Stelle Buie

di WrongandRight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~Present: In trap~ ***
Capitolo 2: *** ~Past: Family~ ***
Capitolo 3: *** ~Future: Escaping~ ***



Capitolo 1
*** ~Present: In trap~ ***


Buondì a tutti! Questa ff è nata appositamente per un Contest, molto particolare e per il quale ringrazio la creatrice, visbs88, (che ha avuto molta pazienza con me U_U e, soprattuto, grazie alla quale ho potuto pubblicare una storia del genere a cui forse mai avrei pensato).
La particolarità stava nello scegliere un pacchetto carico di Prompt e crearci una storia. E' stato molto divertente dal mio punto di vista, quindi sono felice di aver partecipato.

Come al solito: i personaggi appartengono agli aventi di diritto, Katsura Hoshino in questo caso.
La ff è divisa in tre capitoli, di cui il secondo ed il terzo sono legati al primo, ma non strettamente tra loro.
Spero che il racconto possa in qualche modo interessarvi e, naturalmente, sono apprezzati tutti i commenti del caso! xDD

Dunque....buona lettura! ^_^




Stelle Buie





~Present: In trap~

La prigione in cui il giovane esorcista si trovava era stretta e buia.
La prigione in cui lui ed il suo amico erano chiusi era umida, fredda ed isolata dal mondo.
Le crepe nei muri facevano pensare ad una qualche possibilità di fuga, ma la verità era che nemmeno la sua Innocence poteva farlo uscire da lì.

Una finestrella, accuratamente chiusa da una grata di ferro, lasciava filtrare i raggi della tenue luna che candida cullava la notte. Ignara di quel che accadeva sotto di lei ed allo stesso tempo cosciente di tutto.
Gli innaturali capelli bianchi del ragazzo spiccavano in quell'angusto spazio, dove il tempo sembrava perdersi nel nulla, ed i suoi occhi, resi languidi dalle lacrime mai cadute e dal dolore represso e nascosto dalla sua sorridente maschera di gentilezza, vagavano nel nulla, cercando pace nel suo spirito.
Quella luna color latte nel mezzo del cielo senza stelle fece sobbalzare il suo stanco cuore. Una notte come quella l'aveva già vissuta, molti anni prima. Era sfocata nella sua memoria... Si poteva più definire un ricordo d'infanzia che non un vero brandello della sua storia.

Tese la mano quasi a voler fermare quel momento che tentava di scivolare via.
Ma, man mano che si concentrava sui tenui raggi e sull'aria che passava loro attraverso, chiazze di colore facevano la loro comparsa nella sua mente. Un velo di malinconia scese sulla sua figura ancora non cosciente di ciò che stava andando a ripescare in quegli antri bui. E ricordò: di quella sera... Del suo maestro... Tanto tempo prima...



“Muoviti moccioso!”
La voce del maestro Marian Cross era imperiosa, decisa. I suoi occhi infuocati guardavano il bambino che dietro di lui arrancava il passo a causa del freddo e della lunga camminata che avevano affrontato. Certamente il ribelle generale non aveva intenzione di rallentare il passo, di fermarsi o di aiutare la piccola creatura dietro di lui.
Una missione? Un allenamento speciale? Un presagio?
Niente di tutto ciò. Semplicemente voleva togliersi i creditori dalle calcagna e sparire prima che la polizia locale chiedesse di lui in tutte le bettole della città.
“Ma... Maestro! Io non ce la faccio più! Non possiamo fermarci due minuti? La prego...”
Il visino dolce ad affaticato della creatura per poco non fece crollare la determinazione dell'uomo. Per poco.
“Allen, smettila di fare il bambino insolente e muovi quei piedi! Non abbiamo tempo da perdere!”

Il piccolo mise il broncio, gonfiò le guance e piantò i piedi al suolo. Non si sarebbe mai permesso di farlo con nessun altro. Era un bambino gentile lui. Rispettava sempre gli altri e soprattutto gli adulti, come gli aveva insegnato Mana. Ma quell'uomo proprio gli dava sui nervi! Non si curava minimamente di lui, eppure era costretto a seguirlo! È vero, gli aveva salvato la vita... Ma con questo? Non poteva prendersi tutte le libertà del caso!

