The Miracle

di Aagainst
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. The Concert ***
Capitolo 3: *** 2.Musica classica ***
Capitolo 4: *** 3.Elena ***
Capitolo 5: *** 4.You still haven't found what you're looking for ***
Capitolo 6: *** 5. I'm il love with you, but you don't know it ***
Capitolo 7: *** 6.Loves that come, loves that go ***
Capitolo 8: *** 7.Questions ***
Capitolo 9: *** 8.I can feel the pressure ***
Capitolo 10: *** 9.Past that hurts ***
Capitolo 11: *** 10.Well, I think I fell in love with you ***
Capitolo 12: *** 11.Good Time ***
Capitolo 13: *** 12.Escape Route ***
Capitolo 14: *** 13.Breakdown ***
Capitolo 15: *** 14. Beautiful with you ***
Capitolo 16: *** 15.Doubts ***
Capitolo 17: *** 16.What Are You So Scared Of? ***
Capitolo 18: *** 17.My Faith ***
Capitolo 19: *** 18.What a... ***
Capitolo 20: *** 19.Anger ***
Capitolo 21: *** 20.Listening ***
Capitolo 22: *** 21.Forgivness ***
Capitolo 23: *** 22.Fix You ***
Capitolo 24: *** 23.You Have Stolen My Heart ***
Capitolo 25: *** 24.Broken ***
Capitolo 26: *** 25.It's like a whirlwind inside of my head ***
Capitolo 27: *** 26.Brave ***
Capitolo 28: *** 27.Still Breathing ***
Capitolo 29: *** 28.It's just a spark but it's enough to keep me going, so let your light shine bright inside of me ***
Capitolo 30: *** 29.Fear ***
Capitolo 31: *** 30.Time To Live ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
10 giugno. Il giorno, anzi, la notte che non scorderò mai. La notte della mia inconsapevole rinascita. E pensare che, se non fosse stato per mia sorella, io ora non sarei qui a raccontare questa storia. Tutta colpa di mia sorella Silvia e di quel dannato concerto. Già, Silvia. Mia sorella ha vent’anni e adora la musica. Ascolta tutti gruppi che io, boh, neanche conosco per nome. E in quel periodo era in fissa con una band, i Paramore. Beh, io li odiavo. Innanzitutto, non erano per niente il mio genere. Io suono il clarinetto, amo la musica classica e mi stavo per diplomare al conservatorio. Ho ventiquattro anni e mezzo e sono stato il tutore di mia sorella fino a due anni fa, finché era minorenne. I nostri genitori ci hanno lasciati quando avevo solo quattordici anni. Da lì, ho iniziato a odiare Dio. Mi sono arrabbiato. Insomma, perché ci avevano lasciati?  E perché Lui aveva permesso tutto questo? E proprio questo era il secondo motivo per cui odiavo i Paramore. Non potevo ascoltare una band che ne parlasse così tanto. Insomma, io e i Paramore eravamo due mondi opposti. Eppure, ancora per poco.
-Davide, sei pronto? Dobbiamo andare!- urlò Silvia da camera sua. -Si, arrivo.- le risposi. Mi avviai verso la sua stanza. Mia sorella era vestita con una maglietta a maniche corte  riportante una frase di qualche loro canzone e dei jeans. -Sei pronto? Guarda che non voglio restare fuori dall’Ippodromo! -Sì ora andiamo. Prendo le chiavi della macchina.  Salimmo in auto e partimmo per l’autodromo. Mi aspettava la serata più noiosa della mia vita, costretta ad ascoltare musica orrenda. O no? 

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Capitolo 2
*** 1. The Concert ***


Silvia era scatenatissima. Io, invece, ero annoiatissimo. Mi stavo altamente rompendo. Tutta quella batteria era così… Stordente. Bah, non mi convinceva. Avrei dato un braccio per potermene andare. Non ne potevo più. –Quanto manca?- chiesi a mia sorella. –Andiamo Davide! E’ appena iniziato! Piantala!- mi rispose. Sbuffai e cercai di farmi piacere quella musica. Mi concentrai sui musicisti. Il bassista continuava a far volare quel suo povero strumento, mentre il chitarrista sembrava abbastanza sicuro di sé. Il batterista, invece, sembrava che avesse messo un dito nella presa della corrente. Aveva i capelli più ricci che avessi mai visto. Il mio sguardo si soffermò sulla cantante. Era piccolina, ma saltellava di qua e di là come se niente fosse. E la sua chioma rosso fuoco la seguiva con la stessa dinamicità. Ogni volta che scuoteva la testa mi veniva da ridere. Non avevo mai visto nulla di così patetico. –Ora suoneremo un pezzo più calmo!- annunciò sorridendo. Si sistemò ad una pianola. –Questa canzone si chiama My Heart.-. La folla era in delirio. Iniziò a suonare. Dovevo ammettere che non era niente male. Anzi, era piuttosto brava. Rimasi affascinato da quel suo suonare. –Ehi, vedo che ti piace!- mi disse mia sorella con un sorriso. –Beh, è brava a suonare. Ma questo non cambia nulla. Non mi piace la musica che ascolti tu.- risposi, con una punta d’orgoglio. Non volevo ammettere che quella canzone mi era, in realtà, piaciuta. Silvia alzò gli occhi. Aveva capito tutto. Il concerto finì con una canzone abbastanza scatenata, “Misery Business”. Inutile dire che mi stava scoppiando la testa. –Davide, posso chiederti una cosa?- domandò Silvia. –Certo.-. Era nervosa: continuava a mordicchiarsi il labbro. –Ti andrebbe di conoscere il mio ragazzo?-. Rimasi impietrito. Mia sorella aveva un fidanzato e me lo diceva solo ora? –Beh, se non ti va, è lo stesso!- -No, no! Mi va eccome!- esclamai. Silvia mi portò nel backstage del concerto. Non capivo. –Dove stiamo andando?- le chiesi, senza però ricevere risposta alcuna. Eravamo in prossimità dei camerini, quando una voce l chiamò. –Silvia!-. Mia sorella si girò. –Taylor!-. Ok, confesso che non ci capivo più niente. Insomma, non era possibile: mia sorella era insieme al chitarrista dei Paramore? E aveva osato non dirmelo? E poi, insomma, come diavolo si erano conosciuti? –Davide, lui è Taylor! Poi c’è Jeremy che suona il basso, mentre lui è Ilan, il batterista, anche se non è un membro effettivo della band. Ci siamo conosciuti quando sono andata negli Stati Uniti per lo scambio con la scuola.-. Ero letteralmente pietrificato. –Perché non mi hai detto nulla? Non capisco!- esclamai. Silvia sembrò delusa dalla mia reazione. –Volevamo essere sicuri che potesse diventare qualcosa- mi rispose. –Allora, ti è piaciuto lo spettacolo?- mi domandò Jeremy. Annuii poco convinto. Non volevo dirgli che a me piace solo la musica classica. –Silvia, che piacere vederti!-. Una ragazza con i capelli rosso fuoco abbracciò mia sorella. Doveva essere la cantante. –Hayley, lui è mio fratello Davide.-. –Piacere, Hayley-. Mi strinse la mano con un sorriso. Io ero rigidissimo. Non vedevo l’ora di tornare a casa, mi sentivo troppo al centro dell’attenzione. E, a parte quando suono, odio essere al centro dell’attenzione. Silvia parve accorgersi del mio disagio. –Allora ci vediamo domani ragazzi! Che ne dite?- -Per noi va bene! Ci sentiamo!-. Silvia diede un bacio sulla guancia a Taylor e mi portò fuori. –Meglio che guidi io.- affermò. Arrivammo a casa e io filai a letto senza neanche salutarla. Ero sconvolto.

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Capitolo 3
*** 2.Musica classica ***


CAPITOLO 2
Quando mi svegliai, non c’era nessuno. Scesi in cucina. Sul bancone c’era un biglietto: “ Raggiungici in Piazza Duomo appena sei pronto. Intanto io porto i ragazzi a visitare la città. Ti voglio bene. Silvia.  “. Mi vestii di corsa e andai verso il Duomo. C’era un caldo terrificante, ed erano solo le dieci di mattina. Quando arrivai al luogo dell’appuntamento, non vidi nessuno. Il perché? Semplice, non c’era nessuno. Decisi di aspettare un po’. Dopo mezz’ora capii che avrei dovuto chiamare mia sorella. Composi il numero e aspettai che rispondesse. –Pronto?-  -Ciao Silvia, sono Davide. Si può sapere dove cavolo siete?- domandai con aria alquanto scocciata. –Oh, sei già al Duomo! Beh, vedi, noi siamo allo stadio. Ci tenevano a vederlo. Perché non ci raggiungi?-. In quel momento avrei voluto spaccargli la testa. Perché cavolo mi aveva dato appuntamento in un posto e poi se n’era andata a zonzo? –Sì, ok. Aspettatemi lì, arrivo subito.-.
Quando arrivai li trovai tutti in fila ad aspettarmi. Avevano fatto shopping, lo capivo dai non so quanti sacchetti che Hayley aveva letteralmente addosso. Più la guardavo, più mi stava antipatica, non riuscivo a capire il motivo. Forse semplicemente perché la vedevo serena e tranquilla. O forse perché sapevo di avere davanti una persona ricca e famosa che non aveva da faticare per tirare avanti o pagare un affitto, mentre io ero costretto a sgobbare come un mulo per riuscire a far studiare mia sorella all’università. Sì, lo so, l’invidia è una brutta bestia. E poi, non ero sicuro di esserle simpatico neanch’io. Insomma, nutrivamo sentimenti reciproci. E quando mia sorella si accorse del modo in cui la guardavo, mi tirò un calcio. –Ahi!- gridai. Lei mi fece segno di tacere e assunse un’espressione che sembrava  suggerirmi “ Te la sei cercata “. Sbuffai e guardai l’ora. Era quasi mezzogiorno. –Che ne dite di venire a casa nostra per pranzo? Tanto il volo ce l’avete stasera, no?- propose Silvia. Io strabuzzai gli occhi. Non mi andava di avere quei quattro a casa mia. –Ma, Silvia, io devo studiare. E anche tu!- le dissi. Ma lei mi ignorò. –Ehi, tesoro, è una grande idea. Accettiamo l’invito.- annunciò Taylor. Ok, rettifico. Sono anche molto geloso. E Taylor mi dava sui nervi. Non volevo che portasse mia sorella negli Stati Uniti. Ma non ebbi la forza di oppormi a quanto stava succedendo. Così mi ritrovai a dover preparare il pranzo per tutti quanti, compreso Justin York, il fratello di Taylor che ci raggiunse più tardi. –Fai qualcosa di buono e di appetitoso!- mi raccomandò Silvia. Decisi di preparare della pasta con il pesto e degli involtini di carne. Ovviamente, vidi a malapena le briciole di tutto ciò che avevo cucinato. Ma il colmo fu raggiunto quando dovetti lavare i piatti. Infatti, Jeremy, volendo aiutarmi, fece cadere tutto per terra. Inutile aggiungere che nessuna delle stoviglie si salvò. –Adesso basta! Me ne vado a suonare! Da solo!- urlai in faccia a mia sorella. Non mi importava se potessero rimanerci male. Entrai in camera e presi il mio clarinetto. Lo montai minuziosamente, poi presi uno spartito a caso e iniziai a suonare. Mi persi totalmente nella mia musica, che non mi accorsi che Hayley era entrata e mi stava ascoltando, muta. Quando mi voltai e la vidi, divenni rosso. Non mi piaceva essere guardato mentre provavo. –Mozart, vero? Concerto per clarinetto, se non sbaglio.- disse con un sorriso. –Conosci Mozart?- le chiesi. –Guarda che solo perché canto in una band che usa chitarre, basso e batteria non vuol dire che sia un’ignorante in ambito musicale. Anzi, continua, sei molto bravo.-. A quell’affermazione divenni paonazzo. –Beh, grazie.- riuscii a rispondere. –Posso dare un’occhiata ai tuoi dischi?- mi chiese. –Certo.- affermai. Iniziò a guardare tutti i cd che avevo. Non sembrava stupirsi che non ne avessi neanche uno di musica moderna. Anzi, sembrava emozionata dall’aver scoperto che qualche ragazzo possa ascoltare anche solo musica classica. I suoi occhi si soffermarono su un vecchio vinile. La custodia era senza titolo. Stava per prenderlo in mano, quando io la bloccai. –No! Quello no!- esclamai, lasciandola sorpresa. Allontanò subito le mani e mi guardò, con aria stupita. –Scusa, è che è l’unica cosa che mi rimane dei miei genitori.- le dissi. –Capisco. Beh, io devo andare, tra un po’ abbiamo l’aereo. Andiamo in Lussemburgo. Quindi… Ciao.- mi salutò.
Saranno state le due di notte, quando Silvia mi svegliò. –Ehi, Davide, sveglia! La sai la notizia?- urlò. –No, Silvia, non so la notizia. Che c’è? E’ notte fonda!- bofonchiai. –I Paramore hanno dovuto annullare il tour! Mi ha appena chiamata Taylor! Resteranno qua a Milano tutta l’estate! Non è fantastico? Certo, mi dispiace per loro, però potrò stare con il mio ragazzo per tre mesi!-. Quelle parole furono una doccia fredda. Non avrei retto quei cinque per tutto quel tempo. Soprattutto, non avrei retto Hayley. Quella ragazza aveva qualcosa che mi scavava nell’animo. E io non ero ancora pronto per tutto ciò.                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

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Capitolo 4
*** 3.Elena ***


 
CAPITOLO 3
La mattina il risveglio fu piuttosto traumatico. Avrei voluto che tutto fosse stato uno stupido sogno. E invece, quando scesi a fare colazione e mi trovai Jeremy, Taylor e Hayley  in cucina con Silvia, realizzai che era tutto schifosamente reale! –Buongiorno!- mi salutò mia sorella. –Giorno.- risposi seccato mentre mi avvicinavo al frigo. Versai del latte nella tazza e ci misi dentro dei cereali. Finii il tutto molto velocemente, senza dire una parola. Andai a  lavarmi i denti e uscii, per andare a lavorare. Ok, non mi stavo comportando per niente bene. Ma non avevo proprio intenzione di fare l’ipocrita, fingendo di spargere pace e amore. Era una cosa che detestavo. Arrivai al bar dove lavoravo. Elena mi accolse con un sorriso. –Ciao.- mi disse. –Ciao e scusa il ritardo. Ho avuto un… Contrattempo.-. Lei mi guardò. –Che tipo di contrattempo?- mi chiese. –Mia sorella e il suo ragazzo, ovvero un tronfio chitarrista di una band americana che è venuta a suonare all’ippodromo l’altro ieri.- risposi, aspettandomi comprensione e solidarietà. Invece Elena ebbe una reazione che non mi aspettavo. Iniziò a urlacchiare dappertutto e a saltellare di qua e di là. –Tua sorella è insieme a Taylor York e non me l’hai detto?-. Rimasi immobile a fissarla, incredulo. –Non vorrai dirmi che anche a te piacciono i Paramore, vero?- le chiesi, sconsolato. –Ma certo che sì. In realtà non li conosco tantissimo, ma amo “ The Only Exception ” e “ Decode ”.- rispose. –Sono due canzoni del loro terzo album.- continuò, notando che non avevo capito di cosa stesse parlando. –Ah. Beh, se vuoi, rimangono per tutta l’estate.- bofonchiai, con aria poco entusiasta. –Fantastico! Dimmi che li posso conoscere! Ti prego, ti prego, ti prego!- urlò lei. La guardai. Quanto era bella. –E va bene. Ma ora calmati. Li conoscerai. Anzi, se vuoi te li regalo, così non dovrò più ospitarli io!- -Sono così antipatici?- domandò con aria preoccupata. –Sì, cioè… No. Insomma, non lo so, sai come sono fatto. Credo di essere molto geloso e questo non facilita le cose. E Hayley mi lascia addosso un senso di irrequietezza che non sopporto. Ma questo sono io, non tu. Non ascolto nemmeno le loro canzoni, non mi piace il genere… Insomma, è inevitabile che non ci vada molto d’accordo.- dissi. Lei accennò un sorriso e andò ad aprire il bar. Sarebbe stata una lunga giornata, ma almeno l’avrei passata con la ragazza più bella del mondo. Già, perché io ero innamorato cotto di Elena. Lei era semplicemente fantastica. Era di media statura, con i capelli biondi, gli occhi azzurrissimi, la carnagione chiara, quasi lattea. Eravamo migliori amici da sempre e il bar era di suo padre. La sua famiglia aveva sempre aiutato me e Silvia e ci avevano perfino ospitati quando eravamo rimasti soli. Sua madre era medico ed era una persona simpaticissima e suo padre pure. Elena era figlia unica. Aveva sempre voluto avere un fratellino o una sorellina, così aveva legato moltissimo con Silvia. E io… Beh, io ero innamorato di lei da… Sempre, credo. Ora che ci penso, penso di essermi preso la cotta per lei quando eravamo ancora alle elementari. Incredibile. Mi ricordo il primo giorno di scuola, lei e quei suoi capelli d’oro. Era la bambina più adorabile del mondo. Così diventammo amici. Arrivarono poi le medie e finimmo in classe insieme. La terza fu l’anno più duro della mia vita: io e Silvia ci ritrovammo senza genitori. E fu proprio lei, Elena, a convincere i suoi a prenderci con loro. E quando dovemmo scegliere le superiori, fu inevitabile finire nuovamente nella stessa classe. L’unica cosa che non feci con lei fu il conservatorio. Elena suonava la chitarra. Era bravina. Sul serio. Anche se quando suonava io non riuscivo a stare molto attento alla musica. Solitamente il battito accelerato era la prima cosa che accadeva. Poi, tutto il resto, come sudore freddo, faccia da ebete e quant’altro. Tutto normale, almeno credo.
-Ehi, hai finito con quella faccia? Dai che tra poco arrivano i clienti!-. La sua voce mi riportò ferocemente alla realtà. Mi  accorsi di avere la bocca aperta. La chiusi e mi misi a sistemare le ultime cose. Entrò un signore sulla cinquantina che chiese un caffè. –Glielo faccio subito.- dissi cordialmente. Stavo preparando l’espresso, quando il cellulare squillò, facendomi cadere tutto il caffè per terra dalla sorpresa: non mi chiamava mai nessuno a quell’ora. –Elena, puoi venire qui un momento?- chiesi imbarazzato.  Lei arrivò di corsa e io uscii dal bar. Presi il telefonino e guardai il numero. Non lo conoscevo. Risposi. –Pronto, chi parla?- domandai poco deciso. –Ciao Davide, sono Hayley. Disturbo?-. Alzai gli occhi al cielo. Non era possibile. Non a quell’ora. E poi, lo sapeva benissimo che ero al lavoro. Di conseguenza, quindi, sapeva anche che stava disturbando. Perciò era inutile che me lo chiedeva. –No, sono a posto.- mentii. –Che succede?- chiesi. –No, niente. E’ che Taylor e Silvia sono andati a fare un giro, Jeremy è andato a fare compere da solo. Così sono da sola. Non è che… Insomma, posso anche raggiungerti al bar se è un problema.-. Io rimasi muto, a pensare. –No, senti, ti raggiungo io. Arrivo.-. Attaccai e mi incamminai verso casa. Ero pieno di domande: cosa voleva Hayley e perché mi aveva chiamato?

Ehilà! Spero che questo capitolo vi piaccia! Ringrazio Chocobomb per le recensioni e chiunque la stia leggendo!
p.s.: non mordo quindi un commentino mi fa solo piacere!

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Capitolo 5
*** 4.You still haven't found what you're looking for ***


 
CAPITOLO 4
Arrivai a casa di corsa, ma Hayley non c’era. –Hayley! Dove sei?- chiesi. Non capivo. Mi chiamava e poi se ne andava? –Lo sapevo! Piccola nana viziata, se le metto le mani addosso giuro che…-. Mi bloccai. In quel momento avrei voluto sotterrarmi. Lei era lì, davanti a me, appena uscita dal bagno. –Ciao. Ci hai messo pochissimo!- -Già.- mormorai imbarazzatissimo. Se ci fosse stato un pomodoro, beh, potete giurarci, io sarei stato più rosso di lui. –Ehi, tutto a posto?- mi chiese con dolcezza. Solo allora notai quegli smeraldi che credo fossero i suoi occhi. Non avevo mai visto nulla di simile. –Sì, tutto a posto. Allora, che c’è?-. Per tutta risposta lei si sedette sul divano. –Ok, senti, io sto perdendo una giornata di lavoro. Quindi, o mi vuoi dire qualcosa di serio, oppure io me ne vado, dato che non ho per niente intenzione di vederti stravaccata sul mio divano!-. Ero fuori di me. La odiavo, con tutto me stesso. Lei poteva avere tutto, io invece faticavo a guadagnare i soldi per tirare avanti. Non aveva il diritto di trattarmi così. –Perché non ti siedi?-. Rimasi spiazzato. Insomma, le avevo appena urlato contro e lei mi invitava ad accomodarmi di fianco a lei? Tuttavia, obbedii e mi sedetti. Lei sospirò. –Si può sapere perché mi hai chiamato?- le domandai. –So che il fidanzamento tra Taylor e Silvia non ti va a genio. Ma non capisco il perché. Insomma, Tay è un ragazzo simpatico, aperto, onesto. E ama veramente Silvia.- -Me l’hanno tenuto nascosto per più di un anno! Non mi piace quando la gente fa così!- ribattei. Lei mi guardò. Quegli occhi mi scrutarono l’anima, abbattendo una a una tutte le mie difese. –Qual è il vero problema? Tu sembri avercela con noi in generale. Può non piacerti come suoniamo, ma non mi sembra di essere una persona così antipatica. Quindi, non capisco cosa ti abbia fatto!-. Touché! Aveva già capito che c’erano dei problemi. Non potevo crederci. Sbuffai. –Non ho bisogno di una persona che mi faccia da psicologa e tantomeno se quella persona sei tu!-. Questa volta doveva essersi offesa. Le avevo risposto non male, ma di più. Eppure lei non si scompose minimamente. Rimasi sconvolto da quell’atteggiamento. –Sai, a volte è più facile mentire a sé stessi che provare a scoprire veramente chi si è. Ci sono passata. Sei un bravo ragazzo Davide. Ma non fingere di essere qualcun altro. E se non sai chi tu sia, allora bisogna cercare! Ma a me sembra che tu sia stanco ancora prima di iniziare! E mi dispiaccio per questo.-. Calò il silenzio. Io abbassai lo sguardo. Mi sentivo violato, spogliato di qualsiasi parte della mia coscienza. Avrei voluto che se ne andasse. Eppure in fondo sentivo che si stava presentando un’occasione per ritornare a vivere. Presi la testa fra le mani e sospirai. –Tu… Io… Cioè…- provai a dire, ma le parole mi morivano in bocca. Hayley mi sorrise e si alzò dal divano. Andò nella sua stanza (ovvero la camera di Silvia), lasciandomi lì da solo. Tornò dopo qualche minuto, con in mano un cd. Lo mise nello stereo che avevo in soggiorno e fece partire una canzone. Ovviamente non la conoscevo. Era una band, ne ero quasi certo e la canzone non era male. La voce del cantante era calda e infondeva sicurezza. Eppure era il testo che era sconvolgente. Parlava di un uomo che aveva vissuto tantissime esperienze, ma che non aveva ancora trovato quello che stava cercando. Hayley ascoltava la canzone con gli occhi lucidi e, ogni tanto, ne canticchiava qualche pezzetto. Quando finì avvertii un senso di vuoto. –Che canzone era?- chiesi curioso. –Si chiama “ I Still Haven’t Found What I’m Looking For “, degli U2. Pensavo che ti potesse piacere.- rispose. Io, essendo molto orgoglioso e non volendo ammettere che mi fosse piaciuta, dissi:-Sì, carina. Non è il mio genere, comunque.-. Hayley rise. –Che c’è da ridere?- domandai irritato. – Niente. Stavo solo pensando a quanto non sei capace di dire bugie!-. Mi morsi il labbro. –E va bene. Mi è piaciuta. Contenta?-. Lei mi guardò, poi iniziò a cantare:
I have climbed the highest mountain
I have run through the fields
Only to be with you
Only to be with you
 
I have run, I have crawled
I have scaled these city walls
These city walls
Only to be with you
 
But I still haven't found what I'm looking for
But I still haven't found what I'm looking for

Dovevo ammetterlo: era piuttosto brava. La sua voce mi dava i brividi, mi emozionava. Ma non potevo ammetterlo. Lei la detestavo. Eppure stava iniziando a starmi simpatica. Insomma, non era una ragazza stupida. Ma non dovevo permettere a questi dubbi di insinuarsi dentro di me. Così mi alzai. –Io devo andare a lavorare.- le dissi. Dentro di me una voce continuava a urlare “ Stupido! Stupido! “. –Ok. A stasera.- mi rispose, sorridendo. Non lo sopportavo quel sorriso. Era così… rassicurante. E io non volevo essere rassicurato.  Tuttavia risposi al suo sorriso. Aprii la porta e uscii. Mi girai. –Ciao.- sussurrai. Lei mi lanciò un cuscino. –Dai, vai!- mi fece. 

