Happily Never After

di CheshireMad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (Non) c'era una volta ***
Capitolo 2: *** Cuore di ghiaccio ***
Capitolo 3: *** Sotto la pelliccia ***



Capitolo 1
*** (Non) c'era una volta ***


C'era un freddo terribile, nevicava, e cominciava anche a far buio. Il vento e il gelo erano riusciti persino nell'ardua impresa di rendere totalmente opachi i vetri dei lampioni, e tutto ciò che illuminava la strada era più che altro l'insieme delle luci provenienti dalle abitazioni, dalle belle case e dalle tante decorazioni e lanterne tipiche del periodo natalizio. Ad ogni bambino sarebbe piaciuto uno spettacolo del genere: tutti adoravano Dicembre e le sue festività, perché Natale da sempre significava famiglia, e famiglia significava stare insieme – magari tutti attorno al camino del salotto, chi sulle poltrone a chiacchierare, chi in piedi a bere e brindare, chi per terra a giocare con treni, soldatini di piombo o bambole, o ancora a scartare regali.
L'ultima notte dell'anno non faceva eccezione: tutti gioivano e festeggiavano in casa, con cene sontuose e tanti invitati. Ciò ovviamente comportava la desolazione delle strade e delle vie, dove poca, pochissima gente camminava con passo rapido e fare impegnato. Nessuno badava davvero alle decorazioni – figuriamoci al cielo! –; nessuno si accorgeva delle stelle, ancor più splendenti e luminose di mille di quei lampioni; e di certo nessuno notava che ogni tanto qualcuna di quelle meravigliose stelle cadeva, via, lontano, diretta chissà dove.
No... qualcuno se n'era accorto.

«Hai visto anche tu, nonna?»
Una piccola bimba dai capelli dorati indicava il cielo da dietro la finestra, osservata da un'anziana signora dall'aspetto cordiale e premuroso.
«Vieni qui, piccina mia», le disse sorridente mentre dava lievi pacche al posto libero accanto a lei, su quel bel divano giallo; e la bambina, con un sorriso ancora più smagliante, andò a sedersi. «Era una stella cadente, tesoro?»
La sua voce era quanto di più dolce e amorevole si potesse mai sentire.
«Sì, nonnina», rispose entusiasta la piccola, ancora presa dalle tante 'lucine appese in cielo' delle quali sperava che presto sarebbe caduta qualcun'altra.
«Dimmi... ti ho mai raccontato del perché cadono le stelle?»


"Ecco la sesta", pensava ora quella stessa bambina, seduta in mezzo alla neve, con le spalle appoggiate al muro di mattoni di un palazzo e le braccia incrociate sulle ginocchia. Faceva davvero tanto freddo, e una ragazzina di appena undici anni non avrebbe di certo dovuto passare la notte di San Silvestro in strada – da sola, a piedi scalzi e fradicia per l'umidità della sera – a contare le stelle cadenti: doveva stare con i propri genitori in una di quelle case, come tutti i bambini!
Al suo fianco c'era un cestino di vimini ben coperto, e tutt'intorno alcuni fiammiferi usati probabilmente nel tentativo vano di riscaldarsi.
"Sette"; non pensava ad altro se non alle stelle, suo unico intrattenimento. Contava quelle che cadevano, quindi anche la gente che da qualche parte nel mondo era appena passata a miglior vita. Ma come poteva essere certa che quella storia fosse vera? Ed era possibile che l'ultima notte dell'anno – una notte di festa tra le più importanti e gioise – la gente morisse così numerosa?
"Magari qualcuno si accorgerebbe di me, prima o poi, se anch'io morissi qui..."

«Non dire sciocchezze, tesoro; adesso la nonna non si sente bene... Lasciamola riposare...»
«Ma io non voglio lasciarla sola! Ha bisogno di me!», urlava la bimba, ribellandosi alla madre e dimenandosi per riuscire infine a correre nella camera in cui si trovava la tanto amata vecchietta
o meglio, il suo corpo.
Fuori dalla finestra, in cielo, stava cadendo una stella; ma la piccina non riuscì a vederla per via delle lacrime che rigavano il suo visino e le offuscavano la vista.


No... non lo aveva pensato davvero... Non doveva nè poteva anche solo immaginare una cosa simile. Alla nonna non sarebbe piaciuto.
La piccola fiammiferaia si rimise come meglio potè in piedi, tenendosi alla parete per non cadere sulle gambe ormai stanche e congelate. Raccolto il cestino, mise una sorta di cappuccio fatto di stracci in testa e si incamminò verso quella che molti – eccetto lei – avrebbero chiamato casa.
Un passo, poi un altro, ed ecco infine il formicolio del sangue che tornava a circolare nelle gambe. Ancora uno, due, tre passi su quel gelido marciapiede, coi suoi piedini rossi per il freddo; non ci sarebbe stato per nulla da sorprendersi se fosse caduta da un momento all'altro, e in effetti incespicò diverse volte nelle proprie caviglie.
Quanto avrebbe desiderato un paio di scarpe... Cosa non avrebbe dato anche per le più grandi, o le più piccole, o persino per delle vecchie ciabatte impolverate e lacerate...

«E questo invece è per te!», disse la mamma porgendole un pacco incartato e legato con un bel fiocco rosso.
La bimba iniziò a scartarlo, bramosa del suo regalo, ma ne rimase davvero delusa quando finalmente lo tirò fuori: era, anzi, erano delle scarpe rosse. Belle, lucide, le sarebbero state molto bene, ma a lei quel colore proprio non piaceva.
Molto rattristata, sua madre le prese, le conservò nello scatolo, e le ripose sopra un alto scaffale.