 

“No! Io sono stanco! E non morirò per colpa dei vostri stupidi giochi d'azzardo!”
“Ragazzino insolente! Lo sai quanti anni hai? Non dovresti parlare così ad una persona molto più anziana di te!”
Il bimbo tirò fuori la lingua e fece una sonora pernacchia allo scommettitore incallito.
La scena sarebbe potuta risultare comica se non si fosse svolta dopo lo scoccare della mezzanotte, in una stradina sterrata deserta e completamente al buio. Ed accanto ad un vecchio cimitero.
L'ira dell'esorcista fu diretta ed inaspettata.
“Come ti permetti?! Mana non ti ha insegnato l'educazione?! Sarebbe sicuramente disgustato dal tuo comportamento!”

Gli occhi di Allen si inumidirono e un piccolo singhiozzo percorse il suo corpicino mentre con voce fievole chiedeva scusa. Al ricordo del suo padre adottivo ed al pensiero che lui potesse essere deluso dal suo comportamento, tutte le sue lamentele cessarono. Abbassò il capo e iniziò a camminare. Dimenticò quindi del prato fiorito che avevano oltrepassato qualche minuto prima ed andò ad affiancare l'uomo.
Questi, intanto, si era accorto della durezza delle sue parole. La rabbia aveva parlato per lui ed aveva inferto quel colpo all'anima sofferente che ora gli si avvicinava. In fondo anche lui non avrebbe voluto parlare di Mana... La sua morte era ancora tabù. O quasi.
Guardò in giù e, dopo essersi acceso un sigaro, fece crollare la sua boria. Per quella sera poteva anche fingersi padre.

 

“Lascia perdere mammolletta. Tanto, come minimo, ti accascerai al suolo tra qualche minuto, quindi è meglio se facciamo una pausa ora.”

 

Voltò le spalle al bambino ed iniziò a camminare in direzione opposta a quella che stavano seguendo precedentemente. Affiancò il tetro cimitero e andò avanti.
“Seguimi. Non stare lì impalato, o prenderai freddo.”

 

I due tornarono indietro di qualche metro. Proprio lì. Proprio al prato fiorito di prima, una distesa di ciclamini e crisantemi che combattevano contro le temperature ormai quasi invernali.
Allen Walker non credeva a quello che stava accadendo. Il suo mentore gli aveva accordato una pausa e, per di più, lo stava portando lì dove voleva lui. In mezzo ai colori un po' sfumati dal buio delle piante... In mezzo a quella calma che il suo cuore anelava. Tra il rosso della passione, il giallo della conoscenza, il rosa della vitalità ed il cupo viola del pensiero. Dove tutto si univa alla lattea luce lunare ed al nero dell'oblio. Vide il suo maestro sedersi appoggiato ad un albero, e lo seguì.
Lo imitò e si mise affianco a lui, a qualche decimetro di distanza per non provocare la sua ira. Era un tizio capriccioso, il suo maestro.
Ma era felice di essere lì, con lui. Il suo salvatore che l'aveva tolto dalla strada e che, anche se in maniera un po' dubbia, si era preso cura di lui.

 

Dopo qualche attimo di esitazione, in cui i due si godettero l'aria della notte e rilassarono i muscoli affaticati, Marian, soffiando via il fumo che gli raschiava la gola, guardò in alto e si rivolse all'allievo.
“Allen..ti sei mai chiesto... Ti sei mai chiesto perché esistono le stelle?”
Un vento freddo accarezzò i volti dei due e riportarono il silenzio interrotto da quei pensieri.
Aveva paura a rispondere. Chissà dove voleva andare a parare...

E poi lui... Ci aveva mai pensato? No. Onestamente no.

“No, maestro. Non ci ho mai pensato.”
“E adesso, cosa ne pensi?”

Passò ancora qualche attimo di silenzio.

“Penso che siano lì perché l'universo è nato così. Non deve esserci un perché, no? Sono semplicemente degli oggetti luminosi nel cielo.”
“Quindi non credi che possano essere stati messi per guidare l'uomo nelle notti buie?”

Il ragazzino meditò un po' su quelle parole per poi dare la risposta nella maniera più semplice ed onesta che riuscì a dare. Era complesso esprimere i propri pensieri in maniera semplice, soprattutto se lo facevi per farti capire da qualcun altro... Non era abituato a dar voce a ciò in cui credeva.

“Sinceramente... Non saprei. Sono lì. L'uomo le usa per orientarsi, per vedere nella notte. L'uomo le usa per consolarsi quando è triste, per passare una serata con la persona amata...ma...ma le stelle non lo fanno per loro. Lo fanno perché è la loro natura, lo fanno perché sono nate così.”

