The Underdogs

di MeiyoMakoto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Londra magica ***
Capitolo 3: *** Victoire ***
Capitolo 4: *** A Hogwarts ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Stavo giocando in salotto la notte in cui la mia vita venne messa sottosopra.
‘Guarda, mamma, sono un lupo mannaro!’, esultai agitando la coda che papà mi aveva fabbricato dalla manica di una vecchia pelliccia.
Halloween era la festa preferita di mio padre: adorava fabbricare decorazioni e costumi, rimodellando tutta la paccottiglia su cui riusciva a mettere le mani.
‘Fantastico, tesoro.’, sorrise stanca la mamma, spalancando le braccia in modo che io potessi tuffarmici dentro.
Non l’avevo mai vista sorridere davvero: occasionalmente socchiudeva le labbra tirate solo per farmi credere che andasse tutto bene. Avevo cinque anni, e funzionava ancora. Convincere papà era un altro paio di maniche.
‘Vado io.’, disse lui quando qualcuno batté qualche colpo sulla porta.
Mamma annuì distrattamente e si mise a cercare un cestino in cui mettere le caramelle. Mi portava sempre a fare dolcetto o scherzetto dopo cena, per la gioia di papà che non vedeva l’ora che il vicinato ammirasse le sue creazioni.
Io mi affacciai alla porta che portava all’ingresso, curioso di chi potesse farci visita la notte di Halloween. Vidi mio padre trasalire socchiudendo la porta.
‘Rosier.’,  mormorò.
‘Dov’è Nala?’, domandò per tutta risposta una rauca voce maschile.
Papà si accigliò.
‘Che te ne importa?’, ringhiò.
‘Cristo, Elliott!’, imprecò l’uomo spingendolo da parte per intrufolarsi in casa. ‘Non ho tempo per le tue stupidaggini!’
Papà lo strattonò per un braccio, ma Rosier si divincolò.
‘Nala!’, chiamò.
Mia madre emerse dalla cucina con un canestrello di bambù in mano. Lei e Rosier rimasero per un instante a fissarsi in silenzio. Mio padre strinse i pugni e attese.
Nala Jean Laurel era di una bellezza mozzafiato -non c’è da meravigliarsi se Rosier era rimasto impietrito. I capelli mossi, color miele, erano raccolti in una disordinata coda alta; gli occhi, freddi come il cielo invernale e dello stesso colore, divennero due fessure alla vista del nuovo arrivato.
‘Che ci fai qui?’, ringhiò.
Vidi la schiena di papà abbassarsi impercettibilmente: la sua tensione si era un po’ allentata. Non ero ancora abbastanza grande da capire che mio padre si era sentito intimidito da Rosier: alto, bruno e decisamente attraente, la sua presenza non poteva essere gradita al basso e occhialuto Elliott Laurel.
‘Dovete andarvene, Nala.’, rispose Rosier riscuotendosi. ‘Subito.’
‘Che è successo?’, chiese mia madre.
‘Il Signore Oscuro è morto. Verranno a prendervi.’
‘Noi non abbiamo niente a che fare con lui.’, intervenne mio padre. ‘Nala non frequenta più i cani come te.’
Doveva essere proprio agitato se si era permesso di insultare i Mangiamorte; a quei tempi, un commento del genere avrebbe segnato il suo ultimo respiro. Ma Rosier aveva altro per la testa.
‘Stai zitto, Elliott.’, lo interruppe mamma. ‘Evan ha ragione. Fai la valigia e partiamo.’
‘Non c’è tempo per la valigia.’, la corresse Rosier. ‘Prendi il bambino e scappa, con o senza questo imbecille.’
Detto questo, corse in strada e si Smaterializzò. Mamma si affrettò a chiudere la porta.
‘Di che stava parlando, Nala?’, chiese mio padre. ‘Cosa c’entra Gareth?’
Lo sguardo dei miei genitori saettò verso di me.
‘È in pericolo.’, rispose lei prendendomi in braccio. ‘E anch’io. Andrà tutto bene, ma solo se andiamo il più lontano possibile da qui entro stanotte.’
‘E io?’
‘Tu fai come ti pare.’
Lui esitò.
‘Mi avevi detto di avere smesso con questa gente.’
‘Non si smette di essere una Mangiamorte, Elliott, che tu lo voglia o meno. Allora, che fai? Mi aiuti a proteggere nostro figlio o scappi?’


New York era troppo grande, troppo caotica, troppo affollata. Non mi piaceva. Ma il fratello di mia madre, Edmund, viveva lì, e non avevamo altra scelta se non dividere un appartamento con lui e tre suo amici. L’odore di erba mi dava la nausea.
‘Dov’è papà?’, chiesi per l’ennesima volta mentre mamma mi rimboccava le coperte.
‘Se me lo chiedi un’altra volta giuro che ti do uno schiaffo.’
‘Perché siamo andati via?’
‘Perché volevo vedere lo zio Edmund. Non ti piace qui?’
‘Non so… Sono tutti simpatici, ma ogni tanto fanno cose strane… E tu non usi più la bacchetta…’
‘Sai che non devi parlare della mia bacchetta.’
C’erano molte cose di cui non potevo più parlare nella mia nuova vita da newyorkese. Ma mi adattai.

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Capitolo 2
*** La Londra magica ***


Nala Parker spirò il 4 maggio 2016.
Suo fratello Edmund Parker l’aveva preceduta di qualche anno, e i coinquilini si erano piano piano trovati un’altra casa e un’altra famiglia.
‘È una miseria.’, m’informò il mio agente immobiliare dopo aver dato un’occhiata al prezzo che offrivo per la casa. ‘Il mercato newyorkese è alle stelle, e c’è gente che ammazzerebbe per un appartamento a Soho. Stai buttando via un’occasione, Gareth.’
‘Non importa.’, ribattei.
Me ne volevo liberare al più presto. E comunque, il denaro non era un gran problema per un mago. Ma non mi limitai a sbarazzarmi della mia eredità: vendetti anche il mio monolocale a Nashville per una cifra leggermente più ragionevole. Dopotutto, ero affezionato a quell’appartamento. Con parte del ricavato comprai un biglietto per Londra. Avrei potuto Smaterializzarmi, naturalmente, ma ero sempre stato curioso di sapere com’era viaggiare in prima classe.

