Always and Forever

di mentaverde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 00 - Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 01 - Pronti a tutto ***
Capitolo 3: *** Capitolo 02 - Ad ogni costo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 03 - La forza dei ricordi (Anastasya) ***
Capitolo 5: *** Capitolo 04 - La forza dei ricordi (Leon) ***
Capitolo 6: *** Capitolo 05-Quando torna la memoria ***



Capitolo 1
*** Capitolo 00 - Prefazione ***


 
 
 Now and Always
 
 
 
Un anno fa…
 
Annie fece un infarto quando vide il numero che la stava chiamando.
Come poteva chiamarla così presto?
Era passato un solo anno, maledizione!
Cosa voleva? Tornare forse? Dopo tutta la fatica che aveva fatto, dopo tutto il tempo che aveva passato a sopportare lacrime e piagnistei, doveva farle ricordare tutto?
No, non poteva chiederle di cancellare tutto il lavoro fatto, tutti i sacrifici.
Si era anche affezionata alla ragazza, in fondo non era così male anche se l’opposto di lei sotto molti aspetti. Annie era riuscita a capire perché si fosse innamorato di lei, d’altronde quegli occhi non si vedevano ovunque, occhi così intensi da travolgere chiunque li guardi.
Perché in fondo aveva sempre cercato quello: qualcuno che cambiasse la sua vita, che non avesse paura.
Ed Annie non era esattamente quel tipo di persona. Non era stata capace di farlo sentire forte, diverso e migliore. Lei sì.
Con quello sguardo da umana era riuscita a sconvolgerlo.
E adesso voleva tornare?
Dopo tutto quello che le aveva chiesto di sacrificare?
Annie fece un profondo respiro e aspettò che fosse lui a parlare.
“Anastasya”, pronunciò il suo nome con quel calore che ogni volta le travolgeva il cuore.
“Cosa vuoi?”, domandò lei digrignando i denti infastidita.
Doveva odiarlo, non amarlo.
“Oh, tutta questa rabbia. Non ti si addice, Anastasya”.
“Allora non riprovare a chiamarmi”.
Era sempre così, ormai da anni. Lei provava ad odiarlo, ma ogni volta era pronta a seguire ogni suo stupido desiderio nella speranza che potesse ricambiare quell’amore.
“Dimmi, avete fatto amicizia?”.
“Smettila, non ti dirò mai dove siamo”.
“Cosa ti dice che io non lo sappia già?”.
“Perché altrimenti saresti già qua. Ed è passato un solo anno. Devi starle lontano. L’hai giurato”.
“So quel che ho giurato, Anastasya, non serve che tu me lo dica”.
“Allora non chiamare!”.
“Voglio solo sapere come sta”, il suo tono era cambiato, si era ammorbidito.
Annie che nel frattempo aveva attraversato il corridoio, socchiuse la porta della camera della ragazza.
“Come sta la mia Davina?”, domandò di nuovo.
La ragazza nella stanza si voltò e guardò Annie, “Ti piace?”, le chiese mostrandole un tatuaggio sotto il seno.
“Ti sei fatta un tatuaggio!?”, urlò Annie e l’uomo dall’altra parte della cornetta scoppiò a ridere.
“Oh, la mia Davina”.
“Con chi sei al telefono?”, domandò Davina.
“Con nessuno”, disse rapidamente.
“Passamela”, ordinò perentorio l’uomo.
“No”, rispose Annie attirando l’attenzione della ragazza.
Era passato un anno e lui già stava fremendo dalla voglia di rivederla… come sarebbe riuscita a tenerlo lontano per… fino a quanto sarebbe vissuta?
“Torna a studiare, dopo io e te dovremmo parlare”, le disse Annie esausta di quella ragazza irrefrenabile, con coraggio da vendere, sfrontatezza smisurata e con una luce negli occhi che ogni giorno le rallegrava la vita.
“Ascoltami, Leo, io sto rispettando il patto, ma anche te devi rispettare il tuo”.
“Devo sapere che sta bene, Anastasya”.
“Se mai ci saranno problemi sarai il primo a saperlo”.
L’uomo rimase in silenzio per qualche secondo, “Non si ricorda nulla, vero?”.
“No. Altrimenti non sarei viva”, rispose Annie accennando ad un sorriso.
Dopo un sospiro la voce dall’altra parte della linea divenne seria come Anastasya l’aveva sempre sentita, “Ricordati che se lascerai a qualcuno la possibilità di far del male a Davina, verrò io stesso a fartela pagare. Non ho paura di sporcarmi le mani, hai capito?”.
“Sì”, rispose tremolante.
“E se tu proverai a scappare lasciandola sola, sappi solo che quando ti troverò ti annienterò”.
“Sì”.
“Un’ultima cosa, Anastasya”.
“Cosa?”.
“Fai in modo che viva come lei desidera”.
Annie, con il cuore in mille pezzi, attese che fosse lui a terminare la conversazione.
Ormai lo sapeva che lui desiderava sempre e solo lei, che negli ultimi due anni c’era stata solo Davina nella sua mente più di quanto lei non ci fosse mai stata in quei cent’anni che si conoscevano.
E, nonostante il dolore costante che provava nel vederla, l’avrebbe fatta vivere, così da poterlo rivedere un giorno.

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Capitolo 2
*** Capitolo 01 - Pronti a tutto ***


 
 
 Always and Forever
 
 
 
 
È disposto a morire per proteggerla.
Entrambi lo sono.
(Vampire Diaries)

 
 
 
 
 
“Esco con Dave”, esordì Annie facendo quasi soffocare Dawn.
“Non mi ricordo di averti dato il permesso”, commentò pulendosi la bocca col tovagliolo.
“Domani sera passa a prendermi”, continuò senza ascoltarla, “Mi porta da Harries”.
“Uh. Immagino che la prospettiva di passare il primo appuntamento in un ritrovo di adolescenti in preda agli ormoni ti faccia capire quanto Somerhalder sia un’idiota”, aggiunse velocemente.
Annie le scoccò un’occhiata fulminante, “Avrei preferito andare al Ma’ Clare”.
“È già tanto se non ti ha portato a mangiare un hamburger”.
“Non sei d’aiuto”.
“Non mi sembrava che me l’avessi chiesto”, rispose sorridendo amorevole.
“Si può sapere cosa ti ha fatto?”, domandò sbuffando.
“Beh, cominciamo col dire che mi infastidisce il fatto che esista, poi non vorrei mai farti dimenticare che ha fatto esplodere il gatto di Lindsay”, Dawn guardò il piatto, “Probabilmente assomigliava a questo spezzatino”.
“È successo tre anni fa, Dawn. Non hai mai fatto uno sbaglio te?”, chiese Annie.
“Beh, di certo non ho mai fatto esplodere un gatto…”.
“Dawn!”, disse Annie senza riuscire a non ridere.
Dawn ed Annie anche se sorelle erano molto diverse.
La prima che era la minore, era diretta e schietta, poco incline a farsi degli amici, Annie invece era solare, un vulcano di energie.
La maggiore delle due sorelle guardò i piatti intatti, “È meglio se la prossima volta andiamo da Harries a prenderci qualcosa da mangiare”.
“Oh, grazie, non sapevo come dirtelo… il tuo cibo uccide!”, disse e scoppiarono a ridere.
“Ho sentito delle voci giù in città”, disse alzando gli occhi e guardando Dawn che cominciò a diventare verde di rabbia.
Le puntò il dito contro, “Prova solo a nominare quell’idiota e potrei farti del male!”, la minacciò.
“Kennith Cumming”, sussurrò Annie prima di fare un balzo di lato per scappare dall’attacco della sorella.
Kennith andava a dire in giro a chiunque trovasse che preso lui e Dawn si sarebbero fidanzati e che cercava l’anello perfetto per lei.
Dawn era venuta a conoscenza di questi voci un paio di giorni fa ma non aveva ancora avuto la fortuna di trovarselo davanti per sistemare la questione.
“È un bel ragazzo”, disse Annie dopo essere scappata dall’attacco di Dawn.
“È abbastanza insignificante”, commentò Dawn.
“Insignificante? Oh, andiamo! Quella tartaruga non può essere insignificante!”.
“Infatti parlavo del suo cervello. Non sono come te… a proposito: non puoi uscire con Somerhalder!”.
“Da quando mi serve la tua approvazione?”.
“Sai, visto che siamo sorelle è mio dovere difenderti da idioti patologici”, commentò chiudendo a chiave la porta di casa.
Annie la guardò senza capire.
Nessuno a RedLake chiudeva a  chiave le porte. Era una cittadina sicura, non succedeva mai nulla di strano, mai.
“Ho una brutta sensazione”, sussurrò Dawn scuotendo la testa, “Embeth dice che sono ossessiva compulsiva, ma…”.
“Non preoccuparti”, la interruppe Annie velocemente, “Terremo la porta chiusa, così Embeth domani non disturberà il mio sonno di bellezza, ancora”.
Dawn rise, “Pensi che una porta chiusa a chiave fermi Embeth?”.
“No, ma è già qualcosa”, rispose sovrappensiero.
Una porta chiusa può fermare molto più di quel che credi, pensò Annie.
Annie guardò fuori dalla finestra, sperando di non vedere qualcosa muoversi in mezzo al bosco.
Quando Dawn aveva una brutta sensazione aveva sempre ragione, ma questa volta non riuscì a non sperare che non accadesse nulla, che rimanesse tutto com’era: tranquillo.
Erano passati due anni da quando erano lì a RedLake, due anni che vivevano le loro vite tranquillamente. Annie aveva aperto un negozio di frutta e verdura, Dawn lavorava per il giornale locale e le loro vite proseguivano normalmente, o quasi. Quasi perché nessuna ragazza di RedLake avrebbe mai rifiutato Kennith Cumming, il bel figlio dello sceriffo con occhi blu più profondi del mare, nessuna tranne Dawn che da quando erano a RedLake si era fatta pochi amici, tra cui Embeth.
Annie non poteva non ammettere che Embeth non avesse aiutato Dawn a trovare la sua strada in quella città. Era una ragazza frizzante, iperattiva e senza peli sulla lingua, un po’ come Dawn che non voleva saperne di rimanersene tranquilla senza combinare disastri.
Era sempre stata una ribelle, fuori dalle righe, incapace di rispettare quelle che erano le regole.
Se le si diceva ti tornare a mezzanotte, Dawn avrebbe varcato la soglia di casa almeno due ore dopo. Le regole le stavano strette, la facevano soffocare.
Ma c’era una cosa che Dawn rispettava: le persone. Le scherniva, le prendeva in giro, diceva loro la verità, ma era sempre stata la prima a mettersi al fianco di chi ne aveva più bisogno.
Il suo sogno era di scrivere per il Times, ma non di gossip o di economia.
Voleva parlare della verità, quella che andava contro le regole, proprio come lei, quella che i potenti tenevano nascosto. Voleva mettersi dalla parte dei più deboli e scoprire tutti i segreti che finora erano tali.
Annie aveva sempre pensato a Dawn come una forza della natura, come qualcuno che non si ferma facilmente. Ed era sempre stato così.
Non si era mai tirata indietro nel far a botte con qualcuno anche se più grande di lei, nel dire le cose come stavano.
Non aveva paura.
Tranne quella sera con quella brutta sensazione che le faceva venire la pelle d’oca.
Annie sapeva che se Dawn aveva paura, allora doveva cominciare ad averne anche lei.
Sapeva anche che non avrebbe mai permesso a nulla di far del male a quella che considerava come una sorella.
Nessuno avrebbe mai torto un capello a Dawn, perché prima avrebbe dovuto vedersela con lei e poi con persone molto molto più potenti.
 