La porta di casa era socchiusa e dall'interno proveniva quel solito forte puzzo di alcol che in genere si sentiva quando suo padre era dentro, appena tornato dalla taverna. Dopo la morte della mamma era come impazzito: aveva venduto praticamente tutto meno che la figlia, che in un modo o nell'altro – pensava – poteva fruttargli più soldi di quanto valesse. E con quei pochi denari che aveva guadagnato dalle vendite, e con ciò che sua figlia riusciva a racimolare con i fiammiferi, lui comprava solo vino e altri cerini da farle vendere.
Era lì, squallidamente addormentato sul tavolo, con stretto nel pugno il collo di una bottiglia da cui fuoriusciva quel poco di vino che non era riuscito a bere e che si stava riversando prima sul legno consumato su cui si appoggiava, poi sul pavimento sporco; nessuno avrebbe pulito – e a nessuno sarebbe interessato.
La bambina cercò di attraversare la stanza in silenzio, ma senza volerlo colpì col piede una delle tante bottiglie vuote sparse qua e là per terra, facendola rotolare rumorosamente. Si voltò rapidamente verso il padre, ma lui si limitò a grugnire e ghignare nel sonno.
Superata finalmente quella stanza senza svegliarlo, si chiuse la porta alle spalle e prese una profonda boccata d'aria – poiché aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo –, e lasciò il cesto con i fiammiferi in un angolo per affacciarsi alla finestra di quella che una volta era la sua bella cameretta; le stelle erano ancora tutte lì, immobili come lei che – prese una vecchia coperta e una sedia – passò il resto della notte ad ammirarle senza chiudere occhio.
Era uno spettacolo senza paragoni. Il cielo era come un grande vestito nero, uno di quelli che indossavano sempre le signore che uscivano dalla chiesa piangendo. Ma a differenza di quelli, questo era molto più grande, elegante e sfarzoso: una meraviglia.
Accese un fiammifero per provare nuovamente a riscaldarsi col calore della piccola fiamma, e mentre lo teneva davanti a sè, tornò a guardare in alto: la pioggia di stelle continuava ancora, tanto che la piccola riprese il conto ma lo perse subito. Non aveva mai visto così tante stelle cadenti, neanche con sua nonna. Ormai cadevano l'una dietro l'altra, ed era impossibile contarle. Dieci tutte insieme, poi venti e così via, finché quello splendido abito nero divenne totalmente bianco e candido, come le nuvole. Tutto era bianco; non c'era più neanche la stanza. Solo lei, nel bel mezzo del nulla. Si mise a piangere, ma a che serviva? In effetti, però, cosa mai avrebbe potuto fare, se non disperarsi?
Una mano si poggiò sulla sua spalla. Lei si girò di scatto, spaventata, ma non aveva motivo di aver paura: era la nonna! Le sorrideva e le diceva di star tranquilla; la abbracciava; le ricordava che era forte.
«Dove sei stata per tutto questo tempo?», chiese allora la piccola tra i singhiozzi.
«Lontano... Ma non preoccuparti per me: io sto bene», la rassicurò. «...ma tu?»
La luce di quel luogo si affievolì, e il bianco lasciò spazio al buio della camera. Lei stava bene? Non esattamente, ma... chi se ne importava? La nonna era tornata!
Il fiammifero si era spento, ma se accenderne un altro avrebbe riportato indietro la sua tanto amata nonnina, non c'era tempo da perdere.
Di nuovo tutto tornò ad essere luminoso.
«Nonna?», urlò, guardandosi disperatamente intorno col fiammifero proteso in avanti per fare più luce. «Io voglio stare con te! Dove sei?»
«Non ti ho mai lasciata sola, piccola mia», disse una voce lontana e debole.
La fiamma si stava spegnendo ancora, e la remota voce della nonna riuscì a dire soltanto «Ti voglio bene» prima di svanire di nuovo.
La bambina accese tanti altri fiammiferi, ma non successe nulla. Tornò a guardare il cielo, ma non c'era più neanche una stella cadente.
Forse era stato solo un sogno... Forse non c'era stata alcuna stella cadente...

Papà era cambiato...
La mamma era morta da poco, e ogni sera successiva al funerale, la bambina lo sentiva far avanti e indietro in salotto. Urlava, rompeva oggetti, bestemmiava; non si era mai comportato così, prima. C'era qualcosa in lui che adesso spaventava sua figlia, ma quando poi cominciò a bere...
Le suore della chiesa avevano ragione: il diavolo esisteva.


Nell'altra stanza qualcosa cadde a terra – probabilmente la bottiglia che suo padre teneva in mano. Qualche attimo di silenzio, poi altri rumori di vetro, di bottiglie che rotolavano, e pesanti tonfi che via via si facevano sempre più vicini.
La porta si aprì, e un uomo – o forse una bestia, a giudicare dal suo sguardo e dalla folta peluria incolta che gli ricopriva il mento – apparve sull'uscio tenendosi in equilibrio dal cornicione.
«Sei tornata...»
Non osava guardarlo dritto negli occhi, e sommessamente fece di sì col capo tenendo lo sguardo rivolto al pavimento.
«Quanti ne hai venduti?», continuò il padre con voce roca e minacciosa; lei taceva, non trovando il coraggio per proferire parola. «Sei diventata sorda? Quanti ne hai venduti?»; questa volta le parole erano scandite e incutevano ancora più timore.
La bambina riuscì a bisbigliare qualcosa, ma con voce troppo flebile per essere udita.
«QUANTI?», urlò lui violentemente, battendo il pugno destro sulla cornice della porta su cui poco prima si sorreggeva.
«Nessuno...»
Poco più di un sussurro. Ci fu una lunga pausa, in seguito alla quale la porta venne nuovamente chiusa e il silenzio calò come prima. Cosa sarebbe successo? Ogni volta che tornava a casa senza soldi veniva picchiata o lasciata senza 'cena', ma questa volta sarebbe davvero finita così?
Passarono i minuti, e ancora niente... Se ci fosse stata una mosca, dall'altro lato della strada, sarebbe stato di certo possibile sentirla ronzare.
La porta si aprì ancora, ma questa volta suo padre non si limitò a sbraitare: la prese per la veste e la strattonò nella stanza delle bottiglie. Spinta dopo spinta, la fece ruzzolare giù per le scale dell'ingresso e chiuse la porta di casa, non prima però di averle confermato quanto appena fatto: «Vattene, e non tornare».
Poco dopo la porta si riaprì, ma arrivarono solo il cestino – dal cui interno i fiammiferi si sparsero tutt'intorno, per terra – e altri urli, tra cui l'unico comprensibile era «Avrei dovuto vendere anche lei».

«Dov'è la nonna?»
«Era tanto vecchia, lo sai... Adesso sarà già in un posto bellissimo», rispose la mamma, ma fu interrotta da dei forti colpi di tosse e si alzò per andare nell'altra stanza.
Da allora le giornate sarebbero state molto diverse. Chi le avrebbe fatto compagnia? Chi le avrebbe raccontato le storie? E perché nessuno voleva dirle dov'era finita la nonna, dopo che l'avevano portata in chiesa? Sarebbe volentieri andata via con lei, se avesse potuto... Si sarebbero divertite tanto insieme, e avrebbero guardato le stelle tutte le sere.


Le stelle... erano tutto ciò che le restava, assieme ad un abito di stracci, una cesta e qualche fiammifero. Dov'era la nonna? Ora che ne aveva davvero bisogno, dov'era? Tra quelle stelle che tanto aveva ammirato, forse? No. Nella volta celeste c'erano solo inutili puntini luminosi che ogni tanto si stancavano della loro stessa vita e decidevano di cadere. Non sapeva dove finissero, ma come poteva importarle se non sapeva dove sarebbe andata lei stessa?
Raccolse i fiammiferi caduti e li rimise nel cestino; forse, se fosse riuscita a venderli, avrebbe avuto abbastanza soldi da comprare almeno mezza pagnotta...
Era pronta per incamminarsi, ma fu più forte di lei: doveva guardare il cielo. Le stelle erano ancora lì dove le aveva viste poco prima. Erano così belle... Come aveva potuto pensare delle cose così cattive? Forse erano inutili, ma non per lei! Lassù, una di quelle stelle la stava guardando. Ne era certa!
Fece un cenno di saluto, ma non accadde nulla. Cosa si aspettava, in fondo? Che sua nonna comparisse all'improvviso e la salutasse da lontano con la manina? Scosse la testa, rendendosi conto che quel che stava facendo era stupido, ma nell'esatto momento in cui stava per distogliere lo sguardo dal cielo, una di quelle lucine sfrecciò giù a gran velocità. La seguì con lo sguardo, ma i tetti le impedirono di vedere oltre. Sembrava assurdo, ma quella stella era appena caduta in città!
In un attimo la fiammiferaia si mise a correre come mai prima d'allora, e in pochi minuti giunse nell'esatto punto in cui era stata seduta per tutto il pomeriggio.
Non capiva... La stella sembrava essere caduta in quella direzione, eppure non ce n'era traccia... Si girò e rigirò più volte, ma...
In un vicolo, al di là della strada, qualcosa brillava per terra. Che fosse la stella?
Andò immediatamente a controllare, ma quando si avvicinò al luccichio scoprì, con grande delusione, che si trattava solo di una scheggia di ghiaccio, o forse era un frammento di specchio. Lo prese tra le dita, ma non facendo attenzione si punse un dito. Di certo non si trattava di una stella ma, quando la lasciò cadere, quella – qualunque cosa fosse – si illuminò a mezz'aria. Era come se brillasse di luce propria... Come... una stella...
In breve toccò il suolo, e tutto intorno si fece bianco com'era successo nella cameretta con il fiammifero. Questa volta, però, la luce era proprio abbagliante, e la bambina non potè che chiudere gli occhi e coprirli con le mani. Perché continuavano ad accaderle cose così strane, quella notte?
C'era ancora molto freddo e poteva sentire un lieve venticello soffiarle sulle mani e sui piedi, ma non riusciva a vedere nulla; solo bianco, ovunque, come la neve. Si scioglieva sotto i suoi piedi, morbida, umida... Era davvero neve! Il soffio di vento divenne forte e pungente, poi una vera e propria tormenta.
«C'è nessuno?», urlò, ma la sua voce fu come portata via dalla raffica.
Non c'era più alcuna traccia della città: nè un palazzo, nè una strada, nè un singolo lampione. Solo neve. Dovunque fosse, doveva trovare un riparo o sarebbe sicuramente morta assiderata.
Vagò per un po' – o meglio, per qualche ora –, e quasi stava per arrendersi quando vide un carro in lontananza. Cercò di gridare e di farsi vedere, ma non ottenendo nulla dovette mettersi a correre e per fortuna lo raggiunse. Era una slitta.
D'un tratto si fermò, e ne scese un'alta figura che si avvicinò alla bambina.
«Starai congelando...», disse in modo preoccupato quella donna pallida e magra. «Vieni con me», e prendendola per mano la fece accomodare sulla slitta, accanto a lei.
In condizione normali non avrebbe mai accettato di andar via con una sconosciuta, per quanto ricca potesse sembrare, ma in quel caso doveva scegliere tra lei, o la morte.
«Hai freddo? Ecco, copriti sotto il mio mantello»
Sembrava così cortese e premurosa... E il mantello era morbido e ben caldo, e ricordava la pelliccia di un orso bianco!
«Come ti chiami, piccina?»
«A-Alice, signora»
«Oh, non sono poi così vecchia!», rise quella; «Puoi chiamarmi Gerda, se ti va»
La donna si voltò e fece un cenno col capo, e immediatamente la slitta ripartì.