 

Ci misi una decina di minuti per trovare il Paiolo Magico: dopo aver fatto avanti e indietro per Charing Cross Road quattro o cinque volte, notai finalmente un negozietto stretto tra gli imponenti H&M e McDonald’s. I manichini  mutilati e spogli accatastati in vetrina davanti a teli bianchi non lasciavano dubbi sul fatto che fosse chiuso per fallimento, ma quando provai a girare il pomello della porta questa si aprì senza difficoltà.
Il pub, che mi ricordava una locanda in stile settecentesco di Boston, solo molto più trasandato e infinitamente più genuino, era deserto.
‘Serve aiuto?’, bofonchiò il proprietario da dietro il bancone del bar.
‘Cerco Diagon Alley.’, risposi.
‘Hmph.’, commentò lui.
Fece cenno di seguirlo, conducendomi al retro del pub. Spostò un paio di bidoni, trafficò con qualche mattone e qualche istante dopo il muretto rosso si aprì in uno squarcio di strada trafficata. Il barista mi lanciò un’occhiata di sottecchi, probabilmente per vedere se ero impressionato, ma io rimasi impassibile.
‘Ha già trovato una sistemazione?’, domandò speranzoso. ‘Non è di queste parti, vero?’
‘A dire il vero speravo di trovare una casa qui vicino.’
‘Nel frattempo, se vuole, ho qualche stanza libera.’
‘Magnifico.’, risposi distrattamente.
‘Posso portare su i suoi bagagli?’
‘Non ho bagagli.’
Ero partito dall’Inghilterra senza valigia, e senza valigia ero tornato. La brava gente dell’aeroporto di Nashville mi aveva scoccato qualche occhiata confusa, ma non aveva commentato. Il barista fece lo stesso.
‘Le auguro una buona permanenza.’, disse a mo’ di saluto mentre il muretto si richiudeva dietro di me.


     

‘Duecentosettanta Galeoni?!’, esclamai a voce un po’ troppo alta mentre mezza Gringott’s si girava verso di me. ‘Le ho dato quasi duemila dollari!’
‘Millenovecentottantasette dollari e cinquanta, per esattezza.’, replicò il folletto con una smorfia acida. ‘E mi dica, signore, visto che certamente lei la sa più lunga di me: qual è l’esatta percentuale di oro contenuta nel suddetto importo?’
Afferrai con un grugnito sconfitto la borsa di cuoio che l’impiegato mi tendeva.
‘È stato un piacere fare affari con lei.’, sorrise ironico quest’ultimo. ‘Torni presto a trovarci!’
Mi congedai con un gesto della mano.
Oltre a quella borsa, avevo duecento Galeoni e settemila dollari nella camera blindata 2086 alla Gringott’s, qualche altro migliaio nel mio vecchio conto a Nashville e altri settanta Galeoni in tasca. Non era affatto poco, ma sapevo che quel denaro non era eterno, specialmente visto il cambio a dir poco svantaggioso.
Toccava trovarmi un lavoro.


     

Non ero mai entrato nel Ghirigoro, ma sapevo che mio padre ci aveva lavorato per parecchi anni prima che io nascessi e lui e la mamma fossero costretti a lasciare Londra. Costretti da chi o da cosa, non l’avevo mai saputo.
I miei genitori si erano conosciuti in quel negozio, e magari c’era perfino qualcuno che si ricordava ancora di mio padre dai tempi in cui era un ragazzino occhialuto con la passione per i libri.
E forse…
No.
Mi proibii di sperare di trovare un vecchio occhialuto con la passione per i libri dietro al bancone.
Non era realistico nemmeno sperare che qualche vecchio amico di Elliott Laurel potesse offrirmi un posto di lavoro in nome dei bei tempi andati: sarebbe stato difficile da credere che io e lui fossimo lontani parenti, figurarsi padre e figlio.
Se avevo ereditato gli occhi chiari e i lineamenti di mia madre, non potevo aver preso i capelli neri, la corporatura ben fatta e sì, il bell’aspetto, dal vecchio Elliott. Non lo faccio per vantarmi quando dico che a quasi quarant’anni ne dimostravo molti di meno, mentre nel mio ultimo ricordo, ancora vivido dopo tutto quel tempo, di mio padre trentenne lui aveva già la schiena curva di un vecchio e cerchi scuri sotto agli occhi.
Col tempo avevo associato il mio aspetto con quello di Evan Rosier, anche se mamma continuava a mostrarmi con insistenza una fotografia ingiallita di una bellissima ragazza dai capelli corvini che un giorno sarebbe diventata mia nonna.
Francamente, non sapevo cosa pensare.
‘Posso aiutarla?’, domandò gentilmente il libraio quando sgusciai attraverso la porta del Ghirigoro, annunciato da un campanellino sopra lo stipite.
Esitai.
‘A dire il vero, sì. Sto cercando un lavoro.’
Lui alzò le sopracciglia, sorpreso.
‘Con quell’accento esotico non farà fatica a trovarlo.’, scherzò. ‘Sembra uno yankee londinese.’
Sorrisi alla pessima battuta.
‘Lo sono.’, spiegai. ‘La mia famiglia è andata a vivere negli Stati Uniti quand’ero molto piccolo.’
Lui inforcò gli occhiali e strizzò gli occhi come per osservarmi meglio.
‘Ci siamo già incontrati, giovanotto?’
‘È possibile che lei conoscesse mio padre. Mi chiamo Gareth Laurel.’
Lui ci pensò un attimo, poi eruppe in una risata.
‘Sicuro! Il piccolo Elliott! Quanto tempo… C’era qualcosa di familiare in te, ne ero certo. Anche se sei tutto tua madre nell’aspetto, grazie al cielo.’
Il mio sorriso si allargò: era la prima volta che qualcuno mi diceva che assomigliavo a mio padre, e la cosa mi fece sentire una vaga sensazione di orgoglio. D’altra parte, era la prima volta che parlavo con qualcuno che avesse incontrato mio padre, con l’ovvia eccezione di mamma.
‘Come sta quel topo di biblioteca?’, continuò il libraio. ‘E Nala? Sempre incantevole?’
‘I miei genitori ci hanno lasciato da poco.’
Non avevo nessuna voglia di precisare che non avevo idea di che fine avesse fatto mio padre, quindi avevo optato per una mezza verità.
‘Oh. Mi dispiace.’
‘La ringrazio.’
Ebbi la freddezza di sperare che il mio recente lutto lo commuovesse a tal punto da concedermi il posto. Mi sentii in colpa un istante dopo, ma non fui deluso.
‘Sei fortunato, giovane Laurel: stavo giusto cercando un commesso.’

