunicato che avrebbe dovuto sposarlo e Rhaenys era una fanciulla forte e determinata quanto lui.
Quando l’aveva vista piangere e pregarlo di prenderla in sposa mettendo fine a quella tragedia, Aegon aveva stretto i pugni e aveva dovuto impedirsi di urlare contro la follia di quella decisione insensata.
Se non avesse abborito così tanto l’idea di maritare una donna che non amava con il cuore, avrebbe acconsentito poiché sua sorella non meritava alcuna sofferenza.
Il principe non sapeva fingere né dissimulare. E l’amore non era mai nato a comando in nessuno però.
« Arienne è…»
Arienne era sua cugina e, come tutti i membri della famiglia di sua madre, Aegon le voleva molto bene.
Arienne, però, era l’erede del principe Doran, l’erede di Dorne. Se l’avesse sposato, avrebbe perso tutti i diritti sulle terre di suo padre e il titolo sarebbe passato a Quentyn, suo fratello minore.
« Tu chi desidereresti, figliolo?» lo interruppe suo padre serio e austero. E allora sentì la nota di puro ferro nella voce di quello che non era più suo padre, bensì il re di Westeros.
« Katrina Baratheon,» rispose deciso. Non v’era alcun imbarazzo mentre pronunciava il suo nome. Katrina era l’unica donna che avrebbe desiderato sposare e non aveva alcun timore nel dirlo. Nemmeno dinanzi al suo re.
« Katrina Baratheon…,» soppesò il nome come se ne stesse valutando il prezzo. Poi sospirò e chiuse per un attimo gli occhi scuri, « Aegon, sei ancora giovane. Lady Baratheon è molto avvenente,» incominciò come per tentare di farlo ragionare. Come se si potesse essere innamorati di una donna soltanto per la sua bellezza e non per il suo cuore nobile, giusto e privo di adulazioni inutili.
« Non m’importa che sia avvenente. Io la amo da quando eravamo bambini,» esclamò Aegon incapace di controllarsi oltre.
« Potrei finire?» domandò suo padre non senza un certo divertimento nelle iridi scure. In quel momento era tornato ad essere il padre che rispondeva razionalmente dinanzi alla sua meraviglia nell’udire le storie di Aegon il Conquistatore e delle sue sorelle.
« Domando perdono,» borbottò imbarazzato, chinando lo sguardo più chiaro, più simile a quello di sua nonna Rhaella. Rhaegar aveva gli occhi di Aerys, grandi oceani di ametista scura in cui ci si poteva perdere come un naufrago nel bel mezzo di una tempesta.
Gli occhi di Aegon erano più confortevoli, limpidi e sempre sinceri. Era possibile scorgere la sua anima soltanto guardandoli attentamente.
« Dicevo che Lady Baratheon è giovane, di ottima famiglia e sicuramente una dama da non sottovalutare,» concordò suo padre ponderato, intrecciando le dita affusolate. Eppure vi era un ma. E una volta Ned Stark, lord di Grande Inverno e fratello maggiore della regina, gli aveva detto che qualunque cosa pronunciata prima del ma non aveva senso di esistere, « Eppure mi domando se sia la decisione adatta. Lady Baratheon sa essere anche chiusa ed introversa, distaccata a volte. Ed una regina non dovrebbe mai essere troppo rigida,» tentò di spiegargli il re.
Aegon percepì una rabbia montargli dentro, una rabbia che aveva provato soltanto due volte nella sua vita, ma cercò di contenersi.
Perché Rhaegar era il suo re.
Perché Rhaegar era suo padre.
« Non sposerò nessuna se non lei, vostra grazia,» replicò con glaciale cortesia il principe ereditario.
Ed era vero.
Gli Dei gli erano testimoni in ciò che stava affermando.
Lady Katrina Baratheon era l’unica donna che avrebbe mai sposato.
Rhaegar chiuse gli occhi e si abbandonò in un altro sospiro, posando le spalle contro la sedia imbottita e abbellita dal drago a tre teste della sua famiglia.
« Dobbiamo partire per le terre della Tempesta tra pochi minuti. Va’ a prepararti, figliolo,» lo congedò con gli occhi ancora serrati, come se anche lui stesse scacciando qualcosa di molesto. Aegon obbedì meccanicamente. Si issò in piedi e percorse a lunghe falcate la camera, « Aegon,» lo richiamò suo padre come in una preghiera quando fu sulla soglia. Il ragazzo attese, ma non si voltò, « Vorrei soltanto vederti felice,» sussurrò in un soffio di voce. In quel momento gli sembrò vecchio, come se un peso immenso gravasse sulle sue spalle e l’avesse reso debole. Come se il solo pensiero che Aegon potesse allontanarsi da lui lo ferisse così tanto da annientarlo.  
Ed Aegon avrebbe tanto desiderato potersi volgere e tornare da lui, ammettere che sapeva quanto amore nutrisse per lui, per loro. Non poteva però. Quel sogno, quel ricordo, era stata la prova più evidente.
La prova che lui non era abbastanza. Che il Drago aveva bisogno di un altro figlio, come se i due precedenti avessero perso d’importanza. Come se i due avuti dal Sole non fossero stati degni.
Ser Barristan lo stava osservando con quei suoi occhi blu che urlavano giustizia e dovere, ma Aegon non poteva ascoltare nemmeno lui. Si chiuse la porta alle spalle e tentò di imporsi una calma che non conosceva più.
Cominciò a percorrere i corridoi senza una reale consapevolezza di dove stesse andando sino a quando quasi non si scontrò con una figura abbigliata di nero e con al collo una preziosa catena di rubini intrecciati con spessi fili d’oro.
« Nipote,» lo chiamò una voce che, purtroppo, conosceva bene. La voce melliflua dell’unico fratello di suo padre, di Viserys Targaryen. Viserys non aveva la bellezza di suo padre o la sua. Il suo viso era più scarno, i suoi tratti più duri e in qualche modo crudeli. Era l’immagine di suo padre da giovane. Aveva un suo fascino e nella corte molte fanciulle pregavano per le sue attenzioni, ma aveva un cuore nero come l’abito che stava indossando.
« Zio Viserys. Buon giorno,» gli augurò con gentilezza soltanto apparente, quella gentilezza che Lord Connington gli aveva insegnato ad utilizzare con chiunque, soprattutto con i propri nemici.

Mai lasciare che un nemico scorga la tua rabbia, Aegon. È come lasciargli un fianco scoperto.

Non odiava suo zio, sebbene gli risultasse impossibile comprendere come Rhaenys potesse adorarlo così tanto. Però quel ghigno che gli arcuava le labbra sottili era qualcosa che somigliava vagamente a una dichiarazione di guerra in quel momento.
« A te, figliolo. Ti vedo arrabbiato. Cos’è accaduto? Forse qualche fanciulla ti è stata negata?» ironizzò come se sapesse benissimo di cosa lui e suo padre avessero parlato pochi istanti prima. Viserys sapeva sempre cosa avveniva nella Fortezza. Sembrava quasi come se lui e Varys fossero alleati e fossero entrambi Maestri dei Sussurri.
Aegon tentò di non digrignare i denti, ma la sua mascella si contrasse sensibilmente e suo zio lo notò.
Il sorriso divenne più marcato e saccente, più insinuante e senza ombra di dubbio più odioso.
« Sei gentile a domandarlo, caro zio, ma sono altrettanto gentile io nel risponderti che ciò non è di tuo interesse,» sibilò tentando di mantenersi distaccato per quanto possibile. S’accorse che erano nel corridoio che conduceva alle proprie stanze e a quelle di Jon e si domandò cosa Viserys stesse facendo lì quando le sue stanze erano dall’altra parte dell’ala del palazzo.
« Ma davvero? Eppure io sono il tuo caro zio.»
Sembrava quasi deluso da quel rifiuto di aprirsi con lui ed Aegon dovette sfruttare tutto il proprio autocontrollo, tutto ciò che Lord Connington gli aveva insegnato, per non offenderlo.
Offendere Viserys avrebbe scatenato l’ira di suo fratello maggiore Rhaegar che sempre aveva desiderato che non vi fossero screzi di nessuna natura nella propria famiglia.
E con ciò che era avvenuto quella mattina Aegon non provava alcun desiderio di incrementare la rabbia di suo padre e sfidarlo tanto apertamente.
« Viserys, lasciami in pace. Devo prepararmi,» quasi lo pregò il principe ereditario. Non voleva litigare prima della partenza, soprattutto perché avrebbe scorto Katrina da lontano senza poter aiutarla in alcun modo. Mentre suo padre, il re di Westeros, avrebbe osservato lui per comprendere ciò che stava turbando il cuore del suo secondogenito.  
« Ascoltami, nipote, e ascoltami bene. Non la sposerai mai. O lei o il trono. E Katrina Baratheon non vale la perdita del trono di spade,» sibilò Viserys prendendolo per il bavero del farsetto e spingendolo verso il muro bianco dietro di loro. Poteva percepire il respiro di suo zio premergli contro il volto, arrabbiato e impaziente. La collera di Viserys, però, non sfiorava il furore e lo sdegno di Aegon nell’essere stato costretto tra il muro e il nemico.

Calmo, Aegon. Calmo come l’acqua stagnante, ragazzo.

La voce del Primo Cavaliere era nelle sue orecchie, nella sua mente, e ripeteva quelle parole come un mantra, mitigandolo.
« Ascoltami tu, Viserys. Questo non deve interessare te. Ma soltanto me e il re,» controbatté il principe ereditario dandogli uno strattone e liberandosi dalla sua presa. Aveva ripreso il controllo. Se avesse lasciato che la indignazione lo divorasse nel suo fuoco corrosivo, non avrebbe mai potuto adoperare quel tono pacato e sicuro di sé degno soltanto di un re. E Viserys l’avrebbe avuto in pugno.
« E se la tua cerbiatta non ti volesse?» insinuò Viserys con tono carezzevole, come se gli stesse offrendo qualcosa di piacevole da udire. La sufficienza con la quale aveva appellato la sua Katrina bruciò come altofuoco nel cuore del principe, ma era un drago. E un drago non poteva essere ucciso dal fuoco, « Hai mai pensato a questa possibilità? Ovviamente no. Tu sei il grande Aegon Targaryen, il principe ereditario? Perché una fanciulla dovrebbe rifiutarti?» esclamò sogghignando per poi lasciarlo solo in quel corridoio cupo e privo di ornamenti, lì in balia del suo dubbio più grande. 