Angolo dello scrittore
Non ci credo. Mi era venuta un'idea del genere già da molto tempo, ma non avevo mai neanche lontanamente provato a metterla in atto, e ora sono qui, al cospetto di un capitolo così grande che mi sorprendo di me stesso!
L'idea iniziale sarebbe quella di unire le fiabe più conosciute – e non solo – per realizzarne una più grande e coinvolgente. Sarà più o meno come Once upon a time, nel senso che le storie non saranno uguali alle originali, ma è una cosa originale e tengo a sottolineare che nonostante i flashback possano ricordare il suo sistema narrativo, non c'entra proprio nulla, a livello di trama, con C'era una volta o qualsiasi cosa vi venga in mente.
Spero sinceramente di raggiungere un buon risultato, perché sarebbe sia per voi che per me tipo... wooooow!
Ah, e ho appena scoperto che questo è probabilmente un prologo o qualcosa del genere, ma chi se ne importa se vi è piaciuto? ;)

Potreste già conoscere...
La piccola fiammiferaia
La pioggia di stelle

Counting stars

Se avete letto fino ad ora, vi ringrazio di avermi dato un'opportunità.
Se avete consigli – li accetterò più che volentieri: non c'è una trama ben definita e ogni idea potrà quindi essere considerata e sviluppata –, dubbi o notate qualche errore, recensite OPPURE inviate un messaggio alla mia casella di posta. In particolare, fatemi sapere se vi interesserebbe leggere di una fiaba in particolare, o se avete curiosità che non ho ben spiegato nel capitolo.
E se la storia vi piace, al prossimo capitolo e ancora una volta grazie!

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Capitolo 2
*** Cuore di ghiaccio ***


La bufera non dava impressione di voler smettere – e perché avrebbe dovuto?
Neve, vento, freddo, buio... Si trovava senz'altro su una montagna! Alice ci era stata solo una volta – in vacanza con i propri genitori quand'era più piccola – ma se ne ricordava perfettamente perché lì le stelle si vedevano meglio che in città. E la luna, così grande e lucente... sembrava un'enorme mongolfiera bianca! Le 'seguiva' e restava sempre sopra di loro, come se fosse stata legata con una corda invisibile alla slitta, che intanto strisciava silenziosamente sulla neve continuando costantemente ad accelerare. Veloce, sempre più veloce, e poi su verso il cielo! ...Su? Ma come..? Stavano volando!? Sembrava incredibile, eppure sì: era per questo motivo che non si sentiva il rumore che in genere accompagna le slitte quando vengono trascinate sulla neve e sul ghiaccio – ma quella, evidentemente, non era una slitta molto comune, così come tutto ciò che quella notte capitava alla povera bambina.
Si sporse per guardare giù, ma non c'era granchè da vedere: solo cumuli di neve e ogni tanto, qua e là, alberi spogli e congelati.
«Fa attenzione a non sporgerti troppo!», la ammonì la pallida donna, e lei tornò composta accoccolandosi un altro po' sotto quel bel pellicciotto che profumava di latte col miele.
«Dove stiamo andando?», azzardò la bambina con un po' di timore, ma Gerda si voltò e le sorrise candidamente come solo la nonna e la mamma avrebbero saputo fare.
«A casa mia», rispose con dolcezza, per poi darle un bacio sulla nuca. «Vedrai che ti piacerà! C'è tanto da mangiare, e potrai anche riposarti se vorrai»
Il suo dolce viso si corrucciò per un breve attimo in una triste espressione di malinconia, ma tornò subito raggiante come prima e, espirando aria dal naso mentre un nuovo sorriso si apriva tra le sue guance rotonde e appena un po' rosee, mosse il capo con decisione e la slitta andò ancora più svelta.

Il castello della regina delle nevi era lì, imponente e asettico  letteralmente freddo –; le sue mura erano bianche e compatte, come se fossero state costruite con neve ghiacciata, e i vetri delle finestre sì trasparenti, ma talmente lucide che era impossibile vedere al loro interno.
Una ragazza ben vestita 
ma soprattutto ben coperta  cercava di sbirciare cosa stesse accadendo lì dentro, ma con scarsi risultati. Tentò facendo ombra con le mani, e anche lucidando il vetro con i guanti, ma era come provare a guardare il fondo dell'oceano da sopra la superficie del mare.
Si spostò furtivamente verso un'altra delle finestre del pian terreno e, alzandosi sulle punte, ripetè tutta la procedura. Non c'era nulla da fare...
«Kay?», sussurrò nella speranza che il suo amico 
ma non la regina – potesse sentirla. «Kay... sei qui?»

Il vento sembrava essersi calmato. La neve scendeva così lentamente che pareva ferma in aria; e quando passavano tra quei pallini bianchi con la slitta, quelli si spostavano lasciando loro lo spazio per volare senza intralci.
Finalmente abbassarono quota, dirette verso un'imponente struttura dalle forme lisce e appuntite. C'erano... torri? Erano molto alte, raggiungevano il cielo e lo graffiavano con stalagmiti di ghiaccio.
Ma diversamente dalle case della città, in quel palazzo le luci non erano accese – eppure qualcosa illuminava i dintorni.
Più si avvicinavano, più intorno a quel 'castello di ghiaccio' era visibile una sorta di grande barriera colorata: sfumature tra il verde chiaro e l'azzurro più splendente si mescolavano e rigiravano, e a volte si univano dando vita a un ancora più spettacolare gioco di luci blu, viola e rosse.
Alice stava per chiedere di cosa si trattasse, ma la donna la precedette.
«Si chiama aurora. È bella, vero? L'ho fatta io!», e sorrise allegramente.
Come poteva una persona fare una cosa del genere?
«È magia», continuò come se avesse letto nel pensiero della bambina.
Magia..? Quindi... quindi era una maga!

