Dark Side of London

di Yoan Seiyryu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Monster ***
Capitolo 2: *** Fleet Street ***



Capitolo 1
*** Monster ***




Dark Side of London












Prologo







I respiri profondi. I tuoni che squarciavano l’aria. Il battito di un cuore nuovo. Non era possibile sconfiggere la morte, così asserivano gli studiosi. Il corso della vita non si può arrestare né cambiare a proprio piacimento. Un sorriso tirato sulle labbra, la soddisfazione negli occhi cerchiati da lunghe notti insonni. Il fetore del laboratorio era inarrestabile, ma nulla profumava più della creazione della vita stessa. Si sentiva quasi simile a un dio mentre sfilava via il lenzuolo macchiato di sangue che copriva il corpo di Gerhart. Tutti avrebbero riso di lui se avesse raccontato di aver riportato in vita suo fratello, così come avevano fatto gli scienziati che avevano ascoltato le sue teorie malsane. Nessuno aveva creduto in lui, nessuno pensava che ce l’avrebbe fatta. Un altro tuono risuonò con forza alle sue orecchie ma continuò a rimanere  concentrato sul suo esperimento che aveva da poco spalancato le palpebre, prendendo a respirare con un certo affanno.
- Dottore? -  la voce del fedele servitore si fece strada tra i suoi pensieri.
- E’ vivo - si limitò a rispondere senza staccare gli occhi da suo fratello che ancora non accennava a muoversi, sembrava che stesse studiando l’ambiente in cui si trovava.
- Questa è magia - sussurrò l’altro che si avvicinava per poter essere certo di non star sognando.
- No, è qualcosa di molto più potente. E’ scienza.
Raggiungere la sua ambizione era ciò che desiderava, il mondo intero sarebbe caduto ai suoi piedi perché aveva distrutto la legge della natura, aveva sfidato Dio stesso e tutta la creazione, uccidendo la morte e lasciando cadere la paura nell’oblio.
Ora doveva affrontare il compito più arduo, quello di dimostrare a suo padre che i suoi sforzi non erano stati vani e che Gerhart non era l’unico figlio da cui poteva aspettarsi qualcosa di buono. Lasciò suo fratello al servitore, di modo che potesse preparare Lord Frankenstein alla notizia. Quando si recò da lui per confermargli la riuscita dell’operazione, Victor provò un’irrefrenabile desiderio di andare via da quel posto così lugubre. Una dimora talmente tanto grande e al tempo stesso inospitale e fredda, come la nebbia che era calata al di fuori della finestra. Detestava l’amore che suo padre riservava esclusivamente a Gerhart, detestava il modo in cui per anni era stato trattato, messo con le spalle al muro e considerato uno scansafatiche. Poteva leggere negli occhi del genitore la luce che gli illuminava il viso, Victor corse a stringere il pugno della mano con forza, persino quelle parole positive nei propri confronti lo fecero ribollire di rabbia. Ma ciò che non si sarebbe potuto aspettare era che Gerhart, al suo ingresso, preparato di tutto punto dal servitore, si mostrò in modo del tutto nuovo, come se non avesse pienamente coscienza di sé. Era più simile ad un animale che si muoveva per istinto ma senza razionalità, farfugliava parole che nessuno riuscì a comprendere. Che l’operazione avesse prodotto un effetto a metà? Tutto divenne confuso quando suo padre iniziò ad inveire contro di lui.
- Che cosa ne hai fatto di mio figlio? Hai creato un mostro! -  lo afferrò per il bavero della camicia strattonandolo con forza, un gesto che Gerhart non riuscì a sopportare poiché si gettò su di lui per poi strangolarlo senza pietà.
Victor non intervenne e lasciò correre, rimase anzi a guardare mentre suo padre svaniva da quel mondo, poco a poco, la sua anima forse sarebbe scesa all’Inferno per aver amato soltanto uno dei suoi figli. Si creò una smorfia sulle labbra, nel momento in cui Gerhart continuò a serrare la presa sul collo del defunto e a quel punto il fratello gli posò una mano sulla spalla.
- Gerhart, hai ucciso nostro padre - disse con tono di finta ammonizione.
Di certo era un imprevisto, non aveva immaginato che riportarlo in vita avrebbe compromesso le sue facoltà raziocinanti, ma in fondo anche la scienza ha un prezzo. Allo scoppio di un altro tuono Gerhart si alzò in piedi, osservò le mani con cui aveva strappato via la vita al padre e poi le portò alla testa iniziando a mugolare per il dolore. Doveva avere un’emicrania molto forte poiché si voltò di scatto per uscire dalla stanza e rifugiarsi in una stanza dove i tuoni arrivassero con meno impetuosità.
Victor lo lasciò fare, mentre si chinava sul corpo di Lord Frankenstein, per accertarsi della morte avvenuta. Gli chiuse le palpebre degli occhi e si alzò in piedi.
- Questa è la punizione per gli uomini che sono genitori solo a metà - così facendo fece un passo indietro per andare a recuperare Gerhart.
I passi lenti e misurati si recarono nello studio dove il fratello si era rifugiato, nel momento in cui si fece avanti per convincerlo a tornare nel laboratorio per degli accertamenti, provò un dolore smisurato all’altezza della nuca. Qualcuno lo aveva colpito alla testa con una forza spropositata e Victor cadde sul pavimento privo di sensi.
Non ricordò nulla di quel momento, non riuscì a vedere chi era stato il suo aggressore, la memoria pareva offuscata al momento del risveglio. La testa gli girava vorticosamente e la prima cosa che vide furono gli occhi del servitore che con preoccupazione tentavano di destarlo con l’aiuto dei sali per farlo tornare in sé.
 - Mi hai preso per una verginella impaurita? - gli domandò Victor mentre si alzava a fatica, portando una mano dietro la nuca per constatare il fastidio che provava premendo in quel punto.
- Immagino che non siano stati i tuoni a farvi perdere i sensi, Dottor Frankenstein - rispose il servitore prima di lasciarlo del tutto, accertatosi che potesse muoversi a proprio piacimento.
- Dov’è mio fratello? -  domandò quasi retoricamente mentre si avvicinava alla scrivania, vi era qualcosa di diverso.
- Nessuno l’ha più visto, deve essere scappato - spiegò l’altro stringendosi nelle spalle.
Victor sospirò profondamente nel momento in cui andò a raccogliere un biglietto aperto sul volume di un libro e ne lesse il contenuto: Gli Oscuri padroni della notte ti ringraziano per i servigi che hai reso loro.
Aggrottò le sopracciglia e strinse il pezzo di carta tra le mani, non aveva assolutamente senso, lui non era mai stato al servizio di nessuno se non della Scienza stessa.
- O forse qualcosa di peggio. Lo hanno rapito - appoggiò una mano sugli occhi per cercare di riprendersi da quella situazione.
Chi era a conoscenza dei suoi esperimenti? Come avevano fatto a trovare quelle informazioni? E soprattutto come avevano eluso la sorveglianza della casa? Erano domande a cui avrebbe risposto in seguito, la cosa che più gli premeva era il fatto che ora Gerhart fosse nelle mani di qualcuno che non doveva avere buone intenzioni.




