Essere cyborg

di Peppe_97_Rinaldi
(/viewuser.php?uid=424576)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Essere umano ***
Capitolo 3: *** Vita ***
Capitolo 4: *** Chichi e C-18 ***
Capitolo 5: *** Il laboratorio del dottor Gelo ***
Capitolo 6: *** Kori Steet ***
Capitolo 7: *** Incontro ***
Capitolo 8: *** Kimley Jefferson ***
Capitolo 9: *** Kame House ***
Capitolo 10: *** Orange Town ***
Capitolo 11: *** Crilin e C-18 ***
Capitolo 12: *** Riunione: i tre ragazzi di nuovo insieme ***
Capitolo 13: *** Incomincia il racconto ***
Capitolo 14: *** Il rifugio segreto ***
Capitolo 15: *** L'uomo misterioso ***
Capitolo 16: *** 24 Dicembre ***
Capitolo 17: *** Edward e Hilary: l'amore di due genitori - Parte Prima ***
Capitolo 18: *** Edward e Hilary: battaglia contro Gelo - Parte Seconda ***
Capitolo 19: *** Edward e Hilary: la conclusione - Parte Terza ***
Capitolo 20: *** Nuova vita ***
Capitolo 21: *** La baby gang di Orange Town ***
Capitolo 22: *** Verità ***
Capitolo 23: *** Pedinamento ***
Capitolo 24: *** La famiglia frammentata dalle menzogne ***
Capitolo 25: *** Pestaggio - Parte Prima ***
Capitolo 26: *** Pestaggio - Parte Seconda ***
Capitolo 27: *** Pestaggio - Parte Terza ***
Capitolo 28: *** Incontro inaspettato nella Muscle Tower ***
Capitolo 29: *** Susan e Gelo, ultimo atto ***
Capitolo 30: *** “Il mio corpo si è mosso da solo” ***
Capitolo 31: *** Scontro finale ***
Capitolo 32: *** Il momento dell'addio ***
Capitolo 33: *** La nascita di C-17 e C-18 ***
Capitolo 34: *** L'ecosistema del potere - La storia del dottor Gelo ***
Capitolo 35: *** Essere cyborg ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


17 dicembre

 Sopraggiunge il tramonto. Il cielo si dipinge tenebrosamente come una volta cremisi, in un’unica stoffa sanguigna. Nel bel mezzo di una foresta, illuminata debolmente, come a controllare dall’alto l’intera distesa si erge una collina. Scavata nella roccia, un’apertura naturale si affaccia sinistramente in una caverna buia. Entriamo.                                   
Il silenzio della natura ammutolita per lo scempio viene soffocato da una risata disumana e orribile.     
Tutto è buio, l’oscurità sta per soverchiare incontrastata.                                                                                                             
Distesi su due letti, su lenzuola macchiate di crude sangue fresco, due giovani ragazzi giacciono inanimi.                         
Il dottor Gelo è lì, davanti a loro, con i lineamenti del volto disperatamente contratti. Ha uno sguardo folle, gli occhi spalancati, la bocca aperta per l’eccitazione. Un ribollire di odio, rancore, disgusto e mera, impetuosa pazzia lo riempiono di focosa felicità.              
<< Finalmente! >> Le sue urla accompagnano scrupolosamente ogni suo gesto, e con un’attenzione senza precedenti lo vediamo inserire ganci metallici all’interno dei due corpi, brutalmente laceri. << Tranquilli >> li rassicura, anche se non lo possono sentire, << fra poco gioirete! >> Comincia a sbavare, e una risata spietata si diffonde per la caverna.      
<< Tutti quegli anni di sacrifici, di finta benevolenza alla fine quindi sono serviti! E vi ricordate tutti i vostri sorrisi? Eravate così piccoli, innocui… e ingenui! >> Forse noi non possiamo nemmeno lontanamente immaginare il suo compiacimento in questo momento… Ride crudele, gioioso all’idea di quanto sta dicendo. Tuoni e lampi saettano furiosamente, come a voler punire il vecchio per quella terribile atrocità, ma purtroppo egli è ben riparato nel suo laboratorio.        
<< Peccato che lui sia così debole… >> prese un attimo il respiro << mi sarei divertito un mondo a vederlo diventare un inutile robot e obbedirmi così stoltamente! Inutile essere… ma non fa niente, adesso ho voi qui con me, e farete solo quello che vi ordinerò! >> . Fa qualche altra manovra, e completa l’operazione. << Pulcini miei… RINASCETE! >>                                     
Un tuono si schianta fragorosamente sul terreno, facendo vibrare la grotta. Nel chiarore del lampo, un figura corre disperatamente verso il laboratorio: ha appena udito quell’urlo. Il suo cuore sussulta un attimo, quasi fermandosi del tutto. Piange, ma poi riparte, va avanti: lo deve fare per loro. Gelo ascolta curioso i disperati passi nella pioggia.                                                                           
<< Uh uh, guadate, è venuto a salutarvi! >> Si volta, e in quel preciso istante il ragazzo appare sulla soglia della caverna.           
Ha un attimo per notare terrorizzato il vecchio, quando il suo sguardo corre dietro di lui. Sgrana gli occhi. << No… NO! >>         
<< Sono felice di rivederti, mio caro >> lo deride Gelo, divertito. << Così, prima che tu possa morire, potrò assistere ai sensi di colpa che ti divoreranno inesorabilmente! >>            
E’ stato come ricevere una pugnalata in pieno petto… no, il dolore che prova mai potrebbe essere più forte.            
<< Se solo… se solo li avessi ascoltati… >>                                                                                        
Il dottor Gelo si avvicina. << “Oh no, dovevo stare zitto, non dovevo rivelare il nostro segreto, non dovevo fidarmi…?” E’ questo quello che stai pensando, vero? Dì piuttosto: “Sono stato uno stupido per tutta la mia breve vita!”>>                                
Di scatto, i due ragazzi distesi aprono gli occhi. Un’improvvisa folata di gelido vento si disperde in tutte le direzioni, graffiando le lacrime del nuovo arrivato. Dall’epicentro della tempesta, si possono distinguere solamente due sagome, ritte in piedi, mentre  stanno rivestendosi. << Sì… >> comincia il dottor Gelo, con tono esaltato. << Forza, venite avanti, cyborg!>>               
Lentamente, i due fuoriescono dalla foschia, apparendo dinanzi agli occhi del ragazzo. Occhi gelidi, volto spietato; dorati fili d’oro lei, cupi filamenti corvini lui.                                                                                                                                                              
Il giovane comincia a singhiozzare, gettandosi in ginocchio per terra. << E’ colpa mia… Non sono stato neanche in grado di salvarvi… >> Squadrava con terrore i cyborg che gli si avvicinavano silenziosi come la morte. << Grazie di cuore per tutti gli anni passati insieme… >> E mentre li guarda con il volto gonfio di lacrime, il dottor Gelo grida: << C – 17, C – 18, UCCIDETELO! >>                             
Di scatto levano un braccio in avanti, tendendo le mani aperte, entrambe rivolte crudelmente verso il ragazzo. Il palmo di ognuno si illumina di una sconosciuta luce gialla. Avvicinandosi l’un l’altro, i cyborg spalancano bocca e occhi.                                
Due potenti saette sfrecciano confluendo in un unico, drammatico raggio…                                                      
Il ragazzo chiude gli occhi…                                                                                                                             
Una violenta esplosione rimbomba nel tramonto, segnando la fine di due umani e l’inizio della vita di due imbattibili cyborg. 
Esplosione che schizza nel cielo colorandolo come il sangue, portandosi dietro un’infinita scia di morte…

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Essere umano ***


Salve a tutti!!! Questa è la mia prima fanfiction, e sono felice che la mia prima storia abbia per protagonisti C-17 e C-18 ^^ Allora... quello dell'altra volta era il prologo dell'intera storia, ora questo è il primo capitolo vero e proprio ^^ Mentre scrivevo avevo le immagini del manga davanti, infatti ho cercato di attenermi all'opera di Toriyama il più possibile :D Insomma, spero che vi piaccia, e se avete commenti negativi da fare non esitate a recensire, così mi aiutate a migliorare :D Buona lettura!!!!



Palazzo del Supremo, poco dopo la sconfitta di Cell

Era appena passato un buio improvviso. Le Sfere del Drago non vi erano più. Quell’enorme drago non c’era più. E il suo dispositivo di autodistruzione, neanche quello vi era più. Ma perché? Per quale motivo quel nanerottolo aveva voluto eliminare quei terribili dispositivi? E non solo dal suo corpo, ma anche da quello del fratello ...          
<< … perché a me piace C – 18, ma per lei è più adatto C – 17, no? >>  annunciò Crilin ai presenti.                 
Come sarebbe? Questo? Questo sarebbe il motivo? Perché pur di vederla felice, la vuole con C – 17? Fu tutto in un istante. Si sentiva oltraggiata, messa in ridicolo, sminuita. Lei? Un cyborg così potente non aveva bisogno di dimostrazioni di affetto, né tantomeno di compassione; la felicità sua era il dolore altrui, non servivano pensieri, effusioni o bontà alcuna che potessero renderla più felice del sentirsi onnipotente. Era un cyborg, un robot , solamente un essere artificiale, ed anche il più forte… del resto, ormai,  C – 17 era morto… No! Un momento! Qual era stato il primo desiderio espresso da quegli umani? “Fai tornare in vita tutti coloro che sono stati uccisi da Cell… “ ! Quindi… questo voleva dire che… anche C – 17 era tornato in vita! Era vivo, vivo! Come lei non era più vittima di Cell! Avrebbe potuto rivederlo presto… ma, un momento! Cos’era? Quale sensazione era mai questa? Provava delle emozioni nuove, insolite, sconosciute, e temibili… ma perché? Perché temere ciò? Ma di che si trattava?
E poi…  “ … perché a me piace C – 18, ma per lei è più adatto C – 17, no? ”  Le parole di Crilin le risuonarono nella mente, riportandola nella realtà e allontanandola da quei dilemmi.
E così, d’istinto, si gettò fuori dal suo nascondiglio dietro l'imponente colonna, sotto la vista di quanti erano presenti, ma a lei importava soltanto lo sguardo di uno di essi: Crilin.
<< Sciocco! Io e C – 17 siamo fratelli gemelli! >> Perché l’aveva detto? Aveva forse avuto il bisogno di rivelarlo?
<< Comunque non ci sperare! Non mi importava niente dell’esplosivo che avevo nel corpo! Idiota! >> No, no era vero. Voleva convincere lui, o forse se stessa? In realtà era veramente grata al quel ragazzo per la rimozione dell’esplosivo che tanto le incuteva terrore, ma non solo per quello…
Ripensò alle parole di Junior: “Dovresti ringraziare Crilin, ti ha sempre protetta da quando Cell ti ha rigettata…”
Per quale motivo aveva fatto tutto quello, che gli importava di lei? Cos’era tutta questa premura? Eppure… un nuovo sentimento nasceva in lei, come una sorta di piacere per tutto ciò. Era stata dura con lui, fredda, distaccata, ma egli continuava a guardarla con la stessa espressione: il volto di chi, fiducioso nel futuro, non vuole arrendersi. La giovane lo guardò.
Era lì, estranea in quel palazzo, ma non veniva attaccata, anzi, era lei che aggrediva ora, cosa non insolita, dopotutto. Ma perché stavolta era diverso? Decise di andarsene, voleva scappare, fuggire via da lì, fuggire da se stessa.              
<< Ci vediamo… >> La delicata bocca, la stessa da cui erano provenite varie invettive, si era mossa ora lievemente, emettendo un suono timido e dolce, piacevole all’udito. Crilin era rimasto interdetto; accompagnava C – 18 con lo sguardo nella sua rapida discesa. Poteva sperare, poteva continuare a sognare; mai era stato tanto determinato in vita sua.

Il vento le sfrecciava tagliente sul volto, ma C – 18 non aveva intenzione di rallentare. Era un disperato lampo in quel meraviglioso cielo; la pace era tornata sul pianeta, Cell ormai era morto, ma per lei non vi era alcuna pace. Quello che i terrestri avevano vissuto, lo smarrimento, il timore di entrare nella più buia disperazione, ora lo stava vivendo lei.
<< Ho detto “Ci vediamo…” Ma cosa mi è saltato in mente? >> Effettivamente, avrebbe tanto voluto dirgli addio, non rivederlo mai più, ma la sua voce le era malauguratamente uscita di bocca da sé, dicendo da sé quello che voleva…               
Sotto la sua scia si estendeva un panorama straordinario, che immediatamente le tolse il fiato: all’orizzonte, le ripide montagne degradavano dolcemente verso il mare, mentre all’interno coppie di duplici pendii si univano in una timida conca, la cui superficie era occultata da una piatta distesa d’acqua. Da qui, vari fiumi si diramavano nelle più disparate boscaglie, oppure allietavano volentieri gruppi di esemplari faunistici e floristici. Quasi senza farlo apposta, la giovane lentamente rallentò, quando una voce improvvisa l’immobilizzò del tutto.
“Era la voce del tuo cuore!”
C – 18 si girò di scatto, guardandosi intorno. << Chi ha parlato? Chi osa spiarmi??? >> Era furiosa,  attonita, spaventata, anzi terrorizzata al solo pensiero che qualcuno sapesse cosa stava passando, che conoscesse le sue più intime debolezze. I suoi occhi erano furibondi, pronti a captare il più impercettibile movimento, in perfetta sincronia con i muscoli delle gambe, pronti ad avventarsi a chiunque le capitasse a freno. Silenzio fuori, panico dentro. Si girò, scattò il volto avanti e indietro, a destra e a sinistra… ma niente.
<< Magari... me la sono solo immaginata >> . Sapeva che non era così, ma non voleva crederci, non voleva ammettere il disagio di quella situazione.
Si portò lentamente la mano davanti all’occhio, e si esaminò il braccio: << Ero pronta a difendermi, a fare qualunque cosa pur di vivere. Volevo… sopravvivere >> . Cominciò a respirare affannosamente, le gambe le tremavano, si sentiva quasi perdere equilibrio, e capì che doveva atterrare presto. << La mia… si può chiamare vita ? No, sono un cyborg… solo un inutile robot costruito da quel pazzoide del dottor Gelo… >> Ma un lampo improvviso, un terribile fulmine esplose nella sua mente, e le presentò l’immagine di un ragazzo.
Era giovane, dai freschi lineamenti e dal sorriso intelligente, ma ciò che risaltò alla ragazza furono i suoi capelli corvini e lo sguardo di ghiaccio, freddo come il suo. << C – 17 ! >> esclamò come rinata. Nella sua mente era balenata l’immagine del fratello, l’unico legame che la teneva ancorata all’umanità, e qui prese una decisione: era stato resuscitato anche lui, no? Ebbene, allora l’avrebbe cercato immediatamente, e dovunque, senza sosta, finché non l’avrebbe rivisto.
Armata di un nuovo coraggio, sfrecciò via nel cielo, mentre in lei nasceva una nuova consapevolezza, seppur non se ne fosse minimamente resa conto: ancor prima di essere cyborg, era anzitutto un essere umano.

Frattanto, in qualche luogo da lì lontano, si estendeva un orribile campo roccioso, con evidenti segni di un violento scontro. Desolazione e angoscia vi regnavano, affiancati da un gelida aria di morte. Il giovane si faceva avanti con sguardo perso, smarrito in quella terra misteriosa. I suoi jeans presentavano diverse scuciture e, come del resto anche il suo maglione di lana nero, diversi segni dei violenti scontri susseguiti poco prima. Almeno, poco tempo sembrava essere passato per lui, ma percepiva che qualcosa era cambiato, era successo qualcosa di strano.
<< Ahh, il mio foulard! >> C – 17 tentava di pulirsi quella specie di bandana arancione che teneva preziosamente al collo, ma ormai doveva necessariamente rassegnarsi alla deprimente condizione del suo completo.
Avanzava lento, cauto: non aveva certezze – come avrebbe potuto in una situazione di tale disorientamento – , ma solo speranze. Fortunatamente, una voce finalmente lo chiamò.
 << C – 17 , sei tu! >>
Il ragazzo si voltò verso la direzione da cui proveniva quella voce: << E così, alla fine ti ho trovato >> disse sollevato << caro C – 16 ! >>

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Vita ***


L’aria invernale faceva sentire la sua presenza, con vaghi quanto penetranti ululati di vento. Ma per C – 16 non vi era differenza alcuna. Lui era un androide, e non poteva provare emozioni, né dolore né sensazioni tattili.
Tuttavia nel vedere il suo caro compagno risultò rallegrato… ma anche disorientato.
<< Che ci fai qui?? Cell ti aveva assorbito! >> disse, ma poi con terrore si rese conto di una cosa.
L’esplosione, il suo congegno di autodistruzione, quel ragazzo a cui aveva raccomandato di difendere la natura, Gohan… “Io ero morto!!!”
C – 17 scosse la testa. << Non so cosa sia successo >> rispose, e tentò di raccontare tutto ciò che si ricordava, ma fu cosa difficile, in quanto… non aveva senso. Praticamente, si era come “risvegliato” poco distante da lì, e l’ultima cosa che ricordava era l’interno di quella viscida e orrida coda, che spietatamente lo tirava su, su, su… e poi buio.
“E’ bello avere di nuovo qualcuno con cui parlare” si disse, ma presto i suoi pensieri caddero, inevitabilmente, su di lei.
<< C – 18!! Dov’è adesso mia sorella? >> domandò allarmato.
C – 16 rimase per alcuni secondi con lo sguardo fisso nel vuoto, pensieroso. Poteva essere veramente così? No, era impossibile, eppure… << C – 17 >> cominciò, levando un sospiro. << Io mi sono costruito un’idea di come sono andati i fatti, anche se… è strano. Ora ascoltami, e poi tu dimmi cosa ne pensi. Ho motivo di credere che noi… ecco, in qualche noi siamo stati resuscitati >> dichiarò.
Il corvino sgranò gli occhi. << Che… cosa??? E poi, hai detto “noi”?? >>
C – 16 annuì. << Quel mostro di Cell mi aveva eliminato, ne sono certo. L’ultima immagine che ricordo era quel caro ragazzo – sorrise – Gohan… e a questo punto posso solo pensare che egli sia riuscito a salvare il pianeta. Questo che vedi intorno a te è stato il campo di battaglia nello scontro finale contro Cell, e ha visto vari guerrieri lottare per la vita. E io… davanti agli occhi di quel giovane sono stato ucciso. Ma ora sono qui >> Prese un respiro. << Quel perfido mostro ti aveva assorbito, ricordi? Vuol dire che in quel momento sei morto, oppure sei stato ucciso insieme a lui, se è vero quel penso >>
C – 17 lo fissava attonito, sgomento. Come poteva essere vera una storia del genere? Non aveva senso, lui era un cyborg, un misero robot, la sua non era vita vera e propria… Ma… perché solo un robot? E inoltre, se tutto quello era vero…

… << Che cos’è la vita? >> si chiese C – 18. Insomma, lei, una tale assassina, spietata, anzi, efferata omicida ora stava vivendo, volando libera nel cielo. No, non era libera. La sua anima era legata in maniera indissolubile con quei due ragazzi, C – 17 e Crilin.
Anche quel nanerottolo? Forse sì. Avrebbe tanto voluto non pensarci, eppure doveva riconoscere che Crilin c’era sempre stato.
Quel giovane l’aveva difesa da Cell, l’aveva posta sotto la sua protezione una volta salva, addirittura era stata al Palazzo del Supremo e lì curata, e infine… quei desideri.
“Fai tornare i cyborg 17 e 18 nuovamente umani!”
“Asporta i dispositivi esplosivi che quei due hanno nei loro corpi!”

Per il primo desiderio neppure il drago aveva potuto fare alcunché, ormai il suo posto nel mondo era quello, non poteva variare, ma grazie al quel secondo desiderio non doveva più avere paura di esplodere da un momento all’altro.
“Perché lo sto pensando? Io sono abituata ad annientare gli esseri umani, perché per la prima volta… ho a cuore qualcuno?”
Scosse la testa. “No, non è vero! Non mi importa niente di quel… quel…”
“Pechè a me piace C – 18, ma per lei è più adatto C – 17, no?”
Ebbe un tuffo al cuore. << Crilin… >> sillabò.
“Chi è quel ragazzo, perché lo sto pensando? Cosa penserà mai di una come me?”
E per la prima volta, si rese conto di interessarsi a quel che qualcuno potesse pensare di lei.
“Gli umani parlano di amore… che cos’è? Che questo sia…” ma si interruppe bruscamente. “No, no, basta!”
Calando disperatamente lo sguardo in basso, notò un solitario isolotto nel bel bezzo del mare. Una piccola porzione di terra, dove sorgeva solamente una casetta rosa. “Ma io… quel posto l’ho già visto! Sì certo… quando cercavamo Goku!” pensò, e ricordò anche che tra i presenti allora vi era anche Crilin.
Fu il suo istinto a comandarla. Non sapeva neanche perché, ma stava discendendo in direzione dell’isola, con i gelidi occhi spalancati…

Lo fissava con occhi attenti, azzurri come il ghiaccio. << Quindi noi siamo stati uccisi >> disse C – 17.
Prese un respiro: aveva paura di pronunciare tali parole. << Senti… Cell cercava anche il suo potere. Quindi… dov’è adesso mia sorella, dov’è C – 18? >>
L’androide scosse la testa. << Mi dispiace. Non sono riuscito a proteggerla >> .
Seguì un lungo silenzio che parve interminabile; il vento soffiò in snodate spirali, accarezzando il volto di quel giovane così ferito. << Ma se è vero che è morta… ecco, è possibile che sia tornata in vita anche lei >> osservò speranzoso C – 16.
Il ragazzo sussultò. << Hai ragione!!! Lei… lei può essere viva! >>
<< Spero di sì, anche se… ormai io non sto capendo più niente >> mormorò, giocherellando con un piccolo scoiattolo. Alzò serio lo sguardo verso il suo interlocutore. << Abbiamo ipotizzato che in qualche modo le vittime di Cell sia tornate in vita. Bè, per te e tua sorella è assolutamente normale; è vero, siete cyborg, ma ciò vuol dire che presentate anche fattezze umane.
Io invece… perché sono qui? Che cosa è successo? Sono tornato in vita, ma si può veramente chiamare vita quella di un miserabile androide, frutto di ammassi di latta, che per giunta ha il solo scopo di uccidere, di levare la vita a chi davvero la possiede??!!? >>

C – 18 poggiò la schiena sulla parete esterna della Kame House. “Forse, questa è la sua casa…” Furtivamente, allungò lo sguardo, spiando l’interno dalla finestra. “E ora vediamo. Chi…” Un vecchio, un maiale, e una tartaruga. Che cosa?? Lei si aspettava di trovare grandi combattenti, invece… ma chi erano quelli? Quando un rumore improvviso ruppe tale concentrazione.
Spaurita, alzò gli occhi al cielo, e scrutò una figura che si avvicinava nella sua direzione.
“Oh, no, e ora che faccio?” Si guardò nervosamente intorno, e decise di nascondersi nel retro dell’abitacolo.
“Spero solo che non sia…”
<< Crilin! >> esclamò Muten. Nella sua voce era tuttavia percettibile una certa tensione.
“E’ lui!” Con sorpresa, scoprì che per quanto ci provasse non riusciva a mantenersi calma.
“Che cos’è questa… emozione? No, non è paura, perché dovrebbe?” Eppure, le tremavano le gambe. Com’era possibile? Un miscuglio di passioni, voglia di vivere, desiderio di celarsi nell’oscurità come potente cyborg, paura, e probabilmente affetto nascevano nell’impenetrabile sorgente del suo inconscio. Bisognosa forse di aiuto… no, semplicemente paradossale. Insomma, quel giovane era poco più che uno sconosciuto, ma del resto era la medesima cosa per lei. Nonostante fossa un’estranea, però, era stata salvata…
<< Che cosa è successo a Goku? Non avverto più la sua aura… >> disse lentamente Muten. Conosceva già la risposta.
Crilin deglutì. << Goku… insomma, Goku… >>

<< Tu non sei solo un androide! >> esclamò C – 17. << E’ vero, io almeno ero un umano, tu invece sei un essere totalmente artificiale: questa è la differenza tra cyborg e androide. Tuttavia… >> alzò il tono di voce << questo è un motivo per ammirarti! Nonostante tutto, tu sei riuscito a fare del tuo corpo metallico l’involucro di una vera anima, e sei andato oltre l’originario obiettivo per cui eri nato. Non hai ucciso colui che dovevi eliminare, e hai amato la natura… e da quanto ho capito sei arrivato al punto di sacrificarti per proteggere questo pianeta! >>
Sorrise. << Sei un androide, eppure hai più vita di quanta ne abbia io >>
Fece un respiro tremolante. Il sole lo illuminò debolmente. Con lo sguardo si rivolse ad esso, spalancando le braccia. << Chi sono realmente io? Sono un cyborg, oppure un umano? Qual è il mio destino? Io… sono stato creato per uccidere, eppure mi è stata ridata la vita, la stessa che io disprezzavo. Perché? Realmente me lo merito?
E poi… se adesso continuassi a uccidere, che senso avrebbe la mia vita? Da adesso in poi, cosa farò?
C – 16, noi dobbiamo trovare C – 18; tuttavia, prima c’è qualcos’altro che dobbiamo fare. Il dottor Gelo ci ha trasformati in cyborg, privandoci della nostra umanità: cos’eravamo prima di questa trasformazione? Avevamo un’altra vita, qual è il nostro passato? La nostra… era magari una famiglia come tutte?
Inoltre… siamo gli unici due ad essere stati trasformati in robot: tutte le altre sue creature sono androidi, come te. Perché? Come ha fatto il dottor Gelo a trovarci, perché proprio noi, perché giusto me e mia sorella siamo stati destinati a questo schifo?!?
Mi sono stufato di sottostare a tutto questo… per la prima volta voglio decidere io cosa fare di me! Il nostro passato, presente, futuro… io scoprirò tutto! Saprò tutta la verità! C – 16, mi aiuterai? >>
L’androide annuì, entusiasta. << Certo! >>
C – 17 ne parve compiaciuto. “Grazie, amico!” << Bene! Allora… andiamo! >>
E così dicendo, i due sfrecciarono via, verso un nuovo futuro…

C – 18 respirava lentamente. Aveva già capito al Palazzo del Supremo che fine fosse spettata a Goku, ma sentire e vedere adesso il dolore dei suoi amici la faceva sentire “in colpa”. Non era stata lei a ucciderlo, eppure suo obiettivo era proprio quello.
No, era quello del dottor Gelo, lei non provava alcun compiacimento, anzi.
<< Povera Chichi… >> riuscì a sussurrare Muten.
“Chichi!” Doveva essere la moglie del defunto, ed ora la sua famiglia era stata distrutta. Improvvisamente, provò come a immedesimarsi in ella, provando quasi lo stesso dolore.
Crilin era lì dentro, ma non era ancora il momento giusto.
Chiuse per qualche secondo gli occhi. Morte, dolore, sofferenza, compagni, amici, famiglia, fratello, amore, vita… avrebbe scoperto il vero significato di tutto ciò che di umano esiste. E per farlo…
Spalancò gli occhi; le onde si infransero fragorosamente sulla soffice battigia. C – 18 riusciva finalmente ad essere determinata. Silenziosa ed agile, si librò in aria dolce come una farfalla, e con la velocità di un falco e con l’eleganza di un’aquila risoluta volò via...

Qualche ora più tardi la fanciulla atterrò, posando delicatamente i piedi nella terra bagnata. Oramai quei vestiti erano alquanto “consumati”, avrebbe tanto voluto cambiarli: del resto, non aveva ancora avuto il tempo di lavarsi da quando era uscita dal corpo di Cell.
“Spero che vada tutto bene” pensò. Si fermò un attimo per riflettere.
Si trovava sul Monte Paoz, e finalmente aveva appena compiuto un viaggio senza il fine di uccidere.
Avanzò lentamente verso la piccola casa. Bussò. Trascorsero interminabili secondi, ma alla fine la serratura scattò.
L’espressione di C – 18 si fece più buona, dolce, ma nel contempo preoccupata.
La porta si aprì, lasciando spazio ad una donna appena uscita da una crisi di pianto.
<< Tu devi essere Chichi >> disse la ragazza con tono solenne e chiaro. << Lieta di conoscerti, io sono C – 18 >> .



C - 18 raggiunge Chichi!! Cosa vorrà dalla donna? Appuntamento al prossimo capitolo: "Chichi e C - 18" !!!!

Eccoci finalmente al terzo capitolo :D Anzitutto, scusate per la mia assenza in questi giorni, è da più di una settimana che non pubblicavo il capitolo ^^" Il fatto è che ho avuto dei problemi... insomma praticamente l'ho dovuto riscrivere, altrimenti l'avrei pubblicato subito ^^" E poi... allora questo capitolo forse è venuto troppo lungo, infatti avevo pensato anche di dividerlo in due, ma considerando anche la mia assenza in questa settimana, e per rendere il tutto meno noioso possibile sono tornatato alla mia originaria idea di fare un unico capitolo ^^ Spero che vi sia piaciuto, e spero che il capitolo non vi abbia annoiato per la sua lunghezza ^^
Ps: Dovrebbe essere uno dei capitoli più lunghi, se non il più lungo, ecco, tanto per tranquillizzare xD

Grazie per la lettura, alla prossima!!!!!! :D :D

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chichi e C-18 ***


Chichi rimase per un po’ scioccata, a bocca aperta. Senza attendere oltre, C – 18 si fece largo nella casa, rivolgendo poi di nuovo il suo sguardo alla donna. Erano solo loro. Due donne che necessitavano urgentemente di risposte, che avevano perso ormai tutto. No, non tutto.
<< Sì esatto >> disse C -18, prevenendo l’altra << uno di quei maledetti cyborg che hanno cercato tuo marito per ucciderlo: sì, sono io. Ascolta, dobbiamo parlare >> .
Prese con garbo il suo posto su una delle sedie intorno al tavolo, e Chichi si affrettò a sedersi davanti, con lo sguardo colmo d’ira.
Furente, attaccò : << Cos’è venuto a fare qui un essere come te? Che vuoi? Mio marito è morto, non sei già soddisfatta così, eh? >>
C – 18 sembrò ferita. Incrociò lo sguardo della sua interlocutrice e mormorò con un filo di voce: << E’ appunto per questo che sono venuta qui. Volevo chiederti scusa >> .
Un lungo silenzio cadde nella stanza. Chichi era stupita, e osservava incredula la biondina che teneva addolorata lo sguardo fisso nel vuoto. Per attimi che parvero interminabili, l’unico rumore percepibile fu il canto delle cavallette… quando il cyborg riprese, volendole riferire ciò che probabilmente le aveva già detto Gohan: << Tuo marito è stato un vero eroe. Non so come sia successo, ma… deve aver protetto la Terra da Cell. Quindi, se ora sono qui, è anche per merito suo >> .
Gli avrebbe volentieri mostrato la sua gratitudine, ma ora non poteva più… Le uniche persone legate a quel Goku erano il figlio e la moglie. Quest’ultima, poi, era dunque nella triste condizione di vedova. Ciò a causa di quel Cell, divenuto così potente perché lei, C – 18, si era lasciata assorbire, non era stata in grado di proteggere chi la proteggeva, quelli sconosciuti che, nonostante tali, tentavano di difenderla… Una serie di spiacevoli casi che avevano portato Chichi a perdere il marito, e C – 18 le sue certezze.
Due dolori, due donne. Due umane, due vite…
“E’ proprio vero, il dolore sprona alla comprensione… Possibile che per capirlo ci abbia messo così tanto?” constatò la biondina. << Senti, so che ora vorrai che esca immediatamente da casa tua, però… io ci tenevo a dirtelo. Non me lo merito, ma… perdonami Chichi >> .
La donna la scrutò, dubbiosa, ma poi finalmente sospirò, affranta. Con stupore della giovane, le elargì un debole, stanco, ma bellissimo sorriso: era troppo spossata per continuare a replicare. << Capisco. E va bene… dimentichiamoci il passato >> sussurrò con un sospiro quella che era più una proposta che un’affermazione. << Ti perdono >> .
E prima che C – 18 potesse esprimerle la sua gratitudine, disse in tono stanco: << A quanto pare Crilin ti ha veramente cambiata! >>
No, questo proprio non se l’aspettava. Cominciò ad agitarsi sulla sedia, gettando rapidamente lo sguardo dapprima sulle sue unghie, poi sui vari mobili: insomma, tutto fuorché la donna, almeno fino a quando non se la dovette ritrovare di nuovo davanti. << E tu come…? Crilin, io… non… insomma, cosa…? >> 
<< Me l’ha detto Gohan. Bè, lo sai… lui ti ama! >>  
C – 18 parve notevolmente imbarazzata. Sì, ecco, forse… insomma, lei lo sapeva, ma Chichi con femminile destrezza aveva saputo scegliere il termine giusto per colpire nel segno. Amore… se l’era già domandato: che cosa significava? Comunque, Crilin provava quello strano sentimento per lei. Da parte sua, invece? C’era qualcosa? Effettivamente quel giovane era speciale, ma… Era forse  questo l’amore? Una stana sensazione… oh no! Era… arrossita! Perché?               
<< Ah, sei rossa come un pomodoro! >> C – 18 la guardò con imbarazzo.
<< Ecco, io… non so se è il caso, ma… >> Non sapeva come dirlo. Era la prima volta che si trovava in una tale situazione, ma appunto perché era la prima volta aveva bisogno del supporto di qualcuno. Così, prese un respiro cercando di calmarsi, e, ovviamente anche non riuscendovi, disse: << Ho bisogno del tuo aiuto. Mi potresti, ecco, dare consigli su come… comportarmi con Crilin? >>
Bè sì, può sembrare strano, ma era anche per questo che il cyborg si era recata lì. Voleva incontrare Crilin, parlargli, ma voleva che succedesse in un momento speciale. Dopo una profonda riflessione, aveva dovuto constatare che non sapeva come comportarsi.
Insomma, era solamente un cyborg, ma ciononostante quel ragazzo si era innamorato di lei. Gli era grata, voleva ricambiare forse con quello stesso affetto, ma non avrebbe saputo cosa fare in un loro ipotetico incontro.
Chichi era una donna. Come lei aveva sicuramente passato un tale periodo con Goku.
E in più, C – 18 voleva scusarsi con lei, voleva farla divertire, distrarre, non voleva che ricordasse il marito con dolore. Vedova, poteva sentirsi sola al mondo, proprio come lei, con necessario bisogno di un punto di riferimento. Ma Chichi non aveva perso tutto: no, c’era Gohan, il più bel dono che Goku avrebbe potuto darle.
Parallelamente, neanche C – 18 aveva perso tutto: poteva acquisire nuove certezze, ricostruirsi una vita, e l’avrebbe fatto insieme a Crilin.
Ecco perché era venuta a chiedere aiuto proprio a Chichi. Lei necessitava di aiuto. L’altra donna anche. La cosa migliore per entrambe, in sostanza, sarebbe stato che Chichi avrebbe sostenuto C – 18 nella scoperta dei suoi nuovi fondamenti.
In questo modo si sarebbe aiutata anche da sola, sempre per lo stesso motivo, magari inconsapevolmente.
Poteva essere egoistico, da parte della biondina, farsi aiutare pur di coadiuvare: anche per questo prima aveva chiesto perdono.
E Chichi, donna intelligente, decise di accettare. Presero accordo per il giorno dopo, in cui la donna avrebbe fornito C – 18 dei suoi preziosissimi consigli in materia d’amore.
<< Resta a dormire qui, per un po’! >> annunciò. Squadrando il cyborg, si era resa conto che probabilmente non aveva un posto dove dormire, e con quell’invito sorprese non poco C – 18.
<< Ma io… non so se… >>
<< Ehi, ora che ci penso… quelli sono i miei vestiti! >>
Fu un grande imbarazzo.
“E’ vero!” << Emh… ah, già. Ecco, li avevo… presi quando ero venuta qui a cercare tuo marito, ovviamente ora… sono di nuovo tuoi >>
Chichi sembrò pensierosa. “Ecco perché non li trovavo!” << Deve essere da un po’ che li indossi. Senti, ora tu vai a farti una bella doccia, e ti presterò un mio pigiama e degli abiti per domani! Ok? >>

Quand’ecco che la porta di casa si spalancò.
<< Mamma, sono a casa! >> Gohan entrò con le buste delle spesa in mano, cominciando a sfilarsi la felpa, ma rimase un attimo impietrito nel vedere il cyborg seduta tranquillamente dinanzi alla madre, come due normalissime amiche. << T-tu sei… C – 18! >> esclamò esterrefatto.
Questa si alzò di scatto cercando le parole giuste, ma Chichi si voltò sorridente e, come se niente fosse disse solo: << Oh tesoro, sei già qui! Le buste appoggiale pure sul tavolo >> .
Ma il ragazzo si slanciò al fianco della madre, serrando i pugni e pronto a difenderla.<< Che cosa ci fai qui? Cosa vuoi da mia… >> ma Chichi lo interruppe, chiudendogli dolcemente il pugno nella mano, e questo bastò a rassicurarlo.
Calò una pacifica quiete, e il ragazzo per la prima volta notò il viso di C – 18: non quello di un cyborg pericoloso, inquietante, ma di una giovane docile, innocua, e spaventata verso un futuro incerto.
Chichi spiegò tutto al figlio. Il ragazzo rimase letteralmente a bocca aperta, rimanendo qualche attimo interdetto. Però si ridestò subito, e sorrise allegramente: << Sono veramente felice, allora! E, emh… scusa per come ti ho accolta >> .
La biondina sorrise. << Grazie per la comprensione… >>
<< Ah, e… >> Il giovane non ce la fece più a trattenersi, e portandosi le mani dietro la nuca, esclamò vivacemente: << Ho notato il tuo sguardo quando hai salutato Criliin e gli hai detto “ci vediamo” … Eri così dolce! >>
C – 18 sembrò imbarazzata, e voleva seriamente mollargli un pugno in faccia, ma le parve appena in tempo che forse non era proprio il caso. Oh bè, poteva anche essere più innocua adesso, ma il carattere era sempre quello.
<< Quindi… starai con noi stanotte? >> intervenne Chichi.
<< Io, ecco… >> esitò, ma poi finalmente si risolvette: fuori era quasi buio, e non aveva un posto dove dormire. << Sarebbe veramente bellissimo, grazie! >>
E fu così che la serata passò piuttosto piacevolmente. Non vi erano molte stanze in casa, così Chichi disse alla biondina di dormire nella camera di Gohan, mentre il ragazzo avrebbe dormito sul divano. Il cyborg cercò di desistere, ma inutilmente, poiché Chichi fu più guerresca di lei.

Presto sopraggiunse la sera, e la cena venne servita in tavola.
Finalmente, C - 18 si sentiva fresca e riposata. Mentre addentava il suo pezzo di carne, si fermò qualche istante, osservando quei suoi due compagni di serata. Si commosse, e dovette strizzare gli occhi per impedire a una debole lacrima di scendere giù. Si rese conto che era da tantissimo tempo che non mangiava così, seduta intorno a un tavolo, con persone affianco che non la temessero, anzi, che la considerassero una di loro. Forse, in quella vita da cyborg, era la prima volta…
<< Che cosa c’è, C – 18? >> chiese Gohan, notando la sua aria pensierosa.
Quella sorrise. << Non è niente piccolo >> . E rivolgendosi ad entrambi, disse: << Grazie. Quello che state facendo è molto importante per me >> .
<< Oh, non ti preoccupare! >> esclamò Chichi. << E ora mangia, che si raffredda >> .
C – 18 era molto grata a loro due, e dunque pensava intanto a come poterli ripagare. Poco dopo, ne ebbe l’occasione...
Terminata la cena, la padrona di casa si apprestò a lavare i piatti. Tuttavia, improvvisamente Gohan e C – 18 udirono l’infrangersi di un bicchiere nel lavabo, e videro Chichi che barcollava.
Il cyborg accorse. << Come ti senti? >> chiese, mantenendola con cura.
La donna sembrava stanca. << Non è nulla. E’ stato solo… come un giramento di testa. Sto bene >> .
Ma visibilmente non era così. Era ancora pallida. Presto, quindi, C – 18 si propose per continuare lei al posto di Chichi, e stavolta fu lei a vincere.

Circa un’ora dopo, anche C – 18 era pronta per andare a dormire. Aveva terminato i servizi da un po’, mentre Chichi era stata costretta a coricarsi presto.
<< C – 18 >> Gohan le si avvicinò, davanti la porta della sua camera. Camminava scalzo, con il suo caldo pigiama blu. << Ti voglio ringraziare. Apprezzo molto quello che stai facendo per mia madre >> .
Aveva capito perfettamente i suoi sentimenti: aveva bisogno di essere spronata per fissare nuovi principi, nuove certezze, e voleva che a supportarla fosse proprio chi necessitava del medesimo aiuto. Si sarebbero così appoggiate a vicenda.
La biondina sorrise, e stava per rispondere qualcosa di affettuoso, ma Gohan continuò divertito: << Non pensavo che Crilin ti avrebbe cambiata tanto. Siete proprio una coppia adorabile! >>
Bè, la madre non era in giro, quindi che male c’era per un delicato colpetto, no? C – 18 strinse forte il pugno, e il ragazzo, captando le sue negative intenzioni (chissà, magari dalle contrazioni isteriche del volto?) si allontanò di fretta, augurandole con allegria una buona notte.
<< Pestifero marmocchio… >> brontolò, ma con un affettuoso sorriso stampato in faccia. << Buona notte >> disse, e finalmente si chiuse in camera.

Ma ora facciamo un attimo un salto indietro, caro lettore. Abbiamo lasciato C – 17 che volava in compagnia di C – 16 verso un nuovo futuro. Mentre C – 18 si era recata sul Monte Paoz, e vi aveva trascorso anche la serata, i due avevano raggiunto la loro meta.
Nel bel mezzo di una foresta, illuminata dalla tenera luce del tramonto, come a controllare dall’alto l’intera distesa si ergeva quella che una volta era una collina. Ora si interrompeva bruscamente, dopo quell’esplosione mirata, tra l’altro, ad eliminare proprio loro.
Con grazia, si calarono giù e, con estrema facilità, entrarono dentro.
C – 16 si guardò intorno, stupito. Era tutto completamente devastato, come se fosse venuto qualcuno appositamente per distruggere tutto.
<< Ci siamo >> esclamò C – 17, con tono forte e deciso. << Eccoci finalmente nel laboratorio del dottor Gelo! >>


La meta è stata finalmente raggiunta! Qual è lo scopo dei due ragazzi? Appuntamento al prossimo capitolo: "Il laboratorio del dottor Gelo" !
Ciao a tutti!!! Spero che il capitolo non vi abbia annoiato ^^ E ho deciso un'altra cosa... non dirò più cose tipo: "questo sarà forse il capitolo più lungo", perchè questo, ad esempio, sistemandolo è venuto più lungo di quanto immaginassi xD
Di nuovo tanti saluti ^^  Alla prossima!!!! :D :D :D

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il laboratorio del dottor Gelo ***


Gli spigolosi spifferi del vento ondeggiavano rumoreggiando senza sosta, mentre una gelida aria d’inverno pungolava ininterrottamente C – 17, il quale si guardava intorno, attonito. Era tutto un continuo di macerie: tratti in cui dei blocchi di massi erano ormai incastrati tra loro, permettendo di tanto in tanto a resti di varie apparecchiature elettroniche di emergere timidamente, solo per accaparrarsi grandi quantità di vecchia polvere. Tratti, invece, dove era ancora visibile, seppur non molto, un antico pavimento scavato nella roccia.
Su uno di questi, il cyborg notò resti come di una grande macchina, forse un computer centrale su di un piano rettangolare.
<< Esattamente in questo punto… era qui che giaceva il macchinario che regolava la crescita di Cell >> disse. << Io e mia sorella siamo già stati qui. Se penso che il dottor Gelo ci aveva pure spiegato lo scopo finale di quel mostro… che stupidi arroganti! >>
C – 16 si avvicinò cauto. << L’importante è che tu abbia capito il tuo errore. D’ora in poi non peccherai più di tracotanza. Ma ora dimmi… perché hai deciso di ritornare in questo posto? >>
C – 17 scrutò quello che una volta doveva essere l’imponente computer. << E’ qui che è cominciato tutto: qui la fine della mia umanità, e l’inizio della mia esistenza da futile robot. Se voglio trovare qualche indizio sulla mia vecchia vita, posso iniziare la ricerca soltanto da questo luogo >> .
Passò avanti, analizzando tutto ciò che i suoi occhi incrociavano: purtroppo, però, non c’era niente da fare…
L’androide lo seguì nel silenzio dell’oscurità, quando…
    Click!
C – 16 si voltò di scatto, e nel punto esatto in cui aveva poggiato il piede, laddove un tempo si innalzava il macchinario del dottor Gelo, un  piccolo pulsante cremisi cominciò a vibrare, e la scossa si espanse in maniera concentrica in un piccolo riquadro di pavimento.
<< Attento! >>  urlò, e con un’agilità felina si scansarono.
Appena in tempo. Accadde tutto in pochi istanti. Il pavimento crepò; il misterioso pulsante si elevò rapidamente, scoprendo sotto di esso una strana superficie trasparente, e in breve tempo si ritrovò sulla sommità di una grande teca vetrata.
Le lastre di vetro erano una distesa di polvere e terra che colavano giù come un fiume in piena. Distanziate tra di loro, il che conferiva una certa imponenza alla teca, formavano un’area quadrata, esattamente come la porzione di pavimento vibrante.
Il cyborg deglutì e, non senza timore, si avvicinò, sgranando gli occhi quando vide qualcosa che non aveva ancora notato. Di fronte a lui, fissata nella lastra, vi era… una maniglia. Una grande, pesante maniglia.
<< Quindi… >> e la tirò a sé. L’inquietante costruzione si aprì con un perfido cigolio. Al suo interno notò solamente due pulsanti: una freccia in su, e una in giù.
A un cenno dell’amico, C – 16 si avvicinò. << Sembra… una specie di ascensore >> dichiarò, entrandovi. << Il bottone per attivarlo era posizionato sotto il computer centrale. Impossibile, dunque, poterlo notare, come se… >>
<< …il dottor Gelo volesse nascondere qualcosa >> concluse C – 17.
Si scambiarono uno sguardo, ed entrambi seppero cosa dovevano fare. L’androide si tirò la maniglia di ferro, mentre l’altro premette il pulsante raffigurante una freccia rivolta verso il basso. Un ringhio elettronico pervase l’ambiente. L’ascensore ebbe una scossa, e veloce come una saetta precipitò nel vuoto…

Si fermò un secondo prima di schiantarsi al suolo.
<< Il dottor Gelo era pazzo! >> si lamentò C – 17, mentre avanzava sconvolto.
L’altro, invece, si fece avanti come se niente fosse, guardandosi intorno. Era buio, perciò non si vedeva molto. Erano all’interno di un’immensa caverna, e capì che dovevano essere nel punto più profondo di quella collina.
<< Cosa speri di trovare qui? >> chiese.
<< Non so, ma stiamo attenti, qualsiasi cosa può tornarci utile >> rispose il cyborg.
Però era strano: non c’erano macchinari né computer, ma solo scatole o scaffali immersi nell’oscurità più drammatica, come il buio che regnava nella sua mente… Abbassato lo sguardo, notò il suo foulard ormai ridotto molto male, esprimendo il suo disgusto con una smorfia.
<< Ci tieni proprio tanto al tuo foulard. Ti posso chiedere perché? >> chiese l’androide, notandolo.
Quella domanda lasciò perplesso C – 17: voleva rispondere con naturalezza che teneva molto a qualunque suo capo d’abbigliamento, tuttavia esitò. << Ecco, io… non lo so >> disse, e sbrigativamente cambiò argomento. << Guarda, qui c’è qualcosa >> .
All’interno di uno scatolone lasciato con noncuranza ancora aperto notò un camice bianco. Il cyborg lo esaminò, rivelandolo nella sua lunghezza: era immacolato, come se non fosse mai stato toccato prima di allora.
<< Forse era del dottor Gelo >> ipotizzò. E poi un’altra cosa attirò la sua attenzione: in fondo alla scatola giaceva solitaria una lettera dimenticata, ripiegata su se stessa. << C’è scritto solamente “A una persona veramente speciale” … >> dichiarò. << Oh, e così quel pazzo aveva anche una vita normale! Dev’essere di qualche suo degno conoscente… >>
C – 16 sembrò pensieroso. << Non vedo come questo possa servirci. Eppure… >> ma troncò lì la frase.
Continuarono a indagare, facendosi spazio tra le reti di ragnatele incombenti nella caverna. A ogni passo corrispondeva un sussulto del terreno, inquietantemente scricchiolante. Avrebbero trovato qualcosa? Il ragazzo sperava di scovare indizi, di qualsiasi tipo, d’altronde dove cominciare le ricerche se non lì? Effettivamente, però, non stavano trovando niente, vi erano solo scartoffie…
<< C – 17! >> Il tono di C – 16 sembrava piuttosto urgente.
Il giovane accorse, e quello che vide gli fece spalancare gli occhi.  Un tavolo, una semplicissima tavolata di appoggio, era ricoperto da un’ondata di buste, tutte lettere depositate. Con fare investigativo, il cyborg ne prese frettolosamente alcune, e iniziò a leggere.

         Egregio dottor Gelo…

<< Ma allora queste lettere… >> e proseguì.  

         Non le parlo in qualità di killer, alleato o quant’altro, ma come membro della gloriosissima armata del Reb Ribbon. Perché è questo ciò che noi siamo, e trovo dovuto il compito di continuare a mantenere in vita la nostra organizzazione. Mi scuso per il, seppur leggero, ritardo nella risposta, ma vede… ho avuto piccoli contrattempi a causa del marmocchio che, tra l'altro, mi crede morto!
Come dicevo… ebbene, so che inizialmente ero solo un sicario, ma cominciavo a intravedere nel Red Ribbon una possibilità di carriera, ma adesso, almeno per le notizie a noi pervenuteci, siamo gli unici due sopravvissuti. Sì, esatto, è andato tutto come temeva. Il Reb Ribbon non esiste più; ed è tutta colpa di quel… maledetto moccioso, quel… Goku.
Confesso che la sua proposta è molto allettante, e pertanto sono concorde alle sue idee. Ora che il mondo non saprà più della sua esistenza, interromperemo rigorosamente ogni forma di comunicazione. E poiché tale lettera sarà l’ultima, non intendo farle domande che non avrebbero risposta, anche se immagino che la sua personale situazione sia già stata risolta…
Bene, concludo qui. Confido nel suo operato, e ovviamente quando sarà pronto per ucciderlo verrò da lei avvistato, e in quel momento… nulla potrà sconfiggerci!
Sa, non vedo l’ora di vedere tutti i suoi futuri androidi, ma soprattutto… i due cyborg di cui mi ha parlato, all’azione.
Non vedo l’ora.
Le auguro brillanti studi, e una grande fortuna. Per il momento, addio.
                                                                                                                                                                                
                                                                                                                                                               Tao Pai Pai

 

C – 17 stinse forte la lettera, serrò la bocca, le braccia tremarono…
Addirittura C – 16 sembrava spaventato; rilesse più volte nella sua mente quelle parole.
      Red Ribbon, il mondo non saprà più della sua esistenza, suo operato, futuri androidi, due cyborg...
<< C – 17! >>
<< C – 16! >> Fu nello stesso attimo, ma il moro prese la parola, in profonda agitazione. << Ma questo è… >> e lo lesse.
<< Orange Town, Kori Street, numero 20 >> . Prese un respiro tremante, ed esclamò: << E’ l’indirizzo del dottor Gelo! >>
“ Cosa, Orange Town… Ma è qui vicino! “ pensò l’androide, ma con le parole espresse il suo ragionamento. << Ma certo! Questo posto… qui il dottor Gelo ha depositato tutte le sue cose, tutti gli oggetti della vita personale! >> annunciò, guardandosi in torno come a osservare le conferme. << Tutti questi oggetti – vesti, scaffali, scatoloni – li ha di proposito eliminati dalla sua vita: per questo ha chiuso l’entrata di questa caverna con il computer di progettazione di Cell. Voleva dimenticarli… >> e guardò il camice mai utilizzato…
<< o nasconderli! >> intuì il corvino, fissando le strane lettere.
C – 16 annuì. << Dunque quella missiva è stata inviata dal Red Ribbon, o meglio… da uno dei sopravvissuti, questo serial killer Tao Pai Pai… non lo conosco… Inoltre, sapeva quindi che il dottor Gelo volesse farsi considerare morto in tutto il mondo >> .
<< E così già sapevano di noi >> ringhiò C – 17. << Mentre io magari ero ancora una persona normale! >>
Poi fissò nuovamente l’indirizzo scritto, con gli occhi colmi d’ira.

       Orange Town Kori Street, numero 20.

<< C – 16! >> lo fissò.
<< Andiamo! >> rispose l’altro. Partirono come razzi; le tenebre erano fitte, il gelo penetrante, ma una volta fuori da quell’inferno il tutto migliorò. L’oscurità era ora meno intensa, più soffice, ma comunque tale, e la luce della speranza illuminava il sentiero…

  C – 18 giaceva nel letto, in una coltre di comode coperte. “ Crilin…” pensava. Era incredibile come in quel giorno il giovane fosse diventato un suo punto di riferimento. Però aveva ancora molto da fare. Quella volta stava combattendo per un giusto fine, diversamente da sempre, e questo era già un sollievo. Alzò gli occhi al cielo: la notte era stupenda, e le nacquero degli interrogativi. Non smetteva mai di pensare a una certa persona: vi era un ragazzo che occupava un posto importante nella sua mente, così come nel suo cuore…

C – 17 era ora disteso sul soffice terreno, con gli occhi rivolti all’infinita volta del cielo. Lo sguardo si posava curiosamente ora su stella, poi su di un’altra. << E’ bellissimo >> commentò.
C – 16 gli si sedette affianco. << Ora siamo ancora vicini al laboratorio. Domani ci aspetta una grande giornata, riposati >> e, detto questo, appoggiò la schiena a un albero e chiuse gli occhi.
Il cyborg rimase in silenzio a fissare le stelle. “Dove sei sorellina?” si chiese. “Domani scoprirò tutta la nostra storia, com’eravamo da umani” . Poi rifletté. Umani. “Sai sorellina, credo che non sia proprio brutto essere un cyborg. Insomma, in fondo non ci sono molte differenze, e ho sempre una mia vita. Però… provi quel magone che ti fa sentire un estraneo alla natura. Allora, cosa si proverà ad essere un umano? Ma poi, mi chiedo, soprattutto…”

“Fratellone, dove sei?” si chiedeva C – 18. “Ho bisogno di te, del tuo appoggio, proprio come se fossi – e sorrise all’idea – un’umana. Sai, sto chiedendo aiuto a Chichi, è simpaticissima, dovresti conoscerla. Magari riesco… chissà, potrei diventare amica di Crilin. Oh… mi manchi. Mi sento così stupida, ho bisogno di te… Eppure, credo che è così che si comportino gli umani, aiutandosi gli uni gli altri, senza esitazioni. Ma noi non siamo come loro… purtroppo. Ecco, mi chiedo spesso: ma quindi, che vuol dire essere umano? E poi, che significa…”
“che vuol dire…” si domandò C – 17.
essere cyborg?” si chiesero a una sola anima.




Mille interrogativi, bisogno di risposte: chi, che cosa, ma... perchè? I misteri si infittiscono...
Quali decisioni prenderenno C - 17 e C - 16 a questo punto? E C - 18, come si comporterà?
Appuntamento al prossimo capitolo: "Kori Steet" !!!!


Allora... che dire? Anzitutto...  buonasera!! ^^ Nella mia storia ho cercato di aggiungere molti elementi che la rendessero il più appassionante possibile, quindi anche la presenza di misteri...
Come potete immaginare, bè, ecco spiegato il titolo!!! ^____^ E ora diamo una spiegazione più completa: il titolo è da intendere sia come contrapposizione ad "essere umano", nel semplice senso di umano, quindi come se fosse "cyborg", potermmo dire. Ma da un piccolo punto di vista. Il significato vero e proprio è dunque quello che ho finalmente spiegato, diciamo xD, col capitolo.
Ora... mi fa piacere sapere che la mia fiction sta piacendo, e poi è bellissima la sensazione di quando scrivo questa parte "finale", cioè il mio "angolo autore" ^__^ E' estremamente rilassante e confortante xD xD
Detto ciò... so che ho pubblicato il capitolo tardi (fra poco finisce la giornata ^^" ), ma devo dire che dopo una prima... emh, orribile settimana di ritorno a scuola è stata una liberazione riuscire a pubblicare questo quinto capitolo :D :D :D
Bene, ora vi saluto, spero che il testo sia piaciuto!!! Vi auguro ogni bene :3 Jane!!!!!!!!!!!!!! ^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Kori Steet ***


Un magico dipinto di soffici pennellate che si divertono ad accarezzare la timida tela del cielo: ecco, così appariva l’alba. C – 17 spiava l’orizzonte, come a volerne comprendere l’immensità. Stupendo… Era quella la natura, una costante magia che manteneva in vita la Terra… e lui l’aveva sempre disprezzata. Come aveva potuto?
“Questa è l’alba di una nuova era!” si disse. “E della nostra nuova vita. Oggi scoprirò tutto! Il passato, il presente e il futuro… cosa sono per noi?”
Poi si voltò verso C – 16, intento a salutarsi con una marmotta. << Andiamo! Puntiamo a Orange Town! >>

Nei medesimi istanti, anche C – 18 era pronta per partire. Osservava l’alba a testa alta, senza fiato per l’emozione.
Chichi esclamò: << Eccoci qua! Un po’ di puro shopping ci farà bene! Eh, che… >> ma si interruppe vedendo il cyborg. Notò una lacrima felice rigarle dolcemente il viso.
<< E’ stupefacente >> commentò senza voltarsi. Chissà, magari aveva già assistito a quello stesso spettacolo, molte altre volte, emozionandosi a quel modo insiemi a dei suoi cari, persone che ormai erano sparite… Non sapeva quanto tempo fosse passato, ammesso pure che ciò fosse vero. Ma ora era lì, con altri cari con cui condividere gioie.
“Gli anni passano, ma l’amore persiste…” pensava.
Una delicata brezza di aria mattutina le accarezzò lievemente la guancia, rassicurante come una mano fraterna. Ripensò al terrore che provava mentre andava via dal Palazzo del Supremo.
<< Ho detto “Ci vediamo…” Ma cosa mi è saltato in mente? >> si era detta. Per giunta, qualcuno le aveva parlato come nella mente: “Era la voce del tuo cuore!” In preda all’agitazione, era diventata furiosa, inorridita al pensiero che qualcuno potesse conoscere le sue più intime debolezze. Ora invece sapeva di chi fosse quella voce.
Alzò gli occhi al cielo. << Allora anche io ho una coscienza! >> mormorò.
Poi si rivolse a Chichi, grata. Forse, sarebbero potute diventare… amiche. << Sono pronta. Quindi, dove andiamo? >>
<< Allora >> spiegò la donna alzando l’indice << c’è un centro commerciale che personalmente adoro! E’ fornitissimo, c’è di tutto! Anche se è un po’ distante da qui... E’ ad Orange Town, e… >> si fermò a riflettere, ma presto esclamò: << Sì ecco, esattamente in Kori Steet! >>
Un tuffo al cuore. C – 18 si massaggiò ansiosamente la tempia.
      Kori Street.
Una misteriosa aura era racchiusa in quel nome… aveva l’impressione di averlo già sentito da qualche parte, ma quando? Eppure, aveva una strana sensazione.
Chichi le poggiò preoccupata una mano sulla spalla. << Ehi, stai bene? >> chiese.
<< Sì, tranquilla, non è niente, è solo… lascia stare. Senti, non c’è una città più vicina? >>
<< Bè sì. Possiamo andare anche alla Città dell’Ovest. Lì abita Bulma >> spiegò << sono esperta della città! >>
E fu così che optarono per quest’ultima. Quando stettero per salire sulla navicella di Chichi, questa ebbe un leggero sbandamento. << Oh, non ti preoccupare >> si affrettò a dire. << Prima ho avuto un po’ di nausea, ora è solo stanchezza mattutina! >>
C – 18 non ne sembrò convinta, ma volle crederle. Salirono, mentre la biondina chiese a Gohan se volesse partire con loro.
<< Emh… no grazie. Ecco, francamente non credo che mi divertirei molto >> rispose frettolosamente.
E dunque… due mete, una sola anima. Nelle strade del cielo, senza saperlo, entrambi i cyborg volavano verso opposte direzioni, ma questo era solo il primo passo per il loro futuro.

C – 17 e C – 16 atterrarono all’unisono, con il sole alto nel cielo. Guardandosi intorno, notarono una grande statua in lavorazione al centro di una piazza, con lunghi striscioni che correvano per tutta la città aventi un’unica grande scritta: “Satan City!”
<< Che storia è questa? >> borbottò il cyborg.
C – 16 si avvicinò a un cartellone pubblicitario, e esasperato alzò gli occhi al cielo. << Quello sarà il nuovo nome della città >> spiegò divertito. << E’ plausibile che gli umani credano veramente che Mr. Satan sia il loro salvatore, e così a quanto pare stasera ci sarà una grande festa in suo nome, e addirittura la città verrà ribattezzata! Roba da non crederci… >>
Eh già, a volte va veramente così il mondo, e con il voler assiduamente credere una cosa si finisce con il considerarla tale. Ma ciò non è da considerarsi una colpa: è semplicemente una delle tante sfaccettature della mente umana. Aspetto che, però, C – 17 proprio non riusciva a concepire. “Forse, perché non sono un umano” pensò. O forse, perché non tutti gli uomini ragionano alla stessa maniera, pensava anche.
Si trovavano in una strada solitaria, quasi alla periferia. In quella zona ancora non si ergevano i grandi palazzi del centro, e le abitazioni erano più modeste, seppur sfarzose alquanto.
Sollevando lo sguardo, si ritrovò ad analizzare quello che doveva essere il retro di una grande casa.
La prima impressione che ebbe fu quella di una costruzione veramente recente. Tutto era curato nei minimi dettagli: un silenzioso prato correva intorno alla casa, permettendo spesso a fiori e ad alberi non ingombranti di emergere con flessibile slancio dal terreno. Il tetto a spiovente conferiva una certa eleganza al tutto, elevandosi ulteriormente in un raffinato comignolo sprezzante del vento impetuoso. Il suo numero civico era 18.
<< Scusa >> chiese a un ragazzino che passava di lì << mi sapresti dire dove si trova Kori Steet? >>
<< Kori Steet? >> Il ragazzino sembrò stupito. << Bè, è la via qui davanti. Basta girare questa grande casa, e ci sei dentro! >>
Così vicina? Dunque era già arrivato a destinazione, doveva solo girare intorno alla costruzione che lui stesso stava osservando. Pochi passi, e si sarebbe ritrovato nella via della verità.
Svoltarono l’angolo.
Il vento soffiò dolcemente, come la carezza di un genitore.
Si scoprì di nuovo a osservare quella casa raffinata e stupenda, ma stavolta le era davanti. Il giardino era un garbuglio di colori, e le farfalle svolazzavano copiose, e le api trasportavano il polline con cura materna, e…
     17.
Il cyborg fissò d’improvviso il numero civico che affiancava il portone centrale.
Fu in un istante. La sua vista ricoprì l’intera abitazione, e ogni dettaglio gli apparve chiaro. Un bambino gli si figurò nella mente. Era magro, e... cos’era quello? Un sorriso? Aveva capelli… forse corti, oppure lunghi? L’immagine era sfocata, non riusciva a distinguere nulla. Incorniciavano però dei bellissimi occhi vivaci, pieni di aspettative, limpidi e cristallini come il ghiaccio…
<< C – 17! >> C – 16 gli si era precipitato affianco, vedendolo per un attimo come sofferente in un disperato tentativo, scrutando i suoi occhi gelidi.
Il cyborg si massaggiò ansiosamente la tempia. Cos’era stato? Voleva ricordare più dettagli, ma ogni volta che ci provava un muro come di metallo lo ostacolava. Aveva una strana sensazione.
C – 16 gli poggiò preoccupato una mano sulla spalla. << Ehi, stai bene? >> chiese.
<< Sì, tranquillo, non è niente, è solo… lascia stare >> . Poi osservò ancora la casa. << Senti, proseguiamo >> concluse. Una morsa allo stomaco, qualcosa gli dominava i pensieri… ma cosa?



Bene, eccoci al nuovo capitolo ^_^
Finalmente sto pubblicando questi capitoli ^^ Personalmente, direi che questi sono tra i miei preferiti della storia uu xD Bene, che dire? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate :D
Tra l'altro, non riesco a impostare il colore rosso per quest'ultima parte, per questo sto scrivendo in grassetto ^^" Vabbè, il mio computer è strano... xD xD
Tanti saluti :3 A presto!!!!!! :DD

Appuntamento al prossimo capitolo: "Incontro" !!!!!! ^__^

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Incontro ***


Guardatosi intorno, C – 17 si rese conto che l’abitazione che cercava era proprio accanto la casa misteriosa.
Anzi, erano particolarmente vicine, ma ciò che colpì il ragazzo fu l’aspetto dell’abitazione. Le due case erano perfettamente identiche, non un dettaglio di diversità. L’indirizzo del Dottor Gelo… si era immaginato chissà che rudere di vecchia casa, invece era imponente e maestosa, e per giunta uguale ad una affianco. Bè, di certo non era disabitata.
Ma chi poteva mai abitare in quel posto?
Il numero 20 riluceva alla luce del Sole, e sembrava spiare i due mentre si avvicinavano al portone d’ingresso.
La mano si fece avanti per bussare, ma si bloccò. Stava tremando. Era teso, agitato, più di quanto volesse rendersene conto, ma incrociando lo sguardo dell’amico si rassicurò.
Bussò. Ci furono attimi di silenzio che parvero interminabili, e, si sa, è proprio in momenti come questi che la pazienza, quando più serve, meno rimane.
<< Abbattiamo la porta! >> propose impulsivamente il cyborg, quando udì dei passi.
La porta si aprì.

Ne uscì un anziano signore, di statura alta, con baffi curati e pettinati capelli grigi ma tendenti al bianco per l’età. Portava occhialini delicatamente appoggiati sul naso, e la sua espressione dava l’idea di un grande letterato. Aveva l’aria tranquilla, innocua. Insomma, quello che non ti aspetteresti cercando l’indirizzo del dottor Gelo.
<< Desiderate? >> chiese con voce assorta.
<< Emh… >> cominciò C – 17: non sapeva che dire, non si sarebbe mai aspettato di dover dialogare con qualcuno.
Ma poi successe qualcosa che non si sarebbe mai aspettato: notò che il vecchio lo scrutava in maniera inquietante, come se lo avesse terribilmente spaventato.
<< IMPOSSIBILE!!! >> Quello non riuscì a trattenere l’esclamazione, ma rendendosene conto, mormorò: << No, purtroppo non può essere… >> e ritornò a scrutare quei due sconosciuti.
C – 17 esitò un momento, e disse: << Senta, stiamo cercando delle informazioni. Qui abitava un certo dottor Gelo, vero? >>
Il vecchio sgranò gli occhi. << Non pronunciare il suo nome! >> urlò furibondo. Non sentiva quel nome da così tanto tempo, e il suo malefico suono gli rimembrò in un solo istante tutte le sofferenze a cui aveva assistito. << Se siete amici di quel folle, andatevene immediatamente! >> e di scatto fece per chiudere la porta, ma il giovane fu più rapido e la trattenne con la mano.
<< Noi odiamo il dottor Gelo >> replicò. << Devo scoprire tutto quello che posso su di lui, la prego! >>
Timoroso, il vecchio allentò la presa. “Vuole informazioni su quel pazzo? Ma… no, è impossibile…”
<< E’ lei il residente di questa casa? >> chiese il cyborg.
<< Oh, no. La casa è del signor Jefferson, io sono solo il suo maggiordomo >> .
<< Possiamo parlare con lui? E’ importante! >>
Il vecchio maggiordomo, dunque, osservò pensieroso il ragazzo. “E se… no, non è possibile!” pensò. “Eppure…” << E va bene. Seguitemi >> .
Un attimo prima di entrare, C – 16 si soffermò un attimo per osservare l’altra abitazione, pensieroso, ma poi proseguì avanti.

L’interno era luminoso e spazioso, ma non eccessivamente sfarzoso.
Davanti l’ingresso, una raffinata scalinata delimitata al lato sinistro da una nivea parete sorreggeva il secondo piano, riservato alle camere. Un elegante specchio posto vicino al servizio di porcellana attirò l’attenzione del ragazzo: nella cornice dorata erano incastonati vari rubini sfavillanti, come non gli aveva mai visti. Nel riflesso dello specchio poté notare dietro di sé una grande quantità di quadri, raffiguranti per lo più forse delle figure umane… comunque non ci diede molto peso.
Seguirono l’anziano su per le scale. “Chi sarà mai questo signor Jefferson?” si chiedeva. Voleva restare tranquillo ed essere in grado di mantenere la situazione sotto controllo, tuttavia sentiva nascere un sussulto dell’anima che gli serrava la gola, un’emozione sempre più forte; i suoi passi erano lenti e pesanti, la tensione era al culmine. “Magari è un altro vecchio” pensò.
Adesso, tuttavia, noi spieremo nello studio di questo personaggio prima di C – 17, cosicché possiamo conoscerlo prima.
Entriamo, dunque.

Due delle lunghe pareti erano interamente ricoperte dagli scaffali colmi di libri, di cui alcuni confusamente appoggiati lì per caso e altri lasciati cadere via, mentre una grande finestra si affacciava sulla casa accanto, come a volerla sempre controllare.
Al centro della stanza, notiamo un ragazzo con entrambi i gomiti appoggiati sulla scrivania, ovviamente straripante di documenti, fogli di appunti e quant’altro.
Sì esatto, un ragazzo (insomma, avrà avuto l’età di C-17).
Il giovanotto indossava una felpa blu notte, lasciata aperta per far notare l’enorme teschio nero raffigurato sulla maglia rossa. Con una mano si manteneva pesantemente una guancia, mentre con l’altra giocherellava annoiato con una matita.
Jeans strappati, guanti senza dita, e il cappuccio della felpa calato sugli occhi.
<< Forse dovrei solo studiare ancora un po’ la fisiologia dei robot… >> Sbadigliò. << Sembra impossibile… Eppure voi riuscivate a fare qualunque cosa, niente era impossibile… >>
Prese in mano una piccola cornice, scrutando una foto. << Se ci riuscissi, magari potrei addirittura essere felice… no, non esiste la felicità... >>
Nella fotografia, vi erano tre ragazzini con un sorriso stupendo, sincero e innocente come può esserlo solo quello di un bambino.
Quello al centro era lui, felice come non lo era da molto. I lunghi capelli scuri si diramavano senza alcun ordine in ciocche appuntite, con alcuni ciuffi spettinati che gli ricadevano sul volto. Ai suoi lati, come due colonne protettrici, due bambini con lunghi capelli perfettamente pettinati ridevano fieri. A destra, una tipetta bionda aveva un’aria molto decisa, come la leader di un gruppo, ma anche gentile e generosa. A sinistra, un ragazzino vispo osservava curioso forse l’apparecchio che lo stava immortalando; indossava inoltre un colorato foulard arancione.
Occhi cristallini, volti sereni; dorati fili d’oro lei, luccicanti filamenti corvini lui.
<< Fratelli miei… >>

Qualcuno bussò alla porta. Il maggiordomo avvisò: << Signorino Kimley, ci sono degli ospiti che chiedono di te >> .
<< Alphonse, sei tu… >> Senza levare lo sguardo dalla cornice, si abbassò il cappuccio. Possibilmente, i capelli erano ancora più spettinati di quanto fossero prima, ed erano non pochi i ciuffi che gli scivolavano sugli occhi.
Il maggiordomo, Alphonse, entrò silenziosamente nello studio, affiancato da C – 16.
Immediatamente, l’androide e l’anziano si ritirarono ai lati; e, nel mezzo, come al dividersi d’una scena, apparve C – 17.
Esattamente in quell’istante, il ragazzo alzò lo sguardo dalla foto, salutando con gli occhi il ragazzino con il foulard… e i loro sguardi si incrociarono… Il giovane dinanzi a lui aveva lunghi capelli neri, occhi gelidi, e un foulard arancione…
Gli occhi assonnati scrutarono, osservarono, guardarono, si spalancarono…
Kimley vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, tremò...



I rintocchi delle campane suonavano lenti, tristi, cupi. Una nostalgica cascata di ricordi stava riemergendo dalle tenebre, silenziosa...
Una bambina bionda gettò da dietro le mani su un suo coetaneo seduto sull'erba; la riconobbe subito, le prese le mani, l'abbracciò. Un bambino, simile d'aspetto alla biondina, sembrava divertito, e dispettosamente s'intromise nell'abbraccio. Il ricordo cambiò. I tre ragazzini giocavano a rincorrersi, e un'altra volta a nascondino... e l'immagine diventò buia. Sangue, corpi senza vita, urla di disperazione... I due ragazzi stavano litigando. Il corvino continuava a urlare senza sosta, mentre l'altro, che si manteneva il braccio, sembrava dolorante, e un livido gli colorava la guancia… Le campane  suonavano ora freneticamente, assordanti... I ragazzi cominciarono ad usare le mani, le grida sempre più forti...   
<< C – 17, C – 18, uccidetelo! >> gridò il dottor Gelo…

 


Fu come ricevere una pugnalata in pieno petto… no, il dolore che provava mai avrebbe potuto essere più forte.
Con la fatica pari a quella di chi è costretto a sopportare una pesante croce, Kimley si alzò, si fece avanti, tremò di fronte al cyborg.
Le lacrime gli scorrevano inesorabili lungo il volto.
<< J-Ja... >> allungò la mano. Respirò pesantemente e, osservandolo meglio, si portò la mano alla bocca.
 
Urlò tutto d'un fiato. << JASON!!!!!!!! >>

C – 17 ebbe un disperato tuffo al cuore.

<< Sei, sei tu!!! FRATELLONE… JASON!!!!!! >>

Iniziò a lacrimare anche il cyborg. Fu tutto in un meraviglioso istante.
     Jason... fratellone...
Il suono di quelle parole lo fece sbandare come un terremoto, scuotendo i suoi ricordi, penetrando nel suo cuore.
Il giovane non si trattenne più. Kimley allungò con forza le braccia, afferrò il cyborg, se lo strinse disperatamente forte, mentre le lacrime di entrambi sgorgavano via. Il ragazzo piangeva, sembrava ululasse, e le sue gambe gli cedettero; in un unico abbraccio, entrambi caddero in ginocchio. Non sapeva perché, ma C – 17 stava provando quelle medesime emozioni…
Con gli occhi lucidi di lacrime, Kimley sussurrò: << Ti ho trovato… Jason! >>








Appuntamento al prossimo capitolo: "Kimley Jefferson" !!!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Kimley Jefferson ***



17 dicembre. L’aria era fredda. Su una panchina, una ragazza bionda se ne stava distesa con la testa poggiata sulle ginocchia di un ragazzo. Aveva l’aria annoiata, distaccata. << Che c’è, perché mi hai fatta venire qui? >>
<< Ecco… visto che a casa non ci sei mai, ho pensato di parlarti qui… ti devo dire una cosa >> .
La ragazza si mise a sedere, con sguardo interrogativo e, per tutta risposta, quello cominciò a carezzarle dolcemente i delicati capelli.
<< Però promettimi di essere sincera, ok? >> disse in tono dolce Kimley. Ma, proprio in quel momento, un altro ragazzo venne avanti.
La biondina sembrò felice, come se lo stesse aspettando con impazienza.
<< Vieni, andiamo. E’ ora >> ordinò. Indossava un largo foulard arancione.
Svelta, la sorella si scansò poco delicatamente da Kimley e lo seguì, sorridendo. Ma non era felicità. Era uno strano sorriso, forse crudele… e tenebrosi come ombre i due gemelli sparirono nel buio…

 


Kimley si asciugò le lacrime dal volto, e facendosi forza l’un l’altro, lui e C – 17 si alzarono in piedi. Il giovane afferrò il cyborg per le spalle, guardandolo fisso negli occhi. << Sì… sei proprio tu!! >>
L’altro prese un respiro pesante, e imprimendosi l’immagine di quel ragazzo nella mente riuscì a ricordare. << Tu… tu sei Kimley?!? Mi hai chiamato Jason, e fratellone…!! >>
<< I-io… >> Non riusciva a parlare. Il suo corpo tremava: era profondamente sconvolto, si sentiva completamente in subbuglio, tuttavia si trattava di agitazione dovuta a un’indescrivibile gioia.
 << Immagino che non sappia niente di te, o di me >> disse, e nonostante lo stato in cui si trovava, riuscì ad elargire un sincero sorriso.
<< Il mio nome è Kimley, ma chiamami semplicemente Kim. Inoltre… Jason è il tuo vero nome! >>  
C – 17 sgranò gli occhi. << Il mio nome… il mio nome da umano! Ma tu… come lo sai? Chi sei? Perché quando ti ho visto io… >>
<< Noi andiamo >> lo interruppe Alphonse. << Immagino vogliate rimanere soli >>. Prima di andarsene, aggiunse, asciugandosi una lacrima: << Signorino Jason, è meraviglioso riaverti con noi! >> e, accompagnato da C – 16, lasciò soli i due ragazzi.
<< Ci sono tante cose che ti devo spiegare, fratellone… Ma dimmi >> lo fissò con sguardo implorante << ora… ora sei un cyborg, non è vero? >>
“Ora?” << Tu come lo sai? Bè sì, il dottor Gelo ha fatto di me e mia sorella due cyborg… Un momento! Hai detto che io mi chiamo Jason! Allora, sai anche il vero nome di C – 18! >> 
Kimley sembrò colpito. << Orribile… C – 18… Quindi tu devi essere C – 17! >> Stinse forte i pugni. << Come ha potuto! Se ci ripenso… quel mostro, folle, miserabile, pazzo… >>
<< L’ho ucciso io >> dichiarò improvvisamente il cyborg.
Passarono secondi di teso silenzio. Fuori, il venticello leggero batteva sulla finestra.
<< Tu…!! >> Kimley parve stralunato. << E’ morto… morto! >> Sul suo volto si dipinse una fioca amarezza, ma fu solo per un attimo, lasciando il posto a una gratitudine mista al sollievo. << Così è morto… l’hai ucciso; finalmente non farà più del male a nessuno… Se solo non fosse stato così ossessionato dal potere… tutto ciò non sarebbe successo >> mormorò, strizzando l’occhio per scacciare le lacrime, quando abbracciò C – 17. << Grazie… Jason! >>
Affettuoso ma rapido, tirò il ragazzo per il braccio. << Vieni, ti devo mostrare una cosa! >>

E senza esitazione, C – 17 si fece guidare, fino a che rimase a bocca aperta trovandosi giù dalle scale, e notando che lungo le pareti del piano terra si susseguivano più e più cornici, di preziosi quadri raffiguranti… loro tre. Se stesso, C – 18 e Kimley da piccoli.
<< Quelli… quei bambini… >>
Ma poi notò un’altra cosa. Affianco la scalinata, nell’angolo centrale della concavità delimitata dalla nivea parete sorreggente quest’ultima a destra, e dal muro perimetrale a sinistra, in un angolino perfetto per nascondersi, vi era una porticina.
Sulla parete, una piccola cornice ritraeva un’imponente abitazione, e C – 16 la stava scrutando con gli occhi spalancati.
L’androide notò i due appena arrivati, e con tono sbrigativo urlò: << Questo quadro… cosa ci fa qui questo quadro? >>
Kimley esitò, non aspettandosi una tale reazione, ma poi rispose: << All’inizio non era questo il suo posto, ma poi ho finito per tenermi in casa quella cornice. Ritrae la casa qui accanto… Jason ricordi? >> Prese una pausa. << E’ casa tua! >>
<< NO! >> C – 16 si gettò le mani in testa. << Non può essere, NO! >>

   Il suo urlo disperato rimbombò nell’eco della memoria… Aveva tentato di rimuovere quei ricordi, eccetto ovviamente quel dettaglio, ma la verità viene sempre a galla… e il passato ritorna… Il laboratorio, il tunnel, una promessa impossibile…

<< Impossibile, no! >> La sua voce manifestava un lancinante dolore, e venne assalito da un violento spasimo.
<< La porta… Kimley, che c’è dietro la porta? >>
Stupito, questi rispose: << E’ esattamente ciò che voglio mostrare a Jason. Fratellone, seguimi >>
Aprì la piccola porta, scoprendo… un tunnel scavato a mano.
Oramai, non vi erano più speranze. L’androide si accasciò al suolo. << Perché, perché io? C – 17, vai con il ragazzo >> lo incitò, senza guardarlo negli occhi.
<< Io… C – 16, che ti prende adesso? >>
Kimley deglutì spaventato. “Ha detto C – 16… non può essere! Jason…!” Comprendendo la situazione, diede una pacca sulla spalla all’androide, facendo un cenno col capo al maggiordomo. “Non credo che Jason ne sia a conoscenza, e credo anche che questo C – 16 non sappia che io invece lo so”. << Vieni, fratellone. Il tuo amico aspetterà qui con Alphonse >> .
Il corvino si fece convincere, e così andò dietro al ragazzo.

Appena superata la porta, scesero alcuni gradini, per poi fermarsi dinanzi a un piccolo sentiero che svoltava a sinistra, in direzione dell’altra abitazione.
 C – 17 sentiva una curiosità, e nel contempo una certa paura, nel desiderio di scoprire tutto.
<< Kim, tu… >> esordì, e scoprì di avere un tono comunque sereno. << Perché ci conosci? Chi sei? Cosa sai di noi? >>
<< Io… >> cercò le parole giuste. << La nostra è una storia lunga. Te la racconterò quando vuoi >> .
Fece un ampio gesto con la mano. << Questo tunnel… bè, ci piaceva chiamarlo così. I nostri… >> esitò << tuo padre lo costruì per noi, a mani nude >>
<< Mio padre… >> C – 17 ebbe un groppo in gola, ma poi osservò: << Da solo? >>
Il giovane ignorò la domanda, e continuò: << Anche se effettivamente poi non ce ne fu bisogno, volevamo che le nostre case fossero collegate direttamente, per stare sempre insieme. Figo, eh? >>
<< Ecco, prima mi hai chiamato fratellone, ma… >>
E il ragazzo fece qualcosa che il cyborg non si sarebbe aspettato. Kim gli si avvicinò, e gli scombinò divertito i capelli.
<< Geneticamente non siamo fratelli, se è questo che vuoi sapere. Ma a volte i legami del cuore superano quelli della genetica. Considero te e tua sorella come miei fratelli, e sarà sempre così! >>
C – 17 spalancò gli occhi, e istintivamente si ritrovò con la voce rotta per l’emozione. << Kim, fratello mio… >>
<< Guarda >> Il giovane indicò con un cenno entusiasmato la parete, e il ragazzo si avvicinò. Una successione di felici fotografie si estendeva per tutto il corridoio, scrupolosamente protette in cornice. Squadrò il tutto, e sgranò gli occhi: erano raffigurati importanti momenti della sua vita passata…

Una prima scena raffigurava due adulti, un uomo e una donna, con due neonati in braccio.
Nati da poco, erano puliti e vestiti, con completini uno rosa e uno celeste; avevano inoltre anche un barlume di capelli, e lo sguardo tranquillo, giacché in braccio ai loro genitori…
L’uomo aveva lunghi capelli raccolti in un coda; la sua espressione era euforica, con gli occhi ancora gonfi di lacrime: evidentemente, i figli erano nati da pochissimo tempo.
La donna, anch’essa stanca ma felice, stava sorridendo, con la faccia incorniciata dai capelli che le superavano di poco l’altezza delle spalle. Occhi cristallini, volti sereni; dorati fili d’oro lui, luccicanti filamenti corvini lei.
Osservandoli, una lacrima si versò amara giù dal suo occhio. C – 17 stava osservando i suoi genitori, ma non si ricordava niente di loro.
<< Mamma… papà… >> mormorò. << Mi mancate… >>

La sua attenzione cadde però su un’altra scena.
Erano in una stanza d’ospedale, e si riconobbe in uno di quei due bambini in braccio alla mora seduta sul letto, ovvero sua madre, mentre un altro neonato dormiva appollaiato su una donna dai capelli caramellati sdraiata comodamente. Il quadro era datato 31 dicembre.
<< Quello sono io >> spiegò Kim. << Il giorno che sono nato; fu pochi giorni dopo la vostra nascita >> .
<< Oh, e quindi io e C – 18 quando nati? >>
<< Voi… bè, il 17 dicembre! >>
<< 17 dicembre… >> ripeté il cyborg. << Quindi oggi... >>
<< Esatto! >> esclamò gioioso. << Tantissimi auguri di buon compleanno, fratellone! >> La sua voce era naturalmente alquanto incrinata: dopo tanto tempo, erano di nuovo insieme in quel felice giorno.
C - 17 rimase piacevolmente sorpreso. << Grazie...! >> sussurrò, poi domandò:<< E quella quindi è tua madre? >>
Il giovane sembrò turbato. << Sì >> rispose amaramente. << Bella e sempre disponibile… ma alla fine si è dimostrata fin troppo buona, e ne ha pagato le conseguenze… >>
“Che vuol dire?” si chiese C – 17. “E chi sono i miei genitori? E i suoi?” << Kim >> disse, notando che aveva visto solo la madre del ragazzo. << E invece com’era tuo padre? >>
Inaspettatamente, per tutta risposta quello cominciò a tremare… E indicò debolmente un grande quadro. C – 17 si avvicinò.

Seduti su una distesa d’erba, sette persone ridevano allegramente.
Anzitutto, al centro, come per stare al centro dell’attenzione, tre bambini di circa quattro anni salutavano con la mano chi li stava riprendendo. Dietro di loro, due coppie di adulti. Il cyborg poté dunque riconoscere i propri genitori, e anche la madre di Kimley, con i suoi lunghi capelli arruffati in varie ciocche… e lì, affianco a lei, C – 17 riconobbe un’altra persona. Sgranò gli occhi, terrorizzato.
<< Ma quello… >>
Un uomo sorrideva allegro, spensierato. Aveva la carnagione un po’ scura, gli occhi intelligenti e gli abiti ordinati. Fisico magrolino e capelli molto lunghi e argentati. D’aspetto bonario, tuttavia truce nel sorriso…
Il cyborg si girò di scatto, gettando i suoi occhi su quelli del ragazzo.
<< Esatto Jason >> disse Kimley. << Il dottor Gelo… era mio padre! >>




Rivelazione! E' stata svelata l'identità del ragazzo! Cosa farà adesso C-17?
E cosa nasconde C - 16?

Nel prossimo capitolo sposteremo la nostra attenzione nuovamente su C - 18, dopo un pò di capitoli che non si vedeva!

Bene :D Eccoci all'ottavo capitolo :D
Era da tanto che aspettavo di pubblicare i capitolo in cui presentavo Kim ^^ Finalmente ^^
Voglio fare un sentito ringraziamento a chi recensisce i capitoli, arigato gozaimasu :D

Nell'ultimo capitolo non avevo scritto niente, per lasciare il... "gusto della sorpresa", diciamo. Ci tenevo a dirlo xD

Spero che il testo vi sia piaciuto, io continuerò a mantenere appassionante la storia (ci provo, spero ^___^ )

Appuntamento al prossimo capitolo: "Kame House"!!!!
Ps: dopo un pò che non la si vedeva, questo è il momento giusto per ritrovarla xD
Tanti saluti!!! Jane!!! :D :D :D

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Kame House ***


<< Eccoci, siamo arrivate! >> annunciò Chichi, mentre la navicella si calava sull’isola.
Erano davanti la Kame House: iniziava la seconda parte del “favoloso piano di conquista di Chichi”, come lei amava denominarlo.
Bè sì, immagino vada spiegato. Anzitutto, occorre specificare che abbiamo fatto un piccolo salto temporale: infatti, ciò sta avvenendo mentre C – 17 e C – 16 stavano per raggiungere Orange Town. Ora, praticamente fino ad adesso sappiamo che le giovani hanno fatto grandi spese alla Città dell’ Ovest. Dopo ore e ore di visioni dei vestiti quanto più eleganti, o appariscenti, ma anche casalinghi, C – 18 aveva finalmente comperato un paio di completi eleganti, come ad esempio una lunga veste in sintonia con il dorato dei suoi capelli.
Perché recarsi ora alla casa di Muten? Ovviamente, per accordarsi con lui: avrebbero stabilito un luogo e un orario dove far incontrare la giovane con Crilin, e il vecchio avrebbe fatto in modo che il ragazzo fosse stato pronto per l’appuntamento, naturalmente senza fargli sapere di C – 18.
<< Chichi, sei sicura che funzionerà? >>
<< Certo, sta’ tranquilla! >> esclamò, mentre bussava. << Gohan è qui: avrà già parlato con quel vecchio >> .
La serratura scattò. “Ci siamo” pensò il cyborg, ma ebbe una sorpresa.
Ad aprire la porta ci fu nientemeno che Junior. Quello sgranò gli occhi, notando C – 18, e di scatto serrò la porta in faccia alle due.
Chichi inarcò un sopracciglio. << Ma è pazzo? >> Presto, però, sentirono un urlo dall’interno.
<< Ahi! >> gridò Crilin. << Junior, perché mi hai dato una botta in testa? >>
Le donne si guardarono spaesate. “Che ci fa lui qui? E ora che cavolo faccio?” pensò la biondina, ma Chichi la spinse via, nascondendola dietro il muro.
<< Ascolta, non perdiamoci d’animo! Ora io entro e capisco cosa è successo. Crilin non doveva essere qui: qualcosa deve essere andato storto. Tu intanto… >> e guardò in alto, verso la finestra. << Ma certo! Entra dalla finestra e rimani sopra. Magari portiamo via Crilin… ci inventeremo qualcosa. Vai! >>
E prima che potesse replicare, Chichi bussò nuovamente ed entrò. << Ciao a tutti! >>
<< Mamma, eccoti! >> esclamò Gohan, correndo ad abbracciarla. In realtà, era una scusa per parlare all’orecchio.
<< Che ci fa Junior qui, e soprattutto… Crilin!! >> sussurrò la donna in tono aggressivo, mentre fingeva di sorridere al figlio.
<< Ecco, per quanto riguarda Junior ho pensato che il suo aiuto ci potrà essere utile, e l’ho informato di tutto… >>
<< Come può aiutare quello in una situazione simile? >>
<< E prima di venire qui abbiamo incontrato Crilin, ci ha chiesto dove eravamo diretti, e… ecco, alla fine… >>
La mora sospirò. << Che caso disperato, voi maschi non ci sapete proprio fare con queste cose, dobbiamo sempre fare tutto noi donne! >>
E così andò a sedersi, accanto a Olong e Muten, pensando già a nuovi stratagemmi; ma noi ora spostiamoci su C – 18, mentre era salita nella stanza di sopra.

“Qui dormirà Crilin” pensò. Esitò a lungo, ma poi prese una risoluzione. Insomma, quante volte capita di trovarsi segretamente nella camera della persona che ami? O almeno, questo era solo  probabilmente il suo sentimento. E così, insomma, cominciò a frugare tra le sue cose. Dopo un po’ di attente ricerche, in un cassetto trovò un piccolo quaderno.
“Ma… sembra un diario segreto!” Si bloccò. Cos’era esattamente un diario segreto? Un cyborg come lei lo poteva veramente capire?
“Forse, serve quando vuoi scrivere qualcosa per confidarti con te stesso” osservò.
Chissà cosa si provava nel confidarsi con qualcuno… Rivelare serenamente le tue emozioni a qualcuno, privarti della tua intimità, svelare i tuoi segreti a una persona per qualche motivo cara… dev’essere orribile! Paragonabile a spogliarsi dei vestiti che indossi: bè, in un senso lato è così, “spogliarsi” di tutto ciò che costituisce una “barriera” fra te e la sincerità più leale ma anche semplice. Perché mai gli umani fanno una cosa del genere? Ma poi si rese conto di una cosa.
“E’ la stessa cosa che io ho fatto con Chichi!” E fu una piacevolissima sensazione scoprire che aveva già compiuto un atto del quale si chiedeva il significato, soffermandosi così più che volentieri alla contemplazione della sua nuova scoperta.
Successivamente, nella sua mente nacque una nuova decisione: aprì il diario, con l’ovvio intento di leggerlo, a una pagina a caso. Era di qualche tempo prima.


     Caro diario, il giorno alla fine è arrivato, e così oggi abbiamo conosciuto i due terribili cyborg. Ti devo dire… è stato strano. Trunks aveva una paura matta, e anche io. Però…

C – 18 si accigliò.

     Sono diversi da come me li ero immaginati. Mi aspettavo due orride creature terrificanti, invece… insomma, sinceramente non sembrano così spietati! Sono così… giovani! C’è C – 17, che ha l’aria di essere un ragazzo molto forte e sagace, e poi lei… C – 18 è un vero schianto! Non ho mai visto una ragazza così bella! Bionda, bella, seria, forte e intelligente! E’ difficile dover combattere gente simile… Sai, è un peccato che siano nostri nemici. Ma sai cosa penso? E’ solo colpa del dottor Gelo, che li ha trasformati in cyborg, e così la loro mente è volta alla guerra! Ma noi non dovremmo combatterli, dovremmo aiutarli! Da come ho capito, erano degli umani prima di diventare robot, ma questo non è un motivo per doverli uccidere! Che importanza ha se sono cyborg oppure umani, sono sempre esseri viventi, e vanno capiti e aiutati! Mi chiedo se potrò mai avere l’occasione di fare qualcosa di concreto per loro… Vorrei tanto aiutarli… Oh cielo, ora sto usando tante belle parole, ma chissà se all’improvviso mi trovassi davanti C – 18 che cosa riuscirei a dire! Spero solo vivamente di poter riuscire a fare qualcosa per loro, qualsiasi cosa…



La ragazza si mise una mano sulla bocca. Senza che se ne accorgesse, quelle parole le avevano scaturito soavi lacrime…
Nonostante tutto, li considerava normali esseri umani. Nonostante tutto, non si era accanito contro di loro, l’aveva protetta, salvata… e amata. Amata! Cos’era l’amore veramente? Forse… questo? Una successione di immagini impazzì con enfasi nella sua mente, forse più precisamente nel suo cuore. Fu improvviso, un solo istante. Basta, non ce la faceva più.
<< Non voglio più scappare! >> esclamò a gran voce.

Al piano terra, Chichi sgranò gli occhi.

Si asciugò le lacrime, chiuse il diario dove l’aveva trovato, e corse via. Non esitava più. Era finalmente decisa.
<< Crilin!!! >> gridò. E si precipitò giù dalle scale.

“Questa voce…” Il ragazzo si voltò, animato. << C – 18!!! >>
Il cyborg era lì, dinanzi a lui, con respiro tremolante, avvolta in un’aura di speranza… << Eccoti finalmente… Crilin!! >>








C - 18 raggiunge Crilin! Che cosa succederà adesso?
E poi lei non lo sa, ma... quindi il vero nome di C - 17 è Jason! Come si chiamerà la ragazza?


Eccoci al nuovo capitolo! Sì, forse è stato un pò corto, spero non troppo ^^"
Pare che i due giovani si siano incontrati, ma C - 18 rivedrà anche C - 17?

Bè, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e poi grazie a chi recensisce ^^

Appuntamento al prossimo capitolo!!!! Jane!!! ;) ;) D

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Orange Town ***


C – 18 respirava affannosamente. Erano finalmente vicini, l’uno dinanzi all’altro.
Crilin sembrava incredibilmente emozionato; il cuore gli batteva forte. << C – 18! >> esclamò, e si fece avanti.
<< Crilin! >> Si sentiva scossa, imbarazzata. Si avvicinò al ragazzo oltrepassando gli ultimi gradini, ma il suo movimento fu piuttosto goffo e si scoprì così alquanto impacciata. Sembrava che il forte desiderio di apparire bella ai suoi occhi le impedisse di muoversi come voleva, e le parole le uscivano di bocca disconnesse. << Crilin, io… sì, praticamente, il fatto è che… >> Il risultato delle sue gesta alla fine fu un abbozzo di nervosissimo sorriso. Cercò di controllarsi. Il cuore e il cervello non stavano andando d’accordo: uno diceva di dichiararsi alla svelta, l’altro diceva di contenere i movimenti e di parlare con naturalezza, e il panico in cui si trovava le dava tremendamente fastidio.
“E’ forse questo… l’amore?” si chiese.
Ma proprio in quel momento, che fosse una coincidenza o un segno del destino, successe qualcosa di inaspettato.
Improvvisamente, Chichi sgranò gli occhi e si appoggiò pesantemente al figlio, portandosi una mano alla bocca. << Io… sto male… aiutatemi! >>
Di scatto tentò di alzarsi, ma Gohan la sostenne. << Mamma, che hai? >>
Muten socchiuse gli occhi, come per riflettere. << Nausea, forse? >> interrogò. << Chichi, ora rilassati e respira lentamente >> .
Si sedette per un po’, ma poi aggiunse con un filo di voce. << I-io… mi fa male la pancia… >>
Fu a quel punto che C – 18 comprese tutto. Spalancò gli occhi stupefatta, sia per l’avvenimento che per la sua deduzione. Ripensò alle varie volte in cui la mora aveva già manifestato “strani sintomi” come giramento di testa o nausea.
<< Chichi >> annunciò solennemente << devi farti visitare in ospedale. Tu… sei incinta! >>
La pupille delle donna si dilatarono felici: aveva anche lei quel presentimento, o almeno tale era la speranza del suo inconscio, ed ora sentirselo dire era come una meravigliosa conferma.
<< Chichi è incinta??? >> chiese stupito Crilin.
Il cyborg annuì: non sapeva spiegarsi quella consapevolezza, ma era certa di quello che stava affermando. << La nausea è uno dei primi sintomi. Fastidioso, ma positivo >> . Abbassò il tono della voce. << Tuttavia… >>
<< ...il mal di pancia può significare aborto >> sentenziò Junior senza esitazione. L’attenzione di tutti cadde improvvisamente su di lui.
<< Aborto? >> urlò Chichi in preda alla disperazione. << Mi state dicendo che sono incinta, e che mio figlio può morire?!? >>
 << No, Chichi calmati! >> intervenne il cyborg. << Non è detto. Ecco… è probabile se il dolore è più acuto, ma ora non agitarti! >> Ma oramai tutto era inutile, la donna era troppo spaventata.
<< Portiamola in ospedale, presto! >> intervenne Gohan. “E’ incinta… avrò una sorellina, o magari un fratellino!”
C – 18 prese le mani dell’amica, che stava cominciando a lacrimare per l’improvvisa emozione. << Oh Chichi, sono così felice per te, avrai un figlio! >> e così dicendo se la strinse in un abbraccio. << Sei una persona speciale per me… grazie! >>
Uscirono svelti di casa: dunque, Chichi e Gohan in primis, seguiti da Junior, Muten, Olong, e alla fine da Crilin e C – 18.
<< Che emozione! >> esclamò entusiasta Olong. << Junior, è merito tuo. Se non fossi stato così drastico, ora saremmo ancora dentro casa! >>
<< Ma io… >>
<< Guido io! >> annunciò C – 18 salendo nella navicella della donna la quale, per ovvi motivi, non poteva guidare. << Chichi, tu riposati. >>
<< No… ti serve il doppio pilota… >>
<< Allora guiderò io con lei! >> propose con decisione la voce di un ragazzo a noi noto, che di certo non si fece perdere l’occasione. Crilin si fece avanti eroicamente, ma in realtà stava pensando esattamente quello che passava per la mente del cyborg.
<< Perfetto! >> esclamò a gran voce Muten. << Alla guida ci penseranno i due aman… emh, i due giovani! >> Poi salutò Umigame, e saltò su.
I due ragazzi si sistemarono così ai due posti di comando, molto vicini tra di loro, e controllarono che tutti fossero presenti. Gohan diede l’ok.
<< Emh… ci siamo >> disse Crilin a C – 18. Bè, finalmente era riuscito a prendere la parola. << L’ospedale più vicino si trova ad Orange Town.
Partiamo? >>
     Orange Town.
Di nuovo una misteriosa sensazione… aveva uno strano presentimento. Titubante, la ragazza annuì. Guardò il suo compagno di guida: erano così vicini, ora, senza troppi presupposti, in quell’assurda situazione, lei e lui, loro soltanto… quale pazzesca circostanza…
<< Allora… via! >> esclamò Crilin. Mise in volo la navicella, apprestandosi ad arrivare con un’insolita compagnia in quella città…
      Orange Town



C – 17 e Kim erano nel salotto d’ingresso, in silenzio.
Il ragazzo non sapeva cosa pensare: quella rivelazione l’aveva profondamente turbato. C – 16 era ancora lì, seduto con la schiena appoggiata al muro, con l’aria stravolta, in compagnia del vecchio Alphonse.
<< Senti Jason, so cosa stai pensando >> disse Kim. << Credimi, io lo odiavo. Almeno, solamente da allora… >> Pensando al dottor Gelo, chinò lo sguardo. << Da piccolo lo amavo, proprio come un figlio ama il padre… ma da quel giorno, da quel maledetto giorno… Alphonse è stato il mio unico, vero padre. E’ grazie a lui che so cos’è l’amore di un genitore >> .
L’anziano rimase colpito. “Kimley…”
Che cosa doveva pensare? Che cosa doveva fare? Aveva da poco scoperto l’esistenza di una persona che forse l’avrebbe potuto aiutare, una persona così cara… Un ragazzo figlio del mostro che lo aveva privato dell’umanità. La stessa umanità un tempo disprezzata e che adesso bramava ed era intenzionato a riprendersi con l'aiuto di un fratello ritrovato, il quale finalmente sostava dinanzi a lui dopo tanti anni...
Serrò i pugni. Sentiva un odio incolmabile riaffiorargli nell’animo, un rancore distruttivo… Ma verso chi esattamente? Quel ragazzo non c’entrava niente, aveva visto la sua sincera reazione quando si ritrovarono…
<< Jason! >> esclamò in tono preoccupato il giovane. << Io… non potevo sapere nulla, ero all’oscuro di tutto! >>
“Come tutti, del resto…” pensava tristemente, ma poi decise di afferrare le mani del cyborg. << Ti prego, permettimi di aiutarti… Almeno una volta voglio esservi utile! >> Scacciò via una lacrima quando un altro pensiero lo fece rinsavire. << A proposito… Dov’è adesso lei? >>



<< Svelti, fate subito! >> ordinò Junior. La navicella era ora appena atterrata nel parco dell’ospedale.
<< Oh, povera me! Che tragica fine farò! >> si lamentava Chichi, facendo notevolmente preoccupare il figlio.
<< Secondo me sta benissimo… >> fu il commento di Olong.
<< Mamma, resisti, siamo arrivati! >> la incitò Gohan, mantenendola per mano mentre furiosamente la conducevano dentro la struttura.
 


C – 16 spalancò di scatto gli occhi. “Questa sensazione… no, non può essere…”
Il corvino mosse lentamente la testa, esprimendo la sua ignoranza in merito all'argomento.
Aveva così tante domande… Anche lui voleva scoprire dove fosse la sorella, e cosa dovesse fare, adesso, dopo quella rivelazione...
Almeno per quest’ultimo interrogativo, però, la risposta era già quasi sulle sue labbra.
<< Sai >> disse in tono amaro con un sospiro, prima di annunciare qualsiasi altra cosa. << Ecco, è una stana sensazione sentirmi chiamare Jason… non so dire se ciò sia piacevole o… insolito >> .
<< Oh, capisco… >> rispose Kim. << Bè in effetti… è comprensibile >> .



<< Dottore! >> chiamò precipitosamente C – 18. Erano appena entrati nell’ospedale. << Abbiamo urgente bisogno di aiuto! >>



“E’ lei!” C – 16 balzò in piedi.
<< C – 16, che ti prende? >> chiese il cyborg, scrutandolo dubbioso.
<< Ascoltate >> annunciò. << L’ho trovata. E’ qui, in questa in città >> .
<< Ma… che stai dicendo? A chi ti riferisci? >> domandò, ma poi ebbe un tuffo al cuore.
Così come un’anima, umana o animale che sia, dopo un ingente dolore da parte della madre, con la nascita si apre con gioia alla vita, in un solo attimo, preceduto da tanto travaglio, tale fu la percezione di improvvisa, prorompente serenità e allegria, tali da mettere a tacere, almeno per il momento, l’inquietudine e la paura che il giovane C – 17 stava provando.
L’androide annuì. << E’ qui, vicina a noi. Sto parlando… di C – 18! >>










C - 17 e C - 18... entrambi sono nella stessa città! Che si possano finalmente rivedere???
Appuntamento al prossimo capitolo: "Crilin e C-18" !!!!
 
Bene, eccoci a questo decimo capitolo :D

Spero vi sia piaciuto, come sempre grazie a chi recensisce!!! :3 ;) ;) ;)


Comunque, ecco perchè nel sesto capitolo C - 17 aveva una strana impressione, ma anche C - 18 parlandone con Chichi; il ragazzo si vede da piccolo, "ricordandosi" per un attimo casa sua, cosa che non gli riesce facile perchè la cosa viene impedita da un "muro metallico": certo, è un cyborg! Loro non possono ricordare nulla della loro vita passata, e l'espressione muro metallico è una metafora per dire "muro difficile", insomma una cosa del genere, ma anche "metallico" nel senso che ormai è un cyborg, nel suo corpo sono presenti aggeggi metallici D: 
 
 
Un'altra cosa ;) Ecco perchè Chichi, al quarto ma anche al sesto capitolo si era sentita male, è incinta di Goten :3

Che bella storia Dragon Ball.. ma è un manga meraviglioso *____* No Akira, complimenti *^*



Bè, alla prossima ;)

A presto!!!!!!!! :D

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Crilin e C-18 ***


Fulmineamente spalancarono la porta.
C – 17 e Kim si precipitarono fuori di casa con giovanile impetuosità, precedendo immediatamente l’androide e il maggiordomo.
Il corvino seguì il fratello, il quale era già intento a girare delle chiavi nella serratura di una grossa moto rossa parcheggiata nel garage adiacente l’abitazione.
<< Jason! Salta su! >> esclamò, lanciandogli un casco.
Montandoci sopra, il cyborg si bloccò un attimo. “Io, è come se…”
C – 16 con delicatezza posò da dietro le mani sui fianchi dell’anziano. << So che non sei abituato, non ti spaventare >> gli disse, e silenziosamente questi si elevarono di pochi centimetri dal terreno, sino a prendere letteralmente il volo.
Alphonse si vide spaventato, ma ciò durò solo un attimo, poiché presto sorrise scrutando i due ragazzi. “Che nostalgia…”
Partirono.



Crilin squadrava la bella C – 18 con profonda ammirazione.
Le era stato accanto per poco tempo, ma aveva già l’impressione che la ragazza fosse cambiata. E poi, il modo in cui si preoccupava per Chichi, la premura con cui spiegava al medico la vicenda, e il volersi interessare in prima persona era per lui qualcosa veramente mirabile.
Il dottore esaminò in fretta la situazione, dopodiché si rivolse direttamente a Chichi, programmandole un’immediata ecografia.
<< Mamma, vengo con te >> la rassicurò Gohan, con la voce rotta per l’emozione.
Un sentimento di commozione conquistò la donna, che rivolse lo sguardo al cielo. “La scorsa ecografia ero al tuo fianco, Goku. E ora…” Fissò il figlio. << Bè, noi andiamo… >>
<< Ehilà gente! >> chiamò allegramente una voce conosciuta.
Dal corridoio, apparvero Vegeta e Bulma, la quale portava in braccio il prezioso figlioletto.
<< Ragazzi! >> salutò felice Chichi. << Che ci fate qui? >>
<< Oh, niente di particolare. Vegeta voleva portare Trunks dal medico e … >>
Il Sayan scosse brusco la testa. << Bulma ci teneva a venire, non voleva perdersi la festa di stasera. E io ho deciso di accompagnarla, tutto qui >> ci tenne a precisare con il solito tono freddo.
Chichi tirò frettolosa le mani di Bulma, e con uno stupendo sorriso le rivelò la lieta notizia.
La donna batté le mani. << Trunks, hai sentito? Presto avrai un nuovo amico! >>
<< Un altro Sayan – fu la prima osservazione di colui che ne sarebbe stato il principe – figlio di Kakaroth >> disse apparentemente senza interesse, quando notò il cyborg, impressionandosi non poco. << E lei cosa ci fa qui? >> ringhiò.
Crilin le si parò davanti. << Calma Vegeta! Lei… >>
“Adesso basta, non posso più aspettare” si disse C – 18. Afferrò il braccio del ragazzo e, mantenendo un tono dolce, ma fortemente deciso, dichiarò: << Crilin, dobbiamo parlare >> .
Osservò un’altra volta Chichi, come per augurarsi buona fortuna vicendevolmente, e finalmente davanti l’incredulità di tutti i due si allontanarono, da soli.



Stringendo le mani sull’addome del fratello, C – 17 si guardò intorno, e pensò che dovesse essere veramente eccezionale la sensazione del vento che sfrecciava sul volto. Perché non verificare? Si slacciò il casco, e alzando lo sguardo al cielo scoprì che, effettivamente, amava quella sensazione.
<< Fratellone che fai? >> disse divertito il ragazzo.
<< E’ bellissimo >> confessò, riallacciandosi il casco e ritornando ad appoggiarsi al giovane.
<< Ti ricordi? >> disse questi. << Non troppo tempo fa adoravamo correre per le vie della città in moto. Insomma, tu particolarmente, e poi c’era sempre lei… >>  Si fermò per riflettere, e gli volle chiedere ciò che in verità già sapeva. << Senti Jason, il tuo amico… lo hai chiamato C – 16. Anche lui… >>
<< Sì, è un androide >> .
Kim sembrò divertito. “Ora che ci penso… 17, 18… e 16, eh?” << Ehi, C – 16! >> chiamò. << Dove dobbiamo andare precisamente? >>
L’androide osservò dall’alto la città, e non potendo indicare con il braccio accelerò di velocità. << Da questa parte, per un po’ sempre dritto. All’ospedale! >>
<< Ok… >>  fece rimbombare il motore. << Jason, tieniti forte! >> e così dicendo, fece impennare il veicolo, dandosi la carica per ripartire con un rinnovato slancio.



C – 18 e Crilin stavano camminando in silenzio nel parco che dava sull’ospedale.
Senza rendersene conto, erano arrivati davanti un laghetto per i pesci. Si sedettero sull’erba.
Sarebbe stato un quadro stupendo da tenere appeso in casa, pensava la ragazza, peccato che l’emozione del momento regalava alla scena una grande aura di vera realtà. Il cielo terso appariva incorniciato da due chiome sfavillanti. Coppie di uccelli cinguettavano festosamente, mentre l’acqua del lago rifletteva i colori della natura.
Fu Crilin a rompere il silenzio. << Sono felice di averti vista oggi >> .
<< Già, anch’io >> . Prese un respiro. << Ti voglio ringraziare >> .
<< Ringraziarmi? >>
Erano particolarmente vicini, e si fissavano negli occhi con passione.
<< Io volevo uccidervi, eliminare te e i tuoi amici, soprattutto il tuo migliore amico >> ammise con amaro disprezzo per quegli stessi antichi pensieri. << Ma fortunatamente c’era Cell, che voleva distruggere il vostro stesso nemico, ma poi la situazione sarebbe solo peggiorata, vi sareste trovati con un nemico imbattibile. E siete stati costretti a proteggermi >> .
L’erba era fresca, soffice, e l’aria morbida e confortante.
<< Ma non lo facevate solo per salvarvi da Cell, lo facevate per me, voi tutti. E poi tu… Tu lo facevi per un motivo diverso. Lo sentivo >> abbozzò un sorriso. << E solo adesso posso essere in grado in riconoscerlo, ma non volevo ammettere di avere paura di ciò >> .



Sfrecciando rapidamente, sul sinuoso percorso le varie costruzioni si affrettavano nel farsi da parte, quasi a voler aiutare quei ragazzi nel ritrovare il prima possibile la sorella.
Fu una visione, meravigliosa e sorprendente. Oltrepassata l’ultima curva, si stagliava un verdeggiante parco… antistante un’imponente costruzione bianca e lunga. Era possibile leggere un grande cartello di avvertimento, anche se superfluo per i cittadini della zona. Scritto a caratteri grandi, C – 17 lesse: << Orange Town Hospital… eccoci! >>



<< Crilin, mi hai fatto capire tante cose >> continuò C – 18. << Mi chiedevo che cosa fosse realmente la vita, cosa fossero quelle cose che voi umani chiamate sentimenti. Ora grazie a te forse sto capendo tutto ciò. Mi hai cambiata, il tuo amore mi ha cambiata >> .
I suoi occhi erano riconoscenti, affettuosi; aveva temuto di sentirsi confusa, invece parlava disinvolta, perfettamente a proprio agio. Era al suo fianco, e ora niente e nessuno poteva turbarla, mentre l’altro la contemplava con sentimento di sentita adorazione.
<< Da cyborg, ho sempre pensato che l’amore delle persone fosse una stupidaggine da sopprimere, invece… adesso so cosa significhi veramente il valore dell’amore.
Ecco… anche quando sapevo cosa provavi per me io ti trattavo con durezza, ma tu >> prese un respiro << tu hai continuato a lottare, hai combattuto con coraggio, non ti sei mai arreso, e mi hai aperto gli occhi. Tu, Crilin, mi hai dato la forza per andare avanti, un motivo per continuare a vivere, hai dato un significato alla mia vita. E io per questo te ne sarò grata in eterno >> .
Il giovane con tenera delicatezza chiuse le mani della ragazza nelle sue, accostandosele ulteriormente. << Sono io che ti devo ringraziare >> le sorrise.
<< Quando ti ho vista la prima volta ho capito subito che non eri una nemica. Mi hai incantato sin dal principio, sono sempre rimasto ammaliato da te. Sono io che ho capito grazie a te cosa significhi veramente il vero amore. Sin dal nostro primo incontro non c’è stato momento in cui non pensassi a te; eri il mio primo pensiero al mattino, l’ultimo la sera >> .
Lentamente, i loro occhi si fecero sempre più vicini.
<< Mia perla, mia rosa, mio sogno… grazie di esistere… >> Crilin le posò sofficemente una mano sulla guancia.
La biondina appoggiò la sua fronte su quella del ragazzo; si sentiva protetta, amata. Un morbido soffio di vento le accarezzò i capelli… no, era la mano del giovane, così calda e forte…
I loro occhi si incontrarono: si erano cercati, ed ora erano insieme. C – 18 gli carezzò con dolcezza la guancia. Percepiva il suo respiro, lo sentiva sulle labbra. I loro nasi si incontrarono, i dolci occhi un tutt’uno. Sul volto di lei si dipinse un grazioso, tenero, magnifico sorriso: il primo in tutta la sua vita da cyborg.
<< Amore mio… ti amo tanto… >> mormorò la ragazza. Le loro labbra si avvicinarono.
<< Ti amo tanto anch’io >> sussurrò il giovane.
Le loro bocche erano ormai vicine, molto vicine, quasi unite in un unico, favoloso bacio…
 


<< C – 18!!!! >>

<< JODIE!!!! >>

Due giovani voci maschili strepitarono il suo nome. C – 16 planò, e nel medesimo istante in cui lui e Alphonse toccarono terra, una fiammeggiante moto rossa si stagliò ad alcuni metri da C – 18 e Crilin.
Un tuffo al cuore. All’unisono, i due si voltarono nella direzione del veicolo.
<< Sorellina! >> urlò C – 17, sfilandosi il casco insieme a Kim.
C – 18 si alzò di scattò. << C – 17, fratellone! >> Ma poi la sua vista scivolò sul ragazzo che guidava il veicolo.
Questi si sfilò il casco; a quella vista, un brivido ardente la percosse violento come un fulmine.
Fu allora che C – 17 ci fece caso. “Jodie… quindi è questo il suo vero nome!”
Kim iniziò a lacrimare. << Eccoti finalmente… sorellona! >>









Appuntamento al prossimo capitolo: " Riunione: i tre ragazzi di nuovo insieme" !!!!

Bene, come sempre grazie mille a chi legge e a chi recensisce :D :D

Il prossimo sarà un capitolo molto importante uu :3
Bè non mi dilungo, ma... quindi si è scoperto il nome di C - 18 ;)

Alla prossima!!!!
Ciao a tutti!!!!! :D :D :D

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Riunione: i tre ragazzi di nuovo insieme ***


Il Sole placidamente batteva sui loro giovanili corpi, accompagnato da una piacevole brezza invernale.
C – 18 aveva puntato gli occhi su quelli del ragazzo, e per qualche ragione non riusciva a deconcentrarsi. Con gli occhi spalancati, le pupille riuscirono a muoversi appena per meglio fissare nella mente quella figura: lo squadrò completamente, senza nulla tralasciare, dalla punta dei piedi sino al capo, e si ritrovò ad apprezzare come gradevole alla vista quell’abbigliamento forse trasgressivo. Lo guardò meglio in volto, e senza rendersene neanche conto arrossì lievemente.
“Che… che fico!” si disse, ma appena tale pensiero le nacque in mente, quasi come un’ineludibile conseguenza un’analoga situazione le si ripresentò nello spirito. “Quant’è bello!!!” : era la voce di una bambina, e, non sapeva come, sapeva a chi appartenesse. Si massaggiò la tempia. “Un déjà vu?? Ma come…”
<< Jodie! >>
<< Sorellona! >>
Ella sollevò lo sguardo, e notò quei due ragazzi che strepitando stavano correndo a scavezzacollo verso di lei.
“Ma cosa sta succedendo?” pensò Crilin, che dal centro dell’attenzione in cui si trovava si vide improvvisamente catapultato in una situazione di lieve disagio.
“Ma cosa sta succedendo?” fu l’interrogativo anche di C – 18. Quei due ragazzi erano lì… quello forse sconosciuto, e l’altro…
<< C – 17!!! >> urlò rianimata. Non aveva avuto il tempo di dire altro, che le vigorose braccia del fratello la strinsero a sé. La biondina voleva ringraziarlo per tanto affetto, rivelargli la sua felicità nel vederlo, ma ne era impossibilitata: da quando quel famelico mostro di Cell l’aveva barbaramente privata del fratello questo rappresentava il loro primo incontro, e pertanto il fiato si rifiutava di uscire di bocca.
Tuttavia, un altro ragazzo oltre a C – 17 non aspettava altro che rivedere la sorella. Kim si fece avanti, con le lacrime agli occhi. << Jodie… >> pronunciò fievolmente.
I due cyborg si voltarono verso di lui, il corvino con l’intenzione di spiegare tutto alla sorella, ma non fece in tempo.
<< Sorellona!!! >> Il giovane si slanciò con urgenza a ricoprire con il suo abbraccio la ragazza; questa rimase sorpresa: comprensibile, eppure tra le sue braccia si sentiva al sicuro, protetta. Kim portò il braccio sulle spalle di C – 17, e così i tre si ritrovarono in una scena toccante avviluppati in un triplice abbraccio.
Crilin, dal canto suo, superato un primo momento di fastidio (del resto era stato interrotto in un momento sognato da molto) non poteva che essere felice per quei tre.
<< Vedo che sei in forma, Crilin! >> lo chiamò una voce a lui familiare.
Voltatosi, notò l’androide in compagnia dell’anziano.
<< C – 16! Ma come… >>
<< E’ una lunga storia. Piuttosto, posso considerare oramai scontata la fine di Cell – sorrise – ma adesso credo che ti interessi di più qualcos’altro >> disse, facendo cenno ai suoi compagni.
C – 18 incontrò lo sguardo fisso di Kim: i suoi occhi erano bellissimi. Gli pose una mano sulla guancia. Come fosse sotto l’effetto di un sortilegio, mnemonicamente sillabò: << Kimley… >>
Rendendosi conto di ciò che aveva fatto, inquieta fece per levare la mano, ma si sentì il polso afferrato da qualcuno.
<< E’ bello rivederti… sei diventata bellissima… >> mormorò il ragazzo.
Lei lo scrutò. << Io… è come se ti avessi già visto da qualche parte, ma… chi sei? >> Prese un respiro. << Che vuol dire… Jodie? >>
<< E’ il tuo nome! >> esclamò egli con solennità.
<< Ascolta >> le disse C – 17. << Ti dobbiamo raccontare delle cose. Quindi… ti chiami Jodie! >>
In una situazione talmente ingarbugliata, l’ovvia decisione fu quella di sedersi sul prato, e spiegare tutto. Alphonse fu felice di poter riabbracciare la giovane, anche se questa non ricordava granché. Inoltre, C – 18 ci tenne a presentare a tutti Crilin; certo, non senza un iniziale, piccolo imbarazzo (vista la loro interruzione), ma era importante per lei.
Così, praticamente alla riva del laghetto cristallino si sedettero in cerchio questi sei, e loro soltanto.
 