«E ricorda»; un'alta signora era appena uscita dal palazzo attraverso un colossale portone di cristallo, che nessun essere umano avrebbe mai potuto aprire con le sole proprie forze, tanto era grande. «Non far entrare assolutamente nessuno. E non dimenticare di sbattere tutti i cuscini come si deve»; il suo tono era molto più che freddo, minaccioso e autoritario: si trattava senz'altro della regina delle nevi. Ma con chi parlava?
«È tutto chiaro?»
«Sì, madama Holle», le rispose qualcuno dall'interno del palazzo; una voce maschile...
Nel sentirla, la ragazza si avvicinò piano al portone e si nascose sotto la grande scalinata di ghiaccio 
opaco come i vetri delle finestre. La regina se ne andò, e ad ogni suo passo l'entrata del castello si chiudeva sempre più. In fretta la fanciulla incappucciata si intrufolò dentro prima che la porta si fosse chiusa del tutto.
«Kay!», urlò senza riuscire a contenersi quando si trovò davanti al tanto ricercato compagno d'infanzia. «Stai bene?», e dopo essersi scoperta il capo gli corse incontro e l'abbraccio, ma lui rimase immobile e impassibile.
«Kay..?»


«Mi scusi...», chiese Alice, e una nuvoletta di vapore accompagnò le sue parole.
«Puoi darmi del tu!», la interruppe Gerda, mentre prendeva a lisciarle una ciocca di capelli.
«Mi scusi... Non sono abituata a parlare con le sign- con le persone più grandi...»
Risero entrambe, ma poi Alice riprese la concentrazione e si schiarì la voce.
«Come mai vivi sulle montagne?»
Gerda non sembrava molto contenta di quella domanda, e infatti guardava lontano – dove forse sperava di trovare una risposta adatta –, ma si limitò a sospirare.
«È una lunga storia... Ma guarda: siamo quasi arrivate!»
La bambina si scordò della domanda, ma se ne dimenticò del tutto quando atterrarono.
«Ma guardati!», rise Gerda mentre le sistemava i capelli, tutti scompigliati per via del vento; i suoi invece erano legati in una treccia – castana ma scolorita –, ed erano perciò rimasti ordinati. «Ecco, e adesso...»; agitò l'indice formando un otto orizzontale davanti alla sua fronte, e la bambina sentì qualcosa scorrerle tra i fini capelli biondi. «Perfetto!», concluse l'altra, e le porse la mano per farle strada fino al castello.

Kay era un bambino tanto vispo e allegro... Quando si trovava ancora a casa  prima che la regina delle nevi lo portasse via  non faceva altro che saltare per tutto il terrazzino e non stava mai fermo! Ma ora pareva essere diverso... Era molto cambiato, in effetti: prima di tutto, non era più un bambino; il tempo, alla fin fine, scorre per tutti. Ma soprattutto non si comportava più come tale. Era diventato freddo  in tutti i sensi  ed era come... stregato... Un morto vivente, ai servizi della regina delle nevi.
«Kay? Kay, mi senti?»
La ragazza continuava a scuoterlo e a parlargli, ma lui non reagiva. Lo abbracciò ancora, e in preda alla disperazione pianse, ma lui se ne andò. Lo seguì e giunsero in una camera. Un sontuoso baldacchino occupava gran parte della stanza. Tutto era bianco, dalle coperte alle tende ai cuscini. Kay prese questi ultimi e li portò alla finestra, dalla quale li sbattè con forza facendone fuoriuscire le piume, che si misero a librare e volarono via, confondendosi con la neve.
Ad una parete era appeso uno specchio molto elegante, e se quella era la camera da letto della regina, con molta probabilità era solita specchiarsi lì. Ma se c'era una cosa che quella ragazza aveva imparato nel lungo viaggio che l'aveva portata infine in quel luogo, era che per una strega 
perché la signora delle nevi e dei ghiacci lo era senz'altro  un oggetto personale come uno specchio era molto importante.
Kay aveva finito con quella stanza e stava per andarsene, e lei non poteva rischiare di perderlo ancora una volta, ma di certo non poteva perdere un'occasione come quella; prese un candeliere d'argento che stava sopra il comò e lo lanciò con forza contro la superficie riflettente – che andò in minuscoli frantumi, i quali furono portati via dal vento assieme a quelle che ormai erano più simili a neve che piume – per poi tornare a seguire il suo amico.
«Kay?», provò ora che lo specchio era distrutto, ma lui continuava a camminare ed entrò in un'altra stanza. Era un salotto, e di nuovo lui sbattè i cuscini fuori dalla finestra. C'era un altro specchio, sopra un mobiletto, e anche questo venne distrutto. I suoi resti questa volta finirono sul pavimento bianco, ma il ragazzo non dava segni di cambiamento. Rimise i cuscini a posto e fece per andarsene, ma lei lo bloccò e prese il suo viso tra le mani, costringendolo a guardarla.
«Kay, sono io! Svegliati, ti prego»
Pianse di nuovo, e questa volta il vento portò con sè le sue lacrime; alcune volarono fuori dalla finestra, altre caddero sui pezzi di specchio, e
solo una finì nell'occhio del ragazzo, facendone uscire il frammento del malvagio specchio che diversi anni prima lo aveva fatto cambiare all'improvviso.
«G-Gerda? Sei proprio tu?», balbettò quando finalmente riconobbe la sua amica.
E mentre si abbracciavano, le schegge sul pavimento, grazie alla magia delle lacrime della ragazza si animarono e formarono la parola Eternità, spezzando la maledizione che la regina aveva gettato su Kay e perciò restituendogli la libertà.


Dentro al palazzo non c'era un singolo specchio, ma le pareti all'entrata erano così ghiacciate da riflettere alla perfezione. Alice ammirò un bellissimo fiocco bianco che le legava i capelli, e ridacchiò pensando "Ho un fiocco di neve in testa!".
Chiunque si sarebbe aspettato che i mobili e tutto il resto, all'interno, fossero bianchi o di ghiaccio, ma invece erano semplicemente fatti di legno.
E non era davvero un castello: dentro aveva le dimensioni di una comune casa di città, se non addirittura più umile.
Gerda accese il focolare e si riscaldò lei stessa, invitando Alice a fare lo stesso, se aveva freddo.
«Hai una casa molto bella», si complimentò la bambina, ormai disabituata dalla bellezza di un'abitazione vera e propria.
«Molte grazie! Anche la tua probabilmente sarà - Oh, ma non mi hai ancora detto come mai ti trovavi in giro a quest'ora!»
Così Alice le raccontò di suo padre, dei fiammiferi, della nonna e della stella, e Gerda si sorprese molto nel sentir parlare di quest'ultima.
«Hai detto... che era un pezzo di specchio?», domandò quasi in un sussurro.