 


La Londra magica può diventare un labirinto per uno yankee in preda alla curiosità.
Girovagando per le strade, attirato da vetrine una più stravagante dell’altra, mi ci vollero poche ore per perdere completamente l’orientamento. Capii di essere capitato in un quartiere malfamato quando con la coda dell’occhio vidi un ragazzino far sgusciare una lametta dalla manica e squarciare con una rapidità impressionante la tasca di un passante, appropriandosi del sacchetto di Galeoni al suo interno. Mi tastai il mantello, sentendo il peso rassicurante della mia bisaccia nell’ampia tasca. Il mio istinto di newyorkese mi indusse a cercare un poliziotto e chiedere indicazioni per il Paiolo Magico (mai fidarsi delle indicazioni del primo che passa: si rischia di beccare un malintenzionato o, peggio, un turista. Un poliziotto sarebbe stato più affidabile).
Mi misi quindi alla ricerca di un sbirro, o almeno della versione magica di uno sbirro; il neoeletto Ministro della Magia, Nato Babbano, aveva istituito una branca degli Auror che svolgessero funzioni simili. Li chiamavano i Vigilanti. La loro uniforme, un mantello verde con strisce argento e porpora lungo le maniche, mi era abbastanza familiare da permettermi di riconoscerne uno chino al bancone di un negozio dall’aria tetra. Preferii non soffermare lo sguardo sugli scheletri ingioiellati in vetrina.
‘Buongiorno.’, esordii entrando.
La commessa alzò lo sguardo verso di me: era una ragazza di non più di diciott’anni, dai capelli lisci e scuri tagliati a spalla e con due ciocche viola che le contornavano il viso pallido, spruzzato di lentiggini. Mi rivolse un sorriso scaltro, quasi complice.
‘Benvenuto da Magie Sinister.’, cinguettò. ‘Posso aiutarla?’
Il Vigilante mi lanciò un’occhiata in cagnesco.
‘Se ne vada.’, abbaiò senza mezzi termini. ‘Non vede che sono nel bel mezzo di un’indagine?’
‘Veramente mi pare che il suo collega avesse già perquisito il negozio ieri.’, obiettò lei. ‘Nel caso si fosse lasciato sfuggire qualcosa tre settimane fa, e due settimane prima. E dato che non ha trovato niente, non vedo il motivo di quest’interrogatorio.’
‘Preferisce continuare questa conversazione al Ministero?’
‘Non ce n’è bisogno, c’è già mio fratello che è stato convocato stamattina. Può controllare la sua deposizione, le assicuro che non troverebbe niente di diverso nella mia.’
Il Vigilante si arrese: uscì borbottando qualcosa che poteva essere un saluto come un’imprecazione. Non mi azzardai a rivolgergli la parola per chiedergli indicazioni; ripiegai sulla giovane commessa, che quantomeno sembrava sveglia. Mi spiegò come arrivare a casa in modo chiaro e conciso (per fortuna Diagon Alley era poco lontano), e la cosa sarebbe potuta finire lì.
Ma quando allungò il braccio per indicarmi la via che dovevo prendere vidi il tatuaggio sul suo polso. Mi sentii accapponare la pelle: ricordavo com’era impallidita mia madre quando quel Marchio era apparso sul suo braccio. La ragazza notò cosa stavo fissando  e sorrise.
‘È finto.’, spiegò. ‘Non sono malvagia come pensa quel Vigilante.’
‘E allora a che servono tutti quei controlli?’, mi lasciai sfuggire.
Ebbi l’accortezza di non aggiungere: e che razza di persona normale si farebbe tatuare il Marchio Nero sul braccio sinistro?
‘Non è colpa mia.’, si difese lei. ‘È solo che la gente che gestiva il negozio prima di me e mio fratello non era esattamente trasparente nei suoi commerci. Adesso siamo a posto, però: se trafficassimo anche un grammo di pozione urticante ci sbatterebbero ad Azkaban per compravendita di oggetti oscuri. Ci stanno col fiato sul collo, come hai visto.’
Notai che non aveva difficoltà a darmi del tu, anche se avevo il doppio dei suoi anni.
‘Quindi adesso cosa vendete?’
‘Antiquariato. O almeno così sostiene Orion… Io la chiamo paccottiglia. Tiriamo avanti, comunque. Orion è il mio gemello. Orion Vicar. Io sono Judith Vicar. Piacere.’
Incrociò il mio sguardo, aspettando.
‘Gareth Laurel.’, risposi dopo un istante di esitazione.
‘Sei nuovo di qui, Gareth Laurel?’
‘Già.’
‘Si nota.’
‘L’accento?’
‘Sì. Ma non è solo quello: quando vivi a Knockturn Alley impari a riconoscere a colpo d’occhio un pollo, e tu non sei un pollo. Se non sei un pollo e ti trovi da queste parti, puoi essere solo un turista.’
‘Sono contento di non essere un pollo.’
‘Fai bene.’
A quel punto sentii la porta cigolare alle mie spalle, rivelando un giovane che non poteva essere che Orion. Era ancora più alto di me, snello, con lo stesso colorito chiaro e gli occhi neri della sorella. Le somiglianze finivano lì, però: i capelli erano color rame, mossi e disordinati, e il viso aguzzo non aveva nulla dei lineamenti morbidi di Judith.
‘Com’è andata?’, domandò subito la ragazza.
Lui si strinse nelle spalle, ma la sua espressione tradiva la rabbia che non osava mostrare davanti a uno sconosciuto.
‘Come al solito.’, borbottò.
‘Questo è Gareth.’, cambiò discorso Judith. ‘Gareth Laurel. Lui è Orion.’
‘Piacere.’, feci io.
Lui mi fissò: evidentemente mi aveva scambiato per un anonimo cliente.
‘Piacere.’, rispose, interrogando la sorella con lo sguardo.
‘Gareth si era perso.’, spiegò quest’ultima.
Il ragazzo sorrise.
‘E tu hai attaccato bottone.’, dedusse. ‘Le mie scuse, signor Laurel: mia sorella si metterebbe a chiacchierare anche con le rocce.’
‘E le rocce risponderebbero.’, sorrisi a mia volta, rendendomi conto troppo tardi del tono galante che avevo usato. ‘Grazie per le indicazioni, Judith. È stato un piacere.’
Feci per andarmene.
‘A presto.’, replicò lei.
La squadrai, confuso.
‘So dove abiti.’, mi ricordò con un ghigno felino.