Presto, giunse la rivelazione: C – 17 in realtà si chiamava Jason, e il ragazzo coi ciuffi spettinati, Kim, era loro fratello. Con un’efficace sintesi il corvino ripercorse la sua storia, dal momento in cui si era “risvegliato improvvisamente”, a quando aveva incontrato il figlio del dottor Gelo, sino a quell’esatto istante.
<< Ecco il motivo >> sussurrò sconvolta C – 18. << Anche se non di sangue, tu sei nostro fratello, ecco perché non riuscivo a sentirti come un estraneo >> gli disse, e a questo punto si sentì maggiormente autorizzata a stringergli la mano. Ed inoltre, fu una dolce emozione ricevere gli auguri di compleanno così inaspettatamente. “Quindi oggi, il 17 dicembre, è il mio compleanno…” pensò. “E questo ragazzo, quindi…”
C – 16 scrutò attentamente i due cyborg. C – 18 in cerca di risposte, ma sicura al fianco delle persone che amava; C – 17, ansioso di fare qualcosa per la sorella, forte dell’appoggio del fratello; in più, il legame di quei tre doveva essere stato così forte che pareva che nessuno di loro si fosse mai allontanato dall’altro: l’umana gioia del ritrovare i propri cari, immaginava. “Siete cambiati tantissimo” pensò con un fiero sorriso.
<< Ma perché? >> domandò d’un tratto C – 18. << Se il dottor Gelo era tuo padre vuol dire che lui ci conosceva! E anche molto bene! Ma com’è possibile, allora perché ci ha fatto questo? >>
<< Kim, credo che tu ci debba delle spiegazioni >> gli disse il corvino.
Questi annuì debolmente. << A causa dell’operazione che vi trasformò in cyborg non ricordate nulla, ma appresa la verità col tempo ricorderete tutto, prima come ricordi sparsi, ma successivamente anche in modo chiaro >> .
<< Il signorino è uno scienziato >> spiegò il maggiordomo. << Io conosco voi tre da prima che nasceste, quindi posso di fatto asserire che non ho mai conosciuto nessuno così giovane eppure dotato di un tale quoziente intellettivo >> .
Il ragazzo sembrò colpito dal complimento. << Esageri Alphonse. Bè sì, sono uno scienziato, ma… >> sospirò << direi che come tutto ciò che mi è capitato in vita… Jason, Jodie, lo devo solamente a voi. Sapete, mamma diceva che avevo ereditato l’intelligenza di colui che consideravo mio padre… >>
<< ma un tale genio sviluppato già nella fresca età giovanile lo eleva sicuramente rispetto a chiunque >> replicò con decisione Alphonse.
<< Quindi sei un tipo in gamba >> commentò C – 18.
<< Ecco, io veramente… insomma, grazie, ma come ho già detto, lo devo soltanto a voi… In realtà è da molto tempo che vado avanti con un certo progetto, e quando Jason stesso arrivò a casa mia mi stavo appunto dedicando a ciò… Ma ora basta parlare di me! Vi dirò tutto quello che volete sapere. Anzi… >>
<< Ora ricordo! >> esclamò con stupore C – 17, fiero di quell’importantissimo ricordo che era riuscito a recuperare. Si avvicinò a Kim, per sussurrargli all’orecchio:  << Guarda che io non me lo sono dimenticato, tu e mia sorella… >>
<< Chi erano i nostri genitori? Quindi noi… vivevamo qui, ad Orange Town? >> domandò C – 18.

Cercando di non scomporsi troppo, Kim sgomitò nel fianco di C – 17, apostrofandolo:  << Sei rimasto sempre il solito! >> e, ricomponendosi in fretta, prese un respiro. << I vostri genitori… persone brillanti, meravigliose, semplicemente unici.
Vostra madre era una bellissima donna, col corvino dei capelli che li rendeva uno specchio dei tuoi, Jason >> .
Istintivamente, il ragazzo si portò la mano ai capelli. “Mamma…”
<< Un tipo allegro >> riprese a dire. << Forte e decisa. Era sempre energica, pronta a darsi da fare per la sua famiglia >> .
“Ecco da chi ha preso il caratteraccio C – 18” pensò Crilin. “E questo è qualcosa di lei che mi fa impazzire!”
<< E poi vostro padre, con lunghi capelli dorati e intensi occhi cristallini. Bè, non lo si poteva certo definire un tipo taciturno, ma sicuramente aveva un carattere più riflessivo di vostra madre.
Io… - socchiuse gli occhi per meglio vederli con la mente – li adoravo. Erano veramente persone speciali, anche se… >> serrò la bocca, non riuscendo a proseguire.
<< Ancor più di loro, il signorino adorava suo padre >> rivelò Alphonse. << Lo trovava perfetto, aveva piena fiducia in lui, e anche io: non per nulla era il suo fedele maggiordomo. Mai nessuno avrebbe potuto immaginare un epilogo simile… >> Scosse la testa. << Tuttavia, voglio che voi sappiate che i veri miti, eroi in un certo senso, eravate voi. Voi due eravate tutto per lui, e lo siete sempre stati… sempre >> concluse l’anziano sottolineando con particolare rilevanza l’ultima parola.
C – 17 guardò colpito il giovane. << Fratellino… >>

<< C’è una cosa importante che dovete sapere sui vostri genitori, un dettaglio fondamentale di questo racconto >> riprese Kim. << Anzitutto, i vostri genitori erano i famosi coniugi Logan… Edward e Hilary >> annunciò con solennità.
“Mamma, papà…” pensò C – 18, ma poi si rese conto di una cosa.
<< Quindi io… insomma, io non sono C – 18, sono Jodie Logan! E tu fratellone… >>
<< Jason… Logan >> disse questi lentamente. << Sì, mi piace! >>
<< Come?!? >> esclamò inaspettatamente Crilin. << Questi nomi… io li ho già sentiti, ma dove? >>
Si zittì un attimo, quando finalmente tutto ritornò alla memoria. << Ma certo, sì, Hilary e Edward Logan… sono i nomi dei vincitori della diciottesima edizione del Torneo Tenkaichi! >>
Kim annuì, sorpreso. << Esattamente. Loro due… >> ma si bloccò per un istante, inarcando il sopracciglio. “Che ci faceva qui solo con Jodie?” Scosse la testa per ridestarsi, e continuò. << Ecco, precisamente i vostri genitori si conobbero in quell’edizione del Torneo. Erano entrambi abili combattenti, e riuscirono a farsi strada sconfiggendo tutti i partecipanti. Ma non basta dire che furono i vincitori. In effetti i due finalisti erano loro, ma nessuno fu in grado di sconfiggere l’altro… e così lo scontro dovette finire in parità. Dunque… si conobbero soltanto allora >> .
Alzò lo sguardo sui cyborg. << Fu amore a prima vista, e dopo la fine del Torneo immediatamente si fidanzarono. Successivamente… >>
<< Crilin, come mai conoscevi già i loro nomi? >> domandò C – 16.
Questi annuì. << La prima volta che partecipai al Torneo Tenkaichi fu nella ventunesima edizione, con Goku… Il maestro Muten ci diceva di prendere esempio dai precedenti vincitori, ma non avrei mai pensato che quei due, il cui scontro finale si concluse in parità, ed era una cosa eccezionale al Torneo… fossero i genitori di C – 17 e C – 18. Anzi, dovrei dire di Jason e Jodie >> .
<< Crilin… >> sussurrò la ragazza.
<< Ma tu come le sai tutte queste cose? >> chiese il corvino.
<< Bè >> Kim sospirò. << Quando eravamo piccoli, tua madre amava particolarmente raccontare questa storia, e così ci raccomandava di trovare con serenità e sincerità la nostra vera anima gemella… >>
 
Trascorsero attimi di silenzio, ma subito Kim scrutò seriosamente i cyborg. << Ascoltate, c’è una cosa che credo voi non abbiate mai saputo, quindi è la prima volta che lo venite a sapere >> .
Di scatto, C – 16 sgranò gli occhi. “Il ragazzo lo sa?!? Ma come… non può dirlo adesso!!” Si agitò molto, ma prese sollievo scoprendo che Kim non si riferiva affatto a quella cosa.
Il giovane proseguì. << Edward e Hilary avevano intenzione di partecipare anche alla diciannovesima edizione del Torneo, cinque anni dopo il loro primo incontro. Tuttavia… poco tempo prima l’inizio dell’evento… >> Prese un respiro, che parve consono al soffio del vento che correva in quel paesaggio. << Hilary rimase incinta di due gemelli >> . I due ragazzi si guardarono.
<< Fu una gioia improvvisa, non era loro capitato mai niente di così bello nella vita. Ovviamente, stabilirono di non gareggiare più in quel Torneo, e decisero anche un’altra cosa: volevano dare felicità ai loro figli, e avrebbero fatto tutto il necessario per garantire ai piccoli una vita splendida e raggiante.
Quando Hilary era già col pancione si sposarono in una grande città, la stessa dove ritennero cosa migliore vivere: Orange Town >> .
Esplicando tutto ciò, non privava mai i fratelli della sua scrupolosa attenzione. << Comprarono casa in Kori Street, affianco l’elegante abitazione di due importanti scienziati: mia madre, Susan, e… lui >> .
C – 18 spalancò gli occhi. << E’ così che si sono conosciuti! >>
<< Esatto sorellona >> rispose. << Inizialmente, erano semplici vicini di casa, ma entro breve tempo il legame che si instaurò fra quei quattro risultò essere qualcosa di straordinario, a tal punto… >> Sul suo volto si dipinse un sorrisetto divertito. << Che quelle pesti dei loro figli divennero come veri fratelli! >>
Anche sul volto di C – 17 e C – 18 si fece largo un sorriso rilassato, divertito.
<< Jason, Jodie >> riprese ancora Kim. << Vi ho detto che i vostri genitori erano disposti a fare qualunque sacrificio per voi, per la vostra salvaguardia >> .
Il corvino lo osservò dubbioso. << Embè, che intendi dire? >>
<< Quando si trasferirono ad Orange Town… presero anche un’altra decisione >> .
<< Quale? >> domandò C – 18.
Il ragazzo cambiò la posizione delle gambe, che cominciavano ad addormentarglisi, tenendo una distesa, l’altra invece stretta al petto. << Abbandonarono la carriera di campioni di Arti Marziali, e risolvendo di non partecipare mai più ad alcun Torneo piuttosto entrarono in polizia. Fu così che alla fine si avvicinarono alla verità… >> mormorò in tono basso.
Alzò lo sguardo. << E un’altra cosa. Stabilirono anche… che non avrebbero mai più utilizzato il ki! >>
 
 

Dinanzi la finestra dell’ospedale, intanto, Junior, in compagnia di tutti gli altri presenti, compresi Chichi e Gohan, i quali avevano appena fatto ritorno dalla visita per l’ecografia al pargoletto, stava immobile ad assaporare l’aria fresca che faceva brezza sul suo volto, smuovendogli di tanto in tanto il bianco mantello.
<< Ma perché dobbiamo stare fermi qua? >> si lamentò Vegeta.
<< Calmati >> lo ammonì il namecciano. << Non sono fatti nostri. Staranno dicendo qualcosa di molto importante, suppongo, e ti ricordo che io con l’udito che mi ritrovo avrei potuto ascoltare tutto, invece preferisco non impicciarmi, e piuttosto mi sforzo di non ascoltare! >>
<< Ci conviene aspettare qui >> disse Muten << per il bene di Crilin, ma anche di quei ragazzi >> .
 
 

I presenti erano tutti rimasti scioccati da quell’ultima rivelazione.
<< Il… ki? >> esclamò C – 17. << I nostri genitori avevano il controllo del ki? >>
<< Esatto >> disse Kim.  << Entrambi, e ovviamente erano abili anche in questo. Tuttavia, per il bene dei figli pensarono di non dirlo mai a nessuno; così i bambini sarebbero cresciuti ugualmente sani e forti, ma senza correre il pericolo che invece non manca a chi è in grado di controllare questo potere >> .
Crilin abbassò lo sguardo. “In effetti…” Ripensò a vari momenti della sua vita, per esempio quando era stato dapprima colpito dal corno di quel mostro, e poi anche brutalmente ucciso da Freezer; oppure i pericoli passati a causa di Cell. “Però…”
<< Loro volevano solo il vostro bene! >> esclamò Kim, quasi a voler replicare il pensiero che Crilin non aveva ancora terminato. << Vi amavano, non desideravano altro che vedervi sorridere, crescere, essere felici! Eravate i loro figli, il tesoro più prezioso che avessero al mondo!!! >>
Delle lacrime cominciarono a scorrergli fluide sulle guance. << Credo… che quasi considerassero anche me un figlio loro, tanta era la gioia che provavate quando stavamo insieme! >> Si strofinò il braccio sugli occhi.
<< Fratellino… >> mormorò C – 18, avvicinandogli la mano.
<< Volevano solo vedervi crescere… ma per colpa sua non poterono mai… >>
 La ragazza si bloccò di scatto, e solo allora si rese conto di una cosa. Osservò con dolcezza Kim. “Fratellino, quanto devi aver sofferto in questi anni?”
Strizzò l’occhio e, con dolcezza, e con sua stessa sorpresa per ciò che stava facendo, cominciò a raccogliere le lacrime del giovane con le dita, che quasi brillavano al contatto con la morbida pelle del volto bagnata da tali delicati cristallini.
Si fissarono. << Volevano solo il vostro bene… solo questo >> sussurrò esprimendo col tono la sua gratitudine verso la ragazza.
Prese un respiro. << Non lo sapeva nessuno; l’avevano rivelato in confidenza solamente a due persone a loro molto care. Ovviamente, questi ultimi erano persone fedeli, non l’avrebbero mai detto a nessuno, e “normali”, nel senso che non possedevano e non potevano conoscere tale potere.
Almeno, per quanto riguarda mia madre… E anch’io, venni a conoscenza dell’esistenza del ki solamente quel giorno… >> Tremò al ricordo, ma durò poco, poiché con immenso sollievo pensò di avere al suo fianco quelli che considerava suo fratello e sua sorella.

<< Bè, credo che sia venuto il momento di raccontarvi tutto >> esclamò.
C – 16 assunse un’espressione facciale molto cupa e pensosa, quando finalmente si risolvette. << Giovani >> dichiarò << anzi, mi riferisco a tutti i presenti. C’è un dettaglio fondamentale che Kim non conosce, pertanto scusami ragazzo, ma a un certo punto dovrò intervenire io >> .
Tutti lo scrutarono dubbiosamente, ma l’androide non poteva immaginare che Kim, e di conseguenza Alphonse, avessero un’idea di ciò che avrebbe voluto rivelare. O almeno non poteva saperlo, ma tanto era un dettaglio irrilevante.
C – 18 si rivolse a Crilin. << Non andare, per favore. E’ la storia della mia vita, e mi farebbe piacere se tu rimanessi qui >> .
<< Ok… >> rispose con un sorriso lusingato. << Non ho intenzione di allontanarmi da te, tranquilla >> .
<< Bene Kim, dicci tutto >> fu il commento di C – 17, come se fosse cosa semplice.
Dopo attimi di riflessione, disse: << Sì, credo di poter iniziare da quel giorno >> .
 
Nell’ospedale i presenti ormai stavano seguendo con gli occhi la scena, dall’alto della finestra, e pur non potendo udire alcunché avvertirono la trepidazione del momento.
 
Il Sole lentamente calava nel cielo: forse, voleva accostarsi per ascoltare anch’esso la vicenda.
Il fruscio delle foglie fischiò, e la superficie vetrata del laghetto fu sfiorata da una piccola spira di venticello piacevole.
<< Ok >> esordì Kim. << Jason, Jodie, questa è la vostra storia, tutta la nostra storia…. Era un giorno di certi anni fa, non troppi… >>
Ebbe così avvio la narrazione, l’esposizione della storia di vite di umani trasformati in cyborg…
 
Narrazione di vicende che adesso, caro amico, noi osserveremo direttamente, come se fossimo stati partecipi in esse stesse.



Orange Town Hospital, 17 Dicembre












Ciao a tutti!!!
^^" Allora, in primis assoluto (?) vi voglio chiedere umilmente scusa, perchè è da troppo tempo che non pubblicavo il capitolo ^^"
Lo so, ma proprio non ho potuto in questi giorni... T.T
Oh bene, fra poco arriveranno le vacenze di Pasqua, ben fatto :3

Bè, un ringraziamento a tutti coloro che leggono queste parole :3 A chi recensisce, a tutti voi grazie mille!!! :D :D :D

E poi, un particolare ringraziamento a Luu, per le tue recensioni, che ogni volta scrivi puntualmente e garbatamente :3  xD :D :D :D

Ripeto arigatò a tutti quanti :D :D :D

Spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^
Appuntamento al prossimo: " Incomincia il racconto " !!! (titolo originale..)

Vi saluto, e vi auguro con sincero affetto una buona e felice Pasqua!!! ^____^

Ciaooooooo!!!!!!!!!!!! :DDD

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Incomincia il racconto ***


Orange Town Hospital, 17 dicembre
 

Bè, non siamo proprio all’ospedale, ma più esattamente in una viottola tangente ad esso. Ci troviamo in un vicolo cieco, buio, ma egualmente possono trasparire delle sagome.
Seduto per terra, con la schiena appoggiata al muro, un bambino gracile se ne stava, immobile, a fissare impaurito la scena, con i capelli più spettinati del solito. Evidentemente, non era stato trattato con particolare garbo. Interposto fra lui e un gruppo di tre ragazzini vi era un suo coetaneo con l’aria agguerrita, che stava asciugandosi del sangue colato dall’angolo della bocca.
Questi mosse energicamente i pugni serrati in aria, mentre i suoi sfidanti cercavano di ricomporsi. << Allora, ne volete ancora? >> sbraitò.
Uno di quelli gemette. << Maledetto, la pagherai! >> Ghignò divertito, e se ne andarono.
Il bambino rimase lì a respirare affannosamente, quando finalmente poté abbandonare l’aria da duro e cadere sulle ginocchia.
<< Jason! >> Immediatamente, l’altro si precipitò e gli si inginocchiò accanto. 
<< Ehi Kim, sto bene >> lo rassicurò, mentre si massaggiava la guancia.
<< No, non è vero! Tu… uffa, proprio oggi poi, non dovevi… Grazie! >>
Jason parve compiaciuto. Indossava pantaloni laceri (così li portava sempre) e una felpa oramai sporca per la rissa appena conclusa, sul cui cappuccio scivolavano i lunghi capelli corvini.
Kim, invece, non avrebbe mai indossato vestiti del genere: insomma, era figlio di due ricchi scienziati, e così, da un lato per i gusti dei genitori e dall’altro lato per sua volontà, tendeva in genere a prediligere abbigliamenti pressoché ordinati. Indossava un soffice cappottino e cappello di lana, di quelli che ricoprivano tutto il capo facendo fuoriuscire solo piccoli ciuffi e che aveva appena raccolto dopo che gli era stato strappato via da quei bulli.
<< Sono un grande, lo so! Dai, è tutto ok, fratellino >> esclamò Jason.
Batterono il pugno scambiandosi dei lieti sorrisi,e fu allora che le udirono. Dalla cattedrale della città, il canto delle campane riecheggiava allegramente. Sì, ma non per loro.
<< Cavolo, è mezzogiorno! >> urlò. << Siamo in ritardo! >> Tirò dunque per il braccio il compagno, e scapparono via a gambe levate.
 

Qual era il motivo di tanta preoccupazione? Per saperlo, spostiamoci a pochi quartieri di distanza, precisamente in Kori Street, nel giardino di una villa che ben conosciamo.
All’epoca tuttavia, e ritengo sia necessario specificarlo, l’abitazione era… diversa. La casa accanto, con numero civico 17 e campanello con su scritto “Logan”, era identica a come l’abbiamo incontrata precedentemente.
Ma quella dei coniugi Jefferson la troviamo con un aspetto differente. Bè, sempre villa imponente e con tetto a spiovente (così si usava nella zona), ma anche bel giardino con statue in marmo e altri ornamenti che facessero capire a chi non lo sapeva che lì dimorava gente importante.
Nel prato vi era una graziosa bambina, con delicati capelli biondi e sorrisino spensierato. Almeno, così era a volte. Ora, faceva avanti e indietro con fare alquanto irritato.
<< Signorina Jodie, calmati! >> le disse Alphonse, la cui tranquillità contrastava notevolmente.
<< Calmati un corno! Quei due stupidi… >> e cominciò a imprecare, quando finalmente con la coda dell’occhio li vide correre verso casa. Si girò di scatto pronta a gridare, ma si bloccò incontrando gli occhi di Kim.
“Quant’è bello!!!” esclamò in pensiero. << Razza di idioti! Dove… >>
<< E’ colpa mia, scusa, Jason mi ha difeso dai bulli >> .
<< Tranquilla, non mi sono fatto niente, sono forte io! >> disse quest’ultimo aspettandosi di vedere Jodie preoccupata, ma si rese conto che la sorella non l’aveva neanche calcolato, e stava tastando il corpo di Kim.
<< Fratellino come stai, ti hanno fatto male? >> chiese lei, in apprensione.
<< Signorini >> chiamò il maggiordomo << entrate prego >> .
 

L’interno era vasto e luminoso. Una donna dai luccicanti capelli neri stava lisciandosi i capelli davanti un meraviglioso specchio, nella cui cornice erano incastonati vari rubini sfavillanti. << Veramente adorabile questo specchietto, eh Susan? >>
Al suo fianco comparve una raffinata donna dai lunghissimi capelli color caramello, che sorrise graziosamente. << Ovvio Hilary! Del resto, è stata la mia migliore amica a regalarmelo! >>
<< Eccoci qua! >> annunciò Jason felicemente, ma subito la sorella spiattellò tutto.
<< Mamma, ha di nuovo fatto a botte! >>
<< Come, ancora?? >> si lamentò lei, e dopo aver fatto un’accurata ramanzina al figlio si tirò in disparte il marito, che in tutto questo era rimasto imperterrito a leggere il giornale, cosicché solo lui e Susan potevano sentirla. << Ora basta, la situazione sta degenerando! E’ colpa tua! >> sibilò a denti stretti.
Edward cercò di trattenerla, prima che la moglie cominciasse a tirargli la coda dei capelli (bè, era un buon metodo per sfogare la rabbia). << Suvvia Hilary, non esagerare. Abbiamo deciso che loro non sapranno mai niente, ma se ogni tanto mostro a mio figlio come tirare due pugni che male c’è? Hanno nove anni, ormai sono dei ragazzi… >> si fermò a riflettere, quindi fece un sorriso a trentadue denti. << Da oggi!! >>
<< Vi riferite a quello che ci avete detto l’altro giorno? >> intervenne Susan.
<< Esatto >> rispose la mora. << E ne sono convinta. Avranno una vita beata anche senza il ki >> .
La donna chinò il capo. << Mi dispiace. Purtroppo Kimley ha ereditato il mio carattere fragile, e così il piccolo Jason è costretto a difenderlo… >>
Ma Hilary non le lasciò terminare la frase, afferrandola per le spalle. << Ehi ehi, non ti voglio vedere così dispiaciuta. Tu sei una persona straordinaria, e infatti anche tuo marito ti adora! >>
Una porta nel piano di sopra si spalancò. Negli occhi di Kim comparve una nuova luce. << Papà! >>
A passi calmi e controllati venne avanti un uomo magro, con la carnagione un po’ scura, e i lunghi capelli argentati. Era il dottor Gelo. Prima che potesse dire alcunché, i tre bambini lo accerchiarono. Tutti lo ammiravano in quella casa. Tutti riponevano ciecamente la loro fiducia in lui. Tutti lo amavano.
<< Eccoti finalmente! >> lo salutò Edward.
Susan sorrise. << Dicevamo come Kim somigli a me… ma in realtà, nostro figlio ha preso tutto da te! E’ proprio intelligente come suo padre! >>
Gelo risultò felice della cosa. << Ma il mio pulcino è proprio bello… bello e grazioso come la madre! >> disse accarezzando i capelli del figlio.
<< Papà, hai finito il tuo progetto? >> gli chiese.
L’uomo sbuffò. << Mi servono solo pochi giorni, e ti farò vedere che capolavoro! >>
<< Fratellino >> gli bisbigliò lievemente Jason. << Intendi… quel progetto? >>
Il bambino annuì. << Sì, proprio quello. Lo sta costruendo per la sua ditta, ma non vedo l’ora di vederlo! >>
<< Ecco… ma qual è la sua ditta? >>
Kim scosse la testa. << Non so. Mentre si sa che il lavoro di mamma sostiene lo sviluppo contro le malattie, papà non può dire a nessuno per chi lavora esattamente. E’ una cosa segreta, e neanche mia madre lo sa. So solo che lavora con altri scienziati in un grande laboratorio! >> .
<< Mhè, che aspettiamo? >> urlò allegra Hilary. << Tutti al campeggio! >>
Jodie sorrise fiera. << Regalo di compleanno stupendo! >>
Alphonse ricevette le ultime raccomandazioni da Gelo, dopodiché li osservò montare nel furgone dei Logan, salutandoli con la mano. Ovviamente, le tre mascotte della giornata cominciarono subito a creare una gran confusione.
E così, tutti e sette partirono per tale destinazione, con i cuori colmi di gioia, e sentimenti destinati a durare…
ancora poco…







Salve, eccoci al tredicesimo capitolo :D :D

Allora, anzitutto voglio dire.. scusatemi, lo so che questo è uno di quei capitoli in cui la storia procede un pò a piccoli passi, e per questo motivo il prossimo capitolo lo pubblicherò in un tempo inferiore a quanto ci metto per aggiornare in genere ^^"

Spero che vi sia piaciuto ^^
Dunque, è cominciato così questo flashback che ci mostrerà la storia di C - 17 e C - 18. e di Kim ovviamente u.u
E così è cominciato di 17 dicembre, giorno si era interrotta la narrazione, e compleanno dei cyborg :3

Bè tanto per dire.. quello all'inizio era la spiegazione del déjà vu di C - 18 nello scorso capitolo ^^ E quello specchio coi rubini era quello che avevo presentato nel settimo :D Bene, volevo dirlo ;)

Grazie a chi legge, e chi recensisce :D :D
 
Appuntamento al prossimo capitolo: "Il rifugio segreto" !!!

Jane!!! :D :D ;) ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il rifugio segreto ***


<< Hilary resisti! >> gridò Edward. << Ce l’hai quasi fatta! >>
<< Ed… >> Un urlo le uscì di gola.
<< Eccolo! Lo vedo! >> annunciò l’uomo con le lacrime agli occhi.
La donna ansimava, era un dolore immenso. << AHHH!!!!! >>
All’ultimo, potente grido, venne con immediata dolcezza a sostituirsi un vigoroso pianto. In quel preciso istante, la mezzanotte scoccò, ma il piccolo Jason era ormai nato.
<< M-mio… figlio…>> sussurrò Edward, tuttavia sapeva che non era ancora finita. << Ancora un piccolo sforzo, tesoro >> .
La donna annuì, e preso un forte respiro ricominciò a spingere. La commovente scena si ripeté, e nei primi attimi del nuovo giorno, anche Jodie venne alla luce. In principio erano due, ora erano quattro.
Fuori dalla stanza, un signore osservava il tutto. Afferrò le mani della moglie, visivamente in cinta. << Sono nati… >> esclamò il dottor Gelo.




<< Che storia stupenda! Non è vero fratellone? >> esclamò la ragazzina, ma dovette rendersi conto che quello era sparito. Era pomeriggio, e la bella Hilary aveva voluto raccontare tali felicissimi ricordi.
La bambina si rizzò in piedi. << Quindi, io il 18 e quello scemo il 17... A proposito, quei due stupidi se ne sono andati in giro da soli. Vado a cercarli! >> e così dicendo si addentrò di corsa nel bosco.
Li raggiunse poco tempo dopo, scoprendoli intenti nella ricerca di un certo luogo, che Jason aveva già adocchiato. << Dove volete anda...>> cominciò la biondina, ma si interruppe quando fuoriuscirono dalla massa intricata di chiome che offuscavano la visuale, e fu allora che la vide per la prima volta.
 
Nel bel mezzo del bosco, come a controllare dall’alto l’intera distesa si ergeva una collina solitaria.
Bè, ovviamente decisero di salire fino in cima.
<< Perché vi sto seguendo? >> si lamentò Jodie, ma guardandosi intorno notò un’apertura naturale affacciata forse in una caverna buia. << Che razza di posto è questo? >>
<< Entriamo e lo scopriremo >> annunciò felicemente Jason.
L'interno era in ombra, ma la luce del sole poteva ugualmente penetrare annullando qualsiasi aspetto inquietante.
<< Non è poi male >> commentò Kim, ma Jason pareva addirittura entusiasta, e prese una decisione.
 
 Estrasse dalla borsa della sorella, con gran sorpresa di quest'ultima, una specie di cerchio metallico dotato di piccoli tasti. Controllando una cartina del territorio (sì, prese anche questo dalla borsa di Jodie) compose...una serie di dati.
<< Ecco >> proclamò. << D’ora in avanti questo sarà… il nostro rifugio segreto! >>
<< Ma che… >> disse soltanto Jodie, inarcando un sopracciglio, ma il fratello continuò.
<< Questo coso l’ho… emh, preso in prestito da tuo padre, Kim. L’ho trovato nel suo studio. Guardate: inserisco le coordinate geografiche e… >>
<< E tu sei andato nello studio di Gelo??? E come sai in che modo funziona?? >> predicò Jodie.
<< Ho trovato anche i suoi appunti, e poi me li sono studiati in macchina, mentre voi eravate troppo impegnati… a parlare >> . Fece una risatina, e continuò. << Stavo dicendo… praticamente questo affare ti permette di teletrasportarti dove vuoi. Questo è solo un pezzo dell’intero congegno, e rimarrà qui per sempre, mentre l’asse portante della cosa… sta nello studio di Gelo!! >>
Spalancò le braccia, fiero della sua spiegazione, ma la prima risposta che ottenne fu la seguente: << Fratellone, stai bene? >>
<< Stai dicendo… che noi ci teletrasporteremo qui quando vorremo, e questa caverna sarà il nostro nascondiglio? >> domandò Kim, con una luce di entusiasmo brillargli negli occhi.
Jason annuì. << Nello studio di tuo padre  c’è un affare simile a questo: registrando le coordinate di questa caverna su questo stesso congegno, adesso, esse saranno automaticamente inserite nel suo database.
A noi basterà non farci vedere da tuo padre - che tanto sta sempre fuori – e impostando le coordinate che noi vogliamo, già registrate, verremo immediatamente teletrasportati qui. Allora, non è una figata? >> esclamò, ma prima che potesse terminare la parola, si ritrovò avvinghiato in un triplice abbraccio.
<< Fratellone, solo tu potevi avere un’idea del genere! >> sorrise Kim, e anche Jodie dovette dargli ragione.
<< WOW! E’ straordinario come anche tu possa avere idee decenti a volte!... Ah! Avendo un rifugio segreto… >> disse tutta eccitata << ragazzi, che ne dite se ci diamo dei nomi in codice? >>
<< Una doppia identità! >> esclamò Jason. << Vediamo… che ne pensate se usassimo dei numeri? >>
<< Dei numeri? >> commentò Kim. << Ma è troppo corto! E che numeri… >>
<< Magari… quelli della data delle nostre nascite! >> dichiarò il corvino. << Quindi saremmo: io, ovvero l’agente 17, tu sorellina, il 18, e tu fratellino… >>
<< E’ brutto “31” … >> borbottò.
<< Facciamo un numero vicino a noi >> propose la ragazzina. << Quindi, 19… oppure 16! >>
Kim ne sembrò felice. << 16! Sì, mi piace 16: così se ci saranno dei pericoli, sarà il primo agente ad esporsi, e io potrò proteggervi! >>
<< Ok, allora è deciso! >> urlò Jason. << Mi raccomando: qualunque cosa accada, non dite mai, e dico mai, niente di tutto ciò agli adulti. Intesi? >>
<< Intesi! >> fu il solo grido di risposta.
Il loro mondo immaginario, puro ed immacolato, era appena nato, e nulla avrebbe potuto tenere a freno quel nuovo entusiasmo…
 
 

<< Gelo, hai sentito la notizia? >> gli chiese Edward, durante il viaggio di ritorno. << Pare che si siano verificate varie rapine nella città stamane >>
L’uomo sembrò interessato. << Oh, davvero? E la polizia è riuscita ad acciuffare i ladri? >>
<< Non ancora. Dicono che nessuno sia riuscito a vederli in faccia, perché mentre li inseguivano… >> scosse la testa << sono come spariti! >>
<< Com’è possibile? >> Gelo fu colpito. Esternamente, il suo volto risultò preoccupato per la città, ma un ghigno sincero si dipinse nella sua mente.
<< Non si sa. Si sono dileguati immediatamente >> .
“Per forza. Volano!” Si disse divertito lo scienziato. “Voi anche sapete volare, tuttavia… non potreste mai sospettare una cosa del genere in quanto non hanno aura… Spero solo che realmente nessuno li abbia visti… Certo, è stato un rischio mandarli in perlustrazione proprio oggi che ero assente, ma del resto chi potrebbe mai sospettare di un povero scienziato che va in campeggio con degli amici??”
Fissò Edward ed Hilary. “Forse, è stato pericoloso anche parlare con loro del mio progetto. Ma che mi è saltato in mente? Ero così felice per la scoperta, che non ho saputo tenere a freno la lingua… Pazienza… basterà far passare il tutto come innocuo ed innocente, in fondo sono miei amici…”
<< Gelo, quando finisci di costruire quelle macchine? >> disse Jason.
Una goccia di sudore gli scivolò lungo il volto. “Adesso no, maledizione… ora che stavamo parlando dei ladri… non devo assolutamente far pensare a un legame tra le due cose...” << Non sono macchine >> corresse con un sorriso. << Sono androidi! >>
<< Che sono? >> domandò Jodie.
<< Esseri artificiali, semplicemente detti anche robot, che presentano fattezze umane. In alcuni casi infatti possono risultare indistinguibili dall’essere umano >> spiegò Kim.
La bambina ammaliata congiunse le mani. << Wow, che genio il mio Kim!!! >>
<< Ehi… >> sussurrò Jason. << Non è che ti piace un po’ troppo? In fondo, non abbiamo gli stessi genitor… >> ma venne bruscamente interrotto da un pugno della sorella in pieno volto.
<< Esatto figliolo! >> disse Gelo. << Come sapete, li sto costruendo per la mia società, ma quando ultimerò il lavoro ve li farò vedere! >> “Ma sì, non c’è nessun problema. Tutto il mondo mi conosce come un grande scienziato, e non stupirò se riuscirò in una tale impresa. E poi… non potevo nascondere alla mia famiglia e ai miei amici più cari un’operazione così grande, se ne sarebbero accorti.”
Sorrise. “E’ la stessa cosa del laboratorio. Ho dovuto specificare come trovarlo, anche se raccomandando di non entrare mai per pura privacy professionale, cosicché sarebbe difficile sospettare di un amico così buono e sincero.
Anche se una volta trovato l’ingresso non sarebbero in grado di entrare… Del resto non potevo certo rischiare così tanto!”
 
<< Ma che senso ha? >> gli chiese improvvisamente Jason.
<< Prego? >> Il dottore inarcò un sopracciglio.
<< Intendo… perché costruire robot che somigliano agli umani? L’essere umano… >> levò gli occhi al cielo << è così affascinante! >>
Poi ebbe un lampo di genio. Sbatté il pugno nel palmo della mano. << Perché non unire le due cose? Si potrebbe fare… non so, un qualcosa bello come gli umani e forte come un androide! >>
Per un attimo, gli occhi di Gelo, animati da curiosità, si ravvivarono di un interesse ancora maggiore.
<< I cyborg. Sì, ci sono stati taluni che vi hanno provato, nel tempo, ma mai nessuno è arrivato ad una soluzione definitiva. E’ un’operazione altamente complessa. Sai piccolo… >> prese un respiro.
<<  L’umanità di una persona è più forte della tecnologia, o della meccanica. E’ quella nostra voglia di vivere, è il nostro intelletto che ci contraddistingue dagli altri esseri viventi, e sono doni di cui dobbiamo farne tesoro, custodendoli con amore. Sii geloso di te, della tua essenza, non permettere ad altri di impossessarsi della tua vita… mai >>
Seguì un silenzio. I tre bambini lo guardarono stregati. Susan sorrise dolcemente. “Oh, amore” .
 
“Tutti la pensano in questo modo” si disse Gelo ad occhi chiusi. “Tuttavia, ci sono uomini che interpretano un tale desiderio con la predisposizione al comando, e più umani governano, più ostilità sorgeranno, e verranno generate sempre nuove guerre, in un’infinita spirale di odio e dolore.
Ma se a capo del mondo ci fosse un unico, solo ed immutabile governo, non ci sarebbero più divisioni, lotte o combattimenti. Se ci fosse un’unica forma di potere…!” Spalancò di scatto gli occhi. “E’ questo… l’obiettivo del Red Ribbon! Dominare il mondo, per sempre! E affinchè questo accada… sono necessarie tecnologie sempre più potenti, armi indistruttibili, in modo che ogni singolo mantenga la sua vita… in maniera impeccabile. E’ per questo che sono arrivato a tutti i costi a capo del reparto scientifico dell’esercito; io dominerò il mondo... e lo migliorerò!”
 


<< In definitiva, i cyborg sono una brutta cosa >> sentenziò Jodie, quando arrivarono davanti le due case. << Insomma, non sei più un umano, ma neanche completamente un robot. Non sei niente! >>
<< Ah, già >> commentò il fratello. << Non ci avevo pensato >> .
Gelo stava intanto riflettendo, immerso nel suo mondo, mentre camminava con gli altri adulti.
“Cyborg… e se ci provassi? Potrebbero essere molto interessanti…”
<< A me non piacerebbe! >> sbottò Jodie.
<< Che cosa? >> domandò Kim.
<< Essere un cyborg! Deve essere… orribile >>
<< E perché dovresti? >> commentò annoiato Jason.
“Dovrei anzitutto trovare dei soggetti da sottoporre all’operazione…” pensò Gelo. Osservò i tre ragazzini che si trovavano davanti. “Ma chi…?”
 
<< Bè, ora dobbiamo andare >> sussurrò dispiaciuto Kim. La sera era sempre il momento peggiore della giornata, ovvero quando era costretto a separarsi dai suoi fratelli.
<< Ho un’idea!!! >> annunciò a gran voce Jason. << Perché mai dividerci? >>
Jodie cercò di trovare le parole giuste. Anche per lei era una cosa difficilissima separasi da Kim di sera.
<< Ecco… purtroppo dobbiamo andare a letto… >>
<< E se invece le nostre case… fossero un tutt’uno??? >>
Fu più un’esclamazione che una domanda, e ovviamente si guadagnò sguardi ammirati e curiosissimi da parte degli altri due.
Sorrise vivacemente. << Papà!!!! Ti devo dire una cosa!!! >> annunciò, correndo verso il padre.











Ehilà :D
Ciao a tutti, spero che il capitolo vi sia piaciuto  ^__^

Grazie a chi legge, e a Luu per le tue recensioni :) :)) :3

Un'altra cosa. Ecco perchè nell'undicesimo capitolo Kim pensando tra sè e sè, dice: “Ora che ci penso… 17, 18… e 16, eh?” Per il fatto che questi tre numeri erano gli stessi dei loro "nomi in codice" :D :D :D

Ok, vi saluto, alla prossima :D :D :D

Appuntamento al prossimo capitolo: "L'uomo misterioso"!!!!   ^__^

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** L'uomo misterioso ***


    Tump!
Una nuova picconata risuonò la mattina del 18 dicembre. Nel pianterreno di casa Jefferson una recentissima apertura si affacciava su quello che si presentava come un… tunnel. Era posta in un’occultata concavità nel pianterreno.
Edward e Gelo erano stanchi, sudati, ma era ancora poco, avevano cominciato solo quella mattina del resto.
<< Oh cielo, guarda che fanno quei due per i figli! >> commentò con un misto di scetticismo e ammirazione Hilary, mentre osservava i tre piccoli soggetti in questione spiare i due uomini, i quali ai loro occhi sembrava stessero compiendo un’impresa faticosissima e degna di ogni lode. Bè, normale, no?
<< Fantastico! >> esclamò Kim.
Jason annuì. << Ora le nostre case saranno letteralmente un tutt’uno! >>
Ma da dietro le spalle di questi, la sorella cercò con sguardo interrogativo gli occhi del primo.
“E’ il momento!” pensò Kim, facendole l’occhiolino.
“Bene!” Questa si convinse, e cominciò a tirare freneticamente la manica di Jason. << Fratellone, vieni. C’è una cosa importante che ti devo dire >> .
Senza lasciare tempo alle spiegazioni, lo tirò più al centro della sala. << Alphonse! >> chiamò, e subito apparve questi con una piccola busta in mano.
<< Ecco… >> Jodie non riusciva a trovare le parole. << Io ci tenevo a darti questo! >> disse poi con un sorriso, consegnandogli la busta. Il corvino rimase senza parole.
<< L’altro giorno io e Kim siamo andati a comprartelo, quindi consideralo un nostro regalo. L’ho visto in vetrina, e ho pensato che saresti stato veramente bene con questo! >> Finalmente, aprì la busta, ed estrasse il contenuto, svelando ai presenti…
<< Un foulard arancione? >> disse Jason. << Per me? >>
Come risposta ottenne bellissimi sorrisi. << E’ un po’ grande, ma basta… che ne so, ti fai delle pieghe >> spiegò Kim << ma spero che ti piaccia! >>
Effettivamente... sì, gli piaceva tanto. Pieno d’emozione, se lo strinse intorno al collo (veramente quest’operazione l’ha compiuta la sorella) e corse a guardarsi allo specchio dalla cornice dorata all’ingresso. << Wow! Che figo che sono, eh eh, che dite? >>
Ma anche stavolta, la sorella fu lesta per condurlo nel giardino. << Alphonse! >> gridò, gettandogli una camera fotografica di ultima generazione.
<< Ma che… >> iniziò a sbottare Jason, ma Kim lo zittì ponendosi felicemente al centro tra i due.
<< Una foto ricordo è sempre bella, no? >> l’incitò questi.
Venne così immortalata, con una sola immagine, almeno per quanto possibile, l’indescrivibile gioia che stavano provando i tre ragazzini.

Essi avevano un sorriso stupendo, sincero e innocente come potrebbe esserlo solo quello di un bambino. Al centro dunque vi era Kim, i cui capelli scuri si diramavano senza alcun ordine in ciocche appuntite, con alcuni ciuffi spettinati che gli ricadevano sul volto. Ai suoi lati, con lunghi capelli perfettamente pettinati, i due gemelli apparivano come due colonne protettrici. A destra, Jodie aveva un’aria molto decisa, come fosse la leader del gruppo, ma anche gentile e generosa. A sinistra, Jason con sguardo vispo osservava curioso l’apparecchio che lo stava immortalando, indossando inoltre fieramente il nuovo foulard arancione.

La loro doveva trattarsi di felicità eterna, pensavano; e dobbiamo dunque almeno provare a immaginare la spensierata quiete che caratterizzò i giorni che vennero a seguire…
 

<< Chi arriva ultimo è uno scemo! >> sentenziò Jodie correndo frettolosamente lungo la scalinata.
<< Attenta sorellina, un ragno! >>
<< Che??? Dove?? >> urlò, fermandosi di scatto, ma i due ragazzini ne approfittarono e la superarono.
<< Non esiste, scema! >> la sbeffeggiò Jason con una pernacchia.
<< C-certo, lo sapevo, stavo solo reggendo il gioco! >> si difese lei, raggiungendo i fratelli.
“Da quella parte c’è lo studio di Gelo, dove vanno?” si domandò Hilary, osservandoli dal pianterreno. “Mah, andranno in camera di Kim”. << Come vanno i lavori? >> chiese ai due uomini.
Il marito si asciugò  il sudore dal volto. << Abbiamo quasi finito. Domani… >> deglutì << sarà tutto pronto! >>
<< Non vi stancherete un po’ troppo? >> commentò Susan.
<< Questo e altro per i bambini! >> esclamò Edward.
La donna alzò gli occhi al cielo. << Proprio non riusciamo a dire di no ai nostri figli... >> sorrise. << Edward, Gelo… e anche tu, Hilary, grazie. La scelta di unire le nostre abitazioni è stata veramente inaspettata, ma anche divertente, non trovate? E inoltre… questo presuppone una grande fiducia che voi due riponete nei nostri confronti, e vi assicuro che la cosa è reciproca. Io… vi sono molto grata per la vostra amicizia. Grazie >> .
<< Susan… >> Hilary prese un respiro. << Mi sento fortunata ad avere amici come voi, è bello avervi conosciuti! >>
<< Voi donne… >> sospirò Gelo. << Sempre a fare questi discorsi… ma in fondo siete solo sincere. Anch’io sono contento di avervi conosciuti! >> Era vero. Nutriva profondamente stima e simpatia per i due coniugi, e sperava realmente che questa situazione potesse rimanere, immutata, per sempre…
 
 
Quella sera decisero di uscire tutti per una tranquilla passeggiata, al chiarore della luna.
<< Edward >> sussurrò con un fil di voce la moglie mentre gli sistemava il cappotto. << Domani sarà il momento >> .
<< E’ già riuscito nell’intento? Qualcuno sospetta di lui? >>
<< No, nessuno, me l’ha appena comunicato al telefono. Sta rischiando molto, lo sappiamo, ma ne varrà la pena >> .
<< Guardate, c’è la luna piena! >> esclamò Kim.
<< Non esattamente, signorino >> lo corresse il maggiordomo. << Il satellite raggiungerà la fase di plenilunio nella giornata di domani >> .
<< Bravo Alphonse, tu sì che sei intelligente, non come questo qui! >> disse con fare altezzoso Jodie.
<< Ehi! >>
<< Dai, lo sai che scherzo, fratellino! >>
“Che stanchezza… e pensare che avremmo potuto fare tutto in pochi minuti…” si lamentava tra sé e sé Gelo, portandosi avanti, con le mani dietro la schiena. “Ma se questo rende felici i piccoli, allora sarà servito a qualcosa.
Certo, sfruttando il potere del ki si sarebbe creato un bel tunnel molto velocemente, ma Edward e Hilary non potevano. Sapevano che sarebbe stato rischioso. E pensare che hanno anche avuto il garbo di non chiedermelo nemmeno, perché conoscevano già la risposta.. Non avrei mai dato il permesso di causare anche solo piccole esplosioni nelle vicinanze del mio laboratorio. Se sapessero cosa nascondo… O meglio. Sanno che lì costruisco androidi, ma non sanno veramente per chi lavoro. Chissà cosa direbbero loro, e mia moglie, e i bambini…” Si massaggiò la tempia.
“No, non ci devo pensare, io devo conquistare il mondo! Vuol dire che prima o poi dirò la verità, quindi non serve pensarci adesso”. Levò lo sguardo al cielo, assaporando il fresco profumo dell’aria.
“Nessuno, prima di allora, deve entrare nel mio laboratorio. Se anche qualcuno ci provasse, comunque non potrebbe. Mph… tra l’altro è proprio confinante con il nuovo tunnel, quindi figurati che pericolo se avessimo usato il potere del ki!
In effetti, però… questo potere potevo usarlo io, e avrei saputo precisamente come controllare la mia potenza, in modo tale da non provocare alcun danno al mio laboratorio, ma non potevo rivelare a tutti, adesso, che anch’io sono in grado di fare una cosa del genere.
Inoltre, generare esplosioni sotterranee avrebbe provocato un gran fracasso, e avremmo dovuto dare spiegazioni al vicinato… Bè, per quanto riguarda questo, in realtà non ci sarebbero stati problemi, grazie alla mia brillante invenzione… anche se sembra solo un misero telecomando! Ma ho fatto bene a non usarlo, meglio tenere per sé certe cose…”
Senza neanche renderselo conto, si era di fatto alienato dai suoi compagni di serata, appartandosi nella silenziosa regione della sua mente… quando d’improvviso avvenne qualcosa che lo costrinse di forza a ritornare alla normalità.
 
 
Camminando, un uomo urtò grossolanamente Susan, che con fare timido e affrettato si scostò. << Ehi! Che modi, faccia attenzione! >> predicò.
Fulmineamente, questi gettò la mano nella tasca del cappotto e ne estrasse una pistola, puntandola verso la donna. << Zitta donnaccia! Caccia i soldi! >>
Un urlo terrorizzato fuggì dalla bocca di Jodie, mentre Susan cercò di mantenere il controllo di fronte ai bambini.
<< Alphonse! >> chiamò concitata Hilary, e lasciò scivolare le mani dei figli dalle sue, affidandoli all’anziano. << Fermo, polizia! >> gridò a gran voce la corvina, indirizzando una pistola verso l’uomo.
<< Mamma! >> La voce di Jason era tremante, e strinse forte la mano al maggiordomo, attorno al quale gli si accostarono velocemente tutti e tre i ragazzini.
<< Non immischiarti tu!!! >> Con scatto disumano, l’uomo spiccò un balzo, affondando i piedi nel terreno dinanzi alla donna. Questa non ebbe il tempo di reagire o proferire parola alcuna, che vide violentemente volarle la pistola di mano.
Fu una tremenda successione di attimi; Edward osservò con il cuore in gola un furioso calcio colpire l’arma della moglie… il malvivente stava preparando un altro. << NO!!! >> Con una velocità travolgente, il biondo si scagliò nella direzione della donna.
 
In questo frangente, Gelo era rimasto immobile, allibito. Scrutava con attenzione l’uomo, quasi a voler distinguere un conoscente. Mento nascosto dal colletto della pesante giacca, cappuccio calato sugli occhi per nascondere il volto, berretto di lana dal quale fuoriusciva una sola ciocca di capelli bianchi… Sì, doveva essere lui… che assurdità, proprio adesso… davanti a quei due poliziotti!
Gelo si slanciò lesto. “Devo fare in fretta!” << Fermati! >> ordinò allarmato all’uomo.
Udendo tale voce, questi si immobilizzò, rimanendo con il calcio fermo a mezz’aria danti il volto spaventato della donna. Ciò permise finalmente ad Edward di raggiungere la sua meta.
“No!” gridò in mente lo scienziato.
Il biondo afferrò dai fianchi la moglie, allontanandola via; senza fermare la sua corsa, con impeto istantaneo assestò un pugno sulla guancia dello sconosciuto.
Questo segnò l’inizio della sua fine.
Sgranò gli occhi. Avvalendosi di questo momento di esitazione, tale delinquente si preparò già a sferrare un altro pugno, ma d’improvviso la sua mano si ritrovò paralizzata nella stretta di Gelo. << Fermo! >> scandì questi in tono aggressivo.
I due si fissarono per una piccola sequenza di secondi. Una vaga tensione aleggiava nell’aria. Edward si trovava dietro l’amico, dunque non poteva vederlo in volto, e neanche le donne, i bambini e il maggiordomo, che avevano provveduto a rimanere a distanza debita dal farabutto.
Gelo se accorse, e ne approfittò. Un appena percettibile, delicato e cauto cenno col capo fece intendere all’uomo che cosa doveva fare.
<< Edward, Hilary! >> finse di dire con tono concentrato, mentre indeboliva lentamente la presa. << Arrestatelo, presto! >>
Ma essi non fecero in tempo ad avvicinarsi, che l’uomo incappucciato si liberò agilmente dalla presa del suo oppositore, affondando un furente pugno nello stomaco di Gelo.
<< Papà!!! >> strillò Kim, e cominciò a divincolarsi: nonostante avesse paura, desiderava correre in aiuto del padre, ma Alphonse riuscì a trattenerlo.
Comunque, non ce ne fu bisogno a lungo: una volta libero da quella morsa, lo sconosciuto serpeggiò via muto e tenebroso, e svoltò l’angolo.
I poliziotti si precipitarono all’inseguimento, ma quando svoltarono anch’essi l’angolo, un secondo dopo l’uomo… quello non vi era più.
<< E’ sparito… >> sussurrò la corvina, quando si rese conto che il marito, poggiando i palmi delle mani sulle ginocchia, stava respirando affannosamente.
<< Tesoro, come stai? >> chiese allarmata Hilary, ma questi si limitò a fissarla pensieroso negli occhi.
<< Tranquilla, non ha… importanza. Gelo, piuttosto! >>
 
E così dicendo, si raccolsero tutti attorno allo scienziato. Apprensione, scetticismo per l’accaduto, interessati alla salute di Gelo e a rasserenare i bambini, i più spaventati… nessuno si poté accorgere di lui.
 
Il primo palazzo appena svoltato l’angolo della stradina, sul terrazzo, con il braccio poggiato sulla gamba portata sulla ringhiera… era lì che si trovava. Il lungo cappotto nero era trafitto da aghi di vento, e il cappuccio tremava alla brezza invernale.
<< Preso dalla missione non mi ero accorto della tua presenza… >> mormorò sottovoce. << Non accadrà mai più. Perdonami, dottor Gelo >> .   








Ciao a tutti!!!
Eccoci a questo quindicesimo capitolo, che spero vi sia piaciuto ^_^
Come sempre, grazie mille a Luu per le recensioni, davvero :D :D

Siamo all'11 Maggio, tra un tre settimane la scuola finisce.. no, sul serio, non vedo l'ora T.T

Bene, appuntamento al prossimo capitolo: "24 Dicembre" !!!
Alla prossima!!! ;) ;) =) ^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 24 Dicembre ***


24 Dicembre


<< Tesoro, sei… sicuro di quello che stai dicendo? >> disse Hilary con gli occhi sgranati.
Il marito annuì. Era mattina, e prima di recarsi nella casa affianco l’uomo aveva deciso di confessare tutto alla corvina. << Ti assicuro che quando ieri sera ho dato un pugno a quel malvivente… credo di essermi fatto più male io che lui. Il suo volto mi è sembrato duro… quasi fosse… metallico >> .
Non riusciva a dirlo, non voleva neanche pensarlo, eppure la verità era quella.
La donna si passò nervosamente la mano nei capelli. << Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Se era veramente metallico… >>
<< vuol dire che era un robot… >>
<< e il suo aspetto coincideva con la descrizione di un malvivente avvistato da molti negli ultimi giorni…>>
<< dunque egli è necessariamente di questa città… >>
<< I robot non si costruiscono da soli. L’unico qui ad Orange Town… è… >>
<< Gelo >> concluse Edward. Dopo un vuoto silenzio, dovette osservare anche un altro dettaglio. << Se anche l’uomo misterioso non fosse di questa città, comunque Gelo rimane uno dei più grandi scienziati al mondo, e sappiamo che costruisce androidi… >>
<< Ma perché? >> esclamò Hilary, con il tono di chi non vuole accettare una disgrazia. << Se è vero che il robot compie rapine per ordine di Gelo… qual è il suo scopo? E’ ricchissimo! Che bisogno ha di mandare un androide in giro per… E poi Gelo lo conosciamo! Non farebbe mai una cosa del genere!!! E Susan, allora? Ne è al corrente? Se tutto questo è vero, posso aspettarmi qualsiasi cosa da entrambi… >>
Poi per un attimo il suo volto parve illuminarsi di speranza. << No, quello che sappiamo è troppo poco per sospettare seriamente di Gelo. Nella Città dell’Ovest vive un altro eccelso scienziato… >>
<< il dottor Brief >> concluse l’uomo << il fondatore della Capsule Corporation. Ricordo che quando undici anni fa nacque sua figlia ne parlò tutto il mondo… Quindi secondo te potrebbe essere coinvolto >> .
<< Non ci sarebbe da stupirsi se uno scienziato del suo calibro costruisse androidi. Il problema è perché… da quel che ne so dovrebbe essere un tipo a posto >> . La donna scosse la testa. << Ma del resto anche Gelo è assolutamente insospettabile, non posso credere che sia stato lui! >>
<< Quello che dici è da prendere in considerazione, tuttavia… >> il marito assunse un’aria pensierosa. << Non lasciamoci sopraffare dalla soggettività, da quello che noi vorremmo che fosse. Effettivamente, essendo accaduto il fatto in questa città… è più probabile che il responsabile sia Gelo >> concluse in tono grave.
Dolcemente, Edward strinse con una mano quelle della moglie, mentre poggiò l’altra sulla sua guancia, muovendo il pollice per asciugarle le esasperate lacrime. Le si avvicinò con il volto, donandole un bacio sulla fronte. << Amore mio… calmati adesso. Su, rilassati, e cerchiamo di essere naturali quando andremo da loro. Pure se fosse, non devono sospettare nulla, anche se non so cosa pensare… insomma, li conosciamo! Vedrai che Susan e Gelo non c’entreranno niente con questa brutta storia! Sono nostri amici, Gelo non costruirebbe mai androidi per un tale fine! >>
 
 
Fece appena in tempo a finire la frase che la porta della camera si spalancò, e irruentemente due euforici ragazzini si scaraventarono sui loro genitori. Edward riuscì a stento a trattenere la figlia, rimanendo almeno quasi seduto, mentre la moglie non fu fortunata come lui, e sotto la prorompente energia del ragazzino si ritrovò distesa sul letto.
<< Che impeto >> commentò Hilary con un fil di voce.
<< Papà >> cominciò Jodie in tono preoccupato. << Come stai? E’ da ieri sera che penso a quell’uomo… >>
Tutti si voltarono a  guardarla. Il padre l’ammirava con tenerezza: proprio come la madre, quella bambina aveva un carattere forte, ed era sempre lei la “dura” della famiglia. Tuttavia, era pur sempre una bambina, una piccola creatura innocente e immacolata.
 << Jodie, amore mio… >> mormorò sottovoce. << Attenta pulce! >> le gridò tutto d’un fiato.
All’improvviso, afferrandola per i fianchi, la gettò distesa sul letto spaparanzata vicino la madre. Inutilmente la ragazzina si dimenava, perché il padre riuscì egualmente a sottoporla ad una gravissima tortura: l’irrefrenabile solletico.
<< No, no papà fermati ti prego!! >> riusciva a urlare inframmezzando ciò ad una fragorosa risata.
<< Uffa Jodie, sei proprio una lagna >> disse Jason mentre abbracciava la mamma, sorridendo perché sapeva che solo lui, in tutto il mondo, poteva permettersi di sfottere sua sorella, la sua amata sorellina. Edward e Hilary si fissarono negli occhi sereni: erano proprio una bella famiglia.
 

<< E’ tutto pronto! >> dichiarò con orgoglio Susan.
Le due donne avevano appena concluso le pulizie ultime, e finalmente i corrispettivi mariti avevano potuto riposarsi; dunque, più che a tutti i presenti, l’annuncio era indirizzato ai tre bambini.
Euforici come non mai esplorarono il nuovo tunnel dietro la guida degli adulti: partendo da casa Jefferson, come noi in verità già sappiamo, dopo la quantità di gradini necessari per scendere sotto il livello del suolo, dopo una svolta a sinistra si proseguiva dritto verso casa Logan; la conclusione del tutto era analoga al suo inizio.
<< Che belli questi quadri! >> commentò Jodie.
<< Sono felice che ti piacciano, piccola >> disse Gelo. << Abbiamo deciso di disporre dei quadri che ci raffigurino per meglio sottolineare il forte legame che unisce tutti noi >> .
<< Wow! E’ stupendo! >> esclamò Jason portando il braccio intorno al collo del fratellino. << Che ne dici, Kim? >>
Il ragazzino annuì felice. << Già! Grazie a tutti voi! >> disse rivolgendosi agli adulti.
Il forte legame che unisce tutti noi…” pensava intanto Edward scrutando dubbiosamente l’amico. “Gelo, io e mia moglie ci stiamo sbagliando, vero? Altrimenti… cosa dovrei pensare? Che tutto ciò è una finzione? No, non può essere…”
“Mi sta fissando…” si disse Gelo mentre per sorridere ai bambini dava le spalle all’uomo. “E temo anche di sapere cosa stia pensando… Dannazione, non doveva andare così! Che fallimento… si è fatto vedere come uno stupido proprio da due poliziotti, per giunta da quei due!
Sicuramente ne avrà parlato con Hilary, e ora entrambi senza farsi accorgere tenteranno di spiarmi. Tuttavia… la loro sarà incredulità pura, e se cercheranno informazioni su di me lo faranno con l’intento di dimostrare la mia innocenza… Ed io giocherò su questo!”
Si rilassò un attimo. Effettivamente, però, non voleva che la loro amicizia si trasformasse in una serie di bugie o tradimenti; forse la cosa migliore sarebbe stata raccontare tutta la verità…
No, non poteva. Al massimo, i due amici potevano capire che i suoi androidi, e quindi lo scienziato stesso, non erano del tutto “creature innocenti”, ma non avrebbero mai potuto scoprire che in realtà gli androidi li costruiva a favore del Red Ribbon.
Non dovevano assolutamente scoprire il legame tra di lui e quell’organizzazione paramilitare, o sarebbero stati guai seri.
“Inoltre, se vengono a sapere con certezza degli androidi, cosa di cui probabilmente già sospettano, potrebbe non volerci molto affinchè risalgano al Red Ribbon. O meglio… sarebbe difficile, al momento non vedo come potrebbero fare, ma è meglio non dare mai nulla per scontato ed essere prudenti, dunque potrebbe non essere impossibile… e io non posso correre questo rischio!”
<< Papà, a cosa pensi? >> chiese Kim fissandolo con teneri occhioni.
<< Niente d’importante, tesoro! >> si affrettò a rispondere, abbassandosi per arruffargli i capelli.
“Edward, Hilary, e anche voi, Susan, Kim figlio mio… prima o poi vi rivelerò tutto, speravo solo di avere ancora un po’ di tempo. Ma la mia era solo una scusa per rimandare, e a quanto pare… il momento è arrivato! >>

 
Sopraggiunse la sera. Fuori una splendida luna piena pareva fosse partecipe della gioia e serenità aleggiante in quella città, ma poco lontano una piccola nuvola iniziava a incombere, forse solo di passaggio, forse come seria minaccia…
 
Era l’attesissima sera del 24 Dicembre, e finalmente era arrivato il solenne momento della cena. Anche per festeggiare la giornata, si riunirono tutti in casa Jefferson.
 << Stiamo abusando troppo di questa casa! >> osservò Edward. << Susan, Gelo, ci dovete scusare, voi sapete che le porte di casa nostra sono sempre aperte per voi! Bè, ora anche nel significato letterale del termine! >>
Susan sorrise divertita. << Ma smettila, che è sempre un piacere! Venite, entrate >> .
I quattro arrivati fecero il loro ingresso nella casa; ora, immaginati: erano pur sempre solo loro, questo è vero, ma la serata era comunque importante, e quindi tutti indossavano eleganti o raffinati vestiti.
<< Fratellino! >> lo salutò Jason, battendogli contro il pugno. << Come mi sta il foulard? >>
Ovviamente, era una domanda molto retorica. Kim espresse la sua approvazione alzando il pollice della mano serrata a pugno. << Sei sempre fico, tu, tranquillo! >>
Appena lo vide, Jodie cominciò immediatamente a squadrarlo dalla testa ai piedi, trovando la sua camicetta abbinata ai jeans veramente di buon gusto. “Come sempre, del resto”, si disse in un sorrisetto.
 
D’intanto, vediamo Hilary tutta affaccendata al computer portatile, comodamente sistemata sul divano. << Scusami Susan se tengo ancora acceso il computer, ma il lavoro purtroppo me lo impone… Un attimo e ho finito! >> Si affettò ancora di più: la questione era troppo urgente e dunque non poteva staccare, ma d’altro canto le infastidiva anche solo il timore che potesse irritare i presenti con quell’atteggiamento.
<< Ehi Hilary, ancora non hai finito? >> le domandò il marito.
<< Solo un momento… >> sbuffò. << Che stress… menomale che poi mi rilasso un po’ con la cena. Sai amore >> pensò tutto di un tratto. << Dovremmo prenderci una vacanza. Noi quattro >> .
Il biondo rimase sorpreso. << Noi quattro? Ecco cara… spero che non ti dia fastidio questo nuovo collegamento tra le nostre case… >> le bisbigliò, mentre le si sedeva affianco.
<< No no, non fraintendere. Non è per stare lontano da Gelo o Susan, assolutamente, e poi come potrei mai dirlo in casa loro, quando vengo invitata? No, neanche per sogno. E’ semplicemente… che io amo troppo la mia famiglia >> gli disse con un sorriso, passandogli la mano sulla guancia. << Te Ed, e i nostri figli… vi amo tantissimo >> sussurrò.
Quelle parole tanto spontanee furono tali da incitare i loro volti a cercarsi. Si fissarono negli occhi, erano sul punto di baciarsi… quando il computer della donna squillò. Immediatamente si ritirarono.
<< Ah, ecco >> disse portandosi lievi fili di capelli dietro l’orecchio. << E’ appena arrivato >> .
I loro occhi si incontrarono nuovamente, ma questa volta non per amore, ma mossi dalla paura, dalla tensione del momento.
<< E’ giusto controllare adesso? Forse, dovremmo pensare alla nostra serata >> propose Edward, ma la moglie disse esattamente ciò che l’altro voleva sentirsi rispondere.
<< Ha rischiato la vita per questo, lo sappiamo, e sinceramente lo sarà ancora almeno fino a quando rimarrà in quell’organizzazione, e noi ora abbiamo il dovere di analizzare i frutti della sua ricerca >> .
Prese fiato, con tutta l’aria di chi deve continuare ancora a parlare, ma il marito le chiese: << Dove si trova adesso? >>
<< Nella base centrale; credo che sia il posto più pericoloso, ma anche il migliore per ricercare informazioni del genere, no? E poi… >>
<< Hai ragione, dobbiamo necessariamente… >>
<< EDWARD! >> lo interruppe bruscamente la moglie; il suo sguardo calò dapprima sul computer, poi fissò il marito. << Ascolta Ed. Lui ha detto che c’è una cosa molto, molto, molto importante che scopriremo leggendo questa lista. Non mi ha voluto anticipare nulla, ma ha detto che… dovevamo vederlo noi. Quindi sì, hai ragione, dobbiamo assolutamente analizzare adesso questo rapporto >> .
 
Presero un respiro tremante: il momento era arrivato. Intorno, Gelo e Susan con l’aiuto di Alphonse ultimavano gli ultimi preparativi, mentre i bambini sembrava giocassero a chi urlava di più.
Edward si accostò ulteriormente alla moglie. Hilary cliccò il touchpad, avvicinando nel contempo il computer poggiato sulle ginocchia al marito, cosicché egli potesse leggere meglio.
<< Eccolo >> mormorò sottovoce la corvina.
Aprì il file. Dinanzi ai loro occhi si generò dal nulla una lista lunghissima di nomi… no, magari dal nulla. Quei nomi nascevano dal male riposto nel cuore della gente…
<< I nomi di tutti i membri del Red Ribbon… >> sussurrò stupefatto l’uomo. << Finalmente li abbiamo in pugno >> .  
La donna annuì. << Domani la consegneremo al commissariato, e loro penseranno a inviarla al quartier generale. Mi chiedo solamente cosa… >>
    
     E fu in quell’istante. In quel terribile, drammatico istante.
 
Un solo attimo durante il quale i loro occhi, come se di comune accordo, concordanti nella velocità assuefatta al terrore, costituirono l’umano tramite per permettere alla notizia di approdare alla mente, imprimendosi con squallido orrore…
Quel momento segnò la consapevolezza della verità, la nascita del più bestiale terrore o agghiacciante angoscia nei confronti dei figli, e anche per quell’altro ragazzino che quasi sentivano come figlio loro… Il cui padre, così come tutti lo avevano conosciuto e amato, forse non era mai esistito…
Inorriditi, rabbrividiti. Sbigottimento, soffocante incredulità, apprensione. Inquietudine per loro, per l’incolumità di tutti i presenti in quell’abitazione… un uomo del genere non avrebbe mai potuto esitare a fare del male neanche a tre innocenti ragazzini...
<< Gelo Jefferson, capo del reparto scientifico del Red Ribbon, residente ad Orange Town, Kori Steet, numero 20… >>









Edward e Hilary hanno scoperto la verità... cosa faranno adesso???

Ciao a tutti :) Eccoci al sedicesimo capitolo finalmente :)
Il prossimo sarà molto importante, non vedo l'ora :D
E così, abbiamo visto l' "origine" del famoso tunnel ^^
Come sempre, grazie mille, Luu, per le tue recensioni :D :D

Bene, tanti saluti ^^
Appuntamento al prossimo capitolo!!! :D :D ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Edward e Hilary: l'amore di due genitori - Parte Prima ***


<< Ho sentito dire che stanotte ci saranno dei fuochi d’artificio >> disse Susan mentre si accingeva a sparecchiare la tavola. << O meglio, vista l’ora praticamente saranno solo dei botti >> .
<< Che… bello… >> farfugliò Jodie mentre stava gradualmente sprofondando nel sonno. Del resto, i tre bambini si erano comodamente impossessati del divano, e ora uno appoggiato all’altro erano quasi conquistati dal sonno.
Per tutto il corso della serata Gelo non aveva smesso un attimo di controllare con lo sguardo i due poliziotti. Edward e Hilary gli parevano strani, forse… stravolti. Un acuto osservatore della sua specie non poteva certo fare a meno di notare che i due cercavano di nasconderlo, probabilmente per dovere, oppure per necessità.
Necessità. Quindi non avrebbero potuto spiegare il motivo di una loro preoccupazione, proprio in quel posto, con quei presenti… Ma d’altro canto, Gelo non avrebbe neanche potuto interrogare circa il motivo del loro stato d’animo: quei due erano caratterialmente molto bravi nel nascondere le proprie paure, e se Gelo se ne fosse accorto, svelando la loro inquietudine ai presenti, essi si sarebbero insospettiti della concitazione dello scienziato, racchiudendosi di conseguenza in un impenetrabile guscio psico-mentale di difensiva.
Abbiamo usato il termine concitazione: ma perché, Gelo conosceva forse il motivo della loro ipotetica tensione? Forse sì.

In piedi, ritto davanti il piano della cucina, tastò sul suo iPhone. Osservò l’esito della conversazione tenuta con un suo collega.
“E’ ancora lì?” , aveva precedentemente domandato.
“Sì. Sempre nella base centrale, esattamente come noi gli abbiamo ordinato” : aveva ottenuto la risposta desiderata. “E’ un tipo in gamba, e anche un eccellente militare. E’ relativamente nuovo, questo è vero, ma… come mai tutte queste domande? Sembra quasi che tu non ti fidi di lui…”
“Già, proprio in tipo in gamba…” digitò. “A domani, Generale Blu” .
Fece scivolare l’iPhone in tasta, e si voltò, accingendosi a preparare i bicchieri per lo sherry.

<< Dei botti stanotte… peccato, probabilmente all’ora in cui io non ci sarò >> informò Gelo. << Credo di non avertelo ancora detto Susan, ma questa notte ho un impegno di lavoro. Devo controllare una cosa in laboratorio >> .
<< Proprio stanotte?? >> disse la donna, scocciata.
<< Tranquilla, sarà una cosa veloce, quando ti sveglierai mi troverai già al tuo fianco >> la rassicurò con voce profonda.
Terminando la frase, mentre dava le spalle ai presenti, e dunque senza essere visto da nessuno, fece scivolare della finissima polvere in soli due bicchieri di sherry, e in tre pieni di Coca Cola.
<< Ecco a voi! >> esclamò voltandosi, con in mano il vassoio. << Bambini, bevete un po’ di Coca, magari vi farà svegliare un poco >> .
Fu ben accorto nel consegnare i due bicchieri nei quali aveva versato della polvere ad Alphonse e a Susan.

Allungò la mano verso l’amico, dandogli la bevanda; fu in quel momento che i loro occhi si incrociarono.
A Edward il battito cardiaco iniziò ad accelerare, si sentiva pressato, schiacciato da un’aura di paura, di potenza, di timore, di superiorità. Era un uomo forte, coraggioso, ma ora non poteva fare nulla.
La maschera che aveva pesantemente indossato durante tutta la serata, quella che lo rendeva un uomo spensierato a cena dagli amici, violentemente si sfaldò, e dalle sue crepe ne emerse un uomo terrorizzato, ma in grado di trovare la forza per accantonare la sua paura e manifestare il disgusto, il furore, la rabbiosa e triste incredulità per la verità celata a tutti.
Scattò in piedi all’improvviso, e ciò provocò un tremore in Hilary. La donna scrutò il marito scandalizzata.
<< Papà? >> sussurrò Jason, il quale vinto dal sonno era arrivato a tendere il braccio fino alla faccia della sorella, beatamente poggiata sulla spalla di Kimley.
<< Edward… tutto a posto? >> disse Gelo, inarcando un sopracciglio.
L’uomo respirò affannosamente. Cosa diamine stava facendo? Gelo non doveva sospettare nulla, assolutamente.
Per un attimo pensò di voler fuggire via, lontano da quell’incubo, portando con sé solo la moglie e i figli… No, in realtà non lo voleva minimamente, desiderava soltanto fare luce sulla questione, capire le motivazioni dell’amico, perché se Gelo era arrivato a mentire in quella maniera, doveva pur avere dei buoni motivi… O no? Erano mai stati realmente amici?
In una situazione del genere, non capiva nemmeno se provasse più rabbia, oppure terrore.

Percependo le emozioni della sua anima gemella, capì che anche Hilary iniziava davvero ad agitarsi. Una serata a far finta di niente era stato troppo, non reggevano più, li aveva troppo indeboliti fisicamente e mentalmente.
La mora, cercando di restare ferma, fece danzare le pupille degli occhi per analizzare la situazione, e riuscì a concludere solamente che poteva succedere di tutto, letteralmente. Gelo… se avesse capito le loro ansie come si sarebbe comportato? Un membro del Red Ribbon di tale importanza poteva essere imprevedibile.
E Susan… qual era il suo ruolo in tutta quella storia? Era anche lei coinvolta? Allora, quel suo fare timido, innocente, la sua disponibilità come amica, ma anche come mamma, era una finzione?
Kim… notando i tre bambini non poté fare a meno di voltarsi. Così piccoli, fragili, meravigliosi… quale sarebbe stato il loro destino? Se veramente Gelo e Susan non erano così come li conosceva, allora il giovane Kim in che condizioni sarebbe cresciuto? Figlio di due malvagi esseri a soli vent’anni circa, se non di meno, avrebbe potuto entrare in un circolo di malavita…
E Jason e Jodie sarebbero forse stati trascinati dall’impeto di tenebre nascente nel ragazzo? Non potevano permettere tutto ciò… ma adesso… lei stessa e suo marito rischiavano direttamente.

Afferrò la mano di Edward, e si alzò in piedi. << Scusateci >> disse, << ma abbiamo avuto una giornata molto difficile. Avete visto, prima… il lavoro non ci lascia tregua! >> se la sbrigò mostrando un abbozzo di sorriso.
Jodie si lamentò un po’, stringendosi ulteriormente a Kim. << No… voglio restare qui… >>
<< Rimaniamo qui >> propose Jason, stropicciandosi gli occhi.
Hilary sussultò. Fissò paurosamente i due coniugi. << M-ma cosa stai dicendo figliolo? Non potete passare la notte qui, dove dovreste dormire? >>
<< Ma no, falli rimanere! >> esclamò Susan sorridendo, mentre giocherellava con i suoi capelli caramellati. << Il letto di Kim è abbastanza grande, possono dormire tutti e tre se vogliono >> .
Il figlio spalancò gli occhi. << Quindi Jodie e Jason rimangono qui stanotte?!? >>
<< Papà, possiamo? >> implorò il ragazzino col foulard.
<< Va bene >> gli rispose il padre sorridendogli. << Ovviamente, se sono d’accordo anche Susan e Gelo >> .
<< Evviva!!! >> strepitarono i bambini, e gettandosi giù dal divano subito i piccoli gemelli corsero ad abbracciare i genitori.
Hilary guardò spiazzata il biondo, ma decise di rivolgere la sua attenzione ai figli.
I due adulti si abbassarono per ricevere gli abbracci pieni dei figli: ne avevano urgentemente bisogno. La donna li riempì di baci, quando Jason sentì una goccia d’acqua bagnarli il viso. Osservò in volto la corvina, e quella scena non la rimosse mai più dalla mente. La mamma aveva gli occhi lucidi.
Accorgendosene, si affrettò ad asciugarsi: i figli non la dovevano vedere così agitata.
<< Mamma… >> fece solo in tempo a mormorare il piccolo, che lei lo strinse al petto. << Ti voglio bene, pulcino mio, ti amo tanto! >>
Jodie intanto si strofinava sul volto del padre. L’uomo ridacchiava, pensando a quanto brillanti fossero i capelli della figlia, esattamente come i suoi.
<< Ascoltate >> enunciò dolcemente Hilary, unendo in un unico groviglio le mani della sua famiglia. << Fate i bravi, e non date fastidio. E sappiate inoltre… che anche se non passerò la notte con voi, io non vi lascio, non vi abbandonerò mai, rimarrò sempre con voi! >>
A questo punto fu il padre ad intervenire. << Spero… mi auguro vivamente di essere sempre stato un buon padre per voi, e se qualcosa ho sbagliato, perdonatemi. Noi due ovviamente cerchiamo di essere perfetti, come genitori. Forse non lo siamo, ma… vi vogliamo tanto bene >> .
Prese un respiro. << Siete brave persone, e bambini intelligenti ed educati. Questa vostra morale… custoditela quando diventerete adolescenti, e quando entrerete nell’età adulta… Sono sicuro che tu, Jason – e guardò negli occhi il figlio – sarai un grande uomo; e tu, Jodie – osservò la figlia – sarai una grande donna. In questo caso, sarete voi il modello di riferimento per le nuove generazioni, e sarà compito vostro far sì che il mondo diventi un posto migliore >> .
<< Non dite mai bugie, siate sempre onesti con voi stessi e con chi vi circonda, e abbiate rispetto per la persona altrui >> replicò Hilary. << Io ho incontrato vostro padre, e grazie a lui la mia vita… è meravigliosa. Ho te, Ed, e voi, tesori miei >> .
L’uomo strizzò l’occhio per cacciare indietro una lacrima. << Da quando ho conosciuto vostra madre non le ho mai mentito… non iniziate mai a raggirare con menzogne i vostri cari, siano essi parenti o amici… >>
<< E poi >> ci tenne ad aggiungere la corvina, << voi due siete fratelli. Rimanete sempre insieme, non importa se incontrerete delle avversità nella vita, non allontanatevi mai fra di voi, e – allungò la vista per osservare l’altro ragazzino – da lui, Kim >> . Sorrise. << Voglio bene anche a lui, adoro quando state insieme >> .
I due genitori fissarono teneramente i figli. << Vi voglio bene >> concluse Hilary.
<< Vi voglio tanto bene anch’io >> disse Edward.
Un ultimo abbraccio concluse definitivamente il discorso. Jason era rimasto sinceramente colpito. << Bé, che bella lezione di vita >> commentò.
Jodie sorrise. << A domani, allora! >>
I quattro si sciolsero. << A domani piccoli miei >> mormorò l’uomo, alzandosi in piedi. Guardando Susan, disse: << Grazie della serata, è stata… molto bella >> .
Hilary fissò il sorriso di quella. “No, non può aver mentito anche lei…” << A domani, cara >> esclamò, stringendole le mani.
<< Buona notte! >> salutò la donna, e insieme ai tre ragazzini li vide andare via.
Jodie e Jason li fissarono allontanarsi. “Mamma, papà…” fu il loro unico pensiero…


I due Logan sbatterono freneticamente la porta di casa. Prima di darle il tempo di proferire parola, l’uomo spiegò alla moglie, respirando affannosamente e ancora poggiato con la schiena alla porta: << Stanotte, quando non ci vedrà nessuno, ci recheremo in commissariato, personalmente, e diremo ciò che abbiamo scoperto >> .
Prese una pausa. << Ipotizziamo che Gelo abbia capito che noi sappiamo tutto: se i nostri figli avessero dormito in questa casa, a una certa ora sarebbero rimasti solo loro, due bambini indifesi, in casa… Avrebbero corso un pericolo troppo grande >> .
Un sorriso isterico si dipinse sul volto della corvina, la quale si portò le mani congiunte a nascondere la fremente bocca. << Ti rendi conto di quello che stai dicendo, vero? Eppure è così… E noi abbiamo lasciato i nostri figli… in casa di un pazzo! >>
<< Loro rimarranno sempre con il piccolo Kim. Mentre trovandoli da soli ne avrebbe potuto approfittare, e probabilmente… >> disse Edward non senza un sussulto << avrebbe potuto pensare di rapirli e di usarli per ricattarci, ora esiterà prima di far loro del male, vedendo anche il suo stesso figlio con loro >> .
Hilary cominciò a camminare su e giù per la stanza. << Mi sembra di usare quel bambino… >>
Il marito la fermò, afferrandola per le spalle. << No. Non stiamo sfruttando Kim, stiamo solo impedendo a Gelo di compiere pazzie! >>
Si ritrasse. << Capo del reparto scientifico del Red Ribbon… non ci posso credere… La polizia di Orange Town, e anche altre città, ricerca costantemente quei criminali, molti dei quali non si conosce nemmeno l’identità… E noi avevamo un pezzo grosso proprio a casa nostra, il nostro migliore amico! >>
La donna chinò il peso della testa su due dita, con il gomito abbandonato sull’altra mano. << Il fatto che sia a capo di un reparto dell’esercito magari non vuol dire necessariamente che è un pazzo… Dobbiamo parlare con lui >> .
<< Non possiamo far finta di niente ancora a lungo >> annuì il marito, poi il tono si fece più preoccupato. << Hilary, perdonami se ho deciso io per i bambini, ma nonostante tutto non credo che saranno in pericolo stanotte… >>
Lei rispose con un sorriso stanco. << Hai ragione. L’importante è che Jason e Jodie siano felici… come sempre sei stato in grado di ragionare meglio di me >> . Deglutì. << E se andassimo adesso in commissariato? >>
<< E’ troppo presto, Gelo se ne potrebbe accorgere >> replicò l’altro << e non credo sarebbe disposto a farci arrivare a destinazione tanto facilmente. Tuttavia… è meglio che avvisiamo adesso il commissario. Diciamogli solo di farsi trovare lì, stanotte >> .  
<< Ok >> disse lei, ma quando prese il telefono per effettuare la chiamata, scoprì che non vi era campo.
<< Strano >> commentò. << Fino a poco fa era tutto normale >> .
Edward parve pensieroso. << Questa non ci voleva… proveremo più tardi, e se ciò si ripeterà andremo direttamente a casa sua questa notte. La questione è troppo urgente, non possiamo rimandare oltre. Ora prepariamoci >> annunciò. << La cena è finita tardi, quindi tempo massimo di due ore e partiremo, o altrimenti comincerà a venire l’alba. Ed inoltre… prima dovremo fare un’altra cosa >> .
Hilary annuì. Si conoscevano da così tanti anni che era sicura di conoscere il significato delle parole dell’uomo. << Bene, è deciso allora >> disse. << Mi dispiace Gelo… ma non hai scampo! >>


<< Che stanchezza… >> disse Susan, mentre levava i due bicchieri vuoti di sherry dal tavolo.
<< Idem… >> commentò il marito, infilando, senza farsi notare, un piccolo telecomando in tasca.
“Fortunatamente porto sempre quest’invenzione con me… con la tripla funzione che possiede ho potuto rapidamente mandare in tilt tutte le reti telefoniche… L’effetto durerà per un po’ di giorni, direi che ho tempo a sufficienza...”  << Perché non vai a dormire allora? >> le propose.
<< Il signor Gelo ha ragione >> concordò il maggiordomo. << Mi occuperò io di sbrigare le ultime faccende >> .
<< Ma no, ti posso dare una mano… >> iniziò a dire la donna, quando per un attimo barcollò.
Fu Gelo a sorreggerla, prodemente. << Susan, sei troppo stanca, ti proibisco di restare ancora in piedi. Vieni, ti accompagno in camera. E anche tu Alphonse, va a coricarti, meriti un po’ di riposo >> .
Squadrò la moglie, mentre la accompagnava per le scale. “Comincia a fare effetto… non rischiano di addormentarsi immediatamente, ma se rimangono alzati troppo a lungo potrebbero cadere nel sonno in qualsiasi momento… Devono andare nelle camere, ho bisogno della casa libera”.  
<< I bambini sono sistemati? >> chiese improvvisamente alla moglie.
Lei rispose affermativamente, ma ora spostiamo noi stessi la nostra attenzione sui tre ragazzini.


Jodie stava infilandosi un pigiama azzurrino di lana, con vari teneri orsacchiotti. “Va bene che io non ci abbia pensato, ma è insolito che mamma si sia dimenticata di darci i nostri pigiami” pensava, osservando i fratellini ancora in mutande. “Doveva essere sovrappensiero, forse. Non c’avrei messo niente a passare da casa un attimo, ma tanto Susan ci ha permesso tranquillamente di indossare i pigiami di Kim, quindi…”
Sbadigliò, sedendosi dinanzi la scrivania. << Io ho sonno, ragà. Spicciatevi, così dormiamo >> .
<< Che bello che ci siete anche voi stanotte! >> esclamò Kim, e subito si sentì delle gomitate nel fianco.
<< Per forza… >> gli sussurrò quasi all’orecchio Jason. << Dormirai nel letto con Jodie! >>
In risposta ricevette un pugno in testa. << Idiota! >> replicò imbarazzato il ragazzino.
<< Come mi hai chiamato?? >> gli predicò Jason, buttandolo sul letto e cominciando a torturarlo bloccandogli rapidamente le braccia dietro la schiena.
La biondina sbuffò. << Ho capito, non è cosa >> borbottò, e così detto si infilò allegramente sotto le coperte, mentre alla sua sinistra i fratelli praticamente facevano la lotta.
<< Veniamo anche noi! >> esclamò Jason, e serpeggiò anch’egli al di sotto della soffice coltre. << E Kim al centro! >> gli sorrise.
Questi si posizionò tra di loro. << Buona notte! >> augurò.
Subito Jodie allungò la gamba sino a poggiare il piede sulla pancia del corvino, rannicchiandosi così nella direzione di Kim.
Jason sprofondò nel sonno con le braccia aperte, e l’altro, prima di cadere definitivamente vittima del sonno, si girò dapprima a destra, poi a sinistra. Sorrise.
Era lì, al centro fra i suoi fratelli, suoi modelli, sue colonne. Si sentiva perfettamente a proprio agio, ed era certo di una cosa. Non poteva accadergli nulla di male se rimaneva con loro.
In quella serata nulla poteva succedere in casa sua.

 

     Due ore più tardi; 03:22

Un silenzio tenebroso regnava nella camera, diffondendosi all’interno dell’intera casa. Poteva procedere.
L’uomo brizzolato si alzò dal letto, e noncurante della donna che consumava un sonno profondissimo si apprestò a vestirsi. Poteva accendere la luce, tanto la moglie avrebbe continuato a dormire come se nulla fosse, ma probabilmente in quel caso i due poliziotti dalla casa affianco se ne sarebbero accorti.
Immaginava infatti che non avessero mai smesso di tenere sotto controllo l’intera abitazione, costantemente, ma era solo un’ipotesi.
Ma ormai, tutto quello che stava facendo aveva senso solo se le sue ipotesi si sarebbero rivelate fondate.
Come ad esempio la questione di quell’uomo, il “novellino” introdottosi non troppo tempo addietro nel Red Ribbon: un uomo giovane, determinato, reticente… non lo convinceva molto, e pertanto aveva condotto delle ricerche sul suo conto.

Lasciò sbottonata la parte finale della camicia, e stabilì di lasciare la stanza. Sulla soglia della porta, si voltò verso la moglie. Uscì.
I suoi passi non provocavano alcun rumore nel pavimento, ma erano freddi e calcolati. Si accertò che anche Alphonse, nella sua camera, dormisse, anche se tale controllo era pressoché vano.
Decise di entrare anche nella stanza dei bambini. Lo scricchiolio della porta accompagnò il suo avanzare inquietante verso il letto; li notò silenziosi, prede della morsa tenace del sonno terribile che li rendeva inconsapevoli di ciò che stava per accadere.
<< Mi dispiace >> mormorò con un sibilo, carezzando la guancia di Jason. << Ho fatto una scelta, tempo fa, e se vogliamo che il mondo sia un posto senza guerre occorrono delle rinunce… Io la mia rinuncia l’ho fatta. Spero solo che non si riveli necessaria >> .
Poi fece per andarsene, ma nell’uscire si bloccò. Fissò i tre bambini.
Cyborg… perché gli veniva in mente questa parola adesso?
Rinunce… realizzare dei cyborg voleva dire che qualcuno doveva privarsi di qualcosa, della propria umanità… per il sorgere di un unico potere universale…
No, non era quello il momento di pensarci; affrettandosi, si recò nel suo studio, e accese il computer.
“Vediamo…” pensò. Se i suoi timori avessero trovato conferma, anche l’altra, terrificante ipotesi era da considerarsi vera…
Con un’ansia sempre crescente compì qualche rapidissima operazione, immerso ancora nelle tenebre del buio. Effettuò l’ultima mossa.  
     Click!
Il suono del tasto premuto fatalmente riecheggiò nella notte, rimbombando in ogni dove, non trovando pace nelle sue orecchie.
Sgranò gli occhi. La mano cominciò a vibrare istericamente sul mouse; le sue ricerche l’avevano condotto sulla sconcertante verità…

L’immagine di quello stesso uomo dai capelli rossicci che tante volte aveva incrociato alla sede del Red Ribbon nell’ultimo periodo era impressa sullo schermo del computer, antecedente di una lunghissima serie di dati.
Leggeva attonito quelle scritte… in quel caso, Edward e Hilary… ecco perché aveva la sensazione che fossero distanti, agitati, doveva essere così, non poteva essere altrimenti. E allora, il piano che aveva idealizzato preventivamente, tutte le precauzioni che sperava non sarebbero servite… aveva fatto maledettamente bene a pianificare tutto ciò.
Chiuse il portatile, rapidamente si affrettò giù per le scale; afferrò di corsa le chiavi di casa, uscì. Se quei due erano a conoscenza di tutto, non c’era tempo da perdere. Entrò in macchina, e fugacemente scappò via.


<< Eccolo >> bisbigliò Hilary al marito, spiando lo scienziato dalla finestra.
Il biondo le si accostò. << Come aveva detto… sta andando via. Ha avvisato che sarà una cosa veloce, quindi dobbiamo agire prima che faccia ritorno >> . Guardò in volto la moglie. << Putacaso lui ha capito che noi sappiamo tutto, può anche essersi immaginato il nostro piano. Pertanto, l’allontanarsi di casa è quasi sicuramente una trappola, per permetterci di frugare indisturbatamente nel suo studio.
Dunque noi, capendo che ciò è in realtà una messinscena, temeremo che di conseguenza si allontani solo di poco dalla casa per fare immediatamente ritorno, cogliendoci così con le mani nel sacco. Così esiteremo ad agire, ed aspetteremo minimo mezz’ora a partire da adesso prima di fare il nostro ingresso in casa sua >> .
<< Questo è quello che starà pensando Gelo >> continuò Hilary. << Perciò, anch’egli ritarderà il suo ritorno, sapendo che prima non ci muoveremmo. E’ per questo che dobbiamo agire ora, prima che sia troppo tardi >> .
<< E comunque, ancora un’altra volta non abbiamo scelta >> commentò Edward. << Sta di fatto che la macchina l’ha presa, e se anche si allontanasse di poco per rincasare presto nel frattempo noi saremmo già nel suo studio >> .
Concludendo la frase, infilò una pistola in tasca. Lo stesso fece la moglie. << Procediamo >> ordinò questa.


<< Complimenti per il piano >> si disse tra sé e sé Gelo, nella sua corsa sfrenata per le vie della città. Se tutto andava come previsto, ora Edward e Hilary dovevano essere in procinto di entrare in casa sua, convinti che sarebbe ritornato tra un intervallo di tempo pari… alla mezz’ora circa. Dunque, bisognava che tornasse immediatamente, e aveva già previsto come.
Fortunatamente, a quell’ora di notte, proprio la notte del 24 dicembre, la strada era completamente libera, quindi poteva permettersi di sfrecciare veloce come un bolide.
Visto l’orario non c’era nessuno in giro, ad eccezione, sicuramente,  di un gruppetto di giovanissimi teppisti che quotidianamente avevano l’abitudine di passare quasi l’intera nottata fuori, per strada, e indubbiamente neppure quella notte poteva segnare un’irregolarità della norma consueta.
Figli per lo più di delinquenti di varia notorietà, taluni con i genitori addirittura in carcere, oppure nel più sfortunato dei casi orfani, essi avevano l’abitudine ad una certa ora di sostare in una piccola piazza vicina al centro. Gelo ne era a conoscenza: grazie alle sue infinite ricerche nulla che riguardava la città poteva sfuggire alla sua mente calcolatrice e diabolica, tutto poteva rivelarsi utile nella molteplicità di eventi che la vita offriva. E ciò si rivelò essere vero in tale circostanza.

Appena fece il suo ingresso nella piazzetta notò il gruppo di ragazzi. Bruscamente, premette con rinnovata forza sull’acceleratore e si diresse con improvviso e violento slancio verso di essi, i quali fecero appena in tempo a scansarsi.
<< Ehi vecchiaccio, ma sei impazzito?!? >> gli urlò contro un ragazzino biondo, battendogli le mani sul finestrino.
Lentamente, egli scese dalla macchina. Li squadrò: come già sapeva, la maggior parte aveva all’incirca l’età del figlio, ma vi erano anche pochi elementi più o meno di diciotto anni. Il “leader”, ad esempio, era diciannovenne, ed era il più grande.
Assunse un’espressione adirata. << Questa è la strada, idioti! Consideratevi fortunati che ho frenato in tempo >> .
<< Ma tu >> disse un altro << sei il famoso scienziato, il dottor Gelo! >>
<< Non m’importa chi è! >> sbraitò il biondino, apprestandosi per avventarglisi contro, ma l’uomo fu molto più rapido e gli bloccò i movimenti.
<< Ora non ho tempo da perdere con voi >> replicò, spingendo via il bambino con fare altezzoso << ma altrimenti sarebbe da chiamare la polizia. Sapete… ho un impegno veloce fuori città, proprio adesso sto andando nel mio laboratorio >> dichiarò lentamente, scandendo con notevole enfasi le ultime parole.
Poi si rivolse al ragazzino biondo: << E tu, mio caro John, a soli dieci anni dovresti rivolgerti con più riguardo a chi è più adulto di te >> .
Questi rimase sconcertato. << C-come fai a sapere il mio nome? >> domandò.
“Bene, è sufficiente. Si ricorderanno di me” pensò.
<< Io so tutto! >> rispose con un vago gesto della mano. Dopodiché, si risedette in macchina e iniziò a suonare smaniosamente il clacson. Aveva attirato l’attenzione di quei ragazzi, ora con quest’abile mossa sperava che qualcuno nel vicinato potesse svegliarsi di soprassalto e magari anche controllare alla finestra la situazione. Un avvenimento talmente fastidioso nessuno l’avrebbe dimenticato.
<< Ora levatevi di torno >> li rimproverò, continuando a suonare, << che ho fretta! >>
Ritirandosi con odio ai lati, quelli lo fecero passare.
“Bene” pensò, quando si era abbastanza allontanato. “Queste erano le misure estreme, mi auguro vivamente che non servano…”
Conoscendo molto bene il loro modo di ragionare, immaginava che Edward e Hilary dovessero aver previsto che, se nel peggiore dei casi egli fosse tornato subito, comunque avrebbe tardato il tempo sufficiente per permettere loro di entrare nello studio.
Infatti essi non potevano sospettare l’incombenza di un dettaglio fondamentale.

Appena uscito fuori città, dopo aver digitato qualcosa sull’ampio display steso sul cruscotto, aprì lo sportello e si librò in aria, prima lievemente, poi sino ad uscire dall’automobile. Rimase sospeso in aria, a osservare la propria autovettura allontanarsi da sola, autonomamente.
Attese una manciata di minuti, e si elevò in aria, illuminato fiocamente solo dal chiarore della luna piena.
Raggiunta una certa quota, dalla tasca estrasse un piccolo congegno, molto simile ad un semplice telecomando. << Fufufu… >> ridacchiò. << Figurati se un oggetto che porto sempre con me non mi può permettere di teletrasportarmi! >>
E fu più lenta la sua voce a disperdersi nel vuoto, che lo scienziato a sparire e istantaneamente ricomparire nello studio di casa sua.
Appoggiata sul pavimento, la sua invenzione che permetteva di teletrasportarsi, di cui l’asse portante era proprio questo dello studio, la stessa che Jason aveva mostrato ai compagni di giochi per recarsi celermente nel loro rifugio segreto, emetteva ancora una tenue luce bluastra, effetto del suo recentissimo utilizzo.
E’ questo che i due poliziotti non potevano prevedere: né che Gelo potesse volare, né tantomeno che fosse in grado di controllare il ki, e neanche che avesse un simile congegno.

 
Edward e Hilary, con il cuore in gola, avanzavano tempestivi ma nel contempo guardinghi nel tunnel. Fissarono la porta oltrepassata la quale sarebbero entrati nella casa dello scienziato.


Gelo sgattaiolò giù dalle scale, finendo di sistemarsi una pistola nella tasca dei pantaloni. Precipitosamente si nascose, rannicchiandosi per terra, dietro il piano della cucina. In questa maniera, quando quei due sarebbero entrati non si sarebbero accorti della sua presenza, non immediatamente.

Egli aguzzò la vista, facendo degli occhi due fessure, in direzione dell’uscio del tunnel.

Con la moglie al suo fianco, Edward poggiò la mano sulla maniglia della porticina.

Passarono attimi di assordante silenzio, che parvero interminabili. Il vento smise di soffiare. La porta del tunnel cigolò.
A passi felpati, i coniugi si introdussero in casa Jefferson. Era orribile entrare da ladri in casa di amici intimi, ma dovevano raggiungere lo studio, a qualunque costo.
Silenziosamente, nonostante il buio si fecero strada fino all’inizio della scalinata.
Un sospiro fu l’emblema della rassegnazione di Gelo, oramai quasi raggiunta. Si levò in piedi.
I due non si erano ancora accorti della sua presenza, visto il buio ed il silenzio, dunque estrasse lentamente la pistola dalla tasca. Avanzò, uscendo dal suo rifugio.
Hilary stava per posare il piede sul primo gradino, quando si accese la luce.
Come fossero soggetti dell’effetto rallentatore di una moviola, sgranarono gli occhi. Si voltarono all’unisono.
Il loro migliore amico, Gelo, era lì, dinanzi a loro, con una pistola puntata contro. << Mi dispiace che l’abbiate scoperto in questa maniera >> disse costui. La sua voce era fredda. << Le cose dovevano andare diversamente. Mi rincresce, ma non posso permettervi di raggiungere il mio laboratorio >> .
Edward strinse i denti. << HILARY, CORRI!!! >> gridò tutto d’un fiato.


Quello fu l’inizio del finimondo.










Edward e Hilary sono stati scoperti... come si comporteranno, e cosa farà ora Gelo...???

E così, siamo arrivati a questo diciassettesimo capitolo.. Perdonatemi anzitutto il ritardo, perchè era da ere che non aggiornavo, e ditemi se l'avete trovato eccessivamente lungo.. :)
Bene. L'altra volta avevo detto che questo sarebbe stato un capitolo importante. Bé sì lo é, ma diciamo che più che altro saranno nel complesso molto importanti questo e i prossimi due, che saranno "i tre atti" di questa vicenda uu :)
Una cosa.. è finita la scuola ormai, non ci credo :3

Grazie mille a Luu per le recensioni, come sempre :) :) :D

Tanti saluti, e appuntamento al prossimo capitolo: "Edward e Hilary: battaglia contro Gelo - Parte Seconda" !!!! :) ;)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Edward e Hilary: battaglia contro Gelo - Parte Seconda ***


Edward e Hilary si voltarono all’unisono. Il loro migliore amico, Gelo, era lì, dinanzi a loro, con una pistola puntata contro.
<< Mi dispiace che l’abbiate scoperto in questa maniera >> disse costui. La sua voce era fredda. << Le cose dovevano andare diversamente. Mi rincresce, ma non posso permettervi di raggiungere il mio laboratorio >> . 
Il biondo strinse i denti. << HILARY, CORRI!!! >> gridò tutto d’un fiato.
Quello fu l’inizio del finimondo.

La donna obbedì prontamente, scattando disperatamente lungo le scale. Desiderava con ardore schierarsi al fianco del marito, ma la comparsa di Gelo non permetteva di indugiare nemmeno per un istante.
Cosa era successo? Come aveva fatto l’uomo ad essere rientrato così presto? Avevano sbagliato i calcoli, ma soprattutto… la confusione che si sarebbe creata avrebbe svegliato i bambini, così come Susan e Alphonse. E se anche questi ultimi li avessero attaccati, come si sarebbero salvati? E in ogni caso… cosa avrebbero detto ai bambini? Di lì a pochi secondi almeno uno dei tre ragazzini sarebbe uscito in corridoio, e sarebbe stato coinvolto negli attacchi… Ma non poteva attendere i piccoli, doveva sbrigarsi, e… 

     SLAM!

Un potente raggio dalla forma intensa e gelatinosa, ma trasparente, le sfrecciò accanto sfiorandole la guancia, e violentemente colpì la porta dello studio.
Ora, immaginati di versare su di un tavolo una sostanza piuttosto gelatinosa attraverso un imbuto. Mentre questa sta colando, dal medesimo punto si espande su tutto il piano in questione, no? Alla stessa maniera, la porta risultò per qualche attimo rivestita da una specie di strato gelatinoso, il quale alla fine venne assorbito dal legno. Questo è ciò che parve agli occhi della donna.
Voltandosi, vide Gelo con un piccolo telecomando puntato in quella direzione. Prima che Edward potesse fare alcunché, l’uomo scattò il polso, e dall’antenna del congegno si liberarono altri tre identici raggi che spietatamente colpirono la porta di altrettante camere: quelle di Susan, del maggiordomo e dei bambini. Gettandosi tale oggetto ed anche la pistola in tasca con rapidi gesti della mano, il dottore cominciò ad avventarsi in direzione della donna.
<< Fermo Gelo! >> urlò Edward, e parandosi davanti le scale si scaraventò sull’amico e riuscì a bloccargli le braccia. << Non farai del male a mia moglie, a lei no! >>
L’uomo lo fissò torvo. << Edward… >> mormorò lentamente. << Fermami se ci riesci!!! >> Con feroce impeto tirò a sé le braccia liberandosi da quella stretta, e con spaventosa agilità gli assestò un violento colpo sul torace.
Questi indietreggiò dolorante, ma un attimo dopo vide già la sagoma dello scienziato scorrergli davanti. Stava dirigendosi verso la moglie: no, non lo poteva permettere. Senza esitazione si slanciò sull’uomo, immobilizzandolo sulla ringhiera. << Vai, Hilary! >> le ordinò.
In questa effimera successione di attimi era rimasta ferma, al cospetto della porta. A cosa servivano mai quei raggi di prima? Comunque, Edward aveva ragione, cosa aspettava? Il marito era lì, a vedersela con Gelo… “Resisti Ed!” gli raccomandò in pensiero, e con fare deciso spalancò la porta e senza perdere tempo si scaraventò dentro.


“Non è successo nulla” notò, aspettandosi chissà che incombenza. Accese la luce.
“Prima che Gelo facesse la sua entrata in scena, il nostro piano era di guardare con i nostri occhi cosa nasconde nel suo laboratorio, e stabilita la pericolosità di ciò avremmo agito di conseguenza. Ma ora che lui è qui… cambia tutto” pensò, mentre si posizionò a pochi centimetri dalla lunga libreria che ricopriva l’intera parete posteriore, quella che avrebbe dovuto essere confinante con l’esterno.
“Visto come si sta comportando, direi che nasconde qualcosa di molto importante nel laboratorio, essenziale per i suoi scopi, e quindi… probabilmente per lo stesso Red Ribbon. Sappiamo che Gelo costruisce androidi, quindi l’unica cosa che può nascondere sono…” Sussultò. “A questo punto… quanti sono gli androidi che ha già costruito? E quanto saranno pericolosi?!?” Scosse la testa. “E’ inutile pensarci. Dunque… Gelo ha detto che si fa così…”
Con estrema cautela estrasse alcuni libri da scaffali diversi, posizionati in un ordine di perfetta simmetria geometrica. Per tutta la stanza riecheggiò il suono di un cigolio accompagnato da una pesante vibrazione; la corvina si fece indietro, e stupefatta osservò piccole sezioni della libreria, con tanto di volumi incastonati tra di loro, ripiegarsi su se stesse, e quindi ritirarsi ai lati; apparve così una piccola sezione della stanza, precedentemente occultata dall’imponente mobile.
Al centro del pavimento si ergeva un complesso macchinario a base quadrata, alto non più di un metro e culminante in una raffinata cupola verdognola dalla forma appiattita. A sua volta, alla sinistra del macchinario si disegnò una larga porta in vetro massiccio, la quale lasciava trasparire una cabina.
Hilary rimase attonita. Si avvicinò. “Era da aspettarsi una cosa simile. Questo… deve essere un ascensore” intuì, scrutando l’interno della cabina. “Capisco… ecco perché Gelo ha voluto informarci del laboratorio. Ovviamente non sapevo nulla di questo macchinario né dell’ascensore, ma se non ci avesse raccontato nulla avremmo notata come strana la ristretta area dell’intera stanza, mettendola in relazione con quella che ci saremmo aspettati vedendo l’esterno. E’ stata una precauzione per non farci insospettire… Astuto, molto astuto”.

Fletté le mani sul macchinario, cominciando proprio a chiedersi cosa dovesse fare, quando uno schermo tridimensionale si sprigionò dalla curva. << Inizio identificazione. Attendere prego >> annunciò una voce computerizzata proveniente dallo schermo.
La donna si accigliò. << Che??? >>
Dal tessuto tridimensionale si levò una sagoma olografica: era quella di Gelo. << Se sei il dottor Gelo, procedi con il riconoscimento delle impronte digitali >> continuò, mentre dalla cupola verde si elevava una piccolissima base quadrata sulla quale vi era incavata la sagoma di una mano.
Hilary si lisciò i capelli dietro l’orecchio. “E ora che faccio?” pensò, e subito provò ad avanzare oltre il macchinario passando di fianco, ma fu un tentativo inutile.
Sul medesimo piano immaginario su cui poggiava lo schermo, dal punto in cui aveva cercato di camminare si espanse di getto una porzione di parete, anch’essa tridimensionale e identica alla prima.
Si ritrasse. “Quindi è così” capì. “Anche se non la vedo, è come se si ergesse tutta una parete di tre dimensioni che mi impedisce di avanzare, e che quindi posso vedere solo se la tocco… e l’unico mezzo per raggiungere l’ascensore sono le impronte digitali di Gelo”.
Chiuse gli occhi, e fece mente locale. “E ora cosa faccio?” si domandò.
Quando improvvisamente un sibilo le fece sgranare gli occhi.


Non fece ancora in tempo a voltarsi, che la porta dello studio esplose con ferocia. Gelo, bloccato dalla morsa di Edward, non aveva visto alternative. Davanti agli occhi increduli del biondo, egli aveva spalancato la mano e un corposo raggio di luce gialla era guizzato dal suo palmo, atterrando con inaudita furia la sua preda. Sapeva che questo colpo di scena avrebbe lasciato Edward interdetto, e così fu; approfittando della sua esitazione seppe liberarsi e scivolò di sopra, giungendo all’interno dello studio.
Hilary lo fissò sconvolta, abbassando lo sguardo ad osservare i pezzi di legno cosparsi per la stanza. Il marito accorse subito dopo. << Hilary >> mormorò con un sussulto, gioendo nel vederla sana e salva.
Gelo li scrutava immobile, con i muscoli ancora tesi, ma permise comunque all’uomo di porsi al fianco della moglie. Si rilassò. << Abbiamo avuto un inizio piuttosto dinamico >> commentò.
Il biondo deglutì. << Sei in grado di usare il potere del ki >> .
“Come pensavo, era ki” pensò scioccata la donna, quando si sentì folgorata. “Ma certo… ecco come possiamo fare!” esclamò in pensiero, gettando lo sguardo sulla barriera tridimensionale.
In risposta, il dottore ridacchiò. << Finalmente l’avete scoperto… ogni tanto mi veniva voglia di rivelarlo a tutti, non ce la facevo più a tenerlo nascosto tutto per me! >>
<< A tutti? >> ripeté la corvina. << Intendi dire che Susan non ne è al corrente? >>
Passarono attimi di silenzio. << Esatto >> rispose Gelo. << Neanche mia moglie. Adesso lo sapete solo voi. Nessuno, fra i miei conoscenti, può sospettare una cosa del genere, ad eccezione, ovviamente… >> sul suo volto si dipinse per momento un ghigno divertito, ma poi assunse un’espressione solenne << dei miei colleghi >> .
Edward ebbe un tremore. Hilary fremette. << In cuor mio speravo che affermassi il contrario… >> bisbigliò con enorme afflizione il primo. Guardò Gelo con occhi pieni di amarezza. << Fai parte del Red Ribbon >> disse. La sua voleva essere più un’esclamazione, ma aveva il tono più di un’orribile domanda.
Lo scienziato ricambiò serioso il suo sguardo. << Ormai è inutile continuare a mentire. Arrivati a questo punto da parte nostra bisogna solamente prendere una decisione, e di conseguenza rinunciare a qualcosa… Esatto >> confermò in tono deciso. << Per l’esattezza, sono il capo del reparto scientifico del Red Ribbon, e ne vado estremamente fiero. Ma posso presumere che voi conosciate già il mio ruolo nell’ organizzazione, vero? >>
Come risposta si fece bastare le espressioni stupite dei suoi amici. << Come immaginavo >> disse sospirando, e iniziò a prelevare qualcosa dalla tasca. << Tranquilli >> li rassicurò, notando la loro agitazione scaturita da quel gesto, ed estrasse il piccolo telecomando. << Mi preme solo farvi sapere che qualunque cosa io dica, o voi urlerete, non uscirà da questa stanza. Pertanto non sperate in aiuti dall’esterno, ve ne prego >> .
Edward sussultò. “Cosa intende?” << Quell’aggeggio >> notò << è lo stesso che hai usato prima per creare quei raggi… Pensavo che in qualche modo sigillassero le stanze, ma siccome siamo entrati tranquillamente non può essere così. Allora qual era il loro effetto? >>
<< Ora che ci penso >> continuò Hilary << abbiamo fatto molto rumore. Come mai nessuno si è allarmato? >> Spalancò gli occhi. << Cosa hai fatto ai bambini??? >>
Gelo tese il braccio in avanti, come a volerla incitare a calmarsi. Sorrise. << Hilary, così mi offendi. Mi credi capace di fare del male ai miei cari… senza alcun motivo? >> disse, sottolineando le ultime parole. << E’ stato durante la cena, al momento dello sherry finale… senza che nessuno se ne accorgesse ho versato del particolare sonnifero nei bicchieri di mia moglie, del mio maggiordomo e naturalmente in quello dei nostri ragazzi. E’ un sonnifero molto potente, che garantisce al soggetto un sonno profondissimo: in questa maniera mi sono assicurato che qualunque cosa fosse successa loro non avrebbero interferito. E’ stata solo una delle precauzioni che ho preso, temendo che sarebbe successo ciò che sta accadendo >> .
Prese una pausa. << Questo oggetto poi, per quanto simile a un semplicissimo telecomando, ha ben tre diverse funzioni. Mi permette anzitutto >> spiegò, fingendo di puntare l’antenna verso Edward << di isolare acusticamente una determinata stanza >> .
<< Non mi dire >> commentò l’uomo << che hai reso queste quattro stanze isolate >> .
<< Esattamente >> rispose lo scienziato orgogliosamente. << I nostri figli, Alphonse, e Susan… li avevo già addormentati col sonnifero, ma se per disgrazia la sostanza non avesse fatto effetto io avrei già disposto di un ulteriore accorgimento. Se dovessero svegliarsi… loro non sentiranno noi, e noi non sentiremo loro >> .
<< E se noi avessimo bisogno di urlare aiuto a chiunque ci sentisse, ora non potremmo. Siamo in gabbia >> concluse Hilary.
Gelo annuì. << Sempre molto perspicace, mia cara >> disse. << Ora, prima di continuare la conversazione… >>
Lentamente nascose il telecomando nella tasca destra, e dalla sinistra… << Non fate nulla di imprudente, non vi conviene >> intimò, estraendo una pistola e impugnandola stretta verso di loro.
Di scatto, anche Edward e Hilary gli puntarono contro le proprie pistole. << Siamo poliziotti, Gelo, non ti conviene >> ribatté il biondo.
<< Oh >> commentò quasi divertito lo scienziato. << Che paura >> .

L’atmosfera si stava facendo incandescente, fuori la luna piena pareva risplendere in fiamme; le dita tremavano sui grilletti. Per paura, per esitazione, per volontà.
<< Siete stati davvero abili nel scoprire che faccio parte del Red Ribbon, vi faccio i miei complimenti >> esclamò Gelo. << Anche se non è stato solo merito vostro >> .
<< Hai detto che temevi che potesse succedere ciò che ora effettivamente sta accadendo… Come potevi? >> interrogò la corvina. << Stasera tu eri consapevole che noi sapevamo tutto… no, non è possibile. Come ci hai scoperto? >>
Gelo la fissò. << Infatti ti sbagli. Fino a qualche ora fa io non lo potevo ancora sapere, tuttavia… Sai che sono un acuto osservatore per natura, e a causa del mio lavoro poi sono portato ad essere estremamente prudente. Voi due >> spiegò << e non lo negate, durante la cena eravate assenti, terribilmente agitati… e proprio tu, Hilary, prima di cominciare a mangiare avevi appena terminato il tuo lavoro al computer. Ho fatto due più due, ed entrambe le cose insieme mi insospettivano >> .
Prese un respiro. << Era la mail del vostro collega, quel simpaticone dai capelli rossicci >> sorrise << che da mesi si aggira nella base del Red Ribbon >> .
Lo stupore si dipinse sui loro volti. << Come l’hai scoperto? >> grugnì Edward.
<< Abilissimo nel corpo a corpo, prestante fisicamente e dotato di grande intelligenza, pratico con l’uso delle armi, e del tipo di persone che non si intromettono negli affari altrui, specie dei suoi colleghi militari. In pratica… perfetto >> rispose. << La cosa non mi convinceva. Ho subito sospettato che fosse una spia, così ho controllato personalmente tutti i dati della polizie regionali >> .
<< Come è possibile!? >> lo bloccò Edward. << Saranno un’infinità di dati, è impossibile che tu… >>
Ma venne a sua volta interrotto vedendosi la pistola di Gelo puntata contro con ancor più decisione. << C’è un’altra cosa di me che non sapete… >> sibilò questi. << Ovvero che io sono anche l'hacker numero uno di tutto il mondo! >>
<< C-cosa… >> mormorò Hilary.
<< Quindi per me è stato piuttosto facile trovarlo. Sapete… >> disse. << Durante la cena messaggiavo proprio con un mio collega, il Generale Blu, ma non credo che vi interessi. Vi interesserà invece sapere che lui non ha fatto altro che rafforzare i miei dubbi: la vostra spia in tutto questo tempo rimaneva sempre alla base centrale, come del resto noi gli abbiamo ordinato. Sarà una sciocchezza direte, ma sapete quanti invece non rispettano ordini del genere? Noi del Red Ribbon valutiamo anche l’obbedienza delle reclute, e questa era un’altra caratteristica a favore del vostro amico… Tutti questi suoi lati positivi mi insospettivano, ma recentemente mi è sorto un dubbio >> .
Fissò con ira i due poliziotti. << La base centrale è anche il miglior posto dove cercare se si desidera raccogliere informazioni >> .
I suoi interlocutori non sapevano che cosa dire.
Gelo spalancò le braccia. << Stolti… per noi hacker i computer sono come il cervello degli animali: una volta inserito un dato, non puoi più rimuoverlo >> . Poi ritornò a puntare minacciosamente la pistola. << Così ho ricercato ancora meglio, e sono arrivato a scoprire che nel computer centrale della sede della vostra patetica polizia dei dati erano spariti nel nulla, dissolti, come se si volesse nasconderli.
E’ stato proprio poco fa, poco prima che arrivaste voi, che ho ultimato la mia ricerca, e ho visto che tra i vostri agenti vi è uno che eccelle, il più adatto a missioni di spionaggio, dagli inconfondibili capelli color rossiccio… E così mi sono trovato davanti la foto di colui che poteva essere uno dei miei futuri colleghi… tra i dati della polizia >> .
Serrò per un momento le labbra. << A quel punto non c’erano quasi più dubbi. Nel Red Ribbon vi é una spia della vostra polizia, a Hilary era arrivata un’urgente mail, e per tutta la serata avevate un’espressione stravolta. Anche un bambino arriverebbe alla conclusione… Quel maledetto uomo >>  strinse con implacabile odio la pistola << lo ucciderò >> .
Edward fece un passo avanti. << Non osare fargli del male! >>
Un bossolo gli sfrecciò vicinissimo. << Sta zitto! >> predicò furente Gelo, ma poi sul suo volto si dipinse un’espressione corrucciata. << Speravo che se mai un giorno aveste dovuto saperlo sarei stato io a dirvelo, e invece l’ha scoperto la vostra spia, e così ne siate venuti a conoscenza… L’avete appreso in un modo così subdolo… >>
Edward rimase senza parole. << Subdolo? >> balbettò. << Tu osi parlare di mezzi subdoli? >> La voce si fece tremante. << Hai una minima di quello che stai dicendo?!? Tu, che hai mentito a tutti noi… ai tuoi “amici”, a tuo figlio… Cosa direbbe Kimley se sapesse di suo padre??? >> gridò. << Credi che continuerebbe a guardarti con ammirazione, oppure sarebbe disgustato e si vergognerebbe di avere un padre del genere, che fa parte di una schifosa organizzazione militare?!?!? >>
Gelo rimase ammutolito. Strinse con forza l’arma, e a Hilary parve sul punto di distruggerla. Cominciò a respirare affannosamente.
<< T-tu… >> ansimò. Le vene pulsarono freneticamente, il sangue cominciò a ribollire.
<< Tu…!!! >>

 
     Come quando un pugnale in pieno petto annerisce la vista in pochi secondi, così la mente si fece tutta nera, cupa.
Dal buio emerse una figura. << Mamma, papà! >> esclamò felicemente.
L’immagine si schiarì. Era un bambino, molto, forse troppo, gracile, e di carnagione un po’ scura. Indossava solo una canotta raggrinzita e pantaloncini laceri per l’eccessivo utilizzo. Sorrideva, ma il suo sorriso stanco nascondeva un’amara sofferenza.
<< Mamma! >> esclamò di nuovo.