 
 

  I

Monster


 
 


 
Tracciare una rotta commerciale con il compasso era un passatempo piuttosto discutibile, soprattutto se era costretto a farlo sulla sua cartina preferita. Il tè era stato appena lasciato sul tavolo della sala da pranzo, solitamente era lì che Jefferson ed Alice lavoravano per portare avanti il progetto di Mr Kingsley, l’uomo che aveva fondato la Compagnia Commerciale che alla sua morte passò nelle mani di Lord Ascot, il quale non era affatto propenso a seguire la linea d’azione del suo predecessore. Alice desiderava percorrere le orme di suo padre, ma per una donna non era facile intraprendere una missione simile, per questo aveva chiesto a Jefferson di aiutarla a conseguire i propri scopi. Lui era stato per anni un collaboratore di suo padre ma in seguito ad una grande perdita economica sul commercio di cappelli, cadde in disgrazia e fu preso sotto la tutela di Mr Kingsley. Da allora prese a vivere in quella casa, fungendo da servitore e talvolta anche da amico di Alice e Margaret, le due figlie che il suo datore di lavoro aveva lasciato, chiedendogli di vegliare su entrambe.
Alice. Alice. Alice.
- Alice, mi stai ascoltando?
- Oh, hai ragione, il tè! Non l’ho ancora versato, così si raffredderà – rispose lei alzandosi in piedi per sollevare la teiera e versare il contenuto nelle due tazze bianche.
Jefferson inarcò un sopracciglio per poi sospirare, abbandonò il compasso sulla cartina e si appoggiò al tavolo.
- In realtà mi chiedevo se avessi seguito il discorso riguardo alla nuova rotta commerciale, ma vedo che sei presa da altro – disse stringendosi nelle spalle.
Alice tirò le labbra in una smorfia e poi si sedette sulla sedia, sprofondandovi con poca eleganza, portandosi dietro la tazza di tè appena riempita e sostenendola con una mano sola.
- Scusami, è che mi sto annoiando, vorrei che le cose fossero più semplici di così – trasse un lungo sospiro ed iniziò a soffiare verso il fumo di calore da cui immaginò di essere avvolta.
Jefferson fece schioccare la lingua e spostò  la gamba che aveva appoggiato sul tavolo, incrociò le braccia sul panciotto rosso e alzò le spalle.
- Ma non lo sono e ormai non possiamo tirarci indietro, tra qualche mese dovremo organizzare la partenza per la Cina e se torneremo senza aver concluso nulla, gli Ascot ci cacceranno via dalla Compagnia – le spiegò la situazione ancora un’altra volta, ma Alice conosceva bene quella storia e non vi era bisogno di ripeterla ancora.
-  Per fare spazio ad Hamish, il figlio di Lord Ascot che soffre di mal di stomaco più o meno tutti i giorni e a tutte le ore – sussurrò lei prima che una smorfia si creasse sulle labbra rosee.
Jefferson non mancò di ridacchiare ripensando alla festa organizzata per il fidanzamento che Alice mandò all’aria affermando di non volersi sposare con lui e il giovane fanciullo non l’aveva presa molto bene.
Il maggiordomo di casa Kingsley bussò alla porta due volte per avvertire la sua imminente entrata, cosa che avvenne subito dopo.
- Perdonate il disturbo Miss, è appena giunto un visitatore che ha espressamente richiesto di poter incontrare Mr Jefferson, vorrebbe esser lasciato solo con lui.
Alice scoccò un’occhiata al diretto interessato che sollevò le spalle, non attendeva alcuna visita ma la curiosità della giovane ragazza non poté che accrescere: un uomo misterioso ed in più non voleva che ci fossero altri testimoni. Di che cosa poteva trattarsi? Alice sorrise, si sarebbe posizionata dietro la porta per poter origliare la conversazione. Uscì dalla stanza in fretta per potersi preparare, nascondendosi per il momento dietro ad una delle colonne del corridoio.
In lontananza vide giungere un  uomo ricoperto da un soprabito completamente abbottonato, i lineamenti del volto erano duri e due occhi chiari sfavillavano come bracieri. Probabilmente non aveva dormito poiché le occhiaie erano evidenti e il pallore risaltava se messo a confronto con il collo del cappotto, nero come la notte.
Non appena il Dottor Frankenstein fu annunciato, Jefferson si voltò verso di lui, era decisamente una visita inattesa e non aveva idea del motivo per cui si fosse recato fin lì per potergli parlare. Di cosa aveva bisogno questa volta?
- Victor – disse Jefferson mentre si avvicinava, allargando le braccia come segno di accoglienza, si fermò davanti a lui e allungò la mano perché gliela stringesse – non dirmi che i ladri di cadaveri che ti ho mandato hanno combinato qualche guaio – sorrise in modo tirato.
Il Dottor Frankenstein ricambiò la stretta di mano con una certa forza, per lasciare la sensazione di una personalità forte e sicura che si era creata con il sangue e il sudore.
- No, anche se avrei preferito che fossero più esperti. Non sono qui per lamentarmi di loro – non appena fu invitato a sedersi all’angolo della sala, dove erano posizionate due comode poltrone, vi si diresse immantinente per accomodarsi.
L’espressione dipinta sul volto indicava una certa tensione, aveva molta fretta ma al tempo stesso voleva giocare quella carta con più calma possibile.
- Sono tutto orecchie allora – Jefferson finse un minimo di disponibilità e si diresse verso la credenza dove erano conservati gli alcolici – tokaj? – gli chiese mentre preparava due bicchieri di cristallo e faceva uscire la bottiglia prima ancora di ricevere una risposta.
Victor si inumidì le labbra ed annuì.
- Sì, qualcosa di forte mi farà schiarire le idee – accettò di buon grado e rimase in attesa, avvolgendo i braccioli della poltrona con entrambe le mani.
Jefferson, con tutta la calma del mondo, versò il tokaj nei bicchieri e li posò entrambi sul tavolino di legno, sedendosi sulla poltrona davanti all’ospite. Un po’ si dispiacque per aver perso l’ora del tè con Alice, era un’abitudine a cui non rinunciava mai.
- Ho bisogno del tuo aiuto, Jefferson.
- E questo era piuttosto chiaro, la preoccupazione e la paura trapelano dalla tua espressione – lo interruppe quasi senza volerlo.
Victor sospirò mandando giù il tokaj tutto d’un sorso e posò il bicchiere vuoto sul tavolino.
- Ricordi quando ti parlai del mio esperimento riguardo il riportare in vita i morti, giusto? Ebbene, ci sono riuscito.
- Ah, tanti auguri allora. Perché mai dovrebbe interessarmi? – di nuovo gli impedì di continuare, ma non aveva mai provato interesse per quel tipo di esperimenti.
La prima volta, quando l’aveva incontrato al Reform Club che Charles Kingsley era abituato a frequentare, Jefferson lo prese come un folle dalle idee malsane. Farneticava riguardo alla possibilità di poter ricreare la vita, andando contro le leggi naturali. Oh, quanto avevano discusso in quel pomeriggio di novembre! Jefferson non gliel’aveva fatta passare liscia, soprattutto perché molti dei giovani gentiluomini sembravano piuttosto presi da teoria del Dottor Frankenstein. Ovviamente poi tutto sfumò in allegre risate e nessuno cadde più sull’argomento, nonostante Jefferson e Victor avessero continuato a incontrarsi al Club con i rispettivi aggiornamenti.
- In teoria potrebbe anche non interessarti, ma non so a chi altro rivolgermi. Ho riportato in vita mio fratello, ma non è più lui. Si comporta come se fosse un animale, dà ragione all’istinto ed è molto pericoloso. Pochi giorni fa qualcuno è riuscito ad entrare in casa e lo ha rapito, lasciandomi un biglietto a dir poco divertente – disse Victor andando a sollevare il bicchiere di tokaj ma si accorse che era terminato, Jefferson si alzò per andare a prendere la bottiglia e per versarne ancora all’ospite.
- Hanno rapito il morto? – si ostinò a non volerne sapere di defunti che tornano in vita.
- E’. Vivo. – puntualizzò Victor che iniziava a perdere la pazienza – tu conosci Londra meglio di chiunque altro, hai studiato a memoria la cartina dell’intera città e non vi è luogo che possa sfuggirti. Devi aiutarmi a ritrovarlo, potrebbe diventare molto pericoloso, soprattutto perché qualcuno desidera sfruttare la sua… mostruosità – terminò di dire, andando alla ricerca del biglietto all’interno della tasca del soprabito che non aveva desiderato togliere.