Una folata di vento gelidò entrò dalla finestra, mentre i due ragazzi si facevano strada per i corridoi della magione in cerca dell'uscita. Era come un labirinto, e ogni volta che svoltavano un angolo era come se fossero scivolati esattamente da dov'erano venuti, e ripercorrevano le stesse strade anche due o tre volte di fila.
Tutt'a un tratto la corrente d'aria si fece forte, perché il grande portone si stava aprendo.
La regina era tornata, e poiché chiamava Kay ma lui non arrivava, si insospettì e lo andò a cercare. Ben presto lo trovò in compagnia di quella fanciulla 
perché conosceva ogni singolo angolo del suo castello  e furibonda si mise a gridare; il suo viso si arrossò lievemente, e quando i due fuggirono dal lato opposto da cui lei era venuta, li inseguì e maledisse la ragazza perché la aveva privata del suo unico servo.
«CHE IL GELO ED IL FREDDO TI SEGUANO DOVUNQUE TU VADA, SE NON SARÒ IO A PRENDERTI PRIMA!»
E mentre correvano, il soffitto e le pareti si riempivano di crepe e tutto sembrava sul punto di crollare. Corserò così rapidamenti da non accorgersi che, svoltato un angolo, erano finiti su uno specchio ma lo avevano attraversato come fosse fatto d'acqua. Il palazzo crollò alle loro spalle e anche quello specchio andò in frantumi, portati via dal vento che ora seguiva Gerda qualunque movimento facesse. Perciò continuarono a correre e correre, inseguiti dalla regina, ma la ragazza si ricordò di avere degli oggetti in borsa, e poteva tirarli contro la donna alle loro spalle per distrarla.
Lanciò una spazzola che le avevano regalato un principe ed una principessa, e grazie alla sua magia ne venne fuori una montagna di terra marrone come il legno di cui era fatto il manico. Ma la regina la aggirò, e continuò ad inseguirli.
Quindi la fanciulla lanciò un pettine che le era stato donato da una zingara, sua amica, durante il viaggio, e ne venne fuori una montagna di rocce grigie e appuntite come i denti di quel pettine. Ma anche questa volta, la regina superò l'ostacolo e li raggiunse.
Stava loro ormai alle costole, e quando tutto sembrava perduto, Gerda chiuse gli occhi e si fermò per la stanchezza; il vento la raggiunse assieme ai frammenti di specchio che trafissero il corpo della regina alle sue spalle, la quale rimase immobile con gli occhi spalancati e dopo poco si sciolse come neve al sole.
Gerda era esausta e Kay la prese appena in tempo evitando di farla cadere miseramente al suolo e farsi male.
I pezzi di specchio ora erano lì ai loro piedi, ma per un maleficio della regina, anche quelli formarono una montagna proprio sotto di loro. Anche la maledizione non tardò ad arrivare, e un inverno perenne circondò le cime del monte e loro due. Ma ora che la strega era morta, il suo incantesimo su Kay
fatto con un bacio  non aveva più effetto, e il poveretto ricominciò a patire il freddo, a differenza di Gerda, protetta dalla sua stessa magia. Non avrebbero più potuto stare insieme, o Kay sarebbe morto, però lui non aveva intenzione di rinunciare alla sua amica dopo tutti i sacrifici che sapeva aveva fatto per ritrovarlo. Non poteva perderla, perché in cuor suo aveva capito di amarla, perciò accettò in silenzio quel che avrebbe comportato stare con lei.

«Ma io avevo capito le sue intenzioni, e non potevo lasciarlo morire: anch'io lo amavo...»
Gerda si interruppe ed asciugò le proprie lacrime. Alla fine si era decisa a raccontare ad Alice il motivo per cui viveva da sola, lassù, perché la bambina le aveva raccontato la propria storia senza obiettare e non le sembrava corretto non fare altrettanto.
«Rimase congelato, e con lui anche il mio cuore...», concluse Gerda tra i sospiri.
Anche la bambina, che era molto sensibile, pianse con lei, ma la curiosità la spinse a chiedere dove si trovasse Kay in quel momento.
«Lo hanno portato via...»
«Chi?»
Gerda rispose sommessamente, più che altro mimando delle parole con le labbra senza farne uscire alcun suono. Ovviamente la bambina non capì, ma non le andava di insistere più di tanto.
Alla fine la ragazza apparecchiò la tavola e fece comparire magicamente tante vivande e vettovaglie; quando ebbe finito di mangiare, alla piccola venne mostrata una camera con un comodo lettino caldo in cui avrebbe potuto dormire, e ancora una volta, con la magia, Gerda le fece un bel pigiamino di lana.
Il giorno seguente, Alice fece colazione per la prima volta dopo anni. Era tutto molto buono: mangiò pane con la marmellata e bevve latte caldo, e, pronti per lei, su una sedia c'erano un graziosissimo abitino ed una giacchetta, e anche stivaletti e guanti abbinati.
Le due si erano affezionate l'una all'altra, ma la maledizione di Gerda avrebbe presto congelato anche lei se non se ne fosse andata – e di certo tutti i suoi fiammiferi non sarebbero bastati per scongelarla, perché l'incantesimo della strega era troppo potente.
Andarono in slitta sino ai piedi della 'montagna di specchi', ma lì dovettero separarsi, perché la neve le aveva seguite ed era pronta a ricoprire altro se solo Gerda avesse fatto un passo in più.
«Segui il sentiero e poi attraversa il ponte», indicò la bella fanciulla, e Alice ascoltò tutto con molta attenzione. «Entro mezzodì dovresti raggiungere un villaggio, e... be', lì potrai togliere la giacca, perché non ci sarà questo brutto freddo!»; rise e si strofinò il naso con il dorso della mano. «Ma fa' molta attenzione, perché lì fuori ci sono più pericoli di quanto tu possa immaginare!»
Si abbracciarono a lungo. Alice si commosse e pianse; avrebbe tanto voluto restare con lei, perché finalmente dopo moltissimo tempo si sentiva a casa...
«Sei molto coraggiosa, piccola fiammiferaia»
«Anche tu lo sei, Gerda»
Si salutarono un'ultima volta, e infine la bambina si mise in cammino.
Gerda era già volata via; il vento delle montagne soffiava anche più forte del solito, ma non fece in tempo a raggiungere il suo urlo.
Gli specchi riflettono quando c'è almeno un po' di luce, ma le Tenebre, con crudeltà, avevano portato via anche quella.

 

Angolo dello scrittore
Mentre scrivevo questo capitolo sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene (?). Ogni tanto si fermava per via del freddo, ma una tazza fumante di tè ai frutti di bosco mi ha dato la giusta carica per continuare e concludere 'in bellezza'.
Su, mi aspetto tanti insulti e pareri discordanti che volano qua e là trafiggendo la gente (o soltanto me). Magari penserete qualcosa tipo "Si diverte a far morire i personaggi così facilmente? Prima una vecchietta indifesa e una madre, ora una regina e una ragazza tanto carina e simpatica! Lo odio lo odio lo odio!", ma il punto della questione è che anche io mi odio per quel che ho appena fatto, quindi se volete fondare il fanclub Anti-Me, vi darò pieno appoggio!

Ringrazio tanto Beauty (e ne approfitto subito per comunicarti che La Bella e la Bestia, o meglio, la loro storia ci sarà; non so dove nè quando, ma ti prometto che ci sarà!) e quella brutta villain (?) di Ucha (stavo pensando di inserirti nella storia come cattiva principale ma poi mi sono ricordato che un lieto fine dovrà pur esserci) per le loro recensioni, e chiunque altro stia leggendo perché sì. Vi amo. (?)

Potreste già conoscere...
La regina delle nevi
Madama Holle
L'ondina (Sì, anch'io non avevo idea di cosa fosse ma wikipedia aiuta)

All is white

Se avete letto fino ad ora, vi ringrazio di avermi dato un'opportunità.
Se avete consigli – li accetterò più che volentieri: non c'è una trama ben definita e ogni idea potrà quindi essere considerata e sviluppata –, dubbi o notate qualche errore, recensite OPPURE inviate un messaggio alla mia casella di posta. In particolare, fatemi sapere se vi interesserebbe leggere di una fiaba in particolare, o se avete curiosità che non ho ben spiegato nel capitolo.
E se la storia vi piace, al prossimo capitolo e ancora una volta grazie!