Gelo trasalì violentemente. Ansimava.
<< Tu… come osi parlare in questa maniera del Red Ribbon… >> mormorò tra un affanno e l’altro, con un sussurro lievemente percettibile. << Kimley sarebbe fiero di suo padre… >>
Hilary scosse la testa. << Gelo >> chiamò. << Essere figlio o moglie di un membro di un’organizzazione simile non è motivo di vanto >> . Rifletté un attimo. << A proposito, anche Susan ne è un membro? >>
Dovettero attendere attimi che parvero interminabili. Gelo continuava ad ansimare. << Quanta arroganza… >> sibilò.
Hilary esitò, e strinse la pistola. Gelo incurvò la schiena per la stanchezza. << Susan non sa niente del Red Ribbon, esattamente come la mia capacità di usare il ki. E’ all’oscuro di tutto >> .
Hilary prese un pesante respiro. << Meno male, almeno lei non è coinvolta >> .
Un accenno di sorriso isterico si dipinse sul volto del dottore, il quale teneva il capo chino a guardare il pavimento. << Coinvolta…? Da come parli sembra quasi che tu stia parlando di un’organizzazione malavitosa… >> La sua voce era tenue, debole.
Hilary inarcò un sopracciglio. << Il Red Ribbon è un’organizzazione malavitosa!!! >> sbraitò. Gelo sussultò. << Dei militari che combattono solo per la gloria, per la ricchezza, per valori così futili e puramente materiali che voi tutti mi disgustate! >>
<< Gelo… >> Edward riprese la parola. << Hai idea di quanto sia difficile per noi tutto ciò? Hai una vita felice, una famiglia e degli amici che ti amano… Perché? Perché hai scelto il Red Ribbon? >>

Per alcuni, terribili attimi, l’unico rumore percettibile fu il lieve vento che soffiava libero.
Gelo si volse di poco a guardare la finestra. Si rizzò nuovamente. << Il vento… >> sussurrò, con voce debole quanto il soffio dell’aria.
<< Cosa? >> disse Edward.
<< Il vento è così libero >> continuò con voce estasiata, fissando i suoi amici. << Vola senza alcuna restrizione, fa tutto quello che gli pare, senza nessuno che glielo impedisce. Ma noi siamo esseri umani >> sorrise. << L’essere umano è una creatura così bella, eppure così limitata… La nostra vita è segnata dalle restrizioni, quando agiamo dobbiamo sempre dar conto agli interessi degli altri >> .
<< Ma è giusto così >> asserì la corvina. << Anzi… c’è chi ugualmente si comporta come vuole, senza tenere nemmeno in considerazione i sentimenti altrui >> disse, fissando negli occhi Gelo << ed è una cosa terribile. Se tutti, invece, avessero almeno un minimo di riguardo per le persone che li circondano il mondo sarebbe un posto più sicuro >> .
<< Questo è certo >> ribatté Gelo. << Tuttavia questo rimarrà sempre uno sciocco idealismo. Bisogna infatti tenere in conto un elemento ineluttabile, che sta alla base di tutto il male: la natura umana >> .
Elevò il tono della voce, con gli occhi fuori dalle orbite. << E’ inutile nascondersi dietro futili giochi di parole, o illuse speranze, la natura umana è questa! Ognuno di noi alla fine pensa solo a se stesso, e al massimo cercherà di uniformare il proprio interesse a quello degli altri… ma mai lo abbandonerà del tutto. La razza umana è destinata ad essere maledetta in eterno >> concluse gravemente.
Edward dovette attendere alcuni secondi prima di trovare le parole adatte. << Ti sbagli. Sono fermamente convinto che, per quanto possa sembrare strano, nel mondo esistono, e sempre esisteranno persone che dedicano la loro vita agli altri. Il che non vuol dire non avere una vita propria e non sapersela godere, ma è comunque possibile vivere intensamente la propria esistenza e contemporaneamente garantirne una dignitosa ad altri >> .


     In quel momento Edward non poteva saperlo, nessuno poteva immaginarlo, ma le sue parole avrebbero trovato conferma.
Dì li a pochi anni un bizzarro ragazzino avrebbe portato alla distruzione dell’intero Red Ribbon… e col passare del tempo lo stesso avrebbe combattuto numerose altre battaglie, solo per salvaguardare il suo pianeta e i suoi abitanti… e successivamente anche un altro pianeta, in difesa da un grande nemico, un certo… Freezer…
Tutte battaglie combattute al fianco dei suoi amici, tra cui uno… il quale si sarebbe rivelato molto importante nella vita della figlia Jodie…
E infine anche suo figlio, anzi… i suoi figli…
     Goku, Crilin, Gohan, Goten… e sicuramente anche altri di cui non ci è concesso conoscerne il nome…
Tutti questi eroi avrebbero incarnato le speranze di Edward e Hilary…



<< Gelo, facciamola finita adesso >> dichiarò la corvina.
<< Tsk! Convinzioni… >> borbottò lo scienziato. << I vostri ragionamenti fanno pietà… Voi >> scosse furiosamente la testa << voi non capite cosa significa per me il Red Ribbon! Non conoscete il mio progetto! >>
<< E allora spiegacelo >> l’incitò l’uomo. << Perché noi ne abbiamo la minima idea! >>
Gelo sorrise soddisfatto: non aspettava altro. Spalancò le braccia. << Ho detto che l’uomo per sua natura pensa solo a se stesso. Ma perché lo fa? >>
Prese una pausa. Sul suo volto si dipinse un’espressione esagitata. << Perché é costretto. Il mondo è costituito da un’infinita molteplicità di persone, gusti, opinioni, interessi. E questi interessi scaturiscono dalla politica e dall’economia >> .
I due coniugi iniziarono a guardarlo impauriti. Senza che Gelo lo volesse, il suo corpo cominciò ad emettere una luce bluastra/nera. Ovverosia…
“Aura” si disse la donna in pensiero.
<< Ogni essere umano cerca di accaparrarsi più denaro possibile >> continuò imperterrito Gelo << vuole che il suo Stato sia in posizione almeno pari rispetto agli altri, da tutti i punti di vista… Ma questo solo di facciata. In realtà l’uomo desidera che la politica del proprio Paese superi quella degli altri, ed emerga ad un rinnovato splendore >> .
Notò che il biondo stava per aprire bocca, quindi lo zittì. << So che vuoi dire, Ed. Vuoi nuovamente rifilarmi le tue belle parole di prima. Davvero, molto carine, ma come vi ho già detto >> li scrutò cupamente << sono solo idealismi, nient’altro! >>
Hilary rimase colpita. Osservò il loro amico stingere disperatamente i pugni, e fu solo allora che lo capì. “Tutto ciò… queste sue parole… Non possono essere pensieri al vento” Deglutì. “Sono il risultato di tragiche vicende personali” .

<< E dunque… intendi combattere questi idealismi? >> domandò Edward.
L’uomo spalancò gli occhi. << No, non combattere… distruggerli! >> Fece un passo verso i due poliziotti. << I sentimentalismi, quelli vani, non fanno altro che indebolire l’essere umano… E’ una creatura maledetta, questo è vero, ma forse proprio per questo meravigliosamente forte… >>
Si fermò. Guardò in volto i due adulti. << E’ inutile che gli umani, ognuno per proprio conto, lottino per il sopravvento della propria politica… Per l’arricchimento delle proprie case, con il conseguente impoverimento delle altre… Sarebbe meglio >> disse quasi con un confidenziale sussurro << che ci fosse un unico, indistruttibile potere temporale, in grado di garantire in eterno ricchezza e prosperità… Un sublime potere universale >> rivelò con un eccitatissimo sorriso.
Edward lo fissò stupito. << Stai dicendo che il tuo obiettivo… >>
Gelo annuì serio. << Il Red Ribbon dominerà il mondo, e io guiderò quest’ultimo e lo migliorerò con le mie stupefacenti invenzioni >> .

Posizionatosi davanti a Edward, posò delicatamente la mano sulla pistola del poliziotto e cominciò ad abbassarla. << Siete persone intelligenti, capirete l’importanza di questa mia ambizione. Allora… mi aiuterete? >> disse, ritraendo la mano dalla pistola ormai china e allungando l’altra verso di loro.
La corvina iniziò a respirare velocemente, impaurita. In fondo… Gelo non aveva tutti i torti... era un dato di fatto che il mondo fosse sempre stato dilaniato dalle guerre, e questo era solamente un modo per interrompere questo ciclo…
<< Non è vero! >> esclamò improvvisamente Edward. La moglie sobbalzò. Gelo inarcò nervosamente un sopracciglio.
<< Nel mondo ci sono state sempre delle guerre, e ancora oggi esse non sono sparite… >> dichiarò con aria triste, poi incrociò lo sguardo dello scienziato. << Ma non ci possiamo permettere di arrenderci di fronte al male. Ci sono guerre? Allora affrontiamole, e cerchiamo insieme di porre fine a questa sciagura. Ma non aiuteremo mai uno squallido esercito in cerca di potere! >>
Hilary lo fissò stupita. Sorrise con fierezza. “Grazie, amore” .
<< Pensateci bene >> ammonì severamente Gelo, e così detto spiccò un agile balzo indietro, ritornando a una posizione di sicurezza. << Pensateci molto attentamente >> .
<< Tu che parli di porre fine alle lotte… >> gli disse la donna << allora come mi spieghi il comportamento della tua organizzazione? Sai quanta distruzione ha portato?? Ci sono città che sono state distrutte solo… >>
<< …per averci ostacolato >> concluse Gelo. << O almeno, hanno tentato. Vedi mia cara… questo dimostra quanto gli esseri umani possano rivelarsi stupidi >> volle farle notare. << Rifiutavano la nostra ambizione di dominio… meritavano di essere annientati >> .
Hilary lo guardò profondamente scioccata. << Ma come parli?!? >> urlò. Strinse i denti con odio. Gli puntò con furia la pistola contro. << Basta, non c’è più niente da dire con uno come te. Mi fai schifo >> .
L’uomo ebbe un sussulto. Sulla sua bocca si dipinse un nuovo sorriso isterico, stavolta ancor più efferato e deciso. << Mi pare di capire che non abbiate intenzione di unirvi al Red Ribbon… >>
Li squadrò attentamente. << L’umano non può ottenere nulla gratuitamente… ogni cosa necessita di un sacrificio, di una rinuncia… >>
<< Cosa intendi? >> chiese Edward.
Gelo gli inchiodò il suo sguardo arcigno. << Intendo che io sono pronto a compiere la mia rinuncia… ora ditemi. Ve lo ripeterò solo una volta >> . Prese una pausa. << Cosa avete intenzione di fare… Mi denuncerete, oppure rinuncerete al vostro insensato e balordo senso di giustizia e vi unirete al Red Ribbon? >>
Edward e Hilary non ebbero esitazioni. Si scambiarono un’unica occhiata, annuendo.
Lo scienziato osservò i loro occhi, fermamente determinati e segni della loro intrepida gagliardia.
La donna aprì e richiuse la mano con forza, meglio puntando l’arma. << Gelo Jefferson >> annunciò con solennità. << Ti dichiaro in arresto >> .

Questi si sentì fulminato. La mano tremò, ma subito chiuse gli occhi e portò al sicuro la sua pistola dentro la tasca dei pantaloni. << E’ la vostra ultima parola? >> domandò in tono pacato.
In risposta, Edward cominciò ad avvicinarglisi, estraendo un paio di manette dalla tasca.
Gelo strinse il pugno della mano sinistra con odio. “Come osate… come vi permettete… Stupidi, l’avete deciso voi” .
Edward gli si fermò di fianco.
Senza minimamente calcolare il poliziotto, tese in avanti il braccio destro, spalancando la mano. << Io non credo proprio, cocchina >> sibilò, con una perfidia colma di stizza maggiore a quella che può caratterizzare un serpente quando si avventa sulla sua preda.
La donna non fece in tempo a reagire al significato di quelle parole che venne colpita in pieno da un colpo d’aura di inverosimile velocità.
<< Hilary! >> fu il grido disperato del marito. Ma l’agilità di Gelo non concedeva distrazioni.
L’uomo era ancora immobile che si sentì afferrare il polso ferocemente; Gelo lo tirò a sé torcendolo, lo lasciò, e con la stessa mano sferrò un pugno nello stomaco di eguale furia. Edward provò a difendersi, ma inutilmente; per il dolore aprì involontariamente le mani, ma fece appena in tempo che le manette, iniziando a scivolare, vennero polverizzate.
<< E ora mi posso occupare di te >> avvertì Gelo con la mano spalancata.

Hilary si ritrovava pesantemente seduta sul pavimento, con la schiena abbandonata sul muro tridimensionale. Si sarebbe ritrovata completamente supina, se non fosse stato per la presenza dell’insolita barriera la quale le aveva parato la caduta, arrestandola in quella posizione. Del sangue le colava dalla bocca, mentre filamenti corvini le scivolavano davanti il volto.
“Tesoro!” pensò Edward, cercando di liberarsi dalla morsa del nemico. Quello caricò biecamente un altro pugno, ma l’uomo non pensava a sé, rivolgeva tutte le sue preoccupazioni alla moglie. “Ti prego, alzati!” la implorò.
Fu allora che successe. Durò tutto in un istante.
Quasi a voler esaudire la preghiera del marito, Hilary sorrise.
Da seduta che era, scattò indietro con flessibile turbinio del corpo e fiondò un vorticoso raggio di puro, violento ki concentrato in spire sullo strambo macchinario. L’esplosione fu devastante.
Con i capelli argentei svolazzanti a causa dell’onda d’urto, Gelo curvò il capo con gli occhi sgranati. Dalla sua bocca stava quasi per dileguarsi un disperato grido di rabbia, ma il pugno di Edward fu più veloce. Il giovane uomo colpì lo scienziato con forza, costringendolo a lasciare la presa.
Gelo saltò indietro. Esaminò con la vista l’origine dell’esplosione. << Non può essere… >> mormorò.
La sottile coltre di fumo non tardò a diramarsi in ogni direzione; del fuoco bruciava sulle macerie del macchinario.
Lo schermo tridimensionale che ricopriva l’intera lunghezza di una parete per un solo secondo si fece totalmente visibile, vibrando a scosse e sgretolandosi infine in polvere luminosa.
Senza perdere tempo, Hilary ruggì con la vigoria di una belva in piena savana. Si scagliò verso l’apertura dell’ascensore, ricoprendola di sfere d’aura dorata.
A Gelo tremarono le ginocchia, ma immediatamente recuperò la stabilità per slanciarsi su di essa. Sfortunatamente per lui, venne afferrato per il braccio.
<< Ma… >>> si girò, e ricevette una dura ginocchiata nello stomaco. Spalancando la bocca, fissò con odio Edward.
Hilary colse l’occasione. Per tutta la stanza risuonò prepotente il suono di vetri rotti che si infrangevano tra di loro; presto seguì un’altra esplosione, e a quel punto la base dell’ascensore non resse più.
<< NO!!!! >> urlò terribilmente Gelo. Si divincolò, evitando un colpo di Edward saltando di lato, e nuovamente provò ad avventarsi sulla donna.
Stavolta Edward gli si parò davanti. << AHH!!! >> urlò questi a gambe divaricate e con le mani adiacenti a creare un’unica potente sfera d’energia, che colpì il dottore in pieno petto.
Fu così che i due ingaggiarono un violento scontro, durante il quale Gelo assumeva un’espressione sempre più spaventosa, mentre Edward cercava di prendere tempo, permettendo alla moglie di raggiungere il laboratorio.


Con impavido ruggito, Hilary si gettò nel vuoto dall’apertura appena forgiata, decollando con audacia nel buio e distruggendo con violenti colpi d’aura i vari ostacoli che trovava. Ad esempio, i tubi che guidavano la discesa dell’ascensore, immaginava.
Assieme ad altre piccole macerie, i suoi piedi toccarono finalmente terra. Si manteneva cauta, controllando i propri piccoli passi. Tossì, e solo allora si strofinò il braccio sulla bocca levandosi quel sangue di torno. Trovò un interruttore. Accese la luce.
<< Eccomi qua… >> esclamò con soddisfazione, guardandosi intorno << …nel laboratorio sotterraneo di Gelo! >>
















Il prossimo capitolo costituirà la conclusione di questa micro-sequenza incentrata su Hilary e Edward :)
Cosa succederà? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come sempre grazie mille a Luu per le recensioni :3 :D :D :D

Bene, allora tanti saluti, e appuntamento al prossimo capitolo "Edward e Hilary: la conclusione - Parte Terza" !!!! :) :) ;) ;)

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Edward e Hilary: la conclusione - Parte Terza ***


Assieme ad altre piccole macerie, i piedi di Hilary toccarono finalmente terra.
Si manteneva cauta, controllando i propri piccoli passi. Tossì, e solo allora si strofinò il braccio sulla bocca levandosi il sangue di torno. Trovato un interruttore, accese la luce. << Eccomi qua… >> esclamò con soddisfazione << …nel laboratorio sotterraneo di Gelo! >>
Si guardò intorno. Sul soffitto correvano doppie copie di lampade al neon, sovrastanti una gran quantità di oggetti quanto più vari disseminati, con rigidissimo ordine, in una stanza di pianta rettangolare. I mobili erano stracolmi, e al centro un’ampia tavolata dalla forma quadrata doveva essere il tavolo di lavoro principale, coperto da lampade di varie dimensioni, squadre, fogli di disegno tecnico o di appunti, coperti alle volte dal peso di cacciaviti o insoliti congegni elettrici.
Vi era anche un altro tavolo da lavoro, rivolto verso il muro e, poiché delimitato da più ripiani in legno, pareva che fosse nascosto. Era piccolo, ma ugualmente non passò inosservato alla corvina: sulla parete era impressa l’immagine di un fiocco rosso geometrizzato: il simbolo dell’Esercito del Red Ribbon. Strinse i pugni. Si voltò, per non provare ancora più ribrezzo.

Ciò che maggiormente attirò l’attenzione di Hilary fu uno smisurato telone scuro che andava a ricoprire l’intera lunghezza di una parete, ovvero quella antistante l’ingresso. E il laboratorio era ampio, più di quanto si aspettasse, dunque anche solo una parete aveva una certa sua lunghezza. Le venne in groppo in gola. Tutto quel velame così inquietante… non poteva che nascondere il maggior motivo di orgoglio di Gelo, le sue creazioni per lui così brillanti e stupefacenti… Il tonfo dei bassi tacchi della donna risuonavano nel laboratorio, mentre con estrema circospezione si posizionò davanti al telaio.
“Ora che Gelo sta cercando di fermarci non abbiamo il benché minimo tempo per ragionare sulla pericolosità degli androidi e solo di conseguenza agire” rifletté. “Gelo non vuole assolutamente che ci avviciniamo a loro… Potrebbe aver paura di vedere i robot danneggiati, ma mi riesce difficile pensare che veramente possiamo distruggerli…” Prese un respiro. “Bé, proviamoci!”
E immediatamente le venne in mente la figura di quell’uomo misterioso che la sera prima aveva probabilmente tentato di scippare Susan e, non essendoci riuscito, aveva attaccato l’intero loro gruppo... il quale inoltre, secondo le ipotesi del marito, doveva essere un androide.
“Se si tratta di un androide lo troverò” pensò, e senza indugiare oltre tirò a sé l’estremità del drappo e scattando il braccio a sinistra lo fece interamente scivolare giù, creando un torbido manto di vellutato tessuto tenebrosamente disteso sul pavimento.

I colpi dello scontro al piano di sopra si facevano sentire, e non facevano altro che accentuare l’agitazione della donna.
Davanti a lei si susseguivano varie celle, disposte orizzontalmente e appoggiate alla parete in modo tale da risultare ritte in piedi. Erano numerose, e siccome l’intera facciata della stanza non bastava ad ospitarle tutte talune, anche se poche, correvano anche al di là dell’angolo della parete. Non avrebbero potuto essere più simili a delle tombe da cimitero, francamente; differivano solamente per un eclatante elemento, ovvero per una specie di oblò che si affacciava al livello del volto.
Sgranò gli occhi. L’uomo che la sera prima li aveva attaccati era lì, all’interno di una di quelle casse bianche. Capelli lisci che scivolavano oltre le spalle, di color bianco/argenteo. Aveva gli occhi chiusi e quindi reso innocuo da un sonno profondo; Hilary si chiese se gli androidi potessero effettivamente dormire. Probabilmente in quelle celle sì, o dovevano essere in uno stato comunque simile al sonno.
Poggiò la mano sul ristretto finestrino circolare. << Era un androide… >> disse tra sé e sé, con orrore. << Con ogni probabilità se non ci fosse stato Gelo ci avrebbe ucciso ... >> Il suo scetticismo fuso a mestizia aumentava sempre più.
Le celle, chiamiamole così, erano ordinatamente numerate, e su ognuna di esse era impresso a chiari caratteri il corrispondente numero. Forse ciascun androide portava come “nome” il semplice numero di fabbricazione… e chissà che non ce ne fossero ancora altri, magari in qualche altro laboratorio sconosciuto.

Divaricò l’apertura tra le dita. << Il mio compito è quello di distruggervi tutti >> cominciò, mentre nel palmo della mano si raccolse una patina di energia fluida. Dal piano di sopra, si udiva vagamente la confusione dello scontro.
“Potrebbe essere improbabile che siamo in grado di distruggerli con le nostre sole forze… Così avevamo pensato di utilizzare una qualche bomba potentissima, tuttavia ciò avrebbe potuto rivelarsi pericoloso; in fondo qui sopra ci sono anche le nostre case…” La sfera di energia manifestata sulla sua mano si fece di scatto più imponente; da essa esalava una luce straordinaria, che pareva quasi assorbire tutta la calda luminosità circostante. << Quindi, quale cosa migliore di un’esplosione potentissima, ma da personalmente controllata, con un colpo alla massima potenza??? >> esclamò. << Da questa distanza non mi sfuggirai… addio mostro!!! >> ruggì.
Sferrò l’attacco. In quel preciso istante ogni rumore, ogni suono prodotto dallo scontro venne meno; dal piano di sopra calò il silenzio.
Hilary spalancò gli occhi.

     Boom!!!

L’esplosione fu violenta, una raffica impetuosa di aria squarciò la leggera cortina di polvere che timidamente aleggiava nell’aria.
La donna indietreggiò, ansimando. Guardò dinanzi a sé, e vide esattamente ciò che temeva. Quel colpo non era stato particolarmente forte, e così il rivestimento della cella non era stato minimamente scalfito.
Si portò la mano fra i capelli. Era stata distratta da quell’improvviso silenzio e così il colpo non era stato forte come sperava, questo era vero, eppure non poteva nemmeno dire che fosse stato debole. Quelle capsule dovevano essere incredibilmente resistenti a qualsiasi tipo di attacco. “Ed… cosa è successo…” pensò, ma non riuscì a immaginare oltre.
Si risolvette di passare a un altro androide: forse proprio l’unico che già conosceva poteva metterla in soggezione. Fissò i tacchi sul terreno, posizionandosi di fronte a un diverso androide al di là dell'angolo, e unì i polsi.
Prima di attaccare, scrutò l’interno. Una goccia di sudore le colò lungo la guancia. L’androide era spaventoso, ancor più di quello precedente, e il suo aspetto non poteva certo aiutarla a tranquillizzarsi. Decise di fare in fretta. Dalle sue mani comparve un’unica sfera tondeggiante, molto più forte di quella di prima. << Non importa come mi sentirò dopo questo attacco, ma io vi distruggerò tutti! >> ringhiò ferocemente.
La sfera si ampliò a dismisura, colorandosi di un deciso giallo incandescente.<< Userò tutta la forza che ho in corpo! Addio, luridi mostri!!! >>
<< Non dovresti esserne così sicura, sciocca! >> urlò una voce proveniente da dietro.
Dalla stessa apertura da poco forgiatasi da cui era fuoriuscita Hilary, un uomo dai mossi capelli argentati sfrecciò nell’aria in direzione della corvina: era Gelo. La donna non fece in tempo a voltarsi, che venne sbalzata violentemente sul cofano. Sputò gocce di sangue sul vetro dell’oblò. I piedi dello scienziato si posarono finalmente sul pavimento.
<< G-Gelo… tu… >> mormorò la corvina, voltandosi lentamente con una mano ancora poggiata sulla cella. << Cosa hai fatto a Ed?!? >>

Nello studio di Gelo, l'uomo giaceva inerme sul pavimento. Dal fianco sinistro colava del sangue. Era immobile.

Gelo ridacchiò. << Chissà… >> rispose con un ghigno divertito dipinto in volto. << Ma sta tranquilla… presto lo raggiungerai! >> E così dicendo, si scaraventò sulla donna.
Fortunatamente questa più agile di lui, e si scansò a destra appena in tempo per evitare un pugno in pieno volto.
Lo scienziato si ritrovò con il viso davanti a quello dell’androide. “Ciao, mio caro” pensò, con un orgoglioso sorriso.
“Fa sul serio” si disse la donna, spaventata. Indietreggiando prontamente verso il centro dell'ambiente, fletté il braccio davanti all’uomo e gli indirizzò un’effimera scarica di colpi.
<< Oh… abile… ma non servirà >> commentò l’avversario, il quale aveva imitato la corvina spostandosi anch'esso a destra e così poté schivarli tutti con flessibilità.
Sul volto di Hilary si dipinse un sorriso furbesco. “Stupido!” pensò, e immediatamente roteò i polsi e la scarica di colpi si rivolse tutta sulla fila delle cabine.
Gelo non tardò a bloccarla, e presto fu colpita di getto da un fascio di energia. << Ah! >> gemette, venendo scagliata indietro.
Si rese conto in tempo che sarebbe rovinosamente precipitata sul tavolo centrale, e così balzando debolmente poté sfrecciare lungo la tavolata mantenendosi sospesa solo con una mano la quale strisciava procreando scintille; quindi si gettò ulteriormente indietro e dopo una capriola nel vuoto arrivò accovacciata per terra. Si rialzò, fissando il nemico. Da più punti della mano e, progredendo verso l’alto, persino da parte del braccio, colava del sangue. Il tavolo straripava di aggeggi vari, anche taglienti, e quindi scivolandovi sopra si era guadagnata più tagli.
Chiuse a pugno tale mano. << Non mi hai risposto… >> disse con sguardo distante. << Che cosa hai fatto a mio marito??? >> La sua voce era quasi incrina alle lacrime.
Gelo ghignò. << Lo scoprirai presto! >> esclamò, avventandosele contro spiccando un balzo al di sopra del tavolo.
Questa non fece in tempo a spalancare gli occhi che si trovò un pugno affondato nello stomaco. L’uomo la colpì ripetutamente, dapprima sulla guancia sinistra e poi su quella destra, facendola regredire verso l'altra estremità dello schieramento di robot e quasi capitombolare per terra, ma la corvina si paralizzò ritrovandosi la mano del nemico ben piazzata sul suo ventre. << Addio, mia cara >> salutò lo scienziato.
Hilary sgranò gli occhi: fissava il volto di Gelo… o meglio, in quella direzione, ma la sua vista pareva esser lontana…
<< Uccidimi allora! >> urlò all’improvviso. << Se hai il coraggio di eliminare me, cosa farai a tua moglie… a tuo figlio?!? >> La sua voce era frenetica, per qualche motivo particolarmente concitata… << Ti importa qualcosa di tuo figlio? Oppure è solo un imprevisto nella tua vita da scienziato??? >>
L’uomo divenne furibondo. << Come osi? >> balbettò. << Come osi, pazza?!? >>
     Successe tutto in un istante. Un braccio nudo si attorcigliò attorno al suo collo, e la donna ne approfittò per scattare indietro.
<< Rimani immobile >> sussurrò in tono minaccioso l’uomo che lo stava strangolando.
Gelo ebbe un tremito: quella voce, no, non era possibile… Ecco perché la donna aveva improvvisamente alzato il tono della voce, per coprire i suoi passi… << Edward! >> esclamò.
Il biondo sorrise. << Adesso, Hilary! >>
La corvina strizzò gli occhi per ricacciare indietro le lacrime di sollievo, e si concentrò per raccogliere quanta più energia possibile. Fletté le dita, e una scarica di rapidissima efferatezza di colpi d’aura si schiantò sulle celle degli androidi.
Hilary avrebbe colpito prevalentemente una cassa alla volta, al fine di eliminare per sempre quei robot, mentre Edward avrebbe tenuto occupato lo scienziato: questo era il loro piano appena improvvisato.
Ma Gelo alla vista di tale scempio fu pronto ad agire: si ricoprì il corpo di uno strato d’aura e, imprimendo a questo una maggiore forza, con fragore si liberò dalla presa, e guizzò posteriormente con l'intento di rispondere agli attacchi della donna.
Edward aveva previsto ogni cosa, e lesto spiccò un balzo addietro. Gelo ne rimase sorpreso: si sarebbe aspettato di veder l'uomo pararsi al fianco della moglie dandole man forte, ma invece questi si posizionò dinanzi alla parete laterale. In questa frazione di secondo notò anche che il biondo assunse per poco un’espressione dolorante: gli faceva ancora male il fianco.
<< Gelo >> chiamò egli, per assicurarsi che rimanesse in quella postazione. Puntò il braccio in avanti, e ferocemente un’ampia fascia di aura si gettò verso l’uomo; quest’ultimo sgranò gli occhi. “Ho capito… stupenda strategia!” esclamò in pensiero e, unica cosa che poteva fare, rispose a quel colpo con un’onda di eguale potenza.


Tutto ciò era successo in pochissimi attimi, e col fiato grosso solo allora Gelo poté soffermarsi ad osservare Edward.
La camicia era aperta, rivelando a livello dell’addome una fasciatura improvvisata al fine di perlomeno controllare la fuoriuscita di sangue dal fianco sinistro; inoltre il braccio destro era nudo, e questo voleva significare che aveva creato una veloce fasciatura utilizzando la manica destra. “Come pensavo, quindi non era morto…” disse Gelo.
Lui e Edward adesso si trovavano ai lati opposti del tavolo centrale, mentre la donna, a distanza di sicurezza da Gelo ma non troppo lontana, attaccava furiosamente i macchinari con gli androidi dentro.
<< Tsk! >> borbottò lo scienziato, incrementando la pressione contenuta nel suo colpo, ma il nemico rispose attuando un’egual misura.
Le loro onde si scontravano con crepitii furenti, mentre le scosse causate dalla donna provocavano non meno fracasso.
<< Sei finito! >> urlò Edward.
<< Mai… >> replicò lo scienziato. Non sapeva cosa fare, i suoi avversari erano stati incredibilmente astuti.
Analizzò rapidamente la situazione. Loro due erano in posizioni opposte rispetto al tavolo da lavoro, questo era vero, tuttavia non erano esattamente l’uno dinanzi all’altro. Immaginando una linea retta, si trovavano quasi agli estremi di una diagonale, e lo scienziato dava le spalle… “Agli androidi!” esclamò. “Ora non posso voltarmi totalmente o verrò sopraffatto dal colpo di Edward, ma approssimativamente dietro di me deve esserci… quell’androide…” Adesso cominciava ad agitarsi sul serio. “E lui è lo stesso obiettivo di Hilary! Sta cercando di colpire un po’ tutti, ma ovviamente vorrà concentrare la sua forza solo su uno alla volta… Li vogliono distruggere tutti!”
La situazione stava precipitando. I suoi avversari dovevano aver accuratamente premeditato di bloccarlo in quella posizione… Se avesse schivato l’onda di energia proveniente dal palmo di Edward essa si sarebbe infranta sull’androide. Nemmeno Gelo poteva sapere se in questa maniera il robot avrebbe subito danni oppure no, né tantomeno la loro gravità in caso affermativo, ma non poteva certo rischiare.
Pertanto, vedendosi arrivare il colpo, avrebbe potuto pararlo: tuttavia esso sembrava di grande potenza, ed era probabile che non vi sarebbe riuscito.
Il farsi colpire in pieno era naturalmente un’opzione da scartare, e non poteva neanche provare a farla rimbalzare: avrebbe colpito un punto a caso del laboratorio, e i danni avrebbero potuto essere eccessivamente ingenti.
L’unica alternativa era controbattere, con tutti i rischi che ne seguivano: se non fosse riuscito a prevalere su Edward, avrebbe infatti ricevuto ben due onde d’aura in pieno. Ma questo era un rischio che correva anche il biondo.
“Deve essere molto sicuro di sé, ma è strano… Non è da lui dimostrare tanta sicurezza…” Quando si rese conto che era impossibile.
Edward aveva subito un grave colpo al fianco, e di conseguenza era debole, non avrebbe mai potuto fare così tanto affidamento sulla sua forza. Quindi doveva necessariamente esserci dell’altro… Gelo trasalì. I suoi occhi spalancati fissarono Edward, anzi… la parete dietro di lui...!

     Sconvolgenti immagini scivolarono disarmate nella mente dello scienziato, senza potersi fermare…
Era successo proprio pochi giorni prima… Quando, per accontentare i bambini, i due uomini costruirono il tunnel lo realizzarono a mano, e non col ki, perché questo avrebbe potuto causare danni a una struttura sotterranea di cui tutti conoscevano l’esistenza, ma senza sapere precisamente come entare… un locale confinante con il tunnel…

Edward sorrise. << Hai capito Gelo? >>
Questi tentò terrorizzato di diminuire considerevolmente l’energia contenuta nel suo colpo, ma ormai era troppo tardi.
Alla sua sinistra, Hilary formò nelle sue mani una notevole quanto tenebrosa sfera che si librò in aria assumendo una forma ellittica, e la scagliò sulla cella sua bersaglia.
Contemporaneamente, Edward si gettò di lato, e mentre il fascio d’aura da lui forgiato si disgregò osservò l’onda proveniente da Gelo dirigersi con impetuosa forza verso la parete alle sue spalle. Accadde tutto nel medesimo istante.

     Boom!

Ora, immagino non abbiate mai udito l’assurdo fracasso che si viene a formare quando un macchinario si frantuma proprio nell’attimo in cui una certa porzione di parete si tramuta in ammasso di macerie. Bé, proviamo ad immaginarlo.
Nell’aria si era immediatamente costruito un traffico di polvere e terra che, non essendo sorvegliato da alcun vigile, era a dir poco incontrollabile. Edward tossì, scrutando difficoltosamente il varco aperto nella parete. “Scusate piccoli” pensò. “Ma non avevo altra scelta”.
<< Ce l’ho fatta, l’ho distrutto? >> disse la corvina, parandosi dalla polvere aleggiante nell’aria.
Gelo scattò dinanzi alla cella ora distrutta. Squadrò con l’animo devastato tutto quello che rimaneva di essa: adesso non esisteva più niente. << No! >> gridò, senza vedere niente a causa della coltre di fumo, o polvere, oppure terra. << No, che avete fatt… >> ma si bloccò quando, agitando le mani pieno di collera, toccò qualcosa.
Stava toccando un qualcosa all’interno della cella e, improvvisamente, quel qualcosa si mosse. Gelo ritrasse la mano, e dapprima ridacchiò, per poi sfociare in una risata convulsa.
<< Poveri sciocchi, vi è andata male! Pensavate di distruggerlo, invece… è più resistente di quel che pensassi! >>
“Cosa?” pensò Edward, ma ciò che vide gli fece comprendere ciò che stava succedendo.

Nell’oscurità della coltre, due piccoli fari rossi si accesero lentamente. Erano di una tonalità incandescente. Hilary si portò la mano alla bocca: erano gli occhi dell’androide. Scattò indietro, ponendosi al fianco di Edward.
<< E’ inutile che scappate… >> disse Gelo, con un’eccitazione che non aveva mai provato prima in vita sua. << Anzi, vi devo ringraziare… è la prima volta che lo uso, state assistendo alla sua attivaz… >>
Un sottilissimo raggio corse su tutto il pavimento, e nella sua morsa omicida non ebbe esitazioni a spezzare in due il tavolo da lavoro centrale.
Gelo sgranò gli occhi. << Che diavolo… >> e si voltò verso l’androide al suo fianco, notando un dito massiccio portato in avanti. << Fermati immediatamente! >> ordinò lo scienziato.
Il robot si paralizzò, e i fari cremisi degli occhi si riaccesero, dopo essere stati spenti per qualche secondo.
<< Non l’abbiamo distrutto… l’abbiamo svegliato! >> mormorò incredulo Edward.
La corvina si portò una mano fra i capelli. << E’ colpa mia, è colpa mia… >>
<< Hilary >> le disse il marito. << Abbiamo deciso insieme di agire in questa maniera se le cose sarebbero peggiorate, e noi non potevamo prevederlo. Ora… >> prese una pausa << non possiamo affrontare quell’androide così. Le migliori armi che abbiamo sono nella nostra camera >> .
I due si guardarono in volto. Annuirono. Rapidi come felini, scattarono indietro varcando l’apertura che dava sul tunnel e cominciarono a correre in direzione di casa loro.
Gelo si fece avanti. << Corri! >> ordinò all’androide. << Non lasciamoli scappare!!! >>
Il rosso degli occhi metallici si fece più intenso. L’androide si scaraventò in avanti, fuoriuscendo dalla coltre di fumo che lo ricopriva e apparendo per la prima volta alla vista del suo creatore.

L’androide si slanciò nel tunnel, affondando i piedi nel terreno. Per alcuni attimi, solamente per pochi, dai suoi occhi scomparve qualunque traccia di odio cremisi; gli occhi ora azzurri si guardarono intorno. Si vide al centro di un tunnel, e sulle pareti si affacciavano alcuni quadri di dolce vita familiare… Prese in mano un dipinto che nell’esplosione doveva essere caduto per terra, risistemandolo sulla parete. Era raffigurato l’esterno di una casa, e malgrado vedesse solo piatti muri e immobili piante nel giardino riusciva a percepire uno strano flusso, quasi come se quella casa fosse rifugio di splendida serenità e giubilante spensieratezza.
Ebbe un tremito. I suoi occhi erano nuovamente rossi. Ricominciò a correre.

I coniugi Logan si trovavano già lungo le scale che portavano al secondo piano di casa loro quando udirono pesanti passi che si avvicinavano furiosamente.
Edward aveva il cellulare all’orecchio, tentando disperatamente di telefonare al commissario. << Dannazione, non c’è campo! >> sbraitò; seguì la moglie nella loro camera da letto.
Prima di qualunque altra cosa, Hilary gli poggiò delicatamente le mani sulle guance. << Oh amore… ma che ti è successo? A un certo punto ho temuto che Gelo ti avesse… >>
Ma l’uomo la zittì donandole un bacio passionale sulle labbra. << Non parlare >> sussurrò, continuando a elargirle dolcissimi baci. << Mi aveva sferrato un colpo d’aura molto potente, ferendomi al fianco, ma come vedi sono riuscito a farmi questa fasciatura… Tu, piuttosto, come stai? >> le chiese, appoggiando la fronte su quella della donna.
Quella sorrise. << Come… Prima mi dici di non parlare, e adesso sei tu a fare le domande? >> Prese un respiro sfinito. << Io sto bene… Voglio che tu sappia una cosa >> disse improvvisamente. << Ti sarò sempre grata per avermi donato due figli così preziosi, Ed >> .
    
Lungo le scale un uomo correva frettolosamente. Estrasse un piccolo telecomando, e un raggio dalle sembianze di gelatina semitrasparente si schiantò sull’entrata della camera.

Edward le passò le mani tra i capelli. << Sono io che ti devo ringraziare, amore. Grazie di tutto >> mormorò. Le loro labbra si incontrarono nuovamente con infinita dolcezza.
La maniglia vibrò. Si ritirarono. La porta si aprì pesantemente. << La vostra corsa finisce qui... Edward, Hilary… >> disse in tono amareggiato Gelo.
Si fece strada nella camera, per permettere all’androide di entrare. A passi lenti esso fece il suo ingresso, con gli occhi ancora rossi, e fu allora che i due poliziotti lo poterono osservare. Sgranarono gli occhi: era terribilmente spaventoso. La prima cosa che notarono fu la notevole mole.
Il dottor Gelo inizio a sorridere, poi sul volto si dipinse un’espressione estasiata, che si evolse in riso convulso. << Meraviglioso… >> disse chinando il capo e in tono eccitato. << Non sapevo quando attivarlo per la prima volta, e voi mi avete fornito un’occasione… Vi devo proprio ringraziare >> .
Edward deglutì. << Gelo, tu… quanti androidi hai costruito? >> Lo scienziato puntò lo sguardo su di lui. << Bè, tutti quelli che avete visto nel laboratorio! E questa è la mia più recente creazione… >>
Hilary squadrò sconvolta l’androide. Indossava un’armatura verde, e il terrore che suscitava l’aspetto non era certo sminuito dai capelli arancioni in stile punk, culmine dell’acceso colore infuso dagli occhi totalmente rossi. Sull’armatura era distinguibile il simbolo del Red Ribbon.
<< Vi presento il mio androide più potente… >> esclamò con fierezza lo scienziato. << C – 16 !!!!! >>


Il vento batteva forte sulla persiana semiaperta della finestra, dalla quale traspariva il freddo chiarore della Luna.
Lo scienziato cercò di prendere un profondo respiro, e con fare deciso chiuse la porta a chiave. << Ora non avete vie di fuga >> disse, infilandosi la chiave in tasca. << Non riuscirete a fuggire dalla finestra, e se cercherete di aprirvi una via di fuga come avete fatto nel laboratorio… sarà peggio per voi >> .
<< Come hai potuto… >> iniziò Edward. << Come hai potuto mentire a tutti??? >>
Gelo cercò di mantenersi calmo. << Non ho intenzione di ascoltare ulteriori insinuazioni su presunti crimini del Red Ribbon >> .
<< Presunti? >> ripeté l’uomo. << E allora cosa fa la tua organizzazione, il bene della comunità? Non vedi >> e indicò l’androide << che questa macchina ne è solo un esempio? >> Sussultò. << A proposito… era da un po’ che te lo volevo chiedere. Gelo, quel ladro che ieri sera ci ha aggrediti per strada, che poi è misteriosamente sparito…Tu lo conoscevi, non è vero? >>
Passarono istanti di silenzio. << Se lo conoscevo, dici? >> rispose Gelo con un sorriso maligno. << Ovvio… era il mio androide numero 13! >>
“Era veramente un androide!” pensò Hilary, e fulmineamente un interrogativo le sorse in mente. << Perché ci ha attaccati? Che ci faceva un tuo androide in giro in quella maniera… I vari furti ed episodi simili in città, in questi giorni, quindi… >>
<< Esatto >> confermò Gelo. << E’ tutta opera delle mie creature. Ve l’ho detto, C – 16 è l’ultimo che ho costruito, ma anche i numeri 13, 14 e 15 sono relativamente recenti. Per testarli impartivo loro dei semplici ordini, e piccoli furti qua e là mi è sembrata l’opzione migliore: in questa maniera verificavo se effettivamente obbedivano a dei miei precisi ordini, e anche la loro forza o velocità >> .
Guardò Edward. << Se C – 13 ti avesse colpito con forza, a causa dell’impatto dubito che ti saresti reso conto di avere di fronte un androide; ma ieri sera egli ha inaspettatamente visto me, il suo padrone, e tu hai approfittato di quel momento di esitazione per colpirlo. Al contatto, visto la tua inferiorità in termini di forza rispetto a lui, non hai potuto arrecargli alcun danno, ma ti sei accorto che non sembrava la pelle di una persona umana…
Così avete iniziato a sospettare che fosse un robot, e di conseguenza di me: ecco spiegato il vostro leggerissimo atteggiamento di distacco quando stamattina abbiamo mostrato il tunnel ai bambini. Ho indovinato? >>
Edward esitò, non sapendo cosa rispondere, e lo scienziato riprese indisturbato. << Sì, direi che ho indovinato. E a confermare i vostri timori >> prese una pausa << è stata la mail del vostro collega, ma di questo ne abbiamo già parlato. Ah già, non ve l’avevo detto… ovviamente ho appena provveduto a isolare acusticamente anche questa stanza, come ho fatto per il mio studio… quindi siamo completamente soli >> .
Hilary fissò la coppia di nemici che si trovava davanti. Cosa potevano fare? << Hai detto che la tua invenzione… quella a forma di telecomando, ha tre funzioni, di cui una è questa. Quali sono le altre due? >>
Gelo assunse un’aria compiaciuta. << La prima la conoscete. Anche per quanto riguarda la seconda certamente conoscerete già l’effetto… Manda in tilt per una settimana tutti i campi magnetici delle vicinanze; questo vuol dire che quando avrete tentato di telefonare a qualcuno stanotte stranamente non ci sarà stato campo >> .
Edward strinse il pugno. << Tu… >>
<< E infine >> spiegò il dottore << mi permette anche di teletrasportarmi là dove si trova l’apposito congegno. Secondo voi… >> chiese, orgoglioso delle sue invenzioni << come ho fatto a trovarmi già in casa quando voi siete arrivati? E’ semplice. Dovete sapere che nel mio studio ho depositato un mio brillante congegno che mi dà la possibilità di teletrasportarmi dove voglio, basta inserire delle apposite coordinate. E a rigor di logica… con l’apposito strumento puoi anche ritornare indietro. Ho costruito vari piccoli telecomandi che permettono esclusivamente di ritornare indietro… >>
Il volto parve pensieroso. “Di recente ne ho smarriti tre. Vorrà dire che li ho dati a 13, 14 e 15, ecco perché non li trovo”. << Ma per me >> riprese a esplicare << basta il congegno di tripla funzione per poter tornare indietro all’istante. Ecco come ho fatto >> .
Hilary indietreggiò. << Vuol dire che mentre eri in macchina ti sei teletrasportato a casa tua. E il tuo caro veicolo? Non mi dire che l’hai lasciato per strada così... Se ci farai qualcosa la polizia noterà che la tua auto era vuota, mentre tu chissà dov’eri >> .
Gelo scosse la testa. << Ho istallato io personalmente delle apparecchiature particolari nella mia preziosa vettura, ed è bastato digitare le adeguate coordinate sul display e inserire la guida automatica per far sì che uscisse dalla città, andando dove nessuno la può vedere. Si fermerà davanti a un casolare abbandonato, è vero, ma se prima qualcuno in città la noterà penserà che io mi stia dirigendo al lavoro, senza sapere che in realtà la macchina è vuota. Ho pensato a tutto >> concluse << anche alle misure che avrei preferito non utilizzare. Quando mi servirà… disporrò anche di un alibi >> .
Edward sgranò gli occhi. << Alibi? Non vorrai… >>
Gelo tese il braccio verso di lui, scrutandolo dalle fessure tra le dita. << Ve lo chiederò un’ultima volta. Continuerete a seguire la vostra insulsa idea di giustizia, oppure vi unirete al Red Ribbon? Non disporrete di una via di mezzo, il doppio gioco non è consentito. Rispondete, e decidete della vostra vita >> .
L’uomo lo fissò torvo. << Quindi per te non valiamo niente… Siamo sempre stati delle nullità per te, noi e tutta la tua famiglia! >>
Lo scienziato inarcò le sopracciglia. << Allora lascia che vi spieghi una cosa… Voi per me >> rispose con solennità << siete degli importanti amici, e vi voglio bene. Inoltre, amo mia moglie, e mio figlio… >>
Essi rimasero interdetti. Quella sera si erano convinti del contrario, eppure adesso parlava con impressionante sincerità…
<< Tuttavia >> predicò Gelo, elevando il tono della voce e cominciando a gesticolare con frenesia << se tutti agissero solo per il proprio, e cieco tornaconto… >> prese una pausa. << Saremmo tutti uguali a lui !!! >>

 
In un istante fissò gli occhi irrequieti di Edward, nei quali vide lo specchio tormentato dei suoi… nei quali a sua volte incrociò lo sguardo di un bambino dolce.
     Era lo stesso di prima, ma stavolta lo vide meno offuscatamente. Indossava semplicemente una canottiera consumata e dei pantaloncini laceri, ed era scalzo. Nonostante la giovanissima età stava impugnando una zappa, e ripetutamente colpiva il terreno. Un urlo disperato si levò nell’aria: era una la voce di una donna. Il bambino corse.
Si trovava all’interno di una stanza, e davanti a lui due adulti.
Una donna distesa sul pavimento con le lacrime agli occhi. Un uomo dall’espressione inferocita.
Un tavolino in legno con alcuni piccoli pugnali. L’uomo giaceva sul pavimento immobile; il bambino tremava.
Le immagini saettavano scosse, ma non riuscivano ad essere spugnate dalla sua mente.
In un letto d’ospedale, dei medici coprirono con un velo bianco il corpo di una donna. Il bambino piangeva. Lacrime, disperazione, solitudine…
Un ampio gruppo di uomini. Costoro trovarono il bambino denutrito, e lo portarono con sé. Venne presentato titubante al loro capo. Questi sorrise. Da quel giorno tutto cambiò. Vestiti, solidarietà, ricchezza…
L’immagine ebbe un tremito violento. Apparve una ragazza circa ventenne, di bell’aspetto e tutta ben vestita. Era di fronte a un ragazzo suo coetaneo. << Piacere >> disse lei con un sorriso. << Il mio nome è Susan! >>
L’immagine cambiò ancora. Il medesimo ragazzo, cresciuto di qualche anno, camminava deciso verso un uomo non più di dieci anni più adulto di lui. << Ti ammiro per quel che hai fatto, hai avuto fegato >> gli aveva detto. Porse la mano all’uomo. << Io sono Gelo Jefferson. Molto piacere, Alphonse >> .

 
<< Voi non avete idea di cosa sia per me il Red Ribbon >> sbraitò Gelo, interrompendo bruscamente quella cascata di scene raffigurate nella mente. << Io amo il piccolo Kim, amo la mia famiglia… Amo i miei amici >> disse, consapevole che i suoi più intimi amici erano coloro con cui stava parlando.
<< Ma se verrò impedito da queste mie emozioni io non potrò più realizzare il mio progetto! Voi non capite che io mi sto sacrificando per l’intera umanità??? Anzi… >> Tese il braccio con maggior decisione. << Tutti al Red Ribbon ci stiamo sacrificando! Domineremo il mondo… ma solo per migliorarlo! Vi pare così tanto malvagio a tal punto da voler buttare via le vostre vite pur di fermarmi? >>
<< Gelo >> rispose Edward << ci sono altri modi per migliorare il mondo, imporre una dittatura non salverà nessuno >> .
<< Ma non sarà una dittatura >> replicò. << Tutti manterranno i propri diritti. E non solo… grazie alle mie tecnologie non ci sarà più povertà… quel male che in casi estremi rende pazzi… >> sussurrò, ripensando all’uomo che gli si era precedentemente raffigurato in mente. << Ma per creare tecnologie più potenti ho bisogno di soldi, e per questo il Red Ribbon si deve espandere >> .
Sospirò, afflitto. << No Hilary, è inutile che continui a indietreggiare. Credi veramente che io ti permetterò di scalfire me o C – 16 con quelle spade che tieni nascoste? >>
La corvina esitò. Ormai il loro destino era segnato.
Edward lo fissò. << Abbiamo deciso di entrare in polizia per seguire quella giustizia che tanto viene sopraffatta da organizzazioni come la tua… Noi non arretreremo, ma tu… tu puoi ancora... >>
<< C – 16, uccidili >> sibilò.
Il suo volto era amareggiato, ma anche furente e deciso.
L’androide fece un passo in avanti, e aprì le braccia chiudendo le mani a pugno ad eccezioni degli indici. Essi non fecero in tempo a scansarsi. Due saette di pallida energia viola si slanciarono puntando ai loro petti, quando avvenne qualcosa di inaspettato.
     C – 16 sgranò gli occhi, i quali si sbiadirono colorandosi di un gelido azzurro, e scattando i polsi fece deviare i raggi, che comunque colpirono di striscio gli adulti.
Hilary sbandò, essendo stata colpita al fianco, e dopo aver indietreggiato sbatté al muro scivolando seduta sul pavimento.
Il marito le si accostò. << Hilary, ti ha colpito? >> le domandò in apprensione.
<< Sì, ma tranquillo, sto bene… >> Ansimando e mantenendosi il fianco osservò l’androide.
“Cosa è successo?” si disse Gelo. << C – 16, che ti è preso? >>
Egli alzò lo sguardo sui due coniugi. Aveva gli occhi spaesati. << Io… che sto facendo? >> disse. << Non voglio ucciderli >> .

I presenti rimasero scioccati. Gelo non riusciva a crederci. Come poteva essere? Una sua creatura non solo gli stava disubbidendo, ma addirittura si rifiutava di uccidere?
<< Cosa stai dicendo? >> iniziò lo scienziato, in preda al panico. << Come osi disobbedire? Tu… tu sei solo un robot, solo una mia creazione, dovresti onorarmi, devi rispettare i miei ordini! Chi ti credi di essere?!? Tu sei… >>
<< diverso >> esclamò stupita la donna.
<< Come? >> ripeté lo scienziato. Era furioso. Quella situazione era insostenibile, e ora quel misero ammasso di latta e circuiti gli stava dando alla testa. << Come osi parlare in questo modo delle mie creature? Allora non capisci… non può essere diverso, non ha un cervello, è solo una stupida macchina! >>
<< Non ha un cervello umano, ma per parlare avrà una sorta di cervello, anche se fatto da circuiti >> osservò la corvina. << E dici che è stupido solo perché ti disobbedisce. Ma ciò dimostra che non è affatto stupido, anzi… è migliore degli altri! >>
Respirò affannosamente. << C – 16! >> chiamò.
L’androide la guardò con meraviglia. Osservò i due adulti chini sul pavimento… e nella sua mente di soli circuiti provò qualcosa. Era simile a un flusso che ti afferra dolcemente la mente e ti porta a guardare qualcuno con sentimenti diversi. Non poteva saperlo, ma stava provando ciò che gli umani chiamano gratitudine. L’immagine di quegli adulti non poté mai più rimuoverla dalla mente.
<< Hilary, che hai intenzione di fare? >> le chiese il marito.
Ebbe in risposta un sorriso stanco. << E’ l’ultima cosa che posso fare, Ed >> . Poi squadrò l’androide. << Sei C – 16, quindi? Ti… devo chiedere una cosa >> .
Esso la osservò. Essere chiamato per nome era una sensazione magnifica… e la donna lo aveva pronunciato con indescrivibile dolcezza. Eppure, c'era dell'altro... sì, riconobbe tutta la sua tristezza. Quella donna stava piangendo.
<< Ho bisogno che tu mi faccia una promessa! >> esclamò Hilary, con il volto rigato dallo scorrere impetuoso delle lacrime. << Fra poco immagino che tornerai sotto il controllo del tuo creatore, quindi non so se ti ricorderai ciò che sto per chiederti… Ma devi sapere che ho due figli, ed essere mamma è il più bel dono che la vita mi ha fatto! >>
Gelo l’osservava, senza interromperla.
Hilary singhiozzò. << C – 16, tu non sei come Gelo, o gli altri androidi, quindi lo posso chiedere solamente a te. Ti prego… ti scongiuro… >> Ebbe un altro singhiozzo. Edward le pose un braccio sulle spalle. La corvina alzò il volto, con gli occhi pieni di lacrime. << Proteggi i miei bambini!!! Sono la cosa più preziosa che ho, ti prego… proteggili! Non permettere che gli altri androidi facciano loro del male! >>
L’androide la scrutò con meraviglia. Iniziò a tremare. “Sento… la coscienza che se ne va” << Io… non so se… >>
<< Lo so, molto probabilmente non ne avrai la possibilità >> lo interruppe la corvina. << Ma sembri un tipo pacifico, e non sapevo a chi chiederlo. Nonostante tutto, ho bisogno che tu me lo prometta >> .
C – 16 si agitò pericolosamente. << Ma è impossibile! Io non potrò… >> Poi fissò attentamente lo sguardo implorante della povera donna, e gli occhi scongiuranti dell’uomo. Non voleva far loro del male, non voleva…
Tentò di sorridere. << Va bene, lo prometto >> .
Hilary sorrise. Purtroppo, non c’era più nient’altro che potesse fare. << Grazie >> mormorò.
Il sorriso di C – 16 scomparve. I suoi occhi tornarono cremisi per un istante, illuminandosi d’un tratto per stabilizzare infine il color del giaccio più freddo e spietato.
<< Ora è definitivamente sotto il suo controllo >> dedusse Edward. << Hilary >> disse, portando con dolcezza la mano fra i capelli della moglie e tirandola a sé. << Ti amo >> le sussurrò, regalandole un ultimo bacio.
<< Ti amo anch’io >> affermò la corvina, rispondendo al bacio.
C – 16 portò le braccia in avanti.
Tenendosi per mano, i due poliziotti si rialzarono.
<< Vedo che avete compreso >> esclamò freddamente lo scienziato.
<< Rinuncia… è a questo che ti riferisci? >> chiese Edward, stringendo la mano della moglie.
<< Esatto >> asserì Gelo. << Per il bene del Red Ribbon e del mondo intero sono pronto a rinunciare a tutto, anche ai miei amici più cari >> .
<< Allora preparati >> ringhiò con determinazione il giovane uomo. Nella mano libera di entrambi si raccolse una brillante quantità di aura, di un giallo che splendeva nel buio della notte, oscurata ancor di più dalla fitta pioggia che scivolava sulla città.
“Jason, Jodie… perdonateci se non vi abbiamo insegnato il ki… Forse avremmo dovuto, ma pensavamo fosse la cosa migliore per voi…” pensò il biondo.
“Perdonateci piccoli miei, vi amo tanto!” fu il pensiero della corvina. “Continueremo sempre a proteggervi… sempre!”
Con slancio deciso, si gettarono sul dottor Gelo, loro amico… loro nemico.
C – 16 al suo fianco concentrò l’aura sui polpastrelli degli indici schizzati in avanti.
     Il cielo continuava a piangere, e la pioggia ora imperversava sconvolta. La luna piena era di un’intensa luminosità, ma la sua disperazione attrasse a sé un pericolante cumulonembo che la segregò al di dietro della sua prepotente imponenza.
     Nonostante il tempo qualche festaiolo lì nelle vicinanze, in compagnia degli amici, iniziò a sparare dei botti nel cielo. Malgrado la pioggia, la speranza di festeggiare in allegria non era morta, era riuscita a prevalere. Del resto, quella era la magica notte del 24 Dicembre…
     I raggi dardeggiarono fulminei.
Gelo fissò il suo sguardo negli occhi dei due poliziotti. “Siete stati grandi amici, ed anche temibili avversari… Meritate una fine silenziosa e pulita. Addio” .
     I botti impetuosi scoppiarono nel cielo.
     Nella medesima strada, in Kori Steet, in una sinistra casa differenti botti esplosero.
I raggi di ki colpirono la parete alle spalle dei coniugi Logan. Colpo netto, preciso. Un punto leggermente a sinistra dei loro toraci aveva significato l’obiettivo da colpire.
Il punto centrale di quel delicatissimo organo era stato trafitto, e Edward e Hilary erano stati impietosamente trapassati ciascuno da un unico, letale, raggio. Lentamente, socchiusero gli occhi.
Risuonò un ultimo rimbombo. I loro cuori smisero di pulsare.
Dalle loro mani scomparve qualunque traccia di aura, mentre perfino in quel momento, anche nella morte, i loro corpi erano uniti nella dolce intesa delle mani. Il corpo di Edward si accasciò riverso sul pavimento, trascinandosi quello della donna che crollò anche’essa prona sul ventre dell’uomo, con il capo adagiatosi sul freddo pavimento.

Per strada, i fuochi d’artificio risuonavano, immettendo una scarna luce su quei corpi riversi di eroi che avevano combattuto fino all’ultimo, spinti dall’amore verso i figli… Due piccoli bambini ignari di ciò che era appena accaduto… Innocenti creature con un difficile futuro da affrontare…













Appuntamento al prossimo capitolo!!
Grazie mille a Luu per le recensioni, e tanti saluti a tutti :)

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Nuova vita ***


     Il primo rintocco delle campane risuonò in tutta la città.
 
Jason, Jodie e Kim erano in piedi, appena svegliatisi. Il terzo salutò i gemellini, e questi corsero via. Imboccarono la scorciatoia privata, ovvero il tunnel sotterraneo. I loro passi scalpitavano sul terreno, scivolando al fianco delle pareti immobili. Intatte, immacolate.
Era la mattina del 25 dicembre, e dire che provavano una fretta inaudita nel voler saltare sul letto dei loro amati e ammiratissimi genitori era un eufemismo. Corsero. Spalancarono la porta della camera matrimoniale, chiamandoli.
 
     Il secondo rintocco non si fece attendere, scrupoloso nel prolungare il funesto suono che rispecchiava il dolore regnante in città.
 
I bambini erano inginocchiati sul pavimento. Jodie si manteneva pesantemente la testa con le mani. Dinanzi a essi i corpi dei loro genitori giacevano inerti, pesanti, riversi, con una piccola scia di sangue sul parquet.
Urla di indescrivibile orrore, di incresciosa disperazione, di tormentato dolore, di terrificante smarrimento...
 
     Le campane davano voce alla loro litania ormai da un po', forse da molto... No, erano silenziose e immobili anch'esse, ma nella mente dei due bambini non poteva che riecheggiare tale lamento. Sarebbe durato in eterno, pensavano.
Una distesa uniforme, con eguali orribili lapidi. Lo scultore aveva appena terminato di incidere i nomi, quindi si levò in disparte. Due nuove stele erano appena state abbandonate lì, come tutte le altre, e riportava i nomi di due individui che sarebbero stati, d'ora in poi, solo ricordi. Nient'altro. Proprio come tutte le altre...
 
Edward Logan
Hilary Logan
 
La loro morte aveva calato nello shock generale l'intera cittadinanza.
Il corpo di polizia provò nuovamente ad avvicinarsi ai bambini rimasti orfani, ma l'esito non fu dissimile dai precedenti tentativi. Jason e Jodie si tenevano stretti a Susan, nascondendo le loro irrefrenabili lacrime affondando i loro piccoli volti sulla sua veste. Non volevano che qualcuno si avvicinasse loro, volevano rimanere lì, nel silenzio, tra le braccia di una mamma, anche se non era la loro...
La donna, con le gote rigate dalle lacrime, fece debolmente cenno di no con la testa al commissario, facendo intendere le emozioni dei bambini.
Kimley manteneva con premura la mano al maggiordomo, mentre con le lacrime sgorganti sul volto osservava i suoi fratelli, senza sapere come recare conforto, con quali parole, con quali azioni... Era così impotente...
E lui era lì. Gelo fissava lo sguardo sprezzante della volta celeste, permettendo alle gocce di pioggia di mescolarsi alle sue lacrime. Non poteva fare a meno di ripercorrere con la mente quanto era accaduto...
 
 
<< Perché mi hai fatto fare una cosa simile? >> gli aveva chiesto furente C - 16 pochi secondi dopo l'assassinio dei due coniugi, ma lo scienziato non aveva risposto. << Sei veramente pronto a tutto ciò? >> aveva poi continuato l'androide, che avendo ascoltato la conversazione tra i poliziotti e il suo creatore non riusciva a capacitarsi.
<< E' questo che vuoi? Pur di dominare il mondo arrivi ad uccidere i tuoi stessi amici? >> Poi il suo sguardo si era fatto più tetro. << Mi hai costruito per aiutarti nel conquistare le terre, e affinché ciò sia possibile hai trasmesso nei miei circuiti tutta la tua passione, tutti i tuoi sentimenti... anche se non li comprendo. I tuoi intenti sono ammirevoli, ma vale veramente la pena soffocare tutte le guerre... suscitandone altre? >>
Gelo lo scrutò torvo. << Cosa intendi? >>
<< Le tue! >> rispose con decisione l'androide. << Quelle tue personali, dei familiari delle tue vittime... come i figli di questi umani >> . Spalancò gli occhi. << Io li proteggerò, manterrò la promessa, devono essere solo bambini... >>
L'androide si stava facendo scuotere dallo sbigottimento e dalla foga, mentre lo scienziato lo fissava con sempre maggiore scetticismo. "I miei androidi dovrebbero obbedirmi... Che cosa ho costruito, perché mi parla in questa maniera, lui... lui non dovrebbe! Mi deve solo obbedire... "
Lo sguardo scivolò sui suoi amici, stesi per terra, e fu allora che provò un'emozione sconosciuta.
Voleva tornare indietro, trovare un'altra soluzione... No, non avrebbe potuto fare altrimenti, però... Era colpa loro, solo colpa loro, erano stati loro a scegliere il loro destino funesto...
Stava forsennatamente cercando di convincere se stesso.
<< Basta! >> urlò all'androide. << Devi sparire!!! >>
E da quel momento per C - 16 tutto divenne buio.
Così fu tuttavia anche per il dottor Gelo: da quel momento i suoi occhi parevano non percepire più alcun colore, ma soltanto amarezza... la luce si era tramutata in oscurità...
 
 
L'androide venne abbandonato in ibernazione, e col tempo Gelo avrebbe sistemato come nuovo il laboratorio, ma non quella notte: aveva cose più urgenti da sbrigare.
Inviò i numeri 14 e 15 in perlustrazione, alla ricerca di materiali adatti per portare a compimento la loro mansione, come terra e piccole rocce. Insieme alle apposite tecnologie che trovarono nel laboratorio, non impiegarono molto tempo a ostruire il varco aperto nel tunnel, e lo scienziato curò attentamente l'estetica del tutto cosicché nessuno in futuro avrebbe potuto accorgersi di niente.
Successivamente, questi si adoperò con estrema cautela nel far sparire dal computer di Hilary qualsiasi residuo della mail del collega, quella che lo incriminava: sapendo della missione della spia infiltratasi nel Red Ribbon, controllare il computer della corvina sarebbe stata la prima operazione svolta dalla polizia. Con le sue abilità di informatico, la cosa non gli risultò difficile.
 
Alle ore 8 del mattino, inoltre, assicuratosi della presenza seppur esigua di gente in festa per le vie della città, partendo dal suo studio si teletrasportò grazie al suo mirabolante congegno, e l'attimo dopo si ritrovò seduto tranquillamente nella sua autovettura.
Era una posizione altamente strategica per ordinare alla macchina di parcheggiare: di fronte a un casolare abbandonato, e pertanto lontano dalla vista di chiunque, nessuno avrebbe potuto accorgersi che la macchina sarebbe partita all'improvviso, apparentemente senza nessuno che vi fosse salito su.
 
Volendo salutare più gente possibile che potesse ricordarsi di lui, attraversò percorsi che solitamente non calcolava neppure, e si sorprese non poco quando, penetrando in una stradina diffamata, si imbatté nel medesimo gruppo di ragazzi che aveva incrociato quella notte.
Senza proferire alcuna parola li osservò attonito, abbassando il finestrino. << Siete ancora in giro... >> riuscì a mormorare.
Il ragazzino biondo si affacciò con fare insolente, spiando curiosamente l'interno dell'auto. << Ehi vecchio, sei ancora tu! >> esclamò, mentre in realtà non pensava minimamente al suo interlocutore in sé, ma piuttosto quanto egli potesse essere fortunato a passare un'intera nottata fuori a compiere chissà quale riservatissimo esperimento, oppure a quanto stupefacente fosse quella vettura colma di ogni tecnologia, impossibile da possedere per un ragazzino sfortunato come lui...
Lo scienziato li fissò silenzioso, esaminando scrupolosamente il loro aspetto strafottente, il loro abbigliamento trasgressivo, la loro espressione frustata .
Nella sua mente si diramavano varie ipotesi. "O sono usciti di casa molto presto, e ciò mi sembrerebbe di più un fuggire da uno squallido ambiente piuttosto che una felice uscita con degli amici... oppure da quando gli ho visti stanotte non sono ancora rientrati. Del resto erano già passate le 3, ed è improbabile che in un lasso di tempo di circa cinque ore essi siano tornati alle loro case e poi abbiano anche dormito, e ora sono già qui".
Avevano passato la notte fuori, aveva infine concluso; tuttavia, la domanda era: a meno che non avevano passato l'intera nottata a fare casino, dove avevano dormito? Su delle panchine? Stesi per terra? Eppure alcuni di loro avevano una casa in cui tornare: certo, non tutti, giacché qualcuno aveva genitori in carcere o, seppur in minima parte, morti in spiacevoli circostanze...
"Mi chiedo se dormendo per strada abbiano riposato in condizioni migliori di quelle che avrebbero riscontrato nelle proprie case..." si disse. Sorrise con ironia. "Nella maggior parte sono solo ragazzini. Se fossero più forti potrei arruolarli nel Red Ribbon... Dovrei aspettare un po' di tempo, e vedere se lo meriteranno. Anche se... sono così teppisti adesso, non oso immaginare tra qualche anno..."
Si rese conto che ancora non aveva risposto al biondino. << Non sono vecchio >> ribatté << e te l'ho già detto, John. Comportati più educatamente con gli adulti >> .
Fece per rimettere in moto la macchina. "Vorrà dire che vi terrò sotto controllo. Intanto... non rifiuterete quest'occasione. Bambini disperati come siete, non esiterete a lungo a far apparire  di buon occhio le vostre famiglie alla polizia, così sperando che con questo gesto i vostri genitori saranno più buoni con voi. Andate presto in commissariato... e fornitemi il mio alibi!"
E con tali pensieri nella mente sfrecciò via.
 
Ciò accadde la mattina del 25 dicembre. Alle ore 10:07 i piccoli Jason e Jodie trovarono i corpi dei loro genitori.
Brevissimo tempo dopo, la polizia era già accorsa sul luogo del delitto. A prima vista sembrava un omicidio, ma non vi erano segni di scasso: certo, Gelo aveva sistemato tutto, in casa sua e in quella dei coniugi. Le uniche prove contro di lui erano protette nella sua mente.
Si era sul procinto di annunciare il suicidio... ma il vicecommissario era cinico, calcolatore, si rifiutò di passare a conclusioni affrettate. Vennero interrogati i conoscenti, tra cui Susan, Alphonse, Gelo.
Lo scienziato raccontò del suo esperimento in laboratorio fuori città, e quando gli venne chiesto se c'erano testimoni finse di ricordare un gruppo di ragazzini con cui si era intrattenuto.
A recare un minimo di conforto per Susan concorsero presto i suddetti testimoni, recandosi di persona al commissariato e rivelando di aver parlato con lo scienziato sia di notte, quando egli stava recandosi in laboratorio, sia al suo ritorno, di mattina. Ma una tale personaggio era molto amato in città: pertanto non si fecero attendere tutte le altre persone che Gelo, casualmente, aveva incontrato ritornando dal lavoro, le quali rivelarono il tutto.
Gelo pareva innocente, ma il vicecommissario era ancora dubbioso.
La sera del 26 dicembre lo scienziato passò alla mossa successiva: si recò alla casa del poliziotto con una valigetta colma di soldi. Riuscì a corromperlo.
 
La mattina del 27 dicembre un uomo confessò tutto al commissario di polizia: non ce la faceva più a mantenere il segreto, e dunque si stava costituendo: si presentò come l'assassino di Edward e Hilary. L'uomo aveva capelli dritti, visibilmente tinti di un biondo acceso...
Venne condotto in carcere, ma quello stesso pomeriggio nelle docce comuni venne ritrovato il suo corpo: si era impiccato. Presumibilmente, per l'eccessivo senso di colpa.
Così, il caso venne archiviato, e nella memoria della cittadinanza risultò che i poveri poliziotti erano stati assassinati da uno spietato criminale, il quale non aspettò a lungo per suicidarsi. E Gelo ne usciva completamente pulito.
Rimanevano solo poche cose da fare.
 
Il funerale si tenne la mattina del 28 dicembre. Il giorno 30 altri due poliziotti persero la vita.
Uno era il vicecommissario: correndo con la sua Tiguan su un ponte non riuscì a frenare quando una macchina si scaraventò su di lui; le due auto in fiamme precipitarono nel mare... Chi guidasse l'altra auto nessuno lo seppe mai, ma il dottor Gelo sì: era stato l'androide numero 14, il quale essendo il più minuto tra le sue creature non ebbe problemi a scivolare via dal veicolo-omicida durante la caduta, e indisturbatamente volare via.
L'altro poliziotto era il giovane dai capelli rossicci in missione al Red Ribbon. Venne "erroneamente" ucciso durante un'esercitazione militare da un colpo di proiettile. In verità, a ucciderlo era stato un sicario professionista che Gelo conosceva per fama: il suo nome era Tao Pai Pai.
Tutto era compiuto.
 
Il 31 fu il nono compleanno di Kim, ma il piccolo ormai spendeva tutte le sue energie per cercare di tirar fuori i suoi fratelli dal quel guscio di crisi mentale in cui si erano blindati. Presto sarebbe sopraggiunto l'anno nuovo, ma i due gemelli non vedevano ombra di motivi per cui potessero essere felici.
E così il tempo corse via, dapprima passivamente, ma poi in maniera troppo fugace, e il risultato fu che i due bambini si aprirono, senza rendersene conto, a una nuova vita.
 
 

 
 
Quattro anni e mezzo dopo
 

9 agosto

 
Era una normale giornata estiva, felice e, ovviamente, calda. Già, anzitutto normale... poiché ciò che stava facendo decisamente non era un'attività inconsueta.
La gente schiamazzava, e le loro urla possenti si mescolavano alla prepotenza dell'aria alquanto afosa. Era il giorno del mercato: bè, perfetto per non farsi vedere.
Il ragazzo fermò la sua Vespa sul marciapiede, e corse entro un vicolo cieco. Dopo un paio di minuti rimontò sul veicolo: non era lì. Da una parte ciò rasentava una magra consolazione, e se fosse stato fortunato avrebbe saputo che era rientrato a casa. Dall'altra parte, però, ciò acuiva la sua preoccupazione: dove si era cacciato?
Comunque, era consolante sapere di poter stare comodamente seduto a guidare la Vespa: lo preferiva certamente alla corsa che ogni tanto doveva alternare. Era ormai stanco, sudato, ma non importava. Se era per uno di loro due, era pronto a sopportare qualsiasi sacrificio.
Il ragazzo aveva capelli scuri piuttosto lunghi, diramati senza alcun ordine in ciocche appuntite.
 
Sgattaiolò in una stradina buia, desolata. Sperando di non trovarlo proprio lì, si addentrò in una traversa ancor più stretta e tetra.
Frattanto, al termine di un vicolo cieco, completamente immerso nel buio maligno, anche se i suoi occhi se ne erano abituati, un certo ragazzo manteneva spietatamente un ragazzino per la caviglia, facendolo penzolare a testa in giù.
<< Lasciami >> mormorò terrorizzato il bambino. In tutta quell'oscurità non riusciva a vedere nient'altro, scorgeva solamente la sagoma di quel "demonio": un individuo inquietante con capelli più neri della notte, con un sorriso gelido e tenebrose sfere di agghiacciante cristallo al posto delle pupille. Era impossibile non averne paura.
<< Tsk >> borbottò il corvino, e lo lasciò cadere per terra.
<< Ahi! >>
Il ragazzo gli posò la scarpa sulla schiena, e cominciò a scaricare un po' di peso. Al collo teneva legato un largo foulard arancione. << Allora, chi è il capo qui? >>
<< T-tu... >> rispose debolmente il ragazzino.
<< Non ho capito bene >> lo sbeffeggiò alzando la voce. << Ripeti meglio! >>
Ma prima che il bambino potesse rispondere alcunché, risuonò il tonfo di molteplici passi precipitosi. Il corvino sospirò. << Che cavolo... Deve essere quella lagna di mio fratello >> .
E infatti quando si voltò si ritrovò davanti agli occhi un ragazzo dall'aria stanca: sì, era stanco di quella logorante situazione.
<< Ma che fai, Jason...?!? >> esclamò  furibondo, senza attendere una risposta e strattonandolo via.
<< Mph... proprio non riesci a non intrometterti, tu >> replicò con fare indifferente questi.
Kimley gli mollò un'occhiataccia, e chinandosi per terra aiutò il ragazzino ad alzarsi. Ordinò che ritornassero immediatamente a casa, e Jason ammiccò un cenno di comprensione. Era infastidito di quell'intrusione, ma purtroppo si stava abituando. Per qualche strano motivo suo fratello non voleva che si comportasse in quella maniera con degli stupidi ragazzini.
"Ma se lo meritano" pensava. E così ogni qualvolta che qualcuno si permetteva di rifiutare dei suoi precisi ordini era "costretto" a farlo capire con le mani. E di solito funzionava, e il metodo avrebbe avuto un buon esito anche quella volta se non fosse intervenuto suo fratello.
"Non vorrei che prendesse seriamente il vizio di spiarmi" borbottò in mente: una cosa che odiava profondamente era proprio l'essere controllato, quando qualcuno gli diceva cosa dovesse fare o come dovesse comportarsi. Era il compito di un genitore quello, seppur con dei limiti, ma da tanto ormai i suoi genitori non c'erano più...
Kim portò il ragazzino sulle spalle sino alla stradina principale, cercando frattanto di tranquillizzarlo e assicurandosi che Jason rimanesse al suo fianco. << Eccoci qui >> disse quando fuoriuscirono da quella via tanto sinistra. << Ora dicci dove abiti, così ti accompagno... >>
<< N-no, >> si affrettò a rispondere il bambino mentre scendeva dalle spalle di Kim, osservando ancora terrorizzato Jason. << Posso andare da solo, grazie... >> E voltandosi di scatto si allontanò sbrigativamente, e infine scomparve mentre correva.
Il ragazzo sospirò. << Complimenti, vedi come l'hai spaventato >> .
<< Nanerottolo >> commentò in tono di distaccata superbia il corvino.
Ora basta, la situazione stava degenerando. Kimley lo sbatté al muro, spingendogli un braccio sul collo. << Perché devi sempre fare così, Jason?? Veramente credi di poter continuare in questa maniera??? >> Poi abbassò il tono di voce, per chiarirsi seriamente. << Non ti permetterò di comportarti come un bullo qualunque >> .
Jason accennò un sorrisetto divertito. << Di solito sei così tenero, e adesso vuoi apparire minaccioso >> . Senza difficoltà, lo strattonò con un braccio e lo allontanò da sé. << Perché mi devi scocciare sempre? Sei proprio una lagna, fratellino >> gli disse con vaghi gesti della mano. << Avevi detto che dovevamo andare a casa... bé, che stiamo aspettando? >>
Kim alzò gli occhi al cielo. << Hai ragione, forse sono troppo buono con te >> osservò girando le chiavi nella Vespa. << Sbrighiamoci >> sentenziò.
 
<< Uh... veramente? >> disse divertita la ragazza.
<< Certo! Aspe', ora viene il bello >> replicò una voce maschile dall'altra parte del telefono.
La fanciulla era sdraiata su uno dei due letti presenti nella camera, con le gambe flesse. Indossava una fresca minigonna e una vivace canotta estiva, e nonostante la stagione aveva una delicata pelle chiara: al contrario di Jason, il quale provava invece gusto nell'esibire il suo fisico atletico in spiaggia, a lei non piaceva recarsi al mare, stare in mezzo alla gente e alla confusione. Prediligeva il silenzio, la tranquillità, anche se forse troppo, e ciò la portava nell'apprezzare la compagnia prettamente di un ristretto numero di persone, come ad esempio il ragazzo con cui stava intrattenendosi al cellulare, ed evidentemente nemmeno questi era dispiaciuto nel parare con lei, poiché stavano ormai discutendo già da un bel po', senza interruzioni.
Fortunatamente, quasi l'intera totalità di individui di cui non disprezzava la compagnia abitava in quella stessa residenza: la casa dei coniugi Jefferson, dove era stabilita ormai da quasi cinque lunghi anni.
C'era solo un dettaglio che le causava dispiacere, ovvero che mentre Jason e Kim adesso condividevano la stessa cameretta, lei, per motivi di esigenze femminili, aveva ricevuto una camera tutta per sé. Del resto non potevano certo restare in un'unica stanza due maschi e una sola femmina, anche se così si andava avanti nei primi tempi, giacché la bambina si rifiutava di rimanere sola di notte.
Bé, questo la seccava alquanto, perché talvolta si sentiva toccata da una patina di solitudine, ma comunque oramai si era abituata. E inoltre, apprezzava l'impegno di tutti per non farle mancare niente, tanto più la compagnia; ma in particolare aveva stretto un forte legame con Susan, la donna che ora la cresceva.
In ogni modo, il pomeriggio preferiva passarlo nella camera dei ragazzi, che loro ci fossero oppure no.
 
<< Hai preso a parolacce tuo fratello maggiore davanti tutta la piazza?!? No... e io me lo sono persa...! >> Jodie si levò in piedi piroettando, facendo danzare i brillanti filamenti dorati che le incorniciavano il volto. Col pensiero si rivolse al suo di fratello, chiedendosi dove fosse.
Probabilmente, concluse, era in giro a fare il gradasso con qualcuno, e sperò per lui che Kim fosse solo casualmente anch'egli fuori di casa, e non che fosse riuscito a trovarlo.
"Povero Jason" pensò. Lo compativa. Certo, Kimley lo faceva per il suo bene, ma anche a lei avrebbe urtato non poco l’esser controllata insistentemente.
<< No, pensandoci è una fortuna che io non abbia assistito al tuo "spettacolo", altrimenti non sarei riuscita a trattenermi e avrei insultato pur'io tuo fratello a dovere... Oh sì, immagino, tutte le vecchiacce che ti guardavano inorridite... Stupide racchie >> . Rise felicemente. << No veramente, sei proprio uno spasso, John! >>
Il biondino quindicenne rispose al suo sorriso. << Sai che c'è una novità molto importante? >>
Jodie si gettò sulla sedia e dandosi uno slancio grazie alle rotelle raggiunse la scrivania. << Sentiamo. E' successo qualcosa? >> domandò, mentre si ammirava le unghie smaltate.
<< Non te l'aspetteresti mai. A quanto pare... abbiamo un nuovo capo >> rivelò.
<< Uno nuovo? E perché, cos'è successo a Max? Non mi dire >> scemò il tono di voce << che gli sbirri l'hanno arrestato! >>
<< No, non è questo >> rassicurò << anche se ha dovuto trasferirsi fuori città. Mi ha raccomandato di salutare tutti e dire che gli dispiaceva andarsene così, ma non poteva aspettare ancora. Non mi ha potuto dire altro >> . Prese un respiro. << Hai visto quel tipo di cui ci parlava Max, quello che aveva conosciuto da poco e aveva tre anni in meno di lui, quel ventunenne che lui voleva presentare al gruppo? >>
La ragazza assunse un'espressione incuriosita. << Stai dicendo che... >>
<< Esatto >> rispose John. << E' lui il nuovo capo. L'ho visto, sembra un tipo a posto. Bé... a posto per noi >> precisò divertito. << E comunque prima di partire Max me l'aveva detto che il suo posto l'avrebbe occupato questo tizio, sempre che noi lo vogliamo. E se il capo si fidava... immagino che vada bene. Tu che ne dici, bellezza? >>
<< Non cominciare a chiamarmi bellezza >> ribadì Jodie, enormemente compiaciuta. Ma prima che potesse dire altro, udì le voci dei suoi fratelli dal piano di sotto.
<< Devo andare! >> esclamò in tono agitato la ragazza.
Il biondo sbuffò. << Fammi indovinare, sono arrivati i tuoi fratelli. Vabbé, sappi che stasera ci vediamo alle nove, il nuovo capo si presenta. Ovviamente avvisa tu Jason di tutto >> . Ridacchiò. << Ehi, perché non mi passi Kimley? Sarei curioso di parlare con quello sfigato, ogni tanto >> .
<< Kim  non deve sapere niente >> sibilò in tono minaccioso, cominciando a chinare la testa per allontanare il cellulare. << E non è uno sfigato! Azzardati di nuovo, pezzo di cretino, e giuro che ti spezzo! >>
E con tali sussurri ricolmi di infinita dolcezza sparò con volto inferocito il cellulare sulla scrivania. In quel momento fecero il loro ingresso nella camera i due ragazzi, e la biondina si affrettò a chinare la testa sorridendo, presentando ai loro occhi la visione dell’innocente lucentezza dei suoi denti.
<< Jodie? >> commentò il corvino, notando delle penne che erano schizzate in svariate direzioni a causa dell'impatto con l'improvviso proiettile.
<< Jason? >> salutò la sorella, impersonando una perfetta finta tonta.
<< Bé, ciao >> disse Kim. << Grazie al cielo siamo arrivati, e ora... >>
<< Ora mi avevi promesso che ci saremmo allenati >> puntigliò il primo.
Il ragazzo annuì. << Lo so, non me ne sono dimenticato >> .
Si scambiarono un sorriso, e Jason risultò forse più entusiasta del fratello. Jodie lo notò, ma non disse nulla... tanto la storia era sempre uguale.
 
E fu così che in pochissimi attimi i due tredicenni si ritrovarono a indossare solamente un comodo pantaloncino e delle scarpe da ginnastica, rimanendo seminudi poiché sapevano che, con ogni probabilità, si sarebbero sudati.
"Bé, la vita è una lagna" scrisse la ragazza sul suo diario segreto, mentre alle sue spalle i fratelli si apprestavano a scambiarsi reciprocamente ripetuti colpi.
"Insomma, Jason e Kim fanno un po' a pugni, ed io... eccomi qui, a scrivere scemenze su questo diario" . Eppure le piaceva. Aveva in questo maniera l'opportunità di chiudersi in se stessa e esprimersi al meglio, con assoluta sincerità. O meglio... ci provava: era infatti una di quelle tipiche ragazze che non capivano nemmeno se stesse, e pertanto non riusciva ad esserlo neanche nella sua intimità, nel suo stesso diario. A ciò va aggiunto che odiava parlare troppo a lungo con la gente - e specialmente di sé - ad eccezione, come abbiamo detto, di un ristretto gruppo di individui. Era stato proprio per tale motivo, quindi, che Susan le aveva donato quel prezioso diario: per aiutarla ad aprirsi.
Kim fiondò un pugno in direzione del volto del ragazzo, ma questi seppe scansarlo e rispose al colpo; il primo si piegò sulla gomitata ricevuta nello stomaco, e notò che Jason non perdeva tempo.
Lestamente, il corvino gli indirizzò una serie di pugni sulle guance, spezzando senza difficoltà le resistenze del fratello; si strattonarono, si colpirono anche duramente, e Kim non poté non notare, un'ennesima volta, la disparità tra lui e Jason.
Il corvino aveva muscoli scattanti e flessibili, capaci di agitarsi in costante movimento, ed era inoltre eclatante che fosse superiore anche in termini di forza.
In netta opposizione al carattere iperattivo del fratello, Kim era invece un ragazzo alquanto timido ed anche impacciato, se vogliamo dire. Si sentiva peraltro debole, e non solo rispetto al corvino - cosa peraltro che dava per scontata - ma anche obiettivamente. C'è da dire tuttavia che a parer di Jodie negli ultimi tempi era migliorato: bé, piuttosto naturale, considerando che si allenava tutti i giorni. Tanto per citare un esempio, si rendeva conto di avere buoni riflessi: conseguenza degli improvvisi pugni che Jason gli mollava, risolse.
Comunque, avrebbe forse preferito una tranquilla giornata in compagnia di un buon fantasy piuttosto che tutto quel movimento cui era sottoposto. Ma sapeva che Jason adorava quella stramba consuetudine di allenarsi, e poi era conscio di essere l'unico con cui potesse farlo. Se questo rendeva felice Jason, allora rendeva felice anche lui.
Scambiare pugni, o girare assieme per moto in città... erano tutte cose che faceva più che volentieri se potevano servire a dare una po' di svago al fratello, il quale, da quel terribile giorno, di vero svago ne aveva ben poco... Per Kim, in conclusione, nulla contava più di Jodie e di Jason.
 
Passò del tempo che alla bionda parve interminabile, da lei impiegato muovendo gli occhi giacché intenta ad osservare i ragazzi. Essi erano infine distesi sui rispettivi letti, sfiniti.
<< Io vado a farmi una doccia >> informò il corvino ansimando. Si alzò di scatto e senza indugiare oltre uscì dalla stanza.
Kim si rizzò in piedi, stiracchiandosi, e Jodie ne approfittò. Cominciò con l'avvicinarsi cautamente, come un felino che adocchia la sua preda, per poi slanciarsi su di lui con l'affettuoso intento di farlo precipitare sul materasso. Il caso volle che il ragazzo se ne accorse in tempo e dunque fece per rispondere, ritrovandosi così entrambi a fare pressione con le mani nel tentativo di spingere l'altro.
La bionda ridacchiò, e con prontezza lo tirò a sé per un solo attimo per rispedirlo nuovamente indietro con vigore.
<< Ah! >> Kim perse l'equilibrio e spietatamente venne abbattuto sul bordo del letto; tuttavia c'era un dettaglio che Jodie non aveva preso in considerazione, e così cadde anche lei appresso al ragazzo, il quale la trascinò tenendola per le mani.
Ma non è finita qui. Crollando sull'estremo margine del letto non fece in tempo a godersi un istante di tranquillità che una forza maligna - quale l'implacabile gravità - la bramò, e barbaramente la tirò a sé; ma la ragazza non si diede per vinta, e con ancor più urgenza si aggrappò ai polsi del giovane: in tal modo o avrebbe vinto lei, oppure male che andava sarebbero caduti assieme. E così avvenne, per l'appunto.
Si rovesciarono ruzzolando sul pavimento, e Jodie gemette allo schianto sul freddo marmo. No, un momento, aveva gemuto anche per qualcos'altro, un qualcosa le era caduto addosso... e la fronte le faceva male. Piuttosto male. Riaprì gli occhi, e scoprì che sul suo bruttissimo volto era capitombolato lo splendido viso di Kim.
<< Ahi... >> mormorò questi, aprendo gli occhi e incontrando per prima cosa le dolci pupille della ragazza.
Jodie era coricata per terra con le gambe flesse e con le braccia adagiate all'indietro, e notò che il ragazzo che sentiva come suo fratello era inginocchiato ma nel contempo quasi disteso su di lei.
Arrosirono. Kim si ritirò appena, ma una tremenda forza dentro di sé lo rallentò incresciosamente e gli proibì di discostarsi più del minimo dovuto. E a Jodie la cosa parve farle piacere. Tale benessere sfociato dal suo subconscio venne a manifestarsi in superficie in uno spontaneo e libero sorriso, che al ragazzo apparve incantevole.
<< Alla fine ho vinto io... >> disse lei. Con accurata lentezza mosse le dita, e la mano venne toccata da lievi sussulti e si elevò, poggiandosi leggera sul petto bagnato del ragazzo. Che stava facendo, avrebbe dovuto alzarsi immediatamente, e invece... non riusciva a fermarsi...! Anche il braccio sinistro si sollevò autonomamente, vincendo quelle debolissime quanto fragili resistenze opposte dai nervi, e si adagiò sul bicipite del giovane. Perché, perché diamine stava facendo ciò?
<< Jason... non ti ha fatto male, vero? >> domandò con voce flebile. Ecco, era la stessa cosa di quando un individuo cambia disperatamente argomento se si avvede che ciò che altrimenti si sarebbe detto sarebbe stato sconvenevole o scomodo. Cercava di distrarlo, ma tanto sapeva che Kim se ne stava accorgendo, stava sia percependo sia vedendo quei gesti avventati... Oppure cercava di distrarre se stessa?
La mano destra continuava a carezzarlo inesorabilmente sul petto... dunque se ci riusciva poteva fingere di tastare semplicemente il corpo alla ricerca di lividi; ma sì, se il ragazzo le avesse chiesto qualcosa del tipo: "Che diavolo fai, babbea?" avrebbe tirato fuori questa giustificazione. Certo...
No, un attimo, che stava facendo Kim? Le sfiorò la fronte col dorso della mano, per poi calarla sulla sua guancia; da qui passò urgentemente ai capelli, lisciandoli e ammirandoli. << N-no, non mi ha fatto male... >> rispose questi.
O cielo, razza d'un imbranato, perché stava trovando difficile il rialzarsi, se non impossibile... Nonostante quest'attimo di tensione era però un momento rilassante, spensierato... Era lieto di essere lì, con lei, d’una bellezza soave pari a quella di un angelo... mai avrebbe permesso che tale meraviglia sarebbe stata deturpata da altri, mai.
Jodie annuì rasserenata. << Bene >> disse. Stava trovando quel corpo talmente piacevole al tatto... che la mano sinistra, senza che nessuno ce lo comandasse, salì oltre la spalla e trascinò il debole braccio in modo tale da piegarsi intorno al collo. Lo guardò in volto, lo fissò... Sorrise. Sì, finalmente una risposta. Perché mai stava ponendosi così tanti interrogativi? Perché mai non avrebbe potuto?
Del resto... era suo fratello. Sì, suo fratello. Che male c'era a donare carezze al proprio fratello minore? Bé, era più giovane solo di qualche giorno, ma era pur sempre il suo fratellino. Di conseguenza... poteva continuare, e non avrebbe mai più avuto motivo di solo pensare di trattenersi: anzi, se ti mostri distante da un parente risulti anche sgarbata, no? Quindi avrebbe continuato... e tale conclusione non le dispiaceva affatto, e la cosa bella era che forse - voleva pensare forse per non illudersi troppo - la cosa non spiaceva nemmeno a Kim.
Già, era suo fratello, era suo fratello. Suo fratello... sì, ma non di sangue...
 
<< Eccomi, avevo dimenticato... >> cominciò Jason spalancando la porta. Bruscamente Jodie fece per alzarsi, e immediatamente Kim si affrettò per rizzarsi in piedi.
<< Che vuoi? >> sbraitò la ragazza alzandosi frettolosamente e sperando di avere un tono indifferente, ma in realtà non riuscì a nascondere il desiderio di prendere a pugni la faccia del fratello.
<< Avevo, emh... dimenticato di dirti che poi ci facciamo un giro in moto >> disse Jason al fratello.
<< Oh... ok >> rispose con un colpo di tosse.
Il corvino rimase lì a fissarli per alcuni secondi con volto sì stupito ma non troppo, come uno che è abituato a cose del genere, finché la sorella non ce la fece più e lo cacciò letteralmente via a pedate.
Sbattendo la porta tornò a guardare Kim, abbozzando un forzato sorriso. "Complimenti stupida, hai appena fatto una tremenda figuraccia con entrambi!" si disse. E inoltre... non poteva fare a meno di ripercorrere i suoi stessi pensieri. In effetti Kim era suo fratello, e allora perché tutti quei problemi che forse erano anche eccessivi? Di cosa aveva avuto paura?
Bé, comunque fosse... una parte di lei avrebbe voluto continuare molto volentieri, ma d'altro canto si sentiva un'incredibile cretina.
Anche il ragazzo cercò di comportarsi come se nulla fosse, ma intanto ripensava... all'accaduto, non riuscendo a contentarsi su nient'altro. Sì, in effetti alla fine gli giunse un pensiero alla mente relativo alla sua persona, per come si sentiva in quel momento: "Idiota..."
 

 
Le ante del portone si chiusero rumorosamente, facendo scivolare in evidenza l'antica ruggine ormai caratteristica. Jason e Jodie si fecero avanti a passi lenti. Il primo osservava dritto davanti a sé, celandosi le mani nelle tasche. La seconda camminava avanti con fare spavaldo.
Nella stanza risplendeva una fioca luce, ma andava bene così: del resto era sera tarda, e inoltre nessuno poteva pretendere un ambiente più lussuoso, sia per scelta, sia per soldi.
Il ragazzo biondo, John, emise un fischio prolungato. Aveva capelli confusamente ritti e pertanto non privi di strani ciuffi, ed era di aspetto belloccio ma trasandato. << Ragà, aspettavamo solo voi >> .
Il corvino salutò tutti con un gesto della mano. << Bé, ora ci siamo. Quindi... é vero che Max se n'é andato, così, non si sa il perché >> .
<< Forse la polizia stava per scoprire i suoi genitori >> ipotizzò Mike, un ragazzo anch'egli quasi quattordicenne dagli spettinati capelli neri come la pece.
<< Poche ciance, ascoltiamo il nuovo arrivato >> intimò Deborah, una ragazza di diciotto anni dall'aria furente e con un vistoso décolleté, posizionatasi al fianco del nuovo capo come una guardia del corpo.
"Quindi... è lui" pensò Jodie, con curiosità.
Il ragazzo si alzò dal pavimento, ergendosi davanti a tutti. Aveva un fisico vigoroso per essere uno di ventuno anni, e per questo ispirava sicurezza. La canotta lasciava trasparire un corpo tonico, ma non si trattava di uno di quelli che a furia di farsi i muscoli si rendevano bestialmente brutti: tali erano i pensieri di Jodie, la quale lo trovava dunque un tipo affascinante. Inoltre aveva l'aria da duro, ma non era cattiva a prescindere: no, era solo giusta con chi se lo meritava.
Un berretto estivo stile rapper circondava il capo dal quale si slanciavano lunghi capelli malcurati, di curioso colore... bianco. Bé, singolare, si disse Jason.
<< Piacere a tutti >> esclamò con decisione il ragazzo. << Il mio nome é Roy, e come sapete... da questo momento io sono il vostro nuovo capo. Comportatevi bene, e vi assicuro che insieme ci divertiremo molto >> .











Ciao a tutti!! :)
Bene, siamo arrivati al ventesimo capitolo :D Come abbiamo visto, c'è stato un salto temporale di quattro anni e mezzo; avevo riflettuto molto se spoilerarlo già la volta scorsa o no.. e infine ho deciso che dopo l'ultimo capitolo sarebbe stato brutto un avviso come "la prossima volta ci sarà un salto temporale!!" Nono, non sarebbe stato molto bello xD

E così è cominciata questa seconda parte del flashback, e se sono arrivato fin qui è merito anche di ogni singola recensione ottenuta. Quindi ci tengo molto a ringraziare Luu che sempre mi recensisce, grazie!!! :) :) ;)

Bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e fatemi sapere cosa ne pensate :) :)
Appuntamento al prossimo capitolo ;) Ciaooo!!!! ;) ;) ;)

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** La baby gang di Orange Town ***


Capitolo 21 : La baby gang di Orange Town

 
Sì, esatto. E' così che possiamo definire la nuova comitiva dei due gemelli.
Il gruppo era nato anni prima da un casuale accostamento di più ragazzi di età anche diverse, ma tutti con una caratteristica in comune: un lancinante vuoto nel cuore. Malessere che poteva derivare da insoddisfazione nei confronti di quell'ipocrisia oramai dilagante nella società, in un mondo sempre più corrotto dove i ministri della giustizia - poliziotti, carabinieri, finanzieri, militari - erano i primi a non seguire la legge.
La legge, sì... quell'inutile ammasso di parole inchiodate su pezzi di carta in modo tale da poter incriminare determinati individui, e contemporaneamente lasciarne liberi altri a godersi interminabili vacanze, magari con tanto di onore e merito.
E tali ragazzi, nati purtroppo in un posto simile, non avevano altra scelta che abbandonare la flebile speranza di poter trovare conforto nei genitori, nella famiglia.
 
Deborah, ragazza diciottenne con lunghi capelli dell'accesa tonalità del rosso che teneva sciolti lungo la schiena, in modo da mantenere il decolleté puro, orgogliosamente vistoso. I suoi genitori erano morti un mese prima del suo settimo compleanno, vittime di un agguato criminale, e non poté non notare la felicità dei poliziotti per la morte di tali ricercati. Venne affidata alla zia, peraltro matta da manicomio. Non riuscì mai a liberarsi di tutto il suo rancore. Adesso, la ragazza si diceva felice solamente quando trascorreva del tempo assieme a dei bei ragazzi; amante di Max, il precedente capo del gruppo, aveva tutta l'aria di voler continuare a perseguire il suo ruolo, con il nuovo leader.
 
John, giovane di quindici anni appena compiuti, fedele amico di Jason e, specialmente, di Jodie. Lui, al contrario di altri, ce l'aveva la famiglia; oh sì, eccome se ce l'aveva... Era sempre stato abituato ad essere picchiato dal padre, senza alcun segno di rimorso da parte dell'uomo. A mani nude, oppure con la cinta. Anche adesso, era ormai la sua routine quotidiana, non passava giorno che non venisse pestato... e sfogava l'infinità del suo insopprimibile odio nel riversare il medesimo trattamento ai deboli, a coloro che lo osteggiavano, che non lo capivano. E Jodie lo comprendeva, percepiva la sua sincerità, l'atrocità della sua condizione, e adorava osservare il suo bel volto scalfito da quel dolore che provava nel cuore come da quella cicatrice che correva sullo zigomo, e progettare con lui un piano per far arrestare suo padre o, male che andava, per farlo soccombere in qualche incidente.
"Sei dannatamente fortunata", usava ripetere John a Deborah: l'invidiava, e veramente ardente era il suo desiderio di rimanere orfano.
 
Per ragazzi del genere l'unica possibilità per evadere da quella spietata realtà era crearsela da sé, in maniera tale che fosse giusta, vera, e dove loro erano i protagonisti e nessuno li avrebbe più derisi o maltrattati.
Si sentivano incompresi, per nulla calcolati da chi deteneva il potere, e anzi... anche malvisti a causa dei loro parenti. La gente li additava come gentaglia, ma senza alcun motivo? Bene, allora era giusto darlo un motivo, almeno così il rottame che si spacciava per buona gente li avrebbe tenuti in considerazione, e inoltre gli sciocchi loro coetanei - o più divertente ancora, chi minore d’età - che avevano la presunzione di mal giudicarli sarebbero stati puniti. Per questo nel gruppo si aggiravano ragazzi teppisti, bulli, violenti.
 
La baby gang, come abbiamo precedentemente spiegato, era nata anni prima, ma non era stata così fin dal principio.
In origine dei ragazzini piuttosto scalmanati si ritrovavano assieme nel vuoto buio della strada, unico luogo dove potevano nascondersi ed essere sé stessi. Forgiatosi un primo nucleo col tempo altri ragazzi vennero attratti, a tal punto che l'età media oscillò a diverse impennate.
Stabilito un gruppo compatto avviarono attività di vandalismo, e per ragioni di comodità elessero tra di loro addirittura un vero leader, un ragazzo allora diciassettenne di nome Max.
 
Un sentimento di ripudio generale da parte del gruppo era indirizzato alla ricchezza, al lusso, ovvero a quella peculiarità che solo i più snob potevano permettersi, tutta quella massa che con fermezza era inorridita dai vari gruppi criminali.
Certo, era facile provare avversione verso infima gente, ma nessuno mai si chiedeva cosa portasse degli individui ad atti vandalici. E men che meno dei semplici ragazzi: questi erano solo, sfortunatamente, maleducati. Tutto qui. E nessuno che dicesse: "Non é che vanno capiti un poco?"
 
Due anni più tardi erano finalmente morti due stupidi poliziotti che di certo non nuotavano nella miseria, grandi amici - come se non bastasse - di un distinto scienziato. La coppia aveva due piccoli figli, i quali andarono a vivere a casa dello scienziato in questione. Sarebbero stati viziati a dismisura, magari sarebbero diventati importanti poliziotti anch'essi: questo pensavano tutti all'inizio, e tutti dovettero rendersi conto del loro errore di valutazione quando John presentò i due gemelli.
 
Jason e Jodie erano diversi, dissimili da come la gente in città poteva immaginarli. O perlomeno, si poteva talvolta temere che sarebbero divenuti adolescenti dal carattere particolare, ma la parola chiave per comprenderli non era ancora sulle labbra di nessuno, forse per timore, forse per le circostanze: vendetta.
Era facile immedesimarsi in loro ma complesso capirli fino in fondo, almeno quanto bastava per rendere necessario il superare lo strato di superficialità su cui la gente usava galleggiare impotente.
Desideravano vendetta, conoscevano l'identità dell'assassino dei loro genitori... ma costui era morto, si era suicidato pochi giorni dopo l'arresto. Non potevano ottenere vendetta. Non potevano avere uno scopo preciso, dovevano solo andare avanti, e superare il dramma... cosa quanto mai impossibile.
I loro genitori, che così tante promesse facevano loro, se n'erano andati via, si erano fatti uccidere, in casa loro, la notte del 24 dicembre... E senza alcuna spiegazione, magari era soltanto un evaso che si era voluto vendicare di chi l'aveva gettato in carcere. E così, per seguire fedelmente la giustizia, si erano fatti uccidere... Avevano egoisticamente pensato solo a se stessi, avevano agito senza badare alle conseguenze. E Jasone Jodie ora si ritrovavano orfani, senza alcuna vendetta da poter realizzare.
 
Il senso di vuoto che ne scaturiva era abnorme, incresciosamente prepotente, e non poteva essere colmato da nulla... nulla fuorché la baby gang.
L'appartenenza a quel gruppo li faceva sentire realizzati, in un certo senso più importanti, era un modo per evadere dall'impotenza della vita. Potevano essere a contatto con gente che li comprendeva totalmente, che non li additava, e anzi... erano tenuti in buona considerazione, poiché seppur ricchi avevano avuto il coraggio di decidere da sé della loro vita, semplicemente incarnando ciò che il loro vero io desiderava per colmare quel vuoto profondo.
 
Solo una cosa avevano chiesto: che nessuno venisse a saperlo. Almeno per il momento, nessuno doveva sapere che facevano parte di un tale gruppo. Del resto, anche la baby gang era divenuta tale di recente.
Abbiamo detto che era nata come una comitiva qualsiasi, no? Bé, e così solo da non troppo tempo i ragazzi avevano stabilito di comune accordo di ufficializzare il loro gruppo in una vera baby gang, incrementando di conseguenza i loro atti criminali. Di conseguenza, la notizia ancora non aveva fatto in tempo a spargersi in ogni direzione, anche se i membri del gruppo potevano comunque vantarsi di una cattiva fama, e poi - si sa - le notizie in città corrono velocemente...
Ed ora - e nessuno era a conoscenza del preciso motivo - il loro leader si era trasferito fuori città, e un nuovo ragazzo aveva prontamente occupato il suo posto.
 
<< Piacere a tutti >> esclamò questi con tono deciso. << Il mio nome é Roy, e come sapete... da questo momento io sono il vostro nuovo capo. Comportatevi bene, e vi assicuro che insieme ci divertiremo molto >> .
Immediatamente gli occhi di tutti furono puntati su di lui.
<< Sembra più una minaccia >> replicò un giovane ragazzo pieno di tatuaggi.
Roy ridacchiò. << Tu dici? Bé, non era mia intenzione... E’ che tengo molto alla fedeltà reciproca. Del resto, se vogliamo raggiungere alte vette dobbiamo essere compatti... >>
Si massaggiò il collo, che gli scricchiolò. << Non so se tutti ne siete a conoscenza, ma... sappiate che da un po' di tempo mi stavo frequentando con Max, e siccome voleva che mi presentassi mi ha parlato di voi. Non temete >> aggiunse, notando dei sussulti preoccupati << praticamente non ha spifferato niente. Non vi ha mica venduti, oh >> .
<< Quindi... cos'è che t'ha detto? >> domandò dubbioso John.
Il ragazzo lo fissò. << Mi ha fatto un po' di nomi, ad esempio. Ma certo non me li ricordo tutti. E poi... >> ghignò - era qui che voleva arrivare - << mi ha informato della presenza di due belle ragazze. Bé, certo è strano... di solito ci sono baby gang maschili oppure femminili, è strano trovare due fanciulle qui con noi, ma sono consapevole che si tratta di due a cui non si poteva dire di no... >>
Sorrise con malizia. << Una è Deborah, che è qui al mio fianco, ed eri... >> le rivolse la parola, passandole la mano lungo la schiena, cosa assai gradita dalla ragazza <<intima amica di Max... e poi >> alzò lievemente il tono di voce << abbiamo una a cui non si poteva proprio negare l’accesso nel gruppo, dotata di grande tenacia e forte temperamento, una certa... Jodie >> . Si guardò in torno. << Chi è? >>
<< Sono io >> esclamò con solennità la bionda.
Passarono attimi di tetro silenzio. Roy indugiò sui suoi occhi. << Jodie... >> sussurrò inebriato. << E... >> tossì per dissimulare l'emozione << so che nel gruppo sei venuta in compagnia. Questo... è tuo fratello Jason? >> chiese indicando il corvino alla sinistra della ragazza, mentre le si avvicinava.
<< Esatto >> scandì il giovane.
Roy ebbe un sussulto di commozione lievemente percettibile, e dunque nessuno lo notò. Del resto, era bravo ad occultare i suoi pensieri...
Si fermò al cospetto di Jodie. Sul suo volto si dipinse un sorrisetto di puro divertimento.
Lentamente, allungò la mano verso il petto della ragazza. << Come sei bella... >> mormorò.
Prima che questa potesse avere l'impulso di far scattare anche un solo muscolo, Roy si ritrovò un pugno serrato ferocemente a distanza di pochi millimetri dalla faccia: era Jason. Il corvino lo fissò cupamente.
Una goccia di sudore lacrimò sulla guancia di John. << E-ehi... >>
Il capo scrutò attentamente i volti di entrambi i gemelli. Tutti e tre erano rimasti immobili. Alzò le sopracciglia, estasiato. "Come siete cresciuti...!"
Ritirò scrupolosamente la mano. Sorrise soddisfatto, per poi sfoderare un'allegra risata. << Ma come sei impulsivo, ragazzo! Suvvia, tranquilli, tranquilli >> .
Jason e Jodie l'osservarono incerti. Roy si voltò guardandosi intorno, rivolgendosi all'intera folla. << Noto con piacere che siete ragazzi molto interessanti >> . Aveva un'espressione forte, determinata, orgogliosa. << Ve l'ho detto, con voi voglio raggiungere vette elevate... Il mondo è ingiusto con noi? Allora fidiamoci l'uno dell'altro, facciamoci forza a vicenda... e potremo ottenere qualsiasi cosa, qualsiasi!!! >>
 
 
 
     Click!
 
L'anta di vetro si tirò in disparte, vibrando. Roy entrò nell'ascensore. Era piena notte.
La cabina dalle trasparenti pareti scivolò in basso, fino a raggiungere la destinazione. Il giovane si stiracchiò, avanzando con fare sicuro.
Alzò la testa, e salutò con la vista le sedici celle ricoperte da un' oscuro manto, dinanzi a sé.
Al centro del laboratorio si ergeva un vasto tavolo da lavoro, e Roy poté notare un uomo dai lunghi e mossi capelli argentati studiare con aria assorta un fascicolo di fogli zeppi di scritte.
<< Ancora a studiare... >> lo salutò divertito, con un misto di sorpresa e ammirazione << ... eh, dottor Gelo ? >>
<< Bé, ti stavo aspettando... e così per ammazzare il tempo guardavo un po' questo progetto >> .
Posò i fogli sul tavolo, e alzò la vista per osservare il nuovo arrivato, con l'aria bramosa di sapere. << Allora, com'è andata... numero 13 ? >>
Roy sorrise con malizia. << Egregiamente! >>
 
 
L'androide si poggiò sul bordo del tavolo, esponendo un dettagliato resoconto del suo ingresso nella baby gang. Ridacchiò. << Quei ragazzi non sanno niente di come abbiamo fatto andare via quello stupido pezzente... >>
<< Il loro vecchio leader, quel Max... >> ragionò ad alta voce lo scienziato.
<< Bé, é stato più facile del previsto >> osservò C - 13. << Sei stato in grado di arrivare facilmente a delle prove che incastravano sia lui che i suoi genitori, e con tutti quei delitti dubito che avrebbero potuto evitare l'ergastolo >> .
<< Oh, é sicuro... >> replicò l'uomo inarcando le sopracciglia. << Solo questo é bastato per i miei scopi... E così li ho minacciati che se non avessero lasciato la città entro 12 ore avrei rivelato tutto alla polizia >> .
Sospirò. << E' stato facile. Di fronte all'ottica di poter rimanere tutta la vita in carcere, avere la possibilità di poter semplicemente cambiare città, senza ulteriori conseguenze, é stato un vero lusso >> . Si rizzò in piedi, scrollando le spalle. << Forse avrei dovuto chiedere anche una somma in denaro... >>
<< Sei incontentabile >> commentò Roy, anzi... C - 13. << Piuttosto... volevo minacciarli io a quelli, invece hai inviato il numero 15. Non é giusto! >>
Il dottor Gelo levò gli occhi, esasperato, e cominciò a misurare a passi lenti il terreno. << Tu non potevi assolutamente immischiarti in quell'affare. Il giovane Max doveva fidarsi di te, e molto... è per questo che da un po' di tempo lo stavi frequentando. Lui teneva molto alla sua baby gang, ma dinanzi alla possibilità del carcere non aveva altra scelta; necessitava dunque qualcuno che potesse prendere il suo posto, e doveva essere qualcuno di cui si fidava... >> Si voltò di scatto. << Tu! Ecco perché C - 15 si é presentato come un pericoloso criminale, senza fare altri nominativi. Nessuno doveva sospettare di me... o di te >> .
Si fermò un attimo per riflettere, portandosi la mano sotto il mento. << Tra l'altro... se l'avesse arrestato la polizia avrebbe preteso da lui quante più informazioni possibili. Possiamo dire che é fuggito anche per il bene di quei ragazzi >> .
L'androide annuì, simulando un sarcastico compiacimento. << Comunque... >> disse << hai ragione, Jason e Jodie sono cresciuti tantissimo! >>
Sorrise, ripensando a quando li aveva conosciuti la sera di quel freddo 23 dicembre, la sera prima che Edward e Hilary perdessero la vita. Quella era stata la prima volta che aveva avuto la possibilità di vederli da vicino, ed era stata l'unica sino a quando si era loro presentato come Roy, qualche ora prima.
<< Quella volta erano spaventati e agitati, ora invece... mi sono sembrati forti, sicuri... indomabili >> aggiunse. << Fino ad adesso me li avevi fatti vedere solo in fotografia, ma vederli dal vivo é stata tutta un'altra cosa... Tuttavia >> si chinò un po' in avanti per fiondare il suo sguardo sul volto del dottore << mi spieghi finalmente perché mi hai ordinato di tenerli sotto controllo? Non mi dire... che li vuoi spiare solo per il loro bene! >>
Il dottor Gelo gli si accostò con l'aria pensierosa. << Non avrei mai immaginato che sarebbero entrati addirittura in una baby gang...>> sussurrò. << Però mi aspettavo una cosa del genere >> .
Raccolse il fascicolo di fogli che prima stava studiando, e tese il braccio per porgerlo all'alleato. << Ammira >> esclamò.
C - 13 afferrò quelle pagine inarcando un sopracciglio, facendo scorrere sotto la sua vista un'abominevole serie di schizzi, formule e appunti per lui senza alcun significato. La cosa divenne assurda quando notò la figura di una sagoma indiscutibilmente umana, con affianco l'ingrandimento degli organi principali, ad esempio cuore, cervello, polmoni. << Ehm... stai studiando il corpo umano? >> azzardò.
Il dottor Gelo rimase un attimo spaesato, senza sapere che dire. << No! Quello non ho bisogno di studiarlo, so già com'é fatto >> replicò, con l’aria offesa. Prese un respiro, ma poi si affrettò a riprendere il discordo prima che l'androide potesse porgli altri domande. << Sto controllando quali organi bisogna sostituire nell'operazione. Forse le cose da fare saranno meno del previsto... >>
<< Aspetta. Tutto ciò che c'entra con Jason e Jodie? >> lo bloccò l'androide, che stava capendo sempre meno il discorso dello scienziato.
Il dottor Gelo sospirò, e decise di pronunciare una sola parola. Un unico termine che avrebbe fatto comprendere tutto...
<< Cyborg >> pronunciò con chiara e cupa voce, con deliberata fermezza.
C - 13 spalancò gli occhi. Quasi volle portarsi la mano alla bocca per la sorpresa. In quell'istante tutto gli fu chiaro.
L'unico stupore era nei confronti del suo creatore: lo conosceva benissimo - del resto era stato realizzato da lui - ma era meravigliato che fosse pronto a trasformare in cyborg proprio quei due ragazzi... per quale motivo? Per il bene del Red Ribbon? Probabilmente, concluse, il dottor Gelo amava la sua organizzazione più di quanto potesse immaginare.
<< Trasformerai in cyborg Jason e Jodie? >> disse in tono curioso l'androide.  
L'uomo annuì. << E non solo >> . A quel punto la sorpresa fu ancora maggiore...
<< Trasformerò in cyborg anche mio figlio, Kim >> .
 