Jefferson sogghignò ampiamente nascondendo poi l’espressione soddisfatta dietro il bicchiere di tokaj che riuscì a finire in fretta, per versarsene un altro.
- Allora ammetti anche tu il lato mostruoso delle tue idee.
- No, certamente no. Devo solo affinare la tecnica per migliorare il risultato – rimanere calmo per Victor era una vera prova per se stesso, dopo tutto ciò che era accaduto in quei giorni non poteva permettersi di adirarsi perché doveva rimanere lucido per riflettere.
- Parlami di questo qualcuno che vuole approfittare del tuo fratello defunto per terrorizzare la città – lo incitò Jefferson, cominciando a prendere seriamente quell’argomento.
Victor gli porse il biglietto che finalmente aveva trovato per dare una risposta a quell’enigma che non riusciva a sciogliere.
Gli Oscuri Padroni della Notte ti ringraziano per i servigi che hai reso loro.
Jefferson passò una mano sulla fronte, cercando di comprendere che cosa volesse significare quel messaggio. Si fece raccontare tutto per filo e per segno, dunque Victor era stato attaccato di modo che uno di questi fanatici potesse rapire il mostro. Ma perché? A quali servigi facevano riferimento? E chi erano questi padroni della notte? Molte domande si affollarono nella testa di Jefferson ma non riusciva a tirarsi fuori da quell’ingarbugliamento, dunque si limitò a sospirar e a posare il biglietto sul tavolo.
- Un bel problema, buona fortuna Victor.
- Dunque non vuoi aiutarmi nella mia ricerca? – fu subito la prima domanda del Dottor Frankenstein che si oscurò in viso.
- E’ troppo pericoloso, non ho idea se questi Padroni della notte, come si fanno chiamare, siano dei fanatici o facciano sul serio, in entrambi casi non posso permettermi di essere coinvolto. Ho una responsabilità molto grande e devo proteggere Miss Kingsley a discapito di tutto il resto – confessò, nonostante mancasse di dire che in realtà non voleva immischiarsi minimamente in qualcosa di oscuro e senza senso.
Fu in quel momento che la porta della sala si spalancò, lasciando entrare Alice che aveva origliato tutta la loro conversazione e si era stancata di rimanere fuori in una posizione scomoda, con l’orecchio adagiato alla serratura per captare ogni minimo sussurro. Teneva le mani ai fianchi e aveva un andamento sbarazzino, disinvolto, ma non privo di eleganza. Victor si alzò per potersi inchinare davanti a lei, Jefferson si mise semplicemente in piedi, allargando le braccia verso l’esterno compiendo un gesto di diniego, ma non poteva far nulla in proposito, non era il padrone di casa.
- Miss Alice Kinglsey, posso presentarvi il Dottor Victor Frankenstein? – si improvvisò come mastro cerimoniere.
Victor avanzò verso di lei per poter compiere un impeccabile baciamano.
- E’ un vero piacere, Miss. Vostro padre mi ha spesso parlato di voi e finalmente ho l’occasione di constatare che le sue parole non fossero dettate solo dall’affetto di un genitore: siete incantevole – disse dopo averle lasciato la mano con delicatezza.
Jefferson roteò gli occhi al cielo, Victor non teneva mai un comportamento simile con nessuna donna, visto che non prendeva mai parte agli incontri in società.
- Eravate un amico di mio padre? – per un attimo Alice dimenticò il motivo della sua irruzione così improvvisa.
Victor annuì ed aggiunse:  - Ci siamo incontrati svariate volte al Club che frequentavamo, spesso parlava di voi .
Alice provò un moto di leggerezza e di serenità nel sapere una cosa simile: era sempre stata affezionata a suo padre e dopo la morte di lui si era chiusa nel suo angolo di fantasia per poter dimenticare una perdita così importante. Se non fosse stato per l’aiuto di Jefferson, non sarebbe riuscita a tornare alla luce.
- Tutto questo è molto toccante, ma il Dottor Frankenstein ora deve far ritorno a casa, ha un impegno molto importante da portare a termine – si intromise Jefferson, di modo che i due terminassero quella conversazione basata sulla convenienza e la formalità.
Alice gli scoccò uno sguardo infastidito e sempre tenendo le mani ai fianchi scosse vigorosamente la testa, poi si chinò per poter raccogliere il biglietto che era stato lasciato sul tavolo.
- Oh, in realtà vorrei che il Dottore si fermasse a cena, ho intenzione di parlare di affari – dunque indicò ad entrambi si sedersi nuovamente sulla poltrona.
Victor inarcò un sopracciglio, non era certo di voler discutere con quella giovane ragazza di una cosa che lo riguardava così da vicino. Jefferson al contempo cercò di strappare dalle mani di lei il biglietto enigmatico, ma Alice si scostò per sollevarlo in aria.
- Proprio così, voglio aiutarvi Dottor Frankenstein. Ho ascoltato la vostra conversazione e per quanto sia disdicevole origliare, non ho saputo resistere. Questo è un caso che va assolutamente risolto, i cittadini di Londra potrebbero trovarsi in pericolo, soprattutto se qualcuno vuole usare il mostro per fini immorali – spiegò che cosa intendesse con il suo ‘parlare d’affari’.
Jefferson scoppiò a ridere divertito da quella presa di posizione e appoggiò specularmente a lei le mani sui fianchi.
- Assolutamente no! Il Dottore  può andare a Scotland Yard, lì ci sono molti investigatori che saranno disposti ad aiutarlo per ritrovare suo fratello ed evitare l’impensabile – disse con tono perentorio.
Alice batté un piede a terra per reclamare il desiderio di tornare al centro dell’attenzione, quindi sciolse quella posa che lui aveva imitato e riprese ad osservare Victor, il quale si trovò improvvisamente tra due fuochi, infatti decise di rimanere in silenzio in attesa che l’atmosfera si raffreddasse.
- Ovviamente non può, Jefferson. Se Scotland Yard dovesse scoprire gli esperimenti del Dottore sui defunti potrebbe finire nei guai ed anche tu, visto che gli hai fornito ladri di cadaveri – Alice incrociò le braccia al petto usando un tono di rimprovero.
- Noto con piacere che abbiate compreso la situazione, Miss Alice – il sorriso si tirò sulle labbra di Victor, avere lei dalla sua parte voleva dire anche trascinarsi dietro Jefferson, di cui aveva assolutamente bisogno.
Lei si limitò a compiere un inchino appena accennato, per segnalare la sua estrema disponibilità, dunque senza nemmeno ricevere conferma dell’invito a cena andò a chiamare uno dei servitori per poter comunicare la presenza dell’ospite per quella sera. Jefferson non era affatto contento di ritrovarsi in quella situazione, quando Alice prendeva una decisione non vi era nulla che avrebbe potuto tirarla indietro. Dunque sarebbe stato costretto a seguire ogni suo passo e ogni sua parola per accertarsi che non finisse nei guai, come era solita fare.
- In ogni caso la calligrafia appartiene ad una donna – comunicò loro Alice sventolando il biglietto davanti ai loro volti – dunque immagino che la persona che vi abbia colpito in casa vostra fosse di sesso femminile, forse conosceva già il modo in cui entrare eludendo la servitù.
Nel momento in cui Alice si voltò dall’altra parte per potersi recare al tavolo ed iniziare ad arrotolare le carte topografiche della città per metterle da parte, Jefferson sprofondò sulla poltrona desiderando di poter dormire ore ed ore, per evitare quello strazio.
- Cosa suggerite di fare allora, Miss? Da dove iniziamo le nostre ricerche? – domandò Victor avvicinandosi anche lui al tavolo, appoggiando le mani sul bordo ligneo.
Comprendeva perfettamente che quella situazione potesse mettere tutti in pericolo, ma non era legato in alcun modo alla famiglia Kingsley e difficilmente si affezionava a qualcuno, tanto da provare un istinto protettivo.
- E’ ovvio Dottor Frankenstein, cominceremo dalla cronaca nera riportata sui giornali. Ormai sono trascorsi diversi giorni dal rapimento di vostro fratello ed è piuttosto ovvio che vogliano utilizzarlo in qualche losca maniera – spiegò il suo piano, aveva davvero pensato a tutto mentre origliava alla porta?
Il servitore entrò per portare con sé il giornale che era stato richiesto, The Illustrated London News, che consegnò ad Alice di modo che potessero dare inizio allo studio di quell’enigma.