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Capitolo 3
*** Sotto la pelliccia ***


La neve era ammucchiata a sinistra e a destra, creando così un ampio sentiero percorribile senza troppe difficoltà. Il sole – ben visibile perché non c'era una sola nuvola pronta a coprirlo – splendeva e rendeva luminosa quell'immensa distesa bianca, filtrato appena dai rami secchi e privi di foglie di qualche albero ai lati della stradina.
Presto Alice udì un forte gorgoglio d'acqua, e dopo qualche decina di passi eccolo lì: il fiume, e ovviamente, seguendo il sentiero battuto, un grande cavalcavia in pietra che collegava le due sponde; doveva essere quello il ponte di cui Gerda le aveva parlato, e ora non le restava che attraversarlo! L'acqua scorreva limpida e cristallina, e conigli, furetti e fringuelli si abbeveravano presso la riva. Il viaggio fino ad allora era stato abbastanza stancante, perciò la bambina si concesse una piccola pausa e – alzate fino ai gomiti le maniche della mantellina di lana – raccolse un po' d'acqua con le mani e bevve; era così rinfrescante, e già si sentiva di nuovo piena di forze! "Anche quest'acqua deve avere qualcosa di magico, come l'aurora!", pensò Alice.
Non appena fu di nuovo pronta, raccolse il cestino e riprese a camminare attraverso il ponte e poi lungo la strada; intanto, gli animali si allontanavano dalla riviera e fuggivano in preda ad un silenzioso panico: il riflesso del cielo e del sole sul fiume era ormai indistinguibile, perché quest'ultimo era diventato nero come la pece.
Avanzando e tenendo stretto tra le mani il suo cestino – che grazie ad una magia di Gerda ora era bello, bianco e senza sporgenze pungenti –, Alice notò che gli alberi si facevano sempre più numerosi e i rami più fitti e intrecciati, tanto che ormai le pareva di camminare all'interno di una caverna; il cielo chiaro ed azzurro era stato rimpiazzato da folte chiome e lunghi rami appuntiti, ma lei non si fermava e invece accelerava il passo, perché sapeva che star ferma l'avrebbe fatta sentire ancora più insicura e intimorita.
Dopo diversi minuti tutto si fece buio ed Alice fu costretta a guardarsi intorno per capire se stesse ancora seguendo la strada, ma non c'era neanche uno spiraglio di luce che indicasse da che direzione fosse venuta. Brancolò un po' nell'oscurità con le braccia tese in avanti, e finalmente trovò col tatto la corteccia di un'albero; prese un fiammifero e lo strofino su di essa, e finalmente una piccola fiammella rossa rischiarò i dintorni. Non c'era più alcuna traccia di una strada o di un sentiero: si era persa.

Vagò a lungo in quella foresta tenebrosa e piena di brutti rumori. Non c'era traccia di civiltà: nè un cartello, nè qualche recinto e nemmeno un piccolo orto, anche incolto. Non viveva nessuno lì, quindi era sola, ricoperta di vecchi abiti che ormai si erano trasformati in stracci per via di ripetute cadute e strappi provocati da rami bassi in cui si erano ingarbugliati sfilacciandosi.
Era tardi, ormai, e solo la matassa costituita dai suoi lunghi capelli biondi e smossi era distinguibile sotto la luce sfocata della luna. Si accovacciò all'interno di un albero cavo, e aspettò il giorno seguente senza battere ciglio.


Se era notte ci sarebbe stata almeno una stella in cielo, se non anche la luna! Ma quello non era il firmamento, e non era neanche lontanamente sera; fino a poco prima, d'altro canto, Alice camminava mentre la luce ed i primi accenni di calore le facevano arrossare le guance. Possibile che il tempo fosse trascorso così rapido e che avesse camminato più a lungo di quanto si fosse immaginata, perdendosi?
Il fiammiferò si spense, ma non poteva di certo restare lì, in mezzo alle tenebre, con la possibilità che ci fossero animali feroci pronti ad attaccarla! Doveva trovare un rifugio. Rovistò nuovamente nella cesta e ne tirò fuori qualche altro cerino per farsi ancora luce; non ne aveva molti già quando si trovava ancora in città e li vendeva, però ce n'erano abbastanza per farle luce almeno per un'altra ora o due. Giusto il tempo per venir fuori da quell'orrendo bosco e trovare finalmente il paesino indicato da Gerda.

Il mattino arrivò così lento che la ragazza finì per addormentarsi senza accorgersene. Quando si risvegliò il sole era già alto in cielo, ma poco più in là c'era anche una colonna di fumo e quindi qualcuno che avesse acceso un fuoco . Corse come un cerbiatto tra gli alberi alti e slanciati e quando finalmente raggiunse la fonte del fumo scoprì che si trattava di una casa, e che esso fuoriusciva dal comignolo. Qualcuno pur doveva abitarci e poteva darle aiuto, così bussò e attese; nessuno venne ad aprire, nè alcun suono confermò che effettivamente ci fosse qualcuno dentro. Bussò ancora, questa volta più energicamente nel caso chi vivesse lì stesse dormendo.
«C'è qualcuno? Mi sono smarrita», provò quindi, ma senza alcun risultato.
Sbirciò attraverso le finestre e vide un letto e diversi mobili di paglia
così come il tetto e un caminetto in pietra; sul tavolo c'erano anche un piatto da minestra ed una pagnotta, e lei aveva tanta fame...
Controllò ancora che non vi fosse nessuno al suo interno, e, avendo la conferma che l'abitazione fosse davvero vuota, andò alla porta e
poiché per fortuna non era stato messo il catenaccio la aprì, andando in fretta a mangiare; la zuppa era molto calda e il pane sembrava essere stato sfornato da poco. Dopo poco finì, ma se ne andò di corsa poiché sentiva troppo caldo e quel posto le metteva ansia: delle sedie si trovavano rovesciate per terra e c'era una grande macchia rossa che prima non aveva notato proprio davanti alla porta.
Non troppo in lontananza, ad ovest, c'era un'altra colonna di fumo; una baita, questa volta, di nuovo apparentemente inabitata. Entrò anche qui perché vide che la porta era spalancata, e siccome aveva ancora fame raccolse qualche mela da una cesta. Il fuoco nella brace era stato spento non da molto tempo, però le finestre erano aperte e faceva freddo. In più da fuori provenivano dei rumori, e accanto all'entrata c'era una balestra... La prese perché aveva un brutto presentimento, e scappò.
Altro fumo, più a sud: una grande casa di mattoni nel bel mezzo di una radura, ma questa volta al suo interno c'era qualcuno.


Non aveva senso continuare a sprecare fiammiferi in quel modo. Alice aveva girovagato per una buona decina di minuti senza però trovare qualcosa, qualcuno o un'uscita. Era un'inutile perdita di tempo e di energie, perciò la cosa migliore da fare sarebbe stata accendere un fuoco per fermarsi e allo stesso tempo restare in una zona illuminata, invece che alla mercè di qualunque belva inferocita. Inoltre col fuoco avrebbe potuto difendersi, in qualche modo! Era stato papà ad insegnarglielo, quando tornava dalla caccia e le raccontava ciò che aveva fatto e visto in attesa che la mamma finisse di preparare la cena. Una volta era buono, e premuroso...
Raccolse dei rami e un po' di foglie ai piedi di un grosso albero, e proprio lì sotto ammucchiò tutto e accese l'ennesimo fiammifero, sperando che le spiegazioni di suo padre fossero servite a qualcosa.
Chissà cosa faceva, ora che lei se n'era andata...