C - 13 scosse violentemente la testa, per ridestarsi. << Anche... tuo figlio?!? >>
<< Sarebbe scorretto il contrario >> ci tenne a precisare lo scienziato, e decise anche di spiegare tutte le sue motivazioni.
Aveva bisogno di ripeterle, voleva che C - 13 lo comprendesse, almeno lui, perché sapeva che forse Susan non avrebbe condiviso... Aveva bisogno, in seguito alle sue azioni, di sentirsi dire: "Sì, hai ragione", "Tranquillo, perché tutto ciò che fai è solo per il bene de mondo" ... Come ad esempio la volta in cui uccise i suoi cari amici, Edward e Hilary... Aveva sperato di essere compreso almeno da C - 16, ma questi invece l'aveva malgiudicato, si era infuriato... Ciò che aveva fatto ai suoi stessi amici l'aveva sconvolto, e col tempo C - 13 se n'era accorto.
<< Vedi... perché a un certo punto della mia vita ho deciso di costruire androidi? >> Prese una pausa. << E' semplice... gli esseri umani sono troppo deboli, troppo stupidi... E' vero, delle eccezioni, grazie al cielo, ci sono, e devo dire che questo mi conforta. Ad esempio... ogni singolo che si batte per la pace - quella vera - ogni individuo che si aggrega al Red Ribbon perché ne ammira gli scopi... E non per vantarmi, ma... io>> notò. << E ovviamente... Susan >> .
Aprì la bocca, e a C - 13 sembrò che stesse per elencare altri nomi, ma incupito la serrò. "Edward, Hilary" pensò il dottor Gelo, tuttavia... << Alcuni di essi si fanno influenzare dalla massa di stolti, e smarriscono la retta via... >>
Spalancò le braccia, voltandosi a osservare le sedici cabine ove riposavano gli androidi. << Anni fa mi resi conto che il Red Ribbon necessitava di un ulteriore plotone... il mondo lo chiamava! Servivano altri soldati, più forti, più resistenti, migliori in tutti i campi. Io ero l'unico che potevo farlo, l'unico scienziato al mondo che sarebbe stato capace di spingersi così oltre solo per il bene collettivo >> .
Con gli occhi rilucenti di orgoglio contò le sedici imponenti casse. << Ho cominciato a costruire androidi, questi affascinanti robot dall'incredibile potere... E in tutti voi ho inserito la capacità di saper controllare il ki sin dall'attivazione>> .
<< Però tu sei un perfezionista >> lo apostrofò C - 13. << Le tue prime creature ti schifavano, e naturalmente li hai distrutti >> .
Gelo gli mollò un'occhiataccia, percependo un accento di scherzosa beffa. << E ho intenzione di distruggere tutti quelli che ho costruito prima di te... Sono dei fallimenti. Del resto, è difficile che costruzioni così complesse siano anche perfette. Bé, sentiti onorato >> volle fargli notare << tu sei il primo androide decente che sono riuscito a realizzare >> .
<< Mph… >> C - 13 sorrise beffardo. 
<< Ma non sei tu il più forte >> .
L'androide si accigliò. << C- che cosa??? Ma io sapevo che... >>
Lo scienziato lo bloccò con un gesto della mano. << In termini di forza, è C - 16 l'androide meglio riuscito... Pensa che al suo interno contiene anche una potentissima bomba. Se avessi saputo che non mi avrebbe obbedito non avrei mai commesso un tale errore... >> Sospirò. << Purtroppo, cinque anni fa ho capito una cosa: maggiore è la forza di cui l'androide dispone, meno sarà disposto a prendere ordini da me. E' per questo motivo che C - 16 non voleva obbedirmi, almeno non inizialmente.
Invece tu >> lo indicò con l'indice << sei meno forte di lui, questo è vero, però sei intelligente abbastanza per capire che è meglio per tutti se rispetti i miei ordini. Comunque, sei il secondo più potente, quindi tra voi quattro androidi sani che sono riuscito a costruire sei quello di cui mi posso fidare di più >> .
<< Per questo hai permesso a me di essere il capo di quella baby gang >> osservò con gratitudine C - 13. << E sempre per questo mi hai inviato in commissariato a "confessare il delitto", dopo la morte di Edward e Hilary >>.
Il dottor Gelo annuì. << Quella volta un uomo volle costituirsi, e dichiarò il reato che aveva commesso... Così lo arrestarono, ma subito dopo lo trovarono impiccato in carcere. In verità eri tu, che fingevi di essere l'assassino. Approfittando del momento di distrazione delle guardie, durante l'ora libera, sei facilmente evaso volando via >> .
<< Ricordo che mi avevi fatto tingere i capelli di biondo... Poi capii il perché >> ricordò l'androide. << Fuori dal carcere ad aspettarmi c'eri tu, assieme a un ricercato che mi somigliava davvero molto... Mi avevi fatto tingere i capelli in modo tale da poter essere confuso per quel tizio, e dunque ho solo dovuto acciuffarlo e impiccarlo nelle docce comuni >> . Scrollò le spalle. << Tutti pensarono che si fosse suicidato... poveri babbei >> .
Poi si ricordò di un interrogativo che da sempre gli affliggeva la mente, e decise finalmente di privarsene. << C’è una cosa che non ho capito. Alla fine la polizia concluse che l’assassino si era suicidato; il caso venne archiviato e tu ne uscisti completamente pulito. Ma inizialmente avevi fatto sembrare che Edward e Hilary si fossero per qualche motivo uccisi, eliminando ogni minima traccia… Pertanto tu hai fatto uccidere quel vecchio vicecommissario solamente perché per primo sospettò di omicidio. E allora >> scosse la testa, con l’aria confusa << perché l’hai ucciso, ma comunque dopo hai fatto presentare alla polizia l’assassino, dichiarando quindi l’omicidio? >>
<< Lo feci uccidere da C – 14 >> rispose semplicemente lo scienziato << perché quel poliziotto era molto intelligente, e sospettando di un omicidio perfetto avrebbe potuto arrivare a me. Non potevo correre questo rischio… Però in seguito mi fece comodo annientare ogni possibile sospetto su di me. Per questo decisi che in commissariato doveva presentarsi un omicida… e quello eri tu >> .
Si guardò l’orologio, notando che si era fatto piuttosto tardi. << Bè, stiamo sviando la conversazione. Ti stavo parlando di voi androidi >> disse scherzoso al complice. Fece un sospiro stanco. << Puoi immaginare da solo perché ho deciso che costruirò cyborg… >>
<< Saranno più forti di noi androidi? >> osò C – 13, pronto a ricevere rimproveri.
Il dottor Gelo lo fissò stupito, ma subito si ridestò. “Non ci voleva molto ad arrivarci… ma mi ha rovinato il gusto della sorpresa!”<< Esatto >> confermò.
Si ricordò nitidamente di quando, cinque anni prima, stavano tornando tutti assieme dal campeggio il giorno del compleanno di Jason e Jodie. In macchina, stavano discutendo del progetto dello scienziato circa gli androidi, quando…
 
     << Perché non unire le due cose? >> aveva energicamente proposto Jason, sbattendo il pugno nel palmo della mano. << Si potrebbe fare… non so, un qualcosa bello come gli umani e forte come un androide! >>
 
<< Avranno la potenza dei robot, e contemporaneamente l’intelligenza, l’agilità, l’istinto alla sopravvivenza degli esseri umani >> continuò eccitato il dottor Gelo. << Ciò li porterà – come tutti gli uomini – ad essere soggetti all’esperienza, al miglioramento. Diventeranno sempre più forti, costantemente… Saranno imbattibili >> .
 
Passarono attimi di silenzio. In quell’ambiente sotterraneo non si udiva alcun rumore, alcun segno di vita umana, solo l’impetuoso scorrere delle parole.
<< E vuoi che i tuoi primi cyborg siano Jason, Jodie… e Kim? >> pensò ad alta voce C – 13.
<< Bé, per questo occorre controllarli.  Saranno cyborg, sì… ma solo se lo meriteranno>> dichiarò solenne l’uomo. Voleva che l’androide capisse l’importanza di ciò che stava rivelando. << Tu controllerai Jason e Jodie in quella baby gang, e io spierò Kim… Se possibile desidero che tutti e tre diventino dei cyborg. Sarebbero incredibilmente più forti, e meglio predisposti ad affrontare questo mondo… Ma superare una tale operazione non è una passeggiata, occorre un fisico in grado di resistere al dolore e di adattarsi alla presenza di congegni elettrici… Per questa ragione cerco corpi giovani e forti! >>
Il suo volto si corrucciò. << E per come sta crescendo sinceramente non mi sembra che mio figlio possa presentare tali requisiti... >>
Lentamente, la sua vera essenza gli spazzò via qualunque traccia di broncio dettata dallo scienziato ambizioso che era in lui, e dipinse sul volto il dolce sorriso di un padre che ama suo figlio più della sua stessa vita.
“Che bello che sei… E’ vero, hai lo stesso carattere di tua madre, mi fa piacere. Chissà… se anche tu, Susan, alla sua età eri così bella”. Alzò il capo. “Impossibile il contrario. Del resto, noi ci siamo conosciuti solo pochi anni dopo…”
Si ritrovò improvvisamente la mano di C – 13 davanti al volto che lo salutava. << Ehi dottor Gelo, ci sei??? >>
L’uomo si ravvivò bruscamente.
<< Che c’è, t’eri persi nei tuoi pensieri? >> lo sfotté l’androide.
<< Tsk! Non dire idiozie… >>
C – 13 lo fissò con aria strana. << Non dovresti andare a letto? E’ tardi, voi umani avete bisogno di dormire…! >> gli predicò, facendogli notare con enorme allegria questa incommensurabile debolezza.
Lo scienziato alzò gli occhi al soffitto, e decise di scricchiolarsi le dita. << E’ vero, forse è meglio che vada… Mi raccomando >> gli precisò, raccogliendo il suo iPhone dal tavolo. << Tutti quei ragazzi devono fidarsi di te, ciecamente, e tieni sotto controllo Jason e Jodie, a costo… di rimetterci tu stesso >> . Si avviò verso l’ascensore, stanco.
<< Uhh… quanto interesse. Pare quasi… che tu voglia proteggerli, non controllarli >> bisbigliò C – 13 a bassa voce.
Il dottor Gelo riuscì ad udirlo, ma decise di non rispondere nulla. Non disse niente.
 
 
 
     << Ed eccoci qui!!! >> ruggì con voce possente Roy.
 
                                                                                                                                          14 settembre, ore 23:17
I ragazzi risposero al suo grido in maniera non pacata.
In un angolo due sedicenni erano intenti a scambiarsi materiali da fumare. John si roteò un pugnale attorno all’indice. << Oh bé, a quanto pare è il momento >> disse alla ragazza bionda al suo fianco.
Jodie fissò quel pugnale, all’apparenza pericoloso. << Te l’ho detto, dovresti provare questo con tuo padre >> .
<< Sisì… uno di questi giorni ci devo provare >> rispose il ragazzo, prendendo l’arguta decisione di affilare la sua arma sui capelli di Jodie, facendone scivolare una manciata sul pavimento.
<< Bene ragazzi, siamo pronti >> esclamò Roy, mentre echeggiò il rumore di un pugno mollato in piena faccia.
Jason gli posò ai piedi una cassa non troppo pesante, ma neanche dall’apprezzabile leggerezza. Era curioso, non ne conosceva il contenuto. Forse ne era al corrente solo Roy… e anche Deborah, probabilmente.
Il ragazzo dai capelli bianchi si sistemò il berretto, voltando la visiera alle sue spalle. << E’ praticamente da un mese che siamo assieme, eppure ancora non vi avevo fatto questo dono… Perdonatemi >> ridacchiò, poi riprese con tono beffardo. << Ho notato che alcuni di voi ancora non ne posseggono una… E’ grave, è grave ragazzi >> .
Con rapido impeto staccò il coperchio della cassa, gettandolo incurantemente via. Dopo pochi attimi risuonò un tonfo.
<< E’ una semplicissima arma che ho deciso che tutti, e dico tutti, devono possedere… Non ce l’hanno neanche veterani come te, John >> disse con tono di scettica accusa, rimanendo un attimo interdetto nel notare il ragazzo sbatacchiato per terra, e Jodie al suo fianco che se la rideva.
<< Emh… certo >> proseguì Roy annuendo, poi assunse un’aria determinata. Estrasse qualcosa dall’interno della cassa. Jason spalancò gli occhi.
     Nuova, rilucente, abbagliantemente oscura, prepotente. Si trattava… di una pistola.
L’impugnò con fermezza, ghignando. << So che per alcuni di voi domani è il primo giorno di scuola… Consideratelo un mio regalo >> .
Jason gli si accostò, col corpo che fremeva di eccitazione. Non aveva mai impugnato una pistola, una vera… Da molto desiderava farlo, ma non ne aveva ancora avuto l’occasione.
L’afferrò con trepidazione. Roy gli aveva donato una cosa del genere… era così bella, affascinante! Wow, che meraviglia… La strinse forte tra le dita. Sussultò. Era un’emozione nuova. Incertezza, inquietudine…? No, tutt’altro. Si sentiva sicuro, pieno di sé, con la sua mente carezzava l’idea dell’onnipetenza… quel potere che bramava, ma che era proprio solo dei potenti… Ora anche lui aveva finalmente il potere.
Sorrise freddamente. Da quel momento in poi, nulla gli sarebbe più stato impossibile.
Assolutamente nulla.









Ciao a tutti!!!!!!
Bene, per prima cosa scusate mille per il ritardo ^^" Mi dispiace molto, cercherò di accorciare l'intervallo tra un aggiornamento e l'altro :)
Siamo al ventunesimo capitolo finalmente, e come sempre grazie a Luu per le recensioni ^__^

Spero che il capitolo vi sia piaciuto; come avete visto è stato incentrato più che altro sul felice gruppo di Jason e Jodie e poi sul colloquio tra Gelo e C - 13... E' che tenevo molto a quella scena, anche per dare un pò di spiegazioni :)

Ok, un'altra cosa, che in realtà volevo dire l'altra volta ma poi me ne sono dimenticato ^^" Da questo momento... la fiction prosegue verso il finale :D Spero che continui a piacervi, fino all'ultimo :D

Bene, appuntamento al prossimo capitolo :) Ciao!!! ^_^


 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Verità ***


Destino freddo e calcolatore, oh quante vittime vengono colpite dal tuo squallido avanzare, funesto e imprevedibile. Talvolta porti felicità e speranza, oppure dolore e morte… E in ogni caso corri inesorabile verso la tua meta, che giammai arriverà se non alla fine dei tempi…
 
Era il 14 settembre: questa la data che segnò un ulteriore passo verso la fine. Intorno alle ore 23:30 circa, Jason e Jodie ricevettero le loro prime pistole.
In casa loro nessuno li sapeva membri di una baby gang, e un ovvio scandalo sarebbe oltretutto scaturito dalla presa di coscienza circa le loro nuove armi. Pertanto le custodirono sempre ben nascoste, cercando anche di comportarsi come se nulla fosse… Ma ciononostante, il sospetto e il timore del dubbio non tardarono a penetrare nell’impenetrabile cuore del giovane Kimley, il quale cominciò a vacillare fuoriuscendo dalla sfera di fiducia che riponeva nei confronti dei fratelli.
Del resto, Jason e Jodie sapevano che era solo una questione di tempo prima che Kim venisse a conoscenza della baby gang: era loro fratello, e anche volendo non sarebbero mai riusciti a nascondergli la verità per sempre. Indipendentemente dalla loro volontà, gli atteggiamenti li tradivano con spontaneità, e i sentimenti più sinceri raggiungevano il cuore del fratello, timidi, ma speranzosi di comprensione.
 
 
Il giorno 15, sfortunatamente, la scuola ebbe inizio. Quell’anno Jodie, Kim e Jason dovevano affrontare un nuovo istituto e, conseguentemente, dei nuovi compagni.
Kim era un tipo riservato, quindi non conosceva molti dei suoi nuovi colleghi di disavventura, però ne sapeva abbastanza per aver potuto provare dispiacere nel momento in cui aveva scoperto che nella sua nuova classe avrebbe incontrato certi individui… dalla fama non molto buona. Tuttavia aveva notato una cosa, o almeno era stata solo una sciocca impressione.
Quando, alcuni giorni prima, si erano recati in quella che sarebbe stata la loro scuola per consultare l’elenco degli alunni, pensò di aver intravisto nei volti dei due gemelli una manifestazione di sbigottimento, uno stano stupore… Bè, forse perché neanche loro gradivano la presenza di certi ragazzi. Questo almeno lo rincuorava, anche se era stata probabilmente solo un’impressione. Forse, addirittura, aveva solo voluto avere quell’impressione…
In quel periodo era molto preoccupato per loro, si comportavano in maniera starna, stavano diventando scostanti, e passavano sempre meno tempo in casa.
 
Sospirò. << Bè, perlomeno cominciamo le superiori >> esclamò Kim. Si trovavano nei pressi dell’ingresso, inesorabilmente vicini al momento tanto temuto.
<< Ma io non voglio cominciare un altro anno… >> si lamentò Jason con l’aria annoiata.
Jodie levò gli occhi al cielo. << Ormai sei qui, brutta testa di cretino, non puoi farci nulla. Affrontalo >> si lisciò i capelli dietro l’orecchio << con coraggio >> .
<< Ma che dolcezza… >> commentò il corvino, lasciando che Kim e la sorella lo precedessero.
Mentre stava varcando l’ingresso, da dietro un ragazzo gli si accostò minacciosamente. Gli diede pesantemente una pacca sulla spalla. Jason si voltò di scatto pronto a reagire, ma si paralizzò notando degli inconfondibili ciuffi biondi. << John! >> esclamò, ravvivandosi.
Il ragazzo ridacchiò. << Allora siamo compagni di classe, da oggi! >>
Jason fissò Kim e Jodie, davanti. << Sisì, ma ti ho detto che dobbiamo fare finta di non conoscerci. Non ti avvicinare quando c’è Kim nei paraggi >> .
John lo schiaffeggiò sul petto, discostandosi. << Eccolo che ricomincia. Vabbè… A dopo, bello! >>
<< Ma dov’è Jason? >> si chiese Kim, e in quell’istante si voltò. Indugiò un secondo. Osservò quel ragazzo biondo che si stava allontanando in direzione opposta… Aveva avuto quasi l’impressione…
<< Jason! >> chiamò. Ma no, si stava facendo troppi film… Doveva proprio rilassarsi un po’.
 
 
<< Ecco il tè, signore >> disse gentilmente Alphonse mentre finiva di versare la bevanda nella tazzina del dottor Gelo.
<< Grazie >> rispose questi. Indossava una calda maglia grigia che impediva al freddo di trasparire, abbinata con dei rinomati jeans di marca.
<< Come ti stavo dicendo… Mi piacerebbe molto comprare quella borsa che è appena arrivata al negozio, che ne dici? >> riprese Susan sorseggiando il tè. Il suo delicato corpo era rivestito da un candido vestitino rosa, e il collo imperlato da una lunga collana bianca. Erano in cucina, e come sottofondo ascoltavano distrattamente la televisione.
<< Per me va bene, in fondo è bella >> asserì Gelo, quando nelle sue orecchie risuonò la voce proveniente dallo schermo.
 
     Altre vittime del terribile Red Ribbon, l’organizzazione militare che nessuno a quanto pare è in grado di contrastare. Anche oggi, dicevo, è stata rasa al suolo un’intera città…
 
Sul volto di Susan si ombreggiò un’ombra di cupa amarezza. << Quegli schifosi… nessuno riesce a prenderli… >> La sua voce era molto triste. Ogni qualvolta che pensava al Red Ribbon, immediatamente la mente saltava con enorme dolore alle figure di Hilary ed Edward, i suoi migliori amici così coinvolti nella loro ricerca.
<< Anche loro li cercavano, ma non ci sono mai riusciti >> ricordò Susan, con gli occhi fissi nel vuoto.  << Io l’ho sempre detto… Non ci credo che sono stati uccisi così, è impossibile, deve esserci una spiegazione >> esclamò, scuotendo la testa. << Quell’uomo che si costituì doveva essere stato pagato dal Red Ribbon, tant’è vero che una volta in carcere l’hanno fatto fuori. Lo sai cosa penso… Sono sicura che Edward e Hilary siano stati assassinati da quei luridi folli, ne sono sicu… >>
<< Io devo andare >> tuonò d’improvviso il dottor Gelo. Si levò in piedi, e senza aggiungere altro salì a piano di sopra, silenzioso.
<< O – ok… Ciao >> rispose stupita Susan. Con gli occhi sprofondati nello smarrimento, incrociò il volto preoccupato di Alphonse. Entrambi stavano pensando la stessa cosa.
Ogni volta che si parlava di Edward o Hilary, Gelo se ne andava, e solo lui sapeva dove. Con la sua stessa invenzione a forma di cilindro che gli permetteva di teletrasportarsi si recava direttamente sul posto di lavoro, ma per motivi di segretezza nessuno sapeva precisamente dove andava. E adesso, era andato via di nuovo, ancora un’altra volta…
 
 
 
Kimley sgranò gli occhi. I suoi terribili dubbi erano appena stati confermati.
<< Ahh… ieri sera la festa in discoteca è stata un vero sballo, ragà >> stava felicemente ghignando un ragazzo di due anni più grande di lui ai suoi amici. Ecco, occorre precisare che stava trascorrendo oramai molto tempo dall’inizio della scuola, e solo adesso Kim stava capendo tutto. Questo perché al centro di quel gruppo di teppisti… vide anche loro.
<< Già, e forse avevi bevuto troppo, perché se non te nei sei accorto c’eravamo anche noi >> replicò con superbia Jason.
<< Ora basta idioti, ho detto che non ci dobbiamo far vedere insieme >> predicò furentemente Jodie, stringendosi con gelosia dei libri al petto.
Kim deglutì sbigottito. I suoi fratelli erano lì, assieme… a quelle persone. Per carità, non voleva certo decidere da sé le amicizie dei due gemelli, però… quelli erano tutti ragazzi conosciuti in città per il loro carattere difficile, prepotente, o perfino violento.
Alcuni li conosceva solo di vista, tuttavia poté riconoscere John e Mike, due ragazzi che, tra l’altro, erano anche suoi compagni di classe. Il primo era un ripetente, il secondo invece loro coetaneo, ma da entrambi avrebbero dovuto stare alla larga, volendo seguire un consiglio di Alphonse che, vista l’età, conosceva l’intera città.
E invece con tutti quei ragazzi ecco anche Jason e Jodie…
Scrupolosamente nascosto dietro l’angolo del corridoio, era dunque concentrato nello spiare quella molteplicità di ragazzacci, i quali sostavano con fare arrogante, in mezzo al corridoio, non troppo distanti da lui.
A un tatto, la sorella si voltò rabbiosa, e lui fece appena in tempo a ritirarsi, evitando per poco di essere visto.
<< Jodie… sei troppo tesa >> la rimproverò un ragazzo di quattordici anni. << Se veramente vuoi stare con noi devi accettarlo. Tanto, prima o poi quel babbeo del tuo fratellino verrà a saperlo >> .
Fu Mike a prendere la parola a quel punto. << Che pena… Vi fate troppi problemi. Se anche quell’incantato venisse a saperlo che potrebbe farci? Lo dice a papi…??? >> Sfoderò una risata entusiasta, divertendosi a riempire la ragazza di infinite smorfie.
<< E’ solo un deficiente. Sinceramente lo compatisco, non ha la forza di reagire nemmeno se qualcuno gli ruba le caramelle da sotto il naso; è così stupido che anche dei bambini riuscirebbero a fregarlo… anzi, dobbiamo provare! Devo dire a dei bimbi di abbassargli i pantaloni davanti a tutti, vedrete come si metterà a piangere! E’ assurdo pensare che voi siete fratelli… Ah, no >> si asciugò una lacrima nata dal vivo divertimento, prendendo il respiro << voi non siete veri fratelli. Bè, del resto è troppo rimbambito per essere un vostro parente. Senti Jodie, prendi esempio da Jason >> le suggerì il ragazzo in tono da vero amico, sgomitandole sul fianco. << Vedi, lui se ne sta calmo, non gl’importa un fico secco se quel secchione viene a sapere qualcosa… Non lo considera affatto; al contrario di te, lui se ne sbatte di quello… >>   
Kim chinò la testa, stringendosi nelle braccia. Mosse un passo. Fece per andarsene… quando fischiò il duro tonfo di un pugno.
Spaventato tornò di fretta a spiare la combriccola, e si ritrovò a spalancare gli occhi.
Il giovane che lo stava sfottendo era disteso per terra, e con la mano si manteneva pesantemente la guancia. Jason, ritto dinanzi a lui, si avvicinò al petto il pugno ancora serrato. Il suo sguardo era terrorizzante, anche le sopracciglia avevano deciso di fuggire prendendo le distanze dagli occhi, recipienti di quelle pupille diaboliche, immobili, spietate.
Mike lo fissò scandalizzato. Più che da Jason, da se stesso. Che diavolo gli era saltato in mente? Si era fatto prendere dall’euforia del momento, e aveva voluto pensare che solo Jodie tenesse a cuore Kimley… Ma invece lo sapeva, tutti lo sapevano, e a tutti conveniva ricordarsi che, nonostante non fosse il tipo che lo avrebbe ammesso, ciò che Jason provava nei confronti di quel ragazzo non era per nulla diverso da ciò che provava Jodie.
Lui se n’era stoltamente dimenticato, e adesso rischiava di pagarne le conseguenze.
Ebbe un tremito. << J-Jason, scusa, io non… non è vero, stavo scherzando… >>
Ma il ragazzo non volle più ascoltarlo; lo rialzò a forza da terra sollevandolo per il colletto, lo sbatté bruscamente al muro e senza aspettare ulteriori scemenze profilate come scuse cominciò impetuosamente a prenderlo a pugni.
Kim squadrava la scena con orrido smarrimento, combattuto tra il dovere di andare a interrompere quell’assurdo litigio, e la consapevolezza che i suoi fratelli si sarebbero infuriati al sapere che erano stati spiati.
E comunque il gran casino stava attirando una vivace folla sempre più imponente, e di conseguenza più capace di esibire un forte potere attrattivo.
Era preoccupato, ma… per un attimo si sentì sollevato: era felice che Jason non pensasse quelle cose. E questo sentimento lo fece sentire un egoista.
Per fortuna dovette intervenire John per fermarli. Si slanciò al centro tra di loro e parò prontamente un pugno di Jason, il quale non restò fermo e rapidamente lo tirò per il collo della vecchia camicia a quadri.
 
     E fu allora che Kim la vide.
 
<< Ne vuoi anche tu, eh? >> gli urlò il corvino.
<< Calmati, Jason, non è il caso di prendersela tanto… >> riuscì a dire John con un filo di voce, mentre iniziava a sentirsi strozzato.
 
     La poté vedere solo per esigui attimi, fugaci e violenti…
 
Jason tirava a sé il biondino per il collo della camicia; di conseguenza questa si sollevò di pochi centimetri rispetto al corpo del ragazzo, lasciando la parte bassa del torace scoperta.
Accadde tutto in un istante. Le pupille si ridussero a fessure. Sgranò gli occhi, smise di respirare. In quella scena convulsa, Kim paralizzò il suo sguardo su quell’assurda pistola che fuoriusciva dal jeans del ragazzo.
 
Mille pensieri gli invasero la mente, il cuore impazziva con fragore.
John aveva una pistola, era sicuro…! Ed era un suo compagno di classe, allora non si sbagliava, allora faceva bene a mantenersi alla larga da certe persone… Ma adesso era lì, con quell’arma: se l’avesse usata? Se Jason lo stesse facendo arrabbiare, e magari dopo la scuola John gli puntava contro quell’arma? No… se fosse stato il tipo da fare una cosa del genere a Jason non si sarebbe intromesso in quel litigio… Oppure l’aveva fatto solo per il bene di Mike? E se dopo la scuola entrambi i ragazzi se la fossero presa con Jason?
No, erano tutte scappatoie… Per quanto orribili fossero, una parte dell’anima di Kim voleva che quelle ipotesi fossero vere, perché se così fosse accaduto allora Jason sarebbe stato la vittima in quel gruppo malfamato, e non un loro pari, non un arrogante che si comportava da bullo con gli altri esattamente come John o Mike…
Per quanto orribile fosse l’idea di vedere Jason una vittima lo sperava, perché sapeva che era impossibile. Non era il tipo che si faceva mettere i piedi in testa da qualcuno, ma soprattutto… Se stava in compagnia di quei ragazzi significava che gli piaceva quel gruppo, anche perché lì con loro c’era anche Jodie, ed entrambi per com’erano di carattere non sarebbero mai stati in compagnia di gente che non li piaceva.
E se Jason era amico di quei tipi… E John possedeva una pistola… E se tutti in quel gruppo avessero avuto una pistola – del resto, perché uno sì e gli altri no – allora… Jason… Ma anche Jodie…
Si portò una mano alla bocca. Aveva appena capito che i suoi fratelli possedevano anch’essi delle proprie pistole. Chissà, magari l’avevano con sé, oppure nascoste in casa… E la conferma delle sue ipotesi già confermate dai fatti piombò immediatamente.
 
Jodie – ragazza sempre accorta e precisa, e ciò stavolta si rivelò decisivo per salvare la reputazione, quella propria e altrui – si accorse dell’arma di John.
Istantaneamente gli si parò di fianco, nascondendo da scomode occhiate la vista di quel prezioso dettaglio.
Kim si scansò i ciuffi dagli occhi. Lo sapeva, Jodie aveva notato quella pistola e prontamente si era posizionata in modo tale da non farla osservare da nessun’altro. Aveva agito subito, svelta, senza avere il tempo di rimanere sorpresa. Eppure è impossibile rimanere impassibili quando vedi che un tuo amico ha con sé una pistola. Era ovvio… Jodie sapeva di quella pistola, ne era a conoscenza…
Forse era una piccola conferma, ma temeva – ed era certo di poter ben temere – che non ne servissero di ulteriori.
Mescolò alla sua tesi i ricordi degli strani atteggiamenti dei due ragazzi tenuti da non poco tempo a quella parte, le volte in cui rincasavano tardi, ed erano restii a raccontare dov’erano stati. E Kim ne soffriva, perché non desiderava altro che uscire con loro, ma non era sicuro che essi volessero lo stesso. Alcune volte lo concedevano, certo, ma ovviamente erano solo loro tre, senza “gli sconosciuti amici” dei suoi fratelli che tanto era curioso di conoscere.
Lui ne soffriva, soffriva nel vedere il dolore nel cuore di Jason e Jodie che non riusciva ad affievolirsi quanto a celarsi… e adesso sapeva il motivo.
 
<< Jason, basta >> ordinò in tono perentorio Jodie. Il corvino si immobilizzò con il pugno a mezz’aria, fissando con gli occhi colmi di ira il volto spaventato di John.
Il ragazzo deglutì. “Pheew… Pur di farla pagare a Mike stava per prendersela con me… Meno male che sei intervenuta tu, Jodie!”
In una manciata di secondi una massa scalpitante di ragazzi di età diverse si era radunata lungo tutto il corridoio, ed anche chi aveva inizialmente deciso di rimanere in classe durante la ricreazione era fuoriuscito dalla propria aula.
Il gruppo di Jason e Jodie si disperse frettoloso, evitando di essere chiamato da qualche insegnante ficcanaso.
“Oddio, vengono da questa parte!” capì Kim, e lesto balzò a nascondersi dietro a dei tizi dell’ultimo anno. In quel momento, dei ragazzi che non conosceva – potevano avere la sua età, ma comunque erano di quelli che stavano in compagnia di Jason – passarono davanti, e per sua fortuna non si accorsero di lui.
<< Cavolo… Jason si è infuriato un casino >> commentò uno di essi.
L’altro fece un’espressione furbesca – doveva essere un misto tra divertimento e paura. << Sono curioso di vedere cosa dirà Roy, quando verrà a saperlo! >>
Kim aggrottò la fronte, sperando frattanto che lo spilungone dietro cui stava celandosi non si sarebbe messo a urlargli contro. “Chi è Roy?” si domandò.
L’altro ragazzo annuì con fare pettegolo. << Già… Che poi ti ricordi, proprio stasera ha detto di volerci vedere tutti per darci le ultime direttive per domani… >>
Il compagno lo zittì, schiaffeggiandolo in piena faccia. << Abbassa la voce scemo! >>
E continuando a lamentarsi – ognuno per la stupidità dell’altro – si allontanarono nella folla.
Kim era rimasto spaesato. Continuava a ripetere in mente ciò che i due si erano detti. “Stasera… direttive per domani??? Ma che…”
<< Ehi ragazzo, cerchi qualcuno? >> gli chiese all’improvviso il giovane che si trovava davanti a lui, quello che Kim stava usando come riparo.
<< Ehm… no, niente. Anzi… devo proprio andare… >> rispose frettolosamente abbozzando un imbarazzato sorriso, e con il cuore che gli pulsava forte si congedò in preda al panico.
“Domani…” Non sapeva perché, ma sapeva che il giorno dopo Jodie e Jason si sarebbero certamente cacciati in qualche guaio. E in guai seri.
 
 
 
 

Quella sera

 

   Giorno: 16 Dicembre
   Ore 21:17

 
 
Erano tutti seduti intorno al tavolo. Erano un’unica famiglia, ma ciascuno pensava cose che nessun’altro avrebbe immaginato.
 
“Domani è il compleanno dei ragazzi... Spero che sia una bella giornata” pensava Susan, fissando dubbiosa il marito, lanciando fugaci occhiate al maggiordomo.
Non poteva esporre a nessuno i suoi pensieri… Del resto, con chi poteva parlarne? Proprio con i tre ragazzi? No, e così aveva parlato solo con Alphonse. E oltretutto… Non sapeva neanche lei cosa pensava, quindi era inutile allarmare qualcun altro…
“In questo periodo Gelo è così strano… Mi pare sfuggente… Che sia solo una mia impressione? No, anche Alphonse la pensa così. Probabilmente, può essere legato al Red Ribbon… Lo sanno tutti che quell’organizzazione sta diventando sempre più potente, e noi ne siamo coinvolti… Purtroppo” .
Pensò ad Edward e Hilary. I loro migliori amici erano morti – almeno secondo una sua ipotesi, che considerava molto plausibile – per mano del Red Ribbon, ma indipendentemente da ciò quei poliziotti avevano impiegato tutte le loro forze per riuscire a stanare i criminali… Senza però nessun esito. Forse il peggiorare della situazione faceva molto soffrire Gelo, che vedeva sempre più inutile il motivo per cui i suoi amici erano morti. Ma tutto ciò… solo secondo una sua ipotesi. E comunque, perché non ne parlava con la moglie? Invece era schivo, tendeva ad innervosirsi sempre più spesso… Forse era lo stress. Forse…
 
Il dottor Gelo sorrise. “Domani… E’ il grande giorno!”
 
Kim squadrò i due gemelli. “Fra pochissimo usciranno di casa per incontrare i loro amici. E io… li seguirò!” esclamò in pensiero, stringendo il pugno. Per un istante provò un senso di sollievo per essersi confidato con Alphonse, quel pomeriggio. Gli aveva raccontato della pistola di John, di cosa era accaduto a scuola, e di tutti i suoi timori e le sue intenzioni.
Ora, prova a immaginare: da quando sei nato – quindi da sempre, dal momento in cui hanno inizio i tuoi ricordi – conosci un uomo molto protettivo nei tuoi confronti, sempre ben disponibile e sinceramente affettuoso, che per tua gioia vive in casa tua come tuo maggiordomo. Era naturale che tra Kim e Alphonse si fosse stabilito un bellissimo rapporto, intimo e molto confidenziale. Kim sapeva che sempre e comunque poteva fidarsi di Alphonse, ed era sicuro di poter asserire che, se il dottor Gelo non fosse stato suo padre, avrebbe considerato Alphonse come suo genitore.
Ovviamente non poteva dire alla madre: << Sai mamma, stasera esco per andare non so dove per tornare non so quando. Ah sì, perché devo spiare Jason e Jodie che devono programmare con i loro amici un chissà cosa di ultra mega pericoloso >> . Bè, no di certo. E per questo era tranquillo che, qualora fosse accaduto qualcosa – tipo super ritardo o altro – ci sarebbe stato il maggiordomo a inventare qualche scusa per lui. 
 
“Ok!” pensò Jason, e fece un cenno alla sorella.
<< Noi usciamo >> annunciò questa, alzandosi in fretta.
<< A quest’ora? >> chiesa perplessa Susan. << Mi raccomando, non fate tardi >> .
<< Certo >> rispose in tono annoiato il corvino, e cercando di nascondere la sua eccitazione si affrettò ad uscire di casa.
Passarono solo pochi secondi, che anche Kim – fingendo di improvvisare ciò che in realtà era premeditato – esclamò: << Oh già, giusto, anch’io devo uscire! >>

Si rizzò in piedi con trepidazione. Si portò a tracolla il marsupio da sera, e fu lieto nel notare un cenno d’intesa dipinto sul volto di Alphonse. Gli rispose con un concitato sorrisetto. Era piuttosto teso. Non sapeva dove stava per andare o cosa avrebbe fatto quella serata, ma la consapevolezza di agire per il bene dei suoi fratelli gli riscaldava il cuore, mettendo in moto i suoi muscoli e spronandolo a muoversi con determinazione. Sapeva che stava facendo la cosa migliore. Per Jason, per Jodie, ed anche per se stesso: se fosse rimasto in casa in quella serata era certo che avrebbe sentito un pesante rimorso per tutto il resto della vita.
Spalancò gli occhi. Si portò sul capo un confortevole berretto invernale. Appena fuori di casa, i ciuffi che ricadevano sugli occhi cominciarono ad ondeggiare con frenesia.
Notò i due ragazzi svoltare un angolo. “Eccoli!” esclamò, e svelto ma silenzioso si affrettò nella loro direzione.













Appuntamento al prossimo capitolo: "Pedinamento" !!!!!

*saluta con la mano abbastanza imbarazzato. Ehilà :))) Ecco, ho pubblicato questo capitolo. So che non basteranno, ma chiedo mille e infinite scuse a tutti, perchè era da troppo tempo che non pubblicavo niente. Chiedo veramente mille scuse per quest'orrido ritardo, sul serio, mi dispiace, e chiedo umilmente scusa a tutti...

Quindi spero che il capitolo vi sia piaciuto, e voglio assolutamente rinnovare i miei ringraziamenti a Luu per le sue recensioni :) :3

Veramente, scusate, scusate, mi dispiace, scusate!!!!!!! :( :( :( :(

Quindi vedrò assolutamente di essere puntuale le prossime volte, e spero che continui a piacervi. Fatemi sapere cosa pensate :)
Ecco, un'altra cosa. Questo è il primo capitolo che pubblico con il nuovo nickname. Avevo bisogno di modificarlo :) Grazie, e tantissimi saluti :D :D Alla prossima!!!!!!! :D ;) ;) ;) :D :DD





 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Pedinamento ***


Come una cappa larga e spessa, la quale con eccessivo amore abbracciava le timide case che, con fare intimidito, altro non potevano se non farsi coccolare da quel mantello dolce ma per nulla caloroso, così aleggiava un’atmosfera nell’aria di rigido inverno, di freddo pungente che con rapacità penetrava nei meandri della città, si infilava curioso nei vestiti della gente che imbarazzata si affrettava per tornare nelle proprie case.
Ma c’era una persona – era un ragazzo – che nonostante tutto avanzava spedito per la sua strada, senza correre per non destare sospetti, ma senza cenno alcuno di rallentamento, per non perdere di vista le sue prede. E noi sappiamo di chi si tratta: era Kim.
Le onde di vento scuotevano le scompigliate ciocche di capelli che fuoriuscivano dal berretto invernale, comodo e confortevole. Si guardò intorno e a passi felpati procedette silenzioso, senza perdere di vista Jason e Jodie nemmeno per un istante.
Cercando di non distrarsi per nulla al mondo, si infilò le estremità della sciarpa sotto la giacca di pelle in una maniera che risultò alquanto confusionaria. “Ora scoprirò dove andrete” si ripeté.
Era la prima volta che spiava qualcuno, o il suo primo inseguimento, come preferisci. E ciò gli suscitava una sorta di eccitazione, ma subito si ridestava ricordando che coloro che stava seguendo erano i suoi fratelli. “Se mi scoprono sono finito” si disse socchiudendo gli occhi al solo pensiero. Ma quelli erano ossi duri, e ovviamente per non farsi accorgere fu ben accorto nel tenere le giuste distanze o tenendosi il più nascosto possibile.
Tuttavia… Li avevamo sottovalutati.
 
<< Jason… >> disse la biondina.
<< Lo so >> rispose il fratello.
I due erano al centro di un incrocio. Scoccato l’attimo stabilito di comune, silenzioso accordo scattarono in direzioni opposte: Jodie a destra, Jason a sinistra, infilandosi in vie oscure quanto profonde.
Kim sgranò gli occhi. Si erano accorti di lui?!? Ebbe un momento di puro panico: che diamine era successo?? E ora non sapeva più dove fossero, ma lui doveva assolutamente scoprire dove andavano quella sera… Il giorno dopo avrebbero combinato qualcosa, non avrebbe avuto altre occasioni per scoprire il loro piani.
E soprattutto… Si guardò in torno, pieno di agitazione. E se l’avessero scoperto ed ora quando meno se l’aspettava gli comparivano davanti? A quel punto cosa avrebbe detto?
Provò a rilassarsi una attimo, prendendo un respiro. Erano pur sempre i suoi fratelli, e per quanto si fossero arrabbiati non gli avrebbero fatto del male. O almeno, non molto. Sperava.
Spalancò la bocca. Jason era una testa calda. Se ora veniva e lo picchiava? “No, è Jason!” si diceva, credendosi uno stupido al solo pensiero. Scosse la testa. Stava perdendo tempo, ora quei due chissà dov’erano…
“Perfetto, li ho persi completamente di vista!” si lamentò in pensiero. “Oh no… E metti che tornano indietro, ma vedono che sono io e per ora non mi diranno niente? E aspetteranno che io faccia qualche mossa sbagliata in questi giorni?”
<< No! >> si schiaffeggiò sonoramente le guance. << Sto perdendo tempo… Se verranno dirò la verità, e poi sono loro che mi devono delle spiegazioni; ora devo solo trovarli >> e così dicendo si calò ulteriormente il cappello sugli occhi, sperando di non essere – nel caso – riconosciuto, e si addentrò caricandosi di coraggio all’interno della stradina.
 
<< Qualcuno ci stava spiando >> sbottò Jodie.
Stavano correndo a distanza di pochi centimetri l’uno dall’altro, per rallentare man mano che si allontanavano dal punto dell’appena accaduta fuga.
<< Già >> commentò Jason , stringendosi meglio il foulard arancione al collo. << Ma ora non abbiamo tempo per vedere chi era, dobbiamo solo spicciarci >> .
“Sì, ma chi poteva essere?” pensò la ragazza. Insomma, chi poteva mai essere interessato a seguirli? Istantaneamente, le balenò un atroce dubbio in mente, che urgentemente cercò di rifiutare con violenta forza.
“E se…” No, non poteva essere. Pensò al fratello, così buono e riservato. Sarebbe stato veramente capace di fare una cosa del genere? Oh sì, purtroppo quando voleva sapeva rivelarsi molto caparbio. Però…
Fissò il volto di Jason. E se il corvino avesse deciso di non conoscere il loro inseguitore proprio perché temeva che potesse trattarsi di Kim? Jodie chiuse a spalancò gli occhi più volte. No. Nel caso in cui Kim avesse continuato a inseguirli per il ragazzo sarebbe stato pericoloso, e Jason non avrebbe mai permesso che il pericolo incontrasse suo fratello. Si tranquillizzò. Guardò avanti, seriosa. Erano appena arrivati.
 
<< E ora dove sono??? >> predicò Kim. Era al centro di una piazza, vasta ma deserta. Non era la principale della città, e non passava nemmeno per il corso; era delimitata solo da svariate case, e non c’erano negozi. Unica caratteristica curiosa era – guarda un po’ – la presenza di ben quattro vie che si diramavano da essa.
“Bè, poteva andare peggio” provò a consolarsi. Di queste quattro vie, due si snodavano a sud – quindi nella direzione da cui proveniva – , una a nord e l’altra a nord-est.
Dunque… Jason e Jodie non potevano essere lungo la via che aveva appena attraversato, ed escluse anche l’altra che procedeva nella medesima direzione.
“Anche se potrebbero essercisi nascosti nel frattempo” ragionò. Si era ritrovato in quella piazzetta seguendo una delle due strade che Jason e Jodie avevano attraversato, le quali potevano portare al medesimo luogo.
“Quella la escluderei…” pensò indicandola “perché se sono lì vuol dire che sono nascosti e mi stanno spiando. Ma non lo farebbero se avessero fretta; ed è possibile che abbiano una certa fretta, o altrimenti sarebbero venuti a fare il quarto grado al loro inseguitore. A meno che... Senza che me ne sia accorto loro mi hanno visto e mi hanno riconosciuto”. Sospirò affranto. “Sono troppe ipotesi, così non combinerò un accidente!”
Il giovane incrociò le braccia, cercando di meditare, e puntò gli occhi sulla salita che procedeva in direzione nord-est. “Non so bene dove possa portare quella strada, ma se provo ad andare da quella parte… e poi mi sbaglio? Non farei altro che allontanarmi da Jason e Jodie… Cavolo, che faccio?”
Stava ormai cominciando ad insultarsi per essersi fatto scoprire, quando accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
Mentre teneva gli occhi fissi sulla salita, si ritrovò all’improvviso a seguire con gli occhi i passi frettolosi di un ragazzino dall’aria piuttosto pestifera. Kim aguzzò lo sguardo. Il tizio – poteva avere un dodici anni – aveva l’espressione molto concitata, come se fosse in ritardo per qualcosa.
Si sentì percosso da una violenta scarica di energia. “Ma io… io l’ho già visto!”
Se la memoria non lo ingannava si doveva chiamare Carter, e si ricordò di averlo notato qualche tempo prima in compagnia di John e altri bulli, i quali stavano prendendo a parolacce un gruppo di ragazzini coetanei del piccolo, con l’orgogliosa approvazione di quest’ultimo. Se lo ricordava perché in quell’occasione John aveva detto: “Visto Carter? D’ora in poi quei babbei non ti daranno mai più fastidio!” E perché erano appena usciti da scuola, e aveva un gran fretta di tornare a casa e mangiare.
<< Dove va? >> si chiese. Il ragazzino senza rallentare la sua corsa scivolò all’interno dell’altra via, quella che correva a nord. Fu un istinto naturale. Non sapeva perché lo stava facendo, ma senza rendersene conto Kim si ritrovò a seguirlo, abituandosi ormai alla figura dello stalking.
 
 
Prova a immedesimarti: era una sensazione veramente sgradevole lo stare in un posto che non conoscevi minimamente, e a consolarti la paura di essere scoperto. Dai tuoi fratelli, o da chiunque dei loro compagni.
Per un attimo, ma solo per un attimo, si ritrovò a pentirsi di non aver ascoltato i consigli del maggiordomo e di aver testardamente deciso di effettuare quell’inseguimento, ma subito si ridestò, ricordandosi che se era per il loro bene tutto era concesso.
Seguendo il ragazzino era arrivato a intrufolarsi, scettico, in quello che poteva parere un normale condominio. Ma in realtà non era così. Si trattava di un edificio scuro, immerso in una zona dove i lampioni si annoiavano a portare la luce elettrica, affidando il compito ai compagni più anziani. A guardare l’edificio, doveva essere totalmente abbandonato. Forse era una vecchia proprietà – chissà se non rubata a qualcuno – del padre di uno di quei ragazzi. Ormai si aspettava anche cose del genere, anche se ancora non sapeva con precisione che genere di persone fossero gli amici dei gemelli.
Superato il pesante portone, percorse cautamente una ripida scalinata, non molto profonda ma quanto bastava per dare un felice tocco di malignità al tutto. Evviva.
Già osservava le ante di legno del portone al termine della discesa, che sentì delle voci molto chiaramente.
<< Eccomi qui! >> Era la voce del ragazzino che aveva inseguito, Carter. Aveva una voce agitata, ansimante.
Kim deglutì. “Mi auguro che abbia corso solo perché era in ritardo, e non perché si è accorto di me”.
<< Oh… bimbo, finalmente >> lo salutò una voce rauca. Non la conosceva: chissà quante persone c’erano lì dentro, ma soprattutto… chi erano? Quella situazione era assurda, non gli piaceva… Ma doveva scoprire ogni cosa.
“Non riesco a vederli” si lamentò. Come poteva fare? Si guardò intorno, o almeno ci provò, siccome era talmente buio che non si distingueva nulla. E se ora qualcuno lo attaccava alle spalle? Un brivido gli percosse la schiena.
Alzò lo sguardo, e sopra la porta riuscì a distinguere quella che doveva essere una trave di legno. O perlomeno così sembrava. E un poco più in basso, un’apertura quadrata nel legno della porta: probabilmente avrebbe dovuto essere chiusa da un vetro, tuttavia o mai nessun vetro si era affacciato in quell’antro, oppure era semplicemente stato rubato. Bè, un’apertura vuota, perfetto.
No, non poteva farlo, ma che cavolo… Ma prima ancora che potesse concludere il pensiero un brivido gli corse sulle gambe, innescando al suo dissolvimento un meccanismo che impediva ad esse di autoregolarsi, comandandole autonomamente. Da un lato il ragazzo si stava pentendo delle sue stesse azioni, ma nel contempo prestava una scrupolosa attenzione a dove poggiava i piedi.
 
Fu nell’insieme molto accorto. Anzitutto occorre precisare che l’apertura era in alto, sì, ma non troppo, cosicché tendendo le braccia in alto riuscì ad impugnare la barra di legno vecchio e scalfito che stava alla base della concavità; in realtà temeva di non riuscire ad arrivarci, ma fu lieto nello scoprire che si sbagliava.
Lieto, sì, ma non c’era tempo: doveva fare in fretta, o da dentro l’avrebbero potuto vedere.
Come per tirarsi contro l’estremità di legno che delimitava la modesta apertura, si fece velocemente forza sulle braccia e si sollevò da terra.
Rimasto penzoloni, allungò la gamba per poggiare delicatamente il piede su una delle coppie di anelli lungo i quali scorreva il chiavistello. Ovviamente, questi mitici anelli non erano chissà quanto distanti, quindi l’operazione riuscì piuttosto facile. Ma non nel complesso.
Appoggiati con cautela entrambi i piedi sulla pur flebile base, prima che potesse rischiare di cadere afferrò con forza la trave di legno sospesa al di sopra dei battenti. A quel punto, poté alzare i piedi da quella base così debole e pericolosa, che altrimenti avrebbe solo cigolato freneticamente. Ora si ritrovava sospeso, con le gambe nuovamente penzoloni, ma almeno poteva osservare l’interno del covo da quella fortunata apertura.
Perché tutto ciò? Perché, anche se alquanto scomoda, era la posizione più utile per spiare ciò che doveva spiare: se si fosse retto direttamente ai bordi della fessura, avrebbe mostrato le mani all’interno, con ovvie possibilità di farsi scoprire. Invece adesso se occorreva bastava pendere un po’ di lato, e diveniva invisibile.
Probabilmente, in condizioni normali avrebbe anche sorriso – non si credeva capare di compiere simile azioni – ma on era affatto in vena di sorridere.
No. Perché all’interno della sotterraneo li poté vedere chiaramente: erano Jason e Jodie.
 
<< Bene, ora che ci siamo tutti spicciati a parlare >> ordinò in tono perentorio la ragazza.
<< Ehi tu >> ringhiò John al ragazzino << quanto ancora avevi intenzione di farci aspettare? >>
Stava presumibilmente per strattonarlo, ma Jodie lo bloccò, stingendogli con decisione il polso e fissandolo dritto negli occhi. << Smettila >> sussurrò solamente.
E Kim poté notare come il biondo obbedì alla ragazza, non senza titubanza. Bè, di certo si faceva rispettare.
<< Ok, sapete già tutto. Quindi adesso vi comunicherò solo gli ultimi dettagli >> annunciò una voce possente. Kim sobbalzò. Era una voce diversa, più forte delle altre, più autoritaria… Ma aveva anche un accento minaccioso, inquietante… Si strinse alla timida breccia; il cuore gli pulsava nervoso, aveva paura. Paura di essere scoperto, di ciò che poteva accadergli… Certo, se fosse stato un qualunque gruppo di delinquenti – perché di quello si trattava, inutile negarlo – avrebbe provato un’ancor più marcato spavento, ma in un certo senso la presenza dei suoi fratelli in quel luogo lo tranquillizzava. O perlomeno così voleva sentirsi, perché sapeva che se fosse stato scoperto quelli ad infuriarsi maggiormente sarebbero stati proprio Jason e Jodie.
Sussultò. Cominciava a sentirsi le braccia pesanti, e sapeva che non avrebbe resistito molto. Per lo più, il legno sul quale si aggrappava con forza era vecchio, ricco di escoriazioni; avvertì del bruciore ai palmi delle mani.
Tentò di registrare la scena con la vista il più accuratamente possibile. Puntò gli occhi su un ragazzo alto, muscoloso di fisico, e con lunghi capelli chiari che teneva sciolti, il quale si fece avanti verso gli altri presenti. Doveva essere stato lui a parlare prima. Aveva una brutta sensazione. Non sapeva spiegarselo, ma… tutti quei ragazzi, anche solo visivamente, gli parevano inferiori rispetto a quel tizio, con l’aria così tenebrosamente pericolosa.
<< Allora Roy, a che ora? >> chiese con eccitazione Jason.
“Quindi quello è Roy” pensò Kim. “E da come si comportano tutti… sembra quasi il loro… capo”.
Ma soprattutto… Cos’è che quei pazzi stavano progettando? Doveva essere qualcosa di pericoloso, Se lo sentiva…
 
     Inaudito è il dolore che prova una dolce mamma, nel momento in cui chi prova dell’affetto nei confronti della sua famiglia la informa che ormai il giovane figlio sta smarrendosi nella disperazione, per aver conosciuto e apprezzato l’uso di alcolici, droga, o quant’altro il malefico ingegno umano può aver creato.
 
     Angoscia è l’unica emozione che può provare un avventuriero nell’istante in cui, smarrite le carte, dileguatosi dai compagni, abbandonato l’orientamento, volge lo sguardo in alto per ammirar le stelle, o in basso per carezzar le piante, e non trova né l’uno né l’altro.
 
     Vuoto. Corpo che avvampa. Desiderio di gridare il tuo dolore. Necessità di essere confortato. Disperazione. E sbigottito smarrimento …
 
Era una fontana… No, una cascata di parole, un flusso che non trovava accenni di pace. La voce di quell’orrido Roy penetrava nella mente di Kim violenta, prepotente. Egli stava spiegando fin nei dettagli il gioco che avrebbero portato avanti il giorno successivo, quello che per loro era un divertimento, un’ennesima dimostrazione di valore e coraggio.
 
     “La rapina alla Central Bank sarà spettacolare” erano state le parole con cui il capo aveva introdotto il suo discorso. Avrebbero compiuto una rapina alla banca, la più importante della città, loro, quei ragazzi… e Jason e Jodie.
Kim cominciò ad avere piccoli affanni, le braccia gli tremavano, si sentì le braccia carezzate da un dolce tocco. Alzò lo sguardo, e vide sottili ma lunghe scie di sangue che colavano dalle mani; penetrarono sotto le maniche, le sentì roteare attorno alla spalla e corrergli sulla schiena, suscitandogli un brivido.
<< Dovrete avere tutto quello che serve >> stava continuando imperterrito Roy << quindi mi raccomando, non voglio vedere una sola persona senza la sua pistola domani >> .
Ebbe un altro sussulto. Non ce la faceva più, né fisicamente né tantomeno mentalmente. Aveva sentito tutto: piano, orario, luogo.
Senza indugiare oltre balzò per terra con il cuore che gli martellava nel petto, sperando in parte di non fare alcun rumore. Ma ormai non gli importava più niente: desiderava solo fuggire, scappare via, lontano.
E difatti, nessuno riuscì ad udire il piccolo suono dei suoi piedi che toccavano terra mentre si accovacciava… Ma Roy, ricordiamoci, era in realtà C – 13, e per sfortuna del ragazzo l’androide aveva una percezione dei sensi maggiore di quella degli umani.
Immediatamente sgranò gli occhi. Senza proferire alcuna parola si discostò dal gruppo di ragazzi, troppo eccitati per dare retta a lui. Quando Deborah si accorse della sua mancanza e si voltò per chiamarlo, non riuscì a trovarlo con la vista. Era sparito.
 
Kim riuscì ad alzarsi, ma le ginocchia gli tremavano convulse. Si piegò, portandosi una mano davanti alla bocca. Squadrò con occhi spalancati quei tremendi battenti che lo separavano dai fratelli. L’oscurità era soverchiante, densa, e si infittiva attimo dopo attimo. Non voleva rimanere un secondo di più in quel posto. Frettolosamente si voltò per andarsene… Ma si ritrovò a sbattere il volto in quello che al tatto pareva essere il palmo di una mano.
“Che cosa…” cominciò a pensare, quando la mano iniziò a stringere con violenza il capo.
<< Cucù… ma cosa abbiamo qui? >> sussurrò una voce demoniaca. << Un piccolo intruso… >>
Kim sgranò gli occhi. Quella voce…
Dal divarico tra due dita riuscì quasi a stento ad osservare la figura che gli era davanti. Si trattava di Roy, il leader della baby gang.










Kim è stato scoperto! Che cosa succederà adesso? Cosa farà il ragazzo?!??

Ebbene, eccoci qui... :) E ancora un altra volta ho tardato tantissimo nella pubblicazione del capitolo, perdonatemi :) :)

Bè, come sempre, grazie a Luu per le recensioni :D Ecco, perchè come ho già detto un'altra volta, se riesco a scrivere è merito molto delle recensioni, perchè ogni singola parola mi sprona ad andare avanti.. Quindi volevo chiedere a tutti coloro che leggono questi capitoli di recensire - si intende, se non vi disturba - magari anche una cosa semplicissima. Tanto per farmi sapere che state leggendo, per farmi sapere che ho vari motivi per continuare a scrivere :) Anche una cosa come "E' bello" o "E' brutto" . Ecco, non ci vuole niente xD xD

Vabbe seriamente, si intende che se non vi disturba, ma ecco, mi farebbe veramente molto, molto piacere sapere cosa pensate della mia storia. Perchè per me non è "solo" una fanfiction, è una storia a cui tengo molto e anche la realizzazione di un sogno. Grazie ugualmente a tutti.. grazie :) :) :) :)

Bè, appuntamento al prossimo capitolo!!! :D
Tanti saluti!!!!! :D :D

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** La famiglia frammentata dalle menzogne ***


La famiglia frammentata dalle menzogne



Tragica vittima del terrore, Kim si voltò per andarsene… Ma si ritrovò a sbattere il volto in quello che al tatto pareva essere il palmo di una mano.
“Che cosa…” cominciò a pensare, quando la mano iniziò a stringergli con violenza il capo.
<< Cucù… ma cosa abbiamo qui? >> sussurrò una voce demoniaca. << Un piccolo intruso… >>
Il ragazzo sgranò gli occhi. Quella voce… Distante, fredda, tirannica, e spietatamente calcolatrice...
Dal divarico tra due dita riuscì quasi a stento ad osservare la figura che gli era davanti. Sì, era proprio lui: Roy, il leader della baby gang.
 
Ma cosa diavolo...? Come aveva fatto??? Era stato scoperto, improvvisamente immobilizzato in barbara maniera, e poi, cosa più importante... Ormai aveva sentito tutto, sapeva i dettagli della rapina che si sarebbe tenuta il giorno seguente: ciò significava che era adesso una minaccia, un nemico scomodo, da sopprimere.
Si dimenò con una disperazione pari a quella di un felino nel momento del bagno. Provò a urlare aiuto: era disposto ad annunciare la sua presenza a tutti pur di avere salva la vita. In confronto, l’idea di essere visto da Jason e Jodie trasudava una tale tenerezza da provocare la disperata fuga di una lacrima.
Roy sfilò la mano discostandola di un paio di centimetri dal volto del giovane…
Assordante e tremendo l'urlo che saettò dalla bocca di Kim… No, si ritrovò ad urlare solamente in pensiero... Era addirittura troppo terrorizzato per emettere suoni.
Ma che pena... Che inutile, si era fatto scoprire come uno stupido. Ma del resto, quelli erano dei veri delinquenti. Dunque, era stato anche presuntuoso, perché stoltamente si aspettava di non essere scoperto da chi magari... ne è esperto di mestiere! Però, non si aspettava che fossero così delinquenti... E comunque, Jason e Jodie con persone simili andavano in giro?
Ecco, stava pensando nuovamente a loro. In un momento del genere. Forse perché erano veramente molto importanti per lui. O forse era tutta una scusa, e avrebbe invece preferito non pensare al pazzo che aveva di fronte, come se fosse solo un'illusione...
E invece era la sola, tremenda, realtà.
Sul volto del capo della gang si dipinse un sorriso di gioiosa goduria.
 
E ciò che a questo punto vide, Kim non lo dimenticò mai per tutta la vita…
 
Come improvviso è lo scoccare del secondo nella successione di attimi che determinano il minuto, con la stessa fulmineità il palmo della mano di Roy parve illuminarsi.
Il ragazzo si rese conto di dover correre via, ma incontrando con gli occhi il volto e la mano di quel folle i muscoli di tutto il suo corpo si paralizzarono, mutando l’impulso di scappare in rantoli di brividi.
Il buio già pesto di quell’angolo al fondo della scalinata si infittì esageratamente ripugnando con disgusto quei pochi accenni di luce, che confluirono nel palmo della mano di Roy. Qui parve formarsi come una cortina di luce, che però sembrava tangibile, solida, calda, e soprattutto… pericolosa.
Kim aveva bocca e occhi spalancati. Non riusciva a chiuderli. Gocce di sudore calarono lungo le guance, il sangue delle mani sul pavimento.
“Che diamine… sta... facendo...?!??” osò domandarsi timidamente, senza avere l'ardire di alzare la voce nemmeno in pensiero.
Cos’era quella… quella cosa? Era un incubo, il peggior incubo della sua vita, voleva svegliarsi… Di solito nei momenti più brutti i nostri sogni si interrompono, perché non stava succedendo? No, non era un incubo, era tutta realtà… Anche quella cosa gialla nella sua mano…
Il mostro biecamente ghignò. << Addio, nullità >> .
 
E a quel punto accadde l’imprevedibile.
 
Il ragazzo era già riuscito a serrare le palpebre per non incontrare la morte in faccia quand’ecco che Roy si immobilizzò. Completamente. Gambe, volto, mano.
La luce squillante appoggiata sul suo palmo si dissolse. Trascorsero attimi di pauroso silenzio, e Kim aprì un occhio per osservare cosa – o chi – aveva di fronte, mentre aveva ripreso il controllo del suo corpo e ora i brividi potevano manifestarsi liberamente. Il capo della gang era lì, con la mano aperta a due centimetri da lui, ma con un’espressione sconvolta, manifesto di puro terrore.
<< M-ma tu… Tu… >> balbettò. Squadrò il ragazzino, così gracile ed impaurito, il quale lo fissava senza nulla osare con entrambi gli occhi dispersi nell’incertezza.
Roy ritirò lentamente la mano, imprimendo l’immagine del ragazzo nella sua mente. Ne era malauguratamente sicuro, non poteva sbagliarsi, non potevano sopravvivere dubbi…
“E’ il figlio del dottor Gelo!!!!!!”
Adesso fu lui a tremare. Stava per ucciderlo, stava per ammazzare il figlio del suo creatore… Cosa avrebbe fatto Gelo se ciò fosse accaduto? L’androide non avrebbe mai voluto ammetterlo, ma la verità era una sola, e la domanda da porsi un’altra.
Quanto tempo ancora avrebbe vissuto?
Digrignò i denti. << VIA, VIA!!! >> gli strillò in tono perentorio; ma prima di vederlo dileguarsi fu fortunatamente scosso da un impeto di ragione, e decise di avvicinare il mento all’orecchio di Kim.
<< E non osare fare parola con nessuno di quello che hai ascoltato. Intesi? >> E provando a nascondere il tremore del suo labbro mentre gli parlava lo afferrò per il polso e violentemente lo spinse verso le scale. Kim andò a sbattere con la schiena sulla ringhiera, serrando gli occhi per il dolore, ma poi scattò il capo in direzione di Roy. Lui era lì, immobile, fisso a guardarlo. Senza riuscire a proferire alcuna parola prima indietreggiò, per poi finalmente correre via.
Via, lontano da quel degrado, lontano da quegli assurdi pensieri.
 
 
 
<< E’ assurdo… >> commentò Alphonse, mentre iniziava a sentire l’anima pervasa da un oscura percezione di sofferenza.
Kim era seduto sul letto con le gambe incrociate, e non aveva esitato un solo attimo nel rivelare tutto all’uomo. Si era subito protetto all’interno del suo pigiama. << Dobbiamo fermarli >> sussurrò senza troppo entusiasmo << e bisogna dirlo anche a mamma e papà. Però… >> declinò ulteriormente il tono della voce, incerto << non è che dovrei prima parlare direttamente con loro? >>
Alphonse rimase immobile, al fianco del ragazzo, con le mani poggiate sulle gambe. Prese un respiro profondo e tremante. << Signorino Kim, perdonami >> disse. Prima che il giovane potesse aggiungere altro, continuò. << Tu avevi insistito tanto affinché ti lasciassi andare, e alla fine te l’ho permesso, senza dire niente a nessuno. Sono stato imprudente… Entrambi pensavamo che tu dovessi seguire i tuoi fratelli, ed anche in questo caso non dovevo assolutamente permettertelo… Ma invece… invece… >> Prese una pausa, fissando con tristezza gli occhi del ragazzo.
<< Lo so, ho rischiato >> volle interromperlo questi, in tono grato. << Ma non è successo niente, quindi è inutile pensarci >> .
<< No >> rispose l’uomo scuotendo la testa. << Io non dovevo assolutamente permettertelo. Tu non devi correre rischi >> . Si asciugò un’umiliata lacrima. << E nemmeno quei ragazzi. Per questo dirò tutto ai tuoi genitori, stasera >> .
Il volto di Kim si adombrò di agitazione. << No, non farlo! >> Gli afferrò il braccio. << Per favore. Prima fammi almeno parlare con Jason e Jodie >> .
<< Capisco che voglia parlare tu con loro, d’accordo, però… Quando? >> osservò il maggiordomo in tono premurosamente lento e chiaro. << Sarebbe meglio farlo subito, tuttavia… Adesso sei troppo sconvolto. Credi di esserne in grado? >>
Il giovane si impensierì, e l’uomo non poté non notare un’espressione di amarezza sul suo volto.
“Perché sta succedendo tutto questo?” si rammaricò Alphonse. Così apparentemente tranquilli, quei ragazzi… Certo, era vero, nel loro passato si era consumata un’orribile tragedia, ma arrivare a quel punto… “Forse non abbiamo dato tutto l’amore che desideravano…” pensò deluso l’uomo.
Sì, deluso da se stesso.
Strizzò l’occhio, aprendolo debolmente. “A quel tempo io sono stato salvato da Gelo, ma noi tutti adesso non siamo stati in grado di aiutare quei ragazzi…”
E cosa che di certo non migliorava le cose era che da quando aveva ascoltato quel nefasto racconto non riusciva a levarsi dalla mente un unico, agghiacciante, pensiero. E forse anche Kim lo stava sospettando. Povero ragazzo… Ma di certo il nascondere la verità non  lo avrebbe fatto sentire meglio; non avrebbe giovato a nessuno, quindi tanto valeva esprimere a voce il timore, seppur terribile.
Ma inaspettatamente fu proprio Kim a prendere la parola. << Senti Al >> disse all’improvviso << tu pensi… >>
Lo guardò in volto, con un’ espressione che implorava sincerità. Deglutì. << Pensi… che possano far parte di una… di una baby gang? >>
Il maggiordomo ricambiò lo sguardo con un senso di eguale accoramento. Immediatamente, poté avvertire attorno a sé l’aria che si faceva più pesante e palpabile. Ma il giovane voleva una risposta sincera, non servivano altre bugie. Scosse la testa. << Non lo so… Però da quello che hai raccontato… >>
Trascorsero secondi di silenzio che parvero ore. Kim prese un respiro. << Sai, loro sono mio fratello e mia sorella… >> sussurrò poi sorridendo con amarezza. << Ma le nostre personalità sono opposte. E’ per questo che ho sempre preso esempio da loro, anche adesso… >>
Alphonse lo scrutava senza osare interromperlo.
<< Ma ora, mentre mi sforzo di essere una persona migliore, di essere come loro… Sono così concentrato nel vedere in loro dei modelli… >> Nascose la bocca e il naso nelle mani giunte, poi le allontanò con disprezzo << …che sono stato cieco per tutto il resto, non sono stato in grado di capire cosa stavano nascondendo… >>
Annuì ripetutamente stupito dalla propria mancanza, socchiudendo le palpebre. << Ho sbagliato con Jason e Jodie, ho sbagliato così tanto, forse troppo… >>
Strinse il pugno, trascinandoselo fino all’alto della coscia. Le protettive palpebre furono scosse da un quasi impercettibile movimento, che al maggiordomo però non poté passare inosservato. Si può dire che socchiuse nuovamente gli occhi, ma mentre prima era la volontà di annebbiare la vista consumata in atto, ora l’intento che spronò le dolci barriere a dischiudersi era quello di ammirare, osservare ciò che accadeva. Assicurarsi per mezzo della vista che succedesse ciò che doveva essere, e in caso contrario agire, passare all’azione affinché ciò divenisse tangibile realtà.
 
Sì, perché era questo che Jason e Jodie gli avevano insegnato… Ponderare, pensare ai fatti, certo… Ma se i pensieri non verranno affiancati dalle azioni questi rimarranno solo e sempre tali, e prima o poi svaniranno con la tua esistenza… Silenziosi e passivi…
 
     << BASTA! >> urlò all’improvviso. Alphonse sobbalzò. Lo squadrò in volto. Kim serrò entrambi i pugni. << Ora basta sbagliare… Ho piagnucolato fin troppo. Rimedierò. Devo farlo. Per me… e per loro >> .
Scattò in piedi, raccogliendo con un respiro tutto il proprio coraggio. << Domani la rapina sarà alle quattro di pomeriggio, ma noi li fermeremo prima. Cominceremo adesso, prendendo le loro pistole >> . Fissò il maggiordomo, con fare deciso ed fermo. << Io vado nella camera di Jodie! >> esclamò.
Alphonse indugiò per osservarlo.
Insomma, solitamente era un ragazzo imbranato, indeciso fino all’estremo, e con poca attitudine all’iniziativa. Ora invece…
Paradossalmente – e fu certamente una bizzarra constatazione – proprio ora, momento in cui sarebbe stata giustificato un atteggiamento di abbandonata tristezza, pareva determinato, insolitamente risoluto… e coraggioso.
Sì, perché era quello un atto di vero coraggio, si disse l’uomo. “Trovare la forza che si nasconde in ognuno di noi… Proprio quando sembrerebbe il momento peggiore per farlo…”
Quello strambo ragazzino pareva fiducioso? Ebbene, allora anche lui avrebbe serbato fiducia in tutti e tre i ragazzi.
 “Hai ragione Kim” pensò. “Noi possiamo ancora… e dobbiamo salvarli!”
 
Fugace e fulmineo ecco che passò nemmeno un singolo minuto che il giovane si era già intrufolato nella camera della sorella, mentre l’uomo era rimasto fuori a fare la guardia.
Questi si guardò intorno con circospezione. << Perché vuoi cercare proprio qui? >> chiese.
Kim scaricò il peso del busto sulla mano, poggiandola sul fianco. << Con ogni probabilità potrebbero avere le pistole con sé… Ma se avessero voluto lasciarle a casa avrebbero cercato un ottimo nascondiglio, un posto in cui nessuno cercherebbe… E quindi non può certo essere la camera di Jason, che è anche la mia >> .
Alphonse annuì. << Quando hai intenzione di dirlo ai tuoi? Adesso tua madre sarà di giù, mentre tuo padre… >>
<< E’ nel laboratorio, e quando finirà sarà troppo stanco; credo che andrà direttamente a riposare >> .
Il ragazzo poggiò il mento sull’indice della mano destra. “Vediamo… Dove posso cercare?”
 
 
     Le ante dell’ascensore si spalancarono strillando.
 
 
“Dunque… un posto in cui nessuno andrebbe a cercare…” rifletté Kim inquisendo i più solitari angoli della stanza, quando una strana idea gli balzò in mente.
 
 
     Il ragazzo dai lunghi capelli bianchi era agitato, gesticolava freneticamente mentre pronunciava parole che non avrebbe mai voluto pronunciare.
 
 
<< Ma cosa… stai facendo? >> disse Alphonse inarcando un sopracciglio.
<< Le pistole le terranno quasi sempre con loro, quindi non è necessario inventarsi un nascondiglio assurdo >> spiegò il ragazzo setacciando tutti i cassetti di un raffinato comò. << E inoltre deve essere un posto facilmente raggiungibile, ma difficilmente perlustrabile. Jodie è sempre stata una ragazza riservata, ma ultimamente sottolineava troppo che nessuno, neanche mamma, dovesse rovistare tra le sue cose… e in particolar modo qui >> .
Tirò a sé un cassetto ampio e profondo, che rivelò agli occhi dei presenti… un mare di slip e reggiseni.
<< Ehm… e tu credi che possano aver nascosto qui una cosa del genere? >> osservò Alphonse.
Kim annuì, imbarazzato. << S-sì, credo >> . O forse, voleva dire “spero”: immagina la figura se poi non avesse trovato niente.
 
 
     Il dottor Gelo si levò in piedi, portandosi le mani nei capelli.
 
 
     << Che giornata… >> commentò Jason. Afferrò dalla tasca un mazzo di chiavi.
 
 
“Dai…” si disse Kim, mentre disperatamente cercava un qualcosa che non fosse solo soffice reggiseno o mutanda.
<< Muoviti, potrebbero tornare! >> gli ricordò con sollecitazione il maggiordomo.
 
 
<< Eccoci… >> annunciò in tono scarsamente entusiasta Jason, volendo salutare Susan.
 
<< Sono tornati! >> esclamò Alphonse trattenendo con un sussurro quello che voleva essere un urlo concitato.
Con il cuore in gola Kim si affrettò a ridisporre la biancheria alla meglio, quando nel movimento agitato della mano gli parve di toccare qualcosa. “Ma che…”
A nulla servì il tentativo di Alphonse di intercettarli perché immediatamente entrambi i gemelli si riversarono nella camera della ragazza.
Un attimo prima che entrassero, il giovane ebbe appena il tempo – oltre che di guardarsi intorno disperato – di afferrare il primo libro che gli era capitato e di scaraventarsi sul letto, fingendo al loro ingresso di essere assorto in un’acculturante lettura.
<< Kim! >> lo salutò Jodie. << Che ci fai qui? >>
<< Sto leggendo >> rispose, salutandoli con un abbozzato sorriso.
La biondina aggrottò la fronte. << Ti interessa il cucito? >>
<< Ehm… >> Guardò la copertina del libro, e lesse con sorpresa: “Merletti e centrini: consigli da Diva TV!”
 << Sìsì, certo >> .
<< Ok… >> sussurrò la ragazza, annuendo più volte con un’espressione sconcertata.
Jason parve dubbioso. Apparentemente Kim era normale, eppure…
Si ritrovò a fissare i suoi piedi. Solitamente, quando si stendeva sul letto per leggere Kim rimaneva scalzo, invece adesso ai piedi aveva ancora le sue pantofole. E poi…
Si voltò di scatto. Appena era entrato nella stanza lo aveva colpito un certo particolare: Jodie era una ragazza precisissima, diciamo pure pignola, non avrebbe mai lasciato qualcosa fuori posto.
Erano entrambi piccolissimi dettagli, forse fin troppo per preoccuparsi concretamente, ma l’incuriosì quella bretella che fuoriusciva dal cassetto.
<< Bè, come hai detto prima sorellina… Sei molto stanca, è meglio se ora dormi >> .
“E’ rincretinito?” pensò lei, la quale ovviamente non aveva detto nulla di simile, ma l’intuito la trattenne dall’esprimere ad alta voce il suo pensiero.
<< Jason, Jodie, vi devo dire una cosa >> dichiarò tutto d’un tratto Kim.
L’attenzione dei ragazzi cadde istantaneamente su di lui.
Alphonse, che era rimasto ad origliare dalle scale, spalancò gli occhi.
Kim fissò i loro volti. Una sola parola, solitaria ma prepotente, risuonava nella sua mente: perché…?
Si morse il labbro. Alzò lo sguardo. << Fratellone, sorellona… Tantissimi auguri! >>
Già, doveva sorridere, non voleva pensare a tutto quello che sapeva, era fin troppo assurdo…
I ragazzi rimasero piacevolmente sorpresi. Non se ne erano ancora avveduti, ma ormai la mezzanotte era scoccata da un po’: era dunque il 17 Dicembre, ovvero la data del loro quattordicesimo compleanno. << Grazie…! >> rispero con un sincero sorriso.
Alphonse sospirò. Tornò al piano di sotto, da Susan. “Mi hai salvato a quel tempo… Salvaci adesso, Gelo!”
 
 
<< Quello che mi hai raccontato è, è… assurdo!!!! >> gridò Gelo in tono convulso.
C – 13 provò a giustificarsi, ma invano. << Lo so, io… >>
<< Tu niente!!! >> Il dottor Gelo aveva gli occhi fuori dalle orbite; era furibondo, sconvolto.
Misurava nervosamente a rapidi e larghi passi il pavimento. << Ti ho detto di organizzare quella maledetta rapina perché ho bisogno di soldi per l’operazione! Ma tu che fai??? Lo fai sapere a mio figlio ?!?? >>
<< Bè, non sa chi sono io >> replicò l’androide << né tantomeno che ci sei tu dietro tutto questo >> .
<< Ma sa della rapina! >> predicò l’uomo, voltandosi con impeto. << E quando avverrà, e come!!! >> Si portò le mani nei capelli, sospirando rumorosamente.
Era da tanto che non si sentiva così… Il cuore gli pulsava follemente, i muscoli tremanti e fin troppo tesi, pronti ad impazzire al più piccolo segnale. Sentiva il sangue ribollire nel suo corpo, i nervi ansiosi di gettare le giuste informazioni alle più miserabili cellule per poi acciuffare nuove notizie, ma senza rendersi conto che il tenersi occupati era un modo per fuggire dal vero compito, quello di portare ordine ed equilibrio all’intero sistema…
L’androide attese qualche secondo, chiedendosi se fosse il caso di dirlo o no, ma poi si risolse. << Ecco dottore, in questo periodo ti vedo molto stressato… Perché non ti riposi? >>
La pacata risposta di questi fu lo strisciarsi giù per i capelli la mano con la ferocia pari a quella di un uomo che altro non desidera se non strapparseli con puro ribrezzo. << Come faccio a riposarmi? In questi giorni dovrò operare Jason e Jodie, li trasformerò in cyborg…!!! >>
Si fermò per prendere un respiro. << Il Red Ribbon necessita di nuovi militari, mi ha chiesto di accelerare i tempi… >>
<< Altrimenti avresti aspettato ancora >> puntualizzò il compagno. << E vorresti ancora. Tant’è vero che ancora non hai deciso la data esatta. Cos’è… Hai paura della reazione di Susan? >>
Lo scienziato gli lanciò contro un’occhiataccia. Probabilmente, infastidito per l’esser stato scoperto. << Ho deciso che Kim non diventerà un cyborg: non ha un fisico adatto. Però… Cosa diranno lui e Susan? >>
Era questo ciò che più gli pesava: il terrore per la reazione dei propri famigliari. Non voleva ammetterlo, ma tale paura derivava dalla consapevolezza che non l’avrebbero presa bene. Anche per questo avrebbe desiderato trasformare il proprio figlio in cyborg: forse Kim non l’avrebbe capito, ma così sarebbe rimasto assieme i suoi fratelli, per sempre… Ma il ragazzo aveva un corpo debole, e con l’operazione rischiava soltanto di morire. E Susan… Trasformare in cyborg una donna adulta non sarebbe stato di utilità al Red Ribbon, però a lui sarebbe piaciuto ugualmente. Non importava cosa pensasse di lui la gente, l’importante era rimanere con la moglie per l’eternità…
Ma ciò era impossibile. L’unico modo per rimanere con i suoi cari era la loro comprensione nei suoi confronti. Temeva che non l’avrebbero capito… Ma perché stava facendo tutto quello?
Chiuse gli occhi. Lui lo sapeva, ma era purtroppo probabile che la cara moglie, l’adorato figlio e neppure il fedele maggiordomo l’avrebbero potuto capire.
<< Dottore >> lo chiamò improvvisamente l’androide, bramoso di cambiare argomento. << Il coso… la macchina per il teletrasporto perché la tieni nel tuo studio? Non è rischioso…? Insomma, qualcuno potrebbe scoprire dov’è la base del Red Ribbon >> .
L’uomo apparve inconsciamente lieto del cambio di argomento, anche se l’androide stava riproponendo una domanda già posta altre volte. Si stava riferendo a una delle più utili invenzioni che era riuscito a creare, l’apparecchio metallico posto nel suo studio che permetteva a chi lo usava di teletrasportarsi istantaneamente in qualsiasi luogo, a patto di inserire le apposite indicazioni.
<< Tranquillo >> rassicurò lo scienziato. << E’ vero, mi servirà di più in questo periodo e quindi un luogo più nascosto sarebbe opportuno… Ma non è necessario. Le diverse coordinate geografiche >> spiegò << sono quasi tutte registrate con il nome del luogo a cui si riferiscono. E io ho indicato le coordinate del laboratorio come “Villaggio Jingle” >> .
Si trattava, in pratica, del villaggio vicino alla Muscle Tower, maestosa torre rossa e importante sede del Red Ribbon, le cui profondità nascondevano peraltro il vero e immenso laboratorio del dottor Gelo. Dovendo assegnare un nome alle coordinate che lo determinavano, di certo era sconsigliabile un “Laboratorio segretissimo del Red Ribbon: ebbene sì, ne faccio parte anch’io” .
Non era impossibile che la moglie leggesse quella lista di nomi, e quindi aveva ritenuto preferibile utilizzare un falso nome. Inoltre, nessuno sapeva che la torre vicino al Villaggio Jingle fosse una sede del Red Ribbon, quindi tale nome non avrebbe mai potuto destare sospetti.
Sorge spontanea una domanda: perché una cosa del genere è alla portata di tutti, nel suo studio?
Semplicemente, quello era un congegno che usava molto spesso, e dunque era più comodo conservarlo lì dov’era, piuttosto che nel laboratorio sotterraneo. E poi, sempre la solita storia: se avesse occultato alla vista di tutti una sua invenzione, avrebbe ovviamente suscitato interrogativi in merito al perché di tale scelta; e di certo non poteva nascondere l’esistenza di un congegno che gli permetteva di essere dove voleva, quando voleva.
 
<< Un momento >> si rese conto finalmente – ma anche malvolentieri – il dottor Gelo. << Stavamo parlando di altro >> .
Bè, perlomeno quell’ebbra di istinto pluriomicida era scomparsa, anche se non senza residui. << Dov’ero rimasto… Ah sì >> rimembrò. << Mio figlio… >>
Tese il braccio in avanti, comunicando all’androide il divieto di farfugliare altre scemenze, cosa che stava per fare.
<< Kim sa tutto >> pronunciò con disgusto lo scienziato e ripetendo più volte l’ultima parola, soppesando mentalmente tutte le conseguenze che ne derivavano… E non vide altro che una tragedia. Per impedire che avvenisse tale catastrofe, c’era solo una cosa da fare…
Si voltò, vergognandosi di quell’osceno pensiero. No, ci doveva essere un altro modo, una qualche scappatopia…
Maledizione, proprio adesso, proprio quando stava attraversando un periodo così difficile…
 
Erano giorni, quelli, in cui si sentiva fortemente agitato, teso… Per forza. Se tutto andava bene, il giorno dopo il Red Ribbon avrebbe compiuto un decisivo passo in avanti verso la realizzazione del proprio sogno. Ma c’era qualcosa, avvertiva uno strano presentimento…
Non era in grado di spiegarselo, ma percepiva nell’aria qualcosa di strano… Un pericolo immanente… Qualcosa il giorno dopo sarebbe andato storto, se lo sentiva, lo temeva, ne era terrorizzato, e purtroppo dopo anni e anni di sofferenze patite riusciva sempre a capire quando c’era qualcosa che non doveva essere. Era solo un presentimento, ma sapeva che solitamente aveva ragione quando si trattava di infausti presagi…
 
Ma Kim no. Il piccolo doveva essere lontano da ogni pericolo. Stava per compiere quattordici anni, era solo un ragazzino… E forse quella era l’unica maniera…
<< E’ domani, vero? >> chiese puntualmente C – 13.
Il dottor Gelo si voltò nuovamente, curvo in se stesso, annuendo con ponderata calma. O piuttosto, ostentata tranquillità.
<< Noi abbiamo pagato un mercenario, un certo serial killer >> sussurrò, riferendosi con quel noi ovviamente al tanto venerato esercito << affinché trovi quel bambino. Lo scopo della nostra organizzazione è trovare le cosiddette Sfere del Drago, e pare che inspiegabilmente… alcune di esse siano cadute nelle squallide mani di un moccioso >> .
<< E così quel Tao Pai Pai si occuperà di recuperarle >> continuò con soddisfazione C – 13. << Ma sicuro che possiamo fidarci di lui? >>
<< Certo >> confermò Gelo. << Ho ricercato molte informazioni su di lui, e prima di affidargli la missione ho voluto conoscerlo di persona. E’ un tipo a posto >> .
<< Meglio >> sentenziò l’androide. << Ma a proposito di mocciosetti… Cosa facciamo con tuo figlio? >>
Il volto dello scienziato, prima assorto e savio, si colorì di un’aggressiva espressione bieca. << Mio figlio >> mormorò, cercando di rilassarsi. << Mio figlio… >>
Di scatto afferrò una mappa. Era una pianta della Central Bank. << Ha sentito che la rapina avverrà alle quattro di pomeriggio? Ebbene, cambieremo l’orario. Sarà di mattina >> sentenziò. << Ma non dire a nessuno il motivo di questa scelta. I ragazzi potrebbero farsi prendere dalla paura e rimanere come dei polli alle case loro >> .
<< E’ probabile che il ragazzo abbia rivelato tutto a d Alphonse… >> intuì. << Anzi, ne sono quasi certo. Di lui me ne occupo io. Per quanto riguarda Kim… >>
Arrestò il suo sguardo su quello dell’androide. << Deve essere fermato… a qualsiasi costo!!! >>
 
 
<< Susan >> fu il dolce tocco dell’anziano maggiordomo.
La bella donna si voltò, ma il tenero sorriso sulle sue labbra si estinse debolmente urtando con la cupezza dell’uomo. Questi avanzava lentamente, trascinando i suoi già stanchi passi, costretti a sopportare il peso di un corpo che avrebbe preferito sottoporsi a qualunque altro travaglio piuttosto che compiere il fato…
<< Alphonse >> sussurrò sofferta Susan. Non era difficile intuire che era accaduto qualcosa di grave.
“Mi spiace, ragazzo mio” pensò l’uomo. << Devo parlarti >> disse, calando bruscamente il tono della voce. Questo fece intendere a Susan che i tre ragazzi, al piano di sopra, non avrebbero dovuto ascoltare. Per nessun motivo al mondo.
 
Ciò  che le venne rivelato le fece sgranare gli occhi.
 
 
<< Preferisco decisamente >> dichiarò il dottor Gelo, rispondendo allo sguardo interrogativo del robot << avere un figlio con delle braccia rotte o costretto sulla sedia a rotelle, piuttosto che non averlo proprio >> .
<< Oh… >> C – 13 fu piuttosto sorpreso. Ma soprattutto divertito. << Quindi io… >>
<< Sono abbastanza sicuro che Kim tenterà di seguire i due gemelli, quando essi vorranno dirigersi alla banca. Anche spostando l’orario alla mattina, non è detto che abbiamo risolto il problema… E se noi permettessimo una cosa del genere >> continuò lo scienziato << il successo del piano sarebbe impossibile, e con lui non sarebbero solo Jason e Jodie a prendersela, ma anche tutti gli altri ragazzacci della gang >> .
<< Senza contare che in quel caso lo costringerebbero a raccontare tutto, di come è venuto a conoscenza della rapina… E parlerebbe di me, di come l’ho lasciato andare >> . Imprecò. << Maledizione, che imbecille! Non dovevo lasciarlo andare… >>
<< E che volevi fare, ucciderlo?!? >> strillò il dottor Gelo. << Ma comunque sì, sei stato un perfetto deficiente. L’hai lasciato andare, così, come se nulla fosse… Potevi trattenerlo, nasconderlo da qualche parte…? >>
“Sta dicendo che lo dovevo rapire?” si domandò l’androide, sempre più perplesso. Effettivamente, però, così sarebbe stato al sicuro. Sarebbe bastato nasconderlo da qualche parte, senza dire nulla agli altri ragazzi…
Gelo prese un respiro. << Nonostante ci siano Jason e Jodie non so cosa potrebbe succedere se quei ragazzi decidessero di fargli del male… Per questo ho bisogno di te, perché anche se sei il più stupido sei l’androide di cui mi fido di più >> .
Non permettendo a C – 13 di replicare, prontamente lo interruppe. << Ma non devi arrivare a tanto… come ho detto prima. Non serve. Basta che tu… >>
<< Lo faccia spaventare un po’ >> ghignò l’altro. Stavolta fu lui ad interrompere il dottore.
L’uomo scosse la testa. << Non hai capito una mazza, come al solito. Senti, per quanto appaia un ragazzino incapace e inconcludente, Kim non lo è affatto. Non servirà a niente spaventarlo un pochino. Che credi che faccia? Ti aspetti che si metti a piangere a corra a casa sua, sapendo che i suoi fratelli stanno andando a rapinare una banca?!?? >> Era chiaro che stava ormai perdendo, definitivamente, gli estremi rimasugli di pazienza.
<< Devi immobilizzarlo >> scandì in tono perentorio. << Renderlo innocuo, impedirgli di compiere delle pazzie. Non servono danni permanenti, non voglio…  Ma assicurati che non ci sarà più d’intralcio >> .
 
 
Susan si accasciò sulla sedia. Il cuore aveva interrotto ogni battito… Così le pareva, ma allora perché era ancora lì, lucida? Già, perché lucidamente aveva ascoltato quelle parole, così come era lucida nel momento in cui aveva cresciuto e amato Jason e Jodie, o quando aveva disperato per loro, per la morte dei loro genitori… Era stata una promessa la sua, un giuramento basato sul dolce ed empatico rapporto che era stato intessuto con le tragiche vittime… Quella lontana mattina di cinque anni prima aveva stabilito, senza mai alcun cenno di ripensamento, di crescerli, curarli, abbracciarli con tutto l’amore che è possibile effondere.
E allora perché? Perché una baby gang?
 
 
Il dottor Gelo si guardò intorno, mentre C – 13 stava silenziosamente dirigendosi verso la propria cabina.
Era tutto pronto. Il laboratorio era ormai quasi del tutto vuoto. Mancava poco al trasferimento.
 
 
Kim era seduto sul suo letto, chiuso nel guscio solitudine. Avvicinò le ginocchia al petto. Si strinse nelle gambe.
 
 
Jodie si portò i capelli dietro l’orecchio, lasciando libera la visuale ai suoi occhi incerti.
Jason le stava parlando. Era agitato, frenetico, ma anch’egli dubbioso. Dunque… ansioso. Stava esponendo alla sorella i suoi dubbi, malauguratamente non del tutto assurdi. Tuttavia, per quante ipotesi elencassero al solo fine di “scagionare” Kim, risultava dalla discussione che i timori di Jason, uniti alla consapevolezza di essere stati seguiti da qualcuno mentre si dirigevano al covo della gang, rischiavano di non essere tanto sbagliati.
 
 
Alphonse manteneva il capo chino. Aveva stabilito con Kim di non dire nulla alla donna, almeno per il momento, ma date le circostanze si era visto costretto a venire meno all’accordo. Non indifferente era il rammarico, vero, però era tutto per il bene dei tre ragazzi.
 
 
Susan sprofondò il volto nel palmo della mano. In casa sua, quei due ragazzi, così carini, così speciali… Era gradualmente accaduto un cambiamento del genere, e lei non se n’era mai accorta.
<< Devono sentirsi molto male adesso… Jason, e Jodie… >> riuscì a mormorare con voce incrinata. << Immagino… che provino molto dolore… E anche Kim… >> E al pensiero dei tre ragazzini precoci vittime del destino non poté fare a meno di scoppiare in lacrime, preservando tuttavia l’atmosfera di assordante silenzio. Non voleva fasi sentire. Non voleva provocare altro dolore nei loro cuori. Evidentemente, ne aveva già provocato a sufficienza.
 
Stabilì che ne avrebbe parlato con Gelo, e così fece quando entrambi si ritrovarono nella camera da letto. Lo scienziato ascoltava impietrito, inabissandosi nel patimento ad ogni parola, sempre più inerte, sempre più impotente.
“E se… le rivelassi la verità sul Red Ribbon?” si domandò l’uomo. Afferrò la moglie per le spalle tirandola sé, mentre le mani scivolavano sulla sua schiena. Le stava donando l’amore, il suo amore, perché quella era la donna che gli aveva reso migliore la vita. Era grazie a lei, a causa del suo costante sostegno, se aveva ottenuto così tanti successi nella sua vita… Il più sublime dei quali aveva per nome Kimley…
Non sopportava vederla così. Voleva dirle la verità. Non avrebbe potuto impedire la rapina, come la donna implorava che in qualche modo facesse, giacché era stato lui stesso ad ordirla. Doveva forse trovare scuse, mentirle ancora, e basare il loro rapporto prettamente sulla menzogna? No. Ora basta. L’indomani le avrebbe raccontato tutta la verità.
 
Quel che Gelo non sapeva è che il giorno seguente non ne avrebbe avuto l’opportunità.
 

 
 

 
     17 Dicembre
 

 
Silente e solitario era il paesaggio. Il terreno ricoperto da un sofficissimo strato di neve, e dalle labbra del cielo con zelo si apprestavano a scivolare infiniti altri fiocchi di candida purezza.
Gli piaceva la neve. Pensandoci, se fosse stato in compagnia dei suoi amici si sarebbero tutti messi a giocare. Sicuramente anche loro l'avrebbero fatto, in particolare la ragazza dai capelli turchesi: era, lei, un tipo alquanto strano. Ma ora era solo. Aveva impulsivamente deciso di andare da solo. Pazienza.
Insolito come la più sinistra oscurità aveva scelto un ludico paesaggio fatto d'allegria come proprio nascondiglio. Ma lui non ci fece caso: non era di certo il tipo che pensava a certi futili dettagli.
Il ragazzo avanzò con eccitazione. Contemplò a bocca aperta la maestosità della torre rossa che si ergeva al cielo, verso l'origine di quella neve tanto amata.
Indossava una fresca divisa arancione, riportante il marchio "kame" sia sul petto, sia sulla schiena. Era un ragazzino, eppure presentava una bizzarra coda simile a quella di una scimmia.
Esatto. Credo abbiate capito di chi si tratta.
 
Squadrò la Muscle Tower.
Ridacchiò. << Sono arrivato... E' questa la base del Red Ribbon! >> esclamò carico di speranza il giovane Son Goku.











Il quattordicesimo compleanno di Jason e Jodie... Cosa succederà in questa giornata?


*saluta allegramente. Ciao a tutti!!! Bene, ed ora comincia, sul serio, la parte finale della stroia... come del resto immagino che si capisca.
Era da tanto che non aggiornavo, pertanto vi chiedo scusa, e scusa, ma è stato un periodo incasinatissimo T__T

Mi auguro le prossime volte di fare una cosa più decente xD E quindi magari pensavo anche di ridurre un pò la lunghezza dei capitoli, anche perchè così potrei pubblicarli più velocemente.. Ma non so, il fatto è che alcuni (questi ultimi ad esempio) stanno venendo lunghi, perchè mi serve raggiungere il finale che ho in mente.. Tipo questo capitolo xD

Colpo di scena, insomma! Vediamo un piccolo Goku alle prese col Red Ribbon! Cosa succederà??

Bè, per la storia, e serve precisare, sappiamo che a causa di Goku il Red Ribbon.. finisce, diciamo così, e che lo scopo dell'organizzazione è la ricerca delle Sfere del Drago, come ho detto nel capitolo.

Bene. Faccio calorosi ringraziamenti a Luu, Wolf017e a LKBmary per le loro recensioni.. Grazie mille di cuore :3333 E grazie anche a tutti coloro che leggono questa storia!!!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io vi saluto.

Alla prossima. Baci ^________^

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Pestaggio - Parte Prima ***


Il sole risplendeva alto nel cielo, e comunicava zelante la sua partecipazione a quella festicciola carezzando tutti i presenti con tenui soffici raggi, ostacolati talvolta da distratte nuvole dipinte nell’immenso azzurro.
I due uomini fecero collidere le proprie lattine di Coca Cola.
<< Auguri!!!! >> strillò energicamente Edward.
Gelo rispose al suo sorriso. Sorseggiò la bevanda.
Erano tutti seduti sull’erba. Susan appoggiò sulla tovaglia già distesa una serie di bevande e piatti colmi di cibi deliziosi. Jodie lanciò un’occhiataccia a Jason e Kim i quali, intrecciando le braccia, si stavano imboccando a vicenda dei grissini avvolti da un mantello di maionese e prosciutto. Sbuffò. << Ti prego Jason, non contagiare Kim con la tua stupidità >> .
Ma i ragazzini ridacchiarono. << Jason non è stupido! >> replicò Kim.
Susan contemplando la scena si lasciò sfuggire un divertito sorriso.
<< Godiamoci la giornata… ed ora buon appetito a tutti! >> esclamò gioiosamente Hilary.
 
 
     Susan attese pazientemente che l’acqua si raccogliesse nei palmi delle mani e risciacquò il volto. Per l’ennesima volta.
 
 
     Era stata quella una giornata molto speciale, festeggiavano il nono compleanno dei gemelli con un allegro campeggio…
     E di lì a pochi giorni, Edward e Hilary scomparvero…  
 
 
Il dottor Gelo socchiuse gli occhi. Era disteso nel suo letto. Afferrò l’iPhone dal comodino, e controllò l’orario. Erano le 8 di mattina. “Che sonno… Sono stato sveglio tutta la notte…” Si sorprese nel constatare che la moglie non era lì, al suo fianco. Doveva essersi già alzata.
Decise di alzarsi anche lui. “A quest’ora, Alphonse dev’essere già sveglio…”. Schiuse lentamente la porta della camera. Silenzio. Nel corridoio tutto taceva.
Con estrema cautela, aprì la porta della stanza del maggiordomo, e – come del resto si aspettava – lo trovò lì, intento a fare pulizie.
Quel che Gelo disse gli fece sgranare gli occhi.
 
Con le piante dei piedi toccò il pavimento. Jason si rizzò debolmente in piedi: non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte. Non avrebbe potuto saperlo, ma non era stato l’unico.
Disteso sul fianco, con la schiena rivolta in direzione del fratello, Kim aveva gli occhi spalancati, intento ad ascoltare i quasi impercettibili segni sonori che dimostravano che Jason fosse in piedi.
Il corvino fissò Kim. “Chissà se sta dormendo adesso…”
 
“Hilary, Edward… Pare che oggi non sarà una giornata felice come quella volta…” si disse Susan, mentre oltrepassava la soglia del bagno.
Jason spinse la porta della cameretta, e sgattaiolò nel corridoio. Nel medesimo, inafferrabile istante, Susan ritornò nella sua camera. Il corvino non ci fece caso. Entrò in bagno.
 
“Bene, questa è fatta” rifletté Gelo, varcando l’uscita della camera del maggiordomo. “Bè, ora mi sono alzato… Tanto vale vado in laboratorio”.
 
“C’è movimento… lì in corridoio” pensò Jodie, raggomitolandosi sotto la calda protezione delle coperte.
 
Era finalmente giunta la mattina del 17 Dicembre.
 


 

Capitolo 25: Pestaggio - Parte Prima

 

Casa Jefferson
Ore 11:48

 

Rapida e scaltra, venefica e opprimente. Per tutti i più occulti angoli della casa correva una atmosfera di amarezza talmente visibile che pareva possibile afferrarla.
Il fedele maggiordomo poggiò la valigia sul pavimento. Si trovavano tutti davanti la porta principale: era giunto il momento.
<< E’ proprio necessario… che tu parta? >> domandò con voce incrinata Kim.
<< Sì, è fondamentale >> gli rispose il padre. << E’ un affare molto importante, ma io non posso recarmi personalmente. Fortunatamente, mi è stato detto che un mio rappresentante va egualmente bene. Mi raccomando Alphonse >> si rivolse all’uomo << ricordati tutti i documenti >> .
<< Certo >> annuì questi non senza mestizia. Poi prese le mani di Susan e le parlò sottovoce, scrutando con la coda dell’occhio i due gemelli. << Susan, mi dispiace partire proprio adesso. Non solo è il compleanno dei ragazzi, ma è anche una giornata… particolare. Ma stia tranquilla, il signor Gelo ha detto che ci penserà lui >> .
La donna parve lievemente rasserenata. Cominciò ad attorcigliarsi attorno al dito ciocche dei suoi lunghi capelli caramellati. << Fa buon viaggio >> . 
<< Quando tornerai? >> chiese Jason.
<< Fra pochi giorni, tornerò subito >> . Sorrise, e poggiò con dolcezza le mani sul capo di entrambi i gemelli.
Avrebbe voluto dir loro tante cose… Ma il tempo non glielo permetteva.
Avrebbe voluto rimanere al fianco di Gelo, di Susan, e dei ragazzi: è così che si comporta un vero maggiordomo… Ma non poteva.
<< Al >> disse solamente Kim, cercando di mantenere la calma.
L’uomo lo fissò con incontenibile tenerezza. Sapeva che ora più che mai Kim necessitava della sua presenza, sapeva cosa il ragazzo stesse provando.
Lo strinse a sé. << Andrà tutto bene, ragazzo mio. Andrà tutto bene >> .
Squadrò i tre giovani. Decise di sorridere. << Fate i bravi, mi fido di voi… Vi voglio bene >> .
 
Rimasero lì, inerti, a fissare Gelo che aiutava l’uomo a caricare la valigia nel portabagagli del taxi, e Alphonse che entrava nella vettura.
<< All’aeroporto >> dichiarò questi al conducente. Si voltò indietro, per vedere i membri della sua famiglia allontanarsi velocemente. Strano, di solito è il contrario, capita che sia tu ad avvicinarti inesorabilmente alla realizzazione del fato, impotente e forse anche ignaro… E invece ora con la stessa sconfitta ineluttabilità se ne stava allontanando, stava prendendo le distanze da coloro che in quel giorno avrebbero compiuto il loro destino.
Tuttavia, non poteva ancora immaginare come questo sarebbe successo…
La manifestazione del male era ancora all’inizio.
 
 
<< Se n’è andato >> sussurrò Susan, fissando con fare stravolto Jodie e Jason.
Impossibile il contrario, essi se ne accorsero. “Che ha?” si chiese la biondina. “E’ da quando mi sono alzata che ho la sensazione che mi guardi in modo strano…”
“…come se avesse scoperto un nostro segreto” rifletté il corvino. Bè, in effetti i segreti non gli mancavano: pistole nascoste in camera, baby gang, rapina che si sarebbe compiuta quel giorno…
E a proposito… Sentiva una certa morsa allo stomaco: doveva essere l’eccitazione per la rapina. Eccitazione, nel senso di ansia… o di impazienza? Forse impazienza, ma anche in questo caso era da stabilire se derivasse dal godimento, una sorta di gioia intrinseca già nel pensare di compiere questa bravata… Oppure era un’altra cosa. No, lui non aveva il coraggio nemmeno di pensarla quest’altra cosa. Non lui.
     Paura. E’ questo che si disse Jodie... Almeno, questo poteva sembrare. Ma possibile? No, forse si stava solo sbagliando. Chissà, forse voleva pensarlo: ma perché, cosa ci avrebbe guadagnato?
“Starà via solo per un po’” stava frattanto pensando Gelo. Quando rifletteva su come occuparsi di Alphonse, la migliore proposta gli parve quella di allontanarlo dalla scena. Aveva trovato la scusa di quest’importante affare: così l’uomo avrebbe preso l’aereo, per dirigersi altrove. Perché? In questa maniera Gelo avrebbe avuto campo libero, e non avrebbe avuto ostacoli nel rivelare la verità alla sua famiglia. Possiamo dire che ricercava semplicemente un po’ di “intimità” con i suoi famigliari, e in tal modo avrebbe potuto raccontare la verità alla moglie e al figlio… Ed anche trasformare in cyborg Jason e Jodie.
Sì. Ormai il momento si stava avvicinando. Fino a qualche anno prima la cosa era solo un’utopia, ma ora ne era certo, ci avrebbe provato, e i gemelli erano le cavie perfette…
Il Red Ribbon lo richiedeva, la scienza lo pretendeva… E lui, misero uomo, non poteva di certo opporsi alla natura.
 
Quando all’improvviso gli squillò il cellulare.
Susan si era già avvicinata al marito, con la ferma intenzione di esercitare il completo ruolo di genitori, e cioè di parlare senza più alcune reticenze con Jason e Jodie… quando egli ricevette un’inaspettata chiamata.
Estrasse l’iPhone dalla tasca dei pantaloni, e quando lesse il nome del mittente si ritrovò a squadrarlo con occhi sconvolti.
<< Che cosa c’è? >> domandò perplessa la donna, accigliandosi.
<< N-niente, non ti preoccupare >> si affrettò a rispondere l’uomo, che si ritrovò a balbettare per lo stupore. E percependo le intenzioni della donna, aggiunse: << Scusami amore, parleremo più tardi, ora devo proprio rispondere >> . Prese un respiro profondo. << Anch’io ho delle cose da dirti >> .
Susan non ebbe il tempo di replicare che il marito si allontanò, e cominciò a salire le scale. Ormai era sempre più perplessa, e davvero… La situazione cominciava a pesarle non poco.
 
<< Ma sei impazzito?!? Cosa diavolo ti salta in mente di chiamarmi su questo numero? >> iniziò furente Gelo, scrupoloso nel non alzare di troppo il tono della voce. << Lo sai che ho un numero esclusivamente per quelli del Red Ribb… >>
 
<< A…iuto… >>
 
Il dottor Gelo sgranò gli occhi.
<< Aiutami… ti prego… >> implorò dall’altra parte del telefono una voce debolissima.
Immediatamente, e malgrado la situazione, Gelo riuscì a mettere mano sulla maniglia del suo studio, e lesto si defilò dentro la stanza e serrò la porta con urgenza.
     Quella era la voce di Tao Pai Pai.
<< Quel ragazzino… quel dannato moccioso… >> cominciò il killer, ma si bloccò vittima di un attacco di tosse. Gelo non poteva vederlo, ma ciò gli permise di astenersi dalla visione di una scena poco gradevole alla vista.
     Tao Pai Pai era disteso… Non sapeva nemmeno lui dove. Si sentiva debole, e reputava assurda la constatazione di non aver ancora perso i sensi. Sentiva dell’erba lungo il suo corpo…
Evidentemente, era disteso su della fresca essenza di natura. Natura… come era possibile che in natura esistessero bambini del genere? O soprattutto, che potessero accadere cose simili? Il ragazzino gli era parso forte, troppo forte per essere un bambino qualsiasi, ma ciò che più lo lasciava incredulo era il modo in cui era stato sconfitto… Aveva provato ad ingannare il ragazzino, fingendo di arrendersi, e quando questi gli aveva ingenuamente – e quindi era veramente un bambino! – dato le spalle, gli aveva gettato contro una bomba. Vedi a che punto era arrivato, pur di ucciderlo! Ma il bambino aveva reagito in maniera del tutto inaspettata: aveva rispedito la bomba al mittente!
Ed ora il povero Tao Pai Pai rischiava la morte. Proprio lui, un killer professionista.
E non sapendo cosa fare, aveva deciso di telefonare all’unica persona in grado di aiutarlo: il dottor Gelo, uno dei più brillanti geni della Terra.
<< Ora vengo ad aiutarti, dimmi dove sei! >> urlò Gelo, ma nessuno rispose alla sua richiesta.
“Dannazione, deve aver perso i sensi!” Com’era possibile mai? La sua missione era rubare le Sfere del Drago da un bambino per conto del Red Ribbon… cosa poteva essere andato storto?
 
Susan scattò indietro la testa. “Gelo… Dove sei?” Si immobilizzò. Si strinse con forza alla ringhiera delle scale: stava arrivando al piano di sopra.
Lo scienziato afferrò frettolosamente alcuni documenti e li nascose dentro un corposo volume, forse il tomo di un’enciclopedia. “Devo andare, lo devo salvare!”. Si affrettò verso il suo congegno di teletrasporto.
 “Mi era parso di vederlo andare in direzione dello studio” si rese conto Susan, avvicinandosi alla porta della stanza in questione.
Jason indugiò sul display del telefono. Fece un cenno col capo alla sorella. << Noi andiamo >> annunciò tranquillamente, come se niente fosse. O perlomeno, questa era l’impressione che aveva premeditatamente deciso di dare…
Per Kim fu un colpo al cuore. “Come… adesso?”
“Cos…” iniziò Susan, ma poi capì. “Noi sappiamo che la rapina avverrà questo pomeriggio… Ma Kim è stato scoperto, è ovvio che abbiano cambiato orario. Come abbiamo fatto a non pensarci… Stupidi!”.
Si sentì il sangue pulsare in tutto il corpo. No, non poteva permetterlo.
Posò il tacco sul pavimento. Era al secondo piano.
<< Dove dovete andare? >> chiese terrorizzato Kim, tentando di assumere un tono deciso.
Trascorsero attimi di silenzio. I gemelli si sorpresero non poco nel notare il tono ombrosamente autoritario del ragazzo.
<< L’ho detto, dobbiamo andare >> ripeté solamente il corvino.
<< Ho detto dove >> replicò Kim.
Jason aggrottò la fronte. Lo sguardo si fece cupamente minaccioso. << Non sono affari tuoi >> .
“Quindi non sanno che il loro capo mi ha visto” si disse il giovane. “Altrimenti non avrebbero il minimo motivo di fare finta di niente, soprattutto adesso che sto insistendo”.
<< Ehi >> sussurrò Jodie accostandosi al ragazzo. Aveva un sorrisino beffardo. << Dobbiamo solo uscire un po’ con dei nostri amici. Siamo tentati di chiederti di venire con noi, ma vedi… Non credo tu apprezzeresti la loro compagnia. Per come sei ti annoieresti solamente… Credimi >> gli posò una mano sulla spalla; il suo tono era velatamente provocatorio… << E’ meglio che tu rimanga a casa >> .
Kim deglutì, suo malgrado. << Spetta a me scegliere se queste persone mi piacciono o no >> .
Jodie fletté le dita, e nello stesso istante le strinse sulla spalla del fratello. << Rifiuti i consigli di una ragazza? >>
 
Gelo premette il pulsante di attivazione. “Adesso!”
 
Susan spalancò la porta dello studio. << Gelo!!! >> gridò.
 
Ma non fece in tempo. Quando si aprì, la porta fu costretta con mestizia a rivelare alla donna una debole luce bluastra dissolversi ineludibilmente nel nulla.
Susan abbandonò il peso delle braccia all’impatto dell’aria. Gelo… L’uomo era sparito… Se n’era andato…

 
     << Devo spicciarmi, dannazione! >> imprecò lo scienziato. Non perse nemmeno tempo ad accendere la luce: tanto conosceva quel posto meglio di qualunque altro ambiente sulla faccia della Terra. Era nel suo laboratorio, quello vero: sotto casa sua nascondeva un semplice rifugio, un nascondiglio peraltro ormai inopportuno, che necessitava di essere ubicato altrove. Ma non aveva tempo per pensarci. Doveva salvare quel Tao Pai Pai: se era stato fermato da un ragazzino, quel Goku doveva essere un tipo strano, oppure imbecille il killer. Oppure ancora il bimbo poteva aver appreso notizie sul Red Ribbon… C’erano diversi motivi per intervenire subito, e salvare al più presto l’uomo.
In pochi attimi, si ritrovò già fuori dal suo laboratorio. Esso era sotterraneo, quindi dovette percorrere delle scalinate prima di raggiungere la balconata principale. Aveva una pianta circolare, come del resto l’intera torre, e il perimetro era delimitato da un piccolo muro rialzato, interamente composto – come il resto della torre – da piccoli mattoni rossi. Poggiò il piede sul muretto, attese qualche secondo pensando cosa dovesse fare, e senza perdere altro tempo scattò via, rapido nel cielo.
 
     A circa un chilometro di distanza, un ragazzino dall’aria vispa notò la striscia di aria perforata lasciata nel cielo dal dottor Gelo. Alzò lo sguardo. << Urca… come vola quella cosa! >> Poi girò lo sguardo nella direzione da cui proveniva quello che gli poteva parere un missile. Il piccolo Goku sorrise. << Proviamo ad andare da quella parte! >>
 
 
<< Kim, ho detto che non ti devi impicciare >> sentenziò Jason. Afferrò il braccio della sorella, spostandola delicatamente in disparte.
<< Voi non uscirete da questa casa! >> esclamò Kim.
 
“Che sono queste urla?” si domandò Susan. Di sotto la situazione non doveva andare bene…
Si guardò intorno, scrutando ogni angolo dello studio di Gelo, quando interruppe la sua ricerca su quella macchina al lato della scrivania.
“Si è teletrasportato… Perché proprio adesso, Gelo? Sapevi che stamattina dovevamo parlare con i ragazzi… Avevamo deciso di essere uniti tutti e sei, per il loro bene… Dove sei andato?!?” Si accostò all’apparecchio a forma di cilindro, quando sul display rettangolare notò una scritta.
 
     Villaggio Jingle
 
La donna non ebbe il tempo di riflettere che lo schermo si illuminò uniformando minuziosamente ogni millimetro, per poi tornare alla sua normale modalità. La scritta era sparita.
Susan comprese all’istante. Guardò l’orologio che aveva la polso. “Non dev’essere passato nemmeno un minuto da quando Gelo è uscito, forse solo 30 secondi… Questo vuol dire che la scritta che ho visto… Era lì che Gelo si è teletrasportato!”
 

<< Come dici prof? Oh, certo che sono pronto per la rapina! >> C – 13 chiuse le ante dell’ascensore. << Aspè, solo un attimo che salgo… Sai, quaggiù in laboratorio mica prende molto il telefono… >>
 
Susan stava ancora ripensando con infastidita quanto amareggiata sorpresa al comportamento di Gelo… Quando accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Mai.
 
Successe tutto in un istante. Per tutta la stanza riecheggiò il suono di un cigolio accompagnato da una pesante vibrazione; diverse sezioni della libreria che correva lungo l’intera parete dietro la scrivania si ripiegarono letteralmente su se stesse, con una precisione e meccanicità tali da lasciare perplesso qualunque tipologia di genio esistente. Queste sezioni si ritirarono ai lati, in una maniera che pare impossibile agli occhi di un’impaurita donna e madre; comparve così una piccola sezione della stanza, precedentemente occultata dall’imponente mobile. Al centro del pavimento si ergeva un complesso macchinario a base quadrata, alto non più di un metro e culminante in una raffinata cupola verdognola dalla forma appiattita. A sua volta, alla sinistra del macchinario si disegnò una larga porta in vetro massiccio, la quale lasciava trasparire una cabina.
Ed era da questa cabina che provenivano i rumori più insistenti.
 
Susan si portò la mano alla bocca. << Cosa…? >>
La cabina cigolò. Da sotto giunse una sagoma, nascosta dietro due ante trasparenti. Dovevano essere di vetro. Doveva trattarsi di un ascensore. E di certo, quell’uomo non era Gelo.
 
     << Insisti? >> urlò Jason. << Ma come diavolo ti permetti tu? Credi che ti possa sempre impicciare negli affari miei?!? >>
Kim fece un timido passo indietro, sentendosi schiacciato dall’impetuosità della figura del fratello. Avrebbe volito dure tante cose… Ma dov’erano i suoi genitori? Dovevano parlare con Jason e Jodie, quella mattina…!
E va bene. Se i due adulti non arrivavano, avrebbe parlato da solo. Ma non poteva più aspettare.
<< Jason… >> mormorò. In verità, voleva solo una cosa: abbracciarlo. Ne aveva bisogno, sentiva l’improvvisa necessità di abbracciare il fratello, comunicargli il suo affetto… E di sentirsi amato.
E si rese conto che era probabilmente il modo migliore per cominciare un’importante discussione.
<< Jason, io… >>
<< Tu cosa??? >> lo interruppe il corvino. << Ci tieni così tanto a seguirci, a romperci dalla mattina alla sera? Perché è questo che fai! >> Fermò il suo volto a due centimetri dal viso del ragazzo. Si fissarono negli occhi, e Jason lo osservava ora con aria di sfida, o di disprezzo. << Lo fai sempre >> scandì con tono volutamente chiaro.
Kim indugiò qualche secondo. << I-io… Non vorrei mai… >> Fece per afferrargli il braccio.
Con ogni probabilità, il corvino lo intese come tentativo di immobilizzarlo. E reagì di conseguenza.
Decise di non trattenersi. Scattando il braccio dal basso sferrò un pugno con spietata forza che colpì Kim sulla guancia; il brusco impatto fece perdere l’equilibrio al ragazzo il quale finì per sbattere glutei e gomito sinistro per terra.
<< Ah!! >> Alzò lo sguardo. Jason era lì, ritto dinanzi a lui, implacabile e irremovibile. Al suo fianco Jodie, con l’aria sinceramente preoccupata, ma in verità non stava dicendo niente, e rimaneva in silenzio.
Il ragazzo stava per aprire bocca, avrebbe voluto probabilmente dire “Ma che ti salta in mente?”, oppure “Stai tranquillo, sono tuo fratello”… Tuttavia non ebbe il tempo di compiere nemmeno un’azione così semplice che Jason scattò fulmineo.
Con la mano destra afferrò il braccio della sorella; con la sinistra fece roteare le chiavi di casa attorno all’indice, per poi nasconderle nel so pugno. Con feline abilità calcolatrice fece roteare le pupille degli occhi. Via libera. Spalancò lesto la porta di casa e con la stessa immediatezza se ne uscì, trascinandosi la sorella. Pensò di lasciare la porta di casa aperta, per non perdere tempo a fingere di essere un bravo ragazzo che rispetta le robe altrui, ma poi cambiò idea. La chiuse sbattendola con un calcio e continuò la sua corsa costante. Questo avrebbe fatto perdere tempo a Kim, piuttosto, in un suo ipotetico quanto vano tentativo di seguirli.
<< Jason! >> poté udire Kim. Era la voce di Jodie: certamente, era un rimprovero per averla trascinata con la forza, e non per avere lasciato loro fratello e la casa in quella maniera.
Si rese conto che avrebbe portato tale dubbio con sé per sempre.
<< JASON! JODIE! >> strillò Kim.
 
     Susan sgranò gli occhi.
Dall’ascensore uscì un uomo. Pareva giovane, con un fisico tonico che traspariva dall’aderente maglietta a mezze maniche, e con lunghi capelli chiari. Era decisamente certa di non avere mai visto quel giovane prima di quel momento.
<< Eccomi qua, ora… >> cominciò a dire C – 13, riprendendo a parlare al telefono… quand’ecco che la vide.
Una donna. Davanti a sé, davanti al macchinario per il teletrasporto. Bellissima, dai lineamenti delicati, ma abnormemente terrorizzata. Ovviamente, anche se non si erano mai visti prima, lui sapeva benissimo chi fosse.
<< Che diavolo… >> Senza pensarci, tese il braccio in avanti.
Susan venne scossa da un tremito profondo. Indietreggiò, ma nel brusco movimento inavvertitamente toccò col dorso della mano il pulsante di attivazione.
Un Clik! Risuonò nella stanza.
<< Uh? Cos’hai detto? >> domandò il dottor Gelo dall’altra parte del telefono all’androide.
<< Che cosa… >> La voce di Susan era ormai incline al pianto, ma ricevette presto motivo di rinnovata paura.
Attorno alla donna si innalzò dal pavimento la solita luce bluastra: poteva significare soltanto una cosa.
<< No… NO! FERMO! >> Tentò inutilmente di divincolarsi ma non ebbe tempo: fu una cosa istantanea. Vide la luce colorarsi sempre più vivacemente, e infine ripiegarsi su se stessa.
Quando riaprì gli occhi, non era più nello studio di Gelo.
 
 
     << 13, sta succedendo qualcosa? >> disse il dottor Gelo. Giacché stava scivolando impazientemente nel cielo, per il suono dell’aria che gli sfrecciava contro non riusciva ad ascoltare molto bene il suo interlocutore. Però si era accorto che era diventato improvvisamente silenzioso. << Tutto a posto là? >>
L’androide spalancò gli occhi. << Oh… C-certo! Ora >> balbettò << è meglio che io vada, o si farà tardi! >>
<< 13 >> disse lo scienziato, il quale cominciava a preoccuparsi. << Nel laboratorio sotto casa ho una telecamera collegata allo studio, lo sai. Hai controllato che non ci fosse nessuno prima di prendere l’ascensore vero? >>
<< O-ovviamente! >> si affrettò a rispondere l’androide. Stava mentendo, non ci aveva pensato affatto. << Ora chiudo, ho da fare… Lo sa >> disse spontaneamente, terrorizzandosi al pensiero che casualmente aveva usato la stessa espressione dello scienziato.
Chiuse la telefonata. Alzò la testa. Non aveva mai capito gli umani, aveva sempre provato ribrezzo nei confronti di una tale razza… Però, era abbastanza sicuro che se avesse avuto un cuore, ora gli avrebbe pulsato a mille.
 
