ACCIDENTALLY IN LOVE

di Meahb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una strana serie di fortunati eventi ***
Capitolo 3: *** E' tutto un attimo ***
Capitolo 4: *** Wishing and Hoping ***
Capitolo 5: *** Breathless ***
Capitolo 6: *** Have a little faith in me ***
Capitolo 7: *** Somewhere over the rainbow ***
Capitolo 8: *** SHINY HAPPY PEOPLE ***
Capitolo 9: *** Don't lie ***
Capitolo 10: *** Ancora tu... ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGOOK

DISCLAIMER

 

Author: Amaranta B.      

Pairs:   The Magnificent e una sconosciuta lavorante italiana…

Summary: Lei lavora in una società di pubbliche relazioni. Lei è lontana da casa. Lei odia tutto quello che fa rima con amore. Lei non vede l’ora di andarsene da Los Angels. Lui…forse riuscirà a farle cambiare idea.

Notes: Non conosco Orlando Bloom  né gli altri personaggi che compaiono in questa storia e non intendo offendere lui né quanti lo conoscono. E’ una fanfiction scritta per scommessa e non ha scopo di lucro. Ammetto che non mi dispiacerebbe che qualcuno fosse disposto a lucrare le mie insane idee ma in verità mi accontento di fare compagnia a chi deciderà di leggere.  

Spero che vi piaccia! ;)

Enjoy!!

 

 

 

 

 

ACCIDENTALLY IN LOVE

 

 

Nella vita ci sono giorni pieni di vento e pieni di rabbia, ci sono giorni pieni di pioggia e pieni di dolore,
ci sono giorni pieni di lacrime; ma poi ci sono giorni pieni d'amore che ci danno il coraggio
di andare avanti per tutti gli altri giorni.
~ da Notte infinita ~

 

 

“L’aria è strana”, borbottò Camilla, aggiustandosi il bavero della giacca.

Gwen la guardò con la coda dell’occhio, “Siamo a Los Angel, dolcezza. L’aria è sempre strana”.

Camilla si strinse nelle spalle e sorseggiò lentamente il suo caffè nero.

Mai che fosse davvero caffè.

Se c’era una cosa che aveva imparato in quei 4 anni in America era questa: gli americani ignorano cosa sia un buon caffè. Non lo sanno.

“Qualche novità sulla premiére?”, domandò Gwen.

Camilla scosse la testa, “No”, mormorò, “Niente di eclatante, almeno. Ho dato a Robert la lista dei nomi e non credo che si aggiungerà qualcuno. La Victoria’s Secret dovrà fare a meno della coppia del momento”Gwen l’afferrò per un braccio, impedendogli di attraversare, “E’ rosso”, spiegò indicandole con un cenno del capo il semaforo.
Attesero insieme il verde, quindi attraversarono la strada velocemente.
“Robert potrebbe ucciderti per questo”, osservò Gwen, gettando il suo bicchiere in un cestino.
“Perché stavo per farmi investire?”, chiese Camilla, sorridendo.
“No, perché non sei riuscita a convincere i Pitt a venire alla prémiere!”
Camilla sospirò. In quei quattro anni aveva imparato anche un’altra cosa: gli americani sono cocciuti. Dannatamente cocciuti.
“Gwen hanno qualcosa come dodicimila bambini”, brontolò, “Pensi che la prima di un paio di mutande sexy possa convincerli a lasciare la prole ad una baby sitter sconosciuta?”
“Un paio di mutande sexy?”, ripeté Gwen sistemando i suoi capelli biondi da perfetta californiana, “Questa ti varrebbe il posto!”
Camilla ridacchiò, “Penso che il forfait dei Pitt basti e avanzi!”
Gwen rise a sua volta, “Forse hai ragione”, prese il rossetto dalla borsa e se lo passò sulle labbra, “Cosa ti ha detto il loro agente?”, indagò.
Camilla gettò il suo bicchiere di caffè e si accese una sigaretta, “Che i signori Pitt erano dispiaciuti di dover declinare l’invito e che speravano che la nostra agenzia comprendesse i loro problemi di organizzazione. Mi ha anche detto che si sarebbe premurato di scrivere un biglietto di scuse alla Victoria’s Secret”, fece una smorfia, “Ma io non ci credo”.
Gwen tirò fuori il suo badge e si appoggiò alla colonna dell’edificio aspettando che l’amica finisse di fumare.
“Hai in mente qualcosa per Robert?”, domandò.
Camilla si specchiò nella porta a vetri. Si sistemò i capelli e la giacca, buttò la sigaretta ed estrasse il badge dalla tasca posteriore dei jeans.
“La verità. Se non possono venire non possiamo mica obbligarli. Checché ne dica Robert, sono persone normali anche loro. Con famiglie normali e con problemi normali. Se ci tiene tanto, può prendere il suo dannato SUV e andarli a prelevare direttamente a casa!”
Gwen scoppiò a ridere, “Per una volta, sono contenta di aver da fare in archivio!”
Camilla le sorrise e la seguì all’interno dell’edificio.
Era cosciente che l’aspettava una lunghissima litigata con Robert, ma sinceramente non ne era spaventata.
Rispetto ai primi mesi in cui lavorava all’agenzia, aveva adottato un atteggiamento decisamente più professionale e, come si suol dire, si era fatta le ossa.
Oggi, dopo tre anni, le grida del capo non la spaventavano più.
Soprattutto dopo il successone del party organizzato a novembre dello scorso anno per la casa di moda di Armani.
Una cosa di classe che aveva avuto risonanza internazionale.
Anche suo padre, dall’Italia, l’aveva chiamata tutto eccitato per aver letto il suo nome sul Corriere della Sera.
Da quel giorno, Camilla Ardensi, aveva capito di essere quasi arrivata.
E che Robert Mc Nub, poteva urlare quanto voleva. Lei, aveva sempre la casella di posta intasata di proposte di lavoro.
E Robert sapeva di non potersi permettere che un elemento come lei abbandonasse l’agenzia.
Questo era sufficiente a darle la carica per informarlo che i Pitt non avrebbero partecipato alla premiére della Victoria’s Secret.

 

 

L’ufficio di Robert era un disastro.
Come Robert, del resto.
Quando entrò, dovette schivare una pila immensa di fogli che giacevano abbandonati per terra e spostare un vassoio dalla sedia in cui avrebbe dovuto sedersi.
Robert era intento a leggere qualcosa al PC, tanto che non le prestò la minima attenzione.

Era questo che Camilla odiava più di tutto. La sbadataggine del capo.

“Boss, sono qui”, disse.
Robert alzò lo sguardo e le sorrise, “Ciao Camille!”
“Camilla”, precisò lei stizzita, “E non mi spiego come mai dopo tre anni tu non abbia ancora imparato il mio dannato nome!”
Lui ridacchiò, “Sempre pronta a mordere tu?”
“Non mordo”, obbiettò lei, “Preciso. E’ diverso!”
Lui prese la sua tazza e ne bevve una sorsata, “E’ caffè”, spiegò con una buffa espressione di disgusto, “Te ne offrirei ma è finito”, pigiò l’interfono, “Jennifer!”, chiamò, “Può venirmi a preparare del caffè?”
“Tu da solo non sei in grado?”, domandò Camilla, “Deve farlo la tua segretaria? Non sapevo che nel contratto c’era una clausola che diceva di preparare il caffè del capo!”
Lui le sorrise mostrando i denti, “Tu hai firmato il contratto da agente, non quello da segretaria”, asserì.
Camilla rise, “Comincio a pensare che sia un bene!”
“Se non altro perché guadagni il doppio”.
Lei scrollò le spalle, “E ho il doppio delle grane!”
Lui la guardò con interesse, “Avanti sputa il rospo. Hai in faccia quell’espressione!”
“Quale espressione?”, domandò lei, curiosa.
“Quella che fai ogni volta che vuoi passarmi una patata bollente”, la scrutò, “O quando stai per insultarmi. O quando stai per dirmi qualcosa che non va. O quando hai le mestruazioni!”
Lei rise, gettando la testa all’indietro, “E’ questo il tuo vantaggio Boss! Mi fai ridere, ed è questo l’unico motivo che mi convince a restare!”
Lui scosse la testa rassegnato.
“Avanti Cam, spara!”
Lei deglutì, quindi sparò, “I Pitt non vengono!”
Nel viso di Robert passarono una gamma di emozioni contrastanti. Stupore, scoramento, rabbia, ansia e…furore.
“Non vengono?”, balbettò.
Camilla annuì, mantenendo un’espressione più o meno tranquilla.
“Hanno problemi con i bambini. Credo che non sappiano a chi lasciarli”.
Robert sbatté una mano sulla scrivania, facendo vacillare pericolosamente la sua tazza di caffè, “Ma sono star, Cristo Santo!”, gridò, “Le star sanno sempre a chi lasciare i bambini. Le star hanno l’obbligo di lasciare i bambini a qualcuno. Potrebbero comprarsi un nido con tutte le maestre e mi vieni a dire che non sanno a chi lasciare quei dannati bambini?”

E Camille s’infuriò.

Com’era prevedibile, d’altronde.

“Boss, sono genitori. E hanno l’obbligo di stare con i loro bambini e non di lasciarli appena li chiamano per la premiére di un paio di mutande. Fossero pure della Victoria’s Secret!”
Robert la fissò, livido di rabbia, “Cosa diavolo vai blaterando, Cam? I Pitt erano gli ospiti di punta! Ne andrà della serata!”
“Avevi intenzione di far sfilare Brad in perizoma?”, tentò di scherzare.
“Avevo intenzione di fissare una telecamera sulle loro facce e dimostrare che la Mc Nub PR Agency aveva potere!”, precisò lui.
Camilla scosse il capo, “E’ una serata perfetta boss! Non ci saranno i Pitt ma ci sono altri volti noti. E l’organizzazione è pazzesca!”, cercò di rassicuralo, “L’ambientazione è di classe e gli ospiti sono quasi duecento! Cosa vuoi di più?”

“I Pitt!”, rispose lui, come un bambino cocciuto.

Camilla sfogliò la sua agenda, “Senti boss, possiamo stare qui a litigare fino a domani, per me non è un problema, ma i Pitt non verranno. Posso chiamarti Bloom se ti fa piacere. So che si trova a Hollywood in questi giorni. Magari tra i suoi impegni riesce ad infilaci la premiére!”
Robert si mise un dito in bocca, “Ce l’hai il numero della sua agente?”
“Ovvio che ce l’ho!”
“Allora chiama”, le ordinò, “Subito. Oggi stesso. E offrigli il massimo del budget ok?”
Camilla lo guardò stupita, “Il massimo?”
“Se è necessario si”, la zittì, “E preoccupati di informare tutta la stampa, specialmente quella giovanile. Voglio che tutti sappiano che Orlando Bloom sarà alla premiére è chiaro?”
Camille annuì, “Quindi non intendi licenziarmi?”, domandò quasi dispiaciuta.
“Ardensi”, la chiamò. Ma il suo cognome italiano, sulla bocca di Robert sembrava stropicciato, “E’ inutile che tenti di sabotare la tua carriera. Ormai mi appartieni!”, ridacchiò.
Camilla si alzò dalla sua seduta, facendo una smorfia.
“Non ne essere troppo sicuro!”, mormorò.
Fece per uscire, ma la voce di Robert la fermò. Si voltò a guardarlo.
“Di a Jennifer se può occuparsi del mio caffè”, disse, “E…Camille? Se ogni tanto fai la gentile, ti assicuro che verresti presa sul serio comunque!”
Camilla fabbricò un sorriso finto, “Sai una cosa boss?”
Lui scosse il capo.
“Vaffanculo!”
Robert rise, “Appunto!”, mormorò.
Ma lei era già uscita.

 

Camilla parcheggiò la sua auto nel parcheggio degli Universal Studios.
Aveva parlato con l’agente di Orlando Bloom, ed era riuscita a farsi fissare un appuntamento con lui quello stesso pomeriggio.
Camilla sapeva fare il suo lavoro.
Per averlo alla premiére doveva parlarci. Di persona. Doveva avercelo davanti e sfoderare tutta la sua professionalità per convincerlo.
E poi, inutile nasconderlo, Orlando Bloom era un tipo per il quale si poteva guidare fino a Burbank. Anche se significava passare almeno due ore con il culo sul sedile di un auto.
Scese, quindi mostrò il badge al bouncer che sostava all’ingresso.
“Ho un appuntamento con Mister Bloom”, spiegò.
Il bouncer sorrise, “Mia moglie la invidierebbe!”, scherzò.
Camilla sorrise a sua volta. Sapeva che il suo lavoro le dava dei privilegi di cui gli altri non potevano godere e, quando poteva, cercava di condividerli.
“Come si chiama sua moglie?”, domandò.
“Susan”, rispose l’uomo.
Camilla annuì, “Allora quando esco gli porterò un autografo per lei!”
Il bouncer si illuminò, “Sarebbe meraviglioso! La ringrazio”
“Si figuri!”, minimizzò Camilla, “Allora, verso quale studio devo andare?”
“Terzo, ala A, ufficio di Mister Perkins!”
Camilla annuì, quindi s’incamminò verso il suo cliente.
Rimpiangeva i primi tempi del suo lavoro. Quelli in cui, incontrare una celebrità le provocava sempre dei crampi allo stomaco.
Quelli in cui passava ore intere a prepararsi per essere al meglio e per dimostrare a tutti che sapeva fare il suo lavoro.
Adesso, invece, era tutto più semplice.
Dopo tre anni a contatto con quel mondo, aveva capito che le celebrità erano persone normali. Con caratteri normali e abitudini normali.
Che potevano essere arrabbiate, infastidite o semplicemente stanche.
Che avevano giorni positivi e giorni negativi.
E quella consapevolezza le aveva permesso di fare al meglio il suo lavoro. I clienti con cui trattava la rispettavano e le volevano bene perché si fidavano di lei.
Perché la consideravano una al loro pari.
Con qualche zero in meno sullo stipendio, ma comunque una persona che sapeva trattare con loro.
E Camilla aveva sempre fatto in modo che si sentissero a loro agio e non con il fiato sul collo. Sapeva ricevere un rifiuto e sapeva essere grata quando invece accettavano i suoi inviti.
Ed era per questo che gli eventi organizzati dalla Mc Nub PR Agency erano sempre un gran successo.
Arrivò di fronte all’ufficio di Perkins, quindi bussò.
Non aveva mai visto Orlando Bloom dal vivo e dovette ammettere con se stessa che questo la incuriosiva.

Fu lui ad aprirle la porta, e Camilla considerò che le foto sui giornali non gli rendevano giustizia. Non solo era un bel ragazzo. Era un ragazzo luminoso.
“Tu sei Camille Ardensi, vero?”, chiese lui porgendole la mano.
“Camilla”, precisò con un sorriso, “Si sono io! E tu sei il famoso Orlando Bloom. Posso darti del tu?”
Lui annuì con un sorriso, quindi le fece spazio per farla passare.
Si sedettero nel salottino dell’ufficio, che era grande e ben arredato.
“Bene Orlando”, iniziò lei senza indugi, “Sono qui per una proposta di lavoro”.
Lui sorrise, ma sembrava quasi stanco. Camilla abbassò lo sguardo sulla sua agenda. Doveva trovare il modo di dirgli della premiére senza fargli capire che sarebbe stato, più o meno, come partecipare ad un servizio di moda.
Doveva rendere la serata come un incontro piacevole in cui anche un ragazzo giovane come lui poteva divertirsi. E sapeva perfettamente dove andare a parare.
“Che ne pensi delle collezioni di Victoria’s Secret?”, domandò a bruciapelo.
Lui ridacchiò con malizia, “Penso che sono sexy”, disse. E l’accento inglese emerse pesantemente, “E penso anche che non sto bene in perizoma!”
Camilla rise, “Le tue fan potrebbero pensarla diversamente!”
Lui la imitò, “Di sicuro! Anche se penso che mi preferirebbero completamente svestito!”
E come dar loro torto? Pensò Camilla tra se e se.
“Non ne dubito!”, rispose invece, “Ma comunque ad un maschietto fa sempre piacere partecipare ad una sfilata di intimo!”
Lui alzò le braccia, con uno sguardo malandrino, “Sempre!” confermò, “Mi stai proponendo di partecipare ad una sfilata di intimo? Come modello?”
Camilla scosse il capo, “No”, disse.
Lui fece un’espressione strana. Di delusione, quasi.
“E non perché non potresti!”, si affrettò ad aggiungere, “Ma perché penso che te la godresti di più come ospite”, lo fissò negli occhi, “D’onore, magari!”
Lui la guardò scettico, “Sei mai stata nei camerini di una sfilata d’intimo?”
Camille ridacchiò. Si c’era stata. E sapeva a cosa alludeva il giovanotto. Donne semi nude che girano tranquille per i corridoi.
Lo prese in contropiede.
“L’ospite d’onore può comunque andare nei camerini per salutare le modelle!”.
Lui, a quel punto scoppiò a ridere, “Allora ci sto!”.
Ma Camilla sapeva che non stava accettando per quello. Per quel che aveva capito, Orlando Bloom non aveva bisogno di girare per i camerini di una sfilata d’intimo per poter vedere un paio di belle donne.
“Ma comunque non dovrai partecipare ad una sfilata!”
Lui si accasciò sul divano, “Come no?”, chiese stupito.
“La Victoria’s Secret ha creato una nuova collezione di perizomi che presenterà ad una premiére la prossima settimana. Mercoledì sera, per l’esattezza. E noi saremo lieti se tu volessi partecipare come ospite d’onore alla serata di gala!”
Lui rise, “Una serata di gala per un paio di mutande?!”
Camilla rise a sua volta, “Esatto. Ci sarà una cena e poi dieci ragazze sfileranno tra i tavoli per mostrare al mondo le nuove creazioni”, guardò la scheda, “Non sarà una sfilata convenzionale!”
Orlando si massaggiò una tempia, “E perché proprio io?”
Camilla si era immaginata una domanda del genere, e si era anche preparata una risposta convincente.
Ma forse a causa della stanchezza, del fatto che quel ragazzo aveva più o meno la sua età, che era simpatico e che era stanca di mentire, optò per la verità.
“Vuoi la risposta vera oppure quella che mi hanno imposto di darti?”
Lui sorrise, “Prima la finta, poi la vera!”
Lei annuì, “Ok la finta: perché sei un uomo a cui piacciono le cose di classe e la Victoria’s Secret è un marchio di classe. Perché sei famoso e perché il tuo volto si sposa perfettamente con la nuova collezione: bello e frizzante!”
Lui  batté le mani un paio di volte, “Bella! Complimenti! Per un paio di mutande mi sarei impegnato di meno, ma grazie!”, ridacchiò, “Adesso dimmi quella vera!”
“Sei cosciente che se viene fuori una cosa del genere perdo il lavoro?”, domandò Camilla, improvvisamente dubbiosa.
“Più di quel che immagini!”, la rassicurò lui.
“Bene! Allora, il punto è questo: dovevano venire i Pitt come ospiti di punta, ma hanno da fare con i bambini e quindi hanno rifiutato. Il mio capo ha avuto una crisi isterica e io gli ho suggerito di invitare te!”, rise, “Se non altro perché sei single e potrai apprezzare meglio i modelli!”
“E perché appena la stampa verrà informata, un miliardo di ragazze si precipiterà a comprare le mutande di Victoria’s Secret convinte che a me piacciono!” rise anche lui, “E’ una mossa azzeccata! Ci sto!”
Camilla lasciò andare un lungo sospiro.
“Per quel che riguarda il compenso…”
“Possiamo parlarne dopo? Vorrei un caffè!”
Camilla annuì, “Non c’è problema!”
Chiuse l’agenda e aspettò che lui ordinasse i caffè al telefono dell’ufficio. Nel chiudere la borsa vide il foglio giallo con appuntato il nome della moglie del bouncer.
“Posso chiederti un favore?”, domandò ad Orlando, quando lo vide tornare verso il salottino.
Lui annuì.
“Potresti firmarmi un autografo? Per Susan!”, spiegò.
Lui prese un foglio ed una penna “Una tua amica?”, s’informò.
Lei scosse la testa, “A dir la verità non la conosco nemmeno. E’ la moglie del bouncer che mi ha fatto passare. Mi ha detto che lei ti adora così ho promesso di tornare con un autografo!”
Orlando la guardò con una buffa espressione, “Sei una strana ragazza, Camille!”
“Camilla!”, mormorò lei.

 

                                                                                                                                                CONTINUA.... 

 

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Capitolo 2
*** Una strana serie di fortunati eventi ***


CAPITOLO DUE

CAPITOLO DUE

 

UNA STRANA SERIE DI FORTUNATE COINCIDENZE







Camilla inviò un fax all’ufficio stampa della Victoria’s Secret, per informarli che Mister Bloom aveva accettato di partecipare alla serata di gala come ospite d’onore.
Era soddisfatta di quello che era riuscita a fare, soprattutto perché Orlando aveva accettato un compenso ridicolo, rispetto a quello che Robert voleva offrirgli.
Questo le dava il permesso di chiedere un aumento. O almeno, il rimborso della benzina che aveva consumato per arrivare fino a Burbank.
“Dimmi com’è??”.
Era Gwen.
E stava saltellando per il suo ufficio con in mano il comunicato stampa per i giornali.
“Chi?”, domandò.
“Come chi? Orlando Bloom!”, rispose, sventolandole in faccia il foglio.
“Un gran bel tipo!”, asserì Camilla, sistemando la scrivania.
Gwen si lasciò cadere sulla sedia, per niente soddisfatta, “Oh andiamo! Così non mi dai nessuna soddisfazione! E’ sexy?”
Camilla annuì, con un gran sorriso, “Estremamente sexy! Occhi meravigliosi e bocca…”, ci pensò, “Credo che quando hanno inventato il peccato avevano in mente la bocca di Orlando Bloom!”
Gwen rise, “Hai detto una cosa simile anche a proposito di Colin Farrel!”, le fece notare.
Camilla sorseggiò il suo caffè, “Quando parlavo di Colin, intendevo tutto Colin!”, rise lasciva, “Con un attenzione particolare al suo fondoschiena!”
Gwen finse di guardarla con disapprovazione, “Messalina!”
“Vorrei vedere te!”, si difese Camilla.
“Io infatti non parlo mai direttamente con loro! Credo che i miei ormoni me lo impedirebbero!”
Camilla guardò l’orario degli appuntamenti. Ne aveva un paio importanti, gli altri erano normale amministrazione.
“Chi ti spari oggi?”, curiosò Gwen.
“Campagna pubblicitaria per il nuovo telefilm della Fox, e pranzo con l’agente di Josh Jackson per una serata di beneficenza!”
“Chi sarebbe costui?”, si informò.
Camilla scoppiò a ridere di gusto, “Te la rinfaccerò a vita!”, la minacciò con una matita, “Non eri tu una grande fan di Dawson’s Creek?”
“E con questo?”
“Pacey ti dice niente?”
Gwen scattò in piedi, “Incontri Pacey?”
“Si chiama Josh”, precisò Camilla.
“Come ti pare!”, sbuffò la ragazza, “Lo incontri?”
Camilla scosse il capo, “Non credo che lui ci sia. Ho appuntamento con il suo agente!”
Gwen annuì, “Comunque, se lui dovesse comparire io devo essere informata, chiaro? Mi chiami e io vengo. Dove andate a pranzo?”
“Da Sam’s, qui sotto!”
Gwen sbirciò l’orologio, quindi si appoggiò alla scrivania di Camilla, “Io devo andare, ma se lui viene tu mi avvisi, chiaro?”
Camilla annuì, “Parola di Scout!”
Gwen si incamminò verso la porta, “Fingerò di non sapere che tu non sei mai stata negli scout!”
Camilla le lanciò un tempera matite, quindi cominciò a visionare le diverse schede per gli appuntamenti della mattinata.
Mentre sistemava gli estremi per l’incontro con Marc, l’agente di Josh, il suo telefono squillò.
Era Robert.
Che la voleva urgentemente in sala riunioni.
Sbuffando, lasciò perdere la documentazione e si avviò verso la sala di ghiaccio.

