Insieme amico, fino alla fine.

di Mary_the barefoot girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. My Hometown ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 (Eddie Cunningham) ***



Capitolo 1
*** 1. My Hometown ***


Tempo fa quando pensavo a questo libro lo immaginavo come una storia su di me. Ma poi ho pensato che senza delle persone che hanno fatto parte della mia vita non sarei l'uomo che sono ora. Certo, sarei comunque un uomo di 57 anni di nome Ray Casilang, ma sarei diverso. Non so se in meglio o in peggio, ma diverso. Quindi ho deciso che questo libro non sarà su di me, ma sulla mia vita. E perciò anche su tutti quegli uomini che mi hanno peggiorato o migliorato. 

Io sono nato in una piccola città dell'Oregon di cui non vi sto neanche a dire il nome. Era una di quelle città talmente insignificanti da non essere conosciuta neanche a 100 chilometri di distanza. Era una città in cui sogni e speranze non esistevano. C'erano lavoratori, ladri, disoccupati. Pochissimi negozi. L'unica cosa che abbondava in città era la tristezza. Tristezza perché le famiglie diventavano sempre più povere. Tristezza perché nonostante tutti pregassero, Dio non ascoltava. Tristezza perché se speravi di andartene da li per essere qualcosa di più di un operaio tutti ti guardavano da lontano pensando che eri e che saresti stato per sempre un buon a nulla. Quando pioveva non capivi se sui volti delle persone c'erano gocce di poggia o lacrime. Fabbriche che fallivano, fabbriche che portavano via una mano durante il lavoro. Precari che rubavano per andare avanti. Criminali che avevano sperato per anni di essere liberi, quando finalmente uscivano dalla loro cella cercavano di essere riportati dentro entrando con una pistola in un negozio perché dopo tanti anni non capivano più come si stava alle regole fuori da una gabbia. Un uomo che si chiama Perkins, Jarod Perkins, è stato sbattuto dentro per omicidio e l'anno scorso è uscito dalla prigione dopo trent'anni. Ma dopo pochi mesi è entrato nel negozio di alimentari di Ryan Brown e gli sbirri se lo sono ripreso, non so per quanto starà ancora con loro però. C'erano anche parecchi alcolizzati. Ryan Brown lo era e anch'io. Ora sono migliorato ma mi capita ancora di tremare e quando succede dico ai miei compagni di cella che è per il freddo, anche quando fuori ci sono 40 gradi. Può sembrare una cosa stupida, ma quando sei malato come me convincersi che tutto vada bene ti può portare alla salvezza. Si, avete capito bene, di cella. Anch'io sono in gabbia, da qualche anno ormai. Omicidio. Ma il perché è meglio che non ve lo dica adesso. Però non c'erano sono solo criminali in quella città, insomma, qualche cuore buono esisteva. Ora non me ne vengono in mente ma appena me ne ricorderò qualcuno ve ne parlerò. Io abitavo con la mia famiglia al 404 di Stud Street. Mia madre si chiama Rose Evans e lavorava all'ufficio postale. Mio padre si chiamava Henry Casilang ed era uno di quegli operai danneggiati dalle fabbriche. A lui la fabbrica rubò l'udito. E infine c'è la persona più importante della mia famiglia: mio fratello, Danny Casilang. Mi piaceva da matti giocare con lui da piccolo ma crescendo siamo stati insieme sempre meno perché lui aveva i suoi amici e io i miei. Però nel fine settimana andavamo spesso a pescare insieme giù al fiume che tutti noi chiamiamo Thunder. Avevamo sempre i nostri cappelli degli Yankees, io blu e lui nero. Amavamo il baseball, era stato nostro padre a passarci questa passione. Henry Casilang era capitano della squadra di baseball del liceo. Sognava di diventare un giocatore importante. Uno di quelli così famosi che si inventano una loro mossa quando fanno un fuoricampo, una mossa che viene imitata da tutti i ragazzini d'America quando giocano a baseball con i loro amici nei giardini delle loro case. Ma poi mia madre rimase incinta di Danny e mio padre dovette cancellare dalla mente tutte quelle coppe, medaglie e urla per lui dai tifosi e trovarsi un lavoro. Il vecchio Douglas Reynolds gli diede un lavoro nella sua fabbrica di plastica e ora sta ancora lavorando li. Tutta la vita li dentro, tutta la vita a fare esattamente gli stessi movimenti, 11 ore al giorno. Impazzirei, ne sono sicuro. Io volevo di più dalla vita. Ma questo non potevo dirlo a nessuno, non era vista bene la speranza. Potevo parlarne solo con Danny o con i miei due amici, Johnny Lane e Billy Handerson. Loro erano quegli amici che riescono a farti ridere anche nei momenti più terribili, se non ci fossero stati mi sarei sentito come se mancasse una parte di me. Mi sarei sentito come Bruce Springsteen senza Little Steven e Big Man. Però mi mancava qualcuno nonostante tutto. Qualcuno con cui parlare seriamente una volta tanto, qualcuno con cui condividere la mia passione per il rock'n'roll, qualcuno che ascoltasse le mie storie senza annoiarsi dopo neanche due righe. Sentivo continuamente di averne bisogno, ma non sentivo con altrettanta forza che quel qualcuno sarebbe arrivato da me a momenti. Non sentivo che sarebbe arrivato quando meno me lo fossi aspettato. Ma sapevo che se fosse arrivato mi avrebbe cambiato la vita. E avevo ragione, eccome se l'avevo. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 (Eddie Cunningham) ***