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo ***



Il Sole brillava alto e pacifico su Capo Tempesta, a volte celato da nubi repentinamente spostate dall’azione della forte brezza nata dal Mare Stretto. Le acque del Golfo dei Naufraghi era agitate, ma nelle impenetrabili mura della fortezza regnava una calma assoluta.
Capo Tempesta era un imponente roccaforte che la leggenda vedeva avvolta da incantesimi che la rendevano inespugnabile da qualsiasi sortilegio o furia del mare. Circondata da mura alte più di un centinaio di metri, la torre centrale era tanto maestosa da contenere ciò che per molti castelli si riversava in ettari di terreno. Era a ridosso del Mare Stretto, in un’insenatura in cui i venti spiravano con tale veemenza da spezzare le navi costringendole ad arenarsi sugli scogli di gesso.
Stannis Baratheon, Lord delle Terre della Tempesta, stava analizzando critico la situazione economica del proprio regno che era uscito devastato dalla guerra avvenuta quattro anni prima. La sconfitta di suo fratello Robert al Tridente e la morte di molti dei suoi signori aveva causato un freno considerevole alle consuete attività agricole del regno quando i soldati non erano tornati ai loro campi.
Stannis era stato costretto ad arrendersi e piegare il ginocchio dinanzi al nuovo re, Rhaegar, primo del suo nome, e a sposare Cersei Lannister, figlia del Lord di Castel Granito, l’uomo più ricco di Westeros, per poter porre un freno alla crisi dirompente.
Aveva sposato Cersei per dovere nei confronti del popolo, ma detestava i suoi modi alteri e impossibili. Era rarissimo che vi fosse un dialogo tra loro e Stannis solitamente non frequentava le sue camere durante la notte. Soltanto una volta all’anno si concedeva un’unica sera e durante essa vi era solo dovere e responsabilità di avere un erede.
Dalla leonessa di Lannister aveva avuto una bambina durante il primo anno del loro matrimonio seguita dieci mesi dopo dall’erede. Il loro matrimonio, però, non era felice e i suoi figli avevano ben potuto riscontrarlo più volte.
L’apertura della spessa porta di noce delle sue camere arredate in modo spartano, ma a suo modo confortevole, lo sollevò da quelle delicate questioni che necessitavano di tutta la sua attenzione.
« Padre, padre mio, posso entrare?» esclamò la maggiore tra i suoi figli, una smilza bambina dagli occhi azzurri come il mare e i capelli d’ossidiana. Katrina era il suo nome ed era forte come tutti i Baratheon. Aveva il suo carattere impassibile e imperturbabile, sempre razionale e pacata, a volte poteva anche sembrare introversa, ma Stannis ne era intimamente fiero.
Quando guardava sua figlia, il lord di Capo Tempesta scorgeva se stesso annidarsi in quelle iridi cristalline che a taluni sembravano di ghiaccio puro. Erano per lui placidi laghi di montagna, calmi e accoglienti per chi riusciva ad andare oltre i suoi modi irritabili e ombrosi. 
« Dovresti essere dal maestro, Katrina, per la lezione di storia del reame,» ribatté il Lord continuando ad osservare le carte dei bilanci.
Sua figlia adorava studiare. Poteva trascorrere ore intere seduta diligentemente in biblioteca con un tomo di storia, ciò che studiava più volentieri, tra le mani, il capo chino e la mente aperta e ricettiva.
Per quello gli parve subito strano che non fosse dal maestro Cressen, lo stesso maestro che era stato al servizio di suo padre Steffon e aveva cresciuto Stannis e i suoi fratelli.
« Padre…»
La voce di sua figlia era spezzata. Come se stesse impedendosi di piangere, ma senza alcun successo.
Katrina non piangeva. Era diversa da Joffrey, volubile e capriccioso, sempre pronto a rintanarsi tra le gonne di sua madre per lasciarsi carezzare e coccolare come un infante.
Katrina era più forte e quando si rifugiava tra le braccia di suo padre, era per ricevere quel calore che Stannis stesso desiderava offrirle.
« Cos’hai, figlia? Piangi?» domandò Stannis alzando lo sguardo cristallino e puntandolo in quello gemello di sua figlia. Era ancora sulla soglia, affannata, con la sua guancia destra a chiazze rosse, come se avesse appena ricevuto un colpo. Katrina aveva sempre i capelli sciolti e ricci, unico tratto ereditato da Cersei, sulle spalle esili, ma quel giorno servivano per coprire qualcosa che non voleva mostrargli apertamente.
« Joffrey… Joffrey mi ha fatto male, padre,» sussurrò la bambina, come se temesse di innescare la scintilla della collera anche nel cuore di suo padre. Gli sembrò più piccola dei suoi quattro anni in quel desiderio infantile. Persino il più crudele tra gli uomini avrebbe provato tenerezza dinanzi a quella scena e sdegno per suo fratello minore.
Stannis abbandonò la carta sulla scrivania con uno sguardo dardeggiante reso scuro da quella confessione. Non avrebbe mai permesso a nessuno di sfiorare sua figlia. Mai.
«Siediti, Katrina. E spiegami,» mormorò il Lord per non turbare nuovamente la bambina, mantenendo una calma che non provava, sedendo la collera che rischiava di poterla ferire se male interpretata.
« Lui… stavamo guardando zio Renly allenarsi con Loras Tyrell. E Joffrey voleva sfidare lo zio. Io gli ho detto che non poteva perché lui non sa combattere ed è troppo giovane per poter confrontarsi con un cavaliere. E Joffrey mi ha dato uno schiaffo dicendomi che sono una stupida,» spiegò Katrina, con lo sguardo basso, come si vergognasse per la propria debolezza. Come se fosse stato un suo errore, una sua colpa.
« Aspetta qui,» ordinò perentorio pronto a marciare verso il suo unico figlio e ad insegnarli il rispetto verso sua sorella. Katrina non aveva fatto altro che il suo dovere nel ricordargli la sua inadeguatezza dettata dalla giovane età.
« No… padre, ti prego. Mi farà di nuovo del male per aver fatto la spia,» lo pregò la bambina, stringendogli la gamba destra e osservandolo con quei suoi grandi occhi innocenti e sempre sinceri.
Stannis si  inginocchiò per essere alla sua altezza e la guardò con apprensione mentre cercava le parole migliori per spiegarle che non avrebbe dovuto temere di nulla.
« Katrina, non permettere mai a un uomo di farti del male. Tu sei una Baratheon. Nostra è la furia. Ma la nostra furia non deve abbattersi sui deboli e tu sei debole,» spiegò il Lord rammentandole il motto della loro famiglia. Quella frase non gli apparteneva. Suo padre, Lord Steffon, l’aveva pronunciata dopo uno degli innumerevoli scontri con Robert quand’erano soltanto bambini.
Katrina era sempre stata come lui, ma Joffrey non era Robert. Robert era irruente, passionale, ma non avrebbe mai fatto del male ad una donna né l’avrebbe trattata con alterigia.
« Io non sono debole. Sono tua figlia,» contestò la bambina, gonfiando le gote rosee e rotonde. Sulle labbra di un altro padre si sarebbe formato un sorriso accondiscendente nell’udire quelle parole. Non su quelle di Stannis però. Stannis annuì con deliberata lentezza nel sentire la fierezza con la quale Katrina pronunciava la sua paternità.
« Rimani sempre una bambina indifesa. E tuo fratello deve imparare a rispettarti. O non diventerà mai un uomo giusto. È doveroso che gli insegni a comportarsi in modo corretto,» continuò imperterrito carezzandole la gota destra con l’indice, la gota macchiata di rosso, un rosso Lannister, un rosso sbagliato e ingiusto sul corpo di una cerbiatta,« Ed è giusto che tu impari a difenderti, Katrina. Sei una signora e un giorno diventerai moglie di un uomo importante. Piangere non ti aiuterà a molto se dovrai assistere il tuo signore,» aggiunse più serio, guardandola con quegli occhi blu che sapevano mettere in soggezione chiunque, ma non sua figlia. Mai Katrina.
« Ma la Septa dice che debbo essere mansueta e sempre dolce. Che soltanto così il mio signore mi apprezzerà,» controbatté sua figlia quasi con pena e accoramento.
Septa.
Sette Dei.
Quei falsi idoli che profondevano parole inutile e piegavano le menti verso superstizioni infondate e nocive.
Se solo Cersei non l’avesse chiamata, non sarebbe stato costretto ad insegnare a sua figlia ad allontanarsi da quelle falsità.
« La tua Septa parla di qualcosa che non ha mai conosciuto. Quanta stoltezza,» replicò Lord Stannis con astio nei confronti di quella donna che impregnava la mente di sua figlia di falsi concetti e di canti su Dei che non esistevano o che erano tanto indolenti e crudeli da non aiutare gli uomini,« Katrina, rivedo in te mia madre a volte. E non ho mai visto mia madre piangere,» le raccontò per smorzare quella critica. Sua madre. Lady Cassana. Una donna sempre giusta e comprensiva che faceva innamorare per la sua semplicità e il suo cuore indomito.
« Non piangerò più, padre. Te lo prometto. Ti renderò fiero di me. Sempre. E affronterò io Joffrey. Io sono una Baratheon. Non c’è nulla che possa spaventarmi,» gli promise la bella bambina, la sua figlia innocente, la sua unica speranza.
 
« Mia signora. Mia signora, svegliati,» esclamò una voce che le sembrò arrivare da lontano. Percepiva a stento le mani piccole e gentili, che potevano appartenere solo a una fanciulla, che le scuotevano le spalle candide e marmoree.
Katrina Baratheon s’era addormentata sul cornicione della sua finestra, sfinita da quella veglia prolungata e volta al ricordo di suo padre, le spalle posate sul freddo muro di pietra dietro di lei, in una posizione tanto scomoda da farle domandare mentalmente come avesse potuto dormire davvero.  
« Cosa? Cosa succede?» biascicò la fanciulla, schiudendo gli occhi chiari. La figura dinanzi a sé le apparve per un attimo sfocata, così abbassò le palpebre e quando le riaprì notò che si trattava della sua dama di compagnia, una sua lontana cugina, la figlia naturale di Gerion Lannister. Joy Hill aveva la bellezza dei leoni, aveva i riccioli color sabbia e gli occhi di un profondo verde bosco. Era dolce e gentile, aveva un’indole nobile e per quello Katrina l’aveva scelta come propria dama.
« Dobbiamo partire, mia signora. Il re è nei giardini,» esclamò Joy osservandola quasi con compassione. Joy poteva capirla avendo anch’ella perso suo padre durante l’infanzia.
« Dei, Joy. Non avresti dovuto lasciarmi dormire così tanto,» la rimproverò Katrina, issandosi in piedi, trattenendo a stento una smorfia di dolore alla schiena. Quell’atto così sciocco non era da lei e si ripromise di non farlo mai più. Il dolore della perdita era stato troppo grande, troppo aberrante e Katrina aveva dimenticato il resto del mondo in quelle rimembranze di affetto celato e gioia quotidiana.
« Mia signora, posso rendermi utile?» mormorò imbarazzata Joy chinando il capo.
« Trova il mio abito di seta nera e sistema i miei effetti personali,» tento di ammorbidire il tono la lady di Capo Tempesta. Joy era una buona fanciulla e non voleva offenderla. Katrina notò che le aveva già preparato l’acqua nella vasca e si spogliò celermente per poi lasciarsi immergere dall’acqua tiepida che scioglieva quella lieve pena alle spalle.
« Ti senti bene, lady Katrina?» domandò mentre spargeva i sali nella vasca quando la sentì sospirare di mestizia e trattenere le lacrime. In un attimo i ricordi della sera prima erano tornati a perseguitarla. La lettera, Rhaenys, Aegon. Aegon, il suo bel principe. Aegon che aveva mandato via quasi con irruenza, come se non lo desiderasse al suo fianco. Era stata sgarbata. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dall’acqua profumata. Dinanzi a sé scorgeva lo sguardo di un viola chiaro e meraviglioso del principe dei Sette Regni e si domandava come avesse potuto resistere dall’abbracciarlo, dallo stringerlo a sé, dal pregarlo di rimanere con lei quando l’aveva baciata sulla guancia. La sofferenza per la morte di suo padre aveva ottenebrato il resto del mondo. Persino il rispetto verso il proprio sovrano.
« Debbo chiamare il maestro Pycelle?» continuò quando non ottenne una risposta.
Il suo non era un male che un maestro poteva curare.
Nessun maestro avrebbe potuto restituirle suo padre.
Nessun maestro avrebbe potuto cambiare il suo cognome, la sua nascita, la sua stirpe che tanto era nemica a quella del principe.
« No. Non scomodare nessuno. Fa’ ciò che ti ho detto,» sussurrò la Lady socchiudendo gli occhi e lasciando scivolare lacrime amare di consapevolezza. Nulla sarebbe cambiato.
******

