ACCIDENTALLY IN LOVE di Meahb (/viewuser.php?uid=19354)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una strana serie di fortunati eventi ***
Capitolo 3: *** E' tutto un attimo ***
Capitolo 4: *** Wishing and Hoping ***
Capitolo 5: *** Breathless ***
Capitolo 6: *** Have a little faith in me ***
Capitolo 7: *** Somewhere over the rainbow ***
Capitolo 8: *** SHINY HAPPY PEOPLE ***
Capitolo 9: *** Don't lie ***
Capitolo 10: *** Ancora tu... ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGOOK
DISCLAIMER
Author: Amaranta B.
Pairs: The Magnificent e una sconosciuta lavorante italiana…
Summary: Lei lavora in una società di
pubbliche relazioni. Lei è lontana da casa. Lei odia tutto quello che fa rima
con amore. Lei non vede l’ora di andarsene da Los Angels. Lui…forse riuscirà a
farle cambiare idea.
Notes: Non conosco Orlando Bloom né gli altri personaggi che compaiono in
questa storia e non intendo offendere lui né quanti lo conoscono. E’ una fanfiction
scritta per scommessa e non ha scopo di lucro. Ammetto che non mi dispiacerebbe
che qualcuno fosse disposto a lucrare le mie insane idee ma in verità mi
accontento di fare compagnia a chi deciderà di leggere.
Spero che
vi piaccia! ;)
Enjoy!!
ACCIDENTALLY IN
LOVE
Nella vita ci sono
giorni pieni di vento e pieni di rabbia, ci sono giorni pieni di pioggia e
pieni di dolore,
ci sono giorni pieni di lacrime; ma poi ci sono giorni pieni d'amore che ci
danno il coraggio
di andare avanti per tutti gli altri giorni.
~ da Notte infinita ~
“L’aria è strana”,
borbottò Camilla, aggiustandosi il bavero della giacca.
Gwen la guardò con la coda
dell’occhio, “Siamo a Los Angel, dolcezza. L’aria è sempre strana”.
Camilla si strinse nelle
spalle e sorseggiò lentamente il suo caffè nero.
Mai che fosse davvero
caffè.
Se c’era una cosa che
aveva imparato in quei 4 anni in America era questa: gli americani ignorano
cosa sia un buon caffè. Non lo sanno.
“Qualche novità sulla
premiére?”, domandò Gwen.
Camilla scosse la testa,
“No”, mormorò, “Niente di eclatante, almeno. Ho dato a Robert la lista dei nomi
e non credo che si aggiungerà qualcuno. La Victoria’s Secret dovrà fare a meno
della coppia del momento”Gwen l’afferrò per un braccio, impedendogli di
attraversare, “E’ rosso”, spiegò indicandole con un cenno del capo il semaforo.
Attesero insieme il verde,
quindi attraversarono la strada velocemente.
“Robert potrebbe ucciderti
per questo”, osservò Gwen, gettando il suo bicchiere in un cestino.
“Perché stavo per farmi
investire?”, chiese Camilla, sorridendo.
“No, perché non sei
riuscita a convincere i Pitt a venire alla prémiere!”
Camilla sospirò. In quei
quattro anni aveva imparato anche un’altra cosa: gli americani sono cocciuti.
Dannatamente cocciuti.
“Gwen hanno qualcosa come
dodicimila bambini”, brontolò, “Pensi che la prima di un paio di mutande sexy
possa convincerli a lasciare la prole ad una baby sitter sconosciuta?”
“Un paio di mutande
sexy?”, ripeté Gwen sistemando i suoi capelli biondi da perfetta californiana,
“Questa ti varrebbe il posto!”
Camilla ridacchiò, “Penso
che il forfait dei Pitt basti e avanzi!”
Gwen rise a sua volta,
“Forse hai ragione”, prese il rossetto dalla borsa e se lo passò sulle labbra,
“Cosa ti ha detto il loro agente?”, indagò.
Camilla gettò il suo
bicchiere di caffè e si accese una sigaretta, “Che i signori Pitt erano
dispiaciuti di dover declinare l’invito e che speravano che la nostra agenzia
comprendesse i loro problemi di organizzazione. Mi ha anche detto che si
sarebbe premurato di scrivere un biglietto di scuse alla Victoria’s Secret”,
fece una smorfia, “Ma io non ci credo”.
Gwen tirò fuori il suo
badge e si appoggiò alla colonna dell’edificio aspettando che l’amica finisse
di fumare.
“Hai in mente qualcosa per
Robert?”, domandò.
Camilla si specchiò nella
porta a vetri. Si sistemò i capelli e la giacca, buttò la sigaretta ed estrasse
il badge dalla tasca posteriore dei jeans.
“La verità. Se non possono
venire non possiamo mica obbligarli. Checché ne dica Robert, sono persone
normali anche loro. Con famiglie normali e con problemi normali. Se ci tiene
tanto, può prendere il suo dannato SUV e andarli a prelevare direttamente a
casa!”
Gwen scoppiò a ridere,
“Per una volta, sono contenta di aver da fare in archivio!”
Camilla le sorrise e la
seguì all’interno dell’edificio.
Era cosciente che
l’aspettava una lunghissima litigata con Robert, ma sinceramente non ne era
spaventata.
Rispetto ai primi mesi in
cui lavorava all’agenzia, aveva adottato un atteggiamento decisamente più
professionale e, come si suol dire, si era fatta le ossa.
Oggi, dopo tre anni, le
grida del capo non la spaventavano più.
Soprattutto dopo il
successone del party organizzato a novembre dello scorso anno per la casa di
moda di Armani.
Una cosa di classe che
aveva avuto risonanza internazionale.
Anche suo padre,
dall’Italia, l’aveva chiamata tutto eccitato per aver letto il suo nome sul
Corriere della Sera.
Da quel giorno, Camilla
Ardensi, aveva capito di essere quasi arrivata.
E che Robert Mc Nub,
poteva urlare quanto voleva. Lei, aveva sempre la casella di posta intasata di
proposte di lavoro.
E Robert sapeva di non
potersi permettere che un elemento come lei abbandonasse l’agenzia.
Questo era sufficiente a
darle la carica per informarlo che i Pitt non avrebbero partecipato alla
premiére della Victoria’s Secret.
L’ufficio di Robert era un
disastro.
Come Robert, del resto.
Quando entrò, dovette
schivare una pila immensa di fogli che giacevano abbandonati per terra e
spostare un vassoio dalla sedia in cui avrebbe dovuto sedersi.
Robert era intento a
leggere qualcosa al PC, tanto che non le prestò la minima attenzione.
Era questo che Camilla
odiava più di tutto. La sbadataggine del capo.
“Boss, sono qui”, disse.
Robert alzò lo sguardo e
le sorrise, “Ciao Camille!”
“Camilla”, precisò lei
stizzita, “E non mi spiego come mai dopo tre anni tu non abbia ancora imparato
il mio dannato nome!”
Lui ridacchiò, “Sempre pronta
a mordere tu?”
“Non mordo”, obbiettò lei,
“Preciso. E’ diverso!”
Lui prese la sua tazza e
ne bevve una sorsata, “E’ caffè”,
spiegò con una buffa espressione di disgusto,
“Te ne offrirei ma è finito”, pigiò
l’interfono, “Jennifer!”, chiamò,
“Può venirmi
a preparare del caffè?”
“Tu da solo non sei in
grado?”, domandò Camilla, “Deve farlo la tua segretaria? Non sapevo che nel
contratto c’era una clausola che diceva di preparare il caffè del capo!”
Lui le sorrise mostrando i
denti, “Tu hai firmato il contratto da agente, non quello da segretaria”,
asserì.
Camilla rise, “Comincio a
pensare che sia un bene!”
“Se non altro perché
guadagni il doppio”.
Lei scrollò le spalle, “E
ho il doppio delle grane!”
Lui la guardò con
interesse, “Avanti sputa il rospo. Hai in faccia quell’espressione!”
“Quale espressione?”,
domandò lei, curiosa.
“Quella che fai ogni volta
che vuoi passarmi una patata bollente”, la scrutò, “O quando stai per insultarmi.
O quando stai per dirmi qualcosa che non va. O quando hai le mestruazioni!”
Lei rise, gettando la
testa all’indietro, “E’ questo il tuo vantaggio Boss! Mi fai ridere, ed è
questo l’unico motivo che mi convince a restare!”
Lui scosse la testa
rassegnato.
“Avanti Cam, spara!”
Lei deglutì, quindi sparò,
“I Pitt non vengono!”
Nel viso di Robert
passarono una gamma di emozioni contrastanti. Stupore, scoramento, rabbia,
ansia e…furore.
“Non vengono?”, balbettò.
Camilla annuì, mantenendo
un’espressione più o meno tranquilla.
“Hanno problemi con i
bambini. Credo che non sappiano a chi lasciarli”.
Robert sbatté una mano
sulla scrivania, facendo vacillare pericolosamente la sua tazza di caffè, “Ma
sono star, Cristo Santo!”, gridò, “Le star sanno sempre a chi lasciare i
bambini. Le star hanno l’obbligo di lasciare i bambini a qualcuno. Potrebbero
comprarsi un nido con tutte le maestre e mi vieni a dire che non sanno a chi
lasciare quei dannati bambini?”
E Camille s’infuriò.
Com’era prevedibile,
d’altronde.
“Boss, sono genitori. E
hanno l’obbligo di stare con i loro bambini e non di lasciarli appena li
chiamano per la premiére di un paio di mutande. Fossero pure della Victoria’s
Secret!”
Robert la fissò, livido di
rabbia, “Cosa diavolo vai blaterando, Cam? I Pitt erano gli ospiti di punta! Ne andrà della serata!”
“Avevi intenzione di far
sfilare Brad in perizoma?”, tentò di scherzare.
“Avevo intenzione di
fissare una telecamera sulle loro facce e dimostrare che la Mc Nub PR Agency aveva potere!”, precisò
lui.
Camilla scosse il capo,
“E’ una serata perfetta boss! Non ci saranno i Pitt ma ci sono altri volti
noti. E l’organizzazione è pazzesca!”, cercò di rassicuralo, “L’ambientazione è
di classe e gli ospiti sono quasi duecento! Cosa vuoi di più?”
“I Pitt!”, rispose lui,
come un bambino cocciuto.
Camilla sfogliò la sua
agenda, “Senti boss, possiamo stare qui a litigare fino a domani, per me non è
un problema, ma i Pitt non verranno. Posso chiamarti Bloom se ti fa piacere. So
che si trova a Hollywood in questi giorni. Magari tra i suoi impegni riesce ad
infilaci la premiére!”
Robert si mise un dito in
bocca, “Ce l’hai il numero della sua agente?”
“Ovvio che ce l’ho!”
“Allora chiama”, le
ordinò, “Subito. Oggi stesso. E offrigli il massimo del budget ok?”
Camilla lo guardò stupita,
“Il massimo?”
“Se è necessario si”, la
zittì, “E preoccupati di informare tutta la stampa, specialmente quella
giovanile. Voglio che tutti sappiano che Orlando Bloom sarà alla premiére è
chiaro?”
Camille annuì, “Quindi non
intendi licenziarmi?”, domandò quasi dispiaciuta.
“Ardensi”, la chiamò. Ma
il suo cognome italiano, sulla bocca di Robert sembrava stropicciato, “E’
inutile che tenti di sabotare la tua carriera. Ormai mi appartieni!”,
ridacchiò.
Camilla si alzò dalla sua
seduta, facendo una smorfia.
“Non ne essere troppo
sicuro!”, mormorò.
Fece per uscire, ma la
voce di Robert la fermò. Si voltò a guardarlo.
“Di a Jennifer se può
occuparsi del mio caffè”, disse, “E…Camille?
Se ogni tanto fai la gentile, ti assicuro che verresti presa sul serio
comunque!”
Camilla fabbricò un
sorriso finto, “Sai una cosa boss?”
Lui scosse il capo.
“Vaffanculo!”
Robert rise, “Appunto!”,
mormorò.
Ma lei era già uscita.
Camilla parcheggiò la sua
auto nel parcheggio degli Universal Studios.
Aveva parlato con l’agente
di Orlando Bloom, ed era riuscita a farsi fissare un appuntamento con lui quello
stesso pomeriggio.
Camilla sapeva fare il suo
lavoro.
Per averlo alla premiére
doveva parlarci. Di persona. Doveva avercelo davanti e sfoderare tutta la sua
professionalità per convincerlo.
E poi, inutile
nasconderlo, Orlando Bloom era un tipo per il quale si poteva guidare fino a
Burbank. Anche se significava passare almeno due ore con il culo sul sedile di
un auto.
Scese, quindi mostrò il
badge al bouncer che sostava all’ingresso.
“Ho un appuntamento con
Mister Bloom”, spiegò.
Il bouncer sorrise, “Mia moglie
la invidierebbe!”, scherzò.
Camilla sorrise a sua
volta. Sapeva che il suo lavoro le dava dei privilegi di cui gli altri non
potevano godere e, quando poteva, cercava di condividerli.
“Come si chiama sua
moglie?”, domandò.
“Susan”, rispose l’uomo.
Camilla annuì, “Allora
quando esco gli porterò un autografo per lei!”
Il bouncer si illuminò,
“Sarebbe meraviglioso! La ringrazio”
“Si figuri!”, minimizzò
Camilla, “Allora, verso quale studio devo andare?”
“Terzo, ala A, ufficio di
Mister Perkins!”
Camilla annuì, quindi
s’incamminò verso il suo cliente.
Rimpiangeva i primi tempi
del suo lavoro. Quelli in cui, incontrare una celebrità le provocava sempre dei
crampi allo stomaco.
Quelli in cui passava ore
intere a prepararsi per essere al meglio e per dimostrare a tutti che sapeva
fare il suo lavoro.
Adesso, invece, era tutto
più semplice.
Dopo tre anni a contatto
con quel mondo, aveva capito che le celebrità erano persone normali. Con caratteri normali e abitudini normali.
Che potevano essere
arrabbiate, infastidite o semplicemente stanche.
Che avevano giorni
positivi e giorni negativi.
E quella consapevolezza le
aveva permesso di fare al meglio il suo lavoro. I clienti con cui trattava la
rispettavano e le volevano bene perché si fidavano di lei.
Perché la consideravano
una al loro pari.
Con qualche zero in meno
sullo stipendio, ma comunque una persona che sapeva trattare con loro.
E Camilla aveva sempre
fatto in modo che si sentissero a loro agio e non con il fiato sul collo.
Sapeva ricevere un rifiuto e sapeva essere grata quando invece accettavano i
suoi inviti.
Ed era per questo che gli
eventi organizzati dalla Mc Nub PR Agency
erano sempre un gran successo.
Arrivò di fronte
all’ufficio di Perkins, quindi bussò.
Non aveva mai visto
Orlando Bloom dal vivo e dovette ammettere con se stessa che questo la
incuriosiva.
Fu lui ad aprirle la
porta, e Camilla considerò che le foto sui giornali non gli rendevano
giustizia. Non solo era un bel ragazzo. Era un ragazzo luminoso.
“Tu sei Camille Ardensi, vero?”, chiese lui
porgendole la mano.
“Camilla”, precisò con un
sorriso, “Si sono io! E tu sei il famoso Orlando Bloom. Posso darti del tu?”
Lui annuì con un sorriso,
quindi le fece spazio per farla passare.
Si sedettero nel salottino
dell’ufficio, che era grande e ben arredato.
“Bene Orlando”, iniziò lei
senza indugi, “Sono qui per una proposta di lavoro”.
Lui sorrise, ma sembrava
quasi stanco. Camilla abbassò lo sguardo sulla sua agenda. Doveva trovare il
modo di dirgli della premiére senza fargli capire che sarebbe stato, più o
meno, come partecipare ad un servizio di moda.
Doveva rendere la serata
come un incontro piacevole in cui anche un ragazzo giovane come lui poteva
divertirsi. E sapeva perfettamente dove andare a parare.
“Che ne pensi delle
collezioni di Victoria’s Secret?”, domandò a bruciapelo.
Lui ridacchiò con malizia,
“Penso che sono sexy”, disse. E l’accento inglese emerse pesantemente, “E penso
anche che non sto bene in perizoma!”
Camilla rise, “Le tue fan
potrebbero pensarla diversamente!”
Lui la imitò, “Di sicuro!
Anche se penso che mi preferirebbero completamente svestito!”
E come dar loro torto?
Pensò Camilla tra se e se.
“Non ne dubito!”, rispose
invece, “Ma comunque ad un maschietto fa sempre piacere partecipare ad una
sfilata di intimo!”
Lui alzò le braccia, con
uno sguardo malandrino, “Sempre!” confermò, “Mi stai proponendo di partecipare
ad una sfilata di intimo? Come modello?”
Camilla scosse il capo,
“No”, disse.
Lui fece un’espressione
strana. Di delusione, quasi.
“E non perché non
potresti!”, si affrettò ad aggiungere, “Ma perché penso che te la godresti di
più come ospite”, lo fissò negli occhi, “D’onore, magari!”
Lui la guardò scettico,
“Sei mai stata nei camerini di una sfilata d’intimo?”
Camille ridacchiò. Si
c’era stata. E sapeva a cosa alludeva il giovanotto. Donne semi nude che girano
tranquille per i corridoi.
Lo prese in contropiede.
“L’ospite d’onore può
comunque andare nei camerini per salutare le modelle!”.
Lui, a quel punto scoppiò
a ridere, “Allora ci sto!”.
Ma Camilla sapeva che non
stava accettando per quello. Per quel che aveva capito, Orlando Bloom non aveva
bisogno di girare per i camerini di una sfilata d’intimo per poter vedere un
paio di belle donne.
“Ma comunque non dovrai
partecipare ad una sfilata!”
Lui si accasciò sul
divano, “Come no?”, chiese stupito.
“La Victoria’s Secret ha
creato una nuova collezione di perizomi che presenterà ad una premiére la
prossima settimana. Mercoledì sera, per l’esattezza. E noi saremo lieti se tu
volessi partecipare come ospite d’onore alla serata di gala!”
Lui rise, “Una serata di
gala per un paio di mutande?!”
Camilla rise a sua volta,
“Esatto. Ci sarà una cena e poi dieci ragazze sfileranno tra i tavoli per
mostrare al mondo le nuove creazioni”, guardò la scheda, “Non sarà una sfilata
convenzionale!”
Orlando si massaggiò una
tempia, “E perché proprio io?”
Camilla si era immaginata
una domanda del genere, e si era anche preparata una risposta convincente.
Ma forse a causa della
stanchezza, del fatto che quel ragazzo aveva più o meno la sua età, che era
simpatico e che era stanca di mentire, optò per la verità.
“Vuoi la risposta vera
oppure quella che mi hanno imposto di darti?”
Lui sorrise, “Prima la
finta, poi la vera!”
Lei annuì, “Ok la finta:
perché sei un uomo a cui piacciono le cose di classe e la Victoria’s Secret è
un marchio di classe. Perché sei famoso e perché il tuo volto si sposa
perfettamente con la nuova collezione: bello e frizzante!”
Lui batté le mani un paio di volte, “Bella!
Complimenti! Per un paio di mutande mi sarei impegnato di meno, ma grazie!”,
ridacchiò, “Adesso dimmi quella vera!”
“Sei cosciente che se
viene fuori una cosa del genere perdo il lavoro?”, domandò Camilla,
improvvisamente dubbiosa.
“Più di quel che
immagini!”, la rassicurò lui.
“Bene! Allora, il punto è
questo: dovevano venire i Pitt come ospiti di punta, ma hanno da fare con i
bambini e quindi hanno rifiutato. Il mio capo ha avuto una crisi isterica e io
gli ho suggerito di invitare te!”, rise, “Se non altro perché sei single e
potrai apprezzare meglio i modelli!”
“E perché appena la stampa
verrà informata, un miliardo di ragazze si precipiterà a comprare le mutande di
Victoria’s Secret convinte che a me piacciono!” rise anche lui, “E’ una mossa
azzeccata! Ci sto!”
Camilla lasciò andare un
lungo sospiro.
“Per quel che riguarda il
compenso…”
“Possiamo parlarne dopo?
Vorrei un caffè!”
Camilla annuì, “Non c’è
problema!”
Chiuse l’agenda e aspettò
che lui ordinasse i caffè al telefono dell’ufficio. Nel chiudere la borsa vide
il foglio giallo con appuntato il nome della moglie del bouncer.
“Posso chiederti un
favore?”, domandò ad Orlando, quando lo vide tornare verso il salottino.
Lui annuì.
“Potresti firmarmi un
autografo? Per Susan!”, spiegò.
Lui prese un foglio ed una
penna “Una tua amica?”, s’informò.
Lei scosse la testa, “A
dir la verità non la conosco nemmeno. E’ la moglie del bouncer che mi ha fatto
passare. Mi ha detto che lei ti adora così ho promesso di tornare con un
autografo!”
Orlando la guardò con una
buffa espressione, “Sei una strana ragazza, Camille!”
“Camilla!”, mormorò lei.
CONTINUA....
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Capitolo 2 *** Una strana serie di fortunati eventi ***
CAPITOLO DUE
CAPITOLO DUE
UNA STRANA SERIE DI
FORTUNATE COINCIDENZE
Camilla
inviò un fax all’ufficio stampa della Victoria’s Secret, per informarli che
Mister Bloom aveva accettato di partecipare alla serata di gala come ospite
d’onore.
Era
soddisfatta di quello che era riuscita a fare, soprattutto perché Orlando aveva
accettato un compenso ridicolo, rispetto a quello che Robert voleva offrirgli.
Questo le
dava il permesso di chiedere un aumento. O almeno, il rimborso della benzina
che aveva consumato per arrivare fino a Burbank.
“Dimmi
com’è??”.
Era Gwen.
E stava
saltellando per il suo ufficio con in mano il comunicato stampa per i giornali.
“Chi?”,
domandò.
“Come
chi? Orlando Bloom!”, rispose, sventolandole in faccia il foglio.
“Un gran
bel tipo!”, asserì Camilla, sistemando la scrivania.
Gwen si
lasciò cadere sulla sedia, per niente soddisfatta, “Oh andiamo! Così non mi dai
nessuna soddisfazione! E’ sexy?”
Camilla
annuì, con un gran sorriso, “Estremamente sexy! Occhi meravigliosi e bocca…”,
ci pensò, “Credo che quando hanno inventato il peccato avevano in mente la
bocca di Orlando Bloom!”
Gwen
rise, “Hai detto una cosa simile anche a proposito di Colin Farrel!”, le fece
notare.
Camilla
sorseggiò il suo caffè, “Quando parlavo di Colin, intendevo tutto Colin!”, rise
lasciva, “Con un attenzione particolare al suo fondoschiena!”
Gwen
finse di guardarla con disapprovazione, “Messalina!”
“Vorrei
vedere te!”, si difese Camilla.
“Io
infatti non parlo mai direttamente con loro! Credo che i miei ormoni me lo
impedirebbero!”
Camilla
guardò l’orario degli appuntamenti. Ne aveva un paio importanti, gli altri
erano normale amministrazione.
“Chi ti
spari oggi?”, curiosò Gwen.
“Campagna
pubblicitaria per il nuovo telefilm della Fox, e pranzo con l’agente di Josh
Jackson per una serata di beneficenza!”
“Chi
sarebbe costui?”, si informò.
Camilla
scoppiò a ridere di gusto, “Te la rinfaccerò a vita!”, la minacciò con una
matita, “Non eri tu una grande fan di Dawson’s Creek?”
“E con
questo?”
“Pacey ti
dice niente?”
Gwen
scattò in piedi, “Incontri Pacey?”
“Si
chiama Josh”, precisò Camilla.
“Come ti
pare!”, sbuffò la ragazza, “Lo incontri?”
Camilla
scosse il capo, “Non credo che lui ci sia. Ho appuntamento con il suo agente!”
Gwen
annuì, “Comunque, se lui dovesse comparire io devo essere informata, chiaro? Mi
chiami e io vengo. Dove andate a pranzo?”
“Da
Sam’s, qui sotto!”
Gwen
sbirciò l’orologio, quindi si appoggiò alla
scrivania di Camilla, “Io devo andare, ma se lui viene tu mi
avvisi, chiaro?”