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Capitolo 3
*** Victoire ***


Cominciai a frequentare i gemelli Vicar quasi senza volerlo.
D’altra parte il mio giro di conoscenze britannico era molto limitato: l’alternativa era passare il tempo libero con il mio anziano datore di lavoro.
Orion era più riservato della sorella, ma anche più irascibile: se Judith scherzava spesso, dicendo che le sarebbe piaciuto lasciare in giro nel negozio un libro di Arti Oscure giusto per vedere che cosa sarebbe successo, lui si adombrava ogni volta che il discorso ricadeva sul Ministero e i Vigilanti.
Scoprii che i due avevano ereditato Magie Sinister da un parente, e che avevano cominciato a gestirlo appena raggiunta la maggiore età perché, nonostante la brutta reputazione, il negozio offriva pur sempre una sistemazione a Londra, e per di più lontano dai genitori e dalla nidiata di fratellini.
Il peso di questa reputazione, però, divenne fin troppo chiaro quando diedi appuntamento a Judith davanti al Ghirigoro in orario di chiusura. Quando il libraio mi vide uscire dal negozio con lei alzò le sopracciglia sorpreso, ma non disse niente fino al giorno dopo.
‘Vedo che conosci la signorina Vicar.’, mugugnò mentre riordinavamo gli scaffali poco prima dell’apertura.
‘Da un po’.’, ammisi.
‘Sei a conoscenza del suo… impiego?’
‘Lo stesso nostro, che io sappia.’
‘Neanche per sogno!’, tuonò. ‘Noi siamo onesti commercianti, mentre loro…’
‘Signor Hanscom, non hanno mai trovato nulla di sospetto a Magie Sinister, e le posso assicurare che hanno cercato bene.’
‘Una ragazza che va in giro con un tatuaggio del genere è una poco di buono, Gareth.’
‘Le sarei grato se non chiamasse i miei amici dei poco di buono, signor Hanscom.’
‘Ti sarei grato se non portassi certa gente nel mio negozio.’
‘D’accordo, non succederà più. È lei il proprietario, dopotutto.’
Ma Hanscom non era ancora soddisfatto.
‘Che direbbe il tuo povero padre se ti vedesse con quella ragazzina?’
‘Che sono tutto suo figlio, immagino. Ma stia tranquillo: io non ho nessuna intenzione di sposare Judith. È un po’ troppo giovane per me.’
Il libraio abbassò gli occhi, a disagio.
‘Mi ero scordato di Nala.’, mormorò imbarazzato.
‘Beato lei.’
L’argomento non venne più sollevato.

 

 

Con agosto il negozio cominciò a riempirsi sempre di più: gli scaffali traboccavano testi scolastici, e tra gli studenti serpeggiava la voce che il signor Hanscom avesse un nuovo assistente. Chi non mi aveva mai visto di solito mi lanciava occhiate furtive mentre cercava i libri che gli servivano.
‘Cosa fai alle donne, ragazzo mio!’, mi bisbigliò il Hanscom, ridendo sotto i baffi e accennando con una lieve torsione del capo a un gruppetto di ragazzine che esplosero in gridolini estasiati quando videro che le stavo guardando.
‘Donne è un parolone.’, ribattei.
‘D’altronde a te piacciono giovani, no?’, si lasciò sfuggire il libraio.
Ma ci bastò un’occhiata per decidere di comune accordo che nessuno dei due aveva voglia di riaprire il capitolo Judith. Cominciavamo a intenderci a meraviglia, io e George Hanscom; non avrei potuto desiderare un datore di lavoro migliore.
Quanto alle ragazzine, non ci badavo troppo, come loro non badavano a me -non seriamente, almeno.
Per questo l’incontro con Victoire Weasley fu un evento singolare.
Era il pomeriggio più caldo di agosto, e nessun cliente si era presentato dalle undici di mattina in poi; nessuno aveva voglia di uscire di casa con quell’afa. Data la scarsità di gente, il signor Hanscom era andato a prendere un gelato da Florian Fortebraccio invece di starsene con le mani in mano a cuocersi. Mi aveva promesso di portarmi una coppetta, ma gli avevo raccomandato di prendersi tutto il tempo che voleva. Le sue vecchie ossa avevano bisogno di un po’ di fresco, e la gelateria era piacevolmente ventilata da non so che incantesimo al di fuori della mia portata, un segreto tramandato da generazioni nella famiglia Fortebraccio.
Passai il tempo a sfogliare i romanzi pubblicizzati in vetrina attendendo l’orario di chiusura, finché il campanellino non mi segnalò che c’era una visita inaspettata. Alzai pigramente gli occhi.
‘Sì?’, grugnii.
I due ragazzi che mi trovai davanti erano freschi come rose, nonostante il sole cocente. Le guance erano sì leggermente arrossate e i capelli in disordine, ma a giudicare dal modo in cui si abbracciavano la cosa non era da attribuire alla temperatura. Erano il ritratto della gioventù beata; mi sentivo vecchio solo a guardarli. Entrambi armati di sorrisi sornioni, avvinghiati l’uno all’altra come se ci fosse voluta una forza ben più potente della gravità per separarli. Lui un bel ragazzo che poteva avere l’età di Orion, una matassa di vaporosi capelli blu elettrico che incorniciava il volto disarmante, e alto quanto bastava perché la sua ragazza potesse appoggiare la testa contro il suo petto. Fu quest’ultimo dettaglio a farmi notare che a nessuno toccavano tutte quelle fortune senza neanche un’imperfezione, specie non a un adolescente: la sua bellezza sembrava quasi studiata. Riconobbi un Metamorphmagus.
Lei non poteva avere più di sedici anni. La prima cosa che notai erano i capelli, di un biondo innaturale e ipnotico, raccolti in una treccia spettinata. Gli occhi erano di un azzurro intenso, prepotente; occhi che non si abbassavano mai, che avrebbero potuto sostenere qualsiasi sguardo come ora sostenevano il mio. Era incredibilmente bella, ma non era la sua bellezza a darmi le vertigini in quel momento. Era una sensazione difficile da descrivere a freddo, come se per un istante lei fosse stata il centro del mondo, e l’unica cosa che contava era dimostrarle che ero degno di lei.
Per fortuna, durò solo un istante.
‘Ahem.’, tossicchiò allusivo lui, evidentemente consapevole dell’effetto che la sua ragazza aveva sugli uomini. Se la cosa gli dava fastidio, non lo dava a vedere.
‘Dove tenete i libri scolastici?’, chiese cortesemente lei.
‘Dipende.’, risposi. ‘Che anno frequenti?’
‘Devo cominciare il sesto.’
‘Sesto scaffale lì a destra.’
Non mi ero sbagliato sulla sua età, dunque.