Due meravigliose bambine giocavano con un orso sotto l'occhio vigile della mamma. L'animale era innocuo e tanto affezionato a loro, e incredibilmente si comportava quasi come un comune cane domestico.
Fuori faceva veramente tanto freddo, e la neve aveva già attecchito al suolo rendendolo duro e ghiacciato.
«Forza, è ora di andare a dormire!», disse la mamma dopo cena quando si accorse che era tardi.
«Ancora un po', mammina», fecero le due in coro.
Era molto piacevole stare seduti davanti al camino a guardare i fiocchi che scendevano lenti e vorticavano oltre il vetro della finestra. L'inverno quell'anno era arrivato prima del solito, e allo stesso modo, improvvisamente, se n'era andato come se qualcuno lo avesse portato via con sè.
Fu doloroso per tutti, ma quando comparvero i primi bucaneve l'orso dovette tornare all'aperto, a contatto con la natura e i suoi simili.
«Coraggio, bambine... Magari anche lui avrà una famiglia: una mogliettina e un caro orsetto che lo aspettano a casa!», tentò di consolarle la madre.
«Vedrai che il prossimo inverno Orso tornerà a trovarci», fece la bambina dai ricci chiari e luminosi per consolare la sorella, che invece aveva una lunga chioma rossiccia e spettinata, e piangeva.
«Bianca ha ragione», aggiunse la donna mentre l'animale si allontanava, scomparendo in breve tempo tra la vegetazione del bosco. «Su, Rossella, torniamo dentro...»


La legna scoppiettava vivacemente, mentre le foglie si contorcevano e bruciavano subito. C'era riuscita: aveva acceso un piccolo falò senza l'aiuto di nessuno!
Alice stava seduta a pochi metri di distanza dal fuoco e tentava di riscaldarsi, ma continue folate di vento continuavano a gelarle schiena e nuca. Non c'era più traccia di neve, e questo era un bene; gli alberi non erano spogli, ma rigogliosi – anche se cupi –, però probabilmente era proprio questa fitta vegetazione ad impedire ai raggi del sole di toccare il suolo e riscaldare l'aria, causando quel freddo pungente che superava persino la calura del fuoco.
Stava a gambe incrociate e il cestino era al suo fianco; il suo sguardo era rivolto fisso verso le fiamme che danzavano per lei, ma di colpo si ricordò di quel posto, di dove si trovava, e si guardò intorno. Che si era persa non c'erano dubbi, ma se non avesse mai trovato un'uscita? Come sarebbe sopravvissuta in quella foresta, da sola?

«Fate attenzione, e tornate prima di cena!», urlò la mamma da lontano, sorridendo tranquilla e salutandole con la mano.
Le bambine agitarono le mani in alto per ricambiare il saluto, e ridendo saltellarono allegramente nella boscaglia. Andavano ogni giorno per raccogliere bacche, frutta e legna da ardere nel focolare, ma in realtà era molto più un divertimento che un dovere: era il loro 'posto segreto'
sotto un grandissimo albero che faceva ombra non troppo lontano dal fiume dove potevano correre, rotolare nell'erba fresca, cantare e giocare con gli animaletti selvatici. Rossella li adorava; non aveva paura di nulla, neanche dei più grandi che a loro volta sembravano provare fiducia nei suoi confronti.
Una volta una volpe, un'altra un cervo dalle enormi corna affusolate, poi nientedimeno che un orso, ferito su un fianco. Rossella gli diede subito tutte le ghiande e le more che aveva raccolto, e intanto Bianca tornava da casa con un secchiello che subito andò a riempire al fiume. La mamma diceva sempre che quell'acqua era speciale, perciò sarebbe stata perfetta per curare la ferita dell'animale!
Passarono l'intero pomeriggio a coccolarlo, e a parlare.
«Tu... ricordi com'era papà?», domandò Bianca dopo un lungo silenzio.
«Sì, credo. Be'... non proprio, ma ci ha abbandonate, perciò non m'importa»
Cominciò a nevicare e da lontano la voce della mamma intimava loro di tornare a casa.
«Orso viene con noi», disse Rossella con decisione, e lui si alzò sulle zampe come se avesse capito.


Passò qualche anno, ma non tornò. Forse si era solo dimenticato di loro...
«Sei pronta?», chiese Bianca con la solita voce dolce che riservava solo per la sorella.
«Sì... andiamo...»
Come sempre si incamminarono nel bosco. Era una bella giornata estiva, e quelle due piccole rose erano sbocciate più belle che mai: era il giorno del loro quindicesimo compleanno. Riempirono le ceste prima dell'ora di pranzo, così poterono passare il resto della mattinata a divertirsi. La rossa non era proprio di buon umore, ma l'allegria dell'altra riuscì a contagiarla; scherzarono e si rincorsero, ma si allontanarono troppo e senza accorgersene Rossella cadde in una buca nascosta da un mantello di foglie. Bianca sarebbe andata a cercare aiuto per tirarla fuori e si allontanò. Sembrava essere stata scavata da tanto, ed era impossibile uscirne da soli. Presto nuovi passi si avvicinarono lenti e leggeri al ciglio della buca: doveva senz'altro essere Bianca!
«Hai fatto presto», disse di nuovo felice Rossella, ma non fu il visino angelico della sorella ad affacciarsi.
«Che accidenti...», gracchiò un vecchio nano, che evidentemente non era altrettanto contento.
Le porse un lungo ramo, e quando finalmente la tirò fuori si mise a brontolare e si premurò di ricoprire il fosso.
«Faccio una trappola per orsi e invece cosa prendo? Una brutta mocciosa!»
«La... ringrazio...», disse lei a testa bassa mentre provava ad aiutarlo, ma quello la allontanò furibondo.
«Dovrò rifare tutto da capo, accidenti a te!»
Com'era sgarbato... In fondo non era mica finita lì dentro di propria volontà!
«Mi dispiace... Ma ha per caso detto che vuole catturare un orso?»
«Mh? Ah, sì... Anche se poi non è davvero un orso perché tanto tempo fa mi ha rubato dell'oro e... e adesso insomma voglio sbarazzarmene», borbottò velocemente come se parlasse da solo; «MA A TE COSA IMPORTA?»
Rossella indietreggiò e scosse la testa. Doveva aver capito male... Trasformato?
«Al diavolo questa buca! Quei dannati cacciatori me lo stanno nascondendo, ne sono sicuro. Erano suoi amici, in fondo, quei...
porci!», urlò l'omino, e si voltò verso di lei. «Tu hai per caso visto un orso, di recente? No, ma chi se ne importa... Sei solo una bambina...»
Di colpo ghignò e le si avvicinò col suo bastone in mano mentre si lisciava la barba.
«Io... Io devo andare», disse Rossella in preda al panico e fece per indietreggiare ancora, ma inciampò su una radice e cadde, sbattendo la testa.
«Ho sentito che la regina paga bene, per
voi...»
Bianca era appena arrivata: non avendo trovato nessuno era tornata indietro, ma quando vide la sorella in pericolo capì che doveva assolutamente avvertire la mamma. Correva disperatamente per il bosco, però casa sua era da tutt'altra parte.