Camilla
annuì, “Parola di Scout!”
Gwen si
incamminò verso la porta, “Fingerò di non sapere che tu non sei mai stata negli
scout!”
Camilla
le lanciò un tempera matite, quindi cominciò a visionare le diverse schede per
gli appuntamenti della mattinata.
Mentre
sistemava gli estremi per l’incontro con Marc, l’agente di Josh, il suo
telefono squillò.
Era
Robert.
Che la
voleva urgentemente in sala riunioni.
Sbuffando,
lasciò perdere la documentazione e si avviò verso la sala di ghiaccio.
Lì,
all’agenzia, la chiamavano così perché era una sala fatta di vetro.
Completamente trasparente e insonorizzata.
Cosicché
chi rimaneva fuori, non sentiva gli improperi che venivano pronunciati
all’interno.
Camilla
spinse la porta ed entrò.
Ad
attenderla, oltre Robert, c’era Rebecca Hampton, una collega che detestava cordialmente,
e un altro paio di persone che non conosceva.
“Camille finalmente!”, la salutò cordiale
Robert. Ma era una cordialità forzata, ormai lo conosceva abbastanza bene da
intuirlo.
“Mi
chiamo Camilla”, precisò dura, “Qual è il problema?”.
Robert le
lanciò un’occhiataccia ma lei non ci badò.
“Loro
sono i signori della Breil, ricordi?”
Camilla
strinse le loro mani, sorridente, quindi si mise seduta.
“Non ho
idea di che cosa tu stia parlando, boss!”
“La
serata di lancio della Breil, Camille”
intervenne Rebecca, “Non rammenti?”
Camilla
aveva immediatamente capito dove volevano andare a parare. La serata di lancio
della Breil era stata assegnata a Rebecca, nonostante le proteste di Camilla. E
sicuramente Rebecca aveva combinato qualche disastro.
“Innanzitutto
mi chiamo Camilla”, precisò nuovamente, “Con la –a finale”, sorrise con stizza,
“Secondo poi, la campagna della Breil, per quanto ci tenessi non è stata
assegnata a me ma a te, se non ricordo male”.
Rebecca
ebbe un guizzo di rabbia.
“Questo
lo sappiamo tutti”, disse Robert con una risatina nervosa, “Il problema è che
la metà degli ospiti che Becky vuole invitare sono impegnati con te”.
Camilla
aprì la sua agenda, “Puoi dirmi la data?”
“Sabato 24”, rispose prontamente
Rebecca.
“Io ho
solo Mister Farrell, e Miss Diaz. Gli altri non hanno nessun impegno con la
nostra agenzia”, spiegò brevemente.
Uno dei
due uomini la guardò, “Il problema Miss…?”
“Ardensi”,
rispose lei con un sorriso.
“Ardensi”,
ripeté lui nel classico modo stropicciato americano, “Il problema è che la
signorina Hampton ci aveva assicurato che Mister Farrell avrebbe partecipato
come testimonial alla serata di lancio e invece oggi, a poco più di venti
giorni, ci dice che è impegnato. E la metà delle altre persone che ci aveva
proposto, non sembrano essere intenzionate a prendere parte alla serata”.
Camilla
si prese la sua rivincita, “La signorina Hampton prima di impegnare i miei clienti, dovrebbe avere
l’accortezza di informarmi”, le lanciò un’occhiataccia, “Comunque, cercherò di
chiamare l’agente di Colin per sapere se può presiedere alla serata, altrimenti
dovrete indirizzarvi altrove!”
“Signorina
Ardensi”, adesso era stato l’altro uomo a parlare, “Siamo un marchio importante
che ha bisogno di un volto importante. E per ogni volto necessitiamo di uno
slogan. Non possiamo chiedere ai nostri pubblicitari di preparare duecento
slogan solo perché non abbiamo certezze”.
“Chiarissimo”,
annuì Camilla, “Ma comunque di solito siamo in grado di occuparci dello slogan,
questo non è un problema”, si alzò, “Faccio un paio di chiamate e torno da
voi”, fece per uscire ma si bloccò sulla porta, “Se Colin non fosse disponibile
chi vorreste?”
“Ci
affidiamo a lei”, sorrise l’uomo.
Camilla
annuì, quindi attraversò la hall con passi lunghi e inferociti.
Non
riusciva a credere di dover riparare ai casini di Rebecca.
Di più,
non ci voleva credere.
Durante i
suoi primi mesi di lavoro, quell’arpia le aveva reso la vita un inferno, e
adesso si trovava costretta a rimediare ai suoi errori.
E come se
non bastasse, aveva fatto promesse che non era in grado di mantenere. Sapeva
benissimo che il 24 Collin aveva una serata di beneficenza all’orfanotrofio e
trovava inappropriato proporgli di rifiutare per prendere parte all’ennesima
serata di lancio.
Soprattutto
perché Collin non l’avrebbe presa bene.
Per
niente.
Ci teneva
veramente alle serate all’orfanotrofio che Camilla gli organizzava a cadenza
mensile.
Compose
il numero dell’agente, quindi attese che rispondesse.
Gli
spiegò brevemente la situazione, pregando che Collin non fosse lì con lui.
Una
preghiera vana, perché Collin, che invece era lì, le promise di passare in
agenzia nel giro di un quarto d’ora.
Per quel
poco che lo conosceva, se Collin fosse stato a conoscenza del giochino della
sua collega, non ci sarebbe andato troppo leggero.
Bevve un
caffè e cercò di rilassarsi. Che aspettassero pure. In fin dei conti aveva
detto loro di dover fare delle telefonate, quindi aveva tutto il tempo che
voleva.
Si
sedette e aspettò fino ad un tempo che le sembrò appropriato.
Quando si
rese conto che la stasi non faceva che agitarla ulteriormente, decise di andare
in sala riunioni. Forse sarebbe riuscita a tamponare la situazione.
“Signori”,
esordì una volta entrata, “La fortuna ha voluto che Colin fosse nei paraggi e
che quindi sarà qui da noi più o meno…”
“Ora!”
Era
Colin, con la sua faccia da impunito che sorrideva strafottente appoggiato alla
porta.
Tutt’intorno
gli astanti si alzarono per stringergli la mano. Un rito che lui eseguì con
noia e vaga ironia, quindi abbracciò Camilla depositandogli un bacio in fronte.
“Ciao
fottuta italiana!”, la salutò.
Camilla
ridacchiò, “Ciao fottuto irlandese!”, ricambiò, “Ti trovo in forma. Cos’hai
fatto?”
“Bevo
meno e faccio più sesso!”, bisbigliò.
Camilla
scoppiò a ridere, “Non ho dubbi a tal proposito!”
“E fai
bene”, asserì lui con un sorrisino malizioso.
“Signor
Farrell”, lo chiamò Robert.
“Ciao
Boss, come va?”
“Benone,
grazie!”, sorrise Robert più a suo agio, “Camilla ti avrà detto perché sei
qui”.
Collin
guardò Camilla, “Ha parlato di sovrapposizione di date ma è strano. L’unica
data che ho è per il ventiquattro, giusto Cam?”
Lei, suo
malgrado, annuì.
“E
proprio per questo che l’abbiamo chiamata signor Farrell”,
intervenne Rebecca, “Il ventiquattro avevamo pensato di farla
partecipare ad una serata di lancio
per la Breil”,
le sorrise seducente, “Come testimonial!”
Lui
scosse la testa, “Mi dispiace micetta ma devo rifiutare!”
“Per una
serata in un orfanotrofio?” domandò lei allibita.
Colin
fece per rispondere, ma fu preceduto da Camilla. Infuriata.
“Tu lo
sapevi!”, l’additò, “Sapevi dell’impegno di Colin e te ne sei fregata!”
“Pensavo
che si potesse rimandare”, si difese Rebecca con freddezza.
“E invece
no!”, obbiettò Camilla, “Non si rimanda niente. Quei bambini aspettano con
ansia quel giorno e non sarai di certo tu a rovinargli la festa!”
Colin
guardò Rebecca con compassione.
“Potrebbe
andare prima”, propose la
Hampton, “O dopo. Potremmo incastrare gli orari!”
Questa
volta Colin fu lesto a prevenire il rilancio di Camilla.
“Signori”,
si rivolse ai due uomini seduti accanto a lui, “E’ raro che sia io ad occuparmi
di queste cose, di solito ci pensa quello stronzo del mio agente, ma stavolta
sono qui e si fa come dico io. Il ventiquattro ho un impegno. E non lo anticipo
né posticipo. Voi fate dei bellissimi pezzi ma non me ne frega un cazzo,
chiaro? Quei bambini sanno che io andrò e che mi fermerò a cena e dopo cena e
così sarà. Ci sono tante altre persone che la signorina Hampton potrà trovare,
ne sono sicuro!”
“Ma Camille ha detto che forse saresti riuscito
a venire”.
“Camilla è troppo gentile con te. Ti
meriteresti una mazzata in bocca per come lavori. Ti dico solo che Jared non ti
sopporta più!”
Camilla
toccò un braccio a Colin, quindi sorrise ai clienti.
“Signori,
mi dispiace per il disguido, ma purtroppo non posso aiutarvi”, guardò Colin,
“Forza andiamo!”, quindi si rivolse a Robert, “Boss ti posso parlare un
secondo? Mi serve una tua firma per un agente che devo incontrare tra dieci
minuti”.
Abboccando
alla richiesta Robert la seguì nel suo ufficio.
Solo dopo
si rese conto dell’errore che aveva fatto.
Camilla uscì
a grandi passi dalla sede dell’agenzia.
Era
infuriata.
E in
ritardo mostruoso.
Aveva
chiamato Marc, l’agente con cui aveva appuntamento e aveva rimandato tutto al
giorno successivo. In quelle condizioni non se la sentiva di lavorare.
Era
troppo adirata.
Entrò da
Starbuck’s e si prese un caffè. Avrebbe preferito berlo seduta ad un tavolino,
ma erano tutti occupati.
Di sicuro
non era la sua giornata fortunata.
Optò per
una passeggiata, augurandosi che l’avrebbe aiutata a calmare i nervi. Sapeva
che non sarebbe stato così, ma voleva tentare.
Di più,
voleva allontanarsi da quel dannato edificio.
Era
incredibile come, nonostante il suo lavoro accurato e pieno di successi,
nessuno la prendesse davvero sul serio. In primo luogo quella dannata Hampton.
E poi
Robert. Ah Robert!
Il capo
dei capi.
Quello
che la sfruttava fin quando riusciva a fruttare quattrini all’agenzia. Se gli
impegni dei clienti non si orientavano in tal senso, allora andavano cancellati.
O
sovrapposti.
Non
poteva crederci che Robert le avesse fatto una cosa del genere.
Camminava
a capo chino, la testa piena di pensieri, tanto che non si accorse dell’uomo
davanti a lei.
Che la
travolse, rovesciandole addosso tutto il caffè.
“Dannazione!”,
imprecò lei, guardandosi la camicetta celeste completamente macchiata.
“Sono
mortificato!”, si scusò lui.
Camilla
lo guardò, furente. E riconobbe il volto imbronciato di Orlando. Istintivamente
gli sorrise, salvo poi fissare la macchia informe che si allargava sulla sua
camicia.
“Ciao
Camille”, la salutò.
Lei
sospirò contando mentalmente fino ad un numero che le sembrò appropriato e che,
probabilmente, le avrebbe evitato di saltargli alla gola.
“Ciao…”,
lo salutò senza troppo slancio.
“Camminavi
a testa bassa”, si difese lui, comprendendo la sua neanche troppo velata ira.
“Se mi
avevi visto potevi evitarmi no?”
Lui
scrollò le spalle, “Me ne sono accorto tardi”, spiegò, “Ti pago la lavanderia”,
si offrì.
Camilla
lo guardò.
“Il problema non è la lavanderia. Il problema
è che non posso andare a lavoro conciata così”, borbottò.
Lui
sorrise, “Ok, allora ti pago una nuova camicia”.
Camilla
sorrise a sua volta, “Grazie ma non ce n’è bisogno”.
“Almeno
lascia che ti offra un altro caffè!”, propose lui.
Era veramente
dispiaciuto e Camilla non se la sentiva di deluderlo. Ed era un suo
cliente…tutti punti a suo favore, dannazione a lui.
“Vada per il caffè”, gli concesse poi.
Lui
sorrise soddisfatto, quindi le porse la mano che Camilla fu lesta ad afferrare.
Camminarono
silenziosamente verso Starbuck’s ad un ritmo pressoché identico e con gli
sguardi decisamente cupi.
“Allora Camille, come va?”, domandò lui.
“Camilla”,
precisò lei.
Lui
annuì, “Scusami”, sorrise.
“Non
preoccuparti, ormai ho la correzione automatica”, lo seguì, camminandogli a
fianco, “Voi americani non siete in grado di pronunciare correttamente il mio
nome, quindi vi correggo. O mi rassegno!”
“Io sono
inglese”, disse lui.
“Non si
direbbe”, sorrise lei.
Orlando
si chinò per sbirciarla, “E perché mai?” domandò curioso.
Camilla
scrollò le spalle, “Probabilmente perché non hai né l’aspetto da damerino ne
quello da rocker punk!”
“Bella
osservazione, ma sai, per il lavoro che faccio non posso permettermi troppe
stravaganze”, spiegò lui, “E comunque, anche tu non sembri di queste parti”.
“Esatto”,
confermò lei, “Vengo da lontano lontano, come la fidanzata di Shrek!”
Lo fece
ridere, e venne da ridere anche a lei.
Orlando
aveva una risata penetrante, contagiosa. Sembrava che provenisse dal profondo
dell’anima.
“Mi
auguro che almeno il tuo fidanzato non sia verde!”
Camilla
negò, “Nessun fidanzato. Meno che mai verde. E nessun ciuchino che mi fa
ridere!”
“Questo è
un peccato!”, mormorò lui aprendole la porta di Starbuck’s.
Quando
entrarono Camilla si aspettò che le persone sedute ai tavoli scattassero in
piedi a chiedere autografi, ma non accadde nulla.
Nessuno
lo notò.
Nessuno
si accorse di loro.
Nessuno
tranne Amy, la ragazza che lavorava al bancone che guardò divertita la sua
camicetta.
“Problemi
con il caffè, Cam?”, le domandò.
Camilla
sorrise, “Ne voleva un po’ anche la mia camicia e non ho saputo rifiutare!”
Amy
scoppiò a ridere, “Per lo meno hai trovato qualcuno che si prende cura dei tuoi
bisogni”, disse accennando a Orlando, “Per lei, signore, cosa porto?”
“Un caffè
nero”, ordinò lui.
Amy si
voltò e riempì due bicchieri medi di caffè. Li consegnò ad Orlando e li salutò,
augurando loro una buona giornata.
“Quindi
hai vinto. Conoscono te e non conoscono me”, osservò lui, mentre bevevano il
caffè seduti su una panchina del parco.
“Sembri
dispiaciuto”, disse lei, soffiando nel suo bicchiere.
“Affatto!
Sono estremamente contento!”, ridacchiò, “Avanti Camille, dimmi cosa fai nella
vita!”
“Lavoro
con quelli come te”, disse lei, evitando di correggere la pronuncia del nome.
“Ti sei
rassegnata”, disse lui.
“Prego?”
“Ti sei
rassegnata. Non mi hai corretto quando ti ho chiamato Camille”.
Lei lo
guardò con interesse, “Non lo faccio più di una volta al giorno con la stessa
persona”, disse lei, evitando di dargliela vinta.
“Bene”,
annuì lui, “Quindi, lavori per quelli come me, questo già lo sapevo. Cosa fai
in generale però non lo so”.
“Suono la
chitarra, leggo, penso, scrivo…”, spiegò, “Ma comunque non ho mai tempo a
sufficienza per dedicarmi ai miei hobby”
Lui la
guardò senza particolare reazione, “Il tempo…Dio mio, non sembra mai veramente
abbastanza per fare nulla”, constatò.
“Stiamo
filosofeggiando?”, ribatté lei.
“E’ una
cosa brutta?”, domandò lui.
“Non lo
so, dimmelo te! Quando voi star cominciate a filosofeggiare mi si accendono
tutti i campanelli d’allarme ed una vocina stridula mi grida nelle orecchie:
attacco isterico in corso Cam, dattela a gambe!”
Lui la
guardò sorridendo, “Abbiamo questo strano modo di fare,
noi star?”, utilizzò un tono sarcastico mentre pronuciava
"star".
Lei si
strinse nelle spalle, “Non siete veramente reali”
“Certo
che lo siamo”, ribatté lui risentito.
“Non me
la raccontare!”
“Non lo
faccio”, rispose lui fissandola.
“Oh per
piacere, hai una vaga idea di come funzioni il mondo? Quello vero?”
“Naturale
che ce l’ho!”, replicò lui stupefatto.
“Io dico
di no”.
“E io
invece ti dico di si”.
“Dici di
si perché te la racconti!”
Lui
ridacchiò, scuotendo in capo, “Hai sempre l’ultima parola?”
“Se posso
preferisco”, disse lei alzandosi e gettando il suo bicchiere.
Camilla
guardò l’orologio. Erano passate da poco le quattro del pomeriggio e doveva
necessariamente tornare in agenzia per l’incontro con i produttori della Fox.
“Devi
andare perché hai un appuntamento e non puoi fare tardi”, disse Orlando.
“Esatto”,
sorrise lei. Gli porse la mano, che lui strinse in una presa salda e asciutta,
“Mi ha fatto piacere bere questo caffè con te, Mr. Bloom”.
Lui le
sorrise, “Anche a me”.
Camilla
rimase un po’ con la mano di lui nella sua, quindi si decise a staccarsi.
“Ora
vado”
“Vai!”
“Ci
vediamo!”
“E’
probabile”
“Ciao!”
“Ciao
Camille”.
Lei rise,
facendo di no con il dito ma senza correggerlo.
Si era rassegnata.
CONTINUA…..
Ragazze
vi ringrazio davvero di cuore per la calda accoglienza!!
Anzi,
vi dirò di più, mi fa immensamente piacere aver svegliato l’interesse di fan
accanite come voi. Mi lusinga proprio!! Non che io non lo sia, beninteso, ma
diciamo che la vera fan è la mia amica la quale (puntandomi gentilmente un
coltello alla gola!!!!), mi ha imposto di scrivere qualcosa sul suo O.D. (No
no…nn è un errore! OD sta per Oggetto Del Desiderio!!). Invece per i problemi
che si troveranno ad affrontare prendetevela pure con me!!!!!!!
Strowberry
sono io a dover ringraziare te…scrivi divinamente ed è un piacere immenso
leggere le tue parole. Se qualcuno ha talento, bhè quella sei decisamente tu!!
Moon
spendo due parole per ringraziare anche te. Mi auguro di essere all’altezza
delle tue aspettative senza scendere troppo nel banale e nel “fanciullesco”,
(come dice la mia amica!!)
E
grazie quindi anche a Bebe e Michi….grazie grazie grazie!!!
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto il primo!
Intorno
a venerdì dovremmo aver già pronto il terzo!! Purtroppo
riesco a connettermi solo nei week end quindi perdonatemi se vi
lascio a bocca asciutta per l'intera settimana! Prometto che mi
farò perdonare ;)
Un
abbraccio a tutte
Amaranta
|
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Capitolo 3 *** E' tutto un attimo ***
CAP3
CAPITOLO TRE
E’ TUTTO UN ATTIMO….
Era
intenta a scolare la pasta quando il campanello di casa suonò.
Posò lo scolapasta
nel lavello e si avviò verso la porta d’ingresso.
Sapeva
che al di là dell’uscio, c’erano Gwen Carter la sua collega all’agenzia e
Sandra Thompson la sua ex coinquilina.
Era una
loro consuetudine quella di organizzare una cena a settimana per stare insieme,
e quella sera, per l’appunto, toccava a Camilla cucinare per loro.
“Ciao
tesoro!”, la salutò Sandra di slancio.
Camilla
l’abbracciò, quindi le precedette all’interno dell’appartamento.
“Cosa c’è
Gwen? Ti hanno mangiato la lingua?”, s’informò Camilla, mentre ripassava la
pasta nella padella.
“Colpa
tua!”, sospirò, “Robert ha pensato bene di scaricare la sua ira sulla
sottoscritta”.
Sandra le
sfiorò un braccio con partecipazione, “Povera!”, sorrise, “Pensa Cam, che il
tuo capo le ha ordinato di catalogare la metà delle tue vecchie schede!”
Camilla,
spense il fuoco del fornello, quindi si versò del vino bianco.
“Mi
dispiace Gwen”, disse, “Non pensavo che se la prendesse con te!”
Gwen fece
una smorfia, “Non te la cavi così a buon mercato sai?”, l’ammonì divertita,
“Domani ho letto che hai appuntamento con quel pezzo di figo di Boreanaz, e
dirai a Robert che io vengo con te!”
Sandra e
Camilla scoppiarono a ridere.
“Ci sto”,
disse poi Camilla.
“Brava Camille!”, la prese in giro Gwen, “Così
si fa!”
Camilla
le fece una linguaccia, quindi si rivolse a Sandra, “Come va con Jack?”, le
domandò.
Sandra
sorseggiò lentamente il suo vino, “Benissimo grazie!”, sorrise, “Diciamo che il
matrimonio è molto più divertente di quello che avevo immaginato”, fece loro
l’occhiolino.
Gwen si
alzò in piedi sbuffando, “Due amiche ninfomani!”, sospirò, “Proprio a me doveva
capitare?”
Camilla
le lanciò una mollica di pane, “Ma finiscila!”, la canzonò, “Sei tu la prima a
seguire gli ormoni!”
Gwen la
guardò con finto disprezzo, “Ormoni?”, si finse stupita, “Non ho la più pallida
idea di cosa tu stia parlando!”
Sandra
ridacchiò, “Vuoi un esempio?”
“Spara!”
“L’incontro
con Colin Farrell?”, Sandra sorrise, “Ti dice nulla?”
“E il
pranzo di oggi con l’agente di Jackson? E l’incontro di domani con Boreanaz?”,
proseguì Camilla.
Gwen
sospirò con indulgenza, “Quella è solo una cura per gli occhi! Io con quei tipi
non ci faccio mica sesso”, si lasciò cadere sul divano, “Sfortunatamente!”
e Camilla
rise, “Sei terribile!”, l’ammonì, “E penso che l’unico motivo per cui tu non
faccia sesso è perché non vuoi farlo. Hai così tanti fans da far invidia a
Paris Hilton!”
Gwen
scosse la testa, “Cosa vuoi che ti dica?”, borbottò, “Evidentemente sono fans
di scarsa categoria!”
Sandra le
versò dell’altro vino bianco, “Un giorno ne arriverà uno per cui varrà la pena
rischiare!”, la rassicurò.
Camilla
la guardò con scetticismo.
“Non fare
quella faccia tu!”, l’ammonì Sandra, “Prima o poi capiterà anche a te!”
“Sempre
che non sia già capitato!”, buttò lì Gwen.
Sandra
sbarrò gli occhi per la sorpresa e Camilla la guardò senza capire.
“Amy di
Starbuck’s mi ha detto che oggi eri con un tizio”, la guardò con curiosità, “E
nel pomeriggio non avevi appuntamenti!”
Sandra
guardò Camilla con bramosia, “Racconta!”, le ordinò.
Camilla
ridacchiò, quindi si diresse verso i fornelli e cominciò a condire la pasta.
“Era solo
un ragazzo che mi ha offerto un caffè”, spiegò. Non sapeva perché, però non
voleva raccontare loro della vera identità del ragazzo.
La voleva
tenere per se. Almeno per un po’.
“Si
comincia sempre così”, considerò Sandra con l’aria di una che la sa lunga,
“Anche io e Jack abbiamo cominciato con un caffè!”
“Ma noi
non abbiamo cominciato”, obbiettò Camilla facendole la linguaccia, “Ci siamo
scontrati per strada, lui mi ha rovesciato il caffè sulla camicia e così ha
deciso di offrirmene un altro. Lo abbiamo bevuto insieme e ci siamo salutati!”,
guardò Gwen e la prevenne prima che potesse dire qualcosa, “E la storia d’amore
si è consumata nel giro di mezz’ora!”