“Dawn! Devi dire ad Embeth che c’è gente che dorme qui!”, urlò Annie sulle scale mentre Dawn ancora in pigiama apriva la porta e il rumore del clacson della vecchia macchina di Embeth entrava ancora più forte.
“Io l’ammazzo!”, urlò Annie per l’ennesima volta e andò in camera sua.
Dawn guardò l’amica scendere dall’auto con i capelli lunghi legati in una treccia laterale e il viso coperto dai grossi occhiali da vista, “Si è arrabbiata?”, domandò riferendosi ad Annie.
“Come ogni mattina”, rispose Dawn facendosi da parte per farla entrare, “Dovevi per forza suonare il clacson?”.
“Ehi, siete state voi a chiudere la porta a chiave!”, rispose Embeth prendendo il cartone del latte dal frigo.
“Fai come se fossi a casa tua”, sussurrò infastidita Annie entrando in cucina in pigiama, “Non potevi trovarti un’amica più educata?”, domandò alla sorella.
“Educata?”, chiese Embeth masticando una mela. Annie in risposta alzò gli occhi al cielo.
“Si può sapere perché avete chiuso la porta a chiave?”, domandò di nuovo Embeth.
Nessuna delle due sorelle Gladstone rispose ma la curiosità dell’amica non si  spense minimamente.
“Volevo andare su in montagna oggi. Ho già chiesto in giro e solo Kennith, Carlos e Patty mi hanno detto di sì. Ti va?”.
Annie vide chiaramente Dawn irrigidirsi, ed era sicura che non si trattava di Kennith o della gita in montagna, ma di quella brutta sensazione.
“No, Dawn deve aiutarmi oggi”, intervenne Annie ricevendo una maledizione bisbigliata da Embeth.
“Rompe le palle tua sorella, Dawn”, aggiunse ad alta voce poco dopo.
Dawn alzò le spalle, “Sei andata a farti il tatuaggio?”, le chiese e l’attenzione di Embeth si concentrò tutta nel mostrare il nuovo tribale che si era tatuata sulla spalla.
“Mi è costato duecento verdoni, ma ne è valsa la pena”, disse mostrandolo e cominciando a spiegare il significato che gli aveva dato.
Embeth era un vulcano in eruzione e per un po’ fece dimenticare a Dawn tutte le sue brutte sensazioni, ma quando se ne andò per la sua gita in montagna – dopo aver maledetto nuovamente Annie – Dawn ritornò sovrappensiero e chiuse di nuovo la porta a chiave.
“Da quando va i giro con Patty?”.
“Da quando lo sceriffo l’ha beccata con uno spinello…”, Dawn si accorse dell’occhiata della sorella, “Non mi drogo, Ann. Ha beccato lei, non me. Comunque vuole ingraziarsi lo sceriffo uscendo con quella stupida di Patty”.
“È solo un po’ svampita”.
“Forse”.
“Dai, vai a mettere a posto il cortile”.
Dawn, borbottando, si alzò e andò fuori a sistemare il groviglio di sedie e tavolini che erano rimasti lì per tutto l’autunno dopo la festa di compleanno che avevano fatto ad Annie.
Dopo aver controllato velocemente la situazione, vedendo che la sorella anche se con i suoi modi bruschi, stava comunque sistemando, decise di andare in soffitta, luogo off-limits per chiunque non fosse lei. Ci aveva impiegato un mese a far perdere interesse a Dawn nel curiosare… con tutti gli incantesimi che aveva fatto a quella ragazza si stupiva ancora che avesse una personalità. Aveva dovuto reprimere molto oltre che alla sua memoria.
Se lo venisse a sapere…, pensò Annie e subito scosse la testa.
Voleva pensare a dell’altro, non alla sua morte.
Entrò nella piccola porticina nascosta da uno specchio della sua camera da letto e salì le piccole e strette scale fino ad arrivare alla soffitta.
Assaporò ogni istante di quel profumo che le ricordava tanto la sua casa, il suo negozio e tutto quello che aveva a che fare con il passato.
Quanto tempo è passato?, si domandò sgranchendosi le braccia.
Doveva essere passato molto tempo, forse un anno da quand’era salita in quella soffitta.
Andò dritta verso un piccolo cumolo, coperto anche quello da un telo giallognolo, e senza toccarlo questo si sollevò senza far cadere neanche un granello di polvere sul baule che copriva. Era un baule di quelli antichi, di legno e ferro, con un grosso lucchetto che teneva il contenuto al sicuro.
Annie evidentemente emozionata frustò l’aria con la mano destra e il lucchetto si aprì. Mosse di nuovo il braccio e questa volta il grimorio dei Molcanov venne alla luce.
Era un libro ancor più antico di RedLake stessa, che di storia ne aveva molto, ricco di formule, incantesimi e pozioni, tramandati alle streghe della famiglia Molcanov.
Prima ancora che Annie potesse toccarlo, un attimo prima che le sue dita potessero toccare la copertina d’orata e spessa, un urlo soffocato malamente attirò la sua attenzione.
Scese le scale agitando la mano e il grimorio ritornò coperto.
“Dawn! Dawn!”, urlava, “Oh merda, merda!”.
Corse con tutte le sue energie e non appena uscii dalla porta che dava sul retro, si bloccò immobile.
Davanti a lei c’era l’ultima persona che si sarebbe mai aspettata di vedere.
“Anastasya”, la salutò la donna con i capelli rossi selvaggi.
Annie vide Dawn stretta nella morsa di un vecchio che senza il minimo sforzo tratteneva la ragazza che cercava di svicolarsi da lui.
“Sei sicura di quello che stai facendo?”, domandò semplicemente Annie mantenendo lo sguardo fisso sulla donna.
Nel frattempo Dawn urlava, scalciava e si dimenava.
“Pensi che io abbia paura di lui?”.
“Penso che ne dovresti avere”, commentò Annie mostrando una sicurezza tale da stupire anche Dawn.
“Io non ho paura. Diglielo. Fai in modo che mi venga contro. Fallo venire da me, Anastasya”.
“Ti ucciderà, lo sai?”.
“Non prima di aver ucciso te”, rispose l’altra con un sorriso maligno in volto.
Questo è vero, pensò.
“Ti troverà”.
“È quello che voglio”.
“Perché? Non puoi semplicemente…”.
“Chiamarlo? Presentarmi nel suo appariscente castello?”, domandò la donna, “Pensi che io non l’abbia già fatto? Oh, piccola Anastasya, sei sempre stata la sua preferita – dopo di lei ovviamente – ma solo per la tua ingenuità. Tutte lo cercano. Tutte. E io mi sono stancata. Voglio che me lo dica, voglio che mi liberi da questo”, si indicò il cuore, “Fa male sai, amare e non essere ricambiati”. La donna guardò Anastasya e scoppiò a ridere, “Ma tu lo sai, lo sai! Oh, tu sei leggenda tra quelle come noi! La strega che ama il peggior essere vivente della storia, costretta a fare la balia al suo nuovo amore. Sei ridicola”.
Annie si sentì colpita nel profondo.
Aveva aspettato quell’uomo per tutta la sua vita, e ancora lo aspettava.
Sperava che un giorno, dopo Dawn, forse l’avrebbe ricambiata, o almeno preferita rispetto alle altre.
Sapeva perfettamente di essere un’illusa, di vivere per speranze che probabilmente non si sarebbero mai avverate, perché lui avrebbe dato anche la sua vita per seguire Dawn ovunque, tanto che aveva deciso di cancellare la sua memoria per amore. E lei era stata così stupida ad accettare, a legarsi a quella ragazza per il resto della sua vita, solo per amore.
In fondo si muoveva tutto attorno all’amore, persino i grandi gesti di grandi uomini erano legati all’amore. Cambiava il soggetto di questo, ma il sentimento era lo stesso.
“Da quant’è che non ci vediamo, Arabella?”, domandò Annie stringendo le mani in pugni.
Ma quello che Arabella non sapeva perché troppo accecata dall’esser stata tradita, era che l’amore fa crescere le persone.
“Un decennio sicuro”, rispose.
E Annie non era più quella dolce e piccola, indifesa e prevedibile ragazza che avevano salvato da una vita di sofferenze.
Dalle sue mani uscirono due scariche elettriche che colpirono prima Arabella, poi il vecchietto che teneva Dawn.
Poi tutto successe ancora più velocemente. Arabella si rialzò, era sempre stato difficile abbattere qualcuno che non prova altro che rabbia e disperazione perché non ha nulla da perdere. Iniziarono a correre entrambe verso Dawn, stesa a terra per la scarica che l’aveva colpita, ma la donna con i capelli rossi riuscì con una mossa rapida e prenderla e trascinarla con sé nel bosco non prima di aver steso a terra Annie con un calcio dritto sui reni che la lasciò accasciata per un tempo indeterminabile.
 
Quando Annie si rialzò, l’unica cosa che riusciva a pensare era che Dawn era sparita.
Come aveva potuto allontanarsi da lei?
D’altronde, si ripeteva, come poteva immaginare che le innamorate si sarebbero rifatte vedere?
Una cosa era certa: non poteva farcela da sola. Era sempre stata più debole, un po’ per il suo carattere, un po’ perché Arabella e le altre erano molto più vecchie di loro.
Doveva chiamarlo, doveva dirglielo.
Salì le scale che portavano alla soffitta, e ogni scalino era una sofferenza per il colpo ricevuto al rene. Senza lo gioia di prima prese il grimorio, lo sfogliò e trovò l’incantesimo che cercava. Mandò un messaggio a Moises, il suo stregone personale e iniziò ad aspettare.
Sapeva che sarebbe passato poco tempo prima che di ricevere la chiamata.
Sapeva anche che presto la sua vita sarebbe finita. Aveva perso Dawn e questo le avrebbe garantito sicuramente un posto di privilegio sulla lista delle persone che doveva uccidere. Proprio come aveva detto Arabella.
Il suo compito era proteggerla da chiunque fosse un pericolo.
E aveva fallito.
Il cellulare squillò.
“Cosa hai fatto, Ann?”, domandò Moises prima che le urla di Leon ricoprissero qualsiasi altro rumore.
“Dimmi dove sei”, tuonò Leon.
“RedLake, Archer Avenue”.
“Chi è stato?”.
“Arabella”.
“È una donna morta”.
“E io?”.
“Oh, tu sarai la prima e niente e nessuno mi convincerà a risparmiarti questa volta, Anastasya”.
Così si concluse la conversazione con l’unico uomo che Anastasya Molcanova avesse mai amato.






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Siete in tantissime a leggere questa storia....
So che all'inizio i ruoli dei personaggi non sono molto chiari, ma ogni cosa ha il suo tempo e penso che in questo capitolo alcune cose siano state spiegate meglio? NO?
Nel prossimo capirete meglio :) 
Promesso!