La Strada del Re era stata impregnata di fango sino a Bronzegate, sede di casa Buckler, poi il suolo era divenuto più confortevole per i cavalli reali e la loro marcia era divenuta più agevole e veloce. Alla testa della breve colonna composta dalla famiglia reale, da alcuni nobili e da pochi servitori, vi era re Rhaegar, primo del suo nome, fasciato dal nero della sua nobile Casata e dai rubini incastonati nell’anello regale portato al medio sinistro. Cavalcava da solo, affiancato da Ser Barristan Selmy, compagno silenzioso e gradito, rimuginando sulla morte avvolta nel mistero di Lord Stannis Baratheon senza trovarvi alcuna ipotesi plausibile.
Sua moglie, la bella Lyanna Stark, era con la sua primogenita, la dolce Rhaenys, e lady Katrina e i suoi figli cavalcavano immersi in una discussione mormorata di cui non riusciva a percepire nulla.
Il clima era pacifico, il popolo acclamava il suo re e si chinava al suo cospetto, applaudendo al suo passaggio, ma Rhaegar percepiva che v’era qualcosa di profondamente sbagliato in quelle terre.
Uccidere Stannis Baratheon in pieno giorno era stato un atto eclatante e se i suoi sospetti erano fondati, avrebbe dovuto preparare un sistema difensivo efficace anche per Approdo del Re. Era di vitale importanza che incontrasse Lord Jon Connington, il suo Primo Cavaliere, che aveva inviato a Posatoio del Grifone due mesi prima per fare luce delle misteriose notizie che giungevano da Est.
Jon gli aveva inviato una missiva il giorno prima contenente infauste notizie che avevano turbato alcune campagne nei pressi del confine con Alto Giardino oltre che la notizia della morte di Lord Stannis. Sarebbe stato impossibile continuare a mantenere la pace del re se non avesse trovato il colpevole di quei misfatti.
S’accorse dell’arrivo della moglie soltanto quando udì il nitrito della sua giumenta grigia.
« Lyanna, cara,» la accolse il re con un sorriso impresso sulle sottili labbra esangue. Lyanna era ancora la splendida donna che aveva incontrato a Harrenhal sedici anni prima. I suoi occhi grigi ancora lo incantavano per la forza, la tenacia e la determinazione che vi leggeva. I suoi capelli castani lasciati annodati in una sola treccia morbida mostravano ancora la libertà della lupa selvaggia. Lyanna non era cambiata né nell’aspetto, sebbene potesse scorgere alcune rughe imperlarle la fronte e gli angoli della labbra, sia nel carattere, ancora coraggioso e ostinato. Era stata e continuava ad essere l’unica donna che aveva mai amato.
« Mio re, posso parlarti?» domandò formale come non era mai stata con lui la bella regina d’Inverno, non ricambiando il sorriso, con gli occhi distanti e quasi più scuri, gelidi come i ghiacci della sua terra natia.
« Da quando mi chiami mio re, moglie mia?» mormorò Rhaegar aggrottando le sopracciglia per quel tono e per quello sguardo quasi indispettito, come se avesse mancato in qualcosa.
« Da quando non vuoi accettare l’evidenza,» rispose sua moglie scrutandolo con i suoi penetranti occhi chiari come se volesse leggergli l’anima e farlo arrendere dinanzi all’evidenza,« Aegon non riesce a non guardare Lady Baratheon,» aggiunse quando Rhaegar non le diede alcun cenno di aver compreso.
« Ne abbiamo già parlato, Lya. Non amo ripetermi e tu lo sai bene,» replicò quasi irritato da quell’informazione. Aveva notato lo sguardo del suo figlio maggiore saettare ad intervalli quasi regolari verso la bella figlia di Lord Stannis per poi tornare velocemente a parlare con suo fratello.
Non aveva nulla contro Lady Katrina in sé, sebbene ritenesse che una donna avrebbe dovuto mostrarsi meno intransigente, ma non poteva permettere che Aegon sposasse una fanciulla la cui famiglia avrebbe volentieri soffocato la sua.
Erano in tempo di pace, ma Rhaegar non aveva dimenticato Lord Tywin Lannister, né suo figlio Jaime né tantomeno l’insurrezione che aveva rischiato di distruggere il regno dei Targaryen, sovrani di Westeros da trecento anni.  
« Solo gli stolti non cambiano idea, marito. E tu non sei uno stolto,» mormorò calma Lyanna, abbassando il tono per fare in modo che neanche Ser Barristan potesse udire la loro conversazione. La voce di sua moglie, della sua regina, gli sembrò un tintinnio di campane in quel momento, ma non era un canto piacevole da accettare, « La guerra non riguarda né Aegon né Lady Katrina,» aggiunse ragionevole e quello a Rhaegar era ben chiaro. Non avrebbe mai potuto permettere che suo figlio, il suo erede, il Principe che era stato promesso per riportare la luce a Westeros, potesse vivere nel passato, « Mi chiamano selvaggia, ma io sono la tua regina,» ironizzò la sua bella sposa e signora con un sorriso sincero e colmo dell’innocenza di quella fanciulla che gli aveva rapito il cuore.
« Non paragonarla a te, Lyanna. È diverso,» esclamò Rhaegar quasi sconfitto da quell’argomento che avrebbe preferito non trattare al momento. Con i pensieri sulla morte di Lord Stannis e con il rafforzamento di quella minaccia non poteva permettersi di ponderare decisioni su nient’altro. Lyanna però non sapeva nulla e non era d’obbligo che la mettesse al corrente in quel momento. Se ne avessero parlato, in qualche modo la situazione sarebbe divenuta peggiore e Lyanna gli avrebbe di certo consigliato di sedare quella rivolta sul nascere prima che producesse i suoi morbi nelle altre parti del reame.
« In che modo?» domandò curiosa perdendo la formalità e tornando ad essere la donna che conosceva tanto bene.
« Appartiene a due famiglie che ci sono nemiche. Ha per madre la figlia di Lord Tywin Lannister, il quale avrebbe con piacere ucciso i miei bambini nel sonno. Ha come zio Jaime Lannister, lo Sterminatore di Re, colui che ha pugnalato mio padre alle spalle,» quasi sibilò quell’ultima frase per poi volgere lo sguardo scuro verso le porte in vista di Capo Tempesta. Ripensare al sangue di suo padre che macchiava i gradini del trono, il suo corpo abbandonato sul pavimento come un burattino di pezza, aveva sempre reso gli occhi di Rhaegar dardeggianti. Quel ragazzo, quel diciassettenne bello come l’oro e freddo quanto esso, era rimasto lì con la spada ancora insanguinata tra le mani. Jaime Lannister l’aveva guardato camminare verso di lui, verso il trono, ma non l’aveva visto davvero. Era distante, come assente. Rhaegar non avrebbe mai voluto ricordare quel giorno, il giorno in cui aveva appreso della morte di Elia, compagna fidata e gentile di una parentesi di vita e madre dei suoi due figli maggiori, il giorno in cui era diventato re di una corona grondante di sangue e morte. Non poteva, « Oltre ovviamente alla parentela diretta con Robert.»
« Ed Aegon la ama comunque,» insistette la regina, sfiorandogli la mano sinistra avvolgendola tra le proprie. Lyanna aveva le mani calde ed accoglienti, mani signorili e sempre sincere. Ma Rhaegar non si lasciò incantare da quel gesto così amorevole.
« Aegon è soltanto un ragazzo. Non sa ancora cosa significhi l’amore. E non desidero che lo impari a sue spese.»
« Ti do un solo consiglio, marito mio. Non perdere tuo figlio per la famiglia della sua dama,» esclamò sua moglie prima di spronare la sua giumenta verso la città dalle porte nere.

Non perderò mio figlio, Lyanna. Non lo permetterò.
*****

« Capo Tempesta,» annunciò la lady dagli occhi azzurri, carezzando la criniera della sua purosangue, quasi atona mentre nel suo cuore infuriava una battaglia epocale. Capo Tempesta, la sua casa, la sede secolare della sua famiglia, sorgeva come una minaccia incombente su di lei. Si stava avvicinando alla verità, a scorgere la recondita ragione della morte di suo padre, di Lord Stannis. Suo padre era il ferro e il ferro non si lasciava piegare facilmente. Quindi vi doveva essere stato l’apporto di un buon fabbro per poterlo flettere sino a spezzarlo. Un fabbro dai capelli color dell’oro e dagli occhi di glaciale superbia.
« Amica mia, sappi che siamo tutti costernati per la tua perdita e che io sarò sempre al tuo fianco,» le promise la sua principessa, la sua signora, la sua migliore amica. Rhaenys era rimasta al suo fianco ed era lì, premurosa e attenta, pronta ad aiutarla se fosse caduta nuovamente in quella spirale di ricordi che si confondevano nella memoria sino a formare un gioco indistinto di luci ed ombre.
« Sei gentile, mia principessa,» tentò di mantenere una parvenza di formalità per non lasciar spazio alle lacrime che stavano comparendo nei suoi occhi. Solo l’etichetta avrebbe potuto impedirle di piangere, di rendersi debole e attaccabile. E così vicina a sua madre, a suo fratello e allo spettro di suo padre, non poteva permettersi di essere fragile.
« E ti prometto… anzi ti giuro che faremo giustizia per ciò che avvenuto,» aggiunse determinata la bella principessa guardandola con i suoi dolci specchi neri che significavano famiglia, casa, affetto disinteressato e infinito.
« Neanche tu lo pensi, vero? Mio padre… mio padre odiava la caccia. Joffrey è crudele. Non può prendere il potere. Non posso permetterglielo,» bisbigliò Katrina, come se temesse che il coraggio di quella frase ardita potesse venire meno se avesse pronunciato quelle parole ad alta voce. Avrebbe fatto giustizia. Suo padre meritava quell’ultimo atto di amore. A qualsiasi costo. 
« Tu sei mia sorella, Kat. Ed io ti aiuterò a provarlo,» esclamò la principessa prendendole la mano posata sulle redini e stringendola facendola annegare nei ricordi di un’altra sorella, una sorella di sangue, una sorella che aveva abbandonato nelle mani dei leoni sette anni prima.
 
« Shireen, non piangere,» esclamò Katrina mentre sistemava i suoi vestiti all’interno di un profondo baule marroncino. Erano appena tornati dal torneo a Sala dell’Estate che aveva visto l’incoronazione a regina d’amore e di bellezza di Lady Lyanna da parte di re Rhaegar. Il ricevimento era stata sontuoso, ma a Katrina non era importato scorgere i bei cavalieri o il principe Aegon, fresco dei suoi nove anni, raccontare in perfetto Alto Valyriano della Danza dei Draghi. Era stata affascinata dalla gentilezza e dal buon cuore della principessa Rhaenys, dal suo sorriso caloroso e dai suoi modi cortesi e giusti. Era tutto ciò che Katrina si augurava di divenire e per quello aveva pregato suo padre di diventare la sua dama da compagnia.
« Ma perché vai via?» domandò la bambina non riuscendo a capire perché sua sorella, la fanciulla di otto anni che soleva raccontarle favole di Durren e della magia che impregnava le pareti di Capo Tempesta, dovesse andar via, dovesse abbandonarla al proprio destino senza alcuna ragione apparente,« Non mi vuoi più bene?» aggiunse quasi vicina alle lacrime. Katrina era il suo scudo e allo stesso tempo la sua spada. La difendeva dalla crudeltà di Joffrey e la sosteneva quando rischiava di cadere e lasciarsi andare al dolore della malattia.
« Non è così. Sarò la dama di compagnia della principessa. È un grande onore per la nostra famiglia e per me,» tentò di spiegarle la maggiore ragionevole, mostrandole quella prospettiva che poteva essere utile per riportare i Baratheon all’antico splendore.
« Portami con te,» la pregò Shireen, abbracciandole la vita sottile e immergendo il capo nella sua veste candida.
« Non posso, Shireen,» abbassò lo sguardo Katrina scuotendo i lunghi riccioli scuri, « Comprendimi, sorella. Tu sei una bambina. Devi rimanere con nostro padre e nostra madre,» aggiunse chinandosi alla sua altezza e asciugandole le lacrime che le avevano bagnato le guance magre. La gota sinistra il collo sottostante erano affetti dal morbo grigio, il morbo della morte lo chiamavano alcuni. Katrina era una delle poche persone, con il loro padre, a sfiorarle quella parte di volto senza alcun timore del contagio. Molti la scansavano, ma mai Katrina che le era stata accanto per tutta la durata della sua malattia, aiutandola a vincerla.
« Nostra madre mi odia,» sussurrò Shireen, chiudendo gli occhi azzurri come i suoi e quelli del loro padre. Katrina sospirò per quella frase che poteva anche corrispondere al vero. Lady Cersei amava i suoi figli, sì, ma a volte era così fredda e distante da sembrare che non le importasse nulla di nessuno di loro tranne Joffrey.
« Lei non ti odia,» negò la maggiore con decisione, consapevole di mentire in parte, ma impossibilita a spiegarle che era l’odio verso il loro padre a governare il cuore di Lady Cersei, « Shireen, adesso ascoltami. Devi farti forza, bambina. La vita non è giusta e prima lo imparerai, più diventerai forte e saprai sconfiggere qualsiasi nemico,» le spiegò prendendola per le spalle e scrutandola con serietà, la stessa serietà del loro padre.
« Quale nemico?» domandò con tutta l’innocenza dei suoi quattro anni, osservandola con i suoi grandi occhi blu come il mare.
« Quello che non fa rumore. Quello che si insinua nel tuo animo e non ti permette più di liberarti. Il più subdolo di tutti. La paura,» le rivelò sottovoce. Era la paura il loro vero nemico, l’assassino della razionalità e Shireen avrebbe dovuto imparare al più presto a difendersi da essa e a sconfiggerla, « Non mostrarti mai spaventata, mai atterrita, o si approfitteranno della tua debolezza di bambina.»
Shireen annuì, promettendole con gli occhi che sarebbe stata forte e non si sarebbe lasciata corrompere dai leoni che abitavano nella casa del cervo.
« Mi scriverai, vero? Saremo sempre sorelle?»
« Sempre,» le giurò Katrina e a quella promessa non venne mai meno.
 
Angolo dell’autrice
Approfitto di questo piccolo spazio per mostrarvi come io immagino i personaggi. Immagino Katrina con il volto di Anna Bolena in The Tudors, quindi con le fattezze di Natalie Dormer, ed Aegon con quelle di Arthur Pendragon in Merlin, quindi con il volto di Brad James. Rhaenys la immagino come la Katrina Petrova di The Vampire Diaries. Jon, Tyrion, Cersei, Stannis e gli altri con i volti degli attori della serie. Rhaegar e Lyanna come Jaime Campbell Bower ed Eva Green di Camelot.  

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***



Quando alcuni soldati di vedetta su due minute torri gemelle aprirono loro le porte della sua città, Katrina Baratheon si guardò intorno e vide che tutto era cambiato. Case, abitanti, volti, espressioni, timori. Tutto era mutato. Katrina era andata via d’Estate e tornava d’Autunno quando il Sole non illuminava le strade strette, tanto strette da permettere il transito di soli tre uomini a cavallo, quando il vento che spirava dal mare soffiava con tale potenza da insediarsi nelle abitazioni modeste del suo popolo, quando lo spettro di un Inverno che si preannunciava lungo e inflessibile atterriva le speranze dei piccoli proprietari terrieri.
Solo i bambini avevano le stesse espressioni gioiose di un tempo. Curiosi, si avvicinavano alla colonna reale e applaudivano al passaggio del re, della regina e del principe ereditario. Katrina tentò anch’ella un sorriso, ma si spense sulle labbra nel rammentare che quella città non era più casa sua. La sua casa era Approdo del Re, patria di sovrani e immensità di vicoli. La sua casa era la Fortezza Rossa. La sua casa era Rhaenys, la sua dolce principessa dal cuore nobile e gentile, sempre caritatevole e onesto.

