The Day Before The Reaping

di Duvrangrgata
(/viewuser.php?uid=94570)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Clove - La Ragazza Dei Coltelli ***
Capitolo 2: *** Cato - Il Ragazzo Nato Per Uccidere ***
Capitolo 3: *** Annie - La Ragazza Pazza ***
Capitolo 4: *** Finnick – Il Ragazzo Che Amava Troppo ***



Capitolo 1
*** Clove - La Ragazza Dei Coltelli ***




Storia editata da
alina 95, scrittrice di EFP
Servizio offerto da EFP Editing.



The Day Before The Reaping

 

 

 

 

 

Clove - La Ragazza Dei Coltelli

 

 

 

 

 

Swiss, swiss, swiss.

 

I tre coltelli fendettero l'aria, colpendo ognuno il centro di un bersaglio diverso. Soddisfatta, si scostò una ciocca di capelli neri dal viso e raggiunse le fette di tronco d'albero dipinte con cerchi di colore diverso – nero, bianco e rosso – e assicurati ad un tavolato che aveva appoggiato ad alcuni alberi, in modo che potesse stare in piedi. Estrasse le lame e si posizionò a cinque metri di distanza dai bersagli, lanciandole di nuovo con un movimento veloce e preciso.

 

Swiss, swiss, swiss.

 

Una di esse andò a conficcarsi nello spazio tra un bersaglio e l'altro, vibrando leggermente. Stizzita, socchiuse le palpebre e si avvicinò, togliendola con uno strattone che fece staccare diverse schegge di legno.
Non poteva permettersi di sbagliare. Non c'era spazio per gli errori nell'Arena degli Hunger Games.

 

Swiss, swiss, swiss.

 

Quindici anni.
Quindici anni di allenamenti sfiancanti, di sacrifici.
Quindici anni, e tutto per arrivare a domani.
Il Giorno della Mietitura.

 

Swiss, swiss, swiss.

 

Il giorno in cui tutti quegli anni passati a prepararsi avrebbero finalmente avuto un senso.
Il giorno in cui avrebbe reso orgogliosi il suo distretto e la sua famiglia.
Riusciva già a sentire il sapore del sangue degli altri tributi sulla punta della lingua.

 

Swiss, swiss, swiss.

 

Tre su tre.
Centro perfetto.
Un sorriso sadico le solcò le labbra, mentre il sapore di sangue nella sua bocca si faceva più forte.


Che i giochi abbiano inizio.

 


 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice


Non so davvero da dove mi sia uscita questa idea, dico sul serio. Sono reduce dal dolore post lettura di tutta la saga di HG, quindi potete capirmi. Comunque, mentre guardavo Iron Man 3 e tentavo di buttare giù qualcosa mi sono chiesta quali potessero essere i pensieri di alcuni dei Tributi che abbiamo conosciuto nei tre libri il giorno prima della Mietitura (in inglese: “The Reaping”) quindi... eccoci qui!

Spero di non aver combinato un pasticcio e spero di non essere sfociata nel OOC. Se trovate errori, anche solo una virgola attaccata alla parola precedente o un accento sbagliato, segnalatemelo assolutamente, con i dovuti modi! Accetto le critiche, purché siano poste educatamente.

Fatemi sapere cosa ne pensate!


See you soon!

Dru

 

Qui ci sono la mia Pagina Facebook e il mio Account Efp per restare aggiornati sulle pubblicazioni inerenti a questa raccolta e a molto altro ancora!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cato - Il Ragazzo Nato Per Uccidere ***


The Day Before The Reaping

 

 

 

 

Cato - Il Ragazzo Nato Per Uccidere

 

 

 