A presto,
Blue  

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Capitolo 3
*** Capitolo 02 - Ad ogni costo ***


 
 
 Always and Forever
 
 
 
 
Ti ho amata dal primo momento
Che ti ho vista.
E non ci sono molte persone che possono
Dire di essere state amate così.
(True Blood)

 
 
 
 
 
 
Leon.
Annie si era chiesta quale fosse il suo vero nome. Lui si presentava sempre come Leon per via del suo aspetto, con la chioma di capelli biondi che adesso portava fin sulle spalle larghe, gli occhi marroni seri e agguerriti e la voce profonda che spesso assomigliava a un ruggito.
Era proprio come un leone.
Fiero, potente e un re.
Nessuno conosceva il suo vero nome.
Nessuno tranne Davina.
Leon glielo aveva sussurrato dopo una notte di follie, come prova del suo amore, senza pensare che conoscere quel nome l’avrebbe portata ad essere il più grande desiderio di qualunque essere nel pianeta.
Davina aveva rischiato la vita, ripetutamente, tutti volevano quel nome che si nascondeva nelle stelle e nei segreti di vecchi faraoni. Fino a quando Leon non decise di cancellare tutto dalla mente di Davina, dandole un nuovo nome, una nuova vita e la possibilità di essere libera.
Tutto questo per amore, quell’amore folle che l’aveva portato ad abbandonare il suo egoismo per salvare l’amata.
E quando Annie lo vide scendere dall’auto nera, con jeans e camicia bianca, per poco non si sentì svenire.
Mai nella storia era stato visto uomo più bello, più desiderato e con tanta eleganza.
Ma allo stesso tempo, non era mai stato visto uomo più crudele, arrogante e potente.
“Leon”, sussurrò Annie quando gli fu abbastanza vicino.
Dietro all’uomo ce ne era un altro, con una brutta cicatrice sul volto che bloccava le labbra in una smorfia perenne.
Annie guardò Moises e vedendo la commozione negli occhi di quello che era stato il suo maestro, cercò di contenere le lacrime.
“Posso entrare?”, domandò Leon sulla soglia della porta della casa.
“Mi ucciderai?”.
Leon sfoderò un sorriso sbieco, “Sì, Anastasya. Ti ucciderò”.
“Subito?”.
“Sì e farà male”, disse come fosse una promessa.
E Leon manteneva sempre le sue promesse.
Lanciò un’occhiata a Moises e poi guardò Leon dritto negli occhi, alzando le spalle e mantenendo la voce ferma. “Se mi ucciderai lei non si ricorderà di te mai più”.
“Dimmi un po’, Anastasya. Se tu perdessi la memoria, saresti pronta a giurare di diventare indifferente di fronte a me?”, chiese.
Lei deglutì.
Si sarebbe innamorata sempre. Nessuno poteva resistere a lui.
“Bene. Quindi lo stesso accadrà a Davina. Fammi entrare”.
“No”, sussurrò.
“Cosa hai detto?”, ruggì.
“Ho detto di no, Leon. La sua vita dipende da me”.
Leon cercò di fare un passo avanti, per prendere Annie, ma essendo all’interno della casa e non avendolo invitato ad entrare, non poteva toccarla.
“Cosa le hai fatto?”, ringhiò.
“Io muoio e lei muore”.
“Spezza questo incantesimo, Anastasya!”.
“Ti ho appena dato un motivo per tenermi in vita. Ti aiuterò a trovarla e le ridarò tutto: la memoria, il ricordo di te che per ora sei un perfetto sconosciuto arrogante e prepotente. Ma in cambio ti chiedo di farmi rimanere in vita”.
“Mi prendi in giro?”.
“E’ il tuo amore, sbaglio? Vuoi veramente rischiare tutto per uccidermi e quindi uccidere lei?”.
Leon si irrigidì. Riusciva a sopportare a malapena il fatto di starle lontano con la consapevolezza che lei non si ricordasse nulla, ma sapendo che con un solo incantesimo tutto sarebbe tornato alla normalità. Ma anche solo pensare di perderla per sempre… non sarebbe sopravvissuto a tanto.
Moises, che era suo amico fidato da così tanti decadi che avevano smesso di contarli, si avvicinò furtivo all’amico di vecchia data. Aveva cresciuto Anastasya perché c’era qualcosa in lei che la rendeva diversa dalle altre, forse era appunto la speranza che le illuminava il volto e che le faceva tenere il coltello dalla parte del manico.
Almeno momentaneamente.
Era affezionato alla ragazza, ma aveva sbagliato sin da subito. Prima unendosi al gruppo delle psicopatiche che seguivano e volevano attirare l’attenzione di Leon e poi lasciando che Arabella prendesse Davina che era completamente indifesa.
“Davina è più importante, Leon”, disse Moises convinto di ogni singola parola che aveva pronunciato.
Davina era importante perché grazie a lei, Leon era tornato quello di un tempo. Un uomo libero e felice.
Leon sorrise ad Annie, “Localizza Davina con qualche stupido incantesimo”.
“Avrà uno stregone con sé, immagino”, aggiunse Moises.
Anastasya aprì maggiormente la porta, tanto da far vedere il cadavere che aveva trascinato fin lì dell’anziano stregone che aveva ucciso.
“Trovatela”, ruggì Leon e i due stregoni iniziarono il rituale con mappa e sangue.
Dovevano trovarla.
 
“Quella stronza…”, sussurrò Annie dando un pugno alla tavola di legno. Era furiosa tanto quanto Moises che livido stringeva l’amuleto così tanto da rischiare di farne frantumi.
Leon che non si era staccato dal telefono neanche un secondo, ordinando a chissà chi di arrivare il prima possibile, si voltò rabbioso.
“Cosa succede, Moises?”, domandò.
Moises si toccò il mento nervoso. Il tempo stava passando e non avevano nessuna traccia di Davina.
“Quello”, indicò la salma dello stregone, “era solo una copertura… C’è qualcuno di più potente che nasconde Davina e sicuramente non è Arabella, lei è un vampiro, non può fare magie”.
“Trovate la fonte della magia”, disse Leon.
“Non c’è fonte, Leon. È come se fosse scomparsa”, rispose Moises.
 Anastasya vide Leon stringere la mascella e serrare le mani in pugni d’acciaio. Sapeva che avrebbe voluto ucciderla, con tutte le sue forze, ma a tenerla in vita era quell’incantesimo che le univa, fatto proprio per prevenire che un giorno l’avrebbe uccisa come se niente fosse.
Calò il silenzio all’interno della cucina, tutti e tre concentrati nell’osservare la cartina dei territori circostanti RedLake.
Solo una strega potente poteva essere in grado di far sparire dal nulla una persona, e non una qualunque, ma legata ad altri incantesimi potentissimi.
Doveva esserci qualcosa che le sfuggiva.
“Dawn, sei una stronza!”, urlò Embeth interrompendo i pensieri di tutti e tre ed entrando in casa con la sua solita tranquillità.
Annie si alzò velocemente, “Che vuoi?”, la aggredì.
“Dov’è quella cazzona di tua sorella? DAWN SCENDI!”, urlava battendo gli anfibi sporchi di terra sul tappeto.
“Non c’è e smettila di urlare!”.
“E dov’è?”, domandò una voce maschile alle sue spalle. Kennith Cumming.
Di male in peggio, pensò Annie.
“È fuori città”, divagò e vedendo l’espressione poco convinta di Embeth la trascinò di forza fuori dalla porta con difficoltà, “Ti faccio richiamare quando torna, okay Embeth?”.
“Fuori città, hai detto?”.
“Sì, ora andatevene”.
“Dove esattamente?”.
“Non sono affari tuoi”, disse sbattendo la porta con forza e chiudendola a chiave.
Sentì Kennith trascinare via di peso Embeth che non voleva saperne di allontanarsi. D’altronde Anastasya non aveva fatto altro che aumentare la sua curiosità.
Quando ritornò in cucina, mentre Moises era intento a leggere un vecchissimo grimorio che aveva portato con sé, vide gli occhi scuri di Leon scrutarla, curiosi anch’essi.
Ma prima che potesse dare una spiegazione alla scena comica di pochi attimi prima, Moises esordì con un’imprecazione carica di rabbia.
“Come ho fatto a non pensarci prima?”.
“Pensare a cosa?”, chiese Annie.
Moises si toccò di nuovo il mento, “A chi può interessare così tanto il tuo segreto, Leon? Magari a una strega, una strega potente, forte e magari abbastanza antica da avere molte conoscenze e a convincere Arabella e le altre. Chi può essere?”, domandò sapendo già la risposta.
Annie vide Leon accennare ad un leggero sorriso carico di rabbia e di sorpresa.
“Rania*”, sussurrò e nel sentire quel nome la ragazza per poco non perse l’equilibrio.
“È una leggenda, Moises! Me l’hai raccontata tu tanti anni fa!”, disse Annie.
“Chi dice che una leggenda non possa essere verità?”, domandò Leon sfoderando un sorriso vittorioso.
Rania, la strega dell’antico Egitto, la leggenda, era viva e teneva la vita di Davina nelle sue mani.
Annie si appoggiò al mobile, certa che se avesse provato a reggersi da sola, sarebbe caduta. Non sapeva come Leon conoscesse Rania e perché lei avesse rapito Davina, in fondo era la strega più potente della storia.
“Mandatele un messaggio: Davina è mia”, ordinò Leon guardando una foto appesa al muro che ritraeva la sua amata insieme ad Embeth.
“Mandarlo? Dove?”.
“Ovunque. Voglio che il mio messaggio sia chiaro, voglio che tutti sappiano che Davina è mia e che non ho paura di riprendermela anche se è Rania stessa a tenerla prigioniera. A costo di uccidere tutte le streghe, i vampiri e tutti gli umani di questo mondo, io troverò Davina. Sarò pronto anche a morire per lei”.











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Eccomi di nuovo qui!
Allora è stato chiarito un pò il mistero delle relazioni tra i personaggi?
Nel caso non sia così ve lo spiego ora: Leon è un vampiro (per questo non può entrare in casa senza essere stato invitato) e è il più antico ancora in vita, ed è pazzamente innamorato (l'amore che cosa ci fa fare, eh???) di Davina (la pronuncia sarebbe divina all'inglese) e in una notte di follie, lui le ha detto il suo vero nome come per darle prova dei suoi sentimenti.
Solo che quel nome è un segreto che molti vogliono esserne a conoscenza ma che nessuno sa eccetto Leon e Davina. Per non mettere in pericolo ancora la vita dell'amata, Leon ha fatto un patto con Anastasya (che è innamorata di lui), l'allieva del suo grande amico Moises, che avrebbe risparmiato la sua vita (in quanto si era unita al gruppo delle innamorate, nonchè delle psicotiche invaghite di Leon che volevano porre fine alla sua vita per la 'sofferenza che lui aveva portato nelle loro vite', o almeno così dicono) solo se avrebbe fatto dimenticare a Davina tutto di lui e della loro vita, e facendole vivere una vita normale. Per questo si sono trasferite a RedLake, hanno preso un nuovo cognome, Gladstone e sono diventare Annie e Dawn, le due sorelle. 
Anastasya non è una sprovveduta e non è neanche debole.
Allora perchè non è riuscita a fermare Arabella?
Beh, perchè erano anni che non usava i suoi poteri e che non si esercitava e questo va ad influire incredibilmente sulle loro capacità. Inoltre Anastasya appartiene alla famiglia dei Molcanov, una delle più potenti famiglie di streghe e stergoni. 

Nota: *Rania: questo nome è un vero nome egizio, dalle mie ricerche sono riuscita a trovare che è anche un nome antico e che significa 'osserva con attenzione'. Rania è una strega antichissima (questa parte è inventata da me), altrettanto potente e molto venerata dalle streghe. Si parla di lei attraverso leggende, miti e racconti, mai infatti Anastasya aveva pensato che si trattasse di una persona esistita realmente o che fosse ancora in vita. E' per questo che quando ha capito che Leon l'ha conosciuta che ha reagito così.

Tutto chiaro?


A presto,
Blue.


NB: ringrazio la luna nera per le sue recensioni sempre ben gradite e apprezzate.