 

 Lì, all’agenzia, la chiamavano così perché era una sala fatta di vetro. Completamente trasparente e insonorizzata.
Cosicché chi rimaneva fuori, non sentiva gli improperi che venivano pronunciati all’interno.
Camilla spinse la porta ed entrò.
Ad attenderla, oltre Robert, c’era Rebecca Hampton, una collega che detestava cordialmente, e un altro paio di persone che non conosceva.
Camille finalmente!”, la salutò cordiale Robert. Ma era una cordialità forzata, ormai lo conosceva abbastanza bene da intuirlo.
“Mi chiamo Camilla”, precisò dura, “Qual è il problema?”.
Robert le lanciò un’occhiataccia ma lei non ci badò.
“Loro sono i signori della Breil, ricordi?”
Camilla strinse le loro mani, sorridente, quindi si mise seduta.
“Non ho idea di che cosa tu stia parlando, boss!”
“La serata di lancio della Breil, Camille” intervenne Rebecca, “Non rammenti?”
Camilla aveva immediatamente capito dove volevano andare a parare. La serata di lancio della Breil era stata assegnata a Rebecca, nonostante le proteste di Camilla. E sicuramente Rebecca aveva combinato qualche disastro.
“Innanzitutto mi chiamo Camilla”, precisò nuovamente, “Con la –a finale”, sorrise con stizza, “Secondo poi, la campagna della Breil, per quanto ci tenessi non è stata assegnata a me ma a te, se non ricordo male”.

Rebecca ebbe un guizzo di rabbia.

“Questo lo sappiamo tutti”, disse Robert con una risatina nervosa, “Il problema è che la metà degli ospiti che Becky vuole invitare sono impegnati con te”.
Camilla aprì la sua agenda, “Puoi dirmi la data?”
“Sabato 24”, rispose prontamente Rebecca.
“Io ho solo Mister Farrell, e Miss Diaz. Gli altri non hanno nessun impegno con la nostra agenzia”, spiegò brevemente.
Uno dei due uomini la guardò, “Il problema Miss…?”
“Ardensi”, rispose lei con un sorriso.
“Ardensi”, ripeté lui nel classico modo stropicciato americano, “Il problema è che la signorina Hampton ci aveva assicurato che Mister Farrell avrebbe partecipato come testimonial alla serata di lancio e invece oggi, a poco più di venti giorni, ci dice che è impegnato. E la metà delle altre persone che ci aveva proposto, non sembrano essere intenzionate a prendere parte alla serata”.
Camilla si prese la sua rivincita, “La signorina Hampton prima di impegnare i miei clienti, dovrebbe avere l’accortezza di informarmi”, le lanciò un’occhiataccia, “Comunque, cercherò di chiamare l’agente di Colin per sapere se può presiedere alla serata, altrimenti dovrete indirizzarvi altrove!”
“Signorina Ardensi”, adesso era stato l’altro uomo a parlare, “Siamo un marchio importante che ha bisogno di un volto importante. E per ogni volto necessitiamo di uno slogan. Non possiamo chiedere ai nostri pubblicitari di preparare duecento slogan solo perché non abbiamo certezze”.
“Chiarissimo”, annuì Camilla, “Ma comunque di solito siamo in grado di occuparci dello slogan, questo non è un problema”, si alzò, “Faccio un paio di chiamate e torno da voi”, fece per uscire ma si bloccò sulla porta, “Se Colin non fosse disponibile chi vorreste?”
“Ci affidiamo a lei”, sorrise l’uomo.
Camilla annuì, quindi attraversò la hall con passi lunghi e inferociti.
Non riusciva a credere di dover riparare ai casini di Rebecca.
Di più, non ci voleva credere.

Durante i suoi primi mesi di lavoro, quell’arpia le aveva reso la vita un inferno, e adesso si trovava costretta a rimediare ai suoi errori.
E come se non bastasse, aveva fatto promesse che non era in grado di mantenere. Sapeva benissimo che il 24 Collin aveva una serata di beneficenza all’orfanotrofio e trovava inappropriato proporgli di rifiutare per prendere parte all’ennesima serata di lancio.
Soprattutto perché Collin non l’avrebbe presa bene.
Per niente.
Ci teneva veramente alle serate all’orfanotrofio che Camilla gli organizzava a cadenza mensile.
Compose il numero dell’agente, quindi attese che rispondesse.
Gli spiegò brevemente la situazione, pregando che Collin non fosse lì con lui.
Una preghiera vana, perché Collin, che invece era lì, le promise di passare in agenzia nel giro di un quarto d’ora.
Per quel poco che lo conosceva, se Collin fosse stato a conoscenza del giochino della sua collega, non ci sarebbe andato troppo leggero.
Bevve un caffè e cercò di rilassarsi. Che aspettassero pure. In fin dei conti aveva detto loro di dover fare delle telefonate, quindi aveva tutto il tempo che voleva.
Si sedette e aspettò fino ad un tempo che le sembrò appropriato.
Quando si rese conto che la stasi non faceva che agitarla ulteriormente, decise di andare in sala riunioni. Forse sarebbe riuscita a tamponare la situazione.
“Signori”, esordì una volta entrata, “La fortuna ha voluto che Colin fosse nei paraggi e che quindi sarà qui da noi più o meno…”
“Ora!”
Era Colin, con la sua faccia da impunito che sorrideva strafottente appoggiato alla porta.
Tutt’intorno gli astanti si alzarono per stringergli la mano. Un rito che lui eseguì con noia e vaga ironia, quindi abbracciò Camilla depositandogli un bacio in fronte.
“Ciao fottuta italiana!”, la salutò.
Camilla ridacchiò, “Ciao fottuto irlandese!”, ricambiò, “Ti trovo in forma. Cos’hai fatto?”
“Bevo meno e faccio più sesso!”, bisbigliò.
Camilla scoppiò a ridere, “Non ho dubbi a tal proposito!”
“E fai bene”, asserì lui con un sorrisino malizioso.
“Signor Farrell”, lo chiamò Robert.
“Ciao Boss, come va?”
“Benone, grazie!”, sorrise Robert più a suo agio, “Camilla ti avrà detto perché sei qui”.
Collin guardò Camilla, “Ha parlato di sovrapposizione di date ma è strano. L’unica data che ho è per il ventiquattro, giusto Cam?”
Lei, suo malgrado, annuì.
“E proprio per questo che l’abbiamo chiamata signor Farrell”, intervenne Rebecca, “Il ventiquattro avevamo pensato di farla partecipare ad una serata di lancio per la Breil”, le sorrise seducente, “Come testimonial!”
Lui scosse la testa, “Mi dispiace micetta ma devo rifiutare!”
“Per una serata in un orfanotrofio?” domandò lei allibita.
Colin fece per rispondere, ma fu preceduto da Camilla. Infuriata.
“Tu lo sapevi!”, l’additò, “Sapevi dell’impegno di Colin e te ne sei fregata!”
“Pensavo che si potesse rimandare”, si difese Rebecca con freddezza.
“E invece no!”, obbiettò Camilla, “Non si rimanda niente. Quei bambini aspettano con ansia quel giorno e non sarai di certo tu a rovinargli la festa!”
Colin guardò Rebecca con compassione.
“Potrebbe andare prima”, propose la Hampton, “O dopo. Potremmo incastrare gli orari!”
Questa volta Colin fu lesto a prevenire il rilancio di Camilla.
“Signori”, si rivolse ai due uomini seduti accanto a lui, “E’ raro che sia io ad occuparmi di queste cose, di solito ci pensa quello stronzo del mio agente, ma stavolta sono qui e si fa come dico io. Il ventiquattro ho un impegno. E non lo anticipo né posticipo. Voi fate dei bellissimi pezzi ma non me ne frega un cazzo, chiaro? Quei bambini sanno che io andrò e che mi fermerò a cena e dopo cena e così sarà. Ci sono tante altre persone che la signorina Hampton potrà trovare, ne sono sicuro!”
“Ma Camille ha detto che forse saresti riuscito a venire”.
Camilla è troppo gentile con te. Ti meriteresti una mazzata in bocca per come lavori. Ti dico solo che Jared non ti sopporta più!”
Camilla toccò un braccio a Colin, quindi sorrise ai clienti.
“Signori, mi dispiace per il disguido, ma purtroppo non posso aiutarvi”, guardò Colin, “Forza andiamo!”, quindi si rivolse a Robert, “Boss ti posso parlare un secondo? Mi serve una tua firma per un agente che devo incontrare tra dieci minuti”.
Abboccando alla richiesta Robert la seguì nel suo ufficio.
Solo dopo si rese conto dell’errore che aveva fatto.

 

Camilla uscì a grandi passi dalla sede dell’agenzia.
Era infuriata.
E in ritardo mostruoso.
Aveva chiamato Marc, l’agente con cui aveva appuntamento e aveva rimandato tutto al giorno successivo. In quelle condizioni non se la sentiva di lavorare.
Era troppo adirata.
Entrò da Starbuck’s e si prese un caffè. Avrebbe preferito berlo seduta ad un tavolino, ma erano tutti occupati.
Di sicuro non era la sua giornata fortunata.
Optò per una passeggiata, augurandosi che l’avrebbe aiutata a calmare i nervi. Sapeva che non sarebbe stato così, ma voleva tentare.
Di più, voleva allontanarsi da quel dannato edificio.
Era incredibile come, nonostante il suo lavoro accurato e pieno di successi, nessuno la prendesse davvero sul serio. In primo luogo quella dannata Hampton.
E poi Robert. Ah Robert!
Il capo dei capi.
Quello che la sfruttava fin quando riusciva a fruttare quattrini all’agenzia. Se gli impegni dei clienti non si orientavano in tal senso, allora andavano cancellati.
O sovrapposti.
Non poteva crederci che Robert le avesse fatto una cosa del genere.
Camminava a capo chino, la testa piena di pensieri, tanto che non si accorse dell’uomo davanti a lei.
Che la travolse, rovesciandole addosso tutto il caffè.
“Dannazione!”, imprecò lei, guardandosi la camicetta celeste completamente macchiata.
“Sono mortificato!”, si scusò lui.
Camilla lo guardò, furente. E riconobbe il volto imbronciato di Orlando. Istintivamente gli sorrise, salvo poi fissare la macchia informe che si allargava sulla sua camicia.
“Ciao Camille”, la salutò.
Lei sospirò contando mentalmente fino ad un numero che le sembrò appropriato e che, probabilmente, le avrebbe evitato di saltargli alla gola.
“Ciao…”, lo salutò senza troppo slancio.
“Camminavi a testa bassa”, si difese lui, comprendendo la sua neanche troppo velata ira.
“Se mi avevi visto potevi evitarmi no?”
Lui scrollò le spalle, “Me ne sono accorto tardi”, spiegò, “Ti pago la lavanderia”, si offrì.
Camilla lo guardò.
 “Il problema non è la lavanderia. Il problema è che non posso andare a lavoro conciata così”, borbottò.
Lui sorrise, “Ok, allora ti pago una nuova camicia”.
Camilla sorrise a sua volta, “Grazie ma non ce n’è bisogno”.
“Almeno lascia che ti offra un altro caffè!”, propose lui.
Era veramente dispiaciuto e Camilla non se la sentiva di deluderlo. Ed era un suo cliente…tutti punti a suo favore, dannazione a lui.
 “Vada per il caffè”, gli concesse poi.
Lui sorrise soddisfatto, quindi le porse la mano che Camilla fu lesta ad afferrare.
Camminarono silenziosamente verso Starbuck’s ad un ritmo pressoché identico e con gli sguardi decisamente cupi.
 “Allora Camille, come va?”, domandò lui.
“Camilla”, precisò lei.
Lui annuì, “Scusami”, sorrise.
“Non preoccuparti, ormai ho la correzione automatica”, lo seguì, camminandogli a fianco, “Voi americani non siete in grado di pronunciare correttamente il mio nome, quindi vi correggo. O mi rassegno!”
“Io sono inglese”, disse lui.
“Non si direbbe”, sorrise lei.
Orlando si chinò per sbirciarla, “E perché mai?” domandò curioso.
Camilla scrollò le spalle, “Probabilmente perché non hai né l’aspetto da damerino ne quello da rocker punk!”
“Bella osservazione, ma sai, per il lavoro che faccio non posso permettermi troppe stravaganze”, spiegò lui, “E comunque, anche tu non sembri di queste parti”.
“Esatto”, confermò lei, “Vengo da lontano lontano, come la fidanzata di Shrek!”
Lo fece ridere, e venne da ridere anche a lei.
Orlando aveva una risata penetrante, contagiosa. Sembrava che provenisse dal profondo dell’anima.
“Mi auguro che almeno il tuo fidanzato non sia verde!”
Camilla negò, “Nessun fidanzato. Meno che mai verde. E nessun ciuchino che mi fa ridere!”
“Questo è un peccato!”, mormorò lui aprendole la porta di Starbuck’s.
Quando entrarono Camilla si aspettò che le persone sedute ai tavoli scattassero in piedi a chiedere autografi, ma non accadde nulla.
Nessuno lo notò.
Nessuno si accorse di loro.
Nessuno tranne Amy, la ragazza che lavorava al bancone che guardò divertita la sua camicetta.
“Problemi con il caffè, Cam?”, le domandò.
Camilla sorrise, “Ne voleva un po’ anche la mia camicia e non ho saputo rifiutare!”
Amy scoppiò a ridere, “Per lo meno hai trovato qualcuno che si prende cura dei tuoi bisogni”, disse accennando a Orlando, “Per lei, signore, cosa porto?”
“Un caffè nero”, ordinò lui.
Amy si voltò e riempì due bicchieri medi di caffè. Li consegnò ad Orlando e li salutò, augurando loro una buona giornata.
“Quindi hai vinto. Conoscono te e non conoscono me”, osservò lui, mentre bevevano il caffè seduti su una panchina del parco.
“Sembri dispiaciuto”, disse lei, soffiando nel suo bicchiere.
“Affatto! Sono estremamente contento!”, ridacchiò, “Avanti Camille, dimmi cosa fai nella vita!”
“Lavoro con quelli come te”, disse lei, evitando di correggere la pronuncia del nome.
“Ti sei rassegnata”, disse lui.
“Prego?”
“Ti sei rassegnata. Non mi hai corretto quando ti ho chiamato Camille”.
Lei lo guardò con interesse, “Non lo faccio più di una volta al giorno con la stessa persona”, disse lei, evitando di dargliela vinta.
“Bene”, annuì lui, “Quindi, lavori per quelli come me, questo già lo sapevo. Cosa fai in generale però non lo so”.
“Suono la chitarra, leggo, penso, scrivo…”, spiegò, “Ma comunque non ho mai tempo a sufficienza per dedicarmi ai miei hobby”
Lui la guardò senza particolare reazione, “Il tempo…Dio mio, non sembra mai veramente abbastanza per fare nulla”, constatò.
“Stiamo filosofeggiando?”, ribatté lei.
“E’ una cosa brutta?”, domandò lui.
“Non lo so, dimmelo te! Quando voi star cominciate a filosofeggiare mi si accendono tutti i campanelli d’allarme ed una vocina stridula mi grida nelle orecchie: attacco isterico in corso Cam, dattela a gambe!”
Lui la guardò sorridendo, “Abbiamo questo strano modo di fare, noi star?”, utilizzò un tono sarcastico mentre pronuciava "star".
Lei si strinse nelle spalle, “Non siete veramente reali”
“Certo che lo siamo”, ribatté lui risentito.
“Non me la raccontare!”
“Non lo faccio”, rispose lui fissandola.
“Oh per piacere, hai una vaga idea di come funzioni il mondo? Quello vero?”
“Naturale che ce l’ho!”, replicò lui stupefatto.
“Io dico di no”.
“E io invece ti dico di si”.
“Dici di si perché te la racconti!”
Lui ridacchiò, scuotendo in capo, “Hai sempre l’ultima parola?”
“Se posso preferisco”, disse lei alzandosi e gettando il suo bicchiere.
Camilla guardò l’orologio. Erano passate da poco le quattro del pomeriggio e doveva necessariamente tornare in agenzia per l’incontro con i produttori della Fox.
“Devi andare perché hai un appuntamento e non puoi fare tardi”, disse Orlando.
“Esatto”, sorrise lei. Gli porse la mano, che lui strinse in una presa salda e asciutta, “Mi ha fatto piacere bere questo caffè con te, Mr. Bloom”.
Lui le sorrise, “Anche a me”.
Camilla rimase un po’ con la mano di lui nella sua, quindi si decise a staccarsi.
“Ora vado”
“Vai!”
“Ci vediamo!”
“E’ probabile”
“Ciao!”
“Ciao Camille”.
Lei rise, facendo di no con il dito ma senza correggerlo.

Si era rassegnata.





                                                                                                                    CONTINUA…..

 

 

 

Ragazze vi ringrazio davvero di cuore per la calda accoglienza!!

Anzi, vi dirò di più, mi fa immensamente piacere aver svegliato l’interesse di fan accanite come voi. Mi lusinga proprio!! Non che io non lo sia, beninteso, ma diciamo che la vera fan è la mia amica la quale (puntandomi gentilmente un coltello alla gola!!!!), mi ha imposto di scrivere qualcosa sul suo O.D. (No no…nn è un errore! OD sta per Oggetto Del Desiderio!!). Invece per i problemi che si troveranno ad affrontare prendetevela pure con me!!!!!!!

Strowberry sono io a dover ringraziare te…scrivi divinamente ed è un piacere immenso leggere le tue parole. Se qualcuno ha talento, bhè quella sei decisamente tu!!

Moon spendo due parole per ringraziare anche te. Mi auguro di essere all’altezza delle tue aspettative senza scendere troppo nel banale e nel “fanciullesco”, (come dice la mia amica!!)

E grazie quindi anche a Bebe e Michi….grazie grazie grazie!!!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto il primo!

Intorno a venerdì dovremmo aver già pronto il terzo!! Purtroppo riesco a connettermi solo nei week end quindi  perdonatemi se vi lascio a bocca asciutta per l'intera settimana! Prometto che mi farò perdonare ;)

 

Un abbraccio a tutte

Amaranta

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Capitolo 3
*** E' tutto un attimo ***


CAP3

CAPITOLO TRE

 

E’ TUTTO UN ATTIMO….

 

 

Era intenta a scolare la pasta quando il campanello di casa suonò.
Posò lo scolapasta nel lavello e si avviò verso la porta d’ingresso.
Sapeva che al di là dell’uscio, c’erano Gwen Carter la sua collega all’agenzia e Sandra Thompson la sua ex coinquilina.
Era una loro consuetudine quella di organizzare una cena a settimana per stare insieme, e quella sera, per l’appunto, toccava a Camilla cucinare per loro.
“Ciao tesoro!”, la salutò Sandra di slancio.
Camilla l’abbracciò, quindi le precedette all’interno dell’appartamento.
“Cosa c’è Gwen? Ti hanno mangiato la lingua?”, s’informò Camilla, mentre ripassava la pasta nella padella.
“Colpa tua!”, sospirò, “Robert ha pensato bene di scaricare la sua ira sulla sottoscritta”.
Sandra le sfiorò un braccio con partecipazione, “Povera!”, sorrise, “Pensa Cam, che il tuo capo le ha ordinato di catalogare la metà delle tue vecchie schede!”
Camilla, spense il fuoco del fornello, quindi si versò del vino bianco.
“Mi dispiace Gwen”, disse, “Non pensavo che se la prendesse con te!”
Gwen fece una smorfia, “Non te la cavi così a buon mercato sai?”, l’ammonì divertita, “Domani ho letto che hai appuntamento con quel pezzo di figo di Boreanaz, e dirai a Robert che io vengo con te!”
Sandra e Camilla scoppiarono a ridere.
“Ci sto”, disse poi Camilla.
“Brava Camille!”, la prese in giro Gwen, “Così si fa!”
Camilla le fece una linguaccia, quindi si rivolse a Sandra, “Come va con Jack?”, le domandò.
Sandra sorseggiò lentamente il suo vino, “Benissimo grazie!”, sorrise, “Diciamo che il matrimonio è molto più divertente di quello che avevo immaginato”, fece loro l’occhiolino.
Gwen si alzò in piedi sbuffando, “Due amiche ninfomani!”, sospirò, “Proprio a me doveva capitare?”
Camilla le lanciò una mollica di pane, “Ma finiscila!”, la canzonò, “Sei tu la prima a seguire gli ormoni!”
Gwen la guardò con finto disprezzo, “Ormoni?”, si finse stupita, “Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando!”
Sandra ridacchiò, “Vuoi un esempio?”
“Spara!”
“L’incontro con Colin Farrell?”, Sandra sorrise, “Ti dice nulla?”
“E il pranzo di oggi con l’agente di Jackson? E l’incontro di domani con Boreanaz?”, proseguì Camilla.
Gwen sospirò con indulgenza, “Quella è solo una cura per gli occhi! Io con quei tipi non ci faccio mica sesso”, si lasciò cadere sul divano, “Sfortunatamente!”
e Camilla rise, “Sei terribile!”, l’ammonì, “E penso che l’unico motivo per cui tu non faccia sesso è perché non vuoi farlo. Hai così tanti fans da far invidia a Paris Hilton!”
Gwen scosse la testa, “Cosa vuoi che ti dica?”, borbottò, “Evidentemente sono fans di scarsa categoria!”
Sandra le versò dell’altro vino bianco, “Un giorno ne arriverà uno per cui varrà la pena rischiare!”, la rassicurò.
Camilla la guardò con scetticismo.
“Non fare quella faccia tu!”, l’ammonì Sandra, “Prima o poi capiterà anche a te!”
“Sempre che non sia già capitato!”, buttò lì Gwen.
Sandra sbarrò gli occhi per la sorpresa e Camilla la guardò senza capire.
“Amy di Starbuck’s mi ha detto che oggi eri con un tizio”, la guardò con curiosità, “E nel pomeriggio non avevi appuntamenti!”
Sandra guardò Camilla con bramosia, “Racconta!”, le ordinò.
Camilla ridacchiò, quindi si diresse verso i fornelli e cominciò a condire la pasta.
“Era solo un ragazzo che mi ha offerto un caffè”, spiegò. Non sapeva perché, però non voleva raccontare loro della vera identità del ragazzo.
La voleva tenere per se. Almeno per un po’.
“Si comincia sempre così”, considerò Sandra con l’aria di una che la sa lunga, “Anche io e Jack abbiamo cominciato con un caffè!”
“Ma noi non abbiamo cominciato”, obbiettò Camilla facendole la linguaccia, “Ci siamo scontrati per strada, lui mi ha rovesciato il caffè sulla camicia e così ha deciso di offrirmene un altro. Lo abbiamo bevuto insieme e ci siamo salutati!”, guardò Gwen e la prevenne prima che potesse dire qualcosa, “E la storia d’amore si è consumata nel giro di mezz’ora!”
Gwen si sedette al tavolino, scrutandola con attenzione, “Amy ha detto che era un ragazzo molto sexy”.
“Lo era”, confermò Camilla, “Ma non per questo devo necessariamente avere una storia con lui”.
Sandra afferrò il piatto che Camilla le stava passando, “Ti ha lasciato il suo numero?”
“No”
“E tu gli hai lasciato il tuo?”, indagò Gwen.
“No!”
Le due ragazze si guardarono rassegnate.
“Cosa c’è?”, chiese Camilla addentando la sua pasta.
“C’è che sei senza speranza”, spiegò Gwen, “E non mi spiego perché tu sia così impaurita quando si tratta di frequentare gente!”
“Lo è sempre stata”, rincarò Sandra, “Quando abitavamo insieme ho tentato di scuoterla, ma non è servito!”
“Io non sono impaurita”, si difese Camilla, “E’ solo che non ho tempo per queste cose. Non ora. Ho troppo da fare per potermi impegnare in una storia seria”.
Sandra si versò del vino, “Hai paura di innamorarti, ecco qual è il problema!”
“Sono d’accordo”, assentì Gwen.
Camilla bevve il suo vino in un'unica sorsata, “Non ho paura di niente. E’ solo che non credo nelle relazioni”, le zittì, “E non ho intenzione di farlo solo perché un ragazzo gentile mi ha offerto un caffè”.
Sandra e Gwen la fissarono a lungo, quindi scoppiarono a ridere.
“Cosa ridete?”
Ma, per sua sfortuna, non le risposero, lasciandola con il dubbio di cosa avessero voluto veramente dire.