<< Mamma! Papà! >> gridò una voce da sotto.
L’androide sussultò. “Questa voce… Il marmocchio!”
Velò momentaneamente l’agitazione che provava sotto una coltre di necessaria determinazione e si precipitò dalla finestra. Appena in tempo. Rimanendo sospeso a mezz’aria, da fuori poté udire la porta che si apriva, e il ragazzo che chiamava i suoi genitori.
Kim inarcò le sopracciglia. << Dove sono? >>
L’androide aveva gli occhi sgranati. Improvvisamente, gli balenarono in mente le parole di Gelo…

     “Devi immobilizzarlo, renderlo innocuo, impedirgli di compiere delle pazzie. Non servono danni permanenti, non voglio…  Ma assicurati che non ci sarà più d’intralcio”

L’androide poggiò il capo sul muro esterno, e alzando gli occhi incrociò il sole, chiedendosi quanto potesse essere nocivo per gli umani uno sguardo prolungato verso quella sfera.
Sul suo volto si manifestò dapprima un lieve abbozzo di sorriso,  poi divenne accenno più marcato, per poi prendere finalmente forma. C – 13 sorrise biecamente.
“Il dottor Gelo non mi ha detto quando lo devo sistemare…”
Il ragazzo si guardò intorno, sentendo una pensante inquietudine gravare su di lui. << Mamma… Papà…? >> chiamò debolmente.
L’androide sussultò. Si portò la mano tra i lunghi capelli, infilandola sotto il berretto rapper che portava sempre con sé. “Oh sì… Che voce bellissima…”
Con una cautela che non gli apparteneva si accostò alla finestra, e riuscì a intravedere il giovane.
“Parla, parla ancora per favore… Piccolo Kim… Dopo lo spavento che ho preso, ho proprio bisogno…”
Il ragazzo si appoggiò alla parete. Era stanco, troppo stanco... << Dove diamine sono adesso?!? >>
L’androide ebbe un sorriso misto tra convulsione e l’isterismo. “…di distruggerti!”
 
 
 
 
     Un silenzio irrazionale regnava in quel luogo. Ciò immergeva la stanza in un’atmosfera di tetra angoscia. Susan schiuse timorosamente gli occhi.
<< Cosa… Mi è successo? >> Sapeva che per sbaglio si era teletrasportata, ma non sapeva dove. Se fosse morta…? Aveva aperto gli occhi, ma continuava a non vedere nulla. Solo un intenso, e inestricabile, buio. Tastò il suo corpo. Era ancora vestita, in piedi, e non era legata ad alcuna corda. Gli occhi cominciavano ad abituarsi, e la mente con prontezza si rese più lucida.
Si toccò la tasca dei larghi pantaloni. Spalancò gli occhi. Era senza telefono… Doveva averlo lasciato in casa, forse in camera sua. Del resto, non aveva certo programmato quella stramba uscita.
<< Gelo? >> provò. Che stupida. Il marito non poteva sentirla. Ma era lì a causa dell’apparecchio del marito, lui avrebbe saputo come liberarla… Se solo l’avesse potuto avvisare.
<< E ora come faccio? >> In più, sperava di avere il telefono per poterne utilizzare la torcia. Adesso era costretta a brancolare al buio.
Ma i suoi pensieri balenarono a lui. << Kim!!! >> Si guardò intorno, sconvolta. << Oh no, Kim… >> Avevano finalmente deciso di discutere tutti e quattro con i due gemelli, di fermarli da quell’assurda rapina, salvarli dal circolo maligno in cui erano caduti… Ma prima il maggiordomo se n’era andato, e ora anche lei… e non poteva avvisare nessuno che era lì!
<< No, io… Devo andarmene di qui >> . Cominciò a muoversi. Fece qualche passo avanti, agitandosi. << Ma dove sono? >> Con le mani cercava di afferrare qualcosa, per capire cosa fosse, e in base a quello un’ipotetica posizione dell’interruttore. Con l’anca urtò in modo non delicato l’angolo di un tavolo.
Sussultò. Si rese conto di avere paura.
<< AIUTO! Qualcuno riesce a sentirmi??? >> Attese, ma non ottenne risposte.
<< Aiuto!!! Vi prego, aiutatemi! Vi prego… >> Iniziò a lacrimare. << Vi scongiuro… >>
Posò tremando nervosamente le mani su quello che pareva essere un tavolo, e sentì al tatto dei fogli di carta. Erano lunghi, larghi… Fece passare il dito, sospirando. << Sembra… un disegno >> .
<< Per essere qui… Deve essere un luogo che Gelo conosce… anzi >> pensò, indietreggiando per il sollievo. << Se sono qui è perché Gelo ci è appena arrivato! Era scritto il nome di quel villaggio… Gelo deve essere qui da qualche parte! >>
Agitandosi a causa dell’impazienza di trovare il marito, stette quasi per scivolare su una sedia. Ridestandosi sbandò di lato, e con il volto urtò su qualcosa. << O mio… >> Toccò con le mani quell’oggetto. C’erano delle fessure. No, meglio lasciarlo subito…
Però… Delle piccole fessure circolari, poi toccava qualcosa di curvo, ma non rotondo. No. Facendo scivolare le dita al di sotto, dinanzi a lei e all’altezza del petto vi era una piccola superficie piana, dura, dalla quale si dipartivano varie sottili facciate parietali di una… gabbia, sembrava. Ai lati di questa, toccò qualcosa di piuttosto lungo, che terminava con piccole estremità. Non vi erano dubbi. Spalancò gli occhi, tentando di distinguere la sagoma che si trovava davanti.
<< Oh mio Dio, uno scheletro!!! >> strillò in preda al terrore. Indietreggiò bruscamente; col basso tacco delle sue scarpe si tirò una serie di fili distesi sul pavimento e perse l’equilibrio. Cadde rovinosamente, gemendo.
Non perse tempo. Tremando, cominciò a procedere gattoni, sentendo i lunghi capelli scivolare sul pavimento. << Gelo dove sei, Gelo… >> chiamava.
Dopo aver trovato finalmente una parete, si appoggiò ad essa e procedette con cautela prima a sinistra, poi alla sua destra. Alla fine, riuscì a trovare un interruttore. La luce si diffuse prima insicura, per poi prendere gradualmente più coraggio.
 
La prima cosa che Susan notò fu che era una stanza chiusa. Molto spaziosa in effetti… Lì il tavolo, poi eccone un altro, scaffali con una quantità sorprendente di libri. Poi lo scheletro di plastica poggiato su di un piedistallo.
<< Ma… E’ un laboratorio? >> La donna si scoprì sorpresa. Un laboratorio di Gelo?
Ma fu un altro il motivo per cui fu quasi sul punto di perdere i sensi…
E forse avrebbe egoisticamente preferito svenire sul serio, almeno non avrebbe sofferto in quell’assurda maniera…
 
     Pitturato accuratamente sulla porta di metallo, forse era una qualche lega metallica.
A colori vivaci sul tavolo più grande. Decisamente vistoso, troppo accorto nel fare in modo che non ci si dimentichi del suo significato.
In piccolo, sul retro delle sedie, sui lati del mobile. Addirittura, sul dorso del portapenne.
     Susan si portò entrambe le mani alla bocca, soffocando un grido di disperazione.
Erano dappertutto. Disposti con maniacale precisione, purtroppo tipica di Gelo.
     Il laboratorio era il suo… Non poteva essere altrimenti.
Sul soffitto – quello più vistoso dell’intero laboratorio – incombeva con viscida ipocrisia, con un tentativo di protezione che risultava così falso come disgustosa era la sua presenza.
     Riconosceva la scrittura del marito sui numerosi progetti, riconosceva la meticolosità con cui ogni insignificante dettaglio di quello schifoso laboratorio era amato e venerato… Scemenze mai provate nei confronti della moglie a quanto pareva…
Susan levò il capo e lo abbandonò debolmente sulla parete. Le lacrime poterono in questo modo scorrere dolci e amare lungo le soffici guance… Gote che tanti baci avevano ricevuto, e il cui amore mai più avrebbero provato...

 
 
     << Susan… Vedi, Edward e Hilary… >> mormorò Gelo. La donna sgranò gli occhi. Era la mattina di quel terribile 25 Dicembre. Il marito le aveva dato la sconvolgente notizia…
 
     I piccoli Jason e Jodie si strinsero con forza nelle veste della donna, nascondendo le proprie lacrime in quel lancinante dolore. Susan li accarezzava, con le gote rigate dalle lacrime. “Perché… Perché voi due?” Singhiozzò.
 
     << Io… vi amerò, vi amerò con tutta me stessa. Vi proteggerò, vi accudirò, vi darò tutto ciò di cui avrete bisogno… Sarò sempre con voi >> esclamò la donna ai due gemelli. Da quel giorno, essi vissero nella sua casa. Divennero così con ulteriore risalto membri effettivi della sua famiglia.
 
     << Abbiamo fatto la scelta giusta >> rincuorò Gelo, accarezzando con dolcezza la moglie. << E’ giusto che rimangano con noi. Edward e Hilary ne sarebbero felici >> .
 
 
     La ragazza impallidì. Aveva solo diciannove anni, ma mai si sarebbe aspettata che quel suo bel compagno di corso le si sarebbe avvicinato. Almeno, non poco dopo l’inizio dell’università. Forse l’aveva notata subito; come lei del resto aveva dal primo momento provato interesse verso quel bel giovane.
Oh già, doveva rispondere. Il tizio si era presentato. Come aveva detto di chiamarsi? Gelo? Che bel nome…
<< Piacere >> riuscì a dire con un incantevole sorriso. << Il mio nome è Susan! >>

 
 
 
     La donna si poggiò sul primo angolo di parete che gli occhi fin troppo inumiditi le permisero di scorgere, e si abbandonò sconfitta sulla schiena.
Continuò a lacrimare, senza accenno di sosta. Il dolore non poteva trovare fine. Non avrebbe mai più potuto trovare alcuna cura.
Dappertutto, in ogni angolo del laboratorio, come a circondarla con fare arrogante e spietato, delle immagini stilizzate di un fiocco di colore rosso: il simbolo del Red Ribbon…
 
     Red Ribbon nel laboratorio di Gelo… Non poteva che significare soltanto una cosa…
 
     Era sempre stata tradita. Il marito non era mai stato sincero con lei. Il marito, il Gelo che tanto venerava, forse non esisteva nemmeno. Era solo un orrido membro di quell’organizzazione di mostri…
 
Era mezzogiorno passato… Il Sole era alto nel cielo, amante sventurato di ogni donna, ma sofferente in quel momento. La sua dolce e delicata Susan non lo poteva vedere. Ella poteva soltanto assaporare l’amarezza del dolore che le pervadeva l’animo… No, forse nemmeno questo. Era dolore irrazionale, immotivato, senza un briciolo di senso.
Ma era pur sempre dolore. Profondo, sviscerato, insanabile dolore.
 
 
 
Era mezzogiorno passato… E Susan era nel laboratorio del dottor Gelo. Non poteva però sapere una cosa, un dettaglio fondamentale.
Il laboratorio in cui si trovava, e da cui poco prima Gelo aveva cominciato la sua corsa, era situato nelle profondità della Muscle Tower.
La sede del Red Ribbon.





















Ciao a tutti!!!! *saluta con la mano
Bene, e così siamo a questo venticinquesimo capitolo... Se ci penso, volevo pubblicarlo già da un pò, ma stavo aspettando di finire il prossimo - per una comodità mia - cosa che poi infatti non è nemmeno avvenuta xD

Spero tanto che vi sia piaciuto, e come mi sto impegnando al massimo prometto che lo farò sempre :3
Ora, occorre precisare una cosa. Il capitolo precedente era finito con Goku che era appena arrivato davanti alla Muscle Tower, e abbiamo visto anche che era il 17 dicembre. La stessa giornata in cui sono avvenuti gli eventi di questo capitolo. Quindi, si capisce che sta per succedere, però oggi abbiamo presentato un po' "gli antefatti": in quest'ultimo capitolo si vede Goku che sta ancora arrivando. In pratica, ciò che succedeva ai nostri personaggi prima che il ragazzo si trovasse davanti alla torre. Ma ripeto... Ovviamente, Goku sta per arrivare u.u

Ovviamente, intendo rinnovare i miei affettuosi ringraziamenti a Luu, Wolf017 e LKBmary perchè sono persone così care che mi recensiscono la storia xD :D :D Grazie, davvero ;)

E quindi... Alla prossima, con "Pestaggio - Parte Seconda"  - ovviamente il titolo deve essere questo xD

Jane!!!!!! ^___^

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Pestaggio - Parte Seconda ***



“Devi immobilizzarlo, renderlo innocuo, impedirgli di compiere delle pazzie. Non servono danni permanenti, non voglio…  Ma assicurati che non ci sarà più d’intralcio”.
 
Tali erano state le parole pronunciate dal dottor Gelo. Tali le parole che C – 13 non riusciva ad allontanare dalla mente. Gli risuonavano come un eco profondo, inevitabile, che avrebbe mutato sostanza divenendo quieto silenzio solo una volta ottenuta una piena realizzazione.
 
Kim si guardava intorno. Non ci voleva credere. Era nello studio di Gelo, i genitori dovevano essere lì… Perché non vedeva nessuno? La porta era aperta, non sentiva rumori da altre zone della casa. Ciò significava che era solo, unico in quella assurda situazione.
L’androide era sospeso a mezz’aria, fuori dalla finestra, e intanto lo spiava ansioso di adempiere alle parole di Gelo.
Sul suo volto si manifestò dapprima un lieve abbozzo di sorriso,  poi divenne un accenno più marcato, per poi prendere finalmente forma. C – 13 sorrise biecamente.“Il dottor Gelo non mi ha detto quando lo devo sistemare…” si rese conto.
<< Mamma… Papà…? >> chiamò il ragazzo con voce debole.
L’androide sussultò. “Oh sì… Che voce bellissima…”
“Parla, parla ancora per favore… Piccolo Kim… Dopo lo spavento che ho preso, ho proprio bisogno…”
Il ragazzo si appoggiò alla parete. Era stanco. << Dove diamine sono adesso?!? >>
L’androide sorrise istericamente. “…di distruggerti!”
 
Fletté le dita, pronto a slanciarsi dentro la stanza.
< Perché… >> Kim serrò i pugni, sbattendoli sulla parete. << Perché mi hanno lasciato solo proprio ora… Maledizione! >>
Che cavolo stava succedendo? Aveva visto prima il padre, e poi anche la madre, dirigersi verso quella stanza… Possibile che non li avesse notati mentre uscivano? No, era impossibile. Anzitutto, i due adulti avrebbero assistito al “litigio” tra i ragazzi, e di certo sarebbero intervenuti… Ma poi non sentiva rumori provenire dalle altre camere. Li aveva chiamati più volte, e nessuno gli aveva risposto. Quindi…
Immediatamente corse via, e ciò diede parecchio fastidio a C – 13.
Il ragazzo controllò ogni singola stanza, ma non trovò niente. Si fermò ansimante davanti allo studio di Gelo, poggiando le mani sulle ginocchia. << Non ci sono… Da nessuna parte… >>
A quel punto, poteva essere accaduta soltanto una cosa. Guardò alla sua destra, e lo sguardo si posò sul teletrasportatore del padre. Ma perché? Dove erano andati, perché mai l’avevano abbandonato in un momento simile?
E poi… diciamocelo. Il padre conosceva la vicenda, era davvero così urgente l’affare da concludere, che Alphonse non poteva rimandare nemmeno di una giornata la partenza? Ma che diamine… Che gran tatto aveva avuto il padre. Ed entrambi, anche la madre, ad andarsene così…
E intanto Jason e Jodie stavano fuggendo chissà dove…
Si morse il labbro. << Allora vi salverò io! >> ringhiò. Corse nella sua camera. Indossava un jeans e una felpa azzurra tenuta aperta: si coprì frettolosamente con un giubbino di pelle, infilandoselo mentre scappava per le scale.
C – 13, sconvolto dalla sua postazione, allungò il braccio. << No, vieni qui! >> Ma udì il tonfo della porta di casa chiudersi.
Bè, pazienza. Poteva sempre pestarlo per strada. Scese a terra e si nascose dietro una macchina. << Ma… qui mi vedranno tutti. E’ meglio un posto più solitario>> .
Sorprende una tale razionalità da C – 13, vero? Però era del tutto naturale. Egli desiderava semplicemente “divertirsi”, quel ragazzo era solo uno strumento per dare sfogo ai suoi impulsi. Si sentiva eccitato all’idea di poterlo picchiare, fargli del male con tutta libertà, senza che lo scienziato si arrabbiasse. Insomma, era certamente un’occasione da non sprecare. E per poterla godere al meglio… Non doveva essere interrotto da nessuno, per quanto futile fosse ogni tentativo di salvarlo: dunque, occorreva un luogo riparato, come l’interno di una casa per esempio. Ma se questo non era più possibile, pur di divertirsi al meglio era disposto ad aspettare… Anche se avrebbe preferito il contrario.
Strinse il pugno con rabbia. << Non voglio aspettare, maledetto! >>
Sferrò il pugno sul finestrino della macchina, frantumandolo rumorosamente. Scattò l’allarme.
<< Bene. Ora è meglio che io vada >> si decise, e con un’eccitazione crescente sfrecciò via.
 
Kim non badò a quell’allarme lontano. Si sentivano spesso robe del genere.  “So cosa fare” si disse con un sorrisetto. Era consapevole che avrebbe funzionato.
E infatti, così fu.
 
 
<< Yo, raga >> salutò allegramente John, il ragazzo biondo poco più grande di loro. Il ciuffo trasversale era particolarmente vivace quel giorno: evidentemente, si era preparato a dovere.
<< Finalmente, non ce la facevo più… >> confidò Jason, stiracchiandosi. Ammirò i suoi jeans strappati. << Jodie, con chi parli? >>
La ragazza lesse il messaggio in pensiero.
     “Vediamoci fra quindici minuti alle panchine davanti alla fontana. Ti aspetto.”
“Kim si è proprio arrabbiato stavolta…”Ok, rispose.
Sbuffò. << Io devo andare. Jason – gli mollò un’occhiataccia – non mi guardare come se fossi io la scema, lo so che fra poco c’è la rapina… Quando sarà ora vienimi a prendere, sto alle solite panchine >> .
Squadrò John dalla testa ai piedi, analizzando minutamente ogni millimetro del suo corpo, e come conseguenza non riuscì a trattenere una risatina molto, molto compiaciuta.
<< Bè, io vado >> annunciò, e senza ulteriori, superflue, sciocche spiegazioni si avviò verso la sua meta.
<< Con chi ti devi vedere? >> le domandò il fratello, ma lei non rispose. Volutamente? Oppure non lo sentì? Jason non lo seppe, ma una cosa invece se la sentiva eccome. << Non mi dire… >>
 
 
<< Eccomi >> esclamò Jodie.
Lo vide benissimo. Kim era lì, ad aspettarla ritto in piedi e con le mani nelle tasche dei jeans. Avrebbe potuto assumere un’aria imbronciata, offesa, anche disgustata. Jodie non avrebbe mai ammesso una cosa del genere, ma l’avrebbe compreso.
Invece, Kim aveva la solita aria dolce, paziente, l’esempio della più sicura convinzione della sua vita: lui non l’avrebbe mai abbandonata, mai.
La ragazza si fermò un attimo. Ebbe un leggero sussulto. Che cosa…? Cos’era, commozione per caso?
Guardò Kim. No, non era commozione, era la consapevolezza di aver sbagliato.
Ma da quanto tempo stava sbagliando ormai? Forse, era questo che Kim le voleva chiedere.
<< Jodie… >> disse semplicemente il giovane. Le fece cenno di sedersi.
Si sistemarono sulla panchina. << Perché mi hai fatta venire qui? >> chiese la ragazza.
<< E’ l’unica domanda che vuoi farmi? >>
I due si guardarono in volto. << Già. Forse sono io che devo chiederti delle cose >> continuò il ragazzo.
Allora partì un meccanismo che per loro era automatico, nonostante la situazione. Jodie poggiò le piante delle scarpe a basso tacco sulla panchina e, con le gambe flesse, poggiò la testa sulle ginocchia del ragazzo. Sospirò.
“Che cosa… Sto facendo?” Ripensò a tutto. La baby gang, la rapina, Jason… Quel bel fusto di John, la sua amica Deborah… Il misterioso Roy… La rapina.
<< Che programmi avete per il pomeriggio tu e Jason? >> domandò Kim.
<< Non so >> mentì.
Il ragazzo iniziò a carezzarle i capelli. Jodie provò uno strano senso di imbarazzo, e per evitare che i loro sguardi si incrociassero inclinò il capo. Kim lo capì, e le carezzò la guancia.
A quel punto tanto valeva stare comoda. Mosse il capo facendolo tornare nella posizione iniziale, e lì avvenne una cosa che non si sarebbe mai aspettata.
Un bacio. Un delicato, profondo, tenero bacio sulla fronte. Suo malgrado, si ritrovò a spalancare gli occhi. << Kim… >> sussurrò.
<< Ti voglio bene >> asserì lui.
Abbiamo detto che Jodie fu sorpresa… suo malgrado. Esatto. Era consapevole che poteva aspettare cose del genere da parte di  Kim. Era sempre stato così buono… Forse perché era lui che necessitava un tale trattamento. Ma invece lei e Jason come si comportavano con lui?
Gli nascondevano i dettagli più importanti della loro vita, tutto ciò che da loro fratellino avrebbe dovuto sapere. Se ne erano andati via di casa in malo modo – Jason aveva dato un pugno a Kim, e lei non aveva fatto nulla per impedirlo; forse, provava del risentimento verso di lor…
<< Grazie di tutto >> disse il ragazzo. La sorella sussultò.
<< Sai, queste sono cose che si sa che vengano pensate, e spesso si danno per scontate. Forse, è per questo che è successo ciò che è accaduto >> .
<< Cosa… intendi? >> osò chiedere Jodie.
<< Ma a questo pensiamo dopo. Voglio parlare di voi >> rispose Kim. Alzò lo sguardo, sorridendo nel vedere tutta la bella acqua fresca scendere in fluenti cascate nella fontana qualche metro davanti a loro. << Ti ricordi, quando da piccoli venivamo qua noi tre? Adoravamo osservare l’acqua che scorreva >> .
<< Perché cadeva, ma non finiva mai. Era eterna >> ricordò Jodie, finalmente sorridendo anch’ella.
<< Quand’eravamo piccoli, volevamo raggiungere anche noi l’eternità >> continuò Kim, ritornando ad ammirarle il volto. << Come eterna è la natura. Per questo volevamo a tutti i costi un rifugio segreto, volevamo qualcosa che fosse solo nostro, e di nessun altro, eternamente… >>
<< Il rifugio segreto! >> esclamò Jodie, ora addirittura divertita. << Da quanto tempo non ci andiamo… In pratica, da… >> Ma poi ricordò, e si ammutolì.
<< Da quel giorno >> mormorò il ragazzo. << Da quando i vostri genitori se ne sono andati… >>
<< Sono morti >> corresse stizzita la ragazza. << Non sono andati da nessuna parte. Ma sai… Ormai è successo, non mi va di deprimermi tutta la vita per loro >> .
Non era vero. Avrebbe voluto ardentemente essere una ragazza forte come cercava di far credere, ma la verità era che era debole. Le faceva molto male dire quelle parole, o pensare ai suoi amati genitori…
Per questo si atteggiava sempre da ragazza “dura”: non voleva essere spogliata del suo guscio protettivo, quell’armamento che le permetteva di comportarsi come una ragazza dura, testarda, autoritaria. Forse testarda lo era veramente, era un carattere di famiglia grazie alla madre… Ma forte certo no. Non aveva preso anche questo dai genitori. Jason sì, ma lei no. E a prova di ciò… Tra i due chi appariva più forte agli altri era lei. Lei quella che aveva più urgenza di esserlo.
Kim riprese a parlare. << E’ stato allora… Dovevamo starvi più vicini, darvi ancora più amore, molto di più… >>
<< No >> replicò la bionda. << Viviamo in casa tua, ci avete fatto mangiare, ci avete fatto bere… Vestire come volevamo quando lo volevamo >> . Sospirò. << Addirittura un maggiordomo, Al. Che cosa si può volere di più dalla vita? >>
Strizzò l’occhio. Era con Kim, con lui proprio non riusciva a vestirsi della sua solita corazza. Voleva, ma non ci riusciva.
     Cosa si può volere di più dalla vita? Lo sapeva… Non voleva ammetterlo, non poteva, l’avrebbe fatta soffrire ancora di più… Ma era ciò che pensava.
 
Due genitori.
 
     Sapeva cosa le avrebbe detto Kim, e avrebbe avuto ragione. Ormai non potevano più tornare, era inutile continuare a pensarci. Lei e Jason dovevano solamente superare quel trauma, e vivere la loro vita. Era questo ciò che da qualche parte desideravano le anime dei suoi genitori, no? Tanto valeva rispettare la loro volontà, il loro amore, se era vero che necessitavano loro stessi di amore…
     Continuare a pensare ai suoi genitori la faceva sentire egoista. C’erano persone al suo fianco, sempre, pronte ad amarla intensamente. Kim, il suo amato fratellino. Gelo, Susan… Che di certo non pretendevano di sostituirsi ai genitori, ma passavano ogni istante della loro vita a riempire il vuoto lasciato dalla loro improvvisa morte.
E dire, adesso, che le mancavano i genitori le pareva brutto da parte sua. Spietato, cattivo, menefreghista, come volete.
Si era chiesta lei stessa, ad alta voce, cosa potesse mancarle ancora.
<< Non lo so… >> rispose con un sussurro.
 
I due furono immersi per interminabili secondi in una cappa di frastornante silenzio.
La ragazza prese un profondo respiro. Provò a distrarsi un poco. << Mi hai detto di venire qui… Come mai? Per caso per ricordare – annuì – di quando eravamo piccoli? >>
La risposta era abbastanza ovvia, ma Kim non volle farci caso. Rispose con tranquillità, permettendo inoltre quella momentanea distrazione.
<< Non è troppo lontano da casa, o almeno… Non come altri posti >> disse. Sfiorò con le dita il volto della fanciulla, e dal mento risalì nuovamente alla guancia. << E voi eravate appena usciti quando ti ho inviato quel messaggio, quindi dovevo scegliere un posto dove saremmo arrivati velocemente entrambi >> .
<< Ma hai detto che volevi parlare solo con me >> osservò Jodie. << Come mai? Non… vuoi parlare con Jason? >> domandò, pensando a come erano letteralmente scappati di casa. Altra risposta ovvia.
<< No, non me la sono presa con Jason >> rispose infatti il giovane, toccandosi la guancia destra. << Anche se devo dire che mi ha fatto male >> .
<< E allora perché >> chiese Jodie. << Perché solo con me? >>, quando le venne in groppo in gola.
     Possibile… Che Kim avesse architettato tutto ciò?

Stava ormai parlando con scioltezza, spontanea, libera e leggera. Dalle azioni, dalle parole… anzi no, dai pensieri di Kim era deliberatamente portata a porre un certo tipo di domande. Kim aveva forse deciso di essere sincero… Ciò significava manifestare i suoi più reconditi pensieri, e inconsciamente ciò avrebbe portato anche la ragazza a comportarsi alla medesima maniera.
E questo per una ragione ben precisa, che nulla al mondo poteva mutare.
La ragione era Kim. Sarebbe stato l’amore che provava per lui a innestare i vari pezzi del puzzle, il collante che avrebbe consentito la riuscita del piano.
Kim stava facendo affidamento sull’amore che la ragazza provava verso di lui… Ovverosia, si fidava di questo amore.
Si fidava di Jodie. Sapeva che lei non l’avrebbe tradito.
Esattamente come lei pensava di Kim.
Motivo in più per amarlo.
<< Perché hai voluto parlare solo con me? >> ripeté Jodie.
Possibile che Kim avesse architettato tutto ciò? Non era il caso di pensarci. Doveva solo parlare.
<< Parlerò anche con Jason >> rivelò il ragazzo. << Ma dopo. Per allora mi servirà il tuo appoggio >> .
<< Il mio appoggio? Cosa intendi? >>
<< Sai, siete incredibilmente simili voi due, e non solo fisicamente. Però Jason è più impulsivo di te, tu invece se ne è il caso ascolti la gente e ti fermi a riflettere. Per questo… Dovendo cominciare da uno di voi due tu eri la più adatta. E Jason trovandosi sia me che te davanti non potrà non ascoltarci >> .
<< Sembra quasi che chissà cosa abbia combinato, e tu ora vuoi “convertirmi” al tuo pensiero, e così anche con Jason… >>
Kim sorrise. << No. Semplicemente voglio farvi capire che vi voglio bene, e sarò sempre con voi… Però è indispensabile il vostro aiuto. Ora ascoltami, sorella >> .
I due quattordicenni si guardarono dritti negli occhi.
Un delicato spiro di vento carezzò i corpi dei due giovani, scivolando morboso sulla loro soffice pelle. Ciocche di splendenti capelli si riversarono sul volto di Jodie, coprendole metà del viso e incurvandosi in direzione del mento. Ella poté notare come i ciuffi di Kim parvero drizzarsi al contatto col vento, scombinandosi dispettosamente.
<< A casa non ci sei mai… Anche per questo ho pensato di parlarti qui >> disse il ragazzo.
Jodie non poté fare a meno di notare una punta di rammarico nella sua voce.
Forse, più di un semplice rammarico.
Ella si mise a sedere, con sguardo interrogativo. Stava per sussurrare qualcosa… Ma Kim continuò imperterrito a carezzarle dolcemente i capelli.
<< Però promettimi di essere sincera… ok? >> esclamò il giovane, cercando di apparire il più sereno possibile.
Jodie sussultò. Kim…
La rapina. La baby gang.
Cosa contava di più? Veramente quelle cose contavano più di Kim?
Il suo amato fratellino…!
<< Kim >> esclamò improvvisamente. << Io… io… >>
     << Jodie!!! >> la chiamò tutto d’un tratto una forte voce maschile.
Kim levò gli occhi al cielo. La ragazza si voltò di scatto.
A un paio di metri distante da loro si presentava ai loro occhi un ragazzo con l’aria imbronciata. Lunghi capelli corvini, jeans strappati, e un largo foulard arancione: era Jason.
“Fratello!” si ritrovò a pensare Jodie in pensiero, arrossendo per la sorpresa di volergli così tanto bene.
<< Vieni, andiamo. E’ ora >> ordinò in tono perentorio.
A quel punto accadde qualcosa che Kim non si sarebbe mai aspettato. Jodie si scansò senza alcuna delicatezza da lui, come se fosse infastidita, quasi inorridita dalla sua vicinanza… O piuttosto impaziente. Molto. E preferì pensare questo.
Accostandosi a Jason sorrise, prendendogli entrambe le mani. Il fratello rispose al sorriso.  Ma non era felicità. Era uno strano sorriso, inquietantemente crudele…
<< Jason! Jodie! >> urlò Kim, avvicinandosi di scatto.
Il corvino strinse con forza le mani della sorella. << Obbedisci a tuo padre, piuttosto >> sentenziò.
E affrettando il passo i due si allontanarono nel buio, tenebrosi come la notte…
 
Kim esitò qualche istante. Cosa aveva voluto dire Jason? E poi… Aveva avvertito una strana aura di pericolo nella sua voce. Era stato minaccioso, troppo…
Doveva fermarli.
Serrando i pugni iniziò a seguirli, senza nemmeno avere il tempo di chiedersi dove si stesse dirigendo.
 
 

Il dottor Gelo sfrecciava guardingo nel cielo. Doveva procedere necessariamente con estrema cautela, o altrimenti non sarebbe mai stato in grado di trovare Tao Pai Pai, il serial killer probabilmente in fin di vita, nell’immensa distesa di campi al di sotto di lui.
<< Ora che so che Jason e Jodie staranno al sicuro con C – 13, posso rilassarmi >> . Ridacchiò. << Jason era così agitato che non ho avuto affatto problemi nel farmi credere. Adesso è convinto che io abbia telefonato a Kim per dirgli di venire urgentemente a casa… Che ingenuo >> .
Ecco a cosa stava riferendosi Jason, poco prima. Il dottor Gelo era veramente determinato nel voler fermare il figlio da quella pericolosa missione di spionaggio, ma probabilmente Kim intendeva anche spifferare tutto, e tirarli fuori dalla baby gang.
     Gelo era stato costretto ad uscire di casa, per ricercare il killer, pertanto era a causa di un’accorta telefonata di C – 13 che aveva potuto apprendere ciò che era successo. L’androide gli aveva rivelato che i tre ragazzi erano usciti di casa, e dunque chiare apparivano le intenzioni di Kim. Il giovane intendeva – intuì lo scienziato – fermare Jason e Jodie a tutti i costi, anche se ciò significava rischiare molto.
Ma lui lo doveva impedire, essenzialmente per due motivi. Non voleva che il figlio si cacciasse in guai seri come una rapina alla banca principale della città, rapina ricordiamoci necessaria per i suoi scopi. Infatti, una volta conclusa la rapina Roy sarebbe fuggito da solo, portando con sé tutti i soldi. Ovviamente, avrebbe ricevuto tutto lo scienziato: gli servivano molti soldi per le operazioni imminenti ai due ragazzi.
     Secondo motivo: tutto doveva procedere liscio. Non erano ammessi imprevisti di nessun genere. La rapina sarebbe stata portata a termine, lui avrebbe avuto tutti i soldi… E Jason e Jodie da lì a pochi giorni sarebbero divenuti cyborg. Era fondamentale operarli, subito.
     Scopo del Red Ribbon era trovare tutte le Sfere del Drago: negli ultimi tempi stava incrementando le ricerche. Servivano nuovi militari, una rinnovata forza. Servivano creature come dei cyborg.
E nessuno era più adatto dei due gemelli. Li conosceva. Erano forti, resistenti, tenaci. Sarebbero stati perfetti.
     Nulla doveva rovinare i suoi piani.
<< Mi spiace Kim… Ma preferisco che sia C – 13 a fermarti, e non un delinquente qualsiasi di quella baby gang, o peggio… Che sia Jason >> .
Aguzzò la vista. Nel bel mezzo di una radura un uomo giaceva immobile, steso su una fresca, vistosa pozza di orrido liquido rosso…
Il dottor Gelo aggrottò la fronte. << L’ho trovato! >>
 
 

Kim non interrompeva la sua corsa, nemmeno per un istante. Jason e Jodie non glielo permettevano: procedevano con passo molto svelto, urgente, schivo.
<< Sicuro che non ci stia seguendo? >> domandò Jodie al fratello.
Stavano seguendo una stramba pista alternativa: dovevano raggiungere presto i loro amici, ma avevano scelto un percorso complesso, ricco di traverse e ramificato in diverse, strette, vie. “Che brutti posti…” pensò la ragazza.
<< Fidati >> esclamò il corvino, senza smettere di camminare. << Te l’ho detto, poco fa mi ha chiamato Gelo. Mi aveva chiesto se Kim fosse con me, perché ha bisogno di lui in questo momento. Ho detto di no, e lui ha semplicemente risposto che l’avrebbe telefonato, per farlo tornare a casa il prima possibile. Comunque… cosa ti ha detto quell’impiccione? >>
La sorella gli mollò un’occhiataccia. << Niente… >> si affrettò a rispondere.
Ci stava ancora pensando… Perché mai se n’era andata via in quel modo a dir poco scabroso? Kim era stato così dolce, premuroso, affascinante… E lei appena visto Jason non aveva esitato un solo istante a correre da lui come una stupida. Perché?
“Ero spaventata…” Almeno questa volta, Jodie riuscì ad ammettere la sua più grande paura: la paura stessa.
Era questo un toccante, manifesto effetto dell’amore di Kim. E lei l’aveva abbandonato così?
“Kim, fratellino mio… Ti scongiuro, non ci seguire. Gelo… Grazie di cuore. Prenditene cura”.
 
 
Kim ansimava, ma l’idea di fermarsi non gli sfiorava nemmeno lontanamente la mente. No, non poteva. Doveva continuare, perseverare… Per loro. Per loro due…
“Io vi fermerò… a tutti i costi!”
 
 
 
Accadde tutto in un istante.
 
Era all’angolo di una traversa, all’incrocio tra la via principale – ricordiamoci, angusta e desolata – e una piccola, che si ramificava perpendicolarmente ad essa. Per osservare Jason e Jodie arrivati ormai all’inizio del viale, stava dando le spalle alla buia traversa. E questo fu il suo errore.
Sguainò il telefono dalla tasca del giubbino di pelle, tenendolo nel palmo della mano destra. Aveva intenzione di chiamare Alphonse. “Lo so che sarà all’aeroporto, ma magari non è ancora arrivato… E’ una situazione critica, ho bisogno di chiamarlo… Se non fosse ancora arrivato, potrebbe…”
Cliccò sull’icona rossa della rubrica. Lesse: “Alphonse” .
Avvicinò il pollice al nome del maggiordomo...
 
     ... quando possenti dita affusolate si attorcigliarono attorno al suo bicipite.
Il giovane si voltò di scatto. << Ma che… >> cominciò, ma una gomitata sferrata sulla guancia sinistra riuscì a zittirlo istantaneamente.
Fu in quel momento che riconobbe il suo aggressore.
L’uomo aggrottò la fronte. << Sì… >> sussurrò in tono eccitato.
Kim barcollò, sentendo la pressione di quella morsa sul suo muscolo, poi spalancò lentamente le palpebre. << Roy…!!! >>
 
 
Questo fu l’inizio di tutto.
 












Holà! Salve, come state? :3
Bene, eccoci qui finalmente ^_^ Sì, avevo intenzione di fare un capitolo molto più lungo, cioè questo e il prossimo uniti, ma ho deciso di dividerli perchè sarebbe stato eccessivamente lungo, e non so voi.. ma io da lettore mi scoccerei a leggere cose che non finiscono più xD

E' giugno, non ci credo!!! Ora potrò scrivere quando vorrò u.u senza distrazioni da parte della scuola -_-

Benissimo, un grazie mille a Luu, LKBmary e Wolf017 per le loro recensioni, grazie :D :D :D :D

Ed ora..tanti saluti, alla prossima!!! :D

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Pestaggio - Parte Terza ***


 
Kim sentì improvvisamente delle dita attorcigliarsi con freddezza attorno al suo bicipite.
Si voltò. << Ma che… >> cominciò, quando una gomitata sferrata sulla guancia sinistra riuscì a zittirlo istantaneamente.
Fu in quel momento che riconobbe il suo aggressore.
<< Sì… >> sussurrò questi in tono eccitato.  
Kim barcollò, sentendo la pressione di quella morsa sul suo muscolo, poi spalancò lentamente le palpebre. << Roy…!!! >>
 
     Sul volto dell’androide si accese un sorriso esaltato. << Allora ti ricordi anche come mi chiamo, ottimo! >> E senza indugiare oltre, scattò.
Con il braccio destro afferrò il telefono di Kim, col sinistro lasciò andare il ragazzo, ma egli non ebbe il tempo nemmeno di respirare che Roy gli afferrò con violenza il capo dalla bocca sollevandolo di poco dal terreno, e lo sbatté violentemente al muro.
<< Così nessuno ci può vedere… anzi. Addentriamoci un altro po’! >> esclamò entusiasta dell’idea.
Trascinò Kim lungo tutto il muro inoltrandosi verso l'estremità del vicolo cieco, e divertendosi a contemplarlo mentre si dimenava. << Che c'è, non dirmi che ti fa male…? Ops! >>
Lasciò cadere il telefono per terra e procedendo nel suo avanzare lo schiacciò con espressione divertita, riducendolo in tanti, miseri, pezzettini.
Kim si agitò, e cominciando a scalciare tentò di colpirlo in faccia, ma vanamente: ogni tentativo del ragazzo non poteva che avere l’unico effetto di accentuare l’eccitazione spasmodica dell’androide.
<< Temevo di non dovermi divertire… >> confidò questi. << Ma probabilmente mi sbagliavo! >>
Per un solo, interminabile ma fugace istante allontanò la mano dal giovane lasciandolo libero di cadere, ma premurosamente non glielo permise. Lo afferrò stavolta dal colletto del giubbino, e nel far questo lo sollevò ancor più da terra.
<< Prima ti devo parlare… >> iniziò a dire. Era sicuro di sé, consapevole di essere imbattibile: contro di lui, pensò Kim, non avrebbe potuto fare nulla, ecco perché era necessario scappare.
Aveva fortunatamente lasciato sia il giubbino, come la felpa del resto, aperto: doveva approfittarne, e in questo serviva essere rapidissimo, sciolto e scattante.
     In un solo attimo fu capace di attirare a sé le braccia, lasciando improvvisamente penzoloni nell’aria le maniche del giubbino. Utilizzò a suo vantaggio il fatto che Roy lo stesse mantenendo per il colletto; con energica spinta slanciò i piedi sul volto dell’uomo: questo gli procurò un’ulteriore spinta, che il ragazzo sfruttò per far scivolare la testa dentro il giubbino e liberarsi definitivamente dalla morsa del nemico. Era libero: era un’occasione unica.
L'androide manteneva ancora il colletto, impegnato a spalancare gli occhi, che Kim lo oltrepassò, scattò via, volutamente ignorante del fatto che il suo cuore stesse pulsando con isterismo.
Stava quasi per farcela... Ma la luce che proveniva dalla via principale non ebbe il tempo di abbracciare il suo corpo che ben altro lo trattenne.
Tutto durò un solo attimo.
 
     Da dietro Roy gli stritolò entrambi gli avambracci; Kim non fece in tempo a scattare il capo che l'androide cominciò a tirare con brutale forza verso di sé quello sinistro. Avvicinò il piede alla schiena.
Nell'istante in cui toccò la schiena del giovane velocità e forza raggiunsero il loro apice, eguagliandosi, e con un unico movimento del bacino fece scattare in due opposte direzioni la gamba e il braccio.
     Era sicuramente il dolore più atroce che il ragazzo avesse mai provato.
Urlò in modo straziante, desideroso di piegarsi su sé stesso mentre quella morsa glielo impediva; la voce gli tremava, il corpo veniva saettato da fuggevoli scosse di dolore, e l'androide si divertì molto ad ammirare tutto ciò.
"Che vuole... questo da me?" si disse in pensiero quasi implorando che qualcuno gli rispondesse, o piuttosto lo salvasse. Si sentiva avvampare, ma improvvisamente debolissimo; soprattutto si sentiva intorpidito l'intero braccio sinistro, e provava l'improrogabile bisogno di mantenersi la spalla. "Mi ha... rotto il braccio" capì, intuendo anche un'altra cosa.
Roy era stato rapidissimo, e d'altronde era il capo di un gruppo di delinquenti: se era intenzionato a fermarlo, niente e nessuno avrebbe potuto distoglierlo dal suo obiettivo.
Kim sgranò gli occhi. Aveva paura, molta, e anche se questo di certo non lo aiutava non poteva fare a meno di ammetterlo.
<< Lasciami... >> provò a dire ansimando, ma Roy teneva ancora salda la presa su entrambe le braccia. Solo in quel momento lasciò andare l'arto sinistro rafforzando di contro la pressione sull'avambraccio destro; lo tirò di lato, fece piroettare il corpo del ragazzo e, come un atleta fa con il suo giavellotto, con medesima premura e ardore di vincere, rilasciò tutta la carica che si era venuta a formare scaraventandolo via con rabbia.
L'impatto fu violento e doloroso, qualità – purtroppo – ineludibilmente complementari tra loro.
Kim spalancò gli occhi per il dolore. Tossendo sputò saliva, probabilmente anche sangue... Tuttavia non ebbe nemmeno il tempo di fare un passo. Anzi, neanche di muovere un singolo muscolo.
C - 13 gli impresse un pugno sulla guancia destra facendolo sprofondare di faccia a terra, e infine gli premette la scarpa sul capo.
<< Ora non ho più motivo di avere paura >> ghignò. << Mi sto proprio divertendo! >>
Aggrottò la fronte, osservando con disprezzo quel misero corpo disteso per terra. << I tuoi genitori non ti hanno educato a quanto pare… Guardami mentre ti parlo! >>
Gli sferrò un calcio sul fianco, così forte che fece girare il ragazzo di schiena.
L’androide annuì. << Così va meglio >> . E sempre più divertito, gli gettò letteralmente un piede sull’addome.
Kim sgranò gli occhi, cominciando confusamente a mischiare gemiti e tremori. Sentiva un sapore caldo in bocca, improvviso… Qualcosa di liquido. “Sangue?” si rese conto. Guardò terrorizzato Roy.
<< C-che cosa vuoi da me tu? >>
<< Finalmente ti decidi a parlare! >> rispose questi. Frattanto giocherellava un po’ col piede, colpendo con piccoli ma costanti calci il ventre del ragazzo. << Secondo te cosa voglio? >>
<< Vuoi fermarmi… >> capì. << Non vuoi che io salvi Jason e Jodie… >> Aveva paura, molta, si era bruscamente ritrovato  in quella terribile situazione. Quel Roy era il capo di quel gruppo di delinquenti… E ora si era preoccupato personalmente di bloccarlo per strada. A meno che non fosse intervenuto qualcuno per salvarlo, dubitava che sarebbe riuscito a cavarsela da solo.
<< Lasciami… >> provò a dire.
Vide l’androide alzare la gamba. Voleva colpirlo… Doveva fuggire, o sarebbe finito male.
Ok, l’aveva ammesso. Si stava spaventando ogni attimo sempre di più, ora la situazione non poteva che peggiorare.
Decise di spostarsi, o meglio… questa era la sua intenzione. Roy non gli permise di muovere un singolo dito. Gli sferrò un altro, brusco calcio in pieno addome; quindi sollevò il ragazzo col piede, buttandolo di lato come fosse sudicia spazzatura.
<< Vuoi salvarli? E da cosa…? Da me, oppure… >> Si avvicinò lentamente. Sorrise con estrema malizia.
<< … dalla baby gang? >>
Per Kim fu un nodo alla gola. Si voltò di scatto a guardare il nemico, ritrovandosi inaspettatamente faccia a faccia con lui.
<< Non dirmi che non l’avevi capito… Oh, sì invece, è questa la parte peggiore. Tu l’avevi capito benissimo, avevi solo paura di ammetterlo... E così sei arrivato fino a questo punto >> .
 
     Il dottor Gelo aveva costruito davvero dei capolavori, i suoi androidi erano qualcosa di indefinibile… Nemmeno un rapace se ne sarebbe accorto così istantaneamente.
Roy notò un lieve accenno di movimento nei muscoli delle gambe di Kim, anche se il ragazzo stava esitando appena, dolorosamente combattuto tra le catene del terrore che lo tenevano imprigionato in quell’angolo del vicolo e l’ardore di fuggire, scappare via, e fermare i due gemelli.
     Accadde tutto nello stesso assurdo momento. L’androide era accovacciato: bloccò i palmi delle mani per terra e fece forza sulle braccia fino a sollevare entrambi i piedi; senza bisogno di allontanare troppo le ginocchia dal petto, vista la vicinanza tra i due, slanciò i piedi in avanti e li chiuse uno sull’altro in direzione del collo del ragazzo, in modo tale che Kim si ritrovò con il collo serrato in questa tragica morsa. C - 13 esercitò quindi un’ulteriore forza sulle braccia scaraventando le gambe in alto: per un drammatico istante il ragazzo brancolò nel vuoto dell’aria; fu un solo attimo, ma durò il tempo sufficiente per fargli credere di dover perdere i sensi lì, nel vuoto, soffocato da uno sconosciuto.
     Non so se dire per sua buona o piuttosto cattiva fortuna, ma Kim si ridestò presto dal suo torpore: sì, perché venne violentemente scagliato per terra. Gemette mentre il corpo gli tremava, e continuò a sputare saliva e sangue.
L'androide non perse tempo. Si era abbandonato al suo peso, per questo entrambi erano caduti in modo brusco; fissò i tacchi ai lati del capo del giovane e scattò in piedi, sferrando con accecante aggressività un calcio indirizzato in pieno volto.
Il ragazzo venne sbalzato via, lasciando al suo rotolare una scia di sangue. Si bloccò in posizione supina. Roy gli si avvicinò flemmaticamente.
<< A-ahh… >> Kim respirava lento, pesantemente. Il sangue gli scorreva copioso dal viso, non sapeva da dove con precisione. Probabilmente dal naso, ma sentiva del sangue liquido su tutto il volto.
Un tonfo vicino a lui. Ormai non aveva più la forza nemmeno di sgranare gli occhi.
<< Che triste destino… >> disse l’androide, accompagnando la sua voce da un sospiro. << Ti chiederai perché io me la stia prendendo tanto con te… >>
<< Io… >> iniziò a dire Kim con voce tremante, ma venne interrotto da un attacco di tosse. Stava sputando sangue.
<< Io… devo fermare... Jason e Jodie… >> riuscì a dire, tentando un sorriso per darsi coraggio.
C – 13 serrò e schiuse le palpebre in un unico istante. << Guarda, non si è rotto il setto nasale! >> notò, piegandosi sulle ginocchia. Afferrò la felpa dal cappuccio e sollevò su il ragazzo. << Bè, rimediamo subito >> .
<< Tu sei il capo… della loro baby gang… >> disse Kim.
     Come un fiume che, arrivato alla sua foce, si diparte in due differenti direzioni per gettarsi infine nel medesimo mare, e le cui acque sono di un talmente grande volume che rendono necessaria la ramificazione del singolo canale in due o più parti, così Kim poté osservare il sangue che gli scorreva dal volto formare una lunga scia sulla sua maglietta, e soprattutto lo sentì. Distinse con un brivido il sangue - che non sapeva nemmeno se provenisse dal labbro o dal naso, ma dopo quella caduta era possibile anche dalla tempia - scivolargli dentro la maglietta, sulla sua pelle. Lo sentì carezzargli il petto, forse per poi scendere lungo l'addome, o forse dedicò il suo dolce tocco al fianco. Forse erano due piccole scie, ed erano veritiere entrambe le opzioni.
    
     Roy portò indietro il braccio, stringendo il pugno. << Certo. Siamo una baby gang, e io ne sono il capo. Come sai benissimo... fra poco abbiamo una rapina, e Jason e Jodie parteciperanno allo spettacolo! >>
<< Perché >> si affrettò a continuare Kim, fissando con paura crescente il pugno di Roy. << Perché… Non mi hai fatto niente allora? >>
Prese un respiro. << Ieri sera… Quando vi ho spiati al vostro covo >> intuì dovesse essere stato il loro covo << e tu eri apparso all’improvviso dietro di me. E poi… >> esitò. << Quella luce gialla… >>
 
     Per tutta risposta, Roy lasciò improvvisamente la presa su di lui e lo spintonò verso il muro. Kim riuscì a mantenersi in piedi, nonostante avesse barcollato per alcuni momenti di spaesamento.
Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Roy, ma fu costretto a vedere ben altro.
Soltanto con la coda dell’occhio riuscì a seguire il pugno dell’androide saettare verso la sua guancia, ma quando poté osservarlo era ormai tardi.
Roy colpì il ragazzo sulla guancia sinistra con inaudita forza, e in rapida successione gli sferrò una ginocchiata nello stomaco che lo fece piegare; decise però che voleva vederlo dritto in piedi, e gli inflisse un pugno col dorso della mano sulla guancia destra.
<< Fai troppe domande >> lo colpì con furia in pieno volto << moccioso >> .
Afferrò la scollatura della maglietta, tirò il ragazzo a sé e lo scaraventò via con un pugno sulla guancia destra.
 
     Kim rotolò sull’asfalto. Non sapeva quante volte. Non sapeva quanti colpi aveva ricevuto. Non poteva più contarli.
Rantolando provò a poggiarsi sull’avambraccio destro. Con la testa che si faceva lentamente più pesante, poté notare il sangue che colava fluido e si raccoglieva in diffuse macchie sull’asfalto.
“Io…” Le forze lo tradirono, e il ragazzo si riversò per terra, abbandonandosi sul fianco. Mosse le dita delle mani. “Perché sono così… debole…”
C – 13 si fermò a un paio di centimetri dal giovane. Lo afferrò per i capelli e lo tirò su con occhi ricolmi di aspro ribrezzo. << Che vita triste… Bè, io ti devo finire >> .
Lo lasciò e Kim barcollò debolmente, riuscendo a malapena a tenersi in piedi.
I due incrociarono i loro sguardi. In quell’istante il vento si azzardò a ripresentarsi tornando a soffiare, seppur con timidezza.
L’androide serrò entrambi i pugni. << Essere picchiato, all’improvviso, e non sapere nemmeno da chi… >> Si passò una mano tra i capelli, scostando dei ciuffi che cadevano sul volto.
<< Ora viene il bello >> mormorò in tono eccitato.
Roy scattò verso di lui. Caricò con fierezza il pugno.
Kim spalancò gli occhi. Era un diretto, non poteva evitarlo, non ci sarebbe riuscito.
Il pugno lo colpì con forza. Il ragazzo indietreggiò, ma vide il nemico caricare un altro colpo.
     Un nuovo diretto… Poi un calcio, una ginocchiata, un altro diretto… Il sangue continuava a scorrere, lo vide anche schizzare. Era talmente debole che non stava riuscendo nemmeno a difendersi…
 
 
 
     << Ha perso i sensi… >> si disse il dottor Gelo afferrando per le spalle lo sventurato Tao Pai Pai.
Erano in un’immensa distesa di verde, non troppo distanti da un grosso albero. A giudicare dalla scia di sangue l’uomo si era trascinato il più possibile verso il centro della radura. “Ci sono dei punti dove il sangue è più concentrato rispetto ad altri… Ciò vuol dire che questo movimento è stato faticoso per lui. L’avrà ritenuto opportuno per essere visto dall’alto, magari da degli elicotteri. Di certo non poteva aspettarsi che io arrivassi volando”.
Portò il braccio del killer attorno alla sua spalla. “Elicotteri… Ecco dove lo devo portare”.
Dalla tasca della giacca sfilò un telecomando di un nero lucente, e solo premendo un piccolo tasto rosso si smaterializzò all’istante.
 
Un attimo dopo, i due si trovavano sull’alto di una torre. Il vento correva frenetico ma mai con aggressività. Intorno, prettamente mattonelle di colore rosso, oltre ad un congegno di forma cilindrica alto non più di un metro.
 
     Piccola spiegazione: ricordi la macchina per il teletrasporto inventata dal dottor Gelo, ubicata nello studio di casa sua?
Noi sappiamo che tale congegno consente di teletrasportarsi in qualunque luogo si desideri, a patto che vengano inserite le relative coordinate, e per quanto riguarda il ritorno che abbia inventato vari piccoli telecomandi che permettono, solamente premendo un bottone, di smaterializzarsi e ricomparire dinanzi tale teletrasportatore.
Ebbene, nell’ultimo periodo lo scienziato aveva migliorato ulteriormente la sua invenzione. Aveva cioè progettato dei mimetizzabili cilindri di metallo che fungevano da “banche di teletrasporto”: disseminati in più punti del territorio per lui strategici, davano la possibilità all’uomo di recarsi dove voleva istantaneamente, senza che ci fosse più la necessità di passare prima dal suo studio.
E difatti ora aveva potuto recarsi lì immediatamente, nel pieno rispetto dell’urgenza che stava provando.
 
     Erano sul tetto della Muscle Tower, la sede del Red Ribbon.
 
Spiegò rapidamente la situazione a dei militari che facevano la guardia e diede precisissime direttive. In pochi secondi il dottor Gelo salì su un elicottero che lì era parcheggiato, seguito a ruota dai due militari che con estrema delicatezza trascinarono anche Tao Pai Pai, lo adagiarono sui sedili posteriori e ordinarono infine alla guardia rimanente di avvisare chi di dovere in merito all’accaduto. Il volere di Gelo era il seguente: avrebbero raggiunto un ospedale, ovviamente sotto il controllo del Red Ribbon, e lì il pover uomo avrebbe ricevuto tutte le cure necessarie.
<< Partiamo! >> intimò lo scienziato, il quale si era protettivamente seduto al fianco di Tao Pai Pai.
Non voleva esporre a quegli inutili militari le sue paure, ma da quando aveva ricevuto la chiamata del killer non riusciva ad allontanare un certo pensiero dalla mente: come era stato possibile tutto ciò? L’uomo doveva impossessarsi delle Sfere del Drago di un bambino, cosa era accaduto mai…?!
 
L’elicottero stigmatizzato dal marchio del Red Ribbon si elevò con imponenza, sollevando una polverosa nube di aria finalmente scarcerata da quella prigione del male.
Sfrecciò via, libero nel cielo, e in tale sua libertà non consentì ai presenti di scorgere un dettaglio…
 
Un dettaglio veramente piccolo… Innocente, innocuo alla vista, ma che a causa della sua purezza sarebbe stato in grado di debellare quella forma di maligno.
Se solo il dottor Gelo non fosse stato così preoccupato per il ragazzino che aveva ridotto in quello stato Tao Pai Pai, se solo la sua mente non fosse stata talmente concentrata ed assorta in quei lunghi istanti… Avrebbe potuto evitarlo.
Avrebbe potuto evitare tutto ciò che in seguito sarebbe accaduto, la tragedia che si consumò…
Ma anche le piacevoli sorprese che il futuro aveva già programmato.
 
     Se solo avesse scorto dall’alto la delicatezza di quel dettaglio…
 
Il piccolo Goku fissò i piedi nella neve. Rabbrividì al pensiero di quanto essa fosse gelida. Alzò lo sguardo, con una scettica espressione di eccitante divertimento misto a irrefrenabile curiosità.
Dinanzi a lui si ergeva il portone della Muscle Tower, la porta che lo separava da quel territorio infausto.
Ghignò entusiasmato. << Si comincia!!! >>
 
 
 
     L'impatto fu brutale. Nel momento stesso in cui la schiena si schiantò sulla dura parete Kim sputò sangue. O saliva, oppure tossiva.
Le gambe gli cedettero, e crollando ormai esauste trascinarono con sé il corpo del ragazzo.
"Non me lo permetterà..." pensò Kim mentre scivolava sul lato del fianco. E purtroppo, aveva visto giusto. C - 13 non gli permise di arrendersi. Non ora, non era ancora arrivato il momento. Voleva divertirsi ancora di più.
<< Sei uno straccio! >> lo sbeffeggiò tirandolo su per l'ennesima volta.
Kim non reagì, non fece nulla. I suoi occhi ormai si erano spenti, e coperti da alcuni ciuffi quasi si rifiutarono di osservare il nemico.
Ormai, possiamo facilmente capire lo stato d'animo del nostro ragazzo: non riusciva a difendersi, era inferiore in termini di forza fisica, ma quel che era peggio... Anche in carattere. La soverchiante forza di Roy l'aveva distrutto, aveva dissolto la sua sciocca convinzione di poter anche solo fare qualcosa per Jason e Jodie, figurarsi addirittura salvarli...
 
Le nocche di Roy si impressero con durezza sulla guancia del ragazzo.
     "Sono... inutile..."
Un destro, un sinistro...
     "Non riesco nemmeno... a reagire…"
Un altro destro.
     "Come posso sperare... di aiutarvi?"
Una lacrima amara rigò mestamente la guancia. C - 13 lo colpì con una ginocchiata nella parte alta dell'addome, corrispondente al muscolo del diaframma: la bocca dello stomaco. Kim sgranò gli occhi, piegandosi in preda agli spasmi.
<< Forse è ora di farla finita >> sentenziò in tono cupo l'androide. Raccolse tutta la forza che aveva in corpo serrando il pugno con inquietante espressione bieca.
Fu rapido e scattante. Piegò il braccio a un'angolatura di 90 gradi, direzionando il pugno dal basso verso l'alto. Colpì il ragazzo sotto il mento.
"Non posso... Perdonatemi..."  Dal volto di Kim schizzava sangue, ma non solo. Lacrimava, da entrambi gli occhi. Non si sentiva più il corpo, sapeva unicamente che stava tremando. Oramai era C - 13 che lo costringeva a mantenersi in piedi, colpendolo con una spietatezza cruda quanto inflessibile.
Una gomitata lo prese dritto sull'occhio destro.
<< Ah!!! >> Kim gemette e immediatamente si coprì l'occhio col palmo della mano. "Continuando così... Se non faccio niente..."
"... Io questo lo ammazzo!" esclamò in pensiero C - 13. Con eccitazione crescente curvò leggermente il busto al'indietro: alzò la gamba e con una scarica di doppi calci pestò la faccia del giovane; senza dargli il tempo stavolta neanche di gemere piroettò sul posto e con un altro fortissimo calcio lo colpì in pieno nello stomaco.
Kim spalancò gli occhi. Tutto cominciò ad apparirgli scuro.
Si piegò sullo stomaco.
Quella tremenda battaglia fisica... Non solo lo stava massacrando sul piano fisico, ma soprattutto stava distruggendo la sua volontà. Debole che era, in quel momento non poteva minimamente azzardarsi a pensare che potesse salvare i due gemelli, come si era fermamente prefissato all'inizio...
"Sono debole... Così debole..." continuava a ripetersi.
Delicatamente poggiò la mano destra sulla parete come a voler tastare un terreno incerto, ma poi si abbandonò completamente sul fianco scaricando il peso di tutto il corpo, mentre le gambe gli tremavano e il respiro diventava sempre più affannoso.
<< Ci tieni così tanto >> deglutì << a fermarmi? Non potrei mica essere un problema per te… >>
C – 13 ridacchiò. << Non sopporterei ricevere interruzioni, e inoltre il mio compito è di eliminare qualunque cosa che possa ostacolare la rapina. Ma anche tu sei molto determinato a proteggere quei due >> . Prese una pausa. << Perché, perché ti spingi a tanto per loro? >>
Kim tossì, e lo fissò in volto. << Non servono spiegazioni… Sono mio fratello, e mia sorella… Li devo salvare, e basta >> .
L'androide aggrottò la fronte, fissando con pieno sconcerto il misero ragazzo.
<< Mph... >> Per un attimo il suo volto parve tratteggiato da un sorriso divertito. << Tu credi veramente di poterli salvare? E va bene, allora io distruggerò questa tua stupida convinzione >> .
Si avvicinò flemmaticamente al ragazzo, con una calma disarmante.
Kim trasalì, e gli sembrò quasi che l’aria mancasse . << Che intendi? >>
 C - 13 si fermò una distanza di due passi dal giovane. << Ti rivelerò la verità. Sai, ti stai impegnando così tanto per salvarli. Ma è triste, perché... >> Divaricò le braccia. << Non servirà a niente, alla fine quegli stolti ragazzini adempiranno allo scopo per cui sono nati! >>
<< Eh? >> Kim indugiò. Ciò che Roy aveva appena detto non aveva alcun senso, però se aveva pronunciato tali parole un motivo doveva pur esserci. << Che significa? >>
L’androide alzò le spalle. << Tu non puoi capire, ma loro sono destinati a molto. E questo perché a differenza tua… loro sono persone forti. Vedi, nemmeno loro sono probabilmente in grado di capire, quindi come vedi la stupidità è comune a voi >> sussultò, e si corresse << a noi umani… Ma non conta questo. Ciò che è importante è unicamente la forza. Lo dimostra il fatto che loro hanno un grande futuro che li attende, tu invece… >> si lasciò scappare una risatina divertita, puntandogli contro l’indice << sei solo una mezza calzetta! >>
Kim venne scosso da un altro sussulto e si portò la mano alla bocca, dimenticandosi che era già pregna di sangue. Ne era consapevole, non avrebbe retto ancora a lungo, le forze stavano per abbandonarlo...
<< Ciò che dici... Non significa nulla >> riuscì a dire. << La forza fisica di una persona non conta nulla. Jason e Jodie sono destinati a molto, lo so, e forse... a differenza mia. Però il motivo... non è così stupido! >>
C - 13 scosse più volte la testa e assunse un'aria imbronciata, segno di amara rassegnazione. << Non capisci nulla. Ma pazienza, non serve che tu capisca. Mi è stato ordinato di fermarti, e io lo farò! >> Fece una passo in avanti.
Kim inarcò le sopracciglia. "Mi è stato ordinato...? Perché, è lui il capo, chi potrebbe..."
Ma l'androide interruppe bruscamente quei pensieri, afferrandolo per il colletto della maglia e ponendo la sua faccia a un palmo di mano da quella del ragazzo. << Arrenditi >> disse.
<< Non lo farò mai >> .
C  13 sorrise, e lasciò la presa. << Peggio per te >> .
 
     E questa fu per Kim la conclusione del suo pestaggio.
 
Bastò un pugno di brutale forza sulla guancia per far ondeggiare pericolosamente il corpo del giovane, sino a farlo sbandare sul muro. Poteva bastare questo, ma l'androide non era ancora soddisfatto.
     Un fulmine che ambisce la superficie terrestre, e vi si getta con velocità tale da detenerne il primato, sarebbe stato meno impetuoso.
Assestò dapprima un calcio sull'addome, e nell'istante in cui il ragazzo cominciò a piegarsi sopraffatto dal dolore C- 13 ruotò su se stesso, trascinando il piede sull'asfalto, levò le braccia in alto e congiunse le mani: scaricando una forza bestiale nel colpo centrò la schiena di Kim.
Stavolta non riuscì a trattenersi. Emise un grido lacerato, e di colpo crollò a terra.
 
 

 
     << Gelo... >> Susan si rizzò debolmente in piedi, e passandosi le mani nei capelli cercò di levarsi di dosso tutto le impurità di quel posto chiuso e infausto. No, era impossibile, non sarebbe mai riuscita a scacciare dalla mente nemmeno uno solo degli infiniti pensieri che la stavano distruggendo.
Fece un passo in avanti. <<< Perchè... >>
Alzò lentamente il capo, e si fermò ad osservare il soffitto.
Nulla. Non sapeva cosa fare, non le veniva in mente nulla di utile per poter uscire da quel luogo e tornare così dal figlio.
Kim... Non sarebbe riuscita più a guardarlo negli occhi, come poteva...?
Singhiozzò. Stava lacrimando. << Kim, che padre... ti ho dato? >> Ma subito si nascose il volto nelle mani: che stava dicendo? Lei amava Gelo, e anche lui... la amava. Almeno così aveva sempre pensato.
"Mi ama, ama me, Kim, la nostra famiglia... Deve esserci una spiegazione".
     Il Red Ribbon, le volte in cui si rifiutava di parlarne, o quando usciva di casa senza preavviso...
"Mi ha reso felice, è sempre stato un ottimo padre, Kim lo adora!"
     Dappertutto, in ogni angolo del laboratorio, come a circondarla con fare arrogante e spietato, delle immagini stilizzate di un fiocco di colore rosso: il simbolo del Red Ribbon…
 
Si morse il labbro, ma presto tornò a singhiozzare.
<< Gelo... amore mio... >> riuscì debolmente a dire. Stava quasi per abbandonare nuovamente il peso del suo corpo sulla schiena, quando qualcosa la trattene, distogliendola finalmente da quei pensieri.
 
Delle esplosioni.
Udì susseguite esplosioni provenienti da sopra il suo capo.
<< Cosa... >> Portandosi una mano sulla guancia, cercando di cancellare quelle lacrime, levò gli occhi al soffitto. << Che sia un laboratorio sotterraneo? >>
Portò l'orecchio alla porta, tentando di captare qualcosa. << Figurati, non posso certo capire qualcosa da qui... >>
Quando udì degli spari. Sgranò gli occhi, e fece uno sforzo per concentrarsi. "Non sono semplici spari da pistola, anzi, non solo. Questi sono fucili. E poi... non si tratta di fucili di precisione, l'obiettivo deve essere molto vicino, così come gli spari..."
Prese un respiro profondo. << Ma che diamine sta succedendo? >>
 
 
     Il ragazzino poggiò entrambi i piedi sul petto del soldato, e approfittò di questa occasione per darsi una carica tale da gettare per terra l'uomo; si spinse indietro, volteggiò nell'aria compiendo delle capriole davanti a un altro soldato incredulo, e atterrò ai suoi piedi.
Fissò negli occhi l'uomo, che frattanto era rimasto a bocca aperta.
     Era un ragazzino, eppure presentava una bizzarra coda simile a quella di una scimmia. Indossava un'allegra divisa arancione, riportante il marchio "kame" sia sul petto, sia sulla schiena: era il piccolo Goku.
     Il soldato si ridestò e decise di farla finita subito con quella situazione assurda. Gli puntò contro il fucile che aveva in mano.
Sparò, ma il ragazzino chinò tranquillamente il capo di lato e piuttosto ridacchiò. << Ma voi soldati non sapete fare di meglio? Vediamo un po'... >>  
E urlando colpì il soldato nella pancia con un pugno, senza trattenersi.
<< Mh... forse no >> constatò, notando come l'uomo fosse crollato a terra e stesse lì fermo a gemere.
<< Bé, io vado! >> esclamò Goku correndo in direzione opposta, quando con stupore si ritrovò ad osservare delle scale ad ampi gradini che portavano di sotto.
Rise entusiasta dell'idea, e decise di soddisfare ogni sua curiosità.
Scese le scale.
 
 
     "Sento... una gran confusione di sopra" si disse Susan, con guancia e mani rivolte alla porta del laboratorio. "Ma che starà succedendo? E se... ci fosse un nemico?"
Abbassò lo sguardo. "Dovrei esserne felice, il Red Ribbon è un'organizzazione di delinquenti, solo delinquenti..."
In più, un'altro timore la impensieriva. Lei era in un laboratorio visibilmente del Red Ribbon ed anche necessariamente di Gelo, per questo le due cose dovevano coincidere. Ma a quanto pareva era un laboratorio sotterraneo. Se c'era qualcosa di sopra, allora...
"Dev'essere... la base del Red Ribbon!"
 
 
<< Ehi!!! C'è qualcuno??? >> chiamò all’improvviso una voce.
 
Susan sgranò gli occhi.
 
 
<< Su, rispondetemi! >>
Era la voce di un ragazzino, e proveniva da dietro quella porta...!
 
Susan indugiò. "Non può essere. Sembrava un bambino, è impossibile. Lo sto solo sognando..."
<< Uffa, non c'è nessuno... E io che ci sono venuto a fare qui?!? >> sussurrò affranto Goku, poggiando la schiena sulla parete di mattoni rossi.
 
Susan si lisciò i capelli. “E se… non l’avessi immaginato?”
<< Ehi! >> gridò la donna. << Sono qui! >>
Il ragazzino spalancò gli occhi. << C’è qualcuno allora… >> Mosse qualche passo in avanti, guardandosi intorno. << Dove sei??? >>
Susan sentì delle lacrime inumidirle l’occhio, e iniziò a battere i pugni sulla porta. << Sono qui… Nel laboratorio! >> rispose col tono di chi, da sventurata, spera di essere salvata dal proprio amante.
Sorrise, strisciando la fronte sull’imponente portone della stanza. C’era veramente qualcuno, non lo stava immaginando… Non sapeva da chi, ma probabilmente qualcuno sarebbe riuscito a trarla in salvo.
“C’è un laboratorio, davvero?” si chiese Goku, scattando il capo in ogni direzione per cercare di capire da dove provenisse quella voce, quando si soffermò su un imponente portone d’acciaio stretto ai lati da interminabili pareti di mattoni rossi.
Si avvicinò, poggiando la mano sul freddo materiale. << Ehi, sei qui? >>
La donna si portò una mano alla bocca, aprendo le delicate dita dell’altra sull’acciaio. Nessuno dei due poteva saperlo, ma le loro mani si stavano incontrando, separate unicamente dal freddo materiale...
<< Sì, sono qui… >> mormorò. In realtà aveva intenzione di gridare la sua presenza, ma la profonda stanchezza che affliggeva il suo corpo l’aveva trattenuta. Aveva appena schiuso le labbra, probabilmente per ripetere la medesima risposta, quando il ragazzo riprese a parlare: << Ok, allora allontanati dalla porta! >> disse semplicemente, come se la cosa fosse ovvia.
Susan non ne capiva il motivo, ma decise ugualmente di accettare. Mosse timidamente alcuni passi indietro, asciugandosi una lacrima che le rigava la guancia.
<< Non so come possa aprirsi questa porta >> disse << e in più è impossibile sfondarla. Come credi… >>
Ma il ragazzino pareva avere tutta l’intenzione di sorprendere la donna.
Un’esplosione, e immediatamente Susan si ritrovò ad urlare per lo spavento e a prendere quindi  la saggia decisione di indietreggiare il più possibile. Riportò gli occhi sulla massiccia porta di acciaio, ma questa non esisteva più. O meglio, la vide sgretolarsi – letteralmente – in tanti piccoli pezzettini che si riversarono sul lucido pavimento come se fossero carta straccia.
Si elevò una pesante coltre di polvere e terra che andò a diramarsi in parte nel corridoio, ma in maniera preponderante nel laboratorio.
Tossì. << Ma che... >>
Nello stato di polvere che si era formato si distinse una piccola figura. Il ragazzo si fece avanti come se nulla fosse, sino a divenire finalmente visibile agli occhi della donna.
Susan schiuse più volte le palpebre. "Ma allora... è veramente un bambino!"
 

 
     << Sì, ho sistemato la faccenda, è tutto sotto controllo >> sussurrò con fierezza C - 13.
Si fermò. Aveva il cellulare all'orecchio, e solo ora stava uscendo da quella sinistra traversa.
Voltò il capo per guardare un'ultima volta quel lurido ammasso di carne disteso per terra. << Sì, non ci darà mai più fastidio >> .
Kim giaceva inerte sull'asfalto disteso a pancia in giù, con una strana angolatura delle braccia e delle gambe. Il corpo era disteso longitudinalmente rispetto all'estremo angolo della via, con il viso rivolto verso il muro. Inoltre, l'androide si era anche preoccupato di calare il cappuccio della felpa sugli occhi, cosicché se anche fosse passato qualcuno lungo quella via e avesse sbirciato dentro la traversa difficilmente avrebbe notato il ragazzo.
Nel punto in cui poggiava il capo del ragazzo erano disseminate varie macchie di sangue. Ancora adesso, anche se il liquido stava cominciando a scemare, continuava a fuoriuscire del sangue: dalla bocca, dal labbro, dal naso.
C - 13 l'aveva abbandonato lì, nel pieno disprezzo, pensando che prima o poi - forse - sarebbe stato visto. Ma tanto, poco gli importava. "Schifoso" pensò.
<< Quindi ha perso i sensi >> commentò il dottor Gelo al telefono. Serrò le palpebre. "Mi spiace Kim, ma non mi hai lasciato altra scelta".
<< Bè, ora è tutto pronto per la rapina >> esclamò l'androide. << Lo so, ci vado subito. La prossima volta che ci sentiremo ti annuncerò il tuo nuovo conto. Ok, a dopo... capo! >>
E così dicendo chiuse la telefonata, e dopo essersi stiracchiato un po' corse via, finalmente pronto per la sua prossima missione.
 
     Il dottor Gelo squadrò il telefono. "Jason e Jodie stanno per rapinare la banca..." pensò. Si avvicinò ulteriormente al finestrino dell'elicottero, ammirando il meraviglioso spettacolo che si estendeva al di sotto di lui. "Sto facendo la cosa giusta?"
 
 
 
     Il piccolo Goku si mostrò agli occhi di Susan. << Quindi sei una donna! >> esclamò.
Susan dovette parergli piuttosto scossa, perché subito si affrettò a dire: << Tranquilla, non sono un nemico, sono qui per salvarti! >>
<< O-oh, perfetto >> rispose. Squadrò il ragazzino senza tralasciare nemmeno un dettaglio, incutendosi parecchio quando notò che egli aveva anche una coda.
"Oh mio..."
<< Piacere >> esclamò amichevolmente il suo piccolo eroe. << Il mio nome è Goku! E tu... chi sei? >>
<< Oh, io... >> iniziò, ma continuò ad osservargli la coda. Era molto dubbiosa, ma in ogni caso quello strambo ragazzo l'aveva salvata. Gli doveva soltanto essere riconoscente. Abbozzò un sorriso, che comunque al bambino parve bellissimo. << Piacere Goku, io sono Susan! >>













Bene, salve a tutti *saluta felicemente

Sì lo so, volevo pubblicarlo molto prima, ma in ogni caso... eccoci qui. Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, e particolarmente mi interessa la vostra opinione. Cioè... A differenza degli altri questo era più "dinamico", e infatti è cominciato speditamente. E poi mi rendo conto che mi riesce più facile scrivere soliloqui o comunque descrizioni psicologiche, ecco perchè spero davvero che vi sia piaciuto ^^

E anche perchè ci tengo molto a questo capitolo.. E' una delle prime cose che ho ideato, quando cominciai a pensare a questa storia ^___^

Bè, ringrazio vivamente e calorosamente :3 chi recensisce, grazie mille di cuore, davvero!!!!!

Qui da me fa caldo... molto. Bene, non importa.
Ora vi saluto, appuntamento al prossimo capitolo. Ciao ciao :) :) :) :) ;) ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Incontro inaspettato nella Muscle Tower ***



       Orange Town Airport

Il sole brillava alto nel cielo, e pareva riuscire a tenere a bada, distanziandole, le nuvole che solevano tentare un approccio. L'uomo alzò gli occhi al cieli. Faceva piuttosto fresco dove si trovava, nonostante la moltitudine di gente che si affaccendava nei rispettivi preparativi.
Bagagli e valige ovunque, alcune in mano ai proprietari, altre addirittura abbandonate con ostentata negligenza, ma poi se qualcuno osava erroneamente toccare una valigia che non gli apparteneva ecco che il vero proprietario faceva la sua comparsa e cominciava un lungo battibecco.
Curioso modo per passare il tempo, pensò l'anziano, ma del resto in qualche modo quelle interminabili ore di fila dovevano pure passare. C'era chi rideva, chi aveva stampato in volto il sorriso di colui che senza pensieri è in procinto di partire per un lungo viaggio, lasciandosi alle spalle tutti i propri problemi.
Avrebbe voluto sentirsi così anche lui, ma non poteva. Il suo viaggio li avrebbe solo incrementati, i suoi problemi.
"Sono un maggiordomo, eppure quando servo non ci sono mai" continuava a ripetersi, anche se era consapevole che la colpa non era sua: gli era stato ordinato di partire, non aveva potuto scegliere. Non avrebbe potuto fare altrimenti.
Dal vetro del finestrone poté osservare un aereo elevarsi in cielo.
Aumentò di colpo la pressione delle dita attorcigliate al manico della valigia, stringendolo a sé. Pensò ai tre sfortunati ragazzini. Erano solo bambini, eppure già costretti ad affrontare grandi dolori... Che tristezza.
Alphonse alzò lo sguardo. << Kim... >>
 
     Al suo sollevarsi l'imponente aereo donò al terreno un'impetuosa ondata di vento...
Il vento schizzò via isterico ma finalmente libero...
Si ramificò, perdeva potenza, riacquistava vigore...
A volte si formavano pesanti raffiche ululanti, altre volte si affacciava nella sua corsa a tutto ciò che toccava come soffice vento, caldo e caritatevole.
 
 
     E quello che era solo un alito di vento parve librarsi dal terreno, e andò ad adagiarsi sofficemente sul corpo del ragazzo... Sul corpo di Kimley.



 

Capitolo 28: Incontro inaspettato nella Muscle Tower

 

 
I due si fissarono negli occhi per secondi che parvero interminabili.
Susan continuava ad avere gli occhi sgranati. "Una coda...!" si ripeteva.
<< Bé, tu che ci fai qui? >> domandò Goku.
La donna si ridestò, scuotendo la testa. << Sono io che dovrei farti questa domanda! Ma piuttosto... Tu chi sei? >>
Il ragazzino sembrò offendersi. << Te l'ho già detto, sono Goku! >>
<< Oh, bé... >> La donna abbozzò un sorriso. << Intendevo dire... Come hai fatto ad arrivare fin qui? >>
<< E' stato facile! Insomma, quei soldati non sono niente di che >> . Goku si guardò intorno. << Perché non usciamo da questo brutto posto? >>
Per Susan fu uno schiaffo morale. Un bambino che non solo l'aveva salvata, ma adesso era lui a prendere in mano la situazione... Quando da adulta, e da donna, sarebbe spettato a lei il compito di proteggerlo.
Sembrava un tipo stravagante, ma non cattivo. Poteva fidarsi. Ma dopotutto, essendo stata salvata da lui non avrebbe mai potuto considerarlo un estraneo.
E così i due abbandonarono il laboratorio e andarono a sedersi sul freddo pavimento, in corridoio. Erano ora piuttosto lontani dalle scalinate che portavano al piano di sopra, e Goku aveva stabilito di fermarsi un attimo. In realtà, aveva pensato fosse la cosa migliore per la donna: vista la sua espressione sconvolta, doveva esserle capitato qualcosa di brutto, e pertanto aveva deciso di farla parlare e di raccontargli cosa le fosse capitato, ma le cose andarono diversamente.
Finirono che fu solamente Goku a parlare di sé e dei suoi amici, ma Susan lo ascoltava con pazienza, non si lasciava perdere nemmeno una parola.  In ogni caso non fu tempo perso, perché talvolta poteva sembrare quasi sollevata.
 
 
 
 
     << Eccoci finalmente >> salutò in tono spento Jason.
<< E mollami >> predicò la sorella, che con uno strattone si liberò dalla morsa del corvino che la stava trascinando per il braccio.
John si avvicinò loro con espressione pensierosa, e si fermò dinanzi alla ragazza posandole una mano sulla guancia. << Ma che brutte facce che avete. Cosa vi è… >>
<< Nulla >> interruppe Jodie, scacciando via il braccio del ragazzo con un gesto della mano. << Siamo pronti per la rapina? >>
<< Bè, aspettavamo voi >> commentò una voce sinistra. Il ragazzo che aveva parlato si fece avanti, uscendo dalla penombra in cui era nascosto: si trattava di Roy. Ridacchiò. “Volando sono addirittura riuscito ad arrivare prima di loro, incredibile… Ora la rapina, e così mi leverò di torno tutti questi schifosi pezzenti!"
 
     Jodie si strinse nelle spalle. Pensò a Kim, e inevitabilmente non poté che avvedersi di una cosa: non le importava assolutamente niente di quella maledetta rapina, non sapeva perché stesse per fare una cosa del genere, poteva soltanto capire che ormai non poteva più tirarsi indietro.
Era ovvio… Si trattava di una baby gang, non esisteva la possibilità che qualcuno si astenesse da qualche attività. Per questo motivo aveva tirato avanti tutto quel tempo: perché non poteva fare altrimenti.
Ma allora… Cos’era diventata la sua vita ormai? Un mero trascinarsi passivamente nelle decisioni altrui? Era questo che era diventata, una femminetta che obbediva agli ordini di tutti quei maschi, senza dire niente?
Ma lei obbediva perché così le andava, perché la baby gang le piaceva… Oppure no?
La domanda giusta da porsi era forse un’altra… Perché mai era entrata in quella baby gang? Bè, si poneva tale domanda per ottenere la risposta che desiderava, l’unica che le serviva in quel momento per annientare i suoi dubbi: era entrata nella baby gang perché ciò la faceva sentite forte, sicura, onnipotente.
Decisa… Era così che voleva apparire agli occhi degli altri, ma era veramente così? Forse, se fosse stata realmente così, non avrebbe avuto bisogno di dimostrarlo…
Dannazione, era patetica, porsi simili dubbi in un tale momento. Non ci doveva pensare, doveva liberare la mente, e concentrarsi solo sulla rapina.
Prese un respiro profondo. “Ce la posso fare”.
 
     “Ce la devo fare!” esclamò in pensiero Jason.
Nella mente gli scorreva senza argini un fiume in piena, fatto di emozioni, paure, infiniti pensieri…
“No! Non ho nessun timore io, sono forte, ho il potere!” Strinse i pugni, e visionò in pensiero tutto ciò che stava per fare. L’idea di poter incutere timore alla gente, di esercitare forza sugli altri, violenze di ogni tipo… lo faceva sentire terribilmente forte. Per questo motivo aveva deciso di intraprendere quella strada, per assicurarsi un futuro di onorato rispetto.
Ma alla sua incontenibile rabbia nei confronti del mondo si aggiungeva la consapevolezza che con tutto ciò non sarebbe mai piaciuto alla gente, al mondo che egli tanto disprezzava.
“Problemi loro, se non mi accettano io non accetterò loro! Tanto delle persone a cui vado bene per quello che sono le ho già”: questo quello che con tutto il cuore cercava di credere, voleva disperatamente credere al punto da identificarsi con l’anelito stesso… Ma la consapevolezza della verità non abbandona mai la propria vittima.
 
     << Ok >> annunciò improvvisante Roy, interrompendo qualunque pensiero. Erano in quattro, gli altri pochi utili erano già appostati in piazza. Sgranò gli occhi con un tremito di eccitazione, passandosi una mano tra i capelli. << Andiamo a rapinare la Central Bank! >>
 
 
 
 
     Un alito di vento si librò dal terreno, e sofficemente si adagiò sul corpo disteso del ragazzo…
Era Kim. Stavolta però il movimento non fu solitario, poiché ne seguì un delicato insieme di sussurri del suo animo.
Le dita furono scosse da un movimento quasi impercettibile, e anche se solo per un istante parvero coinvolgere anche il resto della mano. Le palpebre sembrarono essere baciate da un protettivo tocco rinvigorente, e lievemente cominciarono a schiudersi…
 
 
 
 
     << Mi raccomando, fatemi sapere subito >> annunciò il dottor Gelo ad alcuni medici. Era da poco arrivato nell’ospedale di una città non molto lontana dalla torre rossa, una struttura ovviamente sotto il rigido controllo del Red Ribbon. Si allontanò dai tre militari che lo avevano accompagnato per andare finalmente a prendersi un caffè al distributore automatico, ma uno di loro lo imitò.
<< E’ una fortuna che l’ha trovato subito, dottore. Mi sembrava molto grave, se ha qualche possibilità di salvarsi è soltanto merito suo >> disse questi in tono adulatorio, e ripensando alla premura con cui lo scienziato aveva incalzato tutti a sbrigarsi si considerò sorpreso nel constatare quanto l’uomo tenesse alla vita dei propri alleati.
Gelo lo fissò torvo, e poggiò la schiena alla parete. << Ancora non l’hai capito? >>
Notò l’espressione interrogativa del giovane, e decise di continuare. << No, tu e i tuoi compagni non avete pensato a nulla. Ma forse è meglio così… Quando la mente corre dietro a troppe cose finisce solo per autodistruggersi... >> Sospirò. << Il compito di quell’uomo era acciuffare un bambino in possesso delle Sfere del Drago, ma evidentemente… ha fallito. Perché? Cosa è successo, e dov’è ora quel bambino? In qualche modo ha sconfitto Tao Pai Pai, non dev’essere un ragazzino qualsiasi >> .
Chinò lo sguardo. << A giudicare dalle sue ferite, sembrava quasi vittima di un’esplosione. Può darsi che abbia cercato di colpire il ragazzino con un esplosivo, e in qualche modo la cosa gli sia ritorta contro. Salvare Tao Pai Pai è l’unica nostra possibilità di sapere realmente come sono avvenuti i fatti >> .
“E’ strano, se penso a quel bambino sento una terribile morsa allo stomaco… Come mai?" pensò, sorseggiando il suo caffè. "Non so, ma se rifletto bene mi rendo conto che è impossibile che un killer esperto possa essere stato messo al tappeto da un moccioso, e la cosa mi preoccupa molto. Inoltre…”
Si voltò di lato, e notò con piacere che il soldato si stava allontanando.
C’era un’altra cosa che impensieriva molto lo scienziato, qualcosa che solo lui poteva sapere. La verità... Era che Tao Pai Pai voleva entrare nel Red Ribbon, ufficialmente.
 
     Il serial killer aveva conosciuto l’organizzazione militare in qualità di sicario professionista già pochi anni prima, e fu in quell’occasione che ebbe modo di conoscere il celebre dottor Gelo. Ma l’uomo, l’abbiamo detto, era solo un sicario, e l’idea di avere una fede a cui aderire non gli dispiaceva affatto; e oltretutto condivideva l’ideale di supremo controllo del territorio propugnato dal Red Ribbon, e aveva deciso di intraprendere questa diversa strada per arrivare al potere, alla forza, alla ricchezza.
La semplice missione di annientare il bambino – Goku – era una sorta di prova: se fosse riuscito a prendere le Sfere del Drago dal ragazzo sarebbe entrato di fatto nel Red Ribbon, accordo stipulato solo con il dottor Gelo, con il quale era ormai in confidenza, e poche alte sfere dell’organizzazione. Una missione talmente facile che quasi si vergognava di concludere la sua carriera di sicario in questa maniera.
     “Ma ora è fuori gioco” rifletté il dottor Gelo, “e devo assolutamente capirne il perché, o altrimenti… Ho la sensazione che il moccioso possa diventare un pericolo per tutti”.
Prese un profondo respiro, maledicendo col pensiero l’odiato bambino… Quando l’inaspettato squillo del suo iPhone respinse istantaneamente tutti quei pensieri.
Afferrò il dispositivo. Inarcò le sopracciglia: era uno stupido soldato del Red Ribbon, una recluta. Che diamine voleva mai? << Qui parla il dottor Gelo, cosa c’è? >> domandò.
     Quello che gli fu rivelato lo fece quasi svenire.
     Si erano appena concretizzate le più profonde paure ancorate nei meandri della sua coscienza...
 
 
 
 
     Adesso tuttavia sarà opportuno spostare la nostra attenzione, precisamente all’interno di un certo vicolo a noi conosciuto… Nel cui angolo più profondo giaceva Kim, apparentemente immobile e soprattutto… senza sensi. Ma la realtà non era questa. No, non più.
Seppur ancora immobile, il ragazzo cominciò a socchiudere gli occhi, e fu solo in questo momento che anche il corpo venne mosso da piccole tenui scosse.
Provò ad avvicinare a sé il braccio sinistro, ma un guizzo di intensissimo dolore lo paralizzò all‘istante. Giusto, Roy l’aveva spezzato.
Gemeva, non riusciva ad evitarlo, ed anzi ad ogni piccolo movimento il dolore diveniva sempre più prepotente.
Respirava affannosamente, molto, e a ciascun respiro temeva di perdere nuovamente i sensi.
<< No… >> mormorò con un filo di voce così sottile che le labbra a malapena permisero al suono di oltrepassarle.
Provò ad aguzzare la vista, ma sentiva ancora la testa pesante. Si poggiò sul braccio destro, e facendo pressione sul gomito scaricò tutto il peso del corpo sull’avambraccio. << Io… devo… >> disse, ma non aveva abbastanza forza per alzarsi, e crollò a terra sbattendo la fronte sul duro asfalto.
Negli occhi si formarono amare lacrime. << Voi… riuscite sempre a fare di tutto per me… Possibile che io… non riesca nemmeno a raggiungervi… >>
Si sentì la guancia carezzata dal dolce tocco di una lacrima. …
Che schifo… Non riusciva a fare nulla…
     Era un totale inutile… Da sempre, era stato soltanto un peso per tutti. Per la madre, per il padre… Addirittura per i defunti Edward e Hilary, che avevano sempre dovuto sopportarlo.
Se ci fossero stati anche loro a vederlo, che avrebbero mai detto?
“Kimley, vergognati”. “Fai schifo, bravo solo a parole e poi… Quando servi dove sei?”
     Trascinò la fronte sull’asfalto, andando a sbatterla sul muro.
“Jason… Jodie…” Nella sua mente si stagliarono le immagini dei suoi più cari amici.
Erano degli amici. No, dei veri e propri fratelli. Sapeva che poteva contare su di loro, l’aveva sempre saputo, e non gli importava niente se ora Jason faceva l’arrogante con lui. Aveva i suoi buoni motivi… E anzi.
Avrebbe dovuto capirli. A lui, a Jodie. Avrebbe dovuto capire i loro problemi, lui più di chiunque altro, perché non era con Susan che passavano il pomeriggio, non era con Gelo che si sentivano perfettamente a loro agio. Era con lui, e lui soltanto.
     Rizzò la schiena sulla parete, allungando le gambe dinanzi a sé: era finalmente riuscito a sedersi.
Avrebbe dovuto capirli, e invece era stato un totale inutile, troppo impegnato a notare la perfezione che era in loro per ammettere concretamente i loro sbagli.
La verità… E’ che Roy aveva ragione.
“Tu l’avevi capito benissimo, avevi solo paura di ammetterlo... E così sei arrivato fino a questo punto!” gli aveva detto.
Jason e Jodie erano entrati in una baby gang, e questo perché dalla morte dei genitori erano lentamente sprofondati nella disperazione più oscura, in un circolo di rabbia e odio insanabile. Ciò li aveva condotti in una dolore senza via di fuga, così tetro che essi si affidarono all’unico spiraglio di luce che riuscirono a scorgere: la baby gang.
     Kim seguiva con sguardo spento il sangue che dalla bocca gli colava sui jeans, senza fare nulla.
“Sono convinti che la delinquenza sia l’unica maniera per sentirsi attivi, per fare qualcosa di concreto. E io… li ho lasciati fare. Non si sono fidati di me, e io non l’avevo nemmeno capito…”
     Le gambe gli tremarono, e si diede una spinta per poggiare la schiena con più forza possibile sulla parete. Gemette, e lentamente trascinandosi lungo il muro si rizzò in piedi.
<< Ma ora ho capito tutto… E rimedierò ai miei errori… >> Si morse il labbro per trattenere un altro gemito, e portò la mano destra sul braccio sinistro. << Lo giuro! >> esclamò.
Mosse i primi passi. Barcollò, ma riuscì a mantenersi in piedi. Si rese conto di quanto sporca e logorata fosse la felpa, spaventandosi alla vista di tutto quel sangue che si era impresso. La sfilò e la lasciò cadere per terra con noncuranza, rimanendo così solo con la maglietta nera a mezze maniche.
<< Verrò a prendervi. Aspettatemi… Fratello mio, sorella… >>
E dopo i primi timidi, tremolati movimenti il suo avanzare divenne regolare, e poco alla volta cominciò ad avvicinarsi a Jason e a Jodie. Questa volta in maniera concreta.
 
 
 
 
     Gelo sprofondò nella panca. Iniziò a tremare.
<< Cosa... Non... Non è possibile... >>
<< Purtroppo è così >> replicò in tono enfaticamente agitato l’uomo dall’altra parte del telefono. << La Muscle Tower è stata attaccata! >>
<< Non è possibile... La torre è la nostra sede, è impossibile che qualcuno la stia invadendo... E chi è >> lo scienziato quasi si piegò dagli spasmi << chi è il folle che sta facendo una cosa del genere...? >>
Il soldato abbassò la voce, vergognosamente dubbioso delle sue stesse parole. << Ecco, io non l'ho visto, ma pare che sia… Un bambino >> .
     Gelo era piuttosto sicuro che di fronte a un’affermazione del genere normalmente sarebbe scoppiato in una risata fragorosa. Adesso tuttavia, dopo quegli insani eventi, si ritrovò a sbandare sul posto e fu molto lieto di avere già una panca dove essere seduto, o altrimenti le ginocchia avrebbero sicuramente collassato.
<< Cosa… stai farfugliando… >> bofonchiò terrorizzato, quando si rese conto di essere spaventato anche dalla paura stessa che lo stava lentamente devastando.
“Io, spaventato da una moccioso?” Si strinse con forza nelle spalle, e cominciò ad allungare e richiudere su se stesse le dita in un'interminabile successione.
Prese una lunga pausa. Strizzò gli occhi. << Ora ascoltami molto attentamente >> scandì in tono lento, conciso, paurosamente calmo ed assolutamente inequivocabile.
L’uomo sussultò. << Sì? >>
Sul volto di Gelo si dipinse un lieve accenno isterico, e dovette avvedersi di credere fermamente all'esistenza di questo ragazzino portatore di distruzione. << Non abbiate timore >> ordinò in tono perentorio. Trasse un profondo respiro. << Uccidetelo >> .
<< Ma è quello che stiamo cercando di fare >> ribadì l’altro. << Ma quel ragazzo sembra inaffera… >>
<< Non importa >> lo interruppe lo scienziato. La sua voce era inflessibilmente gelata, e fece indiscutibilmente intendere al suo interlocutore di non accettare alcuna interruzione o contestazione. << Trovatelo a qualunque costo, non lasciatelo scappare, il fallimento non sarà consentito. E' soltanto un bambino... Per quanto pericoloso sia ricordatevi che si tratta solo di un bambino >> . Adesso il suo tono voleva ostentare anche rassicurazione e comprensione, probabilmente con l'unico scopo di rimarcare l'assoluta proibizione di un fallimento.
<< Chiunque si trovi nella torre senza il nostro consenso è da considerarsi un nemico, chiunque. E il nemico va soppresso. Per questo... Non è di alcuna importanza se si tratta di un uomo, una donna o un moccioso... Uccidetelo >> .
 
 
 
 
     << … e così ora sono alla ricerca delle Sfere del Drago >> esclamò orgogliosamente Goku << e sono sicuro che le troverò tutte! >>
Susan rispose alle sue parole con un dolcissimo sorriso. << Il drago Shenron… Non pensavo esistesse una creatura simile >> .
<< Devono essere molto simpatici i tuoi amici, Crilin e Bulma >> commentò, e poi alzò lo sguardo, ripensando agli straordinari poteri propri, a detta del ragazzino, del drago Shenron.
“Realizzare tutti i desideri… Sarebbe bellissimo, vedere avverate tutte le tue speranze…”
Sospirò, e forzando un altro sorriso arruffò i capelli del ragazzino. << Sai Goku… Sono felice di averti conosciuto, sei un bravo ragazzo. E poi, da come ho capito ci tieni molto ai tuoi amici, eh? >>
Il ragazzino indugiò, rimanendo piacevolmente sorpreso da quel gesto. << Certo! Del resto loro… Sono tutto quello che ho >> .
Gli occhi della donna parvero brillare di mossa comprensione. << E allora continua a lottare per il loro bene, perché sono le persone che ti rendono felice >> .
Prese una pausa. << Ed è ciò che farò io adesso >> .
Per un attimo il bambino assunse un’aria imbronciata. << Perché, che intendi? >>
<< È complicato >> rispose Susan in tono sommesso. << Però, in questo momento è necessario che io torni a casa >> . Sussultò, e fissò il ragazzino negli occhi con uno sguardo così rassicurante che Goku parve dimenticarsi del perché fosse in quella torre. << Qualche volta vieni a trovarmi a casa, che ne dici? >>
 
     Gli attimi che seguirono sembrarono interminabili. I due si fissarono a lungo, ognuno pensando a quanto casuale ma lieto fosse stato il loro incontro.
Goku stava per esprimerle tutta la sua gratitudine, ma incontrando gli occhi della donna si accorse che il suo sguardo non era più puntato su di lui, ma guardava oltre, era distante... E soprattutto terrorizzato.
<< Susan? >> mormorò il ragazzo voltandosi di lato, e ciò che vide gli fece capire il motivo di un tale comportamento.
     Alla loro sinistra era schierato un muro di soldati così fitto da non permettere alla visuale di continuare oltre. I soldati, compatti in un'abominevole schermaglia, avevano tutti un fucile puntato contro loro due, e come se non bastasse la cosa si rifletteva anche sul lato destro del corridoio, alla stessa maniera di un oggetto riprodotto in due forme identiche fra esse dal riflesso di uno specchio.
Avevano tutti espressioni decise da cui trasudava tutta la loro forza, la loro onnipotenza in quel momento e la loro irrefrenabile voglia di fare fuoco.
Goku e Susan si alzarono di scatto. << Siamo circondati... >> commentò la donna ad alta voce. "E non abbiamo vie di fuga... Cosa facciamo?"
<< Mph. Non ci fermerete babbei >> fu il commento del ragazzo.
Susan lo osservò analiticamente. "E' arrivato fin qui, e se sono arrivati tutti questi soldati vuol dire che ha già causato parecchi problemi. E' un tipo strano... Ma rimane pur sempre un ragazzino. Non può fare niente contro tutti questi uomini". Serrò le labbra, scattando la testa in ogni direzione. "Siamo completamente circondati, l'unica possibilità di sopravvivere è fuggire in qualche modo... Ma non vedo come. Siamo solo una donna e un bambino, cosa possiamo fare mai?"
Ma i suoi pensieri furono interrotti dal calmo avanzare di entrambe le schiere.
<< Finalmente ti abbiamo trovato, moccioso! >> esclamò un soldato.
<< Ma cosa, ti fai aiutare da una femmina? >> commentò schifato un altro, sottolineando con particolare disprezzo il termine.
Susan respirò pesantemente. << Volete ucciderci? >> domandò all'improvviso, senza alcuna riserva e in tono volutamente chiaro.
Un uomo le puntò contro l'arma. << Ma certo! E sta sicuro che nessuno di voi uscirà vivo di qui >> .
     Immediatamente Goku fece uno scatto felino, e in un unico istante arrivò a due centimetri dall'uomo. Questo non fece in tempo nemmeno ad abbassare gli occhi che il ragazzo lo colpì con forza sotto il mento, e con un calcio sul dorso della mano fece scivolare il fucile sul pavimento. << E invece usciremo di qui tutti e due, insieme! >> strillò energicamente.
La donna sgranò gli occhi, terrorizzata. Ma stavolta era un terrore diverso: non si trattava più di paura per la propria vita, ma piuttosto per qualcosa di ben più importante: la vita di un bambino.
<< Goku!!! >> urlò lei.
<< Uccidetelo! >> fu il grido ad una sola voce dei soldati.
Il ragazzo spiccò un piccolo balzo in alto, affondando il piede destro sulla faccia di un uomo, praticò una capriola e con l’altro piede e ne colpì un altro. << Susan, a terra! >>
La donna con uno strillo si gettò a terra, appena in tempo per sentire il violento vibrare dell’aria strisciare sui suoi lunghi capelli.
Alzò gli occhi, e rimase a bocca aperta quando nella mischia di uomini riuscì a scorgere quello più pericoloso.
     Goku si dimenava in ogni direzione, sferrando colpi con una facilità aberrante. Sembrava danzare, e pareva che mostrasse il suo virtuosismo con piroette, salti, volteggi e ogni genere di acrobazia. La donna lo seguiva con gli occhi, ma il secondo dopo lo vedeva sparire: si abbassava, si stendeva a terra, per poi colpire con maggior carica. Il ragazzo muoveva ogni suo muscolo con un’armoniosa coordinazione, forse anche spaventosa.
<< Susan, scappa! >> ordinò.
Un soldato schivò un suo calcio, approfittando di questo attimo di distrazione. << Non ce la farai mai a sconfiggerci da solo! >>
La donna vene rapita da attimi di spaesamento. Non era possibile che un bambino facesse cose del genere. Era incredibile… Tuttavia non sarebbe bastato.
“Sono troppi, anche per uno come lui…” si rese conto. E lei, da donna, non poteva permettere che un bambino corresse un tale rischio.
     Stava rapidamente cercando di pianificare un piano quanto più sicuro possibile, quando le sue macchinazioni vennero interrotte da un tonfo. Sussultò, e voltandosi di lato vide una pistola stesa sul pavimento distante meno di un metro da lei.
Con gli occhi tornò ansiosamente a guardare il bambino, e fu allora che capì. Goku stava furiosamente combattendo contro quegli uomini con un'agilità tale da non lasciare loro il tempo di sparare, e contemporaneamente li stava anche disarmando: così i soldati sarebbero stati innocui e poteva attaccarli come preferiva.
"Lui..." Susan squadrò Goku. Era assurdo, paranormale, straordinario...
Ma era pur sempre un ragazzino.
<< Lui non è solo!! >> urlò all'improvviso scattando in piedi. La sua voce squillante risultò come un grido di incoraggiamento, diede nuove forze al ragazzo... Ed anche lei, poiché si convinse delle sue stesse parole.
"E' il mio dovere di donna proteggerti" pensò, e subito scattò i muscoli delle braccia. Fece scivolare l'arma in avanti puntandola decisa contro un uomo.
<< Starai scherzando donnacc... >> iniziò quello strafottente, ma l'orgogliosa signora lo stupì.
Susan sparò, e l'istante successivo l'uomo si ritrovò con il sangue schizzante dal polso.
Il bambino ridacchiò, indirizzandole un occhiolino. << Grande! >>
Con uno scatto indietro del capo la donna si scostò i capelli dal volto. "Fortuna che da ragazza ho fatto quel corso di tiro difensivo!"
 
 
     Accadde pochi istanti dopo...
 
<< Goku! >> incitò la donna.
<< Susan! >> fu il grido di risposta del ragazzino.
Furono così scaltri da rispettare meticolosamente il loro silenzioso ma comune accordo. Goku si piegò di lato, e la donna colse l’occasione: cominciò a volteggiare su se stessa, sparando raffiche di proiettili con l’arma.
 “E’ potente” si disse la donna scrutando lei stessa con incertezza la pistola. “Che calibro… Che razza di armi hanno? Comunque... Finirà presto”. Annuì, continuando a puntare sugli arti degli uomini la furia che solitamente non le era propria.
<< Ora! >> gridò il ragazzo.
La donna sparò un ultimo colpo, centrando il ginocchio di un soldato. “E’ scarica!” Nello stesso istante le gambe cedettero, e si appiattì il più possibile al pavimento.
Goku sorrise entusiasta. << Ahh!!! >> Gettò fuori dal suo corpo tutta l’adrenalina che aveva tenuto assopita, e la slanciò sotto forma di ki: infinite, innumerevoli, vorticose sfere di energia pura che brillavano di un’intensissima luce sfrecciarono nell’aria come saette, con eguale rapidità e aggressività.
<< Cosa… >> sussurrò Susan, e sotto i suoi occhi increduli un’intera schiera di uomini armati venne sbaragliata con estrema facilità.
Il ragazzino ghignò: era eccitato dalla situazione, come se per lui la cosa fosse un divertimento. La donna non poté che assecondare il suo sorriso, e immediatamente capì. << Ora ho capito… >>
Si rizzò debolmente in piedi. Quasi tutti i nemici erano stati sconfitti, ma c’era anche chi era rimasto in piedi… Non avevano tempo da perdere. Però…
<< Ecco perché sei in grado di fare cose del genere. Certo… Avrei dovuto capirlo >> continuò Susan rasserenata. In qualche modo, l’aver compreso la situazione la faceva sentire più tranquilla.
<< Tu sei in grado di usare il ki >> esclamò, avvicinandosi a piccoli passi al ragazzino.
Goku la fissò con stupore. << Tu… sai che cos’è il ki?!? >>
 
 
     Altri pochi istanti… E tutto sarebbe cambiato. Il destino aveva deciso di imporsi su tutte le fragili vite che riuscì a incrinare…
 
Susan prese una pausa, e i suoi occhi parvero riempirsi di profonda amarezza. << Bé vedi… Avevo due amici un tempo, Edward e Hilary… Loro erano in grado di usare questo potere, esattamente come te >> . Lo fissò in volto. Il bambino spalancò gli occhi.
I loro sguardi si incrociarono, e sembrava che nessuno dei due avesse intenzione di distogliere la sua attenzione. Forse Susan non ne stava avvedendo, ma l’aver incontrato qualcuno con la capacità di usare il ki, dandole una parvenza dei suoi amici così cari, l’aveva commossa profondamente, ed ora stava fissando il ragazzo con dolcissima tenerezza.
Era un bambino così piccolo, ma così coraggioso e solare… La sua energia infondeva nel suo cuore raggi di speranza, quella speranza che credeva non avrebbe più avuto.
“Il Red Ribbon… Può essere distrutto” si disse: questa era la sua speranza.
<< Goku, io… >>
     Un proiettile le sfrecciò lungo la guancia, imprimendo il suo fischio nei nervi della donna con fredda arroganza.
<< No, ti ho mancato! >> esclamò un uomo poco più di una decina di metri distante da lei.
La donna si voltò di scatto. “Voleva colpirmi…!!”
 
     E questo fu l’errore di Susan: voltarsi. Ovvero… Dare le spalle a Goku.
<< Ehi, brutto verm… >> cominciò a imprecare Goku, ma venne bruscamente interrotto.
Improvvisamente si sentì paralizzato, come se qualcuno gli avesse conficcato una spada nel petto, tuttavia non aveva ferite, non gli era successo nulla del genere.
Già… Perché era accaduto qualcosa di terrificante.
     Un uomo, un semplice soldato, aveva afferrato la coda del bambino, l’aveva stretta in una presa inoppugnabile. Suo intento era di bloccare il ragazzino, e dovendolo afferrare aveva scelto la parte del corpo più esposta, quella che avrebbe reso il compito più facile: la coda.
Ma in maniera del tutto inaspettata il bambino si era paralizzato interamente, come se fosse piegato dal dolore causato da un colpo di forza assoluta.
 
     “Cosa…” pensò il ragazzo rendendosi conto della situazione.
<< Goku! >> urlò Susan e fece per avvicinarsi a lui, ma uno sparo mirato ai suoi piedi la immobilizzò.
<< Ferma donna! >> esclamò un soldato dietro di lei che.
Susan deglutì, fissando il ragazzo distante da lei soltanto un paio di metri. “Goku… Devo salvarlo”.
L’uomo che stringeva la coda del ragazzo sussultò: non si aspettava una reazione così fortuita. Decise dunque di non perdere l’occasione, e stritolò la coda con ancor più decisione.
“Sento… Le forze mancarmi…” pensò Goku, cominciando ad ansimare con il cuore che gli pulsava freneticamente.
 
     Nessuno poteva saperlo, non ancora… Goku l’avrebbe capito – o meglio, saputo – solo un po’ di anni dopo, da adulto.
Lui era un Sayan, e la coda era l’unico punto debole della sua razza.
 
     << Morirete entrambi >> annunciò l’uomo che stava puntando la pistola verso la donna.
<< Susan, scappa… >> riuscì a mormorare il ragazzino.
Lei, dal canto suo, cercava di mantenersi calma, ma era assolutamente impossibile in una tale situazione.
Prese un respiro tremante. Non aveva altra scelta.
     Alzò lo sguardo. << Non potete ucciderci >> esclamò in tono controllato, preciso, e improvvisamente addirittura autoritario. << Voi non sapete chi sono io >> .
<< Cosa? >> rispose l’uomo. << Come osi femmina! Guardati, ti stiamo puntando contro le nostre armi … E lo stesso vale per il moccioso. Come credi che possiate uscire vivi? >>  
L’uomo che stava stritolando la coda di Goku decise di immobilizzarlo ulteriormente, e passò l’altro braccio attorno al collo. << In più… Ci è stato ordinato. Non possiamo disobbedire! >>
 Susan sentì una goccia di sudore carezzarle fuggevolmente la guancia. << Ordinato? Ovvio, dal vostro capo… >>
<< Bé, veramente no, il capo non si scomoda per cose del genere. Anche se l’ordine viene comunque dall’alto, da uno a cui non si può dire di no >> rivelò l’efferato soldato. << Uno degli uomini più potenti del Red Ribbon… Possiamo dire un secondo capo >> .
<< Quindi non ci importa chi ti manda, se la polizia o altri >> aggiunse un altro. << Ci è stato detto di uccidere tutti i nostri nemici, per cui... Vi uccideremo e basta! >>
 
 
     Sangue, sangue ovunque, mischiato solo al nero dell’oscurità…
 
 
<< Scappa… >> ordinò in tono debole il ragazzo.
Il soldato mosse un piccolo passo in avanti, e attorcigliò gelosamente le dita attorno alla pistola.
<< Addio >> sibilò.
Susan indietreggiò. << N-non puoi… >>
L’uomo alle sue spalle sussultò eccitato, conferendo ancora più forza alla morsa sul bambino.
Il soldato dinanzi a lei sorrise con fierezza.
     Trascorsero attimi di silenzio. Cupo, impenetrabile, terribile, fatiscente e fragoroso silenzio.
L’ultimo che Susan poté udire.
 
     Di scatto l’uomo fece roteare l’arma e la puntò con gli occhi fuori dalle orbite contro il ragazzo. << Ma prima ucciderò te, maledetto!!! >>
L’eco della sua voce accompagnò lo sparo, e poi il proiettile sfrecciò nella sua ineludibile corsa contro il tempo.
     Le sue gambe si mossero da sole. Il movimento dei muscoli automatico. Susan si slanciò di lato, e come a voler proteggere con un abbraccio quanto più ampio e rassicurante possibile il ragazzo spalancò le braccia.
 
     L’oscurità che aveva pervaso l’animo del marito ora stava devastando anche lei. Ma era un buio diverso.
Per Gelo era malessere, rinuncia, annientamento della speranza. Per Susan era altro…
 
     Goku sgranò lentamente le palpebre. Davanti a lui la schiena di una donna, una mamma. La quale fino alla fine aveva preservato l’incorruttibile tenerezza della sua materna indole.
I soldati tutti si ammutolirono, e l’uomo parve allentare la presa sul bambino.
Susan trasse un profondo respiro. Si portò la mano sul ventre, in un punto lievemente sotto il seno. Chinò lentamente lo sguardo e divaricò le dita.
Spalancò gli occhi. Delle lacrime le inumidirono gli occhi.
 
     Oscurità e male… Avevano appena iniziato a compiere la tragedia che si erano prefissati.
 
Il soldato davanti a lei ritrasse l’arma. << Mph… Te l’avevo detto >> .
Goku tremò. Le labbra si scossero convulse, le gambe si agitavano implacate.
     Le lacrime resero pesanti le palpebre, o forse era altro che creava una tale sensazione... Fragili e delicate si socchiudevano, e Susan poteva sentire il suo corpo indebolirsi e venire trascinato verso il basso.
Riusciva ancora ad udire la voce di Goku chiamarla per nome, mentre si faceva sempre più distante... Inesorabilmente distante.
Era arrivata la sua fine.
 




 
 
 
 





*saluta
Salve :) Dunque spero che il capitolo vi sia piaciuto. No, è che era abastanza intrecciato, quindi è stato complesso da scrivere, e tutto era per arrivare a questo finale..

Devo assolutamente ringraziare chi mi recensisce, perchè - credo che lo dirò ogni volta ma la verità è verità - è bellissimo leggere cosa ne pensate della storia, è utile e gratificante, e per questo vi ringrazio davvero tanto :) :) :3

Bene, allora tanti saluti, e alla prossima volta!!
Ps: una cosa difficilissima del capitolo è stato il titolo. Non sapevo  come chiamarlo.. Ma poi ho optato per la scelta definita xD

Ciao ciao, baci :D :D ;) ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Susan e Gelo, ultimo atto ***


La zappa picchiò la terra, sostenuta da due piccole mani colme di graffi. Il bambino rizzò la schiena, asciugandosi con la canotta il sudore che colava dalla fronte. Dietro di lui solo una piccola abitazione in legno, da cui provenivano i soliti schiamazzi. Il bambino calò lo sguardo: ormai era abituato.
L'implacabilità delle urla di un uomo, e le disperate parole di supplica di una donna.
     Tutto divenne improvvisamente scuro... Erano passati soltanto pochi minuti, e l'uomo si trovava ora riverso sul pavimento, e dalla profonda ferita inflitta sulla schiena grondava sangue. Tanto, senza sosta, e spavaldo si insinuava tra i vecchi tronchi di legno sotto gli sguardi dei presenti. La donna, seduta in un angolo con le lacrime agli occhi. Il bambino ritto in piedi, con un pugnale insanguinato.
 
       Ma l'oscurità era avida, e voleva spegnere qualunque piccola fiamma di luce, ovunque e per sempre.
 
Adesso la donna pareva dormisse, adagiata in comodo letto d'ospedale, e il bambino le regalò un ultimo bacio sulla fronte, donandole anche tutte le sue lacrime.
 
       Quando finalmente arrivò anche per l'oscurità più tetra il momento di arrendersi...
Degli uomini avanzavano fieri per la città, orgogliosi delle proprie divise militari.
       ... lasciando il testimone all'unica cosa che poteva sostituirla: la luce più calda.
 
Il ragazzino era inginocchiato nell'angolo della strada, costretto ad interrompere il suo fortunato pasto a base di mele rubate dall'apparizione di quegli uomini minacciosi.
Essi si guardarono negli occhi, facendo strani cenni al bambino. Infine ridacchiarono. Gli si avvicinarono con estrema pacatezza.
Il ragazzo fissò ammaliato l'icona presente sulle loro divise, comune a tutti e tre: un'immagine stilizzata di un fiocco rosso.
 
     Il bambino chiuse gli occhi, estasiato.
 
     Gli riaprì. Davanti a lui una graziosissima ragazza di diciannove anni, sua coetanea nonché compagna di corso all'università più prestigiosa di Orange Town.
<< Io sono Gelo, piacere di conoscerti! >> esclamò il ragazzo tentando di soffocare l'imbarazzo.
Lei esitò, ma poi sul suo volto parve dipingersi un delicatissimo e soffice sorriso. << Piacere >> rispose allegramente. << Il mio nome è Susan! >>
 
 
     Mai essere umano aveva provato una tale commozione nell'adempiere ai doveri imposti dalla propria professione.
Mai essere umano poteva provare una maggiore riconoscenza verso i propri benefattori.
Questo ciò che pensava, e di questo ne era saldamente convinto.
 
     L'intensa luce aveva gelosamente abbracciato ogni angolo del suo insignificante corpo, donandogli vigore e forza. Luce che era divenuta col tempo energia, voglia di donare altra luce... Semplicemente come altri avevano fatto per lui.
Per questo motivo altro non sognava che, come lui aveva avuto l'estrema fortuna di afferrare la vera e quasi inafferrabile felicità, anche altri provassero le medesime sensazioni...
     Luce che risplendeva magnificamente in due corpi, o meglio... In due anime. Le anime a cui teneva più di qualunque altra presente sul pianeta.
E queste anime avevano precisi nomi: una era Susan, sua moglie... E l'altra era Kimley, suo figlio.
 
 
 
     "Sono pronto a qualsiasi sacrificio, sono pronto a dannare la mia stessa anima se questo significa salvare le loro". Gelo Jefferson era ritto in piedi, e rivolgeva il suo sguardo alla triste strada che correva nei pressi del'ospedale, bagnata dalle interminabili lacrime del cielo.
"E la parte peggiore... E' che loro non lo capiscono..."
Il Red Ribbon rischiava di essere distrutto, e tutto per colpa di uno squallido ragazzino.
Jason e Jodie tuttavia sarebbero presto diventati cyborg, esseri perfetti...
Una lacrima scese silenziosa sulla sua guancia. Lo scienziato alzò lo sguardo.
Adesso, le lacrime abbandonate dal cielo poteva sentirle anche sulla sua pelle.
 