Gwen si
sedette al tavolino, scrutandola con attenzione, “Amy ha detto che era un
ragazzo molto sexy”.
“Lo era”,
confermò Camilla, “Ma non per questo devo necessariamente avere una storia con
lui”.
Sandra
afferrò il piatto che Camilla le stava passando, “Ti ha lasciato il suo
numero?”
“No”
“E tu gli
hai lasciato il tuo?”, indagò Gwen.
“No!”
Le due
ragazze si guardarono rassegnate.
“Cosa
c’è?”, chiese Camilla addentando la sua pasta.
“C’è che
sei senza speranza”, spiegò Gwen, “E non mi spiego perché tu sia così impaurita
quando si tratta di frequentare gente!”
“Lo è
sempre stata”, rincarò Sandra, “Quando abitavamo insieme ho tentato di
scuoterla, ma non è servito!”
“Io non
sono impaurita”, si difese Camilla, “E’ solo che non ho tempo per queste cose.
Non ora. Ho troppo da fare per potermi impegnare in una storia seria”.
Sandra si
versò del vino, “Hai paura di innamorarti, ecco qual è il problema!”
“Sono
d’accordo”, assentì Gwen.
Camilla
bevve il suo vino in un'unica sorsata, “Non ho paura di niente. E’ solo che non
credo nelle relazioni”, le zittì, “E non ho intenzione di farlo solo perché un
ragazzo gentile mi ha offerto un caffè”.
Sandra e
Gwen la fissarono a lungo, quindi scoppiarono a ridere.
“Cosa
ridete?”
Ma, per
sua sfortuna, non le risposero, lasciandola con il dubbio di cosa avessero
voluto veramente dire.
“Cam, sei
stata fantastica con Boreanaz!”.
Robert
proruppe nel suo ufficio, posando una tazza di caffè fumante sulla sua
scrivania.
“Mi darai
un aumento?”, domandò Camilla, prendendo la tazza tra le mani.
Robert si
sedette, ridacchiando, “Guadagni più della metà dei tuo colleghi, e non hai
famiglia”, osservò.
Camilla
alzò un sopracciglio, “E da quando, in questo lavoro, non avere un famiglia è
un deterrente?”
“Da
quando non devi pagare la scuola per i bambini, le loro visite, i corsi
sportivi…”
“Ok, ok,
ho capito!”, lo fermò lei ridacchiando,“Per avere un aumento devo fare un
bambino, è chiaro!”
“Due
sarebbero ancora meglio!”, scherzò Robert.
Camilla
finì di bere il suo caffè, quindi posò la tazza sulla scrivania, “Sei qui solo
per farmi i complimenti?”, indagò.
Robert si
passò una mano tra i capelli, “E per scusarmi”, mormorò.
“Scusarti?”,
domandò Camilla esterrefatta.
Lui
annuì, imbarazzato, “Per la questione del lancio della Breil. Mi sono
comportato male con te”.
Camilla
sospirò. Era la prima volta che Robert le chiedeva scusa per qualcosa. E
questo, assurdamente, le faceva rizzare le antenne.
“E’
andata”, minimizzò lei, sforzandosi di sorridere, “Spero che Rebecca sia
riuscita a trovare un testimonial degno”.
Lui
annuì, poco convinto, “La Theron. Ovvero sia, il testimonial che hanno già”.
Lai annuì
a sua volta. Per una società di PR, servirsi
del testimonial ufficiale di una compagnia, significava ammettere di aver
fallito.
E questo
perché, se una casa d’abbigliamento, o di gioielli, richiedeva l’aiuto di un
agenzia per una serata di gala, voleva dire che stavano cercando un nuovo
volto.
Qualcosa
di diverso.
Qualcosa
di speciale per l’occasione.
E Rebecca
non era stata in grado di fare il suo lavoro.
“Mi
dispiace”, disse Camilla.
Robert
scrollò le spalle, “Non ci pensiamo”, sorvolò, “Ho qualcosa di diverso per te”.
Camilla
si appoggiò allo schienale della sua poltrona.
Lo
sapeva!
“Di che
si tratta?”, domandò, stancamente.
Robert le
sorrise, “Una serata commemorativa”, le spiegò, “In onore di Jhonny Cash e di
June Carter Cash”.
Camilla
si sporse in avanti, incuriosita e Robert continuò.
“La vogliono
fare alla Disney Hall e vogliono che sia qualcosa di semplice ma bello.
Qualcosa che rispecchi la personalità dei Cash, insomma”.
Camilla
sorrise. Si era aspettata qualcosa di completamente diverso. Lei adorava Jhonny
Cash, anche se…decise di soprassedere. A certe
cose era meglio non pensarci.
“E’ una
bella cosa”, disse infine, “Mi piace. Come la devo gestire?”
Robert le
sorrise incoraggiante, “Qualche concerto, qualche foto…. E non dimenticarti di
contattare gli amici di Cash, i suoi fans più famosi. E cerca una busta di
gadget appropriata”.
Camilla
appuntò tutto nel suo taccuino, annuendo sistematicamente.
“Quanto
tempo ho a disposizione?”
“Due
mesi”, borbottò Robert.
Ecco
l’incaglio! Due miseri mesi per una commemorazione erano un tempo decisamente
ristretto.
Troppo
ristretto.
“E poco,
lo so”, la prevenne lui, “Per questo l’ho chiesto a te. So che non ci
deluderai”.
“Mi serve
un’èquipe”, considerò lei.
“Ti do
Gwen e Mark”, disse lui.
“Non mi
bastano”, obbiettò lei, “Voglio anche Jennifer e Rowena”
Lui
allargò le braccia in segno di resa.
“Quanto
budget?”, domandò.
“Illimitato”,
sorrise Robert, “L’importante è che tu contatti John Carter Cash e ti metta
d’accordo con lui”.
“E’ il
figlio?”, domandò lei.
Robert
assentì con un cenno del capo.
“Va bene”,
disse lei, “Ci sto. Però mi da l’aumento!”
Lui
ridacchiò, “Ne parleremo a tempo debito”, guardò l’abito appeso alla libreria
dell’ufficio di Camilla, “E’ per stasera?”, chiese.
Lei
annuì, “Credi che sia troppo per una serata in onore delle mutande?”
Lui
stavolta rise, “E’ perfetto, Cam!”, la rassicurò.
“Come mai
non ti lamenti che indosso sempre abiti neri?”, cercò di sapere lei.
“Perché
tanto lo indosseresti lo stesso”, osservò lui, alzando un sopracciglio, “Hai un
accompagnatore?”
Camilla
scosse il capo con un sorrisino, “Lo sai che non ce l’ho!”
“Allora
ti vengo a prendere io”, si offrì lui.
“E Anya?”
Anya era
la moglie di Robert. Una donna semplice e divertente. Camilla le voleva bene.
“Anya non
verrà”, disse lui dispiaciuto, “Rimane a casa con il bambino. Dice che
preferisce così!”
Lei si
strinse nelle spalle, lanciandogli un’occhiatina.
“Si lo so
a cosa stai pensando”, disse lui, riferendosi al forfait dei Pitt, “Ma non
voglio litigare. Alle otto sono da te, fatti trovare pronta!”
“Signor
si, signore!”
Lui
scosse il capo, guadagnando strada verso l’uscio.
“E
salutami Anya”, gli gridò dietro lei, “Dille che la capisco perfettamente!”
“Vaffanculo
Camille!”, le rispose lui.
Ma
Camilla rideva.
La serata
era andata ancora meglio di quanto Camilla si era aspettata.
La
Ballroom hall dell’Hilton Hotel di Los Angeles, era gremita di volti più o meno
noti, che si stavano divertendo.
Al tavolo
d’onore, quello in cui sedeva anche lei, c’era Orlando.
Si stava
divertendo, a detta sua, e aveva trovato la nuova collezione un vero spasso.
Adesso una band ingaggiata dalla casa
d’abbigliamento, intratteneva gli ospiti prima della fine della serata.
Camilla,
dopo essersi guardata intorno, era uscita nel patio a fumare una sigaretta.
Era
piuttosto silenzioso lì, e a lei piaceva sempre molto riuscire a
ritagliarsi un attimo di tranquillità durante una serata
importante.
“Ciao Camille!”
Camilla
si voltò, e notò Orlando uscire verso di lei.
“Ciao Mr.
Bloom!”, lo salutò lei, fingendo di non aver notato la pronuncia sbagliata del
suo nome.
“Bella
serata”, considerò lui guardandosi intorno, “Ben riuscita!”
Camilla
sputò una nube bluastra di fumo, e annuì, “Sono contenta che sia stata di tuo
gradimento!”
Lui le
sorrise, “Lo è stata! Anzi ti ringrazio di aver pensato a me come seconda
scelta”, ridacchiò, “Mi sono divertito e ho incontrato un sacco di gente che
non vedevo da tempo”.
Camilla
alzò un sopracciglio, “Tipo Viggo?”, azzardò.
Lui
sospirò, “Tipo Viggo!”
Forse a
causa dell’alcool, Camilla azzardò una domanda impertinente, “Lo sapevi che in
internet girano storie slash sul vostro conto?”
Lui rise.
Di cuore.
“Lo so,
si!”, rise ancora, “Un periodo ero molto divertito da quello che trovavo in
giro!”
Camilla
lo guardò stupita, “Tu leggevi quelle storie?”
Lui
annuì, “E ti assicuro che ce n’erano alcune veramente ben scritte”, le confidò,
“Anche se ti giuro che per quanto voglia bene a Viggo, il mio orientamento
sessuale segna prepotentemente da un’altra parte!”
Lei
ridacchiò divertita, “L’avevo notato!”
Orlando
la guardò di sottecchi, “E tu invece?”
“Non sono
lesbica”, lo rassicurò.
“E sei la
compagna del tuo capo?”
Stavolta
fu Camilla a scoppiare a ridere, “Oh Dio no! Non potrei mai stare con uno come
Robert. E’ troppo isterico! E poi è sposato con una donna meravigliosa!”
Lui annuì,
“Nessun fidanzato dunque?”, la sbirciò, “Sai, l’altro giorno non mi sei
sembrata troppo convinta!”
Camilla
scosse la testa, evitando di pensare alla conversazione della sera prima con
Sandra e Gwen, “Nessun fidanzato”, confermò, “Diciamo che al momento il lavoro
mi assorbe completamente e non ho tempo per cercarne uno”.
Lui le
sorrise, partecipe, “Ti capisco”, mormorò,
“Anche se credo che alla nostra età non dovremmo
trascurare l’amore a causa di un lavoro. Di qualsiasi
lavoro.”
Camilla
sulle prime non rispose.
Lei non
rinunciava all’amore a causa del suo lavoro. Quella era una banale scusa per
evitare di dover spiegare le sue vere argomentazioni.
Camilla
non voleva avere niente a che fare con l’amore, indipendentemente dal suo
lavoro.
Era
sufficientemente convinta di poter rimediare del buon sesso quando ne aveva
bisogno, ma aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più lasciata
coinvolgere in relazioni affettive troppo serie.
Mai più.
Aveva già
dato e non le era affatto piaciuto.
“Forse
hai ragione te”, disse senza crederci veramente, “Ma l’amore arriva quando è il
momento che arrivi. E’ inutile andarlo a cercare!”
“Anche
questo è vero”, le concesse lui, “Però alle volte, anche se lo trovi, non è
detto che tu non debba lottare”
“Si lotta
per tutto, non vedo perché non lo si dovrebbe fare per l’amore”, considerò lei.
Orlando
sorseggiò il suo Daiquiri in silenzio, senza dire nulla.
“E tu
invece?”, domandò Camilla, “Un tipo come te avrà mille donne che lo attendono a
braccia aperte”.
Orlando
rise, tenendo tra i denti la cannuccia nera del cocktail.
Era sexy.
Dannatamente
sexy.
“Confermo”,
biascicò lui, senza lasciare la cannuccia, “Ma evidentemente tra di loro non
c’è quella fatta apposta per me”.
“E se
fosse una fan?”, chiese.
Questa
era sempre stata la sua domanda preferita. Quando entrava in confidenza con i
suoi clienti, presto o tardi la faceva. Era più forte di lei.
“Perché
no?”, disse lui, ribaltando inconsapevolmente la media, “In fin dei conti
sempre una donna è”.
“Si
ma…lei parte avvantaggiata, rispetto a te, non trovi?”
“Cosa
intendi?”, chiese lui giocherellando con la cannuccia.
“Sa già
tutto di te!”
“Non ti
confondere Cam”, il tono di voce era basso ora, “Sa quello che sanno tutti. Sa
quello che vendono sul mio conto”, sospirò, “Ma nessuna fan sa esattamente chi
è Orlando Bloom e questo forse è un punto a mio sfavore…”
“E perché
mai?”, domandò Camilla senza capire.
“Perché a
volte rimangono deluse”, spiegò lui, “Perché mi vedono per quello che non sono
e poi ci rimangono male”.
“E’
triste”, mormorò Camilla soprappensiero.
“Lo è”,
confermò lui.
“Comunque
tra i due, sei tu quella che ha vantaggio!”, le sorrise amichevolmente, “E se
posso darti un consiglio, fuggi dalle celebrità!”
Camilla
posò il suo bicchiere sulla ringhiera e si voltò a mezzo busto verso la porta,
“Vai contro i tuoi interessi, dicendo così!”
Lui rise,
e la guidò all’interno della sala, “E perché mai?”, scherzò lui, “Io non sono
mica una celebrità!”
Entrarono
nella sala, e la gigantografia del viso di Orlando, sopra il palco, riempì
l’intera visuale.
Camilla
lo guardò alzando un sopracciglio, “No, infatti”, rispose alludendo alla foto,
“Tutti quanti possono permettersi una gigantografia nella Ballroom hall
dell’Hilton!”
Lui rise,
salutando Robert con una mano, “Se hai un amico fotografo”, la contraddisse
lui, “Puoi farlo anche te!”
Camilla
scosse la tesa divertita.
Niente da
fare.
Le
celebrità avevano un modo di ragionare estraneo al resto del mondo.
La limo
di Robert si fermò proprio sotto il suo appartamento.
Robert
abbassò il finestrino, quindi diede un’occhiata al palazzo.
“Con
tutto quello che ti pago ti potresti permettere un loft a Downtown”, considerò.
Camilla
raccattò la sua borsa dal sedile, “Non ho bisogno di un loft a Downtown per
sentirmi appagata boss”, chiosò lei.
Robert si
strinse nelle spalle, “Eppure sarebbe più indicato ad una donna in carriera
come te!”
Camilla
scoppiò a ridere, “Per una come me sarebbe indicato una stanza d’albergo”,
scherzò, “Dove le inservienti ti mettono in ordine la camera giorno dopo giorno,
senza lamentarsi!”
Robert
sorrise, “Potresti permetterti anche quella”, rifletté.
“Dobbiamo
necessariamente discutere delle mie abitudini abitative o pensi che posso
andarmene a letto?”
Robert
annuì, “Prima che tu vada voglio sapere una cosa”, mormorò.
“Dimmi”, lo
incoraggiò Camilla.
“C’è
qualcosa tra te e Bloom?”
Camilla
scoppiò a ridere.
Ok,
Orlando era sexy, divertente e…sexy. Dannatamente sexy.
Ma non
era quello che si poteva definire il suo tipo. E per di più era un suo cliente. O almeno, lo era stato.
“No boss,
non c’è niente tra me e lui. Ci siamo simpatici, e basta!”
Robert
fece una strana smorfia, “Eppure ho avuto l’impressione che tramaste qualcosa.
Siete stati fuori nel patio per più di mezz’ora”.
Camilla
si spazientì, “Parlavamo”, disse, “E poi sono stata nel patio anche con Tobey
Maguire quando abbiamo fatto la presentazione dei gadget di Spiderman e lì non
hai avuto niente da dire”
Robert la
fissò negli occhi, “Cam, Orlando Bloom è un personaggio importante. E’ un
personaggio pubblico. Sai meglio di me che in queste cose a rimetterci è sempre
la fanciulla sbavante…lo sai”, la guardò un momento, “E sai anche che potrebbe
diventare un nostro cliente”.
“Non
mischio mai il lavoro con la vita privata”, lo interruppe lei, “Lo sai”.
Un
ricordo vivido di memoria le trafisse la mente. Scosse la testa, decidendo di
non pensarci.
Robert
annuì, “Lo so. Ma so anche che Bloom è un tipo sexy, che piace alle ragazze”.
Camilla
aprì lo sportello, ridacchiando, “Non mi gioco la carriera per una scopata
boss”.
“Oxford?”,
la prese in giro lui, ormai tranquillo.
“No
Cambridge!”, scherzò lei, “Ci vediamo domani in ufficio boss. Dormi bene e
salutami Anya!”
Robert
scosse la testa con divertimento.
La guardò
salire le scale e chiudersi il portone alle spalle.
Aveva
fatto un vero affare ad assumerla. Camilla Ardensi era la punta di diamante di
tutta la Mc Nub PR Agency.
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Capitolo 4 *** Wishing and Hoping ***
CAP4
CAPITOLO QUATTRO
WISHING AND HOPING
Camilla
spinse la porta della boutique di Armani, con un sonoro sbuffo.
Odiava
dover fare shopping.
Anzi,
odiava dover fare shopping nelle boutique di lusso, dove rischiava di
incontrare la metà dei suoi clienti.
E, come
se non bastasse, dove c’erano commesse equivalenti a modelle, che l’ammonivano
continuamente sul suo modo di vestire.
Aveva
scelto Armani proprio per quel motivo.
Mercedes,
la commessa, era una donna simpatica che le forniva sempre ottimi consigli nel
tempo minore. L’opposto delle altre.
Varcò la
soglia e si diresse al bancone.
“Cam!”,
la salutò Mercedes non appena la vide, “Come te la passi, dolcezza?!”
Camilla
la baciò su entrambe le guance, “Bene, grazie. E tu? Cosa mi dici?”
Mercedes
sospirò, “Tutto bene”, ma non sembrava convinta, “Con la serata degli Emmy alle
porte, stiamo impazzendo!”
Camilla
ridacchiò, “Lo immagino”.
“Come mai
da queste parti?”, domandò Mercedes curiosa, “E’ un bel po’ che non ti si vede.
Hai cambiato stilista?”
Cam fece
una smorfia, “No, tranquilla!”, la rassicurò, “E’ solo che avevo abiti da sera a
sufficienza”, si guardò i fianchi sconsolata, “Finché non ho incominciato a
mangiare come un animale!”
Mercedes
rise divertita, e la guidò verso la zona degli abiti da sera, “Sei in ottima
forma. E poi ci sono degli abiti che devi vedere. Era ora che cominciassi a
rifare il guardaroba!”, la canzonò.
Camilla
la seguì, e si fece mostrare tutta la nuova collezione di haute couture.
C’erano
dei pezzi straordinari, così decise di provarne qualcuno.
Alla
fine, dopo quasi un’ora, si decise per un abito lungo color prugna, e per un
altro nero fino al ginocchio, con un grande scialle arancione.
Mentre
Mercedes preparava i capi, Camilla se ne andò nel reparto uomo.
Di
solito, era proprio lì che faceva gli acquisti migliori.
Camice,
pantaloni, bermuda…. Gli uomini Armani avevano a disposizione una collezione
chic ma comoda. Cosa che non si poteva certo dire per le donne.
Mentre
svoltò lo scaffale dei cardigan, finì addosso ad un uomo.
“Mi scusi”,
balbettò in imbarazzo, “Non l’avevo notata!”
“Camille!”
Lei alzò
lo sguardo e finì direttamente negli occhi ammalianti di Orlando.
“Camilla”,
lo corresse lei divertita.
Lui rise,
“Comincio a pensare che tu voglia togliermi di mezzo. Ogni volta che ci incontriamo,
finisco con qualche costola incrinata!”
Camilla
rise a sua volta, “Diciamo che dovevo pareggiare i conti”, scherzò lei,
“Cosicché la prossima volta che ti incontrerò per caso, potrò stringerti la
mano come una persona normale!”
“Quindi
siamo pari?”, s’informò lui.
“Pari!”,
confermò lei con un sorriso.
“Cosa ci
fai nel reparto uomo di Armani?”, le chiese.
“Cerco
qualcosa che mi stia bene”, gli confidò lei, “E che sia più comodo delle
collezioni da donna!”
Lui rise.
Profondamente. Come riusciva solo a lui.
“Sei uno
strano tipo”, commentò.
Camilla
si strinse nelle spalle, “Lo ammetto. E tu invece? Cosa ci fai qui?”
“Accompagno
un amico”, rispose lui rimanendo sul vago. E Camilla non indagò ulteriormente,
“Non mi hai chiamato”, osservò poi.
“Dovevo farlo?”,
chiese lei.
“Pensavo
che lo avresti fatto”, il suo sguardo era allegro, “Pensavo che il mio fascino
ti avesse conquistata!”
Camilla
non si trattenne dal ridere, “Ma sentilo! Mr. Vanesio da Londra!” lo prese in
giro.
“E’
strano! Di solito sono timido e impacciato…”
“Ma il
fatto che ti sei innamorato di me, rende tutto più semplice”, lo interruppe lei
scherzando.
“Hai
ragione. Dopo averti tirato contro un caffè, penso che potremmo anche
cominciare a parlare di matrimonio”.
“Sono
d’accordo”.
“Bene, io
sono un tipo piuttosto semplice”, la informò lui.
“Anche
io”.
“E odio
le cerimonie in grande stile. Quindi penso che una cinquantina di persone siano
più che sufficienti”, scherzò.
“Hai
ragione. Io però non voglio una cerimonia religiosa. Preferisco quella civile”.
“Si può
fare”, concordò lui.
“Ottimo”,
assentì lei, “E poi, per quel che riguarda la casa dove andremo ad abitare,
preferirei una villetta in campagna, circondata dal verde”.
“Ci sto”,
continuò lui, “Però voglio almeno due cani. Li adoro!”
“Te ne
faccio tenere tre, se mi compri un gatto”.
“Andata!”,
rise lui.
“Bene,
quindi siamo d’accordo?”
“D’accordissmo”,
disse lui, stringendole la mano come a suggellare un patto, “Facciamo il 16 di
Giugno? Pensi che possa andare?”
Lei finse
di pensarci, quindi annuì con un risolino, “Non ho impegni per quel giorno!”
“Degli
inviti te ne occupi tu?”
“Naturale!”,
disse lei, “E’ il mio lavoro. Tu fammi avere gli indirizzi e al resto ci penso
io!”
“Perfetto.
Solo una cosa a tal proposito: non voglio le partecipazioni ocra!”
“Non c’è
problema, le utilizzeremo….”, ci pensò su, “Qual è il tuo colore preferito?”
“Nero”
Lei fece
una smorfia di disgusto che lo fece ridere.
“Ok,
blu”, le concesse.
“Bene,
sfondo blu con scritta bianca. Sembrerà il matrimonio di due marinai ma non ci
importa!”
Questa
volta lui scoppiò a ridere di gusto, “Non ci importa!”, ripeté ridendo.
“E
Orlando, non ti azzardare a presentarti con i pantaloni cargo, intesi? Ti
voglio in tight!”
“Tight?”,
ripeté lui con una smorfia, “Non posso limitarmi ad uno smoking?”
“Vada per
lo smoking”, sospirò lei.
“Allora
siamo intesi?”, domandò lui.
“Intesi!”
“Anche
se…”, si sporse verso l’orecchio di Camilla con aria complice, “Cam, noi non
abbiamo mai fatto sesso!”
“Se è per
questo non ci siamo neanche mai baciati!”
“E io non
ho il tuo numero”, considerò lui.
“Né io il
tuo”.
Orlando
si rizzò in piedi, con un luccichio divertito negli occhi, “Sarà un matrimonio
perfetto!”, disse battendo le mani.
“Ne sono
convinta!”
Una voce
maschile chiamò Orlando dal camerino. Lui rispose sbrigativamente, quindi si
rivolse di nuovo a Camilla, “Devo andare, ora”, mormorò, “Ci rivediamo?”
Camilla
assunse un aria misteriosa, “Chissà…”, scherzò, “Di sicuro ci vediamo il 16
Giugno alle ore dieci in municipio!”