Sentì una mano poggiarsi sul suo capo e scompigliargli i capelli. Il dolce e caldo tocco dell'esorcista diffuse un po' di tepore nel suo animo, quel tepore di chi si sente, almeno un po', accettato dal suo vicino. Il tepore di non sentirsi sempre nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

“Dunque se una di essa morisse... Cosa succederebbe?”
“Se una stella morisse?”
“Sì. Se una stella morisse. Se una stella diventasse buia e si confondesse col cielo.”
“Una stella buia?”

Il bambino scostò lo sguardo dal cielo e guardò in basso, verso l'orizzonte. La fronte corrucciata, di chi sta seriamente pensando alla domanda appena fattagli. Il vento agitava i suoi capelli color della neve e, dato il gelo, si poteva dire che la neve stesse per arrivare. Il fumo del sigaro del generale Cross si mescolava a quel vento e creava disegni strani, grigi e volubili, morenti il secondo dopo che erano nati.

 

“Be'... Penso che qualcuno ci farà caso... Ma non tutti. Ad alcuni dispiacerà, ma andranno avanti, continueranno a camminare. Continueranno a guardare le altre, di stelle. Per sognare non è necessaria per forza quella stella.”

 

Guardò il volto del mentore che, invece, guardava il vuoto.

 

“Agli uomini non importa che quella stella sia morta. A loro interessa l'utilità generica delle stelle, il significato generico delle stelle. Non la singola. Però... Quella stella buia avrà svolto il suo lavoro. Avrà brillato, avrà guidato tante persone ed ora andrà a riposarsi!”

Il volto di Allen si aprì in un grosso sorriso pronunciando quelle parole. Se non fosse stato così egoista da chiedere il ritorno del suo padrino, ora egli sarebbe tra le stelle, in pace. E forse in parte lo era, dopo averlo maledetto.
Marian si voltò verso di lui, lo guardò negli occhi e disse qualcosa che il piccolo non si sarebbe mai immaginato di sentire.

 

“Hai ragione. Sei buono Allen. Sei buono e saggio. Ricordati ciò che hai detto oggi, perché noi siamo come quelle stelle lassù nella volta celeste. Noi combattiamo per gli umani, li salviamo, ma non dobbiamo essere ringraziati per questo, non dobbiamo essere ricordati. Il nostro compito è quello di illuminare loro la strada e... E se un giorno dovessimo morire, pazienza! Il nostro compito l'abbiamo svolto, ed anche se nessuno le ricorderà il segno l'abbiamo lasciato e possiamo andarcene col cuore in pace”

Il giovane esorcista guardò la figura dai capelli rossi come il fuoco accanto a lui, guardò quella figura che stava bisbigliando nell'oscurità che forse aveva più paura di lui a rimanere da sola, e per un attimo giurò di aver visto passare la stanchezza nei suoi occhi. Il fuoco del sigaro faceva risplendere il suo volto che ora sembrava più pallido e più vecchio del normale.

Un sospiro uscì dalle sue labbra e poi, riprendendo il tono severo che gli apparteneva, anche delle parole.

“Andiamo, sfaticato. Abbiamo perso fin troppo tempo. Non vorrai che i creditori tornino ad inseguirmi, spero? Anche perché li lascerei nelle tue mani!”
Una risata triste sfuggì alla gola dell'uomo che intanto si era alzato e aveva ripreso a camminare.
Il bambino raccolse un fiore, un crisantemo giallo, e lo nascose nella giacca del giubbotto. Si alzò anche lui e trotterellando si mise nella scia del fumatore. Non voleva di certo finire a dover sistemare i casini di quel folle! Lo vide gettare il sigaro a terra e spegnerlo con la scarpa. Seguì i suoi movimenti e si addentrarono nella notte.


Avrebbe dovuto dirglielo allora. Non aveva capito esattamente di cosa stesse parlando Marian, quel giorno. Non aveva capito quanto importanti potessero essere quelle stelle buie.
Probabilmente anche lui stava diventando una di esse... Nessuno lo avrebbe più considerato un portatore di pace. Sarebbe morto. E se non fisicamente almeno nello spirito.
Avrebbe dovuto dirglielo che anche se una stella scompare il suo segno rimane. E se anche gli uomini non ne hanno memoria, le altre stelle ricordano tutto. Ricordano chi è scomparso e lo piangono e ne sentono la mancanza... Percepiscono quel vuoto... Quella mancanza di massa generatrice di attrazione gravitazionale che tiene unite le terre nel cielo.
Non era mai stato bravo con la scienza, quello era campo di Komui, ma era sicuro che queste stelle buie potessero avere effetti devastanti su quelle ancora accese...