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 03 - La forza dei ricordi (Anastasya) ***




Capitolo 03

La forza dei ricordi
-Anastasya




 
 
 
Se potessi ricominciare da capo,
farei esattamente lo stesso.
E così farebbe ogni uomo che ha
l’ambizione di definirsi tale
.
(Nelson Mandela)
 
 
 
 
 
 
Anastasya che stava dietro a Moises, guardava tutte quelle persone giunte fin lì a RedLake e nel giardino sul retro della sua casa, che ascoltavano incantati Leon che parlava su quello che stava accadendo.
Riuscì a riconoscere qualche volto, come quello di Debra e Scott che se ne stavano in prima fila e seguivano ogni minimo movimento del loro capo.
Leon poteva essere un uomo crudele, malvagio e prepotente, ricco di nemici in ogni angolo del pianeta e in ogni epoca, ma in quel giardino si potevano vedere personaggi importati pronti a morire per lui, fedeli fino in fondo. Persone che in Leon, il terrore di tutti i tempi, avevano visto qualcosa di buono, come Anastasya, Moises e anche Davina avevano visto.
Leon parlava e poco gli importò del sussulto da parte delle streghe quando pronunciò il nome di Rania, sapeva che ogni persona che era lì presente lo avrebbe aiutato.
Sai, la gente vive tanti anni, ma in realtà è davvero viva solo quando riesce a fare quello per cui è nata*”, le aveva detto Moises un attimo prima che Leon iniziasse a parlare alla folla di persone. E solo in quel momento Anastasya aveva capito il senso di quella frase: Leon era nato per comandare, per parlare con le persone, per essere un leader.
Poco importava se per molti fosse crudele, un assassino o un incubo, per le persone che erano lì era la salvezza, era il giusto e il capo indiscusso.
Infine Leon diede le direttive: le streghe e gli stregoni dovevano far vece a Moises e stare ai suoi comandi, i vampiri e i licantropi, invece, dovevano prepararsi a combattere battaglie molto più cruenti delle precedenti perché il nemico non era una persona qualunque ma una leggenda.
Erano tutti pronti a trovare Davina anche se non la conoscevano, anche se per loro non significava niente quella ragazzina senza memoria e completamente indifesa, nonostante tutto erano pronti ad ogni cosa. Pronti a rischiare la vita, a schierarsi al fianco di Leon che sembrava più incazzato che mai.
Anastasya che aveva sempre conosciuto un lato di Leon che l’aveva sempre spaventato, vederlo parlare amichevolmente con quelli che erano i suoi amici le sembrava strano.
Quanti lati di Leon non conosceva ancora?
Eppure le era sempre sembrato di conoscerlo così dannatamente bene!
“Moises!”, pronunciò una donna con dei lunghi capelli neri e gli occhi del colore del ghiaccio. Moises vedendola accennò ad un sorriso e ricambiò l’abbraccio.
“Diventi sempre più vecchio, amico mio”, aggiunse la donna.
“A te, invece, l’eternità dona particolarmente, Lorelai”, disse il vecchio stregone.
Quando Lorelai guardò Anastasya non riuscì a trattenere il senso di disgusto che le apparve sul volto e in quel momento si accorse che tutti i presenti la stavano guardando allo stesso modo.
Disgusto.
In fin dei conti lei era ancora una delle psicopatiche, le innamorate, e lo era stata per tanti anni, e per giunta ne portava anche il simbolo su un lato del collo.
Dovevano dare la caccia ad Arabella e alle altre, quelle come lei.
Era pronta a giurare che nessuno in quella stanza si fidava di lei, neanche Leon.
Se lo sentiva.
Come potevano fidarsi?
“Questa è la famosa Anastasya Molcanova**?”, domandò Lorelai mentre tutti guardavano la ragazza accerchiandola, “Moises mi parlava spesso di te… fino a quando non sei diventata una di loro”.
Anastasya rimase in silenzio, senza parole.
Moises era stato come un padre per lei, e sapeva di averlo deluso ma sentirlo dire ad alta voce l’aveva distrutta.
“Non so come facciate a fidarvi di lei, Moises”, disse Lorelai infastidita.
“Sì è vero”, aggiunse Scott poco lontano.
Anastasya rimase in perfetto silenzio a guardare la reazione da parte delle persone che la circondavano. Prima di unirsi alle innamorate la guardavano con rispetto e timore per la potenza della sua famiglia. Ora invece nei loro occhi c’era disgusto verso la traditrice di una delle più grandi famiglie di streghe mai esistite.
Non poteva non considerarsi ferita, ma non si scompose più di tanto.
Aveva fatto quello che doveva fare e ora le interessava solamente rivedere Davina.
“Dimmi un po’, non è che fai il doppio gioco?”, domandò Lorelai, “Si sa che le streghe che portano quel marchio… beh rimangano fedeli fino alla morte alla loro causa”.
Anastasya raddrizzò la schiena e guardò la vampira negli occhi senza paura, esattamente come Dawn le aveva sempre insegnato.
 
“Ehi, ehi! Ehi, bionda, sto parlando con te! Si te, carina”, disse Dawn camminando verso la ragazza che se ne stava uscendo nervosamente dal negozio dopo aver urlato epiteti molto poco gentili verso Annie.
“Bionda, hai il cerume nelle orecchie oltre a un cervello assente?”, domandò sbattendo più forte gli anfibi sul pavimento di legno del negozio dov’era calato il silenzio.
“Dawn, lascia stare”, sussurrò Annie avvicinandosi.
Ma Dawn non voleva assolutamente lasciar stare, “Torna subito indietro”, le ordinò facendosi grande.
“Oh, ecco la sorella della stronza”.
Dawn accennò ad un sorriso di sbieco, di quello che fanno venire la pelle d’oca, “No, sono io la stronza fra le due e ti ripeto di tornare indietro. Immediatamente”.
 
“Quelle come te sono delle bugiarde, violente, assassine…”, iniziò Lorelai con il volto livido.
Normalmente Anastasya se ne sarebbe rimasta al suo posto, a stringere i pugni convulsamente e a sentirsi scaricare ogni cosa addosso. Non poteva non ammettere che la vampira avesse ragione, ma la cosa che la infastidiva era che lei non sapeva, non conosceva tutta la storia.
Era sempre stata Dawn quella impulsiva, che agiva, che si vendicava. Annie non doveva far altro che cercare di trattenere tutta la sua rabbia.
 
“C-cosa?”, balbettò la ragazza, “Tu mi dai degli ordini? Ma lo sai chi sono io?! Sono la…”.
“…la ciucciacazzi dei Logan. Ops! Forse volevi dire ‘la figlia del reverendo’? Beh, ma intanto lo sanno tutti che ti passi entrambi i fratelli Logan”.
“C-cosa?”, balbettò, “Io non so di cosa tu stia parlando”.
“Io lo so perfettamente. Ora torna indietro e chiedi scusa a mia sorella”.
“No!”, urlò, “Voi due siete due… troie”, sussurrò infine.
 
Se ne stava sempre tranquilla in un angolo, ad assorbire ogni parola, ogni insulto.
Era sempre stato così.
“Lorelai, vacci piano”, la richiamò Moises.
La donna si voltò verso lo stregone con gli occhi lucidi di furia che lo zittirono, poi la sua attenzione tornò nuovamente verso Anastasya, “Il nome Douglas Kent ti ricorda qualcosa?”, domandò con uno strillo.
Certo che le ricordava qualcosa.
Al contrario di tutte le altre innamorate, Anastasya ricordava ogni nome e ogni volto delle persone che aveva ucciso per arrivare a Leon. E Douglas Kent non era stato altro che la sua vittima numero centodiciassette. Ricordava perfino gli occhi neri dell’uomo, occhi profondi, occhi che l’avevano implorata di risparmiarlo. ricordava tutto, anche che l’aveva ucciso a Londra, tra l’Henrietta e la Bedford St.
Si ricordava tutto e a quanto sembrava anche Lorelai.
 
Dawn con una mano bloccò la porta in modo che la ragazza non potesse uscire, “Se il reverendo sapesse che dici queste parolacce, piccola Hope, sono certa che ti recluderebbe in casa per qualche settimana. Non voglio neanche immaginare cosa farebbe se venisse a sapere di quello che fai con i Logan. Dicono che tu sia una bomba nelle cose a tre”.
“Smettila di dire queste cose! Non è vero niente!”.
“Allora chiedi scusa a mia sorella, immediatamente, altrimenti il tuo papà verrà a sapere ogni cosa e penso che per te sarà la fine non pensi?”.
Hope si voltò verso Annie e in poche rapide parole si scusò, scappando poi da Dawn che l’aveva spaventata come non mai.
“Ann, capisco che non vuoi ferire gli altri, ma fatti valere un po’. In fondo che male c’è nel difendere la propria reputazione?”, disse Dawn prima di ritornare a leggere il giornale.
 
“Allora, ti ricorda qualcosa? Sei un’assassina!”, urlò.
Fatti valere un po’, le aveva detto Dawn che non aveva mai avuto alcun tipo di problema nel farsi rispettare.
“Dovresti ucciderla, Leon, non darle la possibilità di farlo con te!”, iniziò a dire la vampira.
“Era il numero centodiciassette”, disse Anastasya facendo calare il silenzio.
“Cosa hai detto?”, tuonò Lorelai.
“Douglas Kent è il numero centodiciassette nella mia lista delle persone che ho ucciso”.
“Hai ucciso tutte quelle persone?”, domandò Debra avvicinandosi.
“Oh, nei primi cinque anni in cui ero con le innamorate”, affermando questo i vampiri si prepararono ad attaccare e le streghe a lanciare incantesimi.
“Sei un’assassina”.
“Sì”, confermò, “Di quelle peggiori. Ma se non vuoi essere un altro numero nella mia lunga lista di morti, ti conviene stare zitta, Lorelai, perché non mi sembri molto più forte di Douglas Kent e ad ucciderlo non ci sono voluti più di trenta secondi”, si voltò verso gli altri, “Questo vale per tutti voi. Non mi faccio scrupoli nell’uccidere strega o vampiro che sia”.
Il disgusto era stato sostituito da terrore e rabbia.
Sì, si era fatta valere ed odiare allo stesso tempo. Molto probabilmente Dawn sarebbe stata molto fiera di lei che aveva imparato così in fretta.
 