Lui annuì
divertito, “Allora se non ci vediamo prima, ti aspetto per il 16!”, sorrise
lui.
Lei lo
salutò con un cenno della mano, quindi scese velocemente le scale.
Quel
ragazzo era un portento.
Dopo un
paio di appuntamenti di scarsa importanza, Camilla convocò il team che Robert le
aveva assegnato, nella sala di ghiaccio.
Erano in
cinque, probabilmente pochi per una serata commemorativa, ma avrebbero dovuto
adattarsi.
Camilla
aprì una cartella piena di fogli e cominciò a dargli un’occhiata.
“Allora
gente, dobbiamo lavorare bene e velocemente”, attaccò, “Mark e Gwen si
occuperanno degli inviti, Jennifer dei contatti con gli sponsor e Rowena darà
una mano a me”.
“Qualche
idea per le partecipazioni?”, domandò Gwen aprendo il suo blocco.
Camilla
li guardò uno per uno, “Conoscete Johnny Cash?”, domandò.
Gli altri
risposero affermativamente, più o meno convinti.
“E se
doveste dirmi una parola per rappresentarlo?”, chiese poi.
Brainstorming.
Era il modo migliore per farsi venire delle idee.
“Nero”,
rispose Mark, “In fin dei conti era The Man in Black”.
Camilla
annuì, appuntando qualcosa nella sua agenda.
“A me
viene in mente Folsom Prison”, disse invece Rowena, “Quello è il suo disco di
maggior successo”.
“Allora
anche la Sun Record”, propose Gwen.
“E perché
non la chitarra?”, intervenne Jennifer, “La metà delle foto che si hanno di lui
lo ritraggono con una chitarra”.
Camilla
ci pensò un po’ su, “Potremmo fare un invito nero, a forma di chitarra, con le
corde chiare in evidenza come a voler ricordare le sbarre di Folsom”, propose
poi.
“E’ un’idea
grandiosa!”, si complimentò Rowena.
“E lo
slogan?”, domandò Mark.
Camilla
sospirò, “Ci penserete te e Gwen. E penserete anche ad altri prototipi per le
partecipazioni”, ordinò, “Avete ricevuto la lista dei nomi da Robert?”
Gwen
annuì, “Sono più di duecento persone. Credo che dobbiamo cominciare a spedire
gli inviti già dalla prossima settimana se vogliamo coprirli tutti”.
“Gli
ospiti di punta?”, chiese Jennifer.
Camilla
sbirciò nell’agenda, “Sono una ventina ad essere sinceri”.
“Ti
mancano gli ultimi due”, la informò Gwen passandole un foglio.
Camilla
sulle prime non lo lesse, lo abbandonò sopra agli altri.
“Jen, per
quello che riguarda gli sponsor, dovresti contattare lo studio di registrazione
che si occupava di Cash, poi penso che la Kodak e un paio di emittenti
televisive possono bastare!”
“E!
Enterteinment, può andare? Magari ci montano sopra un bel servizio”.
Camilla
si strinse nelle spalle, “Vedi tu, voglio che comunque non sia un pastrocchio
come quando sono venuti alla presentazione di Dolce & Gabbana!”
“Me ne
occupo io, tranquilla!”
Camilla
annuì, “Bene, allora! Ci aggiorniamo per domani mattina. Mark e Gwen entro
domani pomeriggio voglio almeno tre prototipi degli inviti, Jen contatta gli
sponsor e cerca di scoprire se c’è qualcun altro interessato alla serata.
Rowena tu, invece, dovresti farmi la cortesia di contattare queste persone e
fissarci un appuntamento per il prima possibile”, guardò i nomi. Erano per lo
più dirigenti e agenti, tranne uno, John Carter Cash, “Te ne occuperai tu, fatta
eccezione per Junior”.
Si
alzarono, pronti a tornare al loro lavoro.
Camilla
rimase seduta a riordinare i documenti e Gwen le si sedette accanto, “Ho un
messaggio per te”, sussurrò.
Camilla
si voltò, “Da parte di chi?”
Lei
scosse il capo, “Me lo ha dato Hannah della reception”, la informò passandole
il biglietto, “Ma non sappiamo di chi sia”.
Camilla
lo aprì e nel leggerlo, cominciò a ridacchiare divertita.
“Chi ti
scrive?”, curiosò Gwen.
“Un
ragazzo”, la guardò, “Il ragazzo del caffè”, le spiegò.
“E cosa vuole?”
“Offrirmi
un altro caffè”, si alzò, “Vado”.
“Adesso?”
“Voglio
prima passare per casa”, spiegò camminando verso il suo ufficio, “Se Robert mi
cerca digli che sono andata dalla Carlyle, non farà domande”.
Gwen la
guardò entrare nell’ufficio, quindi si precipitò nel suo per chiamare Sandra.
Si guardò
allo specchio all’incirca un milione di volte, finché decise di chiudere l’anta
dell’armadio e andarsene dalla camera.
Guardarsi,
le faceva vedere difetti che in quel momento preferiva ignorare.
Prese le
chiavi dell’auto e uscì in strada.
Prima di
partire lesse nuovamente il biglietto: “Cara Camille, pensavo che magari, prima
di sposarci, potevamo provare a mangiare qualcosa insieme. Ti aspetto da
Romolo’s (trovi la cartina all’interno della busta), per le 20.00. E se per le
20.30 non sarai arrivata, ti avverto che lo prenderò come un rifiuto e che
quindi il nostro matrimonio sarà annullato.
Ci
vediamo stasera. Orlando. P.S. Spero
che mentre leggevi il biglietto, nella tua mente si sia attivata la correzione
automatica!!”
Rise
ancora, quindi ripose nel cruscotto il biglietto e partì alla volta di
Romolo’s.
Era un
po’ fuori città, a dire il vero, ma la cosa non la preoccupava. Avrebbe avuto
tempo per pensare.
Sembrava
assurdo, ma sperava che la serata andasse bene e non perché ci aveva investito
chissà cosa, ma perché Orlando era un ragazzo simpatico.
Voleva
fare le cose per bene, con lui.
Certo,
non intendeva aprire una relazione, ma comunque poteva nascere una buona amicizia.
Sapeva
che molte donne, al suo posto, non ci avrebbero pensato due volte a concedersi
completamente, ma lei non era tutte le donne.
Lei era
Camilla Ardensi.
E questo,
di per se, la diceva lunga su molte cose.
Certo,
Orlando non era un suo cliente, non ancora almeno, quindi questo avrebbe
semplificato di molto le cose, ma comunque non intendeva rischiare. Conosceva a
sufficienza la vita delle celebrità, per sapere che non sarebbe stata portata.
Per niente.
Lei
odiava le prime, odiava i servizi fotografici, i paparazzi e la stampa scandalistica.
In breve,
odiava la metà delle cose di cui le celebrità vivevano. E per quanto Orlando
sembrasse un tipo un po’ fuori dai canoni, non se la sentiva di andare da lui
con l’aspettativa che succedesse qualcosa di più.
Svoltò a
sinistra e dopo un centinaio di metri, l’insegna di Romolo’s le invase la
visuale.
Era
arrivata.
Si
sbirciò velocemente nello specchietto retrovisore, quindi raccattò la borsa e
scese.
“Cominciavo
a preoccuparmi”.
La voce
profonda di Orlando le arrivò da dietro le spalle.
Si voltò
e gli sorrise. Non era un grande sforzo.
“Sono
ancora in tempo”, osservò lei, guardando l’orologio.
Lui si
avvicinò e la baciò su entrambe le guance, “Per cinque minuti”, mormorò lui.
“Come mai
questo ristorante?”, domandò lei, indicando con un dito l’ingresso del locale.
“E’ un
bel posto”, le spiegò lui incamminandosi verso l’entrata, “E si mangia
un’ottima cucina italiana. Il proprietario è di Napoli o forse di Milano, non
ricordo bene”.
Camilla
rise, “Bhè c’è una buona differenza. Sono ai lati opposti del paese”.
“Non lo
so”, disse lui aprendo la porta per lasciarla entrare, “So solo che fanno
dell’ottima pasta!”
Lei lo
seguì al tavolo, guardandosi intorno.
In
effetti, il ristorante, aveva una pesante influenza italiana. Per quanto fosse
bizzarro, Camilla si sentì a casa. L’Italia le mancava.
Le
mancava molto.
“Orlando!”,
un uomo piuttosto corpulento, con un camice bianco da cuoco, si avvicinò al
loro tavolo. Camilla ci mise un istante a capire che Romolo era di Roma. Né di
Napoli, né di Milano. Si collocava perfettamente nel mezzo.
Orlando
si alzò e lo abbracciò, dandogli un paio di pacche sulla spalla.
“E chi è
questa signorina?”, domandò Romolo.
Orlando
la presentò, “Si chiama Camilla, ed è italiana come te”
Romolo le
strinse la mano e cominciò a parlare in italiano. Le domandò il nome, cosa
faceva a Los Angeles e dove abitava in Italia.
“Roma”,
disse lei sorridendo.
Romolo
fece un gran sorriso, “Una compaesana!”, esclamò, “Augusto!”, gridò, “Porta una
bottiglia di rosso a questi signori. Un bel Rosso di Monetefalco!”
Camilla
sorrise compiaciuta, “Erano anni che non ne bevevo un po’!”, considerò.
“Potreste
parlare nella mia lingua?”, chiese Orlando sorridendo, “Seguirvi è piuttosto
difficile!”
Romolo
rise di gusto, quindi si sedette tra di loro, “Hai ragione Orlà, perdonami!”,
si rivolse a Camilla, questa volta in inglese, “Allora, tra un po’ uscirà un
bell’articolo in cui ci sarà scritto che tu sei la nuova fidanzata di Orlando?”
Camilla
rise. La divertiva molto sentire Romolo chiamare Orlando con quell’accento.
Sapeva d’Italia.
“Non
credo che sarà così”, lo smentì divertita, “Anzi, mi auguro proprio che la
stampa ne resti fuori!”
Orlando
annuì con partecipazione.
“Però sei
la sua fidanzata?” continuò Romolo imperterrito.
Stavolta
Orlando parlò per lei, “Non ancora. Abbiamo deciso di sposarci ma si può dire
che neanche ci conosciamo”.
Romolo
guardò prima l’uno poi l’altra senza capire, “Sposarvi?”
Camilla
lo guardò e scoppiò a ridere, “E’ uno scherzo!”, lo rassicurò, “E comunque non
sono la fidanzata di Orlando. Siamo solo amici!”
Romolo si
strinse nelle spalle, “Vabbè”, disse in italiano, per poi proseguire in
inglese, “Comunque ho già in mente il menù per voi. Penette all’arrabbiata e
una bella fiamminga di verdure grigliate. Poi tiramisù, e caffè”, guardò verso
Camilla, “Caffè espresso. Quello vero. Non la brodaglia che bevono loro! Può
andare?”
“Penso
che sia perfetto, non trovi?”, interloquì Orlando.
Camilla
annuì.
“Allora
vado in cucina. Nel frattempo vi faccio servire un paio di antipasti”, guardò
Orlando e gli fece l’occhiolino, “Quelli che piacciono tanto a Mr. Le Conquisto
Tutte!”, quindi si incamminò goffamente verso la cucina.
Camilla e
Joaquin si guardarono.
E
scoppiarono a ridere.
“Sono
pienissima”, considerò Camilla, mentre camminava per il parco del quartiere con
Orlando.
Lui
sorrise, “E’ inevitabile quando si mangia in posti come questo”.
Camilla
annuì. Quel sapore tipicamente italiano, le aveva fatto tornare un grande
appetito. Il sugo abbondante, il peperoncino calabrese, le verdure vere…avevano
risvegliato una fame che si accorse era rimasta sopita a lungo. E poi la sua
lingua parlata a voce alta, il carattere tipicamente romano di Romolo…
“A che
pensi?”, chiese Orlando, voltandosi verso di lei.
“A casa”,
si voltò a sua volta, “Quella vera, in Italia”.
Lui fece
una strana espressione, che somigliava vagamente ad un sorriso, “Ti manca?”
Camilla
ridacchiò, “A giorni alterni, e oggi e uno di quelli”.
“Anche a
me capita, qualche volta”, le confidò, “Ma non è mancanza di casa,
probabilmente sento la mancanza dell’infanzia…di quando si stava tutti
insieme…”
Camilla
sapeva.
Lavorare
in quell’ambiente, a quei ritmi spesso ultraterreni, nonostante la fama e i
guadagni, obbligava a lasciare indietro molte cose.
Sebbene
Orlando sembrasse un tipo molto attaccato alle sue radici, era evidente che
soffriva per non poter davvero godere della semplicità del quotidiano.
Sorrise e
decise di cambiare discorso.
“Vuoi sapere cosa mi manca adesso?”, disse lei
in tono leggero, “Una birra”, dichiarò, “Una bella birra fresca che mi aiuti a
combattere questo dannato caldo!”
Orlando
la guardò, quindi rise.
Una
risata delle sue. Profonda, piena. Come se uscisse fuori un po’ di cuore,
mentre lo faceva.
“Una
birra?”, ripeté guardandola.
Camilla
annuì, con un gran sorriso.
Lui la
guardò ancora un po’, uno sguardo grato. Grato di non aver posto quella
domanda. Quella che prima o poi arriva sempre.
“Ok,
all’uscita del parco c’è un pub”, la informò, “Possiamo andare lì”.
Camilla
ci pensò su.
Non le
andava di tornare in un altro locale e di sommergersi nelle voci che lo
riempivano.
Voleva
rimanere all’aria aperta.
Con lui.
Da soli.
“Dici che
possiamo prenderne due da portar via?”, chiese, “E’ così caldo stasera, e qui
si sta divinamente”.
“Perché
no?”, disse lui.
L’afferrò
per una mano e cominciò a percorrere velocemente gli ultimi metri che li separavano dall’uscita.
Correva
quasi.
E Camilla
non riusciva a stargli dietro. Rideva, e ogni tanto inciampava sui suoi passi,
senza che Orlando rallentasse per farle riprendere il ritmo.
Quando
arrivarono all’ingresso del pub, lui si fermò di scatto e Camilla gli finì
addosso.
Lui rise,
“Ok, è ufficiale. Dopo un po’ che stiamo insieme tu devi sbattermi contro”.
Camilla
si mise una mano sui fianchi, fingendosi indispettita, “Si da il caso che tu
stavi correndo e si da il caso che la sottoscritta non è allenata. E poi ti sei
fermato di botto!”
“Dì la
verità Camille”, la canzonò lui, “Non
ce la facevi più a starmi lontana!”
Lei lo
spinse all’interno del locale, facendolo ridere.
Dopo aver
ordinato due birre si voltò finalmente verso di lui, “Il mio nome è Camilla”,
precisò fingendosi arrabbiata.
Lui stette
al gioco, “Camillà!”, lo pronunciò con un buffissimo accento francese.
Camilla
dovette trattenersi dal ridere, “Ca-mi-ll-A!”, sillabò sottolineando la –a
finale.
Lui
annuì, “Camilla”, si strinse nelle spalle, “Potevi dirlo subito no?”.
Lei
acciuffò la sua birra, gli fece la linguaccia e uscì velocemente dal pub. Poco
dopo lui la raggiunse. Il passo tranquillo, rilassato.
“Ah sei
qui, Camille?”, continuò a sfotterla,
“Pensavo te ne fossi andata!”
“Volevi
liberarti di me?”, lo punzecchiò lei.
Lui si
fece serio, “No”. Lo disse con la voce bassa, roca.
Lei
sorrise, in imbarazzo, “Peccato!”, decise di scherzarci su, “Perché io volevo
liberarmi di te!”
Lasciò la
birra ormai finita a terra e cominciò a correre verso il parco.
Lo vide
finire la sua birra in un sorso e seguirla, correndo a sua volta.
Nel giro
di una manciata di metri, le fu addosso, “Presa!”, rise forte, “Per liberarti
di me dovrai allenarti!”
Lei si
voltò. Aveva il volto arrossato per lo sforzo e respirava affannosamente.
I suoi
occhi erano stati resi lucidi dalle risate.
Lui la
guardò e pensò che fosse bella.
Bella,
nel vero senso della parola.
Non ci
pensò molto, decise di fare l’unica cosa che aveva voluto fare da quando
l’aveva vista scendere dall’auto.
Le prese
il volto tra le mani, e la baciò.
Eccoci di nuovo qua!!
Diciamo che la storia sta velocemente entrando nel vivo e questo
mi provoca un’infantile moto di gioia! Questa settimana ho lavorato molto e
quindi in questo week end avrete mooolti aggiornamenti succulenti (spero!).
Ma comunque tenete a bada i dettagli…sono quelli che contano,
credetemi!
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni che avete lasciato. Per
me è fantastico sapere che c’è qualcuno a cui piacciono le follie che scrivo! Devo
anche ammettere che scrivere di Mr. Magnificent non è poi uno sforzo…viene
naturale!!E un ringraziamento speciale va anche a coloro che mi hanno aggiunto
tra i preferiti e a quelli che invece si limitano a leggere…siete importanti
per me!
Per oggi penso che sia tutto, ma probabilmente domani avrete
altri due nuovi capitoli….la questione si complica, gente!!
Un abbraccio e GRAZIE! DI CUORE!
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Capitolo 5 *** Breathless ***
CAPITOLO 5
CAPITOLO CINQUE
BREATHLESS
“Sinceramente
Cam, non capisco dove sia il problema”.
Sandra si
accese una sigaretta e fissò l’amica diritta negli occhi.
“Non
doveva andare in quel modo”, si lamentò Camilla, “Siamo stati bene, ci stavamo
divertendo…”
“E per
queste ragioni è finita in quel
modo”, finì Sandra per lei.
Camilla
la guardò con una smorfia, quindi sbatté la testa sul tavolino in modalità
“foca ferita da bracconiere bastardo”.
Era
cosciente di stare facendo una tragedia per nulla, però, pensare a quel bacio
adesso, le provocava un pesante magone allo stomaco.
“Cam
ascoltami bene”, interloquì Sandra, “Sei uscita con un ragazzo e avete
trascorso una serata divertente. Spiegami adesso cosa c’è di strano se a fine
serata lui ti ha baciata”.
Camilla inspirò
profondamente. Non c’era niente di strano, in effetti. O almeno, non ci sarebbe
stato niente di strano se il ragazzo in questione fosse stato un ragazzo
qualunque.
Ma
Orlando non era uno qualunque.
Lui era
uno di quelli di cui ti potevi innamorare.
Così,
senza troppe spiegazioni.
E lei non
se lo poteva permettere. Non era portata per quel genere di relazioni, questo
era evidente, e non voleva ferire Orlando. Voleva che le cose tra loro
rimanessero tranquille e chiare, senza complicazioni affettive.
“Cam?”,
la chiamò Sandra, “Mi spieghi che ti succede?”
“Niente”,
mentì lei, “E’ solo che questo ragazzo…”
“Vuoi
dirmi almeno il nome?”
Camilla
la fissò lungamente negli occhi. Doveva raccontarle tutto.
“Orlando”,
sussurrò, “Orlando Bloom”.
A Sandra
andò per traverso la limonata che stava sorseggiando. Tossicchiò un paio di
volte, sventolandosi una mano in faccia e tentando –inutilmente- di darsi un
contegno.
“Orlando
Bloom?”, ripeté strabuzzando gli occhi.
“Parla
piano”, l’ammonì Camilla, “Evitiamo che mezza Los Angeles venga a sapere di
questa storia ok?”
“Ok,
perdonami”, si scusò Sandra, “E’ solo che…Cristo Santo Cam! Orlando Bloom!”,
gridò di nuovo.
Camilla
ridacchiò. Poi la guardò male, “Se preferisci ti do il numero del giornale
scandalistico, così magari la smetti di gridare come un’invasata!”
Sandra
sorrise, “Ok, ho capito, la pianto!”, ridacchiò, “Orlando Bloom, Cam!” disse,
“Orlando Bloom!!”
“Lo so!”,
annuì, “Suona strano anche a me!”
Sandra
fece un enfatico cenno d’assenso, “E’ questo che ti mette agitazione? Il fatto
che lui sia un tizio conosciuto?”
Camilla
sospirò, “Non lo so”, prese una sigaretta e l’accese, “Non lo so San! Lui mi
piace, è un bel tipo ma è un tipo a rischio”.
“A
rischio?”
“Andiamo
troppo d’accordo San. E ci siamo incontrati solo tre misere volte”.
Sandra
ridacchiò di gusto, “E cosa c’è di male ad andare d’accordo con un ragazzo?”
“C’è che
potrei innamorarmene”.
“E
allora?”
“E allora
lo sai che non mi va di imbarcarmi in situazioni del genere!”
Sandra la
guardò con disapprovazione. Conosceva a memoria le teoria di Camilla a
proposito dell’amore, ma sperava che le accadesse qualcosa che le facesse
cambiare idea.
E Orlando,
poteva essere quello giusto.
Certo,
Cam aveva ragione, era un tipo a rischio. Ma non nel senso che intendeva lei.
Era a
rischio perché era un attore famoso.
E perché
aveva una vita completamente opposta a quella di Camilla. Una vita non troppo
dissimile da quella di Joaquin, l’ex della sua amica.
Ma di
questo se ne sarebbero occupate a tempo debito. Adesso il vero obbiettivo era
sciogliere i nodi di Cam.
“Perché
non provi a darti una chance, Cam?”, le domandò, “Invece di cercare sempre di
prevenire le situazioni perché non provi a godertele?”
“Io non
prevengo le situazioni”, si difese lei.
“E invece
si”, obbiettò Sandra, “Tu hai paura di uscire con i ragazzi, non per chissà
quale bizzarra convinzione, ma solo perché non potresti avere tutto sotto
controllo”.
Camilla
abbassò lo sguardo colpevole.
“L’ho
sempre saputo Cam”, le sorrise Sandra con gentilezza, “Ma stavolta ti chiedo di
non organizzare questo rapporto così come organizzi gli eventi per l’agenzia.
Lascia che le cose vadano per la loro strada. Non imporre il tuo ritmo, segui
il loro!”
“Parli
facile tu”, dissentì Camilla, “Sei sposata ad un uomo che ti ha insegnato con
pazienza come si ama. Non tutte hanno la tua fortuna sai?”
Sandra
scosse la testa, “Jack mi ha insegnato ad amare perché io gliel’ho lasciato
fare. Perché ero pronta per una storia vera. Era pronta per una storia.”
“E come
lo hai capito?”
“Perché
ho cominciato a pormi le tue stesse domande”.
Camilla
chiamò la cameriera e ordinò altri due caffè.
“Non mi
sei d’aiuto”, brontolò.
“Lui è un
contatto dell’agenzia?”
Camilla
scosse la testa, “Da quanto ne so io no o almeno non ancora. Dopo l’evento
della Victoria’s Secret so che Robert voleva proporgli un contratto, ma sono
passate settimane e non se ne è saputo più nulla”.
“Bhè
questa è una cosa positiva, no?”
Camilla
fece una smorfia.
“Almeno
non è un tuo contatto. Puoi frequentarlo liberamente”, proseguì Sandra, “E
prima di raggiungere giudizi affrettati, dagli l’opportunità di farsi
conoscere”.
“Lo
faccio con tutti”, obbiettò Camilla.
Sandra le
puntò addosso un’occhiata scettica, “Non dire bugie”.
Camilla
la guardò implorante, “Oh Cristo!”, imprecò, “Cosa devo fare?”
Sandra le
sfiorò una mano con affetto, “Non imporre il tuo ritmo, ma segui quello che già
senti”, ripeté.
Come se
fosse una cosa sensata, pensò Camilla tra se e se.
Seguire
il ritmo.
Teoricamente
era una cosa piuttosto semplice a dirsi. Naturale.
Tutti
seguono un ritmo immaginario, lei compresa. Per quanto detestasse ammetterlo,
danzava con la vita da sempre. Faceva passi avanti e passi indietro.
A volte
inciampava e poi continuava a ballare.
Tuttavia
non l’aveva mai trovata una cosa eccezionale. Era comune…
Pensava a
questo quando Colin proruppe nel suo ufficio con un sorrisino beffardo in
volto.