 

 “Cam, sei stata fantastica con Boreanaz!”.
Robert proruppe nel suo ufficio, posando una tazza di caffè fumante sulla sua scrivania.
“Mi darai un aumento?”, domandò Camilla, prendendo la tazza tra le mani.
Robert si sedette, ridacchiando, “Guadagni più della metà dei tuo colleghi, e non hai famiglia”, osservò.
Camilla alzò un sopracciglio, “E da quando, in questo lavoro, non avere un famiglia è un deterrente?”
“Da quando non devi pagare la scuola per i bambini, le loro visite, i corsi sportivi…”
“Ok, ok, ho capito!”, lo fermò lei ridacchiando,“Per avere un aumento devo fare un bambino, è chiaro!”
“Due sarebbero ancora meglio!”, scherzò Robert.
Camilla finì di bere il suo caffè, quindi posò la tazza sulla scrivania, “Sei qui solo per farmi i complimenti?”, indagò.
Robert si passò una mano tra i capelli, “E per scusarmi”, mormorò.
“Scusarti?”, domandò Camilla esterrefatta.
Lui annuì, imbarazzato, “Per la questione del lancio della Breil. Mi sono comportato male con te”.
Camilla sospirò. Era la prima volta che Robert le chiedeva scusa per qualcosa. E questo, assurdamente, le faceva rizzare le antenne.
“E’ andata”, minimizzò lei, sforzandosi di sorridere, “Spero che Rebecca sia riuscita a trovare un testimonial degno”.
Lui annuì, poco convinto, “La Theron. Ovvero sia, il testimonial che hanno già”.
Lai annuì a sua volta.  Per una società di PR, servirsi del testimonial ufficiale di una compagnia, significava ammettere di aver fallito.
E questo perché, se una casa d’abbigliamento, o di gioielli, richiedeva l’aiuto di un agenzia per una serata di gala, voleva dire che stavano cercando un nuovo volto.
Qualcosa di diverso.
Qualcosa di speciale per l’occasione.
E Rebecca non era stata in grado di fare il suo lavoro.
“Mi dispiace”, disse Camilla.
Robert scrollò le spalle, “Non ci pensiamo”, sorvolò, “Ho qualcosa di diverso per te”.
Camilla si appoggiò allo schienale della sua poltrona.
Lo sapeva!
“Di che si tratta?”, domandò, stancamente.
Robert le sorrise, “Una serata commemorativa”, le spiegò, “In onore di Jhonny Cash e di June Carter Cash”.
Camilla si sporse in avanti, incuriosita e Robert continuò.
“La vogliono fare alla Disney Hall e vogliono che sia qualcosa di semplice ma bello. Qualcosa che rispecchi la personalità dei Cash, insomma”.
Camilla sorrise. Si era aspettata qualcosa di completamente diverso. Lei adorava Jhonny Cash, anche se…decise di soprassedere. A certe cose era meglio non pensarci.
“E’ una bella cosa”, disse infine, “Mi piace. Come la devo gestire?”
Robert le sorrise incoraggiante, “Qualche concerto, qualche foto…. E non dimenticarti di contattare gli amici di Cash, i suoi fans più famosi. E cerca una busta di gadget appropriata”.
Camilla appuntò tutto nel suo taccuino, annuendo sistematicamente.
“Quanto tempo ho a disposizione?”
“Due mesi”, borbottò Robert.
Ecco l’incaglio! Due miseri mesi per una commemorazione erano un tempo decisamente ristretto.
Troppo ristretto.
“E poco, lo so”, la prevenne lui, “Per questo l’ho chiesto a te. So che non ci deluderai”.
“Mi serve un’èquipe”, considerò lei.
“Ti do Gwen e Mark”, disse lui.
“Non mi bastano”, obbiettò lei, “Voglio anche Jennifer e Rowena”
Lui allargò le braccia in segno di resa.
“Quanto budget?”, domandò.
“Illimitato”, sorrise Robert, “L’importante è che tu contatti John Carter Cash e ti metta d’accordo con lui”.
“E’ il figlio?”, domandò lei.
Robert assentì con un cenno del capo.
“Va bene”, disse lei, “Ci sto. Però mi da l’aumento!”
Lui ridacchiò, “Ne parleremo a tempo debito”, guardò l’abito appeso alla libreria dell’ufficio di Camilla, “E’ per stasera?”, chiese.
Lei annuì, “Credi che sia troppo per una serata in onore delle mutande?”
Lui stavolta rise, “E’ perfetto, Cam!”, la rassicurò.
“Come mai non ti lamenti che indosso sempre abiti neri?”, cercò di sapere lei.
“Perché tanto lo indosseresti lo stesso”, osservò lui, alzando un sopracciglio, “Hai un accompagnatore?”
Camilla scosse il capo con un sorrisino, “Lo sai che non ce l’ho!”
“Allora ti vengo a prendere io”, si offrì lui.
“E Anya?”
Anya era la moglie di Robert. Una donna semplice e divertente. Camilla le voleva bene.
“Anya non verrà”, disse lui dispiaciuto, “Rimane a casa con il bambino. Dice che preferisce così!”
Lei si strinse nelle spalle, lanciandogli un’occhiatina.
“Si lo so a cosa stai pensando”, disse lui, riferendosi al forfait dei Pitt, “Ma non voglio litigare. Alle otto sono da te, fatti trovare pronta!”
“Signor si, signore!”
Lui scosse il capo, guadagnando strada verso l’uscio.
“E salutami Anya”, gli gridò dietro lei, “Dille che la capisco perfettamente!”
“Vaffanculo Camille!”, le rispose lui.
Ma Camilla rideva.

 

 La serata era andata ancora meglio di quanto Camilla si era aspettata.
La Ballroom hall dell’Hilton Hotel di Los Angeles, era gremita di volti più o meno noti, che si stavano divertendo.
Al tavolo d’onore, quello in cui sedeva anche lei, c’era Orlando.
Si stava divertendo, a detta sua, e aveva trovato la nuova collezione un vero spasso.
 Adesso una band ingaggiata dalla casa d’abbigliamento, intratteneva gli ospiti prima della fine della serata.
Camilla, dopo essersi guardata intorno, era uscita nel patio a fumare una sigaretta.

Era piuttosto silenzioso lì, e a lei piaceva sempre molto riuscire a ritagliarsi un attimo di tranquillità durante una serata importante.
“Ciao Camille!”
Camilla si voltò, e notò Orlando uscire verso di lei.
“Ciao Mr. Bloom!”, lo salutò lei, fingendo di non aver notato la pronuncia sbagliata del suo nome.
“Bella serata”, considerò lui guardandosi intorno, “Ben riuscita!”
Camilla sputò una nube bluastra di fumo, e annuì, “Sono contenta che sia stata di tuo gradimento!”
Lui le sorrise, “Lo è stata! Anzi ti ringrazio di aver pensato a me come seconda scelta”, ridacchiò, “Mi sono divertito e ho incontrato un sacco di gente che non vedevo da tempo”.
Camilla alzò un sopracciglio, “Tipo Viggo?”, azzardò.
Lui sospirò, “Tipo Viggo!”
Forse a causa dell’alcool, Camilla azzardò una domanda impertinente, “Lo sapevi che in internet girano storie slash sul vostro conto?”
Lui rise. Di cuore.
“Lo so, si!”, rise ancora, “Un periodo ero molto divertito da quello che trovavo in giro!”
Camilla lo guardò stupita, “Tu leggevi quelle storie?”
Lui annuì, “E ti assicuro che ce n’erano alcune veramente ben scritte”, le confidò, “Anche se ti giuro che per quanto voglia bene a Viggo, il mio orientamento sessuale segna prepotentemente da un’altra parte!”
Lei ridacchiò divertita, “L’avevo notato!”
Orlando la guardò di sottecchi, “E tu invece?”
“Non sono lesbica”, lo rassicurò.
“E sei la compagna del tuo capo?”
Stavolta fu Camilla a scoppiare a ridere, “Oh Dio no! Non potrei mai stare con uno come Robert. E’ troppo isterico! E poi è sposato con una donna meravigliosa!”
Lui annuì, “Nessun fidanzato dunque?”, la sbirciò, “Sai, l’altro giorno non mi sei sembrata troppo convinta!”
Camilla scosse la testa, evitando di pensare alla conversazione della sera prima con Sandra e Gwen, “Nessun fidanzato”, confermò, “Diciamo che al momento il lavoro mi assorbe completamente e non ho tempo per cercarne uno”.
Lui le sorrise, partecipe, “Ti capisco”, mormorò, “Anche se credo che alla nostra età non dovremmo trascurare l’amore a causa di un lavoro. Di qualsiasi lavoro.”
Camilla sulle prime non rispose.
Lei non rinunciava all’amore a causa del suo lavoro. Quella era una banale scusa per evitare di dover spiegare le sue vere argomentazioni.
Camilla non voleva avere niente a che fare con l’amore, indipendentemente dal suo lavoro.
Era sufficientemente convinta di poter rimediare del buon sesso quando ne aveva bisogno, ma aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più lasciata coinvolgere in relazioni affettive troppo serie.

Mai più.
Aveva già dato e non le era affatto piaciuto.
“Forse hai ragione te”, disse senza crederci veramente, “Ma l’amore arriva quando è il momento che arrivi. E’ inutile andarlo a cercare!”
“Anche questo è vero”, le concesse lui, “Però alle volte, anche se lo trovi, non è detto che tu non debba lottare”
“Si lotta per tutto, non vedo perché non lo si dovrebbe fare per l’amore”, considerò lei.
Orlando sorseggiò il suo Daiquiri in silenzio, senza dire nulla.
“E tu invece?”, domandò Camilla, “Un tipo come te avrà mille donne che lo attendono a braccia aperte”.
Orlando rise, tenendo tra i denti la cannuccia nera del cocktail.
Era sexy.
Dannatamente sexy.
“Confermo”, biascicò lui, senza lasciare la cannuccia, “Ma evidentemente tra di loro non c’è quella fatta apposta per me”.
“E se fosse una fan?”, chiese.
Questa era sempre stata la sua domanda preferita. Quando entrava in confidenza con i suoi clienti, presto o tardi la faceva. Era più forte di lei.
“Perché no?”, disse lui, ribaltando inconsapevolmente la media, “In fin dei conti sempre una donna è”.
“Si ma…lei parte avvantaggiata, rispetto a te, non trovi?”
“Cosa intendi?”, chiese lui giocherellando con la cannuccia.
“Sa già tutto di te!”
“Non ti confondere Cam”, il tono di voce era basso ora, “Sa quello che sanno tutti. Sa quello che vendono sul mio conto”, sospirò, “Ma nessuna fan sa esattamente chi è Orlando Bloom e questo forse è un punto a mio sfavore…”
“E perché mai?”, domandò Camilla senza capire.
“Perché a volte rimangono deluse”, spiegò lui, “Perché mi vedono per quello che non sono e poi ci rimangono male”.
“E’ triste”, mormorò Camilla soprappensiero.
“Lo è”, confermò lui.
“Comunque tra i due, sei tu quella che ha vantaggio!”, le sorrise amichevolmente, “E se posso darti un consiglio, fuggi dalle celebrità!”
Camilla posò il suo bicchiere sulla ringhiera e si voltò a mezzo busto verso la porta, “Vai contro i tuoi interessi, dicendo così!”
Lui rise, e la guidò all’interno della sala, “E perché mai?”, scherzò lui, “Io non sono mica una celebrità!”
Entrarono nella sala, e la gigantografia del viso di Orlando, sopra il palco, riempì l’intera visuale.
Camilla lo guardò alzando un sopracciglio, “No, infatti”, rispose alludendo alla foto, “Tutti quanti possono permettersi una gigantografia nella Ballroom hall dell’Hilton!”
Lui rise, salutando Robert con una mano, “Se hai un amico fotografo”, la contraddisse lui, “Puoi farlo anche te!”
Camilla scosse la tesa divertita.
Niente da fare.
Le celebrità avevano un modo di ragionare estraneo al resto del mondo.

 

 

La limo di Robert si fermò proprio sotto il suo appartamento.
Robert abbassò il finestrino, quindi diede un’occhiata al palazzo.
“Con tutto quello che ti pago ti potresti permettere un loft a Downtown”, considerò.
Camilla raccattò la sua borsa dal sedile, “Non ho bisogno di un loft a Downtown per sentirmi appagata boss”, chiosò lei.
Robert si strinse nelle spalle, “Eppure sarebbe più indicato ad una donna in carriera come te!”
Camilla scoppiò a ridere, “Per una come me sarebbe indicato una stanza d’albergo”, scherzò, “Dove le inservienti ti mettono in ordine la camera giorno dopo giorno, senza lamentarsi!”
Robert sorrise, “Potresti permetterti anche quella”, rifletté.
“Dobbiamo necessariamente discutere delle mie abitudini abitative o pensi che posso andarmene a letto?”
Robert annuì, “Prima che tu vada voglio sapere una cosa”, mormorò.
“Dimmi”, lo incoraggiò Camilla.
“C’è qualcosa tra te e Bloom?”
Camilla scoppiò a ridere.
Ok, Orlando era sexy, divertente e…sexy. Dannatamente sexy.
Ma non era quello che si poteva definire il suo tipo. E per di più era un suo cliente. O almeno, lo era stato.
“No boss, non c’è niente tra me e lui. Ci siamo simpatici, e basta!”
Robert fece una strana smorfia, “Eppure ho avuto l’impressione che tramaste qualcosa. Siete stati fuori nel patio per più di mezz’ora”.
Camilla si spazientì, “Parlavamo”, disse, “E poi sono stata nel patio anche con Tobey Maguire quando abbiamo fatto la presentazione dei gadget di Spiderman e lì non hai avuto niente da dire”
Robert la fissò negli occhi, “Cam, Orlando Bloom è un personaggio importante. E’ un personaggio pubblico. Sai meglio di me che in queste cose a rimetterci è sempre la fanciulla sbavante…lo sai”, la guardò un momento, “E sai anche che potrebbe diventare un nostro cliente”.
“Non mischio mai il lavoro con la vita privata”, lo interruppe lei, “Lo sai”.
Un ricordo vivido di memoria le trafisse la mente. Scosse la testa, decidendo di non pensarci.
Robert annuì, “Lo so. Ma so anche che Bloom è un tipo sexy, che piace alle ragazze”.
Camilla aprì lo sportello, ridacchiando, “Non mi gioco la carriera per una scopata boss”.
“Oxford?”, la prese in giro lui, ormai tranquillo.
“No Cambridge!”, scherzò lei, “Ci vediamo domani in ufficio boss. Dormi bene e salutami Anya!”
Robert scosse la testa con divertimento.
La guardò salire le scale e chiudersi il portone alle spalle.
Aveva fatto un vero affare ad assumerla. Camilla Ardensi era la punta di diamante di tutta la Mc Nub PR Agency.

 

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Capitolo 4
*** Wishing and Hoping ***


CAP4

CAPITOLO QUATTRO

 

 

WISHING AND HOPING

 

 




Camilla spinse la porta della boutique di Armani, con un sonoro sbuffo.


Odiava dover fare shopping.
Anzi, odiava dover fare shopping nelle boutique di lusso, dove rischiava di incontrare la metà dei suoi clienti.
E, come se non bastasse, dove c’erano commesse equivalenti a modelle, che l’ammonivano continuamente sul suo modo di vestire.
Aveva scelto Armani proprio per quel motivo.
Mercedes, la commessa, era una donna simpatica che le forniva sempre ottimi consigli nel tempo minore. L’opposto delle altre.
Varcò la soglia e si diresse al bancone.
“Cam!”, la salutò Mercedes non appena la vide, “Come te la passi, dolcezza?!”
Camilla la baciò su entrambe le guance, “Bene, grazie. E tu? Cosa mi dici?”
Mercedes sospirò, “Tutto bene”, ma non sembrava convinta, “Con la serata degli Emmy alle porte, stiamo impazzendo!”
Camilla ridacchiò, “Lo immagino”.
“Come mai da queste parti?”, domandò Mercedes curiosa, “E’ un bel po’ che non ti si vede. Hai cambiato stilista?”
Cam fece una smorfia, “No, tranquilla!”, la rassicurò, “E’ solo che avevo abiti da sera a sufficienza”, si guardò i fianchi sconsolata, “Finché non ho incominciato a mangiare come un animale!”
Mercedes rise divertita, e la guidò verso la zona degli abiti da sera, “Sei in ottima forma. E poi ci sono degli abiti che devi vedere. Era ora che cominciassi a rifare il guardaroba!”, la canzonò.
Camilla la seguì, e si fece mostrare tutta la nuova collezione di haute couture.
C’erano dei pezzi straordinari, così decise di provarne qualcuno.
Alla fine, dopo quasi un’ora, si decise per un abito lungo color prugna, e per un altro nero fino al ginocchio, con un grande scialle arancione.
Mentre Mercedes preparava i capi, Camilla se ne andò nel reparto uomo.
Di solito, era proprio lì che faceva gli acquisti migliori.
Camice, pantaloni, bermuda…. Gli uomini Armani avevano a disposizione una collezione chic ma comoda. Cosa che non si poteva certo dire per le donne.
Mentre svoltò lo scaffale dei cardigan, finì addosso ad un uomo.
“Mi scusi”, balbettò in imbarazzo, “Non l’avevo notata!”
Camille!”
Lei alzò lo sguardo e finì direttamente negli occhi ammalianti di Orlando.
“Camilla”, lo corresse lei divertita.
Lui rise, “Comincio a pensare che tu voglia togliermi di mezzo. Ogni volta che ci incontriamo, finisco con qualche costola incrinata!”
Camilla rise a sua volta, “Diciamo che dovevo pareggiare i conti”, scherzò lei, “Cosicché la prossima volta che ti incontrerò per caso, potrò stringerti la mano come una persona normale!”
“Quindi siamo pari?”, s’informò lui.
“Pari!”, confermò lei con un sorriso.
“Cosa ci fai nel reparto uomo di Armani?”, le chiese.
“Cerco qualcosa che mi stia bene”, gli confidò lei, “E che sia più comodo delle collezioni da donna!”
Lui rise. Profondamente. Come riusciva solo a lui.
“Sei uno strano tipo”, commentò.
Camilla si strinse nelle spalle, “Lo ammetto. E tu invece? Cosa ci fai qui?”
“Accompagno un amico”, rispose lui rimanendo sul vago. E Camilla non indagò ulteriormente, “Non mi hai chiamato”, osservò poi.
“Dovevo farlo?”, chiese lei.
“Pensavo che lo avresti fatto”, il suo sguardo era allegro, “Pensavo che il mio fascino ti avesse conquistata!”
Camilla non si trattenne dal ridere, “Ma sentilo! Mr. Vanesio da Londra!” lo prese in giro.
“E’ strano! Di solito sono timido e impacciato…”
“Ma il fatto che ti sei innamorato di me, rende tutto più semplice”, lo interruppe lei scherzando.
“Hai ragione. Dopo averti tirato contro un caffè, penso che potremmo anche cominciare a parlare di matrimonio”.
“Sono d’accordo”.
“Bene, io sono un tipo piuttosto semplice”, la informò lui.
“Anche io”.
“E odio le cerimonie in grande stile. Quindi penso che una cinquantina di persone siano più che sufficienti”, scherzò.
“Hai ragione. Io però non voglio una cerimonia religiosa. Preferisco quella civile”.
“Si può fare”, concordò lui.
“Ottimo”, assentì lei, “E poi, per quel che riguarda la casa dove andremo ad abitare, preferirei una villetta in campagna, circondata dal verde”.
“Ci sto”, continuò lui, “Però voglio almeno due cani. Li adoro!”
“Te ne faccio tenere tre, se mi compri un gatto”.
“Andata!”, rise lui.
“Bene, quindi siamo d’accordo?”
“D’accordissmo”, disse lui, stringendole la mano come a suggellare un patto, “Facciamo il 16 di Giugno? Pensi che possa andare?”
Lei finse di pensarci, quindi annuì con un risolino, “Non ho impegni per quel giorno!”
“Degli inviti te ne occupi tu?”
“Naturale!”, disse lei, “E’ il mio lavoro. Tu fammi avere gli indirizzi e al resto ci penso io!”
“Perfetto. Solo una cosa a tal proposito: non voglio le partecipazioni ocra!”
“Non c’è problema, le utilizzeremo….”, ci pensò su, “Qual è il tuo colore preferito?”
“Nero”
Lei fece una smorfia di disgusto che lo fece ridere.
“Ok, blu”, le concesse.
“Bene, sfondo blu con scritta bianca. Sembrerà il matrimonio di due marinai ma non ci importa!”
Questa volta lui scoppiò a ridere di gusto, “Non ci importa!”, ripeté ridendo.
“E Orlando, non ti azzardare a presentarti con i pantaloni cargo, intesi? Ti voglio in tight!”
“Tight?”, ripeté lui con una smorfia, “Non posso limitarmi ad uno smoking?”
“Vada per lo smoking”, sospirò lei.
“Allora siamo intesi?”, domandò lui.
“Intesi!”
“Anche se…”, si sporse verso l’orecchio di Camilla con aria complice, “Cam, noi non abbiamo mai fatto sesso!”
“Se è per questo non ci siamo neanche mai baciati!”
“E io non ho il tuo numero”, considerò lui.
“Né io il tuo”.
Orlando si rizzò in piedi, con un luccichio divertito negli occhi, “Sarà un matrimonio perfetto!”, disse battendo le mani.
“Ne sono convinta!”
Una voce maschile chiamò Orlando dal camerino. Lui rispose sbrigativamente, quindi si rivolse di nuovo a Camilla, “Devo andare, ora”, mormorò, “Ci rivediamo?”
Camilla assunse un aria misteriosa, “Chissà…”, scherzò, “Di sicuro ci vediamo il 16 Giugno alle ore dieci in municipio!”
Lui annuì divertito, “Allora se non ci vediamo prima, ti aspetto per il 16!”, sorrise lui.
Lei lo salutò con un cenno della mano, quindi scese velocemente le scale.
Quel ragazzo era un portento.