Il fuoco si stava man mano riducendo e a breve sarebbe rimasto nient'altro che carbone ardente. Avrebbe dovuto far bruciare altra legna, ma Alice riuscì a trovare solo un grosso bastone che aveva deciso di conservare per difendersi da eventuali pericoli. Però come avrebbe fatto a difendersi, senza vedere nulla?
Si alzò dopo averlo afferrato e averne acceso l'altra estremità su ciò che restava delle fiamme, in modo da poter illuminare i dintorni mentre cercava legna. Girò per un po' senza allontanarsi dalla grande corteccia, ma a terra c'erano solo foglie secche e fiori appassiti; alzò gli occhi al 'cielo' ma non vide che la sagoma in controluce di qualche lungo ramo.
Dei cespugli più in là presero a muoversi, e istintivamente puntò la sua fonte di luce in quella direzione.
Ne venne fuori un grande orso zoppicante, seguito da una figura incappucciata e armata.

La casa era molto alta e probabilmente contava due o tre piani. Era un bel posto, senza dubbio, ma ciò non bastava a ridurre la paura che incuteva alla bambina. Dentro c'era qualcuno che urlava, e chiaramente gli altri rumori appartenevano ad oggetti che si rompevano.
Un ruggito fece trasalire la bambina e probabilmente anche le persone che si trovavano dentro, e poi una finestra si frantumò perché un ometto gli era stato violentemente gettato contro; finì fuori, per terra, ma si rimise subito in piedi. Stava.. sorridendo.
Si voltò verso la bambina con un'orrenda smorfia impressa in volto, una smorfia che già conosceva: era lo stesso uomo
o qualunque cosa fosse che aveva preso sua sorella. Gli puntò la balestra contro, le gambe tremanti perché non sapeva nemmeno come usarla.
«Dov'è?», disse abbastanza forte da farsi sentire. «Mia sorella... DOVE L'HAI PORTATA?»
Il suo ghigno si allargò ancora di più, e dopo aver alzato una delle sue piccole mani grinzose fece schioccare le dita. Una nuvola di fumo lo avvolse e Bianca premette il grilletto senza neanche rendersene conto, scagliando la freccia; non si aspettava di prenderlo, o comunque di prendere qualcosa, ma invece sentì un lamento. Quando la nuvola si dissolse, lì per terra c'era qualcuno che la ragazza conosceva bene.
«Orso!»


«Chi sei?», domandò intimorita Alice, col suo bastone ancora puntato verso l'estraneo.
«Potrei farti la stessa domanda», rispose una voce femminile. Si tolse il cappuccio dalla testa, scoprendo lunghi ricci che illuminati da quella fiamma sembravano risplendere come oro. Abbassò la balestra per dimostrare di non avere cattive intenzioni, ma Alice invece puntò la sua 'arma' contro la bestia al suo fianco.
«Ehi! Lui è innoquo», fece la sconosciuta mettendosi davanti all'orso.

Lo aveva colpito proprio nel punto che, tempo prima, aveva curato. Bianca entrò nell'abitazione per chiedere aiuto, ma non c'era più nessuno. Riuscì ad estrarre la freccia e con delle garze che aveva preso dentro gli coprì la ferita.
Ora aveva ritrovato il suo vecchio amico, ma Rossella? E la loro casa? Ormai doveva essere troppo lontana da quest'ultima, perché la foresta non era più come la ricordava lei...
Ed era tutta colpa di quel vecchio mostro.


«Tu l'hai visto?»
La questione si era risolta, e i tre – o meglio, loro due e l'orso – si erano seduti attorno al fuoco, che avevano ravvivato col bastone e la balestra. Bianca le aveva spiegato che non servivano a nulla, poiché l'unico pericolo era costituito da quel crudele folletto, e non potevano fargli nulla con dei pezzi di legno.
«Lo cerco da non sai quanto», aggiunse; «Ha preso mia sorella...»
«Ma è terribile», bisbigliò Alice. «E non sai proprio come trovarlo?»
La ragazza guardò l'orso per un attimo e scosse la testa.
«Ma immagino che sia qui. Questo posto era diverso, prima... La foresta, intendo. Non era così tetra, e...»; alzò lo sguardo. «Quest'albero...»
Scattò in piedi e sorrise. Andò a toccare il tronco, poi si girò.
«C'è un fiume da queste parti!», e guardò l'animale con la gioia negli occhi; la ferita ancora gli impediva di camminare bene, ma con quell'acqua avrebbe potuto guarirlo!
«Be', io vengo da lì ma -»
Bianca si mise a correre indifferente, ma tornò dalla parte opposta senza capire cosa fosse successo. L'orso cominciò a ringhiare e si alzò anche lui come meglio poteva, mentre Bianca gli si avvicinava.
«Hai sentito qualcosa?», chiese accarezzandogli il dorso.
Alice capiva solo che c'era di che preoccuparsi, ma se prima la ragazza aveva ragione, poteva trattarsi solo di una cosa.
Un bassissimo vecchietto si fece largo tra le foglie appoggiandosi ad un bastone molto più alto di lui. Avanzava e ridacchiava con tranquillità, e raggiunse Bianca come se avesse visto solo lei.
«Mi hai mancato?», ghignò superbamente.
«Bastardo... Dov'è mia sorella?»
Quello si strinse tra le spalle e rise malvagiamente. Poi fu un attimo: l'orso gli diede una zampata e lo gettò sul rogo. Quello prese fuoco come una foglia e in un tremendo grido bruciò, avvolto da fiamme altissime che raggiunsero le chiome degli alberi, tra le quali si aprì uno squarcio da cui penetrò il sole. Poco alla volta tutto si illuminò come per magia e le fiamme si abbassarono fino a spegnersi.
Essendo state totalmente abbagliate dalla luce le due non si accorsero subito dell'orso accasciato a terra, ma quando lo vide, Bianca gli corse subito incontro e si inginocchiò accanto a lui. La ferita doveva essersi riaperta per lo sforzo e sanguinava. Alice si avvicinò, ma capì anche lei che ormai non c'era più nulla da fare. Poggiò una mano sulla spalla della ragazza e l'altra sulla pelliccia dell'orso, che però era così calda che entrambe dovettero allontanarsi.
Prese fuoco, ma non lo consumò del tutto: fece sparire solo il manto bruno, lasciando steso sull'erba un uomo ricoperto di stracci sporchi di sangue.
«P-papà..?», singhiozzò Bianca a bocca aperta. «Papà... La freccia...»
«Non è colpa tua...», disse lui prendendole la mano con le ultime forze che gli restavano in corpo. «Gli altri cacciatori... pensavano fossi un orso, ma tu e Rossella mi avete aiutato, ricordi?»; tossì e un rivolo di sangue gli colò dalle labbra che nonostante il dolore formavano un sorriso.
Bianca fece sì con la testa, non trovando la forza di rispondere.
«Trovala...» fu la sua ultima parola, poi chiuse gli occhi.
 

Angolo dello scrittore
Sì... Ci ho messo un po'... Perché? Perché sto male da quasi due settimane. Ma shh, non importa: il capitolo è qui!
A me sembra tanto una pazzia ma boh, il risultato in fin dei conti mi soddisfa. Fatemi sapere cosa ne pensate voi!

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Somewhere only we know

Se avete letto fino ad ora, vi ringrazio di avermi dato un'opportunità.
Se avete consigli – li accetterò più che volentieri: non c'è una trama ben definita e ogni idea potrà quindi essere considerata e sviluppata –, dubbi o notate qualche errore, recensite OPPURE inviate un messaggio alla mia casella di posta. In particolare, fatemi sapere se vi interesserebbe leggere di una fiaba in particolare, o se avete curiosità che non ho ben spiegato nel capitolo.
E se la storia vi piace, al prossimo capitolo e ancora una volta grazie!

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