Indossava
un cappello di lana marrone e una felpa nera.
Sembrava
un tizio qualunque a vederlo in quel modo. Non dava assolutamente l’impressione
di essere una star stra pagata dallo showbiz, tutt’altro.
“Ciao
fottuta italiana!”, la salutò lui accomodandosi sulla sedia.
“Ciao
stronzo irlandese!”, ricambiò Camilla con un sorrisino, “A cosa devo l’onore?”
Colin
ridacchiò, “Posso fumare?”, non le diede il tempo di rispondere che già aveva
acceso la sua sigaretta, “Sono venuto a salutarti”, continuò, “E a informarti
che nonostante la tua assenza la serata dai ragazzi del centro è stata una
cazzo di serata fantastica! Ci siamo scolati delle fottutissime birre con
quelli più grandi e abbiamo parlato di sesso!”
Camilla
si riscosse. La serata…lei era con Orlando e se ne era completamente
dimenticata…
“Capito
Cam? Di sesso”, sottolineò lui con un sorriso.
“Tipico
del proletario Farrell, ci manca solo che la prossima volta gli insegni a
costruire sigarette con il giornale!”
Lui
scoppiò in una risata, “Non è una cattiva idea! Sai cosa dice il mio agente?”,
prese un foglio lo piegò e ci ciccò sopra la cenere. Aveva sempre questo strano
modo nervoso di fare. Come se dovesse compiere il maggior numero di azioni nel
minor tempo possibile, “Dice che dovrei essere più ordinario”
Camilla
alzò un sopracciglio, “Ordinario? Tu?”, rise, “Come no, Colin!”
Lui rise
a sua volta, “Visto? Sei la seconda fottuta persona che ha questa reazione.
Cazzo!”, sbottò, “Per me questo è essere ordinario. E poi cosa cazzo significa
la faccenda di essere morigerati? Che senso ha? Devo chiedere il permesso per
farmi una scopata?”
Camilla
incamerò aria, “Stiamo facendo una delle nostre sedute qui?”
Qualche
volta gli capitava. Magari stavano discutendo su come organizzare la serata e
su come evitare che Colin si portasse a letto le ballerine e lui se ne usciva
con queste considerazioni.
Camilla
alle volte pensava che avesse paura di essere disapprovato. Non da tutti,
beninteso, ma dalle persone che stimava. Aveva sempre creduto che nonostante la
strafottenza era un uomo fragile.
“’Fanculo
Cam!”, disse lui a denti stretti.
“Colin”,
sospirò, “Per me vai benissimo così. Sei tu e non ti fai piegare dalle loro
leggi! E’ grandioso…”
“Però?”,
domandò lui.
“Però
alle volte potresti…che so, contenerti!”
“Non sono
un fottuto Preppy, Cam!”
Camilla
rise, “I Preppy si contengono?”
“I Preppy
vivono come se avessero un palo ficcato su per il culo. Ormai dovresti averlo
capito”, spense la sigaretta e sputò nervosamente il fumo, “E c’era questo
ragazzo l’altra sera, sai? Lui se ne esce dicendo che adora Marilyn! Cazzo, mi
sono detto. Ha sedici anni e adora Marilyn…da non credere!”
Camilla
sorrise, “Colin tutti adorano Marilyn. Non so perché, però è così!”
“Te lo
dico io perché, Cam”, sospirò lui con l’aria di chi la sa lunga, “Perché era
una donna incredibile. Tu la guardavi e pensavi che poteva essere la tua
scopata più zozza, ma nello stesso tempo aveva questo sguardo fragile, sai?
Come se fosse sempre impaurita. C’era da diventare matti con una donna del
genere. Poteva spezzarti il cuore”.
Camilla
lo guardò con interesse, “Da quand’è che ti metti a psicanalizzare gli attori?”
“Non solo
quelli”, disse lui allusivo.
“Stai
psicanalizzando anche me?”
“Sei
strana. Ti è successo qualcosa di fottutamente bello”, la scrutò, “O
devastante!”
“C’è
qualche differenza?”
Lui
sbuffò, e si accese un’altra Camel light, “Adesso non ti mettere a fare la
fottuta italiana poetica, ok?”
“Non
faccio la poetica”, obbiettò lei.
“Si la
fai”, la contraddisse lui, “Hai questo cazzo di modo strano no? Ogni tanto
butti lì delle frasi fottutamente vere e lasci che la gente si domandi cosa
volevi dire. Sei una fottuta filosofa!”
“Non ero
poetica?”
“E poi
puntualizzi”, continuò Colin come se lei non avesse nemmeno parlato, “Stai
sempre li a rompere i coglioni alla gente sai? Anche al tuo capo. Lo guardi
come se fosse un completo idiota”, rise, “Non che non sia d’accordo con te,
però cazzo Cam. Potresti provare ad essere gentile qualche volta!”
Camilla
scoppiò a ridere. Farsi fare una predica del genere da Colin era un chiaro
segnale di pericolo. Evidentemente aveva valicato il limite di guardia.
“Adesso
non fare la faccia di quella che pensa che il fottuto maleducato sono io”, la
prevenne lui, “E dimmi cosa cazzo è successo! Dai!”, la pregò, “Siamo amici
no?”
Camilla
sorrise.
“Sono
uscita con un tizio”
Lui
annuì, come se fosse una cosa normale, “E allora?”
“E allora
niente”, tagliò corto lei.
“Non è
stato all’altezza? Era un cafone? Uno di questi tizi americani che pensano di
sapere tutto del mondo e invece non sanno un cazzo di niente?”
“No”,
mormorò Camilla, “Affatto”.
“E allora
qual’è il problema? Ti ci trovi bene no?”
“Si”.
“Cazzo
Cam!”, sbuffò lui, “Potresti provare ad articolare una frase, ti pare?”
Camilla
si passò una mano tra i capelli, “E’ che…è complicato!”
Lui la
scrutò a lungo, quindi dopo aver sputato una nuvola di fumo bluastro le piantò
gli occhi addosso, “Hai paura di innamorarti Cam?”, tossicchiò, “Cioè è normale
sai? Ti conosco da tre anni e se si esclude quella
storia, hai sempre fatto quella che se ne sbatte delle relazioni serie. E’ un
bene no? Però forse dopo ti manca quella fottuta intimità, no? Come se non hai
uno scopo vero. Come se non hai un cazzo di niente tra le mani”, le sorrise,
inclinando la testa di lato, “E poi non c’è da vergognarsi Cam. Che cazzo,
l’amore è tosto. Quello vero è come
una festa continua che non finisce mai. Hai l’età in cui le donne si
costruiscono una cazzo di famiglia e ti senti un po’ su quel fottuto limbo no?
Non è mica facile starci”.
Lei
spalancò gli occhi. Aveva colto perfettamente il segno.
“Sorpresa?”,
ridacchiò lui.
“No”,
obbiettò lei con un sorrisino, “E si, hai ragione te. Però questo non è un tizio
qualunque. E’ una persona che mi piace”.
“Appunto!”
“Colin”,
sospirò, “Io non sono portata per le storie belle. Prima o poi va sempre a
finire che spezzo il cuore di qualcuno…”, o che me lo faccio spezzare. Ma
questo non lo disse.
“Se non
ci provi non lo sai”, obbiettò lui.
“Non fare
l’analista con me adesso! Certo che ci
ho provato e ti dico che è sempre andata a finire male!”
Lui
spense la sigaretta nella piantina che Camilla teneva sopra la scrivania, “Con
gli altri te le facevi queste fottute domande?”
Camilla
scosse la testa.
“E allora sei fregata!”
Lui la
stava aspettando vicino San Antonio.
Quando
s’incamminò verso la spiaggia e lo vide, cominciò a ripetersi mentalmente che
era fregata.
Fregata-
fregata- fregata- fregata…
E prese a
ripetersi mentalmente che non poteva andare avanti con quella situazione.
Chiudi-chiudi-chiudi-chiudi-chiudi…
Ma quando
Orlando le si avvicinò con un sorriso che avrebbe sciolto le pareti innevate
dell’Hymalaia, comprese in un nanosecondo che non ci sarebbe riuscita. Cercò di
darsi un contegno ma quando lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo,
la baciò, il contegno si era decisamente preso una vacanza.
Cercò di
nascondere le mani che tremavano nelle tasche dei jeans, e lui la notò.
“Stai
male?”
“Perché?”
“Tremi”
Lei
tossicchiò, “Forse sono un po’ stanca”, ma non ci credeva mentre lo diceva.
“E sei
anche una pessima attrice”, la canzonò lui guidandola verso un chiosco
all’aperto, “Vieni! Ti faccio assaggiare una cosa buonissima! Così magari torni
di un colore umano!”
Camilla
lo guardò con una smorfia, “Ma che simpatico umorista! Avanti, dimmi cos’è
questa cosa buonissima”
“Un
frullato vegetale! Ci sono dentro qualcosa come dieci frutti diversi!”
“Un
vitaminico?”
Lui
ridacchiò, e lei si sporse per vederlo meglio in faccia.
“Perché
ridi?”
Lui la
baciò a stampo sulle labbra, “Perché sei divertente. E sincera!”
Chiamò il
barista e si fece preparare due frullati.
“Non sono
sincera”, disse lei pensierosa, “Prima ti ho mentito!”
“Lo so!”,
disse lui togliendosi gli occhiali da sole, “Però non sei così brava come credi!”
Lei si
mise le mani sui fianchi, “Ha parlato il grande attore!”, lo canzonò.
“Nella
vita non recito”, obbiettò.
“Meglio”,
prese il suo bicchiere di carta e lo seguì fino al muretto che delimitava la
spiaggia, “Perché non lo faccio nemmeno io!”
Lui le
passò un braccio intorno alla vita e si appoggiò alla sua spalla con il mento,
“Cosa c’è di così terribile Cam?”
Lei
lasciò andare un lungo sospiro, “Non pensi che stiamo correndo?”
“Correndo?”,
domandò lui giocherellando con la cannuccia del frullato.
“Si”, lei
si voltò e finì per perdersi nei suoi occhi. Le accadeva continuamente. Un
momento era li, completamente cosciente della sua vita e della realtà e il
momento dopo le sembrava di non riuscire più a definire i contorni.
Veniva
risucchiata da quegli occhi. Era…fantastico!
“Si?”
Lei le
carezzò le labbra con un dito, “Ho paura che a forza di correre ci schianteremo
da qualche parte”. Dannate labbra. Come riuscisse a dire una cosa del genere
mentre sfiorava quella bocca perfetta, risultò un mistero anche per lei.
“A me
piace correre”, obbiettò lui con un sorrisino, “E se devo schiantarmi…mi
schianterò!”
“Orlando
io sono una tizia normale!”, disse
lei. E le uscì come un lamento.
“E io
no?”, scherzò lui.
Camilla
sbuffò, “Io non sono una modella, né un’attrice. Alcune mattine mi sveglio e
sembro un mostro. Sono scostante. Non sono nemmeno gentile”, incamerò aria, “E
poi puntualizzo tutto. E tratto il mio capo come un’idiota. Non sono in grado
di costruire relazioni solide perché, di fatto, non sono del tutto sicura che
l’amore esista”, si guardò intorno, “E poi odio questa città. E’ come una
voragine pronta a fagocitarti e non sono nemmeno sicura che resterò qui per
sempre. Magari un giorno me ne andrò e…”
Lui le spostò
una ciocca di capelli dal viso, “Mi stai dicendo che non vale la pena provarci
con te?”
“Forse
no”
“Posso
deciderlo io?”, le sorrise, “Non sono così diverso da te, Cam. Guardami”,
spalancò le braccia, “Cosa c’è di strano in me? Sono un tizio normale che ha
incontrato una tizia normale e che, com’è normale che sia, ha semplicemente
voglia di conoscerla. Ok, ammetto che forse sei più strana del previsto ma…mi piaci”, rise, “Ok, l’ho detto. Mi
piaci. E voglio trascorrere del tempo con te, se me lo concederai. Non ti sto
chiedendo nulla, solo un po’ di tempo”, la guardò con un’espressione divertita,
“Puoi puntualizzare ciò che vuoi, essere scortese, vestirti come un mostro e
fare discorsi tragicomici sull’amore, ma ti chiedo una possibilità…”
Lei
sospirò. Cioè, era normale? Lui, Orlando Bloom che chiedeva una possibilità a
lei?
No. Non
era normale. Per niente.
Lui era
un pazzo. Ufficialmente pazzo.
Gli
Orlando Bloom di questo mondo, non chiedevano possibilità alle Camille Ardensi.
Magari alle Naomi Campbell…
Ma lui la
guardava con una strana espressione. L’espressione del ragazzo che c’era dietro
la star e dietro la fama. Un’espressione vera.
“Sono un
mostro”, borbottò.
Lui la
baciò su una tempia, “Sei nervosa perché non ti fidi”. Non era una domanda,
bensì un’affermazione.
Rise,
“Cazzo Cam! Non siamo nemmeno mai stati a letto insieme e facciamo i discorsi
delle coppie ventennali!”
Camilla
pensò che lui era perfetto.
Un
connubio perfetto tra l’uomo dei sogni e il tizio ordinario e senza troppe
pretese che gira normalmente per la strada.
Ed era
lì. Per lei.
Gli stava
dicendo, tra le righe, di provare a fidarsi.
E in quel
momento Camilla lo fece. Lasciò cadere il suo bicchiere di plastica e gli gettò
le braccia al collo.
Quando
finalmente lo baciò, si sentì come se un uragano la
stesse sballottando ai quattro angoli del mondo. Si sentì senza
fiato. Risucchiata dalle sue stesse emozioni.
Prima di cadervi definitivamente, ebbe un ultimo pensiero lucido.
Era fregata.
Carissime,
rieccomi!!!
Ci siamo, ormai la
storia è ufficialmente decollata! C’ho gli occhi a cuoricino anche io!
Mi prendo un
piccolissimo spazio per ringraziarvi delle vostre recensioni.
Mi fa piacere che la
storia vi piaccia e, soprattutto che la troviate divertente. Non volevo fare il
classico polpettone del “lei ama lui- lui non ama lei- lui se ne accorge quand’è
troppo tardi – lei fugge- lui la riacciuffa”, condita con frasi che Kate
Winslet in Titanic se le sognava!
Volevo una storia frizzante
e giovane perché i protagonisti sono frizzanti e giovani, e sapere che questo
stile vi piace…bhè…mi riempie il cuore!!
Non so se stasera
riuscirò…ma il prossimo capitolo è pronto. C’è da fare qualche correzione e
forse, prima di notte, lo posterò!
Nel frattempo mi
auguro che questo vi sia piaciuto come gli altri!
Un abbraccio grande
Amaranta
|
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Capitolo 6 *** Have a little faith in me ***
CAPITOLO 6
CAPITOLO SEI
HAVE A LITTLE FAITH
IN ME
La
mattinata era insolitamente fresca. Inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante,
sorridendo sdegnosamente al sole.
Si
sentiva bene. Si sentiva piena.
Aveva
trascorso una serata fantastica in compagnia di un ragazzo fantastico e questo,
di per se, bastava a spiegare quel sorrisino divertito che aveva stampato in
faccia.
Invero,
avrebbe avuto voglia di chiamarlo. Aveva più che altro bisogno di sentire la
sua voce. Di scoprire che quello che stava vivendo era reale, come quell’aria
fresca che le colpiva il volto.
Indecisa
sul da farsi, frugò all’interno dell’auto alla ricerca di un maglioncino quando
il cellulare squillò.
“Pronto?”,
rispose cercando di spostare la borsa da sopra il sedile.
“Buongiorno!”,
la salutò Orlando, “Temo che tu abbia dimenticato il maglione nero nella mia
macchina”.
Camilla
sorrise, erano forse diventati telepatici?
“Ah, davvero?”, si decise a dire, “Stavo
facendo la contorsionista in macchina proprio per cercarlo!”.
Lo sentì
ridere e se si sforzava, poteva immaginarlo mentre scuoteva la testa in quel
modo che lei trovava assolutamente adorabile.
“Cosa fai
oggi?”, le domandò lui.
“Ho un
paio di appuntamenti”, spiegò Camilla mentre accendeva il motore, “E poi una
riunione con il capo per una prémier”.
“Il nuovo
film della Barrymore?”, indovinò lui.
“Esatto!
Peccato che non potrò recapitarti l’invito”, scherzò lei, “Non sei nella mia
lista!”
“Camille”, la sbeffeggiò lui, “Non essere
insolente!”
Lei rise,
“Tu invece?”, domandò poi, “Che programmi hai?”.
Orlando
le spiegò che avrebbe passato la giornata con la sorella, venuta a Los Angeles
per una breve vacanza.
“Ma
comunque la sera sarò a casa”, disse, “Se ti va potremmo vederci”.
Camilla
sorrise.
Se le
andava??
Ovvio che
le andava. Non aveva fatto altro che pensare a lui quella notte. E le sembrava
ingiusto trascorrere tutta la giornata senza vederlo.
Ingiusto, si.
“Certo
che mi va!”, trillò lei felice, “Anche se dovrai spiegarmi la strada!”
“Quelle
come te non dovrebbero essere informate di tutti i domicili di quelli che
contano?”, la prese in giro lui.
“Esatto!”,
stette al gioco lei, “Di quelli che contano, amico!”
“Touchè!”,
rise lui, “Me la sono andata a cercare!”
“E’ una
tua caratteristica a quanto vedo!”
“E non è
tutto”, rintuzzò lui, “Sai cosa faccio una volta che ho trovato quello che
cercavo?”.
Camilla
uscì dal traffico delle highway, svoltando verso l’agenzia.
“No”,
mormorò, “Cosa?”.
Lui
rimase in silenzio per un po’, ma Camilla indovinò che stava sorridendo.
“La prendo”, disse lui con la voce roca,
“E me la tengo”.
Continuò
a fissare quel dannato foglio di carta senza riuscire a smettere.
Quel nome.
Quel
maledetto nome.
Camilla
aveva pensato che sarebbe stato facile liberarsi di lui ma, a quanto pareva,il
destino non era dello stesso avviso.
E perché,
poi, proprio adesso? Adesso che stava finalmente abbassando le difese?
E perché
non ci aveva pensato subito, accidenti a lei? Lui aveva lavorato a quel dannato
film ed era ovvio che sarebbe stato presente. Scontato.
Il
telefono squillò e lei lo raccattò senza nessuna voglia di rispondere.
La voce
dall’altro capo era energica e squillante. Come colui che la possedeva.
Camilla
ridacchiò, “Colin, vieni al punto”, disse poi.
Lui
cianciò qualcosa di incomprensibile, quindi si decise a sputare il rospo.
Sulle
prime, Camilla non disse nulla, rimase immobile a fissare la libreria del suo
ufficio, poi scoppiò a ridere.
“Mi
prendi in giro?”, domandò con un tono tra il divertito e il risentito.
La
risposta di lui non tardò ad arrivare.
“Col… per favore”, sospirò, “Siamo per caso su
Punk’d?”
Camilla
rimase in silenzio, ascoltando la voce di lui che spiegava, si scusava,
ridacchiava e spiegava ancora. Le sembrò assurdamente bizzarro quello che le
stava chiedendo.
“Una
specie di lavoro?”, domandò lei stupita.
Si
concentrò, cercando di trovare una connessione che, per altro, le risultava
evidentemente inesistente.
Fece per
ribattere, ma Robert il suo capo, in compagnia di Boreanaz e Kane bussò alla
sua porta a vetri.
Camilla
si affrettò a concludere la comunicazione, ringraziando un santo qualsiasi per
quell’interruzione.
Fece
cenno a Robert di accomodarsi e recitò a dovere la sua parte da manager con le
contro palle.
“Ok,
ascoltami adesso”, sorrise ai due ospiti, “Ho dei clienti e non posso
risponderti a dovere ma appena mi libero
ti chiamo”.
Colin
disse qualcosa ad alta voce e Camilla, nonostante la posa da donna in carriera
scoppiò a ridere di gusto.
“L’unica
cosa che mi vien voglia di fare adesso è zittirti con una delle mie famose
risposte ma…”, sorrise al capo e ai due ragazzi, “Ne va della mia carriera,
quindi dovrai aspettare”.
Salutò e
chiuse la conversazione.
“Finalmente!”,
sbottò Robert, “Pensavo non finissi più!” si alzò dalla sedia, imitato dai due
clienti, “David e Christian”, disse poi, “Come dire Campari e…”, Robert si
bloccò.
“Gin?”,
azzardò Camilla, stringendo loro le mani.
David
scoppiò a ridere, stringendole la mano con vigore.
“Come
stai?”, le domandò.
Camilla
sorrise. Non si erano mai veramente incontrati, ma avevano parlato spesso al
telefono.
“Bene
grazie”, rispose lei con educazione, “E tu?”
Lui si
accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania, esibendosi in una perfetta
parodia di sorriso, “Non mi lamento”, mormorò.
Camilla
lo fissò con avida curiosità, ma Robert la distolse dai suoi pensieri
passandole una cartella verde satura di fogli.
“Cos’è?”,
domandò lei, esaminandone il contenuto.
Christian
sbuffò, “Una grana”, la fissò negli occhi, “Una delle tante”.
Lei lo
guardò senza capire, quindi si rivolse a Robert, “Pensi di potermi fare un
riassunto?”, domandò sulle spine, “Altrimenti, se escludiamo le ore destinate
al riposo, in tre giorni potrei riuscire a leggerli”.
Robert le
scoccò un’occhiataccia, quindi cercò di far mente locale. Ma David fu più lesto
nel rispondere, “E’ semplice”, disse con voce roca, “Avevano scelto me e
Christian per un video musicale con la Sony.
Abbiamo firmato il contratto, partecipato alle serate di
lancio finché poi la Fox
non ha deciso che dovevamo annullare tutto”.
“Hai idea
di ciò che significa?”, domandò Robert evidentemente in apprensione.
Cam
annuì. Sapeva perfettamente cosa significasse una manovra del genere. Non
sarebbe stata buona pubblicità né per la
Fox né per la
Sony ma, soprattutto per David e Cris.
Leggiucchiò
qualche foglio, in ordine sparso, quindi si decise a porre la domanda. Quella
che le girava in testa da almeno dieci minuti.
“Ok, mi è
chiara la situazione ma in questo caso più che una manager penso che dovreste
rivolgervi ad un avvocato”, considerò.
Robert la
guardò, “Dovremmo, Cam”, precisò.
“Cosa
intendi?”, chiese lei evidentemente sconvolta.
Robert
estrasse un foglio preciso dalla cartella verde e glielo mise di fronte.
Erano i
termini del contratto per il video e per le due serate di lancio.
Sotto una
di queste, c’era la sua firma.
“Cam puoi
cercare di calmarti?”, le domandò per l’ennesima volta Gwen, mentre cercava nel
database dell’agenzia gli impegni dell’amica il giorno in cui aveva firmato
quel maledetto foglio.
“Calmarmi?”,
gridò Camilla, “Calmarmi?? Gwen hai una vaga idea di quello che potrebbe
succedere se la situazione non si sistema?”
Gwen
abbassò lo sguardo sullo schermo del Pc, cercando di non pensare alle
conseguenze. Conseguenze che, per altro, sarebbero state decisamente
devastanti.
Per un
manager, non tener conto dei termini di contratto di un cliente e surclassare
l’agenzia di appartenenza, equivaleva a scavarsi una fossa decisamente
profonda.
Per non
parlare poi delle multe che pendevano su certi tipi di dimenticanze.
“Trovato
nulla?”, la incalzò Cam.
Gwen
scosse la testa, “Non avevi appuntamento con gli agenti di Boreanaz e Kane. A
dir la verità è lo stesso giorno che hai annullato l’appuntamento con l’agente
di Jackson per andare dal tuo amichetto famoso”.
Cam si
mise le mani in faccia.
Orlando.
Era con
Orlando.
Cercò di
ripercorrere mentalmente i momenti di quella giornata.
Gwen che
le portava il biglietto, lei che inviava una mail all’agente di Colin, la firma
per i diritti della serata della Victoria’s Secret e l’annullamento del
progetto con la Breil.
“Cristo!”,
sbuffò.
“Venuto
in mente nulla?”, domandò Gwen speranzosa.