Si misero subito all’opera per mandare il messaggio.
Non avevano tempo da perdere, dovevano trovare l’incantesimo, procurarsi tutto il necessario e poi spedirlo in tutto il mondo, cosa non da poco.
Erano in otto tra streghe e stregoni, tutti concentrati nel leggere i grimori nella speranza di trovare qualcosa di utile. I vampiri, che erano la maggior parte, facevano delle esplorazioni nella foresta nel punto in cui Arabella era scomparsa, alla ricerca di qualche traccia.
Anastasya che era intenta a leggere il grimorio appartenuto alla sua famiglia, non badava alle occhiate furtive da parte delle altre streghe, ormai più preoccupate delle sue minacce che di altro.
Essere una delle innamorate l’aveva cambiata, aveva imparato a spegnere le emozioni con loro, ma aveva imparato ad essere ancora più diversa dopo aver conosciuto Dawn e tutto quello che contornava quella ragazza che non aveva fatto perdere la testa a lei, ma anche al vampiro più antico della storia conosciuto come colui che non aveva cuore.
La vita è strana, si disse Anastasya.
Amava Leon e non poteva non dire che non fosse così. Per certi versi essersi unita alle innamorate l’aveva aiutata ad odiare quell’amore che provava, ad estraniarsi da quel sentimento così decantato e idolatrato ma che in lei creava solo dolore. Perché per quanto l’amore potesse essere una soluzione per molti mali, se non era ricambiato, beh, il male lo andava a creare e basta.
E Anastasya lo sentiva quel dolore che l’attanagliava.
Era buffo il fatto che volesse salvare l’amata del suo più grande amore. Era buffo che fosse pronta a rischiare la vita per quella mortale, perché se Davina moriva, anche lei avrebbe fatto la stessa fine.
Eppure le sembrava giusto così.
Conosceva Leon da un secolo ormai, e solo in due momenti era riuscita a non pensare a lui: con le innamorate quando uccideva a sangue freddo i tirapiedi del vampiro e con Davina.
Esatto, con Davina.
Perché lei aveva la capacità di farti dimenticare di tutto eppure riusciva a farti sentire viva.
Doveva salvarla.
Doveva farlo non per Leon, perché nessuno sano di mente avrebbe salvato la rivale in amore, perché l’amore è sinonimo di egoismo. Ma perché lei l’aveva aiutata a dimenticare quell’amore che tanto la distruggeva.
Davina era speciale e doveva salvarla.
“Trovato!”, sentì dire a Moises, “Anastasya, abbiamo bisogno di te”, aggiunse senza staccare gli occhi dalle pagine ormai consunte.
Anastasya si avvicinò, “Di chi è questo grimorio?”, domandò.
“Mio”, un ragazzino che doveva avere poco più di sedici anni si fece avanti, “Sono Travis Maxwell”.
La strega parve sorpresa nel vedere il discendente di Steffy Maxwell… la somiglianza però era evidente.
“Servono quattro ingredienti”, cominciò ad elencare Moises, “Un planisfero, polvere di drago, polvere di sole e di luna. No aspetta, ce ne è un quinto. Leon, vieni, servi anche tu”.
Mentre un paio di streghe procuravano il planisfero e le varie polveri, Leon si avvicinò.
“La polvere di sole serve per i vampiri, quella di luna per i licantropi  e la polvere di drago per le streghe e stregoni”.
“Con il planisfero sono quattro. Hai detto che ne servono cinque”, disse Leon.
Moises guardò prima Anastasya poi il suo vecchio amico, “Questo incantesimo servirà per diffondere il messaggio, ma ho pensato che in contemporanea, in modo da accorciare i tempi potremmo fare quello di localizzazione. Quando il messaggio verrà ascoltato potremmo cercare di capire se in quel punto si trova anche Davina”.
“Oh Dio”, sussurrò Anastasya, “Sei geniale, Moises”.
“E io a cosa servo?”, domandò Leon.
“Normalmente per localizzare una persona basta un oggetto che le appartenga, ma ora non è sufficiente in quanto è nascosta da delle magie potenti e quindi serve qualcosa di molto di più di un oggetto. Servono ricordi”.
Leon, che si fidava di Moises come non si era mai fidato di nessun altro, annuì e si voltò verso Anastasya, “Hai già sbagliato una volta, non accetterò che accada una seconda”, disse e andò a sedersi al fianco di Moises.
No, non avrebbe sbagliato perché voleva che Dawn tornasse tanto quanto lui.
 
Ricordi.
Non potevano essere ricordi qualunque, ma ricordi forti. Ricchi di quella che era Davina.
Doveva pensare a Dawn, non a Davina. In fondo lei aveva conosciuto la versione senza memoria della ragazza, anche se non poteva essere tanto diversa dall’originale.
Quando l’incantesimo iniziò tutti gli stregoni si misero a pronunciare a voce bassa quella che era la cantilena, e immediatamente lei e Leon vennero investiti da un fascio di luce azzurra e saliva fin su nel cielo per poi disperdersi.
Doveva pensare a dei ricordi.
Ricordi forti.
 
“Espulsa?! Espulsa?!”, continuava ad urlare Annie. “Come diavolo sei riuscita a farti espellere?!”, sbraitò non appena entrarono in casa.
Dawn alzò gli occhi al cielo e lanciò la bosa sulla poltrona.
“Non lanciare le cose!”, urlava la sorella maggiore, “Sei stata espulsa al tuo ultimo, fottuto, anno, Dawn!”, urlava, “Ancora due mesi e ti diplomavi e invece no..! Devi farti trovare con quella teppista di Embeth! E che cazzo, Dawn, almeno guardami in faccia!”.
Dawn si voltò a guardare la sorella livida di rabbia. “Non mi importa della scuola”, aveva detto peggiorando solo la situazione.
“Davvero?”, domandò con una grande dose di ironia.
“Ne stai facendo una tragedia, Ann”.
“Essere espulsi è una tragedia, Dawn. Soprattutto visto il fatto che hai picchiato un ragazzo e vi hanno trovate a fumare erba! Porca troia, Dawn, ma lo colleghi il cervello?”.
 
Oh, quello si che era un ricordo.
Aveva perso la testa quando era stata espulsa da scuola.
Quand’era stato? Pochi mesi dopo averle fatto dimenticare Leon.
Sì all’inizio.
 
“Intanto era Embeth che la fumava e il tipo se le è meritate”, puntualizzò.
A quel punto Annie perse completamente la pazienza. “Embeth qua, Embeth là. C’entra sempre lei in ogni cosa! Quando finisci in un guaio, guarda caso, c’è anche lei. Sono stanca, stanca! Capito? Tu non la vedrai mai – mai, ti è chiaro il concetto vero? – e non provare a uscire di nascosto! Sei ufficialmente richiusa in casa”, disse perentoria.
Dawn la guardò con sfida, “La vita è mia, decido io chi frequentare”.
“Da oggi deciderò io con chi uscirai”.
La porta dietro di loro si aprì e Embeth interrompendo la litigata disse: “Oh, allora aveva sentito bene. La papera si è incazzata, Dawn”.
Le urla di Annie, a quel punto, avrebbero potuto demolire una casa in cemento armato.
 
No, non poteva essere solo rabbia.
Doveva ricordare qualcosa di più felice, qualcosa che dimostrasse veramente chi fosse Dawn.
 
“Ciao”, sentì Annie appena entrata in casa, rischiando di fare un infarto.
Allungò il collo e vide Dawn seduta sulla poltrona con una vaschetta di gelato sopra le gambe, tutta concentrata nel guardare un film.
“Sei a casa?”, domandò la sorella maggiore stupita che non fosse uscita con Embeth.
“Sì, Embeth è segregata a casa finché non trova una scappatoia”.
“Cosa stai guardando?”.
“Tsk. Colazione da Tiffany. Fa schifo. Non ha senso”.
“Perché le sparatorie che guardi di solito ce l’hanno?”, domandò Annie sedendosi al fianco della sorella.
“Ma che domande fai? Ti è andato in pausa il cervello? Certo che ce l’hanno. Punta e spara. Bang. Questa qui invece continua a parlare senza senso. Parla, parla e non dice niente”.
“Fa delle belle feste”, disse.
“Belle? Solo perché non hai visto quelle che ho fatto qua mentre andavi nelle spa”.
“Cos’hai fatto?”, domandò scioccata.
“Ssh. Stanno per fare sesso? Oh, per favore, devono farlo sennò questo film fa davvero schifo!”.
 
Ecco sì. Questa è Dawn.
Film, sparatorie, gelato alle undici di sera, e parolacce, segreti mezzi svelati.
Anastasya non sapeva cosa stesse pensando Leon, quali momenti romantici stesse rievocando nella sua mente e poco le importava.
Lei pensava semplicemente alla Dawn che aveva conosciuto.
La ragazza senza regole, senza mezzi termini e senza la paura di vivere.
Non aveva avuto l’opportunità di conoscerla prima di toglierle la memoria, ma poteva solo immaginare che si trattasse di una ragazza ancora più forte, più decisa e ancora più diretta per essere riuscita a entrare nel cuore e nella mente di Leon.
 
“È uno sfigato”, sentenziò Dawn entrando nel negozio di frutta e verdura della sorella.
“Che hai?”, domandò Annie.
“Che ho? Sono uscita con Kennith Cumming. Lo sbaglio più grande della mia vita”.
“È un bel ragazzo”.
“Sì, ma gratta gratta, trovi solo basket, basket e p-h-y-g-a. Sì, sì. La chiama phyga, all’americana dice lui. Mi ha anche detto che ‘fa figo’ dirla così. Ma ci rendiamo conto? Ha paura di dire fig…”.
“Signora Dawson!”, la interruppe quando entrò l’anziana nel negozio e lanciando un’occhiataccia alla sorella.
 
Questa era Dawn.
Era tutto.
 
 
_______________________________________________________________________________________
 
*frase tratta dal libro ‘Questa storia’ di Alessandro Baricco. Una frase bellissima a mio umile parere, che riflette tante cose. Leon è un essere malvagio, cattivo e voglio che questo sia chiaro. Ha fatto molte scelte sbagliate che l’hanno portato a farsi odiare e temere da quasi tutto il mondo, ma è comunque una persona come le altre, che per quanto la sua vita sia lunghissima e infinita in quanto immortale, per quante cose lui abbia imparato, l’unica che gli riesce veramente bene è sempre una e una sola: essere un leader.
** ogni tanto troverete Molcanov e ogni tanto Molcanova. Questo perché il cognome della famiglia di Anastasya è ufficialmente Molcanov, ma essendo di origine russa, quando il cognome è abbinato a un nome femminile viene aggiunta (in questo caso) la ‘a’ finale. Quindi sarà la famiglia Molcanov e la giovane strega è Anastasya Molcanova. (potete notare questa particolarità in tutte le giocatrici sportive di origine russa o di quelle zone, che come finale del cognome hanno la ‘a’).
 
 
 
Ciao ragazze!:)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
 
A presto,
 
Blue

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Capitolo 5
*** Capitolo 04 - La forza dei ricordi (Leon) ***




Capitolo 04

La forza dei ricordi
-Leon




 
 
 
Non prendere mai alla leggera l'amore.
La verità è che la maggior parte della gente
non ha mai avuto la fortuna di amar qualcuno;
che duri solo oggi e una parte di domani, o duri tutta una lunga vita
è la cosa più importante che può capitare ad un essere umano.
Ci saranno sempre persone che diranno
che non esiste perchè non possono averlo.
Ma io ti dico che è vero,
che tu lo possiedi e che sei fortunato,
anche se domani morrai. 

(Ernest Hemingway)

 
 
 
 
 
 
Era arrabbiato, anzi furioso.
Davina era scomparsa, era in pericolo e… sì, era arrabbiato.
No c’era qualcos’altro dentro di lui. Qualcosa di nuovo che non aveva provato mai prima di quel momento.
Quella ragazza, quella mortale, gli faceva provare emozioni che mai e poi mai, nella sua lunga vita aveva provato.
Prima l’amore, un sentimento folle, intenso ed estremamente egoistico.
E adesso questo che gli attanagliava il cuore.
Doveva ricordare Davina per trovarla.
Doveva fare tutto il possibile per riaverla… si sentiva incapace. Lui che era sempre stato il terrore di tutti i tempi, lui che aveva fatto tremare intere generazioni di vampiri, streghe e licantropi. Lui che era riuscito a far inginocchiare ai suoi piedi re e regine. Lui, il re di sempre, il grande comandante.
Lui nato all’origine dei tempi, colui che può vantarsi di aver visto nascere le stelle, lui che nascondeva un segreto così importante, così pericoloso, era disperato.
Un segreto, proprio quello che aveva portato Davina in pericolo, più e più volte. Proprio quello che aveva portato la ragazza ad allontanarsi da lui, non per paura ma per non ferirlo, per non fargli vedere come fossero incompatibili.
Sì, aveva usato quelle parole.
Siamo incompatibili, ricordò Leon.
Lui che l’amava così tanto, lui che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa. Se le avesse chiesto la luna? Sarebbe andato a prenderla e l’avrebbe fatta sua. Se le avesse chiesto il potere? Lui sarebbe stato pronto in ogni momento a cedergli il suo trono.
Se gli avesse chiesto di andarsene?
Beh, l’aveva fatto.
Aveva accantonato l’egoismo tipico dell’amore e si era allontanato da lei, dandole la vita che avrebbe dovuto vivere, una vita serena e normale.
Non una vita con vampiri, streghe e licantropi. Non una vita di pericoli.
Ma semplicemente una vita lontana da lui.
E ora era tutto svanito e Davina era in pericolo.
Leon aveva paura. Una paura folle, ecco cos’era quel nuovo sentimento che non gli permetteva di rovesciare il mondo per trovarla. La paura di trovarla morta, di non poter mai più sentire la voce della piccola mortale che l’aveva fatto impazzire.
Gli mancava tutto di lei.
Ogni cosa.
 