 

 Dopo un paio di appuntamenti di scarsa importanza, Camilla convocò il team che Robert le aveva assegnato, nella sala di ghiaccio.
Erano in cinque, probabilmente pochi per una serata commemorativa, ma avrebbero dovuto adattarsi.
Camilla aprì una cartella piena di fogli e cominciò a dargli un’occhiata.
“Allora gente, dobbiamo lavorare bene e velocemente”, attaccò, “Mark e Gwen si occuperanno degli inviti, Jennifer dei contatti con gli sponsor e Rowena darà una mano a me”.
“Qualche idea per le partecipazioni?”, domandò Gwen aprendo il suo blocco.
Camilla li guardò uno per uno, “Conoscete Johnny Cash?”, domandò.
Gli altri risposero affermativamente, più o meno convinti.
“E se doveste dirmi una parola per rappresentarlo?”, chiese poi.
Brainstorming. Era il modo migliore per farsi venire delle idee.
“Nero”, rispose Mark, “In fin dei conti era The Man in Black”.
Camilla annuì, appuntando qualcosa nella sua agenda.
“A me viene in mente Folsom Prison”, disse invece Rowena, “Quello è il suo disco di maggior successo”.
“Allora anche la Sun Record”, propose Gwen.
“E perché non la chitarra?”, intervenne Jennifer, “La metà delle foto che si hanno di lui lo ritraggono con una chitarra”.
Camilla ci pensò un po’ su, “Potremmo fare un invito nero, a forma di chitarra, con le corde chiare in evidenza come a voler ricordare le sbarre di Folsom”, propose poi.
“E’ un’idea grandiosa!”, si complimentò Rowena.
“E lo slogan?”, domandò Mark.
Camilla sospirò, “Ci penserete te e Gwen. E penserete anche ad altri prototipi per le partecipazioni”, ordinò, “Avete ricevuto la lista dei nomi da Robert?”
Gwen annuì, “Sono più di duecento persone. Credo che dobbiamo cominciare a spedire gli inviti già dalla prossima settimana se vogliamo coprirli tutti”.
“Gli ospiti di punta?”, chiese Jennifer.
Camilla sbirciò nell’agenda, “Sono una ventina ad essere sinceri”.
“Ti mancano gli ultimi due”, la informò Gwen passandole un foglio.
Camilla sulle prime non lo lesse, lo abbandonò sopra agli altri.
“Jen, per quello che riguarda gli sponsor, dovresti contattare lo studio di registrazione che si occupava di Cash, poi penso che la Kodak e un paio di emittenti  televisive possono bastare!”
“E! Enterteinment, può andare? Magari ci montano sopra un bel servizio”.
Camilla si strinse nelle spalle, “Vedi tu, voglio che comunque non sia un pastrocchio come quando sono venuti alla presentazione di Dolce & Gabbana!”
“Me ne occupo io, tranquilla!”
Camilla annuì, “Bene, allora! Ci aggiorniamo per domani mattina. Mark e Gwen entro domani pomeriggio voglio almeno tre prototipi degli inviti, Jen contatta gli sponsor e cerca di scoprire se c’è qualcun altro interessato alla serata. Rowena tu, invece, dovresti farmi la cortesia di contattare queste persone e fissarci un appuntamento per il prima possibile”, guardò i nomi. Erano per lo più dirigenti e agenti, tranne uno, John Carter Cash, “Te ne occuperai tu, fatta eccezione per Junior”.
Si alzarono, pronti a tornare al loro lavoro.
Camilla rimase seduta a riordinare i documenti e Gwen le si sedette accanto, “Ho un messaggio per te”, sussurrò.
Camilla si voltò, “Da parte di chi?”
Lei scosse il capo, “Me lo ha dato Hannah della reception”, la informò passandole il biglietto, “Ma non sappiamo di chi sia”.
Camilla lo aprì e nel leggerlo, cominciò a ridacchiare divertita.
“Chi ti scrive?”, curiosò Gwen.
“Un ragazzo”, la guardò, “Il ragazzo del caffè”, le spiegò.
“E cosa vuole?”
“Offrirmi un altro caffè”, si alzò, “Vado”.
“Adesso?”
“Voglio prima passare per casa”, spiegò camminando verso il suo ufficio, “Se Robert mi cerca digli che sono andata dalla Carlyle, non farà domande”.
Gwen la guardò entrare nell’ufficio, quindi si precipitò nel suo per chiamare Sandra.

 

Si guardò allo specchio all’incirca un milione di volte, finché decise di chiudere l’anta dell’armadio e andarsene dalla camera.
Guardarsi, le faceva vedere difetti che in quel momento preferiva ignorare.
Prese le chiavi dell’auto e uscì in strada.
Prima di partire lesse nuovamente il biglietto: “Cara Camille, pensavo che magari, prima di sposarci, potevamo provare a mangiare qualcosa insieme. Ti aspetto da Romolo’s (trovi la cartina all’interno della busta), per le 20.00. E se per le 20.30 non sarai arrivata, ti avverto che lo prenderò come un rifiuto e che quindi il nostro matrimonio sarà annullato.
Ci vediamo stasera. Orlando.   P.S. Spero che mentre leggevi il biglietto, nella tua mente si sia attivata la correzione automatica!!”
Rise ancora, quindi ripose nel cruscotto il biglietto e partì alla volta di Romolo’s.
Era un po’ fuori città, a dire il vero, ma la cosa non la preoccupava. Avrebbe avuto tempo per pensare.
Sembrava assurdo, ma sperava che la serata andasse bene e non perché ci aveva investito chissà cosa, ma perché Orlando era un ragazzo simpatico.
Voleva fare le cose per bene, con lui.
Certo, non intendeva aprire una relazione, ma comunque poteva nascere una buona amicizia.
Sapeva che molte donne, al suo posto, non ci avrebbero pensato due volte a concedersi completamente, ma lei non era tutte le donne.
Lei era Camilla Ardensi.
E questo, di per se, la diceva lunga su molte cose.
Certo, Orlando non era un suo cliente, non ancora almeno, quindi questo avrebbe semplificato di molto le cose, ma comunque non intendeva rischiare. Conosceva a sufficienza la vita delle celebrità, per sapere che non sarebbe stata portata. Per niente.
Lei odiava le prime, odiava i servizi fotografici, i paparazzi e la stampa scandalistica.
In breve, odiava la metà delle cose di cui le celebrità vivevano. E per quanto Orlando sembrasse un tipo un po’ fuori dai canoni, non se la sentiva di andare da lui con l’aspettativa che succedesse qualcosa di più.
Svoltò a sinistra e dopo un centinaio di metri, l’insegna di Romolo’s le invase la visuale.
Era arrivata.
Si sbirciò velocemente nello specchietto retrovisore, quindi raccattò la borsa e scese.
“Cominciavo a preoccuparmi”.
La voce profonda di Orlando le arrivò da dietro le spalle.
Si voltò e gli sorrise. Non era un grande sforzo.
“Sono ancora in tempo”, osservò lei, guardando l’orologio.
Lui si avvicinò e la baciò su entrambe le guance, “Per cinque minuti”, mormorò lui.
“Come mai questo ristorante?”, domandò lei, indicando con un dito l’ingresso del locale.
“E’ un bel posto”, le spiegò lui incamminandosi verso l’entrata, “E si mangia un’ottima cucina italiana. Il proprietario è di Napoli o forse di Milano, non ricordo bene”.
Camilla rise, “Bhè c’è una buona differenza. Sono ai lati opposti del paese”.
“Non lo so”, disse lui aprendo la porta per lasciarla entrare, “So solo che fanno dell’ottima pasta!”
Lei lo seguì al tavolo, guardandosi intorno.
In effetti, il ristorante, aveva una pesante influenza italiana. Per quanto fosse bizzarro, Camilla si sentì a casa. L’Italia le mancava.
Le mancava molto.
“Orlando!”, un uomo piuttosto corpulento, con un camice bianco da cuoco, si avvicinò al loro tavolo. Camilla ci mise un istante a capire che Romolo era di Roma. Né di Napoli, né di Milano. Si collocava perfettamente nel mezzo.
Orlando si alzò e lo abbracciò, dandogli un paio di pacche sulla spalla.
“E chi è questa signorina?”, domandò Romolo.
Orlando la presentò, “Si chiama Camilla, ed è italiana come te”
Romolo le strinse la mano e cominciò a parlare in italiano. Le domandò il nome, cosa faceva a Los Angeles e dove abitava in Italia.
“Roma”, disse lei sorridendo.
Romolo fece un gran sorriso, “Una compaesana!”, esclamò, “Augusto!”, gridò, “Porta una bottiglia di rosso a questi signori. Un bel Rosso di Monetefalco!”
Camilla sorrise compiaciuta, “Erano anni che non ne bevevo un po’!”, considerò.
“Potreste parlare nella mia lingua?”, chiese Orlando sorridendo, “Seguirvi è piuttosto difficile!”
Romolo rise di gusto, quindi si sedette tra di loro, “Hai ragione Orlà, perdonami!”, si rivolse a Camilla, questa volta in inglese, “Allora, tra un po’ uscirà un bell’articolo in cui ci sarà scritto che tu sei la nuova fidanzata di Orlando?”
Camilla rise. La divertiva molto sentire Romolo chiamare Orlando con quell’accento. Sapeva d’Italia.
“Non credo che sarà così”, lo smentì divertita, “Anzi, mi auguro proprio che la stampa ne resti fuori!”
Orlando annuì con partecipazione.
“Però sei la sua fidanzata?” continuò Romolo imperterrito.
Stavolta Orlando parlò per lei, “Non ancora. Abbiamo deciso di sposarci ma si può dire che neanche ci conosciamo”.
Romolo guardò prima l’uno poi l’altra senza capire, “Sposarvi?”
Camilla lo guardò e scoppiò a ridere, “E’ uno scherzo!”, lo rassicurò, “E comunque non sono la fidanzata di Orlando. Siamo solo amici!”
Romolo si strinse nelle spalle, “Vabbè”, disse in italiano, per poi proseguire in inglese, “Comunque ho già in mente il menù per voi. Penette all’arrabbiata e una bella fiamminga di verdure grigliate. Poi tiramisù, e caffè”, guardò verso Camilla, “Caffè espresso. Quello vero. Non la brodaglia che bevono loro! Può andare?”
“Penso che sia perfetto, non trovi?”, interloquì Orlando.
Camilla annuì.
“Allora vado in cucina. Nel frattempo vi faccio servire un paio di antipasti”, guardò Orlando e gli fece l’occhiolino, “Quelli che piacciono tanto a Mr. Le Conquisto Tutte!”, quindi si incamminò goffamente verso la cucina.
Camilla e Joaquin si guardarono.
E scoppiarono a ridere.

 

“Sono pienissima”, considerò Camilla, mentre camminava per il parco del quartiere con Orlando.
Lui sorrise, “E’ inevitabile quando si mangia in posti come questo”.
Camilla annuì. Quel sapore tipicamente italiano, le aveva fatto tornare un grande appetito. Il sugo abbondante, il peperoncino calabrese, le verdure vere…avevano risvegliato una fame che si accorse era rimasta sopita a lungo. E poi la sua lingua parlata a voce alta, il carattere tipicamente romano di Romolo…
“A che pensi?”, chiese Orlando, voltandosi verso di lei.
“A casa”, si voltò a sua volta, “Quella vera, in Italia”.
Lui fece una strana espressione, che somigliava vagamente ad un sorriso, “Ti manca?”
Camilla ridacchiò, “A giorni alterni, e oggi e uno di quelli”.
“Anche a me capita, qualche volta”, le confidò, “Ma non è mancanza di casa, probabilmente sento la mancanza dell’infanzia…di quando si stava tutti insieme…”
Camilla sapeva.
Lavorare in quell’ambiente, a quei ritmi spesso ultraterreni, nonostante la fama e i guadagni, obbligava a lasciare indietro molte cose.
Sebbene Orlando sembrasse un tipo molto attaccato alle sue radici, era evidente che soffriva per non poter davvero godere della semplicità del quotidiano.
Sorrise e decise di cambiare discorso.
 “Vuoi sapere cosa mi manca adesso?”, disse lei in tono leggero, “Una birra”, dichiarò, “Una bella birra fresca che mi aiuti a combattere questo dannato caldo!”
Orlando la guardò, quindi rise.
Una risata delle sue. Profonda, piena. Come se uscisse fuori un po’ di cuore, mentre lo faceva.
“Una birra?”, ripeté guardandola.
Camilla annuì, con un gran sorriso.
Lui la guardò ancora un po’, uno sguardo grato. Grato di non aver posto quella domanda. Quella che prima o poi arriva sempre.
“Ok, all’uscita del parco c’è un pub”, la informò, “Possiamo andare lì”.
Camilla ci pensò su.
Non le andava di tornare in un altro locale e di sommergersi nelle voci che lo riempivano.
Voleva rimanere all’aria aperta.
Con lui.

Da soli.
“Dici che possiamo prenderne due da portar via?”, chiese, “E’ così caldo stasera, e qui si sta divinamente”.
“Perché no?”, disse lui.
L’afferrò per una mano e cominciò a percorrere velocemente gli ultimi metri che li separavano dall’uscita.
Correva quasi.
E Camilla non riusciva a stargli dietro. Rideva, e ogni tanto inciampava sui suoi passi, senza che Orlando rallentasse per farle riprendere il ritmo.
Quando arrivarono all’ingresso del pub, lui si fermò di scatto e Camilla gli finì addosso.
Lui rise, “Ok, è ufficiale. Dopo un po’ che stiamo insieme tu devi sbattermi contro”.
Camilla si mise una mano sui fianchi, fingendosi indispettita, “Si da il caso che tu stavi correndo e si da il caso che la sottoscritta non è allenata. E poi ti sei fermato di botto!”
“Dì la verità Camille”, la canzonò lui, “Non ce la facevi più a starmi lontana!”
Lei lo spinse all’interno del locale, facendolo ridere.
Dopo aver ordinato due birre si voltò finalmente verso di lui, “Il mio nome è Camilla”, precisò fingendosi arrabbiata.
Lui stette al gioco, “Camillà!”, lo pronunciò con un buffissimo accento francese.
Camilla dovette trattenersi dal ridere, “Ca-mi-ll-A!”, sillabò sottolineando la –a finale.
Lui annuì, “Camilla”, si strinse nelle spalle, “Potevi dirlo subito no?”.
Lei acciuffò la sua birra, gli fece la linguaccia e uscì velocemente dal pub. Poco dopo lui la raggiunse. Il passo tranquillo, rilassato.
“Ah sei qui, Camille?”, continuò a sfotterla, “Pensavo te ne fossi andata!”
“Volevi liberarti di me?”, lo punzecchiò lei.
Lui si fece serio, “No”. Lo disse con la voce bassa, roca.
Lei sorrise, in imbarazzo, “Peccato!”, decise di scherzarci su, “Perché io volevo liberarmi di te!”
Lasciò la birra ormai finita a terra e cominciò a correre verso il parco.
Lo vide finire la sua birra in un sorso e seguirla, correndo a sua volta.
Nel giro di una manciata di metri, le fu addosso, “Presa!”, rise forte, “Per liberarti di me dovrai allenarti!”
Lei si voltò. Aveva il volto arrossato per lo sforzo e respirava affannosamente.
I suoi occhi erano stati resi lucidi dalle risate.
Lui la guardò e pensò che fosse bella.
Bella, nel vero senso della parola.
Non ci pensò molto, decise di fare l’unica cosa che aveva voluto fare da quando l’aveva vista scendere dall’auto.
Le prese il volto tra le mani, e la baciò.

 

 

 

 

 

 

Eccoci di nuovo qua!!

Diciamo che la storia sta velocemente entrando nel vivo e questo mi provoca un’infantile moto di gioia! Questa settimana ho lavorato molto e quindi in questo week end avrete mooolti aggiornamenti succulenti (spero!).

Ma comunque tenete a bada i dettagli…sono quelli che contano, credetemi!

Vi ringrazio tantissimo per le recensioni che avete lasciato. Per me è fantastico sapere che c’è qualcuno a cui piacciono le follie che scrivo! Devo anche ammettere che scrivere di Mr. Magnificent non è poi uno sforzo…viene naturale!!E un ringraziamento speciale va anche a coloro che mi hanno aggiunto tra i preferiti e a quelli che invece si limitano a leggere…siete importanti per me!

Per oggi penso che sia tutto, ma probabilmente domani avrete altri due nuovi capitoli….la questione si complica, gente!!

 

Un abbraccio e GRAZIE! DI CUORE!

 

 

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Capitolo 5
*** Breathless ***


CAPITOLO 5

CAPITOLO CINQUE

 

 

BREATHLESS




 

“Sinceramente Cam, non capisco dove sia il problema”.
Sandra si accese una sigaretta e fissò l’amica diritta negli occhi.
“Non doveva andare in quel modo”, si lamentò Camilla, “Siamo stati bene, ci stavamo divertendo…”
“E per queste ragioni è finita in quel modo”, finì Sandra per lei.
Camilla la guardò con una smorfia, quindi sbatté la testa sul tavolino in modalità “foca ferita da bracconiere bastardo”.
Era cosciente di stare facendo una tragedia per nulla, però, pensare a quel bacio adesso, le provocava un pesante magone allo stomaco.
“Cam ascoltami bene”, interloquì Sandra, “Sei uscita con un ragazzo e avete trascorso una serata divertente. Spiegami adesso cosa c’è di strano se a fine serata lui ti ha baciata”.
Camilla inspirò profondamente. Non c’era niente di strano, in effetti. O almeno, non ci sarebbe stato niente di strano se il ragazzo in questione fosse stato un ragazzo qualunque.
Ma Orlando non era uno qualunque.
Lui era uno di quelli di cui ti potevi innamorare.
Così, senza troppe spiegazioni.
E lei non se lo poteva permettere. Non era portata per quel genere di relazioni, questo era evidente, e non voleva ferire Orlando. Voleva che le cose tra loro rimanessero tranquille e chiare, senza complicazioni affettive.
“Cam?”, la chiamò Sandra, “Mi spieghi che ti succede?”
“Niente”, mentì lei, “E’ solo che questo ragazzo…”
“Vuoi dirmi almeno il nome?”
Camilla la fissò lungamente negli occhi. Doveva raccontarle tutto.
“Orlando”, sussurrò, “Orlando Bloom”.
A Sandra andò per traverso la limonata che stava sorseggiando. Tossicchiò un paio di volte, sventolandosi una mano in faccia e tentando –inutilmente- di darsi un contegno.
“Orlando Bloom?”, ripeté strabuzzando gli occhi.
“Parla piano”, l’ammonì Camilla, “Evitiamo che mezza Los Angeles venga a sapere di questa storia ok?”
“Ok, perdonami”, si scusò Sandra, “E’ solo che…Cristo Santo Cam! Orlando Bloom!”, gridò di nuovo.
Camilla ridacchiò. Poi la guardò male, “Se preferisci ti do il numero del giornale scandalistico, così magari la smetti di gridare come un’invasata!”
Sandra sorrise, “Ok, ho capito, la pianto!”, ridacchiò, “Orlando Bloom, Cam!” disse, “Orlando Bloom!!”
“Lo so!”, annuì, “Suona strano anche a me!”
Sandra fece un enfatico cenno d’assenso, “E’ questo che ti mette agitazione? Il fatto che lui sia un tizio conosciuto?”
Camilla sospirò, “Non lo so”, prese una sigaretta e l’accese, “Non lo so San! Lui mi piace, è un bel tipo ma è un tipo a rischio”.
“A rischio?”
“Andiamo troppo d’accordo San. E ci siamo incontrati solo tre misere volte”.
Sandra ridacchiò di gusto, “E cosa c’è di male ad andare d’accordo con un ragazzo?”
“C’è che potrei innamorarmene”.
“E allora?”
“E allora lo sai che non mi va di imbarcarmi in situazioni del genere!”
Sandra la guardò con disapprovazione. Conosceva a memoria le teoria di Camilla a proposito dell’amore, ma sperava che le accadesse qualcosa che le facesse cambiare idea.
E Orlando, poteva essere quello giusto.
Certo, Cam aveva ragione, era un tipo a rischio. Ma non nel senso che intendeva lei.
Era a rischio perché era un attore famoso.
E perché aveva una vita completamente opposta a quella di Camilla. Una vita non troppo dissimile da quella di Joaquin, l’ex della sua amica.
Ma di questo se ne sarebbero occupate a tempo debito. Adesso il vero obbiettivo era sciogliere i nodi di Cam.
“Perché non provi a darti una chance, Cam?”, le domandò, “Invece di cercare sempre di prevenire le situazioni perché non provi a godertele?”
“Io non prevengo le situazioni”, si difese lei.
“E invece si”, obbiettò Sandra, “Tu hai paura di uscire con i ragazzi, non per chissà quale bizzarra convinzione, ma solo perché non potresti avere tutto sotto controllo”.
Camilla abbassò lo sguardo colpevole.
“L’ho sempre saputo Cam”, le sorrise Sandra con gentilezza, “Ma stavolta ti chiedo di non organizzare questo rapporto così come organizzi gli eventi per l’agenzia. Lascia che le cose vadano per la loro strada. Non imporre il tuo ritmo, segui il loro!”
“Parli facile tu”, dissentì Camilla, “Sei sposata ad un uomo che ti ha insegnato con pazienza come si ama. Non tutte hanno la tua fortuna sai?”
Sandra scosse la testa, “Jack mi ha insegnato ad amare perché io gliel’ho lasciato fare. Perché ero pronta per una storia vera. Era pronta per una storia.”
“E come lo hai capito?”
“Perché ho cominciato a pormi le tue stesse domande”.
Camilla chiamò la cameriera e ordinò altri due caffè.
“Non mi sei d’aiuto”, brontolò.
“Lui è un contatto dell’agenzia?”
Camilla scosse la testa, “Da quanto ne so io no o almeno non ancora. Dopo l’evento della Victoria’s Secret so che Robert voleva proporgli un contratto, ma sono passate settimane e non se ne è saputo più nulla”.
“Bhè questa è una cosa positiva, no?”
Camilla fece una smorfia.
“Almeno non è un tuo contatto. Puoi frequentarlo liberamente”, proseguì Sandra, “E prima di raggiungere giudizi affrettati, dagli l’opportunità di farsi conoscere”.
“Lo faccio con tutti”, obbiettò Camilla.
Sandra le puntò addosso un’occhiata scettica, “Non dire bugie”.
Camilla la guardò implorante, “Oh Cristo!”, imprecò, “Cosa devo fare?”
Sandra le sfiorò una mano con affetto, “Non imporre il tuo ritmo, ma segui quello che già senti”, ripeté.
Come se fosse una cosa sensata, pensò Camilla tra se e se.