Hello (cold) world :) Como estas? Allora, spero che il capitolo piaccia! Quindi, fatemelo sapere!
Ringrazio, come al solito, Chocobomb e chiunque la stia leggendo! 
Ecco il link della canzone degli U2! http://www.youtube.com/watch?v=BnD6ojjA0OA
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** 5. I'm il love with you, but you don't know it ***


CAPITOLO 5
Erano passati tre giorni. E devo dire che le cose, dopo il dialogo con Hayley erano alquanto migliorate. Mi sentivo un po’ più tranquillo, anche se ero ancora un po’ contrariato per quanto riguardava il fidanzamento tra Taylor e Silvia. Nulla di che, comunque.
Stavo lavorando al bar, quando Hayley entrò. Elena non se ne accorse, così feci segno alla cantante di stare ferma e zitta. –Elena! Ti voglio presentare un’amica.-.  La ragazza si girò e vide Hayley. Si pietrificò dall’emozione. –Elena, lei è Hayley. E Hayley, lei è Elena- dissi mentre chiudevo momentaneamente il bar. Elena sembrava essersi ripresa dalla sorpresa. –Ti prego fammi un autografo!- urlò. Io sorrisi. Sembrava una bambina il giorno di Natale. Hayley le firmò l’autografo e si fece fare delle foto. Elena mi saltò addosso. –Grazie! Grazie!-. La accolsi titubante tra le mie braccia. Non che non me l’aspettassi. Solo che avrei voluto che non si trattasse solo di un semplice abbraccio. L’amavo. Ma lei non lo sapeva. Hayley dovette accorgersi che c’era qualcosa che non andava. Infatti ordinò un caffè. –Lo faccio io!- squittì Elena. La cantante mi prese in disparte. –Ti piace, vero?- mi chiese. –Che? Scusa, cosa te lo fa pensare?-. Per tutta risposta lei iniziò a fissarmi. Era insopportabile. –Beh, e se anche fosse? Non sono affari tuoi!- risposi. –Si, hai ragione. Spero solo che  la tua idea di presentarmi in questo modo non sia stato solo un tentativo di usarmi per conquistarla.- disse lei. –Ma che diamine ti salta in testa? Non pensarci nemmeno! Non sono quel tipo di persona!- ribattei. –Si, hai ragione. Scusa. Comunque, secondo me dovresti dirglielo. O almeno farglielo capire.-. Ecco, quanto odiavo quando la gente voleva darti dei consigli, come se conoscesse meglio di te la tua vita. –Secondo te cosa sto provando a fare da quando eravamo bambini? Ma non posso costringerla a mettersi insieme a me.- risposi. –Per me hai paura.-. Questo era un colpo basso. Ma veramente basso. Mi stava provocando apertamente. Non si fa! –Io paura? Bah, non sai con chi hai a che fare!- risposi spavaldo. –Voglio sapere con chi ho a che fare, dai!-. Sospirai. Mi voltai verso Elena. –Il caffè è pronto!- annunciò. –Arriviamo!- risposi. Io ed Hayley andammo verso il bancone. –Grazie del caffè! Sai, penso che Davide debba dirti una cosa.-. Deglutii. Non ce l’avrei mai fatta. –Che devi dirmi?- mi chiese con un sorriso in cui mi sciolsi. In quel momento avrei voluto uccidere Hayley. –Io… Sì, ecco… Vedi… Io non penso di andare in vacanza quest’estate.-. Mi sentii un perfetto idiota. Hayley soffocò una risata, mentre Elena mi fissò, senza capire perché avessi affermato una cosa così. –Beh, è meglio che vada a riprire.- affermai mogio. Mi sentivo uno sfigato. Forse lo ero. Ma non avevo il coraggio di dirglielo. –Io vado. Ci vediamo dopo Davide. Anzi, perché non inviti a cena Elena? Così conosce anche il resto della band!-. Il mio primo istinto fu quello di strozzarla. Ma non lo feci, perché sono un ragazzo educato, in fondo. Forzai un sorriso, inspirai, espirai e finsi di essere entusiasta di quella proposta. –Idea fantastica! Dopo il lavoro veniamo qui. Tanto dopo viene tuo padre, no?-. In cuor mio pregavo che suo padre restasse a casa sua. Ma tanto la risposta era  scontata. –Sì, dopo viene papà. Allora ci vediamo stasera signora Williams!- -Chiamami Hayley!- esclamò mentre usciva. Ero in carenza d’ossigeno. –Che hai?- mi domandò Elena. –Nulla. Dai, andiamo a lavorare, che stiamo perdendo tempo. E il tempo è denaro.- -Da quando sei così cinico?- chiese. –Da mai. Senti, sei sicura di voler venire da me stasera?- -Certo. Così vedo anche Silvia, è da un po’ che non parliamo. Ma tu sei sicuro di stare bene?- -Sì, davvero.- le risposi, sorridendo.
Quella sera ero agitatissimo. Avevo paura che qualcosa potesse andare storto. –Rilassati!- mi fece Silvia. –Facile per te parlare!- le risposi. Mia sorella mi sorrise. Suonarono alla porta. Andai ad aprire, aspettandomi Elena. Invece mi trovai davanti Taylor e Jeremy. –Ma voi da dove spuntate?- domandai. –Silvia ci ha mandati a prendere i pasticcini.- risposero. Alzai gli occhi al cielo e li feci entrare. –Metteteli in frigo.- esclamai. Sentii Taylor sussurrare a Silvia:-Ma che ha tuo fratello?-. –Sono agitato!- gridai. Tutti si girarono. Io sbuffai e iniziai a scrocchiarmi le dita per rilassarmi. Risuonarono alla porta. Inspirai e espirai e saltellai sul posto. Poi andai verso la porta. “ Showtime! “ pensai tra me e me. Aprii e sentii il cuore fermarsi. Davanti a me c’era Elena, bella come una dea. Indossava un abito nero che faceva risaltare il chiarore della sua pelle. I capelli erano raccolti in una semplicissima coda e gli occhi azzurri risaltavano grazie alla matita verde acqua che si era messa. Era semplicemente perfetta. –E-e-entra p-p-pure.- balbettai. Lei entrò. Il rumore dei tacchi rimbombò per la casa. Tic. Toc. Tic. Toc. Il cuore stava per uscirmi dal petto. –Elena, questi sono Jeremy e Taylor.- disse Hayley. Elena sorrise e strinse timidamente la mano ai ragazzi. Io ero rimasto sulla soglia, completamente imbambolato. Silvia se ne accorse, così esclamò:-E’ pronta la cena! L’ho fatta con le mie mani! Pasta con melanzane e pesce spada, arrosto, peperonata e pomodori gratinati!-. Ci accomodammo a tavola. Rimasi in silenzio a guardare Elena  per tutta la cena. I pasticcini furono il vero tocco di classe. Silvia aveva mandato Jeremy e Taylor nella miglior pasticceria di Milano. Dopo il pasto ci mettemmo a chiacchierare. O meglio, si misero a chiacchierare. Io ero troppo occupato ad ammirare Elena. Quando fu ora per lei di andarsene mi offrii di accompagnarla a casa. Arrivati di fronte a casa sua avrei voluto confessarle i miei sentimenti. Ma non ce la feci. –Allora, grazie della serata.- disse lei. –Di niente. E’ stata tutta un’idea di Hayley.-. Ora eravamo vicinissimi. Sentivo il suo respiro sul mio volto. Deglutii. –Allora ci vediamo domani. Buonanotte.- mi salutò, dandomi un bacio sulla guancia. Io mi sciolsi, mentre la guardavo entrare in casa sua.
Tornai a casa. Erano tutti andati a letto, eccetto Hayley. –Allora, ce l’hai fatta?- mi chiese. Feci “ no “ con la testa. –Capisco- disse. –Beh, buonanotte Davide.-. La vidi recarsi in camera. Aveva un’aria malinconica, ma non capivo perché.

Buongiorno! Spero che il capitolo vi piaccia, a me sinceramente è piaciuto scriverlo, quindi penso sia un buon segno. 
Come potrete vedere, ho aggiornato presto. Beh, non fateci l'abitudine :P 
Fatemi sapere che ne pensate! Alla prossima!

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Capitolo 7
*** 6.Loves that come, loves that go ***


CAPITOLO 6
Quella mattina mi svegliai prestissimo: avevo dimenticato di abbassare le tapparelle, così all’alba la luce del sole mi aveva tirato giù dal letto. Trovai Hayley giù in cucina che stava facendo colazione. –Ehi, mattiniera!- esclamai. –Senti chi parla. Comunque sì, non avevo più sonno.-. Aveva ancora l’aria malinconica della sera prima. Mi sedetti accanto a lei. –Tutto bene?- le chiesi. –Ho litigato con Chad.- rispose. –Ehm… Chi è?- domandai interdetto. –Il mio fidanzato. Vuole che torni immediatamente a casa. Non ha capito che non posso. Bah!-. Si alzò bruscamente e andò a prendersi dei pasticcini avanzati dalla cena. –Posso fare qualcosa?- chiesi. Ero preoccupato. Non sapevo neanche io perché. –No. Non puoi fare nulla. Anzi, scusa, ti sto facendo perdere tempo. Farai tardi al lavoro.-. Mi guardò con una dolcezza disarmante. Indietreggiai, ma inciampai nella sedia, cadendo a terra e portando con me tutta la tovaglia con le tazze e il cibo. Scoppiammo a ridere. –Dai, ti aiuto a rimettere tutto a posto.- affermò. –Grazie.- risposi. Rimettemmo tutto a posto. Poi, andai al lavoro. Arrivai che Elena non c’era ancora. Entrai e sistemai le cose. Strano che non ci fosse ancora. Aspettai un po’, poi aprii il bar. Ma lei non era ancora arrivata. E, ovviamente, i clienti erano un sacco. Trovai un momento per telefonarle, ma non rispose. Ero a metà tra il preoccupato e l’arrabbiato. Provai a richiamarla, ma il cellulare era sempre staccato. Finalmente, alle undici, arrivò. Avrei voluto insultarla, gridarle addosso qualcosa e invece non riuscii a fare nulla. –Scusa il ritardo.- disse, dandomi un bacio sulla guancia. –Figurati. Ma dov’eri? Ti ho pure telefonato!- -Ero andata a comprare delle cose.-. Feci una faccia stupita, ma tanto sapevo che non mi avrebbe detto nulla. –Beh, dai, mettiti a lavorare.- le dissi. Lei si mise il grembiule. Era un momento in cui, stranamente, non c’erano clienti. –Cosa volevi dirmi ieri?-. Sobbalzai. Non me l’aspettavo. –Io, ehm.. Nulla.-. Avrei voluto tirarmi qualcosa in testa  
 e dirglielo. –Ti posso aiutare io?- propose. Non capii. Lei si avvicinò a me, senza parlare. Ci fissammo negli occhi. Era bellissima. Deglutii. –Io…- provai a dire, ma lei mi poggiò un dito sulle labbra. Poi mi baciò. Rimasi stupito, sbalordito. Non me l’aspettavo. Si staccò. Allora fui io a prendere l’iniziativa. La baciai con passione. Avrei voluto congelare quel momento. Improvvisamente il suo cellulare squillò: suo padre. –Pronto papà?- rispose. Potevo leggere imbarazzo nella sua voce. –Sì, va bene. A dopo allora. Ciao.-. La guardai, sorridendo. –Beh, dove eravamo rimasti?- mi chiese. Non risposi, imbarazzato. Lasciai che le sue labbra si riposassero sulle mie.. Le desideravo, con tutto me stesso. Le feci scorrere le mani sui fianchi, come a volerla trattenere con me. L’avevo sognata per anni e ora mi stava baciando. Se era un sogno, beh, non volevo essere svegliato. Ci staccammo giusto in tempo prima che arrivassero dei clienti. Ci guardammo, un po’ imbarazzati. Lei era bellissima. Lavorammo tutto il giorno, ma per me fu una giornata leggera. Ora avevo tutto quello che avevo sempre desiderato. Mi sentivo in Paradiso.
Tornai  a casa a notte inoltrata. Justin e Ilan avevano deciso di noleggiare un camper e fare un giro dell’Italia, così erano rimasti solo Taylor, Jeremy e Hayley. I due ragazzi erano stravaccati sul divano con Silvia. –Non c’è Hayley?- chiesi, stupito di non vederla. –No. Ha detto che andava a fare un giro in città, ma non è ancora tornata.- rispose Jeremy. –Ah, ok. Beh, io vado a dormire. Buona notte.-. Andai in camera, mi spogliai e mi misi a letto. Rimasi a pensare su ciò che era successo tra me e Elena. Non mi ero mai sentito così bene in vita mia. Le sue labbra mi avevano risvegliato da un brutto sogno. Mi sentivo… Vivo. Sì, maledizione! Ero vivo. Avrei voluto urlare dalla gioia.
Udii dei passi. Doveva essere Hayley. Mi girai dall’altra parte, consapevole di dover provare a dormire. Sentii dei singhiozzi. Decisi di alzarmi, per andare a vedere cosa stava succedendo. Andai in soggiorno e trovai Hayley sul divano, in lacrime. –Ehi, tutto bene?-. Quando si girò con il volto sporco di trucco, capii la stupidità della domanda. Mi avvicinai a lei e la feci sedere sul divano, accanto a me. –Che succede?- domandai. –Chad. Mi ha… Mi ha mollata!- rispose. Sentii un nodo stringermi la gola. E io che avrei voluto parlarle di Elena. –Mi dispiace.- provai a consolarla. Per tutta risposta lei si buttò sul divano, soffocando i singhiozzi con il cuscino. Mi sentii fuori posto. Avrei voluto fare qualcosa, ma non sapevo come agire. Lei era lì, indifesa come un bambino e io riuscivo  solo a guardarla mentre piangeva. Mi alzai e andai a prenderle qualcosa da bere. –Ecco, tieni del succo.-. Prese il bicchiere e bevve. Le offrii dei fazzoletti. Si soffiò il naso e si asciugò la faccia. Rimanemmo in silenzio per un bel po’, poi lei mi disse:-Grazie.-. La guardai, sorpreso. –Di cosa?- le chiesi. –Di non averne approfittato.- rispose. Arrossii. Io non ci avevo neanche minimamente pensato. –Sai, quando incontrai Chad io mi sentii… Viva. Avevo da poco rotto con il mio ragazzo, Josh, che all’epoca era il chitarrista della band e non sapevo dove sbattere la testa. E Chad sembrava un angelo in mezzo all’inferno. Io lo amai subito. E pensavo che anche lui mi amasse. Mollò la moglie per stare con me. Mi sentivo in colpa. Io, che in vita mia avevo dovuto sperimentare il divorzio dei miei genitori, avevo promesso a me stessa che non avrei mai fatto la rovinafamiglie. E invece…-. Sospirò. Capii che stava provando a trattenere le lacrime. –Eppure Chad mi rassicurò. Mi disse che non dovevo preoccuparmi, che l’importante era che ora fossimo insieme. E invece era tutta una bugia. Una stupida bugia!-. Scoppiò nuovamente a piangere e mi abbracciò, disperatamente, come se in quel momento potessi essere io l’unico appiglio sicuro. Ricambiai l’abbraccio. –Ehi, tranquilla. Ci sono qui io.- le sussurrai all’orecchio. Le porsi un altro fazzoletto. Si soffiò il naso così forte da farmi tenerezza.  Mi sorrise. –Come va con Elena?- mi chiese. –No, non è il momento migliore per parlarne.- risposi. –Insisto. Come va?- -Beh, noi… Oggi mi ha baciato. Credo che noi stiamo insieme ora, anche se non lo sa nessuno. A parte te.-. Mi prese la mano e me la strinse. –Promettimi che la tratterai con cura.- -Si.- promisi. –Ma farò lo stesso con te.-. L’abbracciai e sentii che finalmente si stava rilassando. –Sei speciale, Davide. Sei un angelo.- sussurrò. Arrossii. E pensare che fino a pochi giorni prima non la potevo soffrire. La vedevo come l’ennesima persona che pensava di sapere tutto di me. Ma mi sbagliavo. La baciai in fronte, come se fossi stato un fratello maggiore. Poi la presi in braccio e la portai in camera. La buttai sul letto e lei scoppiò a ridere. –Buonanotte.- la salutai. –Buonanotte.- sussurrò come risposta. 

Buongiorno! Scusate il ritardo, ma il mio computer non voleva connettersi ieri sera! 
So, ringrazio Chocobomb e chiunque legga la mia fanfiction.
Vi invito a lasciare un commentino, mi farebbe piacere! 
Non vi annoio oltre! Ciao ciao!

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Capitolo 8
*** 7.Questions ***


Buonasera (o buongiorno, dipende a che ora leggete)! Allora, ringrazio, come sempre, Chocobomb. Grazie per le splendide recensioni. Poi ringrazio tutti coloro che stanno leggendo questa fanfiction. Infine, ricordo che scrivendo una recensionina non vi farete male, ma anzi mi rendereste felice! Bene, non vi annoio oltre! Buona lettura!

CAPITOLO 7
Il venerdì io non andavo a lavorare, così mi svegliai piuttosto tardi. Anzi, forse fin troppo tardi, dato che non trovai nessuno a casa. Guardai il cellulare. Silvia mi aveva inviato un messaggio, scrivendomi che li aveva portati a fare un giro. Scesi in cucina e trovai un biglietto. Lo presi e lo lessi. L’aveva scritto Hayley. “ ChiAmala “. Sorrisi. L’aveva scritto in italiano, con tanto di gioco di parole. Feci come mi aveva suggerito. Presi il telefono e composi il suo numero. Ero agitatissimo, il cuore batteva a mille. –Pronto?-. Sobbalzai, cadendo dal divano. La voce di Elena mi faceva sempre quell’effetto. –P-p-pronto? S-s-sono D-D-Davide- balbettai. –Ciao, senti, ti avrei chiamato io tra poco! Che c’è?-. Deglutii. –Senti, ti va di venire a casa mia? Così parliamo un attimo di ehm… Di ieri.-. Calò il silenzio. Infine disse:-Ok, aspettami lì. Arrivo tra cinque minuti.-. Buttai il telefono sul divano e mi piombai in camera. Non potevo farmi vedere da lei in pigiama. Mi vestii con jeans e una t-shirt. Mi pettinai e mi spruzzai del deodorante (non si sa mai). Quando suonarono alla porta io ero terrorizzato come un bambino che non sa se i regali di natale saranno proprio quelli che voleva lui. Andai ad aprire e me la ritrovi lì, davanti a me, bellissima come sempre. Indossava una maglietta e una gonnellina, molto semplice. –Beh, posso entrare o devo restare qui a lungo?- chiese sarcastica. –No, no, prego, entra pure.-. La feci accomodare sul divano e le offrii qualcosa da bere. –Allora, mi hai detto di volere parlare al telefono.- esordì lei. –Sì, ecco, io volevo capire se ieri per te… Insomma, per te ieri è stata tutta una cosa seria?-. Ok, era  la peggior cosa che avrei potuto chiederle. Ma non mi veniva in mente null’altro. –In che senso, scusa?- ribatté lei, visibilmente irritata per quella domanda. Inspirai profondamente. Avevo paura di svenire. –Nel senso che… Insomma, quando mi hai baciato per te, come è stato?-. Stavo andando sempre peggio. –Aspetta, fammi capire meglio. Tu hai paura che per me sia stato tutto solo un momento di gioco? No, perché se è così, non devi preoccuparti.-. Mi guardò dolcemente. –Io… Quindi vuol dire che ora noi… Sì, che noi due stiamo…- mi zittì con un bacio, totalmente inaspettato. Risposi con passione. L’amavo, con tutto me stesso. Ci ritrovammo stesi sul divano, lei sopra e io sotto. Continuavamo a baciarci, ma dolcemente, non con foga. Mi sentivo in paradiso. La magia fu interrotta da un rumore di passi che mi fece intuire l’arrivo di Silvia, Jeremy, Taylor e Hayley. Mi staccai da Elena bruscamente. –Che c’è?- mi chiese, accarezzandomi i capelli. –Nulla. E’ che sono arrivati e, a parte Hayley non sanno di me e te. Nemmeno Silvia.- risposi. –Ti vergogni?- domandò. Mi fece male quella domanda. Molto male. –No, io non mi vergogno. Solo che preferisco aspettare. Tutto qua.-. Lei mi baciò il naso. –Va bene. Ma dillo almeno a Silvia prima o poi.-. Il nostro dialogo fu interrotto dalla porta che si aprì. Entrarono tutti, uno a uno. –Elena! Ciao!- urlò Silvia. –Che ci fai qua?- chiese. –No, niente, sono passata a salutare Davide. E’ pur sempre il mio migliore amico.- rispose facendomi l’occhiolino. –Ora me ne vado, comunque. Ciao, ci vediamo!-. La salutammo e io le feci un sorriso. Hayley mi tirò un pugnetto sul braccio. –Ahia! Che fai?- gridai. –Nulla!-. Alzai gli occhi al cielo. –Vado a suonare.- annunciai. Salii in camera e iniziai a suonare. Tirai fuori degli spartiti, ma non sapevo quale suonare. –Perché?-. Mi voltai. –Hayley, voglio solo suonare. Mi serve un po’ di tranquillità.- -Sì, mica parlo, non ti preoccupare.-. Sbuffai. Era già la seconda volta che entrava mentre suonavo. Non capiva che volevo rimanere solo? –Senti, io voglio solo…- -Chiuderti in te stesso.- concluse lei. –Sai, non capisco il tuo atteggiamento. E’ come se avessi paura di vivere.- -No, è come se avessi paura di non riuscire a esercitarmi con il clarinetto quest’estate.- ribattei. –Sì, sì, ovvio.- fece lei. Si sedette sul pavimento. Non ce la facevo più. –Senti, posso sapere che vuoi?- -Nulla.- rispose. –Ma tu, tu cosa vuoi da te stesso? Che cosa desideri per te?-. Rimasi spiazzato. Perché doveva sempre fare la seria e pormi quelle cavolo di domande? Ma la cosa che veramente mi faceva arrabbiare era il fatto che, una volte poste, quelle domande non riuscivo più a seppellirle, pur sforzandomi in mille modi. La guardai negli occhi. Quei pozzi verdi mi scrutavano. Decisi di fuggire. Uscii di casa e iniziai a correre. Corsi, corsi, corsi e non volevo fermarmi. Non potevo fermarmi. Salii su una specie di ponte. Si poteva vedere tutta Milano. Era un posto segreto, dove andavo sin da bambino. Iniziai a piangere. Ora avevo tutto quello che avevo sempre sognato. Avevo lei, Elena. Perché allora sentivo un vuoto in mezzo al petto? Non avevo mai provato una cosa così. O meglio, non mi era mai capitato di non riuscire a sopprimere quel senso di vuoto. Rimasi a fissare il panorama. Il sole era alto in cielo e la città era viva, inconsapevole di ciò che stava avvenendo  in me. C’era molto caldo e un gattino si avvicinò a me. Era bianco e arancione. Sorrisi e iniziai ad accarezzarlo. –Anche tu solo, eh? Tranquillo, siamo in due.-. Ok, stavo parlando con un gatto. Non era una cosa del tutto normale. Il felino iniziò a farmi le fusa. –Dov’è la mamma?- chiesi. La domanda riecheggiò nella mia mente. L’avevo fatta a me quella domanda, inconsciamente. Continuai a parlare al gatto:-Sai, a volte se ne vanno. E magari non torneranno mai più. Anzi, il più delle volte non tornano affatto. Sono egoisti. Dei bastardi. E tu devi imparare a cavartela da solo.-. Il micio mi fissò. Chissà se stava capendo ciò che gli stavo dicendo. –Beh, come ti chiami? Io Davide. Ti chiamerò Derrick. Non chiedermi perché. E’ il primo nome che mi è venuto in mente. Ti piace?-. Mi sentivo un po’ stupido. In fondo non poteva rispondere. Gli presi la zampa, come per siglare un patto. –Affare fatto!- esclamai. Risi fra me e me. Era una situazione surreale e anche un po’ divertente. Guardai l’ora. Era tardi. Mi alzai e feci per andarmene, ma il gatto mi seguì. –Eh, no. Derrick, non puoi venire da me. Mi dispiace.-. Il felino mi fissò con i suoi occhioni. Non potevo farmi commuovere da un gatto. Quindi presi la mia decisione. –E va bene. Vieni!-. Il micio mi fece “Miao” e mi saltò in braccio.
Suonai al campanello. Mi aprì Elena. Solo allora mi accorsi di aver sbagliato indirizzo. –Davide! Entra!-. Tentai di replicare qualcosa, ma non ci riuscii. Entrai. –Sei sola in casa?- chiesi. –Sì. Mamma è in ospedale e papà è a fare un giro. Che ci fai qui? Ti stanno cercando dappertutto. Dov’eri finito? Ti ho anche chiamato!-. Guardai il cellulare: sei chiamate perse. –Scusa, io… Avevo bisogno di un p’ d’aria. Mi dispiace. –. Elena mi scrutò. –Che c’è?- mi domandò. –Hai mai avuto l’impressione di non essere arrivato da nessuna parte?-. Lei fece una faccia stranita. -No, niente. Non importa. Lascia perdere. Scusa, ora vado. Ci sentiamo dopo.-. Le diedi un bacio e me ne andai a piedi verso casa, con molte domande e nessuna risposta.

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Capitolo 9
*** 8.I can feel the pressure ***


Salve a tutti! Ringrazio fin da subito Chocobomb: grazie mille per le recensioni! E poi, un grazie a tutti quelli che leggono.. Vi esorto a commentare, anche solo per sapere se la storia vi stia piacendo o no. 
Non vi annoio oltre! Buona lettura!



CAPITOLO 8
-Si può sapere dove cazzo sei stato?-. Mia sorella era arrabbiata come non mai. –Senti, sono andato a fare un giro e basta! Non posso? Sono più grande di te, non ho bisogno del tuo permesso! E nemmeno di quello dei tuoi amici famosi!-. Mi ero innervosito. Nessuno mi poteva dire cosa dovevo fare. –Beh, almeno avvisa prima di sparire! Mi hai fatto preoccupare! Sai, io pensavo che…- -Shh, ehi!-. L’abbracciai. Aveva iniziato a piangere. –Stai tranquilla. Ok?- la rassicurai, alzandole il mento. Le diedi un bacio sulla fronte. –Io sono qui. Non ti preoccupare. Io non me ne vado! Capito?-. La strinsi ancora più forte a me. –Ho avuto paura. Scusa.- mormorò Silvia. –Tu sei la mia Silvietta. Non commetterei mai gli stessi errori di un tempo.-. Mi sorrise e mi abbracciò. –Dove sono gli altri?- chiesi. –Sono andati a fare un giretto.- rispose. –Taylor mi voleva portare a pranzo fuori.- -Fantastico! No?- esclamai. Silvia sospirò. –Davide, Elena mi ha detto tutto.-. Sobbalzai. –E tu?-. Mi morsi il labbro. Ero terrorizzato. Di che, poi? Mah! –Io penso che sia meraviglioso! E finalmente ti sciogli un po’, magari.-. Sorrise. –A Taylor ho detto di no comunque.- -Cosa? E perché?-. Lei mi guardò. –Voglio stare un po’ con mio fratello. E’ da secoli che non passo del tempo con te.-.­ Arrossii. –Non devi rinunciare al tuo ragazzo per me.- -Ma non posso rinunciare a mio fratello per nulla al mondo.-. Ok, ero commosso. Mia sorella che preferiva stare con me piuttosto che con il suo ragazzo. –Che ne dici se mangiamo? Ho fame!- propose lei. –Carbonara?- domandò con aria furbetta. –Carbonara.- risposi. Mangiammo e andammo a fare un giro. Era da tempo immemore che non passeggiavo con Silvia. Andammo in un parchetto e ci sedemmo sul prato. Dei bambini giocavano a calcio e per sbaglio il pallone mi arrivò in testa. –Scusi signore.- disse un bambino, imbarazzato. Diedi un’occhiata a Silvia. –Come ti chiami?- chiesi, facendo la voce grossa. –Riccardo.- rispose il piccolo con un po’ di paura. –Bene Riccardo. Io non ti scuso.-. Tutti i bambini fecero una faccia disperata. Silvia mi guardò storto. –Non ti scuso- continuai –Se non fate giocare anche me.- dissi, tirando il pallone. Riccardo mi guardò, sollevato, mentre tutti erano scoppiati a ridere. –Va bene, però stai in squadra con me.- esclamò il bambino. Mi misi a giocare come un matto. Passavo, scartavo, venivo falciato, tiravo. Erano anni che non mi divertivo così. Erano anni che non mi comportavo come un ragazzo normale, aperto e voglioso di mettersi in gioco. Quei ragazzini erano fenomenali. Giocavano quella partita come se potesse essere l’ultima della loro vita. A bordo campo Silvia rideva e si divertiva con delle bambine, amiche dei bambini che giocavano con me. Quando segnai Riccardo mi gridò:-Sei grande!-. Arrossii. In realtà avevo smesso di giocare a calcio dopo che io e Silvia eravamo rimasti orfani. Era come se in quel momento fosse più importante solo focalizzarsi sul mio dolore. Hayley aveva ragione: non avevo mai pianificato qualcosa per me. Non mi ero mai chiesto che cosa desideravo veramente. Verso le sette la partita finii. Il risultato non era importante, quindi non chiedetemi chi ha vinto o perso, perché non ne ho la più pallida idea. Riccardo ci chiese di accompagnarlo a casa. Durante il tragitto parlammo un po’. Scoprii che suo padre aveva abbandonato la famiglia quando lui aveva solo due anni e che non riusciva nemmeno a ricordarselo. Sua madre faceva la cameriera in un ristorante, ma lui era preoccupato per lei, dato che il suo capo la trattava male. Il suo più grande sogno era quello di diventare un medico, per curare le persone affette da gravi malattie. Quando gli chiesi perché, mi raccontò di suo fratello. Era morto di tumore il mese prima. Io lo ascoltavo, impassibile. Lo ammiravo: era giovanissimo, eppure era molto determinato e forte. Io, invece, ero un pappamolle. Non avevo mai fatto altro che nascondermi dietro i problemi. In più non mi ero mai creato progetti. Non avevo mai pensato al mio futuro. La mia vita era incastrata: il lavoro era nel bar del padre di Elena, la ragazza che amavo abitava di fronte a casa mia, al conservatorio dovevo essere il migliore, ma solo per soddisfazione personale. Non avevo mai progettato un “dopo”. Mi tornò alla mente la domanda di Hayley, “ Ma tu, tu, cosa vuoi da te stesso “. Ecco, il problema era che non lo sapevo. E non mi ero mai preoccupato di provare a scoprirlo.  Mentre Riccardo sembrava fosse sicuro di ciò che desiderava di più.
Ci avviammo verso casa. Quando arrivammo, trovammo una folla che stava sotto la finestra dell’appartamento, da cui usciva un sacco di fumo. Mentre provavamo a renderci conto di cosa stesse succedendo sopraggiunsero i pompieri. Stavano per sfondare la porta, quando Jeremy si affacciò dal balcone, con aria divertita. Il capo dei vigili del fuoco venne verso di me. –Se vuole, mi può spiegare cosa sta succedendo?- chiese con tono irritato. Probabilmente mi avevano indicato come il padrone di casa. Cosa che effettivamente ero, ma che in quel momento avrei decisamente preferito non essere. –Ehm… Facciamo così, salgo un attimo a vedere cosa sta succedendo e poi la informo. OK?- risposi. Lui mi fece cenno di sì. Salii in casa e aprii la porta. Vi giuro, perfino un salmone affumicato si sarebbe sentito male lì dentro. C’era fumo ovunque. Non si vedeva assolutamente niente, a parte i capelli rossi dii Hayley, che mi orientarono verso di loro. –Ragazzi, si può sapere che cavolo state facendo? Avete allertato tutto il quartiere, maledizione!- -Taylor voleva cucinare, ma ha bruciato tutto!- rispose Jeremy. Non riuscii a trovare nemmeno la forza di rispondere. Mi affacciai dal balcone e feci cenno che era tutto a posto. Dovetti pagare una multa salatissima. –Ehi, ti sei arrabbiato con Taylor?- chiese Silvia. Le lanciai un’occhiataccia, senza rispondere. Taylor venne verso di me. –Mi dispiace. Scusa, volevo farvi  un favore, invece ho rovinato tutto. Scusa. Dai, ti ridò i soldi della multa.-. Rimasi colpito da quel gesto e gli sorrisi. –Non fa niente. L’importante è che non sia andata a fuoco la casa!- dissi scherzando. Mentre parlavo mi vibrò la tasca: il cellulare. –Un attimo, vado di là! Arrivo.- esclamai. Mi recai in camera e risposi. –Pronto, Elena? Ciao amore!- -Ciao Davide, senti, volevo invitarti a mangiare una pizza. Io devo parlarti.-. Mi sentii sollevato: la cena a casa mia ce la saremmo dovuti inventare. –Arrivo subito. Dove ci troviamo?- -Al negozio! A dopo, ciao!-. Riattaccò bruscamente. –Io devo andare fuori! Ci vediamo dopo!- annunciai. Salutai tutti e uscii, incamminandomi verso il negozio.
POV HAYLEY
Lo vidi uscire, di fretta. Stava andando da Elena, ne ero sicura. Non capivo. L’avevo aiutato a mettersi insieme alla sua migliore amica e lo stavo stimolando per fargli capire chi fosse veramente. E allora perché non mi sentivo pienamente soddisfatta?