Io, Johnny e Billy non andavamo al fiume Thunder solo per pescare, ma anche a fare il bagno nei giorni d'estate. Eravamo li tutto il giorno e il tempo passava con la velocità di uno schiocco di dita. Facevi in tempo a dire due stupidate e la giornata era già finita. È una cosa strana, il tempo. Ormai sembra scontato il fatto che un'ora quando ti diverti sia un lampo e che quando ti annoi sia un'eternità, ma sinceramente se non se ne fosse accorto Henri Bergson non ci avrei mai pensato. È proprio un bastardo. Quando provi delle emozioni di cui non sapevi neanche l'esistenza, quando passi una serata con le persone a cui vuoi più bene al mondo, forse anche quando dai il tuo primo bacio a una persona che ami vorresti che il tempo si fermasse, che l'Universo si fermasse, che tutti si fermassero tranne te, per avere la possibilità di riflettere su ciò che ti succede. O anche semplicemente per osservare da lontano ciò che stai vivendo e fotografarlo nella mente in modo che quell'immagine, quella canzone, quell'emozione resti per sempre viva nei tuoi ricordi. Sono sicuro che l'unica arma che abbiamo contro il tempo sia la memoria. È l'unica cosa che nonostante i giorni, i mesi e gli anni non ti abbandona mai, almeno che non ti tradisca l'età che avanza com sta iniziando a capitare a me qualche volta. Però l'uomo ha un asso nella manica: la fotografia. È la più grande invenzione dopo la musica. Le fotografie parlano, raccontano e ti fanno sorridere. Ti fanno sorridere perché grazie a loro ti tornano in mente quei giorni di quando eri bambino e ti importava solo giocare con i tuoi amici, le sere in cui cenavi con tutta a tua famiglia, la soddisfazione di avere finalmente una Cadillac tutta tua, una chitarra elettrica nera e oro da far parlare, l'ultimo album di Elvis da ascoltare sul giradischi. Sono cose straordinarie. Sarebbe bello se si potessero fotografare le emozioni, almeno farei vedere quella foto alla gente quando parlo di Eddie. Perché per quanto uno scrittore sia bravo descrivere un'emozione è sempre complicato, non si riuscirà mai a far capire alle persone cosa provi finché non lo proveranno anche loro. Però siccome non si può è meglio che mi dia da fare. Era l'8 giugno 1966 e io e i miei amici eravamo giù al Thunder a fare il primo bagno dell'estate. Avevamo appena finito tutti e tre il primo anno di liceo ed eravamo sfiniti. I nostri genitori ci vollero far frequentare un liceo cattolico pieno di suore, regole e religione. Quando entra i c'era un odore di religione che ti avvolgeva e opprimeva tutte le tue idee e aumentava la tua voglia di ribellione e di scappare da li. L'unica cosa che ti dicevano era di studiare, pregare e pentirti. Dio quanto le odiavo! Insomma finito l'ultimo giorno di scuola eravamo i quattordicenni più felici del mondo intero. Il suono della campanella ci fece sentire liberi. Era come se un lucchetto si aprisse e una catena pesantissima cadesse dalle nostre spalle. Ricordo tutto come se fosse successo ieri invece che 48 anni fa: noi che correvamo giù al fiume, l'acqua gelata, le nostre risate, il Sole alto e abbagliante, la radio che sulla KAL, canale 14, mandava Can't Help Falling In Love. Era tutto così perfetto. Ma ricordo soprattutto un ragazzo dall'altra parte del fiume con i capelli ricci pettinati all'indietro. Anche lui aveva la radio, ma non sulla KAL, non so in che canale, ma so che stava ascoltando Like A Rolling Stone. Ricordo la prima volta che la ascoltai. Ero in macchina con mia madre e alla radio mandavano YMCA, a lei piaceva molto. Finita quella canzone mandarono Like A Rolling Stone e fu come se un calcio mi spalancasse le porte della mente. Ricordo la voce gracchiante di Zimmerman durante il ritornello: "How does it feel? How does it feel? To be on your own With no direction home Like a complete unknown Like a rolling stone?" Lo dice in un modo pieno di disprezzo, cattivo, forse addirittura crudele. Io a quel "How does it feel?" Risposi illuminato. Anzi, forse "dylaniato" è più appropriato. È stato folgorante, pensai che quella voce fosse la più bella del mondo. Mia madre disse che non avrebbe fatto mai strada con quella voce, ma con il tempo si è ricreduta. Forse anche un po' vergognata tanto da chiamarlo ancora oggi il nostro piccolo segreto. E così, quando vidi quel ragazzo che ascolava quella canzone, non potei fare a meno di incuriosirmi. Andai avanti per tre giorni a osservato da lontano per cercare di capire che cosa stesse ascoltando. Un giorno Dylan, Elvis, Gli Animals. Il quarto giorno non riuscii a trattenermi e andai a parlargli. E, beh, è la cosa migliore che abbia fatto in tutta la mia vita. Gli sorrisi e lo salutai. Lu abbassò la musica, mi sorrise e mi salutò. Aveva gli occhi tra il verde e l'azzurro, una pelle olivastra e i capelli neri. Questo è stato uno dei momenti in cui desiderai che il tempo si fermasse perché volevo godermi il più possibile tutta la felicità che stavo provando. È vero, non lo conoscevo. Ma sentivo che era la persona che stavo aspettando e ne abbi la piena certezza quando vidi a casa sua una chitarra elettrica e uno spartito con scritto Twist And Shout.

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