 

 

‘Razza di pedofilo!’, commentò Judith davanti a un gelato di Florian con uno scroscio di risa.
La gente seduta intorno a noi si voltò scandalizzata dopo quest’uscita, ma né lei né il fratello ci fecero caso; evidentemente erano abituati agli sguardi di rimprovero.
‘Non dire stupidaggini.’, sibilai, tentando di riportare la conversazione a un volume più basso. ‘Ti sembro il tipo che corre dietro alle ragazzine? Mi ha fatto una strana impressione, punto.’
‘Se non corri dietro ai ragazzini, perché passi metà del tuo tempo con noi?’, ribatté lei.
‘Perché non conosco nessun altro.’
‘Simpatico.’
Non c’era molto altro da dire sull’argomento; continuammo a chiacchierare del più e del meno finché qualcosa non catturò lo sguardo di Judith.
‘È lei la tua bella, Gareth?’, domandò facendomi cenno di voltarmi. ‘Da come ce l’hai descritta sembrerebbe proprio lei.’
Sia io che Orion ci girammo. I due ragazzi della libreria stavano uscendo dalla gelateria mano nella mano, contornati da uno stormo di amici. La bionda dovette avvertire il nostro sguardo, perché si voltò verso di noi e mi salutò con un lieve gesto della mano. Risposi, sollevato di constatare che la sensazione di disorientamento non era intensa come l’altra volta. Non fu così per Orion. Continuò a guardarla fino a che non si allontanò, e non aprì più bocca, perso nei suoi pensieri.

 


     


Judith era preoccupata.
‘Ti dico che non è normale.’, esclamò mentre la aiutavo ad allestire uno scaffale di soprammobili a Magie Sinister. ‘È completamente preso. Non mi ascolta più, è sempre perso nei suoi pensieri… E il peggio è che quando la vede passare Victoire per strada comincia a fissarla, e non credere che lei non se ne sia accorta. Quando lo vede fare così fa la faccia di un cerbiatto di fronte ai fari di una macchina, poveraccia.’
‘Victoire?’, ripetei.
‘Victoire Weasley. Orion ha detto che si chiama così… Non voglio sapere come l’ha scoperto.’
‘Secondo me stai esagerando, Ju. Tu non hai mai fatto stupidaggini per un ragazzo?’
Lei scoppiò a ridere.
‘Che c’è?’, chiesi, un po’ innervosito.
‘Niente, è solo che non hai ancora capito con chi hai a che fare.’
‘Vuoi dirmi che nessuno di voi due ha mai avuto una storia?’
‘Cadono tutti ai nostri piedi, non l’hai notato? Comunque non è questo il punto: Orion deve stare attento. Deve imparare a darsi una regolata: sai quant’è impulsivo, e sta gestendo questa storia in modo completamente irresponsabile.’
‘Non è che per caso sei un po’ gelosa del tuo fratellino?’
Judith stava per ribattere, ma in quel momento entrò un cliente. Mi scoccò un’occhiataccia a mo’ di conclusione e si voltò verso il nuovo arrivato.
‘Posso aiutarla?’, domandò.
‘Sto cercando Orion Vicar.’, rispose lui dubbioso.
Lo guardai maglio: ero sicuro di aver già sentito quella voce. Mi ci volle qualche istante per riconoscere il ragazzo di Victoire, che adesso aveva i capelli bruni tagliati a spazzola, il naso aquilino e qualche centimetro in più. Aveva scelto un aspetto da bullo.
‘Di là.’, rispose Judith indicando il magazzino, dove il suo gemello stava imballando le ordinazioni da recapitare per posta.
Notai che aveva usato il braccio sinistro per puntare: il finto Marchio era perfettamente visibile. La cosa non sfuggì al ragazzo, che trasalì. Lei gli rivolse un sorrisetto di sfida, ma lui si diresse verso il magazzino senza commentare. Chiuse la porta del magazzino alle proprie spalle.
Judith scattò verso la tromba delle scale, afferrandomi per un braccio e trascinandomi con sé.
‘Che stai facendo?’, domandai.
‘Shh!’, mi zittì lei. ‘Da qui si sente tutto.’
‘Non essere ridicola, Ju.’
Per tutta risposta mi schiaffò una mano sulla bocca e tese le orecchie.
‘Posso aiutarla?’, fece la voce disinvolta di Orion.
Il ragazzo esitò per una frazione di secondo, durante la quale calò il silenzio.
‘Sì.’, rispose poi in quello che evidentemente voleva essere un tono minaccioso. ‘Ti sarei grato se smettessi di perseguitare la mia ragazza. La spaventi.’
‘Non so di cosa tu stia parlando.’, ringhiò Orion.
Lui sì che sapeva usare un tono minaccioso.
‘Ho visto come guardi Victoire.’, replicò il ragazzo, che sembrava spaventato ma per niente disposto a lasciar perdere. ‘Te l’ho detto, le fai paura. Cosa speri di ottenere fissandola come un ossesso ogni volta che passa? Pensi di farle una buona impressione?’
‘Non so neanche chi sia la tua ragazza.’
A giudicare dal ringhio nella voce, Orion cominciava ad arrabbiarsi sul serio. L’altro dovette accorgersene, perché fece un ultimo tentativo di risolvere le cose in modo pacifico.
‘Senti, so bene che effetto fa Vicky agli uomini. Non è colpa tua: è una Veela. O meglio, in parte Veela. Sua nonna lo era. In realtà Vicky ha pochissimo sangue Veela nelle vene, abbastanza per disorientare gli uomini a prima vista, ma non per… Non per suscitare ossessione.’
‘Se non hai intenzione di comprare niente esci dal negozio.’
‘Che cosa?’
‘Vattene o ti butto fuori a calci.’
‘Stai scherzando, spero.’
‘Sono serissimo.’
‘Non posso.’
‘Perché?’
‘Perché devi lasciare stare Victoire.’
‘Se non vuoi che la gente fissi la tua ragazza ti toccherà chiuderla in casa.’
‘Non parlo solo di questo, lo sai benissimo!’
‘Ti avverto, dì un’altra parola e ti…’
‘I sogni!’, urlò il ragazzo.
Adesso era infuriato. Avvertii la mano di Judith tremare. Quando mi voltai verso di lei aveva un’espressione sconvolta.
‘Interveniamo.’, sussurrai. ‘Possiamo evitare che le cose si mettano male.’
‘No.’, rispose secca lei. ‘Devo stare a sentire finché posso, ora a maggior ragione.’
Se non era preoccupata per l’incolumità del fratello, perché era così agitata? Ad ogni modo era troppo tardi per evitare una rissa: sentimmo un tonfo ovattato. Qualcuno era caduto, o più probabilmente era stato spinto, contro il muro.
‘Picchiami, se vuoi!’, urlò il ragazzo. ‘Spezzami tutte le ossa! Credi davvero che risolverai qualcosa? Credi che nessuno te la farà pagare?’
‘Mi stai minacciando?’, replicò derisorio Orion.
‘Ti sto avvisando, imbecille! Se i cugini di Victoire vengono a sapere di quello che le hai fatto ti spaccano la faccia! Guardala quanto ti pare, accampati nel suo giardino se ti fa piacere: non cambierà niente. Lei è innamorata di me. Ma lascia stare la sua testa, maniaco. Lasciala stare almeno mentre dorme. Non hai il diritto di entrare nei suoi sogni… Questa è magia oscura!’
Judith soffocò un grido esterrefatto.
‘Lo ammazzo.’, mormorò. ‘Giuro che se non lo ammazza lui, lo ammazzo io.’
Non sapevo se si riferisse a suo fratello o all’altro ragazzo. Orion intanto non rispondeva, e a giudicare dal silenzio non era neanche ricorso alla violenza. Il ragazzo ne approfittò.
‘So che sei tu a farlo.’, continuò. ‘Erano giorni che Victoire si sentiva spiata mentre dormiva, o si ritrovava nel bel mezzo di un sogno in una casa che dalla sua descrizione somiglia a questo edificio, guarda tu che coincidenza. Ma non riusciva a capire chi stesse manomettendo i suoi pensieri, finché qualche sera fa, quando si è manifestato di nuovo quel dannato sogno, è riuscita a correre davanti a uno specchio prima che l’assalitore potesse fermarla. E ha visto il suo riflesso. Il tuo riflesso.’
Orion rimase in silenzio.
‘Stalle lontano.’, concluse il ragazzo. ‘Altrimenti ti denuncio per magia oscura. E credimi, niente mi renderebbe più felice.’
‘Perché non l’hai già fatto, allora?’, ringhiò Orion.
L’altro se ne andò senza rispondere. Quando sentì la porta del negozio chiudersi con uno scatto, Judith franò giù per le scale. Il fratello uscì dal magazzino con gli occhi bassi. Lei gli diede uno schiaffo, asciandogli un segno rosso sulla guancia.
‘Non l’ho fatto apposta, Ju.’, mormorò lui senza riuscire a sostenere il suo sguardo. ‘Pensavo a lei anche di notte, volevo starle vicino… Non sapevo che…’
Per tutta risposta, lei gli mollò un altro schiaffo. La sua espressione era di ghiaccio.
‘Sei un idiota.’, sibilò. ‘A diciott’anni ancora non sai controllarti. Ti farai sbattere dentro se continui così, o farai del male a qualcuno.’
‘Non sono un mago oscuro.’
‘Io lo so, ma il resto mondo non ti crederà così prontamente.’
Dov’era finita la ragazzina irriverente con un finto Marchio Nero tatuato sul braccio?