La sua casa era Aegon, il suo principe passionale e impetuoso, ma sempre cortese nei modi e nei gesti. Il suo principe dal sorriso splendente e dagli occhi profondi come mari d’ametista colmi di vita e desiderio di libertà.
Tanto più si avvicinava alla fortezza, tanto più voleva spronare Storm a tornare indietro.

Portami a casa, Storm. Questa non è più la mia.

Si costringeva però a mantenere le redini puntate verso le immense e alte porte che conducevano al palazzo appartenuto ai Baratheon per trecento anni, da quando Orys, fratello di Aegon il Conquistatore, aveva sposato Argella Durrendon, ultima regina della Tempesta.
Vide la sua famiglia dinanzi a sé, all’ingresso, pronta ad accogliere con benevolenza l’arrivo del sovrano e della sua corte, ma non riconobbe neanche loro se non per gli sguardi e le espressioni sui volti di marmo.
Sua madre era in prima linea, splendida in un abito nero che non faceva altro che esaltare le sue forme sinuose e ancora giovani. I suoi lunghi capelli d’oro fuso erano costretti in mille trecce e il suo volto ovale era candido, pulito e innocente come quello di una bambina. I suoi occhi verdi come smeraldi, freddi quanto il metallo, sembravano già averla individuata sulla sua purosangue nera. E ciò che vedevano non le piaceva.
Katrina non aveva avuto né il tempo né il desiderio di curare il suo aspetto. Aveva intrecciato i lunghi riccioli neri in una treccia quasi improvvisata e i segni delle lacrime le velavano ancora gli zigomi alti, in quel momento arrossati.

Mio padre è morto. Non m’importa nulla del mio aspetto. E non dovrebbe importare neanche a lei.

Non aveva mai avuto un buon rapporto con sua madre. Le parole tra loro erano sempre state rade e poco sincere, pregne di una falsa cortesia e di affetto costruito sulle convenzioni sociali.
Era suo padre l’unico genitore che aveva come punto di riferimento. Duro e inflessibile, ma che non le aveva mai fatto mancare nulla in tutta la sua vita.
Il suo sguardo si spostò verso suo fratello, l’erede di suo padre, sempre al fianco di sua madre, dai riccioli biondi e dal viso d’avorio che sembrava essere stato scolpito dal più bravo cesellatore di Westeros, avvolto da un mantello cremisi e da un farsetto in cui si alternavano leoni e cervi d’oro.
Katrina digrignò i denti e s’impose di non scuotere il capo dinanzi a quella vista.
Non era un abito luttuoso né rispettoso nei confronti della loro famiglia. Aveva esaltato più i Lannister che i Baratheon e in quell’occasione ufficiale Katrina lo considerò un affronto a suo padre e a se stessa.
Accanto a loro vi erano i bambini, che bambini non erano più in verità.
Tommen, dal sorriso morbido e dal volto paffuto, più alto e più prestante, non un più un bambino, ma neanche un uomo.
Shireen, l’unica con lei ad aver ereditato i tratti del loro padre e l’unica ad indossare un vestito nero e semplice che sembrava più adatto a una figlia di mercante che ad una di Lord. Sul suo volto e sul collo figuravano ancora i segni del morbo grigio, ma il suo corpo stava diventando quello di una donna, di una bella donna, e i lunghi capelli neri come i suoi, ma lisci, erano acconciati in modo tale da lasciare libero il volto.
Shireen aveva imparato a convivere con quei segni e Katrina ne era tanto orgogliosa da dimenticare l’offesa di Joffrey.
Per un ultima vi era Myrcella, bella come Cersei alla sua età, ma in lei non v’era nient’altro della loro madre. Myrcella guardava timidamente la corte reale e il suo sguardo si posò per un attimo più lungo sul bel principe ereditario. Katrina poté notare un lieve e grazioso rossore sulle gote di pesca.
Strinse con più forza le redini del suo cavallo e tornò a irrigidire la mascella, poi scosse impercettibilmente il capo e si diede della sciocca.
Aegon era bello e prestante come suo padre e Myrcella non era stata la prima a guardarlo con interesse. E poi, si disse, era soltanto una bambina di dieci anni, ancora innamorata delle canzoni, dei cavalieri e delle favole. Non poteva biasimarla.
Dietro la sua famiglia vi erano i Lord minori, tra i quali figuravano Lord Jon Connington, con l’emblema del Primo Cavaliere ben appuntato sulla tunica rosso scuro, e suo zio Renly, il castellano di Capo Tempesta, con la moglie Sansa al suo fianco che teneva per mano il piccolo Steffon.
Fu proprio suo zio ad aiutarla a discendere dal proprio cavallo e tra le sue braccia Katrina si sentì nuovamente al sicuro, a casa.
Renly Baratheon era Robert da giovane. Non aveva mai conosciuto il fratello maggiore di suo padre, ma tutti lo asserivano. Alto, imponente, con corti capelli neri e profondi e ridenti occhi azzurrini. Suo padre era stato un uomo di altrettante caratteristiche, ma non era mai stato così bello e affascinante come i suoi fratelli. Notò lo sguardo di re Rhaegar posarsi su suo zio come con rimembranza, poi scosse il capo e tornò a rivolgersi verso sua madre per porgerle le condoglianze per la sua triste perdita.
Suo zio le carezzò i capelli con un sorriso compassionevole sul volto e Katrina vi scorse della verità nelle sue iridi identiche alle proprie. Anche lady Sansa Stark, figlia di Lord Eddard e lady Catelyn, le sorrise con deferenza tenendo per mano suo cugino, un infante di tre anni appena, ma che già sembrava lo specchio di suo padre.
« Dove stai andando, figliola?» domandò con falsa dolcezza sua madre quando la vide dirigersi verso l’interno del palazzo. Non poteva rimanere lì, non quando i ricordi di suo padre tornavano alla memoria come lame mortifere. Quelle persone non potevano capire il suo dolore, non avrebbero mai potuto. Nemmeno Shireen avrebbe compreso. Shireen non era penetrata nel cuore di Stannis com’aveva fatto lei con anni e anni di fatica e dedizione. Nessuno aveva conosciuto meglio di lei quell’uomo duro come ferro, onorevole e giudizioso come poche persone erano al mondo.
« Desidero vedere il maestro,» mormorò ancora interdetta da quei cambiamenti e dalle quelle rimembranze. Suo padre l’aveva abbracciata per l’ultima volta in quel punto. Una semplice stretta appena accennata, ma Katrina aveva saputo trovare tutta la dolcezza e l’amore di suo padre al suo interno. Maestro Cressen era l’unica persona che avrebbe potuto aiutarla a far luce sul mistero della sua morte.
« Bene. Lo troverai nelle sue stanze. È anziano. Non può spostarsi con facilità,» le comunicò e il suo tono era tanto pregno di affettata cortesia da farla inorridire. Sua madre non era mai stata troppo dolce con lei e con sua sorella Shireen, ma non l’aveva mai studiata con quello sguardo penetrante, quasi di fuoco nella sua irruenza.
« Mia principessa, hai bisogno di me?» sussurrò verso la bella Rhaenys accanto a lei. Aegon l’aveva aiutata a discendere dal suo cavallo con la grazia e la delicatezza di un fratello amorevole. Aveva ancora le mani sui suoi fianchi e Katrina percepì di nuovo quell’ardente sensazione alla bocca dello stomaco che aveva provato quando Myrcella era arrossita. Si sentì subito in colpa per quella gelosia insensata. Aegon e Rhaenys erano fratelli.
Targaryen, con il sangue della vecchia Valyria e una tradizione secolare di matrimoni familiari.