 

         

Seguire il ritmo.
Teoricamente era una cosa piuttosto semplice a dirsi. Naturale.
Tutti seguono un ritmo immaginario, lei compresa. Per quanto detestasse ammetterlo, danzava con la vita da sempre. Faceva passi avanti e passi indietro.
A volte inciampava e poi continuava a ballare.
Tuttavia non l’aveva mai trovata una cosa eccezionale. Era comune…
Pensava a questo quando Colin proruppe nel suo ufficio con un sorrisino beffardo in volto.
Indossava un cappello di lana marrone e una felpa nera.
Sembrava un tizio qualunque a vederlo in quel modo. Non dava assolutamente l’impressione di essere una star stra pagata dallo showbiz, tutt’altro.
“Ciao fottuta italiana!”, la salutò lui accomodandosi sulla sedia.
“Ciao stronzo irlandese!”, ricambiò Camilla con un sorrisino, “A cosa devo l’onore?”
Colin ridacchiò, “Posso fumare?”, non le diede il tempo di rispondere che già aveva acceso la sua sigaretta, “Sono venuto a salutarti”, continuò, “E a informarti che nonostante la tua assenza la serata dai ragazzi del centro è stata una cazzo di serata fantastica! Ci siamo scolati delle fottutissime birre con quelli più grandi e abbiamo parlato di sesso!”
Camilla si riscosse. La serata…lei era con Orlando e se ne era completamente dimenticata…
“Capito Cam? Di sesso”, sottolineò lui con un sorriso.
“Tipico del proletario Farrell, ci manca solo che la prossima volta gli insegni a costruire sigarette con il giornale!”
Lui scoppiò in una risata, “Non è una cattiva idea! Sai cosa dice il mio agente?”, prese un foglio lo piegò e ci ciccò sopra la cenere. Aveva sempre questo strano modo nervoso di fare. Come se dovesse compiere il maggior numero di azioni nel minor tempo possibile, “Dice che dovrei essere più ordinario”
Camilla alzò un sopracciglio, “Ordinario? Tu?”, rise, “Come no, Colin!”
Lui rise a sua volta, “Visto? Sei la seconda fottuta persona che ha questa reazione. Cazzo!”, sbottò, “Per me questo è essere ordinario. E poi cosa cazzo significa la faccenda di essere morigerati? Che senso ha? Devo chiedere il permesso per farmi una scopata?”
Camilla incamerò aria, “Stiamo facendo una delle nostre sedute qui?”
Qualche volta gli capitava. Magari stavano discutendo su come organizzare la serata e su come evitare che Colin si portasse a letto le ballerine e lui se ne usciva con queste considerazioni.
Camilla alle volte pensava che avesse paura di essere disapprovato. Non da tutti, beninteso, ma dalle persone che stimava. Aveva sempre creduto che nonostante la strafottenza era un uomo fragile.
“’Fanculo Cam!”, disse lui a denti stretti.
“Colin”, sospirò, “Per me vai benissimo così. Sei tu e non ti fai piegare dalle loro leggi! E’ grandioso…”
“Però?”, domandò lui.
“Però alle volte potresti…che so, contenerti!”
“Non sono un fottuto Preppy, Cam!”
Camilla rise, “I Preppy si contengono?”
“I Preppy vivono come se avessero un palo ficcato su per il culo. Ormai dovresti averlo capito”, spense la sigaretta e sputò nervosamente il fumo, “E c’era questo ragazzo l’altra sera, sai? Lui se ne esce dicendo che adora Marilyn! Cazzo, mi sono detto. Ha sedici anni e adora Marilyn…da non credere!”
Camilla sorrise, “Colin tutti adorano Marilyn. Non so perché, però è così!”
“Te lo dico io perché, Cam”, sospirò lui con l’aria di chi la sa lunga, “Perché era una donna incredibile. Tu la guardavi e pensavi che poteva essere la tua scopata più zozza, ma nello stesso tempo aveva questo sguardo fragile, sai? Come se fosse sempre impaurita. C’era da diventare matti con una donna del genere. Poteva spezzarti il cuore”.
Camilla lo guardò con interesse, “Da quand’è che ti metti a psicanalizzare gli attori?”
“Non solo quelli”, disse lui allusivo.
“Stai psicanalizzando anche me?”
“Sei strana. Ti è successo qualcosa di fottutamente bello”, la scrutò, “O devastante!”
“C’è qualche differenza?”
Lui sbuffò, e si accese un’altra Camel light, “Adesso non ti mettere a fare la fottuta italiana poetica, ok?”
“Non faccio la poetica”, obbiettò lei.
“Si la fai”, la contraddisse lui, “Hai questo cazzo di modo strano no? Ogni tanto butti lì delle frasi fottutamente vere e lasci che la gente si domandi cosa volevi dire. Sei una fottuta filosofa!”
“Non ero poetica?”
“E poi puntualizzi”, continuò Colin come se lei non avesse nemmeno parlato, “Stai sempre li a rompere i coglioni alla gente sai? Anche al tuo capo. Lo guardi come se fosse un completo idiota”, rise, “Non che non sia d’accordo con te, però cazzo Cam. Potresti provare ad essere gentile qualche volta!”
Camilla scoppiò a ridere. Farsi fare una predica del genere da Colin era un chiaro segnale di pericolo. Evidentemente aveva valicato il limite di guardia.
“Adesso non fare la faccia di quella che pensa che il fottuto maleducato sono io”, la prevenne lui, “E dimmi cosa cazzo è successo! Dai!”, la pregò, “Siamo amici no?”
Camilla sorrise.
“Sono uscita con un tizio”
Lui annuì, come se fosse una cosa normale, “E allora?”
“E allora niente”, tagliò corto lei.
“Non è stato all’altezza? Era un cafone? Uno di questi tizi americani che pensano di sapere tutto del mondo e invece non sanno un cazzo di niente?”
“No”, mormorò Camilla, “Affatto”.
“E allora qual’è il problema? Ti ci trovi bene no?”
“Si”.
“Cazzo Cam!”, sbuffò lui, “Potresti provare ad articolare una frase, ti pare?”
Camilla si passò una mano tra i capelli, “E’ che…è complicato!”
Lui la scrutò a lungo, quindi dopo aver sputato una nuvola di fumo bluastro le piantò gli occhi addosso, “Hai paura di innamorarti Cam?”, tossicchiò, “Cioè è normale sai? Ti conosco da tre anni e se si esclude quella storia, hai sempre fatto quella che se ne sbatte delle relazioni serie. E’ un bene no? Però forse dopo ti manca quella fottuta intimità, no? Come se non hai uno scopo vero. Come se non hai un cazzo di niente tra le mani”, le sorrise, inclinando la testa di lato, “E poi non c’è da vergognarsi Cam. Che cazzo, l’amore è tosto. Quello vero è come una festa continua che non finisce mai. Hai l’età in cui le donne si costruiscono una cazzo di famiglia e ti senti un po’ su quel fottuto limbo no? Non è mica facile starci”.
Lei spalancò gli occhi. Aveva colto perfettamente il segno.
“Sorpresa?”, ridacchiò lui.
“No”, obbiettò lei con un sorrisino, “E si, hai ragione te. Però questo non è un tizio qualunque. E’ una persona che mi piace”.
“Appunto!”
“Colin”, sospirò, “Io non sono portata per le storie belle. Prima o poi va sempre a finire che spezzo il cuore di qualcuno…”, o che me lo faccio spezzare. Ma questo non lo disse.
“Se non ci provi non lo sai”, obbiettò lui.
“Non fare l’analista con  me adesso! Certo che ci ho provato e ti dico che è sempre andata a finire male!”
Lui spense la sigaretta nella piantina che Camilla teneva sopra la scrivania, “Con gli altri te le facevi queste fottute domande?”
Camilla scosse la testa.
E allora sei fregata!”

 

 
Lui la stava aspettando vicino San Antonio.
Quando s’incamminò verso la spiaggia e lo vide, cominciò a ripetersi mentalmente che era fregata.
Fregata- fregata- fregata- fregata…
E prese a ripetersi mentalmente che non poteva andare avanti con quella situazione.
Chiudi-chiudi-chiudi-chiudi-chiudi…
Ma quando Orlando le si avvicinò con un sorriso che avrebbe sciolto le pareti innevate dell’Hymalaia, comprese in un nanosecondo che non ci sarebbe riuscita. Cercò di darsi un contegno ma quando lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo, la baciò, il contegno si era decisamente preso una vacanza.
Cercò di nascondere le mani che tremavano nelle tasche dei jeans, e lui la notò.
“Stai male?”
“Perché?”
“Tremi”
Lei tossicchiò, “Forse sono un po’ stanca”, ma non ci credeva mentre lo diceva.
“E sei anche una pessima attrice”, la canzonò lui guidandola verso un chiosco all’aperto, “Vieni! Ti faccio assaggiare una cosa buonissima! Così magari torni di un colore umano!”
Camilla lo guardò con una smorfia, “Ma che simpatico umorista! Avanti, dimmi cos’è questa cosa buonissima”
“Un frullato vegetale! Ci sono dentro qualcosa come dieci frutti diversi!”
“Un vitaminico?”
Lui ridacchiò, e lei si sporse per vederlo meglio in faccia.
“Perché ridi?”
Lui la baciò a stampo sulle labbra, “Perché sei divertente. E sincera!”
Chiamò il barista e si fece preparare due frullati.
“Non sono sincera”, disse lei pensierosa, “Prima ti ho mentito!”
“Lo so!”, disse lui togliendosi gli occhiali da sole, “Però non sei così brava come credi!”
Lei si mise le mani sui fianchi, “Ha parlato il grande attore!”, lo canzonò.
“Nella vita non recito”, obbiettò.
“Meglio”, prese il suo bicchiere di carta e lo seguì fino al muretto che delimitava la spiaggia, “Perché non lo faccio nemmeno io!”
Lui le passò un braccio intorno alla vita e si appoggiò alla sua spalla con il mento, “Cosa c’è di così terribile Cam?”
Lei lasciò andare un lungo sospiro, “Non pensi che stiamo correndo?”
“Correndo?”, domandò lui giocherellando con la cannuccia del frullato.
“Si”, lei si voltò e finì per perdersi nei suoi occhi. Le accadeva continuamente. Un momento era li, completamente cosciente della sua vita e della realtà e il momento dopo le sembrava di non riuscire più a definire i contorni.
Veniva risucchiata da quegli occhi. Era…fantastico!
“Si?”
Lei le carezzò le labbra con un dito, “Ho paura che a forza di correre ci schianteremo da qualche parte”. Dannate labbra. Come riuscisse a dire una cosa del genere mentre sfiorava quella bocca perfetta, risultò un mistero anche per lei.
“A me piace correre”, obbiettò lui con un sorrisino, “E se devo schiantarmi…mi schianterò!”
“Orlando io sono una tizia normale!”, disse lei. E le uscì come un lamento.
“E io no?”, scherzò lui.
Camilla sbuffò, “Io non sono una modella, né un’attrice. Alcune mattine mi sveglio e sembro un mostro. Sono scostante. Non sono nemmeno gentile”, incamerò aria, “E poi puntualizzo tutto. E tratto il mio capo come un’idiota. Non sono in grado di costruire relazioni solide perché, di fatto, non sono del tutto sicura che l’amore esista”, si guardò intorno, “E poi odio questa città. E’ come una voragine pronta a fagocitarti e non sono nemmeno sicura che resterò qui per sempre. Magari un giorno me ne andrò e…”
Lui le spostò una ciocca di capelli dal viso, “Mi stai dicendo che non vale la pena provarci con te?”
“Forse no”
“Posso deciderlo io?”, le sorrise, “Non sono così diverso da te, Cam. Guardami”, spalancò le braccia, “Cosa c’è di strano in me? Sono un tizio normale che ha incontrato una tizia normale e che, com’è normale che sia, ha semplicemente voglia di conoscerla. Ok, ammetto che forse sei più strana del previsto ma…mi piaci”, rise, “Ok, l’ho detto. Mi piaci. E voglio trascorrere del tempo con te, se me lo concederai. Non ti sto chiedendo nulla, solo un po’ di tempo”, la guardò con un’espressione divertita, “Puoi puntualizzare ciò che vuoi, essere scortese, vestirti come un mostro e fare discorsi tragicomici sull’amore, ma ti chiedo una possibilità…”
Lei sospirò. Cioè, era normale? Lui, Orlando Bloom che chiedeva una possibilità a lei?
No. Non era normale. Per niente.
Lui era un pazzo. Ufficialmente pazzo.
Gli Orlando Bloom di questo mondo, non chiedevano possibilità alle Camille Ardensi. Magari alle Naomi Campbell…
Ma lui la guardava con una strana espressione. L’espressione del ragazzo che c’era dietro la star e dietro la fama. Un’espressione vera.
“Sono un mostro”, borbottò.
Lui la baciò su una tempia, “Sei nervosa perché non ti fidi”. Non era una domanda, bensì un’affermazione.
Rise, “Cazzo Cam! Non siamo nemmeno mai stati a letto insieme e facciamo i discorsi delle coppie ventennali!”
Camilla pensò che lui era perfetto.
Un connubio perfetto tra l’uomo dei sogni e il tizio ordinario e senza troppe pretese che gira normalmente per la strada.
Ed era lì. Per lei.
Gli stava dicendo, tra le righe, di provare a fidarsi.
E in quel momento Camilla lo fece. Lasciò cadere il suo bicchiere di plastica e gli gettò le braccia al collo.
Quando finalmente lo baciò, si sentì come se un uragano la stesse sballottando ai quattro angoli del mondo. Si sentì senza fiato. Risucchiata dalle sue stesse emozioni.
Prima di cadervi definitivamente, ebbe un ultimo pensiero lucido.

Era fregata.

 

 

 

Carissime, rieccomi!!!

Ci siamo, ormai la storia è ufficialmente decollata! C’ho gli occhi a cuoricino anche io!

Mi prendo un piccolissimo spazio per ringraziarvi delle vostre recensioni.

Mi fa piacere che la storia vi piaccia e, soprattutto che la troviate divertente. Non volevo fare il classico polpettone del “lei ama lui- lui non ama lei- lui se ne accorge quand’è troppo tardi – lei fugge- lui la riacciuffa”, condita con frasi che Kate Winslet in Titanic se le sognava!

Volevo una storia frizzante e giovane perché i protagonisti sono frizzanti e giovani, e sapere che questo stile vi piace…bhè…mi riempie il cuore!!

Non so se stasera riuscirò…ma il prossimo capitolo è pronto. C’è da fare qualche correzione e forse, prima di notte, lo posterò!

Nel frattempo mi auguro che questo vi sia piaciuto come gli altri!

 

Un abbraccio grande

Amaranta

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Capitolo 6
*** Have a little faith in me ***


CAPITOLO 6

CAPITOLO SEI

 

 

HAVE A LITTLE FAITH IN ME

 

 

 

La mattinata era insolitamente fresca. Inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante, sorridendo sdegnosamente al sole.
Si sentiva bene. Si sentiva piena.
Aveva trascorso una serata fantastica in compagnia di un ragazzo fantastico e questo, di per se, bastava a spiegare quel sorrisino divertito che aveva stampato in faccia.
Invero, avrebbe avuto voglia di chiamarlo. Aveva più che altro bisogno di sentire la sua voce. Di scoprire che quello che stava vivendo era reale, come quell’aria fresca che le colpiva il volto.
Indecisa sul da farsi, frugò all’interno dell’auto alla ricerca di un maglioncino quando il cellulare squillò.
“Pronto?”, rispose cercando di spostare la borsa da sopra il sedile.
“Buongiorno!”, la salutò Orlando, “Temo che tu abbia dimenticato il maglione nero nella mia macchina”.
Camilla sorrise, erano forse diventati telepatici?
 “Ah, davvero?”, si decise a dire, “Stavo facendo la contorsionista in macchina proprio per cercarlo!”.
Lo sentì ridere e se si sforzava, poteva immaginarlo mentre scuoteva la testa in quel modo che lei trovava assolutamente adorabile.
“Cosa fai oggi?”, le domandò lui.
“Ho un paio di appuntamenti”, spiegò Camilla mentre accendeva il motore, “E poi una riunione con il capo per una prémier”.
“Il nuovo film della Barrymore?”, indovinò lui.
“Esatto! Peccato che non potrò recapitarti l’invito”, scherzò lei, “Non sei nella mia lista!”
Camille”, la sbeffeggiò lui, “Non essere insolente!”
Lei rise, “Tu invece?”, domandò poi, “Che programmi hai?”.
Orlando le spiegò che avrebbe passato la giornata con la sorella, venuta a Los Angeles per una breve vacanza.
“Ma comunque la sera sarò a casa”, disse, “Se ti va potremmo vederci”.
Camilla sorrise.
Se le andava??
Ovvio che le andava. Non aveva fatto altro che pensare a lui quella notte. E le sembrava ingiusto trascorrere tutta la giornata senza vederlo.

Ingiusto, si.
“Certo che mi va!”, trillò lei felice, “Anche se dovrai spiegarmi la strada!”
“Quelle come te non dovrebbero essere informate di tutti i domicili di quelli che contano?”, la prese in giro lui.
“Esatto!”, stette al gioco lei, “Di quelli che contano, amico!”
“Touchè!”, rise lui, “Me la sono andata a cercare!”
“E’ una tua caratteristica a quanto vedo!”
“E non è tutto”, rintuzzò lui, “Sai cosa faccio una volta che ho trovato quello che cercavo?”.
Camilla uscì dal traffico delle highway, svoltando verso l’agenzia.
“No”, mormorò, “Cosa?”.
Lui rimase in silenzio per un po’, ma Camilla indovinò che stava sorridendo.
La prendo”, disse lui con la voce roca, “E me la tengo”.

 

 

Continuò a fissare quel dannato foglio di carta senza riuscire a smettere.
Quel nome.
Quel maledetto nome.
Camilla aveva pensato che sarebbe stato facile liberarsi di lui ma, a quanto pareva,il destino non era dello stesso avviso.
E perché, poi, proprio adesso? Adesso che stava finalmente abbassando le difese?
E perché non ci aveva pensato subito, accidenti a lei? Lui aveva lavorato a quel dannato film ed era ovvio che sarebbe stato presente. Scontato.
Il telefono squillò e lei lo raccattò senza nessuna voglia di rispondere.
La voce dall’altro capo era energica e squillante. Come colui che la possedeva.
Camilla ridacchiò, “Colin, vieni al punto”, disse poi.
Lui cianciò qualcosa di incomprensibile, quindi si decise a sputare il rospo.
Sulle prime, Camilla non disse nulla, rimase immobile a fissare la libreria del suo ufficio, poi scoppiò a ridere.
“Mi prendi in giro?”, domandò con un tono tra il divertito e il risentito.
La risposta di lui non tardò ad arrivare.
“Col… per favore”, sospirò, “Siamo per caso su Punk’d?”
Camilla rimase in silenzio, ascoltando la voce di lui che spiegava, si scusava, ridacchiava e spiegava ancora. Le sembrò assurdamente bizzarro quello che le stava chiedendo.
“Una specie di lavoro?”, domandò lei stupita.
Si concentrò, cercando di trovare una connessione che, per altro, le risultava evidentemente inesistente.
Fece per ribattere, ma Robert il suo capo, in compagnia di Boreanaz e Kane bussò alla sua porta a vetri.
Camilla si affrettò a concludere la comunicazione, ringraziando un santo qualsiasi per quell’interruzione.
Fece cenno a Robert di accomodarsi e recitò a dovere la sua parte da manager con le contro palle.
“Ok, ascoltami adesso”, sorrise ai due ospiti, “Ho dei clienti e non posso risponderti a  dovere ma appena mi libero ti chiamo”.
Colin disse qualcosa ad alta voce e Camilla, nonostante la posa da donna in carriera scoppiò a ridere di gusto.
“L’unica cosa che mi vien voglia di fare adesso è zittirti con una delle mie famose risposte ma…”, sorrise al capo e ai due ragazzi, “Ne va della mia carriera, quindi dovrai aspettare”.
Salutò e chiuse la conversazione.
“Finalmente!”, sbottò Robert, “Pensavo non finissi più!” si alzò dalla sedia, imitato dai due clienti, “David e Christian”, disse poi, “Come dire Campari e…”, Robert si bloccò.
“Gin?”, azzardò Camilla, stringendo loro le mani.
David scoppiò a ridere, stringendole la mano con vigore.
“Come stai?”, le domandò.
Camilla sorrise. Non si erano mai veramente incontrati, ma avevano parlato spesso al telefono.
“Bene grazie”, rispose lei con educazione, “E tu?”
Lui si accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania, esibendosi in una perfetta parodia di sorriso, “Non mi lamento”, mormorò.
Camilla lo fissò con avida curiosità, ma Robert la distolse dai suoi pensieri passandole una cartella verde satura di fogli.
“Cos’è?”, domandò lei, esaminandone il contenuto.
Christian sbuffò, “Una grana”, la fissò negli occhi, “Una delle tante”.
Lei lo guardò senza capire, quindi si rivolse a Robert, “Pensi di potermi fare un riassunto?”, domandò sulle spine, “Altrimenti, se escludiamo le ore destinate al riposo, in tre giorni potrei riuscire a leggerli”.
Robert le scoccò un’occhiataccia, quindi cercò di far mente locale. Ma David fu più lesto nel rispondere, “E’ semplice”, disse con voce roca, “Avevano scelto me e Christian per un video musicale con la Sony. Abbiamo firmato il contratto, partecipato alle serate di lancio finché poi la Fox non ha deciso che dovevamo annullare tutto”.
“Hai idea di ciò che significa?”, domandò Robert evidentemente in apprensione.
Cam annuì. Sapeva perfettamente cosa significasse una manovra del genere. Non sarebbe stata buona pubblicità né per la Fox né per la Sony ma, soprattutto per David e Cris.
Leggiucchiò qualche foglio, in ordine sparso, quindi si decise a porre la domanda. Quella che le girava in testa da almeno dieci minuti.
“Ok, mi è chiara la situazione ma in questo caso più che una manager penso che dovreste rivolgervi ad un avvocato”, considerò.
Robert la guardò, “Dovremmo, Cam”, precisò.
“Cosa intendi?”, chiese lei evidentemente sconvolta.
Robert estrasse un foglio preciso dalla cartella verde e glielo mise di fronte.
Erano i termini del contratto per il video e per le due serate di lancio.
Sotto una di queste, c’era la sua firma.

 

 
“Cam puoi cercare di calmarti?”, le domandò per l’ennesima volta Gwen, mentre cercava nel database dell’agenzia gli impegni dell’amica il giorno in cui aveva firmato quel maledetto foglio.
“Calmarmi?”, gridò Camilla, “Calmarmi?? Gwen hai una vaga idea di quello che potrebbe succedere se la situazione non si sistema?”
Gwen abbassò lo sguardo sullo schermo del Pc, cercando di non pensare alle conseguenze. Conseguenze che, per altro, sarebbero state decisamente devastanti.
Per un manager, non tener conto dei termini di contratto di un cliente e surclassare l’agenzia di appartenenza, equivaleva a scavarsi una fossa decisamente profonda.
Per non parlare poi delle multe che pendevano su certi tipi di dimenticanze.
“Trovato nulla?”, la incalzò Cam.
Gwen scosse la testa, “Non avevi appuntamento con gli agenti di Boreanaz e Kane. A dir la verità è lo stesso giorno che hai annullato l’appuntamento con l’agente di Jackson per andare dal tuo amichetto famoso”.
Cam si mise le mani in faccia.

Orlando.