Avrebbe voluto dirglielo al suo maestro che per lui era un secondo padre. Che per lui era una guida, nonostante fosse stato trattato come l'ultima ruota del carro.

Quella luna bianca, quella luce che ora era accecante per il peso che riportava nella sua memoria e sulle sue palpebre stanche... Era sicuro che Cross fosse lì, su quella luna, a vegliare su loro. Voleva sperarlo.
 

Una calda lacrima scorse sul viso del ragazzo maledetto. Un brivido freddo lungo tutto il corpo che niente aveva a che fare con l'umidità della cella.
In trappola, chiuso tra mura di pietra e mura di dolore.

Ringraziò di essere solo per poter sfogare la sua disperazione, senza maschere e senza pudore.

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Capitolo 2
*** ~Past: Family~ ***


I personaggi sono opera della meravigliosa mente di Katsura Hoshino.
In questo capitolo si respira l'aria dell'Ordine...ho cercato di mettere in risalto questa sensazione di famiglia, seppur non gioiosa, che vi dovrebbe essere al suo interno.
Perché proprio vivendo delle grosse avversità loro sono uno dei gruppi più eterogenei e, al contempo, uniti che ci sia.
Spero possa essere di vostro gradimento. ^_^



~Past: Family~

 

Quello che Walker mai si sarebbe aspettato di trovare era lì davanti ai suoi occhi quella mattina.
Si era svegliato leggermente più tardi del suo solito, conscio della mancanza di missioni o di allenamenti o di servizi da rendere all'umanità. Sarebbe ripartito tra qualche giorno, questa volta insieme a Crowley, e aveva intenzione di godersi il riposo che la base gli donava.
Ormai quella era casa sua. Ma non poté non rimanere stupito quando, strofinandosi gli occhi ancora assonati, vide comparire di fronte a se un vassoio carico di Mitarashi Dango.
E con carico s'intendeva una piramide di notevoli dimensioni che sovrastava il suo letto.

Dapprima ebbe un po' di timore. Che Kanda gli avesse giocato qualche brutto scherzo dopo che lui gli aveva nascosto uno di quei cuscini-puzzetta sperimentati da Johnny?
Ma non avrebbe mai speso così tanto per un semplice scherzo. MAI.
 

Che il suo chef preferito, Jerry il fantastico, avesse sentito così tanto la sua mancanza da fargli arrivare quei deliziosi manicaretti? O voleva forse evitargli la fatica di doverlo servire all'ora di punta della colazione?

Non lo sapeva e forse non lo avrebbe mai saputo, ma poco importava. Quella visione gli scaldò il cuore e fece apparire sul suo volto un enorme sorriso, ridendo al pensiero del povero disgraziato che si era affaticato a portare tutto quel ben di Dio nella sua camera e grato per il suo gesto.

Senza pensarci un attimo si fiondò sul piatto, famelico.
Nemmeno 5 minuti per far rimanere sul vassoio solo gli spiedini...Cosa poteva farci se amava i Mitarashi Dango?

Si vestì lentamente, indossando la divisa nera ed argento che li contraddistingueva dalla gente comune, andò a lavarsi la faccia e prese con se il piccolo Timcanpy, che iniziò a svolazzargli intorno per poi posarsi sulla sua spalla destra.
 

“Non sarai arrabbiato perché ti ho mangiato tutto il cibo, vero? Sei un golem! Non ne hai bisogno!”
Rise mentre osservava la strana creatura mettere il broncio e sbuffare. Come potesse una macchina provare sentimenti e capire gli uomini rimaneva ancora un mistero per lui.

Stirò le braccia e la schiena e spalancò la porta della sua stanza.
Iniziava una nuova giornata all'interno dell'Ordine.