 

Capitolo 29: Susan e Gelo, ultimo atto

 
Sgranò gli occhi. Si accorse di tremare. Era appena accaduto qualcosa di orribile, questo anche un ragazzino come lui lo poteva capire, ma non aveva ancora capito l'entità del danno. Non voleva capirla.
Susan cadde all'indietro e Goku fece appena in tempo a sorreggerla, inginocchiandosi per terra e poggiando delicatamente il capo della donna sul suo petto. In questo frangente la mano di Susan scivolò debolmente sul pavimento, e Goku dovette trattenere un urlo.  Dal fianco della donna, da un punto appena sotto il seno, stava irrefrenabilmente colando del sangue vivo, calmo e sovrabbondante.
Una lacrima si affacciò nell'occhio del ragazzo, ma non osò uscire fuori, poiché avrebbe significato la conferma della situazione. 
Susan schiuse le deboli labbra. << Stai... Stai bene, Goku? >>
<< Io... >> Il ragazzo prese un respiro profondo, e il corpo quasi si stava paralizzando. Era troppo spaventato per un movimento complesso come il tremare. << Non devi pensare a me! Tu sei stata colpita, dobbiamo andare via, ti serve un medico...! >>
La donna abbozzò un sorriso. Nonostante la situazione e il dolore lancinante, il suo sorriso era sincero. << A quanto pare non ti sei fatto niente... Grazie al cielo... >> 
Il ragazzo serrò i pugni, e le lacrime fino ad allora trattenute poterono sgorgare liberamente. Fissò i soldati con occhi carichi di odio. << Cosa avete fatto, maledetti??! >> 
Un militare si fece avanti. Finalmente ci erano riusciti, adesso i nemici erano di fatto quasi abbattuti, ne rimaneva soltanto uno. E per quanto donna era pur sempre un'adulta, e quindi ritenuta più pericolosa di un bambino. Ora tutto sarebbe stato più facile.
Ghignò eccitato. << Ora tocca a te, moccioso! >>
Goku ansimò, chinando il capo. Il suo istinto gli consigliava ardentemente di scattare su quel lurido verme e farlo tacere, ma i suoi pensieri vennero interrotti da un colpo di tosse della donna.
<< Goku, ascolta... >> iniziò. La sua voce si faceva sempre più debole, ma con gli occhi cercò insistentemente quelli del ragazzo, il quale ricambiò lo sguardo. << Devi scappare, ora... >>
<< E lasciarti qui? >> la interruppe bruscamente. << Che dici, non lo farò mai! Forza, ti aiuto ad alzarti, e ce ne andremo via di qui, insieme... >>
Si bloccò, e rimase a contemplare il volto di Susan, così vicina a lui ma così testarda...
Fissò i lineamenti della donna per istanti interminabili. Rivoli di sangue le colavano dagli angoli della bocca, e delicati filamenti di capelli quasi volevano nascondere il suo volto sofferente.
<< Perché? >> disse ad un tratto Goku, passando con gli occhi all'atroce ferita. << Perché l'hai fatto? >>
Susan tentò nuovamente di abbozzare un sorriso. Forse questo le riusciva difficile, visto il dolore, ma una cosa le riusciva ancora benissimo: far trasparire tutta la dolcezza di una donna e mamma nel momento in cui protegge un bambino, a qualunque costo. E non era l'unica che avrebbe compiuto un'azione del genere, ne era certa.  
<< Per quanto questo mondo possa parere brutto... Suppongo che qualsiasi donna l'avrebbe fatto. E' il nostro istinto naturale, sai? >> E malgrado il viso sporco di sangue e la voce tremante, le riuscì un bellissimo sorriso. << Proteggere uno splendido bambino! >> .
Goku rizzò la schiena, quasi ritraendosi. << Come puoi dire una cosa del genere?! >> urlò in preda ai singhiozzi. << Tu sei una donna e io un bambino! Come puoi sacrificare la tua vita per un motivo... Un motivo... >>
Susan serrò per un unico istante le palpebre, assaporando il tocco delle lacrime di Goku che le ricadevano sulla guancia. Prese una piccola pausa. << Mi ricordi tanto... mio figlio... >>
Il ragazzo spalancò gli occhi.
<< Con un cuore molto grande... Ma forse anche ingenuo... >> Socchiuse le palpebre per guardare con la mente l'immagine del figlio, ed ora che ne stava parlando gli occhi le brillavano di una dolce e amorevole luce.
<< Però sei anche impulsivo, troppo, come... Jason >> Immediatamente, con  la mente corse a Jason e Jodie, e adesso le lacrime le sgorgavano copiose mischiandosi con quelle già precedenti del ragazzo.
<< Avevano entrambi un cuore così buono... Ma ora sono stati distrutti, sono stati soffocati completamente da quei delinquenti, ed io, ed io... Non me ne ero nemmeno accorta...! >>
Goku la scrutò dubbioso, non riuscendo a capire di cosa stesse parlando.
Susan si portò il braccio sugli occhi asciugandosi delle lacrime, ma questo servì solo a creare lo spazio per quelle nuove. << E non avevo capito neanche chi fosse realmente mio marito... Ho fallito sia come moglie, sia come madre... Sono un fallimento... >> Alzò lentamente lo sguardo, e fissò il ragazzo. << Ma pare che adesso io sia riuscita a fare qualcosa di utile, a salvare una preziosissima vita, di gran lunga più importante della mia >> .
Il ragazzino la prese per le spalle, mantenendola con forza. << Che stai dicendo Susan?! Io ti conosco appena ma tu... Tu non sei affatto un fallimento! >> Scosse la testa più volte. << Hai un figlio no? Allora lotta, continua a lottare per lui! >>
Gli occhi della donna calarono in uno stato di triste penombra. "Ormai è inutile, Goku..."
     Vennero improvvisamente interrotti dall'urlo di un uomo: era il soldato che prima si era avvicinato loro. << Avete finito o no voi? >> Sbatté il piede per terra. << Tanto adesso morirete entrambi! >>
Susan si girò a guardarlo. << Goku, adesso scappa... Non mi uccideranno, tranquillo, ma tu ora devi andare... >>
Il ragazzo sussultò. << Che stai dicendo, perché non dovrebbero... >>
<< Ascolta >> esclamò inaspettatamente la donna. Chinò lievemente il capo, e fissò il soldato che le era dinnanzi. << Voglio parlare con mio marito, chiamatelo >> .
L'uomo ridacchiò. << Cos'è donnaccia, non sai come evitare la morte e ti inventi frottole? Tranquilla, tu e il moccioso morirete assie... >>
     << Gelo >> scandì interrompendolo Susan. << Gelo Jefferson >> .
 
Goku non stava esattamente comprendendo ciò che accadeva, ma in qualche modo dovette constatare che la sua amica non era altro che la moglie di un membro del Red Ribbon. Ma soprattutto notò che nessuno dei presenti ne era al corrente, perché tra di essi dilagò una certa agitazione. Forse paura, forse stupore. Probabilmente terrore.
<< Sei... Sei la moglie del dottor Gelo? >> esclamò un soldato.
<< No, non è possibile! >> sperò un altro.
<< Se fosse vero saremmo tutti morti! >> fu un altro commento.
<< Donna, è la verità? >> le chiese il soldato che fino a poco prima voleva soltanto farla fuori.
Susan sospirò sconfitta. << Chiamatelo se non ci credete, e ditegli che sua moglie Susan vuole vederlo immediatamente >> .
<< Cosa... >> mormorò Goku, spalancando gli occhi. << Cosa sta succedendo? >>
La donna prese un respiro debole. << E' così, piccolo. Sono la moglie di un membro del Red Ribbon, e immagino di uno molto importante. Anche se fino a poco fa... non lo sapevo... >>
Gemette, tremando per il soffocante dolore. << Ho dovuto ricorrere a un mezzo del genere... E la loro reazione mi conferma che sono effettivamente la moglie di uno del Red Ribbon... Gelo, perché...? >>
 
 
 
     Il dottor Gelo congiunse le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sull'inestricabile intreccio di dita. Non riusciva per un solo attimo a smettere di pensare al suo Red Ribbon.
L'esercito era stato attaccato, era minacciato... E solo da un ragazzino. Nessun moccioso al mondo è così stupido da intrufolarsi nella sede di un esercito militare e fare baldoria poiché sospinto da semplici ideali di giustizia. Ci doveva essere dell'altro.
Si poteva supporre che il ragazzo fosse stato inviato da qualcuno, o che nascondesse qualcosa per poter essere così forte. Una cosa però era indubitabile: il moccioso era pericoloso. Non doveva essere un bambino qualsiasi, altrimenti non sarebbe riuscito nemmeno ad entrare nella Muscle Tower... Per quanto assurda potesse parere l'idea, il moccioso significava una minaccia.
"E finché non lo saprò morto non riuscirò a tranquillizzarmi..."
L'uomo sospirò. "Bé, che aspettate? Perché nessuno mi sta chiamando, nessuno che mi dia buone notizie... Era un ordine così semplice, ammazzare un bambino...! Perché non si sbrigano?"
     Si stava agitando parecchio, il cuore gli pulsava con un ritmo insostenibile, il suo respiro stava diventando affannoso, sudava freddo, segno di disperata confusione mentale...
O piuttosto, disperazione confusamente mischiata con la sua ragione. Le dita gli tremarono avulse: aveva cominciato lui a picchiettare col dito sulla gamba, ma poi il movimento era diventato automatico, un tic frenetico...
Stava lentamente ma inesorabilmente smarrendo gli ultimi brandelli di lucidità, di viva coscienza... Li vedeva impotente allontanarsi dalla visuale della sua mente, la sua forza di volontà era ora inebriata, precipitata in uno stato di Caos, il tutto e il nulla da cui niente fa più ritorno...
 
     Ormai, era arrivata l'ora. Era stata segnata, e semmai esiste un destino che regola la vita degli uomini esso l'aveva scelta con una cura perfezionistica.
L'iPhone del dottor Gelo squillò e vibrò insieme. Lo scienziato spalancò gli occhi.
Il cuore parve smettere di battere, e il sangue, i nervi, i muscoli e l'intero corpo reagirono d'istinto immobilizzandosi d'un tratto.
Prese un lento e profondo respiro. Con le dita cercò il telefono nella tasca dei suoi jeans.
Ne era consapevole, ciò che avrebbe udito poteva significare l'annuncio del trionfo ma anche della loro disfatta. Se non fosse accaduto nulla di rilevante non l'avrebbero di certo telefonato.
<< Qui è il dottor Gelo che parla... >> disse appena avviò la chiamata.
 
     Aveva previsto gli unici due esiti possibili di quella telefonata, uno positivo ed uno negativo, e in entrambi i casi si trattava di due estremi. Ma talvolta l'impossibile supera il probabile, e qualunque tentativo di previsione umana è costretto a rivelarsi fallace... Come il dottor Gelo imparò a sue spese da quella assurda, atroce e maledetta telefonata.
 
 
 
 
     I ragazzi si fermarono. Roy lanciò prima un'occhiata ai tre ragazzini, poi alzò lo sguardo e ammirò l'imponente costruzione a nord della piazza. << Bene, ci siamo... >>
John sbatté i pugni e gonfiò il petto. << E questo è solo l'inizio! >>
<< Sì sì, poche ciance. Sbrighiamoci >> ordinò il capo.
La Central Bank era di fronte a loro, dall'altro lato della piazza, e ad intramezzarsi tra i ragazzi e la meta un vastissimo piazzale. Jodie si guardò intorno, rimanendo colpita per l'ennesima volta da quanto grande fosse il perimetro della piazza, e poi con gli occhi seguì la marmorea rampa di scale che faceva da ingresso alla banca.
Si fermarono a pochi passi da un'auto apparentemente innocua. Appoggiato sul cofano, vi trovarono un ragazzo con spettinati capelli neri come la pece. << Il furgone è appena arrivato, possiamo andare >> .
Al suo fianco apparve anche Deborah, costretta a tenere legati i fiammeggianti capelli rossi. << Finalmente siete arrivati, io e Mike non ce la facevamo più ad aspettarvi... >> Andò ansiosamente a carezzare il volto di Roy. << E' bello vederti >> .
<< Anche per me... >> finse questi e approfittò della delicatezza del momento per scansarla, pur continuando a fissarla negli occhi. << Ora. Voi due rimarrete qui, tu a controllare la situazione all'esterno, mentre Mike >> e impresse perentoriamente il suo sguardo in quello del ragazzo << rimarrà in macchina, pronto a partire quando avremo finito >> .
Si voltò, rivolgendo la sua attenzione agli altri tre. << Non è difficile, dovete solo tenere a bada gli insetti che troveremo dentro, mentre io mi farò condurre nel cuore del gioiello. Certo, potevo affidare tranquillamente questo compito a uno di voi, ma per essere più prudenti sarà meglio che me ne occupi io. Tutto chiaro? >>
<< Certo! >> esclamò con feroce entusiasmo John.
Roy assunse un'aria dubbiosa. Si avvicinò lentamente a Jason afferrandogli il mento, distribuendo il suo sguardo ora su di lui, ora sulla sorella. << Non è da voi due essere così silenziosi, specialmente per te. Cosa c'è, hai paura moccioso? >>
Il corvino si riscosse, serrando i pugni e incrociando i suoi occhi con sguardo assassino. << Ti paio uno che ha paura? >>
 << Mph... >> Roy si fece indietro, lasciando la presa. Sospirò. "E' solo un bleff, è ovvio che hai paura. Tanto so già che mi toccherà fare tutto da solo". Guardò con aspro disprezzo dapprima Mike e Deborah, poi passò anche a John e ai gemelli. "Rimani in macchina, rimani fuori a controllare... La verità è che non sapevo come usarvi, e mi sarete più comodi in questa maniera. In realtà sei persone per una rapina potrebbero essere troppi, ma va bene così, e quando sarà necessario io potrò fuggire a piedi e lasciare a loro la macchina..."
Si morse il labbro, reprimendo il disgusto che provava per quegli stolti. "Una ragazza buona a nulla e quattro ragazzini! Non si è mai vista una simile rapina... Ma al dottore servivano urgentemente i soldi, presto deve operare i mocciosi..."
Scacciò via tutti i suoi pensieri, e avanzò fieramente. << Seguitemi >> .
"E' solo una rapina, smettila di fare il moccioso!" si ordinò Jason, e si alzò il passamontagna coprendosi il volto.
"Ormai... E' inutile avere dei ripensamenti" pensò rassegnandosi Jodie, e avanzò con il volto ben coperto dal passamontagna.
"Farò vedere a tutti chi sono" si disse John, e imitò gli altri.
 

 
17 Dicembre. Central Bank


Era una giornata tranquilla, come tutte le altre del resto. L'unico dettaglio che poteva costituire una deformazione della norma era stato l'arrivo del fugone portavalori, ma ciò non suscitava più di tanto gli animi di coloro che si trovavano lì per lavorare. Era solo l'arrivo di una gran massa di denari, ma le loro attività non mutavano, la loro vita era sempre uguale, e continuavano a svolgere il loro lavoro con la solita noncuranza.
Ma tutto ciò durò ancora per poco, perché presto accadde qualcosa di cui nessuno aveva la forza e la voglia di immaginarselo.
     Quattro figure armate fecero improvvisamente irruzione nella banca.
<< Fermi tutti, questa è una rapina! >> gridò in tono possente C - 13.
Ineludibilmente seguì l'urlo diffuso e disperato di tutti i presenti.
La donna dietro il bancone alzò le braccia. << Non sparate! >>
John ghignò in preda all'eccitazione. << E' buona norma dei banchieri arrendersi subito a dei rapinatori, dopotutto le vostre vite sono più importanti dei soldi... Fate bene >> .
D'impulso Jason strinse con rinnovata rabbia la sua pistola tentando di immobilizzare il braccio che gli stava tremando.
La sorella lo fissò attonita. << Jason, stai tremando... >>
<< Sì, è vero... >> ammise il ragazzo. Prese una pausa, ma poi scattò il capo. << Perché non vedo l'ora di farli fuori tutti! >> urlò, e puntò istintivamente la pistola verso la donna al bancone.
Questa si era già ricoperta il capo con le braccia in preda al terrore, quando Roy fece appena in tempo ad afferrargli il braccio prima che premesse il grilletto. << Non peggiorare la situazione, stupido! Siamo qui per rubare, non per uccidere. Almeno per il momento... >>
Poi si voltò in direzione dell'uomo di mezza età dietro un secondo bancone. << Tu, portami dove avete tutti i vostri contanti! E voi altri non fate scherzi altrimenti... Vi faccio tutti fuori >> sibilò, minacciando con la pistola tutti coloro che quella mattina si erano ritrovati lì solo per caso.
L'uomo era di stazza grossa, anche se non molto alto, e i capelli erano accuratamente uniti alla barba di colore scuro. Questi annuì. << Va bene >> rispose in tono sommesso.
Roy ridacchiò, fissando Jason. "Dentro di sé serba un rancore e una rabbia repressa che potrebbero portarlo ad esplodere in qualunque momento. E' come una giara piena d'acqua... Basta una sola goccia per farla traboccare". Gli lasciò il braccio. << Conto su di voi. E se qualcuno prova a ribellarsi... Uccidetelo >> .
Fece cenno all'uomo, e seguendolo con la pistola fissa sul suo cranio si fece condurre verso la ricchezza.
Jodie lo vide scomparire nel lungo corridoio. Scattò le dita. "Sono alla Central Bank, la sto rapinando! Queste persone, questi miseri..."
Si guardò intorno, spalancando gli occhi notando uomini terrorizzati, donne quasi in lacrime, ma anche chi si abbandonava alle lacrime senza vergogna. E soprattutto, notò un bambino che singhiozzava abbracciato alla sua mamma.
Jodie fissò quelle lacrime, le seguì con lo sguardo, le vide nascere in quei piccoli e teneri occhi e scivolare sulla guancia della madre, premurosamente inginocchiata al suo fianco.
La bionda trattenne il respiro. Quelle lacrime...
 
Strinse i pugni. Alla mente affiorò l'immagine di una donna, bella e giovane. Al suo collo si teneva stretta una bambina. "Non piangere tesoro, c'è la mamma qui con te..." aveva mormorato la donna dai lunghi capelli neri, donandole un bacio sulla fronte. "E ci sarò per sempre..."
 
Jodie attorcigliò le dita attorno alla pistola. La stessa gente che ora era spaventata, gli stessi uomini ora spaventati da una ragazzina, e tutta la gente in quella sporca città... Li avevano compianti così tanto, li osannavano tanto per essere figli di due "eroi", e due splendidi giovani...
Gli stessi uomini che pubblicamente disprezzavano la baby gang, perché così conveniva a gente del loro calibro...
<< Mai nessuno si è preoccupato di me... >> mormorò. << NESSUNO! >>
Scattò l'arma contro un uomo, il primo verme che incontrò, e senza esitazione sparò.
L'uomo gemette, cadendo all'indietro: era stato colpito sulla spalla.
<< Luridi insetti! >> gridò con la voce rotta dalla furia.
Jason e John rimasero interdetti, ma presto questo sorrise. "Bene..."
 
     << Oh... ho sentito uno sparo? >> disse Roy, premendo la punta della pistola sul capo del banchiere. Ghignò: erano in una camera larga, dalle pareti bianche, e tutto intorno si ammiravano le porte di infinite casseforti. << Liscio come l'olio...! >>
 
 
 
     Un dolore aberrante, un male lancinante, pulsioni di fitte dappertutto, in ogni angolo del suo corpo: ecco cosa stava provando. Dopotutto era già un miracolo che riuscisse a mantenersi in piedi, non poteva lamentarsi. E soprattutto non ne aveva tempo. Aveva appena raggiunto la sua meta.
Fuoriuscì dalla traversa, e ai suoi occhi apparve l'imponente piazza in tutta la sua immensità. Alzò gli occhi. Del sangue continuava a uscirgli caldo dal naso e dalla bocca. << Sono... arrivato! >> esclamò Kim.
 
 
 
     << Bene, missione compiuta >> commentò con orgoglio C - 13, ammirando con emozione i due enormi sacchi che aveva riempito. << Ora possiamo andare. Bé, mi dispiace, non mi sono neanche divertito... >>
Improvvisamente puntò gli occhi sull'uomo dinanzi a lui. Aveva un'espressione bieca. << Sei stato bravo, sai? Se non avessi collaborato chissà quante altre persone sarebbero morte... >>
<< Altre? >> ripeté il banchiere, deglutendo. Tuttavia non fece in tempo a compiere un'azione così semplice, e la cosa gli risultò interrotta. Sentì un dolore improvviso e disumano alla tempia, o forse se l'era solo immaginato. Probabilmente era solo la sua prefigurazione di ciò che sarebbe accaduto, osservando il rapinatore davanti a sé...
L'uomo si riversò sul pavimento, lasciando al suo cadere una crescente macchia di sangue.
Roy abbassò l'arma, afferrò i suoi sacchi e silenziosamente uscì da quell'ormai inutile ambiente, abbandonando il cadavere di quell'uomo con totale indifferenza...
 
 
 
     Kim si mantenne il braccio sinistro, del tutto inutilizzabile. Sulla sua maglietta nera si potevano notare delle striature di colore rosso: era sangue riversato precedentemente lungo la sua pelle. Poteva sentirlo molto bene, il sangue presente sul suo corpo.
Sembrava che nessun centimetro di carne fosse esente da quel dolore insopportabile, e al sangue scivolato sul viso si mischiavano le lacrime, senza distinzione tra quelle piante precedentemente e quelle che continuavano timide a scendere.
Tentò di pulirsi il volto. Le gambe gli tremavano; ansimava, e dunque cercò di prendere profondi respiri. "E ora cosa faccio... Sono arrivato tardi, Jason e Jodie saranno già dentro..."
Non era riuscito a fermarli, era arrivato tardi... Almeno credeva. Non aveva però modi per ritenere vero il contrario. A quel punto c'era una sola cosa da fare.
"Entrerò nella banca, così scoprirò se sono già arrivati oppure no. E se dovessi trovarli..."
Con la schiena poggiava sul muro di una casa, all'angolo della traversa, ma era una buona postazione per osservare la banca. Si scostò dei ciuffi dagli occhi stanchi. "E' l'unica cosa che posso fare".
 
     Nascosto dietro quell'angolo Kim aveva guadagnato la possibilità di spiare in tutta tranquillità la facciata della banca. Tuttavia non era l'unico che svolgeva questo compito.
     Sul lato opposto alla Central Bank, accostata al marciapiede, era parcheggiata una macchina scura, e un ragazzo dai capelli neri era pronto al volante. Aveva solo quattordici anni ma sapeva già guidare quella vettura, e se ne stava appunto compiacendo quando voltando distrattamente il capo in ogni direzione si accorse di Kim.
Sgranò gli occhi, e accigliandosi tentò di osservare meglio nello specchietto retrovisore. "Non ci sono dubbi... E' proprio lui!"
Kim trattenne un urlo, e si piegò lievemente sul fianco. << No, non ora... >> balbettò ansimante. Spalancò gli occhi, e mentre combatteva contro il dolore per evitare che prendesse il sopravvento su di lui si mise a correre.
Mike sobbalzò. << Non avrà intenzione... >> E senza perdere tempo si precipitò fuori dalla macchina.
 
     Roy diede una pacca sulla spalla di John. << Bene, possiamo andare... >> Ma venne improvvisamente interrotto dall'agitato squillare del suo telefono. Inarcò le sopracciglia. Nonostante la situazione decise di sfilare il capo del cellulare dalla tasca della tuta, e dovette reputarsi fortunato per aver scelto di controllare.
"Gelo? Che cosa vuole?! Sa che stiamo facendo la rapina, perché mai dovrebbe..."
Strinse premurosamente la mano sulla spalla del giovane. << Rimanete qui, forse c'è ancora qualcosa da sgraffignare >> mentì. << Devo controllare una cosa >> .
I tre ragazzi rimasero lì, immobili, senza ben capire cosa stesse succedendo, ma decisero di ascoltare comunque il loro capo e continuarono a puntare le pistole ai presenti.
C - 13 si precipitò fuori.
 
 
     << Ehi tu >> gridò Mike.
Kim sgranò gli occhi: conosceva bene quella voce. Si girò di scatto, e vide il suo compagno di classe puntargli una pistola contro.
<< Com'è possibile che ti devo sopportare sempre? >> disse questi, avvicinandosi.
Kim indietreggiò, e andò a sbattere la schiena sulla parete di una cabina telefonica. "Una cabina... Posso approfittarne per..."
<< Stai fermo >> sentenziò il corvino. << Oppure preferisci finire male? >>
Lungo la guancia del ragazzo scivolò una goccia di sudore. << Mike, non puoi parlare sul serio... >>
<< Certo che posso! >> rispose questi furentemente. << Cos'è, mi vedevi come un buono a nulla?! Non sono mica un imbecille piagnucolone come te... >> Ma si bloccò. Notò solo allora le braccia e il volto di Kim pieni di lividi e strisce di sangue e il suo aspetto dolorante. << Che diamine ti è successo? >>
     << Capo, cosa c'è?!? >> disse improvvisamente una voce.
I due ragazzi sgranarono gli occhi. "Questa voce..." pensò Mike, ma Kim lo tirò dietro la cabina così che fossero ben nascosti.
<< Zitto! >> sussurrò.
C - 13 si fermò sulla rampa di scale marmoree, a non troppa distanza dall'improvvisato nascondiglio dei ragazzi.
<< Cosa c'è capo, è successo qualcosa?! >> ripeté l'androide. Rimase zitto per interminabili secondi, forse solo attimi, forse minuti...
<< Cosa sta succedendo...? >> si chiese Kim.
<< Capo...? >> balbettò terrorizzato Mike.
Dopo una sequenza interminabile di muti attimi, ossequiosamente silenziosi ma anche spaventati,  e fruscii di vento curiosi di sapere ma intimoriti al contempo, Roy schiuse le labbra. << Oh... >> sussurrò solamente. << Capisco >> .
Kim sentì una strana morsa allo stomaco. << Che cosa... >>
Mike continuava a tenere gli occhi spalancati, e seguì con lo sguardo il suo capo mentre cliccava qualcosa sul telefono, probabilmente per chiudere la telefonata, ma poi accostò nuovamente il telefono all'orecchio. Teneva il capo chino, gli occhi chiusi e labbra serrate. Per la prima volta, eccetto che per il suo creatore, stava provando rispetto nei confronti di un essere umano.
Prese un respiro. << Pronto, polizia? >> disse. << Devo avvertirvi di una cosa >> .
Mike sobbalzò. << Cosa...! Quello... quello sta spifferando tutto alla polizia! >> E di scatto fece per avventarsi contro, ma Kim fece appena in tempo a bloccarlo.
"Perché lo sta facendo?" pensò.
Il ragazzo strinse furioso il pugno: ora comprendeva perché John sparlava così tanto di quell'impiccione. << Brutto idiota, ti sei impazzito?! Roy dirà tutto...! >>
<< Ora mi rimane soltanto una cosa... >> mormorò improvvisamente C - 13, chiudendo la telefonata.
<< Ha detto tutto! >> esclamò Mike iniziando a tremare. << Roy, perché... >>
Kim trattenne il respiro. << Non si sarà accorto di noi... >>
Fortunatamente i sospetti del giovane erano esatti: l'androide provava fin troppa agitazione per potersi accorgere di loro. No, decise invece di continuare col piano che gi era stato appena ordinato.
Scattò la pistola verso la porta di vetro della banca e sparò. << Ragazzi, venite fuori, sbrigatevi! >>
"La sua voce sembra quasi... spaventata. Deve essere successo qualcosa di importante" notò in un primo momento Kim, quando poi realizzò ciò che stava realmente per accadere.
<< Quindi non è il vero capo... >> mormorò Mike ormai in preda alla furia.
     Ma ecco che accadde. Proprio lì, impegnati in una fuga disperata dalla banca. Finalmente Kim poté vederli, a poca distanza da lui.
Tre ragazzi si slanciarono al di fuori, ricoperti da una tuta nera e orribile passamontagna.
Roy scese flemmaticamente l'ultimo gradino, dando le spalle ai suoi giovani compagni. Si sfilò il passamontagna, e a Kim parve che il suo volto fosse tratteggiato da un'inappropriata espressione di divertimento. Mosse lievemente la pistola che aveva ancora in mano.
Il ragazzo sgranò gli occhi. Fu tutto un solo istante. Forse si trattava di un presentimento, ma pur non sapendosi spiegare il perché ma ebbe l'assoluta certezza di capire le vere intenzioni di Roy.
     Non era il vero capo, loro tre erano solo mocciosi in confronto a lui, i due sacchi col denaro li aveva ai suoi piedi, la polizia stava arrivando a catturarli, e l'aveva chiamata lui...
Fissò la pistola che Roy parve avvicinare lentamente al suo petto.
Era necessario attirare l'attenzione dei ragazzi, capì Kim, e nel farlo doveva convincerli a fuggire...
Prese la sua saggia decisione.
 
     Kim schizzò di lato e stabilì così di rivelarsi alla vista dei presenti. << Roy é un traditore! >> gridò con tutta la voce che aveva in corpo.
L'androide sobbalzò e scattò il volto di lato. << Cosa... Tu!? >>
"Ma che diamine fa?" esclamò in pensiero Mike, che era rimasto sbigottito dietro la cabina.
Jodie dovette trattenere un urlo, mentre Jason rimase atterrito ad osservare. Strinse con rabbia la pistola. << Che cosa ci fai tu qui...?! >>
Kim prese un respiro ansante. Alzò lo sguardo, fissando gli occhi sui ragazzi ancora coperti in volto. << Jason, Jodie... Vi ho trovati! >>
 
 
 









Cosa fa Kim...!? Ora, cosa succederà, quale sarà la reazione dei suoi fratelli?

Quindi, cercherò di non tardare il prossimo aggiornamento ^^

Dunque, mi scuso per questo ritardo, sia nel rispondere alle recensioni sia nell'aggiornare, ma in estate ho problemi di connessione T.T
Ringrazio infinite volte tutti coloro che recensiscono la storia, non so davvero come ringraziarvi.. Veramente :) :) :) :D
Se sono in grado di migliorare è soltanto merito vostro.. quindi non smetterà mai di ringraziarvi :3 :3 :3

Io vi saluto, e aggiornerò prima le prossime volte. Davvero però xD

Grazie ancora, e alla prossima!!!!  :D :D

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** “Il mio corpo si è mosso da solo” ***


 

Muscle Tower

 
Un muro di pressione. Una massa invisibile ma talmente pesante da sembrare tangibile, composta da infiniti rumori tutti mescolati assieme.
Eco come giungevano alle orecchie di Susan tutti quei suoni confusi, quelle urla di disperazione o forse di panico.
Dovette constatare però di non aver ancora perso i sensi, il che la sorprese non poco. Tentò di concentrarsi su quello che stava toccando col suo corpo, e si stupì scoprendo che il suo capo era ancora poggiato sul petto di Goku. Il ragazzino, a quanto pareva, non aveva alcuna intenzione di abbandonarla.
<< Io mi fido di mio marito... >> riuscì a dire. << Nonostante tutto, io lo amo... L'ho sempre amato, e i miei sentimenti non possono cambiare così facilmente... Anche se... >> E si interruppe.
Voleva davvero pensare quelle cose, ma la realtà era così, come lei la sperava? Del resto, tutta la sua vita poteva apparire come un'immensa bugia adesso, e quindi anche l'amore per Gelo poteva rivelarsi falso... O peggio, l'amore che il marito provava per lei...
<< Tu non puoi capire... >> riprese a dire. << Ma ora ciò che conta è che tu te ne vada... via... >>
Il ragazzino le posò una mano sulla guancia. << Vuoi così tanto... Che io me ne vada? >>
Istintivamente fece scivolare le dita sino al mento. Si stupì egli stesso del suo gesto, e si morse il labbro per evitare di piangere. Non aveva mai avuto dei genitori, e dunque era la prima volta che stava donando una carezza a una donna.
<< Tu non  puoi... Non puoi... >> disse Goku, ma non riuscì a finire la frase e pianse.
Susan bloccò la mano del ragazzo, chiudendola nella sua. << Oh Goku... Io non voglio che tu te ne vada, avrei voluto tanto aiutarti in qualche modo, e conoscerti meglio... Ma questo... >> Si fermò, e si sforzò al massimo per sorridere, con il volto inumidito da timide lacrime. << Questo è solo rimandato al futuro >> .
Per la prima volta da quando era stata colpita dal proiettile vide Goku sorridere, e non poté fare a meno di ricambiare il sorriso: quel ragazzino era bellissimo.
<< Certo! >> esclamò il ragazzo. << Quando ti sarai ripresa ti farò conoscere tutti i miei amici, il maestro Muten, Crilin, Bulma... Verrai alla Kame House, e... >>
<< Non vedo l'ora >> disse la donna. << Sarà indimenticabile! >>
Annuirono, e finalmente Goku parve calmarsi.
Susan distolse gli occhi. Si irrigidì, opprimendo un gemito. La ferita le faceva davvero male, e stava perdendo molto sangue. Sul fianco, appena sotto il seno... Era inevitabilmente fatale.
Tornò a guardare il bambino, e sorrise dolcemente. << Non vedo l'ora, Goku! >>
 
 
 

Capitolo 30: “Il mio corpo si è mosso da solo”

 

Kim poggiò i palmi delle mani sulle ginocchia, ma poi si rizzò di scatto. Rimase interminabili istanti ad oscillare. Alzò lo sguardo, fissando gli occhi sui tre ragazzi ancora coperti in volto. << Jason, Jodie, non fatevi ingannare da Roy, è solo un imbroglione >> ripeté. << Fermatevi! >>
Uno dei tre piccoli rapinatori si fece avanti, e per la rabbia non esitò a gettare a terra il suo passamontagna: era Jason. << Tu che diamine ci fai qui?! >>
     Roy era rimasto con le spalle rivolte ai suoi compagni, continuando così a non distogliere l'attenzione del nuovo arrivato. Strinse a sé la pisola che aveva in mano, ma decise di infilarsela in tasca.
Kim fu l'unico a notarlo, essendo a un paio di metri distante da lui. << Ehi tu! >> disse. << Che avevi intenzione di fare con quella pistola? >>
Roy si morse il labbro. "Moccioso impertinente..."
Il ragazzo si voltò a guardare Jason. << Ora che voi non lo stavate osservando aveva già preso la pistola... Voleva spararvi! >>
<< Ora basta! >> gridò furente Jodie, e imitò il fratello gettando a terra il passamontagna. << Tu non dovresti essere qui! >>
Kim esitò. << E voi invece fate bene ad essere qui, a rapinare la banca...!? >>
Jason gli si avvicinò. << Come osi... >>
Stavolta fu John a interromperlo. << Capisco come tu ti senta Jason, ma non abbiamo tempo da perdere. Andiamo prima che qualcuno chiami la polizia >> .
Kim prese un respiro, e sputò del sangue misto a saliva. << L'ha già chiamata Roy >> dichiarò gravemente.
     Tutti sgranarono gli occhi. << Cosa... >> sussurrò con un filo di voce Jodie.
John trattenne il fiato. << Come ti permetti... >>
Il ragazzo sussultò, e si rese conto che nonostante fosse l'assoluta verità nessuno l'avrebbe creduto. Ansimando puntò gli occhi su Jason, come a volersi aggrappare all'ultima disperata speranza. << E' la verità, fratellone... >>
<< NON CHIAMARMI COSI'! >> lo interruppe il corvino. Serrò i pugni, e affrettò il passo verso il ragazzo. << Tu, brutto maledetto... >>
<< Jason... >> mormorò Kim, opprimendo in un mormorio il suo angosciante stato d’animo.
Il corvino alzò il pugno all'altezza della spalla. << Ti sei sempre impicciato negli affari miei, non hai mai fatto altro che rompermi le scatole tutti i giorni... E ora... >>
Si fermò davanti a lui. << ... ora ti ritrovo anche qui!!! >>
<< Jason! >> urlò Jodie, ma era troppi tardi. Il fratello colpì Kim con un pugno in pieno volto che lo fece cadere di schiena per terra.
 
     "E' il momento, nessuno se ne accorgerà!" si disse con grand'ansia Roy. Aprì il palmo della mano e lo puntò a terra; qui si formò una piccola sfera di energia, e puntò le dita in direzione della cabina telefonica. La sfera di ki seguì la direzione indicata, strisciando velocemente sull'asfalto.
Roy si sporse per scrutare il suo compagno Mike. "Probabilmente è rimasto nascosto lì dietro aspettando il momento giusto per uscire allo scoperto... Peccato che io non lo voglia tra i piedi!"
Mike strinse i pugni. "E' il momento di intervenire, o altrimenti nessuno crederà a quel..." Ma si bloccò. All'improvviso una piccola sfera luminosa saettò dal terreno e si gettò sul suo ventre. Il ragazzo sgranò gli occhi. << Ma che diamine... >> sussurrò, ma la sua voce risultò così debole che nessuno fu in grado di sentirlo. Non sapeva come, ma quella cosa lucente aveva avuto un'inaudita forza. Crollò a terra, privo di sensi.
C - 13 ridacchiò. "Fuori uno!"
 
     Kim fece per rialzarsi, e giacché gli tremavano le gambe e da solo non ce l'avrebbe mai fatta fu addirittura felice di constatare che fu qualcuno a rimetterlo in piedi.
Tuttavia non poté fare a meno di spaventarsi quando trovò il volto di Jason a distanza di pochi centimetri dal suo. << E-ehi, aspetta... >> provò a dire, ma il corvino lo colpì nuovamente, questa volta sulla guancia. Strinse a sé il colletto della maglietta. << Sta’ zitto, brutto idiota! >>
Jodie incrociò le braccia, e la sua voce risultò parecchio scocciata. << Jason, non abbiamo tempo da perdere >> .
John mosse un passo in avanti, ma accorto nel non lasciare indietro la ragazza. << Kimley, che speri di ottenere dicendo che il nostro capo sarebbe un imbroglione? >>
C - 13 scrollò le spalle. << Vi prego ragazzi, mi pare ovvio... Vuole screditarmi. Quindi non stiamo qua a perdere tempo... >>
Kim si fece debolmente forza e rialzò il capo. Diede rapidamente un'occhiata prima a Jason e poi a Jodie. "E' questa... la considerazione che avete di me…?"
Si girò lievemente a fissare Roy. << Qual è il tuo obiettivo... Perché hai chiamato la polizia? >>
L'androide incontrò molta difficoltà nel trattenere una vivace risata, e sul suo volto fece abilmente trasparire solo un sorrisetto divertito. "Pare che nell'attesa io mi possa divertire..."
Anche Deborah si fece avanti. << Ragazzi, cosa sta succedendo? >> chiese in tono  enfaticamente ansioso.
<< Rispondi! >> gridò John in un tono talmente acceso ed inaspettato che Jodie sobbalzò. << Come osi dire che Roy ci sta tradendo...?!! >>
     << ORA BASTA! >> tuonò improvvisamente Jason. Tutti vennero zittiti all'istante, e la sorella lo scrutò con amarezza. Il ragazzo serrò il pugno. << Chiudete quelle fogne, tutti! >> Tirò a sé il fratello. << Tu... Che diamine ci fai qui, come sapevi della rapina? >>
Kim deglutì. Avrebbe tanto voluto dirgli di calmarsi, ma avrebbe soltanto peggiorato le cose. Jason si sarebbe tranquillizzato ascoltando la verità, tutta la verità. Bé, questa almeno era la speranza.
<< E' stato ieri sera >> confessò il ragazzo. << Ricordi quando tu e Jodie siete usciti di casa, e arrivati a un incrocio siete scappati? Probabilmente vi sarete accorti che qualcuno vi stava seguendo ma non sapevate chi, altrimenti... Mi avreste fermato >> .
Jason parve impallidire. << Quindi... eri tu?! >>
Kim annuì. << Esatto. Vi ho seguiti fino al vostro covo e ho sentito tutto... Ed è stato così che ho saputo che avevate intenzione di rapinare la Central >> . Prese una pausa. << Avevo paura che mi scopriste, perché sapevo che quella era la mia unica occasione per capire qualcosa. Jason, io... so che odiate essere spiati o controllati, ma proprio questo è stato il mio errore in tutti questi anni… E troppo tardi ho capito che dovevo affrontare le mie paure se volevo ottenere qualcosa >> .
Il corvino iniziò a sentire un piccolo focolare di panico crescere dentro di sé, e fu solo allora che lo notò.
     Kim si strofinò il braccio sul labbro, e improvvisamente sul suo corpo apparvero diversi lividi e macchie di sangue che prima sembrava non ci fossero. Le braccia manifestavano chiaramente che del sangue era colato a fiumi dalla sua faccia, ma anche che erano state pesantemente pestate, come probabilmente il resto del corpo nascosto sotto la maglietta. Solo allora comparvero un occhio nero - quello destro - e le gote tumefatte.
Si domandò che cosa gli fosse capitato, ma decise di ignorare la cosa e permise volentieri alla rabbia di crescere dentro di lui. << Il tuo errore, le tue parole... Ma che stai blaterando? >>
Jodie si fece avanti. << Kimley, chi altro sa della rapina? Immagino... >> Si schiarì la voce, disprezzando il suo stesso imbarazzo. << ...Tutti? >>
Il giovane la fissò negli occhi. << Sì, l'ho detto a tutti >> .
<< Quindi... >> iniziò Jason, spaventosamente scosso da guizzanti tremiti. Non finì la frase, non ci riuscì. Non voleva crederci. Quindi quella mattina, quando tutti avevano fatto loro gli auguri di buon compleanno, quelle strane espressioni che entrambi avevano notato ma che avevano deciso di ignorare...
Quanta ipocrisia c'era stata in quella casa...!
<< Perché non avete detto niente >> disse in un improvviso mormorio. Chinò lo sguardo per terra.
Kim spalancò lentamente le palpebre.
     Già, che enorme sbaglio... Magari se avessero parlato subito tutto quello non sarebbe accaduto, avrebbero potuto risolvere tutto... Ma soprattutto, ciò che gli fece perdere qualunque certezza era stato l'atteggiamento di Jason. La sua improvvisa domanda, inaspettata quanto temuta...
E formulata con il tono di chi più che una domanda vuole fare un'esclamazione...
     << Jason, noi... >>
<< Voi non avete fatto niente! >> ringhiò il corvino. << Voi, voi... >>
Gradualmente lasciò la presa sul colletto di Kim. In mente sfilarono le immagini di ogni membro di quella famiglia. Kim. Alphonse. Susan. Gelo. Tutti loro...
<< Non avete mai fatto niente, niente! >> Tentò di prendere un respiro, ma non fece in tempo. La rabbia prese il sopravvento su di lui, ed elevandosi a comandante della mente penetrò in ogni singola cellula del suo corpo. Jason sentì il sangue ribollire nelle vene, il cuore accelerare le pulsazioni, la sua stessa voce aumentare bruscamente di tono.
<< Quindi ci avete tutti presi in giro stamattina! Voi... >> Serrò il pugno. << Quanto siete schifosi?! >>
Kim abbassò gli occhi amareggiati, ma poi li ripuntò sul fratello. << Noi avevamo intenzione di parlarvi subito! >> ribatté. << Ma poi c'era la rapina, e ve ne siete andati... Se non fosse stato per questo vi avremmo detto tutto appena se n'è andato Alphonse! >>
<< Certo, perché uno stupido vecchio ha la priorità su di noi! >> gridò Jason.
<< Fratellone, ma noi... >>
<< Quindi sapete tutto! >> lo interruppe strattonandolo. << Sapete anche... Che questa è una baby gang! >>
Kim sussultò. Lo sapeva già, ma sentirselo dire in quella maniera fu un terribile nodo alla gola. Si voltò a guardare il leader del gruppo. << Questo lo so solo io, perché me l'ha detto poco fa Roy >> .
<< Roy? >> ripeté il corvino osservando incredulo il suo capo. << E quando avrebbe... >> iniziò a dire, quando sgranò gli occhi. Fissò sconvolto il fratello.
     Il giovane annuì. Nei suoi occhi brillò una timide luce di speranza: se Jason si fosse interessato alla cosa ci sarebbe stata una possibilità di comprensione tra di loro. << Hai capito, immagino. E' stato Roy a farmi questo. Quando siete usciti di casa sapevo cosa stavate per fare... Quindi vi ho seguiti e Roy... Mi ha fermato così. Almeno, questa era la sua intenzione... >> Alzò lo sguardo, mentre sentiva la stanchezza impossessarsi della sua mente. << Ma io non vi potevo lasciare, dovevo fare qualcosa..! >>
Jason rispose al suo sguardo. Per un solo attimo esso risultò imperscrutabile, ma l'attimo dopo era già chiaro e spontaneo. Sì, il ragazzo non aveva nulla da nascondere. Non aveva la minima esitazione a manifestare apertamente il suo disprezzo.
<< Perché non sei rimasto lì? >> borbottò a denti stretti.
Kim trattenne il fiato in gola. << M-ma... >>
Jason aprì e serrò il pugno più volte. << Ci hai seguiti un'altra volta... >> continuò a mormorare. << Kimley, dimmi una cosa. Ieri sera, dopo che ci hai seguiti fino al covo... Quando siamo tornati tu e Alphonse mi sembravate strani, ma ho pensato che fosse solo una mia impressione... E ho notato un'altra cosa. In cameretta qualcosa era stato spostato. Dì la verità... >> Alzò il mento, fissandolo con incredulo disgusto. << Hai frugato tra le nostre cose? >>
Kim parve rabbuiarsi. Quindi a Jason non importava assolutamente niente se si era fatto pestare per loro... Non poté far altro che annuire. << Ho trovato le vostre pistole, nel cassetto di Jodie >> .
<< Nel mio cassetto?! >> esclamò la ragazza.
Jason si ritrasse. << Come pensavo... >>
Inaspettatamente Kim gli gettò le mani alle spalle. Lo guardò dritto negli occhi. << Fratellone, ora ascoltami! Sta arrivando la polizia, quindi non abbiamo molto tempo. Però... >>
     Il ragazzo non poté finire la frase. Jason gli sferrò un rapidissimo pugno sulla guancia destra, che l'avrebbe fatto crollare a terra se non si fosse aggrappato alla sua spalla.
Lasciò scivolare il braccio sul fianco destro. << Jason... >> disse.
Il corvino ansimò. Si guardò il pugno, e se ne compiacque. << Tu non hai il diritto di dire niente >> sentenziò.
Kim passò la mano dalla spalla al braccio del ragazzo, e lo strinse con forza. << Hai ragione, non ne ho il diritto... Però lo farò lo stesso, e tu mi ascolterai! >>
     C - 13 ridacchiò. "Che babbei..."
 
     << E' da quando sono piccolo che provo ammirazione nei vostri confronti >> iniziò a dire Kim. I suoi occhi incontrarono quelli di Jason. << Quell'ammirazione si è trasformata in desiderio di stare con voi, sempre, finché è diventato un mio bisogno... >>
<< Da piccolo ero timido, ma non m'importava, perché a voi due andavo bene così. Mi volevate bene ugualmente, ed io non potevo fare a meno di essere riconoscente a due persone del genere... E di volerle bene. Ricordi quando avevamo nove anni, e tu hai chiesto ai nostri padri di costruire un tunnel sotterraneo che unisse le nostre case? Non ci volevo credere, ancora una volta mi avevi anticipato... Era la stessa cosa che volevo chiedere io, ma non ne avevo il coraggio >> .
Entrambi i gemelli si rabbuiarono. Jodie si strinse nelle braccia.
Kim prese un respiro affannoso. << Avevamo nove anni... Quando accadde >> disse. << Dopo che i vostri genitori morirono, mamma e papà decisero di tenervi in casa nostra e così da allora siamo inevitabilmente ancora più uniti >> .
Jason stava già per replicare, ma questa volta fu il fratello ad anticiparlo e riprese a parlare. << Almeno, è quello che credevo. Invece... Voi vi stavate allontanando da me, da tutti noi... E nessuno se n'è accorto. Siete addirittura entrati in questa baby gang, non so quando ma è successo. Avete provate così tanto dolore... E lo provate ancora, se rimanete con questo gruppo di delinquenti. E io che mi dico vostro fratello... Non avevo capito una cosa del genere >> .
<< Provi disprezzo? >> intervenne Jodie. << Ti vergogni di noi? >>
I due ragazzi si fissarono dolcemente. Negli occhi della biondina Kim capì che lei conosceva la risposta, o meglio... Desiderava ardentemente che fosse come lei sperava.
Kim riuscì ad improvvisare un debole sorriso. << Vergognarmi di voi... Io? Come potrei mai? >>
Fissò Jason. << Vi voglio troppo bene per potervi disprezzare >> .
Vide il corvino muovere un passo indietro, e mordersi il labbro.
<< Ma non sono mai riuscito a dimostrarvelo >> ammise. << Non ho fatto altro che rincorrervi tutto il tempo... Ma non avevo capito realmente quanto voi steste soffrendo per la morte dei vostri genitori. Dopo un po' di tempo ho dato per scontato che vi era passato, che cominciavate a stare meglio... Invece ora capisco che si trattava solo di una finzione >> .
Jason attese alcuni istanti. << Riesci a capire perché siamo entrati nella baby gang? >> chiese.
Kim indugiò. Il fatto stesso che lo stava chiedendo ne significava una conferma. << Eravate disperati, soffrivate tanto, e pensavate di non avere nessuno con cui confidarvi... Vi siete chiusi in voi stessi, avete costruito delle barriere intorno a voi, così impenetrabili ma io... >> Tremò. << Come ho potuto permettere che accadesse? >>
Alzò la testa. << Avete pensato che fosse l'unico modo per sentirvi meglio, per essere di nuovo accettati per quello che eravate... >>
Jason abbozzò un ghigno, forse entusiasta del fatto che Kim avesse capito una cosa così fondamentale. << Sai quanti sguardi di compassione abbiamo dovuto sopportare? >> disse. << Ci guardavano per strada, ci indicavano, ci riempivano di quelle insopportabili condoglianze... Ma la verità è che a nessuno è mai importato nulla. Si comportavano tutti così solo per farsi belli, ma nessuno si è mai interessato realmente a noi. Tutti a dire "Mi dispiace" o "Erano persone meravigliose"... >> Guardò Jodie, amareggiato per la triste sorte della sorella. << Nessuno si è mai scomodato a chiederci come stessimo, ci rifilavano quei lunghi elogi e basta, senza nemmeno pensare se ce ne importasse qualcosa >> .
Kim fece per prendergli la mano, ma il corvino si ritrasse - forse stizzito - e abbassò lo sguardo. << La colpa di tutto questo è dei nostri genitori >> rivelò. << Se non fossero morti ora... ora... >>
La sorella sbuffò, consapevole di pensarla alla stessa maniera.
<< Erano degli stupidi... Potevano smettere di fare i poliziotti quando sono nati i loro figli >> continuò amareggiato il corvino. La sua voce celava un impetuoso rancore, e forse anche odio. << Non sarebbero mai morti, non ci avrebbero mai lasciati soli... >>
     << Ma voi non siete mai stati soli! >> esclamò Kim enfaticamente. << Io vi ho sempre voluto bene, e anche i miei genitori. Perché non ci avete mai detto niente? >>  Prese una pausa. << Avete sofferto così tanto... Avrei dovuto capirlo. La colpa è soltanto mia >> .
I due ragazzini si fissarono lungamente negli occhi. Il volto di Jason era sempre più triste.
<< Quindi se vuoi prendertela con qualcuno fallo con me >> esclamò Kim. << Ma ora andiamo via di qui. La polizia sarà quasi arrivata, dobbiamo sbrigarci >> . Lentamente allungò la mano verso il fratello. << Andiamo, Jason >> .
Jodie mosse un'altro passo in avanti. << Perché hai detto che Roy è un traditore, solo per attirare la nostra attenzione? >> Scosse la testa. << Non è possibile che abbia chiamato la polizia... >>
<< Questa... è la verità? >> sussurrò Jason.
Kim attese alcuni istanti prima di rispondere. << Sì, è la verità >> .
     Il corvino spalancò lentamente le palpebre. Fissò con terrore gli occhi di Kim, ma qui ne trovò solo il motivo: erano determinati e sinceri, e custodivano quella fermezza che sarebbe impossibile senza onestà.
C – 13 divenne improvvisamente il centro dell’attenzione di tutti i ragazzi.
     John squadrò il suo capo con allarme crescente. Non conosceva troppo bene Kim ma erano compagni di classe, e lo sapeva sin da subito una persona dalla mentalità limpida e semplice. Sapeva bene che se avesse detto altre bugie ai due gemelli avrebbe perso per sempre la loro fiducia, quindi non era difficile immaginare che fosse disposto a dire tutta la verità. Quindi, anche ciò che aveva detto su Roy…
<< N-non è possibile… >> balbettò John.
     L’androide prese un lento e calmo respiro, poi parve tremare. Le spalle sobbalzavano, sembrava impazzito… Quando sfogò tutto ciò che aveva sempre soppresso in una risata convulsa. << Kim, ragazzo mio… >> disse in tono spaventosamente eccitato. << Non hai idea di quanto ti ringrazio! >>
     Accadde in solo drammatico istante.
C – 13 gettò il braccio in avanti con scatto disumano. Puntò la pistola.
Ci fu un unico sparo.
 
 
 
 
     << Ecco il dottor Gelo, tutti ai vostri posti! >> tuonò un giovane soldato.
<< Tuo... marito? >> osò domandare Goku.
Susan annuì debolmente. L'uomo che diceva di amarla stava per arrivare... Aveva usato il suo teletrasportatore, intuì.
Con l'aiuto del bambino poggiò la schiena sulla parete di piccoli mattoni rossi. Con la mano cercava di coprirsi la ferita, ma non poté bloccare la fuoriuscita di sangue, e mentre tentava di trattenere gli affanni capiva di sentirsi sempre più debole.
     Quando all'improvviso risuonò il tonfo di passi strascicati.
Inarrestabili, confusi... Ma lenti. Terrorizzati.
     Ed eccolo che apparve. Al centro tra le due schiere di soldati che si erano rispettosamente posizionate ai lati comparve l'inquietante sagoma di un uomo. Aveva capelli lunghi, il cui raffinato colorito argenteo accentuava il contrasto con i fili che ne costituivano la confusa massa.
In un primo momento parve smarrito, come se non dovesse trovarsi lì in quel momento, come se il suo arrivo in quel sotterraneo significasse qualcosa di totalmente sbagliato ed inaccettabile. Ma poi i suoi occhi caddero sull'imprevedibile donna, così stanca e sofferente, e il suo sguardo glaciale divenne impenetrabile.
La prima cosa che notò furono le delicate dita della donna che volevano nascondere una terribile ferita sotto il seno. Poi notò il resto.
Le labbra si schiusero da sole. << Su...san... >>
La donna sembrò boccheggiare. << Gelo... >>
Prima che il silenzio che si stava formando potesse definirsi Susan lo fissò negli occhi. << Perché non mi hai mai detto nulla? >> mormorò in tono spento, quasi - così pareva - mnemonico.
Lo scienziato mosse timidamente alcuni passi in avanti. << Non dovevi scoprirlo così... >>
     Si paralizzò. Non riusciva a parlare, e si rese conto di avere la guancia bagnata dalle lacrime.
Si irrigidì di colpo. Gli mancò il respiro. << Susan... >> ripeté, assaporando il meraviglioso suono di quelle lettere.
Odiò dover dare la sua attenzione al moccioso. << Chi sei tu? >>
Goku serrò i pugni con rabbia. << Ti dovrei fare io la stessa domanda! Tu... Tu sei un membro del Red Ribbon e l'hai sempre tenuto nascosto a tua moglie... Che razza di uomo sei?!? >>
Gelo socchiuse gli occhi. << Sei tu che hai sconfitto Tao Pai Pai, sei tu il moccioso che sta invadendo la torre... Se mia moglie >> disse, prendendo una pausa << è stata sparata... E' solo colpa tua >> .
No, era stata colpa del Red Ribbon...
Ma se il piccoletto non fosse arrivato nella Muscle Tower tutto quello non sarebbe successo... Mai.
<< Gelo >> lo chiamò Susan, notando che nella mano del marito cominciava a formarsi un'incandescente sfera di ki. << Lascialo andare, è solo un bambino... >>
Fu allora che egli iniziò ad agitarsi. << Distruggerà il Red Ribbon...! Ti ha fatto questo! Perché dovrei lasciarlo andare?! >>
<< Perché te lo sto chiedendo io! >> rispose d'impulso la donna. Ebbe una dolorosissima scossa di dolore, e riprese a parlare. << O me, o il Red Ribbon, chi ami di più? Anche se... >> Ma si fermò, poiché le lacrime le impedirono di parlare ancora.
 
 
     Un verme che striscia nella terra...
Una mosca che vola in cerca di cibo...
Una lepre che sfugge ad un leone, ma sa che sarà semplicemente un altro ad ucciderla...
     Ecco come si sentiva Gelo in quel momento.
"Che razza di uomo sei?!?" gli aveva detto il bambino.
     Permettere che la moglie creda che l'amore tra di loro sia solo una finzione...
Che creda che per lui il Red Ribbon valga di più...
 
     Invece il punto chiave della sua intera vita era proprio Susan. Lei, e nient'altro.
Grazie al Red Ribbon l'aveva conosciuta. Grazie al ricchissimo esercito aveva evitato la morte per fame, era cresciuto in ricchezza e potere...
E nient'altro voleva che anche la sua famiglia vivesse come stava vivendo lui. In ricchezza, e in potere...
     Ma la chiave di tutto il suo successo era lei. Susan.
Susan la donna per cui avrebbe rinunciato ad ogni altra cosa, che gli aveva donato un figlio...
Susan la persona a cui sarebbe stato riconoscente per l'eternità, per essere in grado di amare un uomo come lui...
 
     Susan...
 
"O me, o il Red Ribbon, chi ami di più? Anche se..."
 
"Che razza di uomo sei?!?"
 
     Susan...
 
"Perché te lo sto chiedendo io".
 
 
     << Susan! >> gridò lo scienziato.
Ignorò completamente il ragazzino. Si chinò a terra, e con inaudita delicatezza sollevò la moglie dal pavimento tenendola stretta tra le braccia.
<< Ehi, che fai? >> disse Goku.
Solo adesso lo scienziato puntò gli occhi su di lui, e lo osservò molto attentamente. << Come ti chiami? >> sussurrò lentamente.
Il ragazzo indugiò, ma poi rispose. << Goku, ecco chi sono. E non dimenticarlo! >>
Il dottor Gelo si lasciò sfuggire uno sbuffo. << E chi se lo scorda... >>
Poi abbassò lo sguardo, incontrando teneramente gli occhi della moglie. << Andiamo a casa >> le mormorò.
Non sapendo che altro fare non poté evitare di abbozzare un sorriso. << Gelo... >>
Lo scienziato afferrò un piccolo telecomando dalla tasca. << Ti lascerò andare >> confidò, rivolgendosi nuovamente al ragazzo. Avrebbe potuto dire tante altre cose, ma non voleva aggiungere altro. Non era assolutamente necessario.
Goku sussultò. << Susan! >>
La donna voltò debolmente lo sguardo su di lui. << E' stato bello conoscerti, piccolo. Diventa un grand'uomo >> si raccomandò.
     Il dottor Gelo premette il tasto rosso al centro del telecomando. In un unico istante si sprigionò una fioca luce bluastra che andò a rivestire il suo corpo e poi quello della moglie, ed entrambi si smaterializzarono.
 
Il piccolo Goku tese il braccio in avanti come a voler afferrare la donna, ma ormai non c'era più.
     La sua missione era distruggere il Red Ribbon. Lo sapeva già, ma adesso era ancor più determinato nel farlo.
"Diventa un grand'uomo" le aveva detto Susan.
Si asciugò le ultime lacrime dalle guance. Sul suo volto si schizzò un sereno sorriso. << Va bene, te lo prometto! >>
 
 
 
 
     Gelo e Susan si materializzarono nello studio dello scienziato, nella loro casa ad Orange Town.
Gelo stringeva con inequivocabile premura il corpo della moglie. Aprì lentamente la porta della stanza. Andò in camera da letto, e delicatamente la adagiò sulla soffice coltre di coperte.
<< Ora chiamo un'ambulanza, dovrai aspettare solo un po' e loro... >>
<< Gelo >> lo interruppe Susan. Scosse più volte la testa.
L'uomo spalancò gli occhi, e fece cadere lo sguardo sulla ferita della donna e successivamente, con spaventata lentezza, sulla coperta bianca che già stava acquisendo il colore del sangue. Si ritrovò a serrare le labbra.
<< Cosa provi esattamente... per me? >> chiese debolmente Susan.
L'uomo si sedette immediatamente sul letto, al fianco della moglie. << Oh tesoro... >> Le sfiorò la fronte con le dita, ma poi poggiò la mano sul capo. << Ti amo >> rispose. << Ti amo come non credevo fosse possibile amare una persona... Ti adoro dal primo momento in cui ti ho vista... >>
Tentò di sorriderle. << Ricordi quella volta, all'università? Fu allora che ci incontrammo per la prima volta... E io non so come ebbi il coraggio di chiederti il tuo nome >> .
Sul volto di Susan comparve uno strano abbozzo di sorriso, quasi faticato. << Oh cielo... Ero così imbarazzata che temevo di non riuscire a parlarti >> .
Alzò gli occhi al marito, ora luccicanti di gioia. << E quel marzo di quattordici anni fa, quando scoprii di essere incinta? >> Inevitabilmente, ora il suo respiro iniziò ad esplodere in soffocati singhiozzi. << La più grande gioia della mia vita... >>
Gelo sentì il fiato rifiutarsi di uscire dalle labbra. Immediatamente si ritrovò davanti a C - 13, nel suo laboratorio sotto casa.
<< Devi immobilizzarlo >> scandì in tono perentorio. << Renderlo innocuo, impedirgli di compiere delle pazzie. Non servono danni permanenti, non voglio…  Ma assicurati che non ci sarà più d’intralcio >> .
 
     Gelo non riuscì ad evitare che una lacrima corresse dal suo occhio. << Susan, amore... Ho fatto così tanti errori... Ma li ho sempre fatti in buona fede. Io... Io non vi ho mai traditi! >>
<< Ti riferisci... A me e a Kim? >> osservò la donna. << Il Red Ribbon... Perché... Perché l'hai fatto... >> implorò, ma venne colpita da un attacco di tosse.
Gelo indugiò alla vista di tutto quel sangue che le colava sul petto. << Sono il capo del reparto scientifico del Red Ribbon... >> riuscì ad ammettere sotto voce. << Ma non ho mai smesso di amarti >> .
<< Perché l'hai fatto... >> ripeté la donna. << Perchè... >>
Una lacrima le scese lungo la guancia. << Edward e Hilary... Cinque anni fa stavano indagando sul Red Ribbon, ma quella mattina di Dicembre li abbiamo trovati morti. Anzi... furono Jason e Jodie i primi a trovarli >> . Prese un respiro, ma si ritrovò a gemere a denti stretti. << Tu ne sai qualcosa? >> disse.
Gelo non rispose nulla. Chinò lo sguardo.
<< Sai... qualcosa...? >> ripeté, ora supplicando una risposta. Ma non ne seguì nulla, solo un devastante silenzio.
Susan sgranò gli occhi. Ebbe un lunghissimo e atroce singhiozzo, per esplodere in un pianto disperato... Disperazione. Nient'altro.
 
 
 
     Jason riaprì gli occhi. Istintivamente, al suono di quello sparo le palpebre si erano precipitosamente serrate, ma quando le schiuse poté soltanto sgranare gli occhi.
Kim era davanti a lui, e con le mani lo teneva fermamente immobile per le spalle, come ad assicurarsi che non gli capitasse nulla. Dalla spalla sinistra grondava sangue.
<< K-Kim! >> urlò il ragazzo.
Jodie strillò. Deborah si portò la mano alla bocca.
John si rivolse con sguardo rabbioso verso di Roy. << Sei impazzito?! >>
L'androide ghignò in preda all'eccitazione. << Perché ti arrabbi tanto, piccoletto? In fondo mica è un tuo amico! >>
<< Ma... Ma che hai fatto?! >> ringhiò Jason, quando ad un tratto si sentì toccare la fronte. Era Kim. Aveva avuto un cedimento, e si era ritrovato a sbattere la fronte su quella del corvino.
<< N-non ti ha colpito, vero? >> chiese semplicemente in un bisbiglio, come se quello che era accaduto fosse del tutto normale.
Jason rimase impietrito, e sentì l'aria mancargli dai polmoni. << Cosa... ti è saltato in mente? >>
Per tutta risposta il ragazzo ridacchiò. << Un momento... mi hai chiamato di nuovo Kim! >>
Fu come ricevere un pugno nello stomaco. I due giovani si fissarono negli occhi per secondi che parvero interminabili. Soltanto dopo infiniti attimi di terrore il corvino ritrovò finalmente la forza di deglutire.
<< Tu... >> balbettò. << Perchè...? >>
Il ragazzo prese un debole e sfinito respiro. "Per fortuna... ha colpito la spalla sinistra, dove Roy mi aveva già spezzato il braccio... Almeno non sono inutilizzabili entrambe le braccia..."
Jason strozzò un urlo. Perché, perché mai aveva fatto una cosa del genere? Nonostante tutto... con l'unico e improrogabile bisogno di proteggerlo Kim in quello sparo era divenuto suo scudo umano...
Ma... Ma avrebbe potuto scansarsi, ed evitare quel proiettile, e avrebbe spinto anche lui e nessuno dei due si sarebbe fatto male...
...No, Kim non l'avrebbe mai fatto. In quel caso ci sarebbe stato il rischio che uno dei due venisse colpito. Anzi, che Jason venisse colpito. Nello spostamento, tutto poteva accadere.
Il corvino trasalì. << Perché...?! >> gridò tutto d'un fiato. << Perché diamine l'hai fatto?!? >>
Al loro fianco si precipitò di corsa Jodie. << Kim! >> riuscì solamente a dire, malgrado tutte le parole che in cuor suo desiderava strillare.
Il giovane alzò stancamente gli occhi, e incrociando quelli del fratello maggiore tentò un sorriso. << Il mio corpo si è mosso da solo... Ecco perché... >>
 
     Essere pestato spietatamente e senza accenno di rimorso doveva aver dato a Kim una terrificante sensazione di abbattimento: corpo ridotto come un vecchio straccio adesso abbandonato e soprattutto animo dilaniato dal senso di impotenza. Quindi era così che si era sentito Kimley... No, non era giusto dire una cosa del genere, forse si era sentito ancora peggio...
     Jason distolse lo sguardo dal ragazzo e lo chinò vergognosamente ai suoi piedi.
Fu invece Jodie ad accigliarsi. Assunse un'espressione isterica e senza indugi scattò sull'androide. << Tu...! >>
C - 13 sogghignò, e amichevolmente allargò le braccia.
<< Ferma! >> urlò John, e si avventò su di lei.
     Seguirono scatti fulminei, e Jodie non fu molto sicura di comprendere pienamente tutto ciò che stava accadendo.
L'androide si piegò in avanti e colpì John, il quale era stato più veloce della ragazza. Lo scansò gettando il manico della pistola sulla sua guancia, approfittò di questo momento di smarrimento e sollevò il biondo per il braccio, e infine lo scaraventò a terra.
Jodie si bloccò all'istante. << John! >> urlò, ma si rese conto di una cosa.
Roy li stava attaccando, e per contrastarli la cosa più semplice per lui poteva essere farli svenire. Il che non sarebbe stato difficile, se avesse voluto. Ma lui aveva colpito John sulla guancia, un punto volutamente insignificante... Perché?
<< Perché hai chiamato la polizia? Vuoi farci arrestare? >> esclamò.
<< Quindi stai credendo a quel piccolo rimbambito? >> osservò con voce melliflua l'androide. Stava lentamente voltando il capo di lato quando ricevette un improvviso quanto spietato pugno nello stomaco.
Fu allora che accadde. Jodie sgranò gli occhi: Roy stava sorridendo.
<< Maledetto...! >> ringhiò Jason, spingendo le nocche con tutta la forza che gli era consentita.
Ma per C - 13 quel colpo significò poco quanto niente. Diede una semplice spinta al corvino che lo fece indietreggiare. Inciampò nelle gambe di John e precipitò a terra.
In quel frangente la sorella era rimasta paralizzata, basita.
     Aveva colpito duramente John ma senza farlo svenire, Jason invece quasi non era stato toccato. Ma aveva chiamato la polizia. Perché? Se per qualche motivo voleva vederli arrestati perché non immobilizzarli tutti? Invece lui non ci stava nemmeno provando.
<< Roy... chi diavolo sei tu?! >> gli gridò.
     << Mike... >> sussurrò improvvisamente una pallida voce. Jodie spalancò gli occhi: Kim! Vide il ragazzino ondeggiare e si precipitò a sorreggerlo prima che potesse crollare. << Ora chiamo un'ambulanza >> gli disse, ma il ragazzo portò il braccio in avanti. Indicò la cabina telefonica. << E' lì dietro... E' svenuto, l'ho appena visto... >>
<< Mike! >> urlò terrorizzata Deborah, scoprendo il giovane accasciato senza sensi per terra. << Che gli è successo?! >>
 
     Fu in quell'istante che accadde.
     Una decina di autovetture della polizia presero forma dal nulla, assieme allo schizzare frenetico di uomini armati che parevano essere espulsi dai propri veicoli che ancora continuavano a dissolversi in uno scintillio di tremori.
<< Cavolo, la polizia! >> sbottò Jodie.
Jason e John si rizzarono in piedi. << Roy, il malloppo >> disse perentoriamente il corvino, avvicinandosi al capo.
L'androide scattò il capo e lo fissò con sguardo truce. << Finalmente non devo più fingere... >>
Le auto della polizia interruppero la loro corsa, calcando l'intero perimetro della piazza. Un uomo tozzo e barbuto uscì dalla prima vettura arrivata sul posto e puntò con espressione annoiata una pistola verso i ragazzi. << Su, fate i buoni e venite qua >> .
<< Fingere? >> ripeté sconvolto il corvino. Scattò il capo in ogni direzione: erano circondati. << Maledetto... Perché stai facendo questo?! >>
L'androide girò il polso e in un'unica presa poggiò i sacchi colmi di denaro sulla spalla. Tutto quel peso sembrava non dargli fastidio. << Ho sempre odiato dover far finta di essere il vostro capo >> rivelò. << Ma alla fine... Ne è valsa la pena >> . Squadrò con occhi pieni di fredda compassione i due gemelli. << Ma non sono io che devo spiegarvi tutto. Presto saprete ogni cosa >> .
A quel punto fu Kim a prendere la parola. << Chi è il tuo vero capo? >> chiese all'improvviso.
L'espressione di Roy gli fece sgranare gli occhi: un sorriso sincero. Maligno, pungente e superiore... Ma sincero. << Oh già, stavo quasi per dimenticarmene... Piccolo Kim, ti devo proprio ringraziare. Con lo scopo di convincere Jason a schierarsi dalla tua parte hai permesso che la polizia arrivasse con noi ancora qui presenti... Non avrei saputo perdere tempo in modo migliore! >>
Per il ragazzo fu verosimilmente peggio questo piuttosto che l'essere stato picchiato poco prima. << N-no... >> balbettò, tremando intorno alle braccia della sorella che lo sorreggevano.
<< Non ci importa un accidente di te! >> gridò all'improvviso John. << Ora dobbiamo scappare e basta! >>
L'occhiataccia che C - 13 gli lanciò non fu delle migliori. << Tu sì che devi fuggire... >> mormorò, ed ecco che agì. Gli bastò un solo attimo. Uno soltanto.
     Strinse a sé i due sacchi di denaro, si elevò da terra e sparì. Riapparve al fianco di Deborah e non le diede il tempo di muovere un dito che la afferrò per la scollatura, e lo stesso fece con Mike.
Questo, in un primo attimo. Quello successivo gettava i due ragazzi fra gli uomini della polizia.
     Jason non lo vide mai più poggiare i piedi per terra. Roy si elevò da terra, librando nell'aria come se tale capacità fosse naturale per gli umani. << Andate al covo! >> ordinò ai ragazzi rimasti impietriti in tono enfaticamente arrogante.
<< Sta... Volando... >> bofonchiò Jason, ma la sua attenzione cadde presto all'incrocio che si trovava alla sua sinistra. Era libero, la polizia non l'aveva forse nemmeno calcolato. Non avranno ritenuta necessaria una grande attenzione per dei ragazzini, capì.
<< John >> bisbigliò, e con un cenno indicò la stradina.
<< Ma dove andiamo? Da come l'ha detto Roy è ovvio che non possiamo andare al covo >> disse Jodie. << E poi Kim deve essere portato in ospedale! >>
Jason fissò con attenzione le macchine della polizia. << Non... possiamo chiedere a loro >> .
     Per incerti ed estenuanti attimi si udì soltanto il lungo sospiro di John, fiato che si risolse finalmente nella sua mancanza di esitazione. << Va bene. Dobbiamo lasciare qui Mike e Deborah. Voi due andate a casa vostra, mentre io... >> Posò il suo sguardo su Kim. << Io lo porto in ospedale >> .
<< Cosa, ma... >> iniziò Jodie, ma John afferrò il ragazzo per le braccia e se lo caricò velocemente sulle spalle.
<< Se ci separiamo è anche più difficile che ci prendano >> disse, e fece un occhiolino alla ragazza.
Jason posò il suo triste sguardo sul fratello. Quella scena gli era rimasta impressa nella mente, non poteva fare a meno di pensarci: Kim che si faceva sparare al posto suo...
<< Grazie >> sillabò mestamente, e strinse la mano della sorella trascinandola in una fuga disperata.
 
     C - 13 osservava la scena dall'alto di un terrazzo, fuggito dalla vista dei poliziotti increduli. Strinse a sé i due sacchi di denaro, felice che i ragazzi fossero talmente sconvolti da non pensare al bottino. Rise nella sua solitudine. "Tutto secondo i piani!"
Jodie osservò piena di gratitudine John allontanarsi, riflettendo su come buffamente contrastasse il suo giovanile ciuffo biondo con il completo interamente nero, e pensando a chi realmente fosse rivolto quel grazie del fratello…
 
 
 
 
     << Grazie >> riuscì a dire Kim con un filo di voce.
<< Vedi che lo faccio solo per Jason e Jodie, sfigato! >> sottolineò John. << Quindi li spiavi sempre… E vedi a cosa sei arrivato >> .
Kim si strinse al ragazzo, ma dovette fare molta fatica nel tenersi sveglio. Trattenne le lacrime, e seguì il sangue che dalla spalla colava impietoso lungo il braccio e talvolta raggiungeva anche John. << Mi dispiace per Mike, e… >>
<< Deborah >> terminò l’altro. << Roy, quel maledetto… >>
<< Eppure è strano >> osservò Kim. << Insomma, Roy ha… consegnato loro due alla polizia. Invece noi siamo fuggiti piuttosto... facilmente >> .
<< Non c’è da sorprendersi. Dopotutto chissà quali trappole avrà preparato al covo. Altrimenti perché ci avrebbe raccomandato di andare proprio lì? >>
Kim tossì, e sentì il sangue inondargli l'interno della bocca. << Già, e così non possiamo fare altro che fuggire alle nostre case. Bè, almeno Jason e Jodie, visto che tu mi stai… >> Ma si bloccò di colpo.
<< Ehi, non dovresti parlare così tanto ridotto come sei >> lo ammonì John, ma Kim non rispose nulla. Rimase muto. << Mi hai sentito almeno…? >> disse, e si voltò lievemente indietro. Fu allora che capì il motivo di quell’improvviso silenzio. Kim aveva gli occhi sgranati.
<< C-che c’è adesso? >> si allarmò il ragazzo.
Kim ricambiò il suo sguardo preoccupato, ma l’angoscia che dimostrava camminava assieme alla disperazione. << Roy aveva previsto tutto! >> strillò.
     << Eh, che intendi? >>
Kim scosse il capo ripetutamente in una successione di sussulti e imprecazioni. << Come abbiamo fatto a non capirlo… Eravamo troppo spaventati… dalla polizia, da quello che stava succedendo! Roy ha approfittato di questo, e adesso siamo caduti in trappola esattamente come voleva lui! >> Gettò il suo sguardo disarmato su John. << Telefona a Jason, presto! >>
<< Ma che cavolo… >> cominciò a borbottare, ma decise di non perdere tempo e telefonò l corvino. E come ovviamente capita in questi casi, il ragazzo si prese la briga di non rispondere. << Deve avere il silenzioso! >> sbottò.
<< Chiama ad Alphonse! >> gli urlò Kim tutto d’un fiato, e gli dettò il numero.
<< Addirittura il tuo maggiordomo, mi dici cosa… >>
<< Roy aveva previsto tutto, sapeva che non l’avremmo creduto e saremmo scappati alle nostre case! >>
 
     “Ma il piccolo Kim aveva bisogno di essere portato in ospedale, e di certo non l’avrebbero chiesto alla polizia” continuò C – 13, osservando divertito tutti quegli uomini radunatisi nel piazzale antistante la Central. “Aspettare un’ambulanza avrebbe richiesto troppo tempo, e Jason si sarebbe offerto di portarlo di persona. Jodie sarebbe rimasta sola, e una cosa del genere in un tale disperato momento è impensabile per un ragazzo così spaccone ma stupido come John”.
 
     << In più lei avrebbe preferito rimanere con suo fratello... e tu l'avresti intuito. Infatti mi stai portando tu, sulle tue spalle >> osservò Kim, totalmente in preda al panico. << Ecco perché ha buttato Mike e Deborah alla polizia, perché non gli servivano! E ora, proprio come aveva previsto… Jason e Jodie stanno andando a casa, da soli! >>
     John portò il telefono all’orecchio. << E allora? E’ casa vostra, perché è così strano…?
     Quando dall’altra parte del telefono si udì una voce. << Pronto? >> chiese.
Il biondino esitò. << E-ehi, vecchio! Io non ci sto capendo niente, ma il moccioso dice che casa tua è una trappola! >>
<< Al! >> gridò Kim, avvicinando la bocca all’orecchio del ragazzo. << Lo so che sei in aeroporto, ma è importante, ti spiegherò tutto dopo! Ora vai a fermare Jason e Jodie, non devo arrivare a casa! >>
<< Signorino! >> esclamò il maggiordomo. Dopo l’iniziale sorpresa tentò di ricomporsi. << Mi spiace aver disobbedito agli ordini, ma non potevo rimanere fermo mentre alla mia famiglia stavano accadendo tutte quelle cose >> .
<< Eh? Al, che dici, dove sei? >> domandò Kim, ma udì un tonfo.
 
     L’uomo poggiò la valigia sul pavimento.
Si aggiustò gli occhiali. << Signorino, io… Sono appena arrivato a casa! >>
 
     Il ragazzo sussultò. << No, vattene!! >>
Alphonse salì lentamente le scale. << Ho chiamato un taxi, ed ora eccomi qui. Ma se vuoi che vada a cercare i ragazzi va bene. Anche se… non capisco… perché… >>
Istintivamente Kim si strinse con ancor più decisione attorno a John. << Che succede, Al?! >>
Il maggiordomo era arrivato al termine delle scale. Spalancò gli occhi. Anche se di poco, poteva intravedere l’interno della camera da letto dei suoi padroni. << Io… Io devo chiudere >> si affrettò, e appena chiuse la telefonata il terrore gli fece cadere il cellulare per terra.
     << Alphonse! >> chiamò Kim, ma vanamente. << Dannazione, ha chiuso! >>
<< Temi che ci possa essere qualcuno a casa tua? >> domandò John.
Il ragazzo annuì. << Roy ha fatto finta di essere il capo della vostra gang, perché in realtà prendeva ordini da qualcun altro. E se voleva che Jason e Jodie andassero a casa, allora… Questa persona potrebbe essere lì! >>
Si morse il labbro. << Dannazione, Al…! >>
 
     E in effetti l’intuizione del nostro ragazzo era esatta… Tuttavia, non poteva ancora sapere chi realmente fosse questa persona che con grande impazienza attendeva il rincasare dei due gemelli… Non poteva di certo immaginarlo…
 
     Alphonse mosse frettolosi passi in avanti e spalancò la porta della camera da letto.
Sgranò gli occhi.
     Davanti a lui distesa sul letto la dolce e delicata Susan pareva dormisse. La sua bellezza era lievemente sfolgorata dalle labbra e dalle palpebre serrate in una smorfia di dolore. Le mani erano congiunte. Sul fianco,  precisamente in un punto di poco sotto il livello del seno, la veste lacera lasciava intravedere una ferita nella carne, e da qui il propagarsi di una diffusa macchia rossa.
     Inginocchiato al pavimento, a fare da guardia alla moglie, c’era Gelo. Dava le spalle alla porta, ma capì ugualmente che qualcuno aveva appena fatto irruzione nel suo santuario.
<< Susan… >> lo sentiva sussurrare con infinita dolcezza Alphonse, mentre le carezzava la guancia.
     Il maggiordomo deglutì. << Signor… Gelo? >> osò domandare.
Lo scienziato si irrigidì improvvisamente. Voltò con strascicata lentezza il capo indietro. << Come… Osi… >> disse con un filo di voce.
<< Signore, cosa… >> si affrettò Alphonse, ma l’uomo non gli permise di terminare la frase.
Gelo si sfilò una pistola dalla tasca dei jeans. Scattò il braccio in direzione del maggiordomo.
Sparò un’unica volta.
 
 
 
 
 
     << Svelta, siamo arrivati! >> gridò Jason alla sorella.
Jodie si faceva ancora stringere la mano. Non diceva nulla, le lacrime e gli affanni non glielo permettevano.
Sfrecciarono davanti al giardino della loro antica casa. Potevano recarsi lì e nascondersi dove un tempo giocavano con i loro genitori, ma procedettero oltre.
Schizzarono dentro. Il corvino fece entrare in casa Jodie, e batté la schiena sulla porta. Tremò, e fissò le chiavi di casa.
 
     Le chiavi di quella casa; Kim; il giorno in cui morirono i loro genitori; la soffice veste di Susan dove nascondevano i loro disperati volti al funerale…
Kim colpito da un proiettile alla spalla sinistra, tutti quei lividi sul suo corpo.
Il modo in cui aveva lasciato la casa, gettando il fratello per terra.
Fratello, anche se non di sangue.
La rapina; la baby gang; Central Bank; John che stava correndo in ospedale.
Quella casa. Quella famiglia.
Il foulard arancione che Jodie e Kim gli avevano regalato cinque anni prima.
     Kim colpito da un proiettile alla spalla sinistra…
 
 
<< DANNAZIONE! >> ululò, e sbatté il pugno sulla porta.
Afferrò la sorella e la portò nella loro cameretta. Si cambiarono, gettarono per terra quelle ripugnanti tute nere e si affrettarono ad indossare i loro vestiti abitudinari. Nonostante tutto, davano una leggera aria di conforto.
<< Jason >> ansimò la ragazza quando si fu rivestita.
Il corvino tirò su i jeans, e si allacciò con decisione il foulard arancione attorno al collo. Quel gesto gli diede un’insolita e forse inappropriata, ma forte, sensazione di nostalgia.
<< Jodie >> rispose. << Non ci pensiamo più. Ora raggiungiamo Kim in ospedale >> .
Tentò di regalarle un sorriso, ma non ci riuscì: come poteva donare agli altri ciò di cui egli stesso necessitava?
 
     Uscirono lentamente in corridoio. Il corvino era già sceso di un gradino quando sentì la sorella sobbalzare. << J-Jason… >> la sentì balbettare con uno strano tono di voce.
Il ragazzo si voltò di lato, e fu allora che scorse l’interno della camera da letto dei due adulti.
Trattennero un urlo, e di tacito accordo decisero di precipitarsi nella stanza.
     La scena che si presentava ai loro occhi era terrificante.
Due corpi distesi, ed entrambi con ferite da proiettile. Sul letto giaceva Susan, bellissima, ma con una profonda amarezza impressa in volto, mentre sul pavimento… Sul pavimento al fianco del letto vi era riverso Alphonse, in posizione supina, evidentemente vittima di una pistola: da un punto piuttosto centrale dell’addome si stava ancora estendendo una vistosa macchia di sangue.
     Jason fissò entrambe le ferite, e si portò una mano alla bocca. Alphonse doveva essere stato sparato... pochissimo tempo prima!
<< Jodie >> disse, cercando di strozzare tutta la paura che stava provando.
 
     Ma la ragazza non ebbe il tempo di rispondere nulla. Nemmeno un sussurro.
L’uomo sembrò aspettare con disumana impazienza questo momento.
     E fu così che terminò per sempre la corsa di Jason e Jodie.
 
 
     << C – 17 e C – 18 >> fu l’esordio. << Ecco come vi chiamerete >> .
I ragazzini si voltarono di scatto, e fu allora che lo videro.
Il dottor Gelo era lì, alla loro destra, e l'odio che aveva impresso in volto pareva essere tangibile.
Spalancò le braccia e in una sola occhiata penetrò gli sguardi di entrambi i gemelli. << Ora fate i bravi...E lasciatevi catturare! >>
 









     Susan. Alphonse. Kim... sono stati tutti piegati. Ora rimangono soltanto loro due: Jason e Jodie.
I due ragazzi a faccia a faccia con il dottor Gelo... Che cosa succederà?
Uno scontro inatteso, spaventoso e soprattutto sconvolgente sta per abbattersi all'interno di casa Jefferson, la stessa in cui i ragazzi sono cresciuti..
     E ovviamente, tutto converge verso il finale.

In questo capitolo sono avvenute molte cose in realtà.. spero che la lettura non sia stata pesante :)

Faccio mille ed infiniti ringraziamenti a chi mi recensisce :D Come dico sempre, le recensioni spronano in una maniera davvero indescrivibile. Bè, almeno così è per me :DD Per cui grazie infinite ^__^

Appuntamento al prossimo capitolo.. A presto, e buona giornata :) :) :) :)




 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Scontro finale ***


     "Nessuna azione sarà considerata innocente, a meno che la volontà non lo sia stata, perché l'azione è stata dettata dalla volontà"   - Lucio Anneo Seneca




 

    Ma è davvero così, Gelo?





 
 

     Il tradimento è la maggior causa di dolore...





 

Capitolo 31: Scontro finale

 
 
<< …Il mio corpo si è mosso da solo... >> aveva esclamato in un debole sussurro Kim. << Ecco perché... >>
Jason aveva chinato lo sguardo pieno di vergogna, e da allora un atroce dubbio gli attanagliava la mente...
...Che cosa intendeva dire il ragazzo?
 
 
 
 
     << 17... 18... >> ripeté il dottor Gelo, schiudendo appena le labbra.
Jason sgranò gli occhi, e presto si dovette avvedere di una cosa. Non riusciva a parlare. Voleva dire qualcosa, implorare spiegazioni allo scienziato, urlare soccorso per i due adulti in pessime condizioni... Ma non ce la faceva. Una soffocante sensazione di paura gli impediva di muoversi.
Fu Jodie a prendere la parola. << Gelo... Susan e Alphonse sono... >> tentò di avvisare, ma le sue parole rimasero ad aleggiare immobili nell'aria. Di tutto quello che stavano dicendo, alle orecchie di Gelo non arrivava più nulla.
Lo scienziato spalancò improvvisamente le palpebre. << 17... 18... Li vedo scritti, é destino... >> farfugliò, e mosse un primo passo in avanti.
Istintivamente la ragazza indietreggiò. << Che... che cosa è successo? >> disse, e nel tentativo impellente di trovare un conforto lanciò un'occhiata al fratello. Tuttavia ciò non poté far altro che accentuare la sua paura.
Il ragazzino aveva i pugni serrati, e cercava di prendere un profondo respiro, ma non riuscendoci dava ai suoi respiri gli attributi di un affanno.
<< Fratellone... >> mormorò la biondina.
Gelo mosse un brusco passo in avanti. << E' cominciato tutto cinque anni fa, quando i vostri genitori hanno scoperto tutto... I nostri destini si sono legati ulteriormente, in me è sparita ogni traccia di rimorso... Ed ora... Per la prima volta sono davvero... felice... della mia decisione... >>
<< Che stai dicendo? >> sussultò Jodie. << Che hanno scoperto i nostri genitori?! >>
Gelo attese interminabili attimi prima di rispondere. << Se l'avessi fatto prima, se avessi fatto l'operazione anche a Susan, ora lei sarebbe ancora qui, con me... Con nostro figlio... >> disse, addolcendo improvvisamente la voce quando con la mente vide Kim. << Ma ora voi mi aiuterete, e con la vostra forza, con il vostro immenso e straordinario potere io... Io... >>
Prese una pausa, e le sue labbra si chiusero in una strana morsa. Poteva sembrare un sorriso, o forse era il tentativo di un uomo di non urlare alla vista delle condizioni della moglie.
<< Non pensavo di dover realizzare il mio sogno in maniera così triste >> rivelò con un mesto fil di voce. << Speravo addirittura di ricevere l'approvazione di Susan e di Kim, ma le cose non vanno mai come noi umani desideriamo... >>
Mosse un ultimo passo in avanti, e alzando il mento puntò il suo sguardo gelato nei caldi occhi di Jason. << Perché  costruire robot che somigliano agli umani? L’essere umano... é così affascinante! >> disse col tono di chi vuole annunciare una sublime innovazione. Al suono di quelle magiche parole Gelo provò un fremito di eccitazione, e questo gli diede la forza di aumentare bruscamente il tono di voce. << Perché non unire le due cose...?! >> continuò. Vide Jason sussultare. << Si potrebbe fare un qualcosa bello come gli umani... >>
<< ...e forte come un androide... >> terminò con voce mnemonica il ragazzo. << Queste sono... parole mie >> si rese conto.
Lo scienziato mosse lievemente le dita, cercando di controllare l'irrefrenabile impazienza che stava covando. Annuì. << Esattamente... >>
Il corvino ebbe un sussulto. Qualcosa nella sua mente aveva cominciato a muoversi. << Ricordo di averle dette cinque anni fa... Ne sono sicuro, perché ricordo molto bene quei giorni... >>
Jodie scosse la testa, e terrorizzata indicò dietro di lei i due corpi immobili e spaventosi. << Ma che stai dicendo, Gelo?! Questo cosa c'entra adesso, non vedi il tuo maggiordomo... E tua moglie? >>
L'occhiata che l'uomo le indirizzò manifestava un odio reso improvvisamente esplicito. << Siete molto forti, pulcini miei... Ed è la vostra fortuna, perché questo vi permetterà di aderire al mio piano >> .
La ragazza aggrottò la fronte. << Il tuo... piano? >>
Il dottor Gelo prese un profondo respiro, probabilmente l'ultimo che poteva permettersi con una tale calma. << Il Red Ribbon è in procinto di essere distrutto >> dichiarò in tono grave. << Io ero l'unico che poteva impedirlo, ma per ascoltare Susan non l'ho fatto, e non me ne pento... E ora che l'ho visto posso dire che quel ragazzino ha qualcosa di speciale, ha una straordinaria capacità di controllo del ki, e temo che l'esercito verrà distrutto... >>
Jason ebbe un nodo alla gola. << Temi? >> ripeté. << Ma... >>
Lo scienziato spalancò le braccia e cacciò furiosamente gli occhi fuori dalle orbite. Il suo tono raggiunse toni spasmodici. << Ma un nuovo esercito verrà formato, e il Red Ribbon resusciterà... Il suo ideale di pace non può estinguersi così, è impossibile, gli uomini non possono arrendersi così facilmente alla distruzione... >>
Fu allora che il ragazzo non poté evitare di capire. << Gelo, tu... >>
L'uomo lo additò col suo sguardo pieno di tenera compassione. << Bambini miei, mi spiace parlarvi di queste cose, ma il mondo non può continuare ad essere devastato dalle guerre. Per questo è necessario che sopravviva un'organizzazione militare così forte e potente... Annientare i nemici è l'unica maniera per far sì che tutti siano amici >> .
Jodie spalancò le labbra, e impulsivamente tentò di avvicinarsi al fratello. << No, non è vero... >>
Il dottor Gelo sospirò. Lentamente, portò il braccio in avanti e divaricò le dita. Una focosa patina di ki si accese nel palmo della sua mano e da qui si diramò in svariate direzioni formando tangibili raggi di energia.
     Gli occhi di Jodie seguirono un raggio inoltrarsi nel vuoto, correre dietro di lei e qui schizzare in una confusione di saette; un fascio di luce - o cos'altro diavolo era non poteva saperlo - scivolò nella sua cameretta. Ci fu un'esplosione violentissima. 
 
 
 
 
     Kim sobbalzò. << Cos'è stato? >>
John si voltò annoiato. << Che c'è ancora? >>
Il ragazzo parve dubbioso. << Non lo so, è stata... una sensazione >> rispose. Osservò John dall'alto. << Non è che ti sei stancato? Posso provare a camminare io... >>
Il biondo sbuffò. << Sta' zitto scemo. E poi... siamo quasi arrivati >> .
Kim alzò lo sguardo, e capì di essere così preoccupato che non si era nemmeno accorto di dove fossero. Davanti a loro si estendeva un verdeggiante e colorato parco, con tanto di imponenti chiome e passerotti cinguettanti. Un'atmosfera del genere già poteva aiutare dei malati a trovare un po' di conforto, pensò il ragazzo, ma per lui era invece doloroso, non faceva altro che accentuare la sofferenza derivante dalla consapevolezza dell'assurda situazione della sua famiglia.
Il parco era infatti confinato da un lunghissimo recinto, e ad elevarsi sopra ogni cosa una vastissima struttura dipinta di un bianco immacolato: l'Orange Town Hospital.
John sfrecciò lungo il sentiero. Si voltarono a contemplare il delicato laghetto che in mezzo all'erba faceva da specchio al cielo nuvoloso. << Forse non dovremmo essere qui >> sbottò Kim, fissando lo sguardo vuoto nell'erba antistante all'acqua.
<< Ti prenderei a pugni se non fossi già stato pestato >> fu la pacata risposta del ragazzo.
Di corsa scivolò all'interno dell'ospedale e fu davvero felice nel notare che degli infermieri, vedendo due ragazzi così all'improvviso e in quelle condizioni, si erano già precipitati.
<< Presto, sbrigatevi! >> incitò John, adagiando delicatamente il ragazzo su di una barella che gli era stata sbrigativamente portata.
Kim gemette, ma tirò anche un sospiro di sollievo quando la sua schiena toccò finalmente quell'ambito cuscino. << John, grazie... Davvero >> mormorò.
Il biondo assunse a forza un'espressione imbronciata. << Taci >> disse, e poi si rivolse ai medici. << E voi spicciatevi! >>
Kim affondò lievemente nel telo della piccola barella, e con la mente andò ai suoi fratelli. "State attenti..."
 
 
 
 
     << Jodie, corri! >> gridò il fratello, il quale le afferrò la mano e la trascinò con sé.
La ragazza fece appena in tempo a scansarsi che una trave di legno crollò dal soffitto. << Jason! >> strillò, ma il corvino non perse tempo. Si gettò sulle scale e tenendo saldamente la mano della sorella arrivò al piano di sotto.
<< Non sto capendo più niente! >> predicò il giovane, mentre la sua voce si incrinava sempre di più.
Il dottor Gelo li spiò dal pianerottolo al secondo piano. Sentì dentro di sé un pericoloso impulso di odio, e questo funzionò come motore per il suo corpo. Le gambe spiccarono un balzo quasi come se fossero autonome, non comandate da alcuna volontà ma solo dall'urgente necessità, e l'uomo atterrò pochi passi davanti ai due ragazzini.
Jason si ritrasse bruscamente indietro, e di scatto lo sguardo scivolò verso la porta d'ingresso. << Gelo, che diamine era quello? >> disse, ma poi sobbalzò. << La stessa cosa che aveva fatto Roy... >>
<< Che stai facendo?! >> intervenne terrorizzata Jodie. << Che intendi dire con tutte... quelle assurdità? Tu... >> iniziò, ma esplose in un affanno.
Lo scienziato scattò il braccio in avanti. Li fissò con rancore. << Io vi catturerò >> disse improvvisamente in tono concitato e teso, fin troppo teso. << E da oggi voi diventerete... C - 17 e C - 18 >> .
Jason sgranò gli occhi. Nascose le dita della sorella nelle sue. << Gelo, cosa stai... >>
<< Anche i vostri genitori avrebbero potuto diventarlo >> lo interruppe sadicamente l'uomo. << Anche se dei corpi giovani come voi sono decisamente meglio... >>
Raccolse nuovamente uno strato di ki nel palmo della mano. Tremò, e rivelò un respiro affannoso e spasmodico. << Io... >> mormorò, e stancamente alzò lo sguardo verso le sue prede. << Io devo catturarvi... E con voi riporterò in vita il Red Ribbon! >>
Accadde una seconda volta. Un corposo raggio di energia schizzò dalla mano dell'uomo e stavolta si indirizzò verso il petto della ragazza. Questa non fece in tempo a capire cosa stava per accadere che Jason si gettò a terra e strinse la sorella a sé; il raggio continuò cieco la sua corsa, e andò a infrangersi sulla finestra alle loro spalle.
 
     Erano scesi al primo piano, nel punto del salotto da cui si innalzava con eleganza la rampa di scale che portava al piano di sopra. Alla loro sinistra schegge di vetro raffinato, mentre proseguendo a destra si poteva entrare nella cucina, non delimitata da alcuna ingombrante porta.
Al centro della parete che si trovava alle loro spalle un costosissimo televisore supervisionava dall'alto la buona condotta di un moderno termocamino, osannato da una morbida e tenue schiera di divani tra essi paralleli, solito riscaldare quel vastissimo ambiente, ma in quella fredda e frettolosa giornata nessuno si era preoccupato di riscaldare i già bollenti animi dei propri famigliari.
     I gemelli si rizzarono in piedi. << Tu fai parte del Red Ribbon? >> disse Jason, spaventandosi al solo immaginare quella disgustosa possibilità. << C-che vuol dire che ci vuoi catturare?! >> Scosse la testa, e fece scivolare il suo sguardo prima sui pezzi di vetro esplosi sul pavimento, e poi al piano di sopra. Poteva intravedere della luce che prima non c'era: probabilmente si era aperto un buco nella parete, oppure un vuoto nel soffitto. << Chi sei veramente? >> disse, rivelando così in poche parole l’efficace sintesi delle sue atroci paure.
Trascorsero alcuni attimi prima che Gelo si decise a rispondere. Aprì la mano con fierezza. << Io sono il dottor Gelo Jefferson, capo del reparto scientifico del Red Ribbon, eccelso scienziato e creatore di numerosi androidi >> . Puntò i suoi occhi nello sguardo dei ragazzi. << Ma molto probabilmente il mio esercito sta per essere distrutto, e la colpa è anche mia, se non avessi ascoltato Susan ora quel bambino sarebbe morto... Ma non potevo fare altrimenti, Susan doveva capire quanto l'amassi, ma con tutto ciò... Non ha capito un bel niente >> .
Si guardò la mano, e comparve una luminosa sfera di ki. << Questo è il ki >> confessò. << E in realtà... Anche i vostri genitori erano in grado di usare questo potere. Ma per il vostro bene hanno deciso di non farvelo sapere... >> Chiuse il pugno. << Ma ora basta, ho perso fin troppo tempo >> .
Jason era sconvolto, ed era sicuro di poter sentire il cuore della sorella pulsare con disperazione. << Quindi tu ci vuoi... catturare >> .
<< E trasformare in cyborg. Esatto >> dichiarò con solennità lo scienziato, e aprì di scatto la mano. La sfera di ki era ancora racchiusa nel suo palmo. Portò il braccio in avanti, e la sfera andò immediatamente a schiantarsi sull'incrocio delle loro dita, ancora inestricabile ed indissolubile.
Ma in quell'impatto la loro unione non poté far altro che sciogliersi; Gelo ne approfittò, e con un altro schizzo di ki colpì in pieno il ventre della ragazza e la sbalzò via. Con un urlo Jodie andò a schiantarsi sul bordo del tavolo di cristallo che si inframezzava tra i due divani, e si riversò a terra.
<< Jodie! >> strillò il fratello, e la sua voce risultò angosciata e prolungata... ma anche straripante di furia.
     Stava covando una rabbia sempre più pericolosa, esponenzialmente distruttiva, e il fragile baratro della sua sopportazione era appena giunto al limite.
 
     Gelo sapeva usare il ki, un potere che non aveva mai sentito prima, ma che i suoi genitori erano in grado di usare...
    Un potere che anche Roy aveva dimostrato di saper maneggiare...
 
 
Jason sgranò gli occhi. Le pupille parevano circondate da focose nervature rosso sangue.
Lanciò una fugace occhiata alla sorella, poi puntò lo sguardo sull'uomo. << Sei tu il vero capo della nostra baby gang... >>
Gli angoli della bocca di Gelo si sollevarono in un ghigno terrificante. << Oh, hai capito come un potere del genere non sia particolarmente comune... E infatti ho ordinato io a Roy di tenervi sotto controllo tutto questo tempo. Ho fatto bene, altrimenti chissà cosa sarebbe accaduto... A proposito >> aggiunse, e allargò le braccia in un'espressione disarmante << Roy non è il suo vero nome. Lui é un mio androide... C - 13! >>
 
 
       Come in un’eruzione effusiva, quando il magma che si trasmuta e solidifica in lava si esibisce in lunghe e diverse meravigliose strisce, che prendono il nome di colate, e poi ridono scovando una piccola Pompei da annientare sotto il proprio volume, e le diverse colate si abbracciano per creare una nuova e più grande, perfetta per lo scopo di totale distruzione, così erano le ardenti ed inevitabili passioni nel cuore di Jason, le quali una volta originato un pensiero non potevano più ricacciarlo indietro.
Il ragazzino non sapeva se cadere a terra, crollare e soccombere davanti alla accecata ostilità del destino, scelta decisamente più semplice e passiva… Oppure se permettere al suo corpo di esplodere, cacciare tutto il magma racchiuso in sé, che altro non sperava di schizzare fuori e diramarsi con più odio possibile contro ogni piccolo ed insignificante essere.
     Tuttavia un vulcano quando esplode, esplode. Non può certo essere fermato. Al massimo la lava che piove giù al suolo può essere poco dannosa per ambiente o persone. O inevitabilmente può significare morte per tutti. Ma non si può evitare che la lava fuoriesca dal cratere durante un’eruzione. Sarebbe contradditorio, assurdo, razionalmente impensabile.
E così fu per Jason. Sarebbe stato per lui del tutto impossibile mantenersi cosciente e posato, magari predisposto per essere indirizzato dalla ragione. No, ormai stava eruttando, e ci sono gravi casi di disastri ambientali in cui è impossibile impedire il peggio.
E le due opzioni che dei rantoli di mente lucida avevano proposto vennero unificati, anzi solidificati insieme da un’inoppugnabile fermezza.
E questo potere derivava dall’odio.
 
 
       Jason serrò i pugni. Scattò sull'uomo. << MALEDETTO! >>
Gelo singhiozzò. << Vieni avanti... Numero 17! >>
Il ragazzino si slanciò in un gancio destro: colpì l'uomo sotto il mento, direzionando il pugno dal basso con forza brutale. Lo scienziato indietreggiò, ed esplose in una risata convulsa. << Sei solo un moccioso! >>
Ma Jason era deciso a non lasciarlo ridere per niente, e lo colpì stavolta con un diretto sulla guancia. << SCHIFOSO… PAZZO! >> urlò, e spinse le nocche con una forza tale da costringere il dottore a indietreggiare ancora.
L'uomo compì una piroetta, e nell'ondeggiare degli occhi continuò a seguire il ragazzo.
 
     Moccioso, solo un mocciosetto...
     Capelli corvini, foulard arancione...
     Anche quel bambino era vestito di arancione, e i loro odiosi capelli erano così ridicolmente scuri...
 
Gelo spalancò gli occhi. << GOKU...! >> tuonò, e scattò il pugno colpendo Jason in pieno.
Mosse fugaci piccoli passi, e alzò il gomito. << Sarà lui il tuo obiettivo... E voi mocciosi lo ucciderete! >>
Il corvino ignorò il sangue che gli colava dal naso e si scansò prontamente di lato; chiuse le mani attorno al bicipite dell'uomo, si sollevò da terra e con entrambi i piedi gli sferrò una rapida successione di calci dapprima sul petto, e poi salì alla faccia. Toccò infine il pavimento, e senza lasciare la presa sul braccio di Gelo lo tiro a sé e gli riservò la stessa gomitata che presumibilmente lui voleva indirizzargli. << Noi non uccideremo nessuno! >> ringhiò. << E smettila di chiamarmi con quello stupido numero! >>
Alzò in un inarrestabile impeto la gamba e colpì l'uomo con una ginocchiata nello stomaco. << E' questo Goku il tizio che sta distruggendo il tuo Red Ribbon?! >> esclamò, e sferrando un altro pugno nello stomaco costrinse lo scienziato a indietreggiare. << E fa bene! Sei solo... Uno squallido psicopatico! >> disse come se volesse sputargli addosso la verità e fece per tirare un altro pugno, ma Gelo lo bloccò afferrandogli la mano serrata.
<< Psicopatico... Io? >> sussurrò. Il suo sguardo divenne improvvisamente truce. << Non m'importa niente di quello che pensano gli altri... Perché io lo faccio per il bene dell'umanità! >> fu il suo grido, e sollevando di scatto il ragazzo  lo slanciò con la faccia a terra.
Jason tossì sangue, ma sentì presto la scarpa di Gelo che premeva sul suo capo. << Qualsiasi tentativo di resistenza è inutile... Vi conviene arrendervi >> consigliò l'efferato, e da come alzò la gamba il giovane intuì che probabilmente intendeva sferrargli un calcio sul fianco.
Il corvino fu più rapido. Approfittando di quel fugace attimo di libertà alzò prontamente il bacino e calciò il dottore dapprima sulla gamba, per poi risalire con colpi ripetuti allo stomaco.
La più visibile reazione di Gelo fu lo stupore nei suoi occhi, ma ciononostante Jason decise di approfittare della situazione. Era sdraiato a terra, e si rese conto di essere arrivato a un paio di metri di distanza dal tavolo, in cucina. Mosse ogni singolo muscolo del suo corpo. Ruotò su se stesso e con scatto felino scivolò sotto il tavolo. Sfruttando il fattore sorpresa, era sicuro di riuscire perlomeno a spesare il dottor Gelo: si rizzò improvvisamente in piedi dall'altro lato del tavolo e senza cenno di arresto scaraventò una pesante sedia sull'uomo. << Prendi questo! >>
Ma il piano non riuscì perfettamente, almeno non come aveva programmato. E' vero, Gelo non se lo aspettava e pertanto esitò prima di contrattaccare, ma il ragazzino non aveva previsto l'aberrante facilità con la quale l'uomo scansò la sedia.
Il giovane però non si perse d'animo. << Bene dell'umanità, tu? Di queste cose non te ne frega niente, ecco la verità! >> esclamò. Impugnò un'altra sedia e la slanciò frettolosamente sull'uomo.
Gelo deviò anche questa con facilità. << Cosa credi... >> iniziò a dire, ma spalancò gli occhi.
Nell'istante in cui alzò il braccio destro gettando così la sedia di lato, scoprì Jason scivolare lungo il piano del tavolo. "La sedia era un diversivo!" si rese conto.
Il corvino si morse le labbra, e arrestando la schiena al centro del piano si bloccò con le mani, compì una rotazione e sferrò un violentissimo calcio sul fianco destro di Gelo. << Sei così occupato a schivare una piccola sedia per non lasciare scoperto il tuo fianco? >> lo sbeffeggiò, e ruotando di lato atterrò sul pavimento.
<< Tu... >> iniziò a dire lo scienziato, ma il giovane lo interrupe sferrandogli un diretto.
<< Quindi hai sempre mentito a tutti! >> gridò questi, scoprendosi sconvolto ed impaurito egli stesso nella foga delle sue parole. << Vuoi trasformarci in cyborg... Pensi solo al Red Ribbon, non t'importa niente di noi, di tua  moglie...! >> Prese un respiro, e con un altro pugno lo fece sbattere al muro. << ...Non ti è mai importato niente di Kim!?! >>
Fece per alzare un altro pugno, quando il dottor Gelo lo immobilizzò con una facilità disarmante. Gli strinse con fermezza i pugni, e la sua voce parve un sibilo lontano. << Non azzardarti a ripetere mai più una cosa simile >> .
Il ragazzo esitò. << Non rispondi!? >>
A questo punto l’uomo non poté far altro che fissarlo con autentico isterismo. << E' per il vostro bene. Capirete, prima o poi >> concluse, e detto questo si avventò sul giovane.
 
     Per Jason fu come un incubo che si avverava. Tutte le sue più occulte paure, quelle che lui aveva sempre tentato di nascondere a se stesso, il motivo per cui non aveva mai, assolutamente, rivelato niente di se stesso alla sua famiglia...
     Il terrore che anche le poche persone che gli stavano vicino potessero tradirlo, e cambiare idea su di lui... Ecco qual era la sua più grande paura.
     Il timore che qualcuno della sua famiglia potesse rivoltarsi contro di lui...
 
     Gelo colpì Jason prima con un gancio, poi gli sferrò un diretto in pieno volto, pronto ad esplodere in un attacco di aura. << Non farmi perdere tempo! >> esclamò, e il palmo della mano si illuminò istantaneamente.
Jason allora decise di appiattirsi a terra, e felino scivolò sotto le gambe dell'uomo. Scattò in piedi alle sue spalle.
     Accadde in questo frangente.
Il pugno del ragazzo saettò verso lo scienziato. Gelo roteò lievemente e imitò il corvino.
Si colpirono a vicenda, sprofondando ognuno il proprio pugno nella guancia del'altro.
Fu allora che il corvino udì un urlo di disperazione. << Jason! >> gridò una terrificata voce femminile da dietro.
Immediatamente capì. Afferrò di scatto l'uomo per le braccia e scaricando il peso del corpo sui piedi lo fece roteare e lo scaraventò alle sue spalle.
In quell'istante un piccolo ma duro vaso in terracotta si schiantò sulla schiena di Gelo; l'uomo emise un grido trattenuto, e Jason colse l'occasione che la sorella gli aveva fornito.
Serrò il pugno con assurda spietatezza e colpì lo scienziato nella bocca dello stomaco. Fu un inaspettato conforto vedere l'uomo sputare saliva, e questo lo fece addirittura sorridere con ostentata spavalderia. << Hai fatto male a sottovalutarci, razza d’imbecille! >>
Alle sue spalle Jodie si massaggiava le braccia affaticate per l'eccessiva fatica. << Non ignorarmi, Gelo >> esclamò, chiudendo un affanno.
<< Jodie >> disse Jason in un sussulto, e velocemente si accostò al suo fianco poggiandole una mano sulla schiena. << Come stai? >>
La ragazza annuì. << Bene, non ti preoccupare >> . I suoi occhi si colorarono di un'angosciata amarezza. << Cosa sta succedendo? >>
Jason scosse la testa, e si avvide di non sapere come consolarla. << Tu devi andare via. E’ troppo pericoloso >> .
Gelo rizzò lentamente la schiena, e parve ponderare ogni suo singolo respiro. << Mi state sottovalutando... >> mormorò voltandosi. << Ve ne pentirete, è sicuro >> .
Prese un pesante respiro. << Credete che io vi lascerò scappare, oppure che possiate sconfiggermi in qualche modo? >>
Jodie scosse la testa. << Ma tu ci hai cresciuto! Abbiamo vissuto nella stessa casa tutti questi anni, non puoi pensare veramente queste cose! >>
<< Jodie >> sussurrò il fratello. I rantoli nella sua voce non esitavano a manifestare tutta la sua isterica esasperazione e il suo sfinimento. Ovviamente mentale più che fisico. << Non è il Gelo che conosciamo. Suppongo… >> Prese una pausa, e osservò l’uomo che l’aveva cresciuto come un padre con uno sguardo sì interrogativo, ma pungente e schifato. << Il Gelo che conosciamo noi è sempre stata una stupida finzione, e questo psicopatico è il suo vero io >> .
La biondina squadrò il ragazzo, e si accorse che stava tremando. << Oh no... >>
Il giovane le afferrò improvvisamente la  mano e attese alcuni attimi prima di continuare, desideroso di assaporare il dolce e caldo tocco di quelle meravigliose dita. << Jodie >> le disse. << Sappi che io ti proteggerò. E non ti abbandonerò mai, qualunque cosa accada >> .
<< Cosa dici…? >>
<< Gelo! >> ringhiò il ragazzino, stringendo la mano della sorella. Forse il suo scopo era darle conforto, oppure poteva essere trovare il medesimo supporto. << La notte tra il 24 e il 25 Dicembre di cinque anni fa mamma e papà vennero uccisi >> iniziò. << Dopo pochi giorni venne trovato il presunto assassino, suicidato in carcere. Da allora non potevamo nemmeno contare sulla vendetta, ed è stato così che è cominciato il nostro orribile incubo, lo stesso che ci ha portato nella baby gang >> .
Lo scienziato continuò a fissarlo con occhi costantemente sgranati. Infastidito, perché stava solo perdendo tempo. Ansioso. Impaziente.
<< Tu... Tu sei un uomo potente, dei tuoi cari sono stati uccisi... Saprai per forza qualcosa >> concluse il corvino.
L'uomo emise un cupo respiro. << Ricordo molto bene quel giorno... Anzi, quella notte >> .
<< Notte? >> ripeté il ragazzo. << Di che… parli, Gelo? >>
 
     Edward e Hilary, i suoi amati genitori che morirono nel buio della notte, senza alcun preavviso, senza dare la possibilità ai propri cari di realizzare cosa fosse accaduto...
Nella mente di Jason scorrevano infinite immagini in preda all'indeterminazione... Spietate, necessarie, crudeli, odiate...
 
     Gelo fletté le dita. << Che strano modo di chiedere le cose... Non puoi fare a meno di vedere la verità, ma non le vuoi dare retta. Eppure, nel mondo che intendo costruire vige un'unica verità... >>
Jason iniziò a tremare. << Rispondi Gelo... Non me ne importa nulla del tuo mondo... Rispondi! >>
 
       "Il mio corpo si è mosso da solo... Ecco perché" erano state le sofferte parole del fratello...
"Ti voglio bene, pulcino mio, ti amo tanto...": ecco cosa aveva detto Hilary, quella sera.
       "Quindi da oggi condivideremo la stessa camera..." commentò non senza mestizia Kim. Poi gli aveva preso le mani. "Ma ti prometto che ti sarò sempre vicino, fratellone!"
"Siete brave persone, e bambini intelligenti ed educati" aveva orgogliosamente mormorato il caro padre. "Questa vostra morale… custoditela quando diventerete adolescenti, e quando entrerete nell’età adulta… Sono sicuro che tu, Jason, sarai un grande uomo, e tu, Jodie, sarai una grande donna!"
       John si accostò cautamente ai suoi nuovi, fedeli, amici. "Faccio parte di una baby gang" aveva confessato. "Che ne dite se vi presento qualche amico?"
" Sono sicuro che tu, Jason, sarai un grande uomo, e tu, Jodie, sarai una grande donna!
       "Ok" annunciò improvvisamente Roy, interrompendo qualunque pensiero. "Andiamo a rapinare la Central Bank!"
E la loro vista pareva sguazzare con disperazione, mentre gli occhi tentavano di seguire i genitori che lasciavano casa Jefferson permettendo loro, insolitamente, di dormire con Kim, quella speciale notte...
     "Perché non hai detto niente?!" lo aveva rimproverato Kim.
Gli amati genitori se ne stavano andando, con la promessa di incontrarsi nuovamente il giorno successivo... Ma quella fu l'ultima volta che poté ascoltare la melodiosa voce della madre, e la calda e forte voce del padre...
     "Il mio corpo si è mosso da solo... Ecco perché" erano state le sofferte parole del fratello...
 
<< Devi soltanto rispondere >> disse Jason con un filo di voce...
 
       "Mamma... Papà..."
 
Il dottor Gelo alzò gli occhi, mentre dipinta in volto era  ormai inviolabile un' esagitata espressione di furia. << Ho ucciso io Edward e Hilary >> proclamò a gran voce. << Sapevano chi io fossi, sapevano del Red Ribbon. Dovevo farlo, era inevitabile >> .
Jodie portò con estrema lentezza le mani alla bocca, mentre il fiato nemmeno riusciva a prendere forma.
<< Hanno combattuto bene, ma contro il Red Ribbon anche l'uomo migliore è destinato a cadere >> volle aggiungere Gelo.
       Jason sentì l'acuta punta di un pugnale da caccia conficcarsi nel suo addome, e con violenza trascinarsi su, e lacerare il petto, per poi passare agli arti... E infine giungere al cranio.
<< Li hai... Uccisi... >> disse in un soffocato sussurro.
Gli occhi di Gelo calarono sulla sua mano. << E' stata l'esperienza più dolorosa della mia vita, tuttavia erano in grado di fermare non solo me, ma l’intero Red Ribbon... Avevano i nomi di tutti, ma sopratutto la forza sufficiente per farlo >> . Alzò lo sguardo di scatto. << Capite?! Io dovevo farlo, o altrimenti sarebbe stato qualcun altro a eliminarli! >> ringhiò.
Le guance di Jodie si riempirono di insostenibili lacrime. Pensava di aver già pianto abbastanza nella sua vita, ma adesso capì che non era assolutamente vero.
<< Sapevano tutto di me! >> continuò a tuonare l’oramai imperterrito Gelo, dando completo sfogo al fiume in piena che proveniva dalle sue labbra. << Tutto, tutto... Come voi, oramai...! >> Portò il braccio in avanti, mentre le sopracciglia sembravano essersi abituate a quella spaventosa distanza che le allontanava dagli occhi.
<< Ma non ha importanza adesso... Cyborg numero 17, numero 18... >> Prese un ultimo respiro. << State per diventare le mie marionette perfette! >>
 
       Mamma... Papà...
 
     I pensieri dei due ragazzini confluirono l'uno nell'altro, e si miscelarono in una distesa di emozioni assurde, intensi desideri... E inaspettato sollievo.
…Sollievo di poter ottenere finalmente vendetta.
 
      Mamma... Papà...
 
     Il palmo della mano di Gelo si colorò di una vorticosa luce gialla.
Jason serrò i pugni, e le unghie penetrarono nella carne così a fondo da provocare la fuoriuscita di rivoli di sangue. Improvvisamente l'aria intorno a sé parve mutare la sua sostanza, anche se di fatto rimaneva sempre aria. Accadde tutto in un istante.
Accadde quando Jason spalancò le palpebre. Il pavimento ai suoi piedi si crepò, e le giunture nel marmo si diramavano come serpi impazzite alla ricerca della loro preda. Dal suo corpo si sprigionò una durissima folata di aria, o vento, oppure era un'onda d'urto e c'era stata qualche invisibile esplosione... No, tutto quello proveniva dal corpo del fratello: ecco cosa capì Jodie, quando si rese conto di urlare.
La sua voce fuoriusciva dal suo corpo in maniera del tutto automatica, e probabilmente era così acuta da rompere il vetro, perché voltandosi intorno poteva osservare le ante di vetro che chiudevano i vari servizi di argenteria esplodere in una miriade di sfavillanti granuli di polvere vetrata.
No, non era soltanto la sua voce...
Anche dal suo corpo proveniva la medesima ondata di vento che devastava il corpo del fratello.
     Perché era questo che stava facendo tutta quella raccapricciante energia, distruggere i loro corpi, o perlomeno le loro anime, perché dentro di sé Jodie sapeva che quel potere non ci sarebbe mai stato senza quell'infinito dolore...
     Era questo che intendeva Gelo quando aveva detto: "Ma per il vostro bene hanno deciso di non farvelo sapere"...?
 
     I genitori sapevano che un grande potere richiedeva un grande dolore?
 