“Leon devi smetterla”, sussurrò Davina cercando di assumere un tono serio.
No, non voleva che smettesse.
Non voleva che le mani di lui si allontanassero dal suo corpo e che le loro labbra si staccassero.
Non le importava di poter essere vista tanto che bastava sporgersi di poco dal ponte e sarebbero stati subito visti, lì sdraiati uno sopra all’altra, con le mani intrufolate sotto i vestiti.
A nessuno dei due importava.
Volevano stare insieme.
“Vuoi che smetta?”, domandò allontanandosi dalla bocca di lei e fermandosi. Guardò la ragazza con amore. Quegli occhi erano qualcosa di meraviglioso, unico. Nessuno sguardo tranne quello di Davina era mai riuscito ad accendere il lui quel fuoco di emozioni.
“Ma sei scemo?”, chiese sorridendogli.
“L’hai detto tu”.
“Dovresti saperlo che le donne dicono sempre il contrario di quello che pensano”.
Leon avvicinò maggiormente il suo corpo a quello di Davina facendola sussultare.
Amava quella ragazza, Dio se l’amava.
 
Quel ricordo era fra i suoi preferiti, soprattutto quello che era venuto dopo.
L’aveva amata non come si amava una donna qualsiasi.
Ma come si ama quella che si ritiene essere l’unica donna della propria vita.
La amava, questo era certo.
Ma tutto era cominciato molto prima, quando l’aveva vista per la prima volta a Manhattan, a una festa. Lei, la ragazza di Frederick Spencer, il capo della città di New York perdutamente innamorato della piccola mortale Davina che al contrario lo rifiutava categoricamente.
Quella ragazza priva di paura, priva di qualunque cosa non fosse curiosità e sarcasmo.
 
“Sei nuovo, eh?”, domandò una ragazzina che se ne stava seduta a fumarsi una sigaretta sul cornicione del palazzo.
Leon la guardò con attenzione: aveva appena dissanguato una ragazza che si era appartata con lui durante la festa che si stava svolgendo due piani sotto, eppure quella di fronte a lui non sembrava preoccupata.
“È meglio se sparisci prima che Fred se ne accorga”, disse continuando a fumare.
Fred, certo, il capo di New York.
“Non sei una strega”, disse Leon avvicinandosi.
“Già. Neanche un vampiro, un licantropo o chissà cos’altro”.
“Cosa sei?”.
“Umana”.
“Umana?”, domandò Leon.
“Ehi, porta rispetto per chi deve combattere con l’età, vampiro”, disse lei lanciandogli un’occhiata offesa, “Voi vampiri siete insopportabili”.
Normalmente Leon si sarebbe infuriato nel sentire quelle parole, ma era troppo incuriosito nel parlare con un’umana che sembrava saperla più lunga di lui.
 
Un’umana.
Per di più andava ancora a scuola quando l’aveva conosciuta.
Già, il loro primo incontro, quel suo modo di fare da strafottente. Non aveva mai avuto paura di lui, o almeno non l’aveva mai fatto notare.
Se ne era fregata sin dall’inizio di chi lui fosse, aveva sempre parlato apertamente senza scomporsi.
Anche Fred era impazzito per lei per lo stesso motivo. Nessuno oltre Davina sarebbe riuscito a rimanere composto come faceva lei.
Nessuno.
 
Il cellulare le squillò e lei nel vedere il nome sbuffò, mostrando lo schermo a Leon disse: “Anzi, voi sì che sapete come rompere i coglioni. Che cosa vuoi, Fred?”.
Leon guardò la ragazza che continuava a fumare la sigaretta sul bordo del cornicione del palazzo. Sembrava non importarle di rischiare di cadere da un momento all’altro o di trovarsi vicino ad un vampiro che aveva appena sgozzato una ragazza.
“Sì, ce ne è uno qua”, disse parlando al telefono, poi si voltò verso Leon, “Come ti chiami?”.
“Leon”, disse con un sorriso e riuscì, grazie ai suoi sensi sviluppati, a sentire tutte le urla e le imprecazioni di Fred dall’altra parte del telefono, che le dicevano di allontanarsi immediatamente.
Davina, evidentemente scocciata, riattaccò il telefono, “Il mio capo vuole che ti stia lontana. Sei un tipo pericoloso?”.
“Sì”, disse Leon.
“Lo immaginavo. Oh, ecco la mia odiata scorta”, aggiunse vedendo due vampiri dietro di lei vestiti di nero e gli sguardi seri, pronti ad attaccare in qualsiasi momento, “Ne hanno mandati due. Mi sa che sei più pericoloso di quel che penso”.
“Lo sono”.
“Buona a sapersi”, disse alzandosi e andando contro alle due guardie, “E una cosa: quella che hai appena dissanguato è la tipa che ha organizzato la festa di sotto…”.
“È viva”, disse Leon.
La ragazza accennò ad un sorriso, “No, allora mi sbagliavo. Non puoi essere così pericoloso”, e sparì.
 
Non sapeva neanche il nome di quella ragazza, eppure quella sicurezza, quella strafottenza l’avevano colpito. Ma non subito, era sempre stato ottuso e cieco, non aveva capito il potere di quella ragazza, in grado di stravolgere tutta la sua esistenza e dargli un significato.
Era troppo impegnato a volere di nuovo New York ai suoi piedi dopo che un vampiro che lui stesso aveva creato gli aveva rubato il potere. Voleva essere di nuovo il re, voleva ogni centimetro di tutto il mondo ai suoi piedi.
Era lui il re.
E si sarebbe ripreso il potere subito.
Ma doveva ricordare Davina, non il suo potere.
Davina, con quegli occhi del colore del ghiaccio. Occhi freddi si direbbe, ma i suoi erano diversi, erano caldi, ricchi di sentimento, ricchi di passione e odio.
La prima volta che aveva visto quegli occhi era stato durante un’altra festa, la festa di Manhattan, quelle che Fred amava organizzare per mostrare il suo potere, il fatto di essere re.
 
“Frederick Spencer”, lo salutò Leon con un sorriso e stringendogli la mano calorosamente.
Aveva sempre odiato quell’uomo, ora vampiro, e l’aveva trasformato solo per fargli trascorrere una vita da condannato, ma così non era stato. Da uomo mediocre e senza scopi, era diventato un vampiro ambizioso e in grado di creare grandi cose.
Ed eccolo lì davanti a lui, con i capelli neri raccolti con un elastico proprio come Leon.
‘Una mia brutta copia’, pensò vedendo che l’aveva copiato in tutto, soprattutto in quello sguardo da chi la sa più lunga.
“Leon”, rispose Frederick con un sorriso orgoglioso, “Appena ho saputo che eri in città, ho fatto organizzare questa festa per te. Come ai vecchi tempi, no?”, domandò.
“Quasi…”, venne interrotto dall’arrivo della ragazza che aveva visto la notte precedente sul cornicione del palazzo, che come una furia aveva cominciato ad inveire contro Fred.
“…fino in bagno! Mi hanno seguita in bagno, Fred!”, urlò ma nessuno oltre al diretto interessato le prestò attenzione.
“Davina”, intervenne Fred lanciandole un’occhiataccia, “Ti presento Leon”, disse, “Leon, lei è Davina, la mia musa”.
Quando Leon riuscì a vedere gli occhi azzurri della ragazza, fu certo che qualcosa dentro di lui si era mosso, qualcosa di nuovo e inesplorato.
Lei sembrò riconoscerlo, ma senza aggiungere altro gli sorrise.
 
Sì, era stato quello il momento esatto in cui aveva visto per la prima volta gli occhi di Davina, quegli occhi che l’avrebbero perseguitato per sempre, sia nei suoi sogni, sia finché era sveglio.
Quella ragazza, quell’umana sarebbe stata la sua croce ma anche la sua ragione di vita.
 
Leon era fuggito da tutti quei festeggiamenti.
La festa era piena di vampiri che brindavano alla loro immortalità, senza sapere che si trattava più di una condanna che di altro.
“Non dissangui nessuna questa sera?”, si sentì chiedere mentre sporgeva le gambe dal tetto del palazzo.
Riuscì a riconoscere quella voce: era la ragazza.
“Ci sei tu, no?”, rispose guardandola sedersi al suo fianco.
“Non penso che ti convenga se non vuoi iniziare una battaglia”.
“Fred inizierebbe una battaglia per te? Un’umana?”, domandò Leon.
Lei alzò le spalle, “Ha ucciso la mia famiglia, i miei amici e chiunque mi tenesse lontano da lui. Non ha avuto problemi neanche ad uccidere i suoi di amici, quelli che provavano a farmi del male. Quindi, penso proprio che Fred inizierebbe una battaglia per me, un’umana”.
“Cos’hai di tanto speciale?”.
“E tu perché sei così pericoloso?”, domandò in risposta con un mezzo sorriso, “Ognuno ha i suoi segreti”.
“Non sai chi sono?”.
“Non mi interessa, non puoi essere più pericolo di quelli che già conosco”.
“E se lo fossi?”.
 
Se lo chiese nuovamente, anche nel presente.
Lui era pericoloso, dannatamente pericoloso, in grado di fare un massacro per sentirsi di nuovo il re della città, in grado di far tutto per avere il potere.
Tutto.
 
Lei gli sorrise, “Impossibile”.
“E se ti dicessi che sono il primo vampiro? Quello più antico?”.
“Questo non cambierebbe niente. Certo, spiegherebbe molte cose, tipo le tendenze maniacali e iper-protettive di Fred, ma di per sé non cambierebbe assolutamente nulla”.
“Come fai a dirlo?”, chiese Leon incuriosito da quella strana ragazza.
“Non sei stato tu ad uccidere la mia famiglia, sbaglio? Tu non mi hai fatto del male, non mi tieni segregata in una stanza e lasci che i miei unici contatti siano con dei vampiri dispotici”.
“Cosa ti dice che io non l’abbia già fatto con qualcun altro?”, domandò sempre più curioso di sapere qualcosa su quell’umana.
 
Ma a Davina non era mai importato chi era stato.
Era più interessata a conoscerlo lei stessa, a scavare in quella arroganza superficiale e a scovare il vero Leon. Nonostante lui fosse considerato il terrore di tutti i tempi, lei aveva trovato in lui qualcosa che nessuno aveva mai visto, e che Leon stesso stentava a conoscere.
 
“Vuoi una sigaretta?”, chiese lei allungandogli il pacchetto, “Andiamo, fumare non ti ucciderà di certo, antico”, disse sorridendo e venendo subito interrotta dall’arrivo di Fred, che le prese la sigaretta e la lanciò dal cornicione del palazzo.
Immediatamente il sorriso della ragazza sparì, tramutandosi in furia cieca. “Hai finito di rompere le palle, Fred? Mio dio, fatti una cazzo di vita tua!”, urlò alzandosi in piedi.
“Sai che non dovresti stare qui”, disse Fred con tono serafico.
“Tornatene dentro e fa la brava bambina, Davina”, intervenne una donna che se ne stava con le braccia conserte lontana solo di qualche metro.
“Oh, Fred fai tacere quella lagna isterica della tua ragazza, per favore”.
“Altrimenti, che fai?”, domandò la donna.
E a quel punto Leon poté godersi il magnifico sorriso di Davina e l’occhiata divertita che gli scoccò, “Darò finalmente ascolto alle tue preghiere, Gloria”, disse e fece un passo all’indietro verso il bordo del palazzo.
“Non provare a buttarti”, disse Fred impallidito improvvisamente, “Stai zitta, Gloria!”.
“E se lo facessi, eh?”, domandò la ragazza continuando a sorridere e facendo un altro passo.
“No! Fermati! Davina, maledizione, fermati!”, urlava Fred.
Davina guardò prima Leon e poi Fred, “Facciamo un gioco: se mi prendi per primo tu, Fred, beh, giuro che non scapperò mai più e che farò quel che mi dirai entro i limiti del possibile”.
“E se fossi io il primo?”, domandò Leon alzandosi.
“Non provarci, amico”, lo minacciò Fred.
“Zitto, Fred, qui le regole le faccio io”, intervenne Davina.
“Sì, zitto, Fred. Le regole le fa lei”, ripeté divertito Leon, “Dai, dimmi cosa ci guadagnerei a prenderti al volo”.
Il sorriso sulle labbra di Davina si allargò maggiormente e un istante prima di lanciarsi nel vuoto pronunciò quella parola che fece in modo che Leon la prendesse al volo, molto prima che Fred potesse ancora reagire.
L’aveva presa, non sapeva bene neanche lui perché, ma il suo istinto l’aveva spinto ad essere lui il fortunato.
 