Dopo aver riportato il piatto nelle cucine, dove il buon Jerry lo accolse con uno dei suoi caldi abbracci e con la lista dei manicaretti per il pranzo, si diresse verso la sezione scientifica, sperando di trovare Johnny, o almeno Reever.
Era sempre così. La gente andava e veniva, in continuazione. Non poteva mai sapere chi vi fosse dei suoi colleghi..dei suoi amici, in quel luogo. Del resto andavano tenute sotto controllo tutte le sezioni e ultimamente gli attacchi degli Akuma si facevano sentire sempre di più; persino i generali erano stati richiamati al loro dovere. Ovviamente si erano fatti vivi tutti tranne il suo maestro, e sarebbe toccato a lui andarlo a riprendere. Al pensiero il ragazzo esalò un enorme sospiro.
Quell'uomo lo irritava. E figurarsi se c'era una persona così paziente da prendersi l'incarico di andare a cercarlo!
Dunque, nel dubbio amletico di non trovare i suoi colleghi, chi andare a cercare se non quei buontemponi della sezione scientifica? In realtà erano sempre a lavoro, ma come si divertivano loro non lo faceva nessuno! Komui poi ne combinava una diversa ogni giorno, non si poteva mai stare tranquilli! Ma questo era un bene. Ci metteva davvero tutto il suo impegno per risollevare il morale ai suoi dipendenti, che finivano per decimarsi giorno dopo giorno.

 

I suoi passi riecheggiavano per l'infinito corridoio, sempre affollato. La gente lo salutava allegra, riconoscendo in lui il nuovo salvatore.
L'Innocence che partorirà un grandioso distruttore del tempo.
Se fosse stato lui a sconfiggere il Conte...avrebbe gioito. E veramente questa volta. Avrebbe vendicato Mana e sarebbe stato libero di quel peso che lo ancorava al suolo, che gli attorcigliava le budella.

Ma quel giorno sembrava lontano come quelle persone attorno a lui, che erano lì ed era come se non ci fossero.

Nonostante la sua lieta mattinata Walker non poteva fare a meno di sentirsi un estraneo. Aveva vissuto tutta la sua vita per strada ed ora che aveva una casa...o quello che più le somigliava faceva fatica a distinguere il reale dal sogno, il materiale dalle creazioni della sua mente. E il suo occhio non aiutava certamente a semplificare la situazione.

Raggiunte le stanze dove i cervelloni esaminavano dati ed eseguivano calcoli, somiglianti più a simboli demoniaci che non a scritte umane, continuò a gironzolare in cerca dei suoi amici.

Amici. Quella parola gli suonava ancora così strana...così poco familiare. ..Tutta quella fratellanza lo aveva scombussolato e non poco. E adesso, loro erano diventati la sua droga.
Lui aveva conosciuto la depressione, l'oblio, la disperazione e, dopo che si erano affacciati su di lui quelle persone che gli infondevano affetto gratuito, non voleva più tornare indietro. Aveva paura a tornare bambino, aveva paura di tornare indietro, perché una volta conosciuta la felicità di condividere i propri pensieri e le proprie ansie con dei pari il passato sembrava una nuvola nera, una tempesta pronto ad assalirlo nuovamente. Ma lui era un giocoliere, era un pierrot, e camminare sul filo all'orlo del baratro era ciò a cui era abituato. Non per questo più facile, ma almeno un po' più tollerabile.

“Allen! Sono qui! Sei venuto per giocare a scacchi? Ho preso un po' di tempo libero apposta per te!”
Il giovane occhialuto che gli corse incontro sbracciandosi come un pazzo gli rivolse un caloroso sorriso a trentadue denti. Sembrava quasi portare il sole con lui quel giorno. Anzi, sembrava portarlo quasi tutti i giorni. Era sempre così sincero ed altruista che si riteneva fortunato a conoscerlo.

“Komui diventa ogni giorno più folle...ti ricordi del Komurin II? Sembra che il capo sezione sia dovuto andare a sabotare almeno altre due macchine come quella ed ha dovuto bruciare degli strambi progetti nella sua stanza..ma piuttosto, come va? Tutto bene?”

Johnny sapeva sempre come prenderlo per il verso giusto. L'aveva invitato a giocare a scacchi, gli aveva parlato di Komui, gli aveva chiesto come stava. Nessun cenno alle missioni, nessun cenno al lavoro, nessun cenno ai continui morti.

“Benissimo John! Stamattina ho trovato un piattone di Mitarashi Dango nella mia stanza, è stato un risveglio eccezionale!”
“E chi è stato?”
“Ottima domanda! E voi avete mai pensato a rinchiuderlo con una guardia dentro per farlo lavorare seriamente?”
“Non credo sarebbe fattibile...tanto inizierebbe a parlare al telefono con il nulla come al solito..”