Jason scattò il braccio in avanti, e un corposo getto di ki si scaraventò sul dottor Gelo.
Egli rispose con forza, ma l'effetto sorpresa del ragazzo ebbe la meglio e l'uomo non poté far altro che appiattirsi a terra e lasciare che il colpo sfrecciasse su ciò che si trovava dietro di lui.
Jason non perse tempo. Saettò sul dottore mentre un'esplosione davanti ai suoi occhi distruggeva l'angolo della cucina dove era custodito il frigorifero. Resti carbonizzati di cibo schizzavano nell'aria quando il corvino fermò il palmo della mano a due centimetri dalla faccia di Gelo, e iniziò a percepire una strana ma decisamente eccitante energia pervadergli il corpo, ed incanalarsi nella sua mano.
Ma questa volta lo scienziato non si fece cogliere impreparato, e afferrò il ragazzo per il polso. << Pare che abbiate risvegliato il vostro vero potere >> disse. << Ma rimanete pur sempre due mocciosi inesperti... Il ki non vi servirà a niente! >>
Fece roteare il corpo del ragazzo e lo scaraventò di lato. Jason sfrecciò sul pavimento, strisciando la mano sporca di sangue sul freddo marmo, quando alzò la mano libera e un vortice di ki indirizzato al ventre dell'uomo si disegnò nel vuoto. Parve rompere ogni barriera del suono e della velocità, ma lo scienziato si rivelò perfino più veloce e si scansò prontamente di lato.
Questo, perché conosceva bene le conseguenze delle sue mosse.
Il raggio sfrecciò in direzione di Jodie, che intenta ad asciugarsi le lacrime poteva sembrare addirittura indifesa... Tuttavia Gelo non era stato l'unico a calcolare bene l'esito di ogni piccolo movimento.
La biondina si decise finalmente a scoprire gli occhi e fece scattare entrambe le braccia in avanti.
Colpì il raggio di Jason con una sfera che significava l'unione del ki  di ambedue le braccia; ciò lo fece deviare verso l'alto, e finalmente colpire la sua meta: il largo e dorato lampadario che con la sua luce aveva sempre abbracciato qualunque ospite, in quella rispettabile casa.
Ora, invece, parve desiderare un abbraccio col solo dottor Gelo, e a quanto pareva lo desiderava davvero ardentemente, perché si scaraventò sull'uomo al di sotto delle sue braccia con una fulmineità tale da non permettergli di muovere un singolo muscolo.
Il corvino ne approfittò, e rizzandosi in piedi indirizzò una scarica di sfere di energia contro il centro del salotto, dove c'era Gelo. Jodie fissò i tacchi per terra e imitò il fratello, mentre il lampadario si sfracellava al suolo in un’ immensa ondata di fragore.
       Pensavano di aver vinto, di aver ottenuto la tanto ambita libertà... Ma scoprirono che non era affatto così.
Da sotto i vari pezzi del lampadario scorsero una sagoma rizzarsi in piedi, e in quel punto seguì un'esplosione. Jodie si coprì il volto con le braccia, ma riuscì a vedere la figura del dottor Gelo avventarsi su di lei.
Dall'altro lato della stanza Jason sgranò gli occhi. Come aveva fatto Gelo a salvarsi? Forse aveva semplicemente respinto il peso del lampadario con un'improvvisa onda di "vento"... Ma cos'era poi quella sorta di vento, e tutto quel "ki"? Non importava, non era il momento, ciò che importava adesso era tutt'altro.
Scattò con una velocità della quale non si sapeva capace. Compì una capriola in aria, e con i piedi atterrò sulla schiena di Gelo.
L'uomo gemette sbattendo la fronte sul pavimento lacerato, ma fu più veloce del ragazzo che probabilmente intendeva continuare a colpirlo e roteò di lato. La spalla di Jason crollò sul pavimento così duramente che per un attimo provò una totale sensazione di paralisi, ma subito scattò in piedi.
 
 
       "Il mio corpo si è mosso da solo..." aveva esclamato in un debole sussurro Kim. "Ecco perché..."
Jason aveva chinato lo sguardo pieno di vergogna, e da allora un atroce dubbio gli attanagliava la mente...
...Che cosa intendeva dire il ragazzo?
 
 
     Jason sgranò gli occhi. Ecco cosa significavano le parole del fratello.
Jodie... Lui era scattato per proteggerla, per difenderla da Gelo, in maniera quasi automatica...
       Il suo corpo si era mosso da solo. Non significava che avevano dovuto muoversi le gambe pur di difenderla, perché una tale ipotesi avrebbe implicato la passività della sua volontà...
       Significava che in quel momento corpo e volontà avevano coinciso, avevano desiderato la stessa cosa, pur essendo distanti tra loro...
       Questo solo perché il desiderio di difendere Jodie era stato meravigliosamente forte.
       Ecco cosa intendeva dire Kim.
 
 
Jason serrò il pugno. Afferrò Gelo per il braccio trascinandolo su e gli impresse le nocche sulla guancia. Lo colpì ripetutamente con una scarica di pugni in pieno volto, ma improvvisa e distruttiva fu la reazione di Gelo il quale col dorso della mano gli sferrò un colpo così pesante che lo fece capitombolare sul divano dietro di se’.
Jason si ritrovò disteso sul soffice divano con la testa penzolante nel vuoto, quando i suoi occhi incontrarono il piccolo tavolo in cristallo, e fu allora che prese la sua decisione.
     I piedi atterrarono sulla crepa nel pavimento; il ragazzo afferrò il tavolino per una gamba e con un ringhio lo scaraventò sull'uomo alle sue spalle. E come previsto, Gelo non ebbe esitazione a farlo implodere.
Ma portare un braccio in avanti e creare un'esplosione dinanzi ai propri occhi dà ineludibilmente luogo a una distrazione, seppur lieve. E Jason non perse quest'occasione. Apparve all'improvviso davanti al dottor Gelo, chinato sul suo ventre, e qui congiungendo entrambe le mani creò un'inattesa esplosione.
Il corvino finalmente ridacchiò, mentre lo scienziato veniva sbalzato all'indietro e sbatteva la schiena su di una credenza priva di ante protettive - perché precedentemente polverizzate.
Imprecò a lungo, percependo indiscutibilmente la furia ribollire nel suo sangue, ma quando riaprì gli occhi i ragazzini erano spariti.
Quando scattò il capo per lui era troppo tardi. Jason apparve alla sua sinistra colpendolo con brutalità sulla guancia, e il colpo fu talmente duro che l'uomo si sentì trascinato, anche se da un solo pugno, e sbandando di lato tentò confusamente di aggrapparsi alla credenza, con l'unico effetto di gettare per terra interi servizi di argenteria e poi la vuota credenza di legno.
Il ragazzo non si fermò. Gli sferrò un calcio sul fianco, poi evitò un pugno e chinando il busto ecco una violenta gomitata nello stomaco; immobilizzò il braccio e divaricò le dita della mano, pronto a concretizzare una raffica di sfere di energia che da un po' scrutava nella mente. Ma Gelo non si fece cogliere impreparato e gettando il braccio in avanti col palmo già carico di ki stritolò la mano del ragazzo. Il ki di entrambi esplose.
Jason non riuscì a trattenere un urlo mentre capiva che la sua mano era appena stata ustionata, ma al dolore seguì una beffarda consolazione: anche allo scienziato era toccata la medesima sorte. Soltanto che Gelo non si bloccò come uno stupido a constatare la propria condizione, dovette intuire.
Delle dita si chiusero improvvisamente attorno al suo tricipite, e come se ne fosse una conseguenza il ragazzo si sentì sollevato e scaraventato in aria, fino a quando atterrò bruscamente. Con la schiena ebbe un terribile impatto con la superficie del tavolo di cristallo, talmente brusco tuttavia che quando pensò di essersi fermato sul bordo cominciò a sentire la superficie inclinarsi, e in un unico drastico istante l'intero tavolo andò a schiantarsi sulle lastre di marmo del pavimento, gettando il ragazzino in un ammasso di schegge e sfavillii di detriti.
Prima che un intero pezzo di cristallo balenò sulla sua faccia e gli facesse provare il caldo sapore del sangue, con gli occhi indugiò sulla sontuosa mensola al di sopra di lui, dove correva una moderata schiera di liquori ed alcolici.
     Jodie gridò il nome del fratello, e come un felino che si avventa sulla preda, con medesimo scatto ed impietosa ma coraggiosa voracità si slanciò sullo scellerato scienziato.
Ed appunto empio continuò ad essere egli, perché non si fece scrupoli di alcun tipo. Ma del resto, perché avrebbe dovuto? Tanto stava per trasformarli nelle sue creazioni perfette. Quindi il costante e determinato attacco dei due giovani lo poteva soltanto eccitare, rendere più deciso a farli suoi... Ma lo rendeva anche più isterico, perché ogni istante che passava era preziosissimo tempo sprecato.
     La biondina balzò in aria e le gambe si slanciarono su di Gelo in un vortice di elegante impeto, ma lui riuscì a pararle entrambe; afferrò la ragazza per le caviglie, probabilmente con l'intenzione di gettarla da qualche parte, magari proprio sul fratello. Ma in quel caso sarebbero stati entrambi facili prede, e lei non poteva permetterlo.
Sentiva di essere a testa in giù, con le braccia penzoloni: perfetto. Diede sfogo alla sua rabbia con un distruttivo urlo e disegnò nell'aria vortici di ki che provenienti dalle sue mani si schiantarono sul pavimento.
Gelo indugiò e iniziò a muovere passi indietro, quando sentì le sottili gambe della ragazzina scivolare e liberarsi dalla sua morsa. Jodie crollò sul buco che aveva appena formato nel pavimento, ma cadendo non esitò a portare il braccio in avanti e indirizzare una scarica di sfere sull'uomo, le quali nonostante le sembianze di pallide sfere di luce nascondevano una forza terrificante.
     Un’esausta onda di ki iniziò a formarsi nella mano di Gelo... Ma dovette spegnersi quando una pesante bottiglia di vetro andò a infrangersi sulla sua schiena.
L'uomo si voltò esterrefatto, avendo intuito la causa di quel dolore. E i suoi dubbi si rivelarono fondati.
     Jason respirava affannosamente mentre tentava di mostrare all'uomo un ghigno beffardo, celando il dolore che stava sopportando.
Con un salto aveva raggiunto l'estremità della mensola che correva lungo la parete della cucina, quella che aveva il delicato compito di esibire agli ospiti il prezioso corredo di liquori che una tale famiglia poteva permettersi. Si manteneva con la mano sinistra - quella ustionata - al legno della mensola con le gambe oscillanti nel vuoto, mentre con la mano destra impugnava già una bottiglia di vodka.
Senza aspettare ancora la scaraventò sul dottore. In quell'istante Jodie colpì l’uomo con un brusco calcio sulla schiena. L'effetto della loro tattica fu il gemito strozzato di Gelo mentre veniva colpito da quella schiacciante bottiglia in pieno stomaco.
<< Ancora, Jodie! >> tuonò il ragazzo.
"Mentre lei mi distraeva il moccioso ne ha approfittato per colpirmi" capì Gelo. Portò istericamente un braccio in avanti. "Cosa che più o meno stanno facendo sin dall'inizio..."
Una saetta di ki sfrecciò dalla sua mano e si gettò sul ragazzo; questi fece forza sui muscoli delle braccia, afferrò con entrambe le mani il bordo della mensola e balzò in alto. Il raggio andò a schiantarsi sulla parete, e quando la polvere dell'esplosione miscelata al fumo si diramò dovette rivelare agli occhi dei presenti un ampio ma tremolante buco nella parete.
Lo sguardo di Gelo si soffermò nel vuoto dell'ambiente esterno. Sgranò gli occhi.
"Ecco il loro piano!" capì, trattenendo a fatica uno slancio di imprecazioni.
Alle sue spalle Jodie portò entrambe le braccia in avanti.
Davanti a sé Jason, brancolante nel vuoto e agitando le gambe con la speranza di un buon atterraggio, congiunse le mani in un'unica direzione, perfettamente dinanzi a sé.
"Sanno che non possono battermi" comprese Gelo, mentre una goccia di sudore gli colava sulla guancia. "Anche se vorrebbero sconfiggermi a tutti i costi sanno che per loro non è possibile. Per questo cercano di distrarmi... Sperano di ottenere una via di fuga, magari proprio con le esplosioni che creo io!"
"Abbiamo capito che è facilmente vulnerabile" si ripeté Jason. I palmi delle sue mani si illuminarono di una potente luce gialla. "E' isterico e agitato, altrimenti con ogni probabilità ci avrebbe già presi".
"Sei uno squallido maledetto" lo accusò in pensiero Jodie. "La mia vendetta sarà atroce, te lo prometto... Anche se non adesso... Ora dobbiamo scappare il più lontano possibile". Gioì nel notare il luccichio di quell'accesa luce che si concentrava nelle sue mani.
Gelo digrignò i denti. "Mi costringono ad aprire vie di fuga, o mi distraggono con colpi semplici ma efficaci..."
I gemelli sgranarono gli occhi. Era il momento finale.
Il dottor Gelo scattò il capo. << Avete evocato dei nuovi poteri, ma non sapendo come controllarli avete fatto affidamento alla vostra astuzia... Geniali, semplicemente geniali! >> Spalancò le braccia, e implose in una risata convulsa. << Questa è la vera forza! Bravi, bravi, tutti i miei complimenti... 17, 18! >>
     I piedi di Jason toccarono bruscamente il pavimento. Inspirò lentamente, e non era più sicuro di voler semplicemente scappare. << Ora basta con queste assurdità... >>
Gelo ghignò soddisfatto. << Già, ora basta... >> iniziò.
     I gemelli non avevano torto. Era davvero il momento finale.
 
 
Lo scienziato ruotò lievemente su se stesso, disegnando un perfetto cerchio con l'estremità delle dita a mezz'aria. Al tocco del dito con il vuoto si materializzavano come per incanto delle grosse e sfolgoranti sfere di energia sospese a mezz'aria, formate - così pareva - da più strati di ki, e a giudicare dallo stridio lacerante e acuto con cui lo strato superficiale strisciava su quelli inferiori essi dovevano significare un terribile ed aberrante concentrato di energia.
Gelo chiuse gli occhi, decidendo con estrema generosità di nascondere tutto il suo disgusto per quegli umani. << ...Vi ho testati abbastanza. Sarete assolutamente perfetti, come cyborg >> .
       Il minuto che seguì fu un assurdo incastonarsi tra loro di attimi di puro terrore, cieca paura e smisurata quanto disumana follia.
 
 
Un grande masso gettato in acqua, così, all'improvviso, nella distesa più limpida che si possa ammirare, in cui però ti trovi tu. Provaci, e otterrai un'assurda esplosione di gocce singole, sì, ma talmente numerose e voraci che sarà quasi come essere annegato assieme al masso. E ovviamente, più il proiettile è grande, maggiore sarà la spietatezza con cui le gocce si avventeranno su di te.
 
       Tuttavia Gelo non ebbe nemmeno bisogno di questo masso, o perlomeno non fu visibile.
Probabilmente aveva fatto scoppiare un'altra sfera di ki, dall'inaudita potenza - pensò Jodie - ma senza che nessuno se ne accorgesse.
       Le palle di ki schizzarono via a una velocità disarmante, e spaventoso fu il constatare che nessuna direzione della casa stava per essere risparmiata.
Jason riuscì a malapena a seguire con la coda dell'occhio una sfera roteante infiltrarsi nella mensola al di sopra di lui e gettare via ogni piccola o grande bottiglia di liquore, per poi dissolversi in un'esplosone.
Le bottiglie si fracassarono sul pavimento, sui pezzi di cristallo sparpagliati sul pavimento, e i loro contenuti facevano a gara per occupare il più alto numero di piastrelle.
Per un attimo Jodie provò l'istinto di tapparsi le orecchie e allontanare da sé il suono di tutte quelle esplosioni, ma fu allora che scorse il suo dovere: ascoltare, e vedere. Doveva assolutamente ricordare lo scempio che si stava consumando in quel luogo, affinché Gelo venisse adeguatamente punito.
       Le esplosioni continuarono per una quantità di tempo che parve indescrivibile.
La ragazza osservò atterrita pezzi del divano bruciarsi in aria e sbattere sul muro, e trovò perfino il braccio del divano scaraventato sullo schermo del televisore, che iniziando a fumare crollò a terra, si crepò in due parti - o forse no, se era la paura a darle quest'impressione non lo poteva sapere - e rispettivamente dare vita a nuove esplosioni.
       Susseguite sfere andarono insistentemente a colpire i vari ambienti della cucina, quasi che niente e nessuno dovesse uscire vivo da quel luogo.
       Un ammasso di luce ed energia si schiantò sulla parete delle scalinate. Una piccola torre di fuoco iniziò ad innalzarsi.
       E fu allora che Jason vide due cose. O meglio, capì due determinate direzioni di quei colpi.
Un vorticoso gomitolo di ki, con tanto di luce abbandonata nel vuoto come se fosse l'inizio di un filo di cotone, girò l'angolo e dal botto che ne scaturì il ragazzino capì che quell'angolo non esisteva più. Si trattava dell'angolo protetto dalla scale, dove cinque anni prima era stata nascosta la piccola porta per un corridoio sotterraneo, il tunnel che teneva unite le due case, quella dei Jefferson e quella dei Logan.
       Il corvino sgranò gli occhi, ma il suo grido di disperazione dovette attendere il successivo obiettivo.
       Una palla di energia compatta - più brillante e voluminosa delle altre - volò con carnale desiderio di impatto verso l'angolo cucina, la superficie di fornelli con già delle pentole preparate, ricco di legno, acciaio e soprattutto... Gas.
Jason scattò le gambe nel più disperato balzo di cui si riteneva capace... Ma non aveva idea di cosa stesse accadendo alle sue spalle. Udì soltanto un'esplosione, un'anomala esplosione, e sentì il corpo pervaso dal bruciore che ne derivava. Ma non sapeva il perché di quella potenza, anche se lo poteva facilmente intuire.
       Il ki raccolto nella sfera si slanciò nell'anglo cucina, e ciò che ne derivò fu devastante. Parve che la stanza intera venisse distrutta dal botto la cui voracità non intendeva risparmiare nessuno. Mobili, credenze, mensole, corredi fracassati sul pavimento, pezzi interi di cristallo... Ma il fuoco che divampava trovò nella laguna di liquori amalgamati sul pavimento un eccellente complemento, e la bolla reale che siglò la loro unione fu l'esplosione immane e la scarica di fuoco che ne derivò.
 
       Boom!
 
L'esplosione che Jason sentì alle sue spalle lo scaraventò via con bruta empietà, ma il dottor Gelo ignorò le fiamme avide che si sparpagliavano per la casa e lo immobilizzò al muro. << Ora non mi potrete fuggire mai più...! >>
Il ragazzino sussultò sentendo l'improvviso calore di una fiamma avvicinarsi lungo la parete. << Tu... Tu sei pazzo! Questa è casa tua! >> Scosse la testa. << Ma adesso nemmeno tu potrai più scappare, pezzo di idiota! >>
Lo scienziato premette il braccio sul suo collo. << Sei uno stupido. Dove credi che vi trasformerò in cyborg, qui in salotto?! Vi porterò nel mio laboratorio >> rivelò, e il ghignò che seguì fu orrendamente diabolico. << Ho due laboratori, sai? Uno é alla base del Red Ribbon, ma suppongo che non sarà più sicuro ormai. E poi un altro... Che fino a poco fa era sotto questa casa >> .
Jason cercò di scacciare l'uomo, ma ormai cominciò a sentire la parte inferiore dei suoi jeans andare a fuoco, tuttavia sembrava che Gelo non soffrisse quel dolore.
<< Ma da un po' di tempo l'ho spostato in un luogo ancora più sicuro >> continuò esagitato Gelo, e una maledetta palla di ki comparve nel palmo della sua mano. << E sarà lì che voi diventerete cyborg! >>
Il ragazzo spalancò le labbra, e non riuscì a trattenere un urlo quando sentì del fuoco abbracciare le sue gambe.
<< SCHIFOSO VERME! >> fu l'improvviso ululato di Jodie. In un solo attimo spiccò tra le fiamme, dorata ed implacabile, e sferrò sul fianco di Gelo un colpo sferico dalle aberranti dimensioni.
Lo scienziato cacciò un grido di dolore e sbandò di lato. Jason rimase un istante fermo a prendere fiato, ma il fumo che si infiltrò nei suoi polmoni gli fece intendere che non c'era tempo da perdere.
Scattò indietro e scomparve tra le fiamme. Era l'unica cosa che si sentiva in grado di fare adesso, a suo rischio e pericolo.
<< No! >>> gridò la sorella quando il gemello si inabissò nel fuoco, verso quella che una volta era la cucina, e fu allora che alla sua destra vide Gelo slanciarsi verso di lei. La rabbia nei suoi occhi la paralizzarono come il veleno di una vipera.
       Jodie non riuscì a muovere un solo passo... Ma non ne ebbe nemmeno il tempo.
Egli attese il momento in cui Gelo si trovava a meno di un metro di distanza dalla ragazza.
Fu soltanto allora che Jason apparve dal muro di fiamme, con i contorni dei vestiti brucianti, e con un lungo coltello impugnato tra le mani. Gelo non fece in tempo a scansarsi e la lama del pugnale penetrò inarrestabile nella sua carne.
<< Che tu… Sia dannato...! >> imprecò l'uomo, e raccogliendo nella mano il sangue che gli colava dal fianco cadde sulle ginocchia.
       Lacrime di sangue erano schizzate su entrambi i ragazzi. Jason ignorò tutto quello che gli stava bagnando la mano. << Dobbiamo andare via di qui, presto brucerà tutto! >>
Jodie annuì sconvolta. << Ci sono Susan e Alphonse...! >>
Abbandonarono in gran fretta lo scienziato, e quando arrivarono in un punto del salotto non ancora troppo colpito dalle fiamme Jason riuscì goffamente a strappare la parte bassa dei jeans, dalle ginocchia in giù. Probabilmente, usando un po' di ki.
<< Non abbiamo tempo >> ammise con amarezza, e alzò lo sguardo. Fortunatamente Jodie lo aveva preceduto.
       Sentì le braccia della sorella cingergli il busto, e successivamente elevarsi rispetto al suolo.
Dove fino a un attimo prima si trovavano i gemelli crollò una pesante porzione di parete, che andò a frantumarsi.
Jason deglutì. La sorella aveva fatto un balzo davvero ottimo, pensò, quando si accorse di essere ancora avvinghiato a lei, e che stavano librando in aria.
<< Jodie, tu... >> iniziò a dire, ma le dita della ragazza delicatamente lo lasciarono andare.
Il corvino cominciò a scalciare l'aria, ma dopo attimi di panico capì di stare librando in aria. << Che cavolo... >>
<< Stiamo volando >> esclamò la ragazza. << E esattamente come abbiamo risvegliato il nostro ki, abbiamo scoperto anche questo potere. Forse... Forse siamo più capaci di quello che pensavamo >> .
 
 
       << Ma questo non vi servirà a niente... >> fu l'improvviso lamento di quella che, nonostante fosse una voce rauca, non celava affatto l’insanabile sete di sangue dell’efferato scienziato.
I ragazzi sgranarono gli occhi, mentre il fumo si intrufolava nei loro affanni concitati. << Gelo, ancora tu...! >>
Il dottore si sfilò il coltello da cucina dal fianco, e il sangue gli pulsò irrefrenabile. Portò stancamente il braccio in avanti. << 17, 18... >> sussurrò lentamente, e in un unico istante un'enorme sfera di energia si posò sule sue dita.
L'abominevole quantità di ki saettò su di loro.
       Stavolta fu Jason a proteggere la sorella. La scaraventò di lato, e fu lieto nel notare che la sorella riusciva comunque a mantenersi in aria.
La grandissima sfera di energia vorticò nel vuoto e colpì il ragazzo per metà busto, per poi precipitare rumorosamente alle loro spalle e trascinandosi per un po’ il corpo del giovane.
       Il dottor Gelo barcollò in avanti e fu costretto a chiudere gli occhi per il dolore.
Jodie dovette soffocare l'apprensione per il fratello e scacciare via la paura dalla sua mente. Planò verso il ragazzo, lo sorresse chiudendo le braccia attorno al suo petto sudato e scattante e leggiadra sfrecciò all'aperto, attraversando l'imponente varco che l'ultimo colpo di Gelo aveva aperto nella parete.
       Era talmente meravigliata da quello che era inaspettatamente riuscita a fare che permise ai suoi sensi di lasciarsi trasportare dalla fresca fragranza  dell'aria aperta, che al confronto col fumo che usciva da quella casa era il più nobile simbolo di purezza al mondo.
E mentre assaporava l'immacolata delicatezza dell'aria sul suo volto, e provò un'incommensurabile conforto nel notare che il fratello era ancora sveglio, poté udire il fragoroso ruggito del dottor Gelo alle sue spalle.
 
       L'uomo si gettò al diabolico varco, maledicendo la sua sudicia mano per aver creato una via di fuga ai due mocciosi.
<< Non mi sfuggirete! >> tuonò, e fu sicuro di essere stato ascoltato da quei teppisti poiché il volo di Jodie divenne più insicuro.
       Portò un'ultima volta il braccio in avanti, gli occhi efferati brillarono di una luce carica di stati d'animo. Sì, perché l'odio che stava provando non è nemmeno lontanamente immaginabile...
Nella sua mano si formò una nuova ed instabile ed esaltata sfera di ki, vogliosa e rabbiosa.
Ora basta. Questo li avrebbe fermati una volta per tutte. La furia gli impedì persino di ghignare. Gonfiò l’isterico petto. << Addio per sempre… Viscidi umani! >>















*Angolo dell'autore


 Sono tante le cose che vorrei dire, e quindi non so come bene come cominciare...
Quasi non ci credo di essere arrivato a questo capitolo. E' il momento culmine del climax della storia, il punto a cui tutto quello che è successo fino ad ora era finaizzato. E' come se per l'intero corso della storia ci fosse qualcosa che "aspettava", qualcosa che doveva accadere ma non era ancora il momento giusto. E questo capitolo è stato quel momento. 
Oltre che la realizzazione del mio ideale di "buona storia"... una strage insomma :3

Ps: mi sorprendo anche io di come Kim sia apparso poco in questo capitolo, ma è così che doveva andare.

L'idea di far accadere tutto questo in casa Jefferson... E' una delle prime ipotesi che consideravo quando pensavo a una fiction da scrivere su C -17 e C - 18, ed è un punto chiave nella storia, ovviamente.

Ho dovuto dare una particolare attenzione a questo capitolo, perchè è quello decisivo, definitivo. L'ho letto, corretto e aggiustato più volte, e non sapete quanto tempo ho impiegato per stabilire tutti gli intrecci di questi ultimi capitoli, necessari a lasciare da soli i due gemelli con il dottor Gelo, proprio adesso, in quella casa :3

Per cui... Spero vivamente che vi sia piaciuto. Ho dato tutto me stesso :) Si intende, in ogni capitolo o parola della storia ho dato anima e corpo, ma da quello che è successo in questo potete capire l'accurata attenzione e amore (xD) che ho dovuto avere.

E ve lo ripeto ogni volta, ma è il minimo. Ringrazio davvero, e infinitamente, tutti coloro che mi supportano, perchè senza di voi non sarei mai arrivato qui. Grazie di cuore, siete speciali :3

Ah, tra l'altro... L'immagine che ho inserito credo sia stata la prima cosa che tempo fa mi diede l'ispirazione, e fu allora che capii di voler scrivere una storia sul passato di 17 e 18. E poi da lì tutto il resto :3

Ok, ora vi lascio. Ma mi dispiace per Jason e Jodie :(

Tanti saluti, e buone cose ;) ;) ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Il momento dell'addio ***



Al centro dell'immenso bosco, come a controllare dall’alto l’intera distesa, si ergeva una collina solitaria.
I tre ragazzini non seppero resistere alla curiosità e salirono fino in cima, e qui trovarono ciò che mai si sarebbero aspettati. Un’apertura naturale, che si affacciava in quella che ai loro occhi pareva essere una grandissima caverna.
La piccola Jodie sembrava parecchio stizzita, Jason invece era addirittura entusiasta e così prese la sua decisione.
Estrasse dalla borsa della sorella, con gran sorpresa di quest'ultima, uno strano apparecchio – una sorta di cerchio metallico dotato di numerosi tasti – e controllando una cartina del territorio compose una serie di dati.
Si trattava di una recente invenzione del dottor Gelo, il teletrasportatore.
Grazie a quel piccolo tesoro che Jason aveva rubato senza che nessuno se ne accorgesse potevano recarsi in quella caverna tutte le volte che lo desideravano, semplicemente impostando le coordinate sul congegno nello studio di Gelo, la parte principale dell’invenzione.
Jason ridacchiò soddisfatto, compiacendosi dell'ammirazione della sorella e, come sempre d’altronde, di Kim. << D’ora in avanti questo sarà... il nostro rifugio segreto! >>
     Nasceva così un mondo immaginario perfettamente puro e personale, dove loro erano gli eroi e che, pertanto, necessitavano anche di nomi in codice.
"16" per il piccolo Kim, mentre i gemelli divennero i numeri "17" e "18", almeno per le loro mirabolanti fantasie... Solo per quello, mentre per il resto rimanevano sempre tre legatissimi fratelli...
<< Mi raccomando! >> dovette gridare Jason per richiamare l'attenzione dei due bambini ormai impazziti. << Qualunque cosa accada non dite mai, e dico mai, niente di tutto ciò agli adulti. Intesi? >>
Jodie e Kim sorrisero eccitati. << Intesi! >>
 
 

 

Capitolo 32: Il momento dell’addio


 
<< Jodie... >> mormorò con un filo di voce il corvino. Stavano volando verso l'ignoto, o meglio... Era la ragazza a volare, e a cingere saldamente Jason fra le sue braccia.
Il ragazzo scansò con delicatezza le sue braccia, e dovette meravigliarsi  nel constatare che stavano effettivamente galleggiando in aria.
<< Che razza di mostruosità è questa? >> commentò, provando a tastare l'aria con i piedi.
<< Se ci siamo riusciti noi, è possibile che qualunque essere umano possa fare una cosa del genere >> ragionò Jodie. << Ma noi ci siamo riusciti solo perché ne avevamo disperatamente bisogno... >>
O forse si trattava di speciali capacità ereditate dai genitori. Gelo aveva confessato che anche loro sapevano usare il ki, e quindi era plausibile che fossero pure in grado di volare. Ma adesso la questione era così poco rilevante oltre che assurda che non vollero più toccare l'argomento.
Come se avessero poche cose assurde di cui preoccuparsi.
     << Cosa facciamo? >> disse Jodie. Guardò il ragazzo con  lo sguardo di chi spera assiduamente in un conforto, ma sapeva bene che in quel momento ciò andava ben oltre le capacità di Jason. Ma non le importava più di tanto. Vedere il fratello che stava bene era già un'importante consolazione.
Bé, bene si fa per dire. Aveva l'intera parte sinistra del corpo lacera, sia i mezzi jeans sia la maglia, e si potevano facilmente osservare le ferite sulla sua pelle. La parte bassa della maglia nera era quasi completamente arsa, e le maniche bianche che avrebbero dovuto slanciarsi fino ai polsi, oltre quelle nere - più corte - in pratica non esistevano più. Solo filamenti sfilacciati, che la sorella aiutò a togliere.
Jodie invece indossava un giubbotto di jeans adesso annerito, una maglia nera con le maniche a righe che si era conquistata la sua dosa di tagli e bruciature, minigonna di jeans abbinata al resto, lunghe calze nere e stivali.
Jason prese il telefono dalla tasca e compose un numero. Era la più urgente cosa da fare. << Dobbiamo avvisare Kim. Deve sapere... di suo padre >> .
La biondina annuì, non sapendo cosa dire. Ancora non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo.
    Il telefono di Kim risultò irraggiungibile - era stato distrutto da Roy prima che lo pestasse - e quindi telefonò a John.
<< John! >> gridò Jason. Inavvertitamente rallentarono la loro corsa in aria.
Nella voce del ragazzo era manifesta una sincera consolazione. << Jason! Come state, dove siete? Avevo provato a chiamarti prima, per avvertirvi! >>
Ma il corvino si sovrappose alle sue parole e lo bloccò. << Non ho tempo, ti spiegherò tutto dopo >> disse. << Dov'é Kim? Devo parlare con lui >> .
John esitò, e osservò dal vetro della porta il ragazzo steso sul letto, con gli occhi chiusi, il corpo nascosto dalle lenzuola. << Lo devono operare, il proiettile è ancora nella spalla, ma non possono senza l'autorizzazione dei genitori… e la sua. Credo che stiano chiamando casa vostra adesso >> .
<< Passamelo! >> disse Jason. << Subito, non importa se non puoi! >>
Quello sbottò. << Oggi siete tutti strani... >> Con uno strattone alla porta entrò nella camera. Per fortuna non c'era nessuno, i medici erano usciti per andare a telefonare ai familiari del ragazzo, altrimenti per lui sarebbero stati guai. << Testa bacata, c'è qualcuno che ti cerca >> annunciò, e mostrò il telefono.
Kim girò stancamente la testa sul cuscino, ma John gli posò il cellulare sull'orecchio.
Non sapeva cosa aspettarsi. Rimase qualche istante in silenzio. << Sì? >> sussurrò infine.
<< Spero che non ti rompa troppo ad ascoltarmi, Kim >> esordì Jason.
Il ragazzo si ravvivò e istintivamente cercò di tirarsi su, ma scosse di dolore glielo impedirono. John gli fece sprofondare la sua faccia nel cuscino e accese il vivavoce.
<< Jason, sei tu >> disse Kim. Riusciva a malapena a parlare. << Dove siete, c'è anche Jodie con te? >>
<< Kim, sono qui >> comunicò la ragazza tristemente, accostando le labbra al telefono del fratello, ma si rese conto che in questa maniera non avrebbero potuto parlare granché con il ragazzo. Quindi Jason esaudì il muto desiderio della sorella e accese il vivavoce, anche se questo significava immobilizzarsi a mezz'aria, in quanto i sibili del vento avrebbero ostacolato la loro conversazione.
Kim levò un sospiro di sollievo. << Grazie al cielo, avevo così tanta paura... >>
<< Ancora una volta sei tu che ti preoccupi per noi. Dovresti smetterla, sai? >> scherzò Jason, anche se dovette mordersi il labbro.
<< Faccio bene a preoccuparmi per voi, siete degli scalmanati >> ribatté Kim. << Sono felice di sentire che siete sani e salvi >> .
<< Ecco... E' appunto di questo che ti vogliamo parlare >> mormorò il corvino in un borbottio. Squadrò la sorella e si rese conto che non stava parlando. Capì il perché. Anche se tentava di nasconderlo era lampante che poteva esplodere in lacrime in qualsiasi momento. Non solo per quello che avrebbero detto a Kim, ma per tutto quello che era successo sino a quel momento.
La rapina. I loro amici. Roy che si scopre essere un C-13.
Susan. La loro dolce e calorosa Susan.
Alphonse. Gelo. La loro casa, le loro cose. E poi...
Hilary ed Edward uccisi da Gelo. Gelo, l'uomo che poteva somigliare a un padre. Che diceva di amarli. Che diceva di piangere i loro genitori.
E poi c’era Kim. In ospedale, in procinto di essere operato, e solo ed unicamente per colpa loro.
     Jason contemplò più e più volte tutte queste scene nelle sua mente. Forse voleva soffrire, sentiva che se lo meritava, forse cercava di prendere tempo per riuscire a scegliere le parole più adatte. Ma poi la voce fuggì dalle labbra in maniera del tutto autonoma.
<< Kim, perdonaci >> .
 
     Il ragazzo attese alcuni attimi prima di rispondere, ma non furono sufficienti e Jason riprese a parlare.
<< Avevi ragione tu, non dovevamo immischiarci negli affari di quella baby gang. Seguire gli ordini di... Roy >> disse. << Siamo diventati dei delinquenti di strada, però... >>
<< Però ci piaceva >> lo interruppe mestamente la sorella. << Perché ci faceva sentire potenti e forti. Avevamo bisogno di crederci superiori a qualcuno, e la gang era la nostra unica chance. Ma questo tu lo sai >> .
<< Raga’ >> replicò Kim cercando di alzare la sua debole voce. << Avrete anche commesso degli errori, è vero, però ora lo avete capito. E' questo ciò che conta, no? >>
Jason scosse la testa, anche se suo fratello non poteva vederlo. << No, è troppo tardi ormai >> .
Il ragazzo sussultò nel suo letto. << Che dici, Jason? Non è mai troppo tardi >> . Continuò a tossire sangue insieme alla saliva. << Voi state bene, non m'importa assolutamente niente di tutto il resto... >> Ma si bloccò. << Voi state bene, vero? >>
<< Tranquillo, stiamo bene >> rassicurò Jodie. Bé, in parte mentiva, ma intendeva arrivarci con tatto. << Ma ormai è inutile pentirsi di tutto ciò che abbiamo fatto. Ora ascoltaci, piccoletto >> .
<< Ehi dolcezza, chi hai chiamato piccoletto? >> disse Kim ridacchiando, quando il suo sguardo rilassato scivolò alla finestra.
 
     Non poteva sapere dove, ma da qualche parte in città dovevano aver appiccato un incendio. Un pesante incendio. Perché mai una cosa del genere... Nel centro... della città...
<< Cos'é quel fumo? >> si lasciò scappare.
<< Ascoltaci >> irruppe Jason nei suoi pensieri. La sua voce era concitata, e cercava palpabilmente di nascondere la sua paura.
<< Da dove viene quel fumo? >> continuò Kim, cominciando a provare un’ostile vena di agitazione.
Nel cielo si liberava un fumo denso, scuro, prodotto di forti combustioni. Si insinuava tra le già pesanti nuvole che coprivano il cielo, e il tutto dava alla città una spettrale aria di foschia.
Ma quel fumo... La zona da cui doveva provenire tutta quella massa di fumo...
<< Lo vedete? >> gridò Kim per assicurarsi una risposta. << Il fumo... Voi dove siete, Jason?! >>
<< Noi... Dobbiamo scappare >> disse grave il corvino. << Non è una cosa che ti posso spiegare per telefono, dobbiamo vederci. Ma tu... >> Si guardò il pugno quando se lo ricordò. << Tu rimani lì, a curarti, sarai più al sicuro >> .
<< Al sicuro...? >> balbettò il ragazzo. << Ehi, di che cavolo parli? >>
<< Ci sentiremo più tardi >> incitò Jodie, stupendosi ella stessa di come le lacrime si tenessero ordinatamente strette dentro l'occhio. Ma ormai, non doveva stupirsi più di nulla. <<  Ma sappi una cosa, fratellino. Noi stiamo bene, siamo a posto... >> E inevitabilmente, con la mente salutò la tenera figura di Susan. << Kim, mi dispiace tanto... >>
     Jason prese la mano della sorella, e la fissò negli occhi. << Il nostro rifugio segreto >> dichiarò, dando alla sua voce un tono estremamente rassicurante. Dovette tremare per riuscire nella creazione di una tale, finta, sicurezza. << Kim, noi andiamo lì >> .
<< Cosa? >> mormorò il ragazzo, mentre le lenzuola si trasformavano in pesanti quanto soffocanti telai e il materasso aumentava la sua presa.
<< Ci nasconderemo al rifugio >> esclamò Jason, penetrando con lo sguardo la vacillante difesa negli occhi di Jodie. << Non mi dite che vi siete dimenticati del nostro rifugio segreto. Quella stupenda grotta >> .
<< Oh >> uscì dalle labbra della ragazza, e tentò un sorriso. << Certo che no, è che... Non ci andiamo da così tanto tempo >> .
<< Quindi... Vi ricordate ancora del nostro rifugio segreto >> commentò con pura meraviglia Kim. Esitò a lungo. << Del resto siamo degli agenti segreti, come dimenticarcene? >>
<< E di sicuro io sono il migliore >> disse Jason.
<< Ma il titolo di più bella spetta a me >> volle precisare Jodie.
Ora. In circostanze normali la rievocazione di questi ricordi avrebbe sicuramente sortito a Kim una piacevole sensazione di serenità. Ma adesso le parole che il corvino aveva pronunciato non potevano far altro che echeggiargli nella mente.
"Ci nasconderemo al rifugio".
     << Perché avete bisogno di nascondervi? >> disse. L’angoscia fu molto generosa nel colorargli la voce.
<< Te lo spiegheremo quando ti sarai ripreso >> rassicurò il ragazzo.
Jodie lo squadrò con amarezza. Sapeva che in realtà Jason desiderava nascondersi in ospedale, e che entrambi avevano bisogno di vedere Kim. Controllare la sua salute, assicurarsi che stesse bene, e anche solo per poterlo toccare o poter sentire la sua voce, direttamente, non per mezzo di un misero cellulare.
Tuttavia non sarebbe passato molto tempo prima che il dottor Gelo lo venisse a sapere. E a quel punto non sarebbero stati in pericolo solo loro due... Ma anche Kim, e tutte le persone che si affollavano nell’ospedale.
"Nascondersi in una grotta lontana da questo posto non è soltanto l'unico posto sicuro per noi, di cui Gelo non potrà mai sospettare" si rese conto Jodie. "E' anche l'unica maniera per non mettere in pericolo nessun altro".
<< Però mi raccomando >> continuò deciso Jason. << Non dire a nessuno dove ci nascondiamo, è una cosa fra noi tre. Kim, è importante >> .
<< Non ti fidare di nessuno >> implorò ansiosamente la ragazza, quasi senza rendersi conto che le parole crollate dal confine delle sue labbra avevano assunto la forma di un impellente grido di avvertimento.
E fu a quel punto... Fu allora che Jodie capì, o forse intuì, o più probabilmente temette.
Fu allora che sgranò gli occhi.
 
     Le parole che stavano rivolgendo a Kim, gli urgenti comandi che gli stavano affidando... Le parole di conforto e di indescrivibile amore che sentiva di volergli dire... Che desiderava venissero custodite nel suo cuore...
     Improvvisamente le vennero in mente le ultime parole di suo padre e di sua madre, i consigli che i genitori avevano elargito ai propri figli la sera di quel 24 Dicembre. Le parole che parevano barlume di voce prima di lasciarli dormire nella casa del loro amico, semplici raccomandazioni. Niente di più.
E che bruscamente si trasformarono da semplici raccomandazioni... A ultime parole.
 
     Deglutì, e il suo tono divenne improvvisamente brusco. << Ora andiamo, Jason >> .
Il corvino indugiò. << Kim >> disse, e comprese di star pronunciando il nome del ragazzo così tante volte solo per il piacere di soppesarne il significato. Prospettiva che lo indusse quasi a sorridere. << Probabilmente è da tanto che non ti parlo in modo così... calmo. Suppongo che da oggi cercherò di migliorare il mio carattere >> .
<< Ok, per me va bene >> rispose, ma capì di essere sul punto di perdere la pazienza. << Jason, ti prego... Dove siete? Che cosa vuol dire che non mi devo fidare di nessuno?! >>
Jason prese una piccola pausa. Cominciava a fare freddo a quell'altezza, e specialmente con gran parte della pelle a libero contatto con l’aria.
<< Kim >> disse. Un misto di emozioni gli attraversarono il volto. << Ascolta, Jodie ha ragione, non devi fidarti di nessuno. Non... Non ti devi fidare nemmeno... >>
     << JASON! >> fu il grido terrorizzato della sorella.
Il corvino sgranò gli occhi appena in tempo per capire.
     La biondina tirò a sé il fratello per i fianchi, e per l'isterismo lo graffiò sul fianco scoperto. Già, perché oramai l'isterismo era palpabile.
Come palpabile era il raggio che vorticò a pochi centimetri da loro.
Jodie trasse il fratello di lato appena in tempo per evitare che un fulmineo raggio di aura lo colpisse in pieno.
     << Ma che ca… >> cominciò a imprecare il ragazzo, quando constatò di non avere più il cellulare in mano. Chinò lo sguardo sotto i suoi piedi, e non poté far altro che osservare il suo telefono precipitare nel vuoto. << Kim! >> ruggì furiosamente, e scattò il capo nella direzione da cui era arrivato il colpo.
<< E' Gelo! >> annunciò. Non c'erano dubbi.
La ragazza quasi lasciò la presa. << Ancora quel pazzoide... Voleva ucciderci! >>
<< Non gli importa come saremo ridotti >> sbraitò Jason. << Se ci vuole trasformare in cyborg sarà pronto a tutto, pur di averci >> . Tirò la sorella per il braccio. << Dobbiamo scappare, o ci raggiungerà! >>
Jodie si voltò di lato. << Per… per colpa sua non abbiamo fatto in tempo ad avvisare Kim >> .
<< Lui non dirà comunque niente. A nessuno >> rassicurò Jason, e scattò.
Si sorprese nel notare che il suo volo era piuttosto veloce. La ragazza lasciò andare la presa, e riprese anch'ella a danzare nel vuoto autonomamente.
<< Gelo non ci sta seguendo >> notò Jason. << Deve essere ancora a casa. Il colpo veniva da quella parte, o almeno credo... >>
<< Oh bene, se non si è ancora scomodato significa che ci può raggiungere in qualsiasi momento >> capì Jodie, la quale non sapeva a chi fra le due dare più attenzioni al momento, se alla disperazione oppure alla furia. << Noi abbiamo appena imparato a volare... Mentre lui chissà da quanti anni può fare mostruosità del genere! >>
 
 
     E infatti era su questo che si basava il dottor Gelo. Era rimasto a guardarli da casa sua, dal varco che lui stesso aveva aperto e che - ironia della sorte - aveva permesso ai due ragazzi di fuggire.
<< Chi si sarebbe mai aspettato che foste in grado di imparare così in fretta? >> mugugnò lentamente.
Portò il piede destro dietro quello sinistro, trascinando il corpo come ormai faceva con la voce. << Meglio, questo mi conferma che sarete i cyborg perfetti… >>
Il suo corpo venne inondato di aura, e lo scienziato si ritenne pronto a scattare in aria... Quando il telefono di casa squillò.
Indugiò, sorprendendosi che la rete telefonica della casa funzionasse ancora. Aveva imparato che non bisognava mai rifiutare una telefonata, perché poteva essere in grado di cambiare significativamente i suoi programmi. E ancora una volta, ne ebbe la prova.
<< Pronto >> ruggì, non riuscendo assolutamente ad assumere un tono cordiale.
     Rimase in silenzio ad ascoltare. Era un suo stupido conoscente – un medico – che si era preoccupato personalmente di avvisare l'illustre scienziato dell'accaduto, di come fosse necessario operare suo figlio. Nella mente di Gelo diversi meccanismi si azionarono, e si rese conto di una cosa. Se Jason e Jodie intendevano fuggire e nascondersi da qualche parte, come era probabile, Kim doveva sapere dove erano diretti. Era inevitabile.
<< Fammi parlare con mio figlio >> ordinò. << No, non importa, fammi parlare e basta >> .
Aveva avuto un tono estremamente minaccioso, oltre che perentorio, e contava sul suo alto potere negli ambiti ospedalieri; infatti dovette attendere poco prima che venne portato un telefono al ragazzo.
<< Kimley, è tuo padre. Vuole parlare con te >> riferì lo stesso medico porgendogli il suo cellulare. Già quella situazione inaccettabile lo infastidiva, ma la presenza di John nella stanza parve esasperarlo. << Tu cosa ci fai qui? >>
<< Quello che fai tu, imbecille >> rispose in tono brusco, poi indicò Kim con un cenno come a ordinare di stare in silenzio.
<< Papà, sei tu? >> chiese il giovane.
Gelo prese un debole respiro. << Figlio mio... >>
Kim si sentì improvvisamente sollevato nel sentire la voce del padre. Si domandò se fosse a conoscenza di tutto quello che era accaduto, della rapina, di Jason e Jodie che stavano fuggendo...
Cosa era successo, perché la telefonata si era interrotta all'improvviso? E cosa aveva cercato di dirgli Jason? Immediatamente le parole del fratello gli risuonarono nella mente.
"Non devi fidarti di nessuno. Non ti devi fidare nemmeno..."
Nemmeno...? Poi la telefonata si era chiusa, ma di certo non era stata intenzione dei ragazzi. Cercavano di dirgli qualcosa, di metterlo in guardia. Ma da chi?
 
     << Papà, dove sei? >> disse, cadendo gradualmente vittima dell’esasperazione. << In città ci deve essere stato un incendio, da qui si vede tantissimo fumo. Non riesco a capire da dove provenga, però... >> Si interruppe. Non voleva nemmeno pensarlo.
<< Kim >> iniziò lo scienziato. << Hai visto che tragedia? Il mondo... E' davvero un brutto posto >> .
Il ragazzo levò gli occhi al soffitto. Non che si aspettasse necessariamente domande in merito alla sua salute, certo, però… Ora basta. Prima Jason e Jodie, adesso anche suo padre. Non ce la faceva più. << Papà, ma come ti viene? Non dire più scemenze del genere, non me ne importa niente di come è il mondo! >> Sussultò, e si rese conto di faticare a tenere gli occhi aperti. << Tragedia hai detto... Quindi sai cosa è successo. Però... dai, tragedia è esagerato >> .
<< Jason e Jodie sono scappati >> si affrettò a dire l'uomo, non curandosi delle parole del ragazzo. << Non so dove, ma devo fermarli. Corrono un grave pericolo >> .
E in effetti, secondo i sadici progetti architettati nella mente di Gelo, un vero pericolo incombeva su di loro.
Il pericolo che non diventassero dei cyborg.
<< Scappati? >> balbettò il ragazzo, e capì che la sua intuizione sul piano di Roy, sul fatto che casa sua fosse una minaccia per i gemelli, doveva essere esatta. << Loro stavano andando a casa... Papà, cosa è successo, tu cosa sai?! >>
<< No, non ti agitare >> lo esortò il medico tentando una voce protettiva. << Sei troppo debole. Dovete chiudere immediatamente questa telefonata >> .
<< Sono scappati >> sottolineò Gelo. << Fuggiti, non so dove. Ho provato a seguirli ma ho perso le loro tracce >> .
Al suono di quelle parole nella sua mano libera si accese una voluminosa patina di ki. Ciò che stava raccontando ovviamente non era vero. Anzi, stava seguendo con gli occhi i due ragazzi - anche se a breve sarebbero scomparsi dalla sua visuale - ed era pronto a scattare su di loro, e a creare una raffica di getti di aura che li avrebbero abbattuti. Tuttavia essi erano in volo, e pertanto era da considerare la possibilità che riuscissero a evitare i suoi colpi.
Se invece Jason e Jodie intendevano nascondersi in un determinato luogo sarebbe stato più comodo precederli, appostarsi nella loro meta e infine catturarli con facilità. Ecco perché voleva parlare con Kim.
<< Come “scappati”? >> disse il ragazzo, che provava uno sfinimento tale da ridurlo sul punto di lacrimare. << Che diavolo è successo... Qualcuno me lo può spiegare!? >>
Negli occhi di Gelo saettò un avido brillio. << Quindi tu hai parlato con loro? >>
      "Non devi fidarti di nessuno. Non ti devi fidare nemmeno..." Le parole spezzate di Jason risuonavano nella sua mente come un allarme, e come tale davano un senso di pericolo, di paura... Ma soprattutto acutizzava uno spasmodico senso di esacerbazione.
Avevano fatto solo una rapina! Era una cosa grave, ma... Ma tutto questo panico che caspita di motivo aveva di esistere?
<< Papà! >> strillò Kim. << Ti ho fatto io una domanda! Mi spieghi da cosa sono fuggiti? Tu... Tu li hai visti! >> intuì.
<< Non ho tempo, maledizione! >> tuonò il dottor Gelo, e l'urlo paterno non poté far altro che ammutolire il fracasso che era imploso all’interno della sua mente. Anche se solo per un istante, poiché dopo il frastuono rimbombò più virtuoso e possente che mai.
<< Tempo per cosa?! >> gridò il ragazzo sentendo ora il tepore di una lacrima scivolargli sul viso, e si ritrovò a scansare in modo brusco il medico che provava ad adagiarlo nel letto.
<< Tu lo sai >> supplicò il padre. Oh, enfatizzare le note adoranti e fameliche della sua voce non gli riuscì affatto difficile. << Sai dove sono diretti? Ti prego, se lo sai dimmelo >> .
<< Io... >> balbettò Kim.  
     "Non devi fidarti di nessuno" parve gridargli il fratello nella sua mente.
<< Figlio mio, Jason e Jodie sono in grave pericolo >> esortò l'uomo. << Sono l'unico che può salvarli... E' importante, se sai qualcosa me lo devi dire assolutamente! >>
<< Papà, che sta succedendo a Jason e Jodie? >> implorò debolmente il giovane.
<< Ora basta, chiudete questa telefonata! >> fu l'ultimo avviso del dottore.
"Non devi fidarti di nessuno, Kim!" continuava a predicargli il fratello nella mente, con una voce così forte che pareva essere lì, affianco al suo letto.
     Kim si voltò con occhi esterrefatti a guardare la porta, e sperava di trovare Jason, magari  proprio all'ingresso della camera, pronto a suggerirgli la cosa giusta da fare. Invece ciò che si ritrovò ad osservare fu un gruppetto di infermieri riversarsi all'interno della stanza, e mente le pupille saettavano per scorgere quanti più fulminei istanti vide perfino un giovane afferrare John e gridargli qualcosa. Gli urlava di uscire, immaginò, ma le sue orecchie erano accorte a captare così tanti suoni che le parole di quell'infermiere nemmeno si azzardarono a raggiungere il suo cervello.
<< Dimmelo, Kimley! Altrimenti Jason e Jodie moriranno! >>
Morire! Aveva sentito bene? Anche questo adesso...!
Ma se parlava sarebbero stati salvi...
John continuava a dimenarsi, mentre quegli sconosciuti tentavano di portarlo via...
"Non dire a nessuno dove ci nascondiamo, è una cosa tra noi, brutto idiota!" gridò Jason.
Jason! Dov'era? Veramente aveva parlato in questa maniera? O era la sua mente che si stava deformando? Ma quante domande... Forse stava semplicemente diventando pazzo.
<< Sei sordo o cosa?! >> sentì dire la voce di Gelo.
E questa? Era un'altra distorsione del suo cervello o erano state le vere parole di suo padre?
Gli occhi scivolarono di lato, e scoprirono John liberarsi dalla morsa del giovane e prenderlo a pugni in faccia. Dei medici più anziani si precipitarono intorno.
L'aria venne improvvisamente a mancare, la stanza si riempì di persone dalla stazza mostruosa, le pareti si allontanarono. Ma che, stava svendendo? Magari, almeno tutto quello sarebbe finito...
Quando poi dalle palpebre socchiuse riuscì a scorgere della polvere aleggiare nell'aria... Polvere scura, vorticosa, pareva particelle di fumo...
Il fumo! L'incendio che si era acceso da qualche parte in città lo riportò alla realtà.
     Il fumo, un incendio, un disastro, Jason e Jodie che scappavano da qualcosa...
Se avesse detto del loro nascondiglio tutto sarebbe finito...
Anche se non sapeva dire il perché, è vero. Ma tutto sarebbe finito, in qualche modo…
 
     Le parole che uscirono dalla bocca di Kim furono quasi automatiche, evidente manifesto di implorazione ormai autodistruttiva e velenosa. << La grotta dentro la collina >> dichiarò.
<< Il bosco... a nord di Orange Town, dove andavamo sempre quando eravamo piccoli. Quello con gli alberi così alti che toccano il cielo, ma che non possono essere altrimenti perché nascondono le case degli elfi. Gli elfi liberi, quelli che hanno allontanato gli umani. E' così che ti dicevo ogni volta >> .
Prese una pausa per deglutire. << In quel bosco c'è un'unica collina, una soltanto. Se vai in cima trovi un buco, tra le rocce. Un’apertura, insomma. In realtà dentro quella collina c'è una grotta, non troppo piccola però >> .
E finalmente si concedette un respiro. Poi più respiri, tutti molto lenti. << Papà >> mormorò con un filo di voce. << Ti scongiuro... Fa' qualcosa >> .
Seguì una lunga pausa. Ma a lui di certo non dispiaceva, aveva finalmente il tempo di respirare. << Papà >> ripeté.
Nulla, non ci fu alcuna risposta. << Papà? >> balbettò.
Afferrò il cellulare con le dita che gli tremavano. Davanti ai suoi occhi solo la schermata home del telefono, nient'altro.
John riuscì a farsi avanti e capì tutto, semplicemente vedendo la faccia di Kim. << Ha riattaccato... >>
<< Cosa... >> sillabò il giovane, non riuscendo a dare vita a un solo filo di voce. Sgranò gli occhi, e fu a quel punto che accadde l’inevitabile. Egli sprofondò di colpo nella più bieca disperazione.
E da ciò può conseguire soltanto una cosa. La follia.
 
 
     Il suo corpo fu tutto un impulso. Scattò di lato e andò rovinosamente a cadere sul pavimento; liberò i piedi dalla massiccia coltre di lenzuola e si rizzò in piedi.
Kim indossava soltanto dei pantaloni elastici forniti dall’ospedale, ed era invece a torso nudo. Fece in tempo ad infilarsi la camicia che avrebbe tenuto dopo l’operazione – ma senza neanche abbottonarla – mentre per i piedi decise che la cosa più veloce da fare era ignorare il freddo.
<< John >> sibilò. << Devo andare a casa >> .
Il biondo si accigliò. << Cosa?! Ma tu sei pazzo, non riesci nemmeno a reggerti in piedi! >>
Il ragazzo paralizzò i suoi occhi in quelli di John, e l'ira che li teneva accessi gli fecero recepire l'incrollabile fermezza delle sue parole. << Devo andare e basta! >>
<< Prendete i tranquillizzanti, per entrambi! >> ruggì un anziano medico alle loro spalle.
John si voltò esasperato. << A quanto pare abbiamo un cambio di programma >> cantilenò. << Bé, non vi sopportavo più >> .
Kim procedette barcollante verso la finestra, osservando con la coda dell'occhio il compagno che sferrava prima un pugno e poi ripetuti calci a tutti i presenti. << Sbrigati >> imperò con indifferenza, e fece per scavalcare la finestra. Per fortuna era il primo piano, altrimenti la fuga sarebbe stata molto più complessa.
John sfrecciò da dietro e lo afferrò assai indelicatamente, gettandolo sulle sue spalle. Compì un balzo e atterrò sul prato, e iniziò così a percorrere in gran fretta tutto il tragitto delineato da sporadici fiori e piante emaciate dalla stagione. << Tu non dai ordini a nessuno >> .
<< Intanto stai facendo tutte cose parecchio insolite per essere te >> commentò Kim. << Andiamo a casa mia, prima quei medici chiamino qualcuno >> .
John arrivò alla recinzione dell’ospedale, e non potendo – ovviamente – uscire dall’ingresso principale dovette scavalcare un muretto, e quasi capitombolò sul marciapiede. << Mi spieghi perché improvvisamente ti é venuta nostalgia di casa? >>
<< Perché davanti al garage ho parcheggiato il mio scooter >> rivelò Kim. << E così potrò raggiungere quegli idioti >> .
<< Alla caverna di cui parlavi prima? >> disse John. << Ma sarà lontanissima! Serviranno un paio di ore, forse di più >> . Svoltarono un angolo e l'ospedale scomparve alle loro spalle, nascosto da un miscuglio di palazzi sontuosi e negozi dalle vetrine ridicole. << Perché lo fai, perché sei così fissato con loro? Da quello che ho capito, per non so quale diavolo di motivo, ora vanno a nascondersi. Che bisogno c'è che anche tu vada lì, proprio adesso che ti dovevi operare? >>
Kim si assicurò di mantenere salda la sua presa sul ragazzo. << John, anche tu stai facendo cose strane. Ti posso chiedere come mai? >>
Il ragazzo si sorprese nel notare un senso di freddezza nella voce di Kim. Un’emozione che sarebbe stata facilmente comprensibile, ed inconfutabile. E a lunga andata devastante. Un’emozione che conosceva fin troppo bene per non accorgersene. << Sì, è vero. Sembra che ti stia obbedendo come un povero scemo, ma la verità è che non ci sto capendo assolutamente niente di tutta questa storia. Però in qualche modo sono immischiato, visto che si tratta di Jason e Jodie, e di Roy, il mio capo. Quindi voglio soltanto vederci chiaro, perché non sopporto l’idea di essere usato come una pedina >> . Pensò al leader della sua gang, a ciò che era accaduto davanti alla banca. Ai suoi compagni letteralmente gettati tra le grinfie della polizia. << E per farlo sono disposto addirittura ad aiutarti >> .
Kim dovette attendere prima di rispondere, intento a valutare i possibili significati di quella parola, “pedina”. Percorsero una lunga scalinata, fino ad arrivare all’inizio di un interminabile viale alberato. Dopo qualche traversa si infilarono nella strada che correva tra due fila di case, per evitare qualsiasi contatto umano. Ma la tregua durò poco, perché presto i corridoi di strade si affollarono.
Finalmente si risolvette di riprendere la parola, e riuscì faticosamente a formulare la frase. << Hai dei fratelli, o delle sorelle? >>
John esitò. << Uno più grande di me... E non lo sopporto. Ma questo cosa c'entra adesso? >>
<< Allora non puoi capire >> rispose Kim. << Lo so, in realtà siamo soltanto amici. Ma qualsiasi amicizia se diventa importante... Può portare a questo >> .
<< Ok, se non ne vuoi parlare non m'interessa >> tagliò corto il ragazzo.
E fu così che calò il silenzio. Perché l’uno voleva risparmiare il fiato per la corsa, l’altro non aveva assolutamente voglia di conversare. Era probabilmente troppo infuriato, oltre che basito, per poter formulare un discorso con una sua logica.
In realtà gli sarebbe piaciuto essere in grado di spiegare tutto a John, per poter così rispondere anche a se stesso: quella di John era infatti la medesima domanda che ogni tanto si affacciava nella sua mente. Tuttavia adesso sentiva un blocco alla gola che gli impediva di dare fiato alle parole, e questo sia per la distruttiva debolezza fisica sia per il crescente furore che, misto allo sconcerto, gli dava una spaventosa forma di nevrastenia.
E così rimase in silenzio, ascoltando il vento graffiargli il petto colorato dai lividi e percependo sempre meno dettagli dalla vista appannata.
 
     John scansò con rabbia delle donne che erano radunate come delle sceme in mezzo alla strada, e arrivati a un piccolo incrocio corse alla sua destra. Impresso sulla parete di un edificio, racchiuso in una targhetta dalla cornice argentea, poté leggere il nome della via.
Kori Steet.
Scivolò nella via. Non smise un solo istante la sua corsa, e ora cominciava a sentire il sudore sulla fronte. << Sei una testa bacata >> disse, ansimando. << Ora dovevi soltanto operarti. Che razza di idiota >> .
Kim ebbe un gemito prima di parlare, e capì che il dolore per il proiettile ancora nella carne lo stava costringendo alle lacrime. << Dev'essere successo qualcosa di grosso a Jason e Jodie, non potevo restarmene in un letto d'ospedale. Sento... Sento che hanno bisogno di me… >>
Le palpebre si serrarono da sole, e il peso del corpo si abbandonò morto sulla schiena del biondo, fiacco ed inerme.
John invece continuò ad osservare la strada che gli correva davanti. Inaspettatamente, pareva che nessuno attribuisse importanza al loro passare. No, non erano loro che non significavano niente.
In quella situazione più nulla contava qualcosa.
 
 
     Ai suoi lati gente che correva, uomini che gridavano aiuto, e donne che si scaraventavano i cellulari alle orecchie. Anziane signore che commentavano con un panico talmente vero che sembrava che il fatto riguardasse ciascuna di loro, e addirittura accorrevano ragazzini pronti a scattare foto con i loro smartphone.
Seguì con gli occhi quel mare in burrasca che si estendeva e ramificava per le strade, fino a risalire al suo ipocentro. E quando lo ebbe raggiunto si ritrovò a sgranare gli occhi.
<< Kimley... >> mormorò istintivamente, prima che potesse realizzare il terrore che ne sarebbe scaturito.
 
     Il ragazzino si rizzò debolmente, e oltre il ciuffo biondo di John i suoi occhi si fissarono su un'aura rossastra. Cos'era mai? L'atmosfera aveva per caso cambiato colore? O forse era solo svenuto, e adesso stava sognando. Chinò il capo di lato, e dal calore che sentiva sulla sua pelle e dal fumo che gli offuscava la vista capì che non si trattava affatto di un'illusione.
Il mondo intero parve crollargli addosso quando capì.
     Scattò giù dalla schiena di John. Non percepì nemmeno la mano del ragazzo che gli si trascinava lungo il braccio nel tentativo di fermarlo, e si precipitò verso le fiamme. Davanti a lui un muro di fuoco che si innalzava al cielo circondava… anzi no, inghiottiva la sagoma di una casa.
E quella casa era la sua.












E dopo un'eternità di tempo di assenza rieccomi qui.. :)
Era un mese (di più?) che non aggiornavo.. Chiedo davvero scusa a tutti coloro che aspettavano questo capitolo. Spero vivamente che vi sia piaciuto :)

Il problema è che è stato un novembre particolarmente incasinato. Poi il capitolo doveva essere più lungo, ma poi ho fortunatamente deciso di divederlo in due capitoli (questo e il prossimo), per ragioni più che altro.. di trama. Per non rendere il tutto molto pesante (spero davvero che non lo sia eh). Sarebbe risultato un capitolo eccessivamente lungo.. e così ho deciso all'improvviso di pubblicarlo questa mattina :D

Quindi chiedo venia per il ritardo.. T.T

Ora. E' una vita intera che aspettavo questo momento xD Ricordate il capitolo 14? Ho voluto chiamarlo "Il rifugio segreto" proprio per dare importanza all'evento.
Con la speranza che vi ricordaste di questo rifugio.
Perchè serviva a questo. Lo so, è uno sviluppo tragico :'(

Bè. Cosa farà ora il nostro Kim? Qui più che mai ho voluto dare particolare attenzione a ciò che accadeva nella sua mente, alle sue emozioni.. Quello che stanno provando i personaggi, i protagonisti.. E' la cosa principale della storia direi, ma penso che in una qualunque buona storia debba essere così. Dare un'importanza centrale alle sensazioni dei personaggi, perchè motrice di tutta la storia. E' così che la penso xD

Spero vi sia piaciuto, mille ringraziamenti di cuore a chi mi sostiene, chi recensisce :D ;D :D
Alla prossima!!!!!!!! ;) ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** La nascita di C-17 e C-18 ***


 
Il mondo intero gli crollò di colpo, disperdendosi in frammenti di detriti che si polverizzarono nel nulla prima ancora di toccare terra.
Casa sua era circondata... no, inghiottita da un immenso muro di fuoco.
Kim sfrecciò alla porta d'ingresso. Le mani gli tremavano e non sapeva dire nemmeno se avesse le chiavi, quindi la strattonò, e come se fosse soltanto un vecchio pezzo di polistirolo si liberò dai cardini e stramazzò a terra: il ragazzo non riuscì a capire se lo spaventoso fragore che si sviluppò derivava dalla porta crollata al suolo, o dalle fiamme che lo avrebbero divorato se non si fosse scansato in tempo.
Ciononostante, sparì tra quelle fiammanti ballerine che come ad inscenare uno spettacolo danzavano all'interno del salotto, accorte a toccare con i propri passi ogni timido angolo: pareti, mobili... E detriti?
Cos'erano quelli? Sembravano resti... del lampadario? Kim alzò lo sguardo, e capì che la sua impressione era giusta. Anche la cucina era avvolta tra le fiamme, ma già non esistevano più oggetti vari, come il tavolo di cristallo, la mensola con i liquori, il frigorifero... Anzi no. L'intera cucina sembrava essersi dissolta: forse ecco il motivo di quei brandelli sul pavimento che parevano ricondurre al più fornito registro di utensili.
<< Mamma! Papà! >> strillò. Poi ricordò che anche il maggiordomo aveva raccontato di aver raggiunto la casa. E infatti eccola lì, stesa sul pavimento e squarciata dal fuoco: la valigia di Alphonse.
<< Tu sei impazzito! >> infuriò John all'esterno. Tentò di valicare l'ingresso, ma le fiamme parevano non aver intenzione di far entrare qualcun altro nel loro territorio, e concentrandosi nell'ingresso sembravano voler comunicare che l'unico che aveva il diritto di entrare era il piccolo e misero Kim. Lui soltanto. Lui, unicamente.
<< Vi prego! Qualcuno mi risponda! >> fu il grido esasperato del ragazzino.
Scattò la testa in tutte le direzioni. I divani davanti a lui erano ottimi trampoli per le fiamme nel loro intento di raggiungere il soffitto. A sinistra delle piante, la finestra che si affacciava al loro garage; a destra la cucina, il frigorifero dove la mamma aveva lasciato riposare uno squisito tiramisù: dov'erano andati? Perché quelle insensate fiamme stavano, improvvisamente, portando via tutto?
Ladre... Ladre! Che facevano, qual era il loro scopo, quale il loro motivo?
C'era ancora un perché a tutto questo?
 
     I suoi affanni divennero rantoli, poi gemiti, infine esplosero in una convulsione di lacrime e grida.
Voleva inginocchiarsi, cadere al suolo... Avrebbe fatto meglio a rimanere lì, in ospedale, senza tutta quel casino che avevano creato per scappare... Perché era lì? Perché era nella sua casa...
Perché in quella casa?! Le due non potevano coincidere, non erano le stesse. Non potevano... Non dovevano!
 
     Le mura di fuoco persero la pazienza, e una piccola torre crollò su di lui. Era un pezzo di parete, o forse del soffitto. Evitò quei detriti all'ultimo secondo, solo quando una  piccola asta di legno rovente gli cadde sul capo e il bruciore lo ridestò.
Alzò gli occhi gonfi di lacrime: sopra di lui trasalivano le scalinate che portavano al piano di sopra, con quasi tutti i gradini già infuocati. Il fuoco stava raggiungendo il secondo piano! Anzi no, l'aveva già raggiunto. Diverse camere già rivelavano di essere state abbracciate dal fiammeggiante vortice che aveva già dilaniato forse l'intera abitazione.
Si fece prendere dall'impulso e sfrecciò al secondo piano. Dovette evitare diverse pire di fuoco, e nonostante stesse tentando di impedire al fumo di penetrargli nei polmoni cacciò tutto il fiato che aveva in corpo, e ruggì: << C'è qualcuno?!? Rispondetemi! >>
Chiuse la mano attorno alla sbarra di legno che fungeva da ringhiera, ma la sentì allontanarsi dal suo palmo e quando abbassò lo sguardo la vide sprofondare al primo piano con un gran tonfo.
<< Vi supplico… Rispondetemi… >>
     Il vorticoso fragore che le fiamme provocavano riuscivano a soffocare qualunque altro suono, che pareva pertanto impercettibile. Il ragazzo non si accorse dell’uomo che avanzava verso di lui fino a quando non fu abbastanza vicino da sentire la sua voce. E fu allora che vide tutto.
<< Cosa ci fai tu qui…! >> gridò un uomo: era Alphonse.
Il giovane si voltò di scatto, ma inevitabilmente la sua attenzione superò la sagoma di quel vecchio malandato e scivolò all'interno di una camera.
Si trattava della camera da letto dei genitori, e lì distesa sul letto vi era lei. Susan, sua madre.
 
     A quanto pareva le brutte sorprese non erano ancora finite, poiché quando si precipitò al cospetto della donna capì immediatamente che si trovava dove i due adulti non avrebbero mai voluto.
<< Mamma >> fu l'unica parola che riuscì a fuggire dalle labbra di Kim, e notò le sue dita premersi sull'addome. Nel momento in cui le afferrò la mano, comprese tutto.
Fu un solo istante.
Leggermente sotto le curve del seno. Ecco dove Susan cercava di nascondergli una ferita. Ferita che non aveva bisogno di un medico per essere chiamata fatale.



 

Capitolo 33 : La nascita di C-17 e C-18




 
     In quel momento una parete di fumo si affacciò nella camera e qui si soffermò.
<< Tesoro mio, devi andare... E' pericoloso >> mormorò Susan.
La donna vide le labbra del ragazzo serrarsi in una morsa e poi vibrare frenetiche. Kim provò per un solo istante a prendere un respiro, ma quando Alphonse apparve al suo fianco non riuscì a trattenersi ed esplose.
<< Alphonse! Che cosa significa tutto questo?! >> infuriò, e con la coda dell'occhio scoprì anche il fianco dell'uomo grondante di sangue.
L’anziano, dal canto suo, si accigliò quando si rese conto della condizione di Kim. Il ragazzo era scalzo, indossava pantaloni elastici tipicamente ospedalieri, e la camicia non abbottonata permetteva senza remore di osservare un corpo riccamente colorato da lividi e addirittura con grosse strisce di sangue asciutto. Del resto era la stessa situazione del volto, occhi gonfi e guance tumefatte. Aveva la schiena curva, le gambe parevano fragilissime, la voce gli tremava, ma ciò che gli destò più preoccupazione era il modo in cui si stava stringendo la spalla.
Fu la donna ad anticipare le sue parole implorandogli di rivelare cosa gli fosse successo, ma presto scosse la testa e tentando di farsi forza si mise a sedere al fianco dell’adorato figlio.
<< Kim, quando saprai la verità sarai tu stesso a voler andare >> confidò grave.
Susan e Alphonse si scambiarono un fugace sguardo d’intesa, ma la nube e la puzza di fumo che si facevano sempre più densi ricordarono come il tempo stesse scarseggiando.
Decisero così di parlare, e in breve Kim scoprì ogni cosa.
 
     Ecco così che ebbe inizio il discorso più malefico, inaccettabile e ingarbugliato del mondo, che per giunta proveniva dalle labbra della madre. Susan si stava trasformando in un’orribile bugiarda, e intesseva con inappropriata malignità un racconto di senso pseudo logico solo per farlo soffrire.
O almeno, così avrebbe preferito pensare.
Invece da qualche parte nel suo inconscio sapeva bene che la madre non poteva certo mentirgli.
     Eppure… quella che fu costretto ad ascoltare pareva la verità più aberrante e irrazionale che potesse aspettarsi. Gli venne detto, un po’ da Susan un po’ da Alphonse, che la causa di tutto quello era suo padre, il meraviglioso  uomo che con tanto orgoglio amava chiamare padre.
A stare a sentire quel caos di parole, annebbiate dalla ragione quanto dal fumo, sembrava che suo padre cercasse nuove fonti di potere e che pertanto intendesse realizzare due potenti cyborg.
Questo, utilizzando i corpi di Jason e Jodie. Questo, per vendicare la disfatta del Red Ribbon.
Ah sì, perché ora emerse anche che il vero lavoro di suo padre era niente poco di meno che capo del reparto scientifico di quell’esercito di pazzi.
     Cos’era, una folle ambizione di potere quella che aveva condotto Gelo fino a quel momento? Il fumo che si diramava nella stanza si faceva tangibilmente più tetro e compatto, così come le domande di tutti. Tuttavia, mentre cominciava a pensare che la stanza stesse andando a fuoco, Kim avvertì nella voce della madre una fioca luce di speranza.
     Jason e Jodie, cosa che sapeva già, stavano fuggendo. Susan non sapeva dove fossero diretti, perché aveva avuto appena la forza di accorgersi delle esplosioni al piano di sotto, tuttavia era presumibile che nemmeno Gelo conoscesse la loro meta.
Ed era assolutamente necessario che non venisse mai a saperlo.
 
 
Fu a quel punto che Kim si sentì davvero svenire.
 
 
<< Poco fa lo abbiamo sentito correre nello studio >> incalzò Susan, non sapendo adesso con che aggettivo riferirsi a Gelo. << Non siamo riusciti a fermarlo, deve essersi teletrasportato, ma non sappiamo dove… Kim, Kim! >> La donna gli afferrò entrambe le guance, e astenendosi dal desiderio di baciarlo poggiò la fronte sulla sua. << Amore, non facciamoci prendere dal panico, possiamo ancora trovare… tuo padre e fermarlo. Devi rimanere calmo, è fondamentale! >> esclamò cercando invece di calmare se stessa.
<< Lui non sa dove sono adesso Jason e Jodie. I ragazzi avranno fatto in modo che lui non lo capisse >> aggiunse Alphonse, respirando a fatica. Kim si bloccò puntando lo sguardo sulla camicia dell’uomo, in particolare sulla macchia di sangue che si allargava al livello del fianco. << Se però tu hai idea di dove possano essere, ecco, noi potremmo… >>
<< NO! >> sbraitò Kim, e afferrando le spalle della madre la cacciò da sé. Il suo volto dimostrava disgusto, ferocia, ma soprattutto il desiderio insopprimibile di gridare, di urlare al mondo intero il proprio disagio, lo schifo che provava nei suoi stessi confronti… Le lacrime si precipitarono però giù dagli occhi e fiondarono nella bocca tremante, dove le labbra si erano distanziate tra loro per evitare di mordersi e distruggersi, e il mento si era rivolto al soffitto con la speranza che gli crollasse addosso e ponesse fine a tutto.
     I singhiozzi iniziarono ad impossessarsi di lui, e da quel momento in poi fu solo un susseguirsi di lacrime e grida. Nell’intreccio di quegli spasmi sentiva quasi di essere strozzato, come se la madre volesse punirlo per aver compiuto un’azione così spietata. Quale azione? Oh, ma noi lo sappiamo, purtroppo…
Davanti agli occhi sconvolti dei due adulti totalmente incapaci di comprendere, Kim si piegava, si contorceva, scattava in piedi, crollava a terra e si rialzava sbattendo sul muro; sentiva il nauseabondo fumo che inondava la stanza e credette di scottarsi, vedeva il fuoco e cominciò a tossire. Serrava le labbra e mugolava, tentava poi di gridare ma i singhiozzi gli rapirono il fiato, e ciò che fuoriuscì dalla sua bocca fu solo dolore.
 
 
 
Quello che adesso rimaneva della sua precaria lucidità fu in grado dicapire soltanto una cosa.
 
Nulla di tutto quello aveva avuto un senso.
 
<< Lo sa >> esclamò dopo un lungo affanno.
Il rumore delle fiamme si faceva sempre più vicino. << Sa dove sono diretti >> .
Susan scosse debolmente la testa. << Che dici, come potrebbe… >>
<< CE L’HO DETTO IO! >> ruggì.
 
Nulla di tutto quello aveva avuto un senso. Mai.
 
 
Quello che seguì fu uno sbigottimento totale.
<< Come… cosa significa? >> balbettò Alphonse, tentando un approccio delicato.
Il ragazzo annuì. Poi deglutì, e annuì nuovamente. Ripeté queste semplici azioni ancora tre o quattro volte ed infine la voce riuscì a rivelarsi. << Poco fa ho parlato con Jason e Jodie… Mi hanno detto dove andavano… Ho promesso che non ne avrei fatto parola con nessuno… Ma ho parlato al telefono con lui >> disse, pesando al dottor Gelo. << Mi ha detto che Jason e Jodie correvano un grosso pericolo, la loro vita era a rischio, gli serviva sapere dove erano diretti… >> Si poggiò sulle sbarre anteriori del letto. << Mi dispiace, io non… Non potevo sapere… >>
Fu in questo frangente che Susan riuscì a sbalordire tutti, dimostrando un autocontrollo quasi innaturale. << Jason. Jodie. Gelo >> esclamò. Nonostante la debolezza volle ostentare una ferma determinazione, un autocontrollo che non sarebbe stata in grado di mantenere ancora a lungo. << Tutti e tre stanno per incontrarsi nello stesso luogo. Se però facciamo qualcosa subito siamo ancora in tempo a far sì che non si incontrino >> .
<< Possiamo fermare Jason e Jodie. Qualcuno li deve intercettare >> suggerì Alphonse.
Istantaneamente si rese conto dell’impossibilità dell’ipotesi.
Lui, sparato al fianco e con il corpo ormai troppo provato.
Susan, per il rispetto della quale è preferibile riflettere in silenzio.
E poi c’era Kim, che aveva tutta l’aria di nascondere qualcosa. Qualcosa oltre tutti quei lividi.
Fece per scostare il lembo di camicia dalla sporca spalla del ragazzo, ma Kim lo scacciò in malo modo. << Non toccarmi tu! >> urlò, e indietreggiando ancora andò a sbattere su una massiccia coltre di polvere e fumo. Si strofinò il braccio sugli occhi, elaborando le stesse considerazioni che già aveva fatto il maggiordomo, e annuendo sussurrò: << John. C’è anche lui, di sotto. Con il mio scooter mi può portare da Jason e Jodie >> .
<< Ok, allora faremo così >> rispose Susan, ed ecco che un’altra volta la sua prontezza sorprese non poco. Lei non sapeva chi fosse questo John, non sapeva come mai si trovasse davanti casa sua in un momento delgenere o perché mai avrebbe dovuto aiutare Kim in una tale impresa. Sapeva però una cosa: il figlio era sicuro di quello che aveva detto, e continuare a indugiare avrebbe significato solo un’inutile perdita di tempo. La sua fermezza dunque si basava su questo, sulla necessità e sull’urgenza che la vicenda implicava.
Non era ovviamente d’accordo con quel “Mi può portare”, ma di questo ne avrebbero discusso in un secondo momento.
 
 
     E fu così che il fragilissimo complesso si mosse. Il ragazzo provò a sorreggere la madre, ma non essendone ovviamente in grado venne sostituito da Alphonse.
Oh, se solo avesse avuto la forza di sorreggerla tutto sarebbe stato diverso. Come se un destino avverso avesse deciso che ogni sua azione doveva portare a una nefasta conseguenza, anche la più insignificante. E così accadde.
 
Oh, piccolo e innocente Kim…
 
 
Adesso si muoveva a piccoli passi, troppo debole e troppo esausto. Non singhiozzava più, né tremava. Né tossiva, né oscillava. L’unico suo movimento rimasto era il vibrare del labbro.
Pensò all’amato padre, che intendeva trasformare in cyborg i due gemelli. In macchine.
     Adesso, sentiva che l’intero suo corpo si stava comportando in maniera automatica. Meccanica.
Cosa voleva dire, che per caso adesso era diventato anch’egli una macchina…? Anzi, solo lui?
 
Una macchina…
 
Ripensò agli ultimi eventi, dal momento in cui uscì di casa per seguire i suoi migliori amici e intervenire dopo la rapina, fino a quando era fuggito dall’ospedale e aveva rivelato a Gelo la posizione del nascondiglio segreto.
Si era sempre comportato in maniera meccanica nei confronti di Jason e Jodie, sin da quando erano piccoli. Non aveva mai avuto bisogno di ponderate riflessioni per capire cosa fosse meglio per loro, e questo perché altro non desiderava che la loro felicità. Unicamente questo.
E aveva sempre pensato che non fosse una cosa strana o sbagliata. Erano suoi amici, li sentiva addirittura come fratelli, e riteneva che in quanto loro miglior amico il suo fosse un atteggiamento normale. Forse dovuto. Forse generoso. Ma non esagerato, insomma.
     Nonostante tutti i suoi sforzi, però, non era evidentemente riuscito a far comprendere il suo affetto. Ma si trattava realmente di questo, oppure era semplice bisogno di affetto?
 
     Adesso stava pensando ad altro, però. Al suo atteggiamento talmente automatico.
Meccanico.
Così si era comportato durante quella giornata. Anzi no…
Per tutta la sua vita era stato una disgustosissima macchina, ed anche piuttosto penosa. Un ragazzino incapace di tutto, buono solo ad emulare dei suoi coetanei oppure a nascondersi fra le braccia dei genitori e del maggiordomo che la vita gli aveva generosamente donato.
Ma ora? Non era più un bambino, era un ragazzo oramai. Avrebbe dovuto cambiare.
I due gemellil’avevano già fatto tempo prima, ma fin troppo. Aveva colmato lui questa esagerazione non cambiando per niente.
Era rimasto sempre il solito debole, e questo l’aveva portato a non capire un bel niente non solo di Jason e Jodie, ma nemmeno di suo padre.
 
 
     Scienziato del Red Ribbon. Causa di tutte quelle disgrazie.
Kim riuscì nuovamente a tossire, sputando una disgustosa quantità di sangue che stava disperatamente tentando di tenere dentro.
Il padre come membro del Red Ribbon? Pareva assurdo, eppure ci credeva.
     Non aveva più neanche la forza di rifiutare tutto quello, di sollevare qualche tipo di obiezione.
Certo, da una parte voleva averla quella forza, anche solo per potersi aggrappare a qualche tipo di verità; tuttavia sapeva che si sarebbe trattato di una menzogna, non di una verità. E di falsità a cui affidare tutta la sua vita ne aveva abbastanza.
 
 
Ecco. Potrebbe sembrarti una forma di lucidità questa.
Ma non lo è, per cui non crederlo. Sarebbe un grave errore.
Quella di Kim non era affatto lucidità. Era follia. E la follia può essere più razionale della lucidità.
 
     Vediamo come.
E’ lo stesso istinto che porta un uomo a spaventarsi di fronte ad una belva feroce. E’ proprio grazie a una sensazione assoluta, indipendente dalla nostra volontà e che anzi l’uomo vorrebbe tanto debellare – cioè la paura – che il battito cardiaco inizia ad accelerare, i respiri diventano più frequenti, e i muscoli si preparano, anche inconsciamente, a scattare.
Si tratta di un’inevitabile catena di panico che è la sola in grado di salvare l’uomo in momenti del genere.
 
     Bene, ritorniamo al caso di Kim. La disperazione che il ragazzo stava provando suscitava in lui il bisogno di un’attentissima analisi della realtà. Per far ciò era necessario allarmare i sensi, farsi travolgere dall’intensità della follia, e all’interno di questa crearsi una sfera di lucidità.
Sarebbe così nata una protezione del tutto inespugnabile, che proprio poiché unica nella sua specie non si sarebbe mai fatta abbattere prima del dovuto.
 
Ciò spiegava quello che, in seguito, avrebbe portato Kim a fuggire da quella casa e a soccorrere Jason e Jodie, e, purtroppo, anche le drastiche conseguenze che avrebbe riportato sulla sua psiche alla fine di tutta questa vicenda.
 
 
 
     Arrivarono alla soglia delle scale. Ai loro lati le fiamme erano pronte ad accoglierli fra le loro braccia… E delle lacrime scivolarono dagli occhi del ragazzo.
 
Oh, piccolo e innocente Kim…
 
Si voltò debolmente, e i suoi occhi incontrarono quelli dell’amata mamma Susan.
Ciò che accadde poi durò solo pochi istanti. Il tempo di rapirla definitivamente.
     Il giovane aveva teso la mano alla donna, già sceso di un paio di gradini. Susan sembrava ancorata al pianerottolo, probabilmente sconvolta dal tutto.
<< Mamma>> fu l’unico afflato di voce che riuscì a rivelare. Un’unica parola, tanto densa ma ferocemente temuta…
     Oh Susan. Umile e graziata donna quale sei, hai sempre anteposto la vita di tuo figlio a qualunque altra cosa, ed egregiamente glielo hai dimostrato. Sta’ tranquilla. Kim non è stupido. Sa bene quanto lo ami.
E fu così che indugiasti, soltanto per contemplare in atteggiamento di cieca venerazione il puro volto del pargolo tuo, sospirando e gemendo per il dolore che gli stava distruggendo le viscere.
Volevi toccarlo, hai voluto ammirarlo un’ultima volta, consapevole che non avresti avuto ancora molte altre occasioni…
E l’ultima fu.
 
     Il bianco del suo sorriso, l’eterno amore del suo sussurro… Quando Kim vide interporsi tra sé e la madre un’ostile barricata di fuoco grave e pungente, che accolse nel suo abbraccio l’intera distesa della scalinata e se la trascinò rovinosamente giù, al primo piano.
     Non sapeva Kim dove aveva preso tutta quell’aria, visto il fumo che aleggiava, ma assurdo ed impossibile fu l’urlo che come un velo lo accompagnava nella caduta, in mezzo a quei tronchi di legno e a quel fuoco infernale.
 
Ecco com’era. L’inferno.
 
E la vide allontanarsi da sé. Lui, che impotente veniva trascinato verso il basso, verso il tartaro dell’inferno.
Lei, che dolce e dignitosa si limitava ad indietreggiare, avvicinando inevitabilmente la sua anima a quel percorso di ascesa che avrebbe presto compiuto…
      E così giacque al suolo, con le braccia schiacciate dai roveti e con il capo nuovamente bagnato dal sangue, il nostro Kim, e a fargli capire che era ancora vivo accorse quella melodia… Esatto, era la madre, la quale già pronta a rimanergli vicino come un angelo custode lo esortava dall’alto a rialzarsi, a correre via, a proteggere ciò che amava davvero con tutte le sue forze…
Lo spronava a vivere.
 
Cosa, già capiva quello che poteva subentrare nella sua mente alla fine di quella catastrofe?
 
Dopo un tempo che parve interminabile Kim seppe faticosamente rialzarsi, ma dinanzi a sé non trovò i volti disperati della madre e del maggiordomo che lo fissavano. No, essi lo guardavano dall’alto colmi di un’emozione talmente profonda da non lasciar spazio ad altre. L’amore.
<< Sei giovane, tesoro mio >> esclamò la donna, con le lacrime agli occhi per la sofferenza ma anche per il dolore fisico, in quanto ogni tentativo di alzare la voce abbastanza per farsi sentire le faceva male esattamente come avrebbe potuto un coltello trascinato sulla schiena. << Hai tutta la vita davanti… Non ti arrendere mai >> .
Kim capì che la scalinata che portava al secondo piano era crollata, e non ci volle molto per arrivare alle conseguenze. Sentì il viso inondato dalle lacrime, così tante che forse gli stavano cancellando i segni del fumo e del sudore. << Aspettate, troverò un modo per farvi scendere… >> disse, ma guardò i detriti che lo circondavano e la realtà gli piombò addosso.
Ma Susan era intenzionata a non perdere tempo, o altrimenti avrebbero tutti sofferto ancora di più. Provò disperatamente a trattenere almeno qualche lacrima, ma non ci riuscì. << Tu non pensare a noi, Kim. Ora va’, devi andare. Vai, per il tuo bene, perché in questo momento sei l’unico che può salvare Jason e Jodie… Vai… Vai piccolo mio… Vai… Amore mio… >> Ma nonostante la sua amara fermezza le ultime parole risultarono strozzate, e la mano le corse a tappare la bocca.
Il ragazzo invece non riuscì a trattenere i singhiozzi. << Ma come faccio ad andare… Senza di voi? No, vi devo salvare, non posso lasciarvi così… >>
Alphonse seguì con lo sguardo un’intera porzione di detriti staccarsi dal soffitto e sfracellarsi alle spalle del ragazzo. << Kim… Vai! Ti scongiuro… Non pensare a noi…! >> Avrebbe voluto dirgli “Ce la caveremo”, ma da tutta quell’assurda situazione aveva capito che era meglio non raccontare menzogne. << Staremo bene >> si limitò a dire.
<< Mamma rimarrà sempre con te… >> si sforzò di urlargli la donna, e un attacco di panico la colse quando si immaginò il ragazzo dopo la tragedia. << Sei la cosa più bella che mi è capitata >> aggiunse in tono strozzato << e sono così felice… Di essere tua madre… Kim, ti amo tanto…! >>
Il ragazzino tentò di fissare i suoi occhi in quelli della madre. Non poteva toccarla, non poteva dirle addio come meritava… Avrebbe almeno voluto vederla, ma troppo fumo si ostacolava tra di loro e poteva cogliere solo fuggenti schizzi di luce. Sì, la luce aurea che emanava quella figura…
Susan cacciò tutto il fiato che aveva ancora in corpo. << Sono orgogliosa di te! >>
     Come una scossa di elettricità sulla mano che ti porta a scattare involontariamente il braccio, così le parole di Susan mossero i suoi piedi, e senza rendersene conto le gambe stavano muovendo piccoli passi indietro, oramai inarrestabili.
Alphonse rimase amaro a boccheggiare, e finalmente provò un passo in avanti. << Ora va’, Kim! >>
     Il giovane sentì la testa scuotersi ripetutamente, e nei secondi in cui l’animo tentava di raggomitolarsi su se stesso e nascondersi nel fuoco il corpo là fuori soffriva. Molto, di un dolore languido e violento, perché stava commettendo l’errore di allontanarsi dai suoi cari…
 
Kim. Il suo nome pronunciate così tante volte, per l’ultima volta…
 
“Staremo bene”, aveva detto Alphonse.
 
<< Non vi deluderò! >> gridò sofferto il ragazzo, con la voce lacerata ma tangibilmente forte abbastanza da farsi sentire. Sua madre e il suo maggiordomo avevano ricevuto le sue parole. Non li vedeva, aveva dato le spalle per scappare adesso, ma ne era sicuro. Aveva questa impressione.
E mentre le sue gambe scivolavano da sole convulse e odiate, rabbiose e funeste, poteva udire la voce della mamma che gridava il suo nome…
E non dovette più trattenere le lacrime. Non più adesso.
     Una folata di vento gli si gettò in faccia quando oltrepassò il muro di fumo che sostituiva la porta di casa ormai inesistente. Scattò a grandi passi nel giardino già malato, e la strada fu per lui solo un altro posto dove nascondersi a piangere. Piangere e singhiozzare, soffrire e lacerarsi…
Ormai non vi era più alcuna distinzione.
 
 
     Susan poté finalmente abbandonare il peso del corpo fra le braccia di Alphonse. << Mi dispiace davvero tanto per te. Io non sarei sopravvissuta in ogni caso, ma tu… Speravo potessi rimanere al fianco di mio figlio >> .
L’uomo accolse gentilmente il suo abbraccio. << Se rimarrà al fianco di Jason e Jodie non avrà bisogno di noi >> disse, poi prese un lungo respiro. << Susan, grazie per avermi permesso di essere un maggiordomo. Voi tutti non mi avete dato soltanto una casa, ma soprattutto una famiglia >> .
La donna schiuse le labbra, e dolcemente provò il tocco delle sue stesse lacrime. << Ti voglio bene, Al >> sussurrò.
Ed essi rimasero così, avvinghiati nel loro ultimo abbraccio, e sapevano che non sarebbe durato ancora molto. Sentirono il fuoco avvicinarsi ai loro corpi, tremanti e in piedi in quella distesa che una volta chiamavano pianerottolo.
Se qualcuno fosse sopravvissuto, questo non lo sapevano. Susan dedicò però gli ultimi istanti della sua vita immergendosi nei suoi pensieri, e non volle pensare a Gelo. No.
Pensò unicamente a Kim, e anche se il ragazzo non poteva saperlo gli fece una promessa. 
Gli giurò solennemente che da quel momento in poi avrebbe continuato a vegliare su di lui. Per l’eternità.
 
 
 
 

 

     Le ore trascorsero velocemente, scivolando via più liquide di bolle di sapone. Jason e Jodie scattavano nell’aria come se fossero uccelli da sempre dotati di eleganti ali, in grado di librare nel vuoto con eguale leggerezza e naturalità. Ma loro non erano uccelli, erano umani. E tali intendevano rimanere.
Tutto ciò che riuscirono a udire in questo lasso di tempo erano i loro affanni, mentre si trascinavano in quello che era un muro di aria e terra.
Terra, perché le scosse di vento che stigmatizzavano l’aria sollevavano una folta chioma di polvere e terriccio che penetrava negli occhi, e così le due dimensioni si congiungevano e si allontanavano, si cercavano ma si perdevano.
Aria, perché era questa la distesa su cui Jason e Jodie stavano ininterrottamente viaggiando, impotenti mentre sentivano l’energia che consumandosi indeboliva i loro corpi. Era informe e molesta, che più volte li sbatteva sotto di essa – oh, gli obiettivi erano tanti, per esempio chiome di alberi oppure speroni– e poi continuava ad attrarli a sé. Un modo ondulatorio e pericolante, che aggiungeva la collera al panico.
     Ma tutto questo stava finendo. Sì, finalmente l’incubo era terminato.
Jason toccò titubantemente terra, seguito l’attimo dopo da Jodie. Erano sul pendio di una collina, quasi alla sommità, e davanti ai loro occhi un’insenatura si incanalava nella roccia.
Uno spesso strato di muschio collaborava con un suggestivo gioco di alberi ed ombre al fine di nascondere alla vista di qualunque curioso la presenza di una grotta.
Che meraviglia… Solo dei bambini così spericolati potevano permettersi di elevare un tale posto a loro nascondiglio segreto. Bè, segreto lo era di certo, così occultato.
Si concedettero qualche secondo per riprendere il fiato, e anche Jason dovette concordare sulla necessità di cedere al suolo, distendere le membra stanche e finalmente riposare. Non vollero perdere altro tempo, e stabilirono di ritornare all’interno del loro nascondiglio.
I loro passi facevano molto rumore strascicandosi sul soffice terreno, ma ai ragazzi non importava. Erano soltanto loro due, del resto.
Nessuno poteva sapere del loro nascondiglio segreto.
 
     Nel cielo due robuste nuvole parevano fondersi l’una nell’altra. Forse era una semplice sensazione, visto il vento che le strattonava come se fossero in ritardo a un appuntamento importante. In effetti sì, esse avevano un preciso compito. Irrealizzabile, che andava oltre le loro capacità di umili nuvole. Ma tentarono comunque. E fu allora che una cortina di pioggia iniziò ad abbattersi sul terreno.
<< Che strana sensazione essere qui >> riuscì a commentare Jodie, prima che tutta la spossatezza trattenuta fino a quel momento la vincesse. Si inginocchiò a terra e non fece a meno di vomitare.
Jason prese un profondo respiro, e ridacchiò quando le ginocchia gli tremarono. Volare tutto quel tempo, per dei semplici e stanchi ragazzini era stato più devastante di quanto si possa immaginare.
<< Cavolo, che forza che siamo >> commentò, e si rese conto di essere salvo. Entrambi erano salvi.
I loro occhi ancora non si erano abituati al buio della grotta, ma presto l’avrebbero fatto. Nell’attesa Jason decise di tastarsi il petto scoperto e il collo, trovando un’ulteriore gioia nel foulard ancora legatogli dietro la nuca. Sospirò pesantemente, mentre la schiena gli scivolava lungo la parete fino a crollare per terra.
Trascorsero quelle che parvero ore, in realtà secondi – no, forse erano minuti – in cui l’unico rumore era provocato dalla tosse, o da piccoli impulsi di vomito della ragazza, mentre Jason si asteneva dal dire frasi stupide di conforto. Si limitò a pensare in silenzio, a soppesare il significato della loro recente vittoria.
Sì, perché almeno per il momento era salvi, lontani da tutto. Si erano allontanati, distanti da Orange Town, distanti da Kim, e stavolta anche dalla baby gang.
Forse avrebbero dovuto farlo molto tempo prima… Abbandonare anche Kim, e vivere una vita completamente nuova, magari in un’altra città.
Si raggomitolò sul freddo pavimento. No, non avrebbero mai dovuto abbondonare Kim, specialmente ora che sapevano la verità su suo padre. Si disgustò per il suo stesso cinismo.
<< Avremmo dovuto farlo tempo fa >> dichiarò Jodie, irrompendo nei suoi pensieri. << Venire qui, al rifugio. Avremmo ricordato chi eravamo una volta, e forse tutto questo non sarebbe successo >> .
<< Ormai è inutile pentirsi. Adesso riposiamoci >> disse Jason, ma ebbe un sussulto quando lo notò.
Il pavimento freddo e urlante sotto la sua pelle.
Non era terra, non era roccia. Era un qualcosa di agghiacciante, che nel suo gelo comunicava una grande assenza di emozioni. Un’apatia di vivere… Accidia? Forse. Non voler compiere il bene.
      Jason capì che qualcosa non andava. Le sue labbra si schiusero, pronte a chiamare la sorella, ma si ritrovarono a sussurrare un altro terribile nome: << Gelo… >>
 
      Jodie si voltò, e in un solo attimo tutta l’aria che stava respirando le si seccò in gola. Era lì, alle sue spalle, ritto in piedi. I loro occhi si stavano abituando all’oscurità della caverna soltanto adesso… quindi Gelo stava dall’inizio?
Si alzò in piedi, barcollando e attenta a non cadere nel suo stesso vomito.
Jason scattò in piedi, ma la debolezza lo imitò a lo assalì tutto. I due gemelli non dissero nulla.
Rimasero in silenzio ad osservare una porta metallica chiudersi alle loro spalle, bloccandoli in quella caverna.
Erano muti, mentre la maschera che copriva l’intero volto di Gelo diveniva chiara ai loro occhi.
Rimanevano pietrificati i nostri ragazzi, e solo gli occhi azzurri azzardarono un appena percettibile movimento per poter seguire due bombolette spray che dalle mani dell’uomo si riversarono giù, e toccando il pavimento ticchettarono sul marmo, sprigionarono una piccola nuvola di fumo, e poi scomparvero nella densa aria che acquistava sempre più consistenza.
Fumo, polvere, cos’era?
No. Era gas.
     Gas narcotizzante, che si estendeva nella caverna in maniera controllata. Pareva una cellula, che per portare alla nascita di un essere ha bisogno prima di costruire un corpo e poi ramificarsi in arti, fino ad occupare l’intero grembo materno. Ora il grembo era la caverna, e ostacoli come Jason e Jodie dovevano essere eliminati, per la salvezza del bambino. Il nascituro era il gas, e il suo pianto, che generalmente provocherebbe la vita, ora avrebbe portato a qualcosa di ben diverso.
I ragazzini indietreggiarono. Jodie si sentì afferrare da dietro, ma scoprì che si trattava soltanto di un letto. Anzi no, ce n’erano due.
Jason scuoteva più volte la testa, ma la nube era inevitabile, accesa, viva. E sembrava dirigersi proprio su di loro.
Inevitabile… Ecco come si colorava ciò che era sempre accaduto nella loro vita.
 
     Il dottor Gelo era lì, al centro, e camminava a piccoli passi verso di loro, accompagnando l’avanzata della nuvola di gas. Con lo sguardo ghermiva quelle irripetibili scene. Il corvino che dava forza a tutta la secca voce che ancora aveva in corpo quando vanamente si dimenava contro la nube, e nell’impetuosità dei gesti permise al suo foulard di scivolargli giù dal collo.
Jodie che divenne specchio dei suoi occhi, e si accasciò a terra nella speranza che tutto finisse subito.
Jason si chinò a terra, si mostrò pronto perfino ad abbandonare il foulard alla nube di narcotico che ormai l’aveva catturato e si prostrò di fianco alla ragazza. I loro occhi si incrociarono, e Jodie poté recepire un leggero scuotimento del capo del fratello. Provarono il respiro prolungato e sofferente sulle loro labbra, l’uno dell’altro.
I loro ultimi, supplichevoli e intimi pensieri furono rivolti alle tre persone più importanti della loro vita. Ai genitori, e a lui. Kim.
Stabilirono di comune accordo di porre fine alla loro vita con dignità, e fu così che essi tentarono un sorriso a testa alta.
Prima che la nube li avvolgesse per sempre.
 












*angolo autore

 Quando la disperazione prende il controllo sulla ragione, si può commettere qualunque tipo di atrocità. Ecco cosa sta sucedendo a Gelo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.. In pratica per pubblicarlo ho dovuto riscriverlo interamente, sono partito con l'intenzione di rileggerlo ma ho sistemato tutto xD
E questo è stato il più lungo periodo di intervallo, tra lo scorso capitolo e questo. Scusatemi, ma il primo quadrimestre stava finendo ecc ec.. ed ero troppo incasinato T.T
Ecco anche perchè ho risposto con ritardo anche alle recensioni... per cui chiedo umilmente perdono, e grazie di cuore per il sostegno :) :)

Spero che non vi siate annoiati leggendo il capitolo... E' che un giorno mentre il prof di matematica spiegava mi è venuta in mente quella parte sulla "follia" di Kim, quindi ci tenevo a scriverla xD

Tra l'altro... sì, ho cambiato nickname, ma per l'ultima volta credo ^^
Ultima cosa... Come avrete capito, questa storia sta finendo. Infatti, questo era il terzultimo capitolo... Mi dispiacerà immensamente scrivere l'ultimo capitolo, ma prima o poi doveva finire :( Spero davvero che continui a piacervi... E detto questo, vi saluto!!

Bè, mi dispiace per Susan, e ovviamente anche per Jason e Jodie :(

Ok, alla prossima. Grazie ancora a chi mi sostiene :D :D

Un abbraccio, e alla prossima.. con il penultimo capitolo ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** L'ecosistema del potere - La storia del dottor Gelo ***


 
 
Ansimava.
     Ansimava, tossiva.
Tossiva, sputava saliva e sangue, ansimava.
     Ecco quale spossatezza gli stava facendo compagnia.
Era un sadico susseguirsi di scene tutte uguali fra loro, pervase quasi da un senso di monotonia.
     Kim tremava per il freddo, per l’acqua e per il fango che gli sommergevano – talvolta fino alle caviglie – i piedi nudi, li sentiva arricchirsi di ferite, fino a quando una pietra troppo grande sul suo cammino lo faceva crollare di faccia a terra in una nuova sudicia pozzanghera.
In realtà non sapeva dire se le cadute erano dovute al terreno instabile, al suo corpo esausto oppure a diversi svenimenti, e siccome aveva la sensazione di impiegare troppo tempo per quel tragitto era terrorizzato al pensiero di essere svenuto proprio in simili frangenti, e così preferiva credere che il terreno fosse troppo scivoloso.
Si rialzava, provava l’impulso di abbandonare lì la sua camicia ormai ridotta a straccio vecchio e zuppo – ma non lo faceva – per il fastidio di tenere sopra la pelle già divorata dal sudiciume un tessuto così scorticato da risultare pesante.
E poi c’era il sangue. Lo sentiva caldo nella sua gola, veemente che scivolava dalle sue labbra, spietato che fuoriusciva dalla ferita sulla spalla, con il proiettile ancora circolante nella carne.
     Ricordava molto bene le parole di John. I due ragazzi avevano percorso con lo scooter una distanza assurda, ma alla fine avevano dovuto fermarsi. Potevano continuare a piedi, tuttavia è stato allora che era comparso.
Roy. Il leader della baby gang. Un ragazzo pieno di misteri, ma a quanto pareva un fedele alleato di Gelo, perché aveva dichiarato che solo Kim avesse il permesso di proseguire e raggiungere la grotta. John avrebbe dovuto rimanere lì. E quando i due giovani si opposero, Roy infuriò sul biondo.
“Non ti preoccupare per me” gli aveva gridato John. “Ti raggiungerò appena posso, tu spicciati!”.
E mentre se ne andava, lo scroscio della pioggia che si abbatteva sul tafferuglio venutosi a formare non gli impedì di ascoltare l’urlo di John che esclamava, in tono finalmente non più ostile: << Kim, ce la puoi fare! >>
A ciò era seguito l’inconfondibile tonfo di un corpo che veniva picchiato per terra.
 
     Sulle guance di Kim le lacrime erano ormai diventate un tutt’uno con la pelle, e sentiva tutto il suo corpo madido di sudore, sangue e fango.
Erano passate un paio d’ore, forse di più, da quando aveva sentito per l’ultima volta i due gemelli. Da quando essi si precipitarono a nascondersi nel loro rifugio, il rifugio che doveva essere segreto…
…e la cui esistenza lui aveva rivelato all’artefice di tutto quello che stava accadendo.
     Adesso, Kim non sentiva più. Forse provava dolore, ma si trattava di un dolore talmente esagerato che andava oltre la sua stessa comprensione.
Oh, no. La “comprensione” era la realtà più lontana ed inafferrabile che potesse esistere in quel momento.
     Emise un gemito amaro e prolungato quando cominciò a risalire il pendio della collina.
Un tempo appoggiati a quegli arbusti riusciva a scorgere solo le sagome di tre innocenti bambini. Ora invece a un’aria aspra erano attecchiti mortali e piangenti sussulti.
Sussulti? No, erano voci di disperazione… Ma erano reali, o le stava solo immaginando?
Invece scoprì che una voce esisteva per davvero.
 
     Era arrivato quasi alla cima della collina quando per la prima volta scoprì la voce di uomo... E quell'uomo era suo padre.
<< Tutti quegli anni di sacrifici, di finta benevolenza alla fine quindi sono serviti! >> sentì infuriare quello che pareva più un aberrante miscuglio di suoni che la voce di un umano. << E vi ricordate tutti i vostri sorrisi? Eravate così piccoli, innocui… e ingenui! >>
 
     Nel cielo si raccoglievano sudice stoffe sanguigne di nuvole e scaricavano la loro rabbia sotto forma di tuoni e bagliori, formando una cupola tremolante e preda di un grande caos, risultato della lite per decidere chi fra le luci e i rumori dovessero risultare più spaventose.
Effetto del litigio celeste fu un’intermittenza di luce accecante e profonda oscurità, nella quale si riusciva a distinguere soltanto la voce del tuono.
Pareva volessero accompagnare la corsa del ragazzo, scandendo rapidamente il tempo con la loro impetuosità, e facendo coincidere ogni suo piccolo passo con un nuovo e terrificante bagliore, intermittenti ed imprevedibili come una lampada guastata.
In effetti, era una lampada, solo che più grande e temibile.
 
     Mentre Kim fu costretto a chiudere gli occhi per un nuovo lampo, poté udire il lamento di Gelo: << Peccato che lui sia così debole, mi sarei divertito un mondo a vederlo diventare un inutile robot e obbedirmi così stoltamente! Inutile essere… Ma non fa niente, adesso ho voi qui con me, e farete solo quello che vi ordinerò…! >>
Quando la luce si estinse, nel bel mezzo di una parete fatta di speroni e cespugli, a una distanza non ampia ma fastidiosa, trovò un'insenatura. Questa portava all'interno di una caverna buia.
Era da lì che proveniva quella folle voce.
     Intanto l’efferato uomo completava definitivamente l’operazione. Era la realizzazione ultima del sogno della sua vita. Ora poteva ottenere tutto. Secondo il dottor Gelo, si era appena verificata l’acquisizione di un senso da parte di tutto ciò che era accaduto sino a quel momento. Secondo Kim, come avrebbe pensato in seguito, questa era la definitiva consapevolezza della più assurda mancanza di senso.
     Se erano più veloci i suoi piedi nel terreno o piuttosto il cuore nel perforargli il petto, questo il ragazzo non lo sapeva. Ma correva mentre piangeva e lacrimava mentre imprecava, in un unico soverchiante guazzabuglio di dolore. Credeva di avvicinarsi all’insenatura, ma la vedeva anche diventare sempre più lontana. A riportarlo alla realtà fu la voce – proprio lei – del padre, il quale: << Pulcini miei… >> iniziò, pronunciando con feroce enfasi quelle tragiche parole, da sempre usate con meravigliosa dolcezza ma adesso cariche di rabbia. << Pulcini miei… Rinascete! >>
     In quell’istante un tuonò si abbatté con tutta la propria indomabile forza sul fragile terreno, arrivando a terra con la forza di una bomba. La grotta vibrò, degli alberi presero fuoco e crollarono spaventati, e Kim sentì il suo cuore paralizzarsi e poi implodere. Non avrebbe voluto, ma cacciò altre lacrime: ripartì, spedito verso la caverna. Nonostante tutto… Era lì che essi si trovavano.
     Ritornò così nel  suo antico rifugio segreto.
 
Il folle uomo ebbe un solo sussulto. Sarebbe stato l’ultimo. << E’ venuto a salutarvi… >> commentò, e si voltò lentamente senza scomporsi. Fu allora che vide il ragazzo sulla soglia della caverna.
Kim dispose di un solo attimo per osservare l’uomo prima che lo sguardo ricadesse dietro di lui.
Sgranò gli occhi.
    Il dottor Gelo. Un uomo non troppo anziano, apparentemente affidabile ed amorevole, anzi. Semplicemente meraviglioso. Un uomo che aveva sempre permesso al figlio di sconfiggere la timidezza e avere un qualcosa per cui vantarsi: un padre eccezionale. Adesso, dietro il suo camice bianco ma ricoperto da numerose macchie di sangue, e adagiati su due diversi letti, li trovò. In realtà Kim pensò di trovarli, giacché ormai Jason e Jodie non esistevano più.
Ciò che vide erano soltanto corpi. Due corpi umani che giacevano immobili e senz’anima, completamente nudi. Nient’altro.
Da quel momento in poi – e forse per tutto il resto della sua vita – ebbe gli occhi costantemente sbarrati dal terrore, per cui per noi lettori sarà inutile continuare a ripeterlo.
Tremò, come se lo avessero appena pugnalato al petto. Fu uno scatto rapido, breve ed intenso: in futuro sarebbe stato colpito da scatti del genere senza preavviso, a volte, suscitando forte imbarazzo ai presenti di turno.
<< No… No…! >>
L’uomo sembrò oscillare, ma solo per posizionarsi meglio. << Sono felice di rivederti, mio caro >> disse. << Così prima che tu possa morire potrò assistere ai sensi di colpa che ti divoreranno inesorabilmente >> .        
Kim sentì una forte pulsazione alla testa. << Se solo… se solo li avessi ascoltati… >>
Quello che aggiunse Gelo fu del tutto destabilizzante. Spesso, diciamo piuttosto sempre, Kim da adulto avrebbe continuato ad interrogarsi in proposito: perché l’uomo stava dicendo quelle cose? Aveva ottenuto il suo obiettivo, perché ora uccidere lentamente il figlio?
<< “Oh no, dovevo stare zitto, non dovevo rivelare il nostro segreto, non dovevo fidarmi…?” E’ questo quello che stai pensando, vero? >> lo sbeffeggiò, con un’espressione stralunata. << Dì piuttosto: “Sono stato uno stupido per tutta la mia breve vita!” >>
     Di scatto, i corpi esanimi dei due ragazzi aprirono gli occhi.
Improvvisamente si diffuse in tutta la grotta quella che pareva essere una folata di vento, talmente potente e densa da graffiare i presenti. In realtà si trattava di ki.
Kim si parò gli occhi con il braccio, ma la dispersione del momento non gli impedì di notarli. Erano al centro della tempesta, nel punto in cui si trovavano i due letti coperti di sangue, e adesso si stavano lentamente alzando.
Il dottor Gelo ruppe la sua difficilmente conservata compostezza, e cominciando a gesticolare forsennatamente gridava: << Sì… Forza, venite avanti, cyborg! >>
 
     Le immagini che seguirono erano destinate a rimanere scolpite nella memoria di Kim in maniera indelebile.
Egli vide due sagome fuoriuscire dalla misteriosa foschia, e finalmente apparvero ai suoi occhi.
Tutto il resto sparì, divenne nulla. La casa, le fiamme, il dolore, il padre: niente aveva più importanza. Adesso esistevano soltanto loro tre.
Jason e Jodie erano dinanzi a lui, a un solo paio di metri di distanza. Erano loro due, i loro corpi sembravano uguali a prima, ma Kim capì che qualcosa era diverso.
     Ciò che gli sembrò inappropriato era il loro sguardo. I loro occhi azzurri erano così gelati da fargli provare un brivido di freddo sulla pelle. Occhi non socchiusi, non spalancati; non cattivi, né misericordiosi; né colmi di astio, né supplicanti. Vi era solo il ghiaccio, una cupa freddezza da renderli impassibili.
Silenziosi e pericolosi, Jason e Jodie erano dritti e fieri, sicuri nonostante fossero nudi. Questa era un’ulteriore cosa fuori luogo. Mostrare le proprie nudità significa avere intimità con una certa persona, ma ora se ne stavano lì, ritti in piedi, in quell’oscura caverna e in presenza di Gelo, e per giunta cominciavano a camminare…
Esatto. Kim si rese conto lentamente che avevano cominciato a muovere piccoli passi, nella sua direzione. Non riuscì a trattenere un singhiozzo; le gambe gli cedettero e crollò in ginocchio per terra.
Aveva capito cosa si trovava di fronte.
<< E’ colpa mia… Non sono stato neanche in grado di salvarvi… >> mormorò.
Li squadrava gelosamente, desideroso soltanto di amarli mentre non riusciva a soffocare il rimorso, mentre i giovani e forti corpi di Jason e Jodie arrivavano al suo cospetto.
<< Grazie di cuore… per tutti gli anni passati insieme >> disse, e decise finalmente di arrendersi.
Udì la voce dell’uomo imperare: << C – 17, C – 18, uccidetelo >>, e notò come Jason e Jodie scattarono le braccia in avanti, come se rispondessero a quei nomi. Anzi, a quei numeri.
I ragazzi divaricarono le dita, puntando le mani aperte verso Kim, e i loro palmi si illuminarono istantaneamente di una luce gialla. La luce prese consistenza, schizzò, e due saette si ritrovarono a sfrecciare  dalle mani dei gemelli, confluendo infine in un unico e violento raggio.
Ormai sconfitto, Kim chiuse gli occhi.
     Quel giorno, nel tramonto, oltre a un feroce temporale rimbombò anche un’indimenticabile esplosione.
 
 
 
 
 
 

Essere cyborg, Capitolo 34:
L’ecosistema del potere - La storia del dottor Gelo

 

 
 
 

     L’esplosione che seguì fu terribile: i cyborg avevano davvero un potere formidabile.
Avevano appena ucciso un umano, la prima vittima di una lunga e sanguinosa lista… No, questo era quanto Gelo sperava.
     Era appena terminata la vita di due umani, di due semplici ragazzini, e dalle loro ceneri erano nati efferati cyborg. Robot impressionabili e senza emozioni, macchine da guerra che avrebbero incondizionatamente obbedito a qualunque suo ordine. Da quel momento la loro forza e la loro volontà sarebbe stato al suo servizio.
     Questo, secondo i piani i Gelo.
 
 
     Ma Jason e Jodie non avevano la minima intenzione di essere delle marionette.
 
     Quando riaprì le palpebre, Gelo rimase senza parole.
Ciò che vide era un insensato ammasso di detriti e sporcizia; Kimley era stato scaraventato via dalla grotta, e si trovava in pietose condizioni disteso sul terreno antistante l’entrata del rifugio. Lo osservò, e capì che il ki dei suoi cyborg non l’aveva affatto colpito, e probabilmente era stato sbalzato via dalla semplice onda d’urto. Oppure ancora…
Si ritrovò a sgranare gli occhi increduli.
     Kim sbatté i pugni sul fango, e si rizzò in piedi. Non poteva sbagliarsi: Jason e Jodie avevano colpito volontariamente la parete alle sue spalle, e immediatamente dopo aveva sentito sulla pelle quella strana sensazione, una sorta di vento proveniente dai corpi dei gemelli, talmente potente da scaraventarlo fuori dal rifugio.
Kim stette in silenzio a percepire la pioggia che gli scrosciava sul corpo. Gelo respirava paurosamente, con molta cautela: rimasero entrambi muti, mentre i due cyborg afferrarono due mantelli neri – probabilmente preparati da Gelo per loro – e li indossarono.
Non più nudi, chiusi con gelosia in loro stessi, uscirono all’aperto. Nonostante le loro espressioni imperscrutabili andarono da Kim.
     Lo scienziato li seguì, ma rimanendo all’interno della caverna.
 