I muscoli delle braccia gli dolevano per la forza dei colpi e il sudore che gli imperlava la fronte continuava a colargli sugli occhi, costringendolo a sbattere in continuazione le palpebre.
Si stava allenando da quelle che ormai dovevano essere ore, ma non gli importava; finché avesse avuto la forza di sollevare una spada avrebbe continuato.
Con un affondo trapassò il manichino, estraendo poi velocemente l'arma e voltandosi per decapitare quello alle sue spalle. La testa rotolò, fermandosi ai suoi piedi. Guardò il volto privo di lineamenti senza realmente vederlo, perchè la stanchezza gli annebbiava i sensi e le gambe sembravano sul punto di cedere. Con un ringhio strinse i denti e ricominciò, continuando finchè dei manichini restanti non rimase che qualche pezzo sparso.
Soddisfatto si trascinò fino alla rastrelliera e ripose la spada insieme alle altre, dirigendosi poi negli spogliatoi. Si tolse gli abiti da allenamento – una maglietta nera aderente e a maniche corte e un paio di pantaloni dello stesso colore – lanciandoli su una delle panche e dirigendosi poi verso le docce.
Si infilò sotto il getto dell'acqua calda, lasciando che gli sciogliesse i muscoli contratti e affaticati dalle troppe ore di allenamento, per poi girare la manopola verso quella fredda e godersi la sensazione di refrigerio. Si passò una mano tra i capelli, tirandoseli indietro sulla fronte e passandosi poi entrambe le mani sul viso, la pelle pallida e gli occhi azzurri cerchiati da pesanti occhiaie violacee. Era sempre in quello stato le settimane prima della Mietitura: gli allenamenti giornalieri già duri di per sé che seguiva normalmente si intensificavano notevolmente, tanto che qualche anno prima, quando era ancora troppo piccolo per offrirsi come Tributo, il suo professore di scherma aveva dovuto costringerlo ad andarci più piano, preoccupato per la sua salute, e l'anno prima invece era svenuto, il fisico troppo provato, e aveva passato la Mietitura in un letto di ospedale.
Ma quell'anno sarebbe andata diversamente, niente e nessuno gli avrebbe impedito di offrirsi volontario come Tributo.
Uscì dalla doccia, avvolgendosi un asciugamano bianco in vita e asciugandosi i capelli gocciolanti con un altro. Si avvicinò allo specchio rettangolare appeso a una delle pareti, osservando la sua immagine riflessa. Analizzò con cura il proprio corpo: i muscoli del petto ben sviluppati, le spalle larghe, le gambe forti. Anni e anni di allenamento avevano dato i loro frutti, rendendolo una macchina da guerra creata per un solo scopo: vincere.
A qualsiasi costo.
Si vestì e uscì dal Centro di Addestramento dell'Accademia del Distretto 2, avviandosi a piedi verso casa. Il sole era tramontato già da un pezzo e le strade erano quasi deserte, le uniche persone che ancora si arrischiavano ad uscire a quell'ora erano i Pacificatori. Si strinse nella giacca e affrettò il passo, desiderando soltanto di poter affondare il viso nel suo cuscino e dormire. A quell'ora sua madre doveva già essere a letto, mentre suo padre probabilmente stava ancora lavorando.
Raggiunse la casa relativamente in fretta e infilò con una mano le chiavi nella serratura, mentre con l'altra reggeva il suo borsone. Si trascinò a fatica oltre la soglia e poi su per le scale, fino alla sua camera. Durante il tragitto passò davanti alla stanza dei suoi: la porta di legno scuro era socchiusa e un leggero bagliore filtrava dalla fessura. Incuriosito fece per aprirla, ma le voci provenienti dall'interno bloccarono il movimento sul nascere.
«Credi che sia una buona idea? Ha solo quindici anni! Potremmo aspettare, mancano ancora tre anni e...» Non ebbe bisogno di vedere l'espressione di suo padre per intuire la sua rabbia, quindi, al contrario di sua madre, non fece una piega quando l'uomo sbatté con forza le mani sul mobile della specchiera.
«E subire l'umiliazione di essere etichettati come codardi? Non permetterò ad uno stupido ragazzino di rovinare anni di lavoro passati a scalare la gerarchia sociale di questo Distretto. Non gli permetterò di rovinarmi la vita più di quanto non abbia già fatto.»
Nonostante si sia sentito rivolgere queste parole più di una volta, non può fare a meno di stringere i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi. È una cosa talmente ricorrente che ormai il dolore è stato completamente rimpiazzato dalla rabbia. Rabbia che dilania, scavando dentro di lui con i denti e con le unghie e brucia come fuoco, lasciando solo cenere dietro di sé.
«È solo un ragazzo!» gemette sua madre, e un tonfo attutito gli fece capire che doveva essersi lasciata cadere sul letto.
«È praticamente un uomo ormai, Elizabeth, non è più un bambino!» ribatté lui con tono definitivo, facendole capire che il discorso era chiuso e che non avrebbe tollerato altre parole, per quella sera. Elizabeth conosceva abbastanza il marito da sapere quando era meglio fermarsi, quindi non disse più nulla e poco dopo entrambi si coricarono, spegnendo la luce.
Rimase fermo nell'oscurità ad ascoltare i loro respiri farsi sempre più pensati e regolari per qualche altro minuto – o ora, o vita – poi si diresse nella sua stanza, mollando il borsone senza curarsene e lasciandosi cadere sul materasso proprio come aveva fatto sua madre qualche minuto prima. Fissò il soffitto della stanza senza vederlo realmente, diversi pensieri che gli vorticavano nella testa, rendendola sempre più pesante.
Strinse le coperte tra le dita, una gelida determinazione che gli si faceva largo nel petto.
Si sarebbe offerto, sarebbe andato nell'Arena e avrebbe ucciso tutti gli altri Tributi.
Avrebbe vinto gli Hunger Games.
Avrebbe reso orgoglioso suo padre.