Quella voce malevola fu soffocata immediatamente dai ricordi e dallo sguardo accalorato del suo bel principe, quello sguardo dedicato soltanto a lei.
« No, cara. Puoi andare,» le permise la principessa con un dolce sorriso d’incoraggiamento sulle belle labbra rosee, sfiorandole la mancina. Katrina le sorrise appena, ringraziandola con lo sguardo ancora più in colpa per quella sciocca voce che aveva tanto le sembianze di quella di Cersei.
« Katrina, tuo nonno sarà qui tra poco,» sibilò sua madre abbandonando per un attimo quella maschera di gentilezza e serenità, accorgendosi delle intenzioni di sua figlia. Forse aveva creduto che avrebbe atteso prima l’arrivo di tutti gli ospiti e poi si sarebbe recata da suo padre, sul suo letto di morte, pronta a inchinarsi e a piangere sulle sue spoglie. Era in errore e avrebbe dovuto saperlo.
« Puoi accoglierlo anche senza di me.»
La sua voce, fredda, distante e austera gelò l’atmosfera all’ingresso del palazzo e percepì lo sguardo di un intenso grigio perlaceo della regina fisso su di sé nonché quello di Aegon, quasi stranito da quel tono. Solo il re, tra tutta la corte e i Lord delle Terre della Tempesta, non si volse a guardarla e Katrina gliene fu grata.
Era stata sgarbata e ne era ben consapevole, ma non aveva potuto trattenersi.
Una Lady non avrebbe mai dovuto rispondere in quel modo a sua madre, né a nessun altro nobile, ma Katrina non era una Lady in quel momento. Era la figlia orfana di un padre assassinato pronta a tutto pur di arrivare alla verità.
Sua madre fece per parlare, ma Joffrey la bloccò con un cenno della mano e le porse il braccio come per accompagnarla all’interno del palazzo. Katrina lo lasciò fare pur non capendo bene le sue intenzioni.
Era divenuto più alto e aveva la bellezza tipica dei Lannister. Non si stupì che la splendida Lady Margaery Tyrell avesse acconsentito a sposarlo. Ma Joffrey aveva un animo crudele e un ghigno malvagio sempre impresso sulle labbra imbronciate.
« Se credi di essere tornata per restare, hai sbagliato, sorellina,» soffiò Joffrey crudele, sospingendola verso il muro, quasi facendo aderire i loro corpi. Come se avesse avuto una fiera selvaggia dinanzi a sé, Katrina non si mosse e lasciò che Joffrey la intrappolasse tra le sue braccia forti e muscolose. Sentiva le sue unghie lunghe e affilate penetrare nella tenera carne del suo braccio destro, ma non emise fiato. Soddisfatto suo fratello si scostò e ampliò il sorriso prima di lasciarla in quel corridoio vuoto che conduceva alle scale principali.
Katrina notò i segni rossi che le unghie di Joffrey aveva lasciato sotto la manica del suo vestito e digrignò i denti pronta a tornare verso suo fratello e rammentargli che era una Baratheon e non si lasciava sottomettere da nessuno, nemmeno da lui. Poi il pensiero del maestro, di suo padre e dell’ombra di pericolo che l’avvolgeva, nonché il ricordo dei freddi occhi di sua madre, la costrinsero ad abbandonare i suoi intenti e a dirigersi verso le stanze del maestro al piano più alto del palazzo.
Durante tutta la durata del tragitto non fece che pensare alle parole di Joffrey. Non era la benvenuta nella sua stessa casa e non s’aspettava di esserlo, non dopo aver scorto l’espressione di sua madre che sembrava cacciarla come fosse stata un dispettoso insetto.
« Maestro Cressen,» mormorò Katrina quasi con le lacrime agli occhi dopo aver aperto le porte delle sue stanze e aver individuato il maestro che stava dando da mangiare ai suoi corvi. Era cambiato anche lui. Era più magro, i capelli sempre più radi e dalla barba lanosa. Arrancava quando era costretto a camminare tra le gabbie dei corvi e aveva la mancina sull’anca come per sollevarla ad ogni passo. Il maestro si volse di scatto e la bella Lady riconobbe in lui lo stesso uomo che le aveva insegnato la storia e il moto delle costellazioni quand’era bambina.
« Katrina, sapevo saresti venuta subito da me. Accomodati, cara,» la invitò caldamente, ma con un velo di tristezza nello sguardo accogliente di un tenero marrone annebbiato di vecchiaia. Katrina s’accomodò soltanto perché non era certa che le gambe l’avrebbero sorretta ancora. Era troppo da sopportare. La marea dei ricordi affiancati a quella triste realtà che era divenuta la vita di Capo Tempesta la stava conducendo verso flutti incauti e perigliosi e Katrina stava lottando con se stessa per non annegare in quel mare nero di vergogna e umiliazione. Joffrey l’aveva colpita, le aveva fatto del male e Katrina gliel’aveva concesso. Non era da lei.
« Cos’è accaduto davvero?» domandò diretta e ostinata, testarda come solo una Baratheon poteva essere. Il maestro sospirò e scosse il capo, comprendendo le sue ansie e le sue preoccupazioni, ma scegliendo di mentirle ancora come se avesse dinanzi a sé una sciocca bambina che non meritava di conoscere la verità.
« Un cinghiale. Non voglio disgustarti con i dettagli.»
« Perché è andato a caccia? Per gli Dei, maestro, lui la odiava,» sbottò non riuscendo più a contenersi. Scattò in piedi e prese a vagare per la stanza, costringendosi a non uscire e dirigersi verso il cortile del palazzo. Aveva sentito lo squillo di tromba che annunciava l’arrivo degli ultimi ospiti, i Lannister di Castel Granito.  
« Figliola, siediti. Sembri una fiera incatenata,» la pregò il vecchio maestro tentando di catturarle la mani con le proprie. Katrina notò la sofferenza nel suo sguardo e ne ebbe compassione. Per un attimo il suo dolore le sembrò soltanto un punto nel mare di sofferenza che provavano gli uomini di Westeros e del mondo interno, « È andato a caccia di alcuni delinquenti nella Foresta, delinquenti che hanno già rubato nelle campagne limitrofe. Il cinghiale è piombato sulla sinistra di Lord Stannis e non ha potuto schivarlo,» le spiegò sofferente, ma veritiero, facendo luce su parte del mistero della sua morte, « Figliola, ascoltami, gli incidenti accadono.»  
« Non è stato un incidente, maestro. E tu lo sai,» sussurrò la bella lady dagli occhi di zaffiro. Non poteva credere che suo padre fosse stato ucciso da un cinghiale. Stannis non era un uomo debole, non lo era mai stato, e quella morte non era onorevole né giusta né pietosa.
« Non pensarlo,» la implorò alzandosi e avvicinandosi a lei nonostante il dolore che provava, « Per il tuo bene, ragazza, non pensarlo nemmeno,» bisbigliò come se avesse timore che qualcuno potesse udirli, abbracciandola e stringendola a sé come una figlia.
« Non posso lasciarlo impunito,» ribatté fiera la figlia di Lord Stannis contro il suo petto, cacciando le lacrime che volevano sopraffarla.
« Torna ad Approdo del Re con la principessa. Onora la tua famiglia. Adesso è Joffrey il Lord di Capo Tempesta,» le rammentò come se non avesse compreso, come se si stesse illudendo che suo fratello l’avrebbe accolta a braccia aperte. Quello di prima era stato il suo primo avviso, ma non avrebbe di certo avuto scrupoli nel reiterare quella minaccia e Katrina non era per nulla certa che le avrebbe risparmiato di realizzarla se fosse rimasta lì.
« Era mio padre. Gli ho promesso che l’avrei sempre reso fiero di me. Come posso lasciare che questo mi scivoli addosso, maestro?»
La sua voce era un singhiozzo trattenuto, il rantolo di qualcuno che era in grado di trattenere oltre la sofferenza, il grido spezzato che urlava giustizia.
Non poteva lasciare che il timore di suo fratello e di sua madre la governasse. Il suo dovere era vendicare la morte di suo padre.
« Bambina mia, la vita è crudele,» mormorò il maestro carezzandole i lunghi capelli oramai sciolti da quella treccia morbida, « Ho amato quel ragazzo più di ogni altro. Il figlio che non ho mai avuto. Era un uomo doveroso e a senso unico, orgoglioso e inflessibile. Era un uomo buono e in fondo al suo cuore lui vi amava. Ora è con gli Dei ed è in pace,» tentò di consolarla carezzandole la gota.
« Mio padre non credeva negli Dei,» bisbigliò Katrina, ritrovando il controllo di sé. Se suo padre l’avesse vista piangere, non sarebbe stato fiero di lei. Suo padre avrebbe digrignato i denti, indurito la mascella e le avrebbe ricordato che era sua figlia. E Katrina lo rammentava bene, era la sua unica certezza in quell’oceano di dolore e morte. Katrina era la figlia di Stannis Baratheon e tale sarebbe rimasta sino alla fine dei suoi giorni, « Debbo sistemarmi per la funzione.»
Quella sera suo padre sarebbe stato sepolto nell’antica cripta dei re Durrendon come suo padre prima di lui e il padre di suo padre. Era quella la tradizione, ma Katrina avrebbe preferito fosse stata una cerimonia più intima. Suo padre odiava i ricevimenti colmi di persone ipocrite, pronte sempre e solo a giudicare per convenzioni sociali.
Katrina aveva notato in disparte colui che considerava il solo amico sincero di Lord Stannis, Ser Davos, mentre veniva osservato con disprezzo dai Lord secolari. Al solo pensiero i pugni le si irrigidivano per l’ingiustizia di quei falsi credi.
« Katrina, aspetta. C’è qualcosa che dovresti sapere,» la bloccò il maestro quand’era già arrivata a passo di marcia sulla soglia della porta.
« Cosa?» domandò curiosa la bella giovane, volgendosi verso il maestro e asciugandosi le lacrime sulle gote d’avorio.
« Il seme è forte,» esclamò il saggio e anziano uomo dinanzi a lei. Katrina aggrottò le sopracciglia scure e lo osservò interrogativa,« Sono state le sue ultime parole. Il seme è forte. Lui ti ha lasciato questa lettera anche,» le comunicò porgendole ciò che sembrava più un biglietto scritto frettolosamente che una lettera. Era spiegazzato in modo che non si leggesse il contenuto. Non aveva l’accuratezza dello stile di suo padre, ma il maestro le aveva assicurato che fosse il suo e Katrina non aveva motivo di non credergli.  
« Grazie, maestro Cressen,» mormorò e si concesse di abbracciarlo per un istante prima di lasciare le sue stanze.
Doveva dirigersi verso le camere che avevano assegnato alla principessa Rhaenys per sistemarle e renderle più confortevoli, ma la curiosità le attanagliavano l’animo in una morsa serrata e quasi crudele nella sua intensità.

« Kat,» la chiamò una voce alta e squillante come una tromba, facendola desistere dai suoi intenti. Suo zio sorrideva mentre si chinava su di lei e l’abbracciava con dolcezza, baciandole entrambe le guance. Le sue erano cosparse di una folta peluria nera ben curata che si scontrava amabilmente con gli occhi color del cielo.
« Zio Renly,» lo accolse atona, inchinandosi con ossequio. Renly quasi rise per quella formalità e scosse il capo come per rimproverarla.
« Condoglianze vivissime, dolce nipote. Come stai?» le chiese con gentilezza che sembrava davvero sentita. Renly non aveva mai amato molto suo fratello, ma era sempre stato gentile con lei e Katrina aveva bisogno di immergersi in quel mare tanto simile a quello di suo padre. Poi rammentò che Renly non era suo padre, però. E non lo sarebbe mai stato.
« Non sono io quella dilaniata da un cinghiale. Quindi credo bene, zio.»
Non voleva essere tanto scontrosa. Suo zio era stato gentile con lei in fondo. Ma aveva il sospetto che l’avesse avvicinata soltanto per tenderle una trappola.
« Non avrebbero dovuto raccontarti questi particolari cruenti. Sei una buona e dolce fanciulla. Potrebbe causarti incubi di ogni natura,» mormorò dispiaciuto carezzandole un ricciolo che scendeva pigramente sulla gota sinistra. Il suo volto sembrava costernato per lei e tutto quel calore la fece sentire a disagio per un attimo. Suo zio bramava qualcosa, le sembrò ovvio, e la stava usando per arrivare ai suoi scopi. Non era affetto, ma puro e semplice interesse.

Cosa posso dargli? Io non ho nulla. È Joffrey il Lord adesso.  

« Gli incubi nascondo con l’irrazionalità, zio Renly.»
« Questo è vero, cara figliola,» esclamò suo zio sorridendo accondiscende alle sue parole. Un sorriso furbo che Katrina riconobbe prontamente, nonostante fosse tanto immersa nel desiderio di leggere le ultime parole di suo padre, « Forse gradirai una lettura in una notte così spaventosa. Farò recapitare un libro nelle tue stanze. A dopo, Kat.»
Guardò suo zio scomparire dietro l’angolo di uno dei tanti corridoi del palazzo, poi chinò il capo e notò che nella mancina stringeva ancora il foglio spiegazzato di suo padre. 
Sospirò e scosse il capo sistemando il figlio nella fascia che le avvolgeva i fianchi morbidi. Rhaenys la stava attendendo e quelle parole, per quanto potessero essere importanti, non avrebbero fatto tornare suo padre in vita.
Quindi si diresse verso l’ala destinata agli ospiti e domandò ad una serva quale camera fosse stata assegnata alla principessa. Come sospettato, sua madre le aveva offerto un’ampia camera ariosa che s’affacciava direttamente sul Mare Stretto non molto lontana dalla sua.
Katrina bussò ed entrò solo quando Rhaenys la invitò a farlo.
« Oh cara,» la accolse la principessa con un sorriso dolce e affettuoso scostando il tamburello da cucito e posandolo ai piedi del letto. Eppure nemmeno un punto era stato intessuto su di esso. Era ancora una tela candida pronta per essere abbellita. Rhaenys sembrava quasi imbarazzata e Katrina se ne domandò la ragione. La principessa era sempre stata sincera con lei, anche prima di divenire amiche molto strette. La verità era che Rhaenys non sapeva mentire, il suo animo era candido come quello della bambina che soleva giocare con un gattino di nome Balerion prima che la guerra sconvolgesse il suo mondo. Aveva perduto una madre e talune notti, glielo aveva confessato anni prima e Katrina non aveva mai fatto parola con nessuno, poteva ancora udire il crepitio del fuoco e la risata folle di suo nonno impregnare le pareti della sala del trono. Quando aveva scorto suo padre sul suo cavallo bianco tornare ad Approdo del Re con un’altra donna al suo fianco che aveva un altro figlio tra le braccia, Rhaenys l’aveva odiato.
Una figlia non poteva mai odiare un padre per molto e quell’odio passò in fretta, passò quando Jon, Aegon e lei divennero il trio inseparabile che ancora erano. Scomparve con il sorriso di Lyanna mentre si occupava di lei con vero affetto. Scomparve con i baci e le carezze gentili di suo padre, con i suoi racconti sussurrati nell’ore buie per farla addormentare senza problemi.
Katrina sapeva tutto questo poiché era fuoruscito dalle labbra di Rhaenys. Non vi erano mai stati segreti tra loro e per quello non capiva come potesse provare ancora imbarazzo dinanzi a lei.
« Cosa stai facendo se posso domandare?»
« Pensavo ad Aegon e a Viserys. Questa mattina hanno litigato. Me l’ha riferito mio zio,» le comunicò senza guardarla, sistemando inesistenti pieghe del suo vestito nero di organza rifinito con lingue di fuoco cremisi sulla gonna.
« Per quale ragione?» chiese non senza una certa curiosità mentre sistemava alcuni abiti della principessa in un imponente armadio di noce di fronte al letto. Gli abiti di Rhaenys erano semplici, modesti, ma belli nella loro parsimonia. Lo stile somigliava molto a quello della regina Lyanna ed era totalmente dissimile da quello ostentato di sua madre o di lady Lysa Arryn.
« Per te. Aegon ti ha chiesta in moglie a mio padre,» le rivelò alzando finalmente lo sguardo scuro per incontrare il suo. Ma in quel momento fu quello di Katrina a fuggire verso la finestra che si affacciava direttamente sul Golfo. Non poteva credere che Aegon avesse davvero affrontato l’argomento con suo padre.
Vi erano molte altre dame più meritevoli di lei, più gentili di lei, che avrebbero potuto ambire ad essere sposate con il principe ereditario, ma Aegon desiderava lei.
In un attimo le sue guance si imporporarono nel ricordare quant’era stata scontrosa nei giardini. Il re non avrebbe mai accettato di lasciarle sposare il principe. Mai.
« Ritengo che il re non abbia accettato,» mormorò tentando di non mostrarle il suo dispiacere. Aegon era stato avventato, ma Katrina non poteva biasimarlo. Se fosse stata al suo posto, avrebbe spiegato a suo padre l’amore che li legava ed era certa che, seppur riluttante, Lord Stannis l’avrebbe accompagnata dinanzi al Septon nel Gran Tempio di Baelor dinanzi a tutti i Lord dei Sette Regni.
Quale re, però, avrebbe fatto sposare il suo erede con la nipote di un traditore, con una tale fanciulla che non osservava le convenzioni canoniche delle Lady anzi non assisteva nemmeno alla venuta del Lord suo nonno?
Non certo un re Targaryen, non certo Rhaegar il Giusto.
« No. Crede che… che non sia la scelta migliore per il regno. E nemmeno Viserys,» confermò la principessa riportandola alla realtà. Del parere di quel mezzo folle di Viserys non poteva importarle di meno e avrebbe voluto avvertire Rhaenys di non fidarsi troppo di suo zio. Lo sguardo di Viserys indugiava spesso sulle forme gentile della bella principessa. Non era carezzevole come lo sguardo che Aegon riservava sempre a lei, dettato dall’amore che nutriva nei suoi riguardi. No. Era immensamente più profondo e voluttuoso e andava oltre qualsiasi amore che non fosse carnale. Viserys voleva possedere quel bene prezioso che era Rhaenys, la primogenita di re Rhaegar, così simile alla sua prima moglie Elia. E Katrina non gliel’avrebbe mai permesso, « Aegon ti ama, cara, e tu lo ami molto. Io lo so.»
« Non mi sembra il momento adatto per parlarne, mia principessa,» esclamò tentando di rimanere calma e di non lasciar trapelare il dolore che provava nell’udire quella dichiarazione. Aegon l’amava e Katrina lo sapeva e lo ricambiava in segreto, ma sentire quelle parole pronunciate a voce alta a pochi metri da chi desiderava soltanto ferirla producevano un suono tanto assordante da farla cadere. E non poteva permetterselo. Non con il mistero della morte del suo amato padre. non con suo fratello così pronto a ferirla e annientarla. Non con gli occhi gelidi di sua madre pronti a pugnalarla in mezzo alle costole. Non poteva mostrarsi debole e Aegon era la sua debolezza. Poiché lo amava e avrebbe fatto di tutto per lui, anche dimenticare l’onore e il dovere.
« Forse se ti mostrassi più dolce e accomodante, mio padre riconoscerebbe in te le doti di una regina,» le consigliò Rhaenys sorridendole appena.
« Più dolce… più accomodante,» ripeté Katrina guardandola negli occhi senza alcuna espressione apparente. E per un attimo pensò davvero a quelle parole, poi scosse il capo. Aegon si era innamorato di lei nonostante quei lati duri e aguzzi del suo carattere. Non avrebbe mai desiderato che cambiasse per potersi adeguare ai desideri imposti dall’esterno, « Non ho chiesto io che Aegon mi amasse, Rhaenys. Così come lui non l’ha chiesto a me. Non ho il desiderio di essere la regina di alcun regno,» esclamò veritiera. Non le importava essere una regina. Le importava essere la donna di Aegon, sempre e per sempre.
« Ma vuoi essere sua moglie,» ribatté Rhaenys ben interpretando i suoi pensieri, ma Katrina scelse di non rispondere, « Non mentire, amica mia. Ci conosciamo da troppo tempo per poter mentire l’una all’altra.»
« Non lo nego. Non l’ho mai negato,» mormorò chinando il capo e osservando la fascia che conteneva le ultime parole di suo padre. Soltanto Katrina poteva sapere quanto avrebbe desiderato poterle leggere e si maledisse per non averlo fatto sul serio. Rhaenys era la sua coscienza. Sapeva tutto di lei e non aveva alcun problema a rimproverarla e a farla sentire colpevole.
« Non perderlo, Kat,» l’implorò Rhaenys prendendole le mani e stringendole nelle sue più piccole e abbronzate, « Non fare il mio stesso errore. Guardami,» la invitò caldamente spalancando le braccia come per mostrarle la sua vera essenza e ciò che Katrina vide non le piacque. Era più magra del solito, un fuscello che poteva essere piegato da un vento freddo e crudele, « Promessa a qualcuno che non mi amerà mai. Io lo sposerò soltanto per il dovere che ho nei confronti di mio padre. Ma tu, tu puoi avere un destino diverso, sorella mia,» mormorò fiduciosa con quegli occhi neri, specchi di un amore incondizionato e di una ferma speranza nel futuro. Rhaenys pensava che tutto potesse volgere per il meglio anche nelle situazioni più sfavorevoli. Katrina sospirò e scosse il capo dinanzi a tutto quell’ottimismo. In tanti anni Rhaenys non era riuscita a comprendere che per lei non esistevano Dei di nessun tipo. Gli Dei servivano soltanto a indebolire gli uomini e Katrina non avrebbe mai voluto piegarsi dinanzi a nessuno.