I due proseguirono chiacchierando amabilmente del più e del meno intanto che si dirigevano in una delle sale comuni. Incontrarono Kanda, con il suo solito sguardo truce, che li snobbò pacatamente guardando dall'altra parte. Oramai non era una novità. Ognuno in quel posto sopravviveva come poteva ed ognuno aveva assunto delle caratteristiche particolari e peculiari tali da farli sembrare lunatici, strambi o, addirittura, sgarbati ad un occhio esterno. Loro invece, all'interno, avevano instaurato una sorta di equilibrio, di uguaglianza, per la quale vivano in condivisione di beni e di comune accordo....beh, quasi tutti. Kanda era il solito lupo solitario con problemi di egocentrismo, a detta di Allen, ma perlomeno era facilmente manipolabile da Maire e Tiedoll, che insistevano sul fatto che il giovane avesse in realtà un cuore d'oro.

Notando i vasi nel corridoio, Walker si ritrovò a pensare che più o meno era così che erano: dei vasi stracolmi dei più disparati fiori dai colori più diversi e, nonostante il contrasto di quei colori così diversi e la quantità sovrabbondante, belli da vedere, armoniosi alla vista.

Lo scienziato lo risvegliò dai suoi pensieri, a quanto pare erano arrivati e lui non se n'era accorto...doveva imparare a focalizzarsi di più, non poteva permettersi di essere così distratto, anche se...qui poteva essere se stesso, non un gentiluomo ma un quindicenne un po' troppo maturo.


Passarono il pomeriggio così. In maniera tranquilla, senza preoccupazioni se non quelle del cavallo che attentava alla vita del re o della torre impossibilitata dall'arroccare mentre l'altro schierava la sua apertura alla siciliana. Trascorsero le ore senza accennare a smettere e senza sentirsi annoiati. Fu alle 16 che Linalee li trovò là dentro, mentre ridevano della povera difesa che il maledetto aveva creato per il suo re. Li chiamò per andare insieme alla mensa anche se era presto perché “domattina dobbiamo partire, sarà bene salutare tutti finché sono liberi”.
I due la guardarono riluttanti, si stavano divertendo troppo per lasciare il loro tavolo da gioco. Johnny aveva assunto delle espressioni ridicole durante la partita che avevano deconcentrato il giovane e lui, per controbattere, lo aveva distratto con alcuni dei suoi trucchetti da baro del poker. Si erano fatti anche portare il gelato da Tup e da Numero 65, praticamente schiavizzandoli, ma questi erano dettagli trascurabili.
Però era vero che sarebbe dovuti andare a salutare tutti....insomma chissà quando le missioni avrebbero riportato all'Ordine tutti gli esorcisti e gli assistenti di campo...se fossero tornati, ovviamente.
Difatti ogni saluto somigliava quasi ad un addio..ma la gioia di ritrovarsi, quella era ciò che tutti attendevano. Una piccola festa che si trasformava in baraonda e dove non vi era posto per le lacrime ma soltanto per gli abbracci.
Così si ritrovarono tutti lì, nella grande sala da pranzo. I tavoli addobbati a festa e tonnellate di dolci. Il quantitativo di zucchero era sufficiente a rendere tutti diabetici, non che a qualcuno importasse, tanto c'era fin troppo da muoversi e da consumare.
L'allegrissimo volto di Komui si fece largo tra di loro facendo il rituale saluto a chi partiva e d'incoraggiamento al lavoro a chi rimaneva. La sua capacità di fare il buffone in qualsiasi momento alleggerì notevolmente l'atmosfera.

Ed Allen si sentì bene. Come raramente gli era successo. Perché erano tutti disperati lì dentro. Tutti uguali.
 

Chi perde la propria ragione di vita cerca finché non trova qualcun altro che abbia il suo stesso dolore.
 

Avevano perso tutto e per questo ogni minimo gesto, ogni sorriso, ogni parola non detta valeva più di mille parole, di saggi e di poesie; per loro la vita e la felicità erano questo: sapere di esserci e di sostenersi anche se se erano dall'altro capo del mondo, anche nelle situazioni più impervie, sia nel dolore che nella noia, nella felicità, nelle drastiche decisioni. Un'unica massa più splendente del giallo sole nel cielo.

E si potevano permettere di tutto. Persino insultare Kanda e mettergli addosso una parrucca in stile afro mentre non guardava...o aggiungere ingredienti strani alla sua amatissima soba. Se ci fosse stato Lavi probabilmente avrebbe escogitato qualche malvagio piano per spiare le ragazze dell'Ordine o per rinchiudere nello sgabuzzino Bookman.