Era con Orlando.
Cercò di ripercorrere mentalmente i momenti di quella giornata.
Gwen che le portava il biglietto, lei che inviava una mail all’agente di Colin, la firma per i diritti della serata della Victoria’s Secret e l’annullamento del progetto con la Breil.
“Cristo!”, sbuffò.
“Venuto in mente nulla?”, domandò Gwen speranzosa.
Cam scosse la testa, “No”, mormorò affranta, “Non ricordo di aver firmato nulla per la Sony”.
Gwen cercò di ricordare se tra le carte che aveva consegnato lei ci fosse qualcosa per la Sony. Inutilmente.
Sembrava proprio un mistero.
“Hai firmato solo quello che ti ho portato io quel giorno?”, domandò con lo sguardo interessato.
Cam la fissò negli occhi, annuendo, “Si…io…credo di si”, sbuffò, “Cristo Gwen…l’unica cosa che mi ricordo è Orlando!”.
Gwen si alzò dalla scrivania e si sedette accanto a lei, guardandola teneramente.
“Cam, tesoro…cerca di ricordare”.
Camilla sospirò, appoggiandosi alle spalle dell’amica, “Firma per i diritti della Victoria’s Secret, recessione impegno della Breil…”.
“Impegno della Breil?”, domandò Gwen.
Cam annuì, “Si, ho lasciato tutto nelle mani di Rebecca”.
Gwen si alzò di scatto, fiondandosi davanti al Pc e prendendo a cercare con accuratezza.
“Gweney cosa fai?”, domandò Cam. Ma il suo tono era quantomeno simile ad un lamento.
“Io non ti ho portato la recessione della Breil”, mormorò.
“Me l’ha portata Rebecca”, precisò Cam, “Mi ha chiamato nel suo ufficio mentre stavo uscendo!”.
Gwen imprecò sottovoce, poi la fisso negli occhi esibendosi in un sorriso radioso.
“Tana libera tutti”, disse poi.

 

 

Orlando le passò un bicchiere d’acqua, scrutandola con attenzione.
Camilla sedeva sul divano, la schiena dritta, tesa, lo sguardo fisso davanti a se, negli occhi l’ombra di mille pensieri.
Sulle prime pensò di fare una battuta per sdrammatizzare, ma conosceva quella sensazione terribile di veder scivolare la vita tra le mani, così optò per il silenzio.
Si mise seduto di fronte a lei, sorridendole.
“Pensi che sia una pazza?”, gli chiese lei a bruciapelo.
Orlando la guardò stupito, “Pazza?”, ripeté.
Camilla ridacchiò nervosamente, portandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie, “Si, insomma…”, incamerò aria, “Questa storia di Rebecca…”.
Lui allungò una mano, stringendo la sua, “Non penso che tu sia pazza”, la rassicurò, “Ma penso che questa sia una grave accusa e che tu debba giocare bene le tue carte. Sei intrappolata in una rete Cam, se ti muovi male potrebbe stringere troppo”.
Camilla annuì con consapevolezza.
Dimostrare che Rebecca le aveva giocato un tiro del genere sarebbe stato tutt’altro che facile, soprattutto perché non c’erano prove significative che lasciassero avvalorare la sua ipotesi.
“Umpf…”, sbuffò.
Orlando finalmente si decise a raggiungerla, le sedette vicino e la trasse a se, baciandola tra i capelli. Camilla permise alla tensione di abbandonarla un poco, lasciando andare un lungo sospiro.
“E pensare che mi sentivo così bene…”, mormorò lei.
La voce di Orlando le arrivò ovattata, “Non è cambiato nulla Cam. Sono ancora qui, e sono dalla tua parte”.
Camilla sorrise, “In fin dei conti non sei un mio cliente”, osservò, “Così ho un problema in meno!”
Orlando la guardò con rinnovato interesse, “Non sei mai uscita con nessuno dei tuo clienti?”, domandò.
Camilla scosse la testa, “L’agenzia ha una politica ferrea per questo genere di cose”, spiegò, “Noi dobbiamo togliere i pettegolezzi, non alimentarli. E sinceramente il capo non ammette di buon grado certe leggerezze”.
Non c’era bisogno di aggiungere altro, no? Quella era una storia passata e poi non aveva nulla a che vedere con questo. Era finita per altri motivi. No?
“E a cosa andresti in contro?”
Camilla si accomodò contro il suo petto, giocherellando con una delle sue mani, “Il cliente viene assegnato ad un altro manager, pubblica lavata di testa, ridimensionamento della tua agenda di lavoro e, se la cosa è seria, ti becchi anche una lunga aspettativa”.
Orlando sospirò, “Sembra un lager”.
“Lo è”, confermò lei, “Ma è anche giusto che sia così. Non è saggio mischiare la vita privata con il lavoro. Soprattutto con un lavoro come il nostro. L’accusa che viene fatta più spesso è di favorire il compagno rispetto agli altri clienti…”.
Orlando si sporse a baciarla.
Gli piaceva baciarla.
Camilla aveva labbra morbide e carnose, un sapore dolce, un modo quasi timoroso di avvicinarsi a lui.
Ma lei si staccò, “Perché me lo chiedi?”
Orlando si strinse nelle spalle, “Così, per curiosità!”, mormorò rubandole un altro bacio, “Per sentirmi al sicuro immagino…”.
Lei si voltò, per permettersi di guardarlo negli occhi, “Sicuro?”.
Lui rise vedendo la buffa espressione di lei, “Hai a che fare con gente affascinante…”, disse. Ma vedendo che lei aspettava un approfondimento, continuò, “Andiamo Cam, passi il tuo tempo con uomini che altre donne possono solo permettersi di sognare!”
Lei lo baciò. Di slancio.
“Si permettono solo di sognare anche te”, lo contraddisse lei, “Eppure sono su un divano, tra le tue braccia a prendermi i tuoi baci”, lo guardò divertita, “E abbiamo anche un progetto di matrimonio!”, esclamò.
Orlando rise.
Una delle sue risate profonde.
Quelle che Camilla adorava ascoltare.
“Si ma…”, cercò di interloquire lui.
“Niente ma”, lo fermò lei, “Non sei un mio cliente”, disse.
Lui la baciò senza rispondere.
Decise che forse non era il caso di rivelarle quanto aveva saputo quella mattina.
Non quella sera.
Lei aveva già troppi problemi per le mani, e una rivelazione del genere l’avrebbe fatta solo agitare.
Decise quindi di farla rilassare.
L’abbracciò e pensò che certi particolari potevano tranquillamente aspettare.
Camilla, dal canto suo, pensò esattamente la stessa cosa.

 

 

 Aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco quello che lo circondava.
Ok, si…divano, televisore al plasma, finestrone e… chinò la testa di lato e la vide.
Abbandonata contro di lui, una mano intrecciata alla sua, l’espressione rilassata, felice.
Orlando sorrise impercettibilmente.
Da quanto non gli capitava una cosa del genere?
Non lo ricordava, esattamente. Ma ricordava perfettamente la sensazione che si provava quando la mattina, appena alzati, la prima cosa che ci si palesa di fronte agli occhi è il viso di una persona a cui si tiene.
Era da tempo che non provava quella sensazione.
Aveva ingiustamente creduto che non l’avrebbe provata più. E invece una ragazza sconosciuta, con un sorriso disarmante e delle idee assolutamente folli e contraddittorie, gli aveva fatto cambiare idea.
Così, senza nessuno sforzo.
Le spostò una ciocca che, dispettosa, le copriva il viso. La baciò sulla fronte e si alzò, alla ricerca del cellulare.
Doveva fare una chiamata.
Dalla luce esterna, intuiva fosse presto ma non poteva aspettare.
Aveva una necessità impellente di condividere con qualcuno quello che gli stava capitando. Cioè, a dire il vero lo faceva spesso.
Forse a causa del suo lavoro, forse a causa della sua vita turbinosa, spesso aveva bisogno di consegnare le sue emozioni a qualcuno a lui caro. Era come consegnarle al mondo, come dire “io provo questo, e se tu puoi ascoltarmi significa che è vero. Significa che è reale”.
Compose il numero a memoria quindi, dopo aver gettato un’occhiata a Camilla, si diresse in cucina.
Nel giro di un paio di squilli, qualcuno rispose.
“O.B.!”, gridò.
Orlando soffocò una risatina, “Ciao Dom, ti disturbo? Dormivi?”
Dall’altro capo, Dominic rise, “See, dormivo! Sono in Inghilterra fratello”, spiegò, “Non te lo ha spiegato la mamma che esiste una cosina chiamata Fuso Orario?”
“Cretino!”, scherzò Orlando, “Ma hai ragione te, sono io il colpevole. Non dovrei preoccuparmi di disturbarti!”
Dominic rise, “Avanti, sputa il rospo, amico! Che ore sono da te, le quattro del mattino? Una chiamata a quest’ora indica solo due cose: sbronza con conseguente attacco di depressione o scopata con conseguente delirio di onnipotenza”.
Orlando scosse la testa, suo malgrado divertito, “Né l’una, né l’altra amico!”
“Ti hanno arrestato?”, la voce allarmata di Dominic fece ridere Orlando di gusto.
“Che cosa ti ridi? Ti hanno arrestato O.B.? Sei nei guai? Hai una maniaca in casa?”
“In effetti c’è qualcuno in casa…”, lasciò cadere di proposito la frase.
Dominic sospirò, Orlando se lo immaginò scuotere la testa, “Lo sapevo!”, gridò, “Scopata con conseguente delirio di onnipotenza. Chi è la starlette fortunata, stavolta?”
“Nessuna starlette e nessuna scopata”, gli piacque quella risposta, “Ma ho conosciuto una ragazza”.
“O.B.”, lo chiamò Dom sospirando, “Lo sai che ti voglio bene come alla mia mano destra ma te ne prego, vieni al punto”.
“Ho una storia”, lo disse così, senza nemmeno esserne sicuro. In effetti non aveva chiesto nulla a Camilla, ma era necessario? Insomma, due ragazzi di trent’anni se lo dovevano dire?
Si accorse poi che dall’altro capo, Dom era rimasto in assoluto silenzio.
“Dom sei morto, per caso?”
“Non per caso!”, obbiettò l’altro alzando il tono di voce, “Sono quasi morto per colpa tua!”, ma il tono era divertito, Orlando lo conosceva, “Una storia O.B? Cioè una storia in cui tu stai con lei, lei sta con te, e tu non ti scopi nessuna?”
Orlando annuì, “Esatto. Una storia normale!”
“Chi è costei? Chi è questa santa donna che ha deciso consapevolmente di stare con uno come te? Chi? Voglio il nome”.
“Si chiama Camilla”, spiegò lui, “E’ una P.r.”.
“Una P.r? Ok, ha un senso. Camilla la P.r, si ci sta, mi piace! Adesso dimmi, da quanto tempo?”
Orlando ci pensò su. Tecnicamente la conosceva da un paio di settimane ma, ufficialmente, si vedevano da poco meno di una settimana. Quindi, stando ai calcoli erano all’incirca cinque giorni. Però, se ci pensava bene, Camilla aveva risvegliato il suo interessa dalla prima volta in cui ci aveva parlato, perciò…
“E’ così difficile? Non ti ricordi da quanto tempo hai una ragazza?”, lo sbeffeggiò Dominic.
Orlando gli spiegò tutta la questione, indeciso su quando considerare l’inizio di quella strana storia.
“Ok, O.B., sei ufficialmente fuori di testa, ma ti voglio bene per questo”, ridacchiò, “E voglio che adesso tu ti sieda, ti metta comodo e mi racconti ogni dannata cosa dall’inizio. Senza tralasciare una descrizione particolareggiata su Camilla la P.r.”
Ad Orlando venne in mente una cosa. Un’idea bizzarra, affrettata.
“Non devi lavorare, vero?”, domandò invece.
“No, lo sai. Iniziamo a girare tra un mese esatto!”
“E hai qualche programma?”
“O.B. cos’hai in mente?”, domandò Dominic, incuriosito.
Orlando si fermò sulla porta del salotto a guardare Camilla. Quando parlò lo fece a voce bassa, “Magari puoi venirmi a trovare, così te la presento”.
“Che cosa?!?”, gridò Dominic, sconvolto.
“Hai capito”, tagliò corto Orlando, ridacchiando.
“O.B.”, sospirò, “Dammi il tempo di organizzarmi e nel giro di una settimana sarò da te. Non mi perdo L’Orlando innamorato nemmeno se mi offrissero un harem e dieci milioni di dollari!”.
Orlando rise, spostandosi nuovamente in cucina.
L’Orlando innamorato.
Bhè, non ci sarebbe stato nulla di male, in fondo, no?

 

 

 

 

Mi cospargo il capo di cenere e chiedo venia per il ritardo. Ma sono sicura che mi farò perdonare. Nel giro della giornata forse riuscirò a darvi ben 3 aggiornamenti!! Ebbene si, mi voglio rovinare…anche perché questo capitolo ci porta direttamente al prossimo e non me la sento di farvi aspettare. Come al solito, in settimana non ci saranno aggiornamenti poiché sarò fuori, ma spero che questi del week end siano stati abbastanza succulenti!!

E voglio dirvi nuovamente grazie per l’entusiasmo che dimostrate e per l’incoraggiamento. Avere voi come lettrici è decisamente stimolante…mi spinge a fare del mio meglio! Quindi tutto quello che leggete è scritto anche per merito vostro!

E Moon…hai l’occhio lungo… ;) Ma non vi spoilero nulla sennò non c’è gusto!! 
E sono felice che ti piaccia il “mio” Colin…ci tengo particolarmente a questo personaggio e sono assolutamente felice che ti sia arrivato proprio come ce lo avevo in mente io!! Grazie

A più tardi, gioie!

 

E grazie ancora!!

Baci

 

Amaranta

 

 

 

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Capitolo 7
*** Somewhere over the rainbow ***


Cap7

Piccolo consiglio: http://www.youtube.com/watch?v=FOGqhcZbNVc&feature=related, andate a questo link e alzate il volume!!

 

 

 

CAPITOLO OTTO

 

 

 

SOMEWHERE OVER THE RAINBOW

 

 

 

 

 

 

 

Era…irreale.
Trascendente.
Miracoloso.
Vagamente impossibile.
Camilla socchiuse gli occhi e pensò che quello che stava capitando non poteva essere reale.
Certe cose capitano nei film. E basta.
Non capitano alle Pr italiane fuggite in America in cerca di lavoro. No, davvero.
Non poteva accadere.
E invece stava accadendo. E stava accadendo a lei.
A Camilla Ardensi, signori e signore.
Incredibile.
“A cosa pensi?” La voce di Orlando la riscosse dai suoi pensieri. Era sdraiato sulla sabbia accanto a lei, con un sorriso rilassato a dipingergli il volto. Quel pomeriggio, mentre era da Sandra, l’aveva chiamata con un tono urgente, pregandola di liberarsi da qualsiasi impegno poiché avrebbe dovuto passare del tempo con lui.
Incuriosita e preoccupata, Camilla lo aveva aspettato con ansia per poi scoprire il vero motivo di quella graditissima improvvisata. James Mangold, il famoso regista, lo aveva scritturato come protagonista del suo nuovo film. Orlando era su di giri, soprattutto perché grazie a quella proposta, si sarebbe potuto fermare a Los Angeles più a lungo del previsto. Camilla, dal canto suo, era impazzita dalla gioia. Mangold aveva consacrato diversi attori e, conoscendolo personalmente, sapeva che Orlando si sarebbe trovato bene con lui. Inoltre, inutile nasconderlo, era contenta di poterlo avere tutto per lei, ancora per un po’. Adesso, dopo un paio di brindisi in centro, avevano deciso di andare a festeggiare lì. Un posto che aveva consigliato lei. L’Angel’s Gate. Chi non l’aveva visto, non poteva capire che meraviglia fosse quel luogo. La porta dell’angelo. Già, già…aveva un senso, si. Ne era conscia. 
Si rizzò a sedere per permettersi di guardarlo in faccia.

“Ma tu…sei vero?”, domandò, tutto d’un fiato.

La sua espressione tra l’incredulo e l’imbarazzato fece ridere Orlando di gusto. Le cinse la vita con un braccio, appoggiando la testa sulle ginocchia di lei.
“Verissimo. In carne ed ossa, Miss”.
Lei si sporse a baciarlo.
Cristo!
Poteva baciare Orlando Bloom solo perché le andava.
Cioè…Orlando Bloom, chiaro? Non uno qualsiasi. Orlando The Magnificent Bloom.

Da impazzire.

“Cos’è quest’espressione strana?”, le domandò lui.
Lei sospirò, “E’ che mi sembra tutto così assurdo”, mormorò, “Io, te…questa spiaggia. E’ incredibilmente perfetto”, lo fissò, come se avesse scoperto una verità sconvolgente, “Sono felice”, disse, “E lo sono grazie a te. Perché mi regali momenti come questo”.
Lui si alzò a sua volta e la baciò. La baciò a lungo in quel modo dolce e al contempo possessivo tipico di lui.
A Camilla sembrava sempre di cadere da una grande altezza. Come se la terra e il cielo e le stelle perdessero improvvisamente consistenza.
Era assuefatta. Assolutamente, completamente assuefatta da lui.
“E non è finita qui”, mormorò lui parlandole sulle labbra.
Camilla aprì un occhio. Uno solo, per guardarlo.
Lui pensò che era incredibilmente buffa.
“Cosa intendi?”, domandò lei.
“Intendo che adesso andiamo a San Antonio a cena e sarai mia preda finchè riuscirai a rimanere sveglia!”
“Con te accanto, dubito potrei mai addormentarmi”, considero lei con una smorfia divertita.
Lui rise e Camilla pensò che da qualche parte fossero cadute mille stelle ad illuminare il mondo.
Orlando si alzò e aiutò lei a fare lo stesso.
“Gambe in spalla, Miss”, la incitò trascinandola verso l’auto, “San Antonio ci aspetta”.
Lei lo seguì ridacchiando, e pensò che con lui sarebbe andata a piedi fino a Giove, passando pure per Marte se necessario.
 “Sono fregata”, sussurrò divertita.
“Prego?”, domandò Orlando voltandosi.
Lei si strinse nelle spalle sorridendo, “Sono fregata”.
Lui la guardò senza capire.
“Si, esatto sono fregata ed è colpa tua quindi goditi la scena della Camilla su di giri!”
Lui la baciò senza smettere di sorriderle, “E come ci si sente ad essere fregati?”
Lei si staccò dal suo abbraccio e lo fissò in quegli occhi dello stesso colore del caffè caldo.
Ci si sente benissimo”, mormorò.
Benissimo, si.

 

 

Mentre camminavano sul bagnasciuga della spiaggia, Camilla lo guardò di sottecchi per riempirsi gli occhi della sua immagine.
Aveva uno strano presagio, adesso.
Probabilmente a causa di tutta quell’euforia. A causa di quel turbinio di emozioni che non riusciva a comprendere razionalmente, a tenere troppo a lungo nelle mani.
Appena le sembrava di averne acciuffata una, ecco che un’altra la invadeva tempestosamente facendola quasi vacillare.
Lui le aveva regalato una serata magnifica. Una di quelle che non si scordano.
Sembrava davvero appena uscito dalle pagine di un romanzo, o dalla bobina di un film.
Sembrava irreale.
Avevano mangiato da Clark, un locale sulla spiaggia piccolo e intimo.
Avevano giocato col cibo, assaggiando tutte le pietanze con i nomi più strani e si erano abbuffati di dolci. Camilla notò con dolcezza che Orlando di fronte ad un bel vassoio di dolci si trasformava in un bambino eccitato. Non riusciva a stare troppo a lungo senza infilarci dentro le dita per assaggiarne un po’! L’aveva preso in giro a lungo per questo.
Ed ora se ne stavano in silenzio ad ascoltare il canto del mare sotto i loro piedi.
Orlando l’abbracciò, traendola a se e baciandola.
Come sempre, la risposta di Camilla non tardò ad arrivare.
“Sai a che pensavo?”, disse lui interrompendo quel magico silenzio.
“No, a cosa?”
Lui la sbirciò con aria divertita, “Prometti di non prendermi in giro?”
“Parola di scout!”, disse lei incrociando le dita.
Lui la guardò poco convinto, ma poi decise di fidarsi.
Mise le mani nella tasca interna della giacca che indossava estraendo il cellulare.
“Attenzione attenzione”, declamò solenne, “Sto per fare una cosa incredibilmente romantica, quindi goditi la scena!”
Camilla ridacchiò, mentre lo guardava armeggiare con quell’aggeggio costoso.
“Allora…”, attaccò lui prendendo fiato, “Diciamo che questa cosa affonda le sue radici in tempi lontani e non sospetti…”
“Eravamo nel 1745 e io non sapevo che il fucile avrebbe sostituito la spada”, lo sbeffeggiò lei ridendo.
Lui la guardò con ammonimento, ma i suoi occhi ridevano, “Sei simpatica!”, considerò ironico, “Io faccio una cosa romantica e tu mi sfotti. Brava!”
Lei saltellò e lo baciò sulla guancia, “Avanti, non fare così, stavo scherzando! E’ solo che sembravi la voce fuori campo di un film in costume!”
Lui sorrise, quindi proseguì, “Fingerò che questa interruzione non ci sia mai stata”, decise poi, “Dunque, dicevo che questa cosa affonda le sue radici in tempi lontani. Diciamo almeno un mese e mezzo fa. Giorno più, giorno meno”.
Un mese e mezzo. Camilla considerò che era passato un mese e mezzo da quando lui era entrato nella sua vita. Eppure le sembrava un’eternità. Le sembrava ci fosse stato da sempre.
“Il giorno esatto in cui una tizia con una maglietta assurda ed un sorriso disarmante entrò nel lussuoso ufficio del mio agente”.
“Non avevo una maglietta assurda!”, obbiettò lei indispettita.
“La storia è soggettiva”, specificò lui, “E’ dal mio punto di vista!”
“Ah!”, sbuffò lei, “Quindi pensavi che la mia maglietta fosse assurda?”
“Diciamo che non mi era mai capitato di parlare con una Pr che indossasse una maglia dei Rolling Stones”.
Lei ridacchiò, “Continua prima che decida di affogarti!”
Lui annuì, “Dunque…quel giorno ero vagamente depresso. Avevo ascoltato per tutte le 18 ore precedenti all’incontro con te una bellissima canzone”.
Incamerò aria, arrestandosi di fronte a lei, “Pensavo che fosse una canzone che non mi appartenesse. Avevo avuto molto dalla vita e mi sembrava inappropriato domandare ancora qualcosa. Eppure sapevo che c’era qualcosa che mi mancava…qualcosa di cui avevo bisogno” la fissò significativamente, “E sei arrivata tu”.
A Camilla veniva da piangere per l’emozione.
“All’inizio non ci avevo badato troppo, lo ammetto”, proseguì lui, “Ma dopo averti lanciato addosso quel caffé mi sono trovato a pensarti spesso. Ti giuro che non avevo fatto nessun programma”, rise, “Non avevo idea che le cose avrebbero preso questa direzione, ma posso dirti che ne sono contento”.
Lei gli sorrise annuendo e Orlando comprese che anche lei la pensava esattamente a quel modo.
Incoraggiato dal suo sguardo, decise di proseguire, “Ti ricordi la prima volta che siamo usciti a cena?”
Camilla annuì. In quel momento le sembrava impensabile riuscire ad articolare una frase sensata.
“E’ stata la sera del nostro primo bacio”, constatò lui, “Magari tu non te ne sei accorta ma in lontananza si sentiva quella canzone. La canzone che avevo ascoltato il giorno che ti ho conosciuta”
Lui la raggiunse, prendendole la mano.
“Ti andrebbe di ballarla con me, Cam?”
Lei lo guardò inebetita, annuendo.
Orlando schiacciò un pulsante e dal cellulare partì la famigerata canzone.
Camilla la conosceva e, incredibilmente, le piaceva molto.
Era la versione degli UB40 di “Somewhere over the rainbow”.
Lasciò che Orlando la stringesse e si dondolarono lentamente al ritmo di quella dolce melodia.