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Capitolo 10
*** 9.Past that hurts ***


Mi scuso fin da subito per i megaritardi, ma ho davvero un sacco da fare (scusa patetica!). Allora, spero che il capitolo vi piaccia. E' un po' cortino, ma riserva qualche sorpresina lo stesso!Mi sono ispirata a Broken Angel dei Boyce Avenue! Ecco il Link:http://www.youtube.com/watch?v=wLJSgTgAom8
Ringrazio Chocobomb per le recensioni e per averla inserita tra le seguite. Un grazie anche a tutti gli altri che la leggono, anche se mi piacerebbe sentire anche il vostro parere riguardo questa fan fiction (mendico recensioni!).
Non vi annoio oltre! Buona lettura!


CAPITOLO 9
POV DAVIDE
Entrai nel bar, trovando Elena seduta al bancone.  –Ciao- mi salutò, dandomi un bacio. –Ciao amore. Senti, di cosa dovevi parlarmi?- le chiesi, sorridente. –A tempo debito. Ora andiamo. Ho prenotato in pizzeria.-. Mi prese sottobraccio, mi buttò nell’auto e mi portò al locale che aveva scelto. Mangiammo praticamente in silenzio e poi facemmo un giro. Non capivo che cosa le passasse per la testa. –Ehm… Elena, senti, che cosa succede?-  chiesi.  Lei mi guardò in modo strano. –Ho ripensato a quello che mi hai detto ieri. Davvero ti senti non arrivato da nessuna parte?- -Ecco io… Non era riferito a te. E’ solo che non so se ho fatto le scelte giuste. Anche il conservatorio, lo faccio solo per inerzia ormai.- -Ma non è sempre stato il tuo sogno fare il musicista?- domandò. –Cosa ne sai tu dei miei sogni? Lo sai qual è il mio vero sogno? Quello di avere una famiglia e capire chi si cela davvero dentro di me! Elena, io non so chi sono!-. Sospirai. C’era un bel caldo e le stelle erano alte in cielo. Elena mi abbracciò e mi baciò. Io mi scostai e scappai. Di nuovo. Possibile che non sapessi fare nient’altro che scappare? Rientrai in casa, pregando che non ci fosse nessuno. E invece, mi ritrovai in compagnia di Jeremy e Hayley! –Ehi, ciao Davide!- mi salutò il bassista. Io nemmeno gli risposi e filai in camera mia. Mi buttai sul letto e iniziai a piangere. Io, un ragazzo di ventiquattro anni, che frignava come un bambino. Hayley entrò, ma io la ignorai. Non me ne poteva fregare di meno di lei. Sentii il cellulare squillare, probabilmente Elena. Lo presi e lo tirai contro il muro. Vidi Hayley che si sedeva sul letto, accanto a me. Rimanemmo così, in silenzio. Poi iniziò a fischiettare qualcosa. Tiri su col naso: quel motivetto me lo cantava sempre mia madre. –Basta!- urlai. Smise di fischiettare, stupita. –Scusa. Pensavo potesse farti piacere.-. Mi sentii uno stupido. –E’ che… Quel motivetto lo canticchiava sempre mia mamma.- mormorai. Hayley abbassò lo sguardo. –Come sono morti i tuoi genitori?- chiese. Scoppiai a ridere, istericamente. Dunque era questo quello che Silvia aveva raccontato in giro? Che eravamo rimasti orfani poiché i nostri genitori erano  morti? –Che c’è? Perché ridi?- domandò la rossa, sconvolta. –Perché i miei genitori sono tutt’altro che morti. Ovvero, mia madre sì. Ma mio padre… No, lui è vivo e vegeto, da qualche parte in Inghilterra.-. Dissi con un tono che mi accorsi trasudava odio. Hayley deglutii. –Io… Mi dispiace. Non immaginavo.-. Mi accucciai e la guardai. La conoscevo da così poco tempo, eppure mi ispirava fiducia. Non sapevo nemmeno io il perché. Iniziai a parlare. –Eravamo una famiglia normale. Mamma, papà, due figli. Ma poi, quando avevo quattrodici anni e mia sorella dieci, mia madre morì, dopo un incidente. Mio padre era disperato. Così un giorno mi svegliai e non lo trovai più. Se ne era andato, semplicemente. Per non tornare mai più. Bello stronzo, eh?-. Hayley rimase impassibile. –Preferì mollare tutto e scappare, lasciandoci da soli. Io e Silvia fummo messi in un istituto. Fu allora che iniziai a suonare. Mollai tutto, il calcio, gli amici. Fu Elena a convincere i suoi a prenderci in affido. E i suoi genitori mi convinsero a iniziare a suonare. E  siccome conoscevano un insegnante di clarinetto, decisero di mandarmi da lui.-. Mi fermai: avevo un nodo in gola. Inspirai profondamente e decisi di continuare. –Cambiai completamente carattere, divenni studiosissimo e molto chiuso verso gli altri. Quella forte era Silvia, forse anche perché era più piccola. Io, invece, ero rimasto ferito. Mi sentivo tradito da colui che per quattordici anni della mia vita avevo chiamato papà. Per quattordici, fottuti, schifosi, anni!-. La guardai, aspettandomi una reazione. Invece niente, non mosse neanche un muscolo. Era lì, di fronte a me, che mi fissava con i suoi smeraldi. –E tuo padre?- chiese. –L’ultima volta che l’ho visto avevo diciassette anni. Mi chiese di seguirlo a Londra. Io gli tiri un pugno come risposta. Non lo incontrai mai più. E, sinceramente, non mi dispiace più di tanto. Lo odio. Lo odio e basta.-. Sospirai. –Prima ero con Elena e io… Io mi sono sentito assalire dai ricordi. Si parlava di sogni. Non ce l’ho fatta e sono scappato via. Non so fare nient’altro che fuggire, ogni volta. Mi odio. Odio me stesso, per essere debole. Mi odio perché se mio padre se n’è andato via da me gli avrò dato un motivo.-. Mi abbracciò, di scatto, spiazzandomi. Il suo profumo mi invase. Tremai. Nessuno mi aveva mai abbracciato in quel modo. Nessuno. –Non è colpa tua. Ti prego, non pensarlo nemmeno.- sussurrò. Mi fissò. Si avvicinò pericolosamente, ma si allontanò subito, ritraendosi. Socchiuse gli occhi e si morse il labbro, tenendo lo sguardo chino. Le presi il mento tra le dita e la feci voltare verso di me. Deglutii. Era davvero bella. No, ma cosa stavo pensando? Io ero insieme a Elena, la persona che avevo sempre sognato in tutta la mia vita. –Hayley…- mormorai. Lei si sporse nuovamente verso di me, ma stavolta non si ritrasse. Rimanemmo così, a fissarci negli occhi. Poi, fu un attimo. La barriera della ragione si infranse, per lasciare il posto a un sentimento nuovo, mai provato prima. Mi ritrovai le sue labbra sulle mie. Le nostre lingue iniziarono a danzare, insieme. La feci stendere sul letto, delicatamente, continuando a baciarla sul collo. Ma quando feci per alzarle la maglietta lei mi spinse via, urlando con fermezza:-No!-. Mi ritrassi, ma lei venne verso di me, accarezzandomi la guancia. –Non possiamo. Ed è meglio così.-. Mi diede un bacio sulla fronte e poi uscì dalla mia stanza, lasciandomi alquanto confuso.

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Capitolo 11
*** 10.Well, I think I fell in love with you ***


Ringrazio, come al solito, Chocobomb! Come vedi ho aggiornato subito, per non ucciderti! :)
Capitolo un po' più sostanzioso del precedente, tutto scritto dal punto di vista della nostra amata Hayley. Bene, fine del preambolo! Vi chiedo, come al solito, di recensire, anche se a parte Chocobomb non lo fa nessuno! Pazienza, mi accontento anche della semplice lettura!
Bye bye!

 
CAPITOLO 10
POV HAYLEY
Non potevo credere di averlo fatto davvero. L’avevo baciato. E la cosa che più mi preoccupava era il fatto che mi fosse piaciuto. Quando avevo sentito le sue labbra sulle mie mi ero sentita… A casa. E non poteva essere. Avevo provato qualcosa di nuovo, di magico. Qualcosa che non avevo mai minimamente sentito nemmeno con Josh. Era come se quel bacio mi avesse ridonato la vita. Solo che ero consapevole di aver combinato un bel casino. Per vari, validi motivi.
Primo: Davide era appena riuscito a fidanzarsi con Elena. Ed ero stata proprio io a spingerlo a mettersi insieme a lei.
Secondo: ero appena stata lasciata da Chad. Non ero pronta a innamorarmi di nuovo. Non volevo.
Terzo: Io ero una cantante, una persona famosa. Davide era un ragazzo normale. Non volevo coinvolgerlo nella mia vita da star e magari renderlo protagonista di stupidi pettegolezzi da rivista! Non era giusto, per lui e per Silvia. E nemmeno per Elena.
Quarto: io abitavo a Franklin, negli Stati Uniti d’America. Lui abitava a Milano, in Italia!
Insomma, la domanda che continuava a ronzarmi in testa era: “ Perché l’ho baciato? “. E la cosa inquietante era che non riuscivo a trovare nemmeno una risposta convincente.  Lui si era aperto a me e io, invece, l’avevo tradito, avevo approfittato di lui. O no? E se invece mi stavo… Innamorando? “ Nah! ”. Scacciai immediatamente quel pensiero dalla mia testa. Chiusi gli occhi e inspirai profondamente. Solo allora realizzai di essermi rifugiata nel bagno. Mi guardai allo specchio e mi sistemai, pronta ad  uscire, ma non a incontrare lui. Cosa gli avrei detto? Di sicuro avrebbe preteso qualche spiegazione. “ Beh, Hayley, d’altronde anche lui ha reagito al bacio. Lo voleva anche lui. Ed è stato solo un bacio. Uno stupido, innocuo bacio. “. Sì, innocuo soprattutto. Se non mi fossi fermata in tempo chissà come sarebbe andata a finire. No, quel bacio era stato tutto, eccetto che innocuo.  Inciampai sul tappetino della doccia e scivolai per terra. Mi massaggiai la schiena dolorante. “ Che faccio? “ pensai. Mi venne un’illuminazione: me ne sarei andata. Certo, non potevo scappare da e per Milano. Semplicemente avrei affittato una camera in qualche albergo. No, ok, era l’idea più stupida che mi fosse mai venuta in mente. Decisi di parlargli. Sì, chiarire è sempre la cosa migliore. Mi sistemai i capelli e uscii dal bagno. Pensavo fosse ancora in camera sua, così feci per andarci, quando mi scontrai proprio contro di lui. “ Cazzo. “ imprecai a mente. Mi aiutò a rialzarmi. Ci ritrovammo una difronte all’altro. I suoi occhi scuri mi scavavano l’anima. Maledizione, mi sa che mi stavo innamorando. “ Signore, ti prego, no! “ pregai. –Davide, senti… Penso che dovremmo un attimo chiarire qualcosa.- -Tipo il bacio di prima?- completò lui. Ma proprio ora doveva fare il sicuro di sé? –Già, tipo quello.- dissi. Inspirai ed espirai. Pensavo di dover svenire da un momento all’altro. Mi posò le mani sulla spalle. –Senti, ho reagito… Ehm… Male al tuo bacio. Io amo Elena, non te. Mi dispiace se ti ho dato un’altra impressione.-. In quel momento avrei dovuto sentirmi sollevata. Non mi amava. Era una buona cosa. E invece no, perché il punto non erano i suoi sentimenti, ma i miei. Davide era quel tipo di ragazzo  che o reputi uno sfigato o di cui ti innamori. E il problema è che io non lo reputavo affatto uno sfigato. E, tuttavia, non avevo intenzione, a questo punto, di rivelargli ciò che stava accadendo nel mio cuore. Non potevo. Non volevo. –Io… Non so cosa mi sia preso, veramente. Sappi che anche io non provo nulla per te. Scusami.-. Ok, mi ero scusata per averlo baciato. E gli avevo detto che a me non piaceva. Brava Hayley, la mamma non ti aveva insegnato a non dire le bugie? Davide si avvicinò a me. Inspirai. Il suo profumo mi faceva letteralmente impazzire. “ Perché hai quel sorriso sulla faccia? Toglilo, ti prego, o potresti ritrovarti per terra! “ pregai nella mia testa. Ma lui non smise di sorridere, nemmeno un secondo. “ Porca zozza! “ imprecai. –Amici come prima?- disse, allungandomi la mano. Deglutii. –Ovvio!- “ Che no ”. Gli strinsi la mano, tentando di sembrare molto convinta. -Ehi, è tutto ok? Sembri pallida.- chiese Davide, preoccupato. “ No, è solo che ti vorrei saltare addosso. “ avrei voluto dirgli. Invece mi limitai a un semplice:-Nulla, sono solo un po’ stanca.-. Patetico, non trovate? –Beh, meglio così. Io vado a suonare qualcosa. Vuoi venire di là?-. No, scusa, davvero mi stava chiedendo di andare ad ascoltarlo mentre suonava? Iniziavo a capire perché ci avesse messo così tanto con Elena. –No, io penso di andare a leggere qualcosa. Sai, mi sono portata dei libri da leggere.-. Ok, non ero brava a inventarmi scuse. Eppure Davide ci credette, non so grazie a quale miracolo piovuto dal cielo. –Allora non ti disturbo oltre. Buona notte. Io rimarrò alzato per aspettare Taylor e Silvia, hanno dimenticato le chiavi qua.- -Buon notte!- lo salutai. Andai in camera e mi buttai sul letto. Jeremy era già andato a dormire da un pezzo, lo sentivo russare dall’altra stanza. Sospirai. Ecco, era successo. Di nuovo. Mi ero innamorata. E avevo paura, come mai ne avevo avuta prima. Paura di perderlo. Paura di fare o dire qualcosa di sbagliato. Paura di accettare i miei sentimenti. Sì, ora capivo perché l’avevo baciato. Ma non volevo ammetterlo a me stessa. Non ne avevo la minima intenzione. Che stupida che ero. Pensavo forse io di poter decidere il mio destino? Pensavo forse io di poter stabilire da sola di chi innamorarmi? Quanti anni avevo? Ventiquattro o due? “ Sveglia, Hayley! Le favole non esistono! “. Guardai il soffitto. L’uica cosa a cui riuscivo a pensare erano i suoi occhi. Quei pozzi scuri, senza fondo, in cui potevo leggere tutta la sua storia, tutto il suo dolore e la sua gioia, la sua tristezza e la sua felicità, il suo odio e il suo amore. Il mio amore. Per lui. Ma cos’ è l’amore? Non lo sapevo nemmeno io. Sapevo solo che quella notte non avrei preso sonno troppo velocemente. Sapevo solo che senza di lui mi sarei sentita vuota. Sapevo solo che la mia anima era lui. Sapevo solo che io ero lui. 

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Capitolo 12
*** 11.Good Time ***


Buongiorno! E' incredibile di come abbia già aggiornato! Ringrazio subito Chocobomb per le recensioni e la gentilezza!
Capitolo che ritorna un po' sulla commedia, perdendo lo stile altamente romantico/drammatico/introspettivo che avevano gli ultimi capitoli! Molto estivo (quando arrivi estate bella?)! Vi consiglio di leggerla ascoltando la cover di "Good Time" fatta da Alex Goot e gli Against The Current! La canzone originale è di Owl City e Carly Rae Jepsen, ma io preferisco la cover. Ecco il link:
http://www.youtube.com/watch?v=yd5FQeQvYvQ!
Buona lettura e commentate!


CAPITOLO 11
POV DAVIDE
-Davide!! Sveglia!-. Mia sorella entrò simpaticamente nella mia camera, spalancando le finestre e urlando. –Silvia, non devo neanche andare a lavorare quest’oggi! E sono solo le sei!- Protestai. -Lo so!-. rispose lei. –Feci una faccia perplessa. –Io e Taylor abbiamo avuto la fantastica idea di organizzare una giornata al mare! Perciò muoviti!- -Adesso mi spieghi dove si trova il mare a Milano.- dissi sbadigliando. –Appunto. Andiamo a Genova! Però devi sbrigarti, stiamo tutti aspettando solo te!-. Mi feci forza e mi alzai. Mi preparai, presi il costume e andai in cucina. –Oh, ciao Elena! Vieni anche tu?- “Che domanda stupida!” pensai tra me e me. –Sì, mi hanno invitata Silvia e Hayley.-. Ero contento. Mi ero preoccupato di non poter stare con lei, volevo chiederle scusa per il mio comportamento della sera prima. –Allora, gente! Che panini prepariamo?- chiese Jeremy. –Qualcosa di buono, vi prego!- supplicò Taylor. Silvia aprì il frigo e iniziò a tirare fuori varie cose. –Uhm… Allora, qui abbiamo del prosciutto cotto, della maionese, del prosciutto crudo, un po’ di salame, del ketchup, dei pomodorini sott’olio, della mortadella… Che ne dite se faccio un po’ di riso freddo?-. Non ci diede nemmeno il tempo di rispondere, che già aveva messo a bollire l’acqua per preparare il riso e cuocere le uova. –Mentre faccio il riso, preparate anche dei panini.- ordinò. –Silvia, guarda che potevamo anche comprare della pizza.- osservai io. Lei mi fulminò con lo sguardo. –Che ho detto di male?- le chiesi. Silvia non mi rispose e continuò nella sua opera. Elena mi prese per un braccio e mi diede da affettare dei pomodori. –Ma che…?- -Questo è per ieri sera!- affermò. Diventai paonazzo. –Oh, ehm… A proposito di ieri, io volevo chiederti scusa. E’ che non ero molto in me.-. Rimasi indeciso se raccontarle del bacio o no. Lanciai un’occhiata a Hayley. “Bah, meglio di no! D’altronde non è successo nulla.”. –Scuse accettate.- fece lei, stampandomi un bacio sulle labbra tra gli “ Ohhhh “ generali. Mi imbarazzai come non mai. –Il riso è pronto!- esclamò Silvia, riportando la situazione alla quasi normalità. Finimmo di preparare i panini e partimmo. Arrivammo verso le dieci e mezza in spiaggia, noleggiammo due ombrelloni e due sdraio. –Tutti in acqua!- urlò Jeremy. Taylor tirò fuori un pallone. –Allora, maschi contro femmine o Franklin contro Milano?-. Silvia si avvicinò al ragazzo. –Io direi… Milano contro Franklin!- disse, rubandogli il pallone di mano e lanciandolo verso di me. –Tieni Davide!- Jeremy venne verso di me, ma passai il pallone a Elena. –Rassegnatevi, l’Italia domina!- li prese in giro Silvia. –Ah, sì? Beh, non credo proprio amore!- ribatté Taylor spruzzandola con l’acqua. –Ehi!- esclamò mia sorella, inutilmente. Taylor e Jeremy iniziarono a inseguirla, mentre lei scappava, ridendo come una pazza. Nel frattempo Elena si avvicinò a me, sorridendo. Mi baciò. –vado a fare una nuotata. Torno tra un po’.- mi comunicò. La vidi allontanarsi. Jeremy e Taylor avevano preso Silvia e la stavano buttando in acqua. Solo allora notai che Hayley non era ancora entrata in acqua. Mi voltai e la vidi che ci osservava, seduta su una sdraio. Uscii dall’acqua, presi un asciugamano, me lo misi addosso e mi sedetti accanto a lei. –Guarda che puoi restare a giocare, non ho bisogno di compagnia.- disse acida. –Tranquilla. Sono uscito perché avevo freddo. Come mai non sei entrata?-. Mi scrutò, mordendosi il labbro. –Non ne avevo voglia.- mi rispose, infine. -E’ per ieri?- le domandai. –Figurati! Sai quanti baci ho dato nella mia vita? Pensavo avessimo chiarito che ieri non era successo assolutamente un bel niente!-. Era più che acida. Era acidissima. –Ok, ma stai calma!-. Mi lanciò un’occhiataccia, poi tornò a osservare il mare. –Sai cosa mi piace del mare?-. Perché doveva sempre avere dei momenti filosofici? Eravamo in spiaggia, accidenti! –No.- risposi sbuffando un po’. –Non lo si può contenere. Non lo si può rinchiudere. Il mare è, e sarà, un qualcosa di libero. Per sempre.-. Non sapevo cosa dire. Hayley si voltò verso di me. –Tu sei libero come il mare?- -Beh, ecco, io…-. Non mi lasciò rispondere e disse:-Io vorrei esserlo. Ti immagini? Libertà di essere ciò che si è, senza doversi continuamente preoccupare di essere ciò che gli altri vogliono che tu sia. Libertà di vivere come meglio credi. Libertà di fare la cosa giusta. Sarebbe magnifico.-. Io la fissavo, senza proferire parola. Capii che mi stava probabilmente parlando di quello che la fama le aveva portato via. –A volte vorrei essere libera di amare i miei genitori.- -In che senso?- le chiesi. –Sono divorziati. Fu proprio a casa della separazione dei miei che mi trasferii a Franklin. E’ buffo. In un certo senso è proprio grazie al divorzio che io sono quello che sono ora. Eppure non posso parlare a mio padre di mia madre o a mia madre di mio padre. Capisci? Ovvero, lo posso fare, ma solo per litigare. E così, sono costretta a fingere di voler più bene a uno rispetto all’altro, a seconda di dove mi trovo. Invece vorrei essere libera di amarli e di poterglielo dire.-. Una lacrima le bagnò la guancia. Io l’abbracciai, con dolcezza. –riuscirai a dirglielo. Vedrai.- sussurrai. Lei mi sorrise e si strinse a me, ma si staccò di scatto. Non capii il perché, fino a quando vidi Elena uscire dall’acqua. –Davide, mi passi l’asciugamano?-. Le passai il telo mare e feci per tornare a sedermi, quando lei mi trattenne a sé, dandomi un lungo bacio. Con la coda dell’occhio vidi Hayley che ci osservava, con uno strano sguardo negli occhi. Iniziavo a sospettare che per lei il bacio della sera prima avesse significato qualcosa. La vidi dirigersi verso l’acqua e andare, finalmente, a fare una nuotata. Elena notò che c’era qualcosa di strano in me. –Ehi, tutto a posto?- mi chiese. Esitai un attimo, poi risposi:- Sì, tutto alla perfezione. Sono al mare con mia sorella, il suo ragazzo e i suoi pazzi amici e c’è pure la mia ragazza. E’ fantastico.-. Elena rise. –Ehi, guarda che dicevo sul serio!- esclamai. –Lo so!- mi disse, baciandomi di nuovo. Ci ritrovammo stesi sulla sabbia bollente, mentre continuava a baciarmi il collo. A romperci le uova nel paniere ci pensarono Silvia, Taylor e Jeremy, avvicinandosi di soppiatto e rovesciandoci dei secchielli d’acqua, bagnandoci tutti. –Ma che simpaticoni!- mi lamentai io. –Dai, brontolone! Asciugati che mangiamo!- disse Silvia. Jeremy fece cenno a Hayley di uscire per mangiare. Pranzammo e poi giocammo a carte. Tutte le partite le vinse Jeremy, anche se il sospetto che avesse imbrogliato era abbastanza forte. Il pomeriggio proseguì fra bagni, giochi, castelli di sabbia (sì, Silvia, Hayley e Elena ne fecero uno con l’aiuto di alcuni bambini) e canti (Taylor si era portato la chitarra). Ai Paramore Elena insegnò “La Canzone del Sole” di Battisti e prendemmo in giro Taylor dato che non riusciva a imparare a suonarla. La sera tornammo a casa, stanchi e elettrizzati allo stesso tempo. Andammo a mangiarci una pizza e facemmo una passeggiata per Milano. Mi sentivo felice. Per me era come essere in una famiglia. Ed era bello. Stavo provando una sensazione che non provavo più da troppo tempo: essere contento. E ora, finalmente, lo ero. Mi sentivo rinato, vivo. E la cosa incredibile era che non era per niente merito mio. Perché noi, da soli, non possiamo fare nulla. E’ per questo che ci servono gli amici. E io avevo trovato quelli migliori.

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Capitolo 13
*** 12.Escape Route ***


Hola! Sì sono tornata! Scusate il ritardo, ma ero in gita scolastica! E lì non si può scrivere!
Ringrazio subito Chocobomb, che recensisce sempre! Grazie! Un ringraziamento anche a tutti quelli che la leggono, perché almeno so che qualcuno la sta seguendo e non scrivo per niente! Come al solito vi invito a recensire!
Beh, buona lettura!