Alla fine dei festeggiamenti la stanza sembrava più un campo di battaglia con tutte le bottiglie sparse sul suolo, i tavoli ingombri di avanzi di cibo e di gente accasciata su di essi e di persone deliranti. Per assurdo l'unico rimasto completamente sobrio era proprio quel folle di Komui...ciò significava che lui era perennemente ubriaco?

Chissà...non si poneva molte domande il giovane che tornava nella sua stanza con la testa leggera e desideroso di buttarsi sul letto e sulle calde coperte. Alla fine aveva ceduto anche lui alla tentazione dell'alcool spinto da niente popò di meno che Crowley, cosa che l'aveva lasciato alquanto scioccato.
 

Era stato tutto così luminoso che faticava a crederci.
Quando tolse la divisa per andare accoccolarsi sotto le lenzuola guardò lo stemma che vi era ricamato sopra. A lui sembrava davvero come una stella luccicante. E quando erano insieme erano proprio così: una stella viva e brillante capace di illuminare tutto con la propria sola energia.
Si addormentò cullato dai suoi pensieri.

Quella notte Mana non sarebbe comparso nei suoi sogni, gli incubi poteva lasciarli ad un'altra notte.

 

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Capitolo 3
*** ~Future: Escaping~ ***


Ed infineeee.....anche se so di non aver lasciato tempo tra un capitolo e l'altro (ma la voglia di pubblicare era troppa xD), ecco anche la terza ed ultima parte.
E' più cprta delle altre, quindi dovrebbe dare meno problemi di lettura. Naturalmente i commenti sia positivi che negativi (in particolare se costruttivi) sono molto apprezzati dalla sottoscritta che impara a scrivere in maniera migliore..Vi lascio alla conclusione della storia, buona lettura!
 

~Future: Escaping~

 

Correva. In mezzo ai civili, per le strade sterrate, tra le botteghe, sui tetti.
Correva. Per nascondersi da tutto e da tutti. Doveva stare tra la gente per non farsi trovare ed era proprio da loro che voleva allontanarsi per non fargli del male. Era diventato pericoloso, una bomba ad orologeria.
Aveva ripreso ad indossare quella maschera sorridente ed impassibile, quella gentilezza forzata per staccarsi da chiunque incontrasse.
Ormai l'unico suono che le sue orecchie tolleravano era quello sordo dei suoi passi sulle pietre delle viuzze che conducevano al più vicino ostello disponibile.

Le grida dei bambini per i quali si esibiva in mezzo alla piazza erano graditissime, ma non vicine a lui. Gli applausi del suo pubblico mentre si destreggiava con acrobazie su di una palla erano calde ed accoglienti, ma non era nel loro mondo che voleva essere accolto.

Aveva perso tutto.
Persino quella famiglia di cui si era ciecamente fidato l'aveva ripudiato. A voler essere onesti era colpa sua che l'aveva lasciata andare..Si era rifiutato di affrontare la loro delusione, la loro ira, i loro pianti. Come un codardo aveva messo la coda tra le gambe ed era scomparso nel nulla.

Accanto a lui era rimasto solo il compagno di sempre: quella macchina gialla senza cuore che, incredibilmente, lo capiva ed accudiva. Il suo animo inumano, un miscuglio tra una akuma, un uomo, un esorcista ed un Noah, trovava confronto solo tra le ali di quegli ingranaggi ben oliati ed impertinenti.
Mai più avrebbe sentito la dolce voce di Linalee che lo riprendeva quando era giù di morale.
Mai più avrebbe sentito le battute di Lavi e visto i suoi scherzi.
Mai più avrebbe apprezzato le sagge parole di Crowley, Bookman e Komui.
Mai più avrebbe tirato su di morale l'insicura Miranda.
Mai più avrebbe battuto a scacchi Johnny.
Mai più... Quei tempi erano finiti, conclusi, dissolti.

Lui era un mostro e come tale avrebbe dovuto vivere il resto della sua esistenza. Avrebbe proseguito lungo la sua via senza aiuti, senza mani pronte a rialzarlo, senza facilitazioni di sorta.
Le parole dei suoi amici perse nel tempo:
No, non sarai mai da solo/quando verrà l'oscurità/illuminerò il cielo con le stelle/
ascolta i miei
sussurri nella notte.

 

Ma non erano qui! Ed il cielo era uno di quelli senza stelle, un manto nero che copriva tutto e lasciava soffocare il casuale osservatore col naso all'insù.
Nessuno di loro era corso a salvarlo. E non potevano nemmeno, anzi, non dovevano.