 
**



 
 
- Stai ancora lavorando a questo caso? – una voce femminile si insinuò nelle orecchie di Graham che era intento a leggere alcune deposizioni.
Era seduto davanti alla scrivania e teneva una mano sulla fronte, lo aiutava a riflettere meglio e soprattutto mantenere una posizione curvata gli garantiva maggiore concentrazione.
- Non è un vero e proprio caso, ma vorrei porre fine a questo scempio. Guarda qui, William Burke e William Hare hanno confessato di lavorare per un uomo piuttosto rinomato in società, pare che faccia degli esperimenti su dei cadaveri, ma non hanno idea di quali. Gli procurano dei corpi ancora freschi e non imputriditi, sono piuttosto conosciuti visto che hanno un bel mercato alle spalle – finse di ridere con divertimento mentre batteva le nocche sulla pagina.
- Quindi conosci  anche il nome di questo sperimentatore? – la voce femminile prese un volto poiché andò a sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania, mostrandosi in un abito stretto in vita e dalla gonna gonfia color mirtillo.
- No, i due sono riusciti a fuggire prima che potessi scoprirlo – si inumidì le labbra passando una mano dietro la testa per scombinare i capelli, di modo che potesse riflettere meglio.
Emma, la donna che si trovava di fronte a lui, alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
- Possibile che tu debba trovarti sempre ad un passo dalla soluzione e poi te la lasci sfuggire in modo così sciocco? – domandò retoricamente.
Graham sollevò gli occhi in quelli verdi di lei, mordendosi l’interno della guancia. Non aveva tutti i torti, era il migliore investigatore di Scotland Yard e risolvere casi difficili era la sua specialità. Ma non sempre riusciva a mirare l’obiettivo e a colpire al tempo stesso, soprattutto da quando il suo collega si era sposato e aveva lasciato il posto vacante. Non poté rispondere a quella provocazione poiché entrò uno dei collaboratori, affacciandosi sulla soglia.
- Holmes, abbiamo appena ricevuto un’informazione secondo cui una donna è stata trovata morta a Fleet Street, proprio fuori dalla locanda ‘Rabbit Hole’. Il caso è stato assegnato a te e ad Adler, cercate di capire di che si tratta, sembra che sia stato intravisto un individuo piuttosto particolare aggirarsi per quella strada - comunicato ciò si ritirò immediatamente.
Emma sollevò gli occhi al cielo e si alzò in piedi.
- Quante volte ho detto che non voglio essere chiamata in quel modo? Il mio nome è Swan – disse con una punta di fastidio che fece sorridere Graham.
- In realtà è solo un nomignolo che ti sei data, Adler – ora toccò a lei non poter rispondere perché lui si alzò dalla sedia per recuperare il soprabito e recarsi nel luogo dell’avvenuto omicidio.
Usciti da Scotland Yard si resero conto dell’ora tarda, la luna brillava alta nel cielo e non vi era possibilità di osservare le stelle, le luci delle lanterne erano forti e illuminavano la città che ancora non era andata a dormire. Presero una carrozza per raggiungere Fleet Street, entrambi conoscevano molto bene quella zona visto che si erano susseguiti diversi omicidi a discapito di molti viaggiatori, ignari di attraversare un luogo che avrebbero fatto meglio ad evitare.
Raggiunsero il luogo dell’omicidio con qualche difficoltà, furono costretti a percorrere a piedi diversi vicoli bui dove le luci non vi arrivavano e la povertà era visibile ad ogni angolo. Odori nauseabondi si insinuarono nelle loro narici, alcuni mendicanti zoppicavano in cerca di elemosina prima di cercare un luogo dove poter dormire. Ma l’ora era propizia più alle prostitute che uscivano dalle case di piacere per attirare i clienti conosciuti che si recavano fin lì dal centro stesso della città.
Non appena giunsero alla locanda si resero conto che alcuni collaboratori erano già pronti a studiare l’avvenuto omicidio. Graham si fece largo tra la piccola folla che si era ricreata intorno, nonostante non fosse una vicenda del tutto nuova, non era raro che prostitute o cameriere fossero uccise in zone come quelle. In quel caso però la vittima era vestita con cura, il buongusto lasciava a desiderare ma non doveva trattarsi di una lavoratrice notturna di Fleet Street. L’acconciatura si era sciolta e i capelli biondo ramati ricadevano sparsi sulle spalle, gli occhi verdi erano spalancati dal terrore, si poteva leggere nella sua espressione i suoi ultimi istanti di vita. Un rivolo di sangue correva lungo le labbra per raggiungere il mento e scivolare sul collo dove si evidenziavano i segni di uno strangolamento.  Graham si inginocchiò per poter analizzare l’occlusione delle vie aree, cosa che risaltava all’occhio visto che il collo sembrava spezzato.
- Chi ha ucciso questa donna deve aver usato una forza mostruosa, mi chiedo se sia una vittima casuale o se volesse far fuori proprio  lei – si avvicinò Emma dopo aver fatto sparpagliare la folla ma fece rimanere il locandiere che teneva una mano sulle labbra, sconvolto per quell’accadimento.
- Pare che nessuno abbia sentito urla di alcun genere, dunque l’attacco subito doveva esser stato tenace e la vittima aveva ricevuto un’improvvisata che non si sarebbe mai aspettata – riferì il locandiere che si era deciso a parlare.
- Dubito che sia casuale, ha ancora un anello di fidanzamento al dito, dunque non si è trattato di un omicidio per furto. Sappiamo di chi si tratta? Era a conoscenza di qualcosa che poteva creare problemi ad una persona in particolare? – Graham si rivolse al locandiere, il quale teneva un panno unto avvolto tra le mani e il pallore del volto era ben evidente.
- Questa giovane donna è Annie Miller, lavorava qui un tempo, prima di cadere tra le braccia di quegli scansafatiche.
- A chi vi riferite? – domandò Emma portando le mani ai fianchi, facendosi più interessata.
- La Confraternita dei Preraffaelliti, un gruppo di pittori che  frequenta spesso la mia locanda e si ubriacano fino a notte fonda cercando di trovare buone idee per sopravvivere. Una sera William Hunt ha deciso di prendere Annie come modella, pagandola il doppio di quanto potessi darle io e lei ovviamente non si è fatta sfuggire l’occasione – sputò a terra con una certa rabbia.
- Cosa potete dirci del rapporto che vi era tra Hunt e Miss Miller? – questa volta toccò a Graham chiedere informazioni più specifiche.
- Oh, sappiamo tutti che cosa accade nello studio di un pittore, tra lui e la sua modella preferita. Non conosco la vicenda per intero ma so che Annie si era stancata di lui e della sua indecisione, voleva cambiarla e renderla una donna colta, una vera idiozia! Alla fine Annie se ne è andata ed è riuscita ad accalappiarsi un altro uomo, da quel che so Mr Hunt non l’ha presa affatto bene – cercò di spiegare il locandiere.
Emma inarcò un sopracciglio, dunque poteva trattarsi di un omicidio avvenuto per gelosia e possessività, non aveva mai sentito parlare prima di questo pittore ma avrebbe avuto l’occasione di conoscerlo di persona.
Graham non era del tutto convinto che avessero trovato la soluzione, quei segni sul collo di lei indicavano una forza sproposita e voleva indagare di più.
- Non possiamo fare altro che recarci da questo Mr Hunt e riempirlo di domande – disse Emma stringendosi nelle spalle.
- Povera Annie, non si meritava una fine simile.