 
CAPITOLO 12

POV DAVIDE
Quattro del pomeriggio. Caldo assurdo. Non dovevo lavorare, così pensai di chiamare Elena, ma appresi dal padre che era uscita a fare shopping con delle amiche e che aveva dimenticato il cellulare a casa. Andai da Silvia e le chiesi se avesse avuto voglia di fare qualcosa, ma mi risposa che doveva andare a fare un giro con Taylor. Andai allora da Jeremy, che però aveva deciso di andare a chiamare sua moglie via Skype. Decisi, così, di chiedere a Hayley se avesse voluto vedere un film. Bussai alla porta della camera che condivideva con Silvia, ma non ottenni risposta. –Hayley, sei lì dentro? Rispondi!-. Silenzio. Iniziai a preoccuparmi. Aprii la porta di scatto, ma la stanza era vuota. Il letto era sfatto e le valigie non c’erano. Se n’era andata. Ma perché? Mi avvicinai al letto. C’erano delle fotografie che aveva scattato quando eravamo andati a Genova e un biglietto. C’era scritto “Per Davide”. Lo aprii e lessi. Non c’era una lunga lettera, ma un breve messaggio: “Odio vedere il tuo cuore a pezzi, ma devo farlo. Grazie di questo mese, ma non posso più restare. Ti auguro di essere felice. Hayley”. Ero incredulo. Corsi da Jeremy. –Jeremy, Hayley se n’è andata!-. Il bassista si voltò. –Che cosa?-. Lo vidi tremare. –Kat, amore, ci sentiamo dopo.-. Spense la chiamata, si alzò e venne verso di me. –Ok, stai scherzando vero? Stai scherzando?- -No!- esclamai. –Mi ha lasciato questo.-. Gli mostrai il biglietto. Jeremy lo appallottolò e lo buttò sulla scrivania. –Ehi!- protestai. –Io  la uccido! Anzi, li uccido! No, vi uccido tutti!- urlò. Lo guardai, inquietato. –Ho fatto qualcosa?- chiesi. Lui mi prese dal colletto della maglietta e iniziò a sbraitare:-Hai fatto qualcosa? Hai fatto qualcosa? No, dico, mi prendi in giro?-. Non capivo. –Chiama Silvia e Taylor! Muoviti!- mi ordinò. Telefonai loro, che si presentarono immediatamente a casa. –Si può sapere che diamine è successo?- domandò il chitarrista. –Hayley… Se n’è andata.- disse lapidario Jeremy. –Cosa?- esclamarono all’unisono Silvia e Taylor. –Io… Non posso crederci.- mormorò il ragazzo. –Io invece ci credo benissimo!-. Jeremy si voltò di scatto. –Jerm, di che diamine stai parlando?- domandò Silvia. Taylor abbassò lo sguardo e iniziò a scuotere la testa. Jeremy strinse i pugni. Mi innervosii: cosa stavano nascondendo? –Ehi, potete renderci partecipi?- urlai. Ero stufo. Volevo capire che diamine stesse succedendo. Silvia si avvicinò a me e mi circondò le spalle con il braccio. –Mio fratello ha ragione. Taylor, se è successo qualcosa devi dirmelo. Ti prego. Hayley  è una delle mie migliori amiche.- supplicò. Taylor si sedette, sospirando. Era pallido. –Ecco… Io… cioè…- -Spiego tutto io!- intervenne Jeremy. Lo guardammo, stupiti. Di solito non interveniva mai se uno non glielo chiedeva. –Quindi Jeremy, tu sai cosa sta succedendo?- -Sì Silvia. Sì. Vedete, il tour non è stato cancellato per motivi organizzativi.-. Taylor scoppiò a piangere. Silvia lo abbracciò, senza dire una parola. Jeremy continuò:-Taylor voleva stare con te, Silvia. E aveva paura di non poterti più vedere per un altro anno. Così ci mettemmo d’accordo: avremmo continuato il tour fino a quando non saremmo venuti a Milano, poi ci saremmo fermati in Italia, inventandoci una qualsiasi scusa. Il tutto stava funzionando alla perfezione, fino a quando Hayley non si è messa in testa di aiutarti.- -Aiutarmi? Ma di che stai parlando?- chiesi. Mi innervosii molto. Ma in che cosa diamine doveva aiutarmi? –Hayley si era messa in testa di farti capire chi sei veramente. Non ho idea del perché, so solo che continuava a ripetere che doveva salvarti dall’autodistruzione.-. Mi girai verso Silvia, poi nuovamente verso Jeremy. Il bassista continuò:-Dapprima ha fatto di tutto per farti fidanzare con Elena. Era convinta che sarebbe stato il tuo  bene. Solo che è successo un piccolo imprevisto, e tu sai a cosa mi riferisco.-. Abbassai lo sguardo. Sì, lo sapevo benissimo di cosa stava parlando. L’immagine del bacio tra me e Hayely me la ritrovai lì, davanti a me, fuoriuscita da chissà quale parte del mio cervello. Scattai verso Jeremy, urlando:-E’ lei che mi ha baciato!-. Silvia si voltò verso di me. –Cioè, scusa, tu e Hayley… E Elena lo sa?- mormorò. –Silvia, Elena non sa nulla, e non deve sapere nulla. Io la amo e con Hayley non è successo nulla, lei mi ha baciato e poi se n’è andata. Il giorno dopo ci siamo chiariti e stop. Fine.-. Silvia scosse la testa e mi guardò, incattivita. Avrei voluto andarmene, invece rimasi lì, chiedendo:-Jeremy, perché se n’è andata? E dove se n’è andata?- -Davide, lei si è innamorata di te. Ma non voleva crearti problemi. E’ tornata a casa. Ieri sera ne aveva parlato, ma credevo stesse scherzando.-. Fu come ricevere un pugno allo stomaco. Solo che faceva più male. Mi sentivo uno stupido. Come avevo fatto a non capirlo? Come avevo fatto a non accorgermi del fatto che lei si era innamorata. Ripensai al suo sguardo mentre eravamo in spiaggia. Mi stava venendo da piangere. Ricacciai indietro tutte le lacrime e sospirai. –Io amo Elena. Non lei. Io non sono Chad. E non sono famoso. Mi dispiace.- dissi lapidario. Poi uscii dalla stanza, andando in camera mia.

POV HAYLEY
Complimenti signora Williams! Eri riuscita a scappare dopo avergli detto per un mese che fuggire non era la soluzione. Brava!
Ero già sull’aereo per Franklin. Ora mi aspettava un lungo viaggio verso casa. Guardai fuori dal finestrino, sospirando. Ma come avevo fatto a innamorarmi di lui? “Buon Dio, perché mi fai questo?” pensai tra me e me. Rigirai tra le mani la fotografia di  me e lui al mare. Ma cosa mi stava succedendo? Non mi era mai capitato di innamorarmi così di una persona. Né per Chad, né per Josh. –Signorina tutto bene?-. Mi voltai. Una hostess mi guardava, un po’ impietosita. Solo allora mi accorsi di piangere. –Sì, tutto bene, grazie.-. La hostess si sedette accanto a me, dato che il posto era libero. –Problemi con il ragazzo?-. “Ma che cavolo vuoi? Manco mi conosci!” urlai nella mia mente. La donna continuò, prendendo la fotografia di me e Davide tra le mani:-E’ lui? Beh, è un bel ragazzo!- “Ma va? Davvero?”. Se avessi potuto l’avrei strozzata. Ma non potevo. –Senta, la ringrazio per l’interessamento, ma preferirei stare da sola. Mi scusi.- affermai. La hostess si alzò, sorridendomi. –Non si preoccupi. Se permette, però, vorrei suggerirle di non sopprimere quello che prova.-. La guardai mentre andava in fondo all'aereo. Mi accucciai nel sedile. Sì stavo tornando a casa. Ma era poi davvero casa senza lui?

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Capitolo 14
*** 13.Breakdown ***


Good Morning guys! Scusate il megaritardo! Spero di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo. Il titolo è preso da Breakdown dei Tonight Alive. Ecco il link della canzone: http://www.youtube.com/watch?v=gAT1ZLE0JQ8
Ringrazio Chocobomb per le recensioni e chiunque stia leggendo questa storia; anche se non recensite vi voglio bene :) 
Bene, vi auguro buona lettura!
Bye bye!


CAPITOLO 13
POV DAVIDE
Erano passati quattro mesi, in cui era successo di tutto: Silvia si era trasferita negli Stati Uniti con Taylor, Elena mi aveva mollato per un ragazzo dell’alta borghesia e io, per ripicca, mi ero licenziato dal bar, rimanendo senza lavoro, con un affitto da pagare e con il conservatorio da frequentare. In più ero solo. Certo, io e Silvia ci sentivamo ogni tanto, ma furono mesi in cui avrei voluto solo averla accanto. Se non altro passai molto tempo con Riccardo e gli altri bambini del parco e le loro famiglie mi aiutarono assumendomi come babysitter. Non era un granché, ma almeno qualche soldo lo facevo. E poi i bambini erano simpatici e ogni tanto ci trovavamo tutti insieme a giocare. Insomma, le mie giornate erano piene. Piene di studio, piene di impegni e piene di bambini. Ma, soprattutto, erano piene di rimpianti. Anzi, di un rimpianto solo: quello di essermi lasciato scappare un fiore come Hayley. Mi mancava tutto di lei, in modo particolare i suoi occhi. Quei due smeraldi incastonati nel suo viso erano perennemente nei miei sogni.  Avrei dato qualsiasi cosa per poterla rivedere, ma anche quando chiamavo Silvia via Skype Hayley non voleva mai rispondere. Era come se mi avesse voluto cancellare per sempre dalla sua vita. Beh, che dire… Ci stava riuscendo benissimo.
-Davide, posso parlarti?- mi chiese il mio insegnante di clarinetto. –Certo.- risposi. –Bene. Allora, da dove inizio? Ecco, sì… Dunque, il nostro conservatorio è stato scelto per rappresentare l’Italia ad un concerto di beneficenza negli Stati Uniti. Tra tutti gli strumenti abbiamo deciso di portare il clarinetto. E tra tutti gli allievi abbiamo selezionato te. Domani sera alle 21.00 hai l’aereo per Nashville. Che ne dici?-. Rimasi a bocca aperta per la sorpresa. “Ricapitoliamo. Io. Il clarinetto. Stati Uniti. Nashville. Posso andare da Silvia e da Ha… No, Forse è meglio di no!”. –Allora, signor Marini! Risponda! O sì, o no!- mi urlò il mio insegnante. Non sapevo cosa rispondere. Ero rimasto impietrito. Mi feci forza. Aprii la bocca per dare la mia risposta, assolutamente negativa, ma uscì:-Sì.-. Mi accorsi di aver accettato. Avrei voluto picchiarmi per non aver detto “no”.-Ottimo. Quando arriverà a Nashville troverà un tale, Michael Owens, la porterà all’albergo. Suonerai quello che vuoi, basta che tu gli dia la lista dei brani appena scendi dall’aereo. Quindi ora vai a prepararti la valigia! E porta tanti calzini!-. Lo guardai, perplesso. –Ehm.. Penso di andare a Franklin, da mia sorella… Niente albergo.- dissi. –Ah. Ok, va bene. Allora ci vediamo, ragazzo!-. Gli strinsi la mano e lo abbracciai. Mentre andavo via lui esclamò:-Il concerto si terrà tra tre settimane. Nel frattempo proverai e visiterai il Tennessee.-. Sbiancai: tre settimane lontano da Milano? Sarei impazzito. Odiavo viaggiare a lungo. Ma per Silvia questo e altro. O forse avevo accettato solo per poter rivedere Hayley?
POV HAYLEY
Stavo cucinando l’arrosto, quando qualcuno suonò il campanello. –Dakota, apri tu per favore?- chiesi alla mia migliore amica. La sentii aprire la porta e parlare con qualcuno. –Hayls, è per te!- comunicò. Sbuffai e mi recai verso l’ingresso. Mi affacciai fuori dalla porta, ma la richiusi subito, sotto lo sguardo sconvolto di Dakota. “Non è possibile!” pensai tra me, in preda al panico. –Si può sapere che ti diavolo ti prende?- mi chiese. Mi accasciai a terra. –Hayley! Ehi, rispondi!- urlò la mia amica, preoccupata. Feci un bel respiro e la fissai negli occhi. Poi mi rialzai di scatto e aprii la porta. Di fronte a me c’era proprio lui, Davide, con i suoi occhi scuri come pozzi senza fondo, i suoi capelli neri come il mare di notte e il suo buonissimo profumo. E di fronte aveva me, Hayley, con una maglietta su cui c’era l’immagine di Spongebob, dei jeans bucati e un grembiule da cucina tutto sporco. Appena mi resi conto di come ero vestita arrossii imbarazzata. –Ehm, ciao.- mi salutò lui. –C-c-ciao!- balbettai io. –Posso entrare?- chiese. Annuii e feci cenno a Dakota di andarsene a casa. Lei però non capì e andò verso l’italiano a presentarsi:-Ciao, io sono Dakota, la migliore amica di Hayley! Tu devi essere Davide! Hayls ha parlato un sacco di te!-. Mi voltai di scatto e le tirai un calcio sullo stinco. –Ahia!- fece lei.-. –Bene, sono contenta che vi siate conosciuti, ma per Dakota è ora di andare.-. –Dove?- chiese ingenuamente. –Ma come, non ti ricordi del tuo impegno?- insistetti. –Ma se mi hai invitata a cenare qui!- protestò. –Dakota, il tuo impegno!- continuai. Finalmente capì. –Ah, già, il mio impegno! Beh, ci vediamo ragazzi!-. Se ne andò. –Alla buon’ora.- borbottai. –Come, scusa?- chiese Davide. Mi girai. –No, niente.-. Lo invitai a sedersi sul divano. Ci fissammo negli occhi. Erano passati quattro mesi da quando me n’ero andata e avevo fatto di tutto per dimenticarlo. Quello che avevo voluto era stato farlo uscire dalla mia vita. Non avevo più nemmeno chiesto di lui, neanche quando Silvia si era trasferita a Franklin. E ora, dopo quattro mesi, mi rendevo conto di quanto mi fosse mancato. Ma lui non doveva saperlo. Mai e poi mai. Era una questione di principio e di orgoglio. Lo guardai di nuovo. Mi morsi il labbro. Poi, finalmente, gli chiesi:-Che ci fai qui?-. Mi sorrise e rispose:-Sono stato scelto dal mio conservatorio per rappresentare l’Italia a un concerto di beneficenza che si terrà tra un mese a Nashville.-. Fu un pugno allo stomaco. Non poteva essere. –Quello organizzato dalla Fieldman Bank?- chiesi pregando che la risposta fosse negativa. Invece era affermativa, ovviamente. –Sì, proprio quella!- -Fantastico!- esclamai tentando di mascherare il sarcasmo. Sì, avete capito benissimo: anche noi Paramore avremmo partecipato. –Comunque sono solo passato a salutarti. Tra un po’ vado, sennò Silvia si arrabbia.- mi  disse. –Beh, grazie del pensiero. Come sta Elena?-. Lo vidi incupirsi. Sospirò. –Mi ha mollato per uno più ricco. Non me lo sarei mai aspettato da lei. Mi ha ferito. Così mi sono licenziato dal bar e sono rimasto disoccupato. Ho fatto il babysitter, ma ho avuto grosse difficoltà a pagare l’affitto.- -Mi dispiace.- dissi. –Non importa. Questo concerto è una grossa occasione: ci saranno molti musicisti famosi e potrò farmi notare.-. Sentii puzza di bruciato. Realizzai subito da dove proveniva. –L’arrosto!- urlai. Andai in cucina, ma ormai era troppo tardi: la carne era diventata carbone. –Ehm… Scusa, colpa mia, vero?- disse lui. Lo guardai in cagnesco. –Senti, potresti andartene? Per favore, ho bisogno di stare un po’ sola.- -Si, ok. Ci vediamo!- mi salutò. Lo osservai mentre se ne andava. Avevo paura. Ma di cosa poi? Ah, già! Di  amare!

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Capitolo 15
*** 14. Beautiful with you ***


Ok, uccidetemi pure per il mega ritardo! Ma la scuola mi ha risucchiato, e poi sono successe tante cose e... Ok, ho avuto un blocco. E ora pubblico questa schifezza di capitolo che spero vi piaccia.
Ringrazio Chocobomb e Benny92 per le meravigliose recensioni e spero che qualcuno prenda esempio da loro :)
Consiglio di leggere con la canzone Beatiful With You degli Halestorm, che dà anche il titolo al capitolo.
Ecco il link:http://www.youtube.com/watch?v=BhOt8hvQ3-8. Buona lettura! 


CAPITOLO 14
POV DAVIDE
-Davide, sveglia!-. Le abitudini di mia sorella in fatto di risvegli mattutini non era cambiato affatto. Mi alzai di controvoglia e mi vestii. La casa dove Taylor e Silvia abitavano era nuova di zecca. Si trattava di un’abitazione composta di due piani più uno interrato. Al piano terra si trovavano la cucina, il salotto e lo sgabuzzino. Il salotto era enorme, con un grande tavolo per mangiare e una zona tv con due divani morbidissimi e un televisore di 80 pollici, un impianto home theatre e, immancabili, una playstation e un xbox. Silvia mi aveva spiegato che spesso Hayley e Taylor si ritrovavano a giocare con i videogame, sfidandosi per ore e ore, soprattutto con giochi su zombie e guerra. A me veniva da sorridere solo al pensiero di accostare una ragazza gracile e dolce come Hayley a dei videogame violenti. In più mia sorella mi aveva raccontato di come la rossa odiasse perdere e facesse di tutto per vincere. Una volta, infatti, aveva persino nascosto il controller di Taylor al piano di sopra, costringendolo a giocare con uno mezzo rotto. Peccato che, una volta costretta a ritrovarlo, non si ricordasse più dove l’aveva messo. E qui arriviamo al secondo piano della casa di Taylor. Le dimensioni sono uguali a quelle del piano inferiore, ma le stanze sono molte di più: ci sono bene tre camere da letto, un bagno e uno studio. E Hayley l’aveva nascosto proprio lì, nello studio, da qualche parte in mezzo ai libri. Silvia mi raccontò che ci misero due giorni per ritrovarlo.
-Ben svegliato Davide! Come stai?- mi chiese Taylor. –Bene, grazie. Stamattina ho le prove e poi il pranzo con tutti i musicisti dell’orchestra. Tornerò per le quattro, penso.- dissi. Silvia mi abbracciò. –Ehi, piano, mi strozzi!- protestai. –Scusa! E’ che mi sembra impossibile che tu sia qui con noi!- ammise lei, euforica. Diedi un’occhiata all’ora. –Ora devo andare. Ci vediamo dopo. Ciao.-. Mi misi la giacca e uscii. Presi l’auto di Silvia e mi recai a Nashville. Entrai nel teatro, completamente deserto. –Ehilà! C’è qualcuno qui dentro?- esclamai. Ma non ricevetti nessuna risposta. Mi sedetti su una sedia e montai il mio clarinetto. Tirai fuori degli spartiti e iniziai a suonare. Sentii un rumore. Mi voltai. Quel profumo… -Hayley, te l’ho già detto varie volte che odio essere guardato mentre provo.- dissi. Me la ritrovai lì, davanti a me. –E io invece odio essere presa in giro.-. Non capivo: che cosa stava dicendo? –Non capisci, vero? Bene, che ne dici di fare quattro chiacchiere, da amici?- disse. Feci spallucce e le risposi:-Sì, certo.-. –Perché sei venuto? E non dirmi che ti hanno proposto di suonare e allora tu hai accettato. Che cosa vuoi? E’ per me, vero?-. Mi spiazzò. E non aveva tutti i torti. –Io… Tu non puoi capire.- ribattei. –Che cosa? Cosa non posso capire?- chiese lei, con un tono al limite della disperazione. Trovai il coraggio di guardarla  negli occhi, ma non le risposi. Mi alzai e avanzai verso di lei. Hayley indietreggiò, finendo con la schiena contro la parete. Ora eravamo uno difronte all’altra. La sentii deglutire. Mi sporsi verso il suo viso. –D-Davide…- balbettò. La ignorai. –Tu non puoi capire quanto io ti ami.- sospirai. La sentì smettere di respirare per un istante. La fissai negli occhi, quei meravigliosi smeraldi che le accendevano il viso. Mi chinai sulle sue labbra e la baciai, ma lei si staccò immediatamente. Piegò la testa di lato. –Scusami.- mormorai allontanandomi da lei. Si voltò di scatto verso di me. –Non scusarti. Ti prego.-. Si avvicinò a me e mi accarezzò la guancia. Poi mi baciò, questa volta con trasporto. Risposi con passione e lei mi saltò in braccio, continuando a baciarmi. Sembrava che non avessimo bisogno di respirare. Ci sdraiammo sul pavimento. Le baciai il collo, sentendola gemere ogni volta che le mie labbra toccavano la sua pelle. Fu ancora una volta lei a fermarsi prima che la situazione degenerasse. –Non adesso, Davide. Non è il luogo giusto.- affermò. Mi sorrise e mi diede un lungo bacio sulle labbra. Sentimmo dei passi, così ci rialzammo subito. –Oh, signora Williams! Eccola qua. Vedo che ha già conosciuto Davide Marini, il nostro clarinettista. Venga, le mostro alcuni particolari del nostro progetto.- -Signor Fieldman, la seguo subito. Magari può venire anche lui?- chiese indicandomi. Il proprietario della banca mi squadrò. Era un uomo sui sessant’anni, con i capelli brizzolati e i baffetti all’insù. Mi dava l’impressione di un non so che di viscido. –Veramente, si tratta della sua band, signora Williams.- -Ah, capisco. Beh, a dopo Dav.. Ehm… Signor Marini.- mi salutò, sorridendo.
Attesi Hayley per circa un’ora fuori dal teatro. Finalmente arrivò. –Andiamo?- le chiesi. –E dove?- mi rispose. –Boh… da qualche parte. Non conosco Nashville.-. La rossa assunse un’aria pensierosa. Poi mi prese la mano. –Vieni con me.-. La seguii senza fiatare. Mi portò in un grande parco. Era bellissimo. Ci sedemmo sotto un albero. –Posso farti una domanda?- esordii. Lei annuì. –Perché sei scappata così?-. Hayley abbassò lo sguardo. Sospirò. Aveva le lacrime agli occhi. –Avevo paura di farti… Di farmi del male. Avevo paura di amare. E invece ho sbagliato tutto. E’ solo con te che io sono bella… Dentro. E’ solo con te che io sono io.-. Mi diede un altro bacio e io potei solo ricambiare. Eravamo lì, in mezzo a tutti, eppure così solitari.

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Capitolo 16
*** 15.Doubts ***


Chiedo venia per il ritardo  colossale, ma non sapevo davvero cosa scrivere! Per fortna l'ispirazione mi è tornata. 
Il capitolo è cortino, ma spero vi piaccia!. Ringrazio Chocobomb, Benny92 e hearmerawr! Grazie per le recensioni!
Non vi annoio oltre! Buona lettura.



CAPITOLO 15
POV DAVIDE
Il giorno dopo mi svegliai prestissimo, verso le sei. Mi vestii e uscii, piano, senza fare alcun rumore. In strada non c’era nessuno. Meglio per me. Mi incamminai verso la casa di Hayley. Cercai di dove potesse essere la finestra della sua camera, poi presi dei sassi e li lanciai contro il vetro. Aspettai qualche minuto. Finalmente la finestra si aprì. Hayley mi fece segno di attendere. Venne ad aprirmi e mi salutò con un bacio. –Fai piano, c’è mia sorella Erica che sta dormendo.- sussurrò. –Tua sorella?- le chiesi. –Già, ne ho due, Erica e McKayla. E nessuna delle due sa di te. Anzi, ora che ci penso, non lo sa proprio nessuno.- rispose. Accennò un sorriso. Adoravo i suoi sorrisi. Quando sorrideva mi sembrava che tutto il mondo sorridesse. Tutto il suo viso si illuminava e i suoi occhi verdi diventavano più luminosi. Mi fece cenno di sedermi sul divano. –Sai, forse è meglio che per ora non lo sappia nessuno.- rifletté. –Perché?- le chiesi. –Beh, io sono famosa. E quando uno è famoso è sempre sui giornali. Non voglio regalarti una vita da inferno.-. La scrutai. –Tu non mi regalerai mai una vita d’inferno. E’ proprio solo con te che sono in paradiso, Hayls.- la tranquillizzai. Le diedi un bacio. Poi lei si staccò. Mi accarezzò la fronte. –Comunque… Non mi hai ancora detto perché sei venuto a svegliarmi a quest’ora.- mi disse. –Beh, volevo farti una sorpresa. Ma dato che c’è tua sorella non penso che sia possibile realizzarla.- risposi. –Beh, ma Erica tra un po’ ritorna a casa.- sussurrò, con aria seducente, mentre mi baciava il collo. –Allora potremo anche farcela.- risposi. Mentre ci stavamo baciando non ci accorgemmo che qualcuno stava entrando in salotto. –Ma che state facendo? E tu chi diamine sei?-. Ci voltammo di scatto. Hayley arrossì, diventando paonazza. –Oh, ehm… Ciao Erica. Io… Cioè lui… Tu non hai visto niente, ok?-. Quindi quella ragazzina era la sorella di Hayley. Effettivamente si assomigliavano. –Hayley, io sto anche zitta, ma penso che non ti sia comportata correttamente nei miei confronti. Potevi dirmelo che avevi un nuovo ragazzo!- ribatté. Hayley si girò verso di me, supplicandomi con lo sguardo di dire qualcosa. –Ehm… Io sono Davide.-. Ok, forse non era la cosa migliore che potessi fare quella di presentarmi. –Ah, quindi tu sei il tipo di Milano per cui Hayley è stata male?-. Quello fu un pugno allo stomaco. Mi girai di scatto verso Hayley, che arrossì di colpo. –Va bene, Erica potresti tornare in camera per favore?-. La ragazzina si incamminò verso la sua stanza, sbuffando e borbottando qualcosa. –Mi dispiace per la situazione altamente imbarazzante.- si scusò Hayley. –Figurati, non è successo niente. Anzi, Erica è simpatica.- -No, invece è una terribile impicciona. La odio quando fa così.- si lamentò. –Dai, tu avresti fatto lo stesso. Invece… Davvero sei stata male per me?- le chiesi. –Io? Figurati! Non sto male per un ragazzo!- rispose. Capii chiaramente che stava mentendo, ma non dissi nulla. –Beh, qual era la sorpresa?- mi domandò. –Volevo portarti in un posto, ma ormai è tardi. Facciamo domani, ok? Io ora devo andare a casa. Ci vediamo alle prove?- -Non penso. Io ho da fare. Magari stasera, che ne dici?-. Annuii. Poi la salutai con un bacio e  me ne andai via.
POV HAYLEY
Lo vidi andare via e subito un senso di abbandono mi assalì. Sospirai. –Allora ti piace proprio tanto, eh?-. Mi girai. Erica era lì, in piedi, che mi fissava con il sorriso stampato sulle labbra. –Io… Io non lo so. Cioè, sì, ma non sono pronta. Ho paura Erica. Tanta paura. Prima Josh, poi Chad. Chi te lo dice che sia lui quello giusto?-. Maledetti dubbi. Si insinuano in noi sempre nei momenti peggiori. –Non lo puoi sapere. Ti puoi solo fidare.- mi rispose. Ah, mia sorella. Lei sì che è una persona saggia, a volte. –Hayley, senti… Mi dispiace per prima. Non volevo.- -Non fa niente. Anzi, Davide ti ha trovata simpatica.- risposi. Erica sorrise. Poi si sedette sul divano. Mi accomodai vicino a lei. –E’ un bravo ragazzo. Semplice, cordiale. Soprattutto semplice. Ha un mondo dentro di se che deve ancora scoprire.- spiegai. –Anche tu.- affermò mia sorella. La guardai, sorpresa di quella dichiarazione. Lei fece spallucce e si alzò, lasciandomi da sola sul divano. Il telefono squillò. Risposi. –Pronto?- -Ciao, sono Silvia. Ti va di venire a cena da noi stasera?-. Oddio, mi stava invitando. E ci sarebbe stato anche Davide. Solo che tutti pensavano che lo odiassi ancora. –Io… C’è anche tuo fratello?- chiesi. –Beh, sì. Ma se è un problema è lo stesso.- rispose. –No, va bene. Accetto l’invito. Devo portare qualcosa?- domandai. –No, non penso. Allora a stasera! Grande! Ciao Hayls.-  -Ciao.-. Riattaccai e mi buttai sul divano. Maledizione! E ora come sarei riuscita a fingere? Non volevo far sapere di noi, non ancora. Non ero sicura che la cosa potesse piacere ai miei amici. Non ero sicura che fosse lui quello giusto. Avevo paura di ferire qualcuno. Me.

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Capitolo 17
*** 16.What Are You So Scared Of? ***


Manca un giorno!!! E io vi regalo il capitolo (che non è un granché, lo so)!! Mamma mia se sono gasata, non vedo l'ora!!
Bene, parliamo della fan fiction, vah, che è meglio! Ringrazio la gentilissima Chocobomb per le recensioni e chi ha messo la storia nelle seguite! E anche chi semplicemente legge ;)
Commentate un po' anche voi, però, mi fareste contenta ;)
Bene, vi lascio al capitolo. Bye bye! 


CAPITOLO 16
POV HAYLEY
-Et voilà! Tagliatelle con funghi e alici!- esclamò Silvia, portando una zuppiera colma di pasta a tavola. Ero nervosissima. Avevo deciso di sedermi lontano da Davide, in modo da non destare alcun sospetto. –Hayls, quanta pasta vuoi?- mi chiese l’italiana. –Oh, non tanta, grazie.-. Inutile. Ah, gli italiani! Per loro poca pasta equivale a dire “Dammi un piatto enorme!”. Mi rassegnai a prendere quella grandissima porzione e iniziai a mangiare. Di fronte a me c’era Jeremy che parlava serenamente con Taylor e Davide. Il chitarrista era seduto accanto a Silvia. La ragazza si era sistemata tra Kat e me. Tutti erano intenti a chiacchierare. Solo io mi ero totalmente estraniata. Il mio sguardo incontrò quello di Davide. Sembrava così sereno. Io, invece, stavo tremando. Avevo paura. Paura del giudizio degli altri. Quando ti abitui ad essere giudicato su tutto, la musica che produci, i vestiti che indossi, lo smalto che metti, la macchina che guidi, perfino la casa in cui vivi beh, ti senti bloccato. Non sai cosa fare. E io ero proprio così: non sapevo che fare. Decisi di alzarmi. –Vado un attimo in bagno. Torno subito.- dissi. In cuor mio speravo che Davide mi seguisse, ma ero stata proprio io  ordinargli di tenersi a distanza. Feci scorrere l’acqua dal rubinetto e mi bagnai un po’ la fronte. Ma non mi ero ancora tranquillizzata. Mi chiusi dentro e frugai nella mia borsa, alla ricerca disperata di qualche calmante. Ne tenevo sempre un po’ di scorta, per calmare eventuali attacchi di panico prima dei concerti. “Andiamo, non posso averli lasciati a casa!” pensai tra me e me. “Cazzo!” imprecai a mente, non avendoli trovati. Mi accoccolai al muro. Una lacrima bagnò il mio viso. Iniziai a piangere. Piangevo dalla paura. Dalla paura di fidarmi nuovamente di qualcuno. Il mio cellulare vibrò. Era Davide. “Tutto bene?”. Non gli risposi. Vidi il mio Ipod spuntare dalla borsa. Lo presi e mi misi le cuffiette nelle orecchie. Non sapevo cosa ascoltare. Decisi di far partire “What Are You So Scared Of” dei Tonight Alive.