Io non credo nel Destino, Rhae.

Angolo dell’autrice (ovvero quando le situazioni si complicano)
Stiamo entrando abbastanza lentamente nella parte centrale della storia che vedrà Aegon, Jon, Katrina e Rhaenys divisi e con differenti destini. Questa long non sarà particolarmente lunga. Non credo vi saranno più di venti capitoli. Il ritmo è volutamente lento poiché ho bisogno di spiegare alcuni meccanismi di fondo, ma dalla seconda parte il ritmo sarà più veloce e scorrevole. Spero tracorrerete un felice Natale. Tanti auguri, Nayrin Baudelaire.

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***



Quando Tyrion era un bambino pieno di sogni e speranze, ancora innocente e privo di quella malizia che era insita nella maggior parte dei membri della sua famiglia, adorava trascorrere il proprio tempo sulla torre più alta di Castel Granito. Dal bastione Ovest, quello più inaccessibile e poco utilizzato, era possibile scorgere il Mare del Tramonto nel suo splendore smeraldino. All’alba le sue acque rilucevano animate da una sottile e calda brezza estiva, mentre al tramonto erano colorate dal rosso sangue del Sole morente. Su quella torre Tyrion si sentiva il re del mondo e poteva osservare la piccolezza di tutti i servitori, i paggi e le dame che abitavano nella sua corte. Da quell’altezza gli sembravano come puntini neri e indistinti che si affannavano senza alcun motivo apparente a compiere le azioni più futili e insensate. Poi suo padre aveva scoperto quel suo insignificante segreto, quell’abitudine che gli faceva nascere un sorriso spontaneo sul volto incarnito e aveva dato ordine di chiudere la torre per sempre. Tyrion, che sin dalla più tenera età aveva imparato a sprecare meno tempo possibile discutendo con suo padre, non aveva domandato nulla e aveva continuato a recarcisi in segreto, ben attento a sfuggire alle guardie e alla servitù. Il compito non era abbastanza difficile vista la sua bassezza. Sapeva che suo padre aveva ben altro a cui pensare che non al suo secondogenito che reputava inutile e inetto a causa della sua deformità e delle sue attitudini sconsiderate. Tywin Lannister riteneva che fosse un piccolo mostro perverso che adorava spendere il suo denaro in vino, donne di malaffare e divertimenti a basso costo e di dubbia ilarità. L’aveva sempre giudicato come il responsabile della morte di Lady Joanna, la bella e nobile leonessa di Lannister, e Tyrion si domandava come avesse potuto un uomo intelligente quanto suo padre essere così infantile per quanto  concerneva la questione della sua nascita. Tyrion non aveva scelto di uccidere Lady Joanna. Era sua madre e soltanto un mostro avrebbe voluto assassinare il ventre dal quale era stato generato. E, da quanto ne potesse pensare suo padre dall’alto del suo scranno d’oro, Tyrion non era affatto un mostro.
« Nostro padre non vuole che tu sia qui,» esclamò Cersei facendolo sobbalzare per un attimo. Sua sorella doveva averlo seguito e Tyrion non se ne era nemmeno reso conto. Il pensiero di Jaime l’aveva tormentato in tale modo da non permettergli di usare la dovuta cautela nei movimenti. Jaime era stato esiliato nelle terre dell’alba. Ad Asshai delle Ombre. Era stato re Rhaegar a dare l’ordine di condurlo il più lontano possibile da Castel Granito dopo che aveva assassinato il vecchio re Aerys ai piedi del trono di spade. Tyrion aveva trovato quella ricostruzione inverosimile poiché conosceva suo fratello e sapeva che non sarebbe stato capace di uccidere un uomo anziano e disarmato. Aerys, però, non era disarmato. Era il re. Il re Folle. Se era stato capace di far assassinare la dolce principessa Elia, innocente vittima del conflitto, sarebbe stato in grado di pensare a qualsiasi crimine e depravazione. E la sua corte avrebbe dovuto rispettare il suo volere, e agire.
« Andrai a fare la spia?» domandò quasi annoiato il ragazzo, volgendosi a guardare la sua bella sorella. Cersei era alta, snella e fasciata da abiti di seta e merletti di Myr. Sembrava pura e dolce come la Vergine, ma Tyrion sapeva che dentro le sue iridi di smeraldo si celava lo Straniero in tutta la propria perfidia.
« Ovviamente,» puntualizzò Cersei indisponente, sollevando il volto in espressione di fiera superiorità. Tyrion quasi sbuffò, ma si impose di rimanere calmo e asettico per non lasciar alcuno spazio per colpire alla sua dolce sorellina, « Nostro padre dice che potresti cadere se ti sporgi troppo,» soggiunse la bella fanciulla quindicenne posando le mani curate sui fianchi magri, ma non esili.
« E a lui non dispiacerebbe affatto. Neanche a te del resto. Quindi, Cersei, che problema c’è?»
« Perché vuoi stare qui?» domandò curiosa sua sorella, assottigliando gli occhi verdi, come se stesse pensando che lo stesse facendo solo per indispettire Lord Tywin.
« Sto pensando a Jaime. Ho saputo che ti sposi con il Lord dal sorriso facile. Complimenti e tante felicitazioni,» le augurò beffandosi del suo dolore. Cersei era stata promessa a Lord Stannis Baratheon, succeduto al fratello come signore di Capo Tempesta dopo la sua prematura morte sul campo di battaglia. Stannis era conosciuto come un uomo duro e inflessibile, con un senso di giustizia che sfiorava la follia del rigore formale. Tyrion si domandò quanto tempo avrebbe impiegato Cersei a strangolarlo con le lenzuola del loro talamo.
Vi erano lacrime nei begli occhi verdi di sua sorella e per un attimo Tyrion provò rimorso e vergogna per essere stato così crudele nell’esprimersi. Cersei aveva innumerevoli difetti, però rimaneva sua sorella e come tale Tyrion avrebbe dovuto rispettarla. Quel rimorso durò soltanto un attimo, il tempo del cambiamento d’espressione negli occhi di Cersei.
« Sei un mostro, Folletto.»
 

« Bambina, non ti ho visto nel cortile,» esordì notando sua nipote seduta su di un cornicione in pietra nera ai piedi di un’immensa finestra aperta che mostrava il mare di Capo Tempesta. Stava leggendo un breve biglietto, le sue mani tremavano nello stringerlo e le spalle erano scosse da brevi singulti trattenuti a stento. Quando sollevò gli occhi cerulei, Tyrion s’accorse dello smarrimento e del dolore che provava e ne ebbe compassione.
Katrina Baratheon era bella. Tyrion l’aveva sempre asserito quand’era bambina. Non bella quanto Cersei alla sua età, ma era graziosa e signorile, nobile nei tratti e nei modi. Non aveva nulla dei Lannister in apparenza, ma le forme del suo corpo erano molto simili a quelle delle madre. Era divenuta una splendida donna, una fiera cerbiatta doverosa e cortese.
« Non ero lì infatti, zio Tyrion,» ribatté la fanciulla con la voce spezzata dalle lacrime che stava strenuamente combattendo. Tyrion sfiorò la sua mano piccola e candida con la propria, più massiccia e dalle dita più corte, e le rivolse un breve sorriso, ben lontano dall’ironia che solitamente lo caratterizzava.
« Sei molto bella anche in quest’ora buia. Le mie più sincere condoglianze,» le augurò con autentico sentimento. Stannis Baratheon non era mai stato nei suoi affetti, ma Katrina era sua nipote e le voleva bene, nonostante non fosse dolce come i suoi fratelli minori. Di certo la preferiva a Joffrey che non era coraggioso la metà di sua sorella e che era crudele e pieno di boria.  
« Grazie, zio. Spero che il viaggio non ti abbia tediato molto,» aggiunse con gentilezza riponendo il biglietto nella fascia nera del suo abito di seta luttuoso e confacente alla sua triste perdita. La morte di Stannis Baratheon era stato il primo evento di una situazione che rischiava di divenire insostenibile da affrontare da parte del regno. Tyrion sapeva bene chi era stato il mandante dell’omicidio, ma non avrebbe mai aiutato le indagini del Primo Cavaliere. Era stata un’avventatezza che non era passata inosservata.
« Le gambe hanno crampi terribili, ma passerà con qualche ora di riposo,» sminuì alzando di poco le spalle. In verità il dolore era quasi insopportabile sebbene la strada dell’Oro non fosse stata impervia e il clima era stato clemente. Cavalcare non era adatto alle gambe gracili e deformi del secondogenito di Lord Tywin e la compagnia non era stata delle più piacevoli. Suo padre era rimasto arcigno e guardingo per tutta la durata del viaggio, immerso in pensieri di cui non conosceva la natura e non aveva scambiato parola nemmeno con suo fratello Kevan che cavalcava al suo fianco, « Un bel mare,» commentò con ironia osservando le onde di schiuma infrangersi sugli scogli di gesso della Fortezza. Non avrebbe navigato nei pressi di Capo Tempesta nemmeno per tutto l’oro di Castel Granito.
« I miei nonni sono morti in queste acque. Mio padre me lo raccontò quand’ero bambina,» mormorò chinando il capo abbellito da folti boccoli neri come il carbone che le scendevano morbidi sulle spalle esili. Conosceva la triste storia di Lord Steffon e Lady Cassana, inviati ad Essos per trovare una sposa di Valyria per il principe Rhaegar. La ricerca non aveva dato alcun frutto e Rhaegar aveva preso in moglie l’unica donna a possedere in sé parte del sangue del drago, la principessa di Dorne. Mentre il signore della tempesta aveva trovato la morte ad un passo dalla sua casa, affogato nel proprio mare che aveva amato sin da bambino.
Era una storia malinconica, non adatta ad una bambina. Eppure Lord Stannis aveva preferito narrarla a sua figlia. Tyrion non condivideva quella scelta, ma non poteva giudicarla.