Note: 

° Per Alice ho preso spunto dal personaggio di Alice Kingsley (Tim Burton), ho iniziato a scrivere la storia prima di Ouat in Wonderland ma spero in futuro di far tornare il personaggio più in linea con quello della serie. 
° Il Reform Club è ripreso da 'Il giro del mondo in 80 giorni' di Jules Verne. 
° Fleet Street è un riferimento a Sweeney Todd. 
° Emma è una ladra, Irene Adler anche, potrebbe funzionare? Spero di sì.
° Annie Miller è la modella che lavorò con la Confraternita dei Preraffaelliti, ovviamente non è morta in queste circostanze.







// NdA:

Salve fandom! ^^
Eccomi qui a proporre una AU in cui potrete vedere interagire alcuni personaggi di Ouat in un'ambientazione decisamente particolare, quale quella della Londra vittoriana. Come ho detto nell'introduzione saranno inserite personaggi quali: Dracula, Dr Jekyll e Mr Hyde, Dorian Gray principalmente. La data è  molto generica, quindi non c'è accuratezza precisa con il periodo storico. 
Questo primo capitolo è più una sorta di introduzione, il prossimo verrà pubblicato agli inizi di dicembre. Se volete seguire gli aggiornamenti, conoscere i volti dei nuovi personaggi, potete iscrivervi al gruppo sulle mie storie ----> https://www.facebook.com/groups/507038592717142/
Alla prossima!  

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Capitolo 2
*** Fleet Street ***