Well it's a sad truth, living with these hungry hands.
It's a shame, we don't know how much we have.
We're scared of what we do not know.
No matter where we wanna go.


Le parole mi si imprimevano dentro, come tizzoni ardenti sulla pelle. Perché non sapevo cosa fare? Davvero non sapevo cosa avevo? Perché non riuscivo a rendermene conto?
 

We wait for it, to find you, to find you.
But the truth is far behind you now.
Time to say it out loud:


Mi preparai al ritornello. Aprii la bocca e iniziai a cantare, sottovoce, :

What are you so scared of?
Judgements not unfair.
It's what we've learned to see.
 
What are you afraid of?
This is not unheard of.
Nothing's how it wasn't always meant to be, always meant to be.


Già, di cosa avevo paura? Perché non dovevo fidarmi di quello che provavo? Perché mi stavo facendo delle domande da sola a cui poi non riuscivo a dare risposta?
Qualcuno bussò alla porta, riportandomi alla realtà. –Hayley, tutto a posto?- -Sì Silvia, è tutto ok.- risposi spegnendo l’Ipod e rimettendolo in borsa –No, davvero, se è per colpa della pasta, io…-. Le parole le morirono in bocca non appena entrò. Fantastico. Solo in quel momento mi accorsi di non avere chiuso la porta a chiave. –Hayley, ma che succede?- chiese preoccupata. Non dissi nulla, così lei chiuse la porta a chiave e si sedette accanto a me. –Hayley, non mi freghi. Che hai?-. Mi voltai dall’altra parte. Non avevo il coraggio di guardarla in faccia. Lei mi fece girare il viso. Mi fissava, con quegli occhi scuri, simili a quelli del fratello. Mi abbracciò, poi disse:-Hayls, ti prego! Che cosa sta succedendo? E’ per Davide, vero?-. Scossi la testa. Inspirai profondamente, tenendo gli occhi chiusi. –Non esattamente. Il problema non è lui. Sono io.- risposi, lapidaria. –Perché?- domandò Silvia. Non sapevo se doverglielo dire. Non sapevo se potevo fidarmi. –Io… Io mi sono messa insieme a una persona.-. L’italiana mi guardò, perplessa. –Beh, e quale sarebbe il problema? E’ una cosa bella.- -Vedi, è che… Lui è un tipo un po’ particolare.- affermai. –Ma si può sapere chi è? Se ti fa stare così male mollalo!- mi suggerì. Mi scappò da ridere, ma mi trattenni. –No, lui mi tratta benissimo, anzi. E’ una gran bella persona. Mi fa sentire al sicuro, protetta, amata. Solo che… Sono io che non riesco a fidarmi, Silvia. E non riesco a capire se lui sarà una cosa buona per me.- -Lo sarà, ne sono sicura. Da come me lo descrivi, sembra proprio una gran bella persona. Che fa nella vita?- chiese. –Suona. Il clarinetto.- risposi, pentendomi subito di aver dato un’informazione così preziosa. –Curioso. Come Davide.- notò lei. –Ehm… Silvia… Veramente è Davide.-.

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Capitolo 18
*** 17.My Faith ***


Buongiorno! Allora, un piccolo avvertimento: io andrò al mare, quindi per due settimane non aggiornerò. Poi andrò in montagna subito dopo, quindi per un'altra settimana non aggiornerò. Vedrò se nel mezzo riesco ad aggiornare, voi comunque non abbandonatemi :)
Questo capitolo è un po'... strano. Boh, giudicate voi, io ho scritto. Premetto che Davide e Hayley impersonano un po' le due metà che ci sono in me e nel mio animo: quella che tende ad essere più irascibile, istintiva e razionalista (Davide) e quella che tende a credere che c'è Qualcosa più grande di noi.  E questo capitolo nasce dall'esigenza di conciliare queste due parti.
Non vi annoio oltre, buona lettura e recensite, recensite, recensite!
P.S.
Un ringraziamento speciale a Chocobomb e a Ollieparawhore che hanno recensito il capitolo scorso. Grazie mille :) 



CAPITOLO 17
POV HAYLEY
Silvia mi guardava, con la bocca aperta. –Ehm… Tutto a posto?- le chiesi, un po’ preoccupata. Lei, però, non accennava alcun movimento di reazione. –Silvia, rispondimi.- mormorai. –E’ una cosa… Fantastica! Sì! Yuppie!- urlò lei, facendomi prendere un infarto. –Silvia, sei sicura di stare bene?- dissi, traumatizzata da quella reazione totalmente inaspettata. –Ma, Hayls, certo che sto bene! Sono solo felicissima di questa notizia!- esclamò. –Ah, davvero?- sussurrai, incredula. –Ma ovvio! Perché, qual è il problema?- mi chiese. Inspirai profondamente. –Il mio problema è che… Io non credo nel “Per Sempre”. Non più.- ammisi. –Ah, ho capito. Beh, potresti sempre cambiare idea, no?-. Mi scappò un sorriso. –Già.- risposi in un mormorio. –Davide è un bravo ragazzo. E’ il mio fratellone preferito. Anche perché, a ben pensarci, è l’unico.-. Mi venne da ridere. Silvi era così… Spontanea. Riusciva a farmi ridere anche in momenti del genere. –Hayley, l’unico modo per sapere se sarà per sempre è vivere fino al “Per Sempre”.- affermò. –Lo farò.- promisi. Non ero troppo convinta, ma a Silvia non riuscivo proprio a dire no. Uscimmo dal bagno e ritornammo a tavola. –Hayley, tutto a posto?- mi chiese Jeremy. –Sì, ho avuto solo un piccolo mal di panc…- -Hayley è fidanzata!- mi anticipò Silvia. La guardai, disperata. Tutta la tavolata si era zittita di colpo. Gli occhi di Davide si incrociarono con i miei. Mi sorrise. –Con chi?- trovò il coraggio di chiedere Kat. –Con… Davide!- rispose Silvia. Tutti si girarono verso il ragazzo, che arrossì come un pomodoro. –Ah, però. I due che si odiano si amano.- affermò Jeremy, sorridendomi. Mi sentivo la faccia bollente. Di sicuro aveva assunto il colore dei miei capelli. Mi morsi il labbro. Mi pareva di essere al mio primo concerto. Ero agitata come non mai. –Io… Sì, lui e io stiamo insieme. E non ve lo volevo dire perché avevo paura che la cosa potesse non piacervi. Ma vedo che vi va bene quindi finiamo la cena. Per favore.-. Jeremy mi tirò una pacca sulla schiena. –Ma è ovvio che finiamo la cena. Anche perché ho fame.- esclamò Taylor. –Amore, sei un ingordo!- lo rimproverò Silvia. Risi. Finalmente mi sentivo un po’ libera.
Finita la cena fecero un sacco di domande a me e Davide. Capii la mia ostinazione a voler continuamente rifiutare le cose che mi rendono felice. E Davide era una di queste, anzi. Lui era quella più importante. –E’ tardi.- affermai. –Ti accompagno.- propose Davide. Lo guardarono tutti, soffocando una risata. Alzò gli occhi al cielo mi fece cenno di seguirlo fuori. Uscimmo dalla casa di Taylor, accolti da un vento gelato. –Andiamo a piedi? Perché non è proprio vicina casa mia.- dissi. –Beh, un po’ d’aria non può farci che bene.- dichiarò lui. Camminammo per un po’, lungo la strada. A quell’ora non passava nemmeno una macchina. Eravamo soli, noi due. Il cielo era limpidissimo, anche se faceva un freddo atroce. Davide era un po’ malinconico. –Tutto bene?- gli chiesi. –Sì. Stavo solo pensando.- rispose. –A cosa?- domandai. –Silvia mi ha detto che hai paura. Paura che non sia “Per Sempre”. Stavo pensando a cosa dirti, ma non mi viene in mente niente.-. Lo guardai. Era la persona più dolce che avessi mai conosciuto. Eppure era maledettamente inquieto, proprio come me. Eravamo entrambi alla ricerca di qualcosa, ma nessuno dei due sapeva cosa. Forse della felicità totale, ma mi sembrava riduttivo. –Sai, penso di avere solo paura di sentirmi abbandonata di nuovo.- ammisi. Come risposta mi diede un bacio, il più dolce che avessi mai ricevuto. –Io non ti abbandonerò mai. Mai.- promise. Mi guardai intorno. –Vieni, ho un’idea.- esclamai. Lo presi per un braccio e lo condussi per una viuzza. –Dove stiamo andando?- mi chiese. –Shh. Ora vedi.- lo zittii. Arrivammo a una chiesa. Davide mi guardò storto. –Questa me la spieghi.- esclamò. –Non c’è niente da spiegare. Io… Io volevo solo entrare lì dentro.- spiegai. Davide rise, istericamente. –Io lì dentro? Mai e poi mai! Non entrerò in una chiesa. E non provare a convincermi. Lo sai che non ci credo. E ora vieni, che ti porto a casa. Fa freddo.-. Sospirai. Lo seguii, un po’ controvoglia. Non avevo voglia di litigare, così decisi di tacere. Arrivammo a casa mia. Aprii la porta ed entrai. –Ci vediamo domani. Ti vengo a prendere per  le prove alle nove, va bene?-. Tenni lo sguardo chino, fisso a terra. –No. Domani vorrei andare in chiesa. A messa. E’ domenica e ci tengo. Ci vediamo dopo, passo io.-. Detto questo, gli diedi un bacio sulla guancia e mi chiusi la porta alle spalle. Speravo solo che non si fosse arrabbiato.
POV DAVIDE
Mi avviai verso casa da solo e piuttosto nervoso. Ma che diamine le era preso? Sapeva che non ci credevo. E poi che senso aveva? Avevamo parlato della sua paura e lei mi portava in chiesa? Le si doveva essere fuso il cervello. Che ci portasse Silvia a messa. Io non ci sarei andato nemmeno morto. Mentre mi perdevo in questi pensieri mi scontrai con un uomo. –Ehi, stai attento, pulce!- mi urlò contro. Era un uomo malmesso, probabilmente un barbone. –Mi scusi. Non l’ho fatto apposta.- mormorai. Lui mi prese dal bavero del cappotto. –Non me ne frega! Non dovevi comunque venirmi addosso!- gridò. Deglutii. Il barbone mi lasciò cadere a terra. Poi continuò a camminare. Barcollava. Eppure non era ubriaco, il suo alito non puzzava. Non so cosa mi prese in quel momento, ma trovai il coraggio di chiedergli:-Signore, tutto bene?-. Quello si girò di scatto. Mi fissò, un po’ in cagnesco. –No, pulce. Non va per niente tutto bene.- abbaiò. Mi avvicinai a lui. –Se vuole, posso darle questo cappotto. E conosco un posto dove potrà alloggiare. Fa davvero molto freddo, ormai è quasi novembre.-. Il signore mi guardò, stranito. –Va bene.- affermò. Gli porsi il mio cappotto e lo condussi in un ricovero per senzatetto. Era gestito da degli amici di Taylor e Silvia e si trattava di un posto accogliente, con delle piccole camerate e una mensa comune. –Non è il Gran Hotel, ma penso possa andare, no?- chiesi. –Può andare eccome. Grazie mille pulce.- mi ringraziò. –Ehm… Davide, non pulce.- dissi. –E’ lo stesso. Io sono George. Puoi venire a trovarmi se vuoi, pulce.-. Sorrisi. Lo salutai e corsi verso casa. Mi misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte. Era stata la serata più strana della mia vita. E tutto sommato mi sentivo felice.

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Capitolo 19
*** 18.What a... ***


Io l'ho detto, aggiorno! E ho aggiornato! Spero vi piaccia, l'ho scritto mentre ero al mare!
Ringrazio Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni  e chiunque abbia inserito la storia tra le preferite o seguite, con la preghiera d recensire, per capire se devo migliorare in qualcosa :) Grazie in anticipo a chi lo farà!

Buona lettura!

Pov Davide

Mi svegliai di colpo, sentendo il cellulare vibrare. Guardai l'ora: erano le sette del mattino. Mi alzai e mi preparai per le prove, dimenticandomi del telefonino. Andai al teatro a piedi. Era una bella giornata di fine ottobre, di quelle fredde, ma soleggiate. Quella domenica dovevamo consegnare i nostri programmi per il concerto di beneficenza. Diedi il mio alla segretaria e mi aggregai agli altri musicisti. A differenza degli altri giorni c'erano proprio tutti. Alcuni erano molto famosi. C'era anche il cantante di quella band di cui Hayley mi aveva fatto ascoltare la canzone, quando eravamo ancora a Milano. Si chiamava Paul Hewson, ma usava come nome d'arte quello di Bono Vox. Chissà perché poi. Non aveva molto senso. Era irlandese, ed era venuto con il suo gruppo, gli U2. Erano... Strani. A prima vista sembravano dei bambini troppo cresciuti, mentre poi si rivelavano in tutta la loro profondità.

-Davide! Eccoti qua!- mi salutò il signor Fieldman, il direttore dell'omonima banca, nonché promotore diretto del concerto. -Ehm... Buongiorno anche a lei.- risposi titubante. Lui mi diede una pacca sulle spalle, esclamando:-Ragazzo mio! Come va? Spero tutto bene!- -Sì, signor Fieldman, tutto alla perfezione. Certo che lei ha organizzato le cose in grande.- osservai. -Beh, per i nostri poveri, questo e altro! Piuttosto, ha per caso visto la signorina Williams? Perché i Paramore non mi hanno ancora consegnato il loro programma.-. Mi guardai intorno. Effettivamente Hayley non c'era. Ripensai a quello che mi aveva detto la sera prima. -Sa, non  penso che la vedremo. Non stamattina, almeno.- risposi. Fieldman mi guardò, stranito. -Ah. Beh, l'importante è che il programma arrivi entro oggi.- dichiarò lui. Io annuii e mi diressi fuori, su una specie di balcone. Guardai il panorama. Non potevo crederci. Hayley aveva veramente disertato le prove per andare in chiesa. Scossi la testa. Non me l'aspettavo. O forse sì. Insomma, non sapevo più che cosa dover pensare.

Guardai l'ora: era il mio turno. Dovevo andare a provare. Mi recai nel mio camerino e montai minuziosamente il clarinetto. Poi, una volta salito sul palco, sistemai gli spartiti e mi preparai per suonare. Avevo deciso di portare Mozart e un brano che avevo trovato in giro per casa. Non l'avevo mai sentito, ma mi era sembrato carino. Si chiamava “Tramonto” e l'autore era sconosciuto, non l'avevo trovato nemmeno su internet. Aspettai pazientemente il segnale del direttore e iniziai a suonare, bloccandomi subito: c'era troppa gente. E io odiavo provare in mezzo a tante persone come solista. -Signor Marini, tutto a posto?- mi chiese il direttore, sussurrando. Io ero paralizzato, così non risposi. -Signor Marini!- mi chiamò quello, ma io ero immobile, come una statua. -Spegnete le luci!- esclamò qualcuno dei tecnici.

-Davide, Davide, Davide. Che mi combini?- mi chiese il signor Fieldman. Ero stato convocato nel suo ufficio dopo quello che era successo alle prove. -Oh, vede, non è nulla. Si è trattato solo di un attacco di panico.- risposi. -Già, solo un attacco di panico! Ahahah! Un attacco di panico! Ahahah!- ribatté, scoppiando a ridere, seguito dal sottoscritto. Ma la risata durò poco, perché si avventò su di me, prendendomi dal bavero della giacca. -Ascoltami bene! Non so se hai idea della quantità di soldi che ho investito per questo concerto, ma sappi una cosa: nessuno a questo mondo fa qualcosa senza volere un tornaconto e io non sono un'eccezione! Questa iniziativa mi  frutterà un sacco di clienti e non solo. Non sono un semplice banchiere e ultimamente le mie imprese non navigano in buonissime acque. Hai capito?-. Io annuii, timidamente. Lui cambiò espressione di colpo, mettendo su uno di quei sorrisi finti che lo caratterizzavano. -Bene. Quindi, mi raccomando... Non farti prendere dal panico. Arrivederci, ragazzo.- -A-a-arrivederci, signor Fieldman.- risposi, uscendo. Mi diressi verso casa, sconsolato. Se Silvia mi avesse visto in quelle condizioni si sarebbe preoccupata, così decisi di andare a pranzare in una trattoria lì vicino. Quando entrai, però, mi trovai davanti Hayley, con una persona che conoscevo fin troppo bene. -Davide, che ci fai qui?- mi chiese lei. -Io... Ho finito le prove. Ma tu, invece? Che mi dici?- -Oh, io? Beh, sono andata in chiesa, è domenica oggi. Te l'avevo detto.- mi rispose. Io mi soffermai sull'uomo che aveva accanto: alto, capelli brizzolati, portamento fiero, corporatura robusta. Ma fu la fede al dito a farmi uscire dai gangheri. -E lui?- -Oh, ti presento Jack Marini, un giornalista. E' inglese, ma ha il tuo stesso cognome. Buffo no?-. Mi scoppiò da ridere. L'uomo mi guardò, per la prima volta. Fece per nascondersi dietro al caffè che stava bevendo, un'impresa impossibile. -Sai, è proprio buffo, ma non il fatto che abbia il mio stesso cognome. No, la cosa veramente divertente è che abbia addirittura avuto il coraggio di cambiare nome, razza di bastardo!- esclamai, avventandomi su di lui. -Davide, calmati!- mi gridò Hayley, bloccandomi. -Mi scusi, non so cosa gli sia preso.- mormorò, rivolta all'uomo. Mi trascinò via, in bagno. -Si può sapere che diamine succede?- mi chiese, penetrandomi con quegli occhioni verdi. -Hayley... Quell'uomo non si chiama Jack, ma Giacomo, Giacomo Marini. Ed è mio padre.-.

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Capitolo 20
*** 19.Anger ***


Eccomi qua! Allora, spero che il capitolo vi piaccia! Ringrazio Ollieparawhore e Chocobomb per le recensioni! Volevo consigliarvi anche una mia nuova fanfiction, sempre sui Paramore. Si chiama "Whoa". Ecco il link:http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1998609&i=1
Beh, vi lascio al capitolo"
Buona lettura!



CAPITOLO 19
POV DAVIDE
Hayley mi fissava, incredula. Io abbassai lo sguardo. –Non so perché sia qui, ma sappi che io non lo voglio più nella mia vita. Non hai idea del male che mi ha fatto.- affermai. –Davide, io non so cosa dirti. Mi dispiace per quello che hai passato, ma non fare il bambino! Vieni di là e affrontalo.-. Non ci potevo credere. Mi stava dicendo di dirigermi da quello che un tempo era mio padre e di parlargli? Ok, la mia fidanzata era completamente impazzita. Ma proprio del tutto. –Non ci penso nemmeno. Se me lo trovo davanti un’altra volta giuro che io gli…- -Tu cosa mi fai?-. Ci voltammo. Mio padre era entrato in bagno. –Io ti spacco il muso!- sibilai. –Sì, va bene, fai pure. Tanto non ho nulla da perdere.-. Lo fissai. Lo odiavo. Ma come si permetteva di provocarmi così? –Mi stai sfidando? Bene, razza di verme. Eccomi, prendi questo!-. Prima che Hayley mi potesse fermare tirai un gancio a mio padre. Ma lui lo schivò. Anzi, me lo restituì, colpendomi in pieno. –Smettetela, per favore!- gridò Hayley. Ma io non l’ascoltai. Alzandomi biascicai:-Ne hai abbastanza?-. Mio padre scoppiò a ridere. Avrei voluto strozzarlo. Provai a tirargli un altro cazzotto, ma lui mi diede un calcio nello sterno. Ero piegato in due dal dolore. –Davide, piantala. Tu non sai picchiare.- fece lui. Mi voltai verso Hayley: la ragazza ci guardava, terrorizzata. –Vattene dalla mia vita! Che cazzo ci fai qui?- urlai. –Davide, non voglio farti del male.- rispose lui. Io gli sputai in faccia, mi alzai e, prendendo Hayley per il braccio, uscii dal locale. Mi diressi verso casa, di corsa. –Davide, fermati! Mi fai male!- protestò la ragazza. Io mi fermai e le lasciai il braccio. –Scusa. Non l’ho fatto apposta. Mi dispiace che tu abbia visto il mostro che c’è dentro di me.- mormorai. Mi vergognavo di me stesso. Mi ero comportato come una bestia. Anzi, peggio. –E’ solo che non capisco! Con che razza di coraggio si presenta qui, davanti a me!-. Hayley mi abbracciò e mi accarezzò il volto. –Magari è venuto qui in America per lavoro. Magari non sapeva che tu fossi qui.- mi sussurrò. Io la strinsi ancora di più a me. Mi scoprii a piangere sulla sua spalla. –Hayley, tu non te ne vai, vero?- le chiesi, tra i singhiozzi. Come risposta lei mi diede un bacio sulla fronte. –Vieni, ti porto a casa.- mi propose.
Quando entrai Silvia corse verso di me. –Davide, ho ricevuto una telefonata! Si tratta di…- -Fammi indovinare: inizia con “p” e finisce con “apà”.-. Lei mi guardò male. –Veramente mi ha telefonato ieri. E’ arrivato oggi qui a Franklin.- -Lo so.- dichiarai. –C-come?- balbettò mia sorella. –Ehm, Silvia, ti posso parlare?- intervenne Hayley. Vidi le due ragazze appartarsi e iniziare a discutere tra loro. Taylor mi guardò. –Bell’occhio nero!- osservò. –Lascia perdere, non ne voglio parlare.- feci io.
POV HAYLEY
Ci spostammo in camera sua. –Si può sapere che è successo?- mi chiese Silvia. –Vostro padre… Lui l’ha incontrato in un locale. C’ero anche io. Si sono picchiati. Silvia, io sono rimasta un po’ turbata.- -Da cosa?- domandò lei. Non sapevo se era giusto dirglielo. Ero indecisa. Eppure lo feci. –Silvia, to fratello è stato colto da un attacco d’ira improvvisa. E’ stato lui ha iniziare a provocare vostro  padre e a tirare pugni. Io me l’aspettavo… Diverso.-. La ragazza sospirò. Provò  trattenersi, ma scoppiò in lacrime. –Ehi, che succede?- le chiesi io, piuttosto spaventata da quella reazione. Più che altro, non l’avevo mai vista piangere. –L’ha davvero fatto di nuovo?- -Ma di che parli?-. Non ci capivo più niente. –Da quando mamma morì e papà se ne andò Davide si chiuse in sé stesso. Eppure ha questi scatti d’ira che… Oh, lui è andato dallo psicologo per tutto il liceo. Ha smesso di andarci l’anno scorso. Una volta eravamo a casa. Sai, abitavamo da soli da poco e lui si è arrabbiato tantissimo con me, nemmeno so per cosa. Ho dovuto telefonare al papà di Elena perché avevo paura mi potesse picchiare. Non fraintendermi, è da oltre un anno e mezzo che non aveva più scatti d’ira del genere.-. Silvia si coprì il viso con le mani. Le accarezzai le spalle, per calmarla. Ma il suo racconto mi aveva spaventata. E se gli fosse venuto un attacco d’ira mentre eravamo da soli? –ha mai preso farmaci?- chiesi. –Sì, glieli prescriveva il medico. Andava anche da uno psichiatra. Era un medico che lavorava con la madre di Elena, molto bravo. Perché?- -Oh, così. Curiosità.- risposi. In realtà volevo assicurarmi che ci fosse un modo per controllare la sua ira. –Comunque lo amo lo stesso, non lo lascerei per nulla al mondo.- ammisi. –Grazie. A lui fa bene una persona come te al suo fianco.- affermò lei. –Invece, parliamo un po’ di tuo padre. Ti ha detto perché è qui?- domandai. –No. Mi ha solo detto che sapeva che ero qui a Franklin e che gli sarebbe piaciuto vedere i suoi figli. Ma io gli ho risposto che dovevo parlarne con Davide prima.- rispose Silvia. Guardai l’ora: dovevo tornare a casa. –Io vado. Ci vediamo.- la salutai. –Sì, ci vediamo.- mi salutò lei. Mi congedai e uscii dalla casa di Taylor, incamminandomi verso la mia. Ero molto preoccupata. Davide non era di sicuro malato, eppure quel suo lato oscuro mi aveva terrorizzata. Comunque andasse a finire non avrei mai potuto ignorare gli avvenimenti dentro il locale. Insomma, era esploso così all’improvviso da non rendersi nemmeno conto di quanto fosse diventato bestiale. Era brutto da dire, ma Davide mi faceva paura. Ma io non volevo avere paura del mio ragazzo. Mi sedetti su una panchina, a pensare. Provai a immedesimarmi in lui, provai a capire che cosa potesse spingerlo a esplodere così. E fu allora che ebbi l’illuminazione. Sì, avrebbe potuto funzionare. In quel momento ebbi una grandissima idea. Effettivamente, poteva anche essere una seconda occasione, per entrambi. Sì, tutto quello che dovevo fare era far riavvicinare Davide e suo padre. Già, però, come?

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Capitolo 21
*** 20.Listening ***


E' cortissimo, scusatemi. E l'orario è indecente.
Ringrazio Chocobomb per la recensione. Fatemi sapere il vostro parere. Recensite :)


CAPITOLO 20
POV DAVIDE
Mi svegliai con un grande mal di testa. Quella notte non avevo minimamente dormito: l’incontro con mio padre era stato troppo sconvolgente. Ma la cosa più terribile era stata la mia reazione. Credevo di essere in grado di controllarmi. Probabilmente mi sbagliavo. Forse ero più debole di quello che pensavo.
Il suono del cellulare mi riportò alla realtà. Lo presi in mano: Hayley. Risposi: –Pronto?- -Ciao Davide. Ti va di venire a casa mia?-. Quella voce era così rassicurante. –Sì, arrivo subito. Grazie.-. Poi aggiunsi:-Ti amo.-. Ormai però lei aveva attaccato, così non mi sentì. Feci spallucce e posai il telefono sul letto. Mi vestii e uscii di casa. Mi recai da Hayls  a piedi. Mentre camminavo mi guardavo intorno. Vedevo un sacco di gente che correva per andare al lavoro, altre persone che correvano facendo footing. Alcuni, invece, inveivano contro i semafori che rallentavano la loro corsa. Nessuno si fermava un attimo a pensare, a guardare. Nessuno si fermava ad ascoltare. Sì, ascoltare. Era per quello che amavo la musica classica. I suoi brani sono stati scritti da gente che si era messa ad ascoltare la natura e che poi l’aveva riprodotta. Il suono dei violini, l’armonia dei fiati, non sono messe a caso. Rappresentano, ricreano qualcosa. E per ascoltare non servono parole. E’ per quello che le sonate, le sinfonie, sono senza un testo, perché sono il testo: avete presente “La Goccia” di Chopin? Ecco, quello è l’esempio perfetto. Non ci sono parole perché non servono. E’ già tutto lì, in quelle note.
Tutti quei pensieri finirono non appena arrivai a casa di Hayley. Suonai al campanello. Con mia grande sorpresa fu Erica ad aprirmi. –Oh, ciao Erica. Ehm… Dov’è Hayley?- chiesi. –E’ in cucina. C’è anche Silvia.- mi rispose, sorridendo. Entrai in casa e mi trovai davanti la mia ragazza, mia sorella e mio padre. Mi arrabbiai tantissimo. –h, è per quello che mi hai invitato qui? Per vedere quel.. Quel… Quell’essere!- -E’ nostro padre, Davide!- urlò Silvia. Hayley mi venne incontro e mi fece sedere su una sedia. –Amore, c’è una storia che devi ascoltare.- mi disse. –. Ormai ero come in trappola, così decisi di fare l’unica cosa che potevo: stare zitto, fermo e seguire quello che mi dicevano le due ragazze. Al massimo sarei esploso dopo. Accennai un finto sorriso, più simile a un ghigno, e invitai mio padre a parlare. –Davide, io non volevo lasciarvi. Davvero. Sono stato… Costretto.-. Mi trattenni dal ridere e annuii. –Da cosa?- chiesi, ridacchiando. –Io sono un giornalista, e questo lo sai. All’epoca stavo lavorando a un’inchiesta sulla Fieldman Bank. Pare che finanziasse contrabbandieri di armi. Avevo raccolto tutte le prove possibili, quando decisero di tapparmi la bocca. Per fortuna fallirono e io fui costretto a scappare. Ma presi la decisione di lasciarvi a Milano. Lì sareste stati al sicuro, senza di me. Adesso sono tornato perché mi hanno coinvolto nelle indagini: mi danno protezione se raccolgo nuove prove.-. Non ce la feci più: scoppiai a ridere, fragorosamente, sotto lo sguardo duro di mia sorella Silvia. –Scusa, ma non credo a niente delle cazzate che hai detto.- dissi tra le risate. –Davide, è la verità! Sono tuo padre, non potrei mai dirti una bugia così grossa!- esclamò lui. Esplosi: mi alzai di scatto e lo presi dal colletto della camicia. –Tu non sei mio padre: lui per me è morto. Io non ho più genitori, né ne avrò mai. Mi hai capito?- urlai, con tutto il fiato che avevo in corpo. Uscii dalla casa, con Hayley che mi inseguiva, lasciando Silvia in lacrime. –Davide, perché non lo ascolti? Magari è vero!- esclamò. Non so cosa mi prese in quel momento. So solo che persi completamente il controllo di me stesso. Sentii solamente il rumore della mia mano sul suo piccolo viso. Quando mi resi conto dell’accaduto era ormai troppo tardi. –Hayley, io…- provai a scusarmi. Ma la frittata era fatta. –Davide, spero che tu riesca a capire quanto la gente ti ami.- mormorò, mentre se ne andava in casa tra le lacrime. –Hayley!- la chiamai. Ma ormai era troppo tardi.
POV HAYLEY
Non potevo crederci. Mi aveva tirato uno schiaffo. Mi chiusi in camera mia, a fissare il soffitto. Mi odiavo. Avevo sbagliato tutto. Non ero stata in grado di leggergli dentro, non avevo capito quanto profonda potesse essere stata la frattura fra lui e suo padre. Mi odiavo, perché avevo rovinato tutto. Presi una foto che ritraeva me e mio padre. Pensai a lui, al fatto che si era rifatto una famiglia. E realizzai che, però, io non lo odiavo. Anzi, gli volevo bene. Ed ero affezionata anche a Erica e a McKayla. Come si fa ad odiare il proprio padre? Fu allora che capii: Davide non odiava suo papà. Semplicemente si era abituato a non ascoltre più il suo cuore. Lui non riusciva più ad ascoltare ciò che provava per le persone.
Ascoltare: ecco cosa potevo fare.