Dentro di lui viveva una delle anime più corrotte di tutti i secoli, forse l'unica che aveva avuto l'ardire di mettersi contro il Conte del Millennio nella conquista del pianeta.

 

Dalle abitazioni attorno a lui provenivano urla, lamenti ed il fragore di vasi rotti. La gente barcollava in quell'oscurità, perdeva i propri principi ed attaccava i propri simili come animali in gabbia. Loro non sapevano perché, non sapevano come mai tutti fossero irritati, ma la verità era che l'energia negativa che quel periodo buio proiettava nelle città, nelle valli, sui monti e sulle spiagge non era lontanamente paragonabile ai terribili avvenimenti del passato.
Nessuna guerra poteva averli preparati a quello che incombeva su di loro.
La rinascita dei morti, la sconfitta dei vivi, il ritorno del nulla e la caduta delle divinità di ogni religione: perché la luce a cui tutti si affidavano sarebbe stata coperta da un velo di lacrime color della pece e la realtà sarebbe stata un unico incubo vivente.

 

Non aveva tempo di fermarsi, Allen Walker. Non aveva tempo per permettersi un pasto da banchetto come era suo solito ai tempi in cui viveva nell'Ordine. Non poteva lamentarsi o pregare o stare troppo a pensare, ma solo andare avanti incontro al fato scritto per lui tra le righe della storia.
Combattere come mai aveva fatto prima, per se stesso, perché ora ciò che rimaneva era lui. Lui e la sua fame di vendetta...che non era sete, era proprio un vuoto nello stomaco che lo trascinava fino al passo successivo, sempre un po' più nella fossa.
Sapeva che doveva ribellarsi, che doveva reagire, ma cosa può fare un ragazzino di forse 17 anni, senza casa, senza né passato, né presente, né futuro?
Cosa poteva fare un'anima senza sogni, senza desideri o rimpianti?

I suoi occhi erano asciutti, privi di qualsivoglia emozione.

Non era un santo o una creatura sovrumana capace di reggere la responsabilità per milioni di spiriti e di promettergli la salvezza; lui stesso aveva bisogno di essere salvato da qualcuno. Il suo gioco da prestigiatore e da equilibrista era finito. Era caduto nuovamente in quel vortice nero, più in fondo di prima, ed ora poteva solo lasciarsi andare a braccia aperte verso la morte. La sua agognata meta.

Riaffiorò alla mente quel sogno nella cella, quel ricordo del suo maestro nel prato fiorito e desiderò poter ritrovare quel crisantemo che aveva nascosto nella tunica che indossava allora. Desiderò riavere la sua guida e la sua innocenza. Desiderò tornare ancora più indietro, ai tempi in cui era con Mana, e rivivere la sua infanzia. Quella che gli era stata rubata troppo presto e che gli impediva di capire una parte delle altre persone, che pensando ad allora tiravano fuori aneddoti divertenti ed imbarazzanti.

Pensò che quelle stelle luccicanti che ora non si vedevano erano un po' egoiste, come lo era lui. Che voleva la felicità di tutti e che voleva essere libero pretendendo che nessuno si assumesse le responsabilità che questa condizione comportava. Perché ovunque ci sia il bene, risiede anche il male. Per mantenere un equilibrio, un ordine. Perché il bene non sarebbe definibile come tale senza una controparte e lo stesso vale per il male. Come si può definire un'azione benevola se non esisteva un'azione malvagia? Quella sarebbe stata semplicemente un'azione e nient'altro.

E per bilanciare la gioia qualcun altro doveva assumersi il fardello dei dolori altrui.

 

Tra poche ore il sole sarebbe sorto, doveva sbrigarsi ad andare via di lì. Entro l'alba si sarebbe confuso con una nuova compagnia circense per svanire come fumo nella nebbia londinese.

Nuovamente in corsa per sopravvivere. Anche se..

 

Non aveva più la forza di correre, non aveva più la forza di brillare.
 

Era stanco. Stanco come chi ha cercato di tenersi aggrappato alla vita ogni secondo della sua esistenza pur sapendo che era destinato all'oblio, che per lui non vi era un futuro. Che la felicità non rientrava nel percorso che aveva intrapreso.
Fuggiva.

E fuggiva da tutto e da tutti, anche da se stesso. Perché quella luce che era solito portare si era trasformata in cupa oscurità.
Era diventato anche lui una Stella Buia.

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