 

 

 

 

Note dell'Autrice

 

Ecco qui il secondo capitolo di questa raccolta, questa volta narrato dal punto di vista di Cato.
Cato è un personaggio che, insieme a quello di Clove, mi ha sempre incuriosita, e nella mia mente ciò che l'ha reso come l'abbiamo visto – crudele, feroce e assetato di sangue – è il mondo in cui è cresciuto, un mondo che fin dalla più tenera età ti costringere a combattere o morire, e, almeno nella mia personale visione dei Distretti dei Favoriti, anche ad allenarti per vincere.
Il padre di Cato, che attualmente non ha un nome, è un uomo molto duro ed esigente, e tutto quello che Cato vuole è renderlo orgoglioso, a qualsiasi costo.
Beh, non ho molto altro da dire in proposito, posso solo invitarvi a recensire – negativamente e positivamente, sempre con i dovuti modi – e a segnalarmi eventuali errori, perché questa shot non è ancora stata betata, ma visto che sabato parto e non avrò il pc per circa due settimane non mi andava di lasciarvi senza un nuovo capitolo.
Beh, basta, credo non ci sia altro se non i soliti contatti: la mia
Pagina Facebook e il mio Account Efp per restare aggiornati sulle pubblicazioni inerenti a questa raccolta e a molto altro ancora!

See you soon!

Dru

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Annie - La Ragazza Pazza ***


The Day Before The Reaping

 

 

 

Annie - La Ragazza Pazza
Betata da _Aras_ per l'iniziativa del gruppo "Il salotto delle parole volanti"

 

 


Il lento sciabordio delle onde le riempiva le orecchie, mentre la leggera brezza marina le scompigliava i lunghi capelli castani.
Il mare aveva sempre il potere di tranquillizzarla. Era in grado di passare anche le ore immobile – seduta sulla sabbia o sul molo, i piedi a penzoloni che sfioravano l'acqua – a fissarlo, inebriata dal suo profumo. Le trasmetteva un senso di pace che non riusciva a provare da nessun'altra parte – e con nessun altro; oltre a Finnick.
Finnick.
Un sorriso spontaneo le solcò le labbra, mentre un vago rossore le imporporava le guance.
Amava Finnick. Lo amava sul serio.
E per questo aveva paura.
Aveva visto i segni che l'Arena degli Hunger Games aveva lasciato su di lui; li aveva visti nei suoi silenzi, nei suoi scatti se qualcuno gli arrivava alle spalle o faceva movimenti improvvisi, nei suoi incubi che lo portavano a svegliarsi urlando e che la terrorizzavano a morte.

Tutte le cicatrici, visibili e non, che la permanenza nei Giochi gli aveva lasciato addosso, lo avevano cambiato più di qualsiasi altra cosa avesse mai affrontato.
Lei sapeva che una parte del ragazzo che amava era rimasta in quell'Arena e che non sarebbe tornata mai più, ma non le importava: lo amava lo stesso, con tutta se stessa.
Alle volte si chiedeva se Finnick sarebbe riuscito ad amarla anche se gli orrori che avrebbe dovuto affrontare se fosse stata estratta l’avrebbero cambiata.