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Capitolo 22
*** 21.Forgivness ***


CAPITOLO 21
POV DAVIDE
Avevo provato inutilmente a chiamarla. Ma non mi aveva mai risposto. Beh, non potevo biasimarla di certo. In due giorni avevo letteralmente mostrato il peggio di me stesso: avevo aggredito mio padre, mi ero comportato come una bestia e le avevo tirato uno schiaffo. Non male, per uno come me. Sentii la porta aprirsi: mia sorella. –Silvia, che vuoi?- le chiesi, un po’ scocciato. –Solo sapere come stavi.- mi rispose. –Come credi che stia? Mi sento un perfetto idiota, che ha sprecato l’occasione più importante della sua vita!- confessai io.  Lei si sedette affianco a me e mi abbracciò. –Davide, ti prego! Dalle tempo. Io le ho spiegato la situazione, vedrai che capirà.-. A quelle parole mi infuriai. –Cosa vuol dire che le hai… Che le hai spiegato la situazione?- le domandai, con un tono che provai a mantenere il più possibile tranquillo. Ma, dallo sguardo di mia sorella capii che non c’ero riuscito troppo. –Io… I-Io le ho detto di t-te. P-pensavo ti po-potesse aiutare.- balbettò lei. Io la presi per il polso, senza curarmi di farle male. –Che cosa hai fatto?- urlai, con tutto il fiato che avevo in corpo. –Davide! Davide, ti prego, calmati!- mi richiamò lei. Ma io ero partito, era come se avessi avuto un velo rosso davanti agli occhi. La buttai sul letto, incurante delle sue urla. –Perché le hai parlato di me!- gridai, furioso. –Davide, basta! Calmati, per favore! Scusami! Scusami!-. Alzai la mano, pronta a colpirla con uno schiaffo. Lei chiuse gli occhi e si mise la mano davanti al volto, come protezione. Solo allora mi bloccai: la vidi, lì, di fronte a me, che piangeva. Scoppiai a piangere anche io e l’abbracciai. –Perdonami Silvia. Perdonami. Ti prego.- sussurrai. Avrei voluto cancellare tutto e ricominciare da zero. Ma era impossibile. Silvia mi prese il volto tra le mani. –Davide, tu devi… Tu devi risolvere. Con lei, con papà, soprattutto con te stesso. Ti stai uccidendo dentro. Ti prego!- mi disse. Io annuii. Aveva decisamente ragione. Ma  io avevo dannatamente paura. –Che cosa posso fare?- le chiesi, timido. –Per prima cosa, ti bevi una camomilla. E non sto scherzando. Poi vai da Hayley e le parli. Devi chiarire con lei, assolutamente.-. Mi accarezzò la guancia e io l’abbracciai. –Non ti avrei mai fatto del male. Lo sai, vero?- le bisbigliai, forse più a me stesso che a lei. –Si, lo so. Infatti ti sei fermato.- dichiarò Silvia. Poi mi prese per una mano e mi accompagnò in cucina. Mi preparò una camomilla. Mi apprestai a berla, quando entrò in casa Taylor. –Ciao… Oh, che succede?- chiese, notando subito che c’era qualcosa che non andava. –N-niente.- balbettò mia sorella. Ma il chitarrista si avvicinò e notò i segni rossi sul polso. Si girò verso di me, ma lei lo spinse a sé. –E’ tutto a posto, Tay. Tutto a posto.- gli disse. –Silvia, spiegami cosa sta succedendo, perché non è tutto a posto.- insistette lui. –Ti spiegheremo, te lo prometto, ma non ora. Fidati di me.- continuò mia sorella, che mi fece cenno di andare. Io presi la giacca e uscii, senza farmelo ripetere due volte. Ero un disastro: speravo solo di non far litigare Taylor e Silvia, perché non avrei mai potuto sopportarlo.
Arrivai a casa di Hayley e suonai alla porta. Ma quando lei aprì avrei voluto sparire: c’era un ragazzo con lei. –Davide!- esclamò, sorpresa. Io la guardai, con lo stesso sguardo di un bimbo che chiede il perdono della mamma, ma che sa che lei si è arrabbiata troppo. –Che c’è?- chiese, fredda. –Io volevo… Parlarti.- spiegai, a fatica. Il ragazzo che era lì con lei la salutò e se ne andò. Rimanemmo a fissarci, per un tempo lunghissimo. –Chi era?- domandai. –Il nuovo fidanzato di Dakota. Ho scoperto che non le ha raccontato alcuni… Particolari della sua vita.- spiegò lei. –Ah. Tipo?- chiesi. Non che mi interessasse veramente. Solo, non sapevo cosa dire. –Tipo che è sposato e ha tre figli. Sai, non posso sicuramente decidere gli uomini con cui Dakota si vede, ma posso almeno controllare che nessuno di questi la faccia soffrire. E così gli ho ordinato di mollarla, ovviamente spiegandole il motivo.-. Sospirai. –Quindi tu… Hayley, ti prego, dammi una seconda occasione! Solo una!- esclamai. Ma lei scosse la testa. –Non posso. Davide, tu mi hai dato uno schiaffo! Lo sai cosa vuol dire?-. Abbassai lo sguardo. Mi sentivo sconfitto, distrutto. –Allora, mi rispondi? Lo sai cosa vuol dire? Lo sai come mi hai fatta sentire?- continuò a chiedere. Ma io rimasi in silenzio. –Come immaginavo. Addio, Davide! Forse ci vedremo al concerto della Fieldman Bank, ma non ci contare troppo.- disse, voltandosi verso la porta. La aprì e fece per entrare, quando trovai la forza per esclamare:-Ti ho umiliata. Ti ho fatto sentire peggio di uno zerbino. Ti ho fatto sentire uno schifo.-. Lei si girò verso di me. –Non volevo, ma l’ho fatto. E non cerco scuse. Solo, vorrei chiederti scusa. E vorrei essere perdonato. Hayley, io ho bisogno di te. Ma la cosa che mi spaventa di più è sapere che tu non hai bisogno di me. La cosa mi uccide. Quindi ti prego, perdonami! Ti supplico Hayls, dammi una seconda chance!- la pregai. Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime. –Io… Io non so se posso fidarmi di te. Io non riesco a comprenderti.- affermò lei. Mi sentivo spaventatissimo. –Io… Non voglio più scappare. Ma ho bisogno del tuo aiuto.- la pregai. –Prima io… Mia sorella… Ti supplico!- continuai, confessandole più o meno l’aggressione a Silvia. Vidi i suoi pozzi verdi scrutarmi l’anima. Sospirò: non sapeva bene cosa fare. E parlandole di Silvia l’avevo solo spaventata di più. –Cosa hai fatto a tua sorella?- mi domandò. –Io… Lei mi ha detto che ti aveva parlato di me e io non c’ho visto più. Ma mi sono fermato. Mi sono fermato.- provai a rassicurarla. La sentii sospirare. –Davide, entra.-. Non me lo feci ripetere due volte. Una volta entrato lei mi si parò davanti. Mi abbracciò. –Risolveremo tutto, ma tu devi volerlo. Io posso restarti accanto, ma il problema ce l’hai tu.- osservò. –Io non voglio ritornare dallo psicologo. Non posso!- esclamai. –Devi restare calmo. Ci sarò io con te.- mi rassicurò. Mi prese il volto tra le mani e mi baciò. Fu un bacio inaspettato per me. Quando lei si staccò si morse il labbro e mi guardò, con un mezzo sorriso. –Ti amo. E ho bisogno di te.- mi sussurrò, nell’orecchio. Io l’abbracciai e le baciai la testa. Forse ora sarebbe iniziato ad andare tutto per il verso giusto.

Angolo dell'Autrice

E' il 21° capitolo ed è il mio primo "Angolo dell'Autrice" serio in questa storia. Che ve ne pare? Forse un po' troppo strappalacrime. Forse. Davide continua ad avere questi scatti d'ira, ma stavolta si è fermato. E questo è un buon segno. Poi c'è Hayley, che l'ha più o meno perdonato. 
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ringrazio Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni! Se avete voglia, passate dalle altre mie fanfiction :D
Alla prossima!

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Capitolo 23
*** 22.Fix You ***


CAPITOLO 22
POV HAYLEY
Avevo convinto Davide ad andare da Milly, una mia amica psicologa. Cioè, più che convinto, costretto. Ma volevo che risolvesse, perché stava veramente troppo male e, in più, mi spaventavano a morte quegli attacchi d’ira. Si trasformava completamente, non sembrava più nemmeno lui. Così, mi ritrovai alle sette di sera in un corridoio, fuori dall’ufficio della mia amica, ad attendere che il colloquio finisse. In realtà mi ritrovai ad aspettare per circa due ore. Ero lì fuori, seduta su una sedia, ad attendere che qualcuno mi facesse sapesse qualcosa. Volevo capire come stava, volevo sapere se c’era qualcosa che potessi fare. E invece ero costretta a stare lì, seduta, senza fare niente. Avrei voluto andarmene e invece rimasi lì, ad aspettare. Ad attendere. E, finalmente, dopo un tempo che mi era parso interminabile, Milly uscì. –E Davide? Come sta?- chiesi preoccupata. Lei mi guardò e accennò un mezzo sorriso. –Vieni, andiamo a fare quattro passi.- mi propose. Io accettai, senza domandarle niente. Mi fidavo di lei, era una professionista e sapeva di sicuro quello che stava facendo. Ci recammo  nel cortile che si trovava di fronte all’ufficio. Lei si accese una sigaretta e me ne offrì una. –No grazie, non fumo. Sai, per la voce.- dissi, rifiutando l’offerta. Lei aspirò violentemente e buttò fuori. –Ascolta, Davide… Sì, insomma, non c’è un granché da fare. Cioè… Gli ho parlato e non penso che dargli dei farmaci sia la soluzione.-. Io non capivo se dover essere felice o triste. –E’ una cosa buona?- chiesi, timidamente. –Sì e no. Vedi, il motivo per cui non gli darò farmaci è principalmente il fatto che il suo problema deriva dal rapporto col padre. Davide scarica sugli altri la violenza che ha subito egli stesso. Al massimo ti posso consigliare dei calmanti, nel caso di scatti d’ira esagerati. Ma penso che l’unica vera cosa che ci sia da fare è risolvere con il padre. E in questo non posso aiutarlo.-. Mi sentii come se qualcuno mi avesse dato un pugno allo stomaco. –I-i-io non credo di poter…- balbettai. –Hayley, mi ha parlato di te. Mi ha detto che sei l’unica cosa che sa di poter perdere per sempre. Ha paura!- esclamò. Io mi sentivo terribilmente in colpa: ero terrorizzata. Insomma, non si trattava solo di essere innamorati. Se un futuro ci fossimo lasciati le conseguenze sarebbero state imprevedibili. –Milly, io cosa posso fare?- domandai, esasperata. –Devi stargli vicino. Lo so che è una cosa molto difficile e che non potrà mai essere un rapporto totalmente normale. In poche parole, non sarà come aver trovato il principe azzurro. Ma, te lo garantisco, potrebbe valerne la pena.- -E come fai a dirlo?- le chiesi, in lacrime. –Come potrebbe valerne la pena sapere che potresti stare insieme a una persona semplicemente per la coscienza? Oppure, sapere che rischia di picchiarti non appena lo contraddici? Come potrebbe valerne la pena?- urlai, disperata. Ormai piangevo senza nemmeno preoccuparmi di fare la figura della debole. Milly mi guardò, sospirando. –E tu cosa ne sai se ne vale la pena di vedere tuo marito che, ogni giorno, lo passa disteso in un letto d’ospedale, attaccato a una flebo e a degli stupidi tubi? Cosa ne sai se vale la pena di crescere un bambino di due anni che non fa nient’altro che cercare di capire perché suo padre non è a casa, ma in  uno schifoso posto pieno zeppo di malati terminali? Cosa ne sai tu se ne vale la pena di rimanere legata all’unico uomo che ho amato più di me stessa, anche se non so nemmeno se si risveglierà?- ribatté lei. Già, suo marito. Lance aveva fatto un terribile incidente l’anno prima. Non si era ancora risvegliato. –Come fai a sapere se ne vale la pena andare ogni giorno dopo il lavoro in quel dannato ospedale per parlare con una persona che nemmeno può risponderti?- continuò. Mi sentivo un verme. Chinai la testa, ma lei me l’alzò con l’indice. –Eppure, te l’assicuro, ne vale la pena. Non so spiegarti il motivo, eppure io non mi sento penalizzata dal fatto di avere un marito in coma. Non fraintendermi, non hai idea di quanto mi manchi. Eppure sento che c’è un motivo a tutto questo. Sento che, da quando mio marito ha fatto quel dannato incidente io… Io ho avuto sotto gli occhi dei miracoli, Hayley. Mio figlio ne è un esempio. Sta crescendo meravigliosamente ed è lui che vuole andare a trovare papà. Mi sprona ad andare in ospedale quando io non ce la faccio. E’ incredibile, sai? E lo stesso può essere anche con Davide. Lascia che lui sia il tuo miracolo. E tu potrai essere il suo.- -Io ho paura.- confessai. –Non saresti umana se non ne avessi. Ma non devi farti condizionare da quello. E, ricorda, non devi fare nulla. Quello che farai con lui, da adesso in poi, lo farai perché sentirai che corrisponde alla tua felicità.-. Io l’abbracciai e, in silenzio, rientrammo nel corridoio.
Uscii con Davide sottobraccio. –Come stai?- gli chiesi. –Io… Sono confuso Hayley. Ma so che hai fatto bene a costringermi ad andare dalla tua amica. E tu? Come stai?-. La domanda mi spiazzò. Non sapevo cosa dire. –Io… Davide, io sono molto spaventata. Perché ho paura di non poterti stare accanto come dovrei. Perché ho paura di fare qualcosa di sbagliato e di non riuscire ad aiutarti.- ammisi, tutto d’un fiato. –Capisco. Beh, qualcuno una volta mi disse di avere bisogno di me. E lo sai chi era quella persona?- -Io?- risposi. –Esatto signorina Williams. Il punto è che forse abbiamo bisogno tutti e due. Io di te e tu di me. E penso anche che questa sia la base per ogni rapporto: aver bisogno uno dell’altro.-. Annuii, sorridendo. Arrivammo a casa mia. –Beh, allora, ci vediamo domani. Grazie di tutto Hayley.- mi salutò, dandomi un bacio sulla guancia. Io ero incredula: con Chad non sarebbe mai successo che, ritornata a casa alle nove di sera, mentre era notte fonda, non ci sarei finita a letto. Invece lui mi salutava così, con un semplice bacio e un “grazie”. –D-Davide, ti va di… Entrare?- lo invitai. –Io… Hayley, no. So come vanno a finire queste cose e penso che non sia ancora arrivato il momento giusto.- mi rispose. Scossi la testa e mi morsi il labbro. –Come vuoi tu. Ti amo.- lo salutai, baciandolo. Aprii la porta e lo guardai tornare a casa a piedi. Alzai la testa: c’era una bellissima stellata quella notte. Mangiai un boccone e, dopo aver suonato un  po’, mi preparai per andare a dormire. Mi misi sotto le coperte e mi scoprii a canticchiare:

Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you* 

Sì, Davide era la mia luce verso casa.

*Fix You-Coldplay

Angolo dell'Autrice

Eccomi qua! Allora, che ve ne pare di questo capitolo? Inizialmente doveva ispirarsi a un'altra canzone, solo che, mentre guardavo Scrubs, mi è capitato un episodio con "Fix You" dei mitici Coldplay e io non ho saputo resistere! Sì, avete indovinato: la amo quella canzone. Ok, non divaghiamo troppo. Che ve ne pare di Milly? Storia triste alle sue spalle, eh? Però è determinata, e la determinazione fa bene. A questo punto tocca proprio a Davide e Hayley! Devono solo trovare il coraggio.
Ringrazio Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni. 
Se vi va passate anche da Whoa e da Whoa 2, le altre due mie fanfiction sui Paramore. E, dato che parlavamo di Scrubs (e questo capitolo è merito delle 20 puntate che mi sono sparata in due giorni), se vi va ho scritto una fanfiction anche su quello.

Vi saluto!

Link:

Fix You-Coldplay: 
https://www.youtube.com/watch?v=3VcszFg4d_Y&list=PLBD770F2797D3CC50

Whoa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1998609&i=1

Whoa 2-This Circle Never Ends: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2053774&i=1

Un Senso (5x20-Il Mio Pranzo) [fanfiction su Scrubs]: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2052399&i=1


Al prossimo capitolo!

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Capitolo 24
*** 23.You Have Stolen My Heart ***


 
CAPITOLO 23
POV DAVIDE
La terapia da Milly funzionava. Mi sentivo meglio e più libero, anche se avevo sempre paura di combinare qualche casino. Ma Hayley e Silvia mi stavano vicine, anche perché erano le uniche a sapere cosa avessi. Anche si Taylor aveva iniziato a sospettare qualcosa. E, così, aveva deciso di affrontarmi. Aveva aspettato che rimanessimo soli in casa e si era avvicinato a me. Io non capii cosa volesse, così lo ignorai. Ma il chitarrista mi prese dal braccio e mi fece girare. –Taylor, che c’è?- chiesi, spazientito. –Voglio sapere perché Silvia aveva quei segni sui polsi qualche giorno fa. So che sei stato tu!- esclamò. Lo guardai e mi grattai la testa. Ero molto imbarazzato e anche preoccupato: come avrebbe fatto a capire? –I-i-io… Cosa ti fa pensare che abbia aggredito mia sorella?- balbettai. –Me l’hai appena detto tu! Ma che cazzo ti salta in testa?-. Deglutii. –Taylor, non è come sembra. Ti prego, credimi.- mormorai. –Se ti pizzico a farle del male ti ammazzo! Mi hai capito?- sbraitò. Annuii con la testa, quando vidi Silvia che ci fissava. Aveva gli occhi colmi di dolore. Si avvicinò a Taylor e lo allontanò da me. –Amore, adesso ti spieghiamo. Vero, Davide?-. Deglutii nuovamente. Ci sedemmo intorno a un tavolo e spiegammo la situazione a Taylor. O meglio, Silvia gli raccontò della morte di mamma, di papà che se n’era andato e del mio problema. Lui ascoltò tutto, senza interrompere. Poi si alzò e uscì in giardino, lasciando me e mia sorella attoniti. –Mi dispiace, io…- -Non è colpa tua, Davide. Smettila di autocommiserarti, per la miseria! Hai ventiquattro anni!-. Quell’uscita di Silvia mi lasciò sgomento. –Beh, io lo raggiungo.- mi comunicò, uscendo anche lei. Aspettai che fu andata in giardino e mi avvicinai alla porta, facendo attenzione a non farmi vedere. Li osservai: erano abbracciati e Taylor non sembrava arrabbiato. Anzi, sembrava… sollevato. E la cosa mi fece contento. Uscii anche io. –Vado a fare un giro.- affermai. Mi incamminai verso Hayley. Era sera e non le avevo neanche telefonato per comunicarle il mio arrivo. Ma non importava. Mi fermai a prendere dei fiori in un negozio e poi corsi da lei. Non era sola: c’era una macchina che non avevo mai visto. Suonai, ma non mi aprii Hayley, bensì un ragazzo alto e muscoloso. –Oh, tu devi essere lo sfigato, giusto?- mi fece. –Io… - provai a dire. –Lascia stare. Vuoi entrare? Prego, vieni. Hayley, è per te!- esclamò. Entrai e la vidi: indossava una vestaglia e io pensai al peggio. Lei capì al volo. –Davide, lui è Chad e… Non è come pensi.- mormorò. –Oh, e allora com’è?- chiesi. Mi sentivo tradito. –Ma, d’altronde, io sono solo uno stupido ragazzo italiano, per di più con scompensi psicologici. Sai che ti dico? Me ne vado!- urlai. –Davide, no!- gridò Hayley. Mi voltai. Chad sogghignava. Mi avvicinai alla ragazza e la fissai. –Pretendo una spiegazione.- sibilai. –L’avrai… Dopo che Chad se ne sarà andato.- disse. –Come vuoi tu. Ci vediamo.- ghignò, uscendo. Rimanemmo soli, noi due. –Allora?- domandai, spazientito. Lei mi guardò e sospirò. –Lui è Chad Gilbert. Te ne avevo parlato a Milano, prima che mi lasciasse. Lui voleva riprovarci, ma io gli ho detto di no. Davide, io amo te, non lui. Non è successo niente, te lo giuro. Non sarei capace di ferirti.-. I suoi occhi mi supplicavano. Avevo due possibilità: essere cieco o vedere. E, in quel momento, optai per la terza: la baciai, cogliendola di sorpresa. Le morsi il labbro, sentendola gemere. Poi le tolsi la vestaglia. Indossava una canotta e dei pantaloncini. Continuammo a baciarci, per un tempo che sembrò infinito. Erano baci passionali, ma dolci. Non c’era bisogno di parlare, ma solo di sentire. Mi appoggiò una mano sul cuore e mi attirò a sé, schiacciandosi contro la parete. Ci staccammo un attimo, per riprendere fiato. Mi sorrise e io le scostai i capelli dal viso. Poi mi rituffai sulle sue labbra, senza perdere tempo.
POV HAYLEY
Lo desideravo come non mai. Josh, Chad, erano state solo illusioni. Pure e semplici illusioni. Continuava a baciarmi con passione, voglia, desiderio e, soprattutto, dolcezza, tantissima dolcezza. E io lo desideravo. Dio, se lo desideravo. Eppure, mentre lui fece per togliermi la mia canotta, io lo fermai. Non volevo che fosse solo sesso. Non volevo che fosse come con Josh e Chad. Non volevo andarci a letto solo perché mi girava così. –Scusami. Ma non posso.- mormorai. Annuì. –Non ti preoccupare, io… non voglio fare le cose di fretta.- mi rassicurò. –Nemmeno io.- affermai. Dio, se lo amavo. Mi faceva impazzire. Lo baciai un’ultima volta. Mordicchiandogli il labbro. –Ti va di… Dormire con me stanotte? Solo dormire.-. Non pensavo di esserci riuscita. Il cuore mi stava uscendo dal petto dall’agitazione. –Solo dormire, però.- specificò lui. –Promesso.- ridacchiai io. –Ma prima… Ti va di mangiare qualcosa?- gli chiesi. –Sì, effettivamente  non ho mangiato.- dichiarò lui. Lo feci accomodare al tavolo e gli servii un po’ di pasta col pomodoro. –Beh, vedo che la mangi, quindi non deve fare poi così tanto schifo.- scherzai. –Effettivamente manca un po’ di sale.- disse lui. Io risi e mi sedetti affianco al mio ragazzo. Gli strinsi la mano e lo guardai negli occhi, intensamente. C’era un silenzio irreale in quella cucina, ma nessuno aveva intenzione di interromperlo. Aspettai che avesse finito il pasto e poi sparecchiai. Il silenzio stava diventando fin troppo rumoroso. Finalmente Davide prese la parola:-Ti va di guardare un film?-. Io annuii. Mettemmo un film sul basket, “Glory Road”. Era carino: parlava della prima squadra di basket in cui giocarono dei neri. Lo volle vedere Davide, ma non mi rivelò bene il perché. Poi, ci preparammo per dormire. Mi resi conto che lui non aveva niente da indossare per la notte. –Forse ho qualcosa di Taylor, ogni tanto veniva a dormire qua.-. Fortunatamente Tay non si era portato via le cose che usava per restare da me. Non c’era mai stato nulla fra noi due, ma ci comportavamo come se fossimo stati fratelli. E, così, soprattutto il periodo immediatamente dopo all’addio dei Farro, si fermava spesso a dormire da me. E, col tempo, aveva portato anche un po’ del suo guardaroba. Diedi a Davide un pigiama e poi andai a letto. Lui si sistemò accanto a me, circondandomi la vita con il braccio. Rimanemmo così, accoccolati, al buio. Il suono dei nostri cuori era unico. –Davide.- lo chiamai, sottovoce. –Mh?- mugugnò lui. –Grazie.- bisbigliai. –di che?- chiese lui, con aria innocente. Rimasi in silenzio, per un po’. Poi trovai il coraggio di dire:-Grazie per avermi rubato il cuore.-.