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Capitolo 4
*** A Hogwarts ***


Dopo la scena con il ragazzo di Victoire non vidi più i gemelli Vicar per più di un mese.
Me n’ero andato senza una parola, sapendo che non avrei dovuto sentire quello che avevo sentito. Loro non avevano nessuna voglia di spiegarmi che cosa stava succedendo e io non avevo nessuna voglia di farmelo raccontare. Pensavo di aver chiuso i rapporti con loro, ma mi sbagliavo: in un pomeriggio piovoso di metà ottobre Orion si presentò a casa mia.
‘Posso entrare?’, chiese. ‘Devo chiederti una cosa.’
‘Prego.’
Lo feci sistemare su una poltrona accanto al camino e gli offrii una tazza di tè; era bagnato come un pulcino.
‘Ho un appuntamento con Victoire.’, esordì senza mezzi termini.
Mandai giù una lenta sorsata di tè.
‘Davvero?’, dissi cautamente. ‘Mi sembrava che non fosse finita molto bene con lei.’
Non c'era bisogno di chiedere era se Orion avesse continuato a entrare nei suoi sogni: sapevamo entrambi di cosa stavo parlando.
‘Ho imparato a controllarmi meglio.’, rispose infatti il ragazzo. ‘Ma da quando è iniziata la scuola le ho scritto parecchie volte. Prima mi ha ignorato, poi ha risposto minacciando di dire tutto ai suoi genitori, ai suoi cugini, a un insegnante… Poi però ha acconsentito a vedermi. Domani notte, sulla sponda del Lago Nero.’
‘E io cosa c’entro?’
Il tono era più brusco di quanto volessi, ma non mi piaceva il modo in cui Orion si comportava con quella ragazza. Non volevo che facesse qualcosa di pericoloso, e di sicuro non volevo che si cacciasse nei guai. O se proprio doveva, almeno che me ne lasciasse fuori.
‘Devi accompagnarmi. Per favore? Non so Smaterializzarmi. Non ho mai preso lezioni.’
‘Tua sorella lo sa fare?’
‘No, e anche se fosse non glielo chiederei. Se scopre che penso ancora a Victoire mi uccide.’
‘Cosa ti fa credere che io non sia dello stesso parere?’
‘Sono innamorato di lei, Gareth.’
‘Non è così che si comporta un innamorato.’
‘Che altro dovrei fare? Quel Lupin le sta sempre col fiato sul collo, e quando non è lui è un cugino.’
‘Se stai parlando del suo ragazzo, non mi sembra il tipo da starle col fiato sul collo. Tu, invece…’
‘Ti prego, Gareth. Non farò niente di stupido, te lo prometto. Voglio solo parlarle di persona.’
Esitai.
‘Andrai comunque a Hogwarts anche se non ti ci porto io, vero?’
‘Troverò un modo.’
‘E va bene. Ma ti avviso che dovremo atterrare a Hogsmeade, ed è una bella scarpinata da là al castello.’
Il ragazzo s’illuminò.
‘Non so come ringraziarti, sei davvero un amico!’
Mi schermii con un gesto. Non avevo cambiato idea riguardo alla sua ossessione per Victoire Weasley, ma se aveva davvero intenzione di incontrarla serviva che qualcuno lo sorvegliasse, per il suo bene e per quello della ragazza.