Bisogna essere consapevoli della crudeltà del mondo per sopravvivere.

« Torniamo nella sala, figliola. Fa freddo e potresti prendere un malanno,» sussurrò rivolgendole un dolce sorriso che poche volte appariva sul suo volto. Katrina alzò lo sguardo e nei suoi occhi azzurri Tyrion non lesse il solito disprezzo che vi trovava in quelli altrui. Tutto ciò che scorse fu gratitudine e affetto. Sua nipote si issò in piedi e camminò al suo fianco verso il salone in cui si sarebbe tenuto il ricevimento in memoria di Lord Stannis. Avrebbero servito il cinghiale che ucciso il signore di Capo Tempesta. Una scelta di pessimo gusto da parte di sua sorella Cersei. Poteva scorgere la rigidità nei movimenti di Katrina, costretta a condividere il desco con persone che non avevano mai stimato suo padre. L’avevano ritenuto troppo inflessibile e implacabile, non l’avevano mai amato e sua figlia, che aveva nutrito un sincero affetto nei confronti dell’uomo, non poteva sopportarlo. La sala era gremita di nobili e delle loro consorti. Si ritrovò gli occhi di molti commensali su di sé, ma s’era oramai abituato alla loro curiosità e continuò a camminare verso il tavolo principale dove erano accomodati i Baratheon e la famiglia reale, « Il principe d’inverno,» esordì a voce talmente bassa da farlo udire soltanto alla nipote. Katrina lo guardò interrogativa« Lo chiamano così, Jon Targaryen,» le spiegò, facendo un breve cenno col capo verso il figlio minore del Re. Jon Targaryen era un bel ragazzo, dai folti riccioli neri e dagli occhi di un grigio scuro tanto da sembrare nero con una certa luce. Accomodato al fianco di sua madre, la bella regina Lyanna, si poteva scorgere tutta la somiglianza tra loro. Al fianco del re, invece, sedeva il principe ereditario, in tutti i suoi regali tratti Valyriani, « Mentre Aegon è il principe di fuoco.»
« Quanta stoltezza,» sbuffò Katrina scuotendo il capo. Tyrion poté notare un lieve rossore imporporarle gli zigomi alti, ereditati da Cersei, e comprese subito che le voci erano veritiere. Katrina e Aegon dovevano essere legati da un sentimento che superava il rispetto che una Lady doveva provare per il proprio principe.
Non v’era futuro, Tyrion lo vedeva chiaramente. Dopo aver udito quel piano, sapeva che il re non avrebbe mai permesso che suo figlio sposasse una Baratheon e una Lannister.
« Oh cara, non arriverai mai a comprendere il grado di stoltezza dei nobili,» scherzò il Folletto sogghignando, avvicinandosi maggiormente al tavolo, « La Vipera di Dorne. Il buon vecchio Ned Stark. Il bel cavaliere di Fiori. Sono tutti qui. Pronti a piangere sulle spoglie del tuo amato padre.»
« Pronti a piangere o a guardare?» insinuò Katrina facendolo quasi sorridere. Era una Lannister più di quanto ne fosse consapevole, più di quanto volesse ammettere. Soltanto un Lannister poteva comprendere quel gioco di espressioni sui visi dei nobili e saperle sfruttare a proprio vantaggio, « Mio padre non era amato e la sua morte rende avidi questi signori. Joffrey è un ragazzo…»
« Un ragazzo stupido e malvagio. Con più crudeltà che buon senso,» precisò a ragione Tyrion. Joffrey era un idiota ed era malvagio, il connubio peggiore che potesse esistere. Era anche abbastanza abile da creare piani sciocchi, ma che potevano avvenire in circostanze fortuite. Joffrey assomigliava terribilmente a Cersei negli anni della sua infanzia. Cersei, però, aveva imparato dai propri errori e non mancava di scaltrezza, sebbene il suo carattere autoritario e testardo non l’aiutasse nell’eccellere. Sua sorella non brillava per gentilezza e filantropia, ma era sufficientemente astuta da comprendere che bisognava creare una maschera per poter essere membri attivi del gioco dei troni in cui ognuno aveva la propria parte. Joffrey non l’avrebbe mai compreso.
« Questo non rende la situazione delle Terre della Tempesta la più felice. Mi chiedo se Mace Tyrell o Doran Martell non ne approfitteranno,» sussurrò irrigidendo la mascella. Katrina somigliava incredibilmente a suo padre in quel momento, austera e ostinata com’era, ma se Stannis era stato puro ferro, sua figlia sembrava più un metallo di nobile fattura con il cuore di piombo, all’apparenza duro e in verità duttile e malleabile.  
« Sei troppo intelligente per il tuo bene, bambina.»
« Non sono più una bambina, zio,» controbatté Katrina guardandolo con alterigia. Aveva alzando il tono e Tyrion sentì gli occhi del principe ereditario su di sé, che vagavano inquieti tra la bella fanciulla e suo zio. Tyrion gli rivolse un breve sorriso e fece cenno a Katrina di accomodarsi al proprio posto, tra suo fratello Joffrey e sua sorella Myrcella.

Eccola, la figlia del Lord dal sorriso facile.

« Davvero?» domandò sorpreso come se gli avesse appena spiegato qualcosa di incomprensibile, « Oh cara, siamo tutti bambini qui. Tutte pedine in un gioco più grande di noi. Siamo solo burattini appesi ai figli di chi ci ha preceduti. Non cadere nell’errore di crederti superiore al gioco, figlia mia. Nessuno lo è,» le consigliò prima di baciarle la gota e lasciarla alle sue meditazioni.
Se davvero ha qualcosa dei Lannister, capirà cosa intendo. E forse riuscirà a tenersi stretto il suo principe. 

*****
Il ricevimento per la cerimonia funebre di Lord Stannis era stato lungo e silenzioso. I nobili signori sedevano al proprio posto e mangiavano parte del cinghiale che aveva assassinato il signore di Capo Tempesta. Nessuno provava dolore per la sua dipartita e nessuno lo mostrava.
Lady Cersei, la madre della sua bella Katrina, sedeva composta e il suo piatto era ancora abbastanza pieno nonostante fossero trascorse ore da quando s’erano accomodati al tavolo.
Katrina non aveva sfiorato nulla, né il cibo né il vino, e continuava imperterrita ad ignorare ciò che stava dicendo suo fratello al suo fianco che le sorrideva a intervalli abbastanza regolari.
Aegon conosceva quel ghigno autoritario. Era lo stesso che Viserys rivolgeva a lui e a suo fratello. Suo zio s’era sempre sentito superiore a loro, persino a Rhaenys che tanto professava di adorare. Aegon sospettava perché il suo sangue fosse puro e non mescolato con quello di altre famiglie.
Il principe ereditario tentava con tutte le proprie forze di non scadere nell’ira e di non esplicare dinanzi a suo zio che lui sarebbe stato il suo re un giorno e che avrebbe dovuto rispettarlo come tale.
Viserys nutriva sincero affetto soltanto per Rhaegar, che l’aveva accudito da bambino quando Aerys era divenuto completamente folle, e suo padre preferiva non accorgersi dei suoi modi a volte rudi e indisponenti.
Aegon, irritato da quei pensieri, scosse il capo, si issò in piedi e rivolse un breve sorriso a suo fratello e a sua sorella. Jon ricambiò, ma Rhaenys era persa in alcuni pensieri e non lo notò nemmeno. Si diresse verso una finestra nel salone che s’affacciava sul parco degli Dei antichi.
Suo padre era impegnato in una fitta conversazione con Lord Jon Connington di cui Aegon non era suo malgrado riuscito a sentir nulla e quel dato lo fece indispettire maggiormente.
Rhaegar aveva incominciato a nascondergli qualcosa di importante, segno che oramai non doveva più nutrire verso suo figlio quella fiducia che avevano condiviso sino a pochi mesi prima.
« Zio Oberyn,» esclamò Aegon, notando suo zio e la sua concubina, Ellaria Sand, lontani dal resto degli altri nobili. Suo zio era scattante, alto e ancora avvenente sebbene i segni del tempo si scorgessero nelle piccole rughe intorno agli occhi neri come la notte e le labbra sempre piegate in un sorriso ironico.
« Il mio caro ragazzo. Come stai, figliolo?» gli domandò suo zio abbracciandolo con calore. Oberyn era sempre stato gentile con Aegon e Rhaenys, sebbene odiasse il re e non ne facesse poi molto mistero. Era un buon padre sia per le sue otto figlie bastarde, nate da cinque donne diverse, sia per i suoi nipoti di Dorne e di Approdo del Re.
« Bene, zio. Lady Ellaria,» si chinò a sfiorarle la mano destra con le labbra con galanteria. Ellaria non era ciò che avrebbe definito una bella donna. I suoi tratti erano abbastanza comuni, ma vi era qualcosa, forse la forma degli occhi scuri o forse quell’espressione che talune volte le faceva sollevare le labbra piene, che catturava l’attenzione. Era una donna gentile e amava sinceramente suo zio. Era ciò che più gli importava. Oberyn meritava di essere felice.
« Mio principe,» lo omaggiò la donna di Dorne esibendosi in un breve inchino. Aegon le rivolse un dolce sorriso che Ellaria ricambiò subito. Oberyn gli porse una coppa di vino di Dorne che Aegon accettò di buon grado assaporandone un sorso. Il vino di Dorne era dolce, speziato e caldo come la terra da cui proveniva. Era più forte di quello di Arbor, che Oberyn aveva sempre definito acqua sporca tinteggiata di rosso, e immensamente più ricco di quello delle città libere. Bastavano soltanto tre calici per poter inebriare un uomo e Aegon non aveva alcuna intenzione di ubriacarsi quella sera.
« Come stanno le bambine?» continuò con gentilezza il principe. Le sue cugine, le Vipere della Sabbia, avevano tutte ereditato gli occhi e i modi del loro padre e Aegon le ricordava bene. Nymeria e Tyene erano le più pericolose, nonostante la loro formidabile avvenenza. Sapevano lavorare con i veleni meglio di molti maestri della Cittadella e sapevano essere letali con i propri nemici. L’arma di Obara, invece, era la lancia ed era altrettanto mortifera come le proprie sorelle minori. Sarella incarnava il lato più curioso e avido di sapere del padre e poi vi erano le quattro figlie avute da Ellaria, le vere bambine. 
« Le bambine? Io non ho bambine, nipote. Io ho figlie, questo sì. Ma nessuna di loro è una bambina,» precisò Oberyn facendo ridere la sua compagna. Aegon si abbandonò a un debole sorriso che si spense subito nel notare che ser Loras si stava avvicinando a sua sorella. Rhaenys era buona, dolce e gentile proprio com’era stata Elia in gioventù e la storia si sarebbe ripetuta ancora. Sposata a un uomo che non poteva amarla, che non la meritava e che avrebbe indubbiamente reso vuoto e freddo il loro talamo per cercarne un altro. Se soltanto avesse potuto impedirlo, se soltanto avesse potuto sposare qualcuno che l’avrebbe resa davvero felice, se soltanto non fossero stati Targaryen.

Se e ma… ecco la vita dell’erede al trono.