Angolo dell'Autrice

Ehilà! Allora, questo capitolo è un po' indeciso. Se non si fosse capito, avevo varie idee e le ho messe tutte insieme. Boh, non so, non mi convince. Ditemi cosa ne pensate, perché a me non è piaciuto moltissimo. 
Il titolo è tratto da "Stolen" dei Dashboard Confessional. Ecco il link, nel caso vivada di ascoltarla, penso sia l'unica cosa decente di questo capitolo:
http://www.youtube.com/watch?v=j82FBbgpUy4
Grazie a Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni e a tutti coloro che leggono e seguono la storia. Vi invito a leggere e recensire anche le altre mie fanfiction :)

Alla prossima :)

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Capitolo 25
*** 24.Broken ***


CAPITOLO 24
POV HAYLEY
Mi risvegliai tra le sue braccia. Lo guardai. Stava ancora dormendo. Diedi un’occhiata all’ora: dovevamo alzarci. Lo baciai dolcemente sul collo. –Ancora cinque minuti.- mugugnò lui, coprendosi la testa col cuscino. –Davide, dobbiamo andare alle prove. Il concerto è tra tre giorni.-. Lui sbuffò e si decise ad aprire gli occhi. –E va bene. Ma dopo le prove facciamo un pisolino.- -Sennò?- chiesi io, divertita. –Sennò ti mollo.- minacciò lui, scherzando. –Tu che mi molli? Beh, vediamo, potrebbero esserci dei vantaggi. Ad esempio potrei ridare a Taylor il suo pigiama!- ribattei io. Lui, per tutta risposta, mi prese dai polsi e mi buttò sul letto. –La metti così? Beh, allora ecco come ti torturerò!-. Iniziò a farmi il solletico. Io non ne potevo più, ma non riuscivo a liberarmi. Poi si fermò. Ci guardammo negli occhi e lui mi baciò. Io risposi e, poco a poco, il bacio si trasformò in qualcosa di più passionale. Stavolta fu lui a fermarsi. –Non abbiamo il tempo.- disse, a malincuore. Ci guardammo negli occhi. Poi gli schioccai un bacio e mi alzai. –Ora tu esci da questa stanza.- gli ordinai. –Perché- mi chiese lui. –Devo cambiarmi. Avanti esci-. Davide mi guardò storto, ma obbedì. Io mi preparai per le prove. Decisi di mettermi dei semplici jeans, una maglietta dell’Hard Rock Café di New York e una felpa del liceo di Erica. Non sapevo nemmeno perché fosse finita nel mio armadio. Poi, messe le mie Vans, uscii dalla mia camera. Davide era seduto al tavolo che stava bevendo il latte e mangiando dei biscotti. –Mi sono permesso di prepararti del caffelatte.- affermò. –Oh, io… Grazie.- risposi, sorpresa da quel gesto. Non me l’aspettavo. Mi misi a fare colazione con lui. Poi, finito di mangiare, ci dirigemmo alle prove. Sarebbero state le ultime, prima di quelle finali il pomeriggio del giorno del concerto. –Buongiorno signor Fieldman.- salutai. –Signor Marini, signorina Williams, è un piacere vedervi. Accomodatevi pure, gli altri sono già tutti arrivati. Siete solo un po’ in ritardo.-. Quanto lo odiavo: era un essere davvero viscido. L’arrivo di Taylor e Jeremy mi distolse dai miei pensieri. –Allora, sono le ultime prove!- osservò il chitarrista. –Già. A proposito, tra quanto tocca a noi?- chiesi, curiosa. –Siamo… Oh, guarda, siamo tra i primi cinque! Ci conviene sbrigarci!- esclamò Jeremy. Caro vecchio zio Jerm. Senza di lui saremmo persi.
POV DAVIDE
-Devo andare. Ci vediamo dopo le prove.- mi disse. Poi mi diede un lungo bacio. Ci separammo solo perché Taylor iniziò a tossicchiare. –A dopo.- la salutai. Mi sedetti su una sedia. Le mie prove sarebbero iniziate dopo almeno un’ora: noi di musica classica non provavamo insieme alle band e ai vari cantanti. Tirai fuori dallo zaino che avevo i miei spartiti per ripassarli un po’. Non potevo permettermi figure come quella della volta precedente. Il signor Fieldman mi avrebbe sbattuto fuori e dopo avrei dovuto fare anche i conti con il conservatorio. D’altronde mi avevano dato la loro fiducia e io dovevo ripagarli. “Dunque, le note qui sono…” –Ehi, guarda chi si vede!-. Deglutii: Chad. –C-c-che vuoi?- balbettai. “Accidenti, Davide, comportati da uomo!” mi sgridai tra me e me. –V-v-voglio sedermi qui, v-v-vicino a t-t-te.- rispose lui, facendomi il verso. “Stronzo.” Pensai tra me e me. Lui si sedette accanto a me. –Cosa sono?- mi chiese, posando lo sguardo sui miei fogli. –Sono i miei spartiti. Questo è un brano che ho trovato in casa, si chiama “Tramonto”.- risposi. Quel Chad mi metteva terribilmente in soggezione, forse perché era molto più grosso di me. –E chi è il compositore?- domandò. –Oh, è sconosciuto. Non l’ho trovato nemmeno su internet.- spiegai. –Oh, quindi è l’unica copia.- osservò lui. –Eh, già.- feci io. Non capivo dove volesse arrivare. Mi voltai e ripresi a ripassare gli spartiti. Speravo che, ignorandolo, se ne fosse andato. Invece lui rimaneva lì, come se niente fosse. A un certo punto mi urtò. I fogli mi caddero e lui li calpestò, strappandoli. Rimasi scioccato. –Mi dispiace, scusami.-. L’aveva fatto apposta il bastardo. –Tu l’hai… Fatto apposta.- mormorai, voltandomi verso di lui. Ero furioso, ma dovevo controllarmi. Avevo promesso a Hayley che non avrei avuto più scatti d’ira. O, per lo meno, che avrei tentato di rimanere tranquillo. Abbassai lo sguardo, come mi aveva suggerito di fare Milly in questi casi. Ma Chad continuò:-Sai, mi chiedo di continuo come faccia lei a preferire uno sfigato come te. Insomma, non pensi che meriti qualcosa di meglio di uno psicopatico, per giunta povero?- -Forse è perché io non l’ho mollata con una telefonata.- ribattei. “Idiota” Dovevi stare zitto!” mi rimproverai nella mente. Il chitarrista mi prese dal bavero della giacca. –Ascoltami, io faccio quel cazzo che mi pare, mi hai capito? E tu sei solo uno schifo di ragazzo, che crede di sapere tutto. Lo conosci, almeno, il motivo per cui l’ho mollata? Eh?-. Era talmente vicino che potevo sentire il suo fiato sul mio collo. –N-n-no.- balbettai. –Continuava a parlare solo di te, di come eri chiuso, introverso. Ma sai quanto me ne poteva fregare? Volevo solo che tornasse a casa e lei mi ha risposto che non poteva. Hai idea di cosa vuol dire non poter andare a letto con la propria ragazza? Eh?-. Quell’essere mi ripugnava: vedeva Hayley solo come un oggetto. –Fai schifo!- sibilai. Lui non ci pensò due volte e mi mollò un pugno. Mi ritrovai col culo per terra. Tutti si voltarono verso di noi. E lui fu abilissimo a rigirare la frittata a suo piacimento. –No, dico, ma sai stare con le mani a posto?- urlò. Io non capivo. –Ma se sei tu che…- -E no, italiano! Non te la caverai così. Gente, mi ha messo le mani addosso! E meno male che l’ho spinto via! Tu sei pazzo!-. Non ce la facevo più: esplosi, letteralmente. Mi rialzai e lo spinsi contro il muro, urlando:-Che cazzo vuoi da me?-. Chad ghignò. Capii che mi ero messo nei guai da solo. Mi scostai. Sentii due mani prendermi le spalle: Hayley. Non osai dire nulla. –Chad, sei un coglione!- esclamò. –Allora, che avete da guardare? Andatevene a fare un giro, su!- intimò poi. Mi fissò, dura. –I-i-io… Lui mi ha tirato un pugno. Lui…- -Sì, lo so. Vieni, andiamo.- mi disse. Ci recammo in bagno. Mi sedetti sul pavimento vicino a un wc e lei si mise accanto a me. Mi prese la mano. –Perché hai scelto me?- esordii. –Cosa?- ribatté lei. –Tu meriti il meglio. E io sono solo un ragazzo comune e piuttosto sfigato. Perché stai con me?- -Forse proprio perché merito il meglio.- mi rispose. –Davide, tutto quello che Chad può averti detto... Sono solo stronzate. Lui mi rivuole perché sa di non potermi mai più riavere. Ha perso il suo giocattolo e fa i capricci. Ma io ho te, ora. Davide, io amo te.-. Mentre mi diceva queste cose mi prese la testa fra le mani. Io mi scostai e la baciai con foga. La volevo, in quel momento, in quel bagno. Non era molto romantico, ma non mi importava. E nemmeno a lei sembrava importare più di tanto, dato che mi attirò a sé. Le misi una mano sotto la maglietta e le massaggiai il seno, continuando a baciarla. La sentii gemere. Le tolsi la maglietta e le slacciai il reggiseno.Iniziai a baciarla lentamente, partendo dal collo, passando per l’orecchio, poi il  mento, la bocca, di nuovo il collo e, infine, il seno. Si inarcò e gemette. Si stese per terra e io le tolsi i jeans. Poi, accadde una cosa che mi cambiò la vita per sempre: suonò il cellulare. –Non rispondere.- pregò lei. Io ubbidii, ma la suoneria non si spegneva. Lo presi. –Pronto?- -Pronto, Davide, sono Kat! Silvia… Tuo padre…-. Mi allarmai. –Kat, che sta succedendo?- chiesi. –Davide, devi venire in ospedale. Una macchina… Silvia è in coma.-.

Angolo dell'Autrice

Ta-dan! Colpo di scena. Mi dispiace interromperli sempre, ma forse è meglio così, dato che erano in un bagno di un teatro. Okay, a parte gli scherzi, che ne pensate di questo colpo di scena? Ve l'aspettavate una cosa del genere prima o poi? 
E Chad? L'ho reso davvero stronzo. Mi dispiace, nelle mie fanfiction lo sto maltrattando come non mai! Se mai un giorno dovessi leggerle, Chad, sappi che ti voglio bene!
Ringrazio
Ollieparawhore e Chocobomb per le recensioni! Grazie, mi date la forza per andare avanti!
Grazie anche a chi legge e a chi ha inserito la storia tra le seguite, preferite o ricordate!
Un bacione e un buon ferragosto. Ah, e recensite!

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Capitolo 26
*** 25.It's like a whirlwind inside of my head ***


 
CAPITOLO 25
POV DAVIDE
Mia sorella era stesa, in coma, su uno squallido letto d’ospedale, in una stanza altrettanto squallida. Aveva un sacco di tubi e fili che la circondavano. Non sembrava nemmeno lei. In più, la mascherina dell’ossigeno le copriva il volto. Mi scoprii a piangere, mentre la guardavo. Le accarezzai la mano e gliela strinsi, come a impedirle di andarsene. No, lei non poteva andarsene. Lei non doveva andarsene. Silvia era la mia sorellina e doveva restare con me. –Davide, forse è meglio che usciamo, che ne dici?- mi propose Jeremy, vedendomi in quelle condizioni. Io annuii. Uscimmo dalla stanza e ci dirigemmo dal medico che l’aveva presa in cura. Era lo stesso dottore che si occupava di Lance, il marito di Milly. –Allora?- domandò Taylor. –Deve superare la notte. Per ora è abbastanza stabile, ma non possiamo fare conclusioni avventate. Ha preso una grossa botta alla testa e al collo, quindi anche se si dovesse risvegliare non posso assicurare che poi riesca a riconquistare una buona capacità articolare.- -Cioè… Potrebbe rimanere paralizzata per sempre?-  trovai la forza di chiedere, non so come. –Non voglio mentire. Sì, potrebbe rimanere paralizzata alle gambe e potrebbe fare fatica a muovere gli arti superiori. Tuttavia, vi prometto che faremo di tutto per evitare che ciò accada. Ma prima deve passare la notte. Mi dispiace.-. detto questo se ne andò via, lasciando me, Taylor e Jeremy da soli. –Io torno da lei.- annunciò il chitarrista. –Anche io.- mormorai, ma Jeremy mi prese per il braccio. –Perché non posso andare da mia sorella?- chiesi, nervoso. –Perché non ti farebbe bene. Dai, andiamo a fare una passeggiata. Che ne dici?- propose. –Ok. Va bene.- risposi. Camminammo per un po’ nel parchetto dell’ospedale, in silenzio. Mi sembrava di impazzire. Ci sedemmo su una panchina. –Allora, come va tra te e Hayley?- esordì. –Non è il momento, scusa.- ribattei io. Poi, i miei occhi incrociarono quelli di una persona che conoscevo fin troppo bene. Corsi verso di lui, e, prima che Jeremy potesse fermarmi, lo atterrai con un pugno. –Bastardo! E’ tutta colpa tua! Ti odio! Ti odio! Ti odio!- urlai, continuando a calciarlo. –Tu non sei mio padre! Sei solo un essere che ha deciso di rovinarmi la vita!- sbraitai, mentre lo colpivo, con violenza inaudita. Improvvisamente, un gusto metallico riempì la mia bocca: Jeremy mi aveva tirato un cazzotto. Lo guardai, incattivito. Ero diventato nuovamente una bestia. –Togliti dalle palle, Davis. E’ un affare tra me e quel bastardo!- sibilai. –No!- esclamò il bassista. Mio padre ne approfittò per scappare via. Io mi voltai e lo inseguii, con Jeremy alle calcagna. Avrei voluto ammazzarlo di botte. Era colpa sua se Silvia era in coma. E lui, invece, si era semplicemente ferito un braccio. Doveva esserci lui su quel letto. Jeremy mi placcò e mi costrinse a rimanere a terra. –Ora ti porto a casa! E guai a te se esci! Mi hai capito?- esclamò. Mi fece rialzare e mi fece entrare in macchina. Poi mi portò a casa sua, dove c’erano Kat e Hayley. –Davide, come stai?- mi chiese la mia ragazza, abbracciandomi. –Ha aggredito e picchiato suo padre.- dichiarò Jeremy. Hayley si staccò da me, facendo “no” con la testa. –Davide, mi avevi promesso che tu…- provò a dire, ma le lacrime iniziarono a scenderle copiose lungo il viso. –Hayley, aspetta!- la chiamai. Mi voltai verso il bassista. –Grazie mille, Jeremy. Grazie! Ora sì che andrà tutto meglio.- ringhiai. –Preferivi che lo scoprisse da sola? Davide, cresci. Tu hai un problema bello grosso. Ti voglio bene, ma permetti di metterti davanti ai fatti: tu oggi l’avresti ammazzato tuo padre.- ribatté lui. Uscii di corsa da quella casa e mi precipitai in quella, vuota di Taylor e Silvia. Squillò il mio cellulare: Hayley. Risposi immediatamente. –Pronto?- -Davide, dove sei?- mi chiese lei. –Sono a casa di Taylor e Silvia.-. Sentii silenzio, un silenzio infernale. Poi, finalmente, lei parlò. –Vieni da me. Subito.- mi disse. Poi attaccò. Corsi da Hayley. Bussai alla porta. Lei mi aprì e mi abbracciò. Poi mi tirò uno schiaffo. –Questo è per quanto mi hai fatta stare male.- spiegò. Io chinai il capo, ma lei me lo rialzò, con il pollice. –E questo, è per tutto il resto.-. Si avvicinò al mio volto e lo accarezzò, piano. Poi, dopo un attimo di esitazione, mi baciò, dolcemente. Le nostre labbra si separarono, ma noi rimanemmo a guardarci. La mia fronte combaciava con la sua, perfettamente. –Hayley, io…- -Shh. Non parlare. Lascia che sia il tuo cuore a farlo, per te.- mi bisbigliò. Poi mi diede un altro bacio. E un altro. E un altro ancora. Io mi staccai violentemente e mollai un pugno al divano. –Davide, calmati.- mi ordinò. La guardai, con aria di sfida. –Altrimenti?- chiesi, strafottente. –Altrimenti… Altrimenti io non ce la farò più. Non smetterò di amarti, ma dovrò proteggermi.-. Fu allora che capii quanto vicino ero dal perderla completamente. Mi fermai e mi misi a fissare il vuoto. Si avvicinò a me e mi prese per mano. –Ora vai a farti una doccia fredda. Ci vediamo dopo.-. Andai in bagno e mi spogliai. Poi mi misi sotto l’acqua. Il cervello mi stava scoppiando. Mi sentivo impazzire. Mia sorella, mio padre, Hayley, Jeremy, Taylor. Io. Io, io, solo io. Io che mi arrabbiavo, io che picchiavo tutto, io che rompevo ogni cosa, io che urlavo, io che mi ferivo, io che facevo male agli altri, io che mi odiavo, io che odiavo tutto e tutti, io che avrei voluto sparire, io che odiavo stare male, io che mi compiacevo del mio stare male, io, che ero sotto quella doccia, io che avrei voluto affogare, io che avrei voluto rompere tutto, in quello stesso istante. Io, che ero pieno di rabbia. Io, che non riuscivo nemmeno più a urlare, da quanto ero arrabbiato. Mi accasciai a terra, seguito dal telefono della doccia. Sentii Hayley chiamare il mio nome e le sue braccia provare a rialzarmi. Poi, più nulla. 

Angolo dell'Autrice

Allora, capitolo piuttosto violento. Pensavo di passare al rating arancione, che ne dite? Insomma, non mi sembra proprio da giallo. 
Davide è tornato indietro, inece di andare avanti. E Hayley ha una pazienza enorme. Soprattutto, sia lodato zio Jerm. Se non ci fosse stato lui il padre di Davide sarebbe sepolto da qualche parte. 
Il titolo del capitolo è preso da "Papercut" dei Linkin Park. Penso che ci stia. Se vi va di ascoltarla, ecco il link della canzone: 
http://www.youtube.com/watch?v=vjVkXlxsO8Q
Ringrazio Chocobomb e Ollieparawhore per le bellissime recensioni! Invito anche altri a recensire. 
Alla prossima! 

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Capitolo 27
*** 26.Brave ***


CAPITOLO 26
POV HAYLEY
Davide era steso sul mio letto. Era letteralmente svenuto nella doccia. Avevo chiamato un medico immediatamente. Fortunatamente non si trattava di nulla di grave, aveva semplicemente avuto un innalzamento di pressione a causa degli ultimi avvenimenti. Così l’avevo messo a riposare in camera mia, mentre io ero andata in sala a leggere un po’. In realtà non ci riuscii: troppe emozioni, troppe preoccupazioni. Sì, ero molto preoccupata. Non volevo che peggiorasse così. Già non riusciva di nuovo a controllare la sua rabbia, figuriamoci se iniziava anche ad avere sbalzi di pressione. Mi alzai e decisi di andare a fare una piccola passeggiata. Andai da Dakota. Arrivata a casa sua, suonai al campanello. Mi aprii, però, il fidanzato di Dakota, un uomo che avevo scoperto essere sposato e con figli. Mi guardò, con aria disgustata. Sopraggiunse anche la mia migliore amica. –Hayley, ciao! Eric è appena arrivato! Non indovinerai mai cosa mi ha proposto!- squittì, tutta contenta. –Cosa ti ha proposto?- domandai, piuttosto curiosa. –Beh, lui mi ha… Lui mi ha chiesto di andare a vivere da lui! Vero Eric? Diglielo!- esclamò. Lo guardai male. Molto male. –Oh, io… Beh, sì, le ho chiesto di venire a vivere con me. Perché, tu non sei d’accordo, Hayley?-. Mi sforzai di apparire il più entusiasta possibile e dichiarai:-No, io sono molto contenta per te, Dakota. Davvero.-. Mi voltai e decisi di andarmene. Forse avrei dovuto parlare, ma in quel momento decidi di lasciare Dakota in preda alle sue illusioni. Mi incamminai per strada, senza una meta ben precisa. Mi ritrovai, quasi per caso, davanti alla casa di mio padre. In quel momento, avevo bisogno di qualcuno con cui parlare. Tirai fuori un coraggio a me sconosciuto e suonai al campanello. Non aprì nessuno, così feci per andarmene. Ma qualcuno mi chiamò. –Hayley.-. Mi fermai. Era una voce maschile, abbastanza profonda, ferma e calda. Mi voltai e mi buttai tra le sue braccia. –Papà!- mormorai, in lacrime. Ora mi sentivo protetta, al sicuro. –Dai, entra.- mi propose lui. Lo seguii dentro casa sua. Era da un sacco che non entravo. Mi aveva sempre fatto abbastanza male andare da lui: dopo il divorzio si era costruito una nuova famiglia e io avevo sempre avuto il terrore di venire messa da parte. In fin dei conti, non mi ero mai sentita troppo parte della sua nuova vita. –Ehi, ma quello è…- provai a dire, interrompendo i miei pensieri. Lui poggiò le mani sulle mie spalle. –Sì, quello è il disegno che mi hai fatto quando avevi sei anni.- completò la mia frase. –Ma… L’hai fatto incorniciare. E l’hai appeso al muro!- esclamai, stupita. –Già. Pensavo fosse un bel disegno, d’altronde… L’hai fatto tu!-. Mi scappò un sorriso. Mi voleva bene e io lo sapevo. Mi voltai verso di lui, sospirando. –Papà, io… Ho un problema. Con Davide.  E non so con chi parlarne.- ammisi. Lui mi invitò a sedermi sul divano, accanto a sé. Mi circondò le spalle con un braccio. –Allora, cosa succede?- mi chiese. –Lui è… Malato. Soffre di attacchi d’ira. Suo padre se n’è andato dopo che sua madre è morta, lasciandolo solo con la sorellina. Ultimamente ha rivisto suo padre e il suo problema con la rabbia è rinata. Diventa violento, mi fa paura! L’ho convinto ad andare da Milly ed è leggermente migliorato. Poi… Stamattina Silvia era con il padre e hanno fatto un incidente. E’ finita in coma. Davide ha incontrato suo padre e, se non fosse stato per Jerm, l’avrebbe mandato al Creatore. Ora è a casa mia, ma… Io non so come prenderlo.- spiegai. -Ho paura che mi faccia del male.- confessai. Mio padre mi abbracciò. –Devi stare tranquilla, ok? Non ti farebbe mai del male. Mai. Ne sono sicuro.- mi rassicurò. –Senti, ti ricordi quando McKayla aveva paura di me?- mi chiese. –Sì, aveva paura che tu la picchiassi… Non ho ancora capito perché.- risposi. Effettivamente, non l’avevo mai capito. Mio padre non era mai stato un uomo violento. –Beh, tu la convincesti a parlarne con me. Capisci cosa voglio dire?-. Lo guardai. –Sì, ho capito. Devo parlargli. Grazie papà.-. Mi alzai dal divano e lo abbracciai. –Dai, vai da lui. Torna a casa.- bisbigliò. Io obbedii. Mi incamminai verso casa. Entrai e trovai Davide che mangiava un toast. –Ehi!- mi salutò. –Ehi.- risposi io. –Senti io…- -No!- lo interruppi. Lui mi guardò male. –Ascolta, ti devo… Parlare.- trovai la forza di dire. –Beh, dimmi. Avanti.- si innervosì. –Davide, ti prego. E’… Complicato.- mormorai. Lui sbuffò. Chiusi gli occhi. Poi inspirai profondamente. Infine confessai:-Mi fai paura. Mi spaventi. Davide, tu hai picchiato tuo padre stamattina. Tu non riesci a controllarti, è inutile che fingiamo che non sia così. Ho paura che tu possa farmi del male.- -Ah, sì? Ma, dico, ti sei rincretinita?- urlò lui, alzandosi di scatto. Chiusi gli occhi, d’istinto. Li riaprii e lo  vidi in piedi, che fissava il vuoto. –Hayley, scusa.- mormorò. –Davide, io voglio solo sapere cosa posso fare. Perché così non può funzionare.- gli dissi. –Lo so. Hayley io… Io ti amo.-. Io scossi la testa. Mi sedetti sul divano, stringendo la testa fra le mani. Lui mi raggiunse e mi abbracciò. Non volevo piangere, Non era giusto. Mi girai verso di lui e lo guardai. Si avvicinò per baciarmi, ma io lo spinsi via. –Hayls, perché?- mi chiese. –Perché è finita, Davide. E’ finita. Non possiamo stare insieme. Non ho il coraggio. Scusami. Perdonami, ti prego.-. Lui non disse nulla, ma mi strinse di più a sé. –L-lasciami andare, ti prego.- balbettai. –No.- disse lui, con tono fermo. –L-l-lasciami.- piagnucolai. Mi stava spaventando. –Ti ho detto di no. Guardami.- soffiò lui, facendomi  voltare. I miei occhi si scontrarono con i suoi. –Dimmi che è quello che vuoi. Dimmelo guardandomi in faccia.-. Provai ad abbassare lo sguardo, ma lui me lo impedì. Deglutii. Rimanemmo in silenzio, a fissarci. Io non riuscivo a rispondere e lui non riusciva a chiedermi altro. Io non trovavo la forza di lottare per liberarmi, lui non la trovava per lasciarmi andare. Non trovavamo il coraggio. Il coraggio di ascoltare il nostro cuore. Il coraggio di interrogare noi stessi su ciò che volevamo. Il coraggio di lottare contro le difficoltà per riuscire ad affermarci. Non si trattava più solamente di temere Davide. No, io avevo paura del mio futuro. Poi, lui fece una cosa tenerissima e inaspettata: mi asciugò una lacrima con il pollice. Chiusi gli occhi, respirando a pieni polmoni il suo profumo. –Hayley, io ti amo. Non sono il ragazzo perfetto, non sono ricco, anzi. Sono povero e mendicante. Sono bisognoso, Hayley. Di te. Nichole, io ho bisogno di te.-. Sobbalzai quando sentii il mio secondo nome. Nessuno mi chiamava Nichole, nemmeno mia madre. –Tu mi hai… Chiamata Nichole.- mormorai. –Sì. Perché tu sei Hayley Nichole, non solo Hayley. Io voglio anche Nichole, non solo Hayley. Per quella, mi basta venire a un tuo concerto. Invece, penso che Nichole sia la parte più interessante. E’ quella che mi dà coraggio.-. Dentro di me si ruppe qualcosa: Lo abbracciai. –Davide, io non so cosa voglio. So che non voglio avere paura di te. Perché io ti amo e tu non sai quanto. Ma non posso stare così. Non posso. Io sono Hayley Williams, non Nichole.-. Per tutta risposta, lui mi baciò. Non fu un bacio come gli altri. Sapeva di disperazione, di bisogno. Era come se quella fosse la nostra ultima speranza. Si scostò, aspettando che lo cacciassi. Invece, io mi accoccolai a lui. Forse il coraggio era quello: abbandonarsi a chi si ama, nonostante tutto.

Angolo dell'Autrice

Ehilà! Allora, che ve ne pare? Questo capitolo partiva da una mia esigenza personale: parlare del coraggio. E qui, infatti, sia Hayley che Davide si scontrano con questa grossa parola e con il suo significato. Fatemi sapere come vi sembra questo capitolo! E Dakota? Scoprirà chi è davvero Eric (voglio insulti pesanti!)?
Ah, vi consiglio di leggere con, come sottofondo, "Brave" di Josh Groban:
http://www.youtube.com/watch?v=McdMwOV0y6c
Grazie a Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni e il sostegno. Grazie anche a chi legge e basta. 
Alla prossima :)

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Capitolo 28
*** 27.Still Breathing ***


 
CAPITOLO 27
POV DAVIDE
Mi trovavo in ospedale, seduto accanto a Silvia. La guardavo, disperato. Vicino a me c’era Hayley. Aveva deciso che non mi avrebbe lasciato mai solo, nemmeno mentre dormivo. Così ci trovavamo la notte a dormire nello stesso letto. Mi sentivo protetto, al sicuro. Era come se qualcuno vegliasse su di me, ogni giorno. –Non si risveglierà mai. Lo sento.- mormorai. Hayley si voltò verso di me. Mi guardò, con quei suoi bellissimi occhi verdi. Mi diede un bacio sulla guancia. –Lei non è morta. Non lo vedi? Respira e il suo cuore batte.- bisbigliò. Le strinsi la mano. Ma lei non reagì. Ero solo io che le stringevo la mano, lei, mia sorella, la piccola Silvia, non reagiva. –No, è morta! Hayley, guarda!- esclamai. –Davide, vieni. Ti voglio far vedere una cosa.- mi propose. Mi prese per mano e mi portò in un reparto vicino. Lì, disteso sul letto, c’era un uomo. Accanto a lui, Milly e suo figlio lo accarezzavano e gli parlavano. –E’ così da più di un anno. Non c’è nulla che assicuri a Milly che tutto tornerà come prima. Ma lei ha una forza enorme. E’ come se fosse certa che tutto andrà per il meglio. Mi capisci?-. Mi sembrò di essere in un limbo. Tutto mi era estraneo, sconosciuto. –Hayley, no. Sono tutte bugie. Nulla andrà per il meglio. Silvia non si riprenderà. E io, dopo il concerto di dopodomani, non so nemmeno se potrò restare. Hayley, non esiste il meglio. Esiste solo il meno peggio.-. Avevo detto tutto quello che pensavo. Ma lei, come al solito, mi spiazzò, con una semplice domanda:-E io cosa sono?-. La guardai. Le accarezzai il volto, timidamente. Chinai il capo. –Tu sei… Tu sei la mia salvezza.- mormorai. –No.- ribatté lei. –Come?- chiesi io, confuso. –Non sono la salvezza di nessuno. Vorrei che tu lo capissi.- affermò, decisa. Mi sentii spaesato. –Quindi, ripeto: io cosa sono per te?-. Deglutii. –I-i-io… Hayley, non mi va di…-. Mi interruppe, poggiando un dito sulle mie labbra. –Voglio solo che ci pensi. Nient’altro. Ti capisco. Ma devi avere fede. Devi crederci, Davide. O cadrai sempre più giù.-. Le presi le mani. Le accarezzai le dita e le baciai. –Io… Io non posso.- mormorai. –Non ci riuscirai di punto in bianco. Ma poco alla volta sì. Io devo andare un attimo in bagno. Aspettami qui. Non ti muovere.- si raccomandò. Annuii e mi sedetti accanto a mia sorella. Le strinsi la mano. Aspettavo una reazione. Ma niente. Non ci fu assolutamente niente.

POV SILVIA
Perché non lo vedevi Davide? Perché non lo capivi? Io ero viva. Viva. Respiravo e il mio cuore batteva. Potevo sentire la tua mano che stringeva la mia. Certo, non potevo rispondere al tuo gesto. Ma non perché fossi morta. No, ero semplicemente così debole… Ma mi faceva male sapere che mio fratello non potesse cogliere tutto questo. Mi faceva così male vederlo disperato, come un bambino. Avrei voluto alzarmi e accarezzarlo, stringerlo fra le mie braccia. Ma non potevo. Non ci riuscivo. Era come se qualcuno mi avesse incatenata al letto. Eppure ero sollevata: Hayley ti sarebbe stata accanto. E quella era la cosa più importante. Perché tu, Davide, sei sempre stato un testone di fratello. E, in quel momento, non riuscivi a vedere quello che avevi davanti. Non riuscivi a capire che poteva esserci un’opportunità per te: l’opportunità per cambiare. Avevi davanti a te la più grande occasione della tua vita. La cosa che mi fa impressione, a ricordarla adesso, è che doveva per forza esserci il mio incidente per riuscire a darti questa occasione. Mi è dispiaciuto. Ma a volte è necessaria una perdita. E’ l’unico modo per essere riempiti. Ma tu, Davide, tu non volevi essere riempito. Tu continuavi a fuggire. E, finalmente, quando mi vedesti stesa, su quel letto, tu ti fermasti. Davide, ecco perché. Il mio incidente servì a farti fermare. Dovevi smettere di scappare. Soprattutto, dovevi smettere di fuggire da te stesso. E se, per aiutarti, fosse stato necessario il mio sacrificio, beh, l’avrei accettato volentieri. Avrei portato qualsiasi croce per te.

Udii un medico entrare nella stanza e mettersi vicino a mio fratello. Avrei voluto chiedere informazioni, domandare come stavo. E, invece, non riuscivo a muovermi. La cosa mi dava alquanto sui nervi. Parlarono di qualcosa che non riuscii a capire. Poi, Davide ritornò a sedersi vicino a me e mi accarezzò la fronte. Si voltò verso qualcuno, probabilmente Hayley. Sentii un’altra mano stringermi, una mano di donna. E, una voce femminile iniziò a parlarmi. Mi promise che mi sarei svegliata e che avrebbe avuto cura di lui fino a quando non sarei stata in grado di farlo io. In quel momento, avrei voluto piangere. Sì, perché la cosa più importante che avevo era protetta, al sicuro. Questo mi bastava, intanto.
L’altra mia mano fu afferrata da un uomo che iniziò a sussurrarmi dolcemente: Taylor. Dio, Tay. Mi dispiaceva così tanto. Ma era necessario. C’era uno scopo dietro a tutto quel dolore, io lo sapevo. Doveva salvarsi. E io ero l’unico mezzo per risvegliarlo dal suo torpore. Avrei voluto guardarti negli occhi e sussurrarti che non c’era nulla per cui piangere. Io ero lì, maledizione. E voi tutti mi trattavate come una morta. Ma io ero viva. Viva! Perché voi non riuscivate a vederlo, così chiaramente? Perché?

Se ne andarono via tutti, probabilmente l’orario per le visite era finito. Poi, entrò qualcuno. Un dottore? Non ne fui molto sicura, ma poteva trattarsi di mio padre. Il modo in cui mi accarezzava, il modo in cui mi parlava… Sì, doveva per forza essere lui. Sentii qualcosa di umido bagnarmi il braccio. Mio padre stava… Piangendo. Sì, mio padre era scoppiato in lacrime come un bambino. E, in quel momento, ebbi paura. Paura di perderlo di nuovo. Eppure ero certa che non sarebbe capitato. No, lui era lì, che continuava a sussurrarmi:-Perdonami.-. Era mio padre. E io l’avrei perdonato di sicuro.

Se ne andò via anche mio papà. E rimasi totalmente sola, con gli occhi chiusi e incapace di muovermi. Ma ero viva. Perché io respiravo ancora.

Angolo dell'Autrice

Allora, premetto che si è trattato di un esperimento. Non so se metterò altri POV di Silvia all'interno della storia. Ho pensato di creare un capitolo in cui lei sentisse (perché non vede nulla) quello che stava succedendo attorno a lei e capisse il signifiicato dell'incidente. Non so se possa mi esserci un significato in un incidente, ma io ho voluto scrivere sotto quest'ottica. A Silvia si contrappone Davide, che continua a provare a fuggire. Poi c'è Hayley, che è un po' il collegamento tra i due fratelli: non capisce, ma si fida. Infine, troviamo il padre, un padre, che cerca perdono.
Insomma, in breve, avevo bisogno di scrivere una cosa così. Con il prossimo capitolo, ve lo anticipo, si concluderà questa parte più "riflessiva", iniziata con il capitolo precedente sul coraggio.
Ringrazio Chocobomb e Ollieparwhore per le bellissime recensioni.
Il sottofondo, per questo capitolo, è "Still Breathing" dei Mayday Parade
http://www.youtube.com/watch?v=OEw3aw5huc0
Alla prossima.

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Capitolo 29
*** 28.It's just a spark but it's enough to keep me going, so let your light shine bright inside of me ***


CAPITOLO 28
 
I don't even know myself at all 
I thought I would be happy but now 
The more I try to push it I realize gonna let go of control. 



 
POV DAVIDE
Ero in una chiesa. Mi veniva da piangere e ridere allo stesso tempo. Sì, perché Hayley mi aveva costretto ad andare in una chiesa. Io l’avevo seguita, scettico. –Allora, che ne pensi?- mi chiese. –Mi prendi in giro? Lo sai che non credo a tutte quelle stronzate. Hayley, lo sai che io non penso esista niente sopra di noi.- risposi, abbastanza maleducatamente. –E poi, non so nemmeno cosa devo fare. Insomma, va bene, siamo in una chiesa. E adesso?- la presi in giro. –Adesso preghi.- affermò lei, spiazzandomi. Io mi misi subito sulla difensiva:-Ma che cosa dici? Io non so pregare! E poi, non credo minimamente che serva a qualcosa.-. Lei mi guardò teneramente. Mi sorpresi: temevo di farla arrabbiare, invece Hayley sorrideva. Mi sedetti su uno dei banchi. Lei mi seguì. Mi mise una mano sulla spalla e, con l’altra, mi accarezzò la fronte. –E’ più semplice di quello che sembra. Tutti pregano. Magari a volte non lo si riesce a capire, ma…- -Hayley, non serve a niente!- l’aggredii. Sospirò. –Non possiamo fare tutto da soli.- mormorò. –E perché no? Perché no?- la provocai io. –Perché se facciamo tutto da soli prima o poi finiremo per affondare.- -Sono tutte stronzate!- urlai, non curandomi del luogo in cui mi trovavo. –Promettimi che ci proverai. Per me.- mormorò lei. Sbuffai: non poteva avermelo chiesto davvero. E, invece, l’aveva fatto. Mi aveva fatto quella richiesta assurda. Io abbassai lo sguardo. –Va bene. Ci proverò.- risposi con un sospiro, poco convinto. Lei mi fece uno dei suoi sorrisi e si alzò, incamminandosi verso l’uscita. –Ehi, ma tu… Tu dove vai?- chiesi, sorpreso. –A casa. Quando hai finito, chiamami. Prenditi pure tutto il tempo che ti serve.- rispose, lasciandomi poi da solo, in quella chiesa vuota. C’ero solo io. E la mia stupida ostinazione.

Gonna let it happen, gonna let it happen, gonna let it happen, just let it happen. 

 

POV HAYLEY
Mi avviai verso casa, con la consapevolezza che, comunque andasse, almeno avrebbe chiarito di più con sé stesso. Mi avrebbe rinfacciato di averlo portato in chiesa per tutta la vita, ma non m’importava. Magari mi avrebbe ringraziata. Lui pensava di conoscersi così bene. Ma in realtà nessuno si conosce fino in fondo. Nessuno.

And wake up to the cold reality and not a thing is changed 
 
POV DAVIDE
Ero lì, in quella dannata chiesa. Avevo promesso a Hayley che avrei provato a pregare. Fui tentato di rimanere lì un po’ e poi chiamarla, fingendo di aver tentato. Ma poi, qualcosa mi prese. Nemmeno io saprei spiegare cosa. Era come un vuoto, una fitta al petto, all’altezza del cuore. Decisi, così, di mantenere la mia promessa. Mi concentrai e iniziai a battere un piede, seguendo un ritmo esistente solo nella mia testa. –Ehm… Allora, ciao. Io sono Davide. Ma credo che, se esisti, questo lo sai già.-. Ma che stavo facendo? Stavo parlando da solo? –Ma come mi sono ridotto? Me ne vado!- dissi. Mi alzai e feci per uscire, quando successe qualcosa di completamente inaspettato: mi tornò alla mente mia madre, che la domenica usciva presto per andare a Messa. “Dicevi sempre che era importante, che era la tua marcia in più.” Pensai tra me e me. Mia madre la ricordavo sempre come la parte felice della mia infanzia. E se questo dipendeva anche dalla sua fede, beh, perché non fidarsi? Mi sedetti e decisi di prendere sul serio la proposta di Hayley. –Allora, ci riprovo. Senti, non ho mai creduto veramente in Te, ma ora Tu devi risvegliare mia sorella.- dissi. Che stupido. Pensavo davvero funzionasse così? –Guarda che non funziona così.-. Mi voltai. A parlare era stato un uomo, che riconobbi subito. –George?- esclamai, sorpreso. Era il barbone che avevo aiutato la sera in cui Hayley aveva provato a portarmi in chiesa la prima volta. –Già, proprio io, pulce.-. Sospirai. –Ehm… Mi chiamo Davide.- ribattei. –Sì, è lo stesso.- fece lui, con nonchalance. –Senta, cosa intendeva con “non funziona così”? Pregare non vuol dire chiedere?- domandai, un po’ irritato. –La preghiera è un dialogo. Non devi pretendere nulla. L’unica cosa che sai è che tutto è a fin di bene. E devi chiedere quello: il bene.- rispose lui. Abbassai lo sguardo. Mi sembrava tutto così maledettamente insensato. Insomma, se un Dio esiste e può fare tutto, perché non potevo pretendere che salvasse mia sorella? –So a cosa pensi. Ma vedi, devi fidarti di Dio. E’ l’unica cosa che puoi fare. Lui sa qual è il tuo bene.-.

It's just a spark
But it's enough to keep me going

POV HAYLEY
Iniziavo a pensare di aver commesso una sciocchezza. Non si può e non si deve mai imporre a nessuno la propria fede. E avevo la dannata paura di aver fatto ciò con Davide. E poi, l’avevo lasciato da solo. Insomma, temevo di aver combinato un bel pasticcio. Suonarono alla porta. Corsi ad aprire e mi trovai Dakota, in lacrime. –Dak, che succede?- chiesi, abbracciandola. –Eric… E’ un lurido verme! Lui è… Lui è sposato e ha tre figli!- si disperò. Mi sentivo un verme: avrei dovuto dirglielo prima. –Dak, io… Ti devo confessare una cosa.- mormorai. Ma lei scoppiò a piangere ancora di più, così decisi di starmene zitta. In quel momento le serviva la sua migliore amica e quella ero io. –Hayley, non voglio più vederlo in vita mia.- mi sussurrò. –Lo so.- dissi. In realtà, non sapevo che fare. Avrei voluto andare da quella sottospecie di uomo e pestarlo a sangue. Invece feci sedere Dakota sul divano e le portai un bicchiere d’acqua, per farla calmare. –Come ti senti?- le chiesi. –Meglio, grazie. Per fortuna ci sei tu.- rispose. Le sorrisi: ero nella merda fino al collo.
 
I asked for love.
I asked for mercy.
I asked for patience.
But you're already all of these things.

 
POV DAVIDE
Ero nuovamente solo, in quella chiesa. Riprovai, per l’ennesima volta. –Allora, come stai? No, ok, domanda senza senso. Ehm… So che io e Te non ci siamo mai parlati molto. Anzi, io è la prima volta che prego da quando mia madre è morta. Già. Sì, perché lei è morta. Ma credo che Tu lo sappia. Tu sai tutto, no?-. Continuavo a chiedermi perché mi sentissi un perfetto idiota. Mi guardai intorno. Ero completamente solo. Presi un bel respiro e continuai. –Io  non so perché mia made sia morta. Io non so perché hai permesso che  mio papà se ne andasse. Ma, Ti prego, non Silvia. E’ tutto quello che mi resta. Lei è mia sorella. E io non voglio che muoia!-. Mi scoprii a piangere come un bambino. Mi guardai nuovamente intorno. E, finalmente, quella chiesa non mi sembrò più così vuota.
 
If I knew what I needed
If I knew what was good for me
I'd, I'd be down on my knees begging

POV HAYLEY
Era notte. Avevo confessato a Dakota il fatto che ero a conoscenza del matrimonio di Eric. E lei, incredibilmente, non si era arrabbiata. Ovvero, non l’aveva presa benissimo, ma aveva capito che l’avevo fatto per proteggerla. Se n’era andata non appena Davide era rientrato. Lo avevo rimproverato, dato che non mi aveva chiamata come gli avevo detto, ma poi, avendolo visto sereno, avevo deciso di lasciare perdere. Non mi aveva ringraziata, ma non mi aveva nemmeno insultata. Insomma, era tornato a casa, da solo e, per di più, sereno. Poi, dopo cena, era andato a dormire, cosa che, di solito, gli riusciva impossibile. “E io dovrei seguirlo, a quest’ora” pensai tra me e me. Mi misi il pigiama, mi lavai i denti e feci per andare in camera. Mi voltai e guardai fuori dalla finestra. Il cielo era limpidissimo e si vedevano un sacco di stelle. Sorrisi, pensando che, nonostante tutto, cerchiamo sempre quello che abbiamo già. E, prima o poi, ce ne rendiamo conto. Ed è allora che ci sentiamo veramente pieni di serenità.

Let your light shine bright inside of me
Shine inside of me.
 
Angolo dell'Autrice

Buonasera! Allora, premetto che questo capitolo nasce da una mia ehm... Crisi. Sì, non sapevo più se credere o no. Quindi, parla di me, parte da una mia esperienza. Non voglio convincere nessuno dell'esistenza di Dio e non mi interessa se crediate o meno. Semplicemente, vorrei che capiste il mio punto di vista. Tra l'altro, questo è stato il secondo capitolo che mi è venuto in mente quando ho ideato la fic.
Ringrazio Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni, che spero apprezzeranno il capitolo.
Come canzoni di sottofondo: Last Hope e Miracle Outro.

Last Hope:
https://www.youtube.com/watch?v=yBatuRGZAmA

Miracle Outro (Nashville):https://www.youtube.com/watch?v=_Av6RN776I4
 (per Ollieparawhore: è un outro speciale!)
Il titolo del capitolo riprende tutte e due le canzoni. 
Beh, grazie dell'attenzione. Spero commentiate in molti.
Alla prossima!
 

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Capitolo 30
*** 29.Fear ***


CAPITOLO 29
POV HAYLEY
Mi svegliai nel cuore della notte, ansimando. Mi voltai. Davide dormiva beato e tranquillo. Mi guardai in giro. Decisi di alzarmi. Feci attenzione a non svegliare il mio ragazzo e mi recai in cucina. Aprii il frigo e versai dell’acqua ghiacciata in un bicchiere. La bevvi, gustandomi il freddo che mi riempiva la bocca. Poggiai il bicchiere sul tavolo e mi sedetti su una sedia, sospirando. Mi sentivo angosciata. Terribilmente angosciata. E non capivo perché. Ero in cucina, al buio, seduta ad un tavolo, in canottiera e pantaloncini. Forse avrei dovuto tornare a letto. Eppure non riuscivo ad alzarmi. Era come se qualcosa mi tenesse incollata alla sedia. Udii un rumore di passi. –Hayls, che fai alzata?-. Mi voltai. Davide mi guardava, con aria terribilmente assonnata. –Dav, torna a dormire. Io… Ho solo bisogno di pensare un attimo, tutto qui.- risposi, cercando di mascherare la mia inquietudine. Lui si avvicinò e mi cinse da dietro, baciandomi la testa. Mi morsi il labbro e mi voltai, baciandolo. Poi, lo abbracciai. –Mi sento inquieta. Non so perché.- ammisi. Lui mi accarezzò dolcemente la guancia. –Sei preoccupata per la serata di domani?- mi chiese. Io scossi la testa. –Non è la prima volta che canto ad un concerto. No, non è per domani. E’… E’ per te, penso. Cioè… Davide, io vorrei che tu chiarisca con tuo padre. E questo perché so come ci si sente a non riuscire a parlargli. La verità è che ho paura, Davide. Ho paura di perdere tutto.-. Scoppiai a piangere, aggrappandomi a lui. Non volevo che se ne andasse. Non volevo rimanere sola. –Hayley…- mormorò lui. Mi prese in braccio e mi portò in camera. Sembravo una bambina in preda agli incubi. Mi adagiò delicatamente sul letto e si stese accanto a me. –Hayley, ti amo.- dichiarò. Poi, mi baciò, delicatamente. Lo guardai negli occhi e lo strinsi a me. Appoggiai la testa al suo petto. Potevo sentire il battito del suo cuore che, a poco a poco, si fuse totalmente con il mio. –Hai un buon profumo.- mormorai. Lo percepii sorridere. Poi, lui si mosse e si spostò su di me. Iniziò a baciarmi il collo, lentamente. Salì fino al mio punto sensibile dietro all’orecchio e mi baciò il tatuaggio del Warped Tour. Poi, mi morse leggermente il lobo. Infine, si spostò a lato. Io mi misi per bene sotto le coperte e mi addormentai pensando che lui sarebbe rimasto per sempre.

POV DAVIDE
Quando mi svegliai Hayley dormiva ancora. Era tutta raggomitolata sotto le coperte, come una bambina. Mi alzai e scesi a fare colazione. Ripensai a quello che mi aveva detto Hayley la notte. Sì, dovevo andare a parlare con mio padre. Era l’unica cosa che mi restava da fare. Mi vestii e lasciai un messaggio ad Hayley. Poi uscii, incamminandomi verso l’albergo dove alloggiava mio padre. Entrai e chiesi di lui alla reception. –Mi dispiace, ma la sua chiave è qui.- dichiarò la receptionist. -Non si preoccupi, lo aspetterò qui.-. Mi sedetti su una poltrona e attesi il suo ritorno. Quando arrivò, aspetti che prendesse le chiavi e poi lo presi per un braccio. Lui si voltò di scatto e provò a divincolarsi, impaurito. –Papà, no. Ascolta, io ti voglio solo parlare.- mormorai. –Davide, di cosa dobbiamo parlare? Ti ho già spiegato…- -No! Tu non mi hai spiegato nulla! E Silvia è all’ospedale, maledizione! Ti prego!- esclamai. Mio padre sospirò. Poi mi prese per il braccio e mi condusse fuori, ad un parco. Mi fece sedere su una panchina. Rimanemmo in silenzio, per un tempo che mi parve interminabile. –Ti ho già detto perché me ne sono andato. E anche perché sono venuto qui. Non c’è nient’altro da aggiungere.- affermò lui. –Che ci faceva Silvia in macchina con te?- trovai la forza di chiedere. Mio padre abbassò lo sguardo. –Ero passata a trovarla… E avevamo iniziato a parlare di Fieldman. E’ stato uno dei suoi a provocare l’incidente, ne sono certo. Questa volta ho le prove per rincastrarlo. Ma ho deciso di distruggerle. Non voglio perdervi di nuovo. Non ora.-. Mi voltai verso di lui. E lo vidi per quello che era: mio padre, ovvero un uomo che era stato costretto a scegliere. E io non l’avevo mai capito. Iniziò a piovere, ma noi restammo lì, su quella panchina, fermi e muti. Quella mattina, sotto la pioggia, non fui ancora in grado di perdonare mio padre. Ma iniziai ad accettare la sua presenza.

Angolo dell'Autrice

Scusate l'atroce ritardo, ma ho avuto dei problemi che, tra l'altro, non ho ancora risolto. E, siccome in questa fanfiction scrivo ciò che provo e le mie sensazioni, beh...  Non me la sentivo... Quindi perdonatemi anche per la brevità di questo capitolo, spero vi piaccia comunque. 
Grazie a Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni e la gentilezza. Grazie anche a chi legge e a chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Alla prossima!

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Capitolo 31
*** 30.Time To Live ***


CAPITOLO 30

POV DAVIDE
Tornai a casa, spossato. L’incontro con mio padre era stato qualcosa di strano e incredibile allo stesso tempo. In quel momento non riuscivo a pensare a niente. Sapevo solo di dover parlare con qualcuno. “Silvia, come vorrei che tu fossi qui.” pensai tra me e me. E invece lei era in ospedale, sdraiata su uno stupido letto. Sospirai. Quella sera avrei avuto il concerto, ma non ne avevo assolutamente voglia. Mi guardai intorno, in cerca di Hayley. Vidi un biglietto sul tavolo. Lo presi e lessi: ”Sono a provare con la band. Ci vediamo al concerto. A dopo. Ti amo.”. Alzai lo sguardo. Accartocciai il foglietto e lo buttai nel cestino. Sospirai nuovamente e mi stravaccai sul divano. Decisi di guardare un po’ di televisione, ma finii per fare zapping. Mi alzai e mi preparai un toast, Non che avessi fame, ma avevo bisogno di fare qualcosa. Ero inquieto. Maledettamente inquieto. Presi il cellulare e iniziai a scorrere tutti i numeri che avevo in rubrica. Avevo un disperato bisogno di parlare con qualcuno. Ma il problema era: con chi?

POV HAYLEY
Mi sentivo in colpa. L’avevo lasciato solo senza nemmeno pensare a come sarebbe tornato dall’incontro con suo padre. Iniziai a preoccuparmi. –Hayls, non devi preoccuparti. A Davide non farà male imparare a cavarsela un po’ da solo.- cercò di tranquillizzarmi Jeremy. Lo abbracciai. Lo strinsi per non lasciarlo andare. Lui non era come Taylor. No, Jeremy era proprio come un fratello maggiore, una guida, un esempio da seguire. Era stato lui a insegnarmi praticamente tutto. Era stato lui a riportarmi in vita dopo il trasloco dal Mississippi a Franklin. –Jerm… E se dovesse fare qualche stupidaggine?- domandai. Avevo paura, davvero. Il bassista mi guardò con estrema dolcezza. –Non la farà. Da quando va da Milly è molto migliorato. E se dovesse farla, beh, gli tirerò le orecchie. Ma non ti devi preoccupare.-. Accennai un sorriso e mi preparai per cantare.

POV DAVIDE
Faceva freddissimo. Accelerai il passo. Svoltai l’angolo e mi trovai davanti una bella villetta a schiera. Suonai il campanello, pregando che qualcuno mi aprisse. –Chi è?- chiese una voce femminile. –Sono Davide.- risposi al citofono. Il cancelletto si aprì e io entrai. –Tutto a posto?- mi domandò Kat, accogliendomi in casa. –Sì, scusa il disturbo. E’ che… Ho avuto una mattinata complicata.- spiegai. La moglie di Jeremy Davis mi invitò a sedermi sul divano. –Hayley mi ha detto che ti sei incontrato con tuo padre.- esordì lei. –Come è andata?- chiese. Mi morsi il labbro e iniziai a muovere la gamba destra dall’agitazione. -Oh, ehm… Sì, diciamo che… Io…- provai a dire. L’inglese pose una mano sulla mia spalla, per tranquillizzarmi. –Tranquillo. So che è difficile. D’altronde non vi parlate da quasi dieci anni.- disse. Sospirai. –Io vorrei perdonarlo. Io vorrei credere a tutto quello che mi ha detto. Io vorrei, giuro. Ma non posso. Non ci riesco.- ammisi. –Davide, ascoltami. Devi osare. Non sarà facile, ma già il fatto che oggi sei andato a parlargli è un ottimo segno.- disse. –Non riuscirai a perdonarlo subito. Magari nemmeno tra vent’anni. O forse non lo perdonerai mai. Ma non puoi mollare. Davide, non puoi!- -Non è quello che provo!- ribattei io. –Silvia è tra la vita e la morte e potrebbe anche non svegliarsi mai più! E da quando sono qui ho solamente creato un sacco di problemi. No Kat, l’unica cosa che posso fare è scappare.- affermai. Ero lucido. Folle, ma lucido. Mi alzai, ma lei mi prese dal braccio e mi ributtò sul divano. –Guardami negli occhi. E’ quello che vuoi? Pensi che sia davvero la soluzione ai tuoi problemi?- mi chiese. –Starebbero meglio tutti senza di me.-. A quel punto Kat mi tirò uno schiaffo. –Ahia!- mi lamentai. –Pensi davvero che Hayley starebbe meglio senza di te?- mi provocò, fredda. Tacqui, non riuscendo a replicare. Calò il silenzio. Il mio sguardo si posò sul pancione di Kat. –Sarai un’ottima madre, Kat. Davvero.- mormorai. Lei mi sorrise. Poi si toccò il grembo. –Grazie. Ma non è quello di cui stavamo parlando. Davide, ci sono persone per cui sei molto importante. E non sto parlando solo di Hayley.- -E a chi altri dovrei importare?- domandai, provocatorio. In quel momento mi sentivo proprio inutile. Kat si morse il labbro. –A me. Davide, per me, Jeremy e Taylor sei diventato fondamentale. E poi, perché non pensi a Silvia? Pensa come potrebbe stare se, una volta sveglia, dovesse sapere che tu te ne sei scappato da qualche parte.- -Potrete sempre dimenticarmi!- ribattei io. In quel momento mi arrivò un nuovo schiaffo. –La smetti di tirarmi schiaffi?- mi lamentai. –Ti fanno male? Beh, lo sai perché? Perché sei una persona, accidenti, non un oggetto! Sono gli oggetti che si possono dimenticare! Sono gli oggetti che si possono prendere a schiaffi! Ma tu, Davide, sei una persona. E anche noi.- esclamò. –Io non voglio più fare del male a nessuno.- mormorai. –Che stupidaggine di proposito!- sbottò lei. –Perché?- chiesi perplesso. –Perché siamo persone. E le persone sbagliano. I nostri errori faranno per forza male a qualcuno. E’ inevitabile.-. Chinai il capo, ma lei mi costrinse a guardarla negli occhi. –Perché non pensi a noi?- -Perché in questo schifo di vita ho sempre pensato solo agli altri! Ora voglio pensare anche a me!- risposi bruscamente. Vidi i suoi occhi velarsi di lacrime. –Ehi, aspetta… Io non volevo… Vedi, sono un disastro!- mi disperai. –Non piango perché mi hai ferita. Piango perché non ti rendi conto dell’ammasso di idiozie che stai dicendo. Davide, tutto quello che hai fatto per gli altri lo hai fatto prima di tutto per te stesso. Aiutare Silvia a crescere per esempio. E’ tua sorella e tu le vuoi bene. E tu sei felice quando anche lei lo è.-. Capii quello che Kat mi stava provando a dire. Sospirai. –Sai, puoi scappare se vuoi. Ma davvero pensi che cambieresti qualcosa? Rischieresti solamente di perdere ciò a cui tieni di più. Davide, è tempo di vivere! Corri verso il tuo destino, afferralo! Alzati e corri! Alzati e vivi!- mi esortò. Mi accorsi solo in quel momento di tremare. La guardai negli occhi. Poi l’abbracciai. –Grazie.- bisbigliai. Mi alzai dal divano e, dopo averla salutata, corsi fuori da quella casa. Corsi velocemente, a perdifiato. Non mi importava di finire sotto a qualche automobile, non mi importava di rischiare di travolgere qualche passante. Corsi, corsi anche se le mie gambe mi imploravano di fermarmi. Solo io conoscevo la meta. E sì, era quella giusta.

Angolo dell'Autrice

Okay, è da più di due mesi che non aggiorno. Ma davvero, è stato ed è un periodo veramente orribile. Tengo a spiegare che questa fanfiction è nata per scrivere di me e consiste in una sorta di sfogo. E sinceramente mi è mancata davvero molto, ma non riuscivo a sfogarmi. Quindi non riuscivo nemmeno a scrivere. Poi, due notti fa non ce l'ho più fatta e ho iniziato a buttare giù tutto. 
Spero che questo capitolo vi piaccia. Parla molto di me e spero che vi emozioni o vi faccia riflettere. In questo periodo ho voluto scappare un sacco di volte, ma poi, alla fine, non l'ho mai fatto. Un po' per vigliaccheria, ma anche perché ho pensato che c'è gente a cui importa di me. E così, da due giorni a questa parte, ho provato a iniziare a correre. 
Un grazie  a Chocobomb e Ollieparawhore per le recensioni. 
Al prossimo capitolo, spero non troppo tardi!

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