Leon si ricordava di quell’istante con perfetta chiarezza.
Ricordava ogni attimo, soprattutto il profumo del collo della ragazza quando l’aveva presa al volo e tenendola ancora in braccio aveva cominciato a correre all’impazzata lontano da Fred e dai suoi scagnozzi.
Ricordava ancora le risate divertite della ragazza, che si sentiva sicura come non era mai stata nella sua via.
E ricordava perfettamente anche le parole che aveva usato per convincerlo a rischiare tutto per salvarla: “Me”.
Da quel momento in poi, lei gli aveva dedicato tutta se stessa come nessuno mai nella sua vita si era dedicato a lui.
Davina gli aveva sempre detto che lei lo aveva amato dal primo sguardo, che non aveva mai avuto paura di lui proprio per quell’amore incondizionato che provava.
Ma anche lui aveva iniziato ad amarla, ci aveva messo un po’ per capire che quello che provava era amore, proprio lui che aveva sempre creduto di avere roccia al posto del cuore. Non era stato facile, amare di per sé non era cosa facile, ma amare Davina era davvero impegnativo, perché aveva quella dannata paura di perderla da un momento all’altro che lo faceva impazzire.
 
Lo guardava dritto negli occhi come nessuno aveva mai osato fare.
Era anche seria e Leon avrebbe voluto dirle che quell’espressione la faceva sembrare terribilmente buffa, tanto che dovette trattenersi dal ridere quando dalla rabbia iniziò a sbuffare.
“Perché mi vuoi male?”, domandò lei.
“Non te ne voglio, baby”.
‘Baby’.
Non c’era parola che l’irritava maggiormente.
La vide socchiudere maggiormente gli occhi e respirare a fondo, “Non direi visto che vuoi che diventi vecchia. Sai quante controindicazioni ha la vecchiaia?”.
“Immagino molte, ma so per certo che me lo dirai tu, baby”.
“Ne ha una sola, e se continui a chiamarmi ‘baby’ capirai in prima persona cosa sia questa controindicazione”, sibilò fra i denti.
“Quale sarebbe?”. Leon si trattenne dal pronunciare di nuovo quel aggettivo, preoccupato per la vena sul collo che le si gonfiava quand’era furiosa. Era incredibilmente gonfia.
“La morte, ovviamente. E tu non vuoi che io muoia, per questo devi trasformarmi”.
Leon si trattenne dal strabuzzare gli occhi. Era abituato a sentirle dire delle stupidate in merito alla vecchiaia, come le rughe, il mal di schiena e una lista infinita che Davina si prendeva sempre la briga di aggiornare. Ma non era mia stata così diretta e brutale.
Voleva diventare immortale, e Leon lo desiderava altrettanto, non poteva immaginare un futuro senza di lei.
“No”.
“No cosa?”, chiese lei.
“No non ti trasformerò, Davina. E nessuno lo dovrà fare”.
L’amava, questo era certo e proprio per questo non poteva condannarla a una vita eterna, vuota e povera di valori come la stava vivendo lui.
Davina diede un pugno al tavolo così forte da rompersi la mano. Nonostante il dolore e le lacrime che preannunciavano di scendere senza sosta, mantenne lo sguardo fisso su Leon che preoccupato si era avvicinato, riuscendo quindi a notare tutta la determinazione della ragazza.
“Tu odi i vampiri, Davina. Odi tutto questo, non posso”, sussurrò Leon accarezzandola e cullandola tra le braccia.
“Fallo, ti prego”.
Avrebbe voluto ma…
 
“Leon”, sentì la voce di Moises richiamarlo dai suoi pensieri, “Pensa a qualcosa di più forte. Un ricordo più intenso”.
“Non ce ne sono”.
“Sì, pensa a quando le hai detto addio, Leon, pensa al dolore, pensa a lei”.
Sentendo quelle parole venne di nuovo rapito dal vortice dei ricordi che lo portò a quel momento preciso, quando dovette dirle addio. Un addio che aveva promesso di non pronunciare mai, un addio così sofferto che non aveva avuto neanche il coraggio di pronunciarlo.
Aveva organizzato tutto: sarebbero andati a cena all’Urth Caffe* a Santa Monica che Davina adorava, poi l’avrebbe portata a casa e avrebbero passato la serata come piaceva a lei, tra gelato e a far l’amore. Mentre dormiva, verso mattina, Anastasya sarebbe dovuta entrare in camera e fare l’incantesimo a una Davina ignara di tutto.
Ed era successo esattamente così.
Aveva accantonato tutto l’egoismo che l’amore per la ragazza gli aveva fatto provare, per poterle dare una vita sua, per poterle assicurare un futuro migliore di quello che gli spettava con lui.
Le aveva detto addio in un sussurro, mentre Anastasya le faceva l’incantesimo, mentre la memoria di Davina veniva sempre più cancellata e sostituita da altri ricordi. Ricordi dove lui era completamente assente.
Ed era stato difficile, era stato così doloroso vederla lì, sapendo che quei momenti passati insieme sarebbero stati gli ultimi, che poi lei non avrebbe ricordato nulla. Ma allo stesso tempo era la cosa migliore, voleva aiutarla, voleva darle la vita che Fred le aveva tolto. Voleva far si che fosse una vera umana, in modo che non desiderasse mai più diventare una vampira, in modo che l’essere una mortale fosse l’unico modo di vivere che conoscesse.
Ed era stato così. Tutto era andato bene.
Anastasya, aiutata da altri dei suoi, si era trasferita in un paese di cui aveva tenuto segreto il nome in modo che lui non capitasse all’improvviso, rovinando il suo incantesimo. Lei non gli aveva mai detto cosa avrebbe rotto il rito, proprio per evitare che, in un momento di grande disperazione, provasse a far ritornare la memoria alla ragazza.
Aveva passato due anni lontano da Davina, aveva cercato di concentrarsi su altro, pensando solo al suo potere e all’essere un re.
Ma il pensiero cadeva sempre lì, cadeva sempre su di lei, su loro. E non passava giorno in cui non si chiedesse cosa stesse facendo, e se lo stava pensando. Ma mentre alla prima domanda poteva trovare innumerevoli risposte a volte dolorose, all’altra invece ce ne era solo una: no.
E proprio quando il ricordo del dolore che aveva provato ogni giorno per due anni, quel dolore cieco, assordante e inimmaginabile di chi ama ma sa di non essere amato, si risvegliò.
“L’abbiamo trovata”, disse Moises con un sorriso in volto.
 
 
 
 
 
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  Eccomi qui, di nuovo...
Sono stata un po' più lenta del solito ma volevo aspettare una recensione che mi ha riempito di lusinghe e che ha trovato significati in quello che scrivo che non avevo immaginato potesse trasmettere!
Comunque, mentre nel capitolo precedente si può vedere Anastasya e la sua determinazione, il suo coraggio ma anche i suoi segreti. In questo capitolo abbiamo a che fare con i ricordi di Leon, tutti concentrati unicamente su Davina. Come potete vedere lui è pronto a tutto per lei, ad ogni cosa, come è giusto che sia con il vero amore.
Ma è anche un amore difficile (questo si vedrà più avanti) in quanto abbiamo a che vedere con due personaggi particolari.
Uno è, appunto, Leon, il terrore di tutti i tempi, l'originario, colui che può vanatarsi di aver visto nascere le stelle. Colui che ha disseminato più terrore che speranza o amore. Lui che l'amore fa anche fatica a scriverlo.
E poi c'è Davina (si scoprono cose del suo passato) tenuta 'segregata' da questo Frederick Spencer, il quale ha ucciso la sua famiglia e ogni cosa a cui fosse legata. L'amore la spaventa, perchè dietro alla sua sfacciataggine lei aveva paura e ha vissuto in quella condizione di terrore-dolore per molti anni prima dell'arrivo di Leon.
Entrambi sopraffatti da questo sentimento, entrambi finalmente felice.
Ma come possiamo vedere il ricordo più doloroso di Leon è proprio quello dell'addio, un addio che non ha avuto il coraggio di pronunciare, perchè non avrebbe voluto, perchè proprio per egoismo che l'amore gli faceva provare avrebbe voluto tenerla con sè.

A proposito di egoismo.
Io intendo quell'egoismo buono, quell'egoismo che ti fa diventare anche gelosa, perchè lo vorresti tutto per te.
E io sono dell'opinione che l'egoismo e l'amore vadano a braccetto, e dove manca uno l'altro per forza non può esserci. Perchè in amore, bisogna essere egoisti, bisogna voler l'altro per sè. 


Lasciate qualche recensione, PLEASE!


Blue




*L’Urth Caffe esiste veramente e si trova a Santa Monica, California. Se volete qualche informazione guardate in questo sito qui http://www.tripadvisor.it/Restaurant_Review-g33052-d794125-Reviews-Urth_Caffe-Santa_Monica_California.html

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 05-Quando torna la memoria ***





ATTENZIONE!!! Le scritte in corsivo sono i ricordi di Davina non appena si sveglia e le ritorna tutta la memoria, questi sono in prima persona e non in terza come il capitolo in generale e quelli precedenti.
 
 


 
Capitolo 05

Quando la memoria ritorna
 
 
 
 
L’inferno non è mai tanto scatenato quanto una donna offesa.
(William Shakespeare)

 
 
 
 
 
 