Era impotente come il più umile degli infanti.
« Che dici, Aegon? Andiamo a fare un giro per le taverne di Capo Tempesta?» lo invitò guardandolo con quel sorriso appena accennato che preannunciava un’avventatezza. Ellaria s’era allontanata per tornare al tavolo degli ospiti illustri per riporre il proprio calice di vino vuoto.
Aegon avrebbe volentieri accettato, anche solo per trascorrere del tempo con il suo caro zio, se avesse potuto.
« Passo, zio. Sono costretto. Mio padre mi ucciderebbe e non voglio istigarlo ancora di più,» spiegò, non desideroso di incorrere nell’ira di Rhaegar. Suo padre non si adirava molto facilmente, ma non sopportava le imprudenze e soprattutto non gradiva che trascorresse il suo tempo con suo zio. Forse lo riteneva influenzabile da ciò che Oberyn pensava del re e del suo operato, non sapendo che in parte Aegon condivideva quella tesi.
« Perché? Cos’è accaduto?» domandò curioso Oberyn assottigliando gli occhi scuri, facendogli rammentare il proprio tormento.
Il suo tormento erano un paio d’occhi azzurri come il mare cristallino e dei riccioli neri come l’ossidiana. Era la pelle diafana e delicata, le labbra rosee e il corpo snello. Il suo tormento era la segreta gentilezza celata da modi di affettata cortesia e di gelido candore. Il suo tormento era lei.
« Katrina.»
La bella dama era ancora seduta con i pugni serrati sulle gonne ampie della sua veste e per poco Aegon non si precipitò al suo tavolo, ove il fratello la stava baciando sulla fronte beffandosi di lei. Avrebbe voluto abbracciarla, asciugare le sue lacrime e prometterle che sarebbe sopravvissuta anche a quell’ennesima ferita. Avrebbe voluto proteggerla da quell’ingiurioso ragazzino pieno di boria che si credeva superiore alla propria sorella soltanto per un titolo insanguinato. Avrebbe voluto baciarla dinanzi a tutti i Lord dei Sette Regni, esclamando che era soltanto sua e di nessun altro.
« Deve essere proprio amore se non puoi impedirti di non pensare a lei. E tuo padre non accetta ancora?» domandò Oberyn riportandolo alla realtà.
« Dice che non sarebbe una buona regina,» borbottò il bel principe, scostando lo sguardo da Katrina per puntarlo verso il re e Lord Jon. Il suo secondo padre alzò gli occhi grigi come la tempesta e si rivolse verso di lui con disappunto. Aegon comprese che Rhaegar aveva parlato di quella lite con il suo Primo Cavaliere e il pensiero quasi gli fece serrare i pugni. Avrebbe preferito raccontare tutto a Jon senza alcun intermediario per poter essere consigliato al meglio, ma quella storia era stata filtrata dalle sue parole di suo padre ed Aegon non avrebbe mai ricevuto un parere spassionato, « Non la conosce come la conosco io, zio. Kat non sarà la fanciulla più comprensiva e più dolce di Westeros, ma è onesta e giudiziosa.»
« Ed è bella,» lo interruppe Oberyn con un sorriso provocatorio. Aegon arrossì e chinò lo sguardo per un attimo, « Oh Aegon, suvvia, figlio mio. Credi che io non abbia avuto la tua età? Tuo padre non ti potrà mai capire. È troppo…»
« Ricorda che è il re,» scherzò Aegon ridendo appena.
« Troppo malinconico,» soggiunse suo zio trattenendo un’espressione contrita sulla labbra sottili. Sapeva bene quale parola avrebbe usato per descrivere suo padre e non sarebbe stato molto rispettoso nei confronti di un re.

Fedifrago non è proprio il migliore aggettivo per descrivere il proprio signore.  

« Voglio sposarla, zio. Non m’importa di questi obblighi morali e di queste guerre passate. Io voglio essere felice e voglio renderla felice.»
Aegon sorrise nel rammentare lo sguardo dolce che Katrina gli aveva rivolto quando due anni prima era tornato dal suo cavalierato a Roccia del Drago, sul suo bel purosangue candido come la neve. Katrina l’attendeva al fianco di Rhaenys e quando sua sorella l’aveva abbracciato tenendolo stretto a sé, al di sopra della sua spalla candida Aegon l’aveva vista. Era divenuta ancora più bella di quanto la ricordava nei loro giorni di bambini. Quel giorno comprese di amarla davvero, come un uomo amava la propria dama.
« Il sorriso di Elia,» sussurrò Oberyn guardandolo negli occhi. Riconobbe del dolore nello sguardo di suo zio, ma fu passeggero e subito tornò ad essere l’uomo che aveva sempre adorato, « Caro ragazzo, ami questa fanciulla con una tale forza da ricordarmi tua madre.»
« L’ho sognata. La notte scorsa. Zio, lei… ecco… amava Arthur Dayne?» sussurrò per evitare che qualcuno lo udisse. Il bel volto del cavaliere riaffiorò alla memoria così come quello della sua dolce madre, la bella Elia, che tanto gli mancava. Arthur Dayne era morto anni prima ucciso da Lord Eddard Stark, Signore del Nord, in battaglia. E sua madre era anch’ella morta da tempo, eppure Aegon aveva bisogno di una risposta, aveva bisogno che qualcuno mitigasse i suoi dubbi. E Oberyn era l’unico a conoscere Elia tanto bene da potergli rispondere.
« Aegon, cosa hai sognato, figliolo?» domandò serio Oberyn, quasi sospettoso, come se fosse a conoscenza di qualcosa che avrebbe potuto distruggere il giovane principe.
« Loro stavano parlando del fatto che non poteva dare un altro figlio a mio padre. Però io lo sentivo.»
« E questo ti infastidisce?» continuò Oberyn appoggiando il braccio destro sul muro accanto a lui.
« No. Mia madre era felice e il cavaliere era l’uomo più nobile e gentile che abbia mai visto.»
Era sincero. Quella scena l’aveva fatto sorridere di gioia e mestizia insieme. Aveva scorto la fedeltà con la quale il cavaliere aveva quasi abbracciato il bambino e sua madre, la sua totale devozione, e ciò non avrebbe mai potuto infastidirlo.  
« Arthur amava Elia ed Elia amava Arthur. È stato così sin da bambini. Ma Arthur era un secondo figlio di una Casa minore, qualcuno che mia madre non avrebbe potuto prendere in considerazione,» spiegò Oberyn in un sospiro, scuotendo il capo. Non era giusto, si disse Aegon. Sua madre aveva amato anch’ella un uomo e non aveva potuto sposarlo in base a convenzioni deleterie e inutili. Sarebbe stato un bambino felice se fosse stato il figlio di Arthur ed Elia Dayne,« Sposa la donna che ami, Aegon. Non reiterare gli stessi errori di chi ti ha preceduto.»
Aegon l’avrebbe sposata. Un giorno sarebbe stata la madre dei suoi figli, dei suoi coraggiosi principi e dolci principesse, e il loro primogenito si sarebbe chiamato Daeron come il Re Buono. Avrebbero governato insieme, l’una al fianco dell’altro, e avrebbero reso il regno florido e pacifico. Aegon non avrebbe mai scelto un’altra regina.
 
*****
Lo sguardo d’ametista pallida di Viserys la colpiva come un coltello gelido nel petto e Rhaenys stava tentando di pensare ad altro, ma tutto ciò che le importava erano gli occhi del giovane principe che la scrutavano con desiderio. Rhaenys deglutì a vuoto e cercò di rivolgergli uno sguardo truce che somigliava più ad una timida preghiera.

Deve smetterla.

Le labbra sottili di Viserys si arcuarono in un impercettibile sorriso prima che il suo sguardo tornasse a vagare per la sala gremita. Rhaenys sospirò per il sollievo e bevve un lungo sorso dalla sua coppa di vino di Arbor.

Non succederà più. Non posso.

Rhaenys avrebbe voluto fuggire, rifugiarsi nelle sue stanze e sbarrare la porta, ma non poteva. Katrina era dinanzi a lei, pallida d’ira come uno spettro, pronta a sguainare gli artigli contro suo fratello Joffrey. La stava istigando a colpirlo dinanzi a tutti quei nobili e Katrina, sebbene sapesse controllarsi, non avrebbe retto per molto altro tempo. Sarebbe rimasta per la sua unica amica sincera, per la sua dolce sorella. Rhaenys si sentiva in colpa quando la guardava. Le stava mentendo, tacendo la verità. Perché Katrina sapeva quanto sarebbe stato pericoloso continuare quel gioco tra la tenera principessa e il principe orgoglioso.

Gioco. Se io e Viserys stiamo giocando, non oso pensare a cosa significhi essere sposati.

Da quando le labbra di Viserys si erano posate sulle sue pochi giorni prima, era scoppiata una guerra tra il suo cuore, che voleva cedere, e la sua mente, che le imponeva di combattere contro quell’inopportuno sentimento.
Rhaenys era promessa sposa al prossimo signore di Alto Giardino. Molte donne erano invidiose di lei poiché Loras era uno dei più avvenenti cavalieri di Westeros, ma tutto ciò che la principessa desiderava era il suo principe dagli occhi viola e il sorriso sarcastico.
Con la coda dell’occhio scorse Ser Loras, abbigliato in un delicato farsetto su cui spuntava l’emblema di Casa Tyrell, avanzare con un’andatura cadenzata verso il tavolo della famiglia reale e pregò la Madre affinché la proteggesse e il Guerriero per donarle la forza.
« Mio signore,» l’accolse la principessa con voce dolce e gentile. Non aveva nulla contro Loras Tyrell. Era innocente quanto lei e gli Dei sapevano quanto quel matrimonio fosse svantaggioso per entrambi. Loras non era interessato alla principessa, non era interessato a nessuna donna in verità, ma necessitava di un erede e Rhaenys era la donna più importante di Westeros essendo la primogenita del re. Era stata una scelta logica ricordando il lauto aiuto che i Tyrell avevano offerto alla corona durante la ribellione di Robert Baratheon. Quel dato però non mitigava il dolore che nutriva nel ripensare che sarebbe appartenuta per sempre ad un uomo che non l’avrebbe mai vista.
« Principessa Rhaenys, posso sedermi accanto a te?»
Il giovane era affascinante e avvenente, sempre cortese, un vero cavaliere, ma Rhaenys non poteva impedirsi di pensare che quelle gentilezze fossero forzate e affettate, mai sentite davvero. Non avrebbe mai desiderato condividere il talamo con un uomo che non provava alcuna gioia nel prenderla in sposa.

Viserys. Ecco chi voglio davvero. Voglio Viserys, il mio principe.

« Di certo, ser Loras,» gli concesse Rhaenys facendogli cenno di sedersi al posto che Aegon aveva lasciato libero. Non s’era resa nemmeno conto che si fosse allontanato, persa com’era nel pensare agli occhi di Viserys su di sé. Il suo sguardo vagò per la sala sino ad incontrare la bella figura di suo fratello dinanzi a quella del suo caro zio Oberyn.
« Che orribile occasione per rincontrarti, mia signora, e per comunicarti che ci sposeremo a breve,» esclamò Ser Loras contrariato dalla circostanza come se fosse stata colpa di Lord Stannis essere morto a un mese dalle loro nozze.
« Oh sì, la regina Lyanna mi aveva accennato che ci sposeremo alla prossima Luna,» mormorò prima di sorseggiare il proprio vino. Lyanna glielo aveva comunicato prima di partire per Capo Tempesta e l’aveva abbracciata quando aveva scorto le sue lacrime. Rhaenys s’era lasciata stringere e l’aveva implorata di intercedere presso suo padre. Lyanna l’avrebbe fatto volentieri per la sua bella figlia, ma non avrebbe potuto spezzare un fidanzamento ufficiale, se non suscitando lo sdegno dei Tyrell.
« Sei splendida anche vestita di nero. Mi domando come possa apparire la tua bellezza in avorio e in oro,» si complimentò Loras. Era un omaggio che l’avrebbe lusingata se ricevuto da Viserys, ma non era nella natura di suo zio quel genere di esternazioni.
« Sei molto gentile, ser. È un vero onore per me sposarti e divenire la tua signora,» ribatté meccanicamente, sentendo le lacrime affiorare negli occhi scuri. Viserys le lanciò un’occhiata furiosa e per un attimo Rhaenys pensò che si sarebbe alzato e avrebbe sfidato Loras a confrontarsi con il cavaliere per la sua mano.

La vita non è una favola, Rhae. Avresti dovuto capirlo tempo fa, quando tua madre è stata bruciata viva e tuo padre è tornato con un’altra donna al suo fianco.

« Lo stesso vale per me. Ho sempre sognato un matrimonio idilliaco. Qualcosa di grande e sfarzoso. Con una donna amabile e gentile. Mia principessa, tu superi ogni mia fantasia. La tua bellezza era rinomata in tutti i Regni. I bardi cantavano soavi inni sulla tua dolcezza e il suo spirito generoso. Superi ogni racconto e ogni poesia.»
Le parole di Loras erano gentili, pregne di quella cortesia che un nobile gentiluomo doveva possedere. Sarebbe stato più semplice sposarlo, chiudere gli occhi e fingere che non le importava di nulla e di nessuno. Loras era buono, non le avrebbe mai fatto del male e quello lo rendeva migliore di molti altri uomini, ma non era abbastanza e non lo sarebbe mai stato.
« Io… questo mi lusinga alquanto, mio buon signore. Le tue parole mi riscaldano il cuore, sospirando il giorno in cui saremo marito e moglie,» sussurrò la dolce figlia di Rhaegar. Rhaenys sorrise. Sorrise come le avevano insegnato. Sorrise come se fosse stata davvero felice. Ma non vi era che morte nel suo cuore. 

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