 

Somewhere, over the rainbow, way up high,
And the dreams that you dreamed of,
Once in a lullaby.

Oh, somewhere over the rainbow,
blue birds fly, And the dreams that you dreamed of,
Dreams really do come true.

Someday, I'll wish upon a star,
Wake up where the clouds are far behind me.
Where trouble melts like lemon drops,
High above the chimney top,
That's where you'll find me.

Oh, somewhere, over the rainbow, bluebirds fly,
And the dreams that you dare to.
Oh why, oh why can't I?

Well, I see trees of green and red roses too,
I'll watch them bloom for me and you.
And I think to myself: What a wonderful world!

Well, I see skies of blue and I see clouds of white,
And the brightness of day.
I like the dark and I think to myself:
What a wonderful world!

The colors of the rainbow, so pretty in the sky,
Are also on the faces of people passing by.
I see friends shaking hands, saying, 'How do you do?'
They're really saying, ' I...I love you!'

I hear babies cry, and I watch them grow,
They'll learn much more than we'll know.
And I think to myself: What a wonderful world!

Someday, I'll wish upon a star,
Wake up where the clouds are far behind me.
Where trouble melts like lemon drops,
High above the chimney top,
That's where you'll find me.

Oh, somewhere, over the rainbow, way up high.
And the dreams that you dare to,
Oh why, oh why can't I?

 

 

E allora ci furono le sue mani che si intrecciavano a quelle di lei.
La sua bocca che viaggiava per il suo corpo ed un rumore delicato di vestiti stropicciati che si incastravano creando uno strano groviglio informe di colori.
E allora ci furono le dita di lei che correvano tra i capelli di lui.
I sospiri che aumentavano, le mani che si cercavano con disperata eccitazione, le gambe che si intrecciavano alzando la sabbia.
Ci fu Orlando che le baciava le gambe, alzandole delicatamente la gonna e fissandola da sotto in su per cercare un segno d’assenso che gli arrivò dolce come la melodia che continuava a cantare in lontananza.
Ci furono gli occhi chiusi di Camilla e la sua espressione di meraviglia mista a dolcezza quando lui, finalmente, entrò dentro di lei come una barca che lentamente esplorava mari sconosciuti.
Ci furono baci divoranti e carezze dolcissime.
Parole sussurrate, promesse troppo vere e troppo grandi per essere contenute sotto quel cielo nero. Un cielo che sembrava decisamente piccolo in rapporto a quelle emozioni che si scambiavano.
Ci furono le mani di Camilla che si aggrappavano alle spalle di Orlando per permettergli di entrare ancora più in lei. Per permettergli di entrare completamente.
E lui entrò col corpo e con l’anima.
Piano, come a cullarla.
Come a proteggerla da tutto quello.
Da quello che lui stesso stentava a riconoscere, rimanendone assurdamente spaventato.
E ci furono i sospiri di Camilla che si intrecciavano a quelli di lui, intercalando quel ritmo così dolce e al contempo esigente.
E quella lenta melodia che continuava a suonare in lontananza, facendo da colonna sonora ad quel momento così fiabesco che sembrava iscritto nella cornice della fantasia, tanto era perfetto.
E ci fu il sorriso di lei che si allargava lentamente, implorandolo di non andarsene.
E ci furono le labbra di lui che la divoravano, come a confermare quella muta richiesta.
E poi ci furono le guance arrossate di Camilla e i suoi occhi pieni di stelle.
Ci furono le carezze di Orlando che l’avvolgevano.
Ci fu la sua testa che si appoggiava delicatamente sul suo seno, lasciandosi cullare dal ritmo impazzito di quel cuore che, a detta di lei, sembrava incapace di battere.
E ci fu la prima verità rivelata in quei battiti furiosi.
Ci fu la prima consapevolezza vera.
La constatazione che quello che avevano appena fatto era Amore.

Amore vero.

Amore che arriva e si prende tutto senza domandare il permesso. Amore che riempie, ferisce, e inebetisce. Amore che non si aspettava ma che giunge prepotente. Amore violento, amore esigente.
Amore nascosto, negato, bistrattato. Amore che va protetto e cullato come un bambino. Amore che ormai c’è e non puoi far finta di non vederlo perché è tutto davanti ai tuoi occhi.
E poi ci fu Orlando che si sdraiò di fianco, appoggiando la testa su un gomito per permettersi di guardarla in viso.
E ci fu Camilla che lo imitò, intrecciando le gambe a quelle di lui.
Ci furono un paio d’occhi che guardavano quel cellulare che continuava, testardo, a suonare quella canzone.

La loro canzone.
Due canzoni in una.
Due corpi in uno.
E ci fu Camilla che scattò in piedi, correndo verso il mare, saltellando nell’acqua e spruzzando divertita dappertutto.
Ci fu Orlando che la osservava ridendo, incerto se godersi lo spettacolo o correre verso di lei.
Ci fu la voce di Camilla che cantava dispettosa verso la luna, immobile lassù, che sembrava guardarla con invidia.

E ci fu Orlando che l’ascoltò felice.

E lei continuava a cantare “I see trees are green, red roses too I see them bloom, for me and you and I think to myself, what a wonderfull world”.
E allora ci fu Orlando che la raggiunse, abbracciandola e assecondando quei suoi assurdi passi di danza.
E ci fu una frase canticchiata insieme.
E uno sguardo che rispondeva a quella domanda. Una domanda troppo grande eppure naturale, ora.
Perché non possiamo?”, cantava la canzone.
Orlando la guardò negli occhi, sorridendole teneramente.
“Possiamo Cam?”, sussurrò.
Lei abbassò lo sguardo, poi torno a guardarlo imbarazzata, stupita, forse.
“Possiamo”, sorrise, “Si, possiamo”.

                                                                                                                                                                                  

 

 

 


Eccolo qua il capitolo della consacrazione!

Vi sembrerà sciocco ma in verità, mentre lo scrivevo mi sono emozionata. Spero che anche a voi abbia fatto il medesimo effetto.

So di avervi promesso 3 aggiornamenti ma…aehm…diciamo che i problemi che prevedeva Moon si sono ingarbugliati più del previsto cosicché mi hanno costretto a modificare un po’ di cose… Perdonatemi!

Non so se in settimana riuscirò ad aggiornare, ma comunque ci aspettano momenti importanti…

 

Grazie di esserci e seguirmi, gente!

Siete una meraviglia!

 

 

Un abbraccio

Amaranta                             

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Capitolo 8
*** SHINY HAPPY PEOPLE ***


cap8

CAPITOLO OTTO

 

 

 

 

“Dovremmo alzarci”, mugolò Camilla appoggiando la testa sul petto di Orlando.
Lui sospirò, “Ancora un po’”, mormorò.
Camilla sorrise.
Se i suoi calcoli non erano sbagliati, dovevano essere almeno le undici del mattino. Erano a letto da almeno cinque ore, senza nessuna voglia di alzarsi e cominciare la giornata.
In realtà Camilla era convinta che la sua giornata potesse tranquillamente trascorrere mentre lei se ne rimaneva beata a letto con Orlando.
Dopo quella fantastica serata sulla spiaggia, lui l’aveva invitata nel suo appartamento per cambiarsi i vestiti e bere insieme qualcosa che li avrebbe scaldati.
Ovviamente avevano fatto tutto tranne quello che si erano programmati di fare. Fatta eccezione per la cioccolata calda che lui aveva preparato mentre lei si asciugava i capelli.
Era stato incredibilmente tenero e divertente.
“A cosa pensi?”, domandò lui.
“Non sono le ragazze che di solito hanno il privilegio di porre tali questioni?”, lo sbeffeggiò lei.
Lui si chinò, baciandole i capelli, “Di solito si”, le concesse, “Ma sono troppo curioso per fare il macho!”
Camilla si voltò a pancia in sotto, appoggiando il mento sulla spalla di lui.
“Pensavo che potremmo rimanercene qui per tutto il giorno”.
Lui sorrise, sistemandole i capelli che, dispettosi, le andavano a coprire gli occhi.
“Mi sembra un’idea meravigliosa”, concordò.
Lei sorrise maliziosa, “Non fare quell’espressione”.
Orlando si finse stupito ma sapeva di cosa stava parlando.
Quella notte lei gli aveva confidato che c’era un’espressione dei suoi occhi che faceva quando aveva in mente di baciarla, alla quale lei non sapeva resistere.

“sembri un gattino abbandonato. E non riesco a resisterti”, gli aveva detto.

“Quale espressione?”, domandò lui, fingendo di non capire a cosa alludesse.
Per tutta risposta Camilla ficcò la testa sotto il cuscino, sbuffando.
“Lo sai”, mormorò con la bocca contro il tessuto soffice della federa, “Non mi sei d’aiuto”.
Lui ridacchiò.
“E in cosa dovrei aiutarti?”
“A scendere dal letto, farmi una doccia e raggiungere il mio staff in agenzia!”
Per tutta risposta lui si esibì in un broncio perfetto.
“Oddio!!”, sospirò lei frustrata.
Orlando le tolse il cuscino dal viso e la baciò.
“Così è ancora peggio”, mormorò lei sulle sue labbra.
“Non mi sembravi della stessa opinione un’ora fa!”
“Simpatico!”
Lui ridacchiò, poi si fece mortalmente serio.
“Vuoi davvero andare via?”, domandò staccandosi. Acciuffò le lenzuola e se le portò fin sopra la testa, “Vai pure, non ti tenterò. Rimarrò nascosto qui sotto finchè non tornerai”
Camilla non riuscì a reprimere una bella risata.
Gli saltò sopra, estorcendogli un altro bacio senza respiro. Un bacio che Orlando non tardò a ricambiare con lo stesso trasporto.
In quindici secondi fu chiaro ad entrambi che lo staff dell’agenzia avrebbe dovuto aspettare ancora.

 

 
“Non era questo che avevo in mente quando ti ho detto di aiutarmi a fare la doccia”, sospirò lei completamente rilassata.
“Peccato”, disse lui, “Perché invece era esattamente quello che avevo in mente io”.
Lei si sistemò meglio contro il suo petto.
Stavano facendo il bagno insieme.
Orlando aveva riempito la vasca di acqua bollente e bagnoschiuma al sandalo e poi l’aveva costretta a seguirlo in bagno.
Oddio…costretta… in realtà gli era bastato domandarglielo con quella dannata espressione che gli riusciva così bene.
“Comincio a pensare che tu ti stia servendo delle mie confessioni per farmi gozzovigliare”, osservò lei intrecciando le dita a quelle di lui.
“Pensi bene”
“Non è una relazione sana questa”, obbiettò lei, “Se mi licenziano ti riterrò responsabile”.
Orlando rise, “Non ti licenzieranno…”, gli verso dello shampoo tra i capelli e prese a massaggiarla, “Sono sicuro che capirebbero, vista la situazione. Non potevo mica mandarti a lavoro tutta sporca di sabbia e sale”.
Lei sorrise, “Come sei solerte!”
“Lo prenderò come un complimento!”
“Posso domandarti una cosa?”, chiese lei, giocherellando con la schiuma.
“Spara!”
“Avevi previsto che sarebbe finita così?”
Inaspettatamente Orlando scoppiò a ridere.
“Prevedere qualcosa con te è praticamente impossibile”, le rispose divertito, “Sei incredibilmente brava a mandare all’aria ogni mio programma!”
Camilla rise, “Ah si?”
Lui annuì solennemente, “Per esempio, avevo pensato di prepararti un’ottima colazione e di portartela a letto, ma tu non me ne hai dato la possibilità…”
“Io?!”
“Esatto. Mi stai vicino, mi baci, mi guardi con quegli occhioni e io non ci capisco più niente!”
“Ma smettila!”, lo prese in giro lei schizzandolo.
“Ti giuro che è così!”
“Tanto non ti credo!”, continuò lei, testarda.
“Fidati!”
“Figurati se credo che ad uno come te bastano i miei occhioni…”
Lui la fece voltare, fino ad averla di fronte.
“Non bastano…”, prese a baciarla, “Poi mi serve anche il resto!”
Camilla rise, “Maiale!”
“No! Che hai capito?? Mi serve anche che mi coccoli”, insinuò una mano tra le sue gambe, strappandole un gemito.
“E questo tu lo chiami coccolare?”, gemette lei.
Lui la baciò con dolcezza, “Anche…”
“Perché come altro lo chiami?”
“Curiosona…”
Camilla gli mordicchiò un labbro, “Dimmelo…”
“Lo chiamo come lo chiami tu…”
“E io come lo chiamo?”
Sussurravano, senza smettere di baciarsi e accarezzarsi.
Era chiaro ad entrambi che si stavano trattenendo.
“Stamattina lo hai chiamato con un nome molto bello…”
“Ovvero?”
“Hai detto ‘ho voglia di fare l’amore con te fino a svenire’”
Lei sorrise, “Quindi lo chiamo amore?”
“Anche io lo chiamo amore”, la baciò ancora, “Come altro dovrei chiamarlo?”
“Amore va benissimo”, sospirò lei.
E che amore sia…”
“E che amore sia”.
Si baciarono ancora, finchè Orlando non si fermò all’improvviso.
“Se dovessi svenire vuoi che ti lasci qui o preferisci che ti porti a letto?”
Camilla gli schizzò addosso dell’acqua, “Cretino!”
Lui rise e la trasse nuovamente a se.

 

 “Ti confido un segreto”, disse Orlando mentre mangiava del bacon.
Camilla alzò gli occhi dal suo piatto, per guardarlo negli occhi.
“Non mi è mai successa una cosa simile”, continuò lui.
Lei sorrise, poi decise di scherzarci sopra, “Neanche a me, non mi era mai capitato di essere tanto affamata in vita mia!”
Lui fece una smorfia, “Sei molto simpatica oggi!”
“Ho avuto un buon insegnante!”
Si sorrisero mostrandosi i denti e facendo strane smorfie, finchè non scoppiarono a ridere.
“Comunque…”, cominciò lei, tornando seria, “Non era mai successo neanche a me. Di solito queste cose accadono nei film, non alle ragazze normali che hanno una vita normale”.
“Tu non sei normale…”, obbiettò lui, “Sei completamente anormale, è per questo che mi piaci tanto!”
“Fingerò che sia un complimento”, gli concesse lei addentando un pezzo di cioccolato.
Lui rise, “Ti va di fare un giro al Mall del quartiere,dopo?”.
Camilla annuì.
Aveva già telefonato in agenzia per avvertire che non sarebbe andata a lavoro e che avrebbe sbrigato i suoi appuntamenti fuori dall’ufficio. Una menzogna, ovviamente, poiché aveva chiamato anche suddetti appuntamenti rimandandoli per la settimana seguente.
“Cosa compriamo?”
“Uno spazzolino per te, qualcosa da mangiare e un bel film da vedere dopo cena”, elencò lui.
Lei annuì ancora.
Un programma ottimo.
Avrebbe potuto abituarcisi.
Poi, improvvisamente, comprese la prima parte della frase.
“Uno spazzolino per me?!”, domandò incredula.
“Vuoi continuare ad usare il mio?”, domandò lui, con una punta di divertimento.
“No… ma…cioè, io pensavo che…non credi che sia, si…insomma…”
“Cam ascolta bene quello che sto per dirti”, la interruppe lui, “So che ci frequentiamo da poco, so che potrebbe sembrarti tutto affrettato ma voglio godermela così. Voglio correre, voglio fare quello che mi sento di fare e per una sola volta nella vita voglio seguire le emozioni. Pensi di poter fare lo stesso anche tu?”
Camilla rimase immobile per un istante che ad Orlando parve interminabile, poi si sporse sul tavolo, fino ad arrivargli sotto il naso.
“Dovremmo comprare anche un accappatoio…”
Per tutta risposta lui la baciò, senza smettere di sorridere.

 

 
Lei adesso dormiva.
Accoccolata contro la sua spalla, un braccio allungato verso di lui, come a volerlo tenere il più vicino possibile.
Orlando la guardò rapito.
Gli erano bastati cinque giorni per capire che voleva lei e che volerla lo faceva sentire incredibilmente bene.
E si rese conto che è proprio così che funziona.
Quando nelle stelle o chissà dove c’è scritto che due persone sono destinate a stare insieme, succede e basta.
Non servono né mesi, né ore, né minuti.
Accade tutto in un secondo, senza spiegazioni, senza motivi, senza nemmeno stare a badare alle conseguenze.
Era come un incidente.
Qualcosa che fa stridere i freni della vita che, improvvisamente, si arresta per permettere a qualcun altro di fare un pezzo di viaggio insieme.

Succedeva per caso.

Succedeva e basta.

E nel guardarla pensò che era stato incredibilmente fortunato ad incontrare lei e non un’altra.
Perché Camilla era semplice, genuina, entusiasta.
Emozionante.
Divertente, spigliata, intelligente.
Avrebbero trascorso del tempo meraviglioso insieme, ne era sicuro.
Così come era sicuro che stavolta avrebbe fatto le cose a modo suo.
Come dimostrava quella busta ai piedi del divano, piena di cose che avevano comprato quel pomeriggio.
Una tuta per dormire, un accappatoio, uno spazzolino, una spazzola per i capelli, dei fermagli e un paio di pantofole a forma di Titti.
Era presto?
Avrebbero dovuto aspettare?
Orlando baciò la fronte di Camilla.

Che fossero gli altri ad aspettare, loro due stavano benissimo così….

 

 

** Signore e signori…

PERDONOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!

Torno solo oggi con l’aggiornamento perché purtroppo la vita ha deciso di mettersi prepotentemente in mezzo. E, come se non bastasse, ho avuto il Pc rotto per un mese. Grrrr!

Comunque eccoli di nuovo i nostri eroi.

Stanno bene, si divertono e sembra che si stiano innamorando sul serio.

(Amaranta ha gli occhi a cuoricino).

Ma adesso la domanda è…cosa succederà???

 

Prometto che già domani avrete il nuovo aggiornamento. Sto risistemando i capitoli ma è questione di poco.

 

E voglio ringraziare tutte le ragazze che mi hanno scritto per sapere che fine avevo fatto io e che fine avevano fatto Cam & Orlando.

Bene…eccoli qui, tutti per voi!

Spero che continuino ad essere quello che speravate che fossero!

 

Vi abbraccio forte e vi ringrazio!

Amaranta

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Capitolo 9
*** Don't lie ***


9

CAPITOLO OTTO

 

 

DON’T LIE

 

 

Qualcuno bussò alla porta del suo ufficio, distogliendola dai pensieri.

“Si?”, disse con voce roca.
La sera precedente, nonostante l’avesse riempita come una cascata d’acqua in un bicchiere, le aveva lasciato anche un fastidioso raffreddore.
“Si può?”
Riconobbe in un secondo quella voce.

La sua voce.

La voce della persona che le aveva dato tutto, togliendoglielo quando ne aveva più bisogno.
Istintivamente, fece una smorfia di fastidio.
“Dalla tua espressione si direbbe di no…”, disse lui entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
“Come stai Ci?”, le domandò.
Camilla scosse la testa.
Non stava capitando a lei. Non poteva capitarle.
Non era possibile che Joaquin fosse lì, di fronte a lei, con un bel sorriso stampato in faccia e che la chiamasse Ci. Che suonava tipo…Si…dannati americani, e dannato alfabeto americano, e dannata lei che era andata a vivere lì.
“Che ci fai tu qui?”, domandò, senza rispondere alla domanda.
“Riunione…la tua agenzia è l’organizzatrice del Memorial per Johnny”.
“Questo lo so”, puntualizzò lei osservandolo mentre si sedeva, “Il memorial è un mio lavoro”.
Lui sorrise annuendo, “Lo so, e ho chiesto a McNub di poterti parlare prima della riunione”, sospirò, “In realtà avevo voglia di vederti…”.
Inaspettatamente, Camilla scoppiò a ridere, “Dopo quasi un anno e mezzo alla Silvan, avevi voglia di vedermi?”.
Lui rise, “Non sei cambiata affatto…”
“Lo sono eccome, invece”, strinse gli occhi per esibirsi in quello che, si augurò, risultasse uno sguardo tagliente.
Joaquin non rispose, si limitò a guardarla. E Camilla si sentì incredibilmente a disagio.
Era strano averlo lì, di fronte a lei. Parlarci, discuterci.
In quei diciotto mesi di lontananza, si era quasi convinta di aver immaginato tutta la loro storia. Che Joaquin non fosse mai veramente esistito, che tutto quell’amore fosse stato solo il frutto della sua fervida immaginazione. Ma ogni volta che pensava di esserci quasi riuscita, la sofferenza e il dolore che aveva provato e che l’avevano inesorabilmente cambiata, le rammentavano che quella storia era esistita davvero. Che quell’amore c’era stato e che poi, incredibilmente, si era dissolto.
E la presenza di Joaquin nel suo ufficio, servì solo da ulteriore conferma a quello che aveva sempre saputo.
“Stai bene, Ci?”, domandò lui con uno sguardo che sembrava affranto.
Camilla non si lasciò convincere.
“Fino a dieci minuti fa stavo meravigliosamente”, chiosò.
Joaquin inspirò profondamente, “Pensavo potessimo avere rapporti civili, ormai…”.
“Pensavi male”, disse lei incrociando le braccia sul petto, “Tu non puoi sparire per tutto questo tempo e poi tornare e aspettarti di trovarmi serena e pacifica. Mi hai fatto del male Joaq, e certe ferite non si rimarginano. Si limitano a lasciare una cicatrice fastidiosa che ti cambia”.
“E’ esattamente per questo che sono sparito”, si difese lui appassionato, “Ma preferirei poter parlare con te in un posto più tranquillo”.
Camilla ridacchiò, “Ok, tira fuori la telecamera nascosta!”, rise, “Avanti!” alzò la voce, “Produttori di Punk’d non ci sono cascata! Tirate fuori coriandoli e cotillon perché qui avete un genio!”
Joaquin la guardò stupito, “Cosa diavolo vai cianciando?”
Camilla fece il broncio, “Non siamo su Punk’d?”, domandò, “Peggio per te. Vuol dire che sei completamente fuori di testa!”.
Lui scosse la testa, “Io?”, si meravigliò, “Io sarei fuori di testa?”, scosse la testa suo malgrado divertito, “Tu sei qui che parli con una telecamera nascosta immaginaria e io sarei quello fuori di testa?!”
Camilla sospirò indispettita, “Io sono sconvolta!”, si alzò in piedi e prese a camminare per l’ufficio, “Dopo quasi due anni tu vieni qui, come se fosse passato poco più di un giorno e pretendi di spiegarmi il tuo comportamento inspiegabile?”, spalancò gli occhi e le braccia, “Devo dedurne che sei completamente impazzito!”
“Voglio solo poter parlare con te”, si giustificò lui, “Penso di dovertelo”.
Camilla fece per rispondere, ma la fermò lo squillo del cellulare. Si voltò di scatto verso la scrivania, e sbirciò il nome che lampeggiava sul display.
Una morsa le strinse lo stomaco.
“Vuoi parlare con me?”, disse senza smettere di fissare il cellulare, “Ok, parlami. Sono tutta orecchie. Ma poi esci di qui ed evita di inciampare sulla mia strada”.
Il telefono smise di squillare. Camilla in quel silenzio, ci vide un po’ di delusione.
“Anzi”, camminò verso la porta dell’ufficio e la chiuse a chiave, “Parliamone subito”. Andò verso la scrivania e spinse l’interfono, “Giulls, non fare entrare nessuno fino a nuovo ordine”.
La conferma della segretaria le giunse metallica.
Quindi prese il cellulare, compose un sms e, dopo averlo inviato si mise seduta alla scrivania.
“Comincia pure”, disse a Joaquin con un cenno della mano.
Lui strinse i denti, “Io non sono un tuo cliente, Cam. Io voglio parlare con te per tutto il tempo che riterrò necessario e non nel tuo ufficio mentre lavori”.
Lei sospirò, “Cosa avevi in mente?”
“Stasera a cena. Da Alan”, propose, “Ti vengo a prendere alle nove da te”.
Camilla non ci pensò neanche per un istante. Sapeva che per poter vivere serenamente la sua nuova vita, avrebbe dovuto affrontare tutti i demoni del passato.
Lo doveva ad Orlando, ma prima di tutto lo doveva a se stessa.
“Va bene”, mormorò.
E mentre pronunciava quelle parole, si rese conto di essersi infilata in una trappola.