II 

Fleet Street 











Incubi, sempre gli stessi. Non riuscì a dormire nemmeno quella notte, avvolta da sogni che la tormentavano sin da quando era appena una bambina. Suo padre era sempre presente quando si rendeva conto di quanto sua figlia temesse di addormentarsi la notte, a causa di quello che avrebbe incontrato nei suoi viaggi notturni. Le mancava terribilmente stringere la sua mano e sentire il calore della sua vicinanza che le dava sicurezza. Ora non aveva più nient’altro che se stessa, ogni mattina si svegliava da sola nel suo letto, sapendo che suo padre non aveva vegliato su di lei. Anche quel giorno si alzò affannata e pallida, reduce da un incubo che non l’aveva lasciata libera nemmeno un istante. Arrotolò le lenzuola fino alla fine del materasso e saltò giù dal letto per potersi lavare il viso e rinfrescarsi, di modo che potesse svegliarsi del tutto per mettere da parte immagini più simili a dei ricordi. Jefferson le raccontava che quando era bambino, sua madre gli suggeriva di sussurrare i suoi incubi al sole che sorgeva di primo mattino, perché la nuove luce portasse via con sé tutte le preoccupazioni. Ma Alice non si svegliò presto e non aveva candele da accendere per lasciare lì i propri sogni. Una delle cameriere entrò per poterla aiutare a prepararsi e scendere a fare colazione, da sola come ogni giorno, poiché difficilmente riusciva ad incontrare Jefferson prima dell’ora di pranzo.
In compenso però la cena della sera prima era stata piuttosto soddisfacente, infatti aveva avuto modo di conoscere meglio il Dottor Frankenstein e la sua storia, se fosse stata un romanzo avrebbe di certo avuto molto successo. Jefferson non aveva gradito la trovata di Alice e soprattutto il suo essersi immischiata in una questione che non la riguardava, ma per una volta avrebbe agito di testa sua. Ritrovare il fratello del dottore era ormai una missione e non si sarebbe di certo arresa di fronte a niente. Era riuscita a strappare tutte le informazioni necessarie a riguardo e avrebbe iniziato dal principio, come aveva detto, dai quotidiani.
Quando scese al piano di sotto per consumare la colazione, Silas il maggiordomo entrò per poter lasciare sul tavolo ‘The Illustrated London News’ come richiesto dalla signorina che smaniava di scovare notizie interessanti che potessero tornarle utili. Mentre addentava uno dei biscotti andò alla ricerca delle pagine riguardanti la cronaca nera e subito un articolò le risaltò agli occhi: l’omicidio di Annie Miller avvenuto per strangolamento, conosciuta come modella di Mr William Holman Hunt. Alice andò immediatamente a piè di pagina e lesse il nome di un giornalista che le era ben noto. Lei e John Darling erano amici sin dall’infanzia. Sorrise all’angolo delle labbra mentre appoggiava i gomiti sul tavolo e i pugni all’interno delle guance morbide, assumendo un’espressione buffa ma al tempo stesso assolutamente interessata all’articolo.
- Da quando hai iniziato a leggere i quotidiani? – la voce di Jefferson la richiamò e quando alzò gli occhi incontrò la figura di lui appoggiata allo stipite della porta.
Aveva l’aria assonnata e le occhiaie accompagnavano il pallore del viso, anche i capelli scompigliati lo rendevano poco presentabile a quell’ora del giorno. Di solito era sempre molto mattiniero.
- E’ una cosa che faccio ogni giorno, Jefferson. Inoltre non perdo mai gli articoli di John – sorrise Alice che andò a versare il tè in una tazza.
Jefferson curvò le sopracciglia e piegò le labbra in una smorfia.
- Di Mr Darling, volevi dire – la rimbeccò con un certo fastidio, facendosi avanti per sedersi a capotavola in modo poco elegante.
Alice sollevò gli occhi al cielo e sbuffò senza rispondere, allora Jefferson andò a prendere il biscotto che lei stava per addentare e glielo rubò per mangiarlo immediatamente.
- Quello era mio! – esclamò fintamente infastidita.
- Brava Alice, hai imparato ad usare i tempi verbali – scherzò lui con un ghigno prima di rivoltare il giornale verso di sé per leggere l’articolo di Mr Darling.
Durante la lettura si morse il labbro inferiore, gli occhi si adombrarono e poi la serietà della sua espressione mutò con uno sbadiglio rumoroso.
- Detesto gli articoli di John Darling, raccontano solo la verità e non c’è nulla di interessante in tutto questo – gettò il quotidiano sul tavolo e portò le mani dietro la nuca.
Alice schiuse la bocca e poi batté un pugno sul tavolo, alzandosi in contemporanea e quasi fece rovesciare la tazza di tè sul tavolo.
- Un giornalista dovrebbe fare proprio questo Jefferson, riportare i fatti per come sono. L’inventiva appartiene agli scrittori – difese il suo amico a spada tratta, cosa che non piacque per niente al suo interlocutore.
- In ogni caso è tardi e dobbiamo andare al Rabbit Hole per accertarci della situazione. Ho fatto spedire un biglietto al Dottor Frankenstein, ci raggiungerà a Fleet Street appena possibile – comunicò Alice riprendendo il giornale per poter afferrare la pagina desiderata.
Jefferson non ebbe modo di replicare, quando Alice prendeva una decisione non vi era nulla che potesse farle cambiare idea. Era dannatamente testarda.
Si ritrovarono in carrozza per potersi recare a Fleet Street, Jefferson non si sentiva affatto dell’umore adatto, infatti se ne stava seduto con le braccia incrociate e una smorfia imperturbabile sulle labbra. Alice si mordeva l’interno della guancia in attesa di qualche illuminazione a riguardo, nonostante non le venisse in mente nulla di utile.
- Credi che possa esser stato il Mostro ad uccidere quella donna? – domandò Jefferson spezzando il silenzio che si era creato.
La carrozza incappò in un ostacolo ed entrambi i passeggeri sobbalzarono, ma erano abituati alle vie impervie di Londra.
- Non lo credo, ne sono certa – rispose Alice che spostò lo sguardo su di lui mentre stringeva il soprabito azzurro che non si era presa la briga di chiudere – da quel che sappiamo il padre del dottore è morto per strangolamento, se qualcuno lo ha sguinzagliato deve aver lasciato almeno delle tracce e voglio chiedere informazioni a riguardo.
Jefferson sospirò portando una mano sul viso per coprire lo sguardo annoiato. Lui doveva solo proteggerla e non seguirla in tutte quelle sue follie, inoltre in quel modo rischiava di perdere di vista qualcosa di molto più importante, come la Compagnia commerciale di Lord Ascot che un tempo apparteneva a suo padre.
La durata del viaggio fu breve, gli odori sgradevoli di quel luogo si insinuarono nelle loro narici, Alice inoltre non era abituata ad intromettersi in un mondo così lontano da quello in cui era abituata a vivere. Quando discesero dalla carrozza finì con i piedi in una pozzanghera e le suole degli stivaletti si inumidirono tanto da farle provare un brivido di freddo.
Furono costretti a sorvolare dall’altra parte della strada poiché una carrozza per poco non li investì, probabilmente il conducente era ubriaco e non mancò di farlo notare quando gettò a terra una bottiglia che si schiantò quasi accanto a loro.
- Detesto questo posto – disse Jefferson stringendo i denti con furore mentre agganciava il braccio di Alice alla propria mano per trascinarla lontana da tutti quei pericoli.
- Non sapevo che lo avessi frequentato – sogghignò Alice prima di posizionarsi accanto a lui – se non fai caso ai bambini che tentano di rubare i pochi spiccioli che hai dietro, non è una zona così ostile – si fermò all’improvviso di fronte alla vetrina di un negozio e sospinse il naso in avanti per poter guardare all’interno – Jefferson, guarda! Qui vendono pasticci di carne, perché non ne prendiamo uno? Possiamo mangiarlo mentre ci dirigiamo al Rabbit Hole – sorrise lei con entusiasmo.
Jefferson alzò gli occhi per poter incontrare l’insegna del negozio e leggervi: “Mrs Lovett”. Deglutì a vuoto e appoggiò una mano sulla spalla di Alice.
- Io non credo che vorrai mangiarlo dopo che ti racconterò la storia – le sussurrò all’orecchio per poterla trascinare via senza altre obiezioni.
Durante uno dei periodi più sofferti e in cui la povertà era cresciuta a dismisura, molti utilizzavano la carne dei gatti randagi per riempire i pasticci da mettere in vendita. Quando i gatti terminarono, il mercato della carne di Fleet Street peggiorò a dismisura. Mrs Lovett fu costretta ad utilizzare la carne umana per mandare avanti la propria attività e si affidò alla latente follia che affliggeva un certo Sweeney Todd, un barbiere che alloggiava al piano di sopra e con cui si era messa in affari.
- Che fine hanno fatto? – domandò Alice apparentemente sconvolta, non ricordava di aver letto nulla di simile sui quotidiani ma forse accadde quando era troppo piccola per esserne a conoscenza.
- Mrs Lovett è stata trovata cremata in uno dei suoi forni mentre al barbiere è stata tagliata la testa. Scotland Yard non è mai riuscita a trovare l’assassino, probabilmente doveva trattarsi di qualcuno che aveva scoperto la loro attività immonda e ha deciso di farli fuori – non sembrava per niente convinto ma non era interessato a risolvere i casi che angustiavano il quartier generale della polizia, si limitava solo a trarre le conclusioni da ipotesi tutte sue.
Alice si inumidì le labbra e preferì non proseguire quell’argomento, anche perché al momento doveva concentrarsi su un caso completamente diverso.