Cam
scosse la testa, “No”, mormorò affranta, “Non ricordo di aver firmato nulla per
la Sony”.
Gwen
cercò di ricordare se tra le carte che aveva consegnato lei ci fosse qualcosa
per la Sony. Inutilmente.
Sembrava
proprio un mistero.
“Hai
firmato solo quello che ti ho portato io quel giorno?”, domandò con lo sguardo
interessato.
Cam la
fissò negli occhi, annuendo, “Si…io…credo di
si”, sbuffò, “Cristo Gwen…l’unica
cosa che mi ricordo è Orlando!”.
Gwen si
alzò dalla scrivania e si sedette accanto a lei, guardandola teneramente.
“Cam,
tesoro…cerca di ricordare”.
Camilla
sospirò, appoggiandosi alle spalle dell’amica, “Firma per i diritti della
Victoria’s Secret, recessione impegno della Breil…”.
“Impegno
della Breil?”, domandò Gwen.
Cam
annuì, “Si, ho lasciato tutto nelle mani di Rebecca”.
Gwen si
alzò di scatto, fiondandosi davanti al Pc e prendendo a cercare con
accuratezza.
“Gweney
cosa fai?”, domandò Cam. Ma il suo tono era quantomeno simile ad un lamento.
“Io non
ti ho portato la recessione della Breil”, mormorò.
“Me l’ha
portata Rebecca”, precisò Cam, “Mi ha chiamato nel suo ufficio mentre stavo
uscendo!”.
Gwen
imprecò sottovoce, poi la fisso negli occhi esibendosi in un sorriso radioso.
“Tana
libera tutti”, disse poi.
Orlando
le passò un bicchiere d’acqua, scrutandola con attenzione.
Camilla
sedeva sul divano, la schiena dritta, tesa, lo sguardo fisso davanti a se,
negli occhi l’ombra di mille pensieri.
Sulle
prime pensò di fare una battuta per sdrammatizzare, ma conosceva quella
sensazione terribile di veder scivolare la vita tra le mani, così optò per il
silenzio.
Si mise
seduto di fronte a lei, sorridendole.
“Pensi
che sia una pazza?”, gli chiese lei a bruciapelo.
Orlando
la guardò stupito, “Pazza?”, ripeté.
Camilla
ridacchiò nervosamente, portandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie,
“Si, insomma…”, incamerò aria, “Questa storia di Rebecca…”.
Lui
allungò una mano, stringendo la sua, “Non penso che tu sia pazza”, la
rassicurò, “Ma penso che questa sia una grave accusa e che tu debba giocare
bene le tue carte. Sei intrappolata in una rete Cam, se ti muovi male potrebbe
stringere troppo”.
Camilla
annuì con consapevolezza.
Dimostrare
che Rebecca le aveva giocato un tiro del genere sarebbe stato tutt’altro che
facile, soprattutto perché non c’erano prove significative che lasciassero
avvalorare la sua ipotesi.
“Umpf…”,
sbuffò.
Orlando
finalmente si decise a raggiungerla, le sedette vicino e la trasse a se,
baciandola tra i capelli. Camilla permise alla tensione di abbandonarla un
poco, lasciando andare un lungo sospiro.
“E
pensare che mi sentivo così bene…”, mormorò lei.
La voce
di Orlando le arrivò ovattata, “Non è cambiato nulla Cam. Sono ancora qui, e
sono dalla tua parte”.
Camilla
sorrise, “In fin dei conti non sei un mio cliente”, osservò, “Così ho un
problema in meno!”
Orlando
la guardò con rinnovato interesse, “Non sei mai uscita con nessuno dei tuo
clienti?”, domandò.
Camilla
scosse la testa, “L’agenzia ha una politica ferrea per questo genere di cose”,
spiegò, “Noi dobbiamo togliere i pettegolezzi, non alimentarli. E sinceramente
il capo non ammette di buon grado certe leggerezze”.
Non c’era
bisogno di aggiungere altro, no? Quella era una storia passata e poi non aveva
nulla a che vedere con questo. Era
finita per altri motivi. No?
“E a cosa
andresti in contro?”
Camilla
si accomodò contro il suo petto, giocherellando con una delle sue mani, “Il
cliente viene assegnato ad un altro manager, pubblica lavata di testa,
ridimensionamento della tua agenda di lavoro e, se la cosa è seria, ti becchi
anche una lunga aspettativa”.
Orlando
sospirò, “Sembra un lager”.
“Lo è”,
confermò lei, “Ma è anche giusto che sia così. Non è saggio mischiare la vita
privata con il lavoro. Soprattutto con un lavoro come il nostro. L’accusa che
viene fatta più spesso è di favorire il compagno rispetto agli altri clienti…”.
Orlando
si sporse a baciarla.
Gli
piaceva baciarla.
Camilla
aveva labbra morbide e carnose, un sapore dolce, un modo quasi timoroso di
avvicinarsi a lui.
Ma lei si
staccò, “Perché me lo chiedi?”
Orlando
si strinse nelle spalle, “Così, per curiosità!”, mormorò rubandole un altro
bacio, “Per sentirmi al sicuro
immagino…”.
Lei si
voltò, per permettersi di guardarlo negli occhi, “Sicuro?”.
Lui rise
vedendo la buffa espressione di lei, “Hai a che fare con gente affascinante…”,
disse. Ma vedendo che lei aspettava un approfondimento, continuò, “Andiamo Cam,
passi il tuo tempo con uomini che altre donne possono solo permettersi di
sognare!”
Lei lo
baciò. Di slancio.
“Si
permettono solo di sognare anche te”, lo contraddisse lei, “Eppure sono su un
divano, tra le tue braccia a prendermi i tuoi baci”, lo guardò divertita, “E
abbiamo anche un progetto di matrimonio!”, esclamò.
Orlando
rise.
Una delle
sue risate profonde.
Quelle
che Camilla adorava ascoltare.
“Si ma…”,
cercò di interloquire lui.
“Niente
ma”, lo fermò lei, “Non sei un mio
cliente”, disse.
Lui la
baciò senza rispondere.
Decise
che forse non era il caso di rivelarle quanto aveva saputo quella mattina.
Non quella
sera.
Lei aveva
già troppi problemi per le mani, e una rivelazione del genere l’avrebbe fatta
solo agitare.
Decise
quindi di farla rilassare.
L’abbracciò
e pensò che certi particolari potevano tranquillamente aspettare.
Camilla,
dal canto suo, pensò esattamente la stessa cosa.
Aprì gli
occhi, cercando di mettere a fuoco quello che lo circondava.
Ok,
si…divano, televisore al plasma, finestrone e… chinò la testa di lato e la
vide.
Abbandonata
contro di lui, una mano intrecciata alla sua, l’espressione rilassata, felice.
Orlando
sorrise impercettibilmente.
Da quanto
non gli capitava una cosa del genere?
Non lo
ricordava, esattamente. Ma ricordava perfettamente la sensazione che si provava
quando la mattina, appena alzati, la prima cosa che ci si palesa di fronte agli
occhi è il viso di una persona a cui si tiene.
Era da
tempo che non provava quella sensazione.
Aveva
ingiustamente creduto che non l’avrebbe provata più. E invece una ragazza
sconosciuta, con un sorriso disarmante e delle idee assolutamente folli e
contraddittorie, gli aveva fatto cambiare idea.
Così,
senza nessuno sforzo.
Le spostò
una ciocca che, dispettosa, le copriva il viso. La baciò sulla fronte e si
alzò, alla ricerca del cellulare.
Doveva
fare una chiamata.
Dalla
luce esterna, intuiva fosse presto ma non poteva aspettare.
Aveva una
necessità impellente di condividere con qualcuno quello che gli stava
capitando. Cioè, a dire il vero lo faceva spesso.
Forse a
causa del suo lavoro, forse a causa della sua vita turbinosa, spesso aveva
bisogno di consegnare le sue emozioni a qualcuno a lui caro. Era come
consegnarle al mondo, come dire “io provo questo, e se tu puoi ascoltarmi
significa che è vero. Significa che è reale”.
Compose
il numero a memoria quindi, dopo aver gettato un’occhiata a Camilla, si diresse
in cucina.
Nel giro
di un paio di squilli, qualcuno rispose.
“O.B.!”,
gridò.
Orlando
soffocò una risatina, “Ciao Dom, ti disturbo? Dormivi?”
Dall’altro
capo, Dominic rise, “See, dormivo! Sono in Inghilterra fratello”, spiegò, “Non
te lo ha spiegato la mamma che esiste una cosina chiamata Fuso Orario?”
“Cretino!”,
scherzò Orlando, “Ma hai ragione te, sono io il colpevole. Non dovrei
preoccuparmi di disturbarti!”
Dominic
rise, “Avanti, sputa il rospo, amico! Che ore sono da te, le quattro del
mattino? Una chiamata a quest’ora indica solo due cose: sbronza con conseguente
attacco di depressione o scopata con conseguente delirio di onnipotenza”.
Orlando
scosse la testa, suo malgrado divertito, “Né l’una, né l’altra amico!”
“Ti hanno
arrestato?”, la voce allarmata di Dominic fece ridere Orlando di gusto.
“Che cosa
ti ridi? Ti hanno arrestato O.B.? Sei nei guai? Hai una maniaca in casa?”
“In
effetti c’è qualcuno in casa…”, lasciò cadere di proposito la frase.
Dominic
sospirò, Orlando se lo immaginò scuotere la testa, “Lo sapevo!”, gridò,
“Scopata con conseguente delirio di onnipotenza. Chi è la starlette fortunata,
stavolta?”
“Nessuna
starlette e nessuna scopata”, gli piacque quella risposta, “Ma ho conosciuto
una ragazza”.
“O.B.”,
lo chiamò Dom sospirando, “Lo sai che ti voglio bene come alla mia mano destra
ma te ne prego, vieni al punto”.
“Ho una
storia”, lo disse così, senza nemmeno esserne sicuro. In effetti non aveva
chiesto nulla a Camilla, ma era necessario? Insomma, due ragazzi di trent’anni
se lo dovevano dire?
Si
accorse poi che dall’altro capo, Dom era rimasto in assoluto silenzio.
“Dom sei
morto, per caso?”
“Non per
caso!”, obbiettò l’altro alzando il tono di voce, “Sono quasi morto per colpa
tua!”, ma il tono era divertito, Orlando lo conosceva, “Una storia O.B? Cioè
una storia in cui tu stai con lei, lei sta con te, e tu non ti scopi nessuna?”
Orlando
annuì, “Esatto. Una storia normale!”
“Chi è
costei? Chi è questa santa donna che ha deciso consapevolmente di stare con uno
come te? Chi? Voglio il nome”.
“Si
chiama Camilla”, spiegò lui, “E’ una P.r.”.
“Una P.r?
Ok, ha un senso. Camilla la P.r,
si ci sta, mi piace! Adesso dimmi, da quanto tempo?”
Orlando
ci pensò su. Tecnicamente la conosceva da un paio di settimane ma,
ufficialmente, si vedevano da poco meno di una settimana. Quindi, stando ai
calcoli erano all’incirca cinque giorni. Però, se ci pensava bene, Camilla
aveva risvegliato il suo interessa dalla prima volta in cui ci aveva parlato,
perciò…
“E’ così
difficile? Non ti ricordi da quanto tempo hai una ragazza?”, lo sbeffeggiò
Dominic.
Orlando
gli spiegò tutta la questione, indeciso su quando considerare l’inizio di
quella strana storia.
“Ok,
O.B., sei ufficialmente fuori di testa, ma ti voglio bene per questo”,
ridacchiò, “E voglio che adesso tu ti sieda, ti metta comodo e mi racconti ogni
dannata cosa dall’inizio. Senza tralasciare una descrizione particolareggiata
su Camilla la P.r.”
Ad
Orlando venne in mente una cosa. Un’idea bizzarra, affrettata.
“Non devi
lavorare, vero?”, domandò invece.
“No, lo
sai. Iniziamo a girare tra un mese esatto!”
“E hai
qualche programma?”
“O.B.
cos’hai in mente?”, domandò Dominic, incuriosito.
Orlando
si fermò sulla porta del salotto a guardare Camilla. Quando parlò lo fece a
voce bassa, “Magari puoi venirmi a trovare, così te la presento”.
“Che
cosa?!?”, gridò Dominic, sconvolto.
“Hai
capito”, tagliò corto Orlando, ridacchiando.
“O.B.”,
sospirò, “Dammi il tempo di organizzarmi e nel giro di una settimana sarò da
te. Non mi perdo L’Orlando innamorato
nemmeno se mi offrissero un harem e dieci milioni di dollari!”.
Orlando
rise, spostandosi nuovamente in cucina.
L’Orlando
innamorato.
Bhè, non
ci sarebbe stato nulla di male, in fondo, no?
Mi cospargo il capo di cenere e chiedo venia per il ritardo. Ma
sono sicura che mi farò perdonare. Nel giro della giornata forse riuscirò a
darvi ben 3 aggiornamenti!! Ebbene si, mi voglio rovinare…anche perché questo
capitolo ci porta direttamente al prossimo e non me la sento di farvi
aspettare. Come al solito, in settimana non ci saranno aggiornamenti poiché
sarò fuori, ma spero che questi del week end siano stati abbastanza
succulenti!!
E voglio dirvi nuovamente grazie per l’entusiasmo che dimostrate
e per l’incoraggiamento. Avere voi come lettrici è decisamente stimolante…mi
spinge a fare del mio meglio! Quindi tutto quello che leggete è scritto anche
per merito vostro!
E Moon…hai l’occhio lungo… ;) Ma non vi spoilero nulla sennò non
c’è gusto!!
E sono felice che ti piaccia il “mio” Colin…ci tengo particolarmente a questo personaggio e sono assolutamente
felice che ti sia arrivato proprio come ce lo avevo in mente io!! Grazie
A più tardi, gioie!
E grazie ancora!!
Baci
Amaranta
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Capitolo 7 *** Somewhere over the rainbow ***
Cap7
Piccolo
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CAPITOLO OTTO
SOMEWHERE OVER THE
RAINBOW
Era…irreale.
Trascendente.
Miracoloso.
Vagamente
impossibile.
Camilla
socchiuse gli occhi e pensò che quello che stava capitando non poteva essere
reale.
Certe
cose capitano nei film. E basta.
Non
capitano alle Pr italiane fuggite in America in cerca di lavoro. No, davvero.
Non
poteva accadere.
E invece
stava accadendo. E stava accadendo a lei.
A Camilla
Ardensi, signori e signore.
Incredibile.
“A cosa
pensi?” La voce di Orlando la riscosse dai suoi pensieri. Era sdraiato sulla
sabbia accanto a lei, con un sorriso rilassato a dipingergli il volto. Quel
pomeriggio, mentre era da Sandra, l’aveva chiamata con un tono urgente,
pregandola di liberarsi da qualsiasi impegno poiché avrebbe dovuto passare del
tempo con lui.
Incuriosita
e preoccupata, Camilla lo aveva aspettato con ansia per poi scoprire il vero
motivo di quella graditissima improvvisata. James Mangold, il famoso regista,
lo aveva scritturato come protagonista del suo nuovo film. Orlando era su di
giri, soprattutto perché grazie a quella proposta, si sarebbe potuto fermare a
Los Angeles più a lungo del previsto. Camilla, dal canto suo, era impazzita
dalla gioia. Mangold aveva consacrato diversi attori e, conoscendolo
personalmente, sapeva che Orlando si sarebbe trovato bene con lui. Inoltre,
inutile nasconderlo, era contenta di poterlo avere tutto per lei, ancora per un
po’. Adesso, dopo un paio di brindisi in centro, avevano deciso di andare a
festeggiare lì. Un posto che aveva consigliato lei. L’Angel’s Gate. Chi non
l’aveva visto, non poteva capire che meraviglia fosse quel luogo. La porta
dell’angelo. Già, già…aveva un senso, si. Ne era conscia.
Si rizzò
a sedere per permettersi di guardarlo in faccia.
“Ma tu…sei vero?”,
domandò, tutto d’un fiato.
La sua
espressione tra l’incredulo e l’imbarazzato fece ridere Orlando di gusto. Le
cinse la vita con un braccio, appoggiando la testa sulle ginocchia di lei.
“Verissimo.
In carne ed ossa, Miss”.
Lei si
sporse a baciarlo.
Cristo!
Poteva
baciare Orlando Bloom solo perché le andava.
Cioè…Orlando
Bloom, chiaro? Non uno qualsiasi. Orlando The Magnificent Bloom.
Da impazzire.
“Cos’è
quest’espressione strana?”, le domandò lui.
Lei
sospirò, “E’ che mi sembra tutto così assurdo”, mormorò, “Io, te…questa
spiaggia. E’ incredibilmente perfetto”, lo fissò, come se avesse scoperto una
verità sconvolgente, “Sono felice”,
disse, “E lo sono grazie a te. Perché mi regali momenti come questo”.
Lui si
alzò a sua volta e la baciò. La baciò a lungo in quel modo dolce e al contempo
possessivo tipico di lui.
A Camilla
sembrava sempre di cadere da una grande altezza. Come se la terra e il cielo e
le stelle perdessero improvvisamente consistenza.
Era
assuefatta. Assolutamente, completamente assuefatta da lui.
“E non è
finita qui”, mormorò lui parlandole sulle labbra.
Camilla
aprì un occhio. Uno solo, per guardarlo.
Lui pensò
che era incredibilmente buffa.
“Cosa
intendi?”, domandò lei.
“Intendo
che adesso andiamo a San Antonio a cena e sarai mia preda finchè riuscirai a
rimanere sveglia!”
“Con te
accanto, dubito potrei mai addormentarmi”, considero lei con una smorfia
divertita.
Lui rise
e Camilla pensò che da qualche parte fossero cadute mille stelle ad illuminare
il mondo.
Orlando
si alzò e aiutò lei a fare lo stesso.
“Gambe in
spalla, Miss”, la incitò trascinandola verso l’auto, “San Antonio ci aspetta”.
Lei lo
seguì ridacchiando, e pensò che con lui sarebbe andata a piedi fino a Giove,
passando pure per Marte se necessario.
“Sono fregata”, sussurrò divertita.
“Prego?”,
domandò Orlando voltandosi.
Lei si
strinse nelle spalle sorridendo, “Sono
fregata”.
Lui la
guardò senza capire.
“Si,
esatto sono fregata ed è colpa tua quindi goditi la scena della Camilla su di
giri!”
Lui la
baciò senza smettere di sorriderle, “E come ci si sente ad essere fregati?”
Lei si
staccò dal suo abbraccio e lo fissò in quegli occhi dello stesso colore del
caffè caldo.
“Ci si sente benissimo”, mormorò.
Benissimo,
si.
Mentre
camminavano sul bagnasciuga della spiaggia, Camilla lo guardò di sottecchi per
riempirsi gli occhi della sua immagine.
Aveva uno
strano presagio, adesso.
Probabilmente
a causa di tutta quell’euforia. A causa di quel turbinio di emozioni che non
riusciva a comprendere razionalmente, a tenere troppo a lungo nelle mani.
Appena le
sembrava di averne acciuffata una, ecco che un’altra la invadeva tempestosamente
facendola quasi vacillare.
Lui le
aveva regalato una serata magnifica. Una di quelle che non si scordano.
Sembrava
davvero appena uscito dalle pagine di un romanzo, o dalla bobina di un film.
Sembrava
irreale.
Avevano
mangiato da Clark, un locale sulla spiaggia piccolo e intimo.
Avevano
giocato col cibo, assaggiando tutte le pietanze con i nomi più strani e si
erano abbuffati di dolci. Camilla notò con dolcezza che Orlando di fronte ad un
bel vassoio di dolci si trasformava in un bambino eccitato. Non riusciva a
stare troppo a lungo senza infilarci dentro le dita per assaggiarne un po’!
L’aveva preso in giro a lungo per questo.
Ed ora se
ne stavano in silenzio ad ascoltare il canto del mare sotto i loro piedi.
Orlando
l’abbracciò, traendola a se e baciandola.
Come
sempre, la risposta di Camilla non tardò ad arrivare.
“Sai a
che pensavo?”, disse lui interrompendo quel magico silenzio.
“No, a
cosa?”
Lui la
sbirciò con aria divertita, “Prometti di non prendermi in giro?”
“Parola
di scout!”, disse lei incrociando le dita.
Lui la
guardò poco convinto, ma poi decise di fidarsi.
Mise le
mani nella tasca interna della giacca che indossava estraendo il cellulare.
“Attenzione
attenzione”, declamò solenne, “Sto per fare una cosa incredibilmente romantica,
quindi goditi la scena!”
Camilla
ridacchiò, mentre lo guardava armeggiare con quell’aggeggio costoso.
“Allora…”,
attaccò lui prendendo fiato, “Diciamo che questa cosa affonda le sue radici in
tempi lontani e non sospetti…”
“Eravamo
nel 1745 e io non sapevo che il fucile avrebbe sostituito la spada”, lo
sbeffeggiò lei ridendo.
Lui la
guardò con ammonimento, ma i suoi occhi ridevano, “Sei simpatica!”, considerò
ironico, “Io faccio una cosa romantica e tu mi sfotti. Brava!”
Lei
saltellò e lo baciò sulla guancia, “Avanti, non fare così, stavo scherzando! E’
solo che sembravi la voce fuori campo di un film in costume!”
Lui
sorrise, quindi proseguì, “Fingerò che questa interruzione non ci sia mai
stata”, decise poi, “Dunque, dicevo che questa cosa affonda le sue radici in
tempi lontani. Diciamo almeno un mese e mezzo fa. Giorno più, giorno meno”.
Un mese e
mezzo. Camilla considerò che era passato un mese e mezzo da quando lui era
entrato nella sua vita. Eppure le sembrava un’eternità. Le sembrava ci fosse
stato da sempre.
“Il
giorno esatto in cui una tizia con una maglietta assurda ed un sorriso
disarmante entrò nel lussuoso ufficio del mio agente”.
“Non
avevo una maglietta assurda!”, obbiettò lei indispettita.
“La
storia è soggettiva”, specificò lui, “E’ dal mio punto di vista!”
“Ah!”,
sbuffò lei, “Quindi pensavi che la mia maglietta fosse assurda?”
“Diciamo
che non mi era mai capitato di parlare con una Pr che indossasse una maglia dei
Rolling Stones”.
Lei
ridacchiò, “Continua prima che decida di affogarti!”
Lui annuì,
“Dunque…quel giorno ero vagamente depresso. Avevo ascoltato per tutte le 18 ore
precedenti all’incontro con te una bellissima canzone”.
Incamerò
aria, arrestandosi di fronte a lei, “Pensavo che fosse una canzone che non mi
appartenesse. Avevo avuto molto dalla vita e mi sembrava inappropriato
domandare ancora qualcosa. Eppure sapevo che c’era qualcosa che mi
mancava…qualcosa di cui avevo bisogno” la fissò significativamente, “E sei arrivata tu”.
A Camilla
veniva da piangere per l’emozione.
“All’inizio
non ci avevo badato troppo, lo ammetto”, proseguì lui, “Ma dopo averti lanciato
addosso quel caffé mi sono trovato a pensarti spesso. Ti giuro che non avevo
fatto nessun programma”, rise, “Non avevo idea che le cose avrebbero preso
questa direzione, ma posso dirti che ne sono contento”.
Lei gli
sorrise annuendo e Orlando comprese che anche lei la pensava esattamente a quel
modo.
Incoraggiato
dal suo sguardo, decise di proseguire, “Ti ricordi la prima volta che siamo
usciti a cena?”
Camilla
annuì. In quel momento le sembrava impensabile riuscire ad articolare una frase
sensata.
“E’ stata
la sera del nostro primo bacio”, constatò lui, “Magari tu non te ne sei accorta
ma in lontananza si sentiva quella canzone. La canzone che avevo ascoltato il
giorno che ti ho conosciuta”
Lui la
raggiunse, prendendole la mano.
“Ti
andrebbe di ballarla con me, Cam?”
Lei lo
guardò inebetita, annuendo.
Orlando
schiacciò un pulsante e dal cellulare partì la famigerata canzone.
Camilla
la conosceva e, incredibilmente, le piaceva molto.