“L’abbiamo trovata”, disse Moises con un sorriso in volto.
La giovane strega aveva aperto gli occhi ormai da diversi minuti prima dell’annuncio di Moises, e rimase sbalordita nel sentirlo ma soprattutto nel vedere l’espressione di Leon.
Non era riuscita bene a identificarla: era sollevata ma anche pronta alla battaglia.
In fondo era un tumulto di emozioni, le stesse che provava lei in quel momento.
Sfidare la strega più potente di sempre significava rischiare la morte, anzi, avere morte certa e questo non aiutava di certo l’animo. Ma allo stesso tempo sapevano di avere Davina a poca distanza, sapevano che presto l’avrebbero avuta fra le loro braccia.
Ma la consapevolezza di poterla vedere ferita e sofferente la faceva impazzire.
“Dobbiamo partire adesso”, ordinò Leon.
“Prima dobbiamo ideare un piano”, intervenne Anastasya.
Era un’operazione difficilissima, non potevano andare là allo sbaraglio.
Leon annuì e cominciò a spettinarsi i lunghi capelli biondi, iniziando subito ad impartire ordini con la sua tipica razionalità. Anche se il suo istinto l’avrebbe portato a lanciarsi, cercò di rimanere al suo posto e a ideare al meglio una strategia.
Le streghe iniziarono a raccogliere i grimori, amuleti, erbe e ad invocare i loro antenati per poter ricevere maggiori poteri. I vampiri, invece, cercarono di procurarsi paletti e proiettili di legno, necessari per abbattere la maggior parte delle innamorate.
Anastasya, dal canto suo, non aveva altro che un grimorio e richiamare gli antenati sarebbe stato impossibile visto quello che era successo diversi anni prima*.
All’improvviso la sua vista si oscurò e la testa iniziò a dolere in maniera impressionante, tanto che non riuscì nemmeno a reggersi in piedi e urtò con il terreno.
Un dolore lancinante la paralizzava, facendola urlare con tutta la voce che aveva in corpo.
Mai nella sua lunga esistenza aveva provato un dolore tanto forte, un dolore così angosciante.
Soffrì le pene dell’inferno, tanto che non si accorse neanche che tutti si erano avvicinati a lei cercando di capire cosa stesse succedendo.
Con la stessa velocità con cui era arrivato, il dolore cessò e la vista ritornò insieme a una nuova consapevolezza.
“Ann, Ann!”, urlava Moises scuotendola ma lei cercava gli occhi scuri di Leon che trovò facilmente.
“Ricorda tutto”, disse un attimo prima di svenire.
Il primo pensiero che attraversò la mente di Leon era che se Anastasya moriva significava che Davina aveva fatto la stessa fine.
“È viva, Moises?! È viva?! MOISES!”.
“Sì, sì è solo svenuta”.
Leon, dopo la paura scampata, ci mise qualche secondo per capire il vero significato delle parole che aveva pronunciato la strega prima di svenire.
Se era veramente così, cosa di cui faticava a dubitare, significava che per lui era finita, che Davina non sarebbe mai più tornata. Lo sapeva perché la persona che aveva conosciuto non l’avrebbe mai perdonato per un affronto così forte. Perché lei gli aveva chiesto una vita insieme, non di dimenticarlo. Perché lei gli aveva donato il cuore, e solo Leon poteva capire quanta fatica le era costato. Lo capiva perché era lo stesso per lui.
Ammettere un amore così impossibile, così incompatibile*, quel sentimento che l’aveva destabilizzato.
Sapeva che per quanto Davina lo amasse, ed era certo di questo, lo avrebbe comunque odiato, perché le aveva promesso di rimanerle affianco sempre, di darle la vita che voleva dopo tutti i soprusi subiti.
Nonostante la consapevolezza che trovarla, parlarle e vedere nel suo volto la rabbia e l’odio, l’avrebbe reso per sempre infelice e sofferente, doveva vederla.
Perché poco importava la sofferenza di un’eternità se in cambio avesse potuto rivedere quegli occhi.
Gli occhi della sua Davina.
Occhi ricchi di vita, vita che lui aveva cancellato.
Doveva farlo.
Perché era egoista, perché l’amore lo era e lui era innamorato.
Fece caricare Anastasya in auto sotto il controllo continuo di Moises e ben presto partirono tutti. La prima parte del viaggio l’avrebbero fatta in auto, chi in moto, in quanto le streghe non potevano correre quanto un vampiro ed erano necessarie nel suo piano.
Sfrecciò lungo la strada, poco gli importava se Davina avrebbe detto il suo segreto, poco gli importava se Rania fosse venuta a conoscenza del suo nome.
Davvero non gliene importava.
Voleva solo rivedere quello sguardo, quello che aveva fatto impazzire il suo cuore millenario.
“Ann stai bene?”, domandò Moises alla strega quando questa si risvegliò pallida e con la fronte sudata.
Anastasya si sentiva tutto tranne che bene.
 
Quando aprii gli occhi tutto attorno a me parve diverso.
Ora sapevo, sapevo tutto e ricordavo ogni cosa.
Ricordavo anche il viso che per lunghissime notti in tutto quel tempo, voleva riaffiorare nella mia mente, quel viso che anche se non lo vedevo ero certa che ci fosse e non mi lasciava mai.
Quel viso di cui ero perdutamente innamorata.
Lo ricordavo.
 
Era stata l’esperienza più traumatica della sua vita, e giurò che mai più avrebbe fatto un incantesimo simile, non dopo essersi sentita scombussolare la mente in quella maniera, non dopo aver sentito la mano esterna di qualcuno rimettere ordine fra i suoi pensieri.
“Leon”, lo chiamò la strega, “Davina sarà incazzata, molto”.
 
Aveva sussurrato quelle parole, le aveva dette finché l’ultimo barlume delle mie memorie scompariva.
Ma ora ricordo, ricordo tutto.
E per quanto io lo ami, lo odio e non posso fare a meno di odiarlo.
E mi vendicherò, mi vendicherò perché ha scelto per me, ha scelto la vita che dovevo vivere quando io, per la prima volta dopo tanto tempo, avevo iniziato a fidarmi.
 
Il vampiro annuì serio ed accelerò, “Mi odierà per sempre”.
Né Anastasya né Moises trovarono parole in grado di esprimere il contrario o fatti che lo potessero dimostrare. Entrambi conoscevano Davina e sapevano che lo avrebbe odiato, senza ombra di dubbio.
Ci misero dodici ore ad arrivare sfrecciando sulle strade a velocità impensabili. Lasciarono le auto a diversi isolati di distanza dal capannone in cui si trovava Davina e il piano iniziò.
Leon doveva essere l’unico ad apparire con al suo fianco Anastasya e Moises, tutti gli altri avrebbero circondato l’edificio e sarebbero intervenuti nel momento giusto.
Niente di complicato, niente di particolare, un piano quasi banale ma che di stupido non aveva niente.
Leon era pronto a sacrificarsi, a far sì che gli venisse tolta la vita se questo significava far vivere ancora Davina.
 
Rania con il suo sorriso incoraggiante mi allungò una maglia da mettermi dopo avermi lasciata sistemare in previsione del loro arrivo.
Le sorrisi anch’io e sapevo che l’avevo convinta a fidarsi di me.
D’altronde io ero quella con la memoria spezzata, quella tradita da Leon come tutte le altre psicopatiche.
Io non ero nulla di diverso da quello che erano state le altre per lui.
 
Leon la vide da lontano e con la certezza di non essere visto da lei, la scrutò attentamente.
Era come se la ricordava: i capelli raccolti in disordine, gli occhi attenti e aggressivi e la mano che le stringeva il braccio, quasi si volesse fare da scudo da sola.
Era lì, a poco più di un kilometro da lei, avrebbe voluto correre e prenderla, allontanarsi da tutto e dirle quanto l’amava, dirle tutto, raccontarle ogni cosa, ma era impossibile finché Rania e Arabella la affiancavano seguite da tutte le altre.
“Qual è Rania**?”, domandò Anastasya in un sussurrò.
“La mora”, rispose Leon guardando la strega che aveva portato via il suo giovane amore.
Si fermarono a pochi metri da loro, e il vampiro stette ben attento a non incrociare lo sguardo di Davina, consapevole che se l’avesse fatto avrebbe visto tutto tranne il calore con cui era solito guardarlo.
 
Non mi guarda. Ha paura.
Di cos’hai paura, Leon?
Non di Arabella che vorrebbe ucciderti per la sofferenza del suo amore non corrisposto.
Non di Rania, perché lei sarà la strega più antica, ma tu non sei da meno in quanto a forza.
Hai paura di me?
Di quello che troverai riflesso nei miei occhi?
Andiamo Leon, non avere paura di me. Io faccio ridere, ricordi? Io sono un pagliaccio, io sono umana. Non posso spaventare te che sei il terrore di tutti i tempi.
 
“Non hai ricevuto il messaggio, Rania?”, domandò senza troppe convenevoli.
Rania fece un passò avanti sfoderando un sorriso serafico, “È bello rivedere anche te, vecchio amico mio”.
“Ti ho chiesto se hai ricevuto il messaggio che i miei maghi hanno inviato”, ripeté Leon con estrema arroganza.
Le innamorate si agitarono e lo guardarono avidamente. Non si poteva non ammettere che Leon non assomigliasse ad un Adone, se non ancor più bello.
“Certo, Leon, ho ricevuto il tuo messaggio, ma prima di affermare la tua proprietà su qualcuno, faresti meglio a consultare la persona in questione”, disse facendo un ovvio accenno a Davina.
A quel punto Leon non riuscì a resistere e guardò la ragazza.
 
Vedi rabbia vero?
Ma guarda più affondo, Leon.
Guarda cosa c’è dentro, porca miseria.
Guardami Leon!
Non soffermarti in superficie.
Non fermarti… Ti sei già arreso?
 
“Allora lasciatela andare”, disse Leon e in quel momento, dopo un gesto impercettibile di Rania, Arabella scattò contro l’uomo che venne difeso prontamente da Anastasya che con un sorriso di vittoria le lanciò un incantesimo tanto potente da farla retrarre.
 
Annie.
Oh, Ann.
Sei una stronza anche tu, non credere che ti perdonerò presto.
Ma di colpe ne hai meno di lui.
Questo è sicuro.
 
“Stai indietro, Arabella”, sputò Anastasya facendola arretrare ancora.
Leon non riuscì a trattenere un sorriso: la sua strega era molto più potente di quanto si aspettasse e questo non faceva altro che giocare a suo favore.
“Chi sei tu strega?”, domandò Rania.
“Questo non è di tua importanza, Rania. Libera Davina e avrai quello che vuoi”.
Rania scoppiò in una risata cristallina, “Leon, Leon, Leon. Che sciocco che sei, eppure hai così tanti anni alle spalle. Com’è possibile che tu non lo capisca? Guarda la tua povera amata umana. Vedi catene nei suoi polsi? No perché non ce ne sono. La tua strega sente qualche incantesimo che la tiene ferma qui al mio fianco? No. Nulla le impedisce di muoversi. Nulla. Non le farei mai del male io, e tu non permetteresti che le tue, ehm, ex concubine gliene facessero, giusto? E sono certa che la salveresti se solo lei volesse allontanarsi da me”.
 
Ecco che mi guardi ancora.
Guardami, maledizione, Leon!
Non così, non come fanno gli altri.
Guarda più affondo, vedi che siamo dalla stessa parte?
 
“Dawn vieni qui, ti prego”, sussurrò Anastasya dopo lunghi istanti di silenzio, turbata da quella rivelazione. Nulla la teneva legata, nulla le impediva di scappare da Rania, quindi se era lì era perché voleva starci.
“L’hai minacciata”, disse Leon con fermezza guardando prima la strega e poi gli occhi azzurri di Davina, “Se per tornare devi dirle il mio segreto, fallo. Non mi importa”.
 
Vorrei urlare, vorrei dire qualcosa ma so che se lo farei manderei all’aria tutto.
Non ha ascoltato la profezia, non sai che io non posso essere uccisa da lei?
Mio dio, perché glielo avevo fatto promettere, perché?!
 
“Davina cosa vuoi fare?”, domandò la strega antica alla ragazza.
“Vaffanculo”, le risposi lanciandole un’occhiataccia e l’inferno cadde in terra.
 
 
 









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Note:
*Anastasya appartiene alla famiglia dei Molcanov, ricordate? È una famiglia di streghe molto antica e importante, ma quando si è unita alle innamorate non è stata più riconosciuta come un’appartenente e le hanno portato via tutto tranne un grimorio che aveva nascosto.
**In questa parte ci si riferisce all’aspetto di Rania. Come avete visto a me non piace soffermarmi molto sui dettagli dei vari personaggi perché voglio che sia la vostra immaginazione a far tutto. Comunque Rania è la figlia di Cheope, l’antico faraone dell’Egitto, e assomiglia (almeno nella mia visione) alle raffigurazioni di Cleopatra. Quindi capelli neri dritti e frangia che coprono occhi a mandorla neri come l’ebano.
 
 
Ciao ragazze,
questo capitolo mi è costato un lavoro di neuroni pazzesco.
Spero che vi sia piaciuto (non mi piace dilungarmi troppo nel commento alla fine)
Spero che lasciate anche delle recensioni che sono sempre ben volute.
 
 
Blue

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