 

 

 

Camminava tranquillo per la promenade losangelina.
Un luogo insolito, pieno di artisti e bancarelle e gente che spingeva, che rideva e bambini che gridavano e mamme che si mettevano le mani tra i capelli.
Un non luogo, probabilmente.
Un fazzoletto di terra dove chiunque poteva dire o fare quello che gli passava per la testa.
Pensò che avrebbe dovuto tornarci con Cam. Tutto quel vociare, quei colori, l’odore dello zucchero filato l’avrebbero. Cam era una di quelle donne che aveva ancora la capacità di stupirsi delle cose più semplici. E, incredibilmente, stava contagiando anche lui.
Mentre camminava, da una bancarella, qualcosa richiamò la sua attenzione.

Un acchiappasogni indiano.

Pensò che a Cam sarebbe sicuramente piaciuto. Poi ridacchiò.
Dom lo avrebbe preso in giro fino alla morte, se avesse saputo di quello che stava per fare.
Si avvicinò alla bancarella e ne scelse uno.
La ragazza, una tipa new age con dei biondi capelli che le arrivavano fino alle spalle, gli sorrise incoraggiante.
“E’ per te?”, gli domandò.
Lui scosse la testa, “No, è un regalo”, sorrise.
Lei annuì, “Un ottimo regalo”, osservò, “Conosci il significato?”.
“Mmmm…Acchiappa… i… sogni??”, domandò. E lo sguardo divertito di lei lo fece sentire infinitamente stupido.
“Non proprio…”, gli spiegò la ragazza, “Acchiappa i sogni cattivi e li blocca, facendo entrare solo quelli che riempiono il cuore di gioia”.
New age…Orlando sorrise.
“Allora sarà un regalo perfetto”, si decise a dire.
“Alla tua ragazza piacerà!”, sorrise lei.
Lui annuì senza pensarci.
A Cam sarebbe piaciuto di sicuro. Ne era più che certo. Poi si riscosse.
“Come fai a sapere che è per la mia ragazza?”
Lei finì di impacchettare, facendo un bel fiocco rosso, “Queste cose si regalano a qualcuno a cui si tiene veramente. Qualcuno per il quale vorremmo eliminare tutti gli incubi e lasciare solo sogni meravigliosi che siano una continuità con il sogno che cerchiamo di regalarle quotidianamente!”
Lui fece una strana smorfia.
Forse quella ragazza bizzarra aveva ragione. Forse.
Ma probabilmente non voleva regalare un sogno solo a Cam, voleva fabbricarne uno anche per se stesso.
Un bel sogno che lo facesse sentire bene, che lo riempisse.
Un bel sogno a cui tornare quando le cose non andavano come avrebbe voluto.
Improvvisamente, senza nessun preavviso, Cam gli mancò.
Poco prima non aveva risposto alla sua telefonata, ma con un sms gli aveva detto che era indaffarata  che lo avrebbe richiamato.
Si augurò che lo facesse presto.

Aveva voglia di continuare a costruire quel sogno.

 

 

“E’ morto”, annunciò Gwen tetra.
Cam, seduta sulla poltrona dell’ufficio, tolse le mani dagli occhi per guardarla.
“Chi?”
L’amica scosse la testa, “L’unico neurone sano che avevi a disposizione”.
L’altra sbuffò, “Gwen non ti ci mettere anche tu, per favore. Lo sai che è una cosa che va fatta”.
Gwen alzò un sopracciglio, “Certo”, annuì sarcastica, “Va fatta. Sono d’accordo. Ma va anche avvisato il bel pirata che al momento esce con te!”
“Certo che lo avviserò!”, rispose lei risentita.
Cosa andava a pensare Gwen? Naturale che avrebbe avvertito Orlando.
“Allora chiamalo ora”, propose, “Di fronte a me. Lo chiami e gli dici che quel beota del tuo ex fidanzato è venuto da te per parlare e che tu hai deciso di andare a cena con lui per sentire cos’ha da dire!”
Camilla fece per rispondere, quando la porta dell’ufficio si spalancò con poca grazia, lasciando entrare un Colin eccitatissimo.
“Sei qui, dannazione a te!”, esclamò.
“Col…?”
“Col?”, ripeté lui, “Ti cerco da venti stramaledetti minuti e tu dici…Col?”
Gwen scoppiò a ridere, attirando la sua attenzione, “Ciao Gwen, come stai? Tutto ok?”, guardò prima l’una poi l’altra, “A guardare le vostre dannate facce si direbbe di no”, si accese una sigaretta, “Comunque, prima che cominciate a rompere le palle con i vostri problemi vi devo comunicare una cosa meravigliosa!”
“Illuminaci”, lo incitò Cam, “Ne ho bisogno!”
“James Mangold…mi ha preso come co-protagonista per il suo film!”
Camilla trasalì.
“Davvero?” si finse stupita.
Lui non ci cascò neanche per mezzo secondo.
“Cam…cosa cazzo ti prende? Sembri appena uscita dalla centrifuga della lavatrice!”, sputò il fumo, nervoso, “Che succede?”
“E’ morto l’unico neurone funzionante che aveva in testa”, spiegò Gwen.
Lui si lasciò cadere sulla sedia, di fronte alla scrivania, quindi ciccò sopra al porta penne.
“Peccato…”, la sua espressione enigmatica incuriosì Camilla.
“Peccato?”, ripeté.
Lui aspirò una lunga boccata di fumo, “Andiamo Cam. Mezza agenzia è in subbuglio perché Mr. Latino è stato nel tuo ufficio per più di mezz’ora”, scosse la testa, “Ci hai fatto sesso?”
“Colin!”, lo riprese lei.
“Ok, scusa…scusami!”, rise, “Ma se Gwen qui, dice che hai ucciso l’ultimo neurone funzionante significa che hai fatto una dannata stronzata!”
“Ho accettato di parlare con lui”, spiegò Camilla a disagio, “Non vedo cosa ci sia di male!”
“E il tizio con cui ti vedevi?”
“Appunto”, disse Gwen.
Camilla sbuffò, alzandosi in piedi, “Lo faccio proprio per lui. Non mi va di aprire una porta senza chiuderne definitivamente un'altra!”
“Saggia…”, ironizzò Gwen.
“Non dire stronzate Cam”, interloquì Colin, “Ti serve una comunicazione in carta bollata per sapere che quel coglione ha chiuso tutte le porte disponibili che aveva??”
Camilla prese il cellulare, senza rispondere.
Capiva perfettamente il punto di vista di quei due, ma sapeva che aveva bisogno di fare quello che stava per fare.
Lo doveva ad Orlando e lo doveva a se stessa.
“E adesso che diavolo fa?”, domandò Colin a Gwen, indicando con un cenno della testa Camilla che componeva un numero.
La ragazza si strinse nelle spalle.
“Ehi!”, disse Camilla, “No…si tutto bene”, si toccò i capelli, nervosa, “Veramente dovrei vedere una persona stasera!”
“E’ lui?”, domandò Colin.
Gwen annuì.
Il ragazzo, si accese un’altra sigaretta.
Lo avrebbero ucciso, le donne.
Camilla rise, “No Orlando, ascolta facciamo così. Appena ho finito ti chiamo, se sei ancora sveglio ti raggiungo”.
Dall’altro lato qualcuno disse qualcosa e Camilla rise.
“Perfetto, ci sentiamo dopo”.
“Che cazzo di nome è Orlando?”, domandò Colin soffiando il fumo dal naso, appena lei concluse la comunicazione.
“Ehi!”, lo rimproverò lei, “Attento a come parli!”
Lui ridacchiò, “Scusa Cam, ma ci hai mai pensato? Che cazzo avevano in mente i genitori di quel povero cristo? L’unico che può permettersi di portare addosso un nome come quello è Orlando Bloom!”, i suoi occhi si accesero, “Che sarà il protagonista del film di Mangold e…”.
L’espressione di Camilla lo bloccò.
“Cam?”, la chiamò.
Lei alzò un sopracciglio.
“Non starai mica uscendo con Orlando Bloom, vero?”
Camilla si grattò la testa.
E Colin scosse la sua, suo malgrado divertito.
“Cazzo Cam…!”, sospirò, “Non per fare il rompi coglioni della situazione, ma abbi pietà per quel povero ragazzo. Sei mesi fa è stato scaricato da una tipa, cerca di non riservargli lo stesso trattamento!”
“Non lo sto facendo”, puntualizzò lei risentita, “Non ho intenzione di farlo!”
“E allora annulla l’appuntamento con Mister Latino”.
“Non posso”.
Colin scosse nuovamente la testa. Se avesse continuato in quel modo, gli si sarebbe svitata.
“Sentite”, disse Cam, “Io capisco che siete preoccupati, e capisco che per voi è difficile accettare il fatto che senta la necessità di parlare con Joaquin, ma so di doverlo fare. Non c’è niente da temere”.
“Sicura?”, domandò Gwen.
“Sicura!”
“E allora Cam…”, mormorò Colin, “Non mentirgli”.

 

 

Mentre si infilava la giacca, Camilla pensò che i problemi arrivano sempre quando meno ne hai bisogno.

Per l’esattezza, ti buttano a terra proprio quando sei quasi arrivata in cima alla montagna.

Non sapeva se quello che stava per fare era giusto, non sapeva se Orlando avrebbe capito questa sua esigenza, ma era certa che quell’incontro avrebbe fatto bene a lei e a questa storia neonata che stava vivendo.

Il campanello suonò e lei trasalì.

Mentre chiudeva la porta dell’appartamento si immaginò che ad aspettarla di sotto ci fosse un’altra persona.

Un altro uomo.

Lo stesso che le aveva augurato una buona serata dieci minuti prima, e che l’aveva pregata di liquidare presto lo scocciatore ed andare da lui.

Lo stesso, si rese conto, al quale aveva mentito.
Con uno strano moto di rabbia che le muoveva lo stomaco, si accinse a raggiungere Joaquin all’altro lato della strada.

 

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Capitolo 10
*** Ancora tu... ***


cap10

CAPITOLO DIECI

 

 

ANCORA TU…

 

CAPITOLO DIECI

 

 

ANCORA TU…

 

 

“I’m walkin’ on sunshine…yeeah…I’m walkin’ on sunshine…yeeeah…I’m walkin’ on sunshin’…and I fell good…ta ta rara ta!”

Orlando mimò con le braccia l’assolo di chitarra elettrica, quindi si inginocchiò per terra fingendo di salutare la folla.

Qualcuno, dalla porta dell’ascensore che portava direttamente nel suo appartamento scoppiò a ridere di giusto.

“Cristo Santo! Altro che Orlando Innamorato…questo è l’Orlando Pazzo Scatenato!”

Riconobbe la voce di Dominic in meno di mezzo secondo.

“Dom!”, esclamò raggiungendolo.

Si abbracciarono, dandosi potenti pacche sulle spalle.

“O.B. non smetti mai di stupirmi!”, continuò a ridacchiare lui, lasciando cadere a terra una grossa sacca da viaggio verde militare.

“Ti lascio affranto e dolorante e ti ritrovo che imiti il chitarrista dei sex pistol!”, scosse la testa, “Sconvolgente!”

Orlando gli indicò il divano, quindi aprì lo scotch che aveva deciso di riservare alle occasioni speciali.

Dominic si guardò intorno, con aria soddisfatta.

“Bella tana!”, annuì, “Mi piace. Grande, spaziosa…minimal! Ottima, davvero!”

L’amico gli passò un bicchiere, “Sono contento che ti piaccia!”

“Ok, basta convenevoli O.B., sputa il dannato rospo!”

Orlando si mise seduto ridacchiando.

“Ho una storia”, annunciò.

“E questo si era capito”, osservò l’altro, “Altrimenti adesso non sarei qui dopo nove ore di viaggio con annessa turbolenza e hostess orripilante!”

Dominic sorseggiò il suo scotch, “Ma voglio i dettagli”.

Orlando sospirò.

Era immensamente grato a Dom di essere arrivato a Los Angeles proprio quella sera.

Si sentiva all’apice delle emozioni, si sentiva forte delle su convinzioni e non vedeva l’ora di raccontarle a qualcuno.

Anzi, non vedeva l’ora di raccontarle al suo amico.

“Ehilà…Romeo!”, lo sbeffeggiò Dom, “Ci sei??”

Orlando alzò allegramente il dito medio.

“Gentile…”, ironizzò Dom, “Pensavo che l’amore ti facesse bene!”

“Dom…cosa vuoi sapere esattamente?”

Solo dopo quella scarica di domande, Orlando si pentì della sua richiesta.

“Allora…partiamo da principio. Lei la conosci perché fa la Pr. Ti cerca per un lavoro, tu vai e lì si accendono a intermittenza delle strane lucine nel tuo cervello annacquato che sembrano quelle che Madame Sonia utilizzava per decorare l’albero di Natale. La incontri di nuovo e tenti di ustionare la sua bella pelle tirandogli contro un caffè”, fece una smorfia divertita, “Che è il trucco più vecchio e demente del mondo, se consideri che l’avevi vista e che, volendo la potevi chiamare per nome”, alzò un sopracciglio, “Tuttavia decidi per questa scelta infantile e romantica che fa calare a picco la tua fama di tombeur de femme!”

Orlando, suo malgrado scoppiò a ridere, ma lo lasciò continuare.

“Dopo di che vi incontrate ancora e stavolta è lei che cerca di attentare alla tua vita. Comprensibilmente. Ed è proprio qui che capiamo il perché vi siete trovati…come se niente fosse, anzi, come i migliori malati mentali, stabilite una data di matrimonio. E cominciate a frequentarvi...”, scosse la testa, “La Steel avrebbe saputo fare di meglio”, bevve ancora un po’ di scotch, “Ora arriva l’interrogatorio”, annunciò.

“Spara”, lo invitò Orlando.

“Anni?”

“Ventinove”

“Quanto le piaci?”

Lui si strinse nelle spalle, “Sufficientemente perché trascorra la metà del suo tempo insieme a me”.

“Quanto ti piace?”

“Molto”

“Quanto sei disposto ad investire?”

“Quello che serve ed anche di più”

“Quanto pensi che potrai tenerlo nascosto al mondo?”

“Finchè non siamo forti abbastanza”

Dominic annuì una sola volta, “Se fregato, amico!”

Orlando rise, “Dici?”

Dom si alzò dal divano e prese a camminare per il salotto, “Dico di si”, improvvisamente si fermò di botto davanti ad un pacchetto blu con un fiocco rosso, “E questo?”

“E per lei”, spiegò Orlando, “E’ un’acchiappasogni”

“Oh si…sei fregato!” rise, “Definitivamente!”

Orlando si versò dell’altro scotch.

“O.B. posso chiederti una cosa?”

L’altro annuì.

“Ma la Santa Donna dove diavolo è?”

 

 

La Santa Donna, per l’appunto, era seduta al tavolo del ristorante a contare i minuti che la separavano dalla fine di quell’interminabile cena.

Joaquin aveva parlato e aveva parlato e aveva parlato ancora, ma le sue parole sembravano non aver sortito nessun effetto su di lei.

Si era detto dispiaciuto, affranto per quel che le aveva fatto ma Camilla gli aveva spiegato chiaro e tondo che, nonostante fosse piacevole sentire le sue scuse, non aveva la minima intenzione di mantenere alcun tipo di rapporto con lui.

Nessun rapporto che non fosse lavorativo.

Joaquin aveva incassato il colpo, annuendo.

E adesso se ne stava imbronciato a guardare la sua panna cotta ai mirtilli.

Camilla sbuffò, “Oh per favore!”

“Cosa?”, domandò lui.

“Davvero credevi che quattro frasi messe al punto giusto mi avrebbero fatto cambiare idea?”

Lui si strinse nelle spalle, con aria colpevole.

“Joaq…”, sospirò, “Se sono qui, adesso, è solo perché avevo bisogno di sentire la tua versione dei fatti”, spiegò, “In tutto questo tempo non ho mai veramente saputo quello che pensavi e questo mi ha costretto a fabbricare mille congetture che non facevano altro che farmi soffrire di più. Adesso so come la pensi, so quello che vuoi e so quello che penso e voglio io. Va bene così”.

“Sai tutte queste cose?”, ironizzò lui, “Fortunata te!”

“Le sai anche tu”, ribatté lei.

Lui annuì, “Oh certo. Io le so, sei tu a non sapere tutto”.

“Sono qui per questo, no?”

“Io voglio te Ci”, disse lui risoluto, “So che ti ho fatto del male, so di averti ferita ma so anche, e ne sono certo, che noi due abbiamo un legame troppo importante per mandarlo a puttane così”.

Lei spalancò la bocca per ribattere qualcosa di poco gentile, quindi la richiuse sospirando.

“Quello che ci è capitato”, continuò lui incoraggiato dal suo silenzio, “Non era nel nostro controllo. Tutta quella pressione mediatica, tu che potevi essere licenziata, il mio agente che mi stava col fiato sul collo…mi ha inebetito, ecco”.

“Inebetito?”, domandò lei senza nessuna inclinazione nella voce.

“Si esatto. Pensavo che andandomene avrei fatto del bene a te. Ti avrei fatto un favore. Eri all’agenzia da poco, la tua carriera stava decollando e non meritavi di perdere tutto a causa mia. Per me non era un problema, ma per te si. Non ce la facevi più e me ne rendevo conto, così ho preso la decisione più giusta per te, ma ciò non significa che l’ho fatto a cuor leggero”.

Camilla rimase sconvolta.

Decisamente sconvolta.

Se non ricordava male quando lui se ne era andato le aveva detto, “Non ti amo più”.

Glielo fece presente e Joaquin ridacchiò.

“Se ti avessi detto quello che ti sto dicendo ora mi avresti lasciato andare?”

“No”, rispose lei senza neanche pensarci.

“Appunto”, sorrise lui, mesto, “Avresti sacrificato la tua carriera per me, e non potevo permetterti di farlo. Non te lo meritavi”.

“Ero abbastanza grande per decidere da sola”, osservò lei.

“Si ma eri anche abbastanza in gamba per diventare quella che sei adesso”, spiegò lui, cocciuto, “Ti ho seguita giorno dopo giorno Ci, ho visto quello che sei riuscita a fare, ho letto articoli entusiasti su di te, ho sentito colleghi che parlavano di te come se parlassero di un’amica e mi sono detto che allora quello che ho fatto non era sbagliato. Mi sono detto che aver sofferto era servito veramente a qualcosa. E quando ho capito che ormai ce l’avevi fatta sono tornato a riprendere quello che era mio”.

Camilla non ci cascò.

“Jo, ti eri cancellato dall’agenzia…non avresti dovuto aspettare neanche un secondo, se avessi voluto”.

Lui sorseggiò del vino, “Avrei dovuto lo stesso invece, perché ormai eravamo in mezzo ad un uragano e ti avrei compromesso lo stesso”.

“Non ti credo”, mormorò lei.

“Lo avevo messo in conto”.

“No Jo sul serio, non riesco a credere alle tue parole. Io sono andata avanti, ho conosciuto qualcuno, qualcuno a cui tengo e non posso…”

Joaquin allungò una mano e prese la sua.

“Cam, ti sto dicendo di tornare ad essere la coppia che eravamo. Quella che meritavamo di essere”.

Lei lo guardò imbambolata.

La coppia che erano stati.

Una gran coppia, doveva ammetterlo.

Due opposti che si erano incastrati alla perfezione creando un rapporto talmente intimo da sentirsi quasi privilegiati.

E ripensò a tutto quell’amore che aveva sentito dentro, lo stesso amore che con il tempo l’aveva indurita, incattivita, disillusa.

Lo stesso amore che adesso avrebbe potuto tornare più forte e vigoroso di prima.

Lo stesso amore.

Punto.

Ma nel frattempo pensò ad un amore diverso.

Un amore che non chiedeva di rinascere ma che cresceva da solo, senza aiuti, senza spinte.

Un amore che avrebbe potuto diventare ancora più immenso dell’altro.

Che l’avrebbe davvero fatta crescere.

Eppure….

La familiarità del sorriso di Joaquin la riscosse.

“Che c’è?”, gli domandò.

“C’è che ti conosco Ci, e so perfettamente quello a cui stai pensando”.

Non disse nulla, si alzò e andò a pagare il conto.

Camilla lo guardò allontanarsi, quindi si alzò e si preparò ad uscire.

Quando Joaquin ritorno, accettò di prendere quel braccio che lui le offriva divertito.

“Andiamo a casa Jo…”, disse lei. Poi immaginò di poter essere fraintesa, “Chiamerò un taxi. Devo smaltire questa conversazione”.

Solerte Joaquin fermò uno yellow cab che passava per la strada. L’autista accostò e Joaquin aprì lo sportello e comunicò l’indirizzo.

Si voltò verso di lei e senza dire nulla l’abbracciò.

Camilla si lasciò stringere, abbracciandolo a sua volta.

Il suo Joaquin…

Quanto tempo.

Quanto tempo….

“Pensaci Ci”.

Lei annuì, quindi salì nel taxi salutandolo con la mano.

Una volta sola, decise di chiamare Sandra e Gwen.

Ora come non mai aveva bisogno di loro.

 

 

Da dietro un cespuglio, un ometto piccolo ma decisamente tenace, scattò un’ultima foto a Joaquin Phoenix che saliva in macchina e seguiva il taxi.

Sorrise compiaciuto.

Star!

Pensavano sempre di fargliela e invece lui riusciva perfettamente a capire ed anticipare le loro mosse.

Questa poi, gli sarebbe valsa una valigia di soldi.

Già si immaginava il titolo, “Joaquin Phoenix e la sua ex tornano insieme”.

Sorrise di nuovo.

Sarebbe diventato incredibilmente ricco.

 

 

NDA

Eccoci ancora qui.

Ragazze, lo so che vi avevo promesso aggiornamenti più repentini ma purtroppo il computer è crollato di nuovo, perciò sto riscrivendo tutto pian pianino. E' rimasta solo un'altra storia che ho pubblicato stasera insieme al nuovo capito!! ;) Se vi va, andate a dare un'occhiata!!!

Comunque, mi fa piacere che questo nuovo cambio di programma vi incuriosisca e vi preoccupi. La nostra Cam avrà un bel pò di gatte da pelare nei capitoli successivi. E il "cugino di Penelope Cruz" ahahaha....(in realtà è il fratello di River Phoenix! Questo ve lo dico per dovere di cronaca), non sparirà molto presto....!

Insomma le soprese sono dietro l'angolo, spero che abbiate la pazienza per godervele tutte!

Grazie ancora del sostegno ragazze, siete mitiche!

Un bacione

Amaranta

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