Era la
versione degli UB40 di “Somewhere over the rainbow”.
Lasciò
che Orlando la stringesse e si dondolarono lentamente al ritmo di quella dolce
melodia.
Somewhere, over
the rainbow, way up high,
And the dreams that you dreamed of,
Once in a lullaby.
Oh, somewhere over the rainbow,
blue birds fly, And the dreams that you dreamed of,
Dreams really do come true.
Someday, I'll wish upon a star,
Wake up where the clouds are far behind me.
Where trouble melts like lemon drops,
High above the chimney top,
That's where you'll find me.
Oh, somewhere, over the rainbow, bluebirds fly,
And the dreams that you dare to.
Oh why, oh why can't I?
Well, I see trees of green and red roses too,
I'll watch them bloom for me and you.
And I think to myself: What a wonderful world!
Well, I see skies of blue and I see clouds of white,
And the brightness of day.
I like the dark and I think to myself:
What a wonderful world!
The colors of the rainbow, so pretty in the sky,
Are also on the faces of people passing by.
I see friends shaking hands, saying, 'How do you do?'
They're really saying, ' I...I love you!'
I hear babies cry, and I watch them grow,
They'll learn much more than we'll know.
And I think to myself: What a wonderful world!
Someday, I'll wish upon a star,
Wake up where the clouds are far behind me.
Where trouble melts like lemon drops,
High above the chimney top,
That's where you'll find me.
Oh, somewhere, over the rainbow, way up high.
And the dreams that you dare to,
Oh why, oh why can't I?
E allora
ci furono le sue mani che si intrecciavano a quelle di lei.
La sua
bocca che viaggiava per il suo corpo ed un rumore delicato di vestiti
stropicciati che si incastravano creando uno strano groviglio informe di
colori.
E allora
ci furono le dita di lei che correvano tra i capelli di lui.
I sospiri
che aumentavano, le mani che si cercavano con disperata eccitazione, le gambe
che si intrecciavano alzando la sabbia.
Ci fu
Orlando che le baciava le gambe, alzandole delicatamente la gonna e fissandola
da sotto in su per cercare un segno d’assenso che gli arrivò dolce come la
melodia che continuava a cantare in lontananza.
Ci furono
gli occhi chiusi di Camilla e la sua espressione di meraviglia mista a dolcezza
quando lui, finalmente, entrò dentro di lei come una barca che lentamente
esplorava mari sconosciuti.
Ci furono
baci divoranti e carezze dolcissime.
Parole
sussurrate, promesse troppo vere e troppo grandi per essere contenute sotto
quel cielo nero. Un cielo che sembrava decisamente piccolo in rapporto a quelle
emozioni che si scambiavano.
Ci furono
le mani di Camilla che si aggrappavano alle spalle di Orlando per permettergli
di entrare ancora più in lei. Per permettergli di entrare completamente.
E lui
entrò col corpo e con l’anima.
Piano,
come a cullarla.
Come a
proteggerla da tutto quello.
Da quello
che lui stesso stentava a riconoscere, rimanendone assurdamente spaventato.
E ci
furono i sospiri di Camilla che si intrecciavano a quelli di lui, intercalando
quel ritmo così dolce e al contempo esigente.
E quella
lenta melodia che continuava a suonare in lontananza, facendo da colonna sonora
ad quel momento così fiabesco che sembrava iscritto nella cornice della
fantasia, tanto era perfetto.
E ci fu
il sorriso di lei che si allargava lentamente, implorandolo di non andarsene.
E ci
furono le labbra di lui che la divoravano, come a confermare quella muta
richiesta.
E poi ci
furono le guance arrossate di Camilla e i suoi occhi pieni di stelle.
Ci furono
le carezze di Orlando che l’avvolgevano.
Ci fu la
sua testa che si appoggiava delicatamente sul suo seno, lasciandosi cullare dal
ritmo impazzito di quel cuore che, a detta di lei, sembrava incapace di
battere.
E ci fu
la prima verità rivelata in quei battiti furiosi.
Ci fu la
prima consapevolezza vera.
La
constatazione che quello che avevano appena fatto era Amore.
Amore vero.
Amore che
arriva e si prende tutto senza domandare il permesso. Amore che riempie,
ferisce, e inebetisce. Amore che non si aspettava ma che giunge prepotente.
Amore violento, amore esigente.
Amore
nascosto, negato, bistrattato. Amore che va protetto e cullato come un bambino.
Amore che ormai c’è e non puoi far finta di non vederlo perché è tutto davanti
ai tuoi occhi.
E poi ci
fu Orlando che si sdraiò di fianco, appoggiando la testa su un gomito per
permettersi di guardarla in viso.
E ci fu
Camilla che lo imitò, intrecciando le gambe a quelle di lui.
Ci furono
un paio d’occhi che guardavano quel cellulare che continuava, testardo, a
suonare quella canzone.
La loro canzone.
Due
canzoni in una.
Due corpi
in uno.
E ci fu
Camilla che scattò in piedi, correndo verso il mare, saltellando nell’acqua e spruzzando divertita dappertutto.
Ci fu
Orlando che la osservava ridendo, incerto se godersi lo spettacolo o correre
verso di lei.
Ci fu la
voce di Camilla che cantava dispettosa verso la luna, immobile lassù, che
sembrava guardarla con invidia.
E ci fu
Orlando che l’ascoltò felice.
E lei continuava a cantare “I see trees are green, red
roses too I see them bloom, for me and you and I think to myself, what a
wonderfull world”.
E allora
ci fu Orlando che la raggiunse, abbracciandola e assecondando quei suoi assurdi
passi di danza.
E ci fu
una frase canticchiata insieme.
E uno
sguardo che rispondeva a quella domanda. Una domanda troppo grande eppure
naturale, ora.
“Perché non possiamo?”, cantava la
canzone.
Orlando
la guardò negli occhi, sorridendole teneramente.
“Possiamo
Cam?”, sussurrò.
Lei
abbassò lo sguardo, poi torno a guardarlo imbarazzata, stupita, forse.
“Possiamo”,
sorrise, “Si, possiamo”.
Eccolo qua il capitolo della consacrazione!
Vi sembrerà sciocco ma in verità, mentre lo scrivevo mi sono
emozionata. Spero che anche a voi abbia fatto il medesimo effetto.
So di avervi promesso 3 aggiornamenti ma…aehm…diciamo che i
problemi che prevedeva Moon si sono ingarbugliati più del previsto cosicché mi
hanno costretto a modificare un po’ di cose… Perdonatemi!
Non so se in settimana riuscirò ad aggiornare, ma comunque ci
aspettano momenti importanti…
Grazie di esserci e seguirmi, gente!
Siete una meraviglia!
Un abbraccio
Amaranta
|
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Capitolo 8 *** SHINY HAPPY PEOPLE ***
cap8
CAPITOLO OTTO
“Dovremmo
alzarci”, mugolò Camilla appoggiando la testa sul petto di Orlando.
Lui
sospirò, “Ancora un po’”, mormorò.
Camilla
sorrise.
Se i suoi
calcoli non erano sbagliati, dovevano essere almeno le undici del mattino.
Erano a letto da almeno cinque ore, senza nessuna voglia di alzarsi e
cominciare la giornata.
In realtà
Camilla era convinta che la sua giornata potesse tranquillamente trascorrere
mentre lei se ne rimaneva beata a letto con Orlando.
Dopo
quella fantastica serata sulla spiaggia, lui l’aveva invitata nel suo
appartamento per cambiarsi i vestiti e bere insieme qualcosa che li avrebbe
scaldati.
Ovviamente
avevano fatto tutto tranne quello che si erano programmati di fare. Fatta
eccezione per la cioccolata calda che lui aveva preparato mentre lei si
asciugava i capelli.
Era stato
incredibilmente tenero e divertente.
“A cosa
pensi?”, domandò lui.
“Non sono
le ragazze che di solito hanno il privilegio di porre tali questioni?”, lo
sbeffeggiò lei.
Lui si
chinò, baciandole i capelli, “Di solito si”, le concesse, “Ma sono troppo
curioso per fare il macho!”
Camilla
si voltò a pancia in sotto, appoggiando il mento sulla spalla di lui.
“Pensavo
che potremmo rimanercene qui per tutto il giorno”.
Lui
sorrise, sistemandole i capelli che, dispettosi, le andavano a coprire gli
occhi.
“Mi
sembra un’idea meravigliosa”, concordò.
Lei
sorrise maliziosa, “Non fare quell’espressione”.
Orlando
si finse stupito ma sapeva di cosa stava parlando.
Quella
notte lei gli aveva confidato che c’era un’espressione dei suoi occhi che
faceva quando aveva in mente di baciarla, alla quale lei non sapeva resistere.
“sembri un gattino abbandonato. E
non riesco a resisterti”, gli aveva detto.
“Quale
espressione?”, domandò lui, fingendo di non capire a cosa alludesse.
Per tutta
risposta Camilla ficcò la testa sotto il cuscino, sbuffando.
“Lo sai”,
mormorò con la bocca contro il tessuto soffice della federa, “Non mi sei d’aiuto”.
Lui
ridacchiò.
“E in
cosa dovrei aiutarti?”
“A
scendere dal letto, farmi una doccia e raggiungere il mio staff in agenzia!”
Per tutta
risposta lui si esibì in un broncio perfetto.
“Oddio!!”,
sospirò lei frustrata.
Orlando
le tolse il cuscino dal viso e la baciò.
“Così è
ancora peggio”, mormorò lei sulle sue labbra.
“Non mi
sembravi della stessa opinione un’ora fa!”
“Simpatico!”
Lui
ridacchiò, poi si fece mortalmente serio.
“Vuoi
davvero andare via?”, domandò staccandosi. Acciuffò le lenzuola e se le portò
fin sopra la testa, “Vai pure, non ti tenterò. Rimarrò nascosto qui sotto
finchè non tornerai”
Camilla
non riuscì a reprimere una bella risata.
Gli saltò
sopra, estorcendogli un altro bacio senza respiro. Un bacio che Orlando non
tardò a ricambiare con lo stesso trasporto.
In
quindici secondi fu chiaro ad entrambi che lo staff dell’agenzia avrebbe dovuto
aspettare ancora.
“Non era
questo che avevo in mente quando ti ho detto di aiutarmi a fare la doccia”,
sospirò lei completamente rilassata.
“Peccato”,
disse lui, “Perché invece era esattamente quello che avevo in mente io”.
Lei si
sistemò meglio contro il suo petto.
Stavano
facendo il bagno insieme.
Orlando
aveva riempito la vasca di acqua bollente e bagnoschiuma al sandalo e poi l’aveva
costretta a seguirlo in bagno.
Oddio…costretta…
in realtà gli era bastato domandarglielo con quella dannata espressione che gli
riusciva così bene.
“Comincio
a pensare che tu ti stia servendo delle mie confessioni per farmi gozzovigliare”,
osservò lei intrecciando le dita a quelle di lui.
“Pensi
bene”
“Non è
una relazione sana questa”, obbiettò lei, “Se mi licenziano ti riterrò
responsabile”.
Orlando
rise, “Non ti licenzieranno…”, gli verso dello shampoo tra i capelli e prese a
massaggiarla, “Sono sicuro che capirebbero, vista la situazione. Non potevo
mica mandarti a lavoro tutta sporca di sabbia e sale”.
Lei
sorrise, “Come sei solerte!”
“Lo
prenderò come un complimento!”
“Posso
domandarti una cosa?”, chiese lei, giocherellando con la schiuma.
“Spara!”
“Avevi
previsto che sarebbe finita così?”
Inaspettatamente
Orlando scoppiò a ridere.
“Prevedere
qualcosa con te è praticamente impossibile”, le rispose divertito, “Sei
incredibilmente brava a mandare all’aria ogni mio programma!”
Camilla
rise, “Ah si?”
Lui annuì
solennemente, “Per esempio, avevo pensato di prepararti un’ottima colazione e
di portartela a letto, ma tu non me ne hai dato la possibilità…”
“Io?!”
“Esatto.
Mi stai vicino, mi baci, mi guardi con quegli occhioni e io non ci capisco più
niente!”
“Ma
smettila!”, lo prese in giro lei schizzandolo.
“Ti giuro
che è così!”
“Tanto
non ti credo!”, continuò lei, testarda.
“Fidati!”
“Figurati
se credo che ad uno come te bastano i miei occhioni…”
Lui la
fece voltare, fino ad averla di fronte.
“Non
bastano…”, prese a baciarla, “Poi mi serve anche il resto!”
Camilla
rise, “Maiale!”
“No! Che
hai capito?? Mi serve anche che mi coccoli”, insinuò una mano tra le sue gambe,
strappandole un gemito.
“E questo
tu lo chiami coccolare?”, gemette lei.
Lui la
baciò con dolcezza, “Anche…”
“Perché come
altro lo chiami?”
“Curiosona…”
Camilla
gli mordicchiò un labbro, “Dimmelo…”
“Lo
chiamo come lo chiami tu…”
“E io
come lo chiamo?”
Sussurravano,
senza smettere di baciarsi e accarezzarsi.
Era
chiaro ad entrambi che si stavano trattenendo.
“Stamattina
lo hai chiamato con un nome molto bello…”
“Ovvero?”
“Hai
detto ‘ho voglia di fare l’amore con te fino a svenire’”
Lei
sorrise, “Quindi lo chiamo amore?”
“Anche io
lo chiamo amore”, la baciò ancora, “Come altro dovrei chiamarlo?”
“Amore va
benissimo”, sospirò lei.
“E che
amore sia…”
“E che
amore sia”.
Si
baciarono ancora, finchè Orlando non si fermò all’improvviso.
“Se
dovessi svenire vuoi che ti lasci qui o preferisci che ti porti a letto?”
Camilla
gli schizzò addosso dell’acqua, “Cretino!”
Lui rise
e la trasse nuovamente a se.
“Ti
confido un segreto”, disse Orlando mentre mangiava del bacon.
Camilla
alzò gli occhi dal suo piatto, per guardarlo negli occhi.
“Non mi è
mai successa una cosa simile”, continuò lui.
Lei
sorrise, poi decise di scherzarci sopra, “Neanche a me, non mi era mai capitato
di essere tanto affamata in vita mia!”
Lui fece
una smorfia, “Sei molto simpatica oggi!”
“Ho avuto
un buon insegnante!”
Si
sorrisero mostrandosi i denti e facendo strane smorfie, finchè non scoppiarono
a ridere.
“Comunque…”,
cominciò lei, tornando seria, “Non era mai successo neanche a me. Di solito
queste cose accadono nei film, non alle ragazze normali che hanno una vita
normale”.
“Tu non
sei normale…”, obbiettò lui, “Sei completamente anormale, è per questo che mi
piaci tanto!”
“Fingerò
che sia un complimento”, gli concesse lei addentando un pezzo di cioccolato.
Lui rise,
“Ti va di fare un giro al Mall del quartiere,dopo?”.
Camilla
annuì.
Aveva già
telefonato in agenzia per avvertire che non sarebbe andata a lavoro e che
avrebbe sbrigato i suoi appuntamenti fuori dall’ufficio. Una menzogna,
ovviamente, poiché aveva chiamato anche suddetti appuntamenti rimandandoli per
la settimana seguente.
“Cosa
compriamo?”
“Uno
spazzolino per te, qualcosa da mangiare e un bel film da vedere dopo cena”,
elencò lui.
Lei annuì
ancora.
Un
programma ottimo.
Avrebbe
potuto abituarcisi.
Poi, improvvisamente,
comprese la prima parte della frase.
“Uno
spazzolino per me?!”, domandò incredula.
“Vuoi
continuare ad usare il mio?”, domandò lui, con una punta di divertimento.
“No… ma…cioè,
io pensavo che…non credi che sia, si…insomma…”
“Cam
ascolta bene quello che sto per dirti”, la interruppe lui, “So che ci
frequentiamo da poco, so che potrebbe sembrarti tutto affrettato ma voglio
godermela così. Voglio correre, voglio fare quello che mi sento di fare e per
una sola volta nella vita voglio seguire le emozioni. Pensi di poter fare lo
stesso anche tu?”
Camilla
rimase immobile per un istante che ad Orlando parve interminabile, poi si
sporse sul tavolo, fino ad arrivargli sotto il naso.
“Dovremmo
comprare anche un accappatoio…”
Per tutta
risposta lui la baciò, senza smettere di sorridere.
Lei
adesso dormiva.
Accoccolata
contro la sua spalla, un braccio allungato verso di lui, come a volerlo tenere
il più vicino possibile.
Orlando
la guardò rapito.
Gli erano
bastati cinque giorni per capire che voleva lei e che volerla lo faceva sentire
incredibilmente bene.
E si rese
conto che è proprio così che funziona.
Quando
nelle stelle o chissà dove c’è scritto che due persone sono destinate a stare
insieme, succede e basta.
Non
servono né mesi, né ore, né minuti.
Accade
tutto in un secondo, senza spiegazioni, senza motivi, senza nemmeno stare a
badare alle conseguenze.
Era come
un incidente.
Qualcosa
che fa stridere i freni della vita che, improvvisamente, si arresta per
permettere a qualcun altro di fare un pezzo di viaggio insieme.
Succedeva
per caso.
Succedeva
e basta.
E nel
guardarla pensò che era stato incredibilmente fortunato ad incontrare lei e non
un’altra.
Perché Camilla
era semplice, genuina, entusiasta.
Emozionante.
Divertente,
spigliata, intelligente.
Avrebbero
trascorso del tempo meraviglioso insieme, ne era sicuro.
Così come
era sicuro che stavolta avrebbe fatto le cose a modo suo.
Come
dimostrava quella busta ai piedi del divano, piena di cose che avevano comprato
quel pomeriggio.
Una tuta
per dormire, un accappatoio, uno spazzolino, una spazzola per i capelli, dei
fermagli e un paio di pantofole a forma di Titti.
Era
presto?
Avrebbero
dovuto aspettare?
Orlando
baciò la fronte di Camilla.
Che
fossero gli altri ad aspettare, loro due stavano benissimo così….
** Signore e signori…
PERDONOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!
Torno solo oggi con l’aggiornamento perché purtroppo la vita ha
deciso di mettersi prepotentemente in mezzo. E, come se non bastasse, ho avuto
il Pc rotto per un mese. Grrrr!
Comunque eccoli di nuovo i nostri eroi.
Stanno bene, si divertono e sembra che si stiano innamorando sul
serio.
(Amaranta ha gli occhi a cuoricino).
Ma adesso la domanda è…cosa succederà???
Prometto che già domani avrete il nuovo aggiornamento. Sto
risistemando i capitoli ma è questione di poco.
E voglio ringraziare tutte le ragazze che mi hanno scritto per
sapere che fine avevo fatto io e che fine avevano fatto Cam & Orlando.
Bene…eccoli qui, tutti per voi!
Spero che continuino ad essere quello che speravate che fossero!
Vi abbraccio forte e vi ringrazio!
Amaranta
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Capitolo 9 *** Don't lie ***
9
CAPITOLO OTTO
DON’T LIE
Qualcuno bussò alla porta
del suo ufficio, distogliendola dai pensieri.
“Si?”, disse con voce
roca.
La sera precedente,
nonostante l’avesse riempita come una cascata d’acqua in un bicchiere, le aveva
lasciato anche un fastidioso raffreddore.
“Si può?”
Riconobbe in un secondo
quella voce.
La sua voce.
La voce della persona che
le aveva dato tutto, togliendoglielo quando ne aveva più bisogno.
Istintivamente, fece una
smorfia di fastidio.
“Dalla tua espressione si
direbbe di no…”, disse lui entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
“Come stai Ci?”, le domandò.
Camilla scosse la testa.
Non stava capitando a lei.
Non poteva capitarle.
Non era possibile che
Joaquin fosse lì, di fronte a lei, con un bel sorriso stampato in faccia e che
la chiamasse Ci. Che suonava tipo…Si…dannati americani, e dannato alfabeto
americano, e dannata lei che era andata a vivere lì.
“Che ci fai tu qui?”,
domandò, senza rispondere alla domanda.
“Riunione…la tua agenzia è
l’organizzatrice del Memorial per Johnny”.
“Questo lo so”,
puntualizzò lei osservandolo mentre si sedeva, “Il memorial è un mio lavoro”.
Lui sorrise annuendo, “Lo
so, e ho chiesto a McNub di poterti parlare prima della riunione”, sospirò, “In
realtà avevo voglia di vederti…”.
Inaspettatamente, Camilla
scoppiò a ridere, “Dopo quasi un anno e mezzo alla Silvan, avevi voglia di
vedermi?”.
Lui rise, “Non sei
cambiata affatto…”
“Lo sono eccome, invece”,
strinse gli occhi per esibirsi in quello che, si augurò, risultasse uno sguardo
tagliente.
Joaquin non rispose, si
limitò a guardarla. E Camilla si sentì incredibilmente a disagio.
Era strano averlo lì, di
fronte a lei. Parlarci, discuterci.
In quei diciotto mesi di
lontananza, si era quasi convinta di aver immaginato tutta la loro storia. Che
Joaquin non fosse mai veramente esistito, che tutto quell’amore fosse stato
solo il frutto della sua fervida immaginazione. Ma ogni volta che pensava di
esserci quasi riuscita, la sofferenza e il dolore che aveva provato e che
l’avevano inesorabilmente cambiata, le rammentavano che quella storia era
esistita davvero. Che quell’amore c’era stato e che poi, incredibilmente, si
era dissolto.
E la presenza di Joaquin
nel suo ufficio, servì solo da ulteriore conferma a quello che aveva sempre
saputo.
“Stai bene, Ci?”, domandò
lui con uno sguardo che sembrava affranto.
Camilla non si lasciò
convincere.
“Fino a dieci minuti fa
stavo meravigliosamente”, chiosò.
Joaquin inspirò
profondamente, “Pensavo potessimo avere rapporti civili, ormai…”.
“Pensavi male”, disse lei
incrociando le braccia sul petto, “Tu non puoi sparire per tutto questo tempo e
poi tornare e aspettarti di trovarmi serena e pacifica. Mi hai fatto del male
Joaq, e certe ferite non si rimarginano. Si limitano a lasciare una cicatrice
fastidiosa che ti cambia”.
“E’ esattamente per questo
che sono sparito”, si difese lui appassionato, “Ma preferirei poter parlare con
te in un posto più tranquillo”.
Camilla ridacchiò, “Ok,
tira fuori la telecamera nascosta!”, rise, “Avanti!” alzò la voce, “Produttori
di Punk’d non ci sono cascata! Tirate fuori coriandoli e cotillon perché qui
avete un genio!”
Joaquin la guardò stupito,
“Cosa diavolo vai cianciando?”
Camilla fece il broncio,
“Non siamo su Punk’d?”, domandò, “Peggio per te. Vuol dire che sei
completamente fuori di testa!”.
Lui scosse la testa,
“Io?”, si meravigliò, “Io sarei fuori di testa?”, scosse la testa suo malgrado
divertito, “Tu sei qui che parli con una telecamera nascosta immaginaria e io
sarei quello fuori di testa?!”
Camilla sospirò
indispettita, “Io sono sconvolta!”, si alzò in piedi e prese a camminare per
l’ufficio, “Dopo quasi due anni tu vieni qui, come se fosse passato poco più di
un giorno e pretendi di spiegarmi il tuo comportamento inspiegabile?”, spalancò
gli occhi e le braccia, “Devo dedurne che sei completamente impazzito!”
“Voglio solo poter parlare
con te”, si giustificò lui, “Penso di dovertelo”.
Camilla fece per
rispondere, ma la fermò lo squillo del cellulare. Si voltò di scatto verso la
scrivania, e sbirciò il nome che lampeggiava sul display.
Una morsa le strinse lo
stomaco.
“Vuoi parlare con me?”,
disse senza smettere di fissare il cellulare, “Ok, parlami. Sono tutta
orecchie. Ma poi esci di qui ed evita di inciampare sulla mia strada”.
Il telefono smise di
squillare. Camilla in quel silenzio, ci vide un po’ di delusione.
“Anzi”, camminò verso la
porta dell’ufficio e la chiuse a chiave, “Parliamone subito”. Andò verso la
scrivania e spinse l’interfono, “Giulls, non fare entrare nessuno fino a nuovo
ordine”.