Perdere se stessa.
Era una delle cose che più la spaventava, insieme alla prospettiva di dover uccidere qualcuno.
Lei non era fatta per fare del male.
Non era fatta per l'Arena.
Si piegò sulle ginocchia, raccogliendo un vetrino di mare che spuntava dalla sabbia. Era di un bel verde scuro, perfettamente levigato dalle onde. Doveva essere in acqua da parecchi anni, magari già da prima di Capitol City.
Da prima degli Hunger Games.
Non poteva fare a meno di chiedersi com'era la vita prima di tutto quello. Prima della divisione in Distretti, prima dei Giorni Bui, prima del dominio di Capitol City.

Prima che le persone vivessero nella paura di vedere i propri figli presi e sbattuti insieme ad altre ventitré persone in un'arena a uccidere o morire. Non poteva neanche immaginare cosa significasse crescere un figlio nella paura che ti venisse portato via. Lei non ci sarebbe mai riuscita.
Qualcuno che la chiamava in lontananza la distolse dalle sue riflessioni. Si girò nella direzione dalla quale proveniva la voce e vide Finnick, i capelli biondi scompigliati e i piedi nudi, che correva verso di lei. Gli sorrise, scoppiando a ridere quando lui la travolse, abbracciandola e sollevandola in aria, girando su se stesso mentre la teneva stretta. Dopo averla messa giù appoggiò la fronte alla sua, sorridendole.
«Mi sei mancata oggi.» mormorò, sfiorandole le labbra con le sue.
«Anche tu.» ricambiò il bacio, appoggiando poi la testa sulla sua spalla.
«Com'è andata la lezione di nuoto? I bambini ti hanno fatto impazzire come sempre?» il ragazzo rise, intrecciando le loro dita e iniziando a camminare sulla sabbia. Lei lo seguì e insieme cominciarono a percorrere la battigia, mano nella mano.
Finnick si lanciò in una dettagliata e entusiasta descrizione della lezione che aveva fatto ai bambini del Distretto, e fu in quel momento, mentre ascoltava con quanto ardore e con quanta passione il ragazzo parlasse del suo lavoro, che capì che, qualsiasi cosa fosse successa se fosse stata estratta, avrebbe fatto di tutto per tornare.
Per se stessa.
Per lui.
Per loro.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice

Buongiorno a tutti!
Come avrete notato c'è qualcosa di diverso in questa flash: mentre le altre vedevano presenti solo i tributi protagonisti o solo un contatto indiretto con altri personaggi – i genitori di Cato – questa volta vi è la presenza di un altro personaggio, con il quale il protagonista ha anche un dialogo. Il motivo di questa scelta è semplice: mi serviva che anche Annie avesse qualcosa – qualcuno – a cui appoggiarsi e che le desse la forza di impegnarsi al massimo per sopravvivere. Nel caso di Clove e Cato entrambi facevano affidamento sul loro addestramento – nel caso di quest'ultimo ho usato anche il desiderio di rendere orgoglioso il padre – quindi non c'è stato bisogno di introdurre attivamente un secondo personaggio.
Beh, non credo ci sia molto altro da dire, se non che spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e che ringrazio moltissimo le persone che hanno recensito precedentemente: Ili91, bluerose95, _eco e Moustache.

Infine vi ricordo la mia Pagina Facebook e il mio Account Efp per restare aggiornati sulle pubblicazioni inerenti a questa raccolta e a molto altro ancora!

See you soon!

Dru

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Finnick – Il Ragazzo Che Amava Troppo ***


Finnick

The Day Before The Reaping

 

 

 

 

Finnick – Il Ragazzo Che Amava Troppo

 

 

 

 

La finestra spalancata faceva entrare un forte odore di terra bagnata e pioggia, oltre al familiare odore salmastro tipico del mare che tanto amava.
Quante volte aveva sognato di andarsene, di prendere la barca di suo padre e salpare lontano, lasciandosi alle spalle tutto il resto? Il dominio di Capitol City, gli Hunger Games... lei. Lei, che era sempre nei suo pensieri e non li abbandonava mai.
Semplicemente lei.
Annie.
Niente era stato più come prima da quando l'aveva vista per la prima volta. Lo ricordava come se fosse stato ieri: 