Era il momento finale: tutti e quattro in quello stesso assurdo luogo, e ognuno cercava di capire la prossima mossa da fare.
Kim notò lo sconcerto dell’uomo, e pensò dovesse essere terrorizzato: non sapeva bene cosa fosse successo, ma in ogni caso Jason e Jodie non avevano risposto ai suoi comandi. I suoi preziosi cyborg gli avevano disobbedito.
     I primi a parlare furono proprio loro.
<< 17 >> sussurrò Jason.
<< 18 >> fu il mormorio di Jodie.
Gelo annuì. << Esatto, sono i vostri nomi. Voi due siete i miei cyborg, e vi posso assicurare che siete le mie creazioni più potenti >> .
<< Non sono creazioni tue! >> sbraitò Kim. Padre e figlio incrociarono i loro sguardi, e il ragazzo disse soltanto: << Perché tutto questo? >>
L’uomo parve incresciosamente infastidito. << Ecco perché ti dovevano uccidere >> .
Il giovane scrutò mestamente i suoi migliori amici. << Roy… Lui mi ha permesso di arrivare fin qui, perché tu volevi vedermi. Il tuo scopo era uccidermi, sin dall’inizio? Perché… Perché diamine mettere al mondo un figlio se il tuo obiettivo è ucciderlo?! Dimmelo! >>
Serrò e spalancò le mani più volte, senza mai smettere di imprecare o levare gli occhi dai due gemelli. << Sono dei cyborg adesso, ma credi che questo mi possa fermare eh? >> Trovò l’ardore di ridacchiare. << Dovrai farmi fuori veramente se vuoi conservarti le tue creazioni >> .
Non prese un istante di fiato, non un respiro. Era determinato, nonostante le sue domande, a non farlo parlare. Avrebbe voluto delle risposte, ma tanto sapeva che non esistevano. << Tu continui a chiamarti uomo? >> infuriò, e iniziò a barcollare, a tossire, e a scattare il capo in varie direzioni. << Non hai pensato nemmeno per un istante, nemmeno per un unico, misero, schifoso istante a me? A Jason e Jodie, a quello che avrebbero voluto, a come mi sarei sentito io? A mia madre… Tua moglie, maledizione! >>
     I due cyborg seguivano ogni suo movimento con gli occhi, mentre Gelo si mostrò disposto a lasciarlo parlare.
Dalle labbra di Kim si levò un lacerante urlo di rabbia, colmo di dolore e di agonia. Sputò sangue sul suo braccio. << Per colpa tua mia madre è morta! >>
     Il suo astio e il suo sdegno implosero in una serie pressoché spaventosa di motivi per cui odiarlo, che elencò con l’indice puntato contro, con i pugni volteggianti in aria e con numerose sputi ricchi di saliva mista a sangue, nemmeno per i quali volle permettersi un respiro. Il fiato vacillava e riacquisiva vigore costantemente, mentre gli sferrava in faccia il dolore che stava – e avrebbe – provato per la morte della mamma del maggiordomo arsi vivi, per la distruzione della sua casa, e per la bieca spietatezza nei confronti di suo fratello e sua sorella, sottolineando con enfasi questo legame affettivo assolutamente fondamentale per la sua stessa esistenza.
Non avrebbe mai più potuto vivere, ci tenne a gridargli, perché non aveva una casa dove vivere né tantomeno persone con cui condividere la sua vita.
     Era per questo che aveva cercato di ucciderlo? Perché sapeva che ormai la sua persona era morta?
Esatto, perché a Kim non occorreva certo un corpo con cui mangiare in solitudine per dichiararsi vivo. Gli servivano persone, semplicemente queste.
E lui gliele aveva stappate tutte, dannazione!
<< Ma ora me le stappo io le persone che voglio >> annunciò con un ansimo, e scattò davanti a Jason e Jodie.
 
     Afferrò le mani del fratello e le tirò a sé, costringendo i suoi occhi a lacrimare: tutto affinché i suoi sentimenti arrivassero addirittura al cuore di un cyborg.
<< Jason! >> lo chiamò furente. << Svegliati, e vieni con me! >>
Kim attese senza esito una reazione da parte di quei tanto conosciuti occhi azzurri, e lasciando una sola mano del ragazzo provò ad afferrare quella della sorella. Per premettere al braccio della biondina di uscire allo scoperto scostò eccessivamente il mantello dal suo petto, e fu in questo che Jodie ebbe una reazione.
Improvvisamente, Kim si ritrovò gettato a terra da un brusco schiaffo in pieno volto.
 
     Crollò seduto nel fango, squadrando incredulo la ragazza. Anche lei era piuttosto perplessa: per qualche motivo, ciò che aveva appena fatto la turbava.
Kim esitò, per poi ghignare soddisfatto e dare sfogo a una risata isterica. << Quindi non sei soltanto un robot, Jodie! >>
A quel puntò il dottor Gelo si precipitò. << Ora basta, fermati! >>
<< Fermarmi? >> ripeté Kim, come se l’uomo avesse pronunciato la parola più assurda possibile. << Ho appena cominciato! >> gridò, e rizzandosi in piedi diede un violento strattone a suo padre.
Poi riprese a incalzare i gemelli. << Venite con me, non me ne frega niente se siete umani o cyborg, siete sempre voi! Jason… >> lo chiamò, puntandogli contro il suo sguardo inarrestabile. << Jodie! >> esclamò, e la vide ricomporsi.
La preda della sua furia ritornò allora ad essere il padre, e Kim gli espresse tutta la rabbia e il disprezzo che sapeva lo avrebbero inesorabilmente annichilito.
E poi… Chi era mai Roy? Quando il giovane lo aveva pestato con inaudito sadismo, e quando lo stesso lo aveva sparato alla spalla? Quelli erano ancora ordini di Gelo? Desiderava così tanto vedere il figlio morto da ridursi a simili mezzi?
<< Oppure avevi paura che io potessi salvare Jason e Jodie, e pur di avere degli schiavetti con cui giocare eri pronto a eliminarmi? >> si rese conto. << Quindi hai sempre dato la priorità al tuo lavoro, al Red Ribbon. Ah sì, perché tua moglie prima di morire mi ha detto anche questo >> .
All’improvviso il cuore gli arrivò in gola. Sentì la schiena curvarsi sotto il peso di questa nuova, allucinante consapevolezza. << Mamma e Alphonse erano stati sparati… Ma non mi hanno detto da chi >> sussurrò, e squadrò l’uomo con una rinnovata carica di incredulità.
Gelo provò a dire qualcosa, che non era stato lui, ma il figlio non gli permise di parlare e riprese: << Loro avevano scoperto tutto, la baby gang, Roy, il Red Ribbon… Ma sì, è ovvio, ti hanno affrontato e tu… Tu… >>
Fu allora che un ulteriore sobbalzo lo interruppe. Nella sua mente si era appena costruita un’altra deduzione, e così dichiarò gravemente: << Edward e Hilary >> .
 
 
     Fu in quel momento che le coscienze di Jason e Jodie sembrarono riaffiorare. Sino a quel momento essi erano rimasti insolitamente silenziosi ad ascoltare la conversazione dando parvenze di assenteismo, ma quando Kim pronunciò quei nomi i loro occhi finalmente si mossero con – seppur piccolo – interesse.
<< Erano poliziotti. Sarebbe stato facile per loro scoprire la verità >> si avvide il ragazzo. << E così come hai fatto con mamma e Al, anche… Edward… Hilary… >>
<< Kimley >> provò a dire lo scienziato, ma la sua voce venne prepotentemente soverchiata da quella del ragazzo, che riprese: << Come hai potuto? COME? >>
<< Ma tu credi che per me sia stato facile ammazzarli?! >> infuriò bruscamente l’uomo.
     Seguirono attimi di pausa, in cui il temporale tornò a farsi sentire.
In quell’ora avrebbe dovuto esserci il tramonto, ma invece nessuno lo vide, in quanto le nuvole erano più arroganti del Sole.
Il giovane si passò la mano nei capelli, strofinandosi su per la faccia uno spesso strato di sudiciume. << Sei davvero stato tu… >>
L’uomo sospirò, e la sua voce ritornò ad essere fredda e sadica. << Ho dovuto eliminarli… Sono stato costretto >> .
     Ed ecco che debole come un alito di vento, un piccolo soffio di voce provenne dalle labbra di Jodie. << Hilary. Edward… >> sembrò soppesare.
 
Kim sobbalzò e le si scaraventò davanti, in tono esagitato. << Esatto! E lui, quest’uomo… >> spiegò ansimante, indicando vagamente Gelo e riuscendo con difficoltà a pensare a lui come ad un uomo. Intendeva urlarle la verità, farle capire che non avrebbe mai dovuto obbedirgli, ma le parole di Jason si sovrapposero alle sue e privarono prepotentemente il suo fiato del coraggio di manifestarsi.
<< …Chi sono? >> chiese il corvino in tono spento.
Per Kim significò un nodo alla gola. Lo fissò esterrefatto, e assieme a un sofferto e prolungato respiro acquisì anche un’ostile consapevolezza.
     Jason e Jodie, adesso cyborg, non avevano più memoria del loro passato. Non sapevano chi fossero, che cosa significasse la loro presenza lì, in quel momento. Gelo li aveva derubati di tutto, fino all’ultimo: ciò simboleggiava l’incontrastabile trionfo della violenza, la quale era stata l’unica artefice della privazione di tutto ciò che apparteneva loro. Casa, amici, famiglia, felicità.
     Libertà.
     Coscienza di sé. Ecco cosa uno spasmodico desiderio di primeggiare aveva causato.
     La definitiva perdita di tutto.
 
Kim non riuscì a far altro che indietreggiare, e senza rendersene conto le sue ginocchia sprofondarono lentamente nel fango, in quella che volle ritenere la più profonda pozzanghera che al mondo potesse esistere.
Pensò di dover finire soffocato da quell’acqua, e ne fu lieto, ma invece erano solo le mani ad essere affondate, con le quali raccolse scivolosi grumi di fango e li portò ai capelli per soddisfare il bisogno impellente di provare una qualsiasi sensazione umana.
<< Era meglio se mi uccidevi >> commentò infine con un sussurro spento. << Almeno dimmi perché. Perché tutto questo >> .
Dovette trascorrere molto tempo prima che il dottor Gelo decise di confessare. << Il mio non è un semplice desiderio di vendetta. E’ vero, è stata colpa di un bambino se il Red Ribbon è finito, ed è per questo che nei circuiti di C – 17 e C – 18 ho scritto un preciso ordine. Eliminarlo >> .
<< Nemmeno un bambino può farti cambiare idea. Del resto nemmeno io ci sono riuscito >> osservò il giovane. << Vuoi costringere dei ragazzi che hai cresciuto come figli ad essere degli assassini? Sei uno schifoso illuso, non lo faranno mai >> .
<< Gli ordini del loro creatore sono assoluti, dovranno farlo >> rispose Gelo. << Prima di loro ho costruito ben 16 androidi, ma la maggior parte era difettosa e così ho dovuto annientarli. Solo quattro sono ancora funzionanti.  E uno di loro… E’ Roy >> .
 
Per Kim fu un tuffo al cuore. Si ricordò istantaneamente di tutto il dolore che aveva provato, e che per molto tempo ancora lo avrebbe accompagnato, a causa del pestaggio subito. Ripensò alla rapina in banca, e a Roy che fuggiva con entrambi i sacchi colmi di denaro.
Scosse il capo ripetutamente, provò un ghigno ma il suo tentativo venne stroncato da uno spasmo di tosse. Si rizzò in piedi, assimilando la notizia dello squallido atteggiamento di Gelo nei confronti della baby gang: lui in realtà l’aveva solo controllata mentre, tutti cercavano di risolvere la faccenda. << Jason e Jodie in una baby gang. Scoprirlo mi ha sconvolto. Ho fatto di tutto per bloccarli, imploravo te e mamma di fare qualcosa. Mamma evidentemente ci ha provato, e la morte sarà la sua punizione. E tu… >>
Appena l’immagine della sua Susan si stagliò nella mente, Gelo mosse un passo in avanti pronto a ribattere, ma Kim lo interruppe con un grido. << Mi sono pure chiesto come mai non facessi niente! >> esclamò. << Era ovvio, eri tu a controllare la baby gang! Che… Che pezzo di merda che sei, e io che mi fidavo di te! >>
Le gambe del ragazzo si mossero frettolose e sbadate in avanti; una crollò e l’altra la tirò su; si trattava ormai di un groviglio di mani e gambe, inoppugnabilmente tenute insieme dalle lacrime. << DIMMI PERCHE’! >> strillò. Seguirono numerosi sussulti e indugi, e infine un gracile mormorio: << Dimmi perché >> .
     Fu allora che accadde.
 
     Il dottor Gelo incrociò lo sguardo del giovane. Qui si soffermò, gustando la vista della passata delicatezza di quella figura ma immaginando la falsità della loro precedente relazione padre-figlio, e così nei suoi occhi incontrò la stessa disperazione di un certo bambino.
Un bambino gravato da una condizione decisamente peggiore della sua.
     Ripensò a quel ragazzino, individuo destinato sin da piccolo a rimanere tale per sempre: soltanto un singolo, un qualunque e insignificante moscerino all’interno di un immenso universo.
Ma era stato il medesimo universo a crearlo, e pertanto il ragazzo riteneva inammissibile che fosse costretto a sottostargli tutta la vita.
“Tu mi dai la vita. Io ti supero” pensava.
Altrimenti avrebbe significato nascere per essere un servo, la più tremenda forma di schiavitù.
E lui, la schiavitù, aveva deciso di combatterla.
 
 
 
 
 
     Era una mattina di pieno Agosto, e l’afa era talmente forte che pareva essere un oggetto alla portata di mano, anche per un ragazzino come lui abituato a non possedere nulla.
<< Bé, almeno questo ce l’ho io e ce l’hanno tutti >> osservò ad alta voce. In verità non era in compagnia, ma gli piaceva un sacco parlottare da solo a voce alta: gli dava la sciocca sensazione di avere amici con cui condividere i suoi pensieri.
“Che cosa stupida”, si rese conto. Ma del resto, un’azione così semplice e forse per alcuni automatica – parlare da solo – era l’unica controreazione che poteva muovere contro la sua vita.
Oh, non che fosse un tipo ribelle.
     Era soltanto un bambino, ma accettava già serenamente la propria condizione. Era l’unico figlio di due poveri contadini, e quasi interamente trascorreva le sue giornate zappando la terra, a tal punto che la notte – suo unico momento di riposo – era così preziosa che quasi non voleva sprecarla a dormire. In questa maniera le ore sarebbero passate troppo velocemente, e avrebbe avuto la sensazione di non riposare affatto.
Questo provocò in lui un’insonnia che non lo abbandonò nemmeno da adulto.
     I tre vivevano in una catapecchia di legno nel bel mezzo della terra: erano tutto quello che potevano permettersi, e così per andare avanti sfruttavano una piccola porzione di terreno per dar luogo al “miracolo”, come il bambino era solito chiamarlo.
Tu buttavi delle scemenze nella terra, e dopo un po’ esattamente in quel luogo vedevi crescere delle piante: un qualcosa che nasceva dal nulla, e solo perché l’uomo l’aveva prima voluto, e poi consentito.
Di quel poco che deteneva, sapeva bene di poterne scegliere il destino.
     Tuttavia, imparò presto che tale filosofia di vita non era una sua prerogativa.
 
     Le urla e le lacrime supplichevoli della madre: era abituato anche a questo. O infastidito dalla spietatezza della vita, oppure ubriaco – quando tornava dal paese lì vicino – il padre del bambino era solito picchiare sua moglie, oppure prenderla a cinghiate. E ogni volta era un nuovo e più potente terrore: se rimaneva in silenzio ad ascoltare, il ragazzino contava in silenzio quelle assurde percosse, sperando di avvicinarsi il più velocemente possibile alla conclusione del supplizio. Se invece interveniva, come faceva il più delle volte, la conseguenza era automatica: subiva il doppio delle percosse che la madre avrebbe dovuto ricevere.
     Ecco perché quando si rese conto di odiare suo padre era ormai troppo tardi.
 
Quella volta il ragazzino indossava soltanto una canotta e dei pantaloncini laceri, e stava proprio asciugandosi il sudore dalla fronte quando sentì uno dei soliti gridi di implorazione della madre.
Non ci fu niente di nuovo quella volta, nessuna reazione del padre diversa dal solito. Solamente, il vaso di Pandora venne aperto, e tutte le bestiali fratture nell’animo del bambino implosero e si dissolsero in debole polvere.
     Non sapeva esattamente perché lo stava facendo, ma di una cosa era sicuro: quando entrò in casa e trovò la madre seduta per terra con il volto gonfio di lacrime e il padre con la cinta già alzata in aria, decise di reagire. Non perché potesse o intendesse stabilire le sorti di colui che l’aveva generato, ma poiché si rese conto che la madre non era in grado di sconfiggere da sola la sua schiavitù, e lui, da figlio, aveva il dovere di aiutarla.
     Al suo fianco trovò un tavolino con piccoli pugnali e un repertorio di cinghie. Piccoli affetti del padre. Impulsivamente afferrò un pugnale, lo brandì minacciosamente e lo conficcò nel petto dell’uomo.
     L’urlo agghiacciante che la madre cacciò rimase per sempre impresso nella sua memoria.
 
 
     Il ragazzino non intendeva uccidere il padre. Si interrogò a lungo sul perché del suo gesto, e solo da adolescente seppe darsi una risposta: era stato una vittima.
Vittima dell’influsso malefico delle armi.
     Sentiva spesso come le armi e la guerra suscitassero nel cuore degli umani il desiderio di servirsene, perché gli esseri umani sono creature intelligenti ed altruiste, vero, ma anche incredibilmente egocentriche.
Lui non pensava di poter annientare la vita di suo padre. Voleva bloccarlo, impedirgli di arrecare altre sofferenze alla madre, e questo perché la amava incondizionatamente, ma mai si sarebbe visto capace di un atto del genere.
Uccidere era sbagliato, e lo sapeva bene. Eppure… Da quel giorno tutto migliorò. La donna sembrò ritornare lentamente alla vita, e di riflesso anche lui.
     Aveva ucciso il padre, ma adesso erano felici.
Aveva levato alla madre un oggetto che le procurava fastidio.
L’uomo era stato un loro oggetto, e quando non ne poterono più se ne liberarono.
Loro erano stati detentori delle sorti di quella miserabile cosa.
     Credeva che avrebbe dovuto combattere la sua schiavitù, e invece scoprì che per la prima volta in vita sua lui era stato padrone, e qualcun altro il miserrimo oggetto.
     Come si erano liberati loro due dalla schiavitù, così avrebbe potuto fare chiunque.
E lui, da uomo, avrebbe dovuto aiutare tutti coloro che ne avessero avuto il bisogno.
 
 
     Ritorniamo però a quando era soltanto un ragazzino. Lui e sua madre, soli al mondo, vissero un primo momento di elemosina per le vie del paese, e il piccolo Gelo non si dimenticò mai di tutti gli sguardi di compassione, di come li odiava, e di come ragazzi o uomini ricchi si divertissero a sputargli nelle mani, anziché dargli delle monete.
     Successivamente, proprio quando il suo odio nei confronti della società stava raggiungendo il culmine, si sentì amato, e vennero accolti in un istituto di beneficenza che scoprirono essere nato proprio per sostenere individui come loro.
Per lui fu un’incomparabile sorpresa: quindi esisteva qualcos’altro, oltre il male di essere e l’arroganza di chi ti è superiore. Fu, questo, l’unico periodo adombrato dalla felicità della sua infanzia, perché presto capì che si trattava di un’illusione.
 
 
     Madre e figlio passarono due amorevoli anni in questo istituto, ricevendo tutto l’insolito affetto che non avevano mai provato. Ma la donna era di salute malferma, e il suo fisico era stato indebolito in maniera ineludibile dalle percosse che così lungamente aveva ricevuto, al punto che dopo anni ancora ne risentiva.
     Era Gennaio quando un infarto privò Gelo dell’affetto della mamma. Fu una cosa improvvisa, e gli sembrava così ridicolo che dei medici, nonostante l’avessero portata in un letto d’ospedale, scuotessero le loro malefiche teste come a voler affermare il peggio che scappò via a gambe levate. Si rifiutava di crederci, non poteva succedergli anche questo.
La sua mamma, così dolce e straordinaria.
La donna che gli aveva promesso che sarebbero rimasti per sempre insieme: anch’ella, se n’era andata.
E se l’aveva abbandonato lei, avrebbe potuto farlo chiunque.
     Era Gennaio, quando si consumò questo tragico evento che straziò definitivamente il cuore del ragazzo. Ottimo inizio dell’anno, eh.
     Era Marzo quando ebbe il suo primo incontro con il Red Ribbon.
 
 
     Il piccolo Gelo se ne stava spesso seduto con le gambe incrociate nei paraggi dei bidoni della spazzatura. Si trovava a suo agio nascosto in quegli angoli. Nessuno lo notava, nessuno gli parlava. Nessuno lo derideva né compativa.
     All’improvviso delle esplosioni risuonarono nell’aria. Bé, quelle se le immaginava già autonomamente, senza aiuto esterno. Ma questa volta furono reali.
Il paese dove era costretto a vivere si scoprì nascondere un’immensa quantità di denaro, perfettamente occultato nelle casse comuni del Municipio. In realtà era i proventi di azioni illecite: insomma, una cosa non particolarmente degna di nota.
     L’organizzazione paramilitare del Red Ribbon era venuta a conoscenza di questi soldi e volle impossessarsene. Gelo assistette impotente e tremolante nel suo angolo di mondo alla devastazione del paese.
Una terza volta qualcosa che apparteneva la suo mondo lo stava abbandonando, tuttavia fu quasi come la prima volta. Si trattava di qualcosa di ostile, la cui assenza per un solo istante parve rasserenarlo, ma poi dovette avvedersi che non aveva più nulla, nemmeno materialmente.
     Continuò a chiedersi da quel momento in poi, in eterno, se esistesse davvero un fato già prestabilito o meno, poiché quello che accadde fu qualcosa di magico.
 
     Infinitamente terrorizzato e sconvolto, stretto in se stesso, vide tre giovani uomini avvicinarsi nella sua direzione. Il primo impulso fu quello di scappare, ma quando vide uno di loro tendergli la mano si sentì pietrificato.
Notò le loro divise militari. Il simbolo stilizzato di un fiocco rosso sui loro indumenti.
Avrebbero potuto renderlo oggetto, e poi ucciderlo. Ma non lo fecero.
Gli proposero la loro amicizia. Gli chiesero di andare via con loro.
     Tu cosa avresti fatto? Indifeso ed inutile, e trovi qualcuno che ti offre il suo affetto.
Gelo provò ad accettarlo, e scelse di seguirli.
 
    Ed infatti, ciò che egli poté sperimentare fu soltanto del bene.
Dal momento in cui venne presentato al capo di quell’organizzazione la vita del ragazzino migliorò nettamente, e inoltre questo gli permise di capire molte cose.
Anzitutto capiva bene come il Red Ribbon fosse un’organizzazione paramilitare, e come, grazie alla presenza di un potere unico, forte e autoritario, sconfiggesse alla nascita qualunque forma di povertà, schiavitù o debolezza.
Gelo venne accolto con infinita benevolenza da tutti quanti; ricevette un alloggio, del cibo, e addirittura un’istruzione.
Per la prima volta stava dunque ricevendo, e gratuitamente, tutto ciò che non aveva mai nemmeno osato chiedere.
     Infine, scoprì uno strano moto nel suo animo, una sconosciuta sensazione che per qualche motivo suscitava in lui una sorta di “esaltazione”. Bé, questa è una parola eccessiva, ma quello che il ragazzino conobbe ne era la base. Col tempo, capì che si trattava di felicità.
E questo lo sconvolse parecchio.
 
     Stava imparando che, nonostante tutte le avversità della vita, si può riuscire a incontrare quel sentimento che è la felicità.
 
 
     Continuamente continuò a domandarsi come mai il Red Ribbon avesse accolto un bambino qualunque: una delle tante domande a cui trovò risposta soltanto in età adolescenziale.
     Diciamo che si trattava sommariamente di una scommessa: i militari che lo avevano raccolto erano stati spinti da mera ingenuità giovanile, o compassione, e avevano semplicemente provato a prendersi cura di questo individuo. Cosa il futuro riservava loro, lo avrebbero scoperto.
     Più ponderata era stata l’approvazione del capo dell’esercito e di tutti gli altri soldati, i quali avevano fatto un calcolo: un’animale cresciuto in cattività, fuori dal proprio habitat naturale, in futuro si sarebbe rivelato un’interessante pedina. Oppure una grande minaccia.
     Gelo decise di non essere nessuna delle due.
 
 
     Stava studiando la natura degli animali quando lo capì.
Era stato portato in visita alla Muscle Tower, una delle principali basi del Red Ribbon, e si trovava in biblioteca, nelle profondità del palazzo.
Il ragazzo aveva ormai sedici anni, e aveva capito da tempo di essere particolarmente portato per lo studio della scienza. Stava approfondendo uno degli argomenti che più lo attiravano, la selezione naturale all’interno degli ecosistemi, quando comprese tutto.
     Per lui era accaduta la stessa cosa. La natura – la provvidenza, il caso, la natura, ognuno dà diversi nomi al medesimo concetto – aveva soppresso sia i suoi genitori, sia il paese in cui aveva vissuto. Era stata una perfetta dimostrazione della cosiddetta legge del più forte: il Red Ribbon, superiore in termini di pura forza al suo paese ma anche ad altri, era solito andare in giro e fare scorribande, distruggendo le case, rapendo uomini da rendere poi schiavi.
 
     Agli occhi del ragazzo improvvisamente l’intera società pareva un immenso, e più spietato, ecosistema. Vi erano le prede e i predatori, ma alla fine soltanto uno trionfava. E affinché i più forti avessero sia un modo di emergere sia dei deboli da schiacciare, l’esistenza di tutte le componenti era estremamente importante.
 
     I genitori; tutti quelli che come loro erano contadini; chi rinunciava totalmente alla propria vita per metterla al servizio degli altri; persone che nemmeno si azzardavano ad avanzare delle pretese. E infine anche lui stesso, finché non aveva incontrato il Red Ribbon: tutte inconsapevoli vittime della spietatezza dei potenti, le prede.
     I ricchi, i tiranni, i nobili: i predatori che alla fine avevano sempre ciò che desideravano.
 
     "Mi hanno accettato con loro solo per schiavizzarmi al loro potere" si rese conto Gelo, non senza paura. "Volevano vedere cosa sarei diventato, se una pedina oppure una minaccia. In pratica… Mi hanno usato come un esperimento" .
     Era un pensiero che lo faceva letteralmente tremare.
Non lo accettava, non poteva farlo, e così arrivò perfino a voler identificare il movente del Red Ribbon nella semplice e spontanea compassione. Era un bambino povero, e lo hanno aiutato.
Tutto qui.
E il suo animo tornò lentamente a sorridere.
Nella consapevole ma velata menzogna, vero, ma comunque riusciva a sorridere.
 
 
     Questa è la storia di Gelo e del suo complesso rapporto con il Red Ribbon. Relazione cementificata dalla gratitudine – talmente incondizionata da perdonare qualunque errore – ma anche da oscuri sospetti.
     Il nome di Gelo iniziava rapidamente a farsi strada sulle labbra di tutti, e veniva riconosciuto come un ragazzo prodigio. Immense erano le aspettative che tutti riponevano in lui, e questo non fece altro che accentuare il suo già ferreo desiderio di ripagare la riconoscenza che provava.
Tutto quello che diventò in futuro, quello che era, fu soltanto grazie al Red Ribbon.
Conobbe i sentimenti, l’amicizia, la fiducia… E infine, l’amore.
 
 
     Era all’interno di un immenso auditorium quella mattina, un aula dell’università più prestigiosa di Orange Town. Esatto, quello che il popolo additava come “esercito di bastardi” gli stava finanziando anche l’università, oltre a un buon alloggio in una città così cara.
     La lezione di biochimica terminò, e Gelo salutò tutti i suoi compagni: lui, disse, aveva una cosa da fare.
A qualche posto più avanti, accorta nel raccogliere i suoi libri, una ragazza pareva assai più luminosa e lucente degli altri. Gelo le si avvicinò cautamente, gustando con gli occhi ogni dolce dettaglio dei suoi lunghi capelli raccolti in ciocche color castano e del suo aspetto soffice e curato.
<< Il mio nome è Gelo >> disse, terminando la pila dei libri che la giovane stava compilando. << Tu come ti chiami? >>
Istantaneamente la ragazza si lisciò i capelli dietro le orecchie. << I-io sono Susan, piacere >> riuscì a rispondere con gran imbarazzo.
     Si erano appena conosciuti due semplici diciannovenni, ognuno dei quali non poteva nemmeno immaginare quanto avrebbe segnato la vita dell’altro.
Per merito di Susan il ragazzo imparò a distinguere l’amore dalla simpatia, il desiderio dal bisogno, la necessità di rendere felici dalla mera speranza. Essi si conobbero, di conseguenza si migliorarono, sentivano le loro anime più serene.
Fu grazie a quella ragazza che finalmente Gelo comprese cosa significasse essere felici, una sensazione mai provata compiutamente nemmeno con il Red Ribbon.
E questa consapevolezza lo aiutò a stabilire le sue priorità.
 
 
     Il dottor Gelo dovette fare un giuramento di fedeltà al Red Ribbon prima di sposarsi. Promise solennemente che non avrebbe rivelato nulla dell’organizzazione per cui lavorava a nessuno: cosa che accettò di buon grado. In questa maniera si assicurava che la sua futura moglie, eventuali figli, ed anche amici – se mai ne avesse avuti all’infuori dei suoi colleghi – sarebbero stati protetti dal Red Ribbon. Li avrebbe tenuti esclusi da una parte della sua vita così pericolosa, e prettamente per il loro bene.
Sarebbe stato un peso terribile da sopportare, certo, ma se significava la sicurezza dei suoi cari allora ne valeva la pena.
Le bugie che era costretto a raccontare alla sua bellissima Susan gli pesavano molto, ma era felice di poterla proteggere, e non dimenticava che questa possibilità gli era stata proposta dal Red Ribbon stesso.
 
     Con la sua donna riusciva a ridere, ad amare, a tessere delle nuove amicizie: conobbe così Edward e Hilary, giovani e loro coetanei, e i quattro adulti divennero inseparabili.
    
     Stava diventando uno scienziato sempre più ricco, e ottenne di lavorare per la ricerca nella stressa università dove aveva studiato. Inoltre anche Susan era una ricercatrice, e così Gelo, quando conobbe un uomo più anziano di lui di una decina d’anni circa, decise di assumerlo come suo maggiordomo.
 
     La notizia era largamente circolata in città: un uomo era stato licenziato dal bar in cui lavorava, e adesso si ritrovava a vivere senza una casa, passando le fredde notti con la sola compagnia di una rude coperta sulle panchine della città. La cosa aveva suscitato l’interesse di Gelo, il quale con piccole ricerche portò alla luce tutta la verità. Il gestore del bar era un esponente della malavita, e quello del gestore di un locale era soltanto una copertura; l’uomo aveva scoperto la sua vera identità e minacciava di denunciarlo alla polizia, ma non fece mai in tempo perché non aveva prove e presto venne licenziato. Fu Gelo ad occuparsi abilmente della denuncia, e finalmente riuscì a trovare il povero uomo.
<< Ti ammiro per quel che hai fatto, hai avuto fegato >> gli disse fermandosi dinanzi a lui. Conosceva il suo nome, sapeva della sua onestà: lo voleva aiutare.
Gli porse la mano. << Io sono Gelo Jefferson. Molto piacere, Alphonse >> .
 
 
     Era ancora gelosamente impresso nella mente di Gelo ogni vagito che udì quel giorno.
Era il 31 Dicembre, pochi giorni dopo la nascita dei gemelli di Edward e Hilary, e un nuovo immenso motivo di gaudio si affacciava alla porta della sua vita: era diventato padre.
 
 
 
 
     Hai potuto leggere, dunque, dell’incredibile vita di Gelo. Da ragazzino gettato sulla terra e sulla miseria a uno degli scienziati più ricchi del mondo, e venerato dalla moglie e dal figlio.
Ecco inoltre come fu attento nel designare le sue priorità, ed ecco anche la nascita del suo errore: Susan e Kimley, questi i doni indiscutibilmente più preziosi che la vita gli aveva offerto, ed egli era pronto a tutto pur difendere la loro felicità.
Disposto addirittura a trasformare, inconsciamente, questo desiderio in un’ossessione.
 
     Non tutto andò come aveva voluto, tuttavia.
Gelo raccontò a Kim dell’incidente avvenuto cinque anni prima con Edward e Hilary, e della loro morte per mano di C – 16… No, ciò che avvenne fu soltanto colpa sua. Confessò di come era stato costretto a scegliere fra due opzioni: permettere ai suoi amici fraterni di vivere, e quindi di arrestarlo, oppure se ucciderli, ma continuare a proteggere il mondo con la sua tecnologia.
Bè, si tratta di vicende già lette, perciò ricordati una cosa: ciò che successe quel giorno sconvolse Gelo più di quanto voleva far credere.
Capito? Non poteva nemmeno sfogarsi e dichiarare tutto il dolore che provava, perché avrebbe dovuto prima ammettere la propria responsabilità, e se ci pensi è la medesima disgrazia che si abbatté su Jason e Jodie. Non poter dire a nessuno cosa si pensa, esplicare il dolore che si prova, afferrarlo e scaraventarlo fuori da sé, e così liberarsene.
Il dottor Gelo non poteva dire nulla, e la pressione che ne derivava, insieme alla consapevolezza della crudeltà del suo gesto, portò la nevrosi a sorridergli nella mente.
 
 
     Oramai, siamo quasi alla conclusione di questa storia, e dopo numerosi capitoli sei venuto a conoscenza del calderone di emozioni che risiede in Gelo, oscillante fra l'amore e l'ossessione, l'odio e la premura.
     Non avrebbe mai permesso, tuttavia, a nessuno infrangere le barriere della sua roccaforte, la fortezza a protezione dei suoi personali interessi: avrebbe protetto Susan e Kimley dal velenoso circolo di potere nel quale si destreggiava, nascondendoli sotto una cappa di inconsapevolezza e sigillata dalle menzogne.
Unicamente questo era stato sin dal principio il movente  di tutte le  sue azioni, e a causa di un desiderio di protezione gradualmente confluito in una brocca di esasperazione era approdato, col tempo, a una drastica conclusione.
Susan e Kimley andavano trasformati in cyborg.
 
     Già da molto tempo le autorità del Red Ribbon esigevano dei soldati artificiali nati dal suo ingegno. Ecco come aveva iniziato a progettare androidi, spiegò il dottor Gelo a suo figlio Kim, il giorno del loro ultimo incontro.
     Richiedevano però soldati ancora più pericolosi, e lui sapeva che non avrebbe potuto raggiungere i livelli di potenza che si aspettavano con dei semplici androidi, e così per temporeggiare iniziò a costruirne un gran numero. I suoi studi lo condussero alla progettazione di cyborg, ma il tempo gli era nemico, e il capo in persona gli prescrisse di realizzare questo nuovo tipo di “soldato”.
Un ultimo impedimento ostacolava la sua strada. Costruire cyborg necessitava di corpi giovani e forti. Avrebbe potuto servirsi dei tre ragazzini, Jason, Jodie, Kim. La sua intenzione? Certo non di usarli come delle armi.
     Avrebbe trovato una soluzione semplice, in grado di unire i vari punti di vista e permettergli di salvare la sua famiglia.
     E fu proprio il suo più ambizioso progetto a rappresentare la delusione più grave.
 
     Purtroppo, conosciamo il drammatico epilogo della vicenda.
     Una tragica vicenda che ha disgregato un complesso telaio fatto dalle speranze di amare anime…
 
     …e può forse adesso, dopo vari anni, aiutare due giovani a ritrovare se stessi.
 
 
 
Ecco perché.
Ecco comparire dinanzi ai nostri lucidi occhi le ragioni che condussero Gelo ad azioni tanto folli.
Attenzione eh: è di questo che si trattava, a quanto pare, di ragioni.
     Folli, incomprese, incomprensibili, ghettizzanti… ma pur sempre ragioni.
Quella volta Gelo raccontò al giovane Kim che avrebbe voluto trasformare in cyborg anche la moglie e il figlio: avendo corpi deboli non sarebbero stati d’aiuto al Red Ribbon, e così Gelo avrebbe avuto la libertà assoluta di occuparsi di loro.
In base a un’ideologia di superiorità della tecnica, essi sarebbero stati eterni, salvi da quel deturpamento fisico e morale che colpisce indiscriminatamente tutti gli umani una volta anziani e dunque inutili.
     Kim ricordava molto bene le parole dell’uomo, perché la passionalità che le accompagnò fu più disarmante del solito. << Io ero deciso a trasformarvi in cyborg a tutti i costi. Così non sareste stati più vulnerabili alla corrosione del tempo… E alla corruzione del potere.
Non temere figliolo, avreste continuato a condurre una vita normale. Forse… Non più da “esseri umani” veri e propri, ma del resto cosa importa? L’unica cosa che mi interessava è che voi continuaste ad essere vivi… Senza mai dimenticare l’importanza della vostra vita, e dell’amore che siete in grado di donare >> .
 
 
 
 
 




 
     Un delicato fragore, un gorgogliante sciabordio, il dolce strusciarsi delle onde sulla sabbia.
Se ci immergiamo in questa atmosfera, la nostra mente viaggerà sicuramente fino a una baita pervasa dalla tranquillità, da un nulla di asfissiante che può rasentare ora il tripudio, ora la noncuranza del male.
E dal mare è opportuno che noi partiamo. Lasciamo stare quindi la spiaggia, la gente in festa o spossata, e approdiamo a una realtà dalla selvaggia fragilità: le onde, il mare.
Onde che possono ospitare una barchetta solitaria di pescatori, oppure una grande nave impetuosa, e in questo – come in altri casi – possiamo notare come il coraggio sia in verità sintomo di terrore.
 
     Fu come il moto di una nave, che selvaggia e impudente affronta le lande al di là del confine umanamente stabilito, consapevole invece della pericolosità delle proprie gesta.
 
     Come una freccia, che viene scoccata dal più valoroso fra gli uomini e per questo ritenuta egualmente coraggiosa, ma in realtà vola in territorio nemico carica di terrore.
 
     Si sentiva come un piccolo mammifero, nel momento in cui deve per sua natura essere allontanato dalla calda protezione materna, ma ancora geloso del latte del suo seno.
 
     Contava ad ampi passi la larghezza del terreno il nostro C – 17, anzi… Jason, perfettamente conscio delle antitetiche emozioni che surriscaldavano il calderone dei suoi sentimenti.
Desideroso della lotta e della sopravvivenza, ma timoroso per la durezza della realtà che aveva appena conosciuto.
 
     Il Sole si sentiva scoraggiato dall’amarezza di quelle parole, e così già da tempo aveva deciso di ritirasi, donando come lascito testamentario un meraviglioso e sanguigno colore al cielo.
     Unico e carezzevole parve il soffio di vento che in quel momento si alzò. Kim si portò a mano ai capelli, perdendo le dita nei ciuffi che si diramavano spaesati, e la sua vista si smarrì nell’infinità degli uccelli che volavano sopra le loro teste.
     << Quello fu il nostro ultimo incontro >> concluse Kim. << Prima di salutarci disse che mi amava. Disse che amava tutti noi.
In quel momento ovviamente l’odiai, però dopo anni sono riuscito a comprendere il significato delle sue assurde parole. Non stava affatto mentendo, la sua era davvero una forma di amore, anche se indubbiamente sbagliata e ossessiva.
Derivava dal suo passato. Sin da piccolo aveva sempre visto dissolversi nel nulla tutto ciò a cui teneva, al punto da non avere più niente. La spietatezza del tempo e la fugacità delle cose terrene lo sconvolsero profondamente, e così quando capì di essere in grado di trasformare esseri umani in cyborg non riuscì proprio a dire di no.
Era finalmente pronto a redimersi del suo passato. Era la possibilità di fissare le persone che amava nel tempo, di dare stabilità al mutevole. Poteva rendere garanzia ciò che era precario >> .
     Seguirono attimi di silenzio che parevano interminabili, interrotti soltanto dal ronzio di due api che si affacciarono timorose per poi fuggire velocemente.
     C – 18, o per meglio dire la bella Jodie, strofinava talvolta la schiena sul tronco dell’albero che aveva designato come suo sostegno, e rimaneva in pensieroso mutismo ad ascoltare.
     Crilin si era sentito quasi in timido imbarazzo, ma ricordava a se stesso che era stata la ragazza stessa a dirgli di rimanere, e non poteva far altro che immedesimarsi nei due cyborg.
     Alphonse ripeté in mente le parole del giovane, e tentò di comprendere con quanta difficoltà esse erano state pronunciate. Guardò di lato, e trovò C – 16 completamente ammutolito, in segno di rispetto.
     Kim sospirò. << Sfortunatamente, le cose non andarono come aveva previsto >> .
<< Susan stava morendo >> capì gravemente C – 18.
Kim paralizzò il suo sguardo accigliato in quello della ragazza. Era stanca, ma ancora forte e combattiva. Proprio come una volta. << Esatto. Quando la vide in quelle condizioni comprese subito che non c’era niente da fare, nemmeno per uno come lui. Tutta la sua vita si stava disgregando: dapprima i suoi migliori amici, poi il Red Ribbon, e a causa soltanto di un ragazzino… Infine la sua famiglia.
Tutti i suoi sogni, i suoi obiettivi e le sue manie di protezione… Stavano crollando davanti ai suoi occhi, senza che potesse far nulla per impedirlo >> .
Il corvino aveva in realtà da qualcosa da replicare, ma quando si voltò a fissare Kim si accorse che aveva già ripreso a parlare.
<< Nel nostro ultimo incontro, al rifugio segreto… La follia si era già impossessata radicalmente di lui >> spiegò, e la sua voce non poté far altro che scivolare nel vuoto. Si trattava di un tentativo di sprofondare nella fonte di amore che provava verso i suoi fratelli, e attingere un’ultima dolorosa ondata di forza.
Rimaneva da raccontare il momento più doloroso di tutti.
 
L’addio dei tre ragazzi, e l’inizio della vita morta di Kim.
 
Il giovane cacciò via paura e amarezza con un pesante sospiro, e inspirò aria ricca di coraggio.
C – 17 si sedette al suo fianco.
     Si trovavano seduti su un prato bellissimo, reso ancor più limpido dal piccolo lago che si estendeva dinanzi ai loro occhi. Tuttavia in quei momenti essi erano ciechi. Non riuscivano a scorgere altro se non il bisogno impellente di ritrovarsi.
     Jason. Jodie. Kim.
Erano ansiosi. Bramando la verità, terrorizzandosi per essa. Ma Kim li avrebbe aiutati, e grazie alle sue parole potevano riscoprire il senso della loro esistenza, della loro vita.
     Cosa significa “essere umano”?
     Cosa significa “essere cyborg”?
Presto l’avrebbero compreso.
 
<< Da quella volta non ci siamo mai più rivisti. Sono passati anni, ma ricordo molto bene il vostro ultimo saluto >> . Kim piegò entrambe le gambe, e con i palmi delle mani si tenne ben saldo al fresco terreno.
<< Fu allora che voi due mi salvaste la vita >> .























*Angolo dell'autore

Ciao minna' :3
Per prima cosa chiedo scusa a tutti voi per l'interminabile ritardo con cui mi sono spicciato a pubblicare questo capitolo.. Davvero, mi sono spesso chiesto quanto stessi scocciando i lettori, e quindi mi dispisce molto..
E quindi oltre alle mie scuse, intendo rinnovare un caloroso ringraziamento a chi mi segue, ai lettori sia a chi recensisce, e davvaro grazie perchè il vostro supporto è fondamentale.

Questo è stato il penultimo capitolo, e posso davvero dire una cosa... Come sapete il mio sogno è diventare uno scrittore, e così scrivere questa storia è stato assolutamente fondamentale per me. Ma non so cosa avrei fatto se non avessi ricevuto recensioni... insomma, tu inventi determinate trame e la gente se ne sbatte. Purtroppo può facilmente capitare, e quindi grazie mille di cuore a chi con le sue recensioni mi sta aiutando e supportando tantissimo :) :) :)

Un'ultima cosa... Ho messo sul mio profilo il link per il  mio account facebook. Non voglio avere la presunzione di chiedervi se vi posso trovare su facebook, ma visto ciò che avete fatto per me mi piacerebbe molto. Quindi se volete, potete tranquillamente inviarmi una richiesta di amicizia :3
...E facebook domina incontrastato nei nostri cuori xD ^___^"""



Spero vi sia piaciuto il capitolo. E' stata un po' la chiave di lettura dell'intera storia.. Secondo voi, è stato troppo lungo??
PS: quell'immagine di 17 e 18 la trovai su facebook un po' di tempo fa, l'altra di Gelo zicco oggi :')

Bene, alla prossima... ci vediamo con l'ultimo capitolo :33

Ciao minna' :D :D :D :D

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Essere cyborg ***



Eccoci qui. Siamo pronti ormai a leggere la conclusione di questa storia.
     La storia di tre ragazzi sfortunati e dell’amore fraterno che li legò, oppure detto in toni escatologici quella di un Fato particolarmente avverso.
     La storia della follia di un uomo e delle sue ineludibili conseguenze: un’ulteriore chiave interpretativa che merita di non essere esclusa.
E la devastazione della follia fu infatti l’ultimo ricordo legato al padre che Kim poté avere, e che ancora dopo vari anni rappresentava uno degli innumerevoli incubi che la notte lo svegliavano di soprassalto.
 
 
     Gelo era deciso ad annientarlo.
Dopo avergli raccontato l’intera verità, tangibilmente costituita da ramificazioni dell’assurdo e insopportabili spiegazioni, aveva prosciugato Kim da qualunque rimasuglio di energie rendendolo completamente inerme. Il ragazzo si reggeva ancora in piedi, ma immobile, e statici erano i suoi occhi. Fu allora che il dottor Gelo ordinò ai cyborg C – 17 e C – 18 di ucciderlo.
     << Vuoi uccidermi… >> disse Kim con un filo di voce.
Padre e figlio si scrutarono vicendevolmente: era l’ultima volta che i loro occhi si osservavano così a lungo.
<< E’ l’idea migliore che mi è venuta per risolvere la faccenda. Addio, Kimley >> . L’uomo portò il braccio in avanti, scandendo con enfasi il nome delle sue creazioni : << C – 17, C – 18… Uccidetelo, fate in modo che io non lo veda mai più >> .
Gli istanti che seguirono furono la personificazione del panico, della speranza soffocata e infine del terrore.
     Il ragazzo riuscì ad agitare gli arti in maniera confusa – forse per afferrare i suoi fratelli, forse per difendersi da loro – ma i due, prima ancora che potessero raggiungerlo, vennero scossi da fugaci tremori. Poi i tremori divennero brividi, frequenti scosse, e infine lasciarono i cyborg totalmente paralizzati.
C – 17 ghignò come se niente fosse e nel palmo della sua mano esplose una fittissima luce. << Addio, moccioso >> disse con voce strascicata e sottile, ma la luce scomparve dalla mano e i brividi ritornarono di colpo.
<< Che significa…? >> osò domandarsi Kim, ma ecco che il suo nome venne gridato da Jodie in un tono che rasentava più lo spavento che la minaccia. Quando si voltò verso di lei la vide con le mani fra i capelli e dolente per le scosse che le attanagliavano il corpo.
<< I circuiti si stanno abituando ai loro corpi >> intervenne Gelo. << Successe anche a C – 16 quando cinque anni fa uccise Edward e Hilary, anche se essendo cyborg la procedura richiederà più tempo con loro. Stanno ancora metabolizzando tutte le informazioni che io ho scritto, armonizzando i loro movimenti con il nuovo potere e i circuiti, e ovviamente avranno già assorbito il comando principale: obbedirmi ciecamente >> .
Le parole di Gelo che fungevano da sottofondo a quella visione surreale suonavano come un tetro preannuncio di morte. Kim tentò di afferrare il braccio di Jodie ma questa lo cacciò violentemente: entrambi i cyborg erano vittime di spasmi, e ora iniziavano perfino a urlare.
Pensò a come fino a quel momento fossero stati muti e impassibili: forse non era ancora iniziata la tanto dolorosa penetrazione di impulsi elettrici per i loro corpi?
     Fu allora che accadde.
     Con un ultimo e doloroso barlume di lucidità, Jason e Jodie riuscirono a salvare il fratello prima che i cyborg 17 e 18 potessero ucciderlo.
 
     Il corvino avanzò a passi convulsi e debolmente afferrò Kim per le spalle. Aveva il corpo contratto dal dolore e le smorfie dipinte sul suo viso esprimevano chiaramente lo sforzo suscitato dalla resistenza all’inevitabile. Non doveva farsi capire da Gelo, per cui poggiò la fronte su quella del fratello. << Devi scappare, subito… >>
Kim aveva appena schiuso le labbra quando un lancinante dolore allo stomaco lo fece sbalzare indietro: Jason l’aveva appena colpito con una corposa sfera di ki. Si fece forza nelle gambe per non crollare a terra ma questa volta intervenne Jodie, con la disperazione impressa sul volto: corse verso di lui, lo strattonò indietro e gli poggiò la mano sul petto. Quella che per un istante parve una carezza si rivelò presto per ciò che era.
<< Vivi… anche per noi, Kim >> gli disse in un tragico sussurro, e con tali parole il ki sfrecciò potente dalla mano e trascinò il ragazzo in una corsa sfrenata verso il vuoto.
     Kim si ritrovò a sfrecciare inesorabilmente verso il dirupo alle sue spalle, dal quale si dipanava una serie scoscesa di arbusti, rocce e terra fangosa, e fu in quel frangente che gli occhi dei suoi fratelli si illuminarono ferocemente di cremisi, per poi ritornare all’usuale colore del ghiaccio più freddo e spietato.
Il giovane comprese tutto: lo avevano colpito di proposito per gettarlo via da quella collina e da un’orribile quanto sadica morte, e mentre annaspava nell’aria nell’estremo tentativo di aggrapparsi a qualcosa riuscì a cogliere con la coda dell’occhio quell’abominevole colore rosso che aveva inondato i loro occhi, arrendendosi alla consapevolezza che avergli salvato la vita era stata l’ultima azione da esseri umani di Jason e Jodie.
Vanamente gridò i loro nomi, ma ecco che la guancia divenne il bersaglio di un destro da parte di un vecchio ramo… No, stava precipitando verso il basso, senza nemmeno provare più a frenare la caduta. Di colpo l’intera impotenza del suo corpo e della sua breve vita incombette su di lui e quasi non sentì un ramo che violentemente lo schiaffeggiò sulla fronte.
Si dice che annegare nell’acqua gelida dia la sensazione di essere trafitto da un numero infinito di aghi, i quali penetrano nel corpo come se la carne fosse liquida esattamente quanto il sangue che schizzerebbe se l’immagine fosse concreta. Non è poi tanto diverso il dolore – che piccola parola per descrivere realmente il suo stato! – che stava provando Kim in un’irrefrenabile caduta in direzione del vuoto.
Roteò, sputava sangue, lo ingoiava e ruzzolò; sentì i piedi nudi scivolosi per il sangue misto a fango e mentre voce e lacrime gradualmente scomparivano perfino la pioggia diventava pesante. Piombava in una pozzanghera ma era sempre troppo presto affinché la corsa potesse già terminare, e con furiose dosi di lacerazioni e piccoli svenimenti ecco che scivolava sempre più giù.
Quando atterrò al suolo Kim aveva già perso completamente i sensi.
 
 
 
Laboratorio del dottor Gelo, 17 dicembre

 

 
 
 
 
<< Quel giorno cercai in tutti i modi di salvarvi, eppure alla fine siete stati voi che mi avete protetto. A distanza di anni ora posso finalmente ringraziarvi >> disse in tono laconico il giovane Kim. Sentiva la gola secca, aveva parlato molto più di quanto fosse abituato del resto.
Osservò Jason rizzarsi lentamente in piedi e dirigersi verso il laghetto al loro fianco: questi si sfilò delicatamente il foulard, si chinò e raccogliendo un po’ di acqua fra le mani se la gettò in volto. Ripeté l’operazione più volte, poi afferrò il foulard, attese un poco prima di annodarlo attorno al collo e si riavvicinò a Kim.
<< Devi aver sofferto tanto in questi anni >> disse infine.
<< Bè, non a voi sia andata tanto bene >> commentò, e iniziò così a elencare tutta una serie di fobie che aveva contratto da quel giorno: attualmente aveva paura del sangue, del fuoco, del chiasso, degli spazi troppo piccoli, di quelli chiusi ma anche delle grandi ampiezze, delle caverne, delle crepe, delle armi da fuoco – anche se, per qualsiasi evenienza, aveva deciso di tenere in casa – e infine del ki. Si era informato molto circa questo strano potere, e quando con i suoi studi venne a scoprire che qualsiasi essere umano in determinate circostanze può risvegliare tale potere fu terrorizzato al solo pensiero di usarlo.
<< La mia casa venne completamente distrutta dalle fiamme >> disse. << Un’idea saggia sarebbe stata andare ad abitare in tutt’altra zona o in un’altra città. Forse sì. Oppure questo avrebbe solo peggiorato le cose. In ogni caso decisi che avrei continuare ad abitare lì dove avevo sempre vissuto, così da poter sorvegliare la vostra casa, quello che rimaneva dei ricordi miei… e dei miei fratelli… >>
A quel punto intervenne Jodie dichiarandosi molto rammaricata per la fine di Susan, e non seppe cosa rispondere quando Kim rivelò che dei pompieri avevano salvato il maggiordomo e la madre prima che fosse troppo tardi, ma la gravità delle sue condizioni non le permisero di arrivare in ospedale.
<< Vi voleva molto bene >> disse infine il ragazzo in un piccolo sussurro. Attese prima di riprendere. << Fu una squadra cinofila della polizia cittadina a trovarmi. Stava diluviando e così fu piuttosto difficile. Insomma, dopo tutto quello che era successo il mio corpo era talmente lacero e sporco che si mimetizzava bene con il fango. Per un bel po’ di tempo non fui in grado di usare il braccio sinistro >> .
Il lungo silenzio che seguì fu insolitamente assordante e talmente carico di emozioni che pareva stesse per implodere. Nonostante il tentativo di trattenere le lacrime Kim non riuscì più a evitare di piangere, e quasi aveva paura di svegliarsi di soprassalto e scoprire che era tutto un meraviglioso sogno. Non sapeva bene come esprimere i suoi sentimenti, quindi prese spesso delle piccole pause fra una parola e l’altra. << Vedete… Io ero figlio unico, ed ero anche un totale imbranato. Mamma ha sempre detto che ero intelligente come mio padre o anche di più, però oltre questo non ho mai avuto nessuna capacità in particolare. Se non avessi conosciuto voi due, Jason… Jodie… io sarei rimasto un bambino inutile e inconcludente! >> Ora riuscì perfino a ridacchiare, gustando l’amarezza del destino. << Anche se… è vero, ho fatto tante cose per provare a salvarvi, ma alla fine non sono servite a niente >> .
<< Come puoi… >> iniziò a replicare in tono già acceso Jason, ma Kim era deciso a concludere il suo discorso.
<< Voi due mi avete insegnato cosa significa amare un fratello, e soprattutto essere amato come tale. Mi avete reso il bambino più felice del mondo, senza pretendere nulla in cambio; ci siete sempre stati per me, per cui non pensate nemmeno per un istante che in questi anni io vi abbia anche leggermente dimenticato.
<< Tre ragazzini, tre fratelli… Dovevamo assolutamente restare insieme, ma purtroppo non è andata come volevamo. In tutti questi anni l’unica cosa che mi ha tenuto in vita è stata la consapevolezza che voi eravate ancora vivi, da qualche parte >> . Qui la pausa fu ancora più lunga. << Capite? Potevo incontrarvi nuovamente, avevo ancora la possibilità di stringere fra le mie braccia il mio fratellone e la mia sorellona. Gelo non vi aveva uccisi, vi aveva soltanto reso cyborg… Che contava? Eravate sempre voi due… E io dovevo trovarvi… Ecco perché adesso sono qui, e non mi sono mai arreso >> .
La dolcezza di quelle parole dapprima risvegliò in Jason un insolito tepore, ma bruscamente esso venne sostituito dal ricordo di tutte le scorribande che assieme alla sorella aveva portato avanti, da efferato cyborg, proprio mentre Kim li stava cercando. Si morse il labbro e la voce tremò quando dichiarava che in seguito avrebbe raccontato delle cose di cui non andava molto fiero… Poi poggiò la mano sulla spalla del fratello, si rizzò in piedi e chiudendola a pugno gli colpì la guancia. << Ehi, che ne dite se ci sgranchiamo un po’ le gambe? >>
Jodie si alzò in fretta. << Buona idea >> .
Kim sorrise, e aggrappandosi alla mano di Jason li imitò.
     Era l’ora del crepuscolo ormai e la volta del cielo si dichiarava solertemente pronta ad arricchirsi di varie piccole stoffe sanguigne. Il Sole iniziava a salutare le sue genti, mentre l’agitarsi di flora e fauna, lì nel vasto parco dell’ospedale, comunicava il bisogno della vita di accendersi in un nuovo avvio.
I tre fratelli seguiti a ruota da Alphonse, Crilin e C – 16 cominciarono ad avanzare a timidi passi, e mentre l’androide chiedeva perdono per ciò che aveva fatto ai coniugi Logan, e Jason gli replicava che non c’era nulla di cui preoccuparsi, Jodie si preoccupò di asciugare le ultime lacrime di Kim.
Non era un sogno. Era la loro bellissima realtà.
 
 
 
 
Orange Town Hospital, 17 Dicembre
 
 
 
 
 
 

Essere cyborg

Ultimo capitolo



 
<< Quindi tu ci hai cercato… per tutto questo tempo? >> chiese Jason incredulo.
<< Non ho mai smesso >> rispose Kim. Appena fuori dal recinto dell’ospedale parcheggiò la sua moto rossa fiammeggiante, a bordo della quale si era precedentemente catapultato insieme al fratello nell’immenso parco. Spiegò che subito dopo aver operato i ragazzi Gelo pensò bene di sparire dalla circolazione. Inutile era stata la determinazione che spinse il ragazzo, con l’aiuto della polizia, a sfondare il portone del laboratorio e a ritornare in quel luogo così ricco di ricordi; ricordava lucidamente la rabbia che provò quando si dedusse che Gelo fosse fuggito senza lasciare tracce, l’avvilimento che lo avvolgeva impotente ogni volta che riusciva a scovare una nuova possibile ubicazione dello scienziato, ma arrivava sempre troppo tardi… Con il passare del tempo si ampliava incessantemente il divario che lo teneva lontano dai suoi fratelli, e tutte le volte che si precipitava nei luoghi indicati dalla polizia come probabili nascondigli di Gelo ecco che quello era già sparito. In conclusione si ipotizzò che egli fosse consapevole delle costanti ricerche del ragazzo e che periodicamente trasferisse il suo laboratorio in nuove località.
Per quello che Kim riteneva essere il medesimo motivo passò poco tempo prima che in tutto il mondo circolasse la notizia della morte del dottor Gelo. Non ci credette nemmeno per un istante, a suo parere era ovvio che fosse una voce messa in circolo dallo scienziato stesso al fine di non essere più ricercato e avere campo libero per le sue attività. Tuttavia la polizia non poteva continuare delle indagini basandosi sulle illazioni di un orfano disperato, e questo lasciò soli Kim e Alphonse nelle loro ricerche. Il ragazzo non si diede mai per vinto, anche se ciò non impedì allo sconforto di fare breccia nel suo cuore…
     Il giovane Kim, ormai adolescente, decise di indagare su tutti coloro che avevano avuto rapporti direttamente o meno con il Red Ribbon e arrivò così a scoprire l’identità di un certo Tao Pai Pai. Questo racconto destò un acceso interesse in Jason: lui e C – 16 avevano trovato una lettera inviata da quest’uomo proprio al dottor Gelo, nel laboratorio sotterraneo. Era stata una vera fortuna, perché fu grazie a questa missiva che vennero a conoscenza dell’indirizzo dello scienziato.
     Kim spiegò che si trattava di un serial killer che il Red Ribbon aveva ingaggiato per rubare le Sfere del Drago a un dodicenne di nome Goku, lo stesso che la madre aveva protetto con la vita. Tao Pai Pai intendeva concludere la sua carriera da sicario e entrare ufficialmente in questo esercito, tuttavia rimanendo coinvolto in una grave esplosione non riuscì a completare la sua missione. Non senza difficoltà Kim scoprì che l’uomo si era salvato grazie al tempestivo soccorso di Gelo e che, come unica possibilità di salvezza, accettò di essere trasformato in cyborg: sapeva di C – 17 e C – 18 e, pur non avendoli mai visti, li considerava dei robot prodigiosi.
     << Gelo era l’unico sopravvissuto del Red Ribbon, ecco perché il suo obiettivo non era soltanto la vendetta ma anche la rinascita del suo esercito >> spiegò Kim. << Per portare avanti un progetto così ambizioso aveva bisogno di auto, e decise di sfruttare l’antico sogno di Tao Pai Pai per trascinarlo dalla sua parte >> .
Jason scrollò le spalle. << Nella lettera che ho trovato con C – 16 si parlava di un loro progetto… Tu stai dicendo che intendevano riportare in vita il Red Ribbon? >>
Kim annuì. << Un uomo esperto nell’uccidere e nel ricercare informazioni poteva tornare comodo, ecco perché Gelo lo volle come alleato. Questo però non bastava: gli servivano ancora tempo, ricchezze e soprattutto soldati, così mentre si faceva credere morto dal mondo intero per poter continuare ad agire indisturbato rivelò la verità a Tao Pai Pai. La lettera che hai trovato tu, Jason, era l’ultima indirizzata al suo vecchio indirizzo e immagino che Gelo l’abbia intercettata prima che arrivasse a casa mia >> .
     Il ragazzo si strinse le mani nelle tasche, mentre il fruscio delle foglie con generosa dolcezza accompagnava i loro passi. Jodie prese un profondo respiro prima di parlare. << Sapete, prima c’erano anche i miei amici in ospedale, credo se ne siano andati senza dire niente. Bè, in realtà non ho il diritto di chiamarli amici >> ammise. << Kim, tua madre ha dato la vita per proteggere un bambino di nome Goku… Noi lo abbiamo conosciuto >> iniziò, ma il fiato le si seccò in gola prima che potesse terminare. Decise che avrebbe raccontato in un secondo momento la vicenda di Cell, l’androide costruito per assorbire lei e suo fratello, e di come Goku fosse morto serenamente per la salvezza del pianeta. Per adesso si limitò d aggiungere: << Grazie al sacrificio di tua madre questo pianeta ha visto un salvatore, e io ho constatato in prima persona che splendide persone siano la moglie e il figlio >> .
Gli occhi di Kim parvero splendere all’affettuosa luce del tramonto. << Un salvatore…? Che tipo di persona è? Ha davvero una famiglia? >>
La ragazza annuì, sorridendo a quell’improvviso entusiasmo. << E fra poco avrà anche un secondo figlio. Se vuoi potrai conoscere tutti i suoi amici e la sua famiglia… Crilin è il suo migliore amico >> precisò, e soltanto allora se ne rese conto.
     I tre fratelli stavano camminando lentamente, assaporando e temendo ogni piccolo nostalgico passo. Invece i restanti membri del gruppetto erano volutamente rimasti indietro, non troppo distanti per abbandonarli ma sufficientemente per evitare atteggiamenti indiscreti.
Il complesso si stava muovendo con una spedita lentezza e senza una meta designata. Era una passeggiata anelante solo al piacere di se stessa e di quella ritrovata compagnia, che ora appariva inequivocabilmente preziosa ma ancora fragile.
 
     Per tutti questi anni avevano completamente dimenticato Kim… Come era potuto accadere? E ciò che dichiarò il giovane sembrò essere una pronta risposta alla domanda, sebbene spiazzante.
<< Siccome vi ho raccontato tutta la vostra storia credo che potrete cominciare a ricordare ogni cosa. Forse non tutto, e in ogni caso ci vorrà molto tempo, sempre che questa ipotesi sia giusta >> rivelò.
Svoltarono l’angolo e l’ospedale scomparve alle loro spalle. Dinanzi a loro si apriva una lunga strada gremita di gente e colorata a festa: quella sera ci sarebbe stata l’incoronazione di Mr. Satan a difensore del genere umano e come ringraziamento la città avrebbe mutato nome in Satan City, dalla Orange Town che era sempre stata.
<< Che intendi? >> chiese Jason.
<< Dopo che siete diventati cyborg decisi che sari diventato uno scienziato >> spiegò Kim. << Quindi fidatevi, non sono parole a vanvera, ma ho buoni motivi per credere in quello che ho appena detto. Secondo me ci sono delle possibilità che voi ricordiate tutto in futuro, e sto basando questa intuizione soltanto sull’ipotesi che la memoria non vi è stata cancellata del tutto >> .
Il corvino alzò le spalle. << Un po’ poco, non trovi? >>
Per tutta risposta Kim si sfilò una mano dalla tasca, afferrò il laccio destro della sua felpa blu notte e lo portò alla bocca. Ogni tanto lo succhiava, oppure ci giocava con le dita arrotolandolo anche con l’altro laccio. La felpa, adesso insolitamente con il cappuccio abbassato, era aperta in modo da rendere visibile il grosso teschio nero raffigurato sulla maglietta rossa; il ragazzo indossava inoltre dei jeans ricchi di imprecisi strappi e alle mani dei guanti senza dita. Camminava al centro, e ogni tanto lanciava piccole occhiate ai fratelli che gli erano di fianco. Dopo un po’ finalmente rispose: << Avete detto di voler capire cosa significa essere un umano, e soprattutto se esiste un significato al vostro essere cyborg >> .
Jason sembrò stupito. << S-sì, ma non cambiare argomento… >>
Seguì una nuova e lunga pausa. Fecero capolino diverse fragranze provenienti dalle più disparate bancarelle e fu allora che tutti i lampioni si illuminarono, istantaneamente al passaggio dei ragazzi. Osservarono dei bambini divincolarsi festosamente fra gli stand dello zucchero filato e degli hot dog, e Jodie, in altre città abituata ad essere evitata e disprezzata come bieca assassina, provò una strana sensazione quando una bambina intenta ad inseguire le sue amichette le chiese scusa per esserle finita contro.
<< Non sto affatto cambiando argomento >> rispose infine Kim. << Ascoltatemi bene, e rispondete alle mie domande. Per caso voi avete mai avuto atteggiamenti di ribellione nei confronti di Gelo? Anche se… Jason, tu hai detto che l’hai ucciso, pertanto direi che la risposta è scontata >> .
Il cyborg fece scivolare entrambe le mani nelle tasche dei suoi jeans. << Sì, ma possiamo dire che ho semplicemente colto l’occasione. Aveva in mano un telecomando con cui avrebbe potuto distruggerci, e così ho voluto annientare sia il telecomando che tuo padre >> .
<< Ah, non ve l’ho ancora detto! >> esclamò all’improvviso Jodie. Erano successe così tante cose in soli due giorni che non ci aveva più pensato. << E’ stato ieri, dopo la sconfitta di Cell… Era un luogo strano, un palazzo a mezz’aria >> scoprì con stizza di non sapersi spiegare meglio << Crilin e i suoi amici hanno evocato un drago enorme, credo con il potere di realizzare dei desideri. Lui gli ha chiesto di eliminare i dispositivi di autodistruzione dai nostri corpi >> .
Il volto di Jason assunse un’espressione inebetita, a metà fra il basito e l’entusiasta, ma tutto ciò che gli uscì di bocca fu: << Quindi Cell è stato sconfitto per davvero! >>
<< Oh bè, di questo ne dobbiamo ancora parlare >> replicò la sorella.
Kim, il quale aveva assunto un’espressione ancor più stralunata, riuscì a soltanto a bofonchiare qualcosa: << Cell? Quel tipo che Mr. Satan afferma di aver ucciso? >>
Stavolta fu Jodie quella più scossa. << Chi lo avrebbe... Un attimo, tu conosci Cell? >>
Il giovane scienziato annuì. << Tutti lo conoscono, del resto è apparso perfino in tv ad annunciare il suo torneo. Ho seguito in diretta soltanto l’inizio dello scontro, e mi ricordo di alcuni tizi biondi che avevano intenzione di sfidarlo; tra loro c’era anche un ragazzino. Povero, spero non gli sia successo niente >> . Sospirò. << Non so cosa sia accaduto lì, ma ovviamente non credo che sia stato Mr. Satan a salvare il pianeta, quello è soltanto un megalomane. In ogni caso questa sera si terrà una festa in suo onore, e siccome questa è la città dove vive da oggi diventerà Satan City >> .
Sentendo tutte quelle notizie il corvino si portò le mani dietro la nuca. << Questo sì che è sorprendente, una città che festeggia uno scemo! Certo che voi umani siete davvero stupidi >>  esclamò in tono scherzoso e portando il busto in avanti per meglio osservare la reazione di Kim.
Questi dal canto suo rispose a quell’occhiata altezzosa inclinando gli angoli della bocca in maniera assai indignata. << Ah, e tu cosa credi di essere, un alieno? Anche voi due siete stupidi! >>
<< Ehi, io non ho detto niente >> replicò Jodie tradendo un tono enfaticamente offeso.
Fra i tre ne seguì una divertita risata, che adombrò tutte le preoccupazioni raccolte fino a quel momento e li fece sentire vivi in mezzo a tutto quel brusio di gente e festeggiamenti.
La ragazza prese un piccolo respiro, con ancora uno speranzoso sorriso sulle labbra. << Quindi ci consideri degli esseri umani, eh? >>
<< Sta a voi decidere come vedervi, però vi dirò una cosa >> rispose Kim. << Non pensate mai di essere qualcosa che non siete >> .
 
     Per tutta la città risuonò un boato selvaggio. Era un’usanza di Orange Town: per ricordare alla cittadinanza gli imminenti festeggiamenti venivano fatti scoppiare in cielo diversi esplosivi. Ci fu dapprima un fruscio, seguito poi da un’inequivocabile esplosione.
Tutto intorno tacque, e perfino i bambini interruppero i loro giochi per ammirare in silenzio quella fugace e attesissima esplosione. Probabilmente Jason fu l’unica persona presente in città che parlò in quel frangente.
<< Che significa, prima ci consideri degli umani e poi ci dici che siamo solo cyborg?! >> urlò.
Per un istante parte dell’attenzione di chi li circondava cadde su di loro, poi il brusio tornò e tutti tornarono a occuparsi delle proprie faccende o a scambiarsi pettegolezzi sui più recenti divorzi nel mondo dello spettacolo.
<< Calmati, io non ho mai detto niente del genere >> esclamò Kim con tranquillità lasciando per la prima volta il laccio della sua felpa, mentre teneva l’altra mano calda all’interno di una tasca. << Vi voglio far capire una cosa >> .
Per silenzioso accordo ripresero a camminare. Kim si portò una mano fra i capelli, spettinando i suoi ciuffi confusi se possibile ancor più di quanto già non fossero. << Voi vi siete sempre ribellati a Gelo, nonostante fosse il vostro “creatore”. Come mai? >>
<< Semplicemente lo odiavamo >> rispose secco il corvino. << Una volta ci rivelò che in passato eravamo stati esseri umani e da allora non abbiamo più avuto nessuna rimostranza nel manifestare il nostro disprezzo nei suoi confronti… Ma lo odiavamo già da prima. Non so perché, ma non riuscivamo a farcelo piacere >> .
Sul volto di Kim comparve un amaro sorriso: le sue ipotesi erano vicine a una conferma, bisognava soltanto ragionarci su. << Io penso… credo che in voi fosse ancora acceso un disperato bisogno di vendetta, che derivava dal vostro passato. Gelo riteneva di trasformarvi in macchine qualsiasi – bè, gli servivate soltanto per uccidere Goku, non per altro – e di soffocare così qualsiasi vostro sentimento, o ricordo >> . Qui sospirò. << E’ una triste constatazione, ma l’amore si è dimostrato più debole dell’odio: vi siete dimenticati di me e di tutto ciò che vi riguardava, ma non avete smesso di odiare Gelo. Ormai sapevate troppo su di lui, eravate entrati in circolo vizioso dal quale è impossibile uscirne e che nemmeno un’operazione del genere ha potuto tranciare >> .
<< Stai parlando dell’odio? >> domandò perplesso Jason.
Il ragazzo alzò le spalle. << E del desiderio di vendetta, esatto. Sono sentimenti troppo forti affinché una semplice operazione possa reciderli del tutto >> .
<< Un attimo, qui non stiamo parlando di una “semplice” operazione >> replicò Jodie. << E poi non ti seguo, che cosa intendi? >>
<< Ho bisogno di un’altra conferma >> dichiarò Kim ignorando totalmente lo stupore della ragazza. << Voi avete ancora il vostro cervello, vero? Se vi sono stati soltanto integrati dei circuiti più o meno tutto torna… Ma anche in questo caso, la risposta è palese >> . E lo era talmente tanto che decise di rispondersi da solo. << Certo, è così! Ho capito… è una cosa strabiliante, questo rivoluzionerà il concetto di cyborg! >>
Il corvino attese un poco prima di replicare, tanto per essere sicuro di non dover essere ignorato come la sorella. << Dottor Jefferson, sarebbe così gentile da spiegarci le sue mirabolanti teorie? >>
Il fratello annuì e la sua voce risultò improvvisamente eccitata. << In realtà non è molto difficile. Dunque, partiamo dalla vostra operazione: se Gelo vi avesse totalmente rimosso il cervello e se ora voi aveste… non so, un cervello artificiale, sareste soltanto delle macchine, grezzi burattini nelle sue mani. Ovviamente non avreste nessuna possibilità di recuperare la memoria e non sareste in grado di provare emozioni: né odio, né amore. Niente. Sareste vuoti e spenti, in altre parole morti… >> Qui la voce divenne un filo quasi impercettibile, e ripensando a come aveva vissuto in quegli anni si ritrovò a fissare nel vuoto gli occhi ora non più colmi di entusiasmo, ma piuttosto distanti e tenebrosi…
     Fu tutto un istante. Deglutì, e la verità gli apparve finalmente limpida. Aveva trascorso degli anni tremendi, sin da quando era soltanto quattordicenne; ripensandoci si meravigliava egli stesso di come fosse stato in grado di affrontare l’adolescenza e l’inizio della vita adulta in quelle condizioni: un deperimento fisico e morale così gravi che molti, al posto suo, sarebbero ricorsi a decisioni drammatiche.
Invece Kim riuscì a sopravvivere e nonostante tutto si era sempre preparato a questo giorno. Testardamente aveva continuato a sognare un giorno in cui poter ricongiungersi con suo fratello e sua sorella, e certamente questa era stata la sua unica ragione di vita fino a quel momento.
     La verità appena dimostrata da Jason e Jodie era come una rosa in procinto di sbocciare, complessa e sgargiante nel suo splendore ma proprio per tale motivo, secondo le sue parole, bisognosa di meticolose spiegazioni.

 
 
     Il folle dottor Gelo non aveva sostituito il cervello dei ragazzi, spiegò Kim, bensì aveva provveduto a integrare ad esso vari e microscopici circuiti elettrici i quali, per mezzo di sottilissime scariche, erano capaci di direzionare determinati impulsi e dunque modificare i principali comandi nervosi.
Tuttavia egli aveva commesso un errore di valutazione: non aveva minimamente calcolato che la dirompente umanità dei ragazzi potesse risultare più forte della robotica.
     La morte dei genitori, l’ingresso in una baby gang come riscatto nei confronti della società, e infine la tragedia di quel 17 dicembre. Un’inesauribile successione di eventi traumatici aveva indotto a sorgere negli animi dei due ragazzini un dolore smisuratamente forte, arroccato dietro gusci di silenzio ma sempre pronto a implodere rendendo Jason e Jodie simili a delle bombe a orologeria. Essi erano diventati tragiche vittime del male, disperati e ululanti nel tetro orizzonte che si presentava ai loro occhi, e ad esso non seppero combattere se non con altro male.
     Ecco come l’odio fu il duro e sanguinolento filo che condusse la loro vita sin dalla morte dei genitori, un’oscurità radicata e ormai intrinseca alla loro stessa esistenza. Curiosa ed amara constatazione, ma fu proprio questo indissolubile legame che permise loro di continuare a vivere come Jason e Jodie.
     L’unico errore del dottor Gelo, infatti, non fu a livello anatomico o scientifico, un esperto come lui non sarebbe mai caduto in un bivio presentato dalla scienza. No, si trattava di un ambito nel quale neppure uno scienziato di tale ingegno sapeva destreggiarsi: l’inconscio.
I circuiti immessi nel cervello dei ragazzi riuscì a deviare vari sentimenti e gradualmente a modificare la loro psiche, ma questo avvenne soltanto al livello del conscio. L’operazione non riuscì infatti ad annientare completamente i più forti sentimenti che provavano, i quali protessero se stessi rifugiandosi nell’inconscio assopiti, offuscati, ma pur sempre pronti a esplodere. Jason e Jodie non avevano mai smesso di essere due bombe a orologeria, neppure quando il drago Shenron aveva rimosso dai loro corpi il dispositivo di autodistruzione.
     Adesso però erano necessari alcuni accorgimenti per non potersi più definire mine vaganti: accettare se stessi, il proprio passato e il proprio presente in vista di un futuro finalmente diverso.
 
     << Fu grazie alla forza dei vostri sentimenti inconsci se non vi siete mai arresi a Gelo e avete continuato a odiarlo >> dichiarò Kim. << Purtroppo esso vi deve aver corroso dentro… ma da adesso potrete sperare in una vita migliore >> .
Sui volti dei cyborg però era ancorata una dura espressione di titubanza. Fu Jodie a parlare per prima: << Hai detto che la nostra umanità ha vinto sulla robotica, ma anche che a vincere fu il nostro odio in quanto smisuratamente forte. E’ a questo che si riduce il concetto di “umanità”… all’odio?! >>
<< Ho detto che voi due, seppur cyborg, siete sopravvissuti a quel 17 dicembre come Jason e Jodie, due personalità in costante conflitto con il mondo e che alla fine si sono conformate a quelle di C – 17 e C – 18; questo è stato possibile per la tenacia del vostro sentimento di vendetta, tuttavia non fu soltanto questo >> rispose Kim. Seguendo il suo discorso basato su coraggiose illazioni ma rettificato dalla necessità dell’ovvio, un punto chiave nella vicenda era infatti la forza di volontà.
<< Se Gelo avesse operato anche me probabilmente ora sarei un semplice robot >> spiegò. << Eppure anch’io avevo i miei sogni, le mie ambizioni, e desideravo ardentemente proteggervi… Amavo quest’idea >> .
<< Significa che non possiamo parlare di forza di volontà >> commentò Jason << ma piuttosto di qualcosa che viene prima… >>
<< …per esempio le motivazioni che ne stanno alla base >> osò Jodie.
Il giovane scienziato annuì, e pur convenendo con quanto detto dalla ragazza volle chiederle: << Che cosa intendi? >>
<< Bè, è innegabile che tu abbia dimostrato una forza di volontà straordinaria >> rispose << ma eri sospinto dal legame che ci unisce, credo da quello che viene chiamato amore >> . Ponderò a lungo sul significato di questo termine, ma ripensando a Crilin comprese di avere per lo meno un’idea di che cosa volesse dire questo meraviglioso concetto. << Ciò che guidava la nostra determinazione invece era ben diverso >> .
<< E mentre l’odio vi ha consentito di rimanere umani, l’amore non ve l’avrebbe mai permesso >> concluse Kim. Ovviamente si trattava soltanto di ipotesi, tuttavia considerando che furono dei sentimenti negativi a svolgere in maniera impeccabile un ruolo di salvaguardia della loro umanità risultava difficile immaginare che anche il loro opposto – cioè dei sentimenti positivi – avrebbero potuto ripetere una simile impresa.
 
     In sostanza, possiamo affermare che il disumano è stato più forte dell’umano: ecco come Kim decise di sintetizzare il suo discorso. Fu infatti una forza negativa incresciosamente vigorosa l’unica capace di debellare, almeno in parte, una forza estranea e dunque negativa quale la robotica.
Bè, è tradizione popolare ritenere che per sconfiggere il male sia necessario il bene, nonostante siano in molti a pensarla come una concezione tristemente astratta e diversamente da come, fino ad ora, la storia dei cyborg potrebbe farci capire. Allora cosa è davvero funzionale per ripararsi dalle tentazioni fornite dall’oscurità, domandò Jason, un male ancora più gagliardo? Per poi incanalarsi in un cruento circolo vizioso, dove nuovi e sempre più potenti mali continueranno a sorgere in eterno?
     << E’ inammissibile che l’umanità si riduca a tanto >> bofonchiò Jodie con voce strascicata.
<< E allora che cosa serve? >> esclamò il corvino rivelando ad alta voce i pensieri congiunti di tutti e tre, dopo si rivolse al fratello con sguardo accigliato. << Tu hai una risposta? >>
     Accadde tutto nel medesimo istante. Jason sobbalzò, e Jodie trattenne il respiro: non potevano crederci, quasi si rifiutavano, la risposta era palese. Tutta la loro vita pareva essere stata indirizzata a questo momento, quello in cui i loro cuori fossero stati disposti a spalancarsi agli altri e sulle loro labbra si fosse posata con innaturale dolcezza la risposta che da tempo cercavano.
Jason. Jodie. Due bambini, due vittime, persecutori e perseguiti. Tutte le domande che affliggevano i loro giovani animi oramai da tantissimo tempo confluirono d’improvviso in un’unica risposta, e sbocciarono all’unisono in un energico aroma primaverile con armonica danza di petali e soddisfazioni, consapevolezza e speranza. La loro primavera, una fresca giovinezza poteva finalmente iniziare anche per loro.
La voce dei due fanciulli scivolò dalle loro labbra timidamente, ma portando con sé la verità tanto ambita. << L’amore >> sussurrano a un semplice soffio di alito. La melodia di quella parola li ridestò dal guscio di coraggio cui avevano appena attinto e suscitò in loro diverse impressioni.
 
     Jason era sconvolto. Era stato in grado di capire un concetto così prezioso autonomamente, prima che Kim potesse anticiparlo, ma soprattutto lo inquietavano i suoi incomprensibili sentimenti. Lui, l’invincibile e tanto temuto C – 17, sadico assassino di uomini senza nome né valore, di donne e perfino di bambini… adesso stava lì, in mezzo a una folla di persone letteralmente impazzite per via dei festeggiamenti e delle cibarie, insieme a sua sorella e a un ragazzo che poteva considerare suo fratello.
La consapevolezza dei suoi errori lo assaliva lentamente, come per dargli il tempo di assaporare il pentimento di ogni singolo sbaglio commesso, e inavvertitamente gli occhi si fecero pesanti. Sentiva immobili le sue gambe, memori di aver colpito, un tempo, una bambina  implorante pietà e di averla gettata sui cadaveri dei genitori; si tastò le braccia, le ricordò trarsi in avanti; aprì e chiuse le mani, ancora focose per quel getto di ki che avevano raccolto. Rivide la bambina colpita al petto dal suo stesso attacco e infine crollare a terra inerme, e qui si accorse che lacrime di delusione e rabbia avevano già cominciato a rigargli le gote.
 
     In Jodie fu piuttosto un’informe amarezza a prevalere. Tutta la sua vita le appariva chiara perfino nei risvolti più drammatici, come se avesse appena privato una fotografia del suo negativo e ora potesse ammirarla nei suoi più lucenti colori.
Come aveva fatto a non arrivarci prima? Eppure credeva di aver capito cosa provano gli esseri umani quando amano… Amare qualcuno significa desiderare ardentemente il suo bene, gioire per le sue gioie e piangere per i suoi sconforti: ecco come i suoi fratelli si erano comportati con lei in passato. Così Susan, Hilary, Edward, e Alphonse. E adesso Crilin… Aveva ricevuto la fortuna di essere amata da diverse persone ma li aveva perduti quasi tutti, serrandosi in una corazza di bieco sadismo. Decise che da quel momento in poi non avrebbe mai più perso tempo.
 
     Il Sole fuggiva nell’orizzonte, e lievi spifferi di brezza invernale stavano dipingendo nell’aria piccole orbite ululanti. I tre ragazzi rimasero in silenzio per interminabili minuti, ognuno assorto nei suoi pensieri più reconditi. Un’ulteriore consapevolezza si accingeva a colorare i loro cuori: amare significa premettere la felicità dell’altro alla tua, anche qualora ciò dovesse costare un’ingente sofferenza. Essa aveva i caratteri di una scoperta strabiliante, eppure un tempo ne erano consci al punto da chiamare “fratello” un loro coetaneo, ed ecco perché adesso furono in grado di comprendere la verità.
E’ vero, loro due… anzi no, loro tre odiavano profondamente Gelo, tuttavia non dovevano dimenticarsi la ragione di quell’imponderabile odio.
<< Se noi lo odiamo è solo perché prima c’era amore >> annunciò Jodie non senza un’incrinatura nella voce, nonostante un tono energico. << Amavamo i nostri genitori, ed ecco perché odiamo il loro assassino. Amavamo Susan, Alphonse, e te fratello >> disse rivolgendosi a Kim << e capendo chi fosse l’origine delle vostre sofferenze non potemmo fare a meno di provare astio nei suoi confronti >> .
Il corvino scrollò le spalle. << Cedere all’oscurità… proprio per combatterla. Sono cose già sentite, tu non credi? >>
<< E’ lo stesso motivo per cui siamo entrati in quella baby gang, da ragazzi >> dovette ammettere la sorella.
Quelle parole risuonarono nella mente di Kim come uno spaventoso colpo di cannone. << Senza genitori vi sentivate deboli, compatiti e inutili >> ricordò. << Avete pensato di essere traditi da quella vita che tanto amavate, che ci stava dando tutto quello che volevamo viziandoci a dismisura. Ecco perché siete entrati quasi naturalmente in quel gruppo, avevate bisogno di dimostrare agli altri e soprattutto a voi stessi che eravate ancora liberi di fare tutto quello che più vi aggradava >> . E dal tono laconico e conclusivo mal celato nella sua voce, i cyborg compresero che Kim avrebbe continuato a sentirsi in colpa per tutto il resto della sua vita.
Jason gli mollò prontamente un pugno sulla testa. << Piantala, non ti voglio più vedere con quello sguardo depresso >> sentenziò. << Ora che ci penso, noi amavamo infinitamente la nostra libertà ma Gelo ce la strappò via con la forza. Ecco un altro motivo per cui il nostro odio nei suoi confronti non è mai diminuito >> .
Il ragazzo rimase un paio di secondi a gemere, quando scattò il braccio e stavolta fu lui ad assestare al fratello un pugno sulla guancia. << Non ti conviene, guarda che so benissimo come difendermi >> esclamò sorridendo malignante. Poi prese un lento respiro, come se cercasse accuratamente le giuste parole, e si risolvette. << A proposito della vostra libertà serve un discorso a parte. Voi due di cosa esattamente siete stati privati? E’ ovvio, della libertà di considerarvi degli esseri umani, però avete sempre fatto quello che volevate sia da ragazzi sia adesso. Uccidere Gelo non ne è stata la dimostrazione più eclatante? >>
Il freddo iniziava a rallentare i loro movimenti mentre si accostavano alla spaziosa entrata di un pub gremito di gente. Non vi erano più posti a sedere dentro il locale, ma sebbene il clima erano stati allestiti all’esterno diversi tavoli.
I tre ragazzi si sedettero attorno a un tavolino bordato da una lunga fioriera, e tramite questa separato dalla strada pullulante della felicità altrui. Presto si ritrovarono con tre invitanti bicchieri colmi di mojito che Kim volle far provare ai fratelli, ed ecco che con graduale inesorabilità il Sole si colorava di un intenso rosso scarlatto. Jodie si rese conto di stare assistendo al più bel tramonto mai visto in vita sua.
Jason e Jodie erano persone straordinarie, e come furono in grado di dimostrarlo da impauriti ragazzini rimasero tali anche da cyborg. Dalla tenacia evinta nel loro comportamento ribelle, che altro non è se l’antico specchio di un’immensa voglia di vivere, si può trarre facilmente una conclusione: le individualità di quei ragazzi non erano mai morte, bensì erano soltanto assopite e desiderose di essere recuperate.
Kim si scostò dei ciuffi dagli occhi e iniziò a sorseggiare il suo alcolico. << Vi state chiedendo che cosa significhi essere dei cyborg… Oramai non dovreste essere molto lontani dalla risposta. Pensate a me: dopo quel 17 dicembre pensavo di non avere più diritto a una vita, di non poter mai più fare delle scelte. Credevo di essere diventato una macchina, ed ora che vi vedo posso asserire che lo sono stato più di quanto lo siate mai stati voi >> .
 
     Il corvino rimase in silenzio, mentre nella sua testa sentiva un gran fermento. La conversazione stava prendendo una piega strana, inaspettata… E fu allora che ne comprese il motivo. Tutti e tre cercavano una risposta, ma ogni volta che le loro mani erano sul punto di impugnarla ecco che accorrevano nuovi interrogativi e cupidamente la intingevano con sadica oscurità. Il punto su cui soffermarsi era: Kim conosceva la risposta? Forse la sua saggezza gli consentiva di conoscere una tale verità, ma in ogni caso era fondamentale che fossero loro due ad afferrarla.
Jodie arrivò presto a sorseggiare l’ultima metà della sua bevanda, mente sentiva l’animo dilaniato da una guerra che non trovava pace. Sintetizzando il discorso possiamo dire che la sua aspirazione principale fosse attribuire un convincente significato al concetto di umanità, e solo così forse avrebbe potuto trovare una risposta al quesito che da troppo tempo ormai l’affliggeva: che cosa significa essere cyborg?
Nel tentativo di approdare a una risposta si ritrovò a riflettere su alcune vite esemplari e a chiedersi con quale fine fossero state tali: in breve le gesta di Edward, Hilary e Susan si ripeterono nella sua mente. Un momento, qualcosa le stonava, forse c’era qualcosa che non quadrava… E fu allora che comprese.
Quasi come se fosse un movimento autonomo e naturale delle sue labbra, confermato da un tono distante e profondo, si ritrovò a esclamare: << Kim, la tua non è stata una vita vuota >> .
Il giovane ammiccò un sorriso. << Oh, ti ringrazio >> .
<< E’ vero, la tua storia è sconvolgente >> ammise la ragazza << ma adesso sei qui. Ci hai rincontrato, hai pianto e hai gioito. Non è questo che significa essere vivi? >>
Finalmente  anche sul volto di Jason gli angoli delle labbra si sollevarono in un affascinante sorriso. << Credo di aver capito che intendi, sorellina >> disse, e in un ultimo sorso terminò il suo alcolico.
 
     Jason. Jodie. Kim. Tre fratelli, una sola anima. Vittime del male, perseguiti e persecutori.
Negli anni successivi non dimenticarono mai tutto ciò che si dissero in quella meravigliosa serata e né tantomeno le conclusioni ove, dopo lunghissimi travagli, i loro animi riuscirono finalmente ad ormeggiare, in un’aberrante serenità.
 
 
     I tre giovani erano ancora seduti con i loro bicchieri vuoti fra le mani quando ricevettero una grande sorpresa. Improvvisamente la gente parve disperdersi in varie direzioni, e presto ne compresero il motivo: bè, diciamo che furono l’aspetto e l’abbigliamento piuttosto appariscente di Junior a spaventare la gente, ma in effetti anche l’atteggiamento minaccioso e burbero di Vegeta contribuì allo scopo.
Curioso come in un’unica e strana masnada di gente riconobbero tutti coloro che fino a poco prima erano loro nemici; Jason e Jodie riuscirono a vincere però l’imbarazzo quando notarono Alphonse, C – 16 e naturalmente Crilin.
     Oh Kim, quanto fosti grato a tua sorella per averti presentato Chichi e Gohan! Sei piaciuto al ragazzo sin dal primo momento, e ti ricordi la tua emozione quando nei mesi successivi Chichi ti permetteva di toccarle la pancia? E tu hai anche sentito il bambino! Alphonse avrebbe continuato anche a distanza di anni ad asserire che quell’incontro fu per te un vero miracolo.
 
     Jason. Jodie. Kim. Tre fratelli, una sola anima. Vittime del male, perseguiti e persecutori.
Possiamo porre ciò come una verità, siccome conosciamo tutto il loro passato.
     Tuttavia non dimentichiamoci della storia del dottor Gelo: non potrebbe anche lui essere considerato una vittima del male? Pensiamoci bene. Era incommensurabile l’amore che provava nei confronti della moglie e del figlio, ma anche al punto da approdare a livelli esasperati; d’altra parte come poteva dimenticare il senso di dovere nei confronti del Red Ribbon, che dal nulla aveva raccolto le sue misere ceneri e da esse aveva edificato un uomo brillante e straordinario? Poteva davvero operare una scelta fra due tali opzioni?
Avrebbe dovuto, disse Jason quando Kim gli pose questa domanda. Purtroppo Gelo non ne fu in grado, e quando si rese conto di quanto la sua famiglia fosse più importante del Red Ribbon era troppo tardi: lui aveva preferito proteggere Susan e rimanerle accanto nella morte. Questo, ricordiamoci, a fronte di un combattimento contro il nemico che avrebbe permesso al suo esercito di trionfare – vero – ma che non avrebbe evitato alla moglie una morte disonorevole. Gelo riuscì a prendere una decisione, ma oramai era troppo tardi.
     Probabilmente è inevitabile, ma disquisendo su Gelo risulta dovuta un’ultima osservazione. Nel loro ultimo incontro aveva ordinato ai cyborg di uccidere Kim, ma essi riuscirono a salvarlo. Possibile che lo scienziato non si fosse accorto di quel delicato frangente? E in seguito sicuramente era venuto a sapere che il figlio fosse ancora vivo: l’ultimo superstite di una ricca e celebre famiglia, come non leggere una tale notizia sui giornali? Oppure poteva averlo scoperto rendendosi conto di essere seguito… Insomma, le prove erano svariate.
Il dottor Gelo sapeva che il figlio fosse ancora vivo, e aveva spontaneamente deciso di non ucciderlo? Gli aveva risparmiato la vita?
“E’ l’idea migliore che mi è venuta per risolvere la faccenda. Addio, Kimley”: le ultime parole dello scienziato continuavano a echeggiargli nella mente… Forse voleva donargli la morte come unica via di fuga da una sofferenza atroce. O forse non riusciva a bramare per davvero la morte di suo figlio.
Questo è un dubbio che avrebbe continuato a cospirare in eterno contro la totale serenità del ragazzo.
     C’è da dire adesso che non stiamo giustificando il dottor Gelo, per cui può stare tranquilla Jodie la quale era terrorizzata all’idea. << Nessun crimine è giustificabile >> affermò Kim << qualunque ne sia la causa >> .
     Ed ecco che, volutamente o meno, stava richiamando i cyborg alle loro responsabilità.
<< Tuttavia capire i motivi che ne stanno alla base è fondamentale per aiutare chi li commette >> aggiunse. << Se degli uomini scelgono di operare il male non hanno giustificazioni, ok, ma delle ragioni sì. E ancor di più se si tratta soltanto di ragazzini… Dopotutto nessuno nasce malvagio, vero? >>
 
     Fu una serata fantastica. Il bizzarro gruppetto si ritrovò a consumare un’abbondante cena alla vista di spettacolari fuochi d’artificio, i quali riuscirono soltanto per la durata della loro esibizione a placare i vari schiamazzi sparsi per la città che subito dopo invece implosero in un’aberrante potenza.
Naturalmente non fu facile far desistere Vegeta e Junior dal desiderio di attaccare i cyborg o chiedere spiegazioni su un loro presunto e occulto obiettivo, ma quando Crilin pregò di lasciarli stare i due cominciarono a borbottare e dopo severi rimproveri all’amico decisero di rinunciare.
Chichi era ancora sconvolta per la morte del marito, ma l’inattesa consapevolezza di aspettare un bambino riuscì a distoglierla da quel pensiero e adesso riusciva perfino a sorridere.  << Una meravigliosa dimostrazione di forza d’animo >>, la definì Junior.
Bulma dal canto suo era al settimo cielo per aver conosciuto il figlio del dottor Gelo. Era un vero peccato che uno scienziato di tale ingegno avesse posto il suo sapere al servizio del male, disse a Kim, ma anch’ella era una scienziata e dal punto di vista professionale non poteva far altro che stimarlo. << Ho sempre sperato di incontrarti, dottor Jefferson! >> dichiarò la donna nel pieno dell’entusiasmo, ma il giovane dovette frenarla chiarendo che essere chiamato “Kimley” gli andava benissimo.
     Le ore trascorsero destando un piacevole tepore negli animi dei ragazzi, e pure a distanza di anni Jason avrebbe continuato a chiedersene il motivo. Lui e sua sorella non vennero trattati come i cyborg che fino a poco prima erano spietati nemici, ma piuttosto come… bè, ragazzi qualsiasi.
     Quella sera il tempo fu loro nemico, ed ecco che prima che potessero rendersene conto la luna era già raggiante e splendida sopra i loro occhi.
 
Jason e Jodie non poterono evitare di fare una constatazione: quel giorno avevano contemplato con occhi colmi di gratitudine un favoloso imbrunire, ed era il 17 dicembre. Il loro compleanno.
     Proprio in quella stessa data di tanti anni prima erano morti, e nei loro giovanissimi corpi si stabilizzavano i cyborg C – 17 e C – 18.
     Nessuno sarebbe stato in grado di auspicarlo all’epoca, ma a distanza di anni gli spiriti ribelli dei cyborg avrebbero iniziato ad assopirsi e i due gemelli sarebbero finalmente rinati.
     Il tramonto che ammirarono quel giorno fu caldo e particolarmente carico di sentimenti. Già… non era tramontato solo il Sole, ma anche la loro disperata vita da cyborg.
 
 
 
 
 
 
     17 dicembre: dall’unione dei coniugi Edward e Hilary nacquero due gemelli, intorno alla mezzanotte. Il giorno del loro quattordicesimo compleanno essi venivano catturati dal dottor Gelo e trasformati, contro la loro volontà, in cyborg.
Ed ora, a distanza di anni, i due gemelli rinascevano come esseri umani.
I loro nomi erano Jason Logan e Jodie Logan.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Epilogo


 
Era una calda giornata primaverile, e in tutta la città gli alberi facevano a gara per sfoggiare la chioma più ilare. I suoni si sovrapponevano in maniera indistinta, e pareva di essere di fronte a un immenso prato fiorito adorno fra l’altro anche di palazzi spettacolari.
La donna camminava con fare sicuro, nonostante i tacchi. Oh, quelli sì che proprio non li sopportava. Indossava una camicia rosa sbottonata al seno e una gonna di un bianco immacolato. La collana d’oro che le circondava il grazioso collo pareva preannunciare quei meravigliosi e delicati filamenti i quali, incorniciando un viso forte e femminile, risplendevano al Sole come se fossero di oro finissimo.
Certo che era proprio bizzarra l’architettura di quella città. Alzando lo sguardo la donna scorgeva soltanto le vette dei palazzi più sontuosi; tutt’intorno serie ininterrotte di abitazioni ostentavano un gran lusso, un’inappagabile ricchezza oppure un buon senso critico. Fortunatamente vi era anche chi non pretendeva per sé – o semplicemente non poteva permetterselo – immensi quanti tristi fabbricati.
Per quanto riguarda gli alberi… bè, alcuni erano davvero esilaranti. Un modo come un altro per mostrare al mondo intero che l’architettura e la tecnologia di Satan City non potevano avere eguali.
Non vi erano nuvole in cielo, non un solo batuffolo. Il suo sguardo si perse in quell’azzurro candido e immenso, senza scheggiare la bellezza e la profondità che solevano accompagnarla… Quando improvvisamente venne richiamata alla realtà. Si sentì tirare la mano da una delicatezza sconcertante, e sorrise quando i suoi occhi incrociarono quelli della bambina che la stava chiamando.
La bambina risultò molto scocciata quando si volse supplicante all’uomo al suo fianco e questi non fece altro che sorriderle con dolcezza. Lei non vedeva l’ora di arrivare a destinazione, chi se ne importava dei sorrisi!
Per sua immensa gioia finalmente giunse il momento. Erano arrivati davanti la casa degli zii, in piazza, la stessa al cui centro si ergeva un’imponente statua di Mr. Satan e dove, dalla’altra parte della strada, la villa del salvatore del mondo se ne stava appollaiata da un lato all’altro di due ristoranti privati.
Attesero per secondi che parvero interminabili prima che la porta di casa si aprì.
Alphonse non fece in tempo a salutarli che la bambina gli si era già avvinghiata alla vita. Questi sorrise teneramente ed esclamò: << Buon compleanno, signorina Marron! >>
<< Al, Al, ci sono gli zii? >> domandò lei traboccante di una gioia che non aspettava altro se non di manifestarsi in tutta la sua dirompenza.
Il maggiordomo annuì e permise alla bambina di precipitarsi dentro. I genitori la seguirono, e rimasero a bocca aperta quando scoprirono tutti quegli striscioni e scritte colorate sparsi per la casa.
<< Dov’è la mia nipotina? >> chiamò una voce maschile a noi ben familiare. Era Kim.
Jodie non dovette nemmeno raccomandare alla piccola Marron di ringraziare gli zii perché questa si era già buttata al collo di Kim. La donna ridacchiò notando come il fratello fosse conciato. Sopra i jeans e una camicia rossa a quadri si allungava un grembiule da cucina pieno di macchie, e notò che punte di maionese e salsa al tonno si spargevano un po’ dappertutto, addirittura sulle confuse ciocche di capelli che urlavano al panico sopra la sua testa. Oh, i capelli di Kim non erano migliorati affatto e forse con il tempo avevano formato grovigli ancora più complessi.
<< Che state preparando? >> domandò Jodie in tono grato.
Per tutta risposta lui si rialzò e le fece un occhiolino. << Te l’ho già detto, è una sorpresa! >>
     Nei minuti che seguirono Jodie e Crilin salutarono tutti i presenti, mentre Alphonse dovette allontanare più volte la bambina dai tramezzini che stavano preparando.
Ecco Jason, il quale si precipitò a salutare la sorella e naturalmente la nipote. Indossava una felpa scura e semplici scarpe da ginnastica, e mentre gli strappi presenti qua e là sui jeans potevano far pensare a un tipo disordinato la perfezione di quei capelli corvini che così ordinatamente scivolavano sul foulard annodato al collo non consentiva equivoci. Era uno di quegli uomini che ci tengono molto al proprio abbigliamento.
Lì in cucina invece c’era Chichi, intenta a dare ordini a Kim e ad Alphonse sulla preparazione di chissà quali pietanze capaci di ingolosire anche i più restii al cibo; poi c’era Junior, e Crilin si chiese su che cosa stesse riflettendo così intensamente, mentre Muten e Oolong parlavano di… bè, non lo sapeva, ma poteva farsi un’idea notando che i due prima fissavano Chichi e poi scoppiavano a ridere con il volto in fiamme.
All’improvviso la piccola Marron sentì che qualcuno le stava tirando le ciocche di capelli che fuoriuscivano dai due nastri rossi preparati con tanta premura dalla madre. << Goten, lo so che sei tu! >> esclamò, e subito si trovò la faccia del ragazzino davanti alla sua.
<< Dì a tua madre che dobbiamo mangiare, io ho fame >> si lamentò questi, poi le fece gli auguri e corse via. << Dai, giochiamo un po’! >>
     Il ragazzino era Goten, il figlio di Goku e Chichi. Erano passati sei anni dalla morte del padre e, anche se non l’aveva mai conosciuto, provava uno strano piacere quando tutti gli dicevano di essere identico a lui. Aveva un rapporto molto forte con il fratello Gohan, con Trunks – non vedeva l’ora che arrivasse! – e infine con Marron.
Sua madre passava molto tempo con Jodie e con Kim, del resto. Bè, per una lunga storia che però era troppo complicata da ricordare… Sapeva che c’entrava qualcosa la madre di Kim, e che Chichi per qualche motivo le era grata… Infatti ripeteva sempre che se non fosse stato per il sacrificio di Susan – la madre di Kim, vero? – adesso loro tutti non sarebbero lì.
     Kim, da parte sua, provava un grande affetto per la famiglia di Goku. Portava spesso dei regali a Gohan e Goten, e inoltre da un po’ di tempo stava aiutando il ragazzo nei suoi studi. Gohan aveva sedici anni ormai, e il prossimo anno scolastico aveva intenzione di frequentare la Orange Star High School: avrebbe passato molto tempo lì a Satan City, così lontano dal Monte Paoz dove abitava, e così gli aveva proposto di rimanere a vivere a casa sua. Il ragazzo ci stava ancora riflettendo.
     Fu una mattina splendida. Come regalo per il suo terzo compleanno la piccola Marron aveva ottenuto dagli zii il permesso di festeggiare in casa loro: lei adorava quella casa, forse anche perché zio Jason e zio Kim la viziavano. A onor del vero da parte loro ricevette anche tantissimi peluche di animali diversi, e Crilin subito si chiese dove li avrebbe mai sistemati nella sua piccola casa.
Lui e Jodie si erano sposati quattro anni prima e dopo un solo anno di matrimonio era arrivata la piccola Marron a cambiare radicalmente le loro vite. Di comune accordo avevano deciso di vivere nella Kame House, il che rendeva Jodie particolarmente felice: dopo tutto quello che aveva passato nella vita necessitava unicamente di un po’ di tranquillità.
Invece Kim era rimasto a Satan City e viveva insieme a Jason e C – 16, oltre che con il fedele Alphonse. Seguendo il caloroso consiglio dei fratelli, sei anni prima e cioè immediatamente dopo il loro incontro aveva accettato di traslocare, accusato di essere troppo legato al passato. Ogni tanto ritornava nella sua vecchia casa, non riusciva a venderla, ma aveva capito che divincolarsi dai terrori del passato era fondamentale per la sua stessa esistenza.
     Passò poco tempo prima che arrivassero anche Vegeta, il piccolo Trunks e Bulma, la quale appena notò C – 16 immerso nel suo solito e pensieroso mutismo gli raccomandò di non strillare troppo.
Il ragazzino si gettò sulla schiena di Kim – ebbene sì, i bambini riuscivano a maltrattarlo come volevano – mentre Goten gli sussurrava di inginocchiarsi. << Ehi Kim, ti devo dire un segreto, però non lo sa nessuno >> gli confidò all’orecchio. << Trunks ed io sappiamo già trasformarci in Super Sayan! >>
Probabilmente si aspettava chissà quale reazione esagerata, perché fu immensa la delusione che gli si dipinse in volto quando l’uomo semplicemente gli scombinò i capelli e ridacchiò: << Lo sapevo che ce l’avreste fatta! >>
Goten sbuffò e incrociò lo sguardo dell’amico da sopra le spalle di Kim. << Te l’avevo detto io che non si sarebbe meravigliato >> lo apostrofò questi.
<< Mi dovete scusare >> disse Kim , e gli angoli della bocca si alzarono in un sorriso. << Ma dopo tutto quello che mi è capitato nella vita, non mi sorprendo più di niente >> .
     Sentire il citofono suonare significò per Marron una nuova gioia. Mancava ancora una persona alla sua festa; gli era molto affezionata e finalmente egli era arrivato.
Jason aprì la porta e non riuscì a trattenere un ghigno quando lo vide.
L’uomo che gli era davanti stava ancora ansimando per la gran corsa appena terminata. Aveva lunghi e spettinati capelli biondi, e brevi tratti di una barba mal curata gli incorniciavano le gote e il mento. Con una mano si poggiava ancora sulla porta, mentre con l’altra impugnava un pacchetto regalo.
Complessivamente nell’aspetto era molto simile a quando era adolescente: bello ma trasandato.
<< Sei in ritardo, John! >> lo sgridò il corvino.
<< Lo so… Non serva che tu me lo dica >> rispose questi, sorridendo a Marron appena la vide.
Ecco John: sei anni prima, essendo stato usato come pedina da un criminale più grande di lui, aveva deciso di abbandonare la strada della delinquenza e attualmente si stupiva egli stesso di come, nonostante le difficoltà che incontrava nei vari lavori part-time che provava, riuscisse ad avere una vita felice.
     << Bene, ci siamo tutti! >> esclamò Crilin non appena anche l’ultimo arrivato si fu sistemato. Ringraziò tutti i presenti per essersi riuniti in occasione del compleanno della sua bambina, e un ringraziamento speciale fu rivolto a chi aveva messo a disposizione la propria casa per permettere quella riunione così piacevole. << E ora buon appetito >> augurò felicemente, addentando un panino ripieno di prosciutto.
 
 
     Essere cyborg… Dopo tante vicissitudini  Jason e Jodie avevano finalmente svelato l’arcano mistero. Adesso avevano una risposta.
Cosa esattamente avevano cercato in quel lungo viaggio che seppe riportarli a Kim? Oppure il loro era stato un tortuoso vagabondare dentro la propria interiorità? Qualsiasi fosse la prospettiva però la destinazione risultava immutata, alla fine del percorso trovavano sempre Kim: fu solo comprendendo l’immensa preziosità e la stupefacente bellezza dei sentimenti del ragazzo che riuscirono a trovare delle vere risposte.
Lo so, questo concetto è stato troppe volte ripetuto nel corso della storia. Spero tuttavia che tu non ti stia annoiando, perché ti chiedo di capire pienamente i sentimenti dei tre fratelli.
Jason e Jodie non consideravano Kim un loro amico. No, la prospettiva era del tutto improponibile: egli era loro fratello.
     Il corvino fissava Kim mentre tutti gli antipasti gli venivano rubati con rapacità da un Goten duramente sgridato dalla madre. Non poté evitare un ghigno. Kim gli aveva insegnato ad amare, a fidarsi ciecamente e ad avere zelante cura degli altri: tutte cose reputate scontate tra fratelli.
Aveva però imparato una certa morale, e cioè che nulla al mondo è da considerarsi scontato. Quello che Kim provava per lui e il modo in cui lo rendeva felice era straordinario e talmente prezioso che non poteva permettersi di darlo per scontato: aveva paura che così facendo non avrebbe colto ciò che suo fratello significava per lui.
Non correva alcun legame di sangue fra di loro, ma questo è soltanto un dettaglio irrilevante in amore. Se ne rendeva perfettamente conto Jodie la quale adesso aveva una figlia.
     Chi poteva assicurare che un giorno lei non avrebbe tradito la fiducia di Marron? Che le avrebbe fatto del male? Che l’avrebbe fatta disperare? Lei era madre, ma doveva meritarsi questo appellativo. E’ assolutamente importante capire questo affinché l’amore possa essere sincero.
Jodie non poteva dare per scontato qualcosa di talmente importante come l’affetto della figlia o altrimenti come madre avrebbe fallito. Doveva prima rispettarla, crescerla ed amarla profondamente, essere sempre sincera con lei, sia nel bene che nel male, e infine avere fiducia in lei. Solo dopo avrebbe potuto considerarsi una vera mamma.
     Che non si veda un tale cardine dell’amore discostante dal concetto di fratellanza. Ecco perché ai due cyborg non importava nulla della presenza o meno di un qualche legame sanguigno con Kim. Che poteva significare mai un dettaglio così minuscolo se paragonato all’incommensurabilità dell’amore?
Niente, assolutamente niente.
L’uomo si fidava di loro, li rispettava e non permetteva mai alla sua sincerità di vacillare; desiderava la loro felicità, gioiva per i loro successi e provava un gran rammarico nei loro momenti di tristezza. Il suo era un sentimento genuino che non pretendeva nulla in cambio, ma era semplice estrinsecazione dell’ancestrale natura dell’uomo che porta ad amare incondizionatamente. E Kim amava, davvero tanto, e non c’era bisogno che lui lo dimostrasse – oh, non sarebbe un sentimento vero se dovesse costantemente ostentare rappresentazioni di sé – ma Jason e Jodie lo sapevano.
 
Grazie al fratello avevano acquisito la consapevolezza di essere amati.
 
E come si può decidere arbitrariamente di non ricambiare un sentimento, quando esso è così dirompente?
 
Fu così che prima che potessero rendersene conto nei loro fragili animi si azionarono dei meccanismi inconsci e talvolta inaspettati, e con il tempo si ritrovarono anch’essi ad amare.
     Tuttavia questo cosa significa, che se prima non si viene amati non si può amare a propria volta?
Certo che si può invece, e fu una sconvolgente sorpresa per Jason e Jodie avvedersi che ne erano la prova.
Dopo tanti anni non covavano più odio nei confronti del genere umano. Lentamente la furiosa ondata di rabbia che a partire dai loro nove anni li aveva sommersi impotenti, e fatti naufragare pochi anni più tardi in una baby gang cittadina, adesso si stava ritirando lasciando ad ogni sciabordio una fragile schiuma fiduciosa nel futuro, che sarebbe diventata infine fiducia nel prossimo e disposizione ad amare.
     Comprendere tutto ciò aveva permesso a Jason e Jodie di non isolarsi più, di riscoprire emozioni dimenticate da tempo come il piacere della condivisione o semplicemente dello stare insieme. In poche parole, capirono di essere finalmente vivi.
Cosa significa essere vivi? Bé, questa è una domanda che loro due e Kim si ponevano ancora adesso. Quello di vita è un concetto talmente bello e complesso che probabilmente non l’avrebbero mai compreso pienamente, tuttavia erano stati in grado di giungere a una conclusione.
Essere svegli nella realtà, e accorgersi delle cose. Ecco come ci si poteva davvero affermare di vivere
 
     Come quando butti un sasso in un limpido specchio d’acqua e, pur piccolo che esso sia, verranno a formarsi onde concentriche gradualmente più ampie: le consapevolezze che tutti e tre acquisirono e le sicurezze di cui si impossessarono avevano seguito il medesimo movimento. Da una prima, piccolissima, verità a un nuovo e splendente modo di vivere.
     Essere umano e essere cyborg. Perché mai fare una distinzione fra i due termini, quando ambedue sono semplici termini dello stesso polinomio?!
     L’obiettivo di tutti gli esseri viventi, qualunque fosse la categoria di appartenenza cui venivano attribuiti dal senso comune, era ineludibilmente uno: essere felice, e chiunque finiva per perseguire tale scopo, come i tre fratelli notarono.
Essi scoprirono che essere un cyborg aveva lo stesso significato di essere un umano. Avrebbero tentato di migliorarsi e di raggiungere l’ambita tappa della felicità, in una ricerca infinita, e levando le proprie vite dal vuoto dell’indifferenza avrebbero dato un senso al loro essere.
     Un nobile scopo dell’umanità, o almeno di una parte di essa, è aiutare chi ne ha bisogno a dare un senso alla propria vita. Per compiere una tale missione è però necessario trovare e custodire con gelosia una propria pace interiore: perché mai? E’ questa una diabolica forma di egocentrismo?
     Nient’affatto. Si tratta di un puro e costante bisogno di altruismo.
E’ questo – i nostri ragazzi lo capirono bene – ciò che contraddistingue coloro che subiscono passivamente il presente dai veri esseri viventi.
 
 
     Kim sollevò la tenera Marron da dietro e se la strinse al petto. << Ora che abbiamo finito le lasagne che ne dici se apri i regali? >> esclamò avviandosi già verso il centro del salotto.
La bambina, biondissima come la madre, accolse con gran gioia la proposta e iniziò a schiamazzare. << Sì, sì, i regali! >>
     Jodie si alzò con elegante delicatezza e con lo sguardo seguì l’uomo. Quanto lo stimava per la lucidità con cui pensava al suo passato! Egli non aveva perdonato Gelo e non lo reputava più suo padre, tuttavia riusciva a comprenderlo. E in fin dei conti anche lei e Jason.
Il dottor Gelo. Una delle tante vittime del male.
     Tutte le pietanze mangiate sino ad allora lo avevano già riempito e così Jason fu lieto di avere una buona scusa per sgranchirsi le gambe. Non evitò di mollare un pugno a John al suo passaggio, cosa che l’amico ricambiò, e si avvicinò alla nipotina.
Pensò a quanto divertente fosse vivere insieme a Kim, un fratello strambo ma geniale al punto da essere riconosciuto come scienziato sin da quando era giovanissimo. Ah, che strano e ironico senso di colpa provava quando si rendeva conto che per colpa sua e della sorella Kim aveva dovuto abbandonare il progetto a cui si dedicava da anni…!
Egli aveva provato a studiare il modo per trasformare dei cyborg in esseri umani. Era un progetto complicato e forse assurdo, ma prima che potesse giungere a una soluzione Jason e Jodie avevano impugnato una ferrea decisione.
A loro due essere cyborg andava benissimo.
     Il terzo compleanno di Marron si risolse in una giornata grandiosa. Gli invitati rimasero entusiasti e la piccola seppe esibirsi molto bene in un continuo fragore di urla e ghigni. Una risata contagiosa la sua, come sempre nei bambini, perché fu in grado di disegnare dei magici sorrisi sulle labbra di chiunque in un’unica e generosa pennellata di vitalità, ma indubbiamente i sorrisi più lucenti furono quelli sfoggiati da Jason, Jodie e Kim.
Dopo tanti anni, finalmente erano vivi.

































* angolo dell'autore


E purtroppo, tutto ciò che esiste al mondo prima o poi troverà una fine. Anche questa mia storia alla quale rimarrò sempre attaccatissimo :’)
 
Ok, da dove cominciamo? Sì. Anzitutto chiedo perdono se il capitolo è stato un po’ pesante… Spero di no, ma sono consapevole che potrebbe non essere dei più scorrevoli, per via dei concetti che ho voluto esprimere. E qui devo dire una cosa – della serie, cose che devo dire ora o mai più xD
Perché mi piace scrivere? I motivi sono molti, troppi, complessi. Uno dei tanti è che con la scrittura io posso essere completamente sincero con me stesso, e esprimere qualunque mio pensiero. Ecco perché ho voluto assolutamente ribadire determinati concetti nel corso di questa storia…
Che ne dite ora che tutto è finito, vi è piaciuto il mio Essere cyborg?? Ovviamente siete liberissimi di dirmi qualsiasi cosa, se cioè vi ha scocciato qualcosa della trama o simili non fatevi problemi a dirmelo :)
 
I temi che ho voluto affrontare? Bè, il primo che mi viene in mente è quello della baby gang: nessuno nasce cattivo. Poi l’amore fraterno, quello vero, la solitudine, la complessità di una famiglia dove si dicono troppe bugie ecc.. Mi è piaciuto tanto analizzare varie tematiche e vari personaggi… Il mio preferito, lo sapete, è Kim, e infatti è quello che ha sofferto di più, sia interiormente che fisicamente.
 
Dovrei stare qui in eterno a ringraziarvi, pensandoci bene. Devo ringraziare di cuore chi ha letto questa storia, chi ha sprecato il proprio tempo per incoraggiare me, un autore come altri di questo sito, perché se ho realizzato questa prima parte del mio sogno è anche merito vostro. Grazie a chiunque mi abbia recensito, infinitamente. Le vostre recensioni mi hanno fatto sentire importante, e fatto capire che stavo riuscendo nel mio tanto ambito desiderio. Sono stato incoraggiato con affetto e stima da individui che nemmeno conosco personalmente: per tutti questi motivi, grazie.
 
Ok, mi sto prolungando xD Un mio difetto forse è la prolissità :’) Vi chiedo scusa se non pubblicavo da cinque mesi, spero che il capitolo finale vi sia piaciuto!!
 
Prima di lasciarvi… Un ragazzo di cui mi è piaciuto molto il ruolo avuto è stato John, perché è apparso come un personaggio secondario ma si è rivelato fondamentale. Voi che ne pensate??
Un’altra parola secondo me la merita Alphonse: sapete, il legame tra un maggiordomo particolarmente fedele e il suo “signore” mi è piace molto da analizzare. Vabbè, forse da autore non ha molto senso che faccia certi commenti xD
 
Il titolo del capitolo "Essere cyborg" era in contrapposizione al secondo  "essere umano": era da allora che aspettavo di pubblicare l'ultimo capitolo con questo titolo :)
E così, sono tre anni e mezzo che sto scrivendo questa storia... l'ho cominciata che era giugno, e avevo appena finito il secondo superiore. Bè, ora sto al primo anno di università, e sto studiando ctf a Urbino. Città stupenda :) Davvero, non è passato giorno in questi tre anni che non pensassi ai miei personaggi, così cari e che tanto mi stavano cambiando.

Ok, ora vi lascio per davvero. Spero vivamente che la mia opera vi sia piaciuta.
Vi sarò grato per sempre per averla recensita e letta :)
Grazie a tutti voi di cuore!!!!


 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2341449