 

 

Orion mi fece cenno di allontanarmi quando vedemmo una figura scura avanzare a passo svelto sotto la luna. Io annuii, ma dopo pochi passi mi tornai indietro, nascosto da un Incantesimo di Disillusione. Invisibile, bacchetta alla mano e pronto a intervenire in caso di bisogno, mi appoggiai a un albero e guardai Victoire avvicinarsi.
‘Sei venuta.’, disse Orion raggiante.
‘Per dirti di lasciarmi stare.’, replicò lei.
‘Non posso. Ti amo, Victoire.’
‘Mi fai paura. I miei sogni…’
‘Non succederà più.’
‘Era magia oscura.’
‘No. Non sono un mago oscuro, e credimi, non avevo intenzione di farti del male. Sono sempre stato un po’… diverso. Sia io che mia sorella. Non abbiamo frequentato Hogwarts; abbiamo dovuto imparare da autodidatti.’
‘Perché?’
‘Beh, mia madre…’
S’interruppe.
‘Che c’è?’, fece Victoire.
‘Ti interessa.’
‘Certo che m’interessa sapere se sei un mago oscuro o no.’
‘No. Ti interessa di me.’
‘Neanche ti conosco.’
‘Però hai detto a Lupin di non denunciarmi. Sei stata tu, vero?’
La ragazza esitò.
‘Non sembri una persona cattiva.’, disse lentamente. ‘Non tanto da meritare il carcere, in ogni caso. Ma non mi fido di te.’
‘Grazie per avermi dato lo stesso una possibilità.’
‘Vedi di meritartela. Parlami di tua madre.’
Avrei volentieri continuato a seguire la conversazione, ma una risata stridula alle mie spalle mi distrasse.
‘Chi c’è?’, sibilai.
‘Guarda guarda!’, esclamò per tutta risposta una voce. ‘Non sei un po’ cresciutello per frequentare la scuola, bello mio?’
Seguii la voce, allontanandomi dai due ragazzi.
‘Prendimi se ci riesci!’, cinguettò questa.
‘Chi sei?’, ringhiai. ‘Mostrati.’
‘Perché dovrei? Mi sto divertendo un mondo!’
‘Homenum Revelio!’, tentai.
Di nuovo quella risata irritante.
‘Ho-ho! Nulla possono i grandi e potenti incantesimi  contro il fantasma di Hogwarts!’, canterellò la voce.
‘Non sei un fantasma. I fantasmi non sanno rendersi invisibili.’
‘Oooh, vedo che sei preparato sull’argomento… Venti punti alla tua Casa! Ma tu non hai una Casa, vero? Sono qui da molto prima che tu nascessi, bello mio, e mi ricordo la faccia di tutti gli studenti di questa scuola, uno per uno. La tua però mi giunge nuova. Allora la domanda non è chi sono io, ma chi sei tu.’
Non sapevo cosa rispondere.
‘Aspetta aspetta!’, eruppe la vocina. ‘Hai qualcosa di familiare… Qualcosa negli occhi, nei lineamenti… Sicuro! Sei la copia sputata di Nala Parker! Non credere che un semplice Incantesimo di Disillusione possa ingannare il sottoscritto.’
Trasalii.
‘Conoscevi mia madre?’
‘Sicuro! Nala Jean Parker! Gran bella ragazza… Peccato per le sue frequentazioni…’
Rimase un attimo in silenzio, forse aspettando che reagissi. Non l’accontentai.
‘Dì un po’, ti piacerebbe sapere che cosa combinava tua madre da giovane?’, continuò la voce.
Sapevo di dovermi giovare bene le mie carte: non potevo apparire né troppo desideroso né troppo indifferente. Chiunque fosse, questa persona poteva denunciarmi a un insegnante se non gli andavo a genio. E poi, forse aveva davvero delle informazioni preziose su mia madre… Forse potevo finalmente scoprire che cosa diavolo l’aveva spinta a scappare a gambe levate dall’Inghilterra. Perché ero tornato in Inghilterra, in fondo? Per fare la stessa vita indolente di sempre, da libraio solitario?
‘Mostrati.’, ripetei.
‘Uff, quanto sei noioso.’, sbuffò la voce. ‘E va bene, visto che insisti…’
A poco a poco, si delineò davanti a me una figura simile a uno gnomo paffutello.
‘Pix, per servirti.’, fece questi inchinandosi.
‘Gareth.’
‘Non m’interessa, bello mio. Andiamo?’

 

 


Mi chiesi più volte se Pix stesse facendo fare una strada arzigogolata per poi schiaffarmi nelle segrete con una risatina irritante delle sue. Da quando eravamo entrati nel castello ero all’erta, ma non c’era anima viva in giro. Per il poco che riuscivo a orientarmi, mi resi conto che eravamo nei sotterranei.
‘Questo posticino era molto caro a un gruppetto di Serpeverde una cinquantina d’anni fa.’, ciarlava intanto Pix. ‘Attaccato al loro dormitorio, nessuno che li disturbasse mentre… Oh, ma che sbadato! Tu non sai nemmeno cosa sia un Serpeverde, vero? Beh, tua madre e tutti i suoi amichetti erano membri di quella Casa, per esempio. Tranne Elliott Laurel, che era un Tassorosso fatto e finito. Anche se ora che ci penso non erano proprio amici amici, lui e Nala. Beh, eccoci arrivati.’
Eravamo in una stanza che doveva essere rimasta chiusa per decenni: la puzza di chiuso era soffocante, e uno spesso strato di polvere ricopriva ogni cosa. Non che ci fosse molto da ricoprire: quadri alle pareti, qualche panca spinta contro il muro, un tavolo con alcune fotografie sopra. Mi avvicinai a quest’ultimo per esaminare meglio le foto.
‘Guarda com’era bellina la tua mammina!’, trillò Pix.
Presi in mano una foto di gruppo per vedere se riuscivo a trovarla in mezzo ai suoi amici…
...e svenni.