La conferma della
segretaria le giunse metallica.
Quindi prese il cellulare,
compose un sms e, dopo averlo inviato si mise seduta alla scrivania.
“Comincia pure”, disse a
Joaquin con un cenno della mano.
Lui strinse i denti, “Io
non sono un tuo cliente, Cam. Io voglio parlare con te per tutto il tempo che
riterrò necessario e non nel tuo ufficio mentre lavori”.
Lei sospirò, “Cosa avevi
in mente?”
“Stasera a cena. Da Alan”,
propose, “Ti vengo a prendere alle nove da te”.
Camilla non ci pensò
neanche per un istante. Sapeva che per poter vivere serenamente la sua nuova
vita, avrebbe dovuto affrontare tutti i demoni del passato.
Lo doveva ad Orlando, ma
prima di tutto lo doveva a se stessa.
“Va bene”, mormorò.
E mentre pronunciava
quelle parole, si rese conto di essersi infilata in una trappola.
Camminava tranquillo per
la promenade losangelina.
Un luogo insolito, pieno
di artisti e bancarelle e gente che spingeva, che rideva e bambini che
gridavano e mamme che si mettevano le mani tra i capelli.
Un non luogo,
probabilmente.
Un fazzoletto di terra
dove chiunque poteva dire o fare quello che gli passava per la testa.
Pensò che avrebbe dovuto
tornarci con Cam. Tutto quel vociare, quei colori, l’odore dello zucchero
filato l’avrebbero. Cam era una di quelle donne che aveva ancora la capacità di
stupirsi delle cose più semplici. E, incredibilmente, stava contagiando anche
lui.
Mentre camminava, da una
bancarella, qualcosa richiamò la sua attenzione.
Un acchiappasogni indiano.
Pensò che a Cam sarebbe
sicuramente piaciuto. Poi ridacchiò.
Dom lo avrebbe preso in
giro fino alla morte, se avesse saputo di quello che stava per fare.
Si avvicinò alla
bancarella e ne scelse uno.
La ragazza, una tipa new
age con dei biondi capelli che le arrivavano fino alle spalle, gli sorrise
incoraggiante.
“E’ per te?”, gli domandò.
Lui scosse la testa, “No,
è un regalo”, sorrise.
Lei annuì, “Un ottimo
regalo”, osservò, “Conosci il significato?”.
“Mmmm…Acchiappa… i…
sogni??”, domandò. E lo sguardo divertito di lei lo fece sentire infinitamente
stupido.
“Non proprio…”, gli spiegò
la ragazza, “Acchiappa i sogni cattivi e li blocca, facendo entrare solo quelli
che riempiono il cuore di gioia”.
New age…Orlando sorrise.
“Allora sarà un regalo
perfetto”, si decise a dire.
“Alla tua ragazza
piacerà!”, sorrise lei.
Lui annuì senza pensarci.
A Cam sarebbe piaciuto di
sicuro. Ne era più che certo. Poi si riscosse.
“Come fai a sapere che è
per la mia ragazza?”
Lei finì di impacchettare,
facendo un bel fiocco rosso, “Queste cose si regalano a qualcuno a cui si tiene
veramente. Qualcuno per il quale vorremmo eliminare tutti gli incubi e lasciare
solo sogni meravigliosi che siano una continuità con il sogno che cerchiamo di
regalarle quotidianamente!”
Lui fece una strana
smorfia.
Forse quella ragazza
bizzarra aveva ragione. Forse.
Ma probabilmente non
voleva regalare un sogno solo a Cam, voleva fabbricarne uno anche per se
stesso.
Un bel sogno che lo
facesse sentire bene, che lo riempisse.
Un bel sogno a cui tornare
quando le cose non andavano come avrebbe voluto.
Improvvisamente, senza nessun
preavviso, Cam gli mancò.
Poco prima non aveva
risposto alla sua telefonata, ma con un sms gli aveva detto che era indaffarata che lo avrebbe richiamato.
Si augurò che lo facesse
presto.
Aveva voglia di continuare a costruire quel sogno.
“E’ morto”, annunciò Gwen
tetra.
Cam, seduta sulla poltrona
dell’ufficio, tolse le mani dagli occhi per guardarla.
“Chi?”
L’amica scosse la testa,
“L’unico neurone sano che avevi a disposizione”.
L’altra sbuffò, “Gwen non
ti ci mettere anche tu, per favore. Lo sai che è una cosa che va fatta”.
Gwen alzò un sopracciglio,
“Certo”, annuì sarcastica, “Va fatta. Sono d’accordo. Ma va anche avvisato il
bel pirata che al momento esce con te!”
“Certo che lo avviserò!”,
rispose lei risentita.
Cosa andava a pensare
Gwen? Naturale che avrebbe avvertito Orlando.
“Allora chiamalo ora”,
propose, “Di fronte a me. Lo chiami e gli dici che quel beota del tuo ex
fidanzato è venuto da te per parlare e che tu hai deciso di andare a cena con
lui per sentire cos’ha da dire!”
Camilla fece per
rispondere, quando la porta dell’ufficio si spalancò con poca grazia, lasciando
entrare un Colin eccitatissimo.
“Sei qui, dannazione a
te!”, esclamò.
“Col…?”
“Col?”, ripeté lui, “Ti
cerco da venti stramaledetti minuti e tu dici…Col?”
Gwen scoppiò a ridere,
attirando la sua attenzione, “Ciao Gwen, come stai? Tutto ok?”, guardò prima
l’una poi l’altra, “A guardare le vostre dannate facce si direbbe di no”, si
accese una sigaretta, “Comunque, prima che cominciate a rompere le palle con i
vostri problemi vi devo comunicare una cosa meravigliosa!”
“Illuminaci”, lo incitò
Cam, “Ne ho bisogno!”
“James Mangold…mi ha preso
come co-protagonista per il suo film!”
Camilla trasalì.
“Davvero?” si finse
stupita.
Lui non ci cascò neanche
per mezzo secondo.
“Cam…cosa cazzo ti prende?
Sembri appena uscita dalla centrifuga della lavatrice!”, sputò il fumo,
nervoso, “Che succede?”
“E’ morto l’unico neurone
funzionante che aveva in testa”, spiegò Gwen.
Lui si lasciò cadere sulla
sedia, di fronte alla scrivania, quindi ciccò sopra al porta penne.
“Peccato…”, la sua
espressione enigmatica incuriosì Camilla.
“Peccato?”, ripeté.
Lui aspirò una lunga
boccata di fumo, “Andiamo Cam. Mezza agenzia è in subbuglio perché Mr. Latino è
stato nel tuo ufficio per più di mezz’ora”, scosse la testa, “Ci hai fatto
sesso?”
“Colin!”, lo riprese lei.
“Ok, scusa…scusami!”,
rise, “Ma se Gwen qui, dice che hai ucciso l’ultimo neurone funzionante
significa che hai fatto una dannata stronzata!”
“Ho accettato di parlare
con lui”, spiegò Camilla a disagio, “Non vedo cosa ci sia di male!”
“E il tizio con cui ti
vedevi?”
“Appunto”, disse Gwen.
Camilla sbuffò, alzandosi
in piedi, “Lo faccio proprio per lui. Non mi va di aprire una porta senza
chiuderne definitivamente un'altra!”
“Saggia…”, ironizzò Gwen.
“Non dire stronzate Cam”,
interloquì Colin, “Ti serve una comunicazione in carta bollata per sapere che
quel coglione ha chiuso tutte le porte disponibili che aveva??”
Camilla prese il
cellulare, senza rispondere.
Capiva perfettamente il
punto di vista di quei due, ma sapeva che aveva bisogno di fare quello che
stava per fare.
Lo doveva ad Orlando e lo
doveva a se stessa.
“E adesso che diavolo
fa?”, domandò Colin a Gwen, indicando con un cenno della testa Camilla che
componeva un numero.
La ragazza si strinse
nelle spalle.
“Ehi!”, disse Camilla,
“No…si tutto bene”, si toccò i capelli, nervosa, “Veramente dovrei vedere una
persona stasera!”
“E’ lui?”, domandò Colin.
Gwen annuì.
Il ragazzo, si accese
un’altra sigaretta.
Lo avrebbero ucciso, le
donne.
Camilla rise, “No Orlando,
ascolta facciamo così. Appena ho finito ti chiamo, se sei ancora sveglio ti
raggiungo”.
Dall’altro lato qualcuno
disse qualcosa e Camilla rise.
“Perfetto, ci sentiamo
dopo”.
“Che cazzo di nome è
Orlando?”, domandò Colin soffiando il fumo dal naso, appena lei concluse la
comunicazione.
“Ehi!”, lo rimproverò lei,
“Attento a come parli!”
Lui ridacchiò, “Scusa Cam,
ma ci hai mai pensato? Che cazzo avevano in mente i genitori di quel povero
cristo? L’unico che può permettersi di portare addosso un nome come quello è
Orlando Bloom!”, i suoi occhi si accesero, “Che sarà il protagonista del film
di Mangold e…”.
L’espressione di Camilla
lo bloccò.
“Cam?”, la chiamò.
Lei alzò un sopracciglio.
“Non starai mica uscendo
con Orlando Bloom, vero?”
Camilla si grattò la
testa.
E Colin scosse la sua, suo
malgrado divertito.
“Cazzo Cam…!”, sospirò,
“Non per fare il rompi coglioni della situazione, ma abbi pietà per quel povero
ragazzo. Sei mesi fa è stato scaricato da una tipa, cerca di non riservargli lo
stesso trattamento!”
“Non lo sto facendo”,
puntualizzò lei risentita, “Non ho intenzione di farlo!”
“E allora annulla
l’appuntamento con Mister Latino”.
“Non posso”.
Colin scosse nuovamente la
testa. Se avesse continuato in quel modo, gli si sarebbe svitata.
“Sentite”, disse Cam, “Io
capisco che siete preoccupati, e capisco che per voi è difficile accettare il
fatto che senta la necessità di parlare con Joaquin, ma so di doverlo fare. Non
c’è niente da temere”.
“Sicura?”, domandò Gwen.
“Sicura!”
“E allora Cam…”, mormorò
Colin, “Non mentirgli”.
Mentre si infilava la
giacca, Camilla pensò che i problemi arrivano sempre quando meno ne hai
bisogno.
Per l’esattezza, ti
buttano a terra proprio quando sei quasi arrivata in cima alla montagna.
Non sapeva se quello che
stava per fare era giusto, non sapeva se Orlando avrebbe capito questa sua
esigenza, ma era certa che quell’incontro avrebbe fatto bene a lei e a questa
storia neonata che stava vivendo.
Il campanello suonò e lei
trasalì.
Mentre chiudeva la porta
dell’appartamento si immaginò che ad aspettarla di sotto ci fosse un’altra
persona.
Un altro uomo.
Lo stesso che le aveva
augurato una buona serata dieci minuti prima, e che l’aveva pregata di
liquidare presto lo scocciatore ed andare da lui.
Lo stesso, si rese conto,
al quale aveva mentito.
Con uno strano moto di
rabbia che le muoveva lo stomaco, si accinse a raggiungere Joaquin all’altro
lato della strada.
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Capitolo 10 *** Ancora tu... ***
cap10
CAPITOLO DIECI
ANCORA TU…
CAPITOLO DIECI
ANCORA TU…
“I’m
walkin’ on sunshine…yeeah…I’m
walkin’ on sunshine…yeeeah…I’m walkin’
on sunshin’…and I fell good…ta ta rara
ta!”
Orlando
mimò con le braccia l’assolo di chitarra elettrica, quindi si inginocchiò per
terra fingendo di salutare la folla.
Qualcuno,
dalla porta dell’ascensore che portava direttamente nel suo appartamento
scoppiò a ridere di giusto.
“Cristo
Santo! Altro che Orlando Innamorato…questo è l’Orlando Pazzo Scatenato!”
Riconobbe
la voce di Dominic in meno di mezzo secondo.
“Dom!”,
esclamò raggiungendolo.
Si
abbracciarono, dandosi potenti pacche sulle spalle.
“O.B. non
smetti mai di stupirmi!”, continuò a ridacchiare lui, lasciando cadere a terra
una grossa sacca da viaggio verde militare.
“Ti
lascio affranto e dolorante e ti ritrovo che imiti il chitarrista dei sex
pistol!”, scosse la testa, “Sconvolgente!”
Orlando
gli indicò il divano, quindi aprì lo scotch che aveva deciso di riservare alle
occasioni speciali.
Dominic
si guardò intorno, con aria soddisfatta.
“Bella tana!”,
annuì, “Mi piace. Grande, spaziosa…minimal! Ottima, davvero!”
L’amico
gli passò un bicchiere, “Sono contento che ti piaccia!”
“Ok,
basta convenevoli O.B., sputa il dannato rospo!”
Orlando
si mise seduto ridacchiando.
“Ho una
storia”, annunciò.
“E questo
si era capito”, osservò l’altro, “Altrimenti adesso non sarei qui dopo nove ore
di viaggio con annessa turbolenza e hostess orripilante!”
Dominic
sorseggiò il suo scotch, “Ma voglio i dettagli”.
Orlando
sospirò.
Era
immensamente grato a Dom di essere arrivato a Los Angeles proprio quella sera.
Si
sentiva all’apice delle emozioni, si sentiva forte delle su convinzioni e non
vedeva l’ora di raccontarle a qualcuno.
Anzi, non
vedeva l’ora di raccontarle al suo amico.
“Ehilà…Romeo!”,
lo sbeffeggiò Dom, “Ci sei??”
Orlando
alzò allegramente il dito medio.
“Gentile…”,
ironizzò Dom, “Pensavo che l’amore ti facesse bene!”
“Dom…cosa
vuoi sapere esattamente?”
Solo dopo
quella scarica di domande, Orlando si pentì della sua richiesta.
“Allora…partiamo
da principio. Lei la conosci perché fa la Pr.
Ti cerca per un lavoro, tu vai e lì si accendono a
intermittenza delle strane lucine nel tuo cervello annacquato che sembrano
quelle che Madame Sonia utilizzava per decorare l’albero di Natale. La incontri
di nuovo e tenti di ustionare la sua bella pelle tirandogli contro un caffè”,
fece una smorfia divertita, “Che è il trucco più vecchio e demente del mondo,
se consideri che l’avevi vista e che, volendo la potevi chiamare per nome”,
alzò un sopracciglio, “Tuttavia decidi per questa scelta infantile e romantica
che fa calare a picco la tua fama di tombeur de femme!”
Orlando,
suo malgrado scoppiò a ridere, ma lo lasciò continuare.
“Dopo di
che vi incontrate ancora e stavolta è lei che cerca di attentare alla tua vita.
Comprensibilmente. Ed è proprio qui che capiamo il perché vi siete trovati…come
se niente fosse, anzi, come i migliori malati mentali, stabilite una data di
matrimonio. E cominciate a frequentarvi...”, scosse la testa, “La Steel avrebbe saputo fare di
meglio”, bevve ancora un po’ di scotch, “Ora arriva l’interrogatorio”,
annunciò.
“Spara”,
lo invitò Orlando.
“Anni?”
“Ventinove”
“Quanto
le piaci?”
Lui si
strinse nelle spalle, “Sufficientemente perché trascorra la metà del suo tempo
insieme a me”.
“Quanto
ti piace?”
“Molto”
“Quanto
sei disposto ad investire?”
“Quello
che serve ed anche di più”
“Quanto
pensi che potrai tenerlo nascosto al mondo?”
“Finchè
non siamo forti abbastanza”
Dominic
annuì una sola volta, “Se fregato, amico!”
Orlando
rise, “Dici?”
Dom si
alzò dal divano e prese a camminare per il salotto, “Dico di si”,
improvvisamente si fermò di botto davanti ad un pacchetto blu con un fiocco
rosso, “E questo?”
“E per
lei”, spiegò Orlando, “E’ un’acchiappasogni”
“Oh
si…sei fregato!” rise, “Definitivamente!”
Orlando si
versò dell’altro scotch.
“O.B.
posso chiederti una cosa?”
L’altro
annuì.
“Ma la Santa Donna dove diavolo è?”
La
Santa
Donna,
per l’appunto, era seduta al tavolo del ristorante a contare i minuti che la
separavano dalla fine di quell’interminabile cena.
Joaquin
aveva parlato e aveva parlato e aveva parlato ancora, ma le sue parole
sembravano non aver sortito nessun effetto su di lei.
Si era
detto dispiaciuto, affranto per quel che le aveva fatto ma Camilla gli aveva
spiegato chiaro e tondo che, nonostante fosse piacevole sentire le sue scuse,
non aveva la minima intenzione di mantenere alcun tipo di rapporto con lui.
Nessun
rapporto che non fosse lavorativo.
Joaquin
aveva incassato il colpo, annuendo.
E adesso
se ne stava imbronciato a guardare la sua panna cotta ai mirtilli.
Camilla
sbuffò, “Oh per favore!”
“Cosa?”,
domandò lui.
“Davvero
credevi che quattro frasi messe al punto giusto mi avrebbero fatto cambiare
idea?”
Lui si
strinse nelle spalle, con aria colpevole.
“Joaq…”,
sospirò, “Se sono qui, adesso, è solo perché avevo bisogno di sentire la tua
versione dei fatti”, spiegò, “In tutto questo tempo non ho mai veramente saputo
quello che pensavi e questo mi ha costretto a fabbricare mille congetture che
non facevano altro che farmi soffrire di più. Adesso so come la pensi, so
quello che vuoi e so quello che penso e voglio io. Va bene così”.
“Sai
tutte queste cose?”, ironizzò lui, “Fortunata te!”
“Le sai
anche tu”, ribatté lei.
Lui
annuì, “Oh certo. Io le so, sei tu a non sapere tutto”.
“Sono qui
per questo, no?”
“Io
voglio te Ci”, disse lui risoluto, “So che ti ho fatto del male, so di averti
ferita ma so anche, e ne sono certo, che noi due abbiamo un legame troppo
importante per mandarlo a puttane così”.
Lei
spalancò la bocca per ribattere qualcosa di poco gentile, quindi la richiuse
sospirando.
“Quello
che ci è capitato”, continuò lui incoraggiato dal suo silenzio, “Non era nel
nostro controllo. Tutta quella pressione mediatica, tu che potevi essere
licenziata, il mio agente che mi stava col fiato sul collo…mi ha inebetito,
ecco”.
“Inebetito?”,
domandò lei senza nessuna inclinazione nella voce.
“Si
esatto. Pensavo che andandomene avrei fatto del bene a te. Ti avrei fatto un
favore. Eri all’agenzia da poco, la tua carriera stava decollando e non
meritavi di perdere tutto a causa mia. Per me non era un problema, ma per te
si. Non ce la facevi più e me ne rendevo conto, così ho preso la decisione più
giusta per te, ma ciò non significa che l’ho fatto a cuor leggero”.
Camilla
rimase sconvolta.
Decisamente
sconvolta.
Se non
ricordava male quando lui se ne era andato le aveva detto, “Non ti amo più”.
Glielo
fece presente e Joaquin ridacchiò.
“Se ti
avessi detto quello che ti sto dicendo ora mi avresti lasciato andare?”
“No”,
rispose lei senza neanche pensarci.
“Appunto”,
sorrise lui, mesto, “Avresti sacrificato la tua carriera per me, e non potevo
permetterti di farlo. Non te lo meritavi”.
“Ero
abbastanza grande per decidere da sola”, osservò lei.
“Si ma
eri anche abbastanza in gamba per diventare quella che sei adesso”, spiegò lui,
cocciuto, “Ti ho seguita giorno dopo giorno Ci, ho visto quello che sei
riuscita a fare, ho letto articoli entusiasti su di te, ho sentito colleghi che
parlavano di te come se parlassero di un’amica e mi sono detto che allora
quello che ho fatto non era sbagliato. Mi sono detto che aver sofferto era
servito veramente a qualcosa. E quando ho capito che ormai ce l’avevi fatta
sono tornato a riprendere quello che era mio”.
Camilla
non ci cascò.
“Jo, ti
eri cancellato dall’agenzia…non avresti dovuto aspettare neanche un secondo, se
avessi voluto”.
Lui
sorseggiò del vino, “Avrei dovuto lo stesso invece, perché ormai eravamo in
mezzo ad un uragano e ti avrei compromesso lo stesso”.
“Non ti
credo”, mormorò lei.
“Lo avevo
messo in conto”.
“No Jo
sul serio, non riesco a credere alle tue parole. Io sono andata avanti, ho
conosciuto qualcuno, qualcuno a cui tengo e non posso…”
Joaquin
allungò una mano e prese la sua.
“Cam, ti
sto dicendo di tornare ad essere la coppia che eravamo. Quella che meritavamo
di essere”.
Lei lo
guardò imbambolata.
La coppia
che erano stati.
Una gran
coppia, doveva ammetterlo.
Due
opposti che si erano incastrati alla perfezione creando un rapporto talmente
intimo da sentirsi quasi privilegiati.
E ripensò
a tutto quell’amore che aveva sentito dentro, lo stesso amore che con il tempo
l’aveva indurita, incattivita, disillusa.
Lo stesso
amore che adesso avrebbe potuto tornare più forte e vigoroso di prima.
Lo stesso
amore.
Punto.
Ma nel
frattempo pensò ad un amore diverso.
Un amore
che non chiedeva di rinascere ma che cresceva da solo, senza aiuti, senza
spinte.
Un amore
che avrebbe potuto diventare ancora più immenso dell’altro.
Che
l’avrebbe davvero fatta crescere.
Eppure….
La
familiarità del sorriso di Joaquin la riscosse.
“Che
c’è?”, gli domandò.
“C’è che
ti conosco Ci, e so perfettamente quello a cui stai pensando”.
Non disse
nulla, si alzò e andò a pagare il conto.
Camilla
lo guardò allontanarsi, quindi si alzò e si preparò ad uscire.
Quando
Joaquin ritorno, accettò di prendere quel braccio che lui le offriva divertito.
“Andiamo
a casa Jo…”, disse lei. Poi immaginò di poter essere fraintesa, “Chiamerò un
taxi. Devo smaltire questa conversazione”.
Solerte
Joaquin fermò uno yellow cab che passava per la strada. L’autista accostò e
Joaquin aprì lo sportello e comunicò l’indirizzo.
Si voltò
verso di lei e senza dire nulla l’abbracciò.
Camilla
si lasciò stringere, abbracciandolo a sua volta.
Il suo
Joaquin…
Quanto
tempo.
Quanto
tempo….
“Pensaci
Ci”.
Lei
annuì, quindi salì nel taxi salutandolo con la mano.
Una volta
sola, decise di chiamare Sandra e Gwen.
Ora come
non mai aveva bisogno di loro.
Da dietro
un cespuglio, un ometto piccolo ma decisamente tenace, scattò un’ultima foto a
Joaquin Phoenix che saliva in macchina e seguiva il taxi.
Sorrise
compiaciuto.
Star!
Pensavano
sempre di fargliela e invece lui riusciva perfettamente a capire ed anticipare
le loro mosse.
Questa
poi, gli sarebbe valsa una valigia di soldi.
Già si
immaginava il titolo, “Joaquin Phoenix e la sua ex tornano insieme”.
Sorrise
di nuovo.
Sarebbe
diventato incredibilmente ricco.
NDA
Eccoci ancora qui.
Ragazze,
lo so che vi avevo promesso aggiornamenti più repentini ma
purtroppo il computer è crollato di nuovo, perciò sto
riscrivendo tutto pian pianino. E' rimasta solo un'altra storia che ho
pubblicato stasera insieme al nuovo capito!! ;) Se vi va, andate a dare
un'occhiata!!!
Comunque,
mi fa piacere che questo nuovo cambio di programma vi incuriosisca e vi
preoccupi. La nostra Cam avrà un bel pò di gatte da
pelare nei capitoli successivi. E il "cugino di Penelope Cruz"
ahahaha....(in realtà è il fratello di River Phoenix!
Questo ve lo dico per dovere di cronaca), non sparirà molto
presto....!
Insomma le soprese sono dietro l'angolo, spero che abbiate la pazienza per godervele tutte!
Grazie ancora del sostegno ragazze, siete mitiche!
Un bacione
Amaranta
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