Lui e suo padre erano appena tornati da una battuta di pesca notturna, era quasi l'alba e stava andando a casa a raggiungere suo padre, che l'aveva preceduto. Aveva deciso di camminare sulla spiaggia, i piedi che lasciavano sulla sabbia impronte che venivano quasi immediatamente cancellate dalle onde.
Non l'aveva notata subito, all'inizio era stata solo un minuscolo puntino in lontananza poi, man mano che si era avvicinato, quel puntino si era rivelato essere una ragazza. Aveva lunghi capelli scuri sciolti in morbide onde sulle spalle. Era seduta sulla sabbia, lo sguardo rivolto verso l'orizzonte, dove il sole stava sorgendo. I raggi le inondarono il viso e lei sorrise, non meno radiosa, chiudendo gli occhi come se facendolo potesse godere meglio del calore sul viso.
Era bellissima, sembrava una sirena, appena uscita dalle acque. Anche dopo tutto quel tempo – all'epoca aveva undici anni – non sapeva dire quanto tempo fosse rimasto a fissarla, incantato, gli erano sembrati anni, ma avrebbero anche potuto essere giorni, ore o semplicemente pochi minuti. Lei non si era accorta di lui, nemmeno quando era passato alle sue spalle per proseguire verso casa, troppo rapita dalla bellezza dell'alba per prestare attenzione a qualcosa che non fosse il sole nascente che tingeva il cielo dei colori del fuoco.
Da quel giorno non aveva più smesso di cercarla: a scuola, in spiaggia, per le strade del Distretto. Gli bastava guardarla da lontano, senza bisogno di avvicinarsi.
Prima di incontrarla gli era capitato spessi di pensare di scappare dal Distretto, di prendere una barca e salpare senza voltarsi per non tornare più indietro. Ma da quella mattina sulla spiaggia qualcosa era cambiato, e la sola idea di lasciarsi alle spalle tutto quello –  la sua famiglia, la sua vita, il suo Distretto, lei – gli risultava insopportabile. Ma piano piano, un'altra immagine aveva preso forma nella sua mente: lui e Annie, i lunghi capelli castani che le incorniciavano il viso, che salpavano insieme all'alba. Sapeva che era solo un sogno irrealizzabile, ma era in momenti come quello – quando la voglia di fuggire da tutto e da tutti era così insopportabile da fare quasi male – che quel sogno gli dava la forza per restare.
Non sarebbe mai scappato senza di lei.
Inspirò profondamente il miscuglio di odori che il vento gli aveva portato, mentre confusi ricordi di serate passate in spiaggia intorno ad un falò, la luna alta nel cielo, le dita che scivolavano sulle corde di una chitarra dando vita a vecchie canzoni che ormai nessuno ricordava più, l'odore di legna bruciata e sale, di pelle cotta dal sole e di pesce appena pescato gli invadevano la mente. E poi, in un lampo, rivide il sorriso che Annie gli aveva rivolto quella volta che il vento le aveva fatto cadere il cappello e lui glielo aveva ridato, la luce che aveva invaso le iridi verdi quando le aveva insegnato come intrecciare al meglio una rete da pesca e i battiti che aveva perso quando l'aveva ringraziato, lo sguardo di puro terrore con cui la fissava durante la Mietitura, terrorizzato che potesse essere estratta, la sensazione di non sapere come continuare a vivere se fosse successo e l'intenso sollievo che lo pervadeva quando non accadeva.
La paura che prendessero lui non era neanche paragonabile a quella che prendessero lei, perché lui lo sapeva che sarebbe tornato, anche a costo di uccidere tutti gli altri tributi con le sue stesse mani.
Niente e nessuno gli avrebbe impedito di tornare da lei.
Niente e nessuno.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dall'immagine di Annie, un bellissimo sorriso sulle labbra e negli occhi, i lunghi capelli castani che le volavano intorno, mossi dalla brezza.
Sorrise anche lui, scivolando lentamente tra le braccia di Morfeo, la paura per l'indomani – il giorno della Mietitura – cancellata dal viso della ragazza.
Perché lui sarebbe tornato.
Per lei.

 

Note dell'autrice

Non mi dilungherò sulle ragioni di questo ritardo, immagino che la scuola sia un problema un po' per tutti, quindi mi limito a scusarmi e a sperare che questo capitolo vi sia piaciuto!

Un abbraccio
Dru

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2016472