 

 

‘Sorridete!’, esclamò allegro un giovane Evan Rosier da sotto il telo nero dell’antiquata macchina fotografica.
I ragazzi si irrigidirono nelle loro pose; un lampo accecante balenò nella stanza.
‘Bene, siete liberi.’, annunciò Evan.
I suoi amici scattarono in piedi, scrocchiandosi la schiena intirizzita e chiacchierando tra loro.
‘Io continuo a dire che è un’idea stupida.’, commentò un ragazzo pallido dai capelli lunghi mostruosamente sporchi. ‘Se qualcuno trova una foto in cui siamo tutti insieme…’
‘…Non succederà niente, Severus.’, lo interruppe Evan. ‘Se un gruppo di amici decide di posare per una foto non significa che siano necessariamente Mangiamorte. Abbassa la guardia, ogni tanto, nessuno ti infilerà un coltello nella schiena per un attimo di distrazione.’
Tutti risero, e anche Severus accennò un sorriso.
‘Lo dici tu.’, ribatté in tono bonario.
‘Se avessi fatto quella faccia mentre Evan scattava la foto sarebbe venuta meglio.’, commentò una ragazza dai folti capelli bruni. ‘Invece eri tutto imbronciato.’
‘Non tutti abbiamo il tuo sorriso smagliante, Bella.’, fece galante Evan.
Lei scoppiò in una risata acuta (non si poteva proprio chiamare una risata argentina) e gli diede un pugnetto scherzoso sul petto.
Un ragazzo piccolo e mingherlino, chiaramente più giovane degli altri, tossicchiò per attirare l’attenzione generale.
‘Non dovremmo continuare la riunione?’, azzardò timidamente.
‘Hai ragione.’, disse Evan in tono più serio. ‘Ragazzi, ho una notizia sensazionale: il Signore Oscuro ha detto che vuole incontrarci.’
L’applauso scrosciante durò quasi un minuto, e ci volle molto di più per sedare il chiacchiericcio eccitato.
‘Insomma!’, intervenne alla fine un giovanotto biondo platino dai penetranti occhi grigi. ‘Smettetela di fare baccano e mettiamoci al lavoro.’
‘Giusto.’, approvò Evan. ‘Allora, dobbiamo mettere insieme un gruppo di tre persone per farci da ambasciatori. Io direi di mandare innanzitutto Severus, che è il più capace tra di noi -senza offesa, ragazzi. È il più adatto a dimostrare al Signore Oscuro che siamo giovani promettenti, non bambinetti.’
Il ragazzo accettò l’incarico con un sorrisetto soddisfatto e un cenno del capo. Il biondo inarcò le sopracciglia con aria scettica, ma non si oppose.
‘Propongo anche Bellatrix.’, intervenne ancora. ‘In nome dei Black. Può far comodo fargli notare che abbiamo alle spalle la famiglia Purosangue più potente del mondo magico.’
‘Perché non Regulus, allora?’, obiettò qualcuno.
‘Oh, no.’, si schermì il ragazzo piccolino che aveva parlato prima. ‘Bella è la più grande, è giusto che vada lei.’
Bellatrix arruffò affettuosamente i capelli del cugino con un ghigno, cingendogli materna le spalle.
‘Va bene.’, approvò Evan. ‘Quanto al terzo…’
‘Potrei andarci io.’, s’intromise in fretta il biondo.
Severus era d’accordo.
‘Lucius sa parlare.’, fece notare. ‘È un politico nato.’
La decisione sembrava presa, e Lucius stava già accennando un sorriso vittorioso, ma Evan scosse lentamente la testa.
‘Io propongo Nala.’
Gli sguardi dei presenti saettarono da una parte all’altra, cercando la ragazza interpellata. Lucius aprì la bocca come per protestare, ma cambiò idea: come gli altri rimase a guardare la scena, attendendo di scoprire da che parte tirava il vento.
‘Io?’, fece esterrefatta una bella ragazza dagli occhi azzurri, emergendo dalla folla. ‘Perché io?’
‘Perché anche se non parli bene come Lucius, non parli mai a vanvera.’, rispose calmo Evan. ‘Il Signore Oscuro vuole qualcuno che gli dica le cose come stanno, non che tenti di ingraziarselo. E poi non abbiamo bisogno di fargli moine o di tendergli chissà che tranello: siamo pronti a servirlo. Non è il nostro posto metterci a fare politica. Un giorno, forse, ma ora… Vai tu, Nala.’
Un brusio di approvazione si levò tra i ragazzi: Evan aveva ragione.
‘E poi hai un visino grazioso, il che non guasta.’, aggiunse Lucius.
Il tono era allusivo, ma Rosier non raccolse la provocazione.
‘Bene, direi che è tutto per oggi.’, disse.
La stanza si svuotò piano piano. Evan fece per andare via con gli altri, ma Nala lo trattenne per un braccio. Attese che tutti se ne fossero andati prima di parlare.
‘Perché io?’, sibilò. ‘Perché non ci vai tu? Lo sanno tutti che sei tu il capo qui.’
‘Il nostro unico capo è il Signore Oscuro.’
‘Sai che non è così: tutti ti rispettano, sei tu che mandi avanti le riunioni.’
‘Ma non c’è bisogno che il Signore Oscuro venga a saperlo: siamo tutti solo umili servitori, no? Niente capi tranne lui. E comunque, credi che una volta finita la scuola, quando diventeremo davvero Mangiamorte, io sarò ancora un punto di riferimento?’
La ragazza rimase in silenzio, ponderando la risposta.
‘Qui facciamo sul serio, Nala.’, continuò l’altro. ‘Facciamo finta che sia tutto un gioco, e forse tra noi c’è qualcuno che lo crede davvero, ma ci stiamo preparando per qualcosa di grosso. Ci stiamo preparando a una guerra.’
‘Una guerra che vinceremo.’, fece secca Nala.
L’amico annuì.
‘Ma pur sempre una guerra.’

 

 


Mi ritrovai accasciato per terra con la foto in mano.
Pix si stava contorcendo dalle risate.
‘Sapevi che sarebbe successo?’, ringhiai. ‘Sapevi che sarei svenuto?’
‘Oh, ma non sei solo svenuto, bello mio. Tu hai avuto un’allucinazione.’
‘Ma perché?’
‘Un trucchetto del Albus Silente per individuare potenziali futuri Mangiamorte: un incantesimo che mostra il momento il cui è stata scattata una foto. Li ha beccati tutti in un colpo, il vecchio Silente, ma non aveva prove che fossero diventati tutti Mangiamorte, quindi non poteva portarli in tribunale.’
‘Ci sono altre foto così?’
‘Quella là sopra dovrebbe fare al caso tuo. Portala a casa, se vuoi.’
Non mi fidavo di quello gnomo.
‘Perché mi stai aiutando?’
‘Perché mi piace avere dei segretucci. Adesso vattene, prima che cambi idea.’

 

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