 
**






Graham ed Emma si ritrovarono di fronte allo studio di Mr William Holman Hunt per indagare sull’accaduto. Pare che il pittore fosse venuto a conoscenza della morte di Miss Miller a notte inoltrata e si fosse recato al Rabbit Hole alla ricerca di informazioni, ma ciò che fece andò ben oltre, poiché massacrò a suon di pugni il locandiere e qualche cliente che lo aizzava per creare una rissa in cui immischiarsi.
Graham bussò alla porta in modo perentorio per poi nascondere il mento all’interno del soprabito, l’inverno stava arrivando e la temperatura si abbassava ostinatamente.
- Cosa sappiamo di lui? – gli domandò Emma in attesa che qualcuno li facesse entrare.
- Girano voci piuttosto contrastanti. Pare che sia un uomo molto religioso ma al tempo stesso si fa comprare dalla lascivia. Frequenta spesso i Vauxhall Gardens assieme agli amici della Confraternita e ti lascio immaginare che cosa non accada in luoghi simili. Inoltre è piuttosto famoso nei circoli di pugilato, ama prendere parte alle risse – sussurrò Graham che fu costretto a bussare ancora una volta.
Emma inarcò un sopracciglio e provò a trarre qualche conclusione a riguardo.
- Un credente che vive nel peccato, cerca di espiare la sua natura violenta con la fede: non mi stupirei se fosse stato davvero lui ad uccidere Annie Miller – rispose lei fin quando la porta non si aprì di scatto.
- Và all’inferno, Gabriel! – sbraitò all’improvviso un uomo dalla barba incolta, il cui pallore risultava inquietante se messo a confronto con gli occhi liquidi e pieni di rancore.
La rabbia, l’odio, la sofferenza trapelavano da ogni poro della pelle e il suo sguardo era carico di fastidio, avrebbe potuto staccare la testa al primo malcapitato se ne avesse avuto l’occasione. Ma quando si ritrovò davanti la coppia dei due investigatori di Scotland Yard la sua espressione mutò e divenne più cupo, andò a leccarsi le labbra e si appoggiò allo stipite della porta.
- Voi non siete Gabriel, decisamente – si scusò e andò ad incrociare le braccia al petto.
- Immagino che per voi sia una buona notizia visto che lo avete appena mandato all’inferno – aggiunse Emma che aveva preso a studiarlo attentamente.
- Chiunque siate non sono in vena di perdere tempo, vi prego di andarvene – l’uomo fece per chiudere la porta e tornare nel suo studio, ma Graham intercettò il movimento e vi incastrò il piede così da far rimanere la soglia aperta.
- Non prima di aver risposto a qualche domanda: stiamo investigando sul caso Miller, vorremmo che collaboraste per aiutarci nelle indagini – disse Graham che si fece spazio per poter varcare l’ingresso, nonostante l’uomo cercasse di rispedire entrambi indietro.
- Siete di Scotland Yard? – i suoi occhi si posarono sulla figura di Emma, poco incline a credere che una donna potesse farne parte, la confusione nella sua testa era estrema.
- Esattamente, invece voi siete William Holman Hunt e fate parte della Confraternita dei Preraffaelliti – spiegò Graham che era riuscito a cavare qualche informazione a riguardo.
William non fu lieto di invitare quelle persone all’interno del suo studio, soprattutto perché aveva ancora il sapore del sangue sulla lingua e sul palato dover aver rivoltato il Rabbit Hole quella notte stessa. Quando Dante Gabriel Rossetti era andato ad informarlo della morte di Annie, la sua adorata Annie, aveva gettato all’aria gran parte dell’arredamento povero dello studio ed era corso a Fleet Street per accertarsi che fosse stata proprio Annie ad essere uccisa.
Non si sarebbe mai perdonato, mai.
Emma prese a girare per lo studio del pittore, analizzando ogni angolo di modo che potesse ricordare qualunque particolare che in futuro l’avrebbe aiutata nelle indagini. Si soffermò per un istante di fronte ad un quadro che era ancora posizionato sul cavalletto e coperto a metà da un pezzo di stoffa bianca. Cercò di alzarla per poter spiare, ma William si intromise e la riabbassò di modo che non potesse guardare la sua opera.
- Vi ho concesso di entrare soltanto perché voglio che l’assassino della mia Annie venga trovato, quindi vedete di porre in fretta le vostre domande e andarvene. Devo organizzare un funerale – disse a denti stretti lanciando uno sguardo carico di astio verso Emma che si costrinse a mettere da parte la curiosità.
Graham portò le mani ai fianchi e decise di non perdere tempo per andare direttamente al punto.
- Che rapporto correva tra voi e Miss Miller? Non tralasciate nessun dettaglio – domandò mentre andò a sedersi su uno sgabello ed incrociò le braccia al petto.
William si leccò le labbra e lanciò uno sguardo verso il separé dietro cui Annie si era cambiata le prime volte che era entrata in quello studio, dopo poco più di una settimana non aveva avuto bisogno di quello spazio intimo per farlo, visto che si era gettata tra le braccia del pittore con un certo ardore.
- La conobbi al Rabbit Hole quando lavorava ancora come cameriera – iniziò a dire William mordendosi l’interno della guancia, distratto più dai movimenti di Emma che era intenta a selezionare ogni oggetto sospetto nel suo studio ma non avrebbe trovato molto se non ricordi e disperazione – i suoi capelli color tiziano, i suoi occhi verdi, la sua carnagione chiara: doveva essere la mia modella. Ero tentato da lei e nonostante abbia cercato a lungo di tenermi lontano dalla passione e dell’irruenza del mio essere maschile, ho ceduto al suo fascino e alla sua insistente femminilità. All’inizio credevo di poter gestire la nostra relazione peccaminosa in modo graduale, ma poco a poco ho finito per innamorarmi di lei: perdutamente. Cosa accadde in seguito? Un errore dopo l’altro, discussioni infinite e tradimenti da parte sua che si susseguirono in più occasioni. Io volevo cambiarla, volevo renderla una donna colta per farla uscire dalla marmaglia del suo mondo e renderla una donna adatta a me, una donna che non mi sarei vergognato di sposare – la voce si incrinò appena ma trovò la forza di andare avanti – ma Annie non voleva diventare la donna che avevo nella mia testa, lei era libera e sicura di sé. Ho intrapreso un viaggio durato circa un anno e sono tornato con l’intenzione di sposarla, solo che lei ha preferito aderire alla richiesta di un gentiluomo di gran lunga migliore di me.
Emma rimase immobile ad ascoltare tutto il racconto e lanciò uno sguardo a Graham che parve annuirle, nonostante i loro sguardi non riuscirono ad incrociarsi abbastanza da scambiare mutevoli considerazioni.
- Quando è venuto a conoscenza del fidanzamento di Miss Miller? – domandò Emma che si fece sempre più interessata.
William inarcò un sopracciglio ma non evitò di rispondere.
- Due giorni prima della sua morte. Abbiamo litigato furiosamente e lei è scappata via dicendomi che non avrebbe più voluto vedermi – strinse con forza i pugni delle mani, gli occhi si inumidirono di lacrime ma era evidente quanto desiderasse fare a pezzi l’intera stanza con tutti i ricordi di lei che vi erano rimasti.
- Dove eravate la notte dell’omicidio, Mr Hunt? – chiese Graham che non si fece intenerire da quella debolezza, aveva visto la morte con i suoi occhi e aveva incontrato persone che avevano sofferto per la perdita dei propri cari. Non gli era difficile mantenere la calma, così come Emma riusciva ad essere fredda e razionale.
William sollevò il viso su di lui ed inclinò appena la testa.
- State insinuando che sia stato io ad uccidere Annie? – il tono della voce si fece rabbioso.
Emma si parò immediatamente di fronte a lui, muovendo il lungo abito mirtillo dietro di lei, come a volersi intromettere tra i due interlocutori.
- Non abbiamo insinuato nulla, Mr Hunt. Ma è evidente che siate molto preoccupato da questa eventualità. Nascondete forse qualcosa? – cercò di sfidare il suo sguardo.
William strinse i pugni della mani con forza, conficcando le unghie nei palmi, avrebbe sanguinato se solo non si fosse trattenuto.
- Come osate accusarmi di una simile brutalità? Io amavo Annie, non le avrei mai strappato la vita! – afferrò le spalle di Emma ed iniziò a strattonarla.
Quando Graham si avvide di quel movimento si avventò su di lui per spintonarlo via e liberare la compagna da quella morsa di disperazione.
- Pare che non sappiate controllare le vostre emozioni, inoltre siete l’unica persona che avrebbe potuto volere la morte di Miss Miller. Se così non fosse lo scopriremo molto presto, ma rimarrete il primo indagato. Vi conviene collaborare serenamente con noi se non preferite finire in gabbia prima della soluzione del caso – lo minacciò Graham abbastanza da spaventare William che di certo non desiderava nulla del genere.
- Mr Hunt al momento è confuso e forse non ha ancora smaltito la sbornia – disse Emma indicando uno dei bicchieri contenenti del whiskey – lasciamo riflettere per qualche giorno, torneremo a fargli domande quando si sentirà pronto – così facendo appoggiò una mano sull’avambraccio di Graham.
William non riuscì a muovere un muscolo e si costrinse a rimanere calmo, nonostante avrebbe desiderato prendere a calci quell’uomo che pareva identificarlo con l’assassino.
- Così sia. Prendetevi un po’ di tempo e schiaritevi le idee. Buona giornata Mr Hunt – si convinse Graham per poi indicare ad Emma di appropinquarsi all’uscita dello studio che iniziava a diventare un luogo troppo stretto.
Lasciarono Hunt da solo, a sprofondare in un abisso di dolore, con un nuovo impegno da portare avanti.
Emma e Graham tornarono alla carrozza che li avrebbe condotti a Scotland Yard, avevano molto su cui riflettere, soprattutto riguardo al pittore con cui avevano finito di parlare.
- Credi che sia stato lui? – domandò Graham mentre la aiutava a salire in carrozza.
Emma gli lanciò uno sguardo contrariato poiché non era affatto certa.
- Non riesco a capirlo, sembra che il mio potere in questo caso non abbia avuto efficacia. Teniamolo comunque d’occhio, quello scatto d’ira non mi è piaciuto affatto.






 
**


 
 
 
Il Dottor Frankenstein si trovava davanti all’ingresso del Rabbit Hole rivestito di un lungo soprabito abbottonato con una certa cura e attenzione. Teneva le mani incrociate sul ventre, in attesa dell’arrivo di Miss Alice Kingsley e di Mr Jefferson che non tardarono ad arrivare.
Si respirava a fatica in quell’aria così tetra, soprattutto nel luogo in cui era avvenuto l’omicidio, proprio sul retro del Rabbit Hole. Le tracce di sangue erano rimaste a congelarsi con il freddo notturno ma il corpo di Annie Miller era stato trasportato via soltanto all’alba per gli ultimi accertamenti di Scotland Yard.
- Siete in ritardo – comunicò il dottore quando li vide arrivare.
Jefferson non mancò di aggrottare le sopracciglia e sbuffò con un certo fastidio.
- Io non credo, soprattutto perché è colpa tua se ci troviamo qui ora – gli rinfacciò nonostante Alice lo fermò perché evitasse di continuare.
Durante la cena della sera precedente non avevano fatto altro che battibeccare su qualunque questione e non ne poteva più ascoltare i loro vaneggiamenti, quando avevano un caso da risolvere.
- La locanda è aperta? Dobbiamo parlare con il proprietario e conoscere i nomi di coloro che ieri sera hanno potuto osservare il corpo della giovane donna – si intromise Alice posizionandosi tra Victor e Jefferson.
Il dottore rispose con un’alzata di spalle, non aveva ancora posto domande ad alcuno in attesa che entrambi giungessero. Dunque Alice si costrinse a fare il primo passo e si introdusse all’interno della locanda che per loro fortuna aveva già aperto i battenti e al suo interno non trovarono che gli ultimi ubriachi della notte precedente, cameriere che ripulivano i pavimenti ed un uomo che se ne stava dietro al bancone con il volto tumefatto.
Quando vide arrivare i tre sollevò gli occhi su di loro e sputò a terra appoggiando le mani sulla superficie di legno.
- Desiderate?
- Siamo qui per porvi alcune domande – disse Alice che si ostinava a farsi avanti, nonostante fosse assolutamente sconveniente trovarsi in un luogo simile e partecipare ad indagini non legalizzate.
Il locandiere posò lo sguardo su Jefferson e il Dottore che rimanevano in silenzio e poi passò a studiare Alice la cui aria da brava ragazza non lo rassicurava molto. Dopo la notte che aveva passato, prima con l’omicidio di Annie e poi con la furia di William Hunt, voleva soltanto starsene tranquillo.
- Ho già dato le mie risposte a Scotland Yard, non ho alcun interesse a parlare con voi: immagino che siate qui per l’omicidio – concluse immediatamente mentre posava uno strofinaccio sul bancone.
Jefferson si sedette su uno sgabello ed incrociò le braccia per guardarlo meglio negli occhi. Il Dottor Frankenstein, che aveva già compreso ogni cosa, sbuffò e lanciò un sacchetto di monete davanti a lui perché potesse controllarne il contenuto.
- Gli esseri umani sono così prevedibili.
- Anche io voglio essere pagato per quello che sto facendo – sussurrò Jefferson verso di lui, ma ricevette solo una gomitata poco elegante da parte di Alice per farlo zittire.
Il locandiere controllò la quantità di monete presenti  nel sacchetto e sorrise all’angolo della bocca per poi riporre tutto nelle proprie tasche come se nulla fosse accaduto.
- Seguitemi.
Così facendo intrapresero il passo al di fuori della locanda, lì dove era avvenuto l’omicidio. Il colore tetro del sangue macchiava la strada grigia e buia che conduceva in uno dei vicoli più interni del quartiere: ciò richiamò all’attenzione Jefferson che iniziò a porsi immediatamente delle domande.
- Non so chi voi siate e perché siate interessati alla morte di Annie, ma io tenevo molto a quella ragazza. L’ho cresciuta come una figlia e vederla svanire tra le dita è stato un duro colpo.
Il dottore si avvicinò per studiare le macchie di sangue ormai secche e vi passò sopra un dito per saggiarne la consistenza.
- Cosa potete dirci a riguardo? – domandò Alice che sembrò appena turbata da quella visione.
Si dice che il respiro della morte impregni i luoghi in cui il sangue è stato sparso e difficilmente si potranno lavare via le macchie.
- So che non ho detto tutto a quelli di Scotland Yard – sputò a terra con una certa rabbia – loro non fanno che nasconderci la verità: sempre. Ho trovato Annie riversa proprio lì, in quel lago rosso ed era evidente che fosse stata strangolata. Chi l’ha uccisa doveva essere un mostro – sibilò tanto da far scuotere Victor che si inumidì le labbra per l’agitazione improvvisa – non l’ha risparmiata e l’ha soffocata senza permetterle di fuggire. Deve averla anche accoltellata poiché il corsetto era sporco di sangue anche se non era lacerato, non ho avuto modo di controllare io stesso .
Jefferson ascoltò con attenzione, dunque quelle macchie di sangue non potevano che essere strane visto che il Mostro avrebbe potuto uccidere solo per strangolamento e qualcuno doveva averlo guidato e accompagnato.
- C’è dell’altro, non è così? – intervenne Victor che non si sentiva affatto tranquillo, continuava a tenere le mani chiuse nel soprabito avvolte da guanti in pelle. Non aveva freddo, lui non lo soffriva mai, ma in quel momento avvertì un brivido corrergli lungo la schiena.
Non potevano essere certi che quell’omicidio fosse causato proprio da suo fratello, non avevano abbastanza prove e soprattutto senza visionare il cadavere era piuttosto improbabile riconoscere i segni di strangolamento. 
Il locandiere osservò Alice, l’unica che pareva avere del sale in zucca e le porse un biglietto dopo averlo ricercato a fatica.
Gli Oscuri Padroni della Notte assaporano il sangue della loro prima vittima.
Il viso di Alice si adombrò e le mani tremarono, tanto che Jefferson fu costretto a strapparle il biglietto per poterlo leggere, di rimando fece lo stesso Victor quando se lo vide passare.
Sprofondarono in un lungo silenzio: non poteva esserci altra spiegazione, dei folli stavano utilizzando il Mostro per chissà qualche lugubre scopo. 










// NdA: 



Ed eccoci qui con il secondo capitolo! 
Come avete potuto notare ho inserito la figura di William Holman Hunt, pittore facente parte della Confraternita dei Preraffaelliti. 
Non è entrato ancora in scena Hook ma tranquille, nel terzo capitolo farà il suo ingresso, si sente troppo la sua mancanza.
Spero di riuscire ad aggiornare a fine dicembre, mal che vada i primi di gennaio il terzo capitolo sarà già online. 
Se vi va di seguire gli aggiornamenti della storia o sfogliare gli album dei personaggi potete iscrivervi al gruppo ----> 

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Grazie per chi ha recensito e ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